Burn with you

di Letizia25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 13: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** Quindici ***
Capitolo 16: *** Sedici ***
Capitolo 17: *** Diciassette ***
Capitolo 18: *** Diciotto ***
Capitolo 19: *** Diciannove ***
Capitolo 20: *** Venti ***
Capitolo 21: *** Ventuno ***
Capitolo 22: *** Ventidue ***
Capitolo 23: *** Ventitré ***
Capitolo 24: *** Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Venticinque ***
Capitolo 26: *** Ventisei ***
Capitolo 27: *** Ventisette ***
Capitolo 28: *** Ventotto ***
Capitolo 29: *** Ventinove ***
Capitolo 30: *** Trenta ***
Capitolo 31: *** Trentuno ***
Capitolo 32: *** Trentadue ***
Capitolo 33: *** Trentatré ***
Capitolo 34: *** Trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Trentacinque ***
Capitolo 36: *** Trentasei ***
Capitolo 37: *** Trentasette ***
Capitolo 38: *** Trentotto ***
Capitolo 39: *** Trentanove ***
Capitolo 40: *** Quaranta ***



Capitolo 1
*** Uno ***


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Link trailer: https://www.youtube.com/watch?v=evr4rKlJ1RA
Vi consiglio vivamente di guardarlo, vi aiuterà a capire la storia un po' di più, fidatevi ;).
Buona lettura! <3


 
Uno
 
 
 
A volte, la discesa verso l’inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi.
Troppo tardi per tornare indietro, per cambiare le cose, per salvare qualcosa di ciò ch’è rimasto.
O almeno, la nostra è iniziata così.
 
 
 
Dovrebbe smetterla, del tutto. Dovrebbe smetterla di volersi così male, di annullarsi, di perdersi nel buio per non uscirne più. Dovrebbe cercare un modo per cambiare quella situazione che ormai dura da quasi due anni e che non lo lascia mai in pace, che lo prosciuga di tutto quel che ha e lo rende debole, vulnerabile su ogni fronte. Dovrebbe smetterla sul serio.
Eppure eccolo lì di nuovo, a ferirsi, a cancellare ogni traccia di sé, con quei pochi gesti che ormai sono diventati un’abitudine da cui non riesce a sottrarsi. Perché lui, la forza di reagire, non l’ha mai avuta. Non è mai stato quello forte, lui. Non è mai riuscito a contrastare tutto quel che gli è arrivato addosso e che lo ha abbattuto in un istante.
Sospira. Poi è un attimo, e tutto sfuma, tutto scompare attorno e dentro di lui. Non c’è niente, solo buio, nero e silenzio. C’è pace. Pace da tutti quei ricordi che feriscono come lame, che gli mozzano il respiro ogni volta che tornano alla luce. Feriscono, distruggono quel poco che è rimasto, lasciando solo polvere su un cuore che batte a stento e che non è forte abbastanza per sopportare tutto.
Chiude gli occhi e lascia che quel senso di strana tranquillità si impossessi di lui, inibendo la percezione di tutto quello che gli sta succedendo attorno. La musica gli arriva ovattata a causa dalle pareti insonorizzate della stanza; le risate dei ragazzi davanti a lui sembrano semplici bisbigli, lontani e quasi inudibili.
Apre gli occhi, lentamente, e tutto è sfocato, incomprensibile. Sorride, senza un motivo ben preciso. Sorride, perché finalmente tutta quella confusione dentro di lui non c’è più, è sparita. E anche se sa che quella sensazione di benessere non durerà a lungo, gli va bene così.
Si alza dalla sedia e subito la testa inizia a girare e le gambe a tremare un po’. Tutti effetti che gli mostrano bene quanto stia sbagliando e quanto lentamente si stia rovinando con le sue stesse mani. Si sta rovinando con l’unica cosa che riesce a farlo stare bene, anche solo per poco. Ma non gliene frega niente, a lui.
Lui, che non ha più niente da perdere.
Avanza a passo incerto, con la mano sul muro per darsi un minimo di equilibrio. Esce dalla stanza e la musica martellante lo stordisce, più di quanto già lui non sia. Cammina piano, la testa troppo leggera che gira sempre più velocemente e che lo manda sempre più in confusione. Non capisce niente, e nonostante tutto gli va bene così.
Persino quando Luke – il suo migliore amico – gli si para davanti, va bene per lui.
«Cazzo Calum, ancora?! Quando la finirai di farti così male?» gli chiede il biondo; la voce alta per cercare di sovrastare il volume della musica, gli occhi azzurri lucidi e preoccupati da morire per l’altro.
Calum ride forte, ma non risponde. È completamente intontito, e non ha alcuna intenzione di uscire da quella pace che finalmente dopo giorni è riuscito a raggiungere ancora una volta. Ne ha bisogno, più dell’aria, più di qualsiasi altra cosa necessaria per sopravvivere. Perché per lui, alla fine, basta solo non provare dolore. E quello è il solo modo che conosce che funziona davvero.
Luke sospira stanco. O almeno così sembra a Calum, anche se non ne è del tutto sicuro. Nelle sue condizioni è bene non prendere niente per vero. È bene anche restare in silenzio. Ma a quello, lui non pensa. Non l'ha mai fatto.
«Fatti gli affari tuoi.» dice, appunto, al biondo. Eppure non lo pensa sul serio, Calum. Non vorrebbe allontanare le persone a cui tiene e che gli vogliono bene. Non vorrebbe chiudersi come un riccio. Ma è troppo debole, lui. E proteggersi da tutto e da tutti è la cosa che sa fare meglio, l'unica che davvero gli resta.
A quelle parole, Luke alza lo sguardo, facendo incontrare i loro sguardi, così diversi nel colore e nelle emozioni che portano dentro. E a Calum si mozza il respiro in gola. Perché quegli occhi azzurri come il mare così tristi lui non li ha mai visti. E gli fa ancora più male rendersi conto che è stato lui stesso a ferire il suo migliore amico, con il suo solito modo di fare schivo e duro con tutti. Perché Calum lo sa che Luke sta così non solo per quello che lui gli ha appena detto. C'è molto altro dietro a quella preoccupazione che il moro legge in quegli occhi chiari. C’è tutto quello che è successo in quegli ultimi due anni e che lo ha portato ad essere quel che è adesso. C’è il fatto che Calum non è più quello di una volta.
È un’ombra adesso. Solo un’ombra flebile di se stesso. Un’ombra che non ha la forza di tornare a splendere.
Il biondo lo osserva ancora, giusto un attimo, prima di sospirare stanco per poi voltargli le spalle ed andarsene chissà dove. E Calum non lo biasima, non lo critica, non gli va contro, non gli urla dietro, non si arrabbia. Perché lui, Luke, lo capisce; capisce che è dura stare dietro ad un errore, una causa persa in partenza come lui. E non gliene fa una colpa, anzi, lo ringrazia per ogni singola volta che ha provato a tirarlo fuori da tutta quella merda, non riuscendoci nonostante tutto il coraggio e l’amicizia nei suoi confronti.
Calum sa che niente e nessuno riuscirà a salvarlo. Ed è anche per quello che ha rinunciato a combattere per se stesso. Ha smesso di combattere per quella causa persa che è diventato col tempo. Perché sa fin troppo bene che niente potrà mai più tornare com’era prima; non è possibile. Perché mancherà sempre un pezzo basilare della sua vita, fondamentale per farlo restare in piedi e per fargli capire che forse c’era ancora qualcosa per cui lottare.
Ma adesso quel qualcosa non c’è più. Non c’è più, e Calum non ha più alcuna idea di cosa fare.
Perché tanto sa che non ne varrebbe la pena.
Gira lentamente la testa a destra e a sinistra, per vedere da dove può uscire, dato che non vuole restare in quella casa un minuto di più, circondato da persone che non conosce e che non potrebbero aiutarlo ad affrontare almeno quella notte. Si sente perso, disconnesso dal mondo, con quella musica assordante che gli fa capire meno di niente mentre cerca di farsi spazio tra tutti quei corpi sudati ed ammassati insieme che si muovono in un modo che a Calum riesce solo a dare la nausea.
Si incammina, lentamente, inciampando nei suoi stessi passi, rischiando di finire parecchie volte con il viso a terra per quel poco equilibrio che si ritrova addosso.
E continua a sorridere. Sorride, perché è l'unica cosa che davvero gli resta, con il cuore che intanto batte a stento e protesta per tutto quello che sta subendo e che non riuscirà a reggere ancora per molto.
Cammina lento e finalmente vede la porta d’uscita. La apre e si ritrova fuori da quella casa piena di persone nella frazione di un secondo, con addosso il cappotto e con l’aria fredda di quella notte di fine inverno che gli accarezza piano il corpo bollente e lo fa rabbrividire.
Ma è come se lui non si accorgesse di niente, con la mente annebbiata e gli occhi spenti che si ritrova. Di preciso non sa neppure dire dove si trovi in quel momento. Sa solo che deve andare da qualche parte, magari tornare a casa, o magari seguire quell’immagine sfocata che con fatica sta prendendo forma nella sua testa, come a volergli suggerire di andare lì, di seguire quei ricordi che lui ha cercato di allontanare con ogni mezzo, non riuscendoci e finendone ferito ancora più a fondo, perdendo quasi tutto se stesso.
E mentre riprende a camminare; i passi lenti, malfermi; l’equilibrio che lo lascia sempre più ogni secondo che passa; gli occhi gli si riempiono di lacrime, silenziose e ardenti.
Lacrime che Calum non avrebbe mai voluto far uscire e che gli stanno facendo male, ancora, come ogni volta che i ricordi lo attaccano, privandolo di qualsiasi difesa e di qualsiasi mezzo per evitare di cadere ancora. Perché è caduto troppe volte, e troppe volte non è riuscito ad alzarsi da solo; troppe volte ha perso qualcosa di sé pur di tornare in piedi, pur di reggersi sulle proprie gambe.
Lacrime che aumentano quella sensazione di impotenza che da troppo tempo non gli lascia neppure un attimo di respiro e che rimarca, gli tiene chiaro in testa l’errore più grande di tutta la sua vita; quell’errore che gli è costato tutto e che gli ha fatto perdere persino quel poco che gli era rimasto.
Lacrime che gli tengono a mente anche quella promessa che ha fatto e che ha tutta l’intenzione di mantenere, non importa a quale prezzo, né con quale mezzo, né con quanto dolore dovrà convivere. La sola cosa che conta davvero è mantenere la parola data, che per lui è l’unica cosa che davvero gli resta, quella più preziosa che ha.
Lacrime che bruciano e che fanno male, che gli feriscono il cuore come coltelli affilati e gli mozzano il respiro, come se volessero farlo annaspare, come se volessero aiutare il dolore a farlo cadere nuovamente in quel buio che ormai regna sovrano dentro di lui e che sembra volersi cibare di quel poco che gli resta nell’anima.
Lacrime a cui Calum cerca di non pensare, di non dare attenzione; e intanto continua a camminare, continua ad avanzare a passo lento, insicuro, con le mani che tremano, il cuore che batte a stento, il corpo che non si regge in piedi da solo; mentre lui è perso nel ricordo di tutto quello che aveva e che lo ha abbandonato nella frazione di un istante, lasciandolo con un vuoto immenso dentro. Un vuoto che da solo non è mai riuscito a colmare e che probabilmente nessuno riuscirà a curare.
Perché per tutta la merda che è diventata la sua vita, ci vorrebbe un miracolo. Calum ne è assolutamente certo.
Un miracolo, un sogno, una preghiera, una speranza, una cura, un’illusione che però rimarrà tale. Perché le cose non cambiano in meglio, tendono sempre a peggiorare, a distruggere ogni cosa buona che flebilmente cerca di restare a galla, che tenta in ogni modo di non scomparire, di non morire schiacciata dal peso del dolore.
Cerca di asciugarsi le lacrime; di smettere di piangere; di non cadere di nuovo. Perché sa che quella volta non ci sarà nessuno ad aiutarlo a rimettersi in piedi; nessuno che si accollerà il peso di quel caso perso che è lui.
Non ci sarà neppure Luke, il suo migliore amico; quella persona che, nonostante tutto, gli è sempre rimasta accanto, in ogni momento. Sono amici fin da quando il biondo è nato e si considerano come fratelli. O almeno, quello è quel poco che il moro riesce a pensare con la mente per niente lucida. Pensa così, ma sente che probabilmente le cose non saranno più le stesse tra loro due. Perché Calum sa che avrebbe potuto evitare di lasciare che quelle parole meschine, dure, gli uscissero di bocca, ferendo una delle poche persone che continua a considerarlo un suo simile, invece di vederlo come un essere che va osservato da lontano, mostrando una pena che in realtà è e sarà sempre effimera. Luke è l’unico che riesce – anche se per poco – a non fargli perdere la bussola.
E Calum sa bene che le parole dette poco prima sono l’ennesima cazzata che va aggiunta a quella lunga lista che mai avrà fine. L’ennesima cazzata che potrebbe costargli tutto, di nuovo.
Sospira piano, mentre cerca di non pensare a tutto quel gran casino in cui è andato a finire; mentre cerca pure di mettere a fuoco il posto in cui si trova. Nota degli alberi deformi, dei giochi per bambini in lontananza, il percorso di cemento che si snoda in mezzo a quel parco che forse conosce.
Forse.
Perché per lui niente sarà mai certo quando è in quello stato, niente potrà mai essere com’è in realtà.
Perché neppure la figura che lentamente gli si sta avvicinando è reale. E lui lo sa, sa troppo bene che tutto quello non farà altro che rovinarlo, non farà che aprire ferite e marcare il dolore di quelle ferite che già erano dentro di lui, prima che tutto svanisse, prima che lui perdesse la cosa più importante che aveva. Calum sa troppo bene che ricordare non farà altro che farlo sentire peggio di quanto già non stia. Eppure non riesce a farne a meno.
Soprattutto non quando ha assoluto bisogno di ancorarsi a qualcosa pur di non cadere, pur di restare a galla.
Si siede malamente sulla prima panchina libera che riesce a vedere in quel buio nero come la pece, quella non lontano dal piccolo laghetto recintato. E sospira ancora, con il cuore e l’anima a pezzi e con le lacrime che ancora non si decidono a smettere di scendergli sulle guance.
Alza gli occhi scuri al cielo, perdendosi ad osservare quella miriade di piccoli punti luminosi che aiutano la Luna a far risplendere tutto. E intanto pensa che forse, di quel miracolo, abbia bisogno più di quanto voglia ammettere.





Letizia
E ti pareva che non tornassi con l'ennesima long a parlare di qualcosa di triste. Ehi, dopotutto non sarei io se parlassi di qualcosa di diverso ;).
Comunque... Ben ritrovato, popolo di EFP! Sono stata un po' meno presente in quest'ultimo periodo (o forse no? Ahahah, One Shot varie e mini long a parte ;) mi sono sempre fatta sentire, dai, che senza di voi non so stare *^* <3 <3 <3).
Sono in quinta come ben sapete, a giugno ho l'esame, quindi potete ben capire in che condizioni sono. Helpatemi, please! *^*
Anyway, a parte raccontare i fatti miei che probabilmente non interessano a nessuno, meglio se inizio a parlare di questa storia, quella a cui tengo più di tutte quelle che ho scritto fino ad ora, non solo perchè è su Calum (che amo con tutta me stessa). Tengo a questa storia in modo totale, e spero che capirete il perchè con il suo proseguimento.
Bene, da dove cominciare? Sicuramente con l'avvertirvi che è bene che teniate i fazzoletti a portata di mano, o almeno, ve lo consiglio caldamente u.u
Le tematiche che tratterò (come spero abbiate visto dal trailer) non saranno per niente leggere. Spero di parlarne nel modo migliore possibile.
Poi... Calum completamente a pezzi. Lui, che ha così tante cose dentro che non sa più come uscirne. E qui già parto con la mia solita curiosità ;): secondo voi cosa gli è successo?
Io già sto male per l'inizio (per Calum soprattutto) e non avete idea di come saranno i capitoli che verranno in seguito *^*. Povero cuore mio :'(.
Io... Non so cos'altro aggiungere, sono sempre una frana quando si tratta di scrivere l'angolo autrice del primo capitolo di una storia :/ :P ;).
Spero con tutto il cuore che questa storia vi piaccia e spero di poter trovare qualche commento da parte vostra, sia positivo che critico (accetto solo critiche COSTRUTTIVE e scritte in modo EDUCATO, dato che non mi sono mai comportata in modo scorretto nei vostri confronti).
Ultima cosa, poi giuro che chiudo il becco, ahahah ;). Vi avverto semplicemente che questa storia sarà VERAMENTE MOLTO LUNGA, perchè tutte le cose hanno bisogno di tempo per formarsi, per venire alla luce, fare il loro corso.
Aggiornerò regolarmente, come al solito, quindi non preoccupatevi, sul serio; non ci saranno ritardi (salvo imprevisti vari eh). Tuttavia, vi chiedo di essere pazienti, perchè per dar corpo a tutto ciò che succede in questa storia, ci vorranno parecchi capitoli.
Ultimissima cosa, promesso, ahahah, poi giuro che vi saluto sul serio, dato che come al solito ho parlato anche troppo ;). Vi lascio tutti i link delle storie che ho pubblicato in quest'ultimo periodo, magari vi venisse voglia di dare un'occhiata e farmi sapere che cosa ne pensate ;3:
Ghost, L'amore è per i pazzi, Strong like a butterfly, Il peso del cielo, Custodi di angeli (su Calum),
Jet black heart, Cuori in corsa (su Luke),
I was here (su Michael),
Perfect (mini long di 5 capitoli su tutti e 4 i nostri bei fusti australiani e relativo trailer: https://youtu.be/QY3RMg3X77g ;)).
Detto questo, io vi saluto qui ;). Ci sentiamo presto! <3
Grazie con tutto il cuore per ogni cosa fin da adesso, sul serio. Non avete idea di quanto mi siete mancati! Vi voglio davvero tanto bene, sappiatelo <3 <3 <3
Un bacio, Letizia <3

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Capitolo 2
*** Due ***


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Due
 
 
 
Si cerca una luce per salvarsi, o anche solo per non perdere del tutto la speranza.
Eppure ogni sforzo sembra comunque vano, perché le cose non cambiano, mai.
Restano immutabili, almeno fino a che due universi opposti non si scontrano.
 
 
 
Cammina lentamente, per le vie male illuminate di quella grande città che non conosce ancora del tutto nonostante ci viva da sempre, accompagnata dalla musica che sente piano attraverso le cuffiette.
Cammina, e intanto vorrebbe che la sua testa non fosse così piena di pensieri, di dubbi, di domande senza risposta, di parole che non sono mai riuscite ad uscire dalla sua gola, forse a causa di quella paura, di quel timore che è il suo compagno di vita e che non aiuta la sua situazione, in nessun caso.
Cammina, e vorrebbe non doversi sentire preda dello sbaraglio, dell’angoscia, della tristezza. Non dovrebbe vedere la vita con quei colori spenti che tanto odia e da cui non riesce mai ad allontanarsi, nonostante i suoi sforzi. Non dovrebbe vedere tutto catturato dalle ombre e dal dolore.
Perché, in fondo, quel poco che ha non è male, anzi. È molto più di quanto abbia mai potuto sperare in quella vita che ha saputo soltanto infliggere un colpo dopo l’altro, scavando ferite sempre più ampie, sempre più profonde in quel cuore che giorno dopo giorno sta perdendo la sua forza per reagire. Perché nessuno riesce sempre a stare in piedi da solo. Eppure… Non reagisce, non si difende; lascia che tutto dentro di sé scorra mentre lei resta inerme, troppo schiacciata dalle cose che ha dentro e che non fanno altro che pesare come macigni. Non vede a colori, lei.
Lei, schiva a causa di tutte quelle cose che ha vissuto e che l’hanno resa quella che è adesso; silenziosa, con troppe parole intrappolate in gola e morte lì, a causa di quel dolore sordo e costante che schiaccia ogni cosa e che le toglie lentamente ogni forza; persa, senza un posto dove potersi sentire a casa davvero.
Madison – la sua migliore amica e la stessa persona che le sta tenendo compagnia con numerosi messaggi da quando lei l’ha riaccompagnata a casa qualche minuto prima – dice che è forte. Glielo ripete costantemente e le porta sotto gli occhi così tanti esempi a cui sicuramente lei ci avrebbe creduto, se fosse stata un’altra persona.
Ma Letizia no, non ci crede, non ci riesce, nonostante si sforzi. Perché non si vede forte, non si è mai vista con una qualità simile; anche perché le sue – di qualità – non è mai riuscita a vederle, non è mai riuscita a scorgerle, neppure una volta, troppo presa a cercare di restare a galla, di non cadere in quella prigione fatta da troppe mancanze e da troppe ferite che ancora hanno bisogno di qualcuno che le curi. Un qualcuno che non è ancora arrivato.
Non si vede forte, lei. Prova soltanto a non mollare mai e a vedere la vita nel modo più positivo possibile, cercando quella speranza di cui ha costantemente bisogno. Quella speranza che, tuttavia, non è mai riuscita a trovare e a tenersi dentro al cuore. Ecco perché è così, ecco perché non riesce a vedere a colori, in nessun caso.
Non ci riesce. Non ha speranza e non sa più come fare per non lasciarsi sopraffare da tutto quello che le appesantisce il cuore, cibandosi di ogni cosa buona che con fatica riesce a creare.
Ed ecco che la miriade di pensieri nella sua testa torna a pesare; ad infierire; a confonderla con sempre maggior insistenza e prepotenza, come a volerle ricordare che non c’è scampo dalle decisioni della vita, di cui lei – come tutti gli altri – è una vittima che non potrà mai trovare alcuna via di fuga.
Sospira, e intanto la musica continua ad andare, a farle compagnia, coprendo un poco il silenzio assordante di tutte quelle cose che ha dentro e che non riesce ad estirpare, come erbacce che rovinano ogni cosa, che gravano sul suo cuore rovinato, distrutto, troppo provato per sopportare altro.
Vorrebbe solo che tutto quello che ha dentro scomparisse completamente, nella frazione di un istante, liberandola da quel dolore che non riesce più a sopportare, radicato dentro di lei da tutta una vita intera, come un fedele compagno che non potrebbe mai abbandonarla, pronto a farsi vivo e pressante nei momenti peggiori; momenti in cui lei davvero per poco non perde se stessa non perde quei pochi cocci di lei rimasti da mettere un poco in ordine, per quanto ne valga la pena.
Perché Letizia sa di non essere abbastanza, di non valere abbastanza, per nessuno. Soprattutto, sa di non essere abbastanza per se stessa, con tutti quei pensieri, quei dubbi, quelle paure che ha dentro, con il casino vivente che è e che nessuno mai vorrebbe conoscere o di cui probabilmente nessuno vorrebbe prendersi cura, troppo spiazzato dalla miriade di cose che quella ragazza ha dentro e che custodisce quasi come tesori a cui nessuno deve avvicinarsi in alcun modo.
Troppe volte si è chiesta il perché sia venuta al mondo ed il suo scopo in quella vita che – apparentemente – non ha alcun senso. Forse perché è destinata a vivere come sta facendo adesso? Forse perché è stata solo il frutto di un errore di due adolescenti troppo inesperti e troppo presi dall’ebbrezza di vivere? Forse perché doveva soltanto nascere e restare a vedere come tutto sarebbe finito, se mai avesse dovuto avere una fine vera e propria? Forse perché c’è qualcosa di grande per lei, un qualcosa che però ancora non è pronto per poter essere affrontato? Troppe domande, troppe parole che non servono a niente. Nessuna risposta che sappia spazzar via ogni cosa del tutto.
Sospira ancora mentre i passi risuonano piano sull’asfalto del percorso di cemento del parco non lontano da casa sua. Quel parco, l’unico posto che consoce del tutto, a causa dei lunghi pomeriggi trascorsi lì, per stare il più lontano possibile da quel luogo che non potrà mai considerare del tutto casa sua, nonostante l’affetto e la pazienza di chi l’ha cresciuta con tutto l’amore che ogni persona merita e di cui ha assoluto diritto. Un diritto che, tuttavia, a lei è stato negato tanto tempo prima, quando la prima ferita si è fatta viva dentro al suo cuore, procurandole un senso di vuoto che nessuno è mai riuscito a colmare.
Quel vuoto che Letizia non vorrebbe sentire mai più dentro di sè. Quel vuoto che è la sua rovina, che le toglie tutto giorno dopo giorno pur di riempirsi con qualsiasi cosa. Quel vuoto che si ingrandisce sempre di più, nonostante gli sforzi che fa pur di evitarlo, pur di curare quel dolore costante, opprimente, invadente, che la costringe a piegarsi, facendola cadere senza farsi alcuno scrupolo.
Avrebbe solo bisogno che qualcuno la aiutasse a tirarsi su dalle macerie di se stessa.
Quelle poche macerie, quel poco che resta di lei.
Si passa stancamente una mano sugli occhi stanchi per tenersi sveglia. Sono quasi le due di mattina e girare da sola per quei posti le fa sempre un po’ paura a quell’ora, nonostante li conosca quanto le sue tasche.
Nasconde le mani nelle tasche di quella felpa leggera che la tiene un po’ al caldo, mentre l’aria fresca di quella notte di fine agosto si fa sentire, facendola rabbrividire lievemente di tanto in tanto. È fine inverno, eppure non sembra, con quelle temperature che non accennano a voler aumentare anche solo di pochi gradi per mostrare l’arrivo prima della primavera e poi di quell’estate che arriverà inesorabile, indifferente a tutto e tutti, portando con sé quel caldo che Letizia non riesce a sopportare, al contrario del freddo dell’inverno, compagno perenne di quel silenzio sordo che ha dentro al cuore.
Cammina piano, percependo il cuore batterle a fatica dentro al petto, come se avesse a malapena la forza sufficiente per compiere anche solo quella minuscola azione.
E intanto, non riesce a smettere di pensare, di farsi domande, di cercare risposte.
Pensa a come sicuramente sarebbe migliore la sua vita senza tutta la confusione che ha dentro, così che tutto sarebbe più semplice, più facile da capire e forse anche meno duro, meno meschino, come in realtà la vita stessa è, senza che nessuno possa farci niente, senza che nessuno possa cambiare anche solo una virgola per restare in piedi.
Pensa che riuscirebbe a sorridere un poco di più, se solo non avesse tutti quei ricordi dentro la testa che le tengono a mente che la felicità è effimera e troppo esaltata da chiunque e che mai nessuno riuscirà a raggiungerla, struggendosi così nell’angoscia di non esserci riuscito, struggendosi per aver agognato qualcosa di impossibile da trovare e da tenere stretto abbastanza a lungo per poter dire di averlo provato almeno una volta nella vita.
Pensa che forse tutto sarebbe più bello, se potesse prendere in mano la sua vita e farla ripartire da capo, azzerando ogni cosa che c’è stata prima di allora, come a volersi ripulire da tutto quello sporco che si sente addosso e che non le permette di fuggire via, libera come il vento, pronta a poter gustare il sapore della vita stessa con occhio meno triste, magari un poco più propenso a vedere tutto con un minimo di ottimismo, una delle poche cose che la aiuterebbero a superare meglio il resto, se solo ce l’avesse, se solo riuscisse a trovarlo anche in minima parte.
Pensa che probabilmente avrebbe soltanto bisogno di un miracolo, per mettere a posto tutto quanto. Un miracolo che tuttavia rimarrà sempre lontano da lei, come un’illusione, una speranza, un sogno destinato a non avverarsi mai; scavando in lei ferite sempre più profonde; procurandole sempre più dolore per quel qualcosa che non conosce ma di cui ha assoluto bisogno per restare in piedi, anche se sa che tanto non servirebbe a niente.
Perché le cose non cambiano, mai; restano sempre le stesse, immutabili, irremovibili, mai scalfite dai sentimenti delle persone e dallo scorrere inesorabile del tempo che non procura su di loro il minimo cambiamento, come se fossero due mondi costantemente divisi che camminano fianco a fianco, conoscendo tutto dell’altro. Tutto resta uguale; mostrando alle persone quanto piccola sia la loro forza e la loro scintilla di vita rispetto a quel disegno più grande che nessuno riuscirà mai a capire davvero; mostrando a lei quanto sia impotente davanti allo spettacolo e alla forza della vita stessa, che mai nessuno sarà in grado di prevedere o di contenere.
Si sistema meglio il cappuccio sulla testa, come a voler rinforzare i muri che si è costruita attorno da sola per evitare di venir ferita nuovamente; per evitare che qualcuno, anche solo per sbaglio, possa vedere quanto in realtà sia debole e quanto vicina sia all’orlo di quel baratro da cui non ci sarà mai ritorno, per una senza speranza come lei.
La musica intanto continua ad accompagnarla, con le note di una canzone senza parole, di cui la melodia è sufficiente per non farla pensare, per lenire il dolore, le ferite, con la dolcezza e la malinconia di quel susseguirsi di note che riescono anche solo per poco a portarla via da lì, a sgomberarle la mente, a pulirle il cuore, come se avessero quel potere magico che Letizia tanto vorrebbe per stare meglio.
I piedi proseguono il loro cammino, portandola verso casa, facendola passare accanto a quel piccolo laghetto dove si ferma di solito, per godersi un po’ quel parco completamente vuoto, privo degli schiamazzi dei bambini, del vociare delle persone anziane, del traffico che disturba tutto arrivando dalla strada non lontana. Come ogni volta, Letizia si ferma, stringendo le mani attorno alla ringhiera che divide il piccolo specchio d’acqua dal resto del parco, come se fosse un mondo a sé che nessuno deve contaminare in alcun modo, come se dovesse essere protetto da tutto ciò che è al di fuori, che non si conosce, di cui si ha una paura folle. Proprio come lei.
Lei, che ha una paura tremenda di quello stesso mondo di cui vorrebbe tanto far parte. Una paura che non è mai riuscita a spiegarsi e che la paralizza, la rende vulnerabile di fronte a tutto quello che il resto attorno a lei nasconde nelle persone che la circondano e che non sanno che esiste, che non conoscono il suo dolore, quella parte di lei che dovrà sempre restare nascosta a chiunque, relegata nel suo angolo.
Alza gli occhi. E si perde ad osservare quei piccoli puntini luminosi fissi nel cielo, come a voler aiutare la Luna ad illuminare ancora di più quel buio quasi invalicabile, quel buio che divide la Terra da tutto il resto, come a volerla tenere prigioniera degli sbagli, degli errori che i suoi abitanti hanno commesso da quando sono venuti al mondo, condizionando tutto il resto e permettendo al dolore, alla solitudine, al vuoto di impossessarsi dei loro cuori, rendendoli prede di quei sentimenti che le persone, da sole, non riescono a mandar via. Perché, per sopravvivere, per stare bene, bisogna essere sempre in due.
Si perde ad osservare le stelle, Letizia. E, stranamente, non si sente smarrita come le altre volte. Si sente soltanto infinitamente più piccola rispetto a quell’immenso spettacolo che è la natura e di cui si ritrova a far parte, volente o meno. E le va bene così, almeno per quei pochi minuti di pace che si può concedere, prima che i suoi pensieri si ripresentino per darle fastidio, per consumarle ancora un po’ di più il cuore e l’anima.
Lentamente, torna sui suoi passi, velocizzandoli un poco per arrivare a casa il prima possibile e per mettersi finalmente a dormire. In fondo, è umana pure lei e come tutti ha bisogno di riposare per rimettersi un po’ in sesto. E intanto la musica torna ad avere le parole, torna ad accompagnarla e a zittire un poco tutte le sue domande.
Almeno fino a che gli occhi scuri di Letizia non scorgono una figura seduta sulla panchina davanti a lei.
E subito il cuore inizia a batterle un poco più forte nel petto, apparentemente senza un motivo ben preciso.





Letizia
Ciao a tutti quanti!!!! <3
Come promesso, eccomi con il secondo capitolo di questa nuova long.
Secondo capitolo in cui un po' si inizia a conoscere il personaggio femminile di questa storia: Letizia. Che ve ne pare di lei? Che cosa pensate le sia successo?
Forza forza, fatevi sentire, che come al solito sono curiosissima! ;D <3
Da voi che tempo fa? Da me è nuvoloso! :/ Speriamo migliori ;).
Via via, corro a rispondere alle vostre dolcissime recensioni, perchè ho mille cose da fare (aka: mille cose da studiare ma shhh).
Vi ringrazio veramente con tutto il cuore per ogni cosa: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Siete pazzeschi ed io vi adoro, chiuso il discorso :3
A presto! Un bacione immenso, Letizia <3

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Capitolo 3
*** Tre ***


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Tre
 
 
 
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
 
 
 
«Tutto bene?» chiede avvicinandosi lentamente, con il cuore che le batte dentro al petto come se volesse avvertirla, come se volesse proteggerla da un qualcosa di troppo grande e potente che potrebbe schiacciarla completamente nella frazione di un secondo, se solo lei lo permettesse, se solo lei lo lasciasse entrare.
Non riceve risposta, e non sa se interpretarlo come un buon segno oppure no. Non sa se deve chiamare l’ambulanza e aspettare che arrivi per portare all’ospedale quel ragazzo di cui inizia a scorgere un poco i lineamenti grazie alla luce fioca del lampione non lontano dalla panchina. Non sa neppure se la cosa migliore da fare sia andarsene e lasciarlo lì, da solo, senza aiutarlo e senza preoccuparsi minimamente di quello che gli è successo.
Potrebbe. Sul serio, potrebbe davvero fregarsene e permettere a quel qualcosa che lo ha ridotto in quello stato di continuare ad infierire. Potrebbe seriamente fare come tutti, che se ne lavano le mani semplicemente perché non vogliono avere alcun problema nella loro vita. Potrebbe farlo davvero.
Il problema è che Letizia non è così. Non riesce ad ignorare chi sta male, per il semplice motivo che lei, quelle persone, le sente molto più vicine di chiunque altro e non vuole che nessuno soffra come lei. Vorrebbe anche che, almeno una volta, qualcuno si comportasse così con lei, per aiutarla a rimettersi in piedi. Ma a quel desiderio ha rinunciato molto tempo fa, quando ha capito che dal mondo è meglio non aspettarsi niente, perché è bene imparare a cavarsela da soli, dato che l’uomo è egoista e non si preoccupa delle persone che gli stanno attorno, soprattutto se queste portano con loro problemi o cose troppo grandi che nessuno si prenderà mai la responsabilità di gestire o, almeno, di curare.
Si avvicina ancora, rimanendo completamente senza parole a chi vede davanti a sé. Nonostante abitino nello stesso palazzo, non ha mai saputo il suo nome e neppure il suo cognome. Ogni tanto condividono qualche lezione insieme a scuola. Ma per lei, quel ragazzo dai capelli neri come la pece e dai tratti del volto molto particolari è sempre stato un perfetto sconosciuto. Probabilmente perché i loro mondi sono così diversi, così distanti, da non avere alcun punto in comune per incontrarsi. O almeno, credeva così fino a quel momento. Perché adesso non sa davvero più che cosa pensare. L’unica cosa di cui è sicura è che deve farlo tornare a casa, in un modo o nell’altro. Perciò lo scuote piano per una spalla, aspettando pazientemente che si svegli.
Calum, a sentirsi percuotere da quel tocco leggero, quasi timido, insicuro, apre gli occhi, lentamente, non riuscendo a mettere a fuoco niente. Non avrebbe mai creduto che si sarebbe addormentato su quella panchina. Probabilmente, è davvero andato quella sera; ha esagerato – ne è consapevole – ma non credeva di aver superato così tanto il limite. Forse dovrebbe davvero smettere di annientarsi così, perché alla fine non cambierà assolutamente niente; ogni cosa rimarrà sempre al suo posto, a ricordargli ogni volta quanta merda ci sia nella sua vita.
Sospira e si passa una mano sugli occhi, cercando di mettere a fuoco. E la prima cosa che nota davanti a sé sono due occhi grandi e color del cioccolato – o almeno così gli sembra – nascosti dalla montatura nera di un paio di occhiali da vista, coperti da alcune ciocche scure – probabilmente sul marrone ebano – che escono dal cappuccio della felpa grigia che quella persona davanti a sé indossa.
Letizia osserva attentamente quegli occhi scuri che le mettono un poco di soggezione addosso. Non sa spiegarsi perché, davanti a quello sguardo spento, confuso, solo, si senta nuda di ogni cosa, privata di tutto, di ogni minima difesa, come se quegli occhi color caffè riuscissero a leggerle dentro, arrivando addirittura a quell’angolo che lei tenta di nascondere sempre, proteggendosi con le unghie e con i denti.
«Stai bene?» chiede lei di nuovo, stavolta sicura che lui possa risponderle. O almeno ci spera.
Lui annuisce lentamente, grato al cielo per il fatto che la sua lucidità non sia andata del tutto persa come invece aveva creduto. E fa per rimettersi in piedi per tornare a casa, ma la testa che inizia a girare e le gambe che non riescono a sorreggerlo non glielo permettono in alcun modo.
Subito, le braccia di Letizia vanno a circondare il corpo stanco del ragazzo, per evitare che cada e che si faccia male. E non appena quegli occhi scuri e tristi tornano ad incontrare i suoi, rabbrividisce, rimanendo completamente senza parole, allibita, sconcertata, sorpresa in un modo che non riesce a descrivere e che la fa andare in confusione più di quanto già non sia.
Perché prima di allora non aveva mai visto occhi così distrutti come quelli del moro. Occhi dietro a cui si nasconde un dolore immenso, una storia che Letizia non conosce, ma che tuttavia un poco le entra dentro, nella pelle, nelle ossa, nel cuore, scuotendo ogni cellula del suo corpo. Perché nel dolore, quello che sconvolge ogni cosa senza avvisare, tutti si ritrovano fratelli. È come se in quello sguardo, Letizia si ritrovasse, completamente, anche se solo per la frazione di un istante.
Perché subito Calum sposta lo sguardo, puntandolo verso l’uscita del parco, sperando soltanto di arrivare a casa tutto interno, senza prestare alcuna attenzione a quella sensazione, a quel brivido che l’ha scosso non appena i suoi occhi hanno incontrato quelli della – adesso può dirlo con un poco più di certezza – ragazza che non conosce per niente e che eppure lo sta aiutando tantissimo anche solo con quel semplice gesto.
«Scusami.» sospira allora, attirando l’attenzione della mora.
«Ti senti male?» domanda l’altra di nuovo, davvero preoccupata, facendo rabbrividire entrambi ancora una volta nella frazione di un secondo. Lei, perché non avrebbe mai pensato di poter prendere tanto a cuore la salute di una persona che non conosce. Lui, perché mai si sarebbe aspettato un aiuto durante quell’ennesima notte in cui sta disperatamente cercando un rimedio per non dover ricordare.
È come se quel cielo stellato sopra di loro avesse deciso di diventare un’eccezione per entrambi, almeno per quella sera; come se volesse tirarli fuori anche solo di poco da quel mondo senza colori in cui per cause diverse si ritrovano a vivere, con il dolore che non li lascia mai andare.
Si riscuotono, sicuri che dopo quell’incontro non ci sarà altro da spartire tra di loro.
Calum annuisce piano, per rispondere alla domanda della ragazza, e si rimette in piedi per come può, continuando ad appoggiarsi al corpo della mora che non lo lascia neppure per un istante. «Potresti aiutarmi a tornare a casa?»
«Sicuro di non voler andare all’ospedale?» chiede allora lei, iniziando a muovere i primi passi, per poi ritrovarsi fuori dal parco, sotto i lampioni che non funzionano, in mezzo a quelle strade buie e silenziose, mentre tutta la città dorme ancora. Dopotutto, sono quasi le tre di mattina.
«Credimi, meglio di no.» ammette il ragazzo; la voce malferma, la testa che gira, il corpo percosso dai brividi dovuti a così tanti fattori che lui ormai ha smesso di farci caso, di prestarci attenzione. Cammina con fatica accanto alla sconosciuta, continuando a sorreggersi a quelle spalle all’apparenza fragili, su cui grava un peso di cui il moro non è a conoscenza e che lei non vuole in alcun modo mostrare.
«Come vuoi.» asserisce la mora a mezza voce, gli occhi puntati sulla strada ed il cuore che ha ripreso a batterle nel petto in un modo che la ragazza non aveva mai sperimentato prima. E intanto, dentro di lei, quell’allarme di pericolo non smette di darle fastidio, ogni volta che lascia che il calore del corpo del ragazzo la scaldi un poco, facendola rabbrividire ad ogni secondo, arrivando a smuovere ogni cellula del suo corpo, facendola fremere a causa di un qualcosa che non conosce e che non riesce a vedere come una cosa positiva, anche se lo fosse.
Camminano in silenzio, senza dare il minimo segno di volerlo interrompere. Perché sono convinti di non avere niente da spartire e che, una volta finito quello strano incontro, tutto tornerà alla normalità – anche se ciò che caratterizza le loro vite non potrà mai essere definito normale, troppo impregnato di vuoti, di mancanze, di cicatrici e ferite sempre aperte, di lacrime trattenute e lasciate scorrere, di maschere messe su per non far vedere niente e per proteggersi da chi non può e non potrà mai capire tutto quel grande, immenso casino.
Eppure… C’è qualcosa in quegli occhi distrutti che hanno intravisto nella frazione di un attimo, un qualcosa che li attrae in un modo tutto particolare e a cui non riescono non pensare. Un qualcosa che forse conoscono anche troppo bene, ma che si ritrovano ad ignorare, forse per paura, forse per egoismo, forse a causa di così tanti fattori di cui entrambi conoscono a malapena la metà. Un qualcosa che li accomuna, li rende simili anche se non vogliono ammetterlo, troppo presi a curarsi da soli quelle ferite che ormai sono sfuggite completamente al loro controllo.
L’unica cosa certa, almeno per adesso, è che entrambi sono spezzati, sono rotti, con il cuore in pezzi. Perché tutti lo sanno, che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E quei due ragazzi, anche se per un brevissimo lasso di tempo, in quegli occhi così simili ai propri, sono riusciti a vedere quella dell’altro, rimanendone… Sconvolti.
«Scusa, come sai dove abito?» domanda Calum ad un tratto, ancora ancorato al corpo della mora, non capendo come mai quella sconosciuta sia arrivata davanti casa sua senza problemi e senza chiedere niente.
«Perché pure io vivo qui.» risponde atona Letizia, dirigendosi lentamente verso il portone d’ingresso di quella palazzina bianca di cinque piani, con le persiane di colori diversi per ogni appartamento. Procede piano, con il dolore che le graffia il cuore ad ogni passo. Perché quella non potrà mai essere casa sua. È inutile che le persone cerchino di ficcarglielo in testa; lei non riuscirà mai a cambiare idea, neppure se volesse. Fa per aprire la porta, quando il ragazzo la blocca tutt’ad un tratto.
«Aspetta, ho dimenticato le chiavi.» ammette, grattandosi la nuca per il lieve imbarazzo della situazione.
«E allora come far–?» chiede la mora, ma lui la interrompe.
«Però credo di aver lasciato la finestra di camera mia aperta.» le spiega, gli occhi rivolti un poco a terra.
«Quale piano?» domanda allora l’altra, dirigendosi intanto verso il retro dell’edificio, l’unico altro posto da cui si può raggiungere il proprio appartamento tramite quelle scale nere che salgono fino in cima e che fanno accedere alle finestre delle camere da letto.
«Il terzo.» risponde lui, lo sguardo già rivolto al vetro di camera sua.
E Letizia non impiega molto tempo a capire che quel ragazzo è lo stesso che suona continuamente il basso alle ore più improponibili del giorno – e a volte anche della notte. Però adesso non è il momento della predica, lo sa; deve solo aiutarlo ad entrare in casa sua e tutto tornerà alla solita routine, vuota e opprimente.
Non dice niente; si limita a salire le scale, lentamente. Calum la segue, sempre poggiato su di lei, per sentire ancora un po’ quello strano calore propagarsi dentro di lui. Un calore che quasi sembra voler annullare tutto il nero della sua vita, come se volesse pulirla in qualche modo, privandola di tutte quelle cose che la sporcano, che la feriscono, che la rendono invivibile.
E si ritrova a sorridere debolmente, Calum, a quei pensieri. Perché tanto sa che è tutta un’illusione e che tra qualche ora non ricorderà assolutamente niente di quello che è accaduto. Ogni cosa, ogni parvenza di miglioramento sarà dimenticata, assorbita dal suo nero, dal suo dolore, da tutti quei ricordi che non lo lasceranno mai andare e che sempre terranno vive tutte le ferite, le cicatrici che lui ormai ha smesso di curare da troppo tempo per permettersi di credere che possano guarire da sole.
Arrivano al terzo piano in silenzio, e lui si avvicina lentamente alla finestra di camera sua. Prova a tirarla su, una, due, tre volte, ma non si apre.
«Fammi indovinare.» commenta allora lei, sempre con quella voce che non riesce – o forse, non vuole – cambiare tonalità, mentre gli occhi scuri sono fissi sul paesaggio che riesce a scorgere da lì: tutta la città spenta, dormiente, con solo qualche luce in lontananza che indica dove si trovi il porto. «Hai lasciato la finestra chiusa.»
L’altro annuisce in silenzio, maledicendosi in tutte le lingue che conosce per aver fatto un errore simile. Perché adesso non sa davvero dove poter dormire, dato che chiamare Luke, almeno per quella notte, è fuori questione.
Letizia sospira stanca. E già si insulta nei modi peggiori per quello che sta per fare, una cosa che non ha il benché minimo senso e che potrebbe costarle cara se dovesse finire male. Perché se c’è una cosa che mai cambierà in lei, nonostante tutto, sarà sempre il fatto che non riesce a restare indifferente al dolore degli altri, nonostante quella stessa indifferenza che cerca di ostentare, senza che lei riesca a rendersene minimamente conto.
«Vieni dentro.» dice allora tutto d’un fiato. Ed entrambi sanno che quella non è di certo una domanda.
Per questo, quando la mora apre la sua finestra, Calum non aspetta oltre e la segue dentro, per poi rimanere accecato dalla luce che si accede ad un tratto sul comodino vicino al letto, illuminando gran parte della stanza e lasciandolo completamente senza parole per la sorpresa.
Le pareti sono bianche, candide, ma si notano a malapena. Perchè quella opposta alla finestra è riempita da un’enorme libreria – vicina alla porta che dà sul resto della casa – che arriva fino al soffitto, zeppa di volumi dalle forme e dai colori più disparati. Quella a destra della finestra, invece, è caratterizzata da una porta che dà su un piccolo bagno, mentre il resto del muro è riempito completamente di foto, frasi, immagini, che Calum tuttavia adesso non riesce a vedere bene per la quantità di luce insufficiente ad illuminare tutto a dovere. La parete opposta a quest’ultima è occupata dall’armadio dalle ante colorate di un verde acceso, che a metà fa da ponte sopra il letto ampio. La parete con le due finestre – una delle quali è quella da cui Calum è entrato – è l'unica con i mattoni rossi a vista, a cui è semplicemente accostata una grande scrivania, con un PC sopra e altri scaffali appesi al muro e colmi di libri. Il pavimento in parquet – coperto in parte da un morbido tappeto verde – non fa alcun rumore quando il moro ci cammina sopra, per raggiungere il letto e sedersi sopra le coperte completamente nere.
«Se vuoi dormire, fallo pure.» gli dice Letizia, che intanto si è cambiata dietro un’anta dell’armadio aperta per nascondersi. «Non ti ospito per farti rimanere sveglio.»
Lui allora le sorride debolmente, grato davvero per tutto ciò che quella ragazza ha fatto per lui quella sera anche se non si conoscono per niente. E non si fa ripetere l’invito due volte. Perciò si affretta a togliersi le scarpe e a stendersi completamente su quel letto che si rivela essere molto più comodo di quanto pensasse. E mentre aspetta che la mora si corichi, prende in mano un piccolo quaderno verde posto sul comodino e lo apre, curioso e – soprattutto – desideroso di non pensare a qualsiasi cosa riguardi i suoi ricordi. E rimane sbalordito, nel leggere quelle poche parole scritte con l’inchiostro nero sulla prima pagina, datata a quasi un anno prima.
 
25.09.2014, 00:01 am
Sono Letizia Lewis. Ho appena compiuto diciassette anni.
E per descrivermi basta dire che la mia vita è un puzzle di cui non riuscirò mai a trovare tutti i pezzi. È una vita per cui non vale la pena combattere per tenerla in piedi.
 
Calum non accenna a niente. Semplicemente, mette a posto quel piccolo oggetto e cerca di non pensare a quel qualcosa che si è smosso nel suo cuore nel leggere quelle poche parole, così dure, vere, reali, così’ sentite. Parole che lo stanno facendo iniziare a pensare che ciò che sta accadendo non sia solo frutto del caso, che invece debba pur significare qualcosa, per entrambi.
Sospira, per allontanare quegli strani pensieri dalla testa, e si volta verso quella ragazza – che per lui ha finalmente un nome e pure un età – non appena quest’ultima si stende sotto le coperte e punta gli occhi color cioccolato in quelli color caffè che la stanno osservando nuovamente in quel modo tutto particolare, riuscendo a metterla ancora una volta in soggezione.
«Letizia Lewis.» inizia Calum, all’improvviso, facendola sobbalzare un poco per la sorpresa, dato che lei non si era presentata. Sente di doverle dire tante, troppe cose, lui. Ma non sa da dove iniziare per non sembrare un completo idiota, anche se non riesce a capire perché debba interessargli quello che lei potrebbe pensare di lui. Per questo sceglie la cosa più semplice e, per adesso, probabilmente anche la più giusta da dire. «Grazie
Una parola sussurrata in quelle quattro pareti. Una parola che Letizia sente benissimo e che le arriva dritta nel cuore, ancorandosi a quell’organo per non lasciarlo più, rincuorata dal fatto che quel ragazzo l’abbia detta con una sincerità che lei non sentiva da troppo tempo.
«Figurati.» risponde allora, per non sembrare scontrosa o maleducata.
Lui le sorride ancora e chiude gli occhi, con il sonno che inizia lentamente a prendere il sopravvento su di lui.
«Però non mi sta bene.» commenta ad un tratto Letizia, facendogli nuovamente aprire gli occhi.
«Cosa?»
Lei punta lo sguardo altrove, cercando il perché di tutte le azione compiute quella sera, quelle azioni che proprio non riesce a spiegarsi – come ad esempio quel batticuore che ancora non è riuscita a fermare – senza però riuscire a trovarlo. Per questo torna ad osservare quel ragazzo che, spera, non rimarrà uno sconosciuto tanto a lungo.
«Tu sai il mio nome. Io però non so il tuo.»
«Calum Hood.» risponde allora lui, sorridendo di nuovo, prima di chiudere definitivamente gli occhi e dormire.
Letizia lo osserva a lungo, prima di riuscire ad addormentarsi. Osserva attenta quei capelli scuri, quelle ciglia lunghe che accarezzano le guance probabilmente morbide, quei tratti del volto così particolari, quelle dita affusolate poste sotto il viso straziato da un dolore che nessuno riesce a vedere. Nessuno, a parte lei.
E per la testa, gli passa un’idea strana, un’idea che tuttavia Letizia decide di seguire. Forse potrebbe servire a qualcosa, anche se ancora lei di preciso non lo sa. Si alza dal letto e prende dalla scrivania una delle sue macchine fotografiche, la Polaroid. Torna sul letto e clicca piano, cercando di non svegliare il ragazzo.
Poi il volto addormentato di Calum è attaccato a quel quaderno verde che il moro aveva poco prima tra le mani. E sotto alla foto ci sono poche parole, ma che per Letizia valgono davvero tanto.
 
23.08.2015, 03:13 am
Ho trovato un pezzo di me in un ragazzo che ancora non conosco.





 
Letizia
Bellissimi, ciao a tutti! <3
Che dire; SORPRESA!!!!!!!! Ahahah, ho aggiornato oggi perchè domani ho un impegno molto particolare, e sinceramente mi dispiaceva non aggiornare questa settimana; quindi ho deciso di aggiornare in anticipo, solo per voi, sappiatelo bene u.u
E beh, che cosa abbiamo qui? I nostri Lalum che si conoscono!!!!!!!!!!!!!!!!! *^* Giuro che questo è uno dei capitoli che più adoro della storia, awww, i miei bambini!!!!! Che ve ne pare? Ve lo aspettavate diverso? E, secondo voi, adesso che cosa succederà? Dai dai, non siate timidi, che io AMO sapere che cosa ne pensate! <3
Ultima cosa, poi scappo a studiare. 
IL VIDEO DI JET BLACK HEART!!!!!!!! ARRIVEDERCI E GRAZIE, E' STATO BELLO CONOSCERVI!!!!!!!! Oddio, me lo aspettavo un po' diverso, anche se di preciso non so come descriverlo; però bellissimo lo stesso *^* !!!!!!!!!!!!
Dopo questo sclero, rispondo alle vostre BELLISSIME recensioni (*^*) e corro a studiare :P.
A presto e grazie mille per tutto quanto: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti; siete la cosa più bella del mondo!!!! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 4
*** Quattro ***


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Quattro
 
 
 
E molto spesso non basta neppure tutta la propria forza di volontà per evitare l’inevitabile.
Non basta cercare di difendersi in ogni modo possibile, pur di salvare quel poco che resta.
Perché anche i muri più solidi alla fine cadono.
 
 
 
Il sole che lentamente entra dalla finestra quella domenica mattina, quasi timido, riuscendo a far capolino a fatica oltre la coltre di nuvole grigie che riempiono il cielo, illumina un poco il volto di Letizia.
Quel volto che Calum non ha mai smesso di osservare neppure per un attimo da quando si è svegliato, perdendosi nell’espressione tranquilla che la ragazza ha e che sostituisce quella più dura di qualche ora prima; perdendosi in quei lunghi capelli scuri che le coprono gli occhi contornati da occhiaie che il moro ha notato subito, e di nuovo un brivido gli percorre la schiena nell’intravedere quel colore violaceo a cui non vuole prestare attenzione; perdendosi nella linea dolce degli zigomi, che adesso si ritrova a sfiorare con la punta delle dita per non svegliare quella ragazza di cui non sa assolutamente niente. Perché il nome di una persona non spiega mai la sua storia.
E non sa perché si stia comportando in quel modo. Avrebbe potuto benissimo andarsene da quella stanza dopo essersi svegliato, scendere giù e suonare il citofono di casa sua, inventandosi l’ennesima scusa con i suoi per essere tornato così tardi, per poi magari andare a farsi un giro in città, senza una meta ben precisa come suo solito, dimenticandosi tranquillamente di tutto quello che è successo.
Invece è ancora lì, steso sul letto intriso del profumo particolare di quella ragazza molto singolare, in ogni sua più piccola parte. E sa che per adesso non ha alcuna intenzione di mettere nemmeno un piede fuori dalla stanza, fino a che la domanda che ha in testa per la mora non avrà trovato una risposta.
Sospira piano e si alza dal letto, cercando di non svegliare Letizia, per avvicinarsi al muro piena di foto, di immagini stampate e di frasi scritte a penna, matita, o pennarello, che rendono quella parete una cosa a sé, la rendono viva e vissuta in ogni suo millimetro e in ogni cosa che nasconde il bianco della vernice.
Osserva con un’attenzione ed una curiosità che non gli erano proprie da troppo tempo, da quando la vita per lui ha smesso di avere un significato, perdendo la sua importanza. Osserva, ed ad ogni cosa che vede un brivido gli percuote l’anima, come a volerla destare, come a volerla mettere in allarme, pronta ad ogni eventualità.
Si perde tra foto piccole o di grande formato, Polaroid, di spiagge all’alba o al tramonto, mari in tempesta, boschi cupi e coperti dalle nuvole, libri aperti e tazze di cioccolata fumanti. Poi arrivano le frasi, citazioni di persone famose, di canzoni, di poesie, di libri, di film. Ma non sono quelle cose che attirano la sua attenzione.
Perché ciò che maggiormente lo colpisce sono le foto che ritraggono Letizia con una ragazza dai lunghi capelli biondo cenere e dagli occhi grandi e castani, a volte mentre fanno le linguacce all’obbiettivo, altre mentre mettono su espressioni strane e buffissime che riescono a strappare a Calum un sorriso dalle labbra nel vedere la mora in quel modo, così diversa da come l’ha conosciuta solo poche ore prima. Così vera e viva, luminosa, felice.
Ci sono anche foto che ritraggono Letizia tutta sola; mentre legge un libro; mentre usa il PC; mentre ascolta la musica persa ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra di una camera che lui non ha mai visto prima o fuori da un finestrino di una macchina o dell’autobus; mentre con la penna in mano scrive o disegna qualcosa su una pagina bianca; mentre osserva l’obbiettivo con quegli occhi che riescono a lasciarlo senza parole ancora una volta.
Ed è proprio una di quelle foto che lo attira completamente. Una in cui sono ritratti soltanto gli occhi di Letizia, senza gli occhiali neri a dividerli dall’obbiettivo, come se tutto il suo essere si concentrasse in quel marrone così scuro da perdercisi dentro nella frazione di un istante, ritrovandosi immerso in una storia che Letizia non gli ha narrato ma di cui, in qualche modo, Calum riesce ad intravedere qualcosa. È grazie a quella foto se Calum può notare che, anche se in minima parte, quegli occhi sono diversi l’uno dall’altro, delimitati da una linea di contorno ben marcata: quello destro totalmente color cioccolato; quello sinistro con qualche venatura dorata che lo illumina un poco, lo rende lievemente più chiaro rispetto all’altro. E Calum non sa perché, ma quegli occhi distrutti e così simili ai suoi gli piacciono da morire; come quando ascolta una canzone per la prima volta e già da subito capisce che è giusta per lui, senza un motivo preciso.
Sposta lo sguardo sulle altre cose che colorano quel muro, come a voler allontanarsi da quella strana sensazione che si è appropriata del suo cuore e della sua anima, rendendoli preda di uno strano senso d’allarme, di una strana inquietudine che non riesce a controllare e a cui non vuole dare la benché minima importanza.
E subito, i suoi occhi color caffè vengono catturate da altri fogli bianchi macchiati con altre frasi. E stavolta, Calum sa che quelle parole sono frutto della mano della ragazza, perché non c’è la minima indicazione da dove siano state tratte o chi le abbia dette, solo il giorno e l’ora in cui sono state scritte. Sono pezzi di lei, ed il moro non resiste allo strano impulso che ha dentro e che lo spinge a leggere i frammenti di quella vita piombata davanti alla sua all’improvviso, lasciandolo completamente senza parole.
Si avvicina ad un foglietto scritto in blu.
 
03.02.2011, 06:56 pm
A volte vorrei essere come l’oceano, infinito ed invincibile, così nessuno potrebbe farmi mai cadere.
 
Un brivido sulla schiena, un sospiro lieve, il corpo che freme mentre passa ad un’altra frase, rossa.
 
20.06.2013, 03:12 am
Il cuore è un organo creato solo per raccogliere i dolori di una vita.
 
Un pezzo di sé va in frantumi, in silenzio, senza che Calum riesca a far niente per difendersi da quelle parole che sono una pugnalata dopo l’altra per la sua anima troppo provata. Cerca di non far caso a niente, di non prestare attenzione a ciò che sta succedendo dentro di lui e che lo lascia basito, senza alcuna difesa.
Passa ad un altro biglietto, scritto in nero. E, lo giura, per quel giorno sarà l’ultimo che leggerà.
 
25.12.2014, 00:00 am
Che senso ho io? Che senso ha tutta la merda che sto vivendo e da cui non riuscirò mai ad uscire?
 
Parole che si ancorano al suo cuore senza l’intenzione di lasciarlo, mentre Calum resta allibito davanti a quel mondo così simile al suo e a così pochi passi da lui che prima di quel momento non aveva mai conosciuto.
Non pensa a niente, non vuole farlo. Perché sa quante cose arriverebbero a tormentarlo, a farlo cadere ancora più in basso, se si lasciasse andare anche solo per un attimo. Un attimo che non può permettersi, perché sa che non ci sarebbe alcun ritorno, mentre nuove ferite gli si formerebbero sul cuore.
«Ti piace così tanto quel muro?»
La voce della mora, che all’improvviso rompe il silenzio nella stanza, lo fa sobbalzare per la sorpresa e lo fa voltare verso di lei, sbagliando. Perché non si sarebbe aspettato quello sguardo, spento e triste, ancora più duro, ancora più sulla difensiva, sempre meno propenso a lasciarsi andare.
Letizia lo ha osservato per alcuni minuti in religioso silenzio, da quando l’ha sentito alzarsi dal letto – dato che era sveglia da molto prima, a causa del tocco leggere delle dita del moro sul suo viso; un tocco timido e dolce, che l’ha fatta rabbrividire e le ha fatto battere fortissimo il cuore – senza riuscire a capire perché quel ragazzo fosse così interessato alle cose che lei ha messo su quella parete, chiedendosi perché lui le guardasse in quel modo, come se gli stessero aprendo un mondo, come se gli stessero mostrando qualcosa di unico nel suo genere. E intanto, si domanda perché abbia agito in quello strano modo poche ore prima; si chiede perché lo abbia fatto entrare e perché adesso non riesce, non vuole mandarlo via.
«È bello.» si ritrova ad ammettere Calum, sincero, quasi senza pensarci troppo e senza preoccuparsi della reazione che le sue parole procurano dentro la mora.
Perché, per Letizia, quel muro rappresenta tutta la sua vita, in ogni foto, in ogni frase, in ogni colore. Rappresenta tutto il buio che ha dentro e che non riesce a far scomparire. Rappresenta quel dolore sordo e costante che la accompagna da sempre. Rappresenta quella vita che tanto vorrebbe reinventare da zero, ma che mai potrà cambiare, neppure volendolo con tutto il cuore.
Cercando di non cedere a quella strana sensazione che sente aumentare dentro al petto, divide lo sguardo da quello sorpreso di Calum. Si alza dal letto, portandosi i capelli scuri su una spalla ed avvicinandosi alla finestra, osservando la foschia caduta sopra la città, rendendola più grigia e più spenta di quanto già non sia.
Non passa neppure un secondo, che subito dei passi si fanno sentire, fino a che Calum non si ritrova dietro di lei, intenzionato più che mai a porle quella domanda che aleggia nella sua testa già da parecchie ore.
«Posso chiederti una cosa?»
Letizia si volta verso di lui, lentamente, perdendosi di nuovo negli occhi del moro, restando in silenzio, per niente sicura di voler sapere su che cosa andrà a parare la loro conversazione.
Calum sospira, cercando di non perdere quella poca forza che ha trovato per far uscire quelle parole. Continua a guardare attentamente la ragazza negli occhi, tentando di non perdersi in quel pozzo scuro. Poi glielo chiede.
«Perché i tuoi occhi sono disperati?»
A quelle parole, lei riesce solo a chiudersi nel suo guscio, rinforzando quella corazza fatta di silenzi che nessuno è mai riuscito a buttare giù e che a volte solo Madison riesce a malapena a scalfire e, raramente, a capire. Non risponde, non vuole farlo, non vuole mostrarsi ad uno sconosciuto, anche se sa che poi quel Calum sconosciuto del tutto non lo è più, dato che le cose che in qualche modo hanno in comune, lei proprio non riesce ad ignorarle. Perciò cambia argomento, ponendo a sua volta quella domanda che gli ronza in testa da un po’
«E perché pure i tuoi lo sono?»
Calum resta in silenzio. Si limita a voltare lo sguardo, sentendosi troppo in soggezione davanti a quegli occhi scuri ed inespugnabili come i suoi che creano muri su muri per proteggere quel qualcosa che Letizia non vuole raccontare. Esattamente come sta facendo lui; perché sa che, se si mettesse a raccontare il casino della sua vita, perderebbe tutto, di nuovo; perché ad ogni parola si aggiungerebbero nuove ferite su quelle esistenti, il dolore aumenterebbe ancora e non ci sarebbe più alcun modo per curare quelle poche cose sane ed integre che restano di lui.
«Non hai risposto alla domanda.» ribatte allora, tornando ad osservare quegli occhi che sta cercando di capire. anche se non riesce a spiegarsi il perché lo voglia.
Letizia, sotto quello sguardo attento, insistente e quasi invadente, si sente violata, si sente esposta a danni che potrebbero solo peggiorare ogni cosa e che nessuno si preoccuperebbe di sanare anche se di poco.
«Neppure tu.»
Nessuno dei due riesce ad aggiungere altro, entrambi troppo presi a chiudersi ancora una volta nei loro gusci; dietro le loro paure e le loro stesse ferite; dietro a quel silenzio che è sempre stato la loro unica arma in così tante situazioni che alla fine se lo sono fatto amico, sempre presente e che mai può tradirli. O almeno, così pensano. Perchè in realtà hanno capito che l’altro ha qualcosa di davvero troppo importante e sconvolgente da portare da solo sulle proprie spalle. Però… Non sanno se sono sicuri o pronti a volerlo conoscere davvero. Almeno non adesso.
Per questo, Letizia si limita ad aprire la finestra. Calum capisce e si affretta ad uscire.
Ed entrambi, nonostante tutto, sanno di voler sapere qualcosa di più sull’altro.
 
E mentre Calum cerca di spiegarsi perché sia finalmente riuscito a dormire tranquillo quella notte, senza tutti quegli incubi a tormentargli l’anima; mentre cerca di capire come mai quella mattina il dolore non si sia fatto sentire poi così tanto, permettendogli di respirare un poco di più a pieni polmoni; mentre si chiede perché quella ragazza lo abbia incuriosito in un modo che gli è entrato fin dentro le ossa e che lo sta facendo rabbrividire; Letizia prova a restare calma; a trattenere il dolore; a non cadere di nuovo. Perché il modo in cui quegli occhi color caffè l’hanno guardata, ha buttato giù ogni suo muro nella frazione di un istante, rendendola sempre più vulnerabile, instabile, debole davanti a tutte quelle emozioni, sensazioni, ricordi che non vuole avere, che non riesce a gestire.
E intanto, tutti e due si chiedono che senso abbia tutto quello che hanno appena vissuto.





Letizia
Bellissimi, ciao a tutti e (ancora) auguri ;) <3 <3 <3!!!!!! Spero che abbiate passato un bel Natale con tutte le persone a cui volete bene! <3
Allora, che dire? Dai, che sono in orario pure oggi, con un capitolo che è la mia morte (a parte che ogni capitolo di questa storia è la morte, però pazienza, ormai ho perso le speranze, ahahah ;)).
Insomma, i nostri Lalum riescono a notare qualche cosina, eh? Non tutti sono bravi a notare davvero l'anima degli altri attraverso i loro occhi; è raro che qualcuno ci riesca.
Quindi, diciamo che in un certo senso si stanno aprendo. Forse; chi può dirlo con certezza.
Spero davvero che vi sia piaciuto e spero che mi farete sapere ciò che ne pensate :3 <3. Mi farebbe davvero tanto piacere! <3
Come anche mi farebbe piacere se passaste e mi diceste ciò che ne pensate della nuova OS su Calum che ho appena pubblicato; E se poi arrivi tu?
Detto questo, vi ringrazio infinitamente, con tutto il cuore, per ogni sigola cosa: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Siete pazzeschi ed io vi adoro troppo!!! <3 <3 <3
Ci sentiamo presto; grazie ancora per tutto quanto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 5
*** Cinque ***


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Cinque
 
 
 
Poi a volte capita che alcune cose entrino di soppiatto nella propria vita, passo dopo passo.
Così di nascosto che, quando riescono ad illuminarla completamente, all’improvviso, lasciano senza parole.
E non c’è alcuna scusa da usare, alcun muro da mettere.
 
 
 
Da: Calum; 23.08.2015, 04:27 pm
Luke, cazzo, io… Mi dispiace per ieri. Sono stato un coglione, lo so. Non so se chiederti di perdonarmi ancora sia la cosa giusta da fare, e so che prometterti che non ricapiterà più sarebbe la bugia più grande che potrei raccontarti. Sappi solo che mi dispiace, davvero. Spero di non aver perso pure te. Sei l’unica cosa buona che mi resta.
 
Il ragazzo sospira nel leggere quel messaggio – arrivatogli solo qualche minuto prima – per la decima volta.
Si passa stancamente una mano tra i capelli biondi e si alza dal letto, per poi lanciarci sopra il cellulare con tutta la forza che ha. Perché con Calum è sempre la stessa storia, da troppo tempo. E non sa più come fare per reggere quella situazione che sta diventando insostenibile, giorno dopo giorno. Una situazione che si fa sempre più complicata, sempre più prossima al limite. Un limite di cui Luke ha paura, troppa, perché non ha idea di come tutto possa finire. Tempo prima ha avuto un assaggio di quello che potrebbe essere, e non ha alcuna intenzione di vivere una cosa simile, anche solo per un secondo. Gli basta il casino che la sua vita è diventata con poco.
Si passa una mano sugli occhi azzurri e respira forte, provando a non urlare, cercando di riordinare le idee ed i sentimenti, tutti persi in quel caos che regna costantemente dentro di lui e che non gli dà mai l’opportunità di vedere le cose in maniera più lucida, almeno quanto basta per capire come agire.
Non riprende il telefono in mano. Non risponderà al messaggio, perché tanto sa che il giorno dopo tutto sarà tornato come prima, o almeno, entrambi torneranno a vivere quella bugia che hanno costruito a vicenda per le loro vite. Una bugia che fa acqua da tutte le parti e che non sarà mai sufficiente a farli stare in piedi fino a quando non arriverà la fine di tutta quella storia che Luke non sa più né come gestire né come combattere, troppo stanco, troppo provato per cercare di salvare una delle poche persone di cui gli importi davvero.
Si avvicina alla finestra, ed il cielo grigio di quel pomeriggio sembra voler marcare il fatto che nessuno sarà mai libero di poter mandar via il dolore dalla propria vita. Perché ognuno è e sarà sempre succube di quel disegno che qualcuno ha già tracciato e che, in un modo o nell’altro, arriverà sempre al suo compimento.
Si massaggia le tempie. E intanto pensa a cosa deve ancora fare; a cosa deve ancora mettere in chiaro; a cosa deve rimettere in sesto. E subito, un pensiero pressante, opprimente, sempre al centro della sua testa, si fa vivo, facendogli capire cosa sia giusto fare dopo quello che è successo la sera precedente, una volta tornato a casa troppo in anticipo rispetto al suo solito.
Per questo esce dalla stanza in punta di piedi e si avvia in cucina, sperando di trovarci sua madre. E un poco si rincuora, nel vederla intenta a sistemare i compiti corretti dei suoi alunni, con la busta gialla accanto a lei piena di foto appena fatte sviluppare.
«Ciao mamma.» le dice; la voce bassa, il tono pacato, che tenta in ogni modo di nascondere quella preoccupazione che non riesce mai a togliersi di dosso neppure volendo e che lo fa perennemente restare in tensione per ogni persona che ama e che non sopporta veder soffrire così tanto.
La donna alza lievemente il volto dai fogli che ha in mano e gli sorride tenera.
Liz è una grande attrice, si ritrova a pensare Luke, cercando di non dare di matto, mentre si avvicina alla donna e le stampa un bacio in fronte, lieve, quasi inconsistente, ma che per entrambi significa molto più di quanto possano dirsi a parole o di quanto possano esprimere con i gesti. Si capiscono con niente, loro due, dato che hanno imparato troppo presto a reggersi l’una sulle spalle dell’altro, all’improvviso, non abbastanza forti per reggere il colpo.
«Ciao tesoro.» lo saluta lei, osservando attentamente Luke, suo figlio, il suo bambino, quel ragazzo che riesce a renderla sempre fiera ed orgogliosa di averlo messo al mondo; lui, l’unica cosa davvero giusta della sua vita.
«Com’è andata oggi?» le chiede lui, sedendosi a tavola ed iniziando a sfogliare le foto che sua madre ha appena riportato a casa e che, come tutte le volte, riescono a rapirlo e a portarlo in mondi lontani da quello reale, facendogli spuntare un sorriso vero, sincero, sulle labbra, con gli occhi catturati da quelle immagini che Liz riesce a rendere uniche nella frazione di un secondo, semplicemente premendo un bottone.
«Bene. Ma sarebbe andata meglio se tu ti fossi svegliato prima stamattina per mettere un po’ d’ordine in casa.» ridacchia lei, usando quel tono che Luke conosce troppo bene e che gli fa affondare sempre più il cuore nel petto, troppo preso a cercare un rimedio per quella situazione immutabile; quella situazione che sta diventando invivibile, insostenibile per lui, ma soprattutto per lei. Perché il ragazzo lo sa, che Liz non potrà reggere ancora per molto a quel ritmo e che prima o poi soccomberà sotto il peso di tutto.
Ed è proprio quello che Luke sta cercando di evitare, tentando in ogni modo di salvare sua madre da quel baratro scuro che lentamente la sta risucchiando, che lentamente la sta facendo cadere in pezzi sempre più piccoli che il biondo fatica a trovare e a rimettere in sesto con quel poco che ha a disposizione.
«Lo faccio in settimana, promesso.» risponde, senza guardarla negli occhi, cercando di concentrarsi invano su quelle foto che ha ancora in mano, ma che non riescono più a farlo fuggire, come se la loro magia si fosse ad un tratto spenta, si fosse dissolta, troppo poco potente per aiutarlo a fuggire da quell’inferno, anche se solo per qualche minuto, che non sarà mai sufficiente a farlo guarire del tutto.
La donna dai capelli biondi sorride tranquilla e sospira, prima di lasciare una carezza sul braccio del ragazzo, grata al cielo di avere una persona così speciale nella sua vita.
«Io devo uscire di nuovo.» gli dice, attirando la sua attenzione e lasciandogli un bacio sulla fronte. «A dopo.»
«A dopo.» la saluta lui, osservandola attentamente mentre esce di casa con la borsa in mano, chiudendosi lentamente la porta alle spalle, come se non fosse in grado di lasciare indietro niente. Perché alla fine, il problema con sua madre è proprio quello: non riesce ad andare avanti, anche se ci prova con tutta se stessa. E suo figlio non sa più come fare per darle una mano.
Sospira, Luke, e chiude gli occhi, mentre si avvia velocemente in camera sua e si stira la schiena, cercando di tener lontani tutti quei brutti pensieri ancora per qualche secondo. E sta per riuscirci, anche se sa che quello stato di pace non durerà a lungo, quando la suoneria del telefono lo informa dell’arrivo di una nuova notifica.
Svogliatamente, guarda chi è, anche se non se la sente di conversare con nessuno. Ha solo bisogno di rimanere da solo per un po’; magari potrebbe persino andare a farsi un giro, tanto quei pochi compiti che aveva per il giorno seguente li ha già fatti. Però, non appena vede il nome di chi lo ha contattato, si ritrova a sorridere, con la testa più leggera. E Luke Hemmings sa con certezza che quel pomeriggio si rivelerà completamente diverso da come lo aveva programmato.
 
Il PC acceso; la musica lasciata andare; le parole che non riescono ad arrivarle alle orecchie; le melodie che non le entrano dentro; gli occhi puntati su quel soffitto azzurro che le ricorda il mare ogni volta che si perde ad osservarlo; il cuore che batte così piano da sembrare inudibile, quasi inesistente.
È così che Madison passa generalmente la domenica pomeriggio: stesa sul letto a non far niente, a non pensare; o almeno, tenta di tenere sempre la testa vuota, da tutto e da tutti; cerca di estraniarsi, da ogni cosa, per cercare di non cadere; per restare in piedi in quella vita che non l’ha mai risparmiata e che si è divertita con lei in un modo talmente folle che la ragazza ancora non riesce a spiegarsi come sia riuscita a non perdere del tutto se stessa in quell’inferno da cui è uscita a fatica.
Sospira e si passa le dita sugli occhi stanchi, quegli occhi grandi che hanno visto di tutto, fuori e dentro di sé; quegli occhi castani che mostrano molto più di quanto lei tenti di nascondere agli sguardi degli altri; quegli occhi profondi che non hanno mai conosciuto un attimo di pace vera. Perché anche se adesso riesce a stare in piedi sulle proprie gambe, non ha ancora il cuore del tutto libero dalle tenebre ed ha paura di cadere di nuovo. E sa, sente che dovesse succedere ancora, non ne uscirebbe più, in nessun caso.
Sta quasi per cadere preda del sonno, quando la vibrazione del cellulare sul pavimento attira la sua attenzione, facendola voltare subito per prenderlo e per notare l’arrivo di due messaggi.
 
Da: Letizia; 23.08.2015, 06:37 pm
Maddie, appena hai un minuto, fammelo sapere. Ho bisogno di parlarti.
 
Nel leggere quelle parole, Madison non sa cosa pensare. Sente un brivido correrle sulla schiena, mentre si rende conto che, ogni volta che la sua migliore amica le invia un messaggio simile, riguarda sempre qualcosa di sconvolgente, e quasi mai in maniera positiva.
 
Da: Madison; 23.08.2015, 06:39 pm
Ti prego, non dirmi che è come tutte le volte.
 
Invia quelle poche parole, attendendo la risposta prima di passare a leggere l’altro messaggio che le è arrivato. Sta iniziando a sudare freddo ed il cuore le batte così forte nel petto che quasi sembra voglia uscirne. Prova a regolare almeno i respiri e a tranquillizzarsi, per cercare di affrontare quella risposta nel modo più lucido possibile.
Poi il telefono vibra di nuovo, all’improvviso. E lei per poco non caccia un urlo per lo spavento.
 
Da: Letizia; 23.08.2015, 06:41 pm
Non lo so, è questo il problema.
 
Da: Madison; 23.08.2015, 06:43 pm
Leti, ne parleremo domani a scuola, sta’ tranquilla.
 
Da: Letizia; 25.08.2015, 06:46 pm
Ci provo, anche se non so cosa diamine pensare… A domani, Maddie.
 
La ragazza sospira affranta, con il cuore pieno di una preoccupazione forse eccessiva. Il problema è che sia lei che la sua migliore amica hanno sperimentato troppe volte sulla loro pelle quanto qualcosa che non si riesce ad inquadrare possa essere pericoloso. E adesso che forse c’è qualche novità nell’aria, per loro due – per Madison soprattutto – diventa automatico per lei alzare i muri che si è costruita attorno al cuore per difenderlo; quei muri invisibili e solidi che nessuno riesce a vedere e che nessuno riesce a buttar giù da quanto sono spessi, dopo anni e anni di allenamento per tenerli in piedi da sola.
Respira forte e si alza dal letto, avvicinandosi allo specchio posto in un angolo della sua stanza, osservando con occhio stanco e troppo critico ciò che vede riflesso sulla superficie liscia e fredda. Una ragazza minuta; i capelli lunghi biondo cenere che le arrivano a metà schiena; gli occhi castani che osservano ogni cosa attentamente, cercando di capirla, di analizzarla, di trarne qualsiasi cosa che possa aiutarla a restare in piedi.
Sospira e volta lo sguardo, verso l’armadio aperto e verso tutti i vestiti ancora sparsi per il pavimento. E solo in quel momento si ricorda dell’altro messaggio, quello che non aveva ancora letto. Torna allora di corsa sul letto ed afferra il cellulare. E, senza che lei possa farci niente, un sorriso, seppur timido, insicuro, si fa largo sul suo viso.
 
Da: Lu_x; 23.08.2015, 06:33 pm
Sinceramente avevo voglia di fare una passeggiata, ma con quei nuvoloni in cielo credo che me ne starò tranquillo a rivedere per l’ennesima volta “How I met you mother”. Non sarebbe male come piano.
 
Madison sorride divertita a quella risposta e velocemente digita la sua, con il cuore che le batte un poco più forte.
 
Da: Madx; 23.08.2015, 07:02 pm
Brutto cattivo. Ed io che pensavo che mi avresti fatto un po’ di compagnia oggi.
 
Invia e poi si distende nuovamente sul letto. E stavolta le parole delle canzoni le entrano fin dentro all’anima, mentre si ritrova a pensare a Lu_x, a quel ragazzo conosciuto per caso su Twitter, grazie a quell’interesse che hanno in comune: la musica. Era stato lui il primo ad iniziare la conversazione, esattamente tre mesi prima, pochi minuti dopo che avevano iniziato a seguirsi a vicenda.
 
Da: Lu_x; 23.05.2015, 10:24 am
Ti prego, dimmi che la foto del tuo profilo è veramente la copertina di Underclass Hero dei Sum 41.
 
Solo questo le aveva chiesto, diretto, semplice, senza troppi giri di parole. E lei, a quella domanda, aveva risposto con il sorriso addosso e con una strana sensazione in mezzo al petto.
 
Da: Madx; 23.05.2015, 10:25 am
Certo che lo è. Sei cieco?
 
Da: Lu_x; 23.05.2015, 10:27 am
No no. Solo che… Ti stimo, amico. Canzone che preferisci dell’album?
 
Da: Madx; 23.05.2015, 10:29 am
Prima di tutto, non sono tuo “amico” a partire dal fatto che sono una ragazza, poi non ti conosco nemmeno. Comunque “With me”, senza ombra di dubbio.
 
Da: Lu_x; 23.05.2015, 10:31 am
Una ragazza?! Beh, tanto meglio. Allora sappi che tu ed io avremo tante cose di cui parlare.
 
Da quel pomeriggio, hanno iniziato a parlare tutti i giorni, passando dalla musica a tutt’altri argomenti con una facilità tale da far restare Madison a bocca aperta; il tutto sempre con una sola regola da rispettare: non dire all’altro il proprio nome e non cercare in alcun modo di rintracciarlo nella vita reale. Una regola che subito entrambi avevano approvato.
Lei perché ha paura, anche se precisamente non sa di cosa. Sa solo che non vuole rivivere l’ennesima delusione della sua vita. Lei, che sente più a suo agio con quel ragazzo sconosciuto e Letizia che con le altre persone che conosce. Non sa se vedere come un buon segno oppure no il fatto che quello sconosciuto riesca a farle quell’effetto. Sa solo che lui le sta facendo bene, davvero, in un modo che da troppo tempo non provava.
Un nuovo messaggio arriva, e lei sorride ancora di più.
 
Da: Lu_x; 23.08.2015, 07:12 pm
Ma io ti faccio sempre compagnia. Lo sai che, se hai bisogno, io sono qui per te e non me ne vado.
 
E per adesso, Madison non potrebbe chiedere niente di meglio.





Letizia
Bellissimi, buon giorno e buon anno a tutti quanti! Spero che l'ultimo ed il primo dell'anno li abbiate passati bene e spero che vi siate divertiti!
Come spero che anche questo nuovo capitolo vi sia piaciuto *^*. Eccoci insomma con altri due personaggi che ogni tanto compariranno e ci faranno compagnia u.u. Due personaggi da tenere particolarmente d'occhio ;).
Due personaggi che (a causa della mia mente malata) stanno male (e ti pareva Leti, che fantasia, ahahah). Spero che le loro storie possano incuriosirvi e piacervi :3.
Piccola domandina, poi faccio i ringraziamenti e tolgo il disturbo: secondo voi, chi è Lu_x?
Detto questo, scappo. Ci sentiamo presto! Grazie mille per tutto quanto (visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti). Siete la cosa più bella del mondo ed io vi amo, uno per uno (amo anche i lettori silenziosi, di cui a volte mi farebbe davvero tanto piacere sapere cosa pensano di cosa leggono ;) <3).
A presto! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 6
*** Sei ***


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Sei
 
 
 
Certe persone, però, di quei muri hanno bisogno più di quanto vogliano ammettere.
E quando quelle difese cadono giù nella frazione di un attimo, niente è più come prima.
Perché quei muri sono troppo pesanti per essere ricostruiti da soli.
 
 
 
I loro piedi marciano stancamente sull’asfalto quel lunedì mattina, diretti verso scuola, mentre il silenzio le avvolge e le culla come al solito, compagno insostituibile di tutta la loro vita e così pieno di parole non dette che ormai sembra quasi aver acquistato un corpo che le due ragazze a turno si portano appresso, troppo peso e troppo ingombrante per essere gestito da una persona sola.
Un silenzio che, tuttavia, quella mattina non riesce a fare da padrone tra le due amiche, non quando entrambe hanno così tante cose da dire che a volte il tempo non è mai sufficiente per tirarle fuori tutte. Proprio come adesso.
«E poi?» chiede Madison, curiosa di sapere come siano andate a finire le vicende della sua migliore amica accadute soltanto il giorno prima, mentre a Letizia sembra essere passato un secolo infinito dai fatti appena raccontati.
Fatti che ancora non riesce a spiegarsi. Non riesce a capirli; non riesce a vedere che cosa ci sia dietro quello strano disegno in cui lei e Calum si sono ritrovati compagni di dolore, per niente propensi a condividere la propria storia con una persona che non conoscono. Eppure… Proprio lui, proprio quell’Hood ha dovuto buttare giù i suoi muri? Proprio lui ha avuto il potere di mandarli in frantumi con quelle poche parole che si sono scambiati e con quegli occhi così scuri che probabilmente sono riusciti a leggerle l’anima, o quel che ne resta?
Letizia si passa una mano sul viso stanco e affaticato, cercando di mandar via la stanchezza che sente addosso, dovuta all’ennesima notte insonne che ha passato, a causa della sua mente che non riusciva a non pensare a ciò che era accaduto e che aveva segnato qualcosa dentro di lei. Un qualcosa che, tuttavia, non vuole scoprire, non adesso, non ancora. Perché ha troppa paura di ciò che potrebbe trovare e non avrebbe la benché minima idea di come poterlo affrontare se dovesse rivelarsi un’altra fonte di dolore.
Perché il problema sta tutto lì: con Calum, il dolore non è sparito, è aumentato. E Letizia non sa come riuscire a domarlo, come farlo andare via. Non sa come curarsi, con i suoi muri caduti a terra; quegli stessi muri per cui ha impiegato anni e ogni grammo di se stessa per costruirli, pre renderli invalicabili, indistruttibili. E fino alla mattina precedente era sicura di avercela fatta. Poi però Calum Hood è riuscito a rovinare il lavoro di una vita, esponendola nuovamente a quei ricordi che detesta rivivere e a quelle emozioni che ha tentato di seppellire in ogni modo, giorno dopo giorno, per non restarne schiacciata.
«Ehi, Leti, stai bene?» le chiede la bionda, seriamente preoccupata per l’altra. Perché, tra loro due, Letizia è sempre stata quella in grado di rimettersi in piedi da sola, in ogni occasione, anche quando la situazione sembrava impossibile. Perché la mora è sempre stata quella forte – di questo, Madison King è assolutamente sicura – e niente riesce ad abbatterla mai del tutto. Eppure… Sembra che quel ragazzo sconosciuto spuntato dal nulla ci sia riuscito, in parte. Spera solo che le cose non peggiorino. Perché, se Letizia cade, lei perde tutto. E non vuole più vivere un’esperienza simile.
A quella domanda, l’altra non può fare a meno di sorridere, mentre si sistema gli occhiali neri sul naso.
Sorride di cuore, sul serio. Perché Madison non si smentisce mai, apprensiva com’è sempre stata e diretta come suo solito. Sorride, grata al cielo di averle fatto incontrare una persona meravigliosa come quella bionda che sta camminando al suo fianco e che la sta osservando con occhi così preoccupati che riescono a scaldarle il cuore, come ogni volta che loro due sono insieme. Sorride, perché non potrebbe fare a meno di Madison: hanno condiviso tanto, letteralmente una vita intera, e ne hanno passate così tante insieme che, senza quella piccola pazza bionda, Letizia sa che non riuscirebbe a stare.
Perché Madison è l’unica persona ad essere riuscita a portare un poco di luce nella sua vita. È l’unica che riesce a farla sorridere; a farla ridere davvero anche se per poco; a farla chiacchierare; a farle vedere un po’ la vita a colori, nonostante essi siano ancora troppo sbiaditi per Letizia per poter osservare il mondo sotto una luce più positiva.
È l’unica che sa metterle il buon umore e riesce persino qualche volta a mandar via quel dolore che sente dentro.
Madison cerca di farla stare bene, sempre. E Letizia fa altrettanto con la sua migliore amica, l’unica che ha e che considera più di una sorella. Tempo fa le ha fatto una promessa, e ha tutta l’intenzione di mantenerla anche a costa della propria vita, fino a che le loro strade non prenderanno una via migliore, in ogni senso.
Sorride, per quell’amica che è il suo più grande tesoro, che non vuole perdere per niente al mondo.
«Sto bene, Maddie, tranquilla.» le risponde allora, prima di schioccarle un sonoro bacio sulla guancia.
La bionda non può fare a meno di sorridere a sua volta. «Stavi pensando a quel ragazzo?»
Letizia annuisce. E subito gli occhi scuri ed intensi di Calum tornano a far capolino dentro la sua testa, come se il giorno precedente non ci fossero rimasti a sufficienza. Quegli occhi che nascondono un mondo che la mora sente tremendamente vicino al suo e che vorrebbe conoscere un poco di più… Probabilmente per non sentirsi l’unica ad avere l’anima distrutta dal dolore.
«Ma… per caso ti piace?» domanda curiosa Madison, ridendo nel vedere l’espressione sconcertata dell’amica
«Ma cosa dici?!» esclama Letizia, infatti, allibita e sorpresa da quella conclusione troppo affrettata.
L’altra ridacchia divertita, mentre la mora sospira. Perché, per lei, l’amore non esiste. È la bugia più grande del mondo. È la forma più crudele di dolore, che non lascia scampo a nessuno e che, in un modo o nell’altro, cambia sempre le persone, irrimediabilmente.
Madison sorride teneramente e le dà una piccola pacca sulla spalla. «Però ti incuriosisce.»
Letizia annuisce di nuovo, sincera, senza aggiungere altro, troppo confusa da tutto quello che le sta riempiendo la testa e che non riesce a farla ragionare, con il cuore ancora troppo esposto a quel dolore che non è riuscita a mandar via e che adesso si sta divertendo a torturare quel piccolo organo, quasi come se stesso godendo nel veder cadere l’anima della ragazza sempre più a fondo, in quel baratro nero da cui non c’è quasi mai ritorno.
 
«E com’è che non l’ho mai vista?» chiede Luke, curioso, una volta che Calum ha terminato di raccontargli quel che gli è successo il giorno precedente e che ancora fatica a capire.
Quella mattina, i due ragazzi si sono ritrovati, come al solito, all’incrocio che collega le loro vie. Non si sono detti niente. Si sono semplicemente guardati negli occhi, a lungo. E in quell’azzurro, Calum ha visto quel perdono di cui aveva bisogno più di quanto volesse ammettere. Perché non sa che cosa avrebbe fatto se il biondo avesse deciso di lasciarlo da solo. Non osa pensarci neppure per un attimo.
«La noti solo se ti capita davanti.» risponde il moro sovrappensiero, mentre si gratta un poco le braccia cercando di non farsi beccare dagli occhi azzurri dell’amico.
«Beh, spero possa portare qualcosa di buono.» ammette Luke, sincero e fiducioso in quella strana circostanza che ha ascoltato con il cuore un po’ più libero dalla preoccupazione e più tranquillo verso il suo migliore amico. Perché spera che quella ragazza misteriosa possa cambiare le cose. Lo spera davvero tanto, perché non sa quanto ancora riuscirà a resistere con le sue sole forze.
Alle parole dell’amico, Calum si ritrova a pensare a lungo, non riuscendo a frenare la sua mente, concentrata solo su un solo punto da un giorno e mezzo: Letizia, e quegli occhi un poco diversi tra di loro che lo hanno tenuto sveglio per tutta la notte, senza dargli modo di toglierseli dalla testa.
Non sa spiegarselo con precisione, ma stranamente quella mora lo incuriosisce, lo attira. Forse a causa di quella storia così simile alla sua che ha visto in quel color cioccolato. Forse per quella difesa che entrambi hanno subito posto per non soffrire oltre. Forse perché lo ha aiutato anche se non si conoscono.
Sospira e si passa una mano tra i capelli, cercando di riordinare le idee ed imponendosi di non pensare più di tanto a quella ragazza incontrata una notte per caso e che – Calum ne è assolutamente certo – non conterà mai niente nella sua vita. In fondo, sono sempre stati l’uno all’oscuro dell’altra; non si sono mai parlati; non si sono mai incontrati neppure per sbaglio, prima di quella sera. Quindi, perché adesso tutto dovrebbe essere diverso?
«Cal?» lo richiama il biondo, attirando la sua attenzione. «Non dirmi che stai davvero pensando a lei.»
«No, Luke, tranquillo.» si affretta a rispondere il moro.
L’altro sogghigna divertito. Perché Luke Hemmings e Calum Hood sono amici da quando erano nella culla e il più piccolo dei due – solo di sei mesi, tiene sempre a ricordare – conosce il moro meglio di se stesso e sa quando l’altro mente, proprio come in quel caso. Però Luke sa anche che quella situazione non ha niente di “normale”; sente che l’incontro e quello che è successo tra Calum e Letizia non è stato casuale; una cosa del genere non potrebbe mai esserlo. Perciò si limita a ridacchiare piano, mentre trova la conferma che quella ragazza ha finalmente premuto il bottone giusto per far riaccendere negli occhi scuri del suo migliore amico una flebile scintilla di vita che il biondo non vedeva da troppo tempo. Una scintilla di cui lui non vuole in alcun modo vedere la fine.
Intanto Calum aguzza lo sguardo e cerca quegli occhi color cioccolato in ogni dove. Ha bisogno di parlarle, di sapere che non si è inventato tutto e che quello che è successo il giorno prima non è solo frutto di un sogno in cui il moro ha sperato fin troppo. Ha bisogno di certezze, Hood. Certezze che, tuttavia, Letizia non sarà mai in grado di dargli – ne è sicuro. Ha bisogno solo di un modo diverso da quelli che usa per distrarsi, per stare meglio.
Perché, non sa spiegarsi come, durante le due notti precedenti ha finalmente dormito in pace, senza che gli incubi venissero a fargli visita, riducendogli per l’ennesima volta l’anima a brandelli per poi farlo svegliare madido di sudore, con gli occhi pieni di lacrime mai versate. Ha dormito a lungo, bene, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Solo che non sa se interpretarlo come qualcosa di positivo oppure no. In fondo, dalla morsa del dolore e del passato non si scappa mai del tutto. Quindi che senso ha avuto il fatto che i ricordi gli abbiano dato un minimo di respiro? Probabilmente per lasciarlo un attimo libero prima di tornare ad infierire con più violenza, con più prepotenza su quelle ferite che mai troveranno la cura giusta per guarire completamente? Non lo sa e non vuole saperlo, neppure quando sarà il momento.
Perché è stanco, Calum. Stanco di tutta quella merda in cui si ritrova e dai cui non riesce più a togliere le gambe; neppure con l’aiuto di quelle poche persone che lo amano e che sono rimaste; neppure con quell’aiuto extra che ogni tanto si permette quando le cose iniziano a peggiorare, quando tutto inizia a scivolare in quel baratro tetro da cui niente e nessuno torna più.
Intanto, la ricerca di quegli occhi color cioccolato continua, in silenzio, con discrezione, quasi con il timore di essere colto in flagrante dalla diretta interessata, perdendo così l’occasione di poterle parlare ancora. Sa che avrebbe potuto benissimo andare da lei e battere un colpo alla finestra vicina alla sua. Ciò che lo ha bloccato – e che sta continuando a farlo un po’ anche adesso – è la paura di non saper cosa fare, di non saper come affrontare quella novità che gli è piombata davanti all’improvviso, donandogli qualcuno che magari potrebbe capirlo davvero e a cui potrebbe ancorarsi per non cadere, forse.
Cerca quegli occhi, anche se un perché vero e proprio alla fine non c’è. O almeno, così crede lui, che non si conosce così bene quanto crede.
Poi è un attimo e la vede vicino agli armadietti, con addosso quegli occhiali neri che sembrano voler tener lontano dal resto del mondo quello sguardo sincero e pieno di un qualcosa che Calum proprio non riesce a spiegarsi. E il cuore fa un balzo impressionante nel petto, che il moro nota subito, ma a cui decide di non prestare alcuna attenzione, mentre si avvicina alla mora, i cui occhi gli hanno mostrato un mondo nuovo, bellissimo; un mondo in cui vorrebbe tanto rifugiarsi per non dover più cercare di sopravvivere a fatica giorno dopo giorno.
 
«Ciao.»
A quel saluto inaspettato, Letizia sente il cuore stringersi su se stesso per la sorpresa, mentre un brivido le percorre la schiena e la incita a voltarsi verso la persona che ha appena parlato.
E quando si ritrova davanti quel color caffè che non riesce a togliersi dalla testa, vorrebbe non averlo fatto. Perché subito sente la terra sgretolarsi sotto i suoi piedi; sente il cuore battere a fatica, colpito dalle lame del dolore che non vogliono lasciarla andare; sente il corpo scosso da brividi impercettibili; sente l’anima venir schiacciata da tutte quelle emozioni che non riesce più a controllare. Sente il bisogno di quei muri che adesso non ci sono più.
Calum la osserva a lungo, senza riuscire a capire che cosa le stia succedendo, senza riuscire a capire perché quegli occhi color cioccolato siano così spaventati, così bisognosi di difendersi da un qualcosa che a lui resta sconosciuto, indefinito. E intanto si ritrova a pensare che tutto quello che sta accadendo non ha il benché minino senso; crede che sia tutto uno sbaglio e che le cose debbano finir lì, ancor prima di cominciare. Eppure… Sa di voler capire e, soprattutto, conoscere la storia nascosta dietro a quegli occhi schivi. Ma non sa se vuole davvero scoprirne le conseguenze. Perché ha paura di cadere di nuovo, ha paura di perdersi ancora una volta e di andare molto più a fondo di quanto già non sia. Però… Vuole sapere, e ancora non riesce a capire perché.
«Ciao.» risponde Letizia, a fatica; la voce bassa, insicura, mentre cerca di non osservare troppo a lungo quegli occhi che hanno la capacità di farla sentire nuda, senza difesa ogni volta che si posano su di lei. E la mora non ha la benché minima intenzione di sentirsi così vulnerabile; non vuole. Perché già percepisce i cocci del suo cuore andare in frantumi sempre più piccoli, fino a diventare polvere flebile, che vola via e che la lascia boccheggiante in quel baratro da cui non riesce a trovare l’uscita.
«Io…» inizia Calum, ma non sa cosa dire. Aveva così tante cose dentro la testa che doveva tirar fuori, che sentiva di dover farle sapere. Ma adesso che è lì, non sa più da che parte cominciare. Continua ad osservarla, a lungo, attentamente, ritrovandosi davanti i lineamenti di quel viso che già un po’ conosce, perdendosi in quello sguardo distante, schivo, impaurito, diffidente. Si perde, e non sa se davvero vuole ritrovare la via giusta. Perché, diamine, quegli occhi hanno qualcosa dentro, che lo attira in un modo che il ragazzo non aveva mai sperimentato prima.
E intanto, le uniche parole giuste per quella situazione gli arrivano sulle labbra, mentre i ricordi del giorno precedente si fanno più vivi che mai nella mente di entrambi, senza lasciar loro scampo da quel disegno di cui non riescono a capire neppure i contorni, quel disegno che non riescono a delineare.
«Volevo ringraziarti di nuovo… Per ieri.» le fa sapere il moro, sincero, ripetendo quella frase che mai si stancherà di dirle. Perché Letizia non lo sa, ma per Calum il suo aiuto significa molto più di quanto lei possa anche solo immaginare; e non ci saranno mai abbastanza parole per farglielo capire, per farle sapere quanto lui le sia grato.
La ragazza lo osserva ancora una volta, a lungo, cercando in quel caffè la risposta a quella domanda che sente premere dentro al petto ma che non vuole far uscire, a cui non vuole far prendere corpo, perché non sa quanto dannosa potrebbe rivelarsi. Solo… Vorrebbe tanto sapere perché un ragazzo come lui – all’apparenza con una vita davvero niente male – stia soffrendo in quel modo che lei forse capisce molto più di quanto voglia ammettere.
«Figurati.» gli dice di nuovo, rincuorata dalla sua sincerità, mentre chiude l’armadietto. «L’ho fatto volentieri.»
Ed entrambi sanno che è la verità, anche se non comprendono come tutto ciò possa essere possibile.
Calum annuisce, e non riesce a nascondere la voglia di sottrarsi da quel cioccolato che lo sta guardando con insistenza da quelli che gli sembrano minuti senza fine. Si sente senza alcun difesa, con quello sguardo intenso fisso nel suo; sente come se quegli occhi volessero a tutti i costi entrargli dentro per potergli leggere l’anima, per poter conoscere la sua storia. Ma lui sa che non può permetterlo, sa che nessuno – oltre quelle poche persone che già sanno – deve entrarci. Perché non avrebbe la forza necessaria per rivivere tutti quei ricordi ancora una volta e, soprattutto, non crede che una sconosciuta come quella ragazza misteriosa abbia il diritto di scavargli così a fondo, quando lei è la prima a costruire muri su muri per impedirgli di conoscere anche solo un misero grammo di quello che ha dentro e che l’ha resa quella che è.
 
E mentre loro due sono così; persi in quella bolla che è il loro mondo, lontano da tutto e tutti, in cui nessuno riuscirebbe ad entrare neppure volendo, fatto di dolore, di parole non dette, di silenzi accumulati, di lacrime non fatte uscire, di ferite sul cuore e sull’anima; Luke si avvicina a Madison, lasciando che quei due se la sbrighino da soli.
«Neppure Letizia sta bene, vero?» chiede, cercando una conferma a cosa ha pensato vedendo la mora. Perché lei e Calum hanno lo stesso sguardo. Uno sguardo che il biondo conosce anche troppo bene.
L'altra annuisce lentamente, sospirando piano. «Siamo tutti sulla stessa barca.» commenta poi.
Il ragazzo si ritrova ad osservarla attentamente, sorpreso dal tono duro che la ragazza ha usato per esprimere quelle parole che pure per lui sono vere, anche se non lo vorrebbe.
«Sono Luke, piacere.» si presenta senza pensare, guidato da una forza che non conosce e che non riesce a controllare, porgendole la mano e sorridendole gentile quando gli occhi di lei incontrano i suoi.
«Madison, piacere mio.» risponde la ragazza, sorridendogli a sua volta.
E mentre l’azzurro degli occhi di lui si perde nel castano di quelli di lei, a nessuno dei due sfugge il brivido che li attraversa, non appena le loro mani si stringono forte. Perché non avevano mai visto nello sguardo delle persone attorno a loro un qualcosa che potesse accomunarli con qualcuno; almeno prima di quel giorno.





Letizia
Tesori miei, ciao! Com'è stato il rientro a scuola? Il mio non troppo traumatico, grazie al cielo, ahahah ;).
Allora allora allora, abbiamo le due coppie di amici e... L'INCONTRO DEI LUKIE *^* !!!!!!! Awww, i miei bambini, li amo!!! <3
Scusate se oggi le note sono cortissime, ma sono pienissima di cose da fare (strano -.-"). Risponderò alle vostre recensioni in giornata comunque, non preoccupatevi, non mi dimentico di voi ;).
A presto e grazie mille per tutto quanto! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 7
*** Sette ***


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Sette



Poi ci sono persone che, di quei muri, non sanno proprio più che cosa farsene.
Perché quando hanno provato a costruirli, non sono serviti a niente.
E non li hanno risparmiati da quello che la vita ha voluto loro sottoporre.
 
 
 
Si affretta a mettersi le scarpe e a prendere la borsa, contenente quelle poche cose che le serviranno, di cui alcune hanno un posto fondamentale nella sua vita, anche se sa che sono solo degli oggetti, a cui non potrà mai attribuire “semplice” come aggettivo, proprio perché non lo sono. Perché niente è semplice, neppure i sentimenti ed i pensieri legati a quelle piccolezze che si porta sempre dietro. Soprattutto quel quaderno verde, in cui c’è tutto di lei e che mai potrebbe permettersi di perdere, troppo prezioso per ogni parola che ci ha scritto sopra, in preda alla rabbia, al pianto, allo sconforto, a quella sensazione di totale sconfitta che la prende troppo spesso e non la lascia andare, togliendole lentamente ogni grammo di forza, ogni grammo di quella piccola scintilla che le rimane dentro e che vorrebbe tanto proteggere da se stessa, anche se proprio non ha idea di come fare.
Sospira stanca e cerca di prendere un poco di coraggio per uscire dalle mura della sua stanza. In fondo, tempo prima ha preso un impegno troppo importante. E lei non è una che lascia le cose a metà, mai.
Non appena si chiude la porta di camera sua alle spalle, una voce proveniente dalla cucina la fa sobbalzare, la fa rabbrividire, la rende instabile, anche solo con quella semplicissima domanda che la donna le ha appena rivolto. Una domanda innocua per chiunque, ma non per la ragazza e per tutto quello che ha dentro.
«Leti, stai uscendo?»
La mora sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli mossi, mentre si avvia con passi lenti ed insicuri verso la stanza, con il cuore che le batte sempre più forte nel petto, facendole male.
«Sì…» risponde atona; gli occhi inespressivi e fissi sul pavimento pur di non incontrare lo sguardo dell’altra persona presente in cucina. «Vado… All’ospedale.»
Sente i passi della donna farsi sempre più vicini a lei, fino a che due mani tiepide non le accarezzano delicatamente il viso e portano i suoi occhi scuri all’altezza di quelli grigi di Azura, che le sta davanti e che le sta sorridendo, dolce, amorevole, proprio come una madre dovrebbe fare.
«Allora passate un buon pomeriggio.» le augura; il tono sincero, la voce tranquilla, lo sguardo che trasmette solo tanto affetto e che lentamente fa sprofondare Letizia ancora più a fondo in quel pozzo che la risucchia giorno dopo giorno, divertendosi a testare quanto ancora potrà resistere in piedi sulle proprie gambe, prima di cadere del tutto, per non rialzarsi più.
Non dice niente, lei. Si chiude nel suo silenzio, l’unica arma di difesa che ha e che usa ogni volta che ne ha bisogno, per tenere lontano qualsiasi cosa; per tenere lontano chiunque, pur di proteggere quel poco che le rimane e che non ha alcuna intenzione di perdere.
Si scosta piano da quel tocco delicato e tiepido, come se scottasse, come se dovesse tenersene lontana per non restarne bruciata; per non ferirsi più di quanto già non sia; per non far prendere il sopravvento ancora una volta alla rabbia, allo sconforto e alla frustrazione per tutto quello che vorrebbe non dover vivere.
Volta le spalle alla donna dai capelli castano scuri e dagli occhi più gentili, dolci e pazienti che abbia mai visto in tutta la sua vita. Non la saluta, non la ringrazia. Si avvicina alla porta e la apre, rabbrividendo al sentirla cigolare in quel modo. Poi è un attimo, e si volta indietro, trovando quel grigio caldo ad accoglierla ancora. In silenzio, le fa solo un lieve cenno con la mano e corre via, letteralmente. Corre, perché non si spiega quel gesto, non si spiega quel voler esternare quella gratitudine infinita che sente dentro e che non vorrebbe provare, non verso Azura, non con quell’affetto che le fa solo male, anche se non dovrebbe. Corre per non doversi sentire così, senza una meta, con solo un enorme buco nero nel cuore, una ferita che sta lì da troppo tempo, senza che nessuno la curi, di cui solo lei conosce l’esistenza.
Una volta che ha messo abbastanza metri tra lei e quella casa, il passo diventa più regolare; la musica nelle orecchie riesce a calmarla un poco; il cuore smette di battere così veloce; il respiro torna tranquillo; mentre lei cerca di non pensare a niente, mentre aspetta l’autobus che la porterà all’ospedale. Cerca di non permettere a quell’affetto di penetrarle nel cuore. Perché sa di non meritarlo, sa che non può permettersi un lusso simile, che non si merita neppure un grammo dell’amore sconfinato di Azura nei suoi confronti.
Sospira, la musica che intanto la porta fuori dal mondo, la rinchiude per un poco in quella bolla di pace e di tranquillità di cui ha bisogno in quel momento; quella bolla che la difende e che non permette a niente e nessuno di infierire oltre. La protegge, anche se non sarà mai sufficiente per ciò che ha dentro e che non aspetta altro che farle male, divertendosi nel vederla agonizzante, preda di quella confusione a cui mai riuscirà a trovare un ordine.
Perché è passata una settimana da quando Calum Hood è riuscito a distruggere i suoi muri, la sua unica difesa. E sta facendo fatica, troppa, per rimetterli in piedi; mentre il dolore si fa più vivo, giorno dopo giorno, senza darle modo di poter mettere una fine a ciò che le fa male, con quel senso di vuoto, di incompletezza che le sta sempre dietro, come se volesse premere su quella ferita che mai guarirà. È per questo che sta mettendo nuovamente ogni grammo di se stessa, di ciò che è rimasto di lei; per far sì che quelle mura non cadano più, per nessun motivo; per renderle ancora più forti, impenetrabili e solide di quanto già non fossero. Perché non vuole più stare con il dolore addosso; vuole mandarlo via, ad ogni costo, pur di tornare a respirare, pur di tornare a vivere quella vita che le è stata strappata via troppo presto, prima che potesse anche solo capirla un poco.
L’autobus arriva e lei sale, sedendosi su uno dei posti in fondo sulla sinistra, la fronte poggiata al finestrino freddo e gli occhi color cioccolato puntanti sulle poche persone che sono lì dentro, magari sperando di poter trovare una risposta alle domande che le assillano la mente e a cui tuttavia non riesce a trovare una risposta. Per lo meno non ancora. Intanto continua a pensare, e la musica continua ad andare, a farle compagnia, mentre lei osserva tutto attentamente, con gli occhi di chi, a volte, riesce a cogliere l’attimo perfetto.
Ed è mentre quei pensieri le frullano per la testa, che si decide a prendere il suo quadernino verde, per sfogarsi un po’. E già soltanto sentire sotto i polpastrelli la carta ruvida la calma, più di quanto riesca a fare la musica. Apre la penna ed inizia a scrivere, a buttare giù parole su parole. Si sfoga; dà vita a tutte quelle cose mai dette le gravavano sul cuore. Scrive, e si sente un po’ più leggera, un po’ meno oppressa dal peso di quel buio che ha dentro. È come se mettere su carta i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la aiutasse a mandar via un poco di dolore, è come se la aiutasse a fare un po’ più di ordine nel casino immenso che è la sua vita. Scrive sempre, Letizia; fin da quando era piccola è sempre stata l’unica cosa che non ha mai mollato, che le ha sempre tenuto compagnia anche nei momenti più bui; la sua unica passione, la sola via d’uscita per scappare da tutto il resto.
Ogni volta che lascia pieno campo alla sua mano e alla sua mente che buttano giù parole dopo parole, si sente meglio, in ogni senso, è più tranquilla e non potrebbe chiedere niente di più. Non è molto, ne è consapevole; ma per adesso quel poco che c’è riesce a far tanto, molto più di quanto lei si sarebbe mai immaginata.
Sospira e scrive. E la musica continua a tenerle compagnia, a scaldarle un poco l’anima, mentre lei tenta ancora di tenere lontano dal cuore Azura e il suo tocco delicato che, insieme a quegli occhi color caffè, riesce soltanto a mandarla in pezzi, più di quanto già non sia.
Scrive, ma la testa è da tutt’altra parte, ferma a quando la donna le ha fatto quella proposta circa tre mesi prima.
 
Era in camera sua, sul letto, la musica accesa che ben si sentiva dal PC anche se il volume era basso. Aveva il suo quadernino verde in mano e lo stava sfogliando, pur di trovare nella sua vita qualche cambiamento che avrebbe potuto aiutarla, che avrebbe potuto darle quella spinta in più che le mancava per reagire. Tuttavia, non riusciva a trovare niente che potesse anche solo darle un minimo di speranza.
Ed era stato mentre lei cercava quella risposta a tutti quei Perché? che la accompagnavano da tutta una vita, che qualcuno aveva bussato alla sua porta perennemente chiusa, attirando la sua attenzione.
«Avanti.» aveva detto, sorpresa. Perché nessuno aveva mai bussato alla sua porta per entrare, Madison per prima; quindi non aveva la benché minima idea di chi potesse essere.
Dopo pochi secondi, sulla soglia della camera era apparsa la figura di Azura, i capelli lunghi raccolti in una coda morbida e bassa, gli occhi grigi che l’avevano osservata quasi con timidezza, con il timore di sbagliare anche la più piccola cosa che avrebbe potuto rovinare quel qualcosa che Letizia non riusciva a capire, non ancora.
«Ciao tesoro.» l’aveva salutata la donna, prima di avvicinarsi con calma al letto della mora e sedercisi.
La ragazza si era spostata per farle spazio, e subito il suo volersi difendere aveva preso il sopravvento su tutto il resto, rendendola tesa, rigida, pronta a fuggire non appena la situazione si fosse fatta insostenibile, almeno per lei.
«C–Ciao.» aveva risposto, stringendo le gambe al petto, come a volersi difendere ancora di più.
Azura aveva sorriso tranquilla e le aveva dato una piccola brochure colorata.
«Cos’è?» aveva chiesto la ragazza, una volta aperto il volantino, non capendo di cosa si trattasse.
«All’ospedale dove lavoro hanno deciso di dar vita ad un progetto per dare un po’ di compagnia a chi, per un motivo o per un altro, non viene spesso visitato dai propri parenti.» aveva iniziato a spiegarle la donna con il sorriso sule labbra; e la mora si era sorpresa nel ritrovarsi interessata a quello che la donna le stava dicendo. «Se si vuole partecipare, basta presentarsi e dire ad un infermiere di voler far parte del progetto. Ed una volta che affidano una persona, quella resta il partner dell’altro fino a che non esce dall’ospedale o fino a che l’altro non decide di smettere di partecipare.»
Letizia aveva puntato lo sguardo verso la finestra, incuriosita da quella cosa fatta a fin di bene. Eppure…
«Cos’ha a che fare tutto questo con me?» aveva chiesto, non capendo perché Azura gliene stesse parlando.
La donna aveva addolcito lo sguardo e si era seduta meglio sul letto prima di rispondere.
«Se vuoi, potresti partecipare. Potresti riempire i pomeriggi vuoti, dato che non frequenti nessun corso extra a scuola.» le aveva consigliato, prima di alzarsi e di avvicinarsi alla porta.
«Potresti seriamente prenderlo in considerazione. Magari ti fai pure qualche amico.» aveva aggiunto sempre con il sorriso sulle labbra, prima di lasciare del tutto la stanza, mentre la mora cominciava a sentire qualcosa nel petto.
Due minuti dopo, Letizia stava aspettando l’autobus. L’aveva preso e aveva passato l’intero viaggio a chiedersi che cosa le fosse saltato in mente e che cosa stesse facendo. Non riusciva davvero a spiegarsi il proprio comportamento, non riusciva a capire quel calore tiepido che le era nato dentro al cuore.
Una volta arrivata, aveva chiesto a Christine – l’unica infermiera che conoscesse, dato che era collega di Azura in ostetricia – di partecipare.
 
È all’ospedale da pochi muniti. E già vorrebbe andarsene, pur di non sentire quell’odore opprimente, pur di non permettere alla tristezza di quel posto di entrarle dentro, per restarci e crescere. Passa lentamente gli occhi grandi sulle pareti dipinte di bianco, tristi, senza neppure un poco di colore a ravvivare l’ambiente. Come se dei colori su una parete potessero cambiare la situazione di chi si trova lì dentro; come se fossero sufficienti per mandar via la tristezza di alcuni, la rabbia di altri, la frustrazione di chi sta fuori ma vive tutto lo stesso per quelli che gli stanno a cuore e che stanno male.
Si passa una mano tra i capelli sciolti, scostandoseli dagli occhi, e si sistema gli occhiali sul naso, cercando di prendere tutto il coraggio che le serve per affrontare quel pomeriggio, il coraggio di cui necessita per non correre lontano da lì come una codarda. Perché lei non lo è, non lo è mai stata, anche se a volte avrebbe preferito esserlo; avrebbe preferito scappare invece di ritrovarsi completamente indifesa davanti a quel qualcosa che non riesce a sconfiggere da sola, con le poche forze che ha e che mai saranno sufficienti per salvarla del tutto.
Scuote la testa, impercettibilmente. Vuole allontanare quei pensieri, almeno per poco, per poter passare tranquillamente quel pomeriggio in cui ha bisogno di tutta la sua concentrazione per non lasciarsi andare, per mantenere un po’ quella lucidità che cerca a tutti i costi di non perdere. Deve essere forte, come tutte le volte che va lì. Perché quella persona che va a trovare ha bisogno di lei. E Letizia sa troppo bene quanto importante possa essere anche il più piccolo gesto, per le persone che stanno male.
Si affretta a passare il più lontano possibile dal reparto di ostetricia e di maternità, con i brividi addosso e gli occhi fissi sul pavimento. Arriva velocemente in quello di traumatologia, la sua meta da ormai tre mesi a quella parte, e subito va decisa verso la stanza 357, quella con le veneziane della finestra che dà sui corridoi quasi sempre tirate giù, come a voler dividere ciò che sta al suo interno da tutto il resto. Bussa, e un lieve «Avanti.» si fa sentire da dietro la parete di compensato.
Letizia abbassa la maniglia ed entra. E subito il sorriso allegro del ragazzo seduto sul letto la accoglie.
«Stavo iniziando a preoccuparmi, sai?» le dice lui, salutandola e sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena.
«Tranquillo, una volta che ho preso un impegno lo finisco sempre.» ribatte la mora, sedendosi ed iniziando a mettere fuori dalla borsa quelle poche cose che le serviranno per quel pomeriggio.
Lui ridacchia e le si fa lievemente più vicino, per quanto la gamba completamente ingessata possa permetterglielo.
«Come stai?» le chiede come al solito, con quel tono che vuole ricevere soltanto verità come risposta. Una verità che tuttavia la ragazza non riuscirà mai a dire, troppo grande da affrontare.
«Bene.» risponde atona, con gli occhi ancora rivolti a terra, mentre i brividi continuano a correrle sulla pelle. Sa che sta mentendo, ma non riesce a fare altrimenti, è più forte di lei.
L’altro scuote lievemente la testa e sospira, prendendo tra le sue mani quella della mora ed accarezzandola piano.
«Leti, non mentirmi, sai che non serve a niente.» le dice, con i suoi occhi talmente verdi da sembrare trasparenti che le si parano davanti, sempre così attenti, sempre così pronti a trapassarle l’anima se necessario. È come se volesse conoscerla, lui, come se volesse farlo davvero, senza riuscire ad accontentarsi di ciò che c’è fuori. È come se volesse conoscere a tutti i costi quel peso che la ragazza porta dentro al cuore, anche se lei non riesce a capire il perché. In fondo, la vita di Letizia Lewis non è mai interessata a nessuno a parte lei. Cosa dovrebbe trovarci lui di così tanto interessante?
Distoglie lo sguardo e sospira ancora, stanca di tutto.
«Che senso avrebbe dirti la verità, Michael? Non cambierebbe niente comunque, rimarrei con la stessa merda intorno sempre.» commenta; la voce ancora atona, gli occhi che cercano di non mostrare quello che ha dentro, quel poco che rimane di lei che vuole proteggere ad ogni costo.
Il ragazzo scuote di nuovo la testa e sospira, prendendo il viso della mora tra le mani e facendo in modo che i loro occhi siano nuovamente gli uni davanti agli altri, mentre i brividi tornano a correre sulle braccia scoperte di lei.
«Forse potrebbe aiutarti ad affrontare meglio tutto quanto.»
Letizia sospira piano, senza dar segno di voler porre fine al contatto tra i loro sguardi. E intanto continua a chiedersi come quel rapporto tutto particolare sia riuscito a nascere tra lei e Michael Clifford, quel ragazzo che sembra capirla molto meglio di quanto lei immagini.
Si conoscono solo da pochi mesi, eppure lui le è entrato dentro al cuore in un modo che ancora la mora non riesce a spiegarsi, un modo che un po’ le fa paura. Perché è da troppo tempo che non fa nuove amicizie. Eppure, con Michael è stato semplice, è venuto fuori da solo il loro legame, nato giorno dopo giorno, pomeriggio dopo pomeriggio, ora dopo ora. Non hanno mai raccontato all’altro la loro storia, ma è come se in un certo senso i loro occhi avessero fatto tutto, come se semplicemente avessero mostrato all’altro quanto bastava per potersi fidare, per poter mettere le basi per quella strana amicizia a cui Letizia stenta ancora a credere, diffidente com’è sempre stata e scettica su ogni cosa che sembra andarle bene nella vita. Perché ha imparato che le cose belle finiscono sempre troppo presto, e il dolore dell’illusione di aver trovato finalmente un po’ di pace è sempre più forte di tutto il resto. E lei non è pronta a vedere la fine di quel legame tra lei e quel ragazzo di cui sa davvero poco, e di cui tuttavia si fida come non ha mai fatto con nessun altro, dopo Madison. Non avrebbe mai creduto che, grazie alla proposta di Azura, avrebbe potuto trovare qualcuno che in qualche modo potesse alleggerirle un po’ il peso che porta da sempre sulle spalle. È come se Michael riuscisse sempre a capire che cosa non vada e che cosa le stia passando per la testa, come se anche lui avesse passato un periodo simile a quello che sta vivendo lei da troppo tempo. Tuttavia, anche se sembrano simili, loro due sono molto diversi, a partire dal fatto che lui è riuscito a prendere la sua vita in mano e a farla ritornare alla luce, lei ancora no. E molto probabilmente non ci proverà mai, troppo spaventata di poter cadere e farsi ancora più male.
«Io non sono come te.»
Lui sorride dolcemente e le accarezza una guancia, senza smettere di guardarla negli occhi. «Hai ragione. Sei molto più forte di me, Leti. Perché anche se i tuoi muri cadono, tu ritrovi sempre la forza di reagire. Cosa che invece io non sono stato in grado di fare quando sono stati i miei muri a cadere.»
Lei resta senza parole, come ogni volta che va a trovare quel ragazzo che sempre riesce a leggerle dentro, mostrandole tante di quelle cose che la mora non sa mai che cosa fare. E ancora non sa bene se sia un male oppure no, il fatto che il loro rapporto stia sempre diventando sempre più importante, per entrambi.





Letizia
Bellissimi, ciao! Spero che stiate bene e che il capitolo vi sia piaciuto! <3
Anche oggi note corte, ho da fare un monte di cose, che cappero, ahahah :P.
A parte questo, abbiamo due nuovi personaggi! Azura e Michael, il nostro bel Clifford, piccolo lui!
Che ne pensate del rapporto che Leti ha con loro due? Fatemi sapere, ci conto ;).
Detto questo, scappo davvero, grazie mille per tutto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 8
*** Otto ***


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Otto
 
 

 
E c’è anche chi, invece, vuole distruggere i muri delle persone che gli stanno a cuore.
Non per far loro del male, non per renderle preda del dolore.
Vuole distruggerli per aiutarle a superare tutto, per farle tornare a vivere.
 
 
 
La sala d'aspetto è piena di gente, come al solito: persone anziane che aspettano di fare i soliti controlli; genitori che cercano di far stare tranquilli i propri figli; adulti da soli dall’aria troppo preoccupata che suggerisce così tante cose da far girare la testa per la confusione; giovani coppie in dolce attesa. C’è davvero il mondo all’ospedale, uno dei pochi posti dove tutti sono allo stesso pari. O almeno – a detta sua – dovrebbero esserlo, dato che la salute è un diritto per chiunque e non solo perché può permetterselo con il denaro.
Lui però non ci si ferma, non sta cercando un posto dove potersi sedere, non può e non deve aspettare. Ha bisogno di trovare una persona, il prima possibile, per questo sta percorrendo quasi di corsa i corridoi dell'ospedale, cercando di non dare nell'occhio. Deve sempre fare in fretta, ogni volta che va lì, per non essere visto, perché non gli vengano poi fatte domande troppo scomode, perché non salti tutto. Perché quella è la sua unica garanzia e, se la perde, può benissimo dire addio a tutto il resto.
Continua a camminare, e intanto il cuore gli pompa nel petto sempre più velocemente, quasi volesse uscirne per non tornarci più, per poter vivere finalmente lontano dal buio che lo riempire. E pure Calum vorrebbe che fosse così, vorrebbe tanto poterlo rendere libero da tutto. Però… È soltanto un sogno irraggiungibile, una speranza destinata a morire; ed entrambi lo sanno troppo bene.
Sospira stanco e passa velocemente davanti a quella camera in cui mai potrebbe mettere piede. Sa chi c’è lì dentro, sa anche il perché. Un brivido gli percorre la schiena e infierisce su quelle ferite ancora aperte che gravano sul suo cuore; le fa diventare più profonde, insostenibili, troppo pesanti da portare da solo. Lui, che vorrebbe semplicemente riavvolgere il nastro per non vivere più quell’inferno; per cambiare le cose; per evitare tutto quanto. Lui, che sa di non meritare di stare con la persona ricoverata in quella camera; non merita neppure di parlargli, neppure per un secondo. Perché, dopotutto, è colpa sua, per ogni cosa che è successa, e sa che non sarebbe in grado di reggere quegli occhi così simili ai suoi; sa che non potrà mai essere forte abbastanza per affrontare quella persona che gli manca più di ogni altra cosa al mondo. Quella persona di cui riesce ad intravedere a malapena solo la parte scoperta del braccio attraverso le veneziane quasi del tutto abbassate, che non permettono di far vedere ad occhi indiscreti chi c’è dall’altra parte del vetro.
Però Calum sa chi c’è dietro a quella finestra. Non ha bisogno di vedere, mentre il cuore continua ad andargli in pezzi, a far male, a pregarlo di far cessare tutto il dolore; quel dolore che nessuno è riuscito a curare e che sembra essere invincibile, su ogni fronte.
Volta lo sguardo immediatamente; passando oltre quella stanza che vorrebbe tanto non essere costretto a vedere tutte le volte che va lì; con il cuore gonfio di frustrazione e gli occhi troppo lucidi perché gli permettano di vedere bene dove stia andando. Deve fermarsi, ha bisogno di rimettere un attimo in ordine le idee, ha bisogno di calmarsi.
Svolta a sinistra, in un corridoio poco trafficato, meno illuminato rispetto a quello principale, con le porte delle varie camere tutte chiuse, probabilmente perché vuote o perché i ricoverati stanno riposando. Sospira e si passa stancamente una mano tra i capelli, lasciando che la schiena si poggi al muro, perché le sue gambe non sono più in grado di sorreggerlo da sole.
Dovrebbe smetterla; dovrebbe smetterla sul serio con tutta quella merda; dovrebbe iniziare ad andare avanti, lasciandosi tutto il resto alle spalle, mettendoci una pietra sopra, perché tanto il passato non potrà mai cambiare, neppure volendo. Probabilmente qualcuno sopra di lui ha qualcosa in mente, qualcosa in serbo per la sua vita che potrebbe stravolgerla in meglio o farla cadere ancora più in basso. Calum non sa se crederci, non sa se sperare in qualcosa di bello o se arrendersi al fatto che la sua vita sarà sempre costellata da un circolo vizioso di fallimenti che non avranno mai una fine.
Dopotutto, quella è la vita; è lei che gioca le carte; è lei che decide che cosa deve accadere. L’uomo non ha potere di niente. E Calum, di fronte alla potenza stessa della vita, di fronte all’immensità del mondo, si sente piccolo, così tremendamente insignificante che proprio non riesce a capire perché sia nato. In fondo, che senso ha una vita come la sua? Che senso ha tutto quel che ha passato se non ci sono stati cambiamenti di alcun tipo?
Sospira di nuovo e si passa le mani sul viso. Ed è proprio in quel momento che qualcuno lo afferra per il braccio, mozzandogli il respiro per la sorpresa.
«Che cazz–?» inizia a dire, ma subito una voce che il moro ben conosce lo ferma.
«Sono io, stupido.» gli fa sapere il ragazzo davanti a lui. E Calum si ritrova a sorridere, a causa del suo amico di una vita che lo sta aiutando in quella cosa folle anche se non dovrebbe, perché potrebbe seriamente perdere tutto ciò che ha. E il moro sa troppo bene quanto quella storia sia un peso per Ashton Irwin; è per questo che non lo ringrazierà mai abbastanza per ogni cosa che fa.
«Ciao, Ash.» lo saluta, con il cuore che tuttavia inizia a fargli un po’ male dentro al petto. Perché sa quanto tutta quella storia sia sbagliata, quanto tutto sia completamente senza senso. Eppure non riesce, non vuole togliere le gambe dalla merda in cui è andato a finire, per paura di vedere come sarebbe la vita senza tutto quel peso addosso, per evitare altre illusioni e altro dolore. È la sua unica via di fuga.
L’altro sospira stanco e, senza degnare Calum di un’occhiata, lo guida al solito posto di ogni loro incontro, quello sgabuzzino che nessuno frequenta durante la pausa, piccolo, pieno di così tante cose che nessuno dei due sa come riescano ad entrarci senza soffocare e farsi male.
Il moro accende la luce e gli occhi verdi screziati da qualche venatura castana, dorati, del riccio lo lasciano senza fiato, facendolo sentire colpevole, in errore, come tutte le volte che si incontrano.
«Spero che questa storia finisca il prima possibile, Cal.» gli dice Ashton, legando il laccio emostatico attorno al suo bicipite mentre il moro chiude gli occhi e sospira piano, troppo spossato per cercare una soluzione che conosce ma a cui non vuole arrivare, non ancora, perché non si sente pronto, non si sente forte abbastanza per affrontare tutto il resto. Ha bisogno di tempo, anche se di preciso non sa quanto.
E, mentre con la siringa Ashton gli preleva qualche millilitro di sangue, Calum si ritrova a pensare agli occhi color cioccolato di Letizia. Occhi che in quella settimana non gli hanno lasciato libera la mente neppure per un secondo; troppo intensi, troppo pieni di un qualcosa che lo attira in un modo che non sa spiegare. Un modo che per un poco è riuscito a tenerlo lontano dai ricordi, ma non abbastanza per mandar del tutto via il dolore.
«Fatto; spero che il mese prossimo non ti farai rivedere.» gli dice l’altro; il tono di voce duro e distaccato, anche se Calum riesce a percepire fin troppo bene una nota di preoccupazione non indifferente.
«Me lo dici tutte le volte, ma sai che non cambierà niente, almeno non così in fretta.» ammette il più piccolo seguendo il ragazzo dai capelli color miele fuori dallo sgabuzzino.
«Cal, sono passati due anni. Tutti noi siamo andati avanti.» cerca di fargli cambiare idea, di aiutarlo, di abbattere quei muri che Calum ha costruito attorno a sé e che nessuno è mai riuscito a buttare giù; muri che servono a proteggerlo dagli incubi che si porta dietro per quell’unico errore che ha commesso e che ha trascinato giù nel buio tutto il resto, facendo andare in pezzi quel poco di buono che restava di lui.
«Solo perché la colpa non è vostra.»
E prima che Ashton possa ribattere, il moro se ne va via, veloce ed invisibile come quando è arrivato.
Ed è mentre torna a casa, che si ritrova a pensare a tutta quella storia, a come la sua discesa verso l’inferno in cui si ritrova sia iniziata con poche parole. Una frase che ha avuto il potere di sconvolgere tutto; che ha distrutto ogni cosa rimasta dopo il primo dolore; che ha rotto completamente rapporti importanti tra persone che si volevano davvero bene da considerarsi quasi una famiglia; che lo ha portato alla deriva.
Ed è stato proprio in quel suo vagare senza meta che ha trovato quell’unica via d’uscita. Una scorciatoia che, tuttavia, continua ad infierire, a portarlo sempre più a fondo, ogni volta. Perché è temporanea, è flebile, e Calum sa che non manderà mai via del tutto ciò che sente dentro. Solo che… Ha bisogno di non pensare, ogni tanto, anche solo per pochi minuti; ha bisogno di allontanarsi qualche volta dalla realtà, illudendosi che tutta quella storia sia solo un incubo, un brutto sogno da cui presto si sveglierà.
Il problema è che quando finisce, quando l’illusione svanisce, ogni cosa torna com’era prima, e la merda nella sua vita è ancora lì, con il buio sempre pronto ad ostacolare quella flebile luce che quasi mai riesce ad entrare. E lui si ritrova sempre più schiacciato dal peso di quella consapevolezza, di quell’errore che ha dato il via a tutto il resto e che l’ha reso vuoto, privo di qualsiasi cosa che possa sostituire il dolore, la rabbia, o il senso di sconfitta che non è mai riuscito ad accettare.
Sospira pesantemente mentre cammina più velocemente del solito. Deve arrivare a casa, deve rimettere a posto quei muri che lentamente stanno perdendo forza, che pian piano stanno cadendo a pezzi, da quando gli occhi di Letizia hanno incontrato i suoi e non hanno più lasciato la sua mente.
È strano; è passata una settimana da quando si sono conosciuti eppure, dopo quel saluto veloce a scuola, non si sono più parlati, né, cercati, né visti. O almeno, non di proposito. Perché Calum la vede sempre uscire dalla finestra di camera sua dieci minuti prima di lui per andare a scuola; la osserva camminare con passo furtivo, silenzioso, come se non volesse farsi scoprire da nessuno, come se volesse sempre tenersi lontana da tutto e da tutti. Ed è il fatto di non riuscire a capire quel comportamento un po’ simile al suo che lo attira irrimediabilmente. Però sa che pensare a quella mora non cambierà niente di ciò che ha dentro. Perché una ragazza conosciuta per caso, con cui non ha niente da spartire, non potrà mai salvarlo.
E per Calum, sentirsi senza speranza non è più un peso. Ormai è abituato all’idea di bruciare da solo all’inferno, a causa di quella mancanza che ha devastato ogni cosa. E sa che niente e nessuno potrà più salvarlo, benché continui a sperarci giorno dopo giorno; perché lui da solo non è in grado di curarsi le troppe ferite che si porta dentro.
 
Arriva al suo palazzo che ormai è pomeriggio inoltrato e subito corre alle scale nere sul retro, quelle stesse scale che si ritrova a salire sempre più spesso, per evitare gli sguardi preoccupati dei suoi genitori e per non doversi sentire sempre più perso, davanti a quegli occhi che lo hanno visto crescere ma che lo buttano giù nella frazione di un istante perché non riescono a capirlo, nonostante l’affetto che lega la famiglia Hood.
Le sale piano, cercando di non far rumore per evitare sguardi che preferirebbe non dover avere addosso. Una volta davanti la sua finestra, la apre ed entra in camera sua, respirando forte, con il cuore che gli batte così forte da fargli girare la testa, a causa di una cosa, piccolissima, quasi invisibile, che si è ricordato durante la passeggiata fatta dall’ospedale per tornare a casa. Una cosa che irrimediabilmente lo ha fatto vacillare troppo a lungo.
Si passa una mano tra i capelli scuri e si osserva attorno, senza più riuscire a capire niente di quello che ha dentro la testa. E intanto lo sguardo vaga perso per la stanza. Si posa sulle pareti dipinte di nero, in parte coperte dai poster delle sue band preferite. Osserva il letto posto sulla sinistra con le coperte grigie, opposto all’armadio chiaro che è sulla destra e in cui custodisce il suo basso. Guarda la piccola scrivania ad angolo alla sinistra del letto. Intravede la porta bianca in angolo a sinistra che porta al bagno e poi quella grigia opposta alla finestra e vicina all’angolo destro della stanza.
I suoi occhi scuri passano dappertutto, mentre il cuore batte lento, mentre il respiro cerca di tornare regolare. Girano quasi a vuoto, quei pozzi color caffè, fino a che non cadono su quel piccolo oggetto, su quella Moleskine nera, con gli angoli della copertina consumati e le pagine un po’ scolorite, piene di troppe cose, troppe parole non dette da chi avrebbe dovuto farlo quando era tempo. Parole che Calum avrebbe dovuto intuire prima che tutto quell’immenso casino sfociasse in quel punto di non ritorno. Quelle parole che sono state la causa di ogni cosa, che lo hanno fatto cadere, mandando in pezzi la sua anima più di quanto già non fosse. Quelle parole che ogni volta aprono nuove ferite ed impediscono a quelle vecchie di rimarginarsi.
Sa che non dovrebbe avvinarsi più a quell’oggetto, a quel diario che ha rovinato tutto e che gli ha fatto aprire gli occhi. Sa che non dovrebbe neppure più sfiorarlo con la punta delle dita per sentire la ruvidezza della copertina e il solco lasciato dalla penna sulle pagine chiare. Sa che non dovrebbe aprirlo. Sa che non dovrebbe più leggerlo, anche perché ormai conosce a memoria ogni singola riga. Sa che dovrebbe invece provare a proteggersi, a tenersi lontano dai ricordi. Ma tutto quello che fa, come ogni volta, è lasciar cadere gli occhi su quelle frasi scritte con una penna nera, come a voler rimarcare il fatto che la tristezza e il dolore racchiusi in quel piccolo oggetto all’apparenza insignificante hanno preso il controllo su ogni cosa.
 
05.11.2012, 01:54 pm
Non ce la faccio più.
Sono stanca, di tutto. Le cose che ti ho raccontato fino ad ora sono peggiorate, stanno andando a picco, lentamente. E mi schiacciano, fanno male e non so più che cosa fare per uscirne. E sai qual è la cosa che più mi spaventa di tutto questo? Che la decisione che ho preso tempo fa si sta rafforzando, si sta dimostrando l’unica via d’uscita per togliermi da tutto questo schifo.
Se solo le persone che dicono di amarmi capissero che sto ancora male; se solo lo notassero e trovassero un motivo per farmi restare, sono sicura che cambierebbe ogni cosa. Il problema è che nessuno vede niente, nemmeno la persona che amo più di chiunque altro al mondo. E questa è la cosa che fa più male di tutte.
 
A quelle parole, a quei ricordi che tornano prepotenti in superficie, a quel dolore forte che sente nel petto, Calum non riesce a trovare una minima difesa. Non riesce ad allontanare il dolore, la rabbia, le lacrime. Non riesce ad ancorarsi a qualcosa per evitare che quel buio lo trascini sempre più a fondo. È senza speranza, con l’anima in pezzi ed una vita che non può più essere considerata tale da troppo tempo.
Fa male. Fa male, come tutte le volte. E le ferite aumentano dentro al suo cuore; lacerano; squartano; mandano in pezzi altre parti che probabilmente non torneranno più e che lui ha perduto per sempre. Perché è perso, Calum, perso da un tempo troppo lungo perché possa ritrovare da solo la via di casa.
Posa lentamente la Moleskine sul comodino accanto al letto, come se non fosse lui a fare quell’azione, come se la sua mente e la sua anima si fossero allontanate da lui ed osservassero il tutto come spettatori esterni e completamente vulnerabili. Lo sentono tremare, vedono le sue mani andare a cercare qualcosa dentro al cassetto della biancheria, per tirarne fuori quei pochi oggetti che per Calum ormai sono diventati troppo familiari.
Adesso è nuovamente lui che osserva tutto. È di nuovo lui che sente quel vuoto, quella mancanza dentro al petto; una mancanza che non riesce a riempire. Guarda ciò che ha in mano, osserva a lungo la sua unica via d’uscita, l’unica che gli sia rimasta per fuggire dal dolore anche solo per poco tempo.
Sospira. E mentre le lacrime iniziano a scendergli di nuovo sulle guance, in silenzio, un piccolo bruciore familiare sul braccio si fa sentire. Poi il buio.





Letizia
Ciao bellssimi! Come state? Spero che vada tutto bene e che anche il capitolo di oggi vi sia piaciuto!
Mamma mia, anche questa volta tante cosine abbiamo qui: Calum che conosce Ashton e che fanno qualcosa che non dovrebbe essere fatto (secondo voi, cosa?); poi c'è quella Moleskine nera (di chi è?) e Calum che fa cose che non si capiscono (secondo voi, cosa ha fatto?).
Scusatemi tanto se in questo periodo non mi dilungo molto nelle note autrice, ma sono sempre piena di cose da fare, è già tanto se riesco ad aggiornare in orario.
Prima di salutarvi, volevo ringraziarvi tutti quanti per ogni cosa che fate per questa storia, spronandomi a finirla il prima possibile solo per farvela leggere. Vi amo tutti, uno per uno, anche i lettori silenziosi che ogni tanto mi farebbe davvero piacere sentire ;) <3. Vi voglio davvero un mondo di bene, ci sentiamo presto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 9
*** Nove ***


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Nove
 
 
 
Perché tornare a vivere è sempre difficile e, se qualcuno è solo, diventa quasi impossibile.
Per questo le persone che si hanno accanto sono sempre importanti.
Perché danno la forza per non mollare; perché mostrano che non tutto è perduto.
 
 
 
I piedi marciano silenziosi sulle piastrelle del corridoio, senza interrompere il flusso di tutti quei pensieri che gli affollano la mente, chiudendolo in quella bolla che lo tiene separato da tutto ciò che lo circonda. Sospira lentamente, provando a mantenere la calma, cercando di evitare che l’immenso casino che ha in testa non intralci quel che deve fare.
Dopotutto, per Ashton Irwin, il tirocinio che sta facendo all’ospedale non è una passeggiata – come non lo è per nessuno studente di Medicina – e non può permettersi distrazioni di alcun genere. Eppure non ci riesce, non riesce a non pensare a Calum – visto pochi minuti prima – uno dei suoi migliori amici, ridotto in quel modo a causa di un qualcosa per cui nessuno può fare più niente ormai. Sono passati due anni da quando è cambiato tutto, ed Ashton aveva sperato fino in fondo che le cose potessero in qualche modo tornare quelle di un tempo; che i rapporti tornassero forti come erano sempre stati. Invece tutto è andato perduto, niente si è salvato; nessuno di loro è più lo stesso. E lui non sa più come risolvere la situazione; non sa più come fare per tenere in salvo quel poco che resta.
Si passa nervosamente una mano tra i capelli e segue il resto del gruppo del tirocinio tra i vari reparti, senza riuscire a prestare un po’ di attenzione alla spiegazione dell’insegnante. E tutto quello che fa dopo gli pare lontano da lui. È come se la sua mente fosse da tutt’altra parte, sintonizzata su quelle poche, pochissime cose che gli stanno troppo a cuore e che non riesce mai a mettere in secondo piano quando gli si presentano davanti.
Legge i referti, le cartelle; prescrive medicine; osserva le ferite; si assicura che il battito dei pazienti sia regolare; scrive numeri e parole che non lo scalfiscono minimamente, che non gli restano in testa. Perché il viso di Calum predomina su tutto il resto, come quei due occhi verdi che lo fanno capitolare in un istante, troppo intensi, belli, veri, troppo importanti per lui. Quegli occhi verdi per cui darebbe tutto ciò che ha pur di vederli felici
Il cuore comincia a battergli forte nel petto, e piccole gocce di sudore freddo gli scendono lungo la schiena, facendolo rabbrividire, distraendolo ancora di più da ciò che dovrebbe fare.
«Ashton?» lo chiama Willow, una sua compagna di corso, attirando la sua l’attenzione.
Lui la osserva in silenzio, limitandosi a portare i suoi occhi lucidi sulla figura della ragazza castana davanti a lui, sperando di trovare negli occhi color ghiaccio di lei quella risposta di cui ha bisogno da troppo tempo, ma che ancora non è riuscito a trovare.
«Va tutto bene?» chiede l’altra, seriamente preoccupata.
Il ragazzo scuote la testa, impercettibilmente, e sospira di nuovo, stanco di tutto. Vorrebbe tanto capire perché la vita debba essere così complicata, e che senso abbia tutto il dolore che chiunque si ritrova a provare, in un modo o nell’altro. Vorrebbe capire, ma sa che è umano, e certi limiti non si possono superare, non del tutto.
«Vuoi parlare un po’?» continua ancora Willow; la voce bassa, il tono pacato, per niente invadente.
«Tanto non cambierebbe niente.» ammette il riccio, per poi passare a controllare l’ennesima cartella clinica.
«Forse no, ma almeno ti aiuterebbe a stare meglio per un po’.» ribatte la giovane con voce allegra, riuscendo a strappare un piccolo sorriso dalle labbra del ragazzo.
«Grazie Willow, ma preferirei evitare. Non… Non è un argomento di cui parlo volentieri.» ammette lui; gli occhi fissi su un punto indeterminato del pavimento, il cuore che corre più veloce nel petto, il respiro lento.
Lei non aggiunge altro; si limita a battergli un lieve colpo sulla spalla, quasi a volergli dare un po’ di quel coraggio che gli manca, per poi raggiungere il resto del gruppo, lasciandolo da solo.
Ashton abbassa lo sguardo sull’orologio che porta al polso e sorride, felice.
Manca davvero poco alla seconda pausa della giornata.
 
Scorre lentamente le dita sullo schermo del telefono. E ad ogni foto che gli passa davanti agli occhi, non riesce a non sorridere, anche se il peso dei ricordi diventa sempre più opprimente, secondo dopo secondo, schiacciando tutto il resto, facendo sparire lentamente quei pochi colori che riesce a tenere accesi con fatica.
Sospira, e intanto immagini del passato, spezzoni di momenti bellissimi che tuttavia non ci saranno più gli invadono la testa ed il cuore, aumentando quel senso di vuoto che sente dentro al petto e che fa sempre più male. Perché la mancanza di una persona importante non si colma mai del tutto e le ferite che la distanza porta con sé sono sempre quelle più lente a guarire. Ormai ha imparato a convivere con quei sentimenti, con quelle sensazioni; a volte però sono troppo forti, e lui cade, perché i muri che aveva costruito sono andati distrutti completamente, e lui non si è più preoccupato di ricostruirli.
Perché Michael, tutta quella storia, alla fine è riuscito a superarla; ad accettarla; a metterci una pietra sopra. Ha voltato pagina, e anche se qualche volta ricordare gli fa male, sa che niente potrà cambiare, l’ha capito. Solo… Vorrebbe che niente di tutto quello fosse successo. Perché adesso ogni cosa è a pezzi e lui non sa come fare per farli tornare come prima. Ha perso troppe persone importanti in un periodo di tempo troppo breve. E la mancanza è ciò che ferisce più di tutto il resto; soprattutto la mancanza di chi ancora c’è ma che non si fa vedere.
Ed è mentre pensa quelle cose, che due occhi color caffè si fanno spazio tra i suoi pensieri.
E il suo cuore affonda ancora un po’ di più nel limbo dei ricordi, tra quei pomeriggi fatti di musica, di risate, di amicizia, rese uniche da quell’affetto senza limiti che univa tutti loro, ma che si è rivelato non essere forte abbastanza per superare le sfide della vita, che ha messo sul loro cammino una difficoltà dopo l’altra.
Sospira e si passa una mano tra i capelli colorati di nero, quella tinta ormai da rifare che – a parte lui – nessuno riesce a sopportare. È stanco, di tutto. Vorrebbe solo uscire da lì il prima possibile, per non sentirsi oppresso; per non permettere ai ricordi di infierire oltre; per aiutare i suoi genitori a rimettersi in piedi. Perché è da due anni che non sono più quelle persone che lo hanno cresciuto. Sono cambiati, sono a pezzi, incapaci di uscire dal buio che li ha inghiottiti e che non li ha mai lasciati liberi. Un buio che Michael conosce bene, e da cui è riuscito ad uscire grazie alla persona più importante della sua vita. Quella persona che gli è sempre stata accanto e che lo ha sempre sostenuto, curandogli tutte le ferite e facendole sparire un poco alla volta.
E si ritrova a sorridere, mentre i suoi occhi verdi cadono sul libro che Letizia gli ha lasciato mezz’ora prima, una volta finito il suo turno di visita.
Noi siamo grandi come la vita.
Questo è il titolo. Parole che fanno a botte con la sua di vita, in pezzi, un po’ persa, ma illuminata e resa migliore da quella persona che non potrebbe mai permettersi di perdere.
Si sporge un poco, giusto per arrivare al libro e prenderlo in mano, curioso di capire un po’ il mondo di quella ragazza che gli tiene compagnia quasi tutti i pomeriggi e che lo incuriosisce da morire. Perché a Michael non è passato inosservato lo sguardo perso, assente, su quel viso stanco e segnato da un dolore diverso da suo ma che allo stesso tempo li accomuna. Non gli è passato inosservato il fatto che la mora metta i muri per ogni cosa, anche per la più piccola, come a voler tenere tutto lontano da sé, per proteggersi da un qualcosa che il ragazzo ancora non è riuscito a decifrare.
E mentre si immerge nella lettura, mentre gli occhi corrono veloci sulle parole stampate, non riesce a smettere di pensare a quella mora a cui si è affezionato in maniera indescrivibile, anche se la conosce solo da pochi mesi. Come sia successo, non sa spiegarselo con certezza; sa solo che il legame che lo unisce a lei è forte, è importante, è un’amicizia a cui sa di non voler rinunciare, per niente al mondo. Si fidano l’uno dell’altra; e Michael sa di non poter chiederle niente di più. Perché in quegli occhi color cioccolato ha visto quanto le resti difficile aprirsi e farsi conoscere al mondo esterno, come se quello che ha dentro al cuore dovesse restare lontano da ogni cosa per non stare male, difendendosi con ogni arma che ha.
Questa è Letizia, almeno da quel poco che è riuscito a capire.
Una delle persone più importanti di tutta la sua vita, anche se lei ancora non lo sa.
 
Il libro è nuovamente posato sul comodino accanto al letto, con il segnalibro a metà, quando un ragazzo riccio entra nella stanza di Michael, facendolo sorridere allegro come non mai. Dopotutto, ogni volta che si vedono, entrambi diventano inevitabilmente più felici, non riescono a contenersi, è impossibile.
«Scusa se ci ho messo tanto.» dice il riccio con il sorriso sulle labbra, mentre si siede sulla sedia dove quasi una mezz’ora prima si trovava Letizia. «Mi hanno trattenuto.»
Michael ridacchia divertito mentre lo osserva attentamente, senza perdere nessun movimento.
«Sta’ tranquillo, Ash. Sai che per te io aspetterei sempre.» ribatte poi.
Il maggiore gli sorride e prende una mano del minore tra le sue, accarezzandola piano, con quella dolcezza perennemente disarmante, che riesce sempre a far battere forte il cuore di Michael. Ogni cosa di Ashton riesce a fare quell’effetto al ragazzo dai capelli colorati, ma questo è tutto un altro discorso.
«Come stai?» chiede il riccio, sinceramente interessato.
Michael sospira e si passa la mano libera sul viso. «Potrei stare meglio, però… Sto bene, davvero.»
Ashton sorride mesto, senza staccare i suoi occhi particolari da quelli chiari dell’altro, perdendocisi tranquillamente come ogni volta, mentre sente che ogni preoccupazione si sta allontanando, lasciandogli il cuore finalmente libero di poter tornare a battere senza fatica almeno per qualche minuto. Eppure… Tutti i pensieri di quel giorno non riescono a lasciarlo andare, non ancora, troppo importanti per poter essere ignorati in quel modo. Come quella domanda che gli ronza in testa da sempre e che sa di dover porre al ragazzo seduto davanti a lui.
«È venuto a trovarti almeno una volta da quando sei qui?»
Perché quella domanda è solo un altro di tutti i pensieri che lo assillano – forse il dubbio più importante di tutti – soprattutto quando quella persona che entrambi conoscono troppo bene – o meglio, conoscevano – non viene mai a fare un saluto a chi lo aspetta da due anni, ormai diventati lunghi quasi come una vita intera. È il dubbio che più fa preoccupare Ashton; che più lo rende triste; che più gli ricorda che ogni cosa è andata in pezzi per qualcosa di cui le poche persone che conoscevano tutta la storia non hanno capito niente a tempo debito. E di quello, ognuno di loro, a modo proprio, si è incolpato e si è scusato tante, spesso troppe volte. Poi, alcuni sono riusciti a mettere una pietra sopra quel capitolo della loro vita, per voltare pagina; altri invece non ci sono riusciti e hanno lasciato che il dolore prendesse il sopravvento su ogni cosa.
Michael scuote lentamente la testa e sospira stanco. «No, non è mai venuto.»
Ashton abbassa lo sguardo, confuso, arrabbiato. Ormai non sa più quale emozione sia giusto dover provare, cosa sia giusto pensare o fare. Non capisce più niente. Soprattutto, non riesce più a capire quel ragazzo, uno dei suoi migliori amici, che ha mandato a puttane tutta la sua vita due anni prima.
«Io proprio non lo capisco. Cazzo, tutti noi abbiamo passato la stessa storia, eppure siamo qui, siamo vivi, con qualche ferita sul cuore… Però… Però ci siamo e siamo andati avanti.» si ferma un attimo, frena il suo sfogo improvviso, che si permette di liberare solo quando è con Michael. Lui, che lo sta osservando attento e preoccupato, conscio di quello che stanno provando entrambi, anche se non lo diranno mai per non far preoccupare l’altro.
«Perché lui non ci riesce, Mike? Perché?» chiede Ashton, bisognoso di trovare quella risposta ad ogni costo.
L’altro gli si fa più vicino e gli stringe ancora più forte la mano, come a volerlo sorreggere, come se volesse aiutarlo ad essere più forte di quanto in realtà già non sia.
«Ha letto il diario, due anni fa.»
E quella risposta fa cambiare prospettiva ad Ashton. Lui, che resta senza parole per la sorpresa ed il dolore lancinante dentro al petto. Lui, che si sente sprofondare nella frazione di un istante. Lui, che si sta maledicendo ancora una volta per essere sempre troppo cieco.
Lui, che preme d’improvviso le labbra su quelle dell’altro per non pensare più, per trovare un po’ di pace.
Michael risponde a quel bacio con tutto l’amore possibile, perché vuole proteggere Ashton ad ogni costo. Dopotutto, c’è un motivo se stanno insieme da quasi quattro anni.





Letizia
Ciao bellissimi! <3
Prima di tutto, scusate se posto a quest'ora, ma oggi avrò un monte di cose da fare, quindi eccomi quia postare ;).
Allora, capitolo nove bello ricco eh? In succo, scopriamo la prima delle coppie della storia... I MASHTON!!!!! Awww, i miei bambini!!! Sono o non sono bellissimi?! Io li adoro, ahahah ;).
Voi che ne pensate? Fatemi sapere, mi raccomando, ci conto! <3
A presto e grazie mille per ogni cosa, sul serio, non avete idea di quanto vi adori! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 10
*** Dieci ***


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Dieci
 
 
 
Ma se quel tutto è perduto per sempre, a volte non c’è più speranza di tornare.
E fidarsi, farsi amare inizia a fare paura.
Perché provare a vivere di nuovo non è mai facile, quando non si ha più niente.
 
 
 
E ormai che l’effetto dell’illusione è sparito, un effetto che dura sempre meno ed è sempre meno potente, Calum non sa più che cosa fare per non lasciarsi sopraffare di nuovo dall’ondata di dolore e di ricordi che cerca di tenere lontano dal suo cuore da ben due lunghi anni. Un’ondata che tuttavia non riesce a sconfiggere mai del tutto e che lo schiaccia, lo rende debole ogni volta che attacca, ogni volta che si permette di prendergli un pezzo di cuore e di mandarlo in frantumi con una facilità devastante.
Sospira e si passa una mano tra i capelli scuri, cercando di mettere a fuoco quello che è attorno a sé, lottando contro le lacrime piccole e silenziose che gli minacciano la vista e che gli solcano lentamente le guance, bruciando e dando libero sfogo all’immenso casino che Calum sente dentro e che non riesce più a contenere, nonostante gli sforzi che fa, giorno dopo giorno.
Perché deve essere tutto così difficile? Perché non riesce a dimenticare, ad andare avanti? Perché è stato così cieco, quando invece avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti sempre, per evitare che tutto accadesse?
Non riesce a capire. Troppe domande e nessuna risposta per quei dubbi che lo mandano in confusione, facendo a pezzi le poche certezze che gli restano e a cui si ancora per non cadere di nuovo, per non venir risucchiato da quel buio da cui non c’è mai ritorno, neppure con l’aiuto delle persone che si ama.
Ha provato per un po’ a suonare il basso, il suo strumento, il suo migliore amico da tutta una vita dopo Luke. Ma neppure la musica è riuscita ad aiutarlo quel pomeriggio, neppure lei è riuscita a coprire anche solo per poco ciò che lui vorrebbe dimenticare ma che si ripresenta puntualmente nella sua mente, ricordandogli ogni volta che è tutta colpa sua e che niente potrà mai cambiare la situazione in cui si trova.
Eppure… Una soluzione ci sarebbe, una soluzione definitiva che potrebbe mettere a tacere del tutto ogni cosa. E lui, a quella soluzione, a quella via di fuga, ci ha pensato non appena si era ritrovato intrappolato nella rete del dolore. Ci aveva pensato a lungo, in quegli anni, soprattutto all’inizio, a volte a anche mente troppo lucida; aveva considerato bene la scelta da fare e ciò che ne sarebbe derivato. Poi però aveva capito che non sarebbe servito a niente, aveva capito che non avrebbe avuto senso aumentare il dolore di chi gli stava vicino e che non avrebbe risolto niente agendo in quel modo. Soprattutto, sarebbe venuto meno a quella promessa che aveva fatto e che avrebbe mantenuto fino alla fine, nonostante tutto e tutti.
Il problema però sta proprio lì; sta nel fatto che lui quella promessa riesce a mantenerla a stento, con fatica immane, perché ogni sua energia, tutto quel poco che c’è ancora dentro di lui viene lentamente risucchiato dal dolore, come se quel poco che è rimasto fosse la fonte stessa da cui il buio si alimenta per poterlo sopraffare sempre più spesso e sempre più a lungo.
Si sente perso, Calum. Si sente svuotato di tutto, senza una meta a cui sperare di poter arrivare un giorno o l’altro per sentirsi finalmente libero da ogni peso, libero dalla morsa del dolore e dei ricordi. È rotto, Calum, ha perso ogni speranza da troppo tempo. E adesso per lui pregare, sperare di poter tornare quello di prima anche solo per un attimo, gli sembra una grande illusione, una meta troppo lontana da raggiungere. Vorrebbe tornare a vivere come faceva prima; vorrebbe tornare a sorridere davvero, a sentire il calore tiepido della vita che gli scuote ogni cellula e lo fa emozionare per ogni più piccola cosa; vorrebbe tornare a vedere il mondo sotto una luce più bella, più positiva. Ma sa anche che questo rimarrà sempre e solo una speranza, un sogno destinato a non realizzarsi mai. Perché lui da solo la forza di reagire; di rimettersi in piedi; di riprendere in mano la sua vita per salvarla, per tornare a farla splendere, non c’è l’ha. Perché Calum non ha più niente; è vuoto. Quella è l’unica certezza che gli resta, oltre al dolore, ai ricordi e a quel diario che avrebbe preferito non aver trovato.
E mentre tutti quei pensieri gli affollano mente e cuore, i suoi occhi scuri restano inespressivi, fissi sulla finestra semiaperta da cui entra l’aria fredda di fine inverno. Ma è come se lui non fosse lì. È come se vivesse tutto da spettatore esterno che non riesce a controllare niente di quello che sta succedendo e che vorrebbe tanto andarsene pur di non stare male, ma non può a causa di quelle catene invisibili ed infrangibili che lo tengono lì, prigioniero di tutto, costringendolo a vedere ogni cosa, a stare sempre peggio ad ogni secondo che passa.
Vorrebbe solo potersi liberare, Calum, una volta per tutte. Ma non sa come fare.
E intanto piccole lacrime continuano a solcargli le guance, mostrando quanto il suo cuore stia andando in pezzi.
 
I suoi occhi color cioccolato vagano su ogni cosa attorno a lei con aria assente, stanca, persa. Perché la mente di Letizia non è concentrata sul via vai frenetico di Sydney, sulle persone che le passano accanto quasi di corsa o sulle macchine che sfrecciano veloci sulle strade quasi oltrepassando il limite di velocità.
Pensa, Letizia, al pomeriggio trascorso con Michael in ospedale. E non riesce ancora a capire come mai non sia riuscita a parlargli di Calum. Dopotutto, lei e quel ragazzo parlano di tutto. O almeno, lui le racconta sempre tante cose e qualche volta riesce pure a farla ridere. La mora invece, non è ancora riuscita ad aprirsi con Michael. Probabilmente perché, per lei, fidarsi di qualcuno è la cosa più difficile di tutte, da sempre; ed il fatto che non sia ancora riuscita a raccontare al ragazzo la sua storia lo dimostra. Gli unici che ne sono al corrente sono chi l’ha cresciuta e Madison, e c'è un motivo se Letizia non tira mai fuori quel lato della sua vita, quella parte di sé che vorrebbe dimenticare, che tanto vorrebbe cambiare per non sentire più alcun dolore. 
Sospira, e ancora si chiede perché non riesca a parlare del suo vicino con nessuno. Spesso trova difficoltà persino ad accennare qualcosa alla sua migliore amica, come se Calum fosse un segreto da custodire e da tenere il più lontano possibile dagli altri, anche se tra loro due non c'è assolutamente niente. 
Perché è passata una settimana da quando si sono conosciuti, e dopo quelle poche parole scambiate a scuola non si sono più parlati. Non si sono mai aspettati la mattina per fare la strada insieme; non si sono mai seduti insieme a mensa anche se i loro tavoli sono vicini; non sono mai stati accanto durante le poche lezioni che hanno in comune; non si sono mai cercati di persona. Eppure i loro occhi hanno fatto tutto. Perché lei, anche se avrebbe voluto, non è mai riuscita a tenere a freno la sua curiosità verso quel ragazzo molto più simile a lei di quanto entrambi vogliano ammettere; troppo spesso si è ritrovata ad osservarlo di nascosto, cercando di capire quale fosse la sua storia, di trovare il perché quegli occhi color caffè fossero così distrutti e propensi a difendersi. Proprio come i suoi. 
E un po', così facendo, Letizia è riuscita a conoscere qualcosa di quel ragazzo, a vedere quanto la sua anima sia a pezzi. E la cosa che più la spaventa adesso è il fatto che vorrebbe conoscerlo ancora meglio, ancora più in profondità; vorrebbe capire il perché stia così. E proprio non sa come spiegarselo. 
Si passa nervosamente una mano tra i capelli, cercando invano di mettere un po' d'ordine in quella confusione che le attanaglia la testa. Perché non sa cosa fare, non sa come affrontare Calum e ciò che il ragazzo sta portando nella sua vita. È tutto un'incognita e Letizia ha paura che quello che potrebbe succedere possa farle ancora più male. Ha paura di ferirsi ancora di più e di non essere in grado di sopportare il dolore. Perché ogni volta che i suoi occhi incontrano quelli del moro, i suoi muri cadono. E lei non capisce più niente.
Intanto la musica nelle orecchie continua a farle compagnia, a non farla pensare.
Letizia guarda tutto, osserva attenta; e intanto si chiede quali siano le storie delle persone attorno a lei; cosa nascondano; cosa provino dentro al cuore; quanto abbiano da offrire se solo si lasciassero andare un po'. Proprio come dovrebbe fare lei, se solo la sua paura non la bloccasse ogni volta con quelle catene che non è mai riuscita a spezzare da sola. E pensa, che sarebbe davvero bello avere dentro un po’ di luce, al posto di quel buio che ingoia tutto e che nessuno riesce a mandar via. Una luce in grado di spazzare via lo sporco dalla sua vita.
Sospira di nuovo e si sistema gli occhiali neri sul naso mentre cammina in fretta sul marciapiede. Arriva a casa sua senza degnarla di uno sguardo, mente un brivido le corre lungo la schiena, e si avvia subito alle scale sul retro, salendole velocemente. Una volta arrivata sul pianerottolo di metallo che collega esternamente la sua stanza con quella di Calum, si ferma, con una brutta sensazione addosso. Vorrebbe andare in camera  per riposarsi un po', eppure… Non riesce a togliersi di dosso la curiosità di vedere cosa stia facendo il suo vicino. E subito si maledice mente si avvicina alla finestra di casa Hood, rimanendo completamente spiazzata da cosa vede. 
Perché Calum in quelle condizioni non l'aveva mai visto. 
E Letizia non sa spiegarsi come si ritrovi nella camera del ragazzo nella frazione di un istante.
 
Quando Calum sente la finestra aprirsi, non alza lo sguardo, non guarda chi è entrato. Resta immobile, come se niente e nessuno fosse abbastanza importante, abbastanza bravo da riuscire a salvarlo dal buio che lo sta inghiottendo ancora una volta, come se il dolore che ha nel cuore si divertisse a vederlo vacillare in quel modo. Non ha più alcuna difesa per potersi reggere sulle proprie gambe. È distrutto, di nuovo, e non riesce più a resistere. Ed è così chiuso nella sua bolla, così concentrato a cercare di rimettere in sesto quel che resta di lui che non si accorge di Letizia fino a che lei non gli si para davanti.
Allora alza lo sguardo, e quegli occhi color cioccolato così preoccuparti che lo stanno osservando attenti non fanno che peggiorare ogni cosa in un attimo. Perché per lui gli occhi della mora sembrano l'unico porto sicuro adesso, nonostante i muri che la ragazza cerca di rimettere in sesto per difendersi. Peggiorano tutto, quegli occhi scuri, perché sembrano poterlo capire; perché Letizia potrebbe capirlo davvero, a causa di quel buio e di quel senso di vuoto che li accomuna molto più di quanto entrambi vogliano ammettere. 
E mentre Calum cerca di non crollare più a fondo, Letizia non sa cosa fare.
Perché quella scena le ricorda troppo una parte del suo passato che vorrebbe dimenticare, quel passato che ogni volta le ricorda sempre quanto egoista e cieca sia stata di fronte ad un problema che durava da troppo tempo. E nonostante adesso tutto si sia risolto, lei non riesce a mandar via quei sensi di colpa che tanto odia. 
Osserva il ragazzo davanti a sé, catturata dal suo sguardo distrutto, in cui si rivede completamente anche se non vorrebbe. Non sa come fare. Perché non conosce Calum e non sa di cosa lui abbia bisogno per stare meglio. 
Ed è mentre si rende conto di ciò che ha appena pensato, che un lungo brivido le percorre la schiena, facendola irrigidire, facendole battere il cuore più velocemente del solito, facendola preoccupare. Perché dopo Madison – e Michael in seguito – non si era mai preoccupata di come stessero le altre persone. Eppure… Di Calum si preoccupa molto più di quanto vorrebbe. Si preoccupa, perché occhi così disperati come quelli del moro, lei non li aveva mai visti. Si preoccupa perché è sicura che dietro alla tristezza di cui lo sguardo del ragazzo è specchio, c’è molto altro, c’è qualcosa di meglio da poter offrire. E ancora non sa se sia una cosa positiva oppure no, conoscendo i suoi muri e le sue paure. Non sa perché quel ragazzo le stia così a cuore. Sa soltanto che non vuole lasciarlo da solo, perché nessuno può salvarsi senza l'aiuto di qualcuno. Perché Letizia vuole salvare Calum; vuole provarci; vuole vederlo sorridere almeno una volta; anche se il perché preciso ancora non lo sa. 
E non si rende neppure conto di quello che sta facendo, fino a che non si ritrova seduta sul letto accanto a lui, con i loro occhi che non hanno la benché minima intenzione di lasciarsi; come se una forza più potente di loro guidasse ogni gesto; come se i loro mondi, diversi e simili allo stesso tempo, si mostrassero all’altro senza paura; come se quei muri che proteggono ciò che resta di loro stessero lentamente cadendo su loro stessi per far entrare quel flebile raggio di luce di cui entrambi hanno bisogno più di quanto possano anche solo immaginare.
Letizia sospira e, senza pensare alle conseguenze delle sue azioni, lascia che sia il cuore a guidarla, riuscendo almeno per un istante a mettere in un angolo quella paura che la blocca ogni volta. Si lascia andare, si apre quel poco che basta per iniziare quel qualcosa che legherà entrambi in un gioco di cui nessuno dei due conosce davvero a fondo le regole o i confini. Un gioco che potrebbe lentamente cambiare tutto quanto.
«Calum?» lo chiama piano; la voce che sembra un sussurro, gli occhi più intensi e ancora più preoccupati di prima, il cuore che le batte troppo forte dentro al petto e che non le permette di respirare per bene, la sua mano che va ad asciugare un poco quelle gocce salate rimaste sul viso del ragazzo.
Quello stesso ragazzo che – sotto quel tocco nuovo, timido, tiepido, gentile; sotto quelle mani fredde e affusolate ma forti anche se più piccole delle sue; sotto quegli occhi intensi e veri, improvvisamente liberi dai muri che sembrano essere spariti – si sente sciogliere un po’, sente che qualcosa sta tentando di tornare al suo giusto posto, senza però riuscirci, a causa del buio che cerca di trascinare tutto in quel pozzo senza ritorno.
«Che succede?» chiede Letizia con voce bassa, intimidita, insicura, mentre con le dita continua ad asciugare lentamente il viso del moro, come a voler lenire almeno un po’ le ferite che ha visto in quegli occhi troppo simili ai suoi, specchi di un’anima devastata per essere rimessa in sesto in poco tempo.
Calum la osserva attento, a lungo, con il cuore che gli batte nel petto sempre più velocemente, riuscendo a mozzargli il respiro e a sorprenderlo. Perché lui non si è mai voluto aprire con nessuno; non ha mai voluto caricare gli altri di quel peso che deve portare da solo; non si è mai sfogato; non ha mai chiesto aiuto; non si è mai mostrato debole. Non ha mai aperto il suo cuore a qualcuno, per poterlo alleggerire anche solo di poco di tutto ciò che si porta dentro. Eppure… È come se gli occhi di Letizia lo spronassero a lasciarsi andare; è come se lo aiutassero a fidarsi della ragazza sconosciuta piombata nella sua vita all’improvviso. Sente il bisogno irrefrenabile di parlare con lei, probabilmente l’unica in grado di capirlo davvero. L’unica che, forse, potrebbe aiutarlo a stare meglio.
«Fa male.»
Riesce a mormorare solo quelle poche parole; la voce rotta, bassa. Parole che per Calum vogliono dire tanto, nascondono ogni cosa che lui custodisce nell’anima con troppa paura di poter andare in pezzi del tutto da un momento all’altro. Vorrebbe soltanto che qualcuno lo aiutasse. Vorrebbe che qualcuno lo salvasse; qualcuno che magari possa anche capirlo, stargli vicino, sorreggerlo quando potrebbe essere sul punto di cadere. Vorrebbe solo che il dolore smettesse di esistere, che smettesse di infierire sul suo cuore. Vorrebbe stare bene… E, forse, ammettere di aver bisogno di aiuto è il primo passo per salvarsi.
«Cosa “fa male”?» domanda Letizia ancora una volta, senza perdere di vista gli occhi di Calum neppure per un attimo. Occhi che, a quella domanda, diventano ancora più distanti; si chiudono ancora di più dietro ai muri che Calum si è inevitabilmente costruito attorno al cuore per difendersi; mostrano ancora di più quanto fragile e distrutto sia da tutto ciò che ha passato.
Lui non risponde, si limita a scuotere la testa, impercettibilmente, mentre si sente affondare, mentre sente tutto quel poco che resta scivolargli via dalle dita come se fosse acqua. Perché non è ancora pronto ad aprirsi del tutto, non è ancora pronto a rivivere ogni cosa dall’inizio; perché raccontare la propria storia non fa mai bene, non quando non si è ancora riusciti a metterci una pietra sopra per riprendere in mano la propria vita e farla andare avanti nonostante tutto.
Lei vorrebbe chiedere altro; vorrebbe sapere pur di cercare una qualsiasi soluzione per farlo stare meglio; vorrebbe poter fare di più in ogni senso; vorrebbe non doversi sentire sempre così inutile per gli altri.
Ma non appena grosse lacrime tornano a rigare le guance del moro, Letizia non ha bisogno di spiegazioni per sapere come comportarsi; non ha bisogno di un manuale d’istruzioni per capire quando una persona ha bisogno di un’ancora per tirarsi su. Ha già vissuto qualcosa di simile, e sa troppo bene che l’esperienza insegna molto più di quanto si possa immaginare. E adesso che ha una seconda occasione per poter rimediare, farà qualsiasi cosa per aiutare il moro seduto accanto a lei. Ha già sbagliato una volta e non può permettersi di farlo ancora.
Per questo lo abbraccia, Letizia. Abbraccia forte Calum, lo stringe a lungo, cercando di fargli capire che sarà lei la sua ancora, per quanto le poche forze che ha possano permetterglielo; nonostante la paura che ha di restare ferita, con i suoi muri nuovamente a terra, a causa di quel ragazzo per cui si sta preoccupando in un modo inspiegabile, incomprensibile persino per lei stessa. Ma non le importa quanto e se si ferirà. Sarà l’ancora di Calum in ogni cosa, proverà a resistere per e con lui e non lo abbandonerà; non adesso che quel qualcosa tra di loro sta prendendo forma, anche se non riescono a capire cosa stia succedendo. Perché alcune cose nella vita non vanno capite per forza; a volte vanno solo accettate per come accadono e per le sorprese che portano, belle o brutte che siano.
Calum si lascia abbracciare, si lascia cullare, lascia che il tepore del corpo di Letizia contro il suo lo scaldi un po’, come se volesse riempire quel vuoto che nessuno è mai riuscito a curare. Si lascia andare, lascia che il suo dolore esca da lui in silenzio, lentamente, mentre la sua fronte è sulla spalla della mora e le braccia di lei sono strette attorno a lui, delicatamente. Lascia che, quasi con timidezza, la determinazione e la forza dell’altra gli entrino nel cuore e lo tengano al sicuro anche solo per poco. E Calum lo sente fin dentro le ossa, che di quella ragazza può fidarsi, nonostante la paura che lo paralizza; sente che non è uno sbaglio sperare di poter avere un aiuto in più, una fonte di luce che potrebbe aiutarlo molto più di quanto entrambi possano anche solo sperare.
E, senza rendersene conto davvero, entrambi iniziano a fidarsi l’uno dell’altra, anche se hanno paura di quello che potrebbe accadere. Perché, per loro due, fidarsi degli altri e lasciare che qualcuno entri dentro di loro anche solo per amarli, li spaventa in un modo che mai avrebbero creduto possibile. Perché ci hanno rimesso troppe volte per potersi permettere il lusso di farlo ancora.
Eppure… Quasi sembra che un po’ la paura vada via, nonostante tutto, quando Calum e Letizia sono insieme. È come se secondo dopo secondo svanisse, lentamente, come una nube di nebbia che si dissolve col tempo, lasciandoli finalmente liberi di respirare un po’ di più a pieni polmoni, senza il timore costante di poter cadere da un momento all’altro.
Entrambi sentono fin dentro l’anima che le cose potrebbero migliorare. E sentono anche che, forse, quel niente che hanno potrebbe tornare ad essere qualcosa. Sentono che forse quel niente potrebbe davvero tornare a vivere.





Letizia
Ciao tesorini miei! Spero che stiate tutti bene ;) <3 <3 <3
Allora, che capitolo intenso anche queso, deheheh. Ci sono i nostri Lalum (*^*) che mi hanno fatta morire di crepacuore mentre scrivevo queste scene; accidenti a loro u.u
Anyway, i nostri due cari iniziano a fidarsi l'uno dell'altra e a mettere le basi per un rapporto (che per adesso non si sa di che tipo; voi avete idee al riguardo? ;)).
Spero che vi sia piaciuto e spero di vedervi in tanti a farmi sapere cosa ne pensate:). Sappiate che vi adoro, tutti quanti, senza eccezione :3. 
Grazie inifnite per tutto quanto, ci sentiamo presto! <3 <3 <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 11
*** Undici ***


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Undici
 
 
 
Eppure, a volte quel niente può cambiare ogni cosa, può tornare a splendere nella frazione di un istante.
Perché essere umani non è mai una condanna, anche se può sembrarlo.
E perché sanguinare quando si cade non è un crimine.
 
 
 
Si chiude la porta di casa alle spalle così violentemente da far tremare le finestre del piano terra vicino l’entrata. Ma non gli interessa, non quando ha pensieri di altro tipo e calibro nella testa.
Semplicemente, Luke non pensa a niente in quel momento, non vuole farlo, non quando si tratta di sua madre e di quel capitolo della sua vita che la donna non è ancora riuscita a lasciarsi alle spalle, quando invece avrebbe dovuto farlo subito, evitando tutte le notti insonni e piene di lacrime sia per lei che per Luke. Lacrime che tuttavia il ragazzo non ha ancora visto, non quando entrambi tendono a proteggersi a vicenda e a lasciar libere le loro emozioni soltanto quando nessuno è attorno a loro, perché altrimenti non ci riescono. Perché devono mostrarsi forti; devono essere la roccia per l'altro ad ogni costo. Perché se uno di loro due cade, tutto va in frantumi.
E Luke sta cercando di evitarlo da anni, ma sembra che ogni suo sforzo sia sempre più vano. E non ha la benché minima idea di quanto ancora potrà resistere; spera solo il più a lungo possibile, perché Liz ha bisogno di suo figlio, come lui ha bisogno di sua madre.
Sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli. Vorrebbe semplicemente che non fosse tutto così difficile ogni volta. Vorrebbe tanto che le cose non fossero andate in quel modo. Vorrebbe solo che tutto tornasse com’era prima, perché anche se non era il massimo, ogni cosa andava bene.
Si alza il cappuccio della felpa sulla testa e, con le cuffiette nelle orecchie, comincia a camminare, lentamente, per le vie di quella città frenetica e sempre viva, che risucchia qualsiasi cosa con il suo via vai sempre attivo, sempre troppo veloce e mai attento al valore di ogni singolo secondo vissuto da chiunque.
Guarda tutto, ma in realtà non vede niente, troppo preso ad evitare di pensare ai minuti precedenti passati con sua madre. Minuti che vorrebbe soltanto dimenticare, come tutto il resto che ruota attorno a quella storia.
Perché gli occhi lucidi e stanchi di Liz, Luke non riesce più a sopportarli, non quando sa che lei potrebbe benissimo riuscire a voltare pagina, ad alzarsi nuovamente, se solo lo volesse. Non sopporta più vederla così, triste e senza quelle minime forze che potrebbero veramente darle una mano a rimettersi in sesto. Perché lui da solo riesce a malapena a non farla cadere. Con il poco che ha, Luke ha sempre tentato ogni modo per aiutare sua madre a non lasciarsi andare del tutto, a non perdersi nel limbo dei ricordi e del senso di sconfitta che non l’ha mai abbandonata da quando tutta quella storia è cominciata. Eppure, nonostante i suoi sforzi, le cose sono andate sempre peggiorando. E lui è rimasto con solo l’anima troppo stanca e spossata per poter sopportare altro. È come se andasse avanti per inerzia, come trasportato dalla marea.
Perché, oltre sua madre, c’è anche Calum con tutto ciò che sta vivendo che non riesce a farlo stare tranquillo, che lo preoccupa immensamente e che non lo lascia respirare neppure per un secondo, a causa di quella paura insinuatasi dentro di lui che sembra non volerlo lasciare per nessun motivo.
Si sente svuotato di tutto, Luke; come se non ci fosse altro dentro di lui se non un immenso buco nero che risucchia lentamente ogni poca cosa rimasta; come se la preoccupazione si divertisse a tormentarlo in quel modo, così a lungo fino a che non lo vede quasi cedere del tutto; allora allenta la presa, come a volerlo far riprendere, ma non se ne va mai del tutto. E non se ne andrà mai, fino a che tutto quanto non avrà definitivamente voltato pagina.
Cammina senza una meta ben precisa, e intanto la città attorno a lui sembra non notarlo, presa com’è a far girare ogni cosa il più velocemente possibile, senza preoccuparsi minimamente di chi rimane indietro, senza dare importanza a chi da solo non ce la fa. Cammina, e si chiede per quanto tutto dovrà continuare.
Intanto, i messaggi a cui risponde gli tengono la mente occupata, principalmente a causa del loro mittente, mentre un lieve sorriso ogni tanto riesce a prender vita sulle sue labbra piene adornate da un piercing, quel piccolo cerchietto di metallo a cui all’inizio sua madre era tanto contraria. Un sorriso che non riesce a contenere, non quando si tratta di parlare con quella persona, che lui non ha mai incontrato, ma che sembra capirlo meglio di chiunque altro nonostante la loro strana amicizia sia cominciata solo da pochi mesi. Tre, per la precisione, durante il quali è riuscito a sopportare un po’ più a lungo le sue paure, semplicemente perché quella ragazza sconosciuta gli ha tenuto compagnia, come sta facendo anche adesso. E lui sul serio, non potrebbe chiedere niente di più.
Svolta a destra, ritrovandosi davanti il parco della città, vicino la cui entrata nota subito una ragazza bionda che riconoscerebbe tra mille. Così risponde all’ultimo messaggio e le si avvicina, con il sorriso sulle labbra, stavolta nato per una causa diversa. Una causa a cui Luke non pone attenzione, ma che inizia a fargli battere il cuore un po’ più forte dentro al petto.
 
La musica ad alto volume nelle orecchie, gli Sleeping with Sirens che suonano Fly, i brividi che le corrono sulla pelle nonostante la felpa pesante ed il cappotto che teoricamente dovrebbero tenerla al caldo in quel pomeriggio di fine inverno. Quella è Madison, in uno dei suoi soliti pomeriggi passati in solitudine. Pomeriggi di cui ogni tanto ha bisogno per rimettere un po’ in ordine le idee, per non permettere al buio di tornare ancora una volta.
Ne ha approfittato quel giorno, sapendo che Letizia non ci sarebbe stata per far visita al ragazzo dell’ospedale.
«Un giorno te lo presenterò, sul serio. Te lo prometto.» le aveva detto la sua migliore amica dopo circa un mese che andava a trovarlo. E Madison sa che, nonostante i mesi siano poi diventati tre, non ha bisogno di preoccuparsi. Perché se c’è una cosa di cui può star certa su Letizia, è che la mora manterrà sempre la parola data, non importa di quanto tempo le ci vorrà, ma non verrà mai meno ad una promessa. E glielo ha dimostrato in così tante occasioni che adesso lei non si preoccupa più per nessun motivo.
Continua a camminare in quel pomeriggio di fine agosto, con le temperature troppo basse per essere a fine inverno e con la testa troppo piena di cose che vorrebbe non provare. Perché si sente debole.
Si è sempre vista così, senza volontà, senza coraggio o fiducia in se stessa. Ed il fatto che, nonostante la lezione del passato, stesse quasi per caderci di nuovo poco prima di uscire, aggrava ancora di più tutta quella confusione che la ragazza si porta dentro da una vita. Sapere di non essere in grado di proteggersi da se stessa la rende ancora più preda dell’insicurezza, degli insulti della gente che lei – al contrario di Letizia – vorrebbe tanto saper ignorare del tutto. Quella consapevolezza la rende anche esposta alle conseguenze dei suoi stessi pensieri, che invece dovrebbero essere più luminosi, più tranquilli, più sereni. Perché nonostante tutto, lei sta meglio; impiega tutte le forze che ha giorno dopo giorno per non cadere, ma sta meglio. Quindi, perché dovrebbe sentirsi così? Perché considerarsi sempre inadeguata per le persone che la circondano e per le situazioni che si ritrova a vivere? Perché, benché ci provi, non riesce ad essere forte quanto vorrebbe?
Non lo sa, Madison, non lo sa per niente. Spera soltanto che un attimo di debolezza simile a quello che ha vissuto qualche minuto prima non ricapiti più. Perché non sa quanto potrebbe resistere da sola, senza l’aiuto di qualcuno.
La vibrazione del cellulare nella tasca del cappotto la fa sobbalzare. E si ritrova a sorridere impercettibilmente non appena nota da parte di chi sia il messaggio arrivato.
 
Da: Lu_x; 31.08.2015, 03:52 pm
Sai una cosa? Non sei poi così male come pensavo.
 
A leggere quelle parole, Madison sorride debolmente, rincuorata. E, mentre risponde, si ritrova a pensare che, se non ci fosse stato lui – quel Lu_x di cui si fida in un modo che non aveva mai sperimentato prima con nessun altro – lei a quest’ora avrebbe sicuramente commesso una pazzia. È come se quel ragazzo riuscisse a capirla anche senza il bisogno che lei gli racconti tutto. Non sa ben spiegarsi come mai quella specie di amicizia riesca ad aiutarla così tanto. Sa solo che non potrebbe fare a meno delle chiacchierate fatte con quello sconosciuto che la fa stare bene con niente. È troppo importante per lei, che tuttavia non sa ancora se vedere tutta la situazione sotto un punto di vista positivo oppure no.
 
Da: Madx; 31.08.2015, 03:54 pm
Menomale, mi fa piacere saperlo.
 
Mette il telefono in tasca ed affretta il passo per arrivare al parco il prima possibile. È la sua meta da sempre, il suo posto preferito per pensare, quel luogo magico dove può togliersi di dosso le sue paure, le sue preoccupazioni ed i suoi dubbi. E intanto, il cellulare non fa altro che vibrare, facendola sorridere allegra.
 
Da: Lu_x; 31.08.2015, 03:57 pm
Sai che sono sempre sincero con te. Adesso scusami, ma ho appena visto quella ragazza di cui ti ho parlato l’altro giorno. Spero sul serio di poter passare un po’ di tempo con lei.
 
Da: Madx; 31.08.2015, 04:05 pm
E allora cos’aspetti? Sono sicura che sarà felice di stare con te. Buona fortuna!
 
Da: Lu_x; 31.08.2015, 04:13 pm
Grazie! Ci sentiamo dopo. Ti voglio bene!
 
Madison legge quell’ultimo messaggio e sospira stanca, prima di riporre nuovamente il telefono nel cappotto. E intanto non riesce a non pensare a quel senso di fastidio che prova da quando Lu_x le ha parlato di quella ragazza; una ragazza che lui non aveva mai visto prima di allora e che si gli si era presentata davanti all’improvviso, sorprendendolo di quanto fosse diretta e di come riuscisse a vedere le cose al di là dell’apparenza.
È felice per lui, sul serio. Eppure, quel senso di fastidio proprio non vuole andarsene. Perché vorrebbe essere lei quella ragazza. Non perché le piaccia Lu_x o chissà cos’altro, ma per il semplice fatto di poter dire di aver catturato l’attenzione di qualcuno almeno una volta in vita sua. Però sa che rimarrà sempre un sogno; in fondo nessuno si è mai accorto davvero di lei.
Fa per entrare nel parco, scrollandosi di dosso quei brutti pensieri, quando una voce non la fa fermare all’improvviso. E subito il suo cuore inizia a battere più forte del normale.
 
«Madison!» Luke riesce a farsi ben sentire sopra al frastuono del traffico, e la ragazza non riesce a non sorridere per quel saluto così allegro, un saluto che mai si sarebbe aspettata. Gli risponde con un cenno della mano e aspetta che il biondo le si avvicini, con addosso il sorriso più bello e luminoso che Madison abbia mai visto. 
«Luke.» lo saluta poi, una volta che tra loro due ci sono soltanto pochi passi di distanza. 
«Che ci fai da queste parti?» le domanda il ragazzo con fare curioso, mentre cerca di attenuare i battiti del proprio cuore, scosso da uno strano brivido che Luke proprio non riesce a spiegarsi e che un po’ lo confonde, ma a cui preferisce non prestare attenzione, per il momento, concentrandosi solo sulla ragazza bionda davanti a lui che gli sta sorridendo cordiale.
«Una passeggiata.» risponde Madison. E in parte quel motivo è valido, ma la causa del perché sia uscita meglio tenerla per sé, come continua a fare da anni per evitare che le persone attorno a lei si preoccupino, dato che quella è l'ultima cosa che vuole causare. Perché non è mai voluta essere un peso, Madison, per nessuno.
Luke le sorride di nuovo e si passa nervosamente una mano tra i capelli, senza riuscire a capire davvero come mai si senta così intimorito da quella ragazza che – come Letizia – ha solo un anno in meno di lui e di Calum. E si sorprende parecchio, nel sentire la propria voce non molto sicura mentre parla, come se avesse paura di dire la cosa sbagliata, come se avesse di ferirla in qualche modo.
«Io… Ti va se ti faccio compagnia?» le chiede all'improvviso, lasciando entrambi spiazzati dalla proposta.
Lei perché proprio non si sarebbe mai aspettata una richiesta simile proprio da Luke. Lui, che invece non sa di preciso perché abbia dato voce ai suoi pensieri proprio in quel momento; perché è vero che vorrebbe stare un po’ con lei, solo che… Non si conoscono poi così bene, loro due. 
Perché, anche se è trascorsa una settimana dal loro incontro, hanno avuto pochissimi momenti per poter parlare un po', a malapena qualche secondo tra i corridoi per scambiarsi un veloce «Ciao.» o un semplice cenno della mano; raramente sono riusciti a chiacchierare per qualche minuto – per questo ringrazia ogni volta la fila che si crea a mensa per prendere il pranzo, perché è l’unico momento in cui hanno sempre modo di parlare più a lungo. Perché, alle lezioni che hanno insieme, non si sono mai seduti vicini: lei qualche volta insieme a Letizia nei banchi in fondo all'aula; lui invece nelle file di mezzo, a volte con Calum, ma sempre distante dalla ragazza. 
Ed è mentre si ritrova a pensare che lui ed il suo migliore amico, con quelle due ragazze, stanno in qualche strano modo vivendo la stessa storia – anche se per cause e motivi ben diversi l’uno dall’altro – Madison attira nuovamente la sua attenzione con la sua risposta, che lo lascia completamente spiazzato. 
«Mi farebbe molto piacere.»
E lei di preciso il perché non lo sa, ma vorrebbe trascorrere un po' di tempo con Luke, per conoscerlo un po' di più, per sapere qualcosa su quel ragazzo biondo che la incuriosisce come mai prima di allora nessun altro era riuscito a fare. Perché, nonostante non abbiano parlato molto, per lei quei «Ciao.», quei piccoli cenni, quei minuti passati in fila a mensa, valgono molto più di quanto voglia ammettere. Forse perché, ogni volta che i suoi occhi castani incontrano quelli azzurri del biondo, Madison sente qualcosa dentro al petto, qualcosa che la lascia senza parole e senza respiro, con la confusione che aumenta sempre e che non la fa ragionare. 
Da quando si sono stretti la mano, è come se quel ragazzo per lei fosse diventato una calamita. Però… Non sa davvero cosa sia meglio pensare e fare per affrontare quella situazione. 
Perché ha paura di cadere di nuovo; di non essere abbastanza forte per resistere se per caso venisse ferita. Ha paura che il passato torni a tormentarla ancora e che le lasci addosso quei segni che tanto odia. Quei segni che per troppo tempo sono rimasti su di lei a ricordarle quanto sia stata debole. Quei segni che non vuole più vedere e contro cui ha lottato anche prima di uscire, pur di evitare di mandare ogni cosa all’aria dopo tutta quella fatica.
«Stavi andando al parco?» domanda allora lui, sorridendole.
«Sì, avevo bisogno di un posto tranquillo per pensare.»
E Luke si maledice mentalmente. Perché gli sarebbe davvero piaciuto conoscere Madison un po' di più e passare un po’ di tempo con lei, magari per vedere ancora quegli occhi castani illuminarsi solo come poche volte era riuscito a notare. Ma non aveva minimamente pensato che lei avrebbe potuto avere qualcosa da fare quel pomeriggio. E lui non vuole dare l'impressione di essere un tipo invadente. Solo che… Quella ragazza lo incuriosisce davvero, con il suo essere diretta e sincera ogni volta che hanno modo di parlare, con quegli occhi luminosi e specchi di un mondo che il biondo vorrebbe davvero conoscere, anche se il perché di preciso non lo sa, o non vuole ammetterlo.
«Scusa! Giuro che non vo–» inizia, ma Madison lo interrompe subito.
«Luke, smettila. Se non mi facesse piacere stare un po’ con te, non ti avrei mai detto che saresti potuto rimanere.»
A quelle parole, il ragazzo si rilassa e sospira piano, tranquillo. E mentre entrambi si avviano verso il parco, Luke non può fare a meno di esultare in silenzio, felice di poter passare un pomeriggio diverso, in compagnia di quell’unica persona che potrebbe non farlo pensare anche solo per poche ore.
Per lei è esattamente la stessa cosa: ha semplicemente bisogno di un diversivo, di qualcosa o qualcuno che le tenga la mente occupata, senza dar modo alle sue insicurezze, alle sue paure, di prendere campo.
Hanno solo bisogno di star bene almeno per un po’, Madison e Luke. E sperano che l’altro possa aiutare in qualche modo, sperano che l’altro riesca a lenire anche se di poco quelle ferite che si portano dentro.
«Ci vieni spesso qui?» le chiede lui, curioso di conoscerla di più, di sapere che cosa nascondano davvero quegli occhi luminosi. Occhi che, tuttavia, hanno sempre una lieve ombra che li rende tristi, un’ombra che Luke ha notato troppo bene e che detesta. O almeno, apparentemente, gli occhi di Madison sembrano così.
«Potrei definirlo come la mia seconda casa. A volte passo più tempo al mio posto che in camera mia.» si ritrova a spiegare la bionda, con il sorriso sulle labbra e con uno strano senso di leggerezza addosso. Perché non era mai successo prima che qualcuno si interessasse così tanto a lei; le fa uno strano effetto, piacevole certo, ma comunque strano, come ogni cosa che si sperimenta per la prima volta e già piace dopo il primo secondo.
Luke sorride divertito, mentre gli occhi della ragazza tornano a brillare un po', come se parlare delle poche cose che le stanno a cuore fosse la medicina giusta per mandar via quell'ombra dai suoi occhi. E lui lo nota, nota anche troppo bene quanto lo sguardo della bionda sia bellissimo senza quell’ombra; nota troppo bene quanto quegli occhi castani, così semplici nel colore ma così intensi nelle emozioni, siano un tesoro inestimabile.
Perché si sta rendendo conto che gli occhi di Madison gli piacciono, così come sono, gli piacciono davvero. E vorrebbe vederli luminosi molto più spesso. Vorrebbe vederli vivi sul serio, sempre. Perché rendono più bella pure Madison, ancora più bella di quanto già non sia. Perché il biondo non può dire che l’altra gli è indifferente; sarebbe un’enorme bugia.  
Ha sempre pensato, da quando si conoscono, che Madison fosse una bella ragazza. Bella di quella bellezza nascosta e che si nota solo quando appare davanti agli occhi; quella bellezza che risiede maggiormente dentro di lei e che lo attira in un modo inspiegabile, un modo che davvero non riesce a capire.
E mentre chiacchierano di tutto, mentre ridono e scherzano un po’, mentre con le cuffiette che lei ha condiviso con lui ascoltano un po’ di sana musica, Luke si rende davvero conto che, forse, Madison è quel pezzo che gli mancava per poter stare meglio.
«Eccoci arrivati.» dice ad un tratto la ragazza, sedendosi sotto un vecchio salice piangente, lontano dal chiasso dei bambini e da sguardi indiscreti. Un albero solitario, che di rado si nota, a cui quasi sempre si dà pochissima importanza. Quello stesso albero che Madison ha sempre visto come un suo simile. Perché si è sempre tenuta in disparte, lei, ha sempre fatto in modo e maniera di sembrare invisibile, per non dar fastidio, per non essere di troppo, per non essere quel peso che nessuno vuole accollarsi.
Eppure… Eccola lì, seduta accanto a quel ragazzo che sembra quasi un angelo, con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare limpido. E la cosa che più la sorprende; che più la lascia spiazzata, senza parole; è il fatto che sia stato proprio lui a voler stare con lei.
È stato lui ad iniziare tutto, a partire da quel «Sono Luke, piacere.»; quelle poche parole che, a modo loro, hanno dato l’inizio a quel qualcosa che li lega in un modo che non riescono a spiegarsi, ma che entrambi adorano.
Perché è come se un po’ le cose tornassero a splendere quando sono insieme, anche solo per pochi minuti. È come se la speranza di cui necessitano trovasse nell’altro la forza per non morire. È come se le loro debolezze, le loro imperfezioni sparissero in un istante. È come se il fatto di essere umani, sbagliare, cadere e sanguinare; di non essere perfetti; non fosse più un problema, ma diventasse il loro punto di partenza, il loro pregio più bello e più vero.
E Madison ancora non riesce a crederci, non riesce a capire perché un ragazzo bellissimo come lui possa voler trascorrere del tempo con una ragazza anonima come lei. Perché Luke è bello, lo è davvero, non solo fisicamente; la ragazza non si è mai lasciata sfuggire i piccoli attimi di gentilezza del biondo verso gli altri.
Per lei, il ragazzo è una bellissima persona, e si sente davvero fortunata di poter trascorrere un po’ di tempo con lui; tempo che sta impiegando per conoscerlo meglio, per capirlo, per scovare quel segreto che quegli occhi azzurri come il mare custodiscono gelosamente, quasi avessero paura di chiedere aiuto. Esattamente come lei.
Perché Madison ha visto che il biondo non sta bene, ha visto anche troppo nitidamente che dentro di lui c’è un buio simile al suo. E si sorprende, perché non avrebbe mai creduto di poter incontrare qualcuno come lei sotto quel punto di vista. Aveva sempre pensato di essere la sola a stare così male, a faticare così tanto. E invece eccole davanti agli occhi un ragazzo forte, che tuttavia porta ben evidenti addosso i segni di quel dolore che la bionda conosce anche fin troppo bene.
«Mi piace questo posto.» commenta ad un tratto il ragazzo dopo lunghi minuti passati in silenzio sotto l’albero, con solo la musica ad interrompere quel silenzio in cui entrambi si sentono a loro agio grazie alla presenza dell’altro. «È come se volesse farmi sentire a casa.»
«Anch’io la penso così; ecco perché lo amo.» ammette Madison. E si ritrova con il cuore che batte forte e con il corpo che trema a causa delle parole del biondo, parole che mai avrebbe creduto di poter sentir uscire dalla bocca di qualcun. Trema, lei, perché non avrebbe mai creduto di poter trovare una persona così simile a lei in quel ragazzo perfetto, in quell’angelo steso accanto a lei sull’erba fredda di fine inverno. Quello stesso angelo che le sta sorridendo allegro e che la sta guardano attento, come a volerle accarezzare l’anima con quel semplice gesto.
Restano così, Luke e Madison, a tratti prede del silenzio e a tratti curiosi di sapere qualcosa in più dell’altro, con i loro cuori che intanto non riescono a smettere di battere, come se bastasse la presenza dell’altro a farli sentire vivi.
 
«Grazie per oggi.» si ritrova a dire la ragazza, con le guance un po’ più rosee a causa del freddo pungente della sera, mentre il sorriso non riesce a lasciare le sue labbra.
«Grazie a te per avermi permesso di restare.» ribatte lui ridacchiando e scompigliandole un po’ i capelli, senza dividere i loro sguardi, come se una forza che non riescono a controllare guidasse ogni loro gesto.
«Ci vediamo presto.»
«Domani a inglese, terza ora.» aggiunge il ragazzo, facendo ridere entrambi per quella piccola accortezza, per il semplice fatto di essersi ricordato una delle poche cose che hanno in comune.
«Grazie davvero.» continua lei, prima di salutarlo con un cenno della mano, prima di incamminarsi verso casa con il cuore che non smette di battere se ripensa a come si è svolto il pomeriggio in compagnia del biondo. Ma non riesce a fare neppure due passi, che subito una mano sul suo polso la fa fermare, per poi farla voltare indietro.
«E secondo te quello era un saluto?» le chiede lui, mentre tra i loro visi ci sono solo pochi millimetri di distanza.
«Cosa? No, io–» inizia Madison per ribattere, per scusarsi. Ma le labbra morbide e calde di Luke che si posano sulla sua guancia non le permettono di aggiungere altro. A malapena la lasciano respirare e lasciano che il cuore continui a battere senza sosta dentro di lei.
«Sappi che io accetto solo questo tipo di saluti dalle persone a cui tengo.» le fa sapere per poi andarsene, con il sorriso addosso che però la ragazza non può vedere. Un sorriso che – Luke lo sa troppo bene – è stata proprio lei a causare. Ed è mentre cammina, che si ricorda del messaggio che deve inviare.
Intanto, Madison procede lentamente sul marciapiede ormai quasi del tutto sgombro di persone. E ancora non riesce a capire cosa sia successo davvero. Le sembra tutto un sogno; un sogno che non vuole abbandonare per nessuno motivo e da cui non vuole svegliarsi più.
Ed è mentre cerca di placare il suo cuore, che le arriva un messaggio che riesce a renderla solo più felice. Un messaggio a cui risponde subito, con le dita che le tremano mentre digita le lettere sullo schermo.
 
Da: Lu_x; 31.08.2015, 06:12 pm
Non hai idea di che pomeriggio ho appena passato. Quella ragazza è pazzesca!
 
Da: Madx; 31.08.2015, 04:02 pm
Sono felicissima per te! E comunque, sappi che pure io ho passato una bellissima serata, con un ragazzo che mi ha letteralmente colta di sorpresa, in ogni senso
.





Letizia
Tesori ciao! Eccoci qui con il nuovo capitolo.
Un capitolo altamente fluff ed incentrato sui nostri Lukie. Awww, che topini che sono *^*. Voi che ne pensate di loro? Sull'amicizia che sta nascendo e sul loro rapporto in generale?
Sinceramente, sono davvero contenta di come stanno crescendo (MOLTO LENTEMANTE, ahahah) tutti i personaggi. Speriamo in bene :) <3.
Via via, vado a studiare, come al solito. Questa quinta distrugge parecchio :/.
Grazie per tutto: visite | recensioni | preferiti | ricordati | seguiti. Sappiate che voglio a tutti voi un bene dell'anima, non dimenticatelo! <3
Un bacione immenso e a sabato prossimo, Letizia <3

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Capitolo 12
*** Dodici ***


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Dodici
 
 
 
Perché neppure ammettere di aver bisogno di aiuto è un crimine.
Soprattutto quando la persona a cui lo si chiede diventa sempre più importante.
E a volte non serve chiedersi troppo, non serve a niente farsi mille dubbi; bisogna agire.


 
  
È sul pianerottolo davanti al suo appartamento da una decina di minuti ormai. E da dieci minuti si sta chiedendo che cosa gli stia passando per la testa; si sta chiedendo perché tutto debba sempre essere così complicato e così incomprensibile. Si rigira il telefono tra le mani per restare tranquillo, mentre cerca di regolare i battiti un po' incostanti del suo cuore. E intanto aspetta. Aspetta che la porta davanti la sua si apra. Aspetta che Letizia esca di casa per stare un po' con lei; con quella ragazza che è stata presente nel posto giusto al momento giusto per ben due volte; che lo ha aiutato senza accorgersene e senza chiedere niente in cambio. 
Che poi, non è neppure sicuro che quel giorno Letizia decida di uscire dalla porta principale; in fondo la vede sempre sgattaiolare via dalla finestra di camera sua la mattina. Spera solo di non star aspettando invano; spera davvero che la mora abbia deciso di cambiare le sue abitudini, almeno per una volta.
Perché vuole conoscere meglio la persona di cui ha deciso di fidarsi; quella persona molto più simile a lui di quanto entrambi possano anche solo pensare; quella persona che con l'abbraccio del pomeriggio precedente è riuscita a non farlo pensare. È riuscita a farlo stare meglio, anche se solo per poco.
Ed è sempre grazie a lei, se la notte non ha poi avuto incubi, se è riuscito a riposare un po' di più. È grazie a lei se quella mattina si è svegliato più tranquillo e disposto a chiacchierare per qualche minuto con sua madre – rendendola felice più di quanto lei abbia dato a vedere – prima che entrambi uccisero, lei per andare a lavoro all'ospedale, lui per aspettare la mora. 
Ed è mentre ripensa a tutte quelle piccole cose; mentre si rende conto che alla sua vicina deve già moltissimo; che sente la porta davanti a sé aprirsi. Alza subito la testa e il volto sorpreso di Letizia è la prima cosa che vede e che, irrimediabilmente, senza che lui riesca a controllarlo, gli mozza il respiro e lo fa sorridere impercettibilmente. 
Un sorriso che non passa inosservato agli occhi attenti della ragazza; un sorriso che le fa tremare il cuore e lo fa battere più velocemente. Perché, anche se solo per un istante, Calum le è sembrato se stesso, libero dal dolore che lo perseguita. Le è sembrato bello, come un angelo senz'ali che ha troppo bisogno di spiccare il volo per stare meglio, per sentirsi vivo davvero. Un sorriso che fa sperare Letizia, la fa sperare davvero tanto.
«Ciao.» la saluta il moro con un cenno veloce della mano, a cui lei risponde allo stesso modo, ancora preda di quel senso di sorpresa che le è nato dentro quando ha visto Calum davanti a sé all'improvviso. Perché non è mai successo qualcosa di simile tra loro, e Letizia non sa come affrontare quella situazione del tutto nuova.
«C–Che ci fai qui?» chiede infatti, cercando di capire.
«Tecnicamente, io abito lì.» spiega l’altro, indicando la porta alle sue spalle. «E poi volevo fare la strada con te, ma… Non sapevo se saresti uscita dalla finestra oppure dalla porta, quindi… Ho aspettato che tu uscissi.» si ritrova ad ammettere sena neppure rendersi davvero conto di ciò che ha detto fino a che i suoi occhi color caffè non incontrano quelli cioccolato di lei, sgranati, sorpresi, intimiditi, sulla difensiva.
«I–Io…» comincia Letizia, ma poi si zittisce, con le parole che lentamente le muoiono in gola, perché non sa davvero che cosa dire; non sa come comportarsi o cosa pensare in quella situazione che per lei è parecchio bizzarra, troppo fuori dalla sua normalità, dalla sua solitudine.
Perché non avrebbe mai creduto che Calum avrebbe potuto notare il fatto che lei usasse le scale posteriori; certo, le loro finestre sono l’una accanto all’altra e uno può vedere quando l’altro esce in qualsiasi momento. Ma non avrebbe mai creduto possibile che proprio lui si mettesse ad osservare i suoi movimenti.
Mentalmente, ringrazia Azura, che quella mattina è venuta a svegliarla. Perché è stato grazie a quel risveglio, se Letizia si è decisa a passare un po’ di tempo con lei. Pochi minuti, ma sufficienti a mettere il sorriso sulle labbra della donna e a far sentire la ragazza più leggera. Perché Azura merita solo affetto e riconoscenza; cose che, tuttavia, Letizia non riesce a darle come vorrebbe, per ripagarla di tutto. Ringrazia Azura, perché è stata lei a farle venire l’idea di uscire dalla porta principale, con quel suo «Questa sarà sempre casa tua; non fare come se non lo fosse.» che ha smosso dentro al suo cuore un qualcosa che la mora credeva di aver perso da tanto, troppo tempo, ma che invece si è rivelato essere sempre stato lì, a farle compagnia. E non avrebbe mai creduto che sorpresa le avrebbe portato la decisione presa. Perché non si sarebbe mai aspettata Calum davanti alla sua porta che aspettava proprio lei, per fare la strada insieme.
Allora lo guarda, lo osserva attenta. E si perde in quel color caffè, un po’ meno freddo rispetto a quando si sono conosciuti. Si perde e si chiede perché si sia comportata in quel modo il pomeriggio precedente. Si domanda che senso abbia avuto il suo gesto e perché abbia deciso di fidarsi di uno sconosciuto. Non capisce, non ci riesce, non sa come poter collegare tra loro tutte quelle piccole cose che hanno dato il via allo strano rapporto che la sta legando a Calum in un modo tutto particolare.
Eppure… Quando il ragazzo le si fa più vicino con il sorriso sulle labbra e con gli occhi lievemente più luminosi del solito, tutto diventa improvvisamente più chiaro, tutto inizia a delinearsi un po’ meglio, anche se solo di poco; quel poco che tuttavia basta alla mora per farle capire almeno una piccola parte di quella storia; una piccola parte che per adesso è più che sufficiente.
Perché è quello ciò che Letizia vorrebbe vedere sempre, quando si tratta del suo vicino: il sorriso allegro sulle labbra piene e rosee, gli occhi illuminati da quella scintilla di vita che nessuno potrà mai spegnere del tutto.
E intuisce anche il perché della sua scelta, il perché del volersi fidare di un ragazzo che per lei ancora rimane un’incognita ma che le sembra di conoscere da tutta una vita, probabilmente a causa di ciò che li accomuna: quel dolore che i loro occhi mostrano sempre, in un modo o nell’altro; quelle ferite che cercano di nascondere dagli sguardi degli altri, che cercano di tenere lontane da chi non potrebbe mai capire. Ha deciso di fidarsi di lui perché, forse, potrebbero aiutarsi a vicenda per rimettersi in sesto; per mettere insieme i pochi cocci rimasti delle loro anime distrutte; per far entrare dentro di loro quel piccolo fascio di luce che potrebbe farli stare un po’ meglio.
«Siamo in ritardo, meglio se ci sbrighiamo.» dice allora.
Non si pente della scelta che sta facendo, Letizia; non riesce a vedere niente di negativo in ciò che sta accadendo tra lei e Calum. Perché, nonostante tutto, il fatto che lentamente lui stia riuscendo ad abbattere i suoi muri, sta iniziando a non preoccuparla più. È come se fossero arrivati insieme allo stesso punto di non ritorno, e sempre insieme stessero cominciando a risalire passo dopo passo, con una speranza flebile dentro al cuore che prima di allora non avevano mai provato.
E nessuno dei due riesce a trattenere il sorriso mentre scendono di corsa le scale e si avviano a scuola; i loro cuori che battono più velocemente del solito e il loro vuoto dentro all’anima che lentamente inizia a riempirsi un po’.
Ed è mentre camminano sui marciapiedi pieni di gente già di prima mattina; con la musica che Letizia condivide con Calum; con le parole che non vogliono uscire dalle loro labbra perché non c’è alcun bisogno di spezzare il silenzio in cui sono caduti; con quella sensazione strana e piacevole che non smette di scaldarli; che entrambi si chiedono che cosa stia succedendo tra di loro. Ancora non riescono a capire bene i meccanismi di quel rapporto che li sta unendo, un rapporto particolare ed unico sotto ogni punto di vista. Sanno solo che sono curiosi di sapere come andrà avanti finire, con la certezza che nessuno dei due ferirà mai l’altro intenzionalmente. Perché sanno quanto facciano male le ferite che già si portano appresso e non vogliono essere la causa di altro dolore; perché sanno quanto sia difficile portarlo sulle proprie spalle, da soli, senza l’aiuto di nessuno.
E anche se quello è solo l’inizio, Letizia e Calum sentono già dentro al cuore che niente sarà più lo stesso.
 
Luke quella mattina si sente più sereno, più rilassato del solito mente finisce la colazione, con in sottofondo il rumore delle stoviglie che sua madre sta mettendo a posto. Non riesce a smettere di sorridere; forse perché il giorno prima è finalmente riuscito a dormire in pace, senza la preoccupazione che invece lo ha sempre tenuto sveglio durante le notti precedenti. O forse perché, molto più semplicemente, il pensiero di rivedere Madison tra poco lo riempie di allegria, la stessa allegria che quella ragazza è riuscita a trasmettergli il pomeriggio precedente nonostante la tristezza che il biondo ha notato anche troppo bene in quegli occhi dolci ed impauriti.
Occhi che non hanno mai lasciato in pace la sua mente neppure per un istante; che gli hanno tenuto compagnia per tutta la notte, come stanno facendo pure adesso; mentre lui cerca ancora di capire il perché di quelle strane sensazioni, di quelle strane emozioni che si ritrova a provare a causa dell’altra; emozioni e sensazioni che lo mandano in confusione, che gli rendono la mente poco lucida, che gli fanno battere fortissimo il cuore. Non riesce a controllare niente; come se tutto fosse sotto il volere di un qualcosa unico e potente che Luke ancora non conosce.
«Come mai tutto sorridente oggi?» chiede Liz all'improvviso, curiosa e allegra, attirando l'attenzione del figlio. 
«Ecco... Io...» si ritrova a rispondere Luke; la voce tremante, insicura, forse persino timida. Perché a conti fatti non sa davvero che cosa dire, non sa come poter spiegare lo strano buon umore che gli si è impiantato addosso. 
La donna sorride intenerita e si siede davanti al giovane. E si ritrova ad osservare attentamente suo figlio, che giorno dopo giorno cresce sempre più e che lentamente sta diventando un uomo di cui è veramente molto orgogliosa. È come se lo studiasse; e al suo occhio attento di madre non passano inosservati la luce nello sguardo felice del ragazzo, il sorriso che non gli ha mai abbandonato le labbra da quando si è svegliato, il buon umore ben evidente da ogni gesto che lui si ritrova a compiere senza neppure rendersene conto. 
«C'entra per caso una ragazza?» domanda la signora Hemmings, sospettando già la risposta che le verrà data. E le parole dette poco dopo, le dimostrano pienamente che ha visto gusto.
«Forse.» si ritrova infatti ad ammette Luke, con il sorriso che si apre ancora di più sulle labbra piene, mentre il cuore non riesce a smettere di battergli forte, mentre due occhi castani si fanno spazio dentro la sua testa.
Lo sguardo di Liz si addolcisce; e lei si ritrova a sperare che il ragazzo abbia finalmente trovato quella persona fatta proprio e soltanto per lui; quella persona che potrebbe renderlo felice davvero. Gli prende la mano e la stringe forte. «Se è così importante, non lasciatela scappare.»
Luke risponde alla stretta. «Non lo farò, sta' tranquilla.»
La donna ride, felice, per poi indossare il cappotto, pronta per uscire. «Muoviti, altrimenti non la vedi.»
Poi esce di casa, e al ragazzo sembra quasi impossibile aver appena avuto un discorso simile con sua madre. È stato come se fossero tornati a quando tutto andava bene, a quando Liz stava bene. E Luke non avrebbe mai potuto chiedere niente di meglio. Perché, anche se sono stati solo pochi minuti diversi dal solito, sa che per entrambi sono stati preziosi, perché hanno confermato a tutti e due che c’è ancora qualcosa per cui lottare, per cui tenere duro.
Ed è con quei pensieri, con quell’ottimismo da cui cerca di attingere più forza possibile, che si alza e mette in ordine le ultime cose, prima di prepararsi per uscire. E quando è ormai fuori casa, invia un veloce messaggio a quella ragazza sconosciuta che lentamente sta diventando sempre più importante per darle il buon giorno. Poi si avvia verso scuola, con addosso la voglia incontenibile di vedere due grandi occhi castani.
 
Si guarda allo specchio quella mattina, Madison. Osserva ogni più piccolo particolare della sua figura con fare quasi maniacale, ossessionata da idee e da pregiudizi che non riescono ad andare via dalla sia testa. Si guarda, e non vede più la ragazza forte che credeva di essere diventata; non vede più niente di buono. Perché non è mai stata forte, ed il fatto che il passato sia riuscito a rovinare nuovamente ogni cosa ne è la dimostrazione più evidente. 
Per un po' aveva creduto di essere diventata più determinata, più coraggiosa. Ma è stato solo per un istante, rispetto a tutto il resto, che è tornato e si diverte a torturarla, a farle perdere pezzi di cuore e d'anima. Non sa più che cosa fare, non sa più come proteggersi da se stessa e dalle sue paure. 
Sospira e si passa una mano tra i lunghi capelli biondi, mentre i suoi occhi continuano ad analizzare la figura riflessa sulla parte fredda e liscia, a studiarla per vedere cosa sia giusto e cosa no. E Madison sa che non va bene che il suo sguardo veda tutto in negativo. Ma non riesce a cambiare i pensieri dentro la sua testa, non riesce a cambiare l'effetto che le parole degli altri hanno su di lei. Lei, che è sempre stata troppo debole per reagire.
Si guarda un'ultima volta, poi volta le spalle a quell'immagine che non riesce a non giudicare ed esce dalla stanza, pronta per andare a scuola. Arriva alla porta e fa per aprirla, quando però la voce di sua madre la ferma, facendola rabbrividire nella frazione di un secondo, facendola sentire ancora più colpevole e più fragile.
«Tesoro…» inizia la signora King; e intanto gli occhi di Madison incontrano quelli della donna, simili nel colore caldo e dolce ma totalmente opposti nelle emozioni che portano dentro e che l'altra ancora non riesce a capire. 
«Stai bene?» prosegue Helen, e la ragazza sente anche troppo distintamente quella nota di preoccupazione nella voce di sua madre. Una nota di cui vorrebbe non essere la causa. Perché lei sa troppo bene di essere la causa della tristezza dei suoi genitori. Sa di non essere la figlia perfetta che Helen e Dominic King si meritano.
Perciò il contatto tra il suo sguardo e quello dell’altra non dura che pochi secondi, sufficienti alla donna per capire, nonostante la risposta della figlia.
«Tranquilla mamma, è tutto a posto. Non preoccuparti.»
Poi nessuna delle due aggiunge altro, e Madison si limita ad uscire di casa, con il cuore che batte sempre meno, schiacciato dal senso di colpa e di inadeguatezza che ogni giorno le nasce dentro e non la lascia libera.
Sospira di nuovo e si mette le cuffiette. E subito la musica agisce da calmante, la tranquillizza e le sgombra un po’ la mente, quel poco che basta per non impazzire del tutto già di prima mattina, quel poco che le serve per rimanere lucida almeno per restare a scuola. Perché poi sa che quel pomeriggio avrà bisogno di tornare al parco. Sa, sente che quel giorno dovrà lottare contro se stessa a lungo, per evitare di cadere di nuovo.
Ad un tratto, l’arrivo di un messaggio cattura la sua attenzione. Ma neppure Lu_x riesce a metterle il buon umore quella mattina. Perché a volte il dolore è troppo forte, e le cose che di solito portano felicità a volte non bastano.
 
Da: Lu_x; 01.09.2015, 07:45 am
Ehi nana, pronta per un nuovo giorno?
 
Da: Madx; 01.09.2015, 07:46 am
No Lu, non lo sono.
 
Risponde in quel modo, distaccato, freddo, inusuale persino per lei. E un po’ le fa male trattate il ragazzo in quel modo; lui che, a conti fatti, è una delle poche persone che ha sempre cercato di farla stare bene. Ma non vuole parlare con nessuno, fino a che non sarà arrivata a scuola. Ha bisogno di rimettersi in sesto, almeno un po’.
 
Da: Lu_x; 01.09.2015, 07:49 am
Va tutto bene?
 
Da: Madx; 01.09.2015, 07: 50 am
No, sta andando tutto a puttane, di nuovo. Ho solo… bisogno di un po’ di tempo, poi passa, giuro, passa. Quindi non preoccuparti.
 
Da: Lu_x; 01.09.2015, 07:53 am
Sicura?
 
Da: Madx; 01.09.2015, 07:54 am
Sì, Lu. Grazie, sul serio.
 
Da: Lu_x; 01.09.2015, 07:55 am
Non dirlo neppure per scherzo. Sai che tengo a te e che non me ne andrei mai anche se non ci siamo mai visti. Io ci sono sempre per te, l’ho promesso. E sai che io le promesse le mantengo, in ogni caso.
 
E Madison si ritrova a sorridere, senza poterlo controllare. Sorride flebilmente, perché ogni giorno quel ragazzo si sta dimostrando sempre più importante e sempre più sincero verso di lei. E non le importa se tra di loro possano esserci chilometri a dividerli. Sa, sente che di Lu_x può fidarsi davvero, anche se non lo conosce.
Ripone il telefono in tasca e svolta l’angolo. E per poco non le prende un colpo per la sorpresa.
 
«Che ci fai qui?» le chiede Luke; la voce allegra, il sorriso sulle labbra mezze coperte dalla sciarpa grigia che indossa e gli occhi azzurri più luminosi del solito.
«Stavo andando a scuola.» ammette lei.
Il cuore del ragazzo fa un balzo nel petto. Adesso che ha l’occasione, vuole usare tutto il tempo che ha a disposizione per stare con Madison ancora una volta. Non chiede altro.
«Ti va se facciamo la strada insieme?» propone allora, sperando con tutto se stesso che la ragazza dica di sì.
Lei che, alla richiesta inaspettata, non sa davvero come rispondere. Perché vuole seriamente passare più tempo possibile con il biondo… Ma tutto l’immenso casino che ha dentro le fa provare una strana sensazione, che inghiotte tutto quanto. Perché è vero che Madison non vuole né parlare né stare con nessuno. Eppure… Sa che anche di Luke può fidarsi; sa che con lui non ci saranno problemi di alcuni tipo; riesce a vederlo in quegli occhi color del mare; riesce a capirlo dai ricordi del pomeriggio precedente, passato proprio in compagnia di quel ragazzo che continua a sembrarle un angelo anche adesso, con il sorriso sulle labbra e gli occhi luminosi.
«Volentieri.» concorda poi, sperando con tutto il cuore di aver fatto la scelta giusta, anche se tuttavia non riesce a rispondere né con lo stesso tono, né con lo stesso sorriso del ragazzo. 
E Luke lo nota anche troppo bene, su quel viso che quasi conosce a memoria, da quante volte gli ha fatto compagnia la notte precedente. Notano tutto, i suoi occhi azzurri come il mare, allenati come sono nel captare ogni più piccolo cambiamento nell'espressione delle persone a cui vuole bene – tra le quali Madison occupa un posto tutto suo, tutto particolare. È per quel motivo, che lentamente il sorriso sparisce dalle sue labbra ed il suo sguardo diventa più profondo, intenso, attento. Perché Luke non riesce a sopportare l'ombra negli occhi dell’amica. Ombra che quel giorno sembra più presente del solito.
«Maddie?» la chiama, con quel soprannome che ha iniziato ad usare solo il pomeriggio prima al parco; mentre i loro piedi avanzano lenti sul marciapiede, allo stesso ritmo lento e costante, in netto contrasto con il battito dei loro cuori, troppo superiore alla norma. 
La bionda si volta e si sente rabbrividire sotto lo sguardo attento dell’altro, che riesce a farla sentire nuda, senza difesa, senza che lei possa far niente per impedire che lui le osservi l'anima. E intanto le braccia cominciano a far male, a bruciare un po’; perché i segreti portati troppo a lungo dentro al cuore fanno sempre più male ogni giorno che passa. E non c'è rimedi, fino a che quegli stessi segreti non trovano un modo per uscire allo scoperto, da soli.
«Sì?» risponde lei, insicura, mentre i suoi occhi non resistono a quelli di Luke e vanno a posarsi su un punto lontano del marciapiede, facendo inevitabilmente capire al biondo di aver ragione: Madison non sta bene, per niente.
«Cosa c'è che non va?» chiede; il tono di chi vuole sapere a tutti i costi solo per aiutare l'altro a stare meglio. Un tono che la ragazza ha già sentito tante, troppe volte uscire dalle labbra di Letizia. Un tono che però riesce soltanto a farla chiudere ancora di più nel suo guscio, dentro ai suoi muri, in quella prigione fatta dalle sue stesse paure. E intanto le parole restano lì, tra le labbra e la gola, troppo insicure per uscire. Perché a volte è meglio mentire e non far preoccupare le persone a cui si vuole bene, invece di sfogarsi e mostrar loro l'inferno che si ha dentro. 
«Niente. Perché me lo chiedi?»
Il ragazzo sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli biondi. «Maddie, ti prego, no–»
Ma le voci di Letizia e Calum lo interrompono. «Hemmo, Maddie, fate la strada insieme a noi?»
I due ragazzi si guardano. E sia Luke che Madison sanno che la conversazione tra loro due non è finita lì; perché lui non mollerà mai fino a che non saprà tutta la storia, per aiutarla a mandar via quell’ombra che odia da morire.
 
E mentre le due amiche si salutano con un lungo abbraccio, i ragazzi si scambiano una veloce pacca sulla spalla. E tutti e quattro sanno che presto o tardi avranno da raccontare all’altro così tante cose da non aver tempo sufficiente; cose che nessuno di loro riesce ancora a capire fino in fondo.
Poi si incamminano. E nella mente di ognuno di loro i pensieri prendono libero campo. Perché a volte le cose che accadono nella propria vita sono così inaspettate, così sorprendenti, che riescono a mandare tutto nella confusione più completa nella frazione di un istante; cambiando irrimediabilmente ogni cosa con le novità che si portano dietro e che quei quattro ragazzi non si sono mai trovavi a fronteggiare prima del loro arrivo.
Perché Luke non avrebbe mai creduto di potersi legare così tanto a qualcuno in così poco tempo. Insomma, lui e Madison si conoscono da pochissimo, eppure gli sembra di sapere tutto di lei, di quegli occhi grandi e belli di cui vuole capire ogni minima sfumatura. Perché il biondo, a quella ragazza, tiene molto più di quanto voglia ammettere e di quanto riesca davvero a capire. Lei, che non lo sta facendo pensare a tutto il buio che caratterizza la sua vita; lei, che riesce a fargli spuntare il sorriso con niente; lei, che lo sta aiutando a vedere il mondo con occhio più ottimista e che gli sta dando la forza che gli mancava senza rendersene conto, insieme a ciò che gli fa provare quando sono insieme. Perché tutte le sensazioni che prova quando sono insieme non gli passano mai inosservate; solo, cerca di non prestar loro attenzione, perché non ha la benché minima idea di come poterle affrontare.
Intanto Madison, con il cuore che le batte forte a causa del fatto che Luke la sta tenendo vicina al suo corpo caldo e forte con il braccio posato sulla spalla di lei, ha così tante cose dentro la testa e dentro il cuore, che si sente venir meno. Perché lo sguardo di sua madre di quella mattina è come un chiodo fisso che non vuole andarsene, una ferita sempre aperta che mai nessuno sarà in grado di guarire del tutto. Neppure Luke riuscirebbe a farcela. Perché lei sente che quel ragazzo; di cui sta iniziando a fidarsi e a cui lentamente sta aprendo il suo cuore; le sta facendo bene, la sta aiutando a mettere ordine nell’immenso casino che ha dentro l’anima. E anche se lui non riuscisse a mandar via del tutto il suo passato, non importa. Le basta sapere di aver conosciuto un angelo che per poco tempo è riuscito a rendere la sua vita bella da morire. Perchè Madison sente, è sicura che andrà così.
Calum invece non riesce a staccare gli occhi dalla ragazza che cammina al suo fianco. Ragazza che ancora per lui resta un enorme mistero, ma che comunque lo attira in un modo indescrivibile. È come se non potesse fare a meno di quella mora di cui non sa assolutamente niente, ma di cui vorrebbe scoprire tutto, di cui vorrebbe capire la storia celata dietro a quegli occhi scuri e così profondi da fargli perdere il respiro ogni volta che si scontrano con i suoi. Non sa spiegarsi il motivo preciso di ciò che lo sta spingendo verso Letizia. Sa solo che non ha paura di quello che potrebbe succedere tra loro. Non ha timore, perché gli occhi di lei gli danno forza, lo rendono più sicuro, più tranquillo; riescono a mandar via i suoi incubi e la sua voglia di scappare dal mondo tramite quella via di fuga a cui attinge solo quando ha estremo bisogno. Letizia gli fa bene. E anche se ogni tanto nella sua mente due occhi verdi prendono il sopravvento su tutto il resto, riaprendo ferite formatesi troppo tempo prima, Calum non si preoccupa più di nulla. Perché Letizia è al suo fianco. E sa, sente che lei non lo farebbe mai cadere.
Letizia; che non ha più detto una sola parola da quando per caso si sono trovati tutti e quattro ad andare insieme a scuola. Se deve essere sincera, quella mattinata diversa dalle solite le piace, davvero tanto: le piace il fatto che Calum l’abbia aspettata per fare la strada insieme; le piace poter vedere che tra Luke e Madison sta nascendo qualcosa di bellissimo ed unico; le piace poter ascoltare i discorsi degli altri e ritrovarsi a ridere insieme a loro per le cose buffe che saltano fuori all’improvviso. Tutto ciò le mette tranquillità addosso e, soprattutto, riesce a riempire un po’ quel vuoto che si porta dentro da tutta una vita e che da sola non è mai riuscita a riempire. È come se soltanto le persone che le sono accanto in quel momento siano la medicina giusta per curare molte sue ferite; come se solo ciò che li unisce basti a renderla più forte di quanto già non sia. È come se la presenza di Calum al suo fianco bastasse a migliorare un po’ le cose. Perché Letizia non sa spiegarselo, ma quando il moro è con lei, tutto diventa meno scuro, appare meno duro di come lo vede di solito. E non le interessa se quel ragazzo riesce sempre ad abbattere i suoi muri nella frazione di un istante. Non le importa se quegli occhi color caffè riescono a farla sentire nuda ogni volta che si posano su di lei. Perché lei ha deciso di fidarsi proprio di quello sconosciuto. E sa, sente fin dentro l’anima, che le cose cambieranno. In che modo, non vuole neppure pensarci; ma è sicura che d’ora in poi, niente sarà più com’era prima.
Perché è inevitabile che; quando nella propria vita entra all’improvviso qualcuno di davvero particolare, qualcuno che diventa sempre più importante col passare del tempo; tutto cambia, con conseguenze così sorprendenti da lasciare completamente senza fiato
.





Letizia
Amori miei bellissimi, ciao! <3
Allora, capitolo molto pieno di feels anche questo, deheheh. Che ve ne pare delle due coppie di amici? Secondo voi, cosa succederà??? Sono aperte le scommesse! ;)
No, ok, a parte gli scherzi, ahahah, spero davvero che vi questo nuovo capitolo vi sia piaciuto :3.
I Lalum sono sempre complicati, non c'è mai verso che le cose vadano lisce, sempre titubanti, sempre preoccupati di sbagliare...
Si può dire la stessa cosa dei Lukie che, anche se per cause diverse, agiscono con cautela su piani diversi, diciamo così.
Se avete ancora dubbi e ancora domande, fidatevi: è normalissimo.
La trama di questa storia è molto complessa, quindi mi servon parecchi capitoli per renderla il più chiara possibile. In più, come credo abbiate ben visto, ha un ritmo molto lento che devo rispettare, altrimenti salta tutta la costruzione.
Spero di sentirvi in tanti :3. Sappiate che vi adoro tutti, dal primo all'ultimo, vi amo! <3
Ci sentiamo presto! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 13
*** Tredici ***


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Tredici
 
 
 
Solo che le azioni che si compiono non sempre sono giuste.
E le conseguenze spesso si rivelano così disastrose che non si riesce ad uscirne da soli.
Perché a volte le proprie debolezze e i propri demoni peggiorano tutto all’improvviso.
 
 
 
Quel pomeriggio l’ospedale è lievemente più tranquillo del solito. O forse Letizia si ritrova a pensare così perchè ha talmente tante altre cose nella testa che del resto le importa un po’ meno. Ha da tenere le fila di troppe novità arrivate all’improvviso; novità che, giorno dopo giorno, stanno lentamente cambiando le cose. Come se fosse bastato il loro arrivo per sbloccare l’ingranaggio rotto dentro al suo cuore, per aprire tutte quelle porte che lei da sola non era mai riuscita neppure a vedere.
«Leti?» la richiama ad un tratto Michael, catturando la sua attenzione e sorridendole appena. Da quando è arrivata quel pomeriggio, l’ha sempre vista distratta, silenziosa; lo sguardo fisso su un punto non ben definito. Non sa se sia un bene oppure no; ma gli occhi dell’amica hanno dentro una luce che lui non ha mai notato prima di quel giorno; una luce che la sta rendendo più forte, benché la ragazza per adesso non riesca a vederlo.
Forse perché non è ancora il momento; si ritrova a pensare il ragazzo, che intanto non riesce a smettere di sorridere, felice di vedere la mora alle prese con qualcosa diverso dal dolore che ha sempre occupato il suo sguardo.
«Sì?» risponde lei; gli occhi scuri ed intensi che vanno a scontrarsi con quelli verdi del ragazzo, i brividi che le corrono sulla pelle, il cuore che le batte nel petto per un motivo che non riesce a capire.
«Cos'hai?» chiede l’altro; il sorriso che non se ne va dalle labbra; la curiosità ed il buon umore che non riesce a celare; la speranza lieve ed insicura che si sta facendo spazio nel suo cuore. Perché Michael ha a cuore la felicità di Letizia; ormai sono amici e lui vuole soltanto che quella ragazza davvero speciale stia bene, sul serio.
Lei non risponde subito; volta lentamente la testa, lo sguardo che va a posarsi sul paesaggio visibile dalla finestra della stanza, gli occhi che si perdono ad osservare ogni più piccolo particolare e che mascherano ancora tante, troppe cose. Soprattutto, nascondo il dubbio e la preoccupazione per ciò che le sta succedendo e che la sta facendo impazzire lentamente. Perché, decidendo di fidarsi di Calum, ha seguito il suo istinto; ma adesso la ragione le sta facendo venire in mente così tante domande e così tante preoccupazioni che Letizia non sa più da che parte cominciare per capirne qualcosa. Perché le cose stanno già iniziando a cambiare, e lei è troppo preoccupata ed insicura di scoprire dove tutte quelle novità la porteranno.
«Ho paura, Mike.» ammette; la voce bassa, flebile, quasi inudibile, mentre il cuore continua a correrle veloce nel petto. Perché non sa se parlare con Michael possa aiutarla a far chiarezza; non sa se sfogarsi con il ragazzo possa aiutarla a capire, a togliersi quel peso dal cuore che non riesce più a portare da sola.
A quella risposta, il maggiore si ritrova a sgranare gli occhi. Perché lo sguardo distrutto della mora ed il tono che ha usato non lo fanno stare per niente tranquillo. Lo mettono in guardia, quasi in ansia. Perché non l’ha mai vista così insicura ed indifesa prima di quel pomeriggio. Ed è mentre lei torna vicino al letto per sedersi sulla solita sedia, che le certezze del ragazzo un po’ vacillano. Perché gli occhi scuri davanti ai suoi hanno davvero paura. Eppure… È come se ci fosse qualcosa dietro al timore, dietro all’insicurezza che quello sguardo mostra. C’è qualcosa che premer per uscire nonostante la paura. E allora Michael si ritrova a sorridere di nuovo, impercettibilmente; perché sa che Letizia è forte e che ha solo bisogno di abituarsi. Perché lui lo sa, che per le cose ci vuole sempre tempo; sta solo a lei capirlo ed impararlo, passo dopo passo.
«Di cosa hai paura?» le domanda allora, cercando di capirla, sperando di poterla aiutarla in qualche modo.
Letizia sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli sciolti, per poi togliersi gli occhiali neri e posarli lentamente sulle coperte e massaggiarsi le tempie, a causa di quel mal di testa che sembra non voler smettere.
«Di troppe cose.» sospira. E intanto il groppo in gola lentamente si scioglie; il peso sulle sue spalle inizia un poco a svanire; mentre capisce che forse ha davvero bisogno di parlare con qualcuno che sia completamente esterno a tutta la vicenda per poter capirne qualcosa.
Michael la osserva paziente, aspettando senza fretta che la ragazza prosegua. E intanto i suoi occhi verdi continuano ad osservarla attenti, cercando di notare ogni cambiamento nel suo comportamento, per evitare che possa stare male o che si chiuda di nuovo nel suo guscio dopo esser riuscita ad uscirne, anche se solo di poco.
«Ho conosciuto un ragazzo qualche settimana fa…» continua lei; sperando che, parlandone, tutto diventi più chiaro. «E… Non lo so, Mike… So di tenere a lui… So di… Volerlo proteggere e di volerlo aiutare in ogni modo possibile… Sto iniziando a fidarmi di lui… Però…»
«Però?» chiede allora il maggiore, con il sorriso sulle labbra, curioso di sapere il resto della storia.
Letizia sospira ancora e si rimette gli occhiali. E intanto cerca di mettere un po’ d’ordine nella confusione che si ritrova in testa e da cui non sa come uscire. Lascia che i suoi occhi e quelli di Michael si ritrovino ancora una volta; lascia che la fiducia che sta iniziando a provare verso di lui agisca sul resto e la aiuti ad aprirsi quel tanto che basta per non impazzire.
«Però lui… È riuscito a buttare giù i muri che avevo costruito… Distrugge tutto e non se ne accorge… E la cosa che più mi fa paura è il fatto che io glielo lascio fare! Io… Non riesco a difendermi da lui…»
Michael sorride e le si avvicina – molto di più rispetto alle altre volte, dato che il gesso adesso non c’è più e la fisioterapia sta iniziando lentamente a dare i suoi frutti. Le prende le mani e le stringe forte, per rassicurarla, per provare a darle quel poco di coraggio che le manca per affrontare il resto da sola. E intanto non riesce a non essere felice. Perchè, anche se ha solo diciannove anni, Michael ha già visto tanto in vita sua; e ciò che Letizia gli ha raccontato è così semplice, bello e vero che lui non riesce a non pensare in positivo per lei.
«Come si chiama?» domanda allora, incapace di tenere a freno la sua curiosità.
«Chi?» risponde lei, non capendo la domanda, mentre il tepore delle mani del ragazzo si irradia lentamente nel suo corpo, arrivando ad ogni sua cellula per scuoterla e scaldarla un po’.
Il ragazzo ridacchia e le bacia la fronte; un gesto fraterno che riempie i loro cuori di quell’affetto di cui hanno sempre bisogno e di cui non si stancheranno mai, ne sono sicuri. «Il ragazzo che ti sta sconvolgendo la vita.»
E prima che Letizia capisca davvero le parole dell’amico, quel nome esce dalle sue labbra nella frazione di un istante, creando un silenzio strano e denso di troppe cose che la mora non sa e che il ragazzo ancora non se la sente di raccontare. «Calum Hood.»
Perché a quel nome, il cuore di Michael cade nel buio, all’improvviso, così velocemente che lui ha paura che possa frantumarsi, polverizzarsi, una volta arrivato al suolo. Però questo non succede, perché gli occhi preoccupati di Letizia riescono a farlo tornare alla luce, riescono a farlo tornare a respirare. E mentre il ragazzo si tiene forte alle mani dell’amica per non cadere più, capisce che la vita è sempre piena di sorprese di cui a volte si preferisce non voler sapere il seguito. Perché ci sono ferite che, nonostante tutto, hanno bisogno di tempo per poter guarire.
 
Quel pomeriggio di metà settembre il Sydney Private Hospital non è affollato come al solito. Probabilmente perchè l’orario delle visite sta quasi per finire e molte persone sono già a casa; o magari perché molti pazienti sono stati finalmente dimessi; cosa in cui Calum spera davvero con tutto il cuore.
Quello stesso cuore che sta cercando di battere ad un ritmo più regolare da quando il ragazzo ha messo piede nell’edificio, lunghi brividi non fanno altro che corrergli lentamente sulla schiena, aumentando la sua ansia e la sua agitazione per ciò che sta per fare. E anche se lo fa ogni mese da ben due anni, ancora ha addosso la paura di essere scoperto; di mandare tutto a monte. La paura di perdere troppe persone care nella frazione di un attimo, a causa di quell’errore che lo ha portato troppo vicino al punto di non ritorno e da cui non sa come allontanarsi, nonostante tutti gli sforzi che compie giorno dopo giorno. Sforzi che alla fine si rivelano sempre nulli; perché cede troppo spesso, Calum. Cede alla tristezza, al dolore, al senso di colpa. Cede davanti a tutto e si perde in quel limbo di ricordi e di cose non notate in tempo.
Sospira e si passa una mano tra i capelli scuri, come a voler mandar via il turbine di pensieri che non riesce a farlo ragionare in modo lucido. Quegli stessi pensieri che ogni volta gli fanno venire mille dubbi, mille incertezze per ciò che vorrebbe non fare ma che si ritrova a compiere per tentare di stare meglio in qualche modo.
Svolta a destra e si dirige al banco informazioni, attirando l’attenzione della donna seduta dietro.
«Cal, da quanto tempo!» esclama allegra Dorothea non appena lo vede.
«Ciao Thea.» la saluta lui; un sorriso cordiale sulle labbra e l'espressione tranquilla che, come sempre ben nasconde ciò che il moro prova ogni volta che mette piede in quel posto.
La donna sorride a sua volta. «Ortopedia oggi.» dice prima di tornare al suo lavoro.
«Grazie.» risponde l'altro, anche se ormai conosce l'orario di sua madre a memoria e non ha bisogno che Dorothea lo informi tutte le volte. Però sa che quella piccolezza è necessaria per evitare che tutto salti. Perciò la ringrazia e le lascia un sacchettino di carta sul bancone, con all'interno il caffè e la brioche alla crema che tanto piacciono alla donna, per ringraziarla di tutto quello che fa per la famiglia Hood da quando lui è nato. Poi se ne va.
E mentre percorre il corridoio per andare da sua madre, la voce di Dorothea si fa sentore forte e chiara, attirando l'attenzione del ragazzo e facendolo voltate verso di lei. «Joy è davvero fortunata ad avere un figlio come te.»
A quella frase, Calum si ritrova a sorriderle, solo per la frazione di un istante. Poi torna sui suoi passi e si avvia velocemente al reparto di ortopedia. E intanto, il suo cuore va sempre più in frantumi, passo dopo passo. Perché lui sa che le parole di Dorothea non rispecchieranno mai la realtà. Perché, se tutti sapessero, niente sarebbe più com’è adesso; cambierebbe e lui perderebbe completamente anche quel poco che gli è rimasto. Tutto per quell’unico errore che ha distrutto ogni cosa, che per primo ha stravolto lui, ha stravolto tutta la sua vita.
Scuote la testa e sospira. Non vuole, non deve pensare così, anche se sa che è la verità. Non quando deve far di tutto pur di evitare di non far preoccupare sua madre. Perché persino i rapporti tra lui ed i suoi genitori sono stati sconvolti definitivamente, anche se per poco tempo; perché gli adulti sono riusciti a voltare pagina, sono riusciti ad andare avanti tentando in ogni modo di aiutarlo a fare lo stesso. Ma Calum è ancora ancorato al passato, fermo da due lunghi anni nello stesso punto in cui ha perso ciò che di più prezioso aveva; e non ha trovato niente di così altrettanto importante da farlo smuovere, niente di così potente da fargli voltare le spalle ai ricordi.
E, nella frazione di un secondo, due occhi color del cioccolato si fanno spazio tra i suoi pensieri; quanto basta per farlo rabbrividire e per riportarlo un po’ alla realtà. Occhi che però Calum caccia continuamente nel loro angolo.
Apre la porta del reparto di ortopedia, e subito la figura dolce di Joy, intenta a parlare con dei colleghi, cattura gli occhi del ragazzo e peggiora il senso di colpa dentro al suo cuore mentre lui le si avvicina, per abbracciarla forte da dietro e per lasciarle un bacio sulla guancia, catturando subito la sua attenzione e facendo sorridere le altre persone presenti davanti a loro.
«Ciao.» la saluta Calum, non appena lei si volta con il sorriso più radioso e felice che lui abbia mai visto.
«Tesoro! Era da un po’ che non venivi a trovarmi a lavoro.» commenta divertita la signora Hood, per poi salutare i colleghi e tornare a controllare i pazienti. Il moro la segue per un po’; e intanto il cuore continua a pesargli nel petto come un macigno che lui non è più in grado di portare da solo.
«Già. Non avevo molto da studiare per domani e avevo voglia di fare un giro.» mente. Mente sempre, Calum, mente con tutti; mente alle persone che vuole bene; mente a chi sa e ogni tanto chiede. Mente perché non vuole trascinare nessuno in quell’inferno che è diventata la sua vita. Mente perché non sa più come difendere da se stesso le persone a cui tiene davvero.
La donna sorride tranquilla ed apre la porta di una camera sulla sinistra del corridoio. «Mi ha fatto piacere.»
«Cosa?» le chiede il ragazzo, non capendo la luce dolce negli occhi della madre, così simili ai suoi.
Lei ride, divertita dall’atteggiamento del figlio. «Che tu sia venuto anche se sai che non ho mai tempo.»
Stravolta, Calum sorride davvero. Sorride non per mascherare i suoi segreti o le sue ferite. Sorride, perché è riuscito a rendere felice sua madre, nonostante tutte le parole non dette e che lei non saprà mai. In fondo, lui vuole bene a sua madre, molto più di quanto riesca a rendersi conto davvero. E l’ultima cosa che vuole è ferirla, perchè non se lo merita; non lei che gli è sempre stata accanto, in ogni situazione; non lei che è stata la sua roccia per tutti quegli anni e che è sempre riuscita a rimetterlo in sesto, almeno fino a che forze più grandi non sono intervenute a sconvolgere tutto.
«Lo sai che lo faccio volentieri.» ribatte lui, con il cuore che intanto continua a battere a fatica.
Joy sorride di nuovo e gli accarezza una guancia, delicatamente, con gli occhi pieni di un affetto immenso, che però Calum non crede di meritare davvero. «Grazie.» gli dice; poi torna a lavorare.
Lui aspetta che la porta si chiuda. Poi volta i tacchi e si incammina verso quel posto che ormai conosce troppo bene ma a cui sa di non dover più andare, di doverci stare il più lontano possibile per mettere definitivamente fine a quel circolo vizioso in cui è andato a finire. Ma è come se la sua volontà non avesse voce; è come se qualcosa di sordo dentro di lui avesse preso il controllo su tutto, persino sulle sue stesse decisioni, sulle sue stesse azioni, mentre lui diventa sempre meno padrone della sua vita.
Sospira e scuote la testa. Intanto i piedi lo riportano al primo piano dell’edificio, sul cui corridoio ben nota il banco informazioni dove Dorothea sta chiacchierando allegramente con un collega. Dal banco all’uscita non c’è molto, solo una rampa di scale. Ma è come se i suoi piedi non volessero uscire da lì, non ancora, non prima di aver preso ciò per cui è venuto.
Allora volta le spalle all’uscita e alla voglia di andarsene da lì, prima che possa cambiare idea. Continua a camminare, con calma, cercando di non destare l’attenzione dei medici o degli infermieri con il suo comportamento. Sale le scale; passa per i corridoi tranquilli. Non guarda nessuno negli occhi per evitare che qualcuno riesca anche solo ad intravedere tutto il nero che porta nell’anima.
Arriva al terzo piano con il respiro lievemente affannato, mentre il cuore continua a pompare velocemente; e Calum sa che non è soltanto per lo sforzo. Si guarda attorno e sospira rilassato; non c’è mai nessuno in quella parte dell’ospedale – né infermieri, né vigilanti, né medici, né pazienti – e non ci sono telecamere di sorveglianza in nessun angolo; dopotutto, ha controllato da cima a fondo. Però il ragazzo sa che è sempre meglio essere sicuri, soprattutto quando si sta per fare qualcosa a cui nessuno dovrebbe pensare nemmeno una volta.
Si avvia lentamente alla porta verde davanti a sé e la apre, con le mani ed il corpo che tremano come ogni dannatissima volta. Entra nel piccolo magazzino e va diretto allo scaffale riservato alla morfina in polvere, contenuta in piccoli sacchetti di plastica morbida che ben mostrano ciò che hanno all’interno. Fa per metterne in tasca due come al solito, ma il colore bianco della polvere cattura per un istante il suo sguardo.
E Calum prende sul serio in considerazione il fatto di riporle nuovamente al loro posto; ma quel qualcosa di sordo dentro di lui non glielo permette e lui; come una bambola, un burattino in balia di quel burattinaio sconosciuto; le mette in tasca, per poi uscire velocemente dal magazzino e chiudersi la porta alle spalle.
Ripercorre tutta la strada fatta precedentemente con la stessa calma mostrata all’andata, cercando di evitare gli sguardi di chiunque gli cammini vicino. Passa persino dal banco informazioni e saluta Dorothea con un veloce cenno della mano, a cui la donna risponde con un sorriso che riesce soltanto ad aumentare l’immenso senso di colpa che Calum sente crescere dentro di sé ad ogni passo che compie.
Scende le scale, e finalmente è fuori dall’ospedale, lontano da sua madre, lontano da sguardi che potrebbero capire dai suoi occhi scuri e troppo stanchi che c’è qualcosa che non va. Non aspetta neppure un secondo, ed è già diretto alla fermata dell’autobus più vicina, con la musica nelle orecchie per non permettere ai suoi pensieri di far nascere ancora più dubbi, ancora più insicurezze. Perché è solo adesso, con l’unica compagnia di quel senso di sporco e di sbagliato che non andrà mai via da dentro di lui e che lo sta facendo marcire, giorno dopo giorno, errore dopo errore, con quel qualcosa di sordo che non gli permette più di decidere.
E Calum sa da dove viene quel qualcosa, sa che cosa sta succedendo dentro di sé. Ma è un processo che non riesce a fermare, è entrato in un circolo vizioso da cui nessuno riesce ad uscire con le proprie gambe. Solo che lui… Non vuole uscirne, non adesso che ha più bisogno di quell’unica via d’uscita per sopportare ciò che si porta dentro e che lo sta logorando da troppo tempo. Sa che dovrebbe reagire e smettere, per riprendere in mano la sua vita; ma lui, la forza di mettere un punto una volta per tutte, non c’è l’ha, non l’ha mai avuta.
Ed è per questo motivo che ha rinunciato in partenza a salvarsi. Perché Calum Hood sa di essere un caso perso, e non si sorprenderebbe se pure le persone che gli vogliono bene alla fine gli voltassero le spalle se scoprissero il buio che ha dentro e che non lo lascia libero neppure per un istante.
Sospira e poggia la testa sul vetro freddo del finestrino dell’autobus. Tra poco sarà a casa.
 
Cammina lentamente sul marciapiede, la musica che come sempre le fa compagnia e il respiro che le si condensa davanti al viso. Anche se è metà settembre, fa ancora freddo a Sydney. A Letizia però non importa granché. Le è sempre piaciuto il freddo, la neve, le foglie gialle sull’asfalto, la dolcezza della stagione rigida. E le pare strano: amante dell’inverno e prima ancora dell’autunno com’è sempre stata, non riesce a capire perché sia dovuta nascere proprio all’inizio della primavera, la stagione che meno sopporta.
Sospira mentre si gode l’aria frizzante di quel pomeriggio che riesce a passare attraverso i vestiti e la fa rabbrividire un po’. E si ritrova a sorridere divertita; in fondo non si può avere tutto ciò che si vuole dalla vita; lo sa anche troppo bene, dopo averlo provato sulla propria pelle un’infinità di volte.
Si sistema il capello in testa e continua a camminare tranquilla; la mente libera almeno per qualche minuto da tutti quei pensieri che non le danno mai tregua; il cuore che ha ripreso a battere ad un ritmo più regolare, più calmo dopo essere uscita dal Children Hospital at Westmead – dove Azura lavora e dove Michael è ricoverato.
Non sa perché, ma vedere l’amico preda di quello strano turbamento, l’ha davvero fatta preoccupare.
Perché Michael è sempre stato sorridente, allegro, il più ottimista tra i due. E vederlo crollare così, all’improvviso, senza un apparente motivo, l’ha destabilizzata in un modo che mai avrebbe creduto possibile. Perché per lei, quel ragazzo è come una roccia. È come se fossero legati: se crolla lui, lei crolla di conseguenza. Ed il fatto che sia stata proprio lei a riportare un po’ di luce in quegli occhi verdi la spaventa, davvero tanto. Perché non sa come comportarsi, cosa fare o cosa dire. Ha sempre il terrore di essere inutile.
E nonostante la promessa che lei e Madison si sono fatte tempo prima, Letizia ha paura di mostrarsi come una roccia per qualcuno – la sua migliore amica esclusa – perché, se mai dovesse cadere più a fondo di quanto già non sia, non vuole trascinare nessuno nel suo buio. Perché l’inferno che ha dentro non lo augura a nessuno.
Arriva davanti casa sua che ormai è quasi ora di cena; il sole già tramontato e il lampioni già accesi per le strade, per illuminare un mimino la notte scura con la loro luce fioca e troppo poco potente. Istintivamente, si dirige alle scale sul retro, pronta per entrare in casa dalla finestra di camera sua. Ma il suo sguardo viene catturato dalla porta d’ingresso del palazzo, che quasi sembra voler farla passare da lì, come a volerle ricordare che lei è sempre benvenuta in casa propria, e che non ha bisogno di entrare come se fosse una ladra.
Un brivido le percorre la schiena a quel pensiero. Un brivido che le fa capire che dentro di lei le cose stanno iniziando a cambiare, a prendere una piega diversa, forse migliore. Un brivido che le fa pure capire di non essere ancora pronta per compiere un simile passo. Ha troppe cose da mettere in ordine, prima di potersi dedicare a quella parte della sua vita, la più problematica di tutte.
Allora volta le spalle alla porta d’ingresso e si incammina spedita verso le scale sul retro. Le sale velocemente fino ad arrivare al suo piano con il respiro un poco affannato e quasi tremante, che le fa vibrare forte il petto. Fa per andare verso la sua finestra; e intanto si chiede se Calum è già tornato a casa; si chiede che cosa stia facendo, dato che quel giorno si sono visti a malapena a scuola e non hanno neppure fatto la strada insieme né all'andata né al ritorno. E subito una strana sensazione le nasce dentro al petto, bloccandola; come se ci fosse qualcosa fuori posto, come se mancasse qualcosa, come se quel qualcosa fosse andato storto e non ci fosse più alcun rimedio.
Perciò non ci pensa due volte ad andare alla finestra della camera di Calum. E vedere la stanza vuota, silenziosa, non fa altro che aumentare dentro di lei quella sensazione, quello strano malessere che non riesce a mandar via. Non fa che metterla in ansia, per un motivo che non riesce a capire ma che ha a che fare con le ombre negli occhi scuri di Calum che lei in quegli ultimi giorni ha visto diventare sempre più opprimenti, sempre più presenti, sempre più forti, in grado di schiacciare il flebile raggio di luce rimasto nello sguardo del moro. Un sguardo che la fa preoccupare giorno dopo giorno senza che lei possa farci niente.
Perché Letizia si preoccupa per Calum, sempre, anche quando non c’è motivo, anche quando lui è di buon umore e la giornata non va poi tanto male. È più forte di lei; è come se uno strano sesto senso le imponesse di stare costantemente all’erta, come a volerla tenere sempre pronta per ogni evenienza improvvisa, per ogni ferita che potrebbe arrivare da un momento all’altro a rovinare tutto ciò che sta accadendo.
Perché Calum la sta cambiando passo dopo passo, la sta inevitabilmente rendendo diversa da com’era prima di conoscerlo. Sta buttando giù i suoi muri senza rendersene minimamente conto; e lei lo lascia fare, certa del fatto che nessuno dei due potrà mai far del male all’altro intenzionalmente. Non sa spiegarsi il motivo di quella sua unica certezza; la sente dentro come un dato di fatto, come qualcosa a cui potersi ancorare ogni qual volta le cose dovessero andare a rotoli. Sente, Letizia, che per quel ragazzo moro sta sviluppando un sentimento che mai prima di allora aveva provato. Non riesce ancora a definirlo; sa soltanto che è potente e che le dà una forza immensa; la rende più sicura, più determinata in tutto ciò che fa; la rende più pronta ad affrontare con le proprie forze le ferite che a volte tornano a far male.
Sta imparando a conoscere il suo vicino, e non potrebbe chiedere niente di meglio. I minuti che passano da soli – quando fanno la strada insieme; quando lui l’accompagna all’armadietto; quando hanno qualche lezione e si siedono vicini a Luke e Madison; quando tornano a casa; quando a volte capita che lui entri in camera sua o viceversa – sono ciò che più di prezioso ha al mondo. Perché la aiutano a vedere chi è davvero Calum: un ragazzo semplice, vero in ogni sua più piccola parte, in ogni suo più piccolo difetto; un ragazzo che con poco riesce a farla stare meglio veramente e che le sta entrando dentro al cuore passo dopo passo, prendendo uno spazio sempre più grande, che lei non ha paura di concedergli.
Ed è mentre si ritrova a pensa a come la loro strana amicizia stia nascendo e crescendo giorno dopo giorno; a come stiano imparando a conoscersi l’un l’altra, a capirsi; che un rumore dietro di lei cattura la sua attenzione, facendola voltare verso la finestra e facendola sorridere senza che lei possa controllarlo.
Perché davanti ai suoi occhi c’è Calum. E un po’ quello strano malessere dentro al cuore della mora non fa altro che aumentare, non appena il ragazzo le si fa più vicino, con le mani in tasca e gli occhi stravolti, stanchi, carichi di un qualcosa che Letizia non riesce a capire e che la fa preoccupare ancora di più.
 
«Che ci fai qui?» le chiede sorpreso il ragazzo. E subito il cuore inizia a battergli più velocemente del normale, mentre piccole gocce di sudore freddo cominciano a scendergli lentamente sulla schiena facendolo rabbrividire.
Letizia gli si avvicina e cerca i suoi occhi, sperando di poter capire che cosa stia succedendo a quel ragazzo che la manda in confusione con niente. Ma lui volta immediatamente lo sguardo, e nel cuore dell’altra torna quel senso di malessere, più potente di prima, più difficile da ignorare.
«Ho visto che non eri qui e mi sono preoccupata…» ammette con un filo di voce, mentre cerca di frenare il lieve tremito delle sue mani. «Non sapevo dove fossi… E ho pensato che potesse esserti successo qualcosa, dato che stamattina non ci siamo visti.»
A quella piccola confessione, il cuore di Calum fa un balzo, prima di riprendere a battere ad un ritmo irregolare.
Perché non era mai successo prima che Letizia mostrasse così tanta preoccupazione per lui. Lui, che sente il bisogno di avere quella ragazza accanto a sé sempre; che sa di poter mandar via il suo buio solo se è insieme a lei; che ha paura di ferirla con i suoi errori e con le sue azioni. Lui, che sa troppo bene di non meritarsi un angelo come lei; un angelo a cui tuttavia, egoisticamente, non è ancora disposto a rinunciare. Perché, anche se per poco, Letizia riesce a mandar via i ricordi; riesce a tenere lontani quegli occhi verdi che tanto gli mancano e che tanto gli fanno male ogni volta che si ritrova a leggere il diario, ogni volta che si ritrova a pensare a ciò e a chi non c’è più e che ha formato un vuoto incolmabile dentro al suo cuore.
E prima che possa anche solo capire davvero cosa stia per fare, Calum prende il telefono dalle mani di Letizia.
«Calum, che stai–?» chiede lei, ma subito il maggiore la blocca.
«Salvo il mio numero, così la prossima volta che sei preoccupata per me, mi chiami.» le spiega, prima di renderle il cellulare, che la ragazza ripone nella tasca del cappotto quasi come se lei non fosse davvero lì. Perché il gesto del moro l’ha colta davvero di sorpresa. E si ritrova a sorridere, lei, perché non se lo sarebbe mai aspettato.
«Grazie. Adesso però devo andare, quindi…» gli dice mentre si dirige verso la finestra. «Ci vediamo domani?»
Ed entrambi sanno che quella domanda necessita di una risposta. Perché è quello ciò di cui hanno davvero bisogno nelle loro vite, per trovare un minimo di ordine nell’inferno che hanno dentro: certezze; solo questo basta.
«Certo, Leti. A domani.» risponde allora il ragazzo. Lei sorride ancora di più ed esce.
E mentre la osserva uscire, il cuore di Calum si stringe su se stesso; la morfina che sembra pesare come un macigno nelle sue tasche. Perché i propri errori, commessi uno dopo l’altro, rovinano tutto; rovinano ogni possibilità che la vita offre per tornare a guardare il mondo con occhi più sereni e cuore più tranquillo. Creano più danni, peggiorano tutto ciò per cui si è lottato pur di stare meglio. Aumentano le ferite e infieriscono su quelle già aperte.
E Calum, anche se lo sa troppo bene ormai, non ha la benché minima idea di come uscirne. Perché non vuole essere un peso per le persone che gli stanno a cuore. Non vuole essere un peso per Letizia.





Letizia
Ciao tesori miei! Come state? Spero che vada tutto bene ;).
Parlando della storia invece... CHE SCOPERTA FACCIAMO QUI!
Allora, prima di tutto Leti si apre con Mike, nonostante abbia un po' paura. Brava la nostra stellina!
Poi però c'è Calum... E qui preferisco che siate voi a parlare, a dirmi cosa pensate, al perchè secondo lui si stia comportando in questo modo.
Fatemi sapere, fate sentire le vostre vocine dolcissime; ci conto! <3
Come sempre, vi ringrazio, sul serio, con tutto il cuore, per ogni cosa che state facendo per questa storia. Siete unici! A presto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 14
*** Quattordici ***


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Quattordici
 
 
 
Però poi ci sono quelle persone che sanno mettere a tacere tutto quanto.
Quelle persone che passo dopo passo, entrano lentamente dentro al cuore per non lasciarlo mai più.
Quelle persone che si rivelano essere la medicina migliore di tutte.
 
 
 
Quel giorno, la lezione di letteratura inglese si sta svolgendo nel silenzio più assoluto da quella che ormai è una mezz’ora buona. È sempre così con Mrs Hathaway. Quella donna riesce ad attirare chiunque ha davanti ogni volta che parla della sua materia. Ha un modo di spiegare che incanta e che fa tenere attento anche lo studente più menefreghista. Sa fare il sul lavoro. O almeno, così si ritrova sempre a pensare Letizia. E le occhiate che lancia ai suoi compagni per trovare conferma non fanno altro che dimostrarle di avere ragione.
Alla mora piace seguire quelle lezioni, non solo perché parlano dei libri che lei adora. Le piacciono soprattutto perché fanno parte di quei momenti durante cui può scrivere e dare libero sfogo a ciò che ha dentro. Poter mettere su carta i suoi pensieri e liberarsi per un po’ dalle sue catene; poter creare mondi paralleli, poter parlare di personaggi che prendono forma da ciò che la sua mente crea; far vivere loro quello che lei sogna ma che forse non si avvererà mai. Tutto ciò la aiuta a mettere ordine in quell'uragano di pensieri che ha dentro, la aiuta a rilassarsi, a vedere il modo con occhio meno triste, meno pervaso da quel senso di sconfitta che non le lascia scampo.
Ed è mentre l'insegnante parla della figura di Pip di Grandi speranze di Dickens; che Letizia si ritrova a pensare a tutti quei quaderni custoditi segretamente nei suoi cassetti, pieni di storie abbozzate e mai finite, pieni di poesie scritte di getto, pieni di tutto ciò che ha dentro e che a voce non è mai riuscita ad esprimere nel modo giusto.
La scrittura è la sua via d’uscita, a cui mai potrebbe rinunciare. È ciò che le dà la forza per restare in piedi nonostante i colpi della vita. La tiene ancorata a terra e non le permetti di arrendersi. È il modo migliore per mostrare se stessa, senza muri a dividerla da tutto il resto.
Ed è ciò che sta facendo proprio in quel momento. Sta lasciando campo libero alla sua mente e alla sua mano. Abbozza quella storia a cui ormai sta pensando da parecchio tempo e che sente vicina come mai nessun’altra di quelle rimaste incompiute nei suoi quaderni. Perché quella storia ha qualcosa di diverso, qualcosa che Letizia sente dentro e che in qualche modo la sprona a continuare, a fare almeno una cosa giusta nella sua vita.
Ed è mentre sta cercando di caratterizzare il personaggio maschile, che si ritrova un biglietto sulla pagina bianca. Letizia. Solo il suo nome c’è scritto sopra, in una calligrafia che la mora non conosce. Incuriosita, lo legge.
 
Mi spieghi cosa ci trovi di così interessante nel stare piegata su un foglio a fare chissà cosa? Sono ore che cerco di chiacchierare con te ma tu non alzi mai la testa e sono costretto a ripiegare su uno stupido bigliettino.
A proposito, sono Cal e per la cronaca sono seduto alla tua sinistra, se mai vorrai degnarmi della tua attenzione.
 
E si ritrova a sorridere divertita, mentre risponde velocemente. Poi dà il biglietto al moro, sorridendogli.
Lui sorride a sua volta. Lui, che non ha mai spostato gli occhi dal viso della mora, con il cuore che non riesce a smettere di batterle forte dentro al petto, quasi volesse prendere tutto l’ossigeno rimastole nei polmoni.
Calum Hood è rimasto ad osservarla per tutta la lezione. Da quando sono usciti insieme di casa quella mattina, non è mai riuscito a guardare altro che non fosse lei, i suoi occhi scuri e intensi, il sorriso che ogni tanto le si è presentato sulle labbra per un motivo che ancora gli resta ignoto. Si è ritrovato ad osservarla spesso, Letizia, durante le ore in cui hanno lezione insieme, senza perdere di vista nessuna delle espressioni che si sono formate sul viso dolce e un po’ timido, che ben mostra ciò che quella ragazza silenziosa e forte porta dentro di sé. E ogni volta il cuore ha sempre perso un battito; un battito mancato a cui Calum non è riuscito a non prestare attenzione.
Di preciso, non sa spiegarsi perché stia continuando a farlo. Non sa spiegarsi il perché senta il bisogno di osservare a lungo quegli occhi scuri, l’unica certezza che si sta facendo lentamente spazio dentro di lui dopo molto, troppo tempo. Quegli occhi che spesso gli fanno compagnia mentre dorme e a volte riescono a sconfiggere i suoi incubi; quegli occhi a cui si ritrova a pensare nelle ore più improbabili della giornata, senza un particolare motivo, chiedendosi che cosa stia facendo la mora per poi trovare la risposta bussando alla sua finestra e passando del tempo con lei. Quello sguardo che, qualche volta, riesce a soppiantare il ricordo di due occhi verdi legati al suo cuore e alla sua anima in maniera imprescindibile; come se facessero parte di lui in ogni caso e lui non potesse liberarsene del tutto, costretto a vivere con addosso il peso dei suoi errori rimarcati da quegli stessi occhi verdi che non ci sono più. Per colpa sua.
Sospira. Non vuole pensare al passato. Non adesso che, forse, le cose stanno iniziando ad andare bene. Cerca di tornare al presente. E si ritrova ad osservare distrattamente il biglietto dato a Letizia qualche minuto prima, con la carta che quasi gli brucia tra le dita per la curiosità di sapere quel che la mora gli ha scritto. E non riesce a reprimere una risata leggera nel leggere la risposta.
 
Sto scrivendo, vostra signoria. E vi prego di scusarmi se non vi considero a sufficienza. Spero di poter rimediare durante la pausa pranzo. Con tutti i rispetti a voi, Letizia.
 
Si volta verso la ragazza. E il cuore un po’ gli batte più forte, nel notarla intenta ad osservarlo, con quegli stessi occhi a cui quel giorno non ha mai smesso di pensare neppure per un secondo e con un sorriso allegro sulle labbra morbide. Uno dei pochi sorrisi veri che Letizia si permette di mostrare; perché sa che non ha bisogno di fingere con Calum. Perché lui la fa stare bene, la fa sorridere davvero. E lei non potrebbe chiedere niente di più.
«Finalmente mi consideri.» commenta il moro, facendola ridacchiare.
«Bastava che tu mi picchiettassi la spalla.» ribatte lei, a bassa voce, mentre si sistema meglio sulla sedia.
«Eri così concentrata che non volevo interromperti.» ammette l’altro, sincero.
A quelle parole, Letizia sente un brivido correrle lungo la schiena. Un brivido che non le passa per niente inosservato; che la sorprende; che le fa notare all’improvviso quanto normale sia la conversazione che lei e Calum stanno tenendo. Normale, tranquilla, semplice, lontana dal dolore, opposta al vuoto che sentono nell’anima.
E un po’ le fa strano. Perché è da quasi un mese che il moro è entrato nella sua vita, stravolgendola, cambiandola, portando così tante cose nuove che Letizia fa fatica a star loro dietro per non impazzire. Un mese da quella notte in cui è cominciato tutto. E non si sarebbe mai aspettata niente di simile nel rapporto tra lei ed il ragazzo; non quando ad entrambi è ben chiaro l’inferno che si portano dentro e che non vogliono condividere con nessuno; non quando per tutti e due è quasi impossibile dimenticare il proprio passato e voltare pagina. Eppure… Deve ammettere che quell’ennesima novità le piace, davvero tanto; la fa stare bene; fa crescere quella flebile speranza che ha nel cuore di poter avere un giorno una vita priva di ciò che adesso va storto.
E tutto grazie a Calum; quel ragazzo che giorno dopo giorno sta stravolgendo tutto; che lentamente sta diventando sempre più importante e sempre più presente nei suoi pensieri; che con calma sta riempiendo quel vuoto che Letizia da sola non è mai riuscita a curare; che senza rendersene conto la sta pure aiutando ad aprirsi un po’ di più con Azura, la sta aiutando a trattarla con meno freddezza. Quel ragazzo a cui sarà sempre riconoscente, anche se non dovessero più spartire niente insieme in futuro.
E si ritrova a portare nuovamente lo sguardo su di lui, sulla sua figura slanciata e stanca, su quel viso magro e sempre specchio di emozioni che spesso lei non capisce ma di cui sa che è meglio non chiedere niente. Si ritrova incantata da quegli occhi color caffè. Quegli occhi che lei vorrebbe vedere risplendere più spesso, perché sono così belli e così veri che le fanno capire perché, nonostante tutto, si dice che la vita è meravigliosa.
Calum guarda Letizia mentre lei fa incontrare i loro occhi. La osserva a lungo, perdendosi senza paura in quel cioccolato in cui si sente sempre più al sicuro. E vorrebbe ringraziarla, per tutto.
Vorrebbe farle sapere quanto le sia grato per il rapporto che sta nascendo tra loro e che, in un modo che non riesce a spiegarsi, lo sta facendo sentire un po’ meglio. È come se quella strana amicizia che li lega riuscisse a lenire il dolore delle ferite. Vorrebbe ringraziarla per il semplice fatto che riesce a farlo sorridere più spesso; perché riesce a mettere a tacere molte di quelle domande che gli affollano la testa e non lo lasciano mai in pace. Perché, soprattutto, gli dimostra di tenere a lui in un modo tutto suo, che a Calum riempie il cuore di un calore familiare che non provava da troppo tempo ma di cui non riesce ancora a vedere i dettagli per capirlo.
Vorrebbe dirle davvero tante cose. Ma sa che il tempo non è mai abbastanza, sa che le parole non potrebbero mai esprimere del tutto ciò che sente. Per questo, si ritrova a fare una cosa a cui mai avrebbe pensato di compiere. Una cosa che prende di sorpresa pure la mora, che mai si sarebbe aspettata un gesto simile da nessuno.
Perché Calum prende la mano di Letizia tra le sue, timidamente, con una delicatezza tale da farle morire il respiro in gola, da farle battere forte il cuore, riempiendo gli spazi vuoti tra le loro dita; come a voler colmare il vuoto dentro le loro anime; come a voler lenire quelle ferite che si portano dietro da tutta una vita.
Si tengono per mano, Calum e Letizia. E non sanno descrivere ciò che sta prendendo campo tra di loro. Sanno soltanto che non vogliono perderlo. Perché è la cosa più preziosa che hanno, per la quale combatterebbero sempre.
Si guardano, a lungo, senza paura, senza timori o insicurezze. Si osservano. Si perdono lentamente negli occhi dell’altro, simili ai propri sia nel colore che nelle emozioni di cui sono specchi. E intanto un calore tiepido, mai provato prima, si propaga lentamente dentro di loro, e li scalda, li fa sentire a casa dopo veramente troppo tempo.
 
«Luke, smettila! Mi stai sporcando!» esclama Madison, mentre cerca di scansare le mani sporche del biondo.
«Smettila tu, voglio solo darti un abbraccio!» ribatte l’altro, fintamente offeso, facendola ridere divertita.
«Prima ti pulisci.» asserisce poi lei, seria, mentre porge al maggiore un tovagliolo che l’altro usa subito, con il sorriso che non riesce ad andarsene dalle sue labbra.
Perché non riesce a credere di conoscere Madison da quasi un mese. Il mese più bello della sua vita, se Luke deve essere sincero. Non riesce ancora a capire perché, tra tutti gli abitanti di Sydney, proprio lei dovesse arrivare e stravolgergli la vita all'improvviso, nella frazione di un secondo; senza dargli modo di capire; riuscendo ad incuriosirlo talmente tanto da far nascere in lui la voglia di conoscerla più a fondo. Non sa darsi una spiegazione per ciò che sta succedendo tra lui e quella che ormai è diventata la persona a cui tiene più di chiunque altro. Quella persona bellissima che, inconsapevolmente, lo sta aiutando a tenere più duro per sua madre; quella persona fantastica che gli sta insegnando a non mollare mai, per nessuno motivo.
Ogni volta che la guarda, Luke è sempre più convinto che Madison sia bella davvero; caratterizzata da quella bellezza che solo poche persone hanno dentro, quella bellezza che riesce a rendere unica ogni più piccola caratteristica di chi la tiene dentro al cuore senza rendersene minimamente conto. È luminosa come una stella, Madison. Lo è quando ride; quando arrossisce per un complimento inaspettato; quando si ritrova con delle buffissime espressioni sul viso per far tornare il buon umore a Letizia ogni volta che la mora è troppo giù; quando parla di ciò che ama.
È bella, Madison King. Luke non potrebbe mai negarlo. E si chiede come mai non l’abbia notata prima. Forse perché non era ancora il momento giusto per loro; forse perché una bellezza così speciale e così particolare la si vede davvero solo quando ci si sofferma ad ascoltare, a conoscere la persona che si ha davanti, senza fermarsi alla prima impressione. Proprio come lui ha fatto con lei, che adesso sta sorridendo tra le sue braccia e che, senza saperlo, lo sta rendendo il ragazzo più felice del mondo.
«Sei comodo.» commenta allegra, stringendosi al corpo tiepido di Luke.
E intanto il sorriso non lascia le sue labbra, mentre il cuore continua a batterle forte, a causa di quel biondo che giorno dopo giorno sta diventando sempre più importante. Madison non vuole che Luke se ne vada; perché sa che senza di lui niente sarebbe più lo stesso. Si conoscono da quasi un mese; molte persone dicono che per costruire un rapporto non è un tempo sufficiente. Però lei sa che ciò che li lega è davvero speciale, unico, diverso da tutto il resto, pieno di così tanta luce e felicità che spesso la bionda si chiede se davvero si meriti un regalo simile.
Perché, nonostante tutto, il suo passato è tornato ad infierire, è tornato a rovinare la sua anima, ad aumentare il dolore delle vecchie ferite e ad aprirne di nuove secondo dopo secondo. E lei che si sente sempre più debole, non capisce perché nella sua vita sia arrivato così all’improvviso quell’angelo che cerca di farla stare meglio. E anche se non riuscirà a salvarla, Madison gli sarà eternamente grata anche solo per averci provato.
Perché un caso perso come lei non merita così tanto; non merita quel ragazzo di cui tuttavia sa di non poter fare a meno, di cui sa che amerà sempre ogni singola sfumatura. Quel ragazzo che per lei rimarrà sempre un angelo.
Un angelo di cui sa di potersi fidare, senza paura. Perché Luke non le farebbe mai del male, lo legge troppo nitidamente in quegli occhi azzurri come il mare; occhi che ogni volta le mostrano un mondo pieno di luce, di colori, di vita; pieno di talmente tante cose così lontane da lei che Madison non sa proprio come poterlo raggiungere, bloccata al suo dolore e alle sue paure dalle catene del passato che non se ne sono ancora andate e che stanno continuando il loro lavoro, interrotto solo per due anni che in confronto a tutto il resto non sono niente.
«Cosa sono, un cuscino?!» esclama il ragazzo, interrompendo il flusso dei pensieri della bionda.
«No, scemo!» ribatte lei. «Ma ci sei molto vicino.»
Ed è con quelle ultime parole, che nessuno dei due riesce più a contenere le risate, che si liberano leggere tra di loro e che rendono il tutto più bello, luminoso, chiaro, lontano dal dolore che entrambi si portano nel cuore. Risate che sembrano voler combattere ad ogni costo il buio, la tristezza, la solitudine; un suono timido e cristallino, che lentamente fa loro capire che non tutto è perduto veramente, anche quando la speranza è davvero troppo flebile.
 
Ed è mentre la felicità cerca di farsi valere sul dolore, che Calum e Letizia si siedono al tavolo; le loro mani ancora unite ed i sorrisi che non sono ancora andati via dalle loro labbra. E subito tra il gruppo di amici c'è un veloce scambio di sguardi d'intesa, mentre l'allegria ed il buon umore si fanno timidamente strada tra loro; come succede da quasi un mese ormai. Un mese che ha visto nascere la loro amicizia, passo dopo passo, con tutte le incertezze di quei quattro ragazzi che adesso riescono a fidarsi un po' di più, senza la paura di rimanere feriti. E tutto questo proprio grazie alle persone che hanno conosciuto; persone che hanno stravolto completamente la loro vita; che hanno fatto tornare l'allegria dentro di loro, accompagnata da quella speranza che, seppur flebile, li sta facendo tornare a sorridere. E nessuno di loro potrebbe chiedere niente di meglio.
Madison guarda Letizia e Calum seduti davanti a lei e non riesce a non sorridere, nel notare la complicità che tra quei due si sta creando giorno dopo giorno. Sorride, perché è felice per la sua migliore amica, sul serio. Quel ragazzo le sta facendo davvero bene; la fa ridere più spesso e le porta via quella tristezza sempre presente che lei, nonostante gli sforzi, non è mai riuscita a mandare via dagli occhi di Letizia. Spera solo che Calum riesca a curarla, perché la mora si merita solo di stare bene.
E si ritrova pure a pensare a quanto lei ed il moro abbiano in comune. Non sa bene come spiegarselo, ma in quegli occhi color caffè riesce a vedere qualcosa che un po' la fa sentire meno sola. Ed è felice di avere un amico come lui con cui, dopo Luke, poter essere se stessa senza venir giudicata in nessun modo.
Letizia, intanto, osserva di soppiatto i due biondi davanti a lei che stanno scherzando e chiacchierando come se si conoscessero da una vita. E si ritrova a pensare che sono davvero belli, insieme. I loro occhi più luminosi del solito, più tranquilli, più felici, le dimostrano quanto per Madison quel ragazzo sia importante. E la mora, deve ammetterlo, è felice che ci sia proprio Luke accanto alla sua migliore amica, perché è sicura che lui non le farebbe mai del male; quegli occhi azzurri come il mare dimostrano tutt'altro.
Quegli stessi occhi chiari che la ragazza si ritrova a vedere come amici. Perché, anche se lei e Luke non si parlano spesso, la loro amicizia è palese, sotto tutti i punti di vista; un’amicizia a cui la mora non vuole rinunciare per nessun motivo, perché si è troppo affezionata a quel biondo per permettersi di perderlo.
Quello stesso biondo che spesso osserva Calum durante il pranzo. E Luke, davvero, crede che l'arrivo di Letizia nella vita del moro sia qualcosa che nessuno di loro riuscirà mai a spiegarsi davvero. Perché deve dire grazie a quella ragazza, se il suo migliore amico sta lentamente tornando quello di un tempo. E anche se nota bene che quei due hanno ancora bisogno di tempo per far sparire del tutto i muri che li tengono prigionieri, Luke sa che entrambi riusciranno a salvarsi a vicenda. Soprattutto, è sicuro che Letizia riuscirà a far voltare pagina a Calum una volta per tutte. Perché il ragazzo ha già visto che il presente del suo migliore amico è negli occhi della mora.
Quella stessa mora che riesce a farlo ragionare sempre e che, anche senza accorgersene, gli insegna a tenere duro, a non mollare mai. E non gli importa se non parlano poi così spesso. Gli è sufficiente sapere che Letizia ci sarà sempre, se mai lui dovesse avere bisogno; esattamente come farà lui per lei se mai dovesse cadere.
E mentre Madison fa una battuta che riesce a far ridere tutti, Calum non riesce a non notare lo sguardo più tranquillo e felice dell'amico. Perché il moro sa troppo bene cosa Luke debba portare sulle spalle giorno dopo giorno con sua madre. E sa pure che Madison, per il biondo, non sarà mai come le altre. Perché lo nota troppo bene, che quella ragazza tiene al suo migliore amico più di tutto il resto; vede in quegli occhi castani che c'è molto altro a legare quei due; altro in cui il moro spera davvero con tutto il cuore, perché Luke merita solo di stare bene.
E si ritrova a sorridere, mentre pensa a quella bionda di cui conosce davvero poco, ma a cui si è affezionato nonostante tutto. E mai avrebbe detto che avrebbe potuto ricominciare a voler bene a qualcuno, non dopo tutto quello che è successo. Eppure… Letizia e Madison sono riuscite a cambiare un po’ le cose; e se quello è solo l’inizio, non riesce proprio ad immaginare che cosa riserverà loro il futuro.
Si guardano, tutti e quattro. E si ritrovano a sorridere, perché hanno ricominciato a sperare che tutto possa finalmente andare per il verso giusto. E questo, solo grazie alle persone che hanno davanti e a cui mai potrebbero rinunciare. Perchè sono la cosa più importante che hanno e proteggeranno sempre, a qualunque costo. Insieme sono una famiglia; sono la medicina più potente per curare quelle ferite che hanno dentro. Ferite che la solitudine riesce solo a far aumentare e che l’amicizia riesce a far scomparire, anche se non del tutto.





Letizia
Tesori miei bellissimi, zao! <3
Eccovi il nuovo capitolo, deheheh. Un capitolo molto fluff oserei dire, con tutti questi feels che corrono da una parte all'altra *^*
Love is in the air!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
No, ok, scusate, cercherò di contenermi (quando mai, Leti, quando mai ci riesci???).
Anyway, che ve ne pare? Cosa pensate di queste due coppiette dolcissime e coccolose? Susu, fate sentire le vostre belle vocine, che sono troppo curiosa!
Come sempre, vi ringrazio, per tutto quello che fate per questa storia; non avete idea di quanto sia importante per me! Vi adoro troppo, sappiatelo! <3
Ci sentiamo presto ;). Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 15
*** Quindici ***


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(Per cortesia, leggete l'angolo autrice; è importantissimo oggi! Buona lettura! <3)

Quindici
 
 
 
E poi ci sono quelle persone per le quali si combatterebbe sempre pur di vederle sorridere.
Perché inevitabilmente si mette la loro felicità sopra se stessi, sopra tutto il resto.
E quando tornano a vivere, tutto è irrimediabilmente più bello.
 
 
 
Da: Madison; 25.09.2015, 05:38 pm
Vieni a casa tua appena puoi.
 
I suoi piedi quasi corrono sull’asfalto, non appena esce da scuola, pur di arrivare il prima possibile, mentre il messaggio della sua migliore amica le rimbomba in testa, come un ritornello che non ha intenzione di smettere. Di preciso, non ha idea di come mai Madison sia a casa sua, né del perché le abbia chiesto di andarci. Tuttavia, non è riuscita a contenere la sua curiosità, ed ecco che si ritrova a scansare le altre persone per strada per evitare di far loro del male. E intanto, il cuore batte velocemente, preda dell’impazienza e della voglia di sapere. Chissà cos’ha in mente la bionda. In fondo, quella mattina né Madison né i ragazzi si sono degnati di venire a scuola, senza neppure spiegarle il motivo. E, deve ammetterlo, è stata la mattinata più noiosa della sua vita; senza i buffi commenti dell’amica sui vestiti dell’insegnante di matematica, o gli sbuffi un po’ troppo rumorosi di Luke alla lezione di storia, o gli occhi scuri di Calum su di lei durante l’ora di letteratura.
A quel pensiero, inevitabilmente un sorriso timido ed insicuro nasce sulle sue labbra morbide e un po’ screpolate, mentre un lungo brivido le attraversa il collo, le braccia, la schiena, arrivando fino alle gambe. Un brivido che riesce ad arrivarle fin dentro l’anima, per scaldarla tiepidamente, con calma, come a voler darle il tempo di abituarsi a quel calore che sente e che la fa stare bene.
Perché Calum riesce a farla sentire a casa; cosa che nessuno prima di lui – neppure Madison – era mai stato capace di fare. Riesce a mettere un po’ di tranquillità in quell’uragano di pensieri che lei da sola non riesce mai a far tacere. Riesce a farla ridere; la aiuta a non pensare a quel peso, a quel vuoto che le grava nell’anima e che, prima dell’arrivo del moro nella sua vita, non sapeva come riempire. Perché Calum riesce anche in quello: la fa sentire meno vuota, meno sola; la fa sentire giusta, e non un errore che probabilmente non aveva il diritto di nascere.
Scuote la testa, e intanto quel calore tiepido che le è nato nel cuore non riesce ad andarsene del tutto. Ma a Letizia non importa; perché quel ragazzo sta diventando sempre più importante per lei, sta diventando una parte fondamentale della sua vita; e lei è più che felice di fargli spazio nel proprio cuore. Perché sa che Calum la tratterà con cura. Non se lo sono mai detto, non se lo sono mai promesso, ma basta osservarsi negli occhi per capire che si vogliono troppo bene per potersi permettere il lusso di perdersi.
Continua a camminare, continua ad ascoltare la musica, mentre l’aria di inizio primavera già si fa sentire, lievemente più calda e più profumata di quella invernale. E, di nuovo, si chiede che cosa abbia combinato la sua migliore amica insieme agli altri due, mentre si ritrova a sorridere, con il cuore leggero e rischiarato un po’ da quella luce che sta lentamente entrando dentro di lei; sorride, con gli occhi di Calum nell’anima e nella mente a farle compagnia, a farla sentire protetta, al sicuro.
Continua a camminare, e non si rende conto di essere davanti casa sua fino a che non vede le varie cassette delle lettere attaccate al muro. Senza pensare, va diretta al portone d'ingresso e lo apre con quella piccola chiave che ha usato soltanto una volta prima di quel momento. Il sentire il metallo freddo tra le mani la fa rabbrividire. Ma lei non ci fa caso per adesso, non vuole farlo. Entra, e quasi corre per le scale per arrivare al suo appartamento.
E si ritrova a sorridere, mentre mette piede in casa con il cuore che – inevitabilmente – batte più forte del normale, nel pensare al ragazzo che abita nell’appartamento davanti al suo e che lei non vede dalla mattina. Non si sono neppure sentiti, e la mora davvero muore dalla voglia di stare un po’ con lui se mai dovesse essere a casa.
«Sono arrivata!» fa sapere a voce lievemente più alta, mentre appende il cappotto in corridoio e si dirige in salotto. E resta basita nel non trovarci nessuno.
«Madison, dove sei?» domanda allora, andando in cucina. E si sorprende nel vedere che pure quella stanza è vuota.
Sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli scuri mentre va verso camera sua. Non capisce cosa stia succedendo; si è immaginata l’arrivo del messaggio oppure è tutto vero? Giusto per essere sicura, prende il telefono e scorre le chat di WhatsApp. E rivedere il nome dell'amica e le parole che le ha scritto la rincuora un po'. Solo che ancora non ha ben chiaro perché Madison l’abbia fatta venire a casa sua se poi non c’è lei.
Sospira di nuovo, mentre ripone il cellulare in tasca e cammina per il corridoio, passando davanti a quella porta sempre chiusa. Una porta che lei non apre da anni per un motivo che ancora non è riuscita a lasciarsi alle spalle, come ogni altra cosa che riguarda il suo passato. La supera velocemente, e un brivido le percorre la schiena; un brivido a cui tuttavia non dà alcuna importanza. Perché alcune ferite dentro dal suo cuore si sono un po' rimarginate. E lei non ha la benché minima intenzione di aprirle di nuovo.
Chiude un attimo gli occhi. Poi apre la porta di camera sua.
 
«Avete finito con i palloncini?» domanda Madison mentre sistema le ultime cose. È da tutta la mattina che stanno lavorando, grazie anche ad Azura che ha permesso loro di restare a casa sua per finire gli ultimi preparativi per quel giorno davvero speciale, e vuole che vada tutto per il meglio. Perché la sua migliore amica se lo merita.
«Quasi.» risponde Luke, mentre cerca di chiuderne uno, senza però riuscirci e facendo ridere gli altri due.
«E poi dite che siete in grado di farcela anche senza di me… Ragazzi.» commenta la bionda.
E Calum si ritrova a sorridere, divertito dalle parole dell'amica.
«Guarda che è stato solo Luke a dirlo.» si difende, facendole l'occhiolino.
«Però, che begli amici ho.» asserisce l’altro.
E nuovamente le risate si fanno sentire, aumentando l'allegria e il buon umore. Perché tutti e tre stanno bene, benché ci siano ancora delle ferite dentro ai loro cuori, alcune più profonde di altre. Stanno bene, ci provano, lottano giorno dopo giorno per non cadere. E anche se alcuni giorni sono più difficili di altri, non importa. Perché sono tutti insieme, sempre l’uno al fianco dell’altro, senza lasciarsi mai soli del tutto. Sono una famiglia, loro quattro, una famiglia un po' a pezzi ma che nonostante tutto continua a farsi forza a vicenda sempre. Perché si vogliono troppo bene per permettersi di perdersi dopo essersi trovati.
«Sai quando arriva?» chiede ad un tratto il moro, spezzando il silenzio e attirando l’attenzione di Madison.
«A breve. Se la conosco bene, a quest’ora avrà già voltato l’angolo.» risponde lei.
E si ritrova a sorridere silenziosamente, la bionda. Perché il rapporto che lega Calum e Letizia è qualcosa di unico, indescrivibile; e la ragazza vede bene quanto quei due abbiano bisogno l’uno dell’altra, anche se non vogliono o non riescono ad ammetterlo, ancora restii come sono a lasciarsi andare, a fidarsi del tutto. Un po’ li capisce, lei, perché in fondo si comporta esattamente come loro: non si fida, non si apre; nasconde il passato che è tornato sotto felpe larghe per evitare che qualcuno possa vederne i segni brucianti e dolorosi, come tutto quello che li causa e che li rende troppo nitidi sulla sua pelle chiara.
Sospira. Non deve pensarci, ha una festa da finire di organizzare. E vuole con tutto il cuore che vada bene.
E mentre Madison continua a nascondersi, Luke non la perde di vista neppure per un secondo. Perché i suoi occhi azzurri hanno notato che c’è qualcosa che non va. E il fatto di non sapere come aiutare quella che ormai è diventata la sua migliore amica lo distrugge, secondo dopo secondo. Perché si sente impotente, si sente impazzire nel vederla così giù di corda, così triste e persa a causa di un qualcosa che lui non conosce ma che vorrebbe tanto far sparire completamente. Perché vuole soltanto che Madison stia bene; lo vuole con tutto il cuore.
Però è felice di vederla così concentrata nel preparare il tutto per quella festa a sorpresa. Sa quanto tenga a Letizia, e il fatto che stia facendo tutto quello solo per la mora dimostra quanto bene si vogliano le due e quando siano importanti l’una per l’altra. È felice, Luke, felice che Madison abbia accanto una persona come Letizia, perché è sicuro che non potrebbe mai accaderle niente di male se la sua vita è nelle mani dell’altra. Ed è felice anche per ciò che stanno mettendo in piedi proprio per lei. Perché pure lui le vuole bene e sa quanto lei sia importante per tutti loro. Soprattutto per il suo migliore amico.
Calum; che, con lo sguardo rivolto alla strada che si vede dalla finestra del salotto, spera di poter veder arrivare la festeggiata da un momento all’altro perché non sta più nella pelle all’idea di ciò che sta per succedere.
E intanto, cerca di combattere i ricordi che troppo spesso tornano a tormentarlo, a farlo cadere, a farlo stare male, a tenergli a mente quanto gravi siano stati i suoi sbagli. A volte, neppure gli occhi grandi e dolci di Letizia riescono a portarlo in salvo; a volte neppure l’affetto della mora riesce ad allontanare il senso di colpa e il ricordo di quegli errori commessi per i quali non avrà mai il diritto di esser perdonato.
Sospira. Vorrebbe tanto essere più allegro, più partecipe. Ma due occhi così verdi da sembrare trasparenti dentro la sua testa non lo lasciano libero; non lo lasciano respirare a causa di tutto il dolore che ogni volta riportano alla luce; un dolore contro cui Calum ha ormai rinunciato a combattere, troppo stanco per difendersi.
E anche se ha permesso a Letizia di entrar un po’ di più nella sua vita, non è ancora riuscito a parlarle del suo passato. E forse mai ci riuscirà, troppo preda della paura di cadere ancora più profondità, troppo spaventato dall’idea di poter perdere nuovamente ogni cosa se davvero le raccontasse tutta la merda che ha dentro, tutti gli sbagli che sta commettendo uno dopo l’altro.
Eppure… Sa che, nonostante gli errori e il buio, per lei troverebbe sempre la forza per combattere, pur di vederla vivere; pur di vederla splendere, bellissima e preziosa come una stella solitaria. Quella stessa stella a cui si sta affezionando sempre di più e a cui si ritrova a pensare sempre più spesso, soprattutto quando ha bisogno di un’ancora per non affondare. Perché Letizia è la sua ancora, lo è fin da quando si sono incontrati, fin da quando le loro vite hanno preso una strada diversa dopo l’arrivo dell’altro che ha sconvolto tutto e che ha portato così tante novità da far loro sperare in un qualcosa di più sereno in futuro.
Perché Calum, grazie a Letizia, sta lentamente tornando ad avere speranza, seppure talmente instabile che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Sta tornando a vedere la realtà con occhio meno triste, meno pervaso da quel senso di vuoto che lo accompagna da troppo tempo.
Sospira. Ha bisogno di vederla e non riesce più a trattenersi. Vuole darle il suo regalo, oltre a quello fatto con gli altri due. Un regalo davvero molto speciale, per il quale però dovranno essere soltanto loro due.
E quando il rumore della chiave che viene girata nella serratura si fa sentire, tutti loro si apprestano a rendere quel pomeriggio davvero memorabile.
 
«Tanti auguri!» esclamano i ragazzi non appena la mora entra.
E Letizia non sa davvero che cosa dire. Osserva la stanza per un istante: palloncini verdi dappertutto e un bellissimo dolce sulla scrivania, con sopra diciotto candeline accese, pronte per essere spente.
Lentamente si avvicina al tavolo, come se tutto fosse un sogno. Poi è un attimo, e l’euforia la prende e le fa spegnere le candeline, con un solo pensiero in testa. Vorrei trovar il mio miracolo, dovessi poi bruciare all’inferno.
Subito da parte dei suoi amici ci sono fischi e «Auguri Leti!» ripetuti all’infinito, mentre lei resta in silenzio. E li guarda, uno ad uno; si perde in quegli sguardi che ormai conosce bene e che tutti i giorni le fanno compagnia e la fanno stare bene. Si permette di osservarli a lungo, cercando di cogliere ogni più piccolo particolare che non vuole dimenticare per nessun motivo.
Perché si sono ricordati del suo compleanno quando quel giorno lei non ci ha pensato neppure per un attimo. Perché le hanno preparato una festa a sorpresa di cui lei non ha intuito assolutamente niente. Perché le stanno dimostrando quanto bene le vogliano. Perché le stanno riempiendo quel vuoto che ha nel cuore. E Letizia sa che davvero non potrebbe chiedere niente di meglio.
Guarda Madison, tutta sorridente e allegra. Osserva la sua migliore amica, con cui ha condiviso letteralmente una vita intera: gioie, dolori, segreti, sogni avverati e infranti, paure, angosce, problemi più grandi di loro da cui entrambe stanno cercando di uscire con tutta la forza che hanno.
Guarda Luke, che le fa un veloce occhiolino, riuscendo a farla sorridere. Il ragazzo dagli occhi colore del mare; quegli stessi occhi in cui la mora riesce a trovare un po’ di tranquillità e di sicurezza che le manca. È come se lui sapesse sempre cosa fare per tirarle su il morale, per farla stare meglio. E lei non lo ringrazierà mai abbastanza.
Poi guarda Calum. E il cuore le si gonfia di gioia nel petto nel vederlo lì, davanti a sé, con le mani infilate nelle tasche dei soliti skinny jeans neri e la felpa grigia senza cappuccio che hanno comprato qualche settimana prima insieme agli altri due. Lo guarda a lungo, senza fretta alcuna, perdendosi in quello sguardo sincero, pieno d’affetto, pieno di quel qualcosa che nessuno dei due sa spiegarsi; quel qualcosa che giorno dopo giorno li lega sempre più profondamente, senza che loro possano farci niente.
Si sente gli occhi lucidi, Letizia, mentre i suoi amici la abbracciano e la scaldano con quell'affetto vero che li unisce come una famiglia. Quella famiglia a cui mai nessuno di loro potrebbe rinunciare. Allora li stringe forte, uno ad uno, per ringraziarli di tutto quello che fanno per lei, senza chiedere niente in cambio. Li abbraccia a lungo, sperando di far loro capire quanto nella sua vita siano importanti e quanto si senta fortunata ad averli incontrati.
«Grazie, grazie davvero!» non fa che ripetere; le lacrime agli occhi ed il sorriso che non se ne va dalle sue labbra.
Madison si ritrova a tirare un po’ in su col naso, commossa pure lei di essere riuscita nel suo intento. E mentre vede Luke stringere forte la mora, un braccio le circonda le spalle e la avvicina al corpo forte di Calum, che la osserva allegro e tranquillo. «Sono contento che Letizia abbia te.»
A quelle parole, la bionda si ritrova a sorridere, felice di avere un amico davvero speciale come lui che, nonostante i muri che si costruisce attorno, la aiuta quando ha bisogno e la fa stare meglio. «Ed io sono felice che tu sia arrivato nella sua vita.»
Calum non risponde. Si limita a stringere a sé la ragazza, mentre continua ad osservare Letizia, senza perdere di vista neanche un suo più piccolo gesto. Perché vederla sorridere in quel modo; vederla vivere davvero, senza paura negli occhi, senza tristezza dentro a quello sguardo che per lui diventa sempre più prezioso giorno dopo giorno, lo rende felice, tanto. Perché non riesce a credere a ciò che sta vedendo: Letizia, in quel momento, gli sembra bella, davvero; di quella bellezza che bisogna cercare a fondo prima di poterla trovare; una bellezza forte e coraggiosa, che non molla mai, che cerca sempre di restare in piedi. Proprio come lei.
La osserva a lungo, attentamente, perdendosi in quegli occhi cioccolato che tanto gli piacciono. E nei gesti, nel modo di fare, non riesce a non vederci sua madre Azura. L’ha conosciuta quella mattina, una volta entrati in casa sua per preparare la festa. Non hanno parlato molto, ma quelle poche parole che si sono scambiati hanno subito fatto capire al moro da dove derivi tutta la gentilezza e la forza che Letizia ha. Azura è davvero una donna straordinaria; l’ha capito subito con una sola occhiata che è forte e che niente e nessuno riesce ad abbatterla del tutto. Ed è felice, Calum; lo è veramente perché si sente troppo fortunato ad aver incontrato una ragazza come la mora.
E mentre il pomeriggio passa tra risate e battute, tra sguardi che si incontrano e sorrisi che nascono timidi sulle labbra; un messaggio trova posto nel cuore della festeggiata.
 
Da: Michael; 25.09.2015, 06:52 pm
Auguri maggiorenne, ti voglio bene!
 
Adesso che sono solo loro due nella sua stanza, tutto è più silenzioso rispetto a prima. La musica spenta, il dolce finito e gustato boccone dopo boccone, le risate di cui ancora sentono l’eco dentro al cuore. E ancora Letizia non riesce a credere di aver appena vissuto la festa di compleanno più bella della sua vita con le persone a cui più tiene al mondo. Le sembra tutto un sogno lontano, come una di quelle tante illusioni in cui ha sempre sperato per non cadere del tutto preda del dolore. E adesso che l’ha vissuta davvero, non sa più che cosa pensare. Sa solo che si sente felice, davvero, come non accadeva da troppo tempo. E deve tutto ai suoi amici.
Ed è con il sorriso sulle labbra che cerca gli occhi scuri di Calum, per sentirsi al sicuro, per trovare quella certezza che le manca per credere davvero di poter meritare qualcosa di così bello ed unico, come quelle persone piombate all’improvviso nella sua vita e diventate importantissime nella frazione di un secondo. Qualcosa di unico come lui, quel ragazzo a cui sa di tenere più di quanto voglia ammettere.
Gli passa una mano tra i capelli folti, accarezzandogli poi il viso morbido e fermandosi a sfiorargli con le dita la punta del naso, facendolo ridacchiare.
«Hai qualcosa contro il mio naso?» si ritrova a chiedere, facendola ridere.
«No, tranquillo.» risponde l’altra; gli occhi pieni di una luce che Calum vorrebbe vedere sempre. «Mi piace.»
«Ma è orribile!» ribatte lui, serio, mentre la mora scuote divertita la testa.
«I gusti sono gusti. E non ammetto repliche.» aggiunge, fermando il moro che sta per ribattere di nuovo.
Calum non riesce a non sorridere e le bacia la fronte, con il cuore che batte davvero troppo forte. Poi prende le mani di Letizia tra le sue, grandi e calde; riempie gli spazi vuoti tra le loro dita e prova a farlo anche dentro ai loro cuori, sperando di esserne in grado, anche se sa che una causa persa come lui non riuscirebbe a fare niente comunque. Ma vuole provarci, nonostante tutto. Vuole farlo per lei, che è riuscita a stravolgere ogni cosa e che sta continuando a farlo ogni giorno, lasciandolo sempre senza parole. Soprattutto in quel momento, quando è proprio delle parole che ha bisogno per fare ciò che ha in mente.
«Grazie, Cal.» gli dice lei, a voce bassa, timida, senza dividere i loro sguardi e facendo battere forte i loro cuori.
«Io… Non è stato niente di che, Leti, davvero.» risponde sincero, mentre continua a cercare il coraggio che gli manca per agire. «Però sono contento che la festa ti sia piaciuta.»
Letizia, a quelle parole, si ritrova a sorridere per l’ennesima volta, prima di sedersi sul letto, con la schiena rivolta un attimo al moro e la spalla sinistra scoperta, su cui subito Calum nota qualcosa di scuro in netto contrasto con la pelle chiara della ragazza. E prima ancora di rendersene conto, lascia che la curiosità prenda campo.
«Quando te lo sei fatta?»
A quella domanda, lei si porta istintivamente una mano su quella L scritta in corsivo, quel tatuaggio divenuto parte di lei ormai quasi un mese prima, per un motivo che preferisce tenere per sé, almeno per adesso. Perché non si sente ancora pronta a raccontare a Calum la sua storia, anche se si fida di lui. È un passo che prima o poi sa che dovrà compiere. Però non adesso.
«Poco dopo che ci siamo conosciuti.» risponde velocemente, dura, atona, sperando che il ragazzo capisca.
Il moro si siede sul letto e non chiede altro. Il tono lievemente più freddo del solito dell’altra ha fatto il suo effetto. Perché Calum ha capito che non è un argomento di cui si possa parlare, per il momento. Per questo si decide a cambiare l’atmosfera: prende tutto il coraggio che ha e che potrebbe non tornare più per molto tempo.
«Devo ancora darti il mio regalo.»
La ragazza subito si volta verso di lui, dimenticandosi del senso di vuoto e di solitudine che sono tornati in superficie al ripensare a quel tatuaggio fatto per un motivo ben preciso, per il quale Letizia sta combattendo con le unghie e con i denti pur di arrivarci. «Il tuo regalo?»
Calum annuisce e va a prendere il basso che aveva messo in un angolo della stanza perché non desse fastidio. E non appena torna sul letto con lo strumento in mano ed un foglio un po’ spiegazzato steso davanti a sè, l’ansia e la paura tornano a tormentarlo. Perché era da troppo tempo che non scriveva una canzone; che non si sfogava con la musica, la sua migliore amica che non riesce più ad aiutarlo come una volta.
Eppure… Eccolo lì, a suonare una canzone scritta di getto per quella ragazza che è davanti a lui, scritta in una sera per cercare di allontanare il passato, per non pensare più a due occhi talmente verdi da sembrare trasparenti dal suo cuore. Ed il fatto che sia tornato a comporre, a suonare la sua musica, lo fa sperare, davvero tanto. Perchè forse c’è ancora qualcosa per cui può combattere; perché forse non tutto è perduto. E Calum sa troppo bene che, se non fosse stato per lei, lui da solo non ci sarebbe riuscito.
Per questo la guarda negli occhi. E rabbrividisce, nel sentire distintamente quel cioccolato tiepido e profondo su di sé, pronto a non perdersi neppure la più piccola mossa di ciò che sta per succedere.
Perché Letizia ha intuito che cosa ha in mente di fare il moro. Solo che… Non sa come reagire. Perché è la prima volta che qualcuno fa una cosa simile per lei. E davvero non ha idea di cosa pensare, né di cosa provare. Sa solo che quel calore tiepido ed improvviso che le è nato dentro al cuore è qualcosa di unico, di bellissimo che non ha la benché minima intenzione di lasciar andare. Perché è una delle poche cose belle della sua vita, e vuole godersela fino in fondo, senza pensare al resto.
Calum respira a lungo, profondamente; una, due, tre volte. Poi comincia a suonare.
E subito gli accordi dolci e lenti si propagano nell’aria, seguite poco dopo dalle parole della prima strofa.
«I need your love to light up this house; I wanna know what you're all about; I wanna feel you, feel you tonight; I wanna tell you that it's alright
Ed entrambi sanno che l’amore di cui parla Calum è l’affetto infinito che li lega e che mai potrà spezzarsi, anche se dovessero passare anni e loro dovessero non rivedersi più. E sanno anche che tutti e due hanno bisogno che qualcuno dica loro che va tutto bene. Perché quell’inferno che hanno dentro distrugge ogni cosa. E perché a volte una voce che dona un po’ di conforto è più utile di tutto il resto.
«I need your love to guide me back home; when I'm with you, I'm never alone; I need to feel you, feel you tonight; I need to tell you that it's alright
Calum continua a cantare; Letizia continua a rabbrividire. È come se le parole entrassero nelle loro anime per non uscirne più. Perché forse hanno trovato il giusto posto dove poter stare. Perché è vero che il ragazzo si sente meno solo quando loro due sono insieme, e sa che la cosa è reciproca. E perché è vero che lei ha bisogno di lui, perché solo grazie al moro riesce a sentirsi a casa.
«We'll never be as young as we are now; it's time to leave this old black and white town; let's seize the day; let's run away; don't let the colors fade to grey; we'll never be as young as we are now; as young as we are now
Sanno che è tempo di reagire, di cambiare le cose. Devono solo trovare il momento ed il coraggio che manca per liberarsi da tutte le loro catene, le loro paure, i loro dubbi. Perché sanno che i loro colori hanno bisogno di tornare a splendere. Solo che… Hanno paura, davvero tanta. Perché quelle ferite sul cuore sono ancora lì, pronte ad attaccare e a riportarli nel buio.
«I see myself here in your eyes; stay awake 'till the sunrise; I want to hold you, hold you all night; I want to tell you that you're all mine
Accordo dopo accordo, frase dopo frase, Letizia inizia lentamente a capire il significato della canzone. Quella canzone che descrive il loro rapporto, fatto di aiuto reciproco, di affetto e di una vita da ricostruire insieme, mattone dopo mattone, senza mai lasciarsi soli neppure per un attimo. E mentre il suo cuore batte forte, Calum non riesce a non dividere il suo sguardo da quello della mora, bellissimo ed unico in ogni sua sfumatura.
«I feel our hands intertwined; hear our hearts beating in time; I need to hold you, hold you all night; I need to tell you that you're all mine
E a nessuno dei due importa se alcune parole possono intendere altro. L’importante è che il significato rimanga sempre lo stesso: nessuno dei due riuscirebbe mai a farcela da solo. Ormai l’hanno capito e non hanno più paura di quel che potrebbe loro succedere se sono insieme.
Passa il secondo il ritornello. E i loro occhi non si lasciano mai, come il sorriso che non se ne va dalle loro labbra.
«We won't wait for tomorrow; it's too late, we don't follow. We won't wait for tomorrow; it's too late, we don't follow.» canta Calum, e Letizia gli va dietro, presa dalla musica e dal senso di benvenuto, di gioia senza limiti che lentamente si sta facendo spazio dentro di lei, lasciando alla magia della musica di fare il resto. Di nuovo il ritornello, di nuovo i sorrisi, di nuovo il batticuore che fa loro capire di tenere all’altro in un modo unico.
«As young as we are now.» dicono insieme. E lo credono davvero.
Arrivano gli ultimi accordi. I brividi continuano a correre sulla pelle. Gli occhi non si lasciano andare.
Poi la canzone finisce, l’eco di tutte le emozioni che entrambi hanno provato si fa sentire sempre di più.
Letizia guarda Calum. E non si rende conto di quel che sta succedendo fino a che il moro non la stringe a sé in un abbraccio caldo e rassicurante, così bello e vero da lasciarla senza parole per l’intensità di quel calore di cui entrambi necessitano molto più di quanto immaginino.
«È il regalo più bello di sempre, Cal.» ammette lei; la voce più simile ad un sussurro ed il cuore che batte veramente più forte del solito. «Grazie, sul serio.»
E prima che Calum possa dire qualcosa, le labbra della mora vanno a poggiarsi delicate sulla sua guancia.
E tutti e due sentono fin dentro l’anima che, forse, le cose stanno davvero iniziando ad andare nel verso giusto.





Letizia
Ciao bellissimi miei! <3
Bene bene, anche questo sabato sono arrivata con un nuovo capitolo su questi bei bambini, che festeggiano il diciottesimo di Letizia.
Awww, ma quanto sono dolci??? E Calum che poi le canta NEVER BE??? No words (and my poor heart is falling into pieces).
Mentre scrivevo questo capitolo, mi sono sciolta a causa di tutto questo fluff e di tutti questi feels non so quante volte, ahahah. Povera me, che mi tocca fare ;P.
Prima di ringraziarvi e di salutarvi, due novità ;).
Prima novità - Ho passato il test del CAE (certificazione linguistica di inglese) ed ho ottenuto il livello C1 (proud of me *^*).
Seconda novità - Ho iniziato a tenere un blog, sul quale pubblico recensioni a manga, anime, serie tv, film e, soprattutto, LIBRI. Se volete passare, cliccate qui: http://alittlenerdsshelf.blogspot.it/. Buona permanenza a chiunque vorrà dare un'occhiata ;). 
Detto questo, ecco il motivo per cui vi ho detto di leggere le note autrie oggi: questo capitolo sarà l'ultimo che posterò per quanto riguarda questa storia. E adesso vi spiego subito perché.
È da quasi due anni che ho iniziato a scrivere fan fiction. All'inizio l'avevo preso come un gioco, come un passatempo (dato che mi è sempre piaciuto scrivere). Poi, però, nel corso di questi (quasi) 24 mesi, la scrittura di fan fiction ha iniziato ad avere un peso diverso nella mia vita; c'è stato un periodo in cui ne ho avuto bisogno per affrontare prove durissime per me, ed un altro in cui (a causa della mia quasi ossessione per lo scrivere) ho perso quasi del tutto i rapporti con il mondo vero. Adesso, invece, la scrittura di fan fiction è diventata quasi un peso per me: non riesco più a trovare alcuna ispirazione con personaggi "già dati", ho bisogno di creare personaggi completamente miei, dalle fondamenta. In più, adesso ho altre cose a cui pensare e le fan fiction non rientrano più in esse. Ecco perché ho deciso di smettere di scriverle del tutto.
Per quanto riguarda questa storia, l'ho iniziata a causa di un periodo molto particolare della mia vita. Mi sono sfogata, ci ho messo tutto quello che avevo e che ero. Solo che, da quel momento, di cose ne sono successe parecchie, ed io in questi mesi sono cambiata davvero molto. Per me scrivere questa storia diventando sempre più difficile perché non ho più alcuna ispirazione e non provo più quei sentimenti che avevo all'inizio. Per questo, la chiudo qui. Scusatemi, davvero, scusatemi tanto. Ma non me la sento di contin oltre.
Vi ringrazio per tutto quanto, non avere idea di quanto mi abbiate dato in queti pochi mesi.
Da oggi in poi smetto di pubblicare, ma non smetto di leggere fan fiction, non per il momento.
Detto questo, vi ringrazio per ogni singola cosa; giuro che non avete idea di quanto bene vi voglia, siete meravigliosi! <3 <3 <3
Statemi bene! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 16
*** Sedici ***


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(Per cortesia, leggete l'angolo autrice; è importantissimo oggi! Buona lettura! <3)

Sedici
 
 
 
E a volte, basta davvero poco per rendere felici le persone che si ama.
Perché le cose più semplici e vere sono quelle che più contano.
Soprattutto, il fidarsi completamente dell’altro è il regalo più grande che si possa fargli.
 
 
 
Il Black Cloud è pieno come sempre. E a Luke fa quasi effetto metterci piede dopo tutto quel tempo, quando ancora la compagnia era unita e l'amicizia non era ancora andata in frantumi per un qualcosa più grande di loro.
Si guarda intorno. E si ritrova a sorridere nel notare che il loro tavolo è vuoto, come se avesse aspettato il loro ritorno per tutto quegli anni, paziente come l'amico più fidato di tutti. Si siede; e la morbidezza dei cuscini gli fa tornare alla mente tutte le serate passate lì, a bere, chiacchierare e divertirsi con persone che adesso vede a stento e che gli mancano da morire.
Sospira stanco mentre si passa nervosamente una mano tra i capelli biondi tenuti su nel solito ciuffo lungo che lo rende più alto di quanto già non sia. E intanto l'ansia inizia ad invadergli in cuore. Perché è passato veramente troppo tempo dall'ultimo incontro. E ha paura che in tutti quei mesi le cose siano inevitabilmente cambiate, che niente sia più com'era prima. Ha paura, Luke, perché non sa se sarebbe in grado di affrontare anche quella perdita.
Guarda l'ora su telefono. E non riesce a non sorridere, nel notare un messaggio su Twitter da parte di quella ragazza che conosce da ormai quattro mesi e con la quale riesce ad essere se stesso senza problemi, senza paure. Non si sono mai visti, ma per adesso va bene così, benché un po' lui speri in un loro incontro il più presto possibile. Perché quella ragazza riesce a capirlo come nessun altro; cerca di farlo sorridere se c'è qualcosa che non va; riesce sempre a toccare i punti giusti per farlo stare meglio. Proprio come Madison.
Ed è a quel pensiero che il suo cuore perde un battito, mentre lunghi brividi iniziano a corrergli sulla pelle.
Perché sono settimane che sta seriamente prendendo in considerazione l'idea di incontrare quella ragazza conosciuta in chat, per sapere almeno se è come dice di essere o se invece usa una maschera nei suoi confronti, anche se sa che non ne avrebbe il motivo, con lui. Però poi, inevitabilmente arrivano gli occhi di Madison nella sua testa, e Luke va in confusione, ogni singola volta. Una confusione che non sa spiegarsi ma che, puntualmente, gli fa sempre mettere a confronto le due persone più importanti della sua vita, anche quando lui non vorrebbe. Perché Madison e Madx non sono la stessa persona – ne è sicuro – e fare un confronto tra loro due sarebbe impossibile.
Sospira, e intanto legge quel Spero che con il tuo amico vada bene oggi. Buona fortuna, ti voglio bene! con il cuore stretto in una morsa.
Ed è mentre le risponde con un veloce Lo spero davvero; ti voglio bene anch’io, che un rumore di passi attira la sua attenzione, facendogli alzare gli occhi verso la persona ferma accanto a lui. E per poco, il cuore non gli scoppia nel petto dalla felicità. Perché erano mesi che lui e Ashton Irwin non si incontravano.
«Ciao, Luke.» lo saluta allegro il riccio; il solito buon umore e la solita tranquillità addosso.
«Ash.» risponde il biondo allo stesso modo.
Poi si sorridono, i due amici. E non passa neppure mezzo secondo, che subito si ritrovano stretti da un abbraccio forte e sentito fin dentro al cuore per entrambi. Perché è passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che si sono incontrati, e vedere che negli occhi dell’altro niente è cambiato è il regalo migliore che il cielo potesse far loro, dopo tutto quel che è successo, dopo che ogni cosa è stata stravolta forse definitivamente.
«Che mi racconti?» chiede Luke una volta seduti uno davanti all’altro. «Università? Tirocinio? A casa?»
Ashton ridacchia e si passa nervosamente le mani tra i capelli chiari. L’amico non è cambiato di una virgola; è sempre rimasto quel ragazzo curioso di sapere con quella strana capacità di non essere mai invadente.
«Non c’è male, anche se a volte vorrei un po’ più di tempo libero.»
Luke sorride e gira distrattamente la cannuccia nel bicchiere pieno di Coca Cola appena arrivato. E intanto pensa a come chiedere all’amico ciò che più gli preme sapere. Gli serve coraggio per fare quella domanda, per chiedere di quella persona che, dopo Calum, è stata ferita più di tutti loro. Gli serve coraggio per ammettere che uno dei suoi migliori amici gli manca da morire; per ammettere che vorrebbe che tutto tornasse com’era prima. Gli serve coraggio; perché le cose sono sempre più difficili, e lui ha paura di non saperle affrontare nel modo giusto.
Sospira. Poi parla; perché sa che, se non lo facesse ora, non avrebbe più altra occasione.
«Come… Come sta… Mike?»
A sentire quel nome, Ashton abbassa lentamente gli occhi e inizia a torturarsi le dita, cercando le parole giuste per rispondere a quella domanda più che lecita. Perché Luke ha diritto di sapere, di chiedere del suo migliore amico dopo tutto quel tempo. Ma il maggiore ha paura di non sapere cosa dire. Allora cerca supporto negli occhi azzurri del biondo. E si ritrova a sorridere mestamente, mentre lascia che le parole escano a fatica dalle sue labbra e dal suo cuore; mentre la voce diventa sempre più malferma, secondo dopo secondo.
«Lui sta… Bene. Ha quasi finito la fisioterapia e tra qualche mese dovrebbero rimetterlo del tutto. Ha ancora degli esami da fare per controllare che tutto sia nella norma dopo il coma. Però…»
Luke annuisce, in silenzio. Sa che c’è altro. Altro che però Ashton ha paura di ammettere. Altro che lui ha bisogno di sapere. Altro che il maggiore ha bisogno in ogni caso di buttar fuori per sfogarsi un po’. Lo legge troppo bene negli occhi dell’amico velati di tristezza e di preoccupazione. E si ritrova a pensare, Luke, che Ashton e Michael sono stati davvero fortunati nel trovarsi a vicenda, perché potranno contare sempre l’uno sull’altro in ogni occasione, ogni volta che le difficoltà bloccheranno loro la strada. E proprio per questo motivo vuole che il maggiore parli. Perché sa che, se non lo farà ora, probabilmente non lo farà mai e alla fine rimarrà schiacciato da tutte quelle cose non dette, che diventeranno sempre più pesanti, sempre più difficili da portare da solo.
«Però?» chiede infatti, sperando che l’amico si sfoghi anche solo per poco.
Il riccio scuote la testa e sospira, lasciandosi andare sul divanetto; lasciando che la sua preoccupazione venga fuori; lasciando che ciò che ha nel cuore se ne vada. Ha bisogno di togliersi quel peso, una volta per tutte. E sa che parlarne con Luke è la soluzione migliore. Perché il biondo è sempre stato il migliore tra loro ad ascoltare, a consolare, ed Ashton sa di potersi fidare completamente di lui. Dopotutto, c’è un motivo se sono amici da sempre.
«Lui… Non parla di quel che è successo, Luke. Dice di averlo superato; di star bene. Però io… Ho paura che non sia così. Ho paura che quando tornerà a casa sua tutti i suoi sforzi andranno in fumo. Non… Non voglio vederlo crollare ancora una volta, Luke… Io… Non voglio… Non voglio…»
Si sfoga, il riccio, parola dopo parola lascia che la preoccupazione e l’ansia accumulate se ne vadano dal suo cuore, permettendogli di respirare più liberamente. E intanto, i ricordi di Michael di quegli ultimi giorni tornano a far male; ad infierire; a farlo sentire insicuro; a fargli nascere la paura di non sapere come fare per poter aiutare il suo ragazzo, la persona a cui tiene di più al mondo.
A quella confessione, il minore si ritrova con il cuore stretto in una morsa da cui sembra non esserci uscita alcuna, mentre un senso di sconfitta si propaga lentamente dentro di lui, abbattendo le poche speranze rimaste. Speranze a cui tuttavia, lui continua ad ancorarsi per non cadere, per trovare quel minimo di forza di cui necessita per combattere, per sperare che le cose possano finalmente tornare ad essere migliori per tutte le persone che ama.
«Ash…» inizia, e subito l’altro fa incrociare i loro occhi. «Io… Penso che tu non debba preoccuparti di niente… Voglio dire, tu lo conosci meglio di me e… E sai che Mike non è facile da buttare giù… È più forte di quanto immagini, quindi… Credi a ciò che dice e continua a stargli vicino, così ci sarai se dovesse avere bisogno di te.»
E Ashton si ritrova a sorridere, grazie al suo migliore amico. Perché sa che Luke ha ragione; sa che Michael è più forte di quanto sembri e, anche se ha paura di vederlo cadere, non lo lascerà mai solo. Perché ha già perso troppe persone care in troppo poco tempo. E non ha la benché minima intenzione di perdere quella che più di tutti gli altri conta; non ha intenzione di perdere la persona che ama con tutto se stesso e per la quale farebbe veramente qualsiasi cosa pur di renderla felice.
Perché Michael è tutto ciò che ha; e se perde lui, ha perso tutto.
«Tu invece che mi racconti?» domanda allora, cambiando argomento, prendendo poi un sorso dalla bottiglietta d’acqua. Anche se sono passati mesi, anche se il rapporto tra loro non è cambiato, il riccio sa che entrambi hanno paura a chiedere davvero le cose di cui più vorrebbero sapere qualche novità. Perché a volte, basta solo qualche parola di troppo per riaprire vecchie ferite.
«Come al solito.» sospira l’altro; la voce atona, distante, come ogni volta che si ritrovano a parlare della sua vita, la stessa da ormai due lunghi anni. «Mia madre sta ancora male e Calum continua a darsi la colpa.»
A quell’ultima frase, l’altro punta gli occhi in quelli dell’amico. E Luke sgrana i suoi, nel vedere lo sguardo del maggiore così preoccupato e triste. Perché sa quanto Ashton tenga a Calum: sono migliori amici da tutta una vita, e sapere che il moro continua a stare male per qualcosa che nessuno di loro è riuscito a fermare in tempo è la cosa peggiore, per tutte le persone coinvolte.
Però il biondo non sa che Ashton è preoccupato pure per lui, a causa di quella situazione familiare che, anche se non dolorosa, è riuscita a distruggere due persone nella frazione di un attimo. Perché il riccio si ricorda troppo bene come Luke arrivava alle loro uscite; ricorda troppo bene quegli occhi azzurri rossi per le lacrime versate per strada prima di incontrarsi con gli altri; ricorda quei silenzi prolungati in cui il minore aveva iniziato a chiudersi, durante i primi mesi, per poi reagire e riprendere la sua vita in mano, più forte e più coraggioso di prima. Ricorda tutto, Ashton. E vorrebbe davvero che nessuna delle persone a cui vuole bene continuasse a vivere quell’inferno impossibile da gestire.
«Continua anche con tutto il resto?» chiede il riccio, cercando di parlare solo del moro. Perché sa quanto Luke soffra nel raccontare di sua madre, per questo motivo non chiede altro. E intanto cerca di restare lucido; tenta disperatamente di non lasciare che i sensi di colpa lo rendano nuovamente preda del dolore com’è accaduto in passato. Perché non può permettersi di cadere: Michael ha bisogno di lui.
Luke annuisce lentamente, e l’altro sospira pesantemente, passandosi le mani sul viso stanco. Perché ha sperato fino in fondo che Calum si salvasse; ha sperato con tutto il cuore che l’amico tornasse quello di una volta; che riuscisse finalmente a voltare pagina, senza più addossarsi un errore non suo. In fondo, quel mese non è venuto all’ospedale. Ed Ashton aveva creduto che finalmente stesse iniziando a stare meglio.
«Però ha anche ripreso a suonare il basso. Ha persino scritto una canzone.»
E quella notizia non fa altro che destare l’attenzione di Ashton, che sgrana gli occhi per la sorpresa mentre il cuore inizia a battergli forte nel petto. «Cosa?!»
Perché non avrebbe mai creduto possibile che il moro tornasse a vedere la musica come valvola di sfogo. Non avrebbe mai creduto che sarebbe potuta accadere una cosa simile. Calum che torna a suonare, che torna a scrivere canzoni è forse la prova migliore che, nonostante tutto, qualcosa sta tornando al suo posto, passo dopo passo. E lui non potrebbe chiedere niente di più per il suo migliore amico. Spera solo che le cose continuino di quel passo; perché Calum – come tutti gli altri – merita di stare bene.
Luke annuisce, divertito dalla reazione del riccio. Una reazione che aveva previsto e che lo ha lasciato piacevolmente sorpreso. Perché pure a lui sembra un vero miracolo che Calum abbia ripreso a vedere la musica come un’amica, dopo tutto quello che è successo. E sa, sente dentro al cuore che, se le cose stanno cambiando, è merito di una ragazza dagli occhi color del cioccolato e dal cuore immenso che è arrivata all’improvviso nelle loro vite, stravolgendole come un uragano.
«Com’è–?» inizia il maggiore, ma subito il biondo lo frena, sorprendendolo non poco con la sua risposta.
«Si chiama Letizia.»
E quel nome, Ashton è sicuro di averlo già sentito da qualche parte.
 
«Allora, che mi dici del libro?» domanda curiosa Letizia non appena entra in camera di Michael.
Il ragazzo ridacchia debolmente e le fa posto vicino a sé sul letto, mentre lei si toglie il cappotto e lascia tutto il resto su una sedia lì vicino, prima di sedersi accanto al ragazzo e chiacchierare come loro solito.
E mentre la mora si lascia stringere forte da quello che ormai può considerare il suo migliore amico, si ritrova a pensare a quanto il loro rapporto sia cambiato in quell’ultimo mese. Non sa spiegarsi come sia successo; sa solo che lentamente le loro conversazioni sono diventate più piene di allegria; sa di essersi lasciata andare con lui; di aver iniziato a fidarsi di quel tipo un po’ strano dai capelli colorati e dagli occhi così verdi da sembrare trasparenti; sa di volergli bene, davvero. E le sta bene così.
Perché, anche grazie a Michael, le sue ferite pian piano stanno iniziando ad andare via; lei sta cominciando a vedere la realtà con più colori; si sente meno vuota, con il cuore pieno di un qualcosa che ancora non riesce a capire, ma che la fa sentire viva, bruciante come una piccola scintilla che fa di tutto per continuare a far luce, anche se flebile. E lo sa, Letizia, che deve tutto alle persone che le vogliono bene e di cui lei si fida.
«Non è male.» risponde il ragazzo rendendole Noi siamo grandi come la vita con il sorriso sul viso.
Lei lo mette in borsa e intanto sorride divertita. «È uno dei libri più belli che abbia mai letto, come fai a dire soltanto “Non è male”?»
Michael scuote lentamente la testa e sospira. «Questione di gusti.»
E la mora vorrebbe davvero ribattere alle parole dell’amico, ma non appena si volta verso di lui, non sa cosa dire.
Perché gli occhi di Michael non sono mai stati spenti come quel giorno. Perché lei non ha mai visto il ragazzo così giù prima di quel momento. È come se tutto il suo buon umore fosse svanito nel nulla; come se la sua allegria sempre presente fosse scomparsa nella frazione di un istante, lasciandolo inerme di fronte a qualcosa che Letizia vorrebbe conoscere per poterlo aiutare in qualche modo. Perché gli vuole bene e sa che, senza di lui, niente sarebbe più lontano stesso, in nessun caso.
Gli si avvicina piano, quasi avesse paura di vederlo andare in pezzi da un momento all'altro; quasi avesse paura di buttarlo giù come un castello di carte con una mossa troppo azzardata; quasi avesse paura di essere lei stessa a fargli del male senza volere. «Mike?»
Lui la guarda, ma resta in silenzio. Perché ha così tante cose dentro al cuore e la testa, ma non sa come potersene liberare. Quelle stesse cose che da alcuni giorni lo stanno schiacciando più del solito. E lui non più sa come difendersi. Perché la mancanza ed il senso di vuoto a volte diventano troppo forti persino per lui. Lui, che non ha più alcun muro dentro l'anima per evitare che i ricordi lascino il segno del loro passaggio.
«Mike, che succede?» chiede Letizia; la voce flebile, insicura, preoccupata.
Il ragazzo sospira e si passa lentamente le mani tra i capelli. Troppe parole non dette, troppe paure lasciate indisturbate a scavare e infierire su ferite sempre più profonde. Troppe cose da affrontare da solo, con il rischio di impazzire da un momento all'altro. È quello ciò che Michael sta cercando di evitare da giorni: sta tentando difendersi; di relegare il dolore in un angolo per non pensarci; sta provando a non cadere. Ma è impossibile non pensare a chi, andandosene, lascia un vuoto quasi incolmabile.
Guarda la sua amica. E si ritrova a pensare che; senza lei a fargli compagnia tutti i pomeriggi, non sarebbe dov'è adesso. Perché Michael, anche se è forte, sa che prima o poi cadrà, senza modo di poter tornare indietro, se non dovesse riuscire a superare ogni cosa una volta per tutte. Ed è per questo motivo che sarà sempre riconoscente alla sua migliore amica, perché lei gli sta insegnando a restare in piedi con le poche forze che ha. Perché l'ultima cosa che Michael vuole, è di essere un peso per le persone che gli vogliono bene. Non vuole essere un peso per Ashton. Perché il ragazzo dai capelli colorati sta facendo tutto per la persona che ama, per risparmiarla da un peso e un dolore che non sono suoi.
«Troppe cose, Leti.» risponde; la voce così bassa che sembra molto più simile ad un sussurro.
La mora sospira ed inizia ad accarezzargli lentamente la mano, preoccupata, con un senso di impotenza dentro al cuore tale da farla restare in silenzio, facendola sentire incapace di salvare il suo migliore amico. Eppure… Sa che se non prova con tutto ciò che ha, non potrà mai sapere come sarebbero andate le cose; se non prova, non sa quanto potrà essere d’aiuto e di conforto al ragazzo. Allora sospira di nuovo, a fondo, come a voler raccogliere il coraggio che le serve per resistere. Poi, spera che vada tutto bene.
«Lo sai che… Se vuoi… Puoi parlare… Con me… In fondo sei il mio migliore amico.»
Michael, a quelle parole sentite fin dentro le ossa, non riesce a non sorridere. Perché ogni suo pensiero su Letizia si sta rivelando giusto: lei ha solo bisogno di tempo per abituarsi, poi non c’è altro da fare; diventa un tornando, un qualcosa impossibile da fermare, a causa di quella forza infinita e sempre presente che lo fa muovere in un modo o nell’altro. E lui, deve ammetterlo, si sente davvero fortunato ad avere un’amica come la mora, a cui vuole bene più di quanto voglia ammettere.
«Io…» inizia, poi chiude gli occhi. Perché non sa se raccontarle la sua storia possa portare a qualcosa di buono; non sa se parlare del passato possa in qualche modo aiutarlo a stare meglio; non sa se sfogarsi sia la scelta più giusta. Apre gli occhi, li punta in quelli scuri dell’amica. E all’improvviso capisce che non deve mai preoccuparsi, se Letizia è con lui; perché sa, è certo che lei non lo lascerà mai cadere. Per questo inizia a raccontare.
«Avevo una sorella.»
E già dalle prime parole, la mora intuisce che la conversazione che affronteranno sarà tutt’altro che semplice. Non dice niente; si limita a stringere delicatamente Michael a sé e lascia che lui la abbracci a sua volta; come a volersi dare sostegno a vicenda contro qualcosa di cui nessuno dei due conosce precisamente la portata. E mentre lui continua a parlare, la ragazza sente il cuore stringersi in una morsa ad ogni parola. Perché un po’ capisce, e mai avrebbe potuto immaginare una storia simile.
«Lei… Era più piccola di me, solo di un anno… Ed era la cosa più bella di tutta la mia vita…» continua Michael; e subito sente gli occhi farsi lucidi al ricordo di tutto quello che ha perduto nella frazione di un attimo.
«Era sempre felice, sempre allegra, riusciva… Riusciva sempre a illuminare le giornate a chi voleva bene… Anche se si arrabbiava spesso, perdonava sempre tutti… Non riusciva a tenere il muso troppo a lungo… Era… Era fantastica, la migliore per me e per chi ha avuto la fortuna di conoscerla…» prosegue. E la rivedere ridere alle battute pessime dei suoi amici, con l’espressione seria ogni volta che cercava di far star bene chi le stava intorno; con lo sguardo allegro che riusciva a tranquillizzarlo sempre.
«Eppure… Eppure stava male… E faceva di tutto per non far preoccupare nessuno… Cercava di non essere un peso… Non… Non voleva che gli altri la vedessero debole…» e sente di nuovo i pianti della sorella nel cuore della notte, le grida soffocate contro il cuscino per non svegliare i loro genitori; rivede troppo bene quegli occhi verdi così simili ai suoi diventare giorno dopo giorno sempre più distanti, sempre più spaventati, sempre più vuoti, come se qualcosa avesse iniziato a divorarla lentamente dall’interno e nessuno potesse farci niente.
«Alla fine i nostri genitori intuirono che qualcosa non andava e… Decisero di farle incontrare uno psicologo… Lui… Le diagnosticò una forma lieve di depressione… O meglio, a noi disse così… Però io… Sapevo che dietro ai silenzi prolungati di mia sorella c’era altro che nessuno riusciva a vedere… Neppure io ci riuscivo, nonostante facessi di tutto…» e si rivede a prendere a pugni i muri di camera propria, preda della rabbia, del senso di sconfitta per non essere in grado di aiutare la sua metà più grande; si rivede a cercare di far forza ai suoi amici, troppo preoccupati per la ragazza; si rivede a far forza ai suoi genitori, giorno dopo giorno, in silenzio.
«Lei… Lei però peggiorò… Aveva iniziato a dimagrire a perdita d’occhio e parlava sempre meno… Non era più mia sorella…» e ripensa a tutte le volte in cui aveva tentato di farle mangiare anche solo un pezzo di pane e bere almeno un sorso d’acqua, ricevendo indietro solo silenzi e sguardi così freddi e chiusi in se stessi da disarmarlo completamente ogni volta.
«Alla fine decisero di mandarla in un centro di riabilitazione per… Per sei mesi, sperando che potesse stare meglio… Lei… Non disse mai la sua opinione… Non si fece mai sentire contro o a favore della scelta…» e rivede il giorno della partenza per il Royal Rehab, la rivede partite con lo sguardo assente e con gli occhi persi, come se della sua vecchia se stessa non fosse rimasto niente da poter riportare alla luce.
«Io ero l’unico contro la decisione dei medici e dei miei genitori… Perché… Perché la conoscevo… E… E sapevo che andare in quel posto non avrebbe fatto altro che peggiorare il tutto…» e si ricorda dei lunghi litigi con i suoi; ricorda le lacrime, le urla troppo forti e nitide per non essere sentite; ricorda tutto troppo bene.
«Poi lei tornò… E le mie teorie trovarono la loro conferma… Tutti… Credevano che stesse bene… In fondo è sempre stata una brava attrice… In quei mesi aveva solo imparato a nascondere di più il suo dolore…» e ripensa a come sua sorella sembrasse stare meglio, a come sorridesse freddamente e a come continuasse a dare campo libero a quel dolore che giorno dopo giorno si prendeva le parti migliori di lei, lasciandola con niente; il problema era che lui, gli occhi di sua sorella, aveva sempre saputo leggerli troppo bene, e in quel verde aveva visto quanta paura ancora ci fosse, aveva visto quanto ancora lei stesse male.
«Ero l’unico che riusciva a vedere che le cose erano peggiorate… Gli altri mi davano sempre contro e… Mia sorella continuava a chiudersi sempre di più… Senza che io potessi fare niente per aiutarla…»
Prende un respiro. Perché la parte più brutta della storia deve ancora arrivare e ha bisogno di tutto il coraggio che ha per non cadere ancora. E riprende a raccontare, mentre il cuore protesta ad ogni parola e ad ogni lacrima che scende lenta dai suoi occhi grandi e troppi tristi, troppo pieni di parole non dette che finalmente hanno trovato la loro giusta via d’uscita.
«Era l’ultimo dell’anno di due anni fa… Eravamo usciti tutti insieme per festeggiare… Il nostro gruppo… Anche lei era voluta venire con noi… Avevamo girato un po’ per la città e poi eravamo andati sulla spiaggia a vedere i fuochi… Lei… Disse di dover recarsi in un posto e noi la lasciammo andare… Solo che… Non tornò…»
Si ferma ancora una volta. Le lacrime che ormai scendono inesorabili sul suo viso e dagli occhi della sua migliore amica, che lo guarda come se avesse davanti il più fragile dei tesori, come se dovesse proteggerlo a costo della sua stessa vita. Anche lui la osserva e, nonostante il dolore, sa che ha bisogno di andare fino in fondo per liberarsi del tutto da quel peso immane che non riesce più a portare.
«La cercammo per tutta la notte ma… Non la trovammo… Il giorno dopo ci chiamarono da quest’ospedale… Ci dissero che l’avevano trovata in mare e che aveva battuto la testa… Rimase in coma per una settimana, poi…»
Sospira. Guarda di nuovo Letizia negli occhi. E crolla, del tutto; lascia che il dolore, la tristezza, la rabbia escano dal suo cuore; si libera. E la mora è lì a stringerlo a sé, mentre cerca di consolarlo cullandolo, accarezzandogli debolmente la schiena. Perché sa che, anche se volesse, non avrebbe la forza di parlare: i singhiozzi fermerebbero anche lei. Si limita ad ascoltare con il cuore in mano, pronta a sorreggere il suo migliore amico, se mai dovesse cadere
«Lei… Si è suicidata, Leti! Aveva già pensato a tutto… Ci pensava da tempo… L’ha scritto nel suo dannatissimo diario! Ed io… Non sono riuscito a fare niente, non sono riuscito a salvarla!» quasi urla, Michael, sfogandosi ancora, mentre il ricordo di sua sorella si fa sempre più vivo, secondo dopo secondo, facendogli capire perché quell’amico che non vede da troppo tempo stia continuando a darsi la colpa, anche se non dovrebbe.
Letizia non riesce a parlare, non riesce ad agire, paralizzata dalla storia che il ragazzo si porta dentro da così tanto tempo e che è riuscito solo adesso a raccontarle con il cuore in mano. Non ha idea di come consolare persone che hanno subito una perdita così grave. Non sa come fare per aiutare l’amico a stare meglio. Sa solo che non ha la benché minima intenzione di lasciarlo da solo. Perché, purtroppo, sa quanto a volte l’aiuto di qualcuno possa essere fondamentale per rimettersi in piedi e continuare a vivere, nonostante ciò che si è passato.
Restano così, loro due, in silenzio, stretti l’uno all’altra, senza la voglia di porre fine all’abbraccio. Perché il coraggio di reagire e di stare meglio si trova in due, soprattutto quando l’altro è un amico prezioso di cui si sa di potersi fidare sempre e comunque. E nonostante le ferite facciano nuovamente male, Michael non riesce a pentirsi di ciò che ha fatto; sfogarsi con Letizia si è rivelata la scelta migliore di sempre. Perché adesso, anche se non del tutto, il peso sul suo cuore se n’è andato, l’ombra nei suoi occhi se n’è andata. E lui è libero.
«Come si chiamava?» chiede ad un tratto la mora, sperando di non toccare tasti troppo dolenti, mentre le lacrime continuano a rigarle le guance, in silenzio. Perché non riesce ad immaginarsi il dolore che il ragazzo ha dovuto sopportare; perché le sembra impossibile che le persone debbano soffrire così tanto, a causa di quel disegno di cui fanno parte ma che nessuno mai riuscirà a capire. Non concepisce perché tra tutti, proprio lui, il suo migliore amico, abbia dovuto affrontare quell’inferno completamente da solo.
«Rachel.» risponde lui. E inevitabilmente si ritrova a sorridere. Perché la sua sorellina gli manca da morire; ma adesso sa che non soffre più, sa che quel piccolo angelo a cui vorrà sempre bene è in un posto migliore. E non potrebbe chiedere niente di meglio.
Letizia sospira e si asciuga gli occhi, prima di stringersi nuovamente a Michael, sperando di riuscire a fargli capire che non lo lascerà mai solo, che ci sarà sempre, che non se ne andrà. Perché sa di essere in grado di mantenere quella promessa, per lui e per tutte le persone a cui vuole bene. Perché sono importanti, ognuna a modo proprio. E lei, senza di loro, sa che non sarebbe niente.
«Perché… Non mi hai mai detto niente?»
Michael sospira e le bacia la fronte, stringendola forte a sé, mentre cerca quell’ultimo briciolo di coraggio di cui ha davvero bisogno per andare fino in fondo a quella storia.
«A volte è dura fidarsi degli altri.»
E nessun altro potrebbe capire quella frase meglio di Letizia, che subito guarda l’amico negli occhi e gli sorride.
«Grazie, Mike. Grazie per… Per esserti fidato di me.»
Lui sorride di nuovo e le accarezza una guancia, gentile e grato per tutto quanto.
«Grazie a te per aver fatto lo stesso con me.»
.
 




Letizia
Sopresaaaa!!! <3 <3 <3
Ebbene, cari miei lettori di EFP, dopo due lunghi mesi di assenza, la sottoscritta è tornata a postare questa storia. E vi spiego subito perché.
Ho notato che ho avuto bisogno di questi due mesi per rimettermi in carreggiata su tutti i fronti (scuola, amici, famiglia, me stessa in primis). E, grazie al cielo, molte delle cose messe male si stanno rimettendo a posto, quindi sta andando bene la cosa :).
In quest'ultima settimana mi sono ritrovata a pensare a questa storia, a questi personaggi, al fatto che - nonostante questo periodo di assenza - mi ricordassi ancora per bene la trama nel dettaglio e, soprattutto, mi sono ritrovata a pensare al fatto che detesto lasciare una cosa a metà. Quindi....
FINIRO' DI POSTARE QUESTA LONG, promesso u.u
Solo che, sul serio, dopo aver finito questa fan fiction, non ne scriverò altre. E' solo che ho bisogno di chiudere davvero questo capitolo (bellissimo) della mia vita. Ho bisogno di voltare pagina, tutto qui; ma voglio farlo per bene, chiudendo per bene tutti i cassetti lasciati a metà u.u
Quindi, tornando ai nostri prodi, che dirvi?
Abbiamo un Luke che pensa a due care ragazze (Madison e Madx... u.u) e che poi si incontra con Ashton, della serie: "Cavolo, quanto è piccolo il mondo!".
Abbiamo poi i nostri Mizia (che io adorerò fino alla morte *^*) ed il nostro Mike ci rivela una cosa scioccante: sua sorella o.O
Ed io qui non commento oltre, perché non posso dirvi molto (ormai lo sapete, ahahah ;)).
Posso solo dirvi che, causa esame, le note autrice e le risposte alle vostre recensioni saranno molto brevi, per il semplice fatto che non avrò molto tempo da qui alla fine di luglio o.O
Detto questo, ci sentiamo venerdì prossimo (perché sabato 14 sarò al concerto di quei quattro idioti a Roma, E NON VEDO L'ORA!!!!). Grazie di tutto per chi è rimasto, per chi entrerà da oggi in poi in contatto con questa storia e per chiunque mi lascerà qualche parolina per farmi sapere che cosa ne pensa. Io vi saluto qui ;).
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 17
*** Diciassette ***


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Diciassette
 
 
 
Perché fidarsi delle persone che si ama non è mai un errore.
Dimostra quanto si è disposti a mettere un gioco per far sì che tutto funzioni.
E non importa quando tempo servirà; l'importante è fare il viaggio in due.
 
 
 
Quel venerdì pomeriggio le vie del centro di Sydney sono meno trafficate del solito. Probabilmente perché i ragazzi sono appena usciti da scuola e perché è troppo presto per rincasare per chi lavora fino a tardi. A Letizia però non dispiace. Le basta poter passeggiare per le strade che ormai conosce come le sue tasche, lasciando che i suoi piedi la portino dove vogliono, mentre la musica continua ad andare e a farle compagnia.
La primavera è iniziata e, stranamente, alla mora non dà alcun fastidio. Probabilmente perché ha così tante cose per la testa che al resto pensa meno del solito. Perché le persone che sono entrate all’improvviso nella sua vita le riempiono le giornate completamente, in un modo che lei mai avrebbe creduto possibile. La fanno stare bene; la fanno ridere; le fanno tornare il buon umore; non la fanno pensare al peso che ancora le grava sul cuore e che non è ancora riuscita a lasciarsi del tutto alle spalle.
Sa di essere stata davvero fortunata ad incontrare qualcuno di così speciale come i suoi amici: unici, pazzeschi, insostituibili. Sono il dono più grande che la vita le abbia mai fatto; un tesoro a cui non vuole rinunciare per nessun motivo al mondo.
Si sistema meglio il cappello in testa e continua a camminare. E intanto, ciò che è successo con Michael una decina di giorni prima continua a metterle dentro al cuore un’inquietudine mai provata fino a quel momento. Perché Letizia è davvero preoccupata per il suo migliore amico. Anche se da quel giorno non gli ha più fatto domande, è sempre vigile, sempre pronta ad intervenire se per caso lui dovesse cadere di nuovo. Per adesso, le cose sembrano andare per il meglio: Michael è più rilassato e sorride più spesso, sorride veramente. E la mora spera davvero che quelle ferite che il ragazzo ha nel cuore si rimarginino al più presto.
Sospira, mentre il cuore cerca di battere più lentamente, mentre lei tenta di tranquillizzarsi. Perché quella storia, quel passato difficile l’ha distrutta solo al sentirne parlare. Non avrebbe mai creduto possibile che qualcuno potesse vivere un’esperienza così devastante come quella di Michael. Perché Letizia sa di non poter neppure lontanamente immaginare il dolore di quella perdita troppo importante provato dal ragazzo e dai suoi genitori. Non potrà mai capire fino in fondo quanto pesante sia quel senso di vuoto che il suo migliore amico sta ancora cercando di combattere. Perché alla fine nessun dolore sarà mai uguale all’altro. Ogni causa, ogni storia, ogni persona è diversa, e anche se è vero che ci si ritrova fratelli nelle emozioni che si prova, nessuno potrà mai capire l’altro fino in fondo. È un dato di fatto, non c’è scampo.
Sospira, Letizia, e continua a passeggiare con calma; mentre cerca di non preoccuparsi troppo per qualcosa che non si può più cambiare in alcun modo, neppure volendo. Ripensa a Michael che in quegli ultimi giorni sembra essere tornato lo stesso ragazzo allegro che ha conosciuto. E non riesce a non sorridere, a causa di quella speranza che lentamente sente nascere dentro al cuore. Una speranza per un futuro più luminoso per le persone a cui vuole bene e che si meritano solo il meglio che la vita ha da offrire.
Volta l’angolo. E quasi per magia, la vetrina di un negozio attira la sua attenzione, soppiantando il pensiero di Michael per un po’. Un negozio in cui lei non ha mai messo piede, neppure da bambina, quando doveva accompagnare Azura a fare spese. Un negozio di cui però conosce il significato di ciò che vede e che le fa battere forte il cuore per uno strano pensiero che sta lentamente iniziando a prendere campo nella sua mente.
Esita. Non sa se sia la scelta più giusta da fare. Non sa davvero a che cosa potrebbe portare quella decisione così lontana da lei, così diversa dal solito, ma forse vicina ad una soluzione di cui lei stessa e Azura hanno bisogno. Chiude gli occhi, un attimo soltanto. Poi li riapre. E senza indugio si incammina verso il fioraio distante da lei solo pochi passi. Quasi corre per arrivarci; perché sa che, se avesse aspettato un secondo in più, avrebbe cambiato idea. Perché ha paura di aver fatto la scelta sbagliata. Ma ormai il gioco è fatto. In fondo, è soltanto un piccolo mazzo di fiori di Narciso che tiene in mano quando esce dal negozio. Un mazzo di cui sicuramente Azura capirà il significato, amante dei fiori com’è sempre stata.
Perché la pianta Narciso vuol dire “nuovi inizi”. Ed è ciò che Letizia vorrebbe tanto poter attuare, soprattutto con Azura. Vorrebbe ripartire da zero e far rinascere un rapporto totalmente nuovo tra loro due, senza che il passato mandi in frantumi i loro sforzi; perché gli errori e le parole non dette alla fine rovinano tutto, sempre. Ed entrambe, purtroppo, l’hanno sperimentato sulla propria pelle in un modo che avrebbero preferito evitare. Perché se adesso sono su due piani troppo distanti per capirsi, la colpa è di tutti quei segreti nascosti troppo a lungo e scoperti troppo presto. Quei segreti di cui sarebbe stato meglio parlare a tempo debito, per entrambe.
Letizia vorrebbe… Vorrebbe soltanto ringraziare la donna per ogni singola cosa che ha fatto e che sta continuando a fare per lei, per un motivo che forse si sarebbe potuto evitare. Soprattutto, vuole ringraziarla per quell’affetto incondizionato che le dà e che la ragazza crede di non meritare affatto, troppo bello per un errore come lei.
Sospira e si sistema nervosamente gli occhiali sul naso. Pensare ad Azura le fa male, aumenta il dolore delle ferite e la fa sentire ancora più in colpa. Perché davvero vorrebbe che tra loro due ci fosse un rapporto degno di essere definito tale; ma il suo comportamento, la sua paura, la sua insicurezza, il suo non fidarsi, la portano a mandare tutto all’aria, sempre, ancor prima di iniziare a fare sul serio.
Vorrebbe solo che tutto non fosse così maledettamente difficile.
Ed è mentre si ritrova a percorrere i viali del suo quartiere, il cellulare che suona cattura la sua attenzione.
 
Da: Calum; 20.10.2015, 05:17 pm
Hai tempo di far compagnia al tuo vicino?
 
Letizia, irrimediabilmente, si ritrova a sorridere a causa di quel ragazzo moro che giorno dopo giorno le fa compagnia; che riesce a farle vedere i colori della vita; che, inconsapevolmente, le consiglia i passi giusti da seguire per tentare il suo meglio con Azura.
Sorride, la mora, perché è convinta che, anche se ci vorrà del tempo, tutto andrà per il meglio. Non sa spiegarsi quella strana sensazione. La sente e basta, dentro al cuore, dentro le ossa, dentro l’anima. La sente flebile, quella lieve speranza che lentamente sta prendendo sempre più campo e a cui lei si ancora per non cadere. Spera solo che non svanisca prima ancora che tutto cominci sul serio.
 
Da: Letizia; 20.10.2015, 05:20 pm
Dammi cinque minuti e sono da te.
 
Le dita corrono veloci sulle corde. La musica riempie la stanza. Il diario lasciato aperto sul letto davanti a lui. Le lacrime che continuano a scendergli dagli occhi, lente, brucianti, che si approfittano del fatto che ormai lui non riesce più a contrastare niente. Le ferite che secondo dopo secondo diventano sempre più grandi. Il bisogno di ricorrere a l’unica via di fuga che conosce ma a cui non vuole arrivare, non ancora, non quel pomeriggio.
Perché sta cercando di reagire, Calum. Sta tentando di tenere a freno i ricordi, le scene di quel passato perduto per sempre. Sta provando a non farsi inghiottire dal buio come le altre volte. Perché lo sa che non dovrebbe più leggere quel diario; se lo ripete ogni mattina, osservando quella Moleskine nera posata sulla scrivania, nascosta tra libri di scuola e quaderni pieni di troppe canzoni scritte e mai suonate.
Sa che non serve a niente farsi ancora più male. Perché tanto le cose non cambieranno; è inutile che continui a cercare una spiegazione a ciò che è successo e che ha stravolto completamente la sua vita, senza dargli modo di potersi difendere neppure per un secondo. È inutile continuare a darsi la colpa, perché ormai il danno è fatto, gli errori sono stati commessi uno dopo l’altro e non c’è modo di riavvolgere il nastro. Il problema è che darsi la colpa è l’unica cosa che gli rimane da fare.
Sospira e chiude il basso nella custodia nera, per poi sedersi nuovamente sul letto, sospirando e prendendosi la testa tra le mani tremanti e sfinite, come lui. Non riesce più a suonare come vorrebbe. Dopo aver scritto Never be per Letizia, è come se il suo cuore si fosse nuovamente cristallizzato, come se fosse diventato di nuovo pietra fredda che non riesce più a trasmettere i propri sentimenti in nessun modo. Perché suonare, cantare mettendoci tutto se stesso come ha fatto in camera della mora, ha riaperto ferite e riportato troppi ricordi alla luce; scene che lui ha tentato in ogni modo di relegare in un angolo per non doverle vedere mai più.
Si passa le mani sul viso e cerca di mettere un po’ d’ordine nell’uragano di pensieri che ha in testa. Ma è come se quel tornado di emozioni e di sensazioni contrastanti tra loro non volesse avere fine; è come se si divertisse a vederlo cadere minuto dopo minuto, lentamente, godendo del suo dolore, nutrendosi del suo senso di vuoto e di confusione perenne. Come un demone nero che si agita indisturbato, perché sa che sarà sempre più forte di qualsiasi altra cosa e che niente e nessuno sarà mai in grado di da mandarlo via definitivamente.
Calum non sa più cosa fare; non ha idea di come scacciare quell'inferno che sente dentro. Perché; nonostante Letizia sia entrata nella sua vita portando così tante novità e bei ricordi da custodire nel cuore come il più grande dei tesori; lui ancora non riesce a voltare le spalle al passato, quasi fossero irrimediabilmente l'uno parte dell'altro e non ci fosse alcun modo di scinderli una volta per tutte, per lasciarlo libero dai senso di colpa e di vuoto che si cibano avidamente del suo cuore ormai troppo stanco per reagire.
Vorrebbe solo riavvolgere tutto quanto, Calum. Perché non avrebbe mai creduto che un solo sbaglio avrebbe potuto portare un dolore così grande. Un dolore che a volte la sua vicina riesce a calmare, a zittire, a tenere innocuo. È come se il rapporto che lo lega alla mora si facesse più forte e più vero nel momento in cui inevitabilmente hanno bisogno l'uno dell'altra, quasi fossero le metà perfette di un'anima divisa in due per cause più grandi di loro.
Vorrebbe solo svegliarsi, Calum. Svegliarsi dall'incubo che è diventata la sua vita nella frazione di un istante. Un incubo che giorno dopo giorno diventa sempre più mostruoso e opprimente, distruttivo, così pressante da non dar modo di vedere neppure una singola via d'uscita.
Eppure… C’è qualcosa di positivo, in quell’incubo. C’è Letizia; c’è lo strano rapporto che li lega e a cui mai lui potrebbe rinunciare; ci sono le emozioni che la mora riesce a fargli provare; c’è la luce che quella ragazza fatta tutto a modo suo riesce qualche volta a far entrare dentro di lui, timidamente, quasi avesse paura di ferirlo. Ci sono quelle piccole cose tra lui e la sua vicina che, inspiegabilmente, lo fanno sorridere davvero; quelle piccole cose che gli aprono un po’ il cuore e alleviano ciò che fa male.
Irrimediabilmente, si ritrova a sorridere, il moro. Perché quella ragazza più piccola di lui, si sta rivelando quel miracolo che aspettava da tempo. Quel miracolo di cui non sapeva di necessitare così tanto fino a che non è entrato nella sua vita, cercando di curare tutte le ferite, provando a farlo tornare a vivere, riuscendoci in gran parte.
Perché, gli sforzi di Letizia, Calum li vede bene, ogni giorno, anche se lei non se ne accorge. Li vede, nitidi e semplici, diretti. E non avrà mai parole sufficienti per far capire alla mora quanto le sia grato per ogni singola cosa che gli dona senza rendersene conto. Non avrà parole mai sufficienti per dirle quanto bene le voglia; parole mai sufficienti per farle capire quanto lui tenga a lei.
Lei, con cui adesso vorrebbe solo trascorrere un po’ di tempo, perché le manca da morire, più del solito. Anche perché quel giorno non è andato a scuola, non ci è riuscito. E Letizia gli ha tenuto compagnia tutta la mattina con messaggi brevi mandati all’improvviso, ogni tanto, che sono sempre riusciti a fargli spuntare un sorriso. O almeno, prima che lui leggesse nuovamente il diario.
Lo stesso diario che adesso si ritrova a sfiorare con la punta delle dita, in piedi davanti la scrivania, mentre il cuore prova a reagire con le poche forze che gli sono rimaste. Non vuole stare male ulteriormente, non quel giorno.
Scuote lentamente la testa e sospira, sedendosi sul materasso e prendendo il cellulare. Ha bisogno di lei per non pensare, almeno per quel pomeriggio. Necessita di Letizia. Più di quanto voglia ammettere.
 
Ad un tratto, la finestra che si apre attira l’attenzione del moro, e gli occhi scuri di Letizia sono la prima cosa che vede. Quegli occhi sinceri, attenti, intensi e così profondi da farlo rabbrividire ogni volta che si incontrano, sempre pieni di un qualcosa che lentamente Calum sta imparando a conoscere con calma, senza forzare troppo la mano, rispettando i tempi di cui la mora ha bisogno per aprirsi.
Perché, anche se non ne hanno mai parlato, i gesti e gli sguardi dell’altro sono bastati per capire che ad entrambi serve ancora tempo per lasciarsi andare del tutto, per tornare a fidarsi di nuovo. Sanno bene che aver fatto entrare l’altro nella propria vita è stata la scelta più difficile di tutte, ma anche la migliore di tutte, perché l’altro si sta rivelando l’unica persona in grado di curare le loro ferite, di mettere a tacere le voci ed i ricordi del passato, di farli sentire completi in un modo mai sperimentato prima.
Calum osserva attento Letizia mentre gli si avvicina. E sa che non avrebbe mai potuto chiedere un dono più prezioso di lei. Lei che è la sua stella in mezzo al buio da cui sta cercando di liberarsi da tempo; il suo porto sicuro per non affogare; la sola in grado di capirlo con un semplice sguardo; la sola che, con il suo carattere forte, riesce a tirarlo fuori dal buio almeno per un po’; l’unica capace di mettere a tacere l’inferno che ha dentro; la persona che passo dopo passo sta diventando la più importante della sua vita. E lui, sul serio, non potrebbe essere più felice di così, con Letizia vicina, così tanto da poterla sentire una parte di sé.
«Hood.» lo saluta lei allegra; il sorriso sulle labbra, gli occhi tranquilli e meno coperti da quell’ombra che il moro ha notato troppo spesso nelle ultime settimane, ma di cui non ha mai chiesto niente, forse per paura di toccare tasti ancora troppo delicati per entrambi per essere affrontati.
«Lewis.» risponde lui; lo stesso tono, lo stesso sorriso, la stessa ombra nello sguardo che, da quando si conoscono, a Letizia non è mai passata inosservata. Quell’ombra contro cui cerca di combattere giorno dopo giorno, perchè vuole solo che il ragazzo davanti a lei sia felice, sul serio, senza più ferite sul cuore e dentro l’anima.
Quelle ferite che entrambi hanno visto dentro l’altro e che detestano, perché sanno che, per il momento, non sono ancora in grado di farle scomparire del tutto; quelle ferite che li rendono ancora più simili, ancora più distrutti, disperati, a pezzi; quelle ferite che non vogliono più vedere dentro l’altro per nessun motivo.
«Com’è stata la giornata senza di me?» le chiede il ragazzo divertito, mentre si siede sul letto lasciandole un po’ di spazio, cercando di dissimulare, di nascondere i suoi pensieri, di rilegarli in un angolo lontano, pur di non rovinare quei minuti passati in compagnia della mora, l’unico momento durante la giornata in cui i ricordi non lo attaccano, restando nei loro margini, pronti a fare la loro mossa non appena Letizia sarà tornata in camera sua.
«Noiosa.» risponde la ragazza, sedendosi accanto a lui ed iniziando a giocare distrattamente con gli angoli del cuscino che ha in mano, le mani che intanto tremano un po’ a causa di tutti  pensieri che non riesce a gestire e che troppo spesso la mandano in confusione. Pensieri che, tuttavia, quando è con Calum, spariscono all’improvviso, lasciandola libera di poter respirare a pieni polmoni, anche se solo per poco.
«Ovvio, non c’ero io a renderla fantastica.» ribatte il moro, il tono serio e divertito al tempo stesso.
«Ti ho mai detto quanto sembri megalomane certe volte?» domanda Letizia retoricamente; il sorriso sulle labbra che intanto continua ad illuminarle il volto, mentre mentalmente ringrazia l’amico per essere sempre d’aiuto, con il suo modo di fare giocherellone che, come adesso, non la fa pensare e le mette addosso quel poco di buon umore che le serviva per non colare a picco in quel turbine che da sola non ha più la forza di respingere.
«Praticamente tutti i giorni.» asserisce il ragazzo. E l’altra non riesce a reprimere una risata. Una risata, un suono che Calum, se potesse, vorrebbe sentire all’infinito, sapendo che non se ne stancherebbe mai e poi mai. La risata di un angelo, del suo miracolo.
La osserva. Sì, adesso ne è convinto: Letizia è davvero il miracolo che stava cercando. Un miracolo che è sempre stato a solo letteralmente qualche passo di distanza da lui. Un miracolo che la vita ha deciso di mostrargli solo adesso, quando ormai le sue speranze hanno quasi toccato il punto di non ritorno. Letizia è la sua migliore amica, per la quale sa che farebbe qualsiasi cosa. Perché un angelo come lei merita solo di essere felice.
Semplicemente sorride, Calum.
E subito gli occhi della mora registrano quell’espressione tranquilla e serena sul viso di lui. Un sorriso vero, vivo, sincero, che Letizia non vedeva da troppo tempo su quelle labbra piene. Quello stesso sorriso luminoso che vorrebbe vedere sempre e per il quale lotta giorno dopo giorno. Quel sorriso che adesso sta illuminando il volto del ragazzo di una luce che la mora prima di quel momento non aveva mai visto; una luce flebile, delicata, così debole da potersi spegnere nella frazione di un istante. Una luce in cui lei si ritrova a sperare con tutto il cuore.
«Vado a prendere un bicchier d’acqua.» dice poi con il sorriso sulle labbra, alzandosi dal letto e dirigendosi in cucina, ridacchiando al «Ultima stanza in fondo al corridoio.» di Calum. Ormai conosce la casa del ragazzo come la sua a causa di tutti i pomeriggi trascorsi lì, scoprendo di Mali Koa – sorella di Calum che vive a Londra da qualche anno – e conoscendo David, il signor Hood, e Joy; una donna che le fa inevitabilmente venire in mente Azura, ogni volta che lei e la signora Hood si ritrovano a parlare.
Prende velocemente un bicchiere e lo riempie, bevendo avidamente a causa della forte sete. E si ritrova a pensare che sarebbe davvero bello avere una famiglia come quella di Calum in cui tutti i componenti, anche se lontani geograficamente, sono uniti e si sorreggono sempre nel momento del bisogno, difendendosi e curandosi a vicenda, cercando di sanare insieme tutti i problemi, senza arrendersi mai.
Sospira, perché vorrebbe davvero tanto che tra lei ed Azura ci fosse lo stesso tipo di rapporto. E mentre torna in camera, si ricorda dei fiori di Narciso messi nel vaso sopra il tavolo della cucina. Ed il cuore inizia inevitabilmente a a batterle forte, perché spera che la donna li veda e capisca. Perché Letizia è stanca di quel muro che entrambe hanno costruito tra di loro a causa di quei segreti tenuti malamente nascosti che le hanno divise.
 
Intanto Calum, rimasto sdraiato sul letto, si ritrova ad osservare curioso la borsa della mora, da cui riesce ad intravedere i colori di due piccoli quaderni. E, quasi senza rendersene conto davvero, preda di una curiosità improvvisa, si ritrova a prendere quello grigio; perché ha riconosciuto quello verde – visto in camera di lei durante la notte in cui si sono incontrati – ed ha capito subito che Letizia lo usa come un diario, dal quale lui non ha alcuna intenzione di leggere altro. Non solo per quello che ha vissuto, ma perché non gli sembra giusto scavare nei pensieri di una persona se non è lei stessa a confidarli apertamente.
Ha già visto altre volte anche il quaderno grigio che adesso ha tra le mani. E, se deve essere sincero, un po’ è curioso di sapere che cosa ci sia dentro. Perché il fatto che alla mora piaccia scrivere lo intriga, lo incuriosisce ancora di più. Perché spesso si ritrova ad osservare Letizia mentre scrive, proprio su quel quaderno grigio; e tutte le volte resta sorpreso nel vedere sul volto della mora la stessa espressione che si forma sul suo viso quando si ritrova a suonare. Come la musica è il suo elemento, così lo è la scrittura per lei. Ed è una caratteristica della mora che Calum vorrebbe conoscere un po’ di più; una caratteristica che, spera, possa aiutarlo a capire meglio l’amica.
Sospira e, senza pensarci due volte, inizia a leggere quella prima pagina completamente piena di parole. Parole che subito, senza mezze misure, gli entrano nel cuore e gli mozzano il respiro, facendolo rabbrividire, facendo crollare tutte le sue difese. Perché qualcosa di così intenso, così vero, così vicino alle sue emozioni, Calum è sicuro di non averlo mai letto da nessun’altra parte. E mentre il cuore si ribella, i suoi occhi scuri continuano a scorrere veloci su quelle frasi, come a voler trovare quella risposta che sembrano cercare da anni, mentre il ragazzo si immedesima completamente in quel protagonista senza nome.
 
Tutti hanno i propri demoni da affrontare, sia quando si è svegli, sia quando gli occhi sono chiusi e la mente, il cuore e l'anima sono preda del sonno, sperando invano di essere immuni ad ogni cosa: al dolore, alla paura, alle ferite. Ma in realtà non è così, perché i demoni attaccano in qualsiasi momento, divorando ogni poca cosa buona che resta e che si cerca di proteggere ad ogni costo con tutte le proprie forze. 
Lui lo sa bene. Lo prova sulla propria pelle ogni giorno da così tanto tempo che ormai ha smesso di sperare che le cose possano cambiare in meglio. Perché non c’è una via d’uscita dal pozzo del dolore e delle ferite. Non c’è ritorno dagli sbagli e dalle azioni che lo hanno portato ad essere la persona che è adesso: vuota, silenziosa, piena di demoni e di paure, cosciente di creare un problema per se stesso con il suoi modo di agire. Ma questo è ciò che è e che non può cambiare anche se lo volesse. Non riuscirebbe mai a cambiare da solo, a combattere da solo contro se stesso. Perché sa che perderebbe in partenza, perché non avrà mai la forza ed il coraggio necessari per poter reagire.
 
«Che cosa stai facendo?» chiede Letizia all’improvviso, spaventandolo e facendogli alzare lo sguardo verso di lei, rimasta ferma sulla soglia della stanza con il bicchiere d’acqua in mano e gli occhi perplessi, curiosi e un po’ spaventati, come se stesse cercando di difendersi da qualcosa che Calum non riesce ancora a vedere chiaramente.
«Io…» inizia lui, lasciando cadere il quaderno sulle proprie gambe e cominciando a torturarsi le mani per l’imbarazzo improvviso. «Ero curioso di leggere qualcosa di tuo.»
La mora si avvicina lentamente al letto e si siede accanto a lui, in silenzio, portandosi le gambe al petto e poggiando il mento sulle ginocchia; lo sguardo lievemente più assente e le mani tremanti ben nascoste agli occhi del moro. Mani che rivelano quanto si senta esposta Letizia adesso. Perché con la scrittura si apre, completamente; mostra tutta se stessa, tutto ciò che ha dentro senza alcun freno. E, prima di allora, non le era mai capitato che qualcuno leggesse qualcosa di suo. Per questo trema: non sa come reagire. Perché ha così tanti pensieri e tante domande in testa che non sa da quale iniziare. Allora guarda Calum negli occhi, a lungo, perdendosi senza paura in quel caldo color caffè. Ed improvvisamente tutto diventa molto più semplice. «Ti è piaciuto?»
«Da impazzire.» ammette subito l’altro, senza vergogna; ricordandosi dei brividi corsi sulla sua pelle provati poco prima; ripensando al senso di benvenuto, di casa, che quelle parole hanno scatenato dentro di lui; riflettendo su come quella ragazza riesca sempre a capirlo così bene senza rendersene conto davvero. Perché, Calum ancora non riesce a capire come, il ragazzo di cui la mora ha scritto quelle parole è uguale a lui, in tutto: nelle paure, nei dubbi, nelle insicurezze, nei demoni che si porta dentro e da cui non riesce a liberarsi.
La guarda a lungo, perdendosi nei suoi occhi color cioccolato. Letizia gli sorride di cuore, beandosi dell’improvviso senso di calore che le è nato dentro, e posa la testa sulla spalla di Calum, facendo inevitabilmente battere i loro cuori più velocemente del solito.
E la loro serata passa così, con loro due che continuano a curarsi le ferite a vicenda con quello che possono, senza strafare, conoscendosi sempre meglio, sempre più a fondo, mostrando senza paura parti di sé che prima di quel momento erano rimaste sepolte dalla coltre di paura e di terrore puro che li aveva sempre tenuti in pugno.
Ormai sono due mesi che si conoscono. E nessuno dei due avrebbe mai creduto che in così poco tempo potessero arrivare così tante novità che, lentamente, stanno riuscendo a cambiare le cose. E anche se sanno che ci vorrà tempo, non si preoccupano. Perché sanno che, finchè l’altro è con loro, niente potrà mai buttarli giù del tutto. Sanno che, fin tanto che saranno insieme, riusciranno ad affrontare la vita a testa alta, senza paura di cadere.
Hanno troppo bisogno l’uno dell’altra per permettersi il lusso di perdersi dopo essersi trovati. Si stanno scoprendo, giorno dopo giorno. E mai, mai avrebbero pensato di poter trovare un’anima tanto simile alla propria eppure così diversa. Un’anima in grado di completare i loro vuoti; di mettere a tacere tutto quanto; di farli tornare a vivere almeno un po’; di far entrare un po’ di luce in tutto quel buio che hanno dentro; di placare quell’inferno che li brucia e che secondo dopo secondo li fa cadere sempre più a fondo; di far loro sentire un calore bellissimo, piacevole, mai provato prima. L’unica anima capace di farli sentire a casa. La sola a cui non potranno mai rinunciare.
Perché si vogliono troppo bene, Calum e Letizia. È l’unica certezza che hanno e alla quale si ancorano con tutto il cuore per non cadere
.





Letizia
Ciao bellissimi miei! <3
Come promesso, oggi è venerdì e sono tornata con un capitolo tutto per voi :3. Il prossimo capitolo sarà postato di sabato, don't worry ;).
Tornando a noi, che dirvi? I nostri Lalum sono sempre più fluff, sempre più dolci e boh, niente, il mio cuore va in frantumi, però shhh, non fa niente. Ormai ci sono abituata u.u
Secondo voi, le cose andranno sempre di questo passo, oppure ci sono delle cosine rimaste in sospeso che presto o tardi salteranno fuori?
E, altra domanda: qualcuno di voi ha per caso riconosciuto il pezzo della storia di Letizia che ha letto Calum??? :3 *^*
Dai dai, fatemi sapere che sono curiosissima! <3
Detto questo, ringrazio chiunque abbia lasciato una parolina allo scorso capitolo e chiunque abbia messo la storia tra preferiti, ricordati, seguiti. Sappiate che vi adoro! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3
P.s.: Rendiamoci conto che io domani vedrò quei quattro bischeri e... No, ancora non ci credo (anche se li ho già visti l'anno scorso *^*)!!!!!

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Capitolo 18
*** Diciotto ***


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Diciotto
 
 
 
Ed è proprio durante quel viaggio, che si capisce quanto importante sia l’altro.
Perché è l’unica persona in grado di curare le ferite che si hanno dentro.
Perché è l’unica persona che riesce a capire e a scacciare la solitudine.
 
 
 
I piedi quasi corrono sul marciapiede; il cuore batte forte dentro al petto; gli occhi lucidi non riescono a farle vedere bene dove stia andando. Intanto, cerca di restare calma; di non lasciarsi prendere troppo dalla preoccupazione; di restare forte. Perché non deve crollare, non di nuovo, non adesso, non quando la persona più importante della sua vita ha bisogno di lei. Un bisogno che quel giorno le ha dimostrato per la prima volta, apertamente, chiedendo il suo aiuto, il suo appoggio, una spalla su cui piangere che Madison non è sicura di essere in grado di dargli; non con l’inferno che si ritrova dentro e che non permette alle sue ferite di rimarginarsi  come dovrebbero. Perché gli elementi per farle sparire ci sono; ma il passato che passato ancora non è continua la sua tortura lenta sulla sua anima troppo debole, caduta nuovamente in quel circolo vizioso da cui era riuscita ad uscire a fatica, passo dopo passo, attingendo ad un coraggio che non è mai stato suo e mai lo sarà.
Respira forte e cerca di tornare lucida, di tranquillizzarsi, di capire qualcosa. Sa solo che il messaggio che Luke le ha mandato quasi un quarto d’ora prima l’ha messa in agitazione. Le ha messo addosso una paura così grande e così intensa che mai prima di allora aveva provato. Una paura probabilmente infondata, dovuta alla troppa ansia per un qualcosa capitato all’improvviso che, come ogni novità, sconvolge sempre tutto e non si sa mai se in meglio o in peggio. Un qualcosa che, sicuramente, ha sconvolto Madison più di quanto avrebbe mai potuto pensare.
Madison che, quando si parla di Luke, diventa tutta un’altra persona; diventa quella stessa luce che il biondo ha visto dentro i suoi occhi castani; diventa allegra, luminosa come se fosse sotto ad uno strano incantesimo di cui nessuno attorno a lei – neppure lei stessa – riesce a capire. Ogni volta che si parla di quel ragazzo, Madison si trasforma. È come se la fiamma della vita dentro di sé che solo Luke è stato in grado di riaccendere si alimentasse grazie a lui, che riesce sempre a farla stare bene, a capirla senza bisogno di parole, semplicemente con quegli occhi colore del mare che riesco sempre a farla sentire nuda, senza difesa alcuna da quello sguardo che sembra volerle leggere l’anima. Un’anima spezzata che i suoi occhi castani mostrano troppo bene.
Quegli stessi occhi che si stanno guardando attorno preoccupati, ansiosi, terrorizzati a causa di un qualcosa che Madison proprio non sa come spiegarsi. È una sensazione orribile: si sente impotente, con le mani legate, senza poter fare niente. E sa che probabilmente la sua reazione è eccessiva, perché non capisce ciò che sta succedendo.
Ma sa anche che, se Luke chiede aiuto come quel pomeriggio, vuol dire che la situazione è davvero grave. Perché la bionda ormai conosce troppo bene il ragazzo e sa che, quando è lui a chiedere aiuto, significa che non ha più forza per rimettersi in piedi da solo. Perché Luke è forte; lo ha dimostrato tantissime volte; ha sempre cercato di non essere un peso per nessuno; ha sempre tentato di rimettersi in sesto con le sue sole forze. Ma nessuno è invincibile e forte abbastanza per salvarsi da solo. Madison lo sa anche troppo bene.
Per questo si ritrova a correre per le vie di Sydney pur di arrivare il prima possibile a casa di Luke; pur di stringerlo a lungo a sé, per tentare di dargli quella forza di cui ha bisogno per rimettersi in sesto; una forza che la ragazza spera con tutto il cuore di avere dentro di sé almeno per lui. Lui, il suo migliore amico, l’unica persona in grado di mettere in sesto i pezzi della sua anima nata troppo debole per affrontare le difficoltà della vita. Quelle stesse difficoltà che l’hanno già schiacciata una volta e che continueranno a schiacciarla, ad incatenarla, a ferirla, solo perché lei non riesce a difendersi come invece vorrebbe.
Corre; il cuore preda di battiti troppo veloci. E intanto il messaggio che Luke le ha mandato non fa che rimbombarle nella testa, come un ritornello che non ha idea di come far finire.
 
Da: Luke; 30.10.2015, 05:12 pm
Ho bisogno di te, Maddie. Ti prego, aiutami.
 
Parole che Madison ricorda una per una; marchiate a foco dentro di lei, come a non volerla lasciare, come a voler aggiungere altro dolore a quello sordo e perenne che già c’è, come coltelli affilati che incidono solchi sempre più profondi, dando forza a quel buco nero in cui è caduta di nuovo e dal quale non sa come liberarsi definitivamente.
Corre veloce, quasi senza toccare il suolo. Corre, e sa che farà qualsiasi cosa è in suo potere per far star meglio Luke; glielo deve, dopo tutto quello che fa lui per lei ogni singolo giorno, senza rendersene conto davvero. Corre ancora. E all’improvviso la casa che cercava si staglia davanti ai suoi occhi. E il cuore non riesce a non battere ancora più velocemente, mentre suona il citofono ed aspetta.
 
Luke è seduto sul letto, la testa tra le mani, il cuore che non riesce più a reggere niente, non quel giorno. Sta combattendo con le lacrime da minuti che gli paiono secoli. Le stesse lacrime che ha visto sul viso di sua madre quasi mezz'ora prima e che non è riuscito a far finire come le altre volte. E adesso non sa più che cosa fare.
Perché ha sempre cercato di essere forte per entrambi, per Liz e per se stesso. Ed anche se a volte è stato difficile restare in piedi senza l'aiuto di nessuno, Luke ha sempre cercato di farsi bastare quel che aveva. Ha tentato in ogni modo di far entrare di nuovo tra in casa sua quel poco di luce scomparsa qualche anno prima, a causa di un qualcosa che nessuno dei suoi familiari è riuscito a controllare; qualcosa che non ha fatto troppo male a nessuno di loro all’inizio, ma che col tempo ha mostrato le sue conseguenze più disarmanti e distruttive. Conseguenze a cui Luke non avrebbe mai pensato, se non le avesse davanti ai suoi occhi giorno dopo giorno.
Perché sua madre è lo specchio di quelle conseguenze: distrutta, disperata, troppo presa da quel qualcosa per riuscire ad alzare lo sguardo da terra anche solo di poco per tentare di lasciarsi tutto definitivamente alle spalle. Perchè entrambi sanno che la vita di Liz non è ancora finita, entrambi sanno che per lei c’è altro da fare e da vedere.
Sospira. E intanto cerca di calmarsi; di non permettere al dolore di entrargli nel cuore; di rimettersi in sesto almeno quanto basta per resistere ancora un po’, fino a che non avrà trovato la forza di cui ha bisogno per affrontare quella situazione da solo. Una situazione che lo sta prosciugando di tutto; che giorno dopo giorno lo sta indebolendo, cibandosi di quella luce ormai quasi inesistente che prima lo faceva risplendere come una stella viva e incandescente; quella luce che per tanto tempo è stata la sua forza, il suo aiuto più grande, adesso sparito per qualcosa fuori dalla sua portata.
Si passa nervosamente una mano tra i capelli biondi e si alza dal letto, incapace di stare con le mani in mano sapendo che sua madre sta male ormai da giorni. Giorni in cui lui non si è mai accorto di niente; giorni in cui non ha mai notato il benché minimo segno di cedimento da parte di Liz; giorni in cui aveva cominciato a sperare che finalmente le cose iniziassero ad andare per il verso giusto in modo definitivo. Ma non ha fatto i conti con il fatto che le persone prede del dolore con il tempo diventano sempre più brave a nascondere i loro veri sentimenti per non far preoccupare chi amano; come se l’esperienza di Calum non gli avesse insegnato niente.
Ed è mentre si ritrova a pensare anche al suo migliore amico, che il senso di colpa aumenta. Perché sono passati due anni, troppo lunghi per i suoi gusti. Anni in cui, pur restandogli accanto, non è mai riuscito a farlo stare meglio, come se tutti i suoi sforzi fossero stati vani, troppo deboli per risanare una ferita di quel calibro. Poi è arrivata Letizia, ed in due mesi ha sconvolto ogni cosa nella vita del moro; come Madison è riuscita a fare nello stesso arco di tempo con la sua, stravolgendola e portando nuovamente dentro di lui quella luce che aveva creduto di aver perduto per sempre.
Madison.
La ragazza che giorno dopo giorno riesce a farlo sorridere; a mettergli il buon umore; a farlo sentire vivo in un modo che nessun altro prima di lei era stato in grado di fargli provare così profondamente. La sua migliore amica, con cui ormai parla di tutto. O meglio, la persona con la quale vorrebbe essere totalmente libero di sfogarsi di ogni preoccupazione, di ogni dubbio, di ogni paura. Però non lo fa, non l’ha mai fatto. Perché conosce la bionda troppo bene, e sa quanto fragile sia, quanto dolore porti dentro, quanta solitudine senta nel cuore nonostante l’affetto che lui, Letizia e Calum provano per lei. Per questo non si è mai liberato del tutto con lei. Non voleva caricarla di quel che solo lui deve portare.
Si avvicina alla finestra e lascia che i suoi occhi vaghino senza fretta alcuna su ciò che vede.
Poi, dal piano inferiore un suono di vetri andati in frantumi interrompe il silenzio.
E Luke non sa come si ritrovi improvvisamente davanti sua madre, che lo sta osservando allibita, stanca, con in mano resti di un vaso ormai andato distrutto insieme alla vetrina del salotto, mentre lentamente vicino ai suoi piedi si sta formando una piccolissima pozza di sangue, dovuta ad una ferita di cui non si è minimamente accorta, troppo presa a sfidare il dolore per capire davvero che cosa sia effettivamente successo.
Il ragazzo non dice niente. Si limita ad andare in bagno per prendere il disinfettante, una pinzetta e delle bende pulite, per poi tornare da sua madre, rimasta ancora in piedi, ferma, immobile dove l’aveva lasciata. Le prende delicatamente la mano libera e la guida con calma fino al divano, facendovela sedere con cautela, per evitare che all’improvviso si comporti nuovamente allo stesso modo.
Con calma, le toglie di mano i resti del vaso ormai rotto e li posa sul tavolo davanti a loro, cercando di fare meno danni possibili. Poi con la pinzetta toglie senza fretta i piccoli pezzi rimasti sulla ferita, che subito dopo disinfetta e ricopre con una benda. Una benda che servirebbe anche al suo cuore, ormai completamente sprofondato nel buio.
Sua madre non dice niente. Non lo guarda neppure; gli occhi azzurri spenti e fissi sul muro bianco davanti a lei.
Lui fa lo stesso. Si limita ad alzarsi, senza guardarla, in silenzio, per mettere i medicinali a posto in bagno.
Poi estrae il cellulare dalla tasca. E scrive un messaggio all’unica persona che potrebbe aiutarlo sul serio.
Perché Madx lo accetta per quello che è. Ma solo Madison lo fa stare bene e riesce a capirlo davvero.
 
E non appena i loro sguardi si incontrano, Madison può giurare di non aver mai visto occhi più distrutti di quelli di Luke, che la stanno osservando come l’unica ancora a cui spera di potersi aggrappare per fuggire via da quella vita che lentamente, inesorabilmente, lo sta buttando al tappeto, passo dopo passo, quasi godendo della luce che gli viene strappata via senza potersi difendere in alcun modo.
La ragazza lo guarda, a lungo. E mentre un brivido le corre lungo la schiena, capisce che – purtroppo – la sua ansia e la sua preoccupazione erano fondate. Perché non ha mai visto l’amico così a pezzi, non l’ha mai visto così distrutto e preda del dolore. Non l’ha mai visto come lei. E non ha idea di cosa fare per farlo stare meglio.
«Entra.» le dice Luke all’improvviso, attirando la sua attenzione; il sorriso triste sul viso e gli occhi troppo lucidi, con le lacrime che vogliono uscire ad ogni costo.
«Grazie.» risponde; il sorriso lieve sulle labbra, troppo tirato per essere tranquillo.
Poi mette piede in quella casa che mai prima d'allora aveva visto dall'interno. E mai avrebbe immaginato di poterla trovate così accogliente, in quasi tutti i sensi. Quasi, perché sente dentro l'anima che tra quelle mura c'è qualcosa di importante che manca, qualcosa che probabilmente completerebbe tutto quanto.
Luke chiude la porta d'ingresso e, senza aggiungere altro, si avvia verso le scale. La ragazza lo segue, incapace di proferire parola, a causa di quel groppo che improvvisamente le è nato in gola. Lo segue; il cuore che le batte forte nel petto, quasi volesse uscirne il prima possibile; gli occhi puntati sulla schiena del biondo, apprensivi, preoccupati, spaventati, senza concentrarsi minimamente su ciò che si trova attorno a lei. O almeno, fino a che la luce proveniente da una stanza alla sua sinistra non attira la sua attenzione.
E ciò che vede la lascia svuotata di tutto; dei suoi pensieri; delle mille parole intrappolate tra la gola e le labbra; delle paure, delle preoccupazioni; di quell’immenso turbine improvviso di emozioni che l’ha investita non appena ha visto il biondo, lo stesso turbine che l’ha lasciata con una confusione indescrivibile che però ora non c’è più.
Perché Madison è vuota, adesso. Vuota nel vedere una donna molto simile a Luke seduta sul divano, una mano fasciata da cui il rosso della ferita un po’ si nota dalle bende ormai non più candide, gli occhi azzurri spenti, devastati, distrutti, specchi di un’anima troppo disastrata per potersi rimettere in sesto da sola.
Si sente vuota, Madison. Perché si rivede nella madre di Luke, in Liz, di cui tanto Calum le ha parlato durante la pausa pranzo a scuola. Liz Hemmings: solare, allegra, sempre pronta a far sentire chiunque a proprio agio, dolce e comprensiva, perennemente in pensiero per i figli. Una donna che Madison, adesso, non riesce a rivedere in quello sguardo perso, dentro quell’anima distrutta e stanca.
Allora, mossa da un qualcosa che sente dentro al cuore, le si avvicina, lentamente, come se avesse paura di vederla volatilizzarsi davanti a lei nella frazione di un attimo. Vorrebbe parlarle; dirle di essere forte, per se stessa e per suo figlio, che la ama come nessun altro al mondo; vorrebbe abbracciarla e dirle che andrà tutto bene e che le cose in un modo o nell’altro si risolveranno.
Vorrebbe comportarsi come avrebbe voluto che gli altri avessero fatto quando era lei a stare male, sola ad affrontare qualcosa di più grande che non è riuscita a mandar via e che sta nuovamente distruggendo la sua vita.
Vorrebbe. Perché in realtà i passi veloci di Luke che corrono sulle scale seguiti dal rumore di una porta sbattuta con rabbia attirano la sua attenzione. E Madison non sa come si ritrovi all’improvviso davanti la porta bianca della camera del ragazzo, con il cuore in mano che batte a stento e una nuova confusione dentro che non riesce a gestire.
«Luke?» lo chiama mentre entra, lentamente; la voce che trema, l’anima in frantumi, gli occhi che lentamente iniziano a riempirsi di lacrime perché un po’ sta iniziando a capire.
Quelle stesse lacrime che adesso scorrono pure sulle guance del biondo, seduto sul pavimento, la schiena poggiata ai piedi del letto, le palpebre chiuse e contornate da pesanti occhiaie, il corpo tremante e stanco. Lacrime libere di sfogarsi, libere di mostrare ciò che Luke si è tenuto dentro fino a quel momento senza parlarne con qualcuno. A malapena i suoi amici più stretti conoscono tutta la storia. Una storia di cui adesso lui sente prepotentemente il bisogno di raccontare per poter buttarla fuori dal suo cuore. Una storia che ha bisogno di essere conosciuta, almeno da Madison, l’unica che, forse, potrebbe capire.
Eppure… Qualcosa lo blocca, qualcosa all’altezza del cuore che gli rende impossibile parlare. Perché si vergogna, Luke. Si vergogna di essere così debole, così bisognoso di aiuto, quando altre persone stanno peggio di lui. Perché non sa più come fare per migliorare le cose. Perché vuole troppo bene a Liz e vorrebbe aiutarla i qualsiasi modo possibile. Perché avrebbe preferito che Madison non venisse a sapere della sua storia in quel modo. Perché avrebbe voluto far incontrare sua madre e la ragazza in circostanze diverse, più felici.
«Luke?» lo chiama lei di nuovo, una volta sedutasi accanto a lui.
E intanto lo guarda, a lungo, lo osserva attenta, pronta ad intervenire se mai dovesse cadere; pronta a farsi in quattro per quel ragazzo a cui deve praticamente ogni cosa bella della sua vita; pronta a non commettere l’errore di chi le è accanto ma non riesce a vedere, nonostante l’affetto smisurato; pronta ad essere forte, almeno una volta, per un qualcosa che ancora non conosce ma che vorrebbe scoprire per poter aiutare Luke, se lui lo vorrà. Non ha intenzione di forzarlo; sa quanto controproducente possa essere far parlare qualcuno di un segreto che custodisce nel cuore da troppo tempo e che troppo spesso non ha la forza di far uscire. Lo sa bene, Madison.
Lei, che ha dovuto parlare anche se non voleva; che ha dovuto affrontare il dolore anche se ancora non si sentiva pronta del tutto; che si è sentita strapparsi via le sue difese per poi venir attaccata dalle sue debolezze all’improvviso, lasciata sola a combatterle senza arma alcuna. Ed i segni del fatto che ancora non sia riuscita a sconfiggerle del tutto si vedono troppo distintamente sulla sua pelle chiara, brucianti, dolorosi
Lei, che adesso si rivede troppo bene negli occhi di Luke, azzurri come il mare, spenti come quando piove. E anche se intuisce che le loro storie sono totalmente diverse, il fatto che lo senta in qualche modo simile a sé la spaventa, da morire. Perché non vuole che il ragazzo stia male; non vuole vederlo andare giù, risucchiato da quel qualcosa che ha dentro e che probabilmente sta diventando troppo più grande di lui. Non vuole perderlo. Non lui. Non il suo angelo, il suo miracolo, la persona più importante della sua vita. Non vuole. Perché senza Luke, Madison sa che non sarebbe niente, sa che non avrebbe niente.
E, anche se sa che è egoista da parte sua, non vuole perdere l’unica fonte di luce che ha.
L’altro si volta verso di lei, facendo incontrare i loro occhi, specchi di emozioni totalmente opposte. Occhi che però riescono a capirsi, senza bisogno di ulteriori parole. Occhi che mostrano quanto entrambi abbiano bisogno l’uno dell’altra per non cadere. Occhi che si chiedono di salvarsi a vicenda, di mandar via dalle loro anime quei pesi immani che ormai non riescono più a sostenere da soli. Occhi che, da quando si sono incontrati per la prima volta, si capiscono sempre meglio, giorno dopo giorno, senza bisogno di troppe parole. Occhi che celano altro; altro che, tuttavia, nessuno dei due è ancora in grado di capire.
«Maddie, io…» inizia; ma le parole non gli escono dalle labbra, bloccate come sono nella gola dalla paura di lasciarsi andare del tutto, nonostante la fiducia che ripone nella ragazza davanti a sé. Perché ha paura, Luke; paura di muovere un passo senza sapere che cosa incontrerà; paura di non essere in grado di far uscire il proprio cuore dal buio in cui è caduto; paura di ritrovarsi completamente solo davanti ad un qualcosa troppo più grande di lui.
Perciò volta lo sguardo, vergognandosi della sua debolezza, del suo non riuscire ad affrontare la situazione.
Però non sa che la bionda non ha intenzione di lasciar cadere il discorso così, perché sa che il ragazzo ha bisogno di sfogarsi completamente, più di quanto voglia ammettere. Per questo motivo Madison gli prende delicatamente il viso tra le mani e fa in modo che i loro sguardi tornino ad essere l’uno davanti all’altro, mentre dentro di lei aumenta la speranza di poter aiutarlo in qualche modo.
«Luke, io… Non so che cosa ti stia succedendo, però… Sappi che voglio aiutarti, che io ci sono e che… Non ti lascio da solo, capito?»
E Luke non riesce a non sorridere a quelle parole, di cui aveva bisogno per ritrovare parte di quel coraggio che gli mancava per reagire. Sorride e, quasi senza rendersene conto davvero, abbraccia Madison, stringendola forte, a lungo, come a non voler farla andare via, come se senza di lei non fosse più in grado di stare in piedi sulle proprie gambe senza cadere. La abbraccia, e all’improvviso tutto sembra andare un po’ meglio, tutto sembra acquistare quel poco di luce che mancava per farlo brillare almeno un po’. La stessa luce che gli dà la spinta che gli serviva per narrare finalmente la sua storia, senza più paura.
Ed è mentre restano abbracciati; stretti l’uno all’altra, facendosi forza semplicemente con quel gesto che per entrambi significa tanto; che Luke racconta, tutto. E ad ogni parola che sente, Madison non riesce a credere alle proprie orecchie. Perché una storia come quella del ragazzo che sta stringendo con tutto l’affetto di cui è capace è devastante, anche solo al sentirne parlare. Devastante, distruttiva; perché la bionda mai avrebbe creduto che Luke avesse dovuto passare una vita così difficile. E mentre lui ancora continua a narrare, capisce; capisce che alla fine, nel dolore, tutti diventano bugiardi, tutti affinano la loro recita per proteggere le persone che amano, diventando giorno dopo giorno sempre più bravi, fino a far pensare agli altri che vada tutto bene, quando invece è il contrario.
Luke, intanto, lascia che quella storia tenuta troppo a lungo per sé si sfoghi, lasciandolo finalmente libero di quel peso immane che lentamente stava diventando sempre più ingombrante, sempre più difficile da portare con le sue sole forze. Parla; si libera; si svuota di tutte le preoccupazioni, di tutte le paure; rompe le catene che lo tenevano prigioniero, impedendogli di ammettere di aver bisogno di aiuto.
«Un anno e mezzo fa i miei genitori decisero di separarsi.» e subito, le immagini dei suoi che, seduti l’uno accanto all’altra sul divano del salotto, mano nella mano, gli spiegavano che cosa stesse succedendo gli tornano alla mente, accompagnate dallo stesso senso di smarrimento che aveva provato al sentire gli adulti pronunciare quelle parole. Parole che avevano rovinato tutto quanto nella frazione di un attimo.
«Avevano preso la decisione di comune accordo, senza litigare… Senza chiedere la mia opinione o quella dei miei fratelli maggiori… Probabilmente perché loro già vivevano da soli e forse perché i nostri consideravano me abbastanza grande per capire certe cose…» e i perché chiesti mille volte se li ricorda ancora troppo bene, assieme alle spiegazioni lucide e non prive di fondamento che gli venivano date con pazienza, con affetto, sperando che potesse capire. Ricorda troppo bene le parole di Andrew Hemmings sull’argomento, in risposta alla sua ennesima domanda. «Figliolo, io… Voglio troppo bene a tua madre, a te e ai tuoi fratelli… Per questo non posso costringervi a stare con me… Non sono mai a casa e… Non credo che sarebbe giusto nei vostri confronti.» parole che Luke sente dentro, ancora affilate come lame, taglienti come rasoi, pronte a ferirlo al momento giusto.
«Mio padre era ed è tutt’ora sempre in giro per il mondo a causa del suo fottutissimo lavoro… Non era mai a casa e… Mia madre stava sempre male perché le mancava, troppo… Lui… Non voleva farla sentire sola… Non voleva farla stare male… Voleva… Voleva dare a lei ed anche a me la possibilità di avere qualcuno accanto, sempre presente… Qualcuno diverso da lui…» e ripensa all’ultima volta che Andrew Hemmings aveva varcato la porta di quella casa, con due valigie in mano, il biglietto aereo in una, la chiave della macchina nell’altra e nella tasca del cappotto quella del nuovo appartamento. Si ricorda di come si erano guardati, freddi, distanti, solo per la frazione di un secondo. Poi il padre si era voltato, senza dire niente. E neppure Luke aveva proferito parola.
«All’inizio nessuno di noi aveva preso male la situazione… In fondo papà non c’era praticamente mai neppure quando lui e mamma stavano insieme… Poi però poi le cose peggiorarono, giorno dopo giorno… Ed io non sono riuscito a fare niente per evitarlo…» e ripensa a come lentamente Liz avesse iniziato a spegnersi, a lasciarsi andare, a crogiolarsi nel suo errore e nella sua solitudine. Luke si rivede ogni notte dei primi mesi subito dopo la separazione alzato fino a tardi; ad aspettarla per vedere se non le fosse successo niente di brutto; per accertarsi che stesse bene; ad aprirle la porta e a farla distendere sul divano, completamente ubriaca e resa ancora più triste dall’alcol che le scorreva nelle vene; a coprirla con una coperta e aspettare paziente che smettesse di piangere e dire frasi senza alcun senso. Frasi che riescono ancora a spaccargli l’anima.
«Mia mamma aveva iniziato a bere… Ogni notte tornava a casa e non sembrava più lei… Piangeva, si dava la colpa di tutto, sussurrava frasi sconnesse… Stava malissimo ed io… Non sapevo che cosa fare, non sapevo come aiutarla! Mi sentivo impotente e… Faceva male, Maddie. Fa ancora male…» ammette lui; gli occhi che tornano lucidi, le lacrime che gli solcano nuovamente le guance, bruciando, sfogando il dolore che si era portato appresso per tutto quel tempo. E intanto, i ricordi tornano vividi, netti nella sua mente, senza pietà alcuna. Ripensa all’ansia e alla paura che provava per Liz; a come cercasse giorno dopo giorno di farle cambiare idea, di farla reagire, per farla tornare la persona solare e allegra che era sempre stata, anche quando suo padre era lontano per lavoro.
«Lei… Usciva spesso, aveva tanti appuntamenti per la sua età… Tutti con uomini diversi, nessuno dei quali però è mai riuscito a rimetterla in sesto… E si ubriacava proprio per questo motivo, perché non si vedeva all’altezza dell’interesse di qualcun altro che non fosse mio padre…» ed eccolo in salotto, seduto accanto alla madre, intento ad ascoltare ogni parola, ogni sfogo; a vedere le lacrime senza sapere come poterle fermare; a sentirsi inerme, impotente di fronte ad un qualcosa che non ha mai saputo affrontare e far scomparire una volta per tutte.
«Poi, lentamente le cose migliorarono di nuovo… Lei era meno triste ed usciva anche meno del solito… Non tornava a casa ubriaca… Aveva ripreso ad insegnare e a fare fotografie per rilassarsi…» e Luke, in quei primi mesi di ripresa aveva sperato con tutto il cuore; aveva pregato per veder sorridere di nuovo la donna che lo aveva cresciuto e che gli aveva mostrato le parti più belle e semplici della vita; aveva dato tutto quello che aveva pur di non farla pensare, pur di farla stare bene ad ogni costo.
«E giuro che stava andando tutto bene, davvero! Mia madre aveva ripreso quasi del tutto in mano la sua vita…» e ricorda Liz nuovamente di buon umore, a volte assorta nei suoi pensieri, più sorridente del solito, più tranquilla, ormai con il passato quasi completamente lasciato alle spalle per poter partire da zero.
«Poi però mio padre tornò… Si fermò per una notte sola per poi ripartire la mattina dopo senza dire niente. E da quel giorno non si più fatto vedere…» ed in quelle poche parole, Luke sfoga tutta la rabbia che ha provato fino a quel momento. Rabbia nata quando, tornato a casa dopo una serata passata con i suoi migliori amici, aveva visto Andrew salire le scale di casa per andare in camera di Liz. Si erano guardati, senza proferire parola. Il tutto solo per un secondo. Poi, quando Luke gli era passato accanto, suo padre lo aveva fermato debolmente; i loro occhi nuovamente puntati in quelli dell’altro, una tacita richiesta di comprensione letta in quelle iridi più scure ed anziane delle sue. Una richiesta che il ragazzo non aveva voluto ascoltare in alcun modo, accecato dal risentimento verso l’uomo che non considerava più suo padre da troppo tempo. Era corso in camera sua, sbattendo la porta. La mattina dopo, era stato il singhiozzo straziante di sua madre a svegliarlo; a farlo stare peggio delle altre volte; a fargli capire che la poca luce entrata nuovamente tra le mura di casa era svanita completamente.
«Dopo quel giorno, è andato tutto a rotoli e mia madre ha ripreso le sue abitudini… Ho chiesto aiuto ai miei fratelli e qualche volta vengono a trovarci, anche se molto di rado… Però non basta, non serve… Perchè lei sta sempre peggio… Ma mai avrei creduto così tanto da spaccare un vaso per la disperazione… O almeno fino a poco fa…» e di nuovo il senso di smarrimento, di impotenza, di frustrazione si fa spazio dentro di lui, colpendo, mandando in pezzi ogni cosa. Perché il dolore fa così, una volta liberato: si diverte a distruggere per diventare più potente, più forte, in grado di schiacciare la persona che lo ospita con anche una sola folata di vento.
Perché Luke, oltre a sua madre, deve occuparsi anche di Calum, nonostante il moro gli abbia esplicitamente chiesto di smetterla. Ma quella è un’altra storia; una storia che il ragazzo non ha il diritto di raccontare, non ancora, non a lei per adesso. È bene che prima lo scopra chi potrebbe davvero cambiare le cose.
«Fa male, Maddie! Fa troppo male! Ed io non ce la faccio più… Non ce la faccio più…»
E Madison vorrebbe dire tantissime cose a Luke. Vorrebbe dirgli che andrà tutto bene; che è forte e che riuscirà a farcele; che lei sarà sempre lì e non lo abbandonerà; che le cose si metteranno a posto, basta solo avere tanta pazienza. Vorrebbe fargli vedere che in fondo a quel tunnel buio ci sarà sempre un po’ di luce, un po’ di speranza per non mollare mai. Una speranza che però lei non è riuscita a tenere con sé, lasciandola svanire lentamente. Vorrebbe solo che non si sentisse così inutile. Perché le ha dimostrato ancora una volta di essere un angelo, sul serio; un angelo che ha diritto di essere felice. «Luke, io–»
Ma il ragazzo non le dà modo di finire. L’abbraccia forte, a lungo; la stringe delicatamente a sé cercando di non farle male. E mentre a sua volta anche la bionda risponde alla stretta con lo stesso affetto e con la stessa intensità, il corpo del ragazzo inizia a tremare tra le sue braccia. Ed entrambi sanno che tra loro le cose non saranno mai più come prima. Si sono promessi aiuto. E faranno di tutto pur di mantenere la parola data
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Letizia
Tesori miei, hola a todos!!! <3
Qui per la sottoscritta l'esame è sempre più vicino e, oddio, che barba!!!! Non vedo l'ora che finisca tutto quanto u.u
Passando a cose serie (tipo questa storia), credo che il capitolo di oggi sia uno di quelli che amo di più, dopo la scena Mizia nel capitolo 16.
E non solo perché ci sono i Lukie (voi sapete ormai quanto li amo, con tutto il cuore *^*). Lo amo perché finalmente Luke riesce a condividere un po' del dolore e del peso che si porta sulle spalle; riesce a parlarne con Maddie. E noi sappiamo bene quanto questa rivelazione sia importante per tutti e due u.u *^*
E... Sì, lo ammetto, in questa storia non ho risparmiato nessuno; sono un'autrice cattiva (ma non è colpa mia se determinate canzoni mi fanno venire in mente solo cose tristi!!!)
Spero davvero con tutto il cuore che vi sia piaciuto; fatemi sapere, ci conto! <3
Grazie per tutto, ci sentiamo sabato prossimo! <3
Un bacione immenso, Letizia <3

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Capitolo 19
*** Diciannove ***


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Diciannove
 
 
 
Però spesso le ferite sono così profonde che a volte non c’è modo di rimarginarle completamente.
È così che tutto peggiora, che tutto inevitabilmente diventa grigio, senza luce.
Senza quella luce che invece basterebbe per mettere a posto ogni cosa.
 
 
 
Di nuovo i corridoi pieni di persone in attesa. Di nuovo i brividi che gli corrono sulle braccia coperte da una felpa leggera – usata per nascondere segni che lui stesso odia vedere su di sé – nonostante le temperature di quel giorno siano più alte del solito, probabilmente perché si sta finalmente avvicinando l’estate. Di nuovo il cuore che gli batte forte nel petto per l’ansia. Di nuovo a domandarsi se ciò che sta facendo a se stesso e ad uno dei suoi migliori amici sia giusto. Di nuovo a chiedersi se non sarebbe meglio smettere con quella storia, che lentamente lo ha cambiato e sta continuando a farlo. Di nuovo a chiedersi perché non è più forte di così e perché ha permesso al dolore di vincere senza lottare neppure un secondo per cercare di stare in piedi.
Sospira, Calum. E vorrebbe tanto non permettere ai dubbi di assalirlo in quel modo; vorrebbe estirpare tutto quel nero che ha lasciato entrare dentro al suo cuore; vorrebbe smettere di aver bisogno di quella via di fuga per scappare, per superare le giornate. Perché; nonostante Letizia, nonostante il suo affetto, il suo sorriso, il suo esserci sempre per lui, il suo riuscire a non farlo pensare almeno per un po’; il moro ha bisogno di più per dimenticare, ha bisogno di più per liberarsi di quel peso che altrimenti lo schiaccerebbe se lui si lasciasse andare del tutto.
Si passa nervosamente una mano tra i capelli scuri. E intanto gli occhi vitrei si spostano in continuazione da una parte all’altra del corridoio, ansiosi, impauriti, troppo diffidenti per chiedere aiuto. Pure il cuore continua a battere forte, quasi fosse un cavallo al galoppo che non ha intenzione di fermarsi, non per il momento, non fino a che Calum resterà in quel posto, dentro quell’ospedale in cui non vorrebbe mettere piede così spesso, a causa di quella debolezza che spera di far sparire in un modo o nell’altro.
Si guarda attorno, perso; quasi non gli sembra più di sapere dove sia. È come se ad un tratto fosse stato improvvisamente rinchiuso in una bolla e vedesse tutto quello che accade attorno a sé da una certa distanza, mentre i suoi piedi continuano a camminare, continuano a farlo passare per corridoi sempre meno pieni di persone, seguendo quel cammino ormai imparato a memoria. Un cammino che lo porta davanti la porta di quel ripostiglio troppo piccolo, troppo pieno di vecchi oggetti. L’unico posto in tutto l’edificio dove poter dar luogo a quegli incontri tutto meno che normali; incontri che, nonostante l’attenzione quasi maniacale di entrambi, potrebbero rivelarsi una rovina per loro due. Incontri a cui Calum spera di poter mettere fine presto, per il bene di tutti.
«Cal.» lo chiama ad un tratto qualcuno da dietro di lui, facendolo voltare; facendolo cadere nel vuoto nella frazione di un secondo; facendogli incontrare gli occhi dorati di Ashton, sempre preoccupati, contrariati. «Ci credi se ti dico che speravo di non vederti più qui dopo l’ultima volta?»
Calum annuisce lentamente e sospira, come a voler buttar fuori tutta l’ansia che prova.
«Io… Mi dispiace, Ash…» ammette; il cuore stretto in una morsa, la voce flebile, il corpo che trema per il senso di colpa che di secondo in secondo si fa sempre più strada dentro di lui, macinando quel poco di sano che era rimasto, quel poco per cui il moro aveva provato a lottare, senza successo.
«Se ti dispiacesse davvero, non saresti qui.» ribatte l’altro, duro. «Saresti là fuori a vivere davvero e non a crogiolarti in un errore che non è mai stato tuo.»
Il moro si limita ad abbassare gli occhi, mentre il corpo viene scosso da piccoli brividi. Perché le parole di Ashton sono troppo vere per non essere ascoltate; troppo dirette per non fargli male. Perché Calum lo sa, che tutto quello che sta succedendo è sbagliato; che lui è sbagliato; che ha torto nel suo modo di reagire. Ma Ashton non sa che lui non ha più carte da giocare per rimettersi in piedi.
Il maggiore non aggiunge altro. Si limita ad aprire il ripostiglio, lo sguardo freddo che non accenna a voler sparire dal viso stanco e provato dalla lunga operazione a cui ha assistito poco più di un quarto d’ora prima. Lascia che pure Calum entri, poi chiude la porta e velocemente stringe il laccio emostatico attorno al braccio del moro – cercando di restare calmo di fronte a tutti quei segni che non gli piacciono, proprio per niente – per poi prelevare qualche millilitro di sangue da esaminare in privato, durante il turno di notte, quando non c’è nessuno dei suoi colleghi nel laboratorio di analisi.
Il più piccolo non accenna a voler rompere quel silenzio pesante tra loro, non ancora. Non vuole pensare, non vuole dire niente di sbagliato. Perché sa già di star commettendo errori su errori, uno sempre più grande e più irreversibile dell’altro; e non ha la benché minima intenzione di rovinare quel poco di rapporto che resta tra lui ed Ashton. Sono amici da tutta una vita. E Calum non potrebbe mai vivere senza di lui, senza i suoi migliori amici. Ne ha già perso uno, ed ecco adesso quali sono le conseguenze: è diventato l’ombra di se stesso, un’ombra che non sa più neppure reggersi sulle proprie gambe senza cadere dopo il primo passo, una persona che non ha più niente da perdere, perché ha già perso tutto ciò che di più bello e prezioso aveva.
Eppure… Di lui vorrebbe parlare, almeno una volta, nonostante gli sbagli. Vorrebbe sapere se sta bene, se la fisioterapia sta dando i suoi frutti, se potrà tornare presto a casa, quando potrà rivedere i suoi genitori, se poi ha trovato il modo di iscriversi alla facoltà di arte che tanto gli sarebbe piaciuto frequentare una volta finito il liceo.
Per questo, solo per questo, prende tutto il coraggio che ha per porre quella domanda che Ashton mai si sarebbe immaginato di poter sentire dopo tutto quel tempo. «Come sta?»
Una domanda che, dopo un primo attimo di incredulità, accende nel riccio una rabbia sorda, quasi cieca; una rabbia che non provava da tanto, troppo tempo; una rabbia che forse dovrebbe contenere, perché non vuole trattare male Calum, non vuole riversare su di lui tutta l’ansia, l’apprensione, la preoccupazione che sente; perché il moro non ha colpa, non del tutto almeno. Una rabbia che è più forte di tutto il resto.
«Da quando Michael è qui tu non sei mai venuto a trovarlo.» commenta, uscendo dal ripostiglio ed avviandosi per il corridoio, come a volersi allontanare dall’altro, come a cercare di sbollire quell’uragano che ha dentro lontano dagli occhi del suo migliore amico; occhi che Ashton spera di vedere nuovamente splendere il prima possibile.
Calum però è subito al suo fianco; lo sguardo preoccupato di chi davvero vorrebbe sapere; lo sguardo che mostra quanto un’amicizia vera continui ad esistere nonostante le difficoltà. Lo sguardo di chi tiene davvero ad un amico importante, così tanto da arrivare ad annullarsi completamente come sta facendo il moro per un errore che non ha colpevoli.
Cose che però il riccio, pieno di troppi sentimenti contrastanti, non riesce a vedere, non ora, non con il cuore in subbuglio che non riesce a tranquillizzarsi per niente.
«Non sei mai venuto, non gli parli da due anni e solo adesso pretendi di sapere come sta?!» quasi urla; gli occhi dorati ancora più freddi, ancora più distanti, il corpo che freme senza che lui possa farci niente. Perché ha provato a resistere, Ashton, ha provato davvero. Ma è umano pure lui, e quando si arriva al limite, prima o poi si scoppia tutti, in un modo o nell’altro, troppo piccoli per contenere qualcosa di troppo grande, troppo fragili per sopportare a lungo troppe difficoltà tutte insieme.
Calum si ferma, all’improvviso, come pure all’improvviso si ferma il battito del suo cuore di fronte a quegli occhi devastati, distrutti; occhi che non riconosce più, stravolti dalla stanchezza e dal dolore per qualcosa di cui non sa niente; perché è troppo tempo che non ha una conversazione con Ashton che possa essere definita tale.
Abbassa gli occhi, di nuovo. E di nuovo, sente il senso di colpa entrargli nelle ossa, arrivando fin quasi al cuore, l’unico posto che Calum sa di dover tenere al sicuro ad ogni costo, senza preoccuparsi delle conseguenze. Per questo risponde in quel modo, per questo pronuncia quelle parole con il tono di chi non vuole sentire obiezioni, perché tanto sa che niente e nessuno riuscirà a fargli cambiare idea del tutto.
«Sai che è colpa mia se è successo quel che è successo.»
«Ma quando capirai che lui non ce l’ha con te perché la colpa non è tua?» domanda allora il riccio, sconvolto; cercando di capire; cercando di dare un senso a tutta quella situazione di cui ogni volta capisce sempre meno; tentando di trovare qualsiasi cosa pur di cambiare il resto. Perché il suo migliore amico è sempre più lontano e distante da tutto e tutti. E Ashton non sa più cosa fare per riportarlo indietro.
Calum non ribatte. Si limita a scuotere lentamente la testa mentre volta le spalle al riccio ed esce dall’ospedale quasi di corsa, con il cuore che nuovamente batte forte; come a volergli togliere definitivamente il respiro; come a volerlo spingere oltre ogni limite per poi vederlo cadere, con l’anima ancora più distrutta di prima.
Perché sa che Ashton ha ragione da vendere. Sa che non è giusto chiedere come stia quella persona che lui non ha più alcun diritto di chiamare amico, non dopo tutto quello che è successo e che ha inevitabilmente distrutto ciò che c’era prima, a partire da quell’amicizia che sembrava essere in grado di poter affrontare qualsiasi difficoltà, cosa che invece non è successa, rivelandosi tutto il contrario.
 
Quel pomeriggio è stranamente più tranquillo del solito. Probabilmente perché la mora non è ancora arrivata e perché per adesso neppure Ashton si è fatto vivo. Michael però non si preoccupa; sa che entrambi arriveranno a breve e, se proprio deve essere sincero, spera di farli finalmente conoscere. Soprattutto, spera di poter far capire al suo ragazzo quanto Letizia sia importante per ognuno di loro, anche se sa solo una parte della storia che li accomuna; spera di poter fargli capire il perché le voglia così bene ed il perché senta che quella ragazza sia fondamentale per ogni cosa. Come se ci fosse un intreccio di fili che non riescono a vedere ma da cui sono tutti collegati.
Si passa distrattamente la mano tra i capelli ed osserva curiosamente le persone che entrano ed escono dall’ospedale; chi di fretta, chi con l’aria stanca e preoccupata, chi con un po’ di paura per un qualcosa a volte impossibile da spiegare a parole. Occhi, sguardi diversi tra loro che Michael ha visto spesso durante quei lunghi sei mesi passati da quando è entrato lì – e da quando ha conosciuto Letizia – a causa di un incidente d’auto che gli ha fatto perdere quasi tutto il primo anno della facoltà di arte in cui è riuscito ad entrare quasi per miracolo.
E si ritrova a sorridere divertito, mentre torna a sedere sul letto, un po’ a fatica, a causa delle stampelle a cui non è ancora riuscito ad abituarsi del tutto. Sorride, Michael, a causa della vita, sempre pronta a cambiare tutto quanto; propensa a portare novità su novità, a volte anche poco gradite; grande pittrice del suo stesso mistero che nessun filosofo, scienziato, ricercatore o chicchessia potrà mai capire fino in fondo, troppo bello e profondo per poter essere compreso da qualcuno che, nonostante la buona volontà, non potrebbe mai farlo suo del tutto. Quella stessa vita che è sempre riuscita a sorprenderlo, in un modo o nell’altro, nel bene e nel male.
Ed è proprio mentre si ritrova a pensare a tutte le novità che nelle ultime settimane stanno stravolgendo tutto, che la porta di camera sua si apre ed Ashton entra, chiudendola subito alle sue spalle, spiazzando l’altro a causa del suo sguardo spento, furioso, distrutto. Lo sguardo di chi, nonostante la lotta, alla fine ha dovuto cedere sotto un peso troppo grande da portare da solo.
Ed il riccio non fa in tempo neppure a dire una parola, che Michael – per quanto la gamba ingessata possa permetterglielo – lo bacia, all’improvviso, a lungo, delicatamente, facendo sì che ogni dubbio, ogni preoccupazione, ogni paura se ne vada dal cuore del riccio, almeno per il momento.
Ashton sospira forte, mentre risponde a quel bacio con la stessa intensità; mentre stringe a sé il corpo del suo ragazzo; quel corpo che sempre riesce a farlo sentire al sicuro, al posto giusto ogni volta che sono insieme. E si lascia andare; lascia che le labbra dell’altro si modellino sulle sue, che le loro lingue si incontrino timide e sicure come ogni volta; lascia che l’amore che prova per Michael faccia tutto il resto. Perché non vuole pensare, il maggiore, non adesso, non con tutta la rabbia che ancora gli circola nel corpo e che solo grazie all’altro sta diminuendo lentamente, a fatica, troppo radicata in quel cuore che ha sopportato davvero tanto.
«Che cosa ti succede?» gli chiede Michael, preoccupato, non appena pone fine al bacio ed incontra gli occhi dorati del suo ragazzo, preso da quella miriade di pensieri che vorrebbe conoscere per poterlo aiutare.
Ashton scuote lentamente la testa e si allontana di poco dal minore, cominciando a passeggiare nervosamente attorno al letto, sul quale intanto l’altro si è seduto di nuovo. Cammina, il riccio, perché non sa come sistemare, come cambiare quella situazione che non riesce più a sopportare, non dopo quello che è accaduto pochi minuti prima.
«Ash?» lo chiama Michael di nuovo; la voce tranquilla, il tono paziente di chi vuole sapere, di chi vuole curare quelle ferite invisibili ed indelebili su un’anima che ha resistito fino alla fine, non riuscendo però ad evitare quel buio che agli uomini è troppo spesso familiare e in cui tanti cadono perché troppo deboli.
Il maggiore sospira e si siede a gambe incrociate davanti al ragazzo dai capelli colorati, prendendogli delicatamente la mano tra le sue e lasciando che le parole gli escano dalle labbra con facilità, per liberarsi di quel peso che ormai è diventato un macigno. «È stato qui.»
Michael, a quelle parole, sgrana improvvisamente gli occhi, incredulo. Perché, insieme ad Ashton, ha sempre sperato con tutto il cuore che uno dei suoi più cari amici non tornasse più in ospedale; ha sperato fino in fondo che la smettesse con quella storia, che riuscisse a mettere una pietra sul passato ed andare avanti con la sua vita com’è giusto che sia. Perché non ha colpa, non l’ha mai avuta, né lui né nessun altro. Eppure si è addossato un errore non suo; ed ora eccoli divisi, distanti, come non lo erano mai stati in tutti gli anni della loro amicizia. Un’amicizia in cui Michael ha sempre creduto, a cui si è sempre affidato con tutto il cuore quando le cose non andavano bene; un’amicizia vera e forte, di cui il ragazzo non ha la benché minima intenzione di vedere la fine.
«Fa ancora…» e non ha bisogno di continuare. Perché Ashton subito annuisce. Ed il cuore dell’altro si spacca, all’improvviso, come un vaso di coccio le cui schegge diventano ancora più piccole e taglienti una volta che toccano terra, ferendo tutto ciò che si trova attorno, senza alcuna via d’uscita.
«Vorrei soltanto che riuscisse a capire…» sussura il riccio, catturando l’attenzione di Michael e guadagnando un abbraccio di quelli che solo loro due riescono a darsi; un abbraccio che dice molto di più delle parole e che cela così tante cose che non hanno bisogni di discorsi per essere comprese.
«Capirà, Ash. Sono sicuro che capirà.» lo rassicura il minore; il sorriso sulle labbra che, nonostante la situazione, non riesce a sparire. Perché ha fiducia, lui; fiducia nel fatto che le cose cambieranno, miglioreranno quando loro meno se ne accorgeranno. E non importa quanto tempo ci vorrà. Michael sente fin dentro le ossa che non tutto è perduto per sempre. E si attacca con tutto il cuore a quella speranza flebile. Quella speranza che l’ha sempre aiutato a voltare pagina, a darsi forza anche quando non trovava più niente che potesse rimetterlo in piedi – a parte Ashton e l’amore che prova per lui, sempre stati le sue fonti di luce in tutto quel buio.
«Lo spero… Io… Mi manca… Non ce la faccio più a vederlo così!»
A quelle parole, il minore sospira e stringe di più l’altro, sperando di poterlo aiutare, sperando di tranquillizzarlo almeno un po’. Perché tutti loro hanno bisogno di tranquillità, di libertà nelle loro vite, dopo ciò che hanno vissuto.
«Manca anche a me, Ash… Manca tanto anche a me…»
Ashton sospira ed alza la testa verso il suo ragazzo, facendo incontrare i loro occhi chiari, così diversi eppure così simili allo stesso tempo, specchi di un amore che nessuno dei due avrebbe mai creduto di poter vivere nella vita; un amore così forte, intenso e vero che ha sempre dato loro la luce di cui avevano bisogno nei momenti bui, tra altri e bassi che non sono mai mancati ma che non hanno fatto altro che rafforzare quel rapporto di cui nessuno dei due potrebbe più fare a meno.
Si guardano a lungo, sorridendosi, nonostante tutto, complici e felici di avere nella propria vita una persona così bella e così speciale come quella che hanno davanti, che è riuscita a riempire la loro vita di qualcosa a cui mai avrebbero pensato, se non l’avessero vissuto sulla propria pelle. Un qualcosa a cui mai potrebbero rinunciare, non dopo aver combattuto a lungo con loro stessi per poter vivere quel sentimento a cui non vogliono rinunciare.
Si guardano di nuovo. E di nuovo le loro labbra riescono a trovarsi, riescono ad esprimere quello che sentono dentro e che non riescono a contenere quando sono insieme, dimenticandosi di tutto ciò che è attorno a loro.
Dimenticandosi pure della porta della camera di Michael che si apre all’improvviso.
 
Letizia osserva allibita i due ragazzi seduti sul letto, abbracciati l’uno all’altro, che a loro volta la stanno guardando senza sapere cosa dire o fare a causa di ciò che hanno visto e che li ha colpiti in modi diversi. Li guarda, la mora, e non sa davvero come reagire di fronte a quella sorpresa completamente inaspettata. Perché, in tutti quei mesi, non ha mai pensato che Michael potesse avere una persona così importante nella sua vita; non si è mai chiesta se il suo migliore amico potesse essere innamorato di qualcuno, in un modo unico ed indescrivibile.
Perché a Letizia non servono parole per capire. Le basta vedere lo sguardo che i due ragazzi si stanno scambiando adesso. Uno sguardo pieno di un qualcosa da cui – ne è sicura – si sentirà sempre lontana; un qualcosa che non ha mai visto come adatto, giusto per un errore come lei; un qualcosa troppo bello e vero perché la vita possa donarglielo, perché possa anche solo lasciarglielo provare per un istante; un qualcosa che, al solo pensarci, la spaventa più di tutto il resto, perché non potrebbe prevenirne alcuna conseguenza, alcuna ferita. Un qualcosa che tuttavia le scalda il cuore, a vederlo nascere e crescere tra le persone a cui vuole bene. Un qualcosa per cui non sa se pregare oppure no. Un qualcosa che non ha il coraggio sufficiente per chiamare Amore.
Eppure, nonostante tutto, si ritrova a sorridere, Letizia, veramente felice per il suo migliore amico che non vedeva così di buon umore e tranquillo da un po’ e per quel ragazzo che spera di poter conoscere tra poco, a causa di quegli occhi dorati che la incuriosiscono davvero tanto. Occhi che nascondono molto più di quanto il riccio voglia ammettere. La ragazza non ha bisogno di chiedere per capire; dopo tutti quegli anni, ormai ha imparato a decifrare gli sguardi delle persone attorno a lei. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, ed i pesi che quel riccio si porta dietro non sono così invisibili quanto lui vorrebbe.
Si sistema gli occhiali neri sul naso e si passa nervosamente le dita affusolate tra i capelli lunghi, un po’ scompigliati a causa del vento stranamente forte di quel pomeriggio. È nervosa, Letizia, perché non sa ancora come porre fine al silenzio imbarazzatissimo che si è creato tra loro. Sposta così lo sguardo sul comodino accanto al letto di Michael, ed i suoi occhi si illuminano all’improvviso nel vedere Il mio cuore e altri buchi neri – il libro che aveva prestato all’amico solo tre giorni prima – con il segno ormai prossimo alla fine del volume.
«Almeno questo ti sta piacendo?» chiede senza pensarci due volte, preda della curiosità, mentre prende il libro e lo sfoglia delicatamente, quasi tenesse tra le mani il più grande e prezioso dei tesori. Perché, se c’è una cosa a cui la mora non potrà mai rinunciare, sono i libri e tutte le emozioni che parola dopo parola, pagina dopo pagina, le fanno provare. Emozioni che, anche a distanza di anni, riesce ancora a ricordarsi come se le avesse appena sperimentate. Non sa come farne a meno, Letizia; per lei, il perdersi in altre vite, in storie non sue, in mondi fantastici che la portano lontano, in sentimenti che troppo spesso sente inarrivabili, le dona un qualcosa dentro al cuore che a parole non può essere espresso. È una sensazione bellissima – spesso la stessa che prova quando scrive – e, da quando ha conosciuto Michael, è davvero felice di poter condividere la sua passione con qualcuno che la capisce almeno un po’.
Il ragazzo ridacchia e scuote la testa, passandosi una mano tra i capelli e scompigliandoli ulteriormente.
«Non molto. Ce ne sono di meglio.»
«Ma se da ieri non fai altro che parlarne!» esclama Ashton, attirando gli occhi della ragazza su di sé
Michael lo guarda di traverso e sbuffa sonoramente, voltando lo sguardo da tutt’altra parte. «Parla per te. L’hai letto già parecchie volte e ancora piagnucoli come una ragazzina.»
E Letizia, all’affermazione detta da quella voce vivace, non riesce a trattenere un sorriso.
«Beh, allora non sono l’unica che apprezza i buoni libri.» commenta allegra, facendo l’occhiolino al riccio di cui ancora non sa il nome ma che, per il momento, le sta facendo davvero una buona impressione.
«Bene, sono circondato da fanatici della lettura.» sospira Michael falsamente preoccupato, scatenando le risate degli altri due che, come se si conoscessero da sempre, si scambiano un’occhiata complice e divertita, prima di tendere la mano all’altro.
«Letizia, tanto piacere.» si presenta la mora; gli occhi scuri e profondi intenti a scavare dentro quelli dorati del ragazzo; quegli occhi forti e provati da un peso diverso eppure simile allo stesso tempo ad altri che Letizia ha intravisto in altri sguardi, in altre anime di persone veramente vicine a lei. E subito, quasi senza volere, gli occhi color caffè di Calum si fanno strada tra i suoi pensieri, facendola vacillare per un attimo, mentre il ragazzo le strine delicatamente la mano con il sorriso sulle labbra.
«Ashton, il piacere è tutto mio.» risponde sincero, mentre il cuore gli batte forte nel petto. Perché non può fare a meno di sentirsi sollevato. Finalmente ha incontrato la persona di cui Michael gli parla da mesi; finalmente ha conosciuto la stessa ragazza di cui Luke gli ha accennato tempo prima. La stessa ragazza che pare una roccia, una fortezza inespugnabile in cui è difficile entrare. Perché i suoi occhi intensi, profondi, per Ashton sono troppo difficili da decifrare, troppo pieni di un qualcosa molto più grande di lui e di tutto il resto per essere capito subito.
Ma non si preoccupa, il ragazzo. Ormai riesce a capire un po’ le persone attorno a sé, e spera solo che alla mora basti solo un po’ di tempo per iniziare a fidarsi. Non ha alcuna intenzione di forzare la mano per capire quello sguardo duro e volutamente tenuto lontano da tutto, come a voler evitare ad ogni costo qualsiasi tipo di ferita.
Nel mentre, Michael non riesce a trattenere un sorriso lieve e speranzoso. Perché adesso che due delle persone più importanti di tutta la sua vita si sono incontrate, le cose non potranno che andare soltanto in discesa. O almeno, lo spera davvero, con tutto se stesso. Perché è troppo stanco di tutto quel dolore, di quella situazione sbagliata, malsana in cui lui ed i suoi migliori amici si sono ritrovati a causa di un disegno troppo più grande di loro. Un disegno in cui però è arrivata Letizia, all’improvviso; proprio come tutto all’improvviso è cominciato. Michael non sa spiegarselo; sente solo che la mora davanti a sé – che adesso sta chiacchierando animatamente con il suo ragazzo, illuminata da una luce che giorno dopo giorno si sta facendo sempre più potente – è quel miracolo che tutti loro stavano aspettando senza saperlo davvero. Un miracolo che, pian piano, riesce a far entrare sempre più luce, riesce ad accendere quella speranza che sembrava perduta per sempre.
«Non posso credere che tu non abbia mai sentito parlare di Shadowhunters!» esclama la mora, intanto, colpendo il ragazzo dai capelli colorati per quell’allegria dirompente e viva che mai prima di allora la ragazza aveva mostrato; un’allegria che neppure la diretta interessata è in grado di spiegarsi a dovere, forse perché prima di quel momento non le era mai capitato di poter parlare così a lungo e così apertamente di ciò che la appassiona e che riesce a tenerla saldamente a terra donandole un qualcosa in cui credere, a cui la ragazza si ancora con tutta se stessa. E adesso che sta camminando su un percorso che, in un certo senso, conosce bene, non riesce ad avere paura. Muove i passi con decisione e con una strana fiamma dentro al cuore che non sembra aver la benché minima intenzione di spegnersi, alimentata da quello stesso calore che da un po’ di tempo ha preso residenza fissa dentro di lei; quello stesso calore che, lentamente, sta sciogliendo le sue catene, rendendola più viva, più libera – facendole inevitabilmente tenere a mente il perché di quel tatuaggio che si è fatta sulla spalla sinistra. Quel calore che Calum è riuscito a far nascere dentro di lei senza rendersene conto.
Perché Calum Hood è la sua casa. E Letizia non può e non vuole perderlo, non dopo ciò che il ragazzo sta diventando per lei ad ogni secondo che passa. Non potrebbe farcela senza di lui, che ormai è diventato l’unica ragione per non mollare, per affrontare la vita a testa alta e cercare di mettere definitivamente una pietra sopra al passato per voltare pagina ed iniziare completamente da zero. Lui, che sta diventando sempre più importante, che sta prendendo sempre più spazio dentro al suo cuore senza che lei possa farci niente.
E si ritrova a sorridere, la ragazza, mentre Ashton le spiega il suo punto di vista, facendola ridere, facendole dimenticare per un po’ l’inferno che si porta dentro e che spera di riuscire a mandare via una volta per tutte, con l’anima che protesta in silenzio e sempre più debolmente, troppo stanca per reagire.
«Giuro che non l’ho mai sentita in vita mia! Anche perché non amo i fantasy.» esclama il riccio; il sorriso sulle labbra, le mani strette attorno quelle del proprio ragazzo, lo sguardo indagatore puntato sul tatuaggio della mora – che riesce ad intravedere sulla spalla scoperta dalla maglia mentre lei ripone il libro sul comodino – curioso di capire perché ogni tanto quegli occhi color cioccolato si spengano per poi tornare più belli e più luminosi di prima.
Perché, Ashton deve ammetterlo, Letizia è davvero bella. Non sa spiegarlo con certezza. Quella ragazza non è soltanto bella fuori, per il corpo slanciato e per il viso dai lineamenti morbidi e dolci. È bella per ciò che i suoi occhi custodiscono e da cui vorrebbero allo stesso tempo liberarsi del tutto per poter vivere la vita a pieni polmoni, a piene mani, senza preoccuparsi del resto. È una bellezza forte, quella di Letizia. Una bellezza che il ragazzo spera davvero di poter conoscere, per capire come mai proprio lei sia il pezzo mancante di tutto il puzzle.
«Peccato. I fantasy sono i libri migliori.» ribatte Michael, con il tono di chi non ammette obiezioni.
«Clifford, quel posto è riservato ai drammatici, se permetti.» ribatte la mora, unendosi alle risate degli altri due e lasciando pieno campo a quello strano buon umore che le sta scaldando il cuore, l’anima; quel calore tiepido, timido, che lentamente arriva a toccare ogni sua cellula e a farla sentire incandescente come una stella.
Ed è mentre il pomeriggio passa così, fulmineo, che Letizia si perde ad osservare Ashton e Michael. E mentre li vede così, felici e resi forti dall’amore che li unisce, non riesce a non pensare ad un paio di occhi color caffè che subito le fanno battere così forte il cuore da mozzarle il respiro. Gli occhi di quella persona per cui Letizia sa che non rinuncerà mai a combattere; quella persona che, in un modo tutto suo, riesce ancora a farla sperare; quella persona, l’unica che riesce a riempire il vuoto nel suo cuore
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Letizia
Ciao bellissimi!
Come state? Spero bene, dato che questo sabato (almeno dalle mie parti) sembra promettere bel tempo *^*.
Parlando del capitolo, che cosa dire? Calum ed Ashton che si incontrano di nuovo (e qui il mio cuore piange tanto e si dispera in un angolino); Ash e Mike stanno male per il moro (e voi non avete idea di quanto mi stia maledicendo, perché questi duei tesori non si meritano di stare così male! Leti, vedi di darci un taglio con queste storie tristi - Ma dillo alle canzoni! E' tutta colpa loro!!!!). Insomma, io mi sono data un bel colpo al cuore con i Mashton facendoli stare così :'( Sono proprio incorreggibile *scoppia a piangere in un angolino*
In compenso.... Leti che scopre dei Mashton e che conosce Ash!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! E questa cosa è akjbfbaja, tanto tanto tanto carina :3 (almeno per la sottoscritta u.u *^*)
Diciamocelo pure: capitolo pieno di feels, non c'è altro da dire, ahahah ;).
Siccome adesso devo scappare, vi do una piccolissima informazione prima di andare: PER IL PROSSIMO CAPITOLO, TENETEVI PRONTI CON I FAZZOLETTI!!!!!!
Detto questo, ringrazio di cuore (sul serio *^* <3) tutte le persone che hanno recensito e messo la storia tra preferite | ricordarte | seguite; siete skdnfkjdsfbskjb, bellissimi! <3
Grazie di tutto; ci sentiamo sabato prossimo! <3
Un bacione grandissimo, Letizia <3

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Capitolo 20
*** Venti ***


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Venti
 
 
 
Quella stessa luce di cui chiunque ha bisogno per stare bene, per vivere davvero.
Una luce troppo facile da perdere e altrettanto difficile da riconquistare quando tutto attorno cade.
Soprattutto quando segreti tenuti dentro troppo a lungo rovinano ogni cosa.
 
 
 
Quegli stessi occhi color caffè che adesso, lucidi, stanno scorrendo veloci sulle pagine di quella Moleskine nera che Calum si era ripromesso di non leggere mai più, quel diario che si era ripromesso di non aprire per non peggiorare ulteriormente la situazione. Quella stessa situazione per cui ormai non può fare più niente. Quella stessa situazione che ormai lo ha prosciugato di tutto; lo ha lasciato completamente vuoto, senza via d'uscita, senza alcuna difesa, senza alcun punto da cui poter ripartire da zero. 
Perché la mancanza uccide, se non si cura in tempo; porta via ogni cosa senza lasciare neppure un granello di polvere da custodire come il tesoro più grande di tutti, un granello che è l'unica ombra di ciò che rimane. Perché la mancanza butta giù l'anima e allo stesso tempo fa nascere muri sempre più spessi e impenetrabili attorno al cuore per proteggerlo, per tenere in sesto quel poco che resta; un poco troppo provato, stanco, distrutto, che non è forte abbastanza per resistere al disegno della vita; un disegno a volte così complicato e difficile che rafforza o annienta, senza mezze misure.
Perché il vuoto che sente dentro al cuore, Calum non sa più come riempirlo, come curarlo; non ha idea di cosa fare per poter stare meglio. Si è lasciato andare, ha permesso al senso di colpa e di sconfitta di buttarlo giù del tutto; non ha combattuto come avrebbe dovuto e voluto; non si è difeso come aveva sperato. Si è arreso, nonostante le promesse che ha fatto ma che non è riuscito a mantenere. Ha mollato la presa su quella vita che adesso non è più sua, non come vorrebbe.
Gli occhi continuano a scorrere su quelle righe ormai imparate a memoria a forza di leggerle per non dimenticare niente di ciò e di chi non c'è più. E le parole scritte da quella calligrafia che riconoscerebbe tra mille scavano dentro la sua anima, riducendogli il cuore in pezzi e spazzando via quel poco che era rimasto, lasciando un vuoto impossibile da riempire, impossibile da curare. Un vuoto che risucchia quella luce che cerca di entrare dentro di lui ma che non trova posto dove potersi fermare per illuminare tutto il resto. Perché non c’è più niente da illuminare, da far risplendere, da tenere al caldo, al sicuro.
Legge e, anche se sa di sbagliare, anche se sa che dovrebbe smetterla, che dovrebbe seriamente voltare pagina, non ci riesce, non sa farne a meno. Ormai i ricordi che ha sono l’unica cosa che conta davvero, l’unica cosa a cui si ancora per non cadere del tutto, benché abbia ormai toccato il fondo da tempo; quel fondo che però non è ancora riuscito ad attirarlo del tutto. Legge e ricorda, come se non fosse in grado di fare altro. Perché quella persona che adesso non c'è più gli manca, troppo. Gli mancano i suoi occhi verdi e luminosi che riuscivano sempre a vedergli l'anima. Gli manca come riusciva a farlo sentire anche solo con la sua risata; quella risata che per lui è sempre stata la più bella del mondo. Gli manca poter passare il tempo insieme, come facevano di solito, a scherzare e a stare bene. Gli manca quello che avevano, quel rapporto ricco e semplice, in grado di farlo sentire completo. Gli manca tutto ciò che erano.
 
20.11.2012, 09:14 am
Fa male, fa troppo male.
Nessuno vede niente, nessuno riesce a capire come sto. Solo mio fratello ha intuito qualcosa. E gli sono grata, davvero, perché nonostante tutto cerca sempre di farmi stare bene. Però non basta, non basta per rimettere le cose in sesto, non basta per curare tutte le cose sbagliate dentro di me. Perché lo so io, lo sai tu, lo sanno gli altri: sono un errore, lo sono sempre stata; sono sbagliata e non merito niente di ciò che ho.
Sono sicura che tutti vivrebbero meglio senza un peso scomodo come me. In fondo, non credo che mancherei a nessuno. Probabilmente solo mio fratello ed il mio ragazzo sentirebbero la mia mancanza.


Calum chiude di scatto il diario e lo lancia per terra preso dalla rabbia, dallo sconforto, da quel senso di colpa che giorno dopo giorno lo sta rendendo uno straccio e che scava ferite sempre più profonde, a cui lui non si è ancora abituato, troppo preso a chiedersi perché invece di accettare ciò che è successo. 
Sospira, si passa una mano tra i capelli e si alza dal letto, prendendo la Moleskine e rimettendola al suo posto, ben nascosta tra il resto dei pochi libri che ha e che danno un po' di colore a quella camera scura e impregnata di ricordi che riescono soltanto a confonderlo e a fargli perdere la bussola, quando invece avrebbe davvero bisogno di qualcosa – o meglio, qualcuno – che lo aiutasse a ritrovare la strada giusta, a voltare pagina una volta per tutte. 
Va in bagno e si sciacqua il viso, come a voler cancellare, come a voler dimenticare, almeno per pochi secondi; secondi che però non saranno mai abbastanza, in nessuno caso. Sospira di nuovo; lascia che l’acqua fredda plachi un po’ l’incendio che gli è nato dentro; un incendio che il ragazzo non vuole spegnere. Perché la medicina giusta per ciò che sta provando adesso è a portata di mano, ben nascosta nel cassetto della biancheria, così vicina da tentarlo come tutte le volte; pronta ad annullare ogni paura, ogni dubbio, ogni turbamento; pronta a disconnetterlo dal mondo, a portarlo lontano dal niente con cui è rimasto.
Si asciuga il viso, quasi a voler cancellare quell’idea, quasi a voler rimuovere ogni traccia di quello che è stato, per non avere più niente a che fare con l’inferno in cui vive. Perché vorrebbe tanto cambiare, Calum; vorrebbe essere più forte di così; vorrebbe essere capace di riprendersi in mano la sua vita, tentando in ogni modo di rimettere in sesto rapporti di cui sa di aver bisogno, anche se non vuole o non riesce ad ammetterlo con se stesso fino in fondo; vorrebbe essere migliore di quello che è adesso.
Poi però si guarda allo specchio. E tutti i suoi buoni propositi vanno in fumo nella frazione di un istante.
Perché mai avrebbe pensato di essersi ridotto in quel modo: occhiaie scure e pesanti attorno agli occhi; sguardo assente, vitreo, spento; labbra secche e screpolate, spaccate anche se ormai il freddo dell’inverno non c’è più; guance incavate; braccia troppo magre, senza neppure quel minimo di muscoli che un diciannovenne in forze come lui dovrebbe invece avere.
È diventato veramente l’ombra di se stesso. E sa che è tutta colpa sua.
Come sa di non meritare affatto una persona come Letizia; l’unica che, in tutto quel tempo, è riuscita a non farlo pensare al passato; l’unica che ha saputo curargli almeno un po’ le ferite che gli stavano dilaniando il cuore; l’unica che ha avuto il coraggio e la pazienza di combattere per un caso perso come lui.
Lui, che non sa neppure reggersi sulle proprie gambe; che non sa voltare da solo quella pagina scritta con parole e gesti che il ragazzo ormai sa a memoria ma che ha paura di dimenticare. Perché è così: Calum, anche se vorrebbe dimenticare ciò che è successo per liberarsi definitivamente dalle catene che lo trattengono al buio, ha paura di farlo; perché i ricordi sono ciò che gli resta di chi ormai non c’è più. Perché, se perde quelli, ha paura di perdere tutto quanto.
E sa che non dovrebbe agire così; che non c’è niente di male nel voler andare avanti; che pure quella persona che ormai è andata via non avrebbe voluto che lui si riducesse così. Eppure… Il moro non riesce a fare diversamente, forse perché non ci ha mai provato davvero, fin da subito ossessionato dall’idea di non dover perdere niente in alcun modo. Un’idea che lo ha rovinato, che lo ha portato a cadere, che ha fatto aumentare il senso di colpa per tutto. Un senso di colpa che forse non avrebbe dovuto prendersi sulle spalle.
È uno debole, lui. E i deboli non sono fatti per affrontare la vita, non con solo le loro forze; hanno bisogno di un aiuto extra. O almeno, così pensa Calum da quando si è ritrovato in quella situazione che ha stravolto ogni cosa in un istante e che lo ha portato a ripiegare sulla via d’uscita dei codardi per eccellenza; quella più semplice, meschina e mostruosa. Quella via d’uscita da cui è diventato dipendente. E non sa spiegarsi come riesca ancora a controllarsi, nonostante il tempo.
Abbassa lo sguardo; lo punta sul pavimento. Meccanicamente, lascia che i suoi piedi lo portino fin davanti il cassetto della biancheria. Come le altre volte, il moro diventa spettatore esterno della sua stessa vita, senza avere alcuna idea di come poterla cambiare, senza sapere come uscire dal circolo vizioso in cui è caduto, permettendo a quel senso di vuoto di prendere il sopravvento su tutto quanto. Vede le sue mani aprire quel cassetto; le vede prendere tutto quello che gli serve per annebbiare la mente, anche solo per poco.
Un accendino.
Un cucchiaio.
Un laccio emostatico.
Una siringa nuova.
Una bustina di morfina.
Droga.
Ecco cos’è diventato Calum Hood: un drogato che si sta lasciando andare, troppo preso egoisticamente a piangersi addosso, perché ormai ha perso quello che più era importante per lui; troppo a pezzi per cercare qualcosa o qualcuno per cui continuare a lottare; troppo insicuro e debole a causa di quelle ferite che non vogliono andare via.
Però non ci pensa, non pensa a niente; non vuole, non adesso. Il senso di vuoto che prova dentro non glielo permette; non lo lascia ribellarsi; non gli lascia riprendere in mano la sua vita e tirarla in salvo, lontana dal buio; lo svuota di tutto: dei dubbi, delle paure, delle incertezze, lasciandolo come un involucro che non serve più a niente
Sospira, stanco. Poi esegue ogni passaggio con calma quasi maniacale, continuando ad osservare ogni gesto da lontano, come non fosse lui ad agire in quel modo. Ormai conosce i passi a memoria; sa che deve procedere con attenzione, senza farsi prendere dalla furia o dalla paura di essere scoperto; tanto sua madre non è in casa.
Ed è mentre mette nel cucchiaio una minuscola quantità di morfina, mentre ci aggiunge qualche goccia di limone e di acqua, mentre mette il cucchiaio sopra l’accendino per farlo scaldare, mentre osserva il tutto diventare un liquido di un colore che non saprebbe proprio come definire; che si ritrova all’improvviso un paio di occhi color del cioccolato dentro la testa. Occhi che lo fanno vacillare, un attimo soltanto; non abbastanza per fargli cambiare idea; per fargli prendere una decisione diversa; per far tornare del tutto la luce di cui lui ha bisogno; per fargli capire cose che il suo cuore un po’ già sa ma che la sua mente si rifiuta di accettare.
Si lega il laccio emostatico intorno al braccio. Poi prende la siringa ed il cucchiaio e, pochi secondi dopo, la morfina è dentro, pronta per entrargli in vena. Stringe allora la mano a pugno e trova velocemente il punto giusto sull’avambraccio. Ed è proprio quando sente la lieve puntura dell’ago sulla pelle, che il rumore della finestra che si apre alla sua destra attira la sua attenzione.
Ed è in quell’istante che due mondi crollano ancora una volta.
 
È da poco uscita dall’ospedale e i suoi piedi stanno macinando velocemente metri su metri. Vuole arrivare a casa il prima possibile, Letizia. Vuole vedere Calum. Vuole parlargli, raccontargli di Ashton e Michael. Vuole renderlo partecipe di quella parte della sua vita che giorno dopo giorno la mora sta cominciando ad apprezzare sempre di più; una parte che di volta in volta si ritrova a considerare sempre più importante, necessaria in un modo che tuttavia non sa spiegarsi, non ancora. Vuole abbracciarlo forte, così tanto da fargli mancare il respiro; esattamente come fa lui ogni volta che la stringe tra le braccia, come se non volesse farla andare via per nessun motivo al mondo. Vuole condividere con lui tutto quello che ha dentro la testa e nel cuore che non riesce a tenere a freno. Vuole ascoltare la sua voce allegra, vedere quel sorriso timido a cui si ritrova a pensare sempre più spesso dal giorno del suo compleanno. Vuole sentire il battito del suo cuore contro la guancia, come tutte le volte che si ritrovano distesi sul letto di uno dei due. Vuole ascoltarlo mentre canta, mentre suona il basso come se fosse una parte del suo stesso corpo senza la quale non saprebbe stare. Semplicemente, vuole stare con Calum, quell’angelo per il quale, giorno dopo giorno, sa di provare un affetto sempre maggiore.
Se deve essere sincera, il perché di tutte quelle piccole cose, Letizia ancora non lo sa; non riesce a capirlo, probabilmente nascosto troppo in profondità per essere scovato e capito così presto. È da parecchio che ormai i suoi pensieri hanno come chiodo fisso Calum e gran parte di ciò che lo riguarda. E la mora non sa se deve prenderlo come un buon segno oppure no. Sa solo che, da tre mesi a quella parte, la sua vita è cambiata e sta continuando a farlo, costantemente, lasciandola sempre senza parole per ogni sorpresa; sta continuando ad immagazzinare luce, senza fretta, seguendo i tempi di cui ha bisogno per abituarsi alle novità.
Tre mesi, durante i quali il rapporto tra lei e Calum è cresciuto, tantissimo. Un rapporto di cui Letizia non può più fare a meno. E mai l’avrebbe creduto possibile; mai avrebbe pensato che quel ragazzo così simile a lei nei suoi occhi distrutti e nella sua anima a pezzi potesse farle così bene, potesse in qualche modo curare il vuoto dentro di lei riesce sempre a farla cadere.
Non avrebbe mai creduto che Calum Hood potesse diventare una delle persone più importanti della sua vita. Così importante da farle mancare il respiro ogni volta che si ritrova a pensarlo, ogni volta che stanno insieme, a condividere qualcosa che per lei sta diventando giorno dopo giorno sempre più necessario. Necessita di ciò che Calum riesce a farle provare, come se quelle piccole cose che caratterizzano il loro rapporto fossero le uniche in grado di mettere a posto ciò che nella sua vita è sempre stato in disordine prima che quel ragazzo le piombasse davanti all'improvviso stravolgendo tutto quanto. Ha bisogno di Calum; ha bisogno davvero di lui, che sa farla stare bene in un modo che la ragazza non riesce proprio a spiegarsi.
E si ritrova a sorridere, Letizia, mentre cammina veloce per arrivare il prima possibile. Cammina, e pensa che la vita è veramente strana, priva di un senso che quasi mai le persone riescono a capire davvero. Sorride, perché mai avrebbe creduto di ritrovare a pochi metri di distanza l'unica persona in grado di farla state bene davvero. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo moro che ogni tanto le capitava di vedere a scuola sarebbe diventato così importante per lei. Lei, che non faceva altro che rimproverarlo in silenzio ogni volta che suonava il basso alle ore più improbabili del giorno e della notte. Lei, che adesso vorrebbe sentire il suono di quello strumento più spesso. Perché è da dopo il suo compleanno che dalla camera del moro non proviene più alcun rumore. E la ragazza non sa se preoccuparsi oppure no.
Sospira piano. E intanto, gli occhi scuri di Calum si impongono prepotentemente al centro dei suoi pensieri. Occhi color caffè in cui non ha paura di perdersi; nei quali si sente a casa, cercata, voluta in un modo che mai prima di allora aveva provato. Occhi profondi ed intensi; in grado di spogliarla di ogni peso, di ogni muro, di ogni maschera; in grado di mandar via gran parte dei suoi dubbi, delle sue paure. Occhi che Letizia vorrebbe tanto veder tornare a splendere il prima possibile. Perché è sicura che dentro quello sguardo ancora distante, schivo e diffidente nei confronti di tutto, c’è una luce che vuole uscire fuori ma che non riesce a liberarsi dal buio che la circonda. Lo stesso buio da cui pure la mora sta cercando di allontanarsi.
Ed è mentre percorre il viottolo per arrivare alle scale sul retro di casa sua, che all’improvviso le parole di Michael fanno capolino nella sua mente, facendo aumentare, facendo risplendere ancora di più il sorriso sul volto della ragazza. Un sorriso che lei non riesce a togliersi di dosso, che non riesce a mandar via; un sorriso che porterà dentro di sé come un gioiello, come un tesoro dal valore inestimabile da custodire per sempre.
«Se non ci fosse stato Ashton, non so se sari riuscito ad affrontare da solo la morte di Rachel. Gli devo tutto. È la ragione per cui sono ancora qui. Perché lo amo troppo per lasciarlo andare.»
Parole dette dopo poco che il riccio era uscito dalla stanza, lasciando i due amici a parlare del più e del meno. Parole che Letizia ha sentito fin dentro l'anima, semplici, vere, potenti abbastanza da farle capire che ci sarà sempre qualcosa in cui poter sperare, qualcuno per cui poter combattere senza aver paura di farsi male. Parole che le hanno fatto venire in mente Calum, ancora una volta, a dimostrarle il fatto che sul serio quel ragazzo per lei sta diventando una parte fondamentale della sua vita, anche se la mora non vuole ammetterlo. Quello stesso ragazzo che adesso non vede l'ora di stringere forte, senza un motivo ben preciso.
Sale le scale ed arriva alla finestra della camera del moro con il cuore che le batte forte. La apre ed entra.
Ma non appena vede ciò che sta succedendo, sente la terra sgretolarsi sotto i suoi piedi, nella frazione di un attimo, facendola cadere in un pozzo ancora più buio degli altri. E cade, Letizia. Cade, e non sa più che cosa fare.
 
Calum sente il cuore bloccarsi all'improvviso: non pompa più sangue, non fa sentire il suo battito nel petto. La mente si è improvvisamente svuotata di tutto. I suoi occhi color caffè non riescono ad allontanarsi dalla figura si Letizia, lontana da lui pochi passi, con lo sguardo perso, distrutto, devastato. La guarda, e non riesce a non darsi la colpa, perché sa cos'ha fatto. Perché sa che, forse, ha appena perso la persona più importante della sua vita. Perché sa che non c'è modo di tornare indietro, non adesso.
Abbassa gli occhi, puntandoli verso il pavimento. Li sente bruciare a causa di quel senso di vergogna, di sconfitta che sta nascondo dentro di lui, che aggrava il resto in un attimo. Sente la sua anima andare in pezzi, sempre più piccoli e dolorosi. Sente ogni suo muro cadere all'improvviso. Sente che adesso ha veramente perso tutto quanto.
Non riesce a guardare Letizia. Con quale coraggio potrebbe farlo, dopo che lei ha cercato di farlo stare meglio in ogni modo possibile? Con quale faccia tosta potrebbe parlarle di nuovo, dopo quello che la mora ha scoperto e che invece avrebbe dovuto rimanere un segreto? Non lo sa, Calum; non vuole saperlo. Non merita niente, lui. Soprattutto, non merita un angelo, un miracolo come Letizia.
Si vergogna, da morire. Perché avrebbe preferito parlare con la mora di quella parte della sua vita in un altro momento, in un’altra situazione, privo della paura di perderla. Paura che invece adesso lo sta facendo cadere, affogare, lo sta conducendo nuovamente in quel pozzo da cui aveva tentato di allontanarsi, ma da quale non è riuscito a liberarsi del tutto. Ha paura, perché sa che niente sarà più come prima; che non potrà mai rimediare all’errore che ha commesso: ha ferito Letizia; l’ha ferita in un modo che non è facile da guarire. Lui, che non le ha detto niente per proteggerla; lui, che non voleva trascinare la persona più importante della sua vita dentro il suo buio.
Letizia, che non sa cosa dire, cosa fare; che non ha idea di come mettere fine a quella situazione; che si ritrova disarmata davanti ad un problema più grande di lei; che non riesce neppure a chiedersi il perché di quell'incubo; che vorrebbe soltanto sapere perché la vita si diverta così tanto a giocare con i sentimenti delle persone; che si sente persa, vuota, senza alcuna difesa; che sente il cuore andare in frantumi, sempre più piccoli, più difficili da tenere insieme, più facili da perdere e non essere più ritrovati.
Guarda Calum. Lo osserva a lungo, sperando che il ragazzo volti lo sguardo verso di lei e che la tranquillizzi; sperando che la rassicuri, che le dica che era tutto un brutto scherzo, che doveva solo usare una medicina perché non è stato bene; sperando che la tenga stretta e le faccia passare la paura immane che all’improvviso le è nata dentro.
Una paura che la mora non sa come gestire, come affrontare o mandar via. Una paura che la blocca, completamente; che le impedisce di pensare lucidamente; che aumenta nel suo cuore quelle ferite che invano ha tentato di curare da sola; che la fa cadere, secondo dopo secondo, senza darle modo di difendersi, di capire.
Perché potrebbe dire che è stato solo un’impressione, che davvero Calum doveva prendere solo quella dose di medicina. Ma i segni delle varie punture sulle braccia, le cicatrici, le vene rovinate, niente è passato inosservato agli occhi attenti ed impauriti di Letizia.
Lei, che si sta dando la colpa, si sta addossando un errore non suo.
Perché solo adesso si rende conto del problema del suo migliore amico, dopo tutti quei mesi. Solo adesso conosce una misera parte della sua storia. Solo adesso. Perché, prima di quel momento, Calum ha sempre indossato maglie con le maniche lunghe, seppur di tessuti leggeri. Quella è la prima volta che Letizia vede le braccia nude del ragazzo; quello sinistro ricoperto di tatuaggi e meno segnato dal passaggio dell’ago; quello destro privo di inchiostro, ma deturpato da segni muscoli, rossi, violacei. Segni che fanno ripensare la mora ad una parte del suo passato che avrebbe voluto chiudere del tutto. Quella parte durante la quale non è riuscita a fare niente per impedire la tragedia; la stessa che si rende conto di star nuovamente vivendo adesso.
Si avvicina al moro, delicatamente, quasi avesse paura di peggiorare tutto quanto; quasi temesse di vedere altro.
Calum sente il suono dei suoi passi fermarsi davanti a sé, costringendolo ad alzare lo sguardo e a farlo incontrare con quello della mora. Occhi disperati, specchi di una paura mai provata prima, specchi di due anime in frantumi.
Caffè nel cioccolato.
Vergogna nella paura.
Perdita nel dolore.
Ed entrambi vorrebbero davvero tanto non essere arrivati a quel punto.
«Perché?»
L’unica domanda da porre; la sola a cui entrambi cercano una risposta da tropo tempo, senza però trovarla.
La voce della ragazza trema, carica di tutte quelle emozioni che stanno prendendo il sopravvento su di lei e che non le permettono di respirare, di stare bene. Non quando è Calum a stare male; non quando lui si sta ferendo in quel modo; non quando ha troppa paura di perdere la persona più importante della sua vita.
Calum osserva Letizia; si perde nei suoi occhi scuri ed intensi. Quegli stessi occhi che adesso sono spenti, solo e soltanto per colpa sua. Cerca le parole, per rispondere, per farle capire. Però non le trova. Perché non c’è niente, non c’è mai stato niente e mai ci sarà. Non sa come spiegare la merda è che la sua vita.
«Leti, io…»
Lei però si volta, le lacrime agli occhi, il cuore in cenere; poi esce.
E Calum sa di aver perduto tutto quanto ancora una volta.
 
Letizia entra in camera sua con le lacrime agli occhi e gli occhiali che ora come ora non le servono più. Adesso che non riesce a vedere niente di quello che le sta attorno; adesso che i pensieri sono concentrati su un unico punto; adesso che vorrebbe soltanto scomparire, annullarsi completamente per non tornare più, per non provare più il dolore che la sta dilaniando, graffiandole l'anima, riducendola a brandelli, strappandole via quella poca luce che era riuscita a fatica era riuscita ad entrare.
Non si toglie il cappotto, non si leva le scarpe. Non ha la forza di fare niente, neppure di respirare. Si lascia scivolare a terra, come un involucro che non ha più cose da contenere, perdute chissà dove e come; la schiena scorre lentamente sulla parete perché non ha nient'altro a cui potersi aggrappare, perché le gambe non hanno forze sufficienti per tenerla su. Si sente affogare nel vuoto. E non sa più che cosa fare per uscirne.
Si passa una mano sugli occhi, ormai privi degli occhiali, posati da qualche parte sul pavimento vicino a lei. Le lacrime che prima non aveva sentito scendere le bagnano la punta delle dita, mentre il cuore continua a far male, a chiedere una tregua, anche solo per pochi minuti.
Sospira lentamente, come se dentro non avesse abbastanza ossigeno; come se niente bastasse a fermare il dolore; come se non ci fosse niente in grado di mettere a tacere le domande, di curare le ferite aperte, di rassicurarla e dirle che prima o poi le cose miglioreranno.
Fa male. Fa male tutto quanto. Fa male non sapere come poter far risplendere gli occhi disperati di Calum. Fa male capire di essere arrivata troppo tardi, ancora una volta. Fa male aver scoperto un qualcosa più grande di lei in quel modo. Fa male sapere che il moro non si è fidato abbastanza di lei da raccontarglielo, per sfogarsi, per liberarsi del peso che porta sulle spalle da troppo tempo. Fa male cadere in pezzi di nuovo.
Perché non sa più a cosa credere, Letizia. Non sa cosa pensare, non sa come reagire. Non sa come mandar via un problema di cui non conosce le cause ma contro cui vorrebbe combattere, se solo non fosse così debole, se solo non fosse così tanto coinvolta da sentirsi privata di tutto quanto nella frazione di un istante.
Si guarda attorno; gli occhi che riescono a malapena a mettere a fuoco, a causa delle lacrime che ancora le stanno solcando il viso, in silenzio, brucianti, impossibili da fermare. Si guarda attorno, e gli occhi cadono sulla borsa a terra, dalla quale esce il quaderno grigio; quello su cui aveva iniziato a scrivere l’ennesima storia, l’unica che sta iniziando a venire bene davvero.
Non pensa, Letizia. Si limita a mettersi gli occhiali, per poi prendere il quaderno ed una penna, lasciando che siano le parole a parlare per lei, lasciando che tutto si sfoghi così, senza bisogno che lei dica niente.
 
Neppure Calum dice niente, mentre osserva inerme Letizia che esce dalla sua stanza; gli occhi puntati fino alla fine su quella L, su quel piccolo tatuaggio sulla spalla sinistra. Non dice niente per farla restare, per farle capire. Rimane in silenzio; senza difesa alcuna contro i colpi della vita che sembra voler inferire ulteriormente sui graffi che ha dentro al suo cuore; senza chiedersi perché; senza far qualcosa per riscattarsi. È un’ombra, lui, l’ombra di una persona che non è in grado di badare a se stessa, che diventa sempre più pericolosa per le persone che ama e che, nonostante tutto, non vuole perdere per nessuna ragione al mondo. Un’ombra che non merita la luce che Letizia è stata in grado di donargli per curarlo.
In fondo, Calum sapeva che le cose sarebbero finite così; sapeva che presto o tardi avrebbe perso anche lei. Sapeva che non avrebbe potuto tenere la sua storia segreta a lungo. Sapeva che le cose, inevitabilmente, sarebbero cambiate per tutti quanti. Sapeva che avrebbe potuto perdere la persona più importante della sua vita; l’unica che riuscisse a fargli credere di valere ancora qualcosa. Era preparato ad ogni eventualità, eppure… Tutto fa troppo male, più del previsto.
Perché solo adesso si rende davvero conto di chi ha perduto. Solo adesso capisce davvero quanto importante sia sempre stata Letizia per lui; lei, che ha sempre avuto un ruolo fondamentale per tutto quanto da quando si sono conosciuti; lei, che lui considerava importante, ma non fino a quel punto. Lei, i suoi occhi, che adesso stanno soppiantando il ricordo di un paio verdi e ormai lontani, perduti davvero per sempre.
Sospira piano e lascia che gli ultimi pezzi della sua anima si frantumino ulteriormente.
I suoi occhi scuri cadono sul suo braccio, ancora stretto dal laccio emostatico; poi passano alla mano che tiene stretta la siringa ancora piena. Quella siringa che viene subito svuotata in bagno, nel lavandino e non in vena, senza lasciare traccia, mentre due occhi color del cioccolato si impongono prepotenti su tutto il resto
.





Letizia
Tesori... Come state?
Spero bene, dopo questo capitolo... E... Vi prego, non odiatemi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! *si inginocchia e chiede perdono*
Sappiate che neppure io sarei voluta arrivare a questo punto della storia (che è esattamente a metà - sì, mancano altri venti capitoli per arrivare alla fine di Burn with you).
Insomma, i nostri Lalum escono distrutti da questa scoperta e... Boh, mi voglio tanto male!!!!!!!!! *piange disperata in un angolino*
Giuro che non vorrei far stare così tanto male i miei personaggi, ma non posso farci niente, è più forte di me! E che il peggio deve ancora arrivare :/.
Io... Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto e che mi farete sapere quello che ne pensate, sapete che ci conto :3 <3
Detto questo, scappo! Ci sentiamo presto e grazie mille per tutto quanto, vi voglio davvero troppo bene! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 21
*** Ventuno ***


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Ventuno
 
 
 
Segreti troppo grandi, a cui mai nessuno avrebbe potuto pensare.
Segreti che sono in grado di distruggere tutto quanto nella frazione di un attimo, come una folata di vento.
Segreti che, quando vengono scoperti, creano ancora più danni di prima.
 
 
 
Eccola di nuovo lì, in camera sua, davanti allo specchio con solo l'intimo addosso, intenta ad osservarsi con gli occhi di chi si vede come una completa nullità, come un totale fallimento, come qualcuno che non vale niente e che non meriterà mai niente di buono. Lo sguardo con cui si vede Madison fin da quando ha quattordici anni. E anche se adesso ne ha diciotto, le cose non sono cambiate, anzi; sono peggiorate, perché lei non è mai stata in grado di proteggersi. Aveva creduto che in quei quattro anni la situazione sarebbe migliorata in un modo o nell'altro, anche solo di poco. Invece è successo tutto il contrario.
Sospira e lascia che i suoi occhi castani passino su ogni parte di lei. Analizza attentamente ogni millimetro del corpo, del volto, e tutte le imperfezioni che ha le catturano l'attenzione. Imperfezioni a cui la sua mente aggiunge particolari che solo i suoi occhi riescono a vedere. Particolari che le poche persone che le vogliono bene non hanno mai notato, o che forse hanno fatto finta di non farlo per non ferirla ulteriormente, per proteggerla.
Si osserva attentamente. E riesce soltanto a vedere una ragazza che non è mai stata niente; che si è sempre sentita niente; che sa di non valere quanto le persone che la amano credono. Quelle stesse persone per le quali Madison non vuole essere un peso, una vergogna. Quelle persone per le quali avrebbe tanto voluto far di più e dimostrare tutta la sua gratitudine.
Perché sa che i suoi genitori meritano una figlia migliore, ambiziosa, coraggiosa; decisa a fare tante cose, a vedere tanti posti diversi, a studiare all'università che più le piace. Tutto il contrario del suo carattere debole, insicuro, sempre diffidente, troppo poco intraprendente e sempre pronto a nascondersi.
Perché sa che Letizia merita un'amica migliore, presente, sincera, pronta a fidarsi e a lasciarsi amare, in grado di tenerla in piedi se mai dovesse cadere, in grado di curare le sue ferite se mai dovesse farsi male di nuovo. Invece è fragile, Madison, troppo terrorizzata di commettere altri errori, di non riuscire ad essere chi vorrebbe.
Perché sa che a Luke non serve un peso, una palla al piede come lei, una ragazza per niente bella che non sa neppure badare a se stessa, che non sa prendere in mano la sua vita per farla ripartire con le sue forze; non lui, non quell'angelo che dalla vita merita solo il meglio. Non vuole che lui le stia vicino solo per pietà.
Sospira e si guarda, puntando a lungo gli occhi castani su quei segni rossi e ben evidenti sulle sue braccia. Segni netti, precisi; alcuni più lunghi e più marcati di altri. Segni che fanno male; che ben le tengono a mente ogni suo difetto, ogni suo errore; che ben le ricordano quanto sia sbagliata, quanto poco meriti dalla vita; che ben le dimostrano quanto debole sia sempre stata, quanto incapace sia di amarsi, di volersi bene.
Sì osserva. E sa che quello che sta per fare non va bene; sa che la via d'uscita che ha scelto da ben quattro lunghi anni non è mai stata quella giusta per risolvere i suoi problemi; sa che così facendo peggiorerà tutto quanto e che non potrà tornare indietro; sa che sta mandando in fumo i mesi passati lontano da casa per rimettersi in sesto.
Ma non ha più alcuna via d’uscita, lei. È entrata in un circolo vizioso che ha oscurato tutte le altre possibilità, tutte le altre opzioni che avrebbe potuto scegliere per stare bene, per farsi forza, per rimettersi in piedi da sola, per non essere più un peso per nessuno. Perché non c’è via d’uscita per chi non è forte.
Madison lo ha imparato a proprie spese, perdendo parti di sé, se stessa, il suo cuore; mentre la sua anima cade a pezzi passo dopo passo, senza che nessuno riesca a vedere, a capire, a trovare cosa realmente serva per farla stare bene davvero, per mandar via tutte quelle ferite che fanno sempre più male, che sono sempre più forti, sempre un passo avanti a lei in tutto. Ferite che la limitano, che la fanno vivere costantemente con la paura dentro al cuore; paura di stare ancora più male, di non valere niente, di restare sola, di non essere mai abbastanza per nessuno.
Si guarda. E si vede come quando aveva quattordici anni. Una ragazza brutta, grassa; una nullità in tutto; una persona che non avrà mai niente e non meriterà mai niente di buono; una stupida, debole, troppo insicura, fragile per poter resistere ai colpi delle parole degli altri, per contrastare tutto quello che la butta giù ogni volta.
Aveva sempre sperato di poter diventare forte come Letizia un giorno o l’altro. Aveva sperato davvero di poter rimettersi in sesto come la sua amica è sempre riuscita a fare, anche se i suoi occhi scuri lo negano perché troppo spaventati, troppo distrutti da tutto quello che la mora ha passato. Aveva sperato con tutto il cuore di poter difendersi, almeno una volta, una soltanto.
E invece eccola lì, a darsi la colpa, a vedersi come la peggior incapace del mondo in ogni cosa, mentre le parole ed i gesti degli altri rimbombano dentro al suo cuore, dentro la sua testa, come tamburi, taglienti come lame, pungenti come aghi. Parole, gesti, sguardi, che sono stati la causa di tutto.
Perché i commenti dei suoi compagni di classe in prima superiore li ricorda ancora troppo bene. Ricorda i «grassa», «orribile», «stupida», «incapace», «vergognati», «scherzo della natura», «non dovresti neppure essere qui», «fai schifo». Ricorda gli sguardi d’odio; sguardi che neppure Letizia è stata in grado di mandar via. Ricorda le parole, il dolore che le infliggevano e che tutt’ora continuano a farlo; quelle parole che la sua migliore amica non è mai riuscita a zittire completamente nonostante gli sforzi. Ricorda la delusione verso se stessa; lei, che non era brava come la mora, che non riusciva a portare a casa neppure un voto decente, che si vergognava di farsi vedere dai suoi genitori perché aveva paura che pure loro la vedessero per ciò che era sempre stata: un’incapace, una debole, la figlia che nessuno mai vorrebbe avere. Ricorda la paura di non valere abbastanza, per nessuno; la stessa paura che l’ha portata a credere di non meritarsi niente; la stessa paura che l’ha condotta verso quell’unica via d’uscita che l’ha costretta in quel circolo vizioso da cui non è riuscita ad uscire del tutto e nel quale è ricaduta perché non ha saputo difendersi. Ricorda come tutta quella situazione la facesse stare male; come la facesse sentire fuori posto, mal voluta da chiunque. Ricorda il senso di vergogna, di colpa, il sentirsi inadeguata rispetto a tutti gli altri, il sentirsi sola, senza il benché minimo aiuto nonostante Letizia fosse con sempre con lei. Ricorda i suoi miseri tentativi andati in fumo, uno dopo l’altro, senza che lei riuscisse a fare qualcosa per impedirlo. Ricorda le lacrime durante la notte, i pianti silenziosi soffocati con il cuscino per non svegliare i suoi genitori. Ricorda il come sia riuscita a diventare una bugiarda, un’attrice provetta, in grado di far credere a tutti quanti che stesse bene, soltanto per non farli preoccupare. Ricorda quanto male facesse sentire la propria anima andare lentamente in frantumi. Ricorda tutto; un tutto che ha trovato sfogo sul corpo di Madison stessa.
Madison, che adesso si guarda allo specchio del bagno con occhi rossi e lucidi di pianto, mentre lacrime silenziose, piccole, continuano a solcarle le guance, a bruciarle la pelle, a fare ancora più male, a rendere la situazione ancora più difficile e precaria di prima. Lacrime che la ragazza vorrebbe non dover versar più; lacrime che odia con tutta se stessa, perché rappresentano la sconfitta che lei ha subito.
Prende un respiro; chiude gli occhi. Poi li riapre. Ed un brivido, uno soltanto, le percorre la schiena mentre il suo sguardo castano si ritrova davanti ad una lametta di metallo, scovata poco prima in un cassetto della stanza. Un oggetto che, insieme a tutti i suoi simili avuti tra le mani durante quei quattro anni, rappresenta la sua unica via di fuga, la sua punizione per l’errore che è sempre stata, un errore che non si può migliorare in nessun modo.
E lei, in fondo, sa che non merita altro. È l’unica cosa che resta da fare ad una debole, ad uno sbaglio come lei. Un’azione che l’ha portata lontano da tutti; l’ha fatta chiudere in se stessa; ha fatto sì che attorno al suo cuore si creassero muri sempre più spessi, sempre più duri da buttare giù; muri che l’hanno intrappolata da sola con il suo stesso dolore, con la sua stessa paura, come a volersi divertire nel vederla cadere giorno dopo giorno, come a voler testare la sua voglia di continuare a vivere.
Gli stessi muri che la bloccano, che non la rendono in grado di tranquillizzare la sua migliore amica a proposito di Calum, a proposito di ciò che la mora ha scoperto e che non riesce a spiegarsi. Non riesce a dirle niente, Madison, perché lei capisce il moro, anche troppo bene; lo capisce perché sa che cosa c’è dietro, perché per lei i tasselli di quel puzzle troppo complesso sono sempre stati chiari, fin dall’inizio, fin da quando Letizia le ha raccontato del suo incontro con Hood. Sa, e capisce anche troppo bene quel ragazzo che si sente solo come lei, che vive costantemente con dentro di sé un peso, una colpa non sua, che si è attribuito a causa delle circostante; le stesse circostanze che hanno reso Madison ciò che è adesso.
Madison, che adesso sta osservando tutto come se fosse uno spettatore esterno, come se le sue azioni fossero dettate da un qualcosa troppo più grande di lei per poter essere mandato via. Si vede mentre osserva le sue braccia, le sue gambe, passando una ad una tutte quelle cicatrici che segnano il suo corpo, per trovare il punto preciso per ciò che è ormai fuori dalla sua portata e che lei non può più controllare. Si vede mentre tasta la superficie di pelle liscia, quella sui bicipiti, quella che ancora non si era mai azzardata a toccare.
Chiude gli occhi. Prende un respiro. Il cuore smette di battere.
Poi è un attimo, e la lametta compie il suo breve tragitto in orizzontale sulla pelle chiara. Incide la carne, lentamente, facendo uscire un rivolo di sangue che non si fermerà molto presto. Incide, apre, dà corpo a quella punizione che la ragazza sa di meritare; quella via d’uscita a cui lei non sarebbe mai dovuta arrivare. Quella stessa via d’uscita che fa male, da morire. Eppure, Madison a quel tipo di dolore ormai è abituata, quasi non lo percepisce più, dato che adesso ha smesso di combattere del tutto, di difendersi. Si è lasciata cadere; ha lasciato che il dolore avesse la meglio su tutto il resto. È per questo che ora non sente più niente; è per questo che adesso ha la vista annebbiata, le lacrime che corrono sulle sue guance, gli occhi spenti che attraverso lo specchio osservano compiaciuti il lavoro svolto. Occhi che non sono più quelli di una volta. Occhi che, giorno dopo giorno, mostrano un’anima sempre più distrutta, sempre più preda dei proprio demoni, sempre più disorientata.
Occhi che molto probabilmente non riacquisteranno più la luce che avevano un tempo.
 
Sono passate due settimane da quando ha scoperto il segreto di Calum. E Letizia ancora non riesce a capire, non sa come affrontare quell’ennesima novità che ha stravolto la sua vita ancora una volta. Non ha la benché minima idea di cosa fare per cambiare la situazione; per togliere la persona più importante della sua vita fuori da quel circolo vizioso in cui mai nessuno dovrebbe arrivare, anche se dovesse essere l’unica risorsa rimasta. Non sa come combattere quel dolore immenso che ha visto in quegli occhi color caffè; quegli stessi occhi che le stanno facendo compagnia ogni notte, da quando lei e Calum non si parlano più.
Perché sono due settimane che lui la evita. Due settimane che Calum, appena la vede, cambia direzione, sia per i corridoi della scuola, sia per strada. Due settimane che Letizia non sente la voce del moro attraverso la finestra la mattina, appena prima di uscire. Due settimane che il freddo si è impossessato di lei, occupando quella grande parte del suo cuore che Calum si era preso passo dopo passo, mentre la mora glielo lasciava fare senza paura, senza timore, dimostrandogli quanta fiducia avesse in lui. Due settimane passate a cercare qualsiasi modo per poter stare con Calum; per non lasciarlo da solo; per fargli capire che lei non se ne andrà, che lei non gli volterà mai le spalle. Perché non potrebbe mai farlo, non ci riuscirebbe, non dopo tutto quello che hanno passato insieme e che li ha legati l’uno all’altra in un modo che Letizia ha rinunciato a capire; la stessa maniera che la mora ringrazia, per averle fatto trovare quel ragazzo divenuto troppo importante, a cui non riesce a smettere di pensare, non adesso che conosce una parte di quel tutto contro cui ha deciso di combattere da quando le loro strade si sono incrociate.
E fa male, ogni giorno fa sempre più male sentire il senso di vuoto che aumenta costantemente, spazzando via la poca luce che era riuscita ad entrare dopo tanta fatica. Fa male sentirsi inutili, incapaci di mandare al tappeto un qualcosa più grande di se stessi. Fa male sapere ma non poter agire. Fa male cercare ma non trovare risposte. Fa male sentire la mancanza sapendo di non poterla curare. Fa male tutto quanto.
Fa male a Letizia. Lei, che non riesce a mettere in secondo piano il dolore delle persone a cui vuole bene; che ogni volta cerca sempre un modo, uno qualsiasi, per migliorare la situazione; che si fa in quattro se qualcuno ha bisogno, cercando di far incastrare tutto quanto; che vuole in cambio soltanto la felicità di chi ama; che ormai ha smesso di sperare che per lei le cose possano andare bene almeno una volta.
In quelle due settimane non ha fatto altro che lottare contro quel freddo che nuovamente le è nato dentro; quel freddo che, grazie a Calum, era sparito quasi completamente. Quello stesso freddo che adesso sta facendo tornare tutto quanto a com’era prima che Letizia ed il ragazzo si incontrassero: privo di colore, di affetto, di felicità. Quel freddo contro cui la mora sta cercando di vincere, contro cui sta combattendo solo per lui.
Perché pensa a Calum, sempre, ogni volta che si sente tirare giù verso il buio; si chiede se sta bene, se il dolore che aveva notato nei suoi occhi scuri l’ultima volta che si sono visti ci sia ancora; si domanda che cosa stia facendo, quando lo vede con Luke a scuola o quando lo sente muoversi in camera sua grazie ai muri sottili che li dividono; si preoccupa e non sa cos’altro fare; quasi come se la sua vita girasse attorno a quel moro che ha cambiato irrimediabilmente tutto quanto.
Sospira e si passa una mano tra i capelli, mentre la musica continua a farle compagnia, tentando di riempirle la testa in qualsiasi modo, cercando di farla pensare ad altro. Ma non c’è niente da fare, è più forte di lei: è come se ogni sua più piccola parte fosse concentrata soltanto su di lui, come se non ci fosse modo di renderli nuovamente due entità distinte, troppo uniti l’uno all’altra.
Si passa una mano sugli occhi mentre l’altra, tremante, regge gli occhiali. E pensa, Letizia; pensa che forse sarebbe meglio se tutto quanto sprofondasse nel buio, se lei stessa si lasciasse inghiottire da quel nero da cui a fatica aveva cercato di uscire durante tutti quegli anni. Pensa che forse sarebbe la cosa più giusta da fare: niente più dolore, niente più pensieri, niente più cicatrici da curare, niente più lacrime da versare, niente più pezzi d’anima da rimettere in sesto da sola.
Eppure… Non ci riesce, non ancora. Non riesce a darla vinta a quel qualcosa più grande di lei; non finchè avrà qualcuno per cui lottare; non finchè dentro di lei c’è speranza, per quanto piccola e flebile sia. Quella stessa speranza a cui si aggrappa con tutto ciò che ha, a cui chiede giorno dopo giorno di non lasciarla, di darle quel poco di forza che le serve per non cadere del tutto, che le serve per combattere e per aiutare chi ama.
Alza gli occhi al cielo. E si ritrova a sorridere, lievemente. Sorride, triste, a causa di ciò e di chi ha perso, a causa di quel poco di lei che è rimasto e che sta cercando di proteggere con tutta se stessa. Sorride triste, mentre il cuore le sta nuovamente andando in frantumi, mentre l'anima si sta perdendo ancora una volta in quel limbo da cui è difficile uscire da soli, contro cui bisogna essere sempre in due a combattere.
Piccole lacrime iniziano a solcarle le guance, in silenzio; lacrime trattenute a fatica, nascoste durante la notte con il cuscino; lacrime che Letizia ha sempre odiato e che non è mai riuscita a combattere. Le stesse lacrime che le stanno dimostrando quanto sia a pezzi, quanto si senta stanca, distrutta, inerme, dopo gli sforzi fatti per cambiate le cose, sforzi che però non hanno portato a niente. Lacrime che rimarcato il fatto che lei e Calum non sono mai stati più distanti, più estranei l'uno all'altra di così. E ciò che le fa più male adesso è il fatto di percepire un muro troppo spesso a dividerli che la ferisce, che la distrugge più di tutto il resto.
Perché lei vorrebbe sorreggere quel ragazzo che le ha stravolto la vita; vorrebbe aiutarlo a portare il peso che lo sta schiacciando da troppo tempo, senza preoccuparsi delle ferite che potrebbe subire. Vorrebbe stare con lui la notte, per abbracciarlo forte, per farlo sentire al sicuro contro gli incubi che gli straziano il cuore. Vorrebbe aiutarlo a riprendere in mano la sua vita, con calma. Vorrebbe fargli vedere quanto ancora c'è da scoprire e da vivere senza freni. Vorrebbe fargli capire che la vita merita di essere vissuta, fino in fondo, nonostante le ferite, senza paura del dolore, senza aver timore di farsi male.
Soprattutto vorrebbe fargli capire che essere umani, che cadere, che sanguinare per le ferite non è un reato.
Vorrebbe essere come la protagonista della storia che sta scrivendo: forte, che si impegna al massimo per salvare il ragazzo a cui tiene più di sé stessa. Come pure vorrebbe che quella stessa storia non avesse così tanti riferimenti alla sua vita privata; avrebbe voluto evitare che quella storia diventasse la sua valvola di sfogo, più di ciò che scrive nel suo quadernino verde.
Si asciuga gli occhi per come può e tira fuori dalla borsa quelle poche cose che per lei sono fondamentali: quello stesso quadernino verde e l'altro grigio. E si ritrova a scuotere la testa, nel ricordarsi la scelta di quei due colori, che per lei valgono davvero tanto: verde per quello che può definire il suo diario affinché le dia speranza per affrontare tutto quanto; grigio per l'altro, perché è come vede la vita da troppo tempo. Una vita che aveva perso i suoi colori e che solo grazie a Calum era riuscita a ritrovare almeno in parte, prima che il ragazzo li facesse svanire ancora una volta nella frazione di un istante.
Al pensiero del moro, nella mente della giovane automaticamente tornano anche i ricordi del pomeriggio di due settimane prima. Un pomeriggio che la ragazza non riesce a dimenticare, neppure volendo, nonostante gli sforzi fatti pur di tenerlo lontano dalla sua testa e dal suo cuore. Un pomeriggio che le tiene a mente il fatto di essere stata nuovamente troppo cieca; che le tiene a mente quanto il suo amico sia disperato, distrutto, per essere arrivato ad una conclusione simile.
Calum è un drogato.
Quella è la verità.
E Letizia non riesce ancora a crederci, a capire; è più forte di lei. Vorrebbe… Vorrebbe soltanto trovate le risposte alle sue domande, lei, ma sa che è e sarà sempre una battaglia persa in partenza, non importa quanto si ostini a combattere. Perché la vita sarà sempre più forte, in ogni caso. Quella è una delle poche cose che la mora ha imparato col tempo, sulla propria pelle.
Sfoglia lentamente i suoi quaderni, lasciando che la punta delle dita tracci linee immaginarie sopra i solchi impressi sulle pagine bianche dalla penna nera, sopra quelle parole che sono lo specchio della sua anima, dei suoi sentimenti, di tutti i dubbi, le paure, le incertezze. Parole lasciate uscire per liberarsi da un peso che a voce non è mai riuscita a spiegare neppure a se stessa. Parole che, in un modo o nell’altro, le ricordano Calum, ogni volta che si ritrova a leggerle. Perché dietro ad ogni singola lettera c’è lui, sempre. Perché quel ragazzo moro è divenuto il centro su cui si basa tutto il resto, quando scrive; e lei non riesce a farci niente, non riesce a cambiare la situazione; non vuole farlo.
Perché, in quelle ultime due settimane, scrivere pensando a Calum è stato l’unico modo che l’ha aiutata a non cadere del tutto, a non dar modo al senso di impotenza e di sconfitta di vincere. È stato l’unico modo che ha avuto per sentirlo più vicino, per lenire la mancanza.
Perche Calum le manca, da morire. Le manca svegliarsi e vederlo davanti la finestra di camera sua con in mano un caffè per sua madre e la brioche al cioccolato per lei. Le manca fare la strada insieme e chiacchierare di qualsiasi cosa, senza troppe barriere. Le manca stare sdraiati sul letto – suo o di lui – dopo un intero pomeriggio passato a studiare e rilassarsi in silenzio, vicini, senza bisogno di dire niente. Le manca sentirgli suonare il basso ogni tanto e restare immobile ad osservarlo perdersi nel suo modo fatto di musica. Le manca quando a volte lui le prendeva la mano per tranquillizzarla, per farla stare meglio, per farla sorridere. Le manca abbracciarlo e sentire le sue braccia attorno a sé ogni volta che avevano bisogno l’una dell’altro per non cadere all’improvviso. Le manca perdersi in quegli occhi scuri come il caffè, intensi come una tempesta e profondi come il mare. Le manca sentirsi al sicuro accanto a quel ragazzo che non smetteva mai di conoscere e che giorno dopo giorno le riservava sempre tantissime sorprese. Le manca quel sorriso luminoso che solo pochissime volte era riuscita a scorgere su quelle labbra piene. Le manca la persona più importante della sua vita
Si asciuga gli occhi. Vorrebbe soltanto che ogni cosa migliorasse, per tutti.
 
Ed è mentre cerca di calmarsi, che qualcosa – o qualcuno – alla sua sinistra attira la sua attenzione.
Allora si volta, ed i suoi occhi che incontrano quegli azzurri di Luke fanno il resto.
«Luke, io...» ma non fa neppure in tempo a finire la frase, che subito l'amico arrivato lì per caso la stringe a sé, come se non volesse farla andare via, come se non volesse farla cadere. La stringe forte, e Letizia si sente subito pervadere da una tranquillità che in quegli ultimi giorni aveva cercato disperatamente senza successo. Lo abbraccia a sua volta e chiude gli occhi, lottando contro il bisogno di sfogarsi ancora, lottando contro quelle lacrime che ancora vogliono scendere.
«So che sai.» le dice il ragazzo. Ed entrambi hanno ben chiaro che quelle tre parole valgono sia per Calum che per la storia del biondo e di sua madre. Perché Calum gli ha raccontato ciò che è successo. E perché Madison ha parlato con la mora, Luke lo sa; ed è grato a Letizia e alla bionda per non aver cambiato i loro atteggiamenti nei suoi confronti neppure una volta.
«Non ti dirò che devi stare tranquilla, che andrà tutto bene, che le cose cambieranno presto. Sarebbero bugie che non porterebbero mai a niente.» continua il ragazzo, aumentando la stretta sul corpo della mora. Lei, che gli è grata per quelle parole sincere; che sa bene quanto l'amico che non sarà semplice; che ha già accettato il fatto che potrebbe ferirsi di nuovo aiutando Calum. Ma non le importa; farebbe di tutto per lui, sempre, senza preoccuparsi di ciò che potrebbe accaderle.
«Lo so, Luke, però...» dice piano; la voce simile ad un sussurro, spezzata, debole. Proprio come la sua anima.
E lascia che, mentre l'amico cerca di tirarla su, le parole escano dal suo cuore, a fatica, insicure. Parole che hanno troppo bisogno di trovare qualcuno che possa capirle davvero, del tutto, senza mezze misure, senza aver bisogno di spiegazioni che la ragazza non sarebbe in grado di dare.
«Ho paura di perderlo.»
L'altro sospira piano. «Non succederà, Leti. Vi volete troppo bene per lasciarvi andare.»
Ed è sicuro di quelle parole, Luke. Perché sia negli occhi di Calum che in quelli di Letizia ha trovato la conferma che gli serviva. Una conferma che gli ha resto ancora più chiaro il fatto che quei due non potrebbero mail stare senza l'altro. Perché hanno bisogno di stare insieme, di darsi forza a vicenda. Quella forza che ha un nome che vuol dire tanto; che pochi riescono a trovare davvero; che rende invincibili nonostante la paura, l’insicurezza le ferite che si hanno dentro; che riesce a curare tutto; che rende più forti; che fa sperare, sempre.
«Lo spero.» ammette Letizia, sospirando; gli occhi chiusi per difendersi solo un altro po’.
Lui le accarezza delicatamente la testa, pensieroso. «Tu e Maddie ci darete una mano?»
Lei ridacchia debolmente, annuendo. «E voi farete lo stesso con noi?»
Allora si guardano, complici. E si ritrovano a ridere, felici di aver trovato un amico nella persona accanto a loro.
«Grazie, Luke.»
Lui le sorride. «Grazie a te.»
E Letizia, tra le braccia del biondo, si ritrova a pensare a quanto sia stata fortunata ad averlo incontrato; ad averc trovato in lui una persona di cui potersi fidare senza paure, a cui poter mostrare la vera se stessa senza maschere, su cui poter fare affidamento senza il timore di restare sola. È contenta che proprio Luke Hemmings sia diventato uno dei suoi più cari amici. Quel ragazzo che, da due mesi e mezzo, è diventato un punto fisso nella sua vita, senza il quale niente sarebbe lo stesso, in nessun caso. Perché la mora non potrebbe mai fare a meno dei consigli dell’altro, non potrebbe stare senza le sue battute pessime, la sua risata allegra, le espressioni buffe che ogni tanto le rivolge e che le fanno tornare il buon umore; non potrebbe fare a meno del suo carattere forte, deciso, da cui prende esempio per non mollare, per restare in piedi per chi ama. Non potrebbe stare senza il suo migliore amico.
Stessa cosa vale per Luke. Lui, che mai avrebbe creduto di potersi ritrovare a preoccuparsi per quella ragazza forte che sta stringendo a sé; che mai avrebbe pensato di arrivare a considerarla la sua amica più cara; che mai si sarebbe immaginato così pronto ad aiutarla ogni volta in caso di bisogno; che mai si sarebbe aspettato tutto l’affetto che Letizia gli dà giorno dopo giorno, aiutandolo in un modo unico che il biondo non saprà mai come ringraziare a dovere. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a desiderare la sua compagnia; a sentirsi a suo agio sfogandosi con lei; a fidarsi di lei, tanto da farle intravedere qualche volta la sua parte più profonda, più nascosta, quella parte che solo Madison aveva visto; a cercarla per i corridoi della scuola, in quelle ultime due settimane, per capire se stesse bene, per farla tornare a sorridere; a sperare per lei e per Calum, giorno dopo giorno.
Nessuno dei due avrebbe mai pensato di potersi affezionare all'altro così tanto. Non si sarebbero mai immaginati di trovare nell’altro qualcuno disposto a capirli, aiutarli, disposto a restare, anche se le loro strade dovessero prendere direzioni diverse.
E mentre il ragazzo continua a cullarla, a tranquillizzarla anche se solo per poco; mentre le mani di lei continuano a giocare distrattamente con il ciondolo a forma di cuore che i suoi amici le hanno regalato per il compleanno; Letizia si rende conto ad un tratto che la sua vita ruota non soltanto attorno a Calum. Perché ci sono anche Madison e Luke, Azura, Ashton e Michael che fanno parte di ciò che è diventata col tempo. Ci sono tutte le persone che ama e che l’hanno aiutata a arrivare al punto in cui è adesso. Ci sono quelle poche persone per le quali farebbe davvero di tutto, nonostante le ferite, senza pentirsene in alcun modo. Quelle persone che, in un modo o nell’altro, fanno parte di lei. E la mora sa che, senza di loro, niente sarebbe lo stesso.
E sa che, anche se sarà difficile, non lascerà Calum da solo, per nessun motivo al mondo.
 resto.





Letizia
Beautiful people! Come state? Spero bene, e spero che questi primi giorni d'estate stiano andando più che bene *^*
Parlando invece della storia, che dirvi? Eccoci a che fare con una delle tante tematiche delicate che ho deciso di affrontare: l'autolesionismo di Madison (unito al suicidio di Rachel e alla droga di Calum, più altri temi che arriveranno a tempo debito).
E... Non avete idea di quanto mi faccia male far stare così male i personaggi :'(; io giuro che non vorrei, ormai lo sapete, ma la mia testa va per i cavoli suoi, le mani la seguono sulla tastiera, ed eccoci davanti il risultato :/.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (anche per la scena dei Luzia, che ho amato come non so cosa *^*).
Fatemi sapere, ci conto! E grazie infinite per tutto quanto, siete la cosa più bella del mondo!
Scusate se ieri non ho postato, ma non ne ho avuto l'occasione :/. 
A sabato prossimo cari!
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 22
*** Ventidue ***


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Ventidue
 
 
 
Segreti contro cui si cerca di combattere in ogni modo.
A causa dei quali a volte si cade, ferendosi.
A causa dei quali, a volte, si arriva persino a perdere se stessi e ciò che di più caro si ha.
 
 
 
Cammina lentamente, senza una meta. Cammina; le cuffiette nelle orecchie e la musica che cerca di sovrastare l’uragano di pensieri che ha nella testa, che cerca di allontanare un paio di occhi color cioccolato che, giorno dopo giorno, aprono ferite sempre più difficili da curare. Cammina; e l’unica cosa a cui riesce a pensare è che forse sarebbe meglio scomparire, andarsene e non tornare, per il bene delle persone che ama, così nessuna di loro soffrirebbe più a causa sua, nessuna di loro si preoccuperebbe per lui. Perché un caso perso in partenza come lui non ha bisogno dell’aiuto degli altri, perchè non c’è più niente da tentare, per cambiare la merda in cui si ritrova.
Non ha fatto altro che buttare via la sua vita, errore dopo errore; ha perso ciò che aveva di più caro e non ha fatto niente per tenere con sé quel poco che gli rimaneva. Quel poco di cui adesso capisce l’importanza. Quel poco che non ha più da un mese ormai. Perché da quando Letizia ha scoperto uno dei suoi tanti segreti – l’unico che Calum avrebbe preferito non farle sapere – tutto è crollato, nella frazione di un attimo, lasciandolo vuoto, senza che lui potesse fare niente per impedirlo; come se le sue forze fossero state risucchiate via all'improvviso; come se una parte di sé si fosse persa, per sempre, senza la speranza di poter un giorno tornare indietro.
E adesso che pure quel poco è scomparso, per Calum non ha più senso niente, letteralmente. Vaga senza meta; è diventato l’ombra di quel buio che da tempo ha dentro al cuore. È come se non gli importasse più di niente, come se nulla riuscisse più a scatenare qualcosa in lui. La sua vita ha perso di nuovo i colori e la luce che erano riusciti a tornare almeno un po’ grazie alla mora.
Sospira, e intanto i suoi occhi osservano gli addobbi di Natale sparsi per le strade. In fondo, è già metà dicembre.
E sono già tre mesi e mezzo che Letizia è entrata nella sua vita, stravolgendola come un uragano inarrestabile, dal quale Calum non è riuscito, non ha voluto difendersi. È arrivata all’improvviso, in quella notte di fine agosto; l’ha aiutato senza un perché, senza chiedere niente. Si è insinuata dentro di lui timidamente, a piccoli passi, quasi avesse paura di commettere un errore, quasi avesse paura di restare ferita da un qualcosa che la spaventava e l’attirava al tempo stesso. Esattamente come lui, che l’ha lasciata entrare; che le ha permesso di curargli le ferite, di vedere quanto fosse a pezzi; lui, che ha iniziato a fidarsi di quella ragazza quasi senza rendersene conto, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lui, che mai avrebbe creduto di trovare in lei sconosciuta la persona più importante di tutte, per la quale avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Per il bene della quale, da un mese, ha deciso di rinunciare a lei, di escluderla dalla sua vita; di evitarla ogni volta che la vede; di lasciarla libera e tenerla al sicuro, lontana da sé; di proteggerla. Un mese, da quando non sente più quella risata che riusciva a scaldargli il cuore; da quando non viene svegliato durante le lezioni da quella voce allegra; da quando ha capito che vuole troppo bene a Letizia per permetterle di seguirlo in quel buio da cui non c’è via d’uscita e nel quale lei non deve assolutamente entrare.
Un mese è passato. Ma non avrebbe mai creduto che si sarebbe rivelato il mese più difficile di tutti. Perché il fatto di saperla viva ma di dover starle lontana lo uccide, lentamente, giorno dopo giorno. Perché il fatto che il ricordo della mora gli torni costantemente in testa, non fa altro che rendere vano ogni suo sforzo. Perché lui ha provato a dimenticarla, a non pensarla, a non considerarla più parte della sua vita, a vederla come un’estranea, a starle lontano. Ma è inutile, sempre. Tutto va in fumo ogni volta che la vede, che la pensa, che se la immagina accanto a sé quando sta male. Perché non può negare il fatto di volerla con sé; non può negare ciò che prova quando si tratta di lei. Egoisticamente, sa di non voler lasciarla andare, ma è l’unico mezzo che ha per tenerla al sicuro, per evitare che si ferisca ancora di più, per proteggerla.
E fa male, fa maledettamente male. Più di tutto il resto. Fa male vederla sorridere e non poter fare lo stesso. Fa male sentirla parlare in camera sua e non poter rispondere. Fa male sentirla piangere durante la notte e non essere con lei per consolarla. Fa male immaginarla al fianco di qualcuno che non è lui. Fa male sapere quanto dolore le stia causando per un suo errore, un errore che ha sconvolto ogni cosa ancora una volta. Fa male sentire di nuovo quel vuoto dentro al petto che solo lei era riuscita a curare quasi completamente.
Fa male tutto. Perché Letizia gli manca, da morire. Gli manca andare a svegliarla la mattina dalla finestra. Gli manca fare la strada con lei e sentirla parlare delle cose che ama. Gli manca tenerla stretta senza un perché. Gli manca tenerle la mano per sentirla più vicina. Gli manca vederla emozionarsi con quelle piccole cose che tanto adora. Gli manca osservarla mentre scrive, persa nel suo mondo fatto di parole e immagini a cui lui non riuscirebbe né a pensare né a mettere su carta. Gli manca sentirla a volte cantare quelle poche canzoni che per lei vogliono dire molto più di quanto lui riesca a credere. Gli manca quella strana felicità che solo la mora era in grado di dargli, anche se solo per poco. Gli manca sentirla dentro, nella testa, nel cuore, nelle ossa, nelle vene. Gli manca quello sguardo attento, quegli occhi color del cioccolato che erano in grado di farlo sentire a casa, sempre. Gli manca la facilità con cui Letizia riusciva a capirlo anche con una sola occhiata. Gli manca sentirsi al sicuro con lei, libero da tutte le paure, i dubbi, le incertezze. Libero dal passato.
Quel passato che Letizia – Calum ancora non riesce a spiegarsi come – era riuscita a mandar via, a rendere meno crudele, meno doloroso; quei ricordi che, grazie a lei, erano diventati meno affilati. Quel passato a cui la sua vicina si era rivelata essere l’antidoto più forte, la medicina più potente di tutte. E finchè c’era lei al suo fianco, le cose andavano bene davvero. Ma adesso che la mora non è più con lui, tutto è tornato a com’era prima di conoscerla; tutto è tornato ad essere vuoto, grigio, privo di luce, di colori, di vita, di speranza; tutto ha perso nuovamente il suo perchè. Ed il peso degli errori grava sempre, incessante. Quegli stessi errori che continuano a scavare solchi dentro di lui; che gli ricordano chi e cosa ha perso; che non lo lasceranno mai in pace del tutto; che sapranno sempre come tormentarlo, come farlo cadere sempre più a fondo; che fanno in modo che lui non riesca a staccarsi del tutto dalla droga.
La droga. La morfina. La sua unica via d’uscita dal buio prima di incontrare Letizia. Quella via d’uscita che si è rivelata essere parte di quell’inferno in cui lui sta vivendo da troppo tempo. Quella via d’uscita che, da quando la sua migliore amica ne ha scoperto l’esistenza, non fa altro che metterlo al tappeto, con la sua vita sempre in pugno, come un giocattolo con cui potersi divertire a proprio piacimento. Quella via d’uscita da cui cerca di stare lontano; di resistere ogni qual volta il suo fisico glielo chiede. Ma è tutto vano, sempre. E Calum non sa più come fare per smettere; per uscire da quel circolo vizioso in cui è andato a ritrovarsi; per chiudere quel capitolo della sua vita che non vuole aprire più, per nessun motivo.
Vorrebbe soltanto riavvolgere il nastro, Calum. Vorrebbe cambiare le decisioni prese; rimediare agli errori fatti; riprendere in mano la sua vita sul serio, una volta per tutte. Poi però i suoi occhi si scontrano con la sua immagine riflessa in una vetrina. Ed il ragazzo capisce che non c’è più niente da fare per uno come lui.
Si allontana dal vetro. Lascia che quell'immagine si perda tra le altre, fino a diventare invisibile. Riprende a camminare; la musica che stavolta un po' riesce a coprire i suoi pensieri, il cuore che cerca di battere ad un ritmo più regolare, tranquillo. Cammina come se non fosse successo niente; come se le occhiaie scure, lo sguardo distrutto che ha visto riflesso sul vetro non fossero parte di lui.
Cammina. E non riesce a non darsi la colpa per ciò che è successo. Non riesce a darsi pace. Non sa più da che parte cominciare per tornare indietro, per avere di nuovo Letizia nella sua vita. Perché necessita di quella ragazza, disperatamente, più di quanto voglia ammettere. Perché senza la sua migliore amica non sa più che cosa fare. Perché la sua assenza ferisce più di tutto il resto. Perché non avrebbe mai voluto perdere anche lei.
Aveva sperato che almeno con la sua vicina le cose sarebbero andate per il verso giusto, che sarebbero migliorate e che lui sarebbe riuscito a mettere una pietra sopra a tutto quello che l'aveva trascinato nel buio fino a quel momento. Però è successo il contrario; tutto è andato come la vita avevo previsto fin dall'inizio, senza che lui potesse opporsi, ritrovandosi con niente in mano. Un niente che vorrebbe riempire un ogni modo, anche se non sa come.
Sospira e si passa una mano tra i capelli scuri. Continua ad andare, come trascinato da una corrente a cui non riesce ad opporsi. Poi, ad un tratto, alza gli occhi, attirato da un qualcosa che non riesce a spiegarsi, ritrovandosi davanti ad una libreria. Osserva le persone che ci sono dentro; sposta lo sguardo sugli scaffali colmi di volumi. Un paio di occhi color del cioccolato gli tornano in mente. Esita un attimo. Poi però alla fine entra.
Subito, l’odore della carta stampata gli arriva lieve, dolce, accogliente. Proprio come nella camera di Letizia.
Sospira di nuovo, mentre percorre i reparti del negozio. È stato proprio il ricordo della stanza accanto alla sua a farlo entrare lì dentro. Perché vorrebbe sentirsi come la mora, solo per colmare l’assenza almeno per quel pomeriggio. Guarda tutto, osserva con attenzione, rapito dall’infinità di titoli che legge sulle costole dei libri e che lo incuriosiscono. Li accarezza delicatamente con la punta delle dita, percependone la superficie liscia e tiepida, sentendosi pervadere da uno strano senso di tranquillità che mette a tacere tutto il resto. Una tranquillità che però non dura a lungo, interrotta da una voce che il moro conosce anche troppo bene.
 
«Calum?»
Il ragazzo si volta. E gli occhi castani di Madison sono la prima cosa che vede. Occhi da cui subito preferisce nascondersi per non vederci dentro la delusione dell’amica, come quel codardo che è sempre stato e che non è mai stato in grado di accettare la realtà, neppure una volta. Occhi che inevitabilmente gli ricordano cosa è successo, chi ha ferito, chi ha perso. Occhi da cui non riesce a difendersi, bloccato dalla paura di fare un ulteriore passo falso, di peggiorare tutto quanto. Occhi che sembrano essere in grado di capirlo, davvero, completamente, più di quanto lui voglia ammetterlo, più di quanto lui possa anche solo intuire.
«Ciao, Maddie.» la saluta; la voce flebile, il cuore che batte sempre più velocemente nel petto, i brividi che corrono lungo la schiena. Non guarda la ragazza, non ci riesce; è più forte di lui. Si vergogna troppo, di tutto; di essere ciò che è, di essere quel caso perso in partenza che non merita amici come la persona che gli sta davanti, e che non ha la benché minima intenzione di andarsene.
Quella stessa persona che, con gli occhi di chi capisce più degli altri, lo sta osservando, paziente, senza odio o delusione. Guarda il suo migliore amico, Madison, con gli occhi di chi ormai è abituato a provare paura, vergogna; con gli occhi di chi capisce, di chi ha già vissuto qualcosa di molto simile, di chi sa che cosa sta provando Calum da troppo tempo senza avere la possibilità di poterne parlare con qualcuno. Esattamente come lei.
«Che ci fai qui?» gli chiede allora, sperando di aver capito la situazione, sperando che lui non crolli ancora. E non le importa della rabbia che prova verso di lui; non le importa di quello che vorrebbe dirgli se solo permettesse a quel sentimento di avere la meglio su tutto il resto. Vuole solo capire che cosa stia succedendo al suo migliore amico; perché ne ha già una vaga idea, ma ha bisogno di conferme per capire cosa può fare per aiutarlo.
«Io...» inizia lui, ma l'altra lo interrompe subito.
«Non sparare cazzate, perché tanto sai che con me non funzionano.»
E Calum, a quelle parole, sa di non avere via d’uscita. In fondo, un po' Madison la conosce: non le si può nascondere niente; riesce sempre a capire tutto, lei, senza bisogno di parole, senza bisogno di chiedere; capisce e sa com'essere d'aiuto per le persone a cui vuole bene; intuisce quando ai suoi amici serve qualcuno che sia in grado di tirare su il morale, di far tornare il sorriso. È un tornado; ed il moro è felice che Letizia abbia proprio Madison; sa che la persona più importante della sua vita è in buone mani
Però... Non sa se dire la verità alla sua migliore amica sia la scelta giusta da fare; non sa se lasciarsi andare, sfogarsi, sia la soluzione per ciò che porta nel cuore. Ha paura che, parlando, le poche possibilità che ha svaniscano in un attimo, lasciandolo senza qualcosa a cui poter ancorare per non cadere in quel baratro da cui sta cercando di restare lontano, con le poche forze che gli restano.
Sospira. Poi punta gli occhi in quelli della bionda, quel tanto che basta per capire che le cose non potrebbero andare peggio di così; che può lasciarsi andare senza paura di farsi male. Così, prima che lui stesso riesca a rendersene conto, le parole escono da sole. «Ti va di fare un giro?»
Lei annuisce, silenziosa. E quando sono nuovamente per strada, immersi tra la folla e nel rumore della città, aspetta paziente che l'altro parli. Perché sa bene, Madison, quanto possa essere difficile cercare di spiegare ciò che si prova, soprattutto quando quel qualcosa è in parte fonte del proprio dolore. Aspetta, perché ormai conosce Calum e sa che, come tutti, anche lui ha bisogno dei suoi tempi, per trovare la parole giuste, per ammettere di aver bisogno, per lasciarsi andare davvero, per mostrarsi senza quelle maschere che lei gli ha sempre visto addosso ma che non è mai riuscita a togliergli. Perché non sarà mai come Letizia, quando si tratta di vedere l’anima di una persona.
Eppure... Il tempo passa e il ragazzo resta in silenzio, paralizzato da una paura che non riesce a spiegarsi; che lo blocca e gli rende impossibile sfogarsi; che lo incatena al suolo senza dargli modo di opporsi; che gli opprime il cuore e le parole tra la bocca e la gola. È come se lui stesso avesse paura di mostrare ciò che prova; e forse è così, per uno come lui che, ogni volta che si è lasciato andare, ha sempre e solo ricevuto ferite, inferte una  dopo l’altra, in un gioco da cui mai uscirà vincitore.
Una paura che pure la bionda nota negli occhi del moro, che troppo bene gli ricordano quelli della sua migliore amica, contaminati dalla stessa paura di aprirsi, di farsi amare, di farsi conoscere; la stessa paura che per Madison è ormai diventata compagna di vita, contro la quale ha smesso di combattere. La stessa paura che, però, vuole mandar via dal cuore di Calum, a modo suo, per quanto possa essere d'aiuto. Perché a volte è più facile abbattere il dolore degli altri rispetto al proprio.
«Facciamo il gioco delle domande?»
Calum inarca un sopracciglio, puntando lo sguardo stanco sull’amica. «Il cosa?»
«Il gioco delle domande.» ripete lei, stavolta con un lieve sorriso sulle labbra, mettendo la rabbia da parte, almeno per il momento. «Io chiedo, tu rispondi. Semplice, no?»
Il moro annuisce, titubante. Spera solo che la proposta della bionda non si riveli inutile.
Madison intanto prende un respiro. Ha bisogno di chiedere poco, di fare le domande giuste, di toccare i punti corretti senza aprire troppe ferite. Perché, nonostante la curiosità e la necessità che ha di capire tutta la faccenda, vuole troppo bene al ragazzo per permettersi di infierire, quando lei è in una situazione peggiore da molto più tempo, dalla quale sembra non esserci una via d’uscita definitiva. Poi lo guarda. E le parole escono da sole.
«Perché eri in libreria?»
Già a quella prima domanda, Calum vacilla. Perché la risposta è sulla punta della lingua, fin da subito, pronta per farsi sentire e per alleggerirlo di un peso che non sapeva di avere dentro fino a quel momento. Ma uno strano senso di inadeguatezza lo frena, fa nascere mille dubbi che lo bloccano ancora per qualche istante.
«Va bene anche se rispondo egoisticamente?» le chiede, insicuro.
Madison annuisce, con gli occhi nuovamente rivolti verso il vialetto del parco del loro quartiere in cui hanno messo piede da poco, intuendo la piega che prenderà quella conversazione che mai si sarebbe aspettata di sostenere proprio con il suo migliore amico. «Basta solo che tu sia sincero.»
Il ragazzo si passa le mani tra i capelli; gioca nervosamente con le maniche lunghe della felpa leggera che indossa, per coprire segni che nessuno dovrebbe vedere; osserva tutto ma non vede niente, vincolato in quella debole bolla che lo isola dal resto. Poi chiude gli occhi. Si lascia cadere nel vuoto. Ed ogni freno sparisce.
«Perché mi manca Letizia. Ero lì perché… I libri un po’ me la ricordano.»
La bionda si ritrova a sorridere, involontariamente, mentre continuano a camminare con calma per il parco. Sorride, perché aveva visto giusto non appena aveva scorto il moro nella sezione dei drammatici – i libri che Letizia ama più di tutti. Sorride, perché lentamente i pezzi di quel grande puzzl stanno andando al loro giusto posto, per mostrare un quadro che – lei ne è sicura – sarà meraviglioso nonostante i tasselli neri.
«E allora perché non le parli?»
Calum sospira ancora una volta prima di rispondere. Adesso che non ci sono più freni, le risposte escono come se avessero vita propria. E lui le lascia fare, le lascia libere; lascia che alleggeriscano quel peso che porta dentro e da quale non era riuscito a liberarsi prima di allora, dando campo a quella strana energia che sente nel petto e che, almeno per quella volta, non vuole frenare.
«Perché è troppo difficile.»
«Invece no, se lo vuoi davvero.» asserisce l’altra; il sorriso sempre più ampio; il cuore che batte più forte. Sorride, e pensa solo a ciò che sta succedendo tra due dei suoi migliori amici, senza che loro riescano a rendersene conto. Sorride, felice sul serio, nonostante il buio che ha dentro. «Niente è impossibile se tieni davvero ad una persona.»
«No, Maddie, non lo è.» ribatte Calum; la voce dura, fredda; il tono di chi ha vissuto sulla propria pelle.
«Perché?» domanda Madison. Ma stavolta, la domanda nasce da lei, dal suo bisogno di sentir parlare qualcuno che, in un modo o nell’altro, potrebbe capirla davvero, potrebbe farla sentire meno sola ad affrontare il dolore e la vergogna che si ritrova a provare verso se stessa, senza riuscire a demolirli.
«Perché gli errori non si cancellano. Io non posso farlo con i miei.»
«Ed io con i miei.» commenta la ragazza, senza rendersene conto; la voce bassa che cattura l’attenzione di Calum.
«Che vuoi dire?» le chiede, preoccupato. Perché non ha mai sentito dire parole simili dalla sua migliore amica.
E solo in quel momento, Madison si rende davvero conto di ciò che si è lasciata scappare; di ciò che ha scoperto anche se non avrebbe dovuto, permettendo al buio che ha dentro di uscire e sfogarsi. «Tranquillo Cal, non è niente! Non preoccuparti, sul serio.»
Però lui vorrebbe chiedere, vorrebbe sapere per darle una mano. Ma non appena i suoi occhi incontrano quelli dell’altra, capisce che forse è meglio cambiare argomento. Perché non aveva mai visto un dolore simile nello sguardo della ragazza, prima di quel momento. Sospira; e intanto si chiede perché tutto debba sempre essere così dannatamente difficile. Chiude gli occhi. Poi continua.
«Non è semplice agire, quando hai paura di fare sempre la mossa sbagliata.»
Lei abbassa lo sguardo, grata al moro di non aver indagato oltre, cercando di concentrarsi su ciò che ha detto. «Però fino a che non provi, non puoi saperlo.»
«Ma se dovesse andare male?»
«Almeno non avrai il rimpianto di non aver tentato.»
Il ragazzo resta in silenzio per un po'. E intanto ripensa alle parole dell’amica. Parole che riescono a smuovergli il cuore; a toccare i punti giusti; a fargli intuire che forse il suo modo di agire non è quello migliore.
«Io... Non voglio perderla.» ammette allora, sorprendendosi nell'essere riuscito a dirlo ad alta voce. Perché saperlo ma non esternarlo è un conto; un altro è dargli corpo con la voce, rendendolo tangibile, concreto, dandogli un'importanza che prima di allora non era stata presa minimamente in considerazione. Un'importanza che cambia irrimediabilmente tutto quanto.
A quella confessione, Madison si sente pervadere da un calore tiepido. È quasi vicina al suo scopo, lo sente; non può mollare, non adesso che manca davvero poco. Deve aiutare Calum, ad ogni costo; deve fargli capire; deve farlo ragionare. Deve farlo per tutti loro.
«Non la perderai, Cal. Letizia non se ne andrebbe, mai. Soprattutto, non abbandonerebbe mai te. Sei troppo importante per lei.»
Calum volta lo sguardo verso l'amica, stupito, mentre il senso di colpa per ciò che sta facendo a se stesso e alla mora non fa altro che aumentare, secondo dopo secondo, inesorabilmente, senza che lui possa farci niente. Cresce, ed il moro non ha idea di come fare per mettervi una fine. Non sa più quale sia la strada giusta da prendere, il modo migliore di comportarsi. Sa soltanto che non avrebbe mai voluto ferire Letizia, per nessuna ragione al mondo.
«Lo spero.» sussurra. «Ma la capirei se non volesse vedermi più, dopo tutto quello che ho fatto.»
Madison gli accarezza un braccio, così lievemente che il ragazzo se ne accorge a malapena. E lui, mentre osserva la bionda a cui è grato per non averlo abbandonato quando avrebbe potuto benissimo farlo, lascia che quella domanda che ha sulla punta della lingua fin da quando hanno iniziato a parlare esca fuori, pur di liberarlo da uno dei tanti dubbi che gli ronzano in testa senza dargli tregua.
«Perché non sei arrabbiata con me, Maddie?»
L'altra sorride, divertita, mentre rivolge nuovamente lo sguardo verso il vialetto del parco. Sorride, perché si era aspettata fin da subito una domanda simile da parte del moro. Una domanda a cui sperava con tutto il cuore di rispondere, pur di migliorare quella situazione che farà sempre cadere qualcuno di loro.
«In realtà, io sono arrabbiata con te, Cal.» inizia; e subito nota lo sguardo preoccupato dell'amico. «Sono arrabbiata per come ti stai comportando con Luke, evitando il suo aiuto ogni volta. Sono arrabbiata per quello che stai facendo a te stesso e a Letizia, perché lo sai pure tu che avete bisogno l'una dell'altro per stare bene. Sono arrabbiata perché non ti sei mai sfogato, quando invece sai che avresti potuto benissimo farlo senza paura.»
Parla lentamente, Madison, dosando le parole una per una, per non ferire l'amico in alcun modo – perché gli vuole troppo bene e sa quanto le parole possano far male – sperando con tutto il cuore di fargli capire, di fargli cambiare idea, di fargli notare ciò che non riesce a vedere.
E, mentre lei parla, Calum sente tutto scavargli dentro; sente ogni parte del suo cuore cadere, frantumarsi, scomparire. Percepisce i suoi muri sgretolarsi in silenzio, ogni parola potente quanto un colpo di cannone in grado di buttar giù qualsiasi cosa. Avverte nitidamente le cicatrici che si aprono e che si rimarginano nella frazione di un attimo, continuamente, senza dargli tregua. Perché le ferite fanno male anche quando guariscono.
«Ma, più di tutto, sono arrabbiata perché stai facendo del male a te stesso, Cal.» prosegue la ragazza, sapendo di star parlando anche a se stessa, senza però riuscire ad ammettere di aver bisogno di aiuto. E intanto, pure il suo cuore risente di quelle ferite tangibili che lei si procura; ferite di cui ancora non riesce a parlare, paralizzata da una paura contro cui ha ormai perso le speranze.
«Stai facendo male a tutti noi. A Letizia soprattutto.»
«Lo so.» risponde lui; la voce tremante, come il suo cuore, che vacilla ogni volta che si parla della mora.
Madison sospira e gli si ferma davanti. Non sa più come fare per fargli capire come stanno le cose. «E allora perché? Perché ti comporti così? Perché la allontani? Perché non le parli?»
«Non voglio che si preoccupi, non voglio trascinarla nella merda in cui vivo! Non me lo perdonerei mai. Lei è l’unica cosa bella che mi resta; non posso perdere anche lei!»
La ragazza sospira piano, soddisfatta della risposta che ha ricevuto. Perché ha avuto la conferma di ciò che pensa da mesi. Adesso deve soltanto aiutare il moro ad aprire gli occhi. «E allora perché non riesci a vedere?»
«Vedere cosa?» chiede lui, non riuscendo a capire dove voglia andare a parare l’amica.
Lei sorride, intenerita. «Tu tieni a Letizia?»
«Troppo.»
La bionda volta un poco lo sguardo, posandolo sul prato verde del parco. «Pensi spesso a lei?»
«Costantemente.» risponde l’altro senza esitare. «Ma non capisco il senso di tutte queste domande.»
Madison ridacchia, sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio. «Non vuoi capire, è diverso.»
«Cosa dovrei capire?»
«Che per te Letizia è molto più di quanto tu voglia ammettere.»
 
Ha accompagnato Madison a casa da alcuni minuti, dopo il pomeriggio passato insieme. E adesso, Calum sta nuovamente camminando per le vie di Sydney; la musica nelle orecchie, le mani in tasca, il cuore e la testa troppo pieni di qualcosa a cui non sa, non vuole dare una spiegazione precisa, non adesso che non sa come comportarsi di fronte a cose più grandi di lui. E intanto, le parole della sua migliore amica non fanno altro che rimbombargli nella testa, come un disco rotto, fermo sempre sullo stesso punto perché non riesce ad andare avanti.
«Che per te Letizia è molto più di quanto tu voglia ammettere
Parole troppo veritiere, che Calum non crede di saper affrontare. Perché è vero che tiene tropo a Letizia; che si preoccupa per lei, ogni volta; che la pensa, la sogna, ogni giorno. È vero che vorrebbe proteggerla sempre, persino da se stesso; che adora sentirla parlare delle cose che ama; che vorrebbe averla accanto a sé, costantemente; che vorrebbe sempre vederla sorridere, sentirla ridere; che non ha paura quando è con lei; che farebbe letteralmente qualsiasi cosa pur di farla state bene. È vero che senza Letizia non sa stare; si sente perso, senza una meta, senza una ragione per non mollare. È vero che tiene troppo a lei per lasciarla andare; ma è anche vero che le vuole troppo bene per permetterle di prendersi un peso che non è suo. È vero che le manca, da morire, e che vorrebbe tanto stringerla, per sentire il suo cuore battere forte mentre riempie i vuoti che hanno dentro unendo le loro mani.
Si appoggia al muretto vicino la fermata dell'autobus, aspettando quello che lo porterà a casa. Tira fuori il telefono dalla tasca e lo sblocca. E la foto che gli appare davanti agli occhi è la prima di una lunga serie che lui e Letizia si sono fatti in quei mesi. I più belli della sua vita.
La guarda. E non riesce a non sorridere nel notare i loro sorrisi sinceri ed i loro occhi luminosi, specchi di un qualcosa troppo bello e troppo importate per essere descritto. Proprio come quello che il moro prova nei confronti della ragazza da tanto, troppo tempo; precisamente da quando ha deciso di lasciarla entrare nella sua vita. Osserva il viso di lei: gli zigomi poco pronunciati che spesso si è ritrovato a sfiorare con la punta delle dita, le labbra morbide che a volte gli hanno accarezzato le guance, gli occhi color cioccolato che gli hanno sempre tirato su il morale. Il suo cuore batte più forte. Lui sospira.
Perché è vero anche che Calum è innamorato di Letizia. Ma ha troppa paura di perdere tutto ancora una volta
.





Letizia
Ciao bellissimi amori miei!
Come state? Le vostre vacanze stanno andando bene? Io mi consolo con il bel tempo che ogni tanto fa capolino, mentre i libri di scuola mi fanno compagnia (per modo di dire).
Parlando della storia, cosa dirvi? Siamo finalmente arrivati ad una svolta! Insomma, voglio dire... CALUM HA AMMESSO A SE STESSO DI AMARE LETI!!!!!!!!
Questo sì che è un grandissimo passo avanti per il nostro moro preferito, shi shi u.u *^*.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando! Ci tengo ai vostri pareri *^*.
Vi ringrazio tutti, per ogni cosa che fate per questa storia; per me significa davvero moltissimo *^*.
Ci sentiamo presto!
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 23
*** Ventitré ***


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Ventitré
 
 
 
Eppure, si fa di tutto pur di non mollare, pur di non dire addio.
Pur di non rinunciare a qualcuno di veramente troppo importante.
Qualcuno per cui si sa di provare un sentimento più forte di quanto si voglia ammettere.
 
 
 
È arrivata in camera da quasi un'ora, ma non ha ancora preferito parola. E Michael non ha la benché minima idea di come poter far stare meglio la sua migliore amica. Perché da un mese Letizia è in quello stato. Da un mese lui non vede più quella luce potente e timida dentro gli occhi scuri della mora. Da un mese non la sente ridere o scherzare. Da un mese vede solo l'ombra della ragazza che è riuscita, insieme ad Ashton, a tirargli su il morale, a non fargli perdere la speranza. Da un mese lui sa cos'è successo. Da un mese è preoccupato per più di una persona a causa di quella situazione che sta degenerando giorno dopo giorno; una situazione che sta trascinando verso il buio ed il vuoto troppe persone che meritano solo di state bene. Da un mese si sente con le mani legate, incapace, inutile, perché non riesce ad essere per Letizia ciò che lei è stata per lui durante quei lunghi sei mesi; sei mesi che hanno visto la loro amicizia crescere e rafforzarsi, diventare sempre più bella ed importante per entrambi, senza la quale nessuno dei due riesce ad immaginare come le cose sarebbero andate. Da un mese non vede l'ora di uscire dall'ospedale per andare di persona e cercare di risolvere le cose una volta per tutte. Da un mese tenta di mettere la mora di buon umore, senza però riuscirci, neppure una volta.
Sospira. Vorrebbe tanto sapere quanto si diverta la vita a veder vacillare le persone, magari godendo delle sue vittorie a discapito di chi ha creato. Sarebbe bello poterle parlare faccia a faccia, pur di farle sapere quanta rabbia ha dentro a causa sua. Una rabbia che non provava da quando sua sorella è morta. Una rabbia che, quella volta, era durata per un po’ di tempo, prima di sparire; perché lui aveva capito che provare quel sentimenti non avrebbe mai sistemato le cose. Ma con Letizia e gli altri le cose sono completamente diverse; perché sono tutti vivi, e Michael non vede motivo migliore di quello per continuare a combattere, nonostante le difficoltà.
Si passa stancamente una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee, sperando di trovare prima o poi un modo per far funzionare il resto. Perché deve pur esserci una soluzione, deve pur trovarsi da qualche parte; Michael ne è certo. Però non sa proprio da dove potrebbe cominciare a cercare.
«Non pensare troppo, Mike. Non ce n'è bisogno.»
La voce di Letizia, che all'improvviso rompe il silenzio, fa sobbalzare il maggiore, cogliendolo di sorpresa, catturando immediatamente la sua attenzione, lasciandolo totalmente spiazzato. Perché l'amica non aveva mai detto parole più dure di quelle, tinte di una nota di sconfitta che all'altro non è passata per niente inosservata.
«Perché?» chiede allora, cercando di capirla, sperando di poter varcare i muri – seppur ancora troppo deboli – che la mora in quel lungo mese ha ricostruito completate da sola. Muri che, Michael lo sa, soltanto una persona è in grado di far cadere ancora una volta, per non dar loro più alcun modo di nascere. Una persona che lui conosce bene, quasi più di se stesso, ma che non vede da troppo tempo.
«Perché non avrebbe senso, Mike. Ormai le cose stanno così, me ne sono fatta una ragione. Che senso avrebbe cercare di cambiarle?»
Letizia parla piano; la voce stanca, debole; gli occhi puntati sul paesaggio che si vede dalla finestra. Occhi che guardano tutto ma che in realtà non vedono niente, neppure gli addobbi di Natale che illuminano le strade. Perché, da quando Calum ha deciso di escluderla dalla sua vita per un motivo che lei proprio non riesce a capire, è come se un velo nero si fosse posto tra i suoi occhi e ciò che la circonda, intrappolandola in un mondo senza luce da cui ha rinunciato ad uscire. Non sa più cosa fare; si sente vuota, incompleta, incolore, come se quello che avesse dentro fino ad un mese prima le fosse stato strappato via all’improvviso, senza che lei potesse difendersi o provare a reagire in qualche modo.
È l’ombra di se stessa, lei; e anche se prova a ridere, a scherzare con le persone che le sono rimaste, non ci riesce, non del tutto. Perché Calum si è portato via una parte del suo cuore; una parte che la mora gli ha lasciato volentieri, senza paure o dubbi, senza domande, senza contrastare il dolore. Ha provato con tutte le sue forze a farsene una ragione, a non cercare ulteriori spiegazioni. Ha provato a capire e ad abituarsi al vuoto che la mancanza della persona più importante di tutta la sua vita le ha fatto nascere nel cuore. Una mancanza che mai prima di allora aveva provato; a cui non riesce ad abituarsi nonostante gli sforzi. Ha rinunciato a combattere, lei, che invece si era ripromessa di farlo, soltanto per Calum, solo per aiutarlo. Ha rinunciato perché le cose non potranno mai cambiare.
Ed è da un mese che si ritrova a provare rabbia, solo tanta rabbia verso se stessa. Perché aveva fatto una promessa, a se stessa e alle persone che ha cercato di aiutare. Una promessa che ha tentato di mantenere con ogni mezzo, pur di essere d’aiuto, pur di servire a qualcosa. Però non è mai stato abbastanza. Ed ecco che gli stessi errori del passato hanno avuto l’opportunità di ripetersi nella stessa maniera, portando conseguenze peggiori. Vorrebbe… Vorrebbe soltanto essere stata un po’ più forte, per proteggere veramente chi ama. Eppure non ci è riuscita. Ed è questo ciò che più la fa arrabbiare.
Michael si alza lentamente dal letto e, con l’aiuto delle stampelle, le si avvicina, abbracciandola forte da dietro; come se non volesse lasciarla andare; come se volesse tenerla su ad ogni costo, senza preoccuparsi minimamente del resto, sperando di farle capire in qualche modo che lui non se andrà mai, che ci sarà sempre se lei avrà bisogno. Vuole essere la sua roccia; non ha paura di farsi male se dovesse ritrovarsi a difenderla da un qualcosa estremamente più grande di loro.
«Cerchi un senso per cambiare tutta questa merda? Non ti basta sapere chi è coinvolto?»
La mora si volta tra le braccia del maggiore. E gli occhi trasparenti dell’amico la fanno vacillare subito, profondi, intensi, pieni di cose che lei non sa, non riesce, forse non vuole capire. Pieni di tante opzioni, di tante soluzioni che potrebbero davvero andare bene per risolvere tutto quanto definitivamente. Tante soluzioni che però lei ha troppa paura di scegliere, di provare. Ha troppa paura di farsi male ancora una volta, lei. Ha paura di cadere nel buio e di non uscirne più; di peggiorare la situazione; di perdere quel poco che le resta; di non essere in grado di affrontare le difficoltà che potrebbero presentarsi. Ha paura di fallire.
E lo sa che non dovrebbe le cose in quel modo, perché in fondo non ha neppure cominciato. Ma è un sentimento più forte di lei. Non è riuscita a salvare Calum quando sapeva che c’era qualcosa che non andava. Non è riuscita a stargli accanto, a vedere come invece avrebbe dovuto fare. Ha fatto lo stesso errore di due anni prima. Ha avuto la prova che non è in grado di difendere le persone che ama. Come potrebbe cercare un modo per farle stare bene quando ormai il danno è fatto e non c’è modo di tornare indietro neppure di un passo?
«Ho rinunciato a cercare di cambiare le cose, Mike. Ci ho provato, tutte le volte, con tutto quello che avevo. E sai cosa ho ottenuto in cambio?» ribatte lei; la voce dura; gli occhi freddi. «Polvere, soltanto fottutissima polvere, accompagnata da ferite che non si sono ancora sanate. Non sono in grado di cambiare niente! È passato un mese. Un lungo, dannatissimo mese. E nonostante tentassi di fargli capire che non me ne sarei mai andata, che ci sarei sempre stata indifferentemente da tutto, Calum ha continuato a spingermi via!»
Si ferma un attimo, Letizia; prende un respiro, lentamente. Poi un altro ancora. Deve calmarsi; deve rallentare i battiti del suo cuore; deve impedire a ciò che tiene dentro da troppo tempo di uscire, perché ha paura di non essere in grado di fermarlo se lo lasciasse andare. Deve impedire alle lacrime di scendere; ne ha già versate troppe, non può continuare così, non dovrebbe darla vinta al buio, non dovrebbe…
Abbassa lo sguardo, solo un attimo. Poi lo rialza. E gli occhi del suo migliore amico sono ancora lì, davanti a lei; comprensivi, decisi, tranquilli, come un porto sicuro che l’accoglierà sempre a braccia aperte; occhi che la fanno sentire un po’ a casa, che sbloccano quell’ingranaggio del suo cuore che lei ha tentato giorno dopo giorno di bloccare, per non far uscire niente. Eppure…
«Non ce la faccio più, Mike.»
Un sospiro, flebile, inudibile. Una lacrima che scappa dagli occhi color cioccolato. Un singhiozzo strozzato che non sarebbe dovuto uscire. Una nuova crepa nell’anima. Un brivido che corre sulla pelle. Un mattone di un muro troppo debole che cade senza che nessuno se ne accorga.
«Fa male… Fa… Tanto male…»
Un’altra lacrima. Un altro singhiozzo. Un altro mattone che va giù, sbriciolandosi.
E Letizia mai avrebbe creduto che ammetterlo ad alta voce avrebbe aumentato il dolore; che l’avrebbe fatta cadere ancora più in fondo; che avrebbe reso visibile il suo bisogno di aiuto nonostante la vergogna verso se stessa e verso il suo non essere abbastanza forte per le persone che ama; che avrebbe reso reale tutto quello che si porta dentro da una vita ma di cui non si è mai sfogata totalmente con nessuno, neppure con Madison, per il semplice fatto che non vuole essere un peso, soprattutto per chi necessita di lei. Mai avrebbe immaginato che aprirsi in quel modo l’avrebbe aiutata a diminuire il macigno che ha nell’anima; perché, anche se il dolore aumenta, a lei non importa, le basta sapere che quel magone dentro di lei un giorno scomparirà.
Intanto, le braccia dell’amico la stringono più forte, mentre i singhiozzi scuotono il suo corpo.
Michael la ascolta, in silenzio, tenendola stretta a sé, senza interromperla. Ascolta la sua rabbia, le sue paure, i suoi dubbi. Ascolta quell’anima fragile e forte al tempo stesso che è arrivata allo stremo da sola, tenendosi tutto dentro senza mai lasciar trapelare niente, costringendosi ad essere forte anche quando invece avrebbe voluto soltanto lasciarsi andare un po’. Ascolta la voce insicura. Ascolta i singhiozzi spezzare il silenzio. Sente le lacrime di lei scendere lente e bagnargli la maglietta. Ascolta tutto. E ad ogni grido che Letizia soffoca contro di lui, Michael la stringe, sempre più forte, sempre più a lungo. Perché sa troppo bene quanto sia dannatamente importante avere qualcuno al proprio fianco quando si cade, qualcuno pronto a dare una mano per poi rimettersi in piedi.
Perché la sua migliore amica è caduta, un mese fa. È caduta quando ha visto in pericolo la persona più importante della sua vita, ritrovandosi senza la giusta arma per poter combattere. È caduta, e non è ancora riuscita a rimettersi in piedi da sola. Neppure lui è in grado di farlo; ci ha provato con tutte le sue forze, ma non è successo niente. Però non ha alcuna intenzione di arrendersi.
«Sono inutile, Mike! Tutte le persone a cui voglio bene finiscono per stare male senza che io lo veda. Non riesco mai a fare qualcosa per aiutarle. Non servo a niente!»
Si sfoga, Letizia. Si sfoga di tutto quanto: delle ferite che fanno ancora male; dei ricordi che non vogliono tacere; del senso di sconfitta che sente dentro; delle parole che ha in gola da troppo tempo e che non è riuscita a dire al momento giusto; della rabbia che prova contro se stessa e contro tutto quello che sta capitando a lei e alle persone che ama; del suo non essere stata abbastanza forte. Si sfoga come non aveva mai fatto prima, con nessuno, neppure con Madison quando la sua vita era stata stravolta per sempre. Si sfoga, si lascia andare.
E ad ogni lacrima, un pezzo di quel peso che sente dentro va via, liberandola, alleggerendole l'anima. Intanto, i suoi muri cadono, di nuovo, si frantumano, troppo deboli per resistere, per proteggere qualcosa di troppo piccolo come ciò che rimane di lei. Cadono, i suoi muri. E Letizia cade con loro, in quel baratro buio da cui era riuscita ad uscire a fatica. Cade in silenzio. E le ferite fanno male, una più dell'altra.
«Non dire così, Leti.» la rassicura Michael, baciandole la fronte e cullandola un po’. «Non sei inutile. Non lo sei.»
E vorrebbe tanto che la sua migliore amica smettesse di sminuirsi ogni volta. Vorrebbe che lei riuscisse a capire tutte quelle piccole cose che ha nel cuore da mesi; le stesse cose che le hanno dato la forza di continuare al lottare per quel ragazzo che l’ha cambiata in meglio; le stesse che – il maggiore ne è sicuro – lei non riesce, non vuole accettare, forse per la troppa paura di soffrire ancora. Vorrebbe soltanto, lui, che la mora fosse felice; perché una persona importante e speciale come lei merita solo di stare bene.
«E allora perché non riesco mai a fare la cosa giusta?» chiede la mora, mentre si scosta un attimo dal corpo dell’altro, asciugandosi gli occhi, cercando di tenere in sesto quel poco che rimane di lei.
Il ragazzo sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli colorati, cercando un qualcosa a cui potersi ancorare per farle tornare il sorriso, anche solo per un attimo. Ma non sa più come fare. Si sente impotente davanti a quelle lacrime che prima di allora non aveva mai visto scendere da quegli occhi scuri; lacrime piene di talmente tante cose che lui stesso sa di non conoscere; lacrime che lo lasciano spiazzato, completamente, senza la soluzione giusta per poterle mandare via una volta per tutte.
«Leti, io…» inizia; ma non riesce a continuare, che subito la porta della stanza si apre.
Poi Ashton entra nella stanza e, non appena vede l’espressione dell’amica, la abbraccia forte. «Ehi, Lewis…»
«Ciao, Ash.» sospira lei. E intanto, un nuovo magone le nasce nella gola, impedendole di aggiungere altro.
Perché ha già fatto preoccupare troppe persone, in quelle ultime settimane, quando invece avrebbe soltanto voluto scomparire, senza che nessuno se ne accorgesse, senza che nessuno vedesse. Soprattutto Azura che, giorno dopo giorno, non fa altro che cercare di farla stare meglio, in ogni modo possibile. E questo, Letizia sa di non poterselo permettere, non con il passato che ha alle spalle. Non può permettere alla donna di comportarsi così, è troppo per lei; un troppo che non sa come gestire, come accettare, come accogliere. Vorrebbe… Vorrebbe soltanto che niente di tutto quello fosse accaduto.
Il riccio sospira e, mentre accarezza lentamente la schiena della mora, si volta verso Michael per capire che cosa stia succedendo. L'altro mima un nome con le labbra, un nome che entrambi conoscono anche troppo bene. Ed Ashton non ha bisogno di avere altre risposte.
«Vuoi parlarne?» chiede però alla ragazza, sperando di poter esserle d'aiuto in qualche modo.
Perché Letizia è diventata la sua migliore amica fin da quando si sono conosciuti. Ed in quel lungo mese che ha visto nascere e crescere il loro rapporto, ha imparato a conoscerla almeno un po', lui; ha imparato a capire i suoi sorrisi, i suoi occhi, i suoi gesti, le parole non dette e quelle poche che lascia trapelare qualche volta. Però… Non l'aveva mai vista con lo sguardo così spento e l'anima in frantumi. Non l'aveva mai vista così distrutta, senza quella luce timida ad illuminarle gli occhi; quella stessa luce che l'aveva incuriosito fin da subito, spingendolo a creare un legame con lei. Sa che stanno succedendo troppe cose in quell’ultimo periodo, ma non avrebbe mai pensato che sarebbero arrivate a quel punto. Non avrebbe mai immaginato che Letizia sarebbe potuta crollare; non quella mora, che gli è sembrata fin da subito più forte di quanto lei stessa creda o voglia far vedere agli altri.
Alla domanda del riccio, la mora scuote lentamente la testa e si stringe ancora più a lui, mentre un calore tiepido le scalda il cuore, allontanando almeno per un po' il gelo che le era nato dentro. E si lascia andare, lei; si lascia accarezzare da quelle mani grandi e calde; si lascia cullare da uno dei suoi più cari amici, a cui non sono mai servite troppe parole per capire.
Perché pure Letizia un po' Ashton ha imparato a conoscerlo, e sa bene quanto il ragazzo sia perspicace. Sa bene che, a quegli occhi dorati, non è possibile nascondere niente. Sa che non c’è bisogno di usare maschere o bugie con lui. Sa che non deve avere paura di restare ferita quando sono insieme. Sa che, proprio come Michael, non esita neppure per un attimo ad aiutare chi ama. Soprattutto, sa di essere davvero fortunata ad averlo come amico.
È fortunata ad aver incontrato persone come Ashton e Michael. Sono uno dei pochi doni che la vita le ha fatto. Un dono che non vuole perdere per nessuna ragione al mondo. Perché senza di loro, senza Madison e Luke, senza Calum, lei proprio non saprebbe come fare.
«Non ha senso parlarne, Ash.» gli risponde; la voce simile ad un sussurro, gli occhi ancora chiusi.
Il ragazzo fa per ribattere, ma Michael lo frena con uno sguardo, scuotendo lievemente la testa. Ed il riccio capisce che è meglio non andare oltre, almeno per adesso.
«Se hai bisogno, io ci sono sempre. Ricordatelo.» mormora all’orecchio della mora, che annuisce in silenzio prima che il maggiore la lasci andare per salutare l’altro con un lungo abbraccio.
«Ho paura, Mike.» sospira, stringendo il suo ragazzo sempre più forte; come se temesse di perderlo da un momento all’altro; come se potesse vederlo sparire da davanti i suoi occhi nella frazione di un istante; come se un qualcosa più grande di loro potesse dividerli. Perché può perdere tutto, Ashton. Tutto, meno che Michael, senza il quale niente avrebbe più senso. Perché, anche sono giovani, hanno affrontato tante, troppe cose insieme che, da soli, non ce la farebbero. È l’unica certezza che hanno.
Il minore sospira e lo stringe a sua volta, forte; come a voler dargli tutto il coraggio di cui ha bisogno per non cadere. Perché, se crolla Ashton, Michael crolla con lui. E questo non deve accadere, per nessun motivo al mondo.
«Non devi averne, Ash. Si sistemerà tutto, me lo sento. Fidati di me.»
E, anche se titubanti, entrambi sperano davvero in quelle parole. Forse perché sono riusciti a voltare pagina una volta per tutte e sanno che è possibile. Sta solo ai loro amici capirlo.
Si dividono e, prima di tornare al tirocinio, Ashton bacia Michael. Lo bacia con tutto l’amore che ha dentro, con tutto l’affetto di cui è capace. L’altro risponde, esattamente nello stesso modo. Perché l’amore è così: prende e dà nella stessa quantità, senza mezze misure, senza dubbi o ripensamenti. Dà e riempie il cuore completamente, lo inonda di felicità, di coraggio. Riempie l’anima e sana le ferite, con pazienza. Proprio com’è successo tra loro due fin da quando hanno capito di voler stare al fianco dell’altro un giorno di quattro anni prima.
Ashton e Michael si amano, da morire, e mai potrebbero chiedere qualcosa di più.
Poi il maggiore esce dalla stanza. E l’altro non riesce a reprimere un sorriso.
Un sorriso che Letizia è davvero felice di vedere sul volto dell’amico.
«Siete fatti per stare insieme.» si ritrova ad osservare ancor prima di rendersene conto.
Michael si riscuote dal suo torpore e la osserva, ridacchiando un po’. «Tu dici?»
La mora annuisce, convinta. «Si vede che vi amate davvero.»
Il ragazzo sospira e si risiede sul letto. Intanto, i suoi occhi chiari studiano l’amica, concentrata ad osservare le pagine del libro che gli ha prestato una settimana prima. La osserva, attentamente. E, anche se potrebbe essere un po’ presto, sente che è il momento giusto per toccare quell’argomento su cui ha già qualche idea in testa. Ha solo bisogno di conferme che posso arrivargli unicamente dalla sua migliore amica. Perché una delle due persone interessate la conosce bene, e già si immagina cosa ci sia nel suo cuore. Deve solo aiutare Letizia a capire ciò che non riesce a vedere.
«Tu invece?»
«Io cosa?» risponde l’altra, sedendosi accanto a lui, non riuscendo a capire quella domanda improvvisa.
Michael ridacchia di nuovo ed alza gli occhi al cielo. Perché i suoi amici sono sempre ciechi? Perché per loro è così difficile vedere e ammettere i propri sentimenti per qualcuno?
«All’amore, ci hai mai pensato? Anche solo una volta?»
«Io…» inizia lei; ma quando due paia di occhi di colori diversi si fanno spazio tra i suoi pensieri – un paio grigi ed un altro color del caffè – si blocca, incapace di aggiungere altro, incapace di dare una forma a tutto quello che sente dentro al cuore, incapace di controllare ciò che prova, mentre piccole lame tornano a torturarle lentamente l’anima. «No…» conclude allora; la voce così flebile da sembrare solo un sussurro.
Perché non saprebbe come rispondere a quella domanda. Non saprebbe cosa dire, come comportarsi. Perché non si è mai innamorata e, anche se legge talmente tanti libri al riguardo, non lo ha mai provato nella vita vera. Non c'è mai stato niente che avrebbe potuto anche solo metterle la pulce nell'orecchio; niente che avrebbe potuto farla pensare ad una cosa simile. Una cosa troppo lontana da lei, sotto ogni punto di vista.
«Non ci credo.» ribatte Michael, serio come mai prima di quel momento.
Letizia punta gli occhi in quelli dell'amico, non capendo perché si stia comportando così.
«Credici, Mike.» sussurra, passandosi le mani sul viso per mandar via le ultime lacrime rimaste sulle guance, tracce di ciò che avrebbe preferito tenere nascosto il più a lungo possibile, per non ferire nessuno. «Non mi sono mai innamorata... E non so cosa voglia dire esserlo di qualcuno... Non so cosa si provi o come bisogna comportarsi... Probabilmente è qualcosa che non fa per me.»
Il ragazzo allora la guarda a lungo, intensamente, intenerito, mentre la stringe nuovamente a sé, quasi avesse avesse paura di perderla, di vederla scomparire prima del tempo.
«È impossibile che l'amore non faccia per te, Leti. L'amore è per tutti, senza mezze misure. Nessuno ne è immune. Neppure tu.» le dice paziente, accarezzandole delicatamente il viso e sorridendo, senza che lei possa vederlo.
Letizia non risponde, non ribatte. Si limita a far stendere entrambi sul letto per stare più comodi e si lascia cullare dalle braccia del suo migliore amico, uno dei pochi porti sicuri che le sono rimasti in quel mare fatto solo di incertezze, di dubbi, di domande, di cicatrici mai sanate del tutto che continuano a riaprirsi. Chiude gli occhi; e sentire il petto del ragazzo che si alza e si abbassa sotto la sua guancia la tranquillizza anche solo di poco.
«Com’è, Mike?»
«Cosa?»
Lei sospira. «Amare qualcuno.»
Il maggiore sorride. «È la cosa più bella di tutte. È nascere e morire nello stesso momento. È trovare tutto quello di cui si ha bisogno in una sola persona, che annulla tutto il resto: il passato, le ferite, le paure, gli incubi. È dare e ricevere un affetto mai provato prima. È sentirsi vivi, ogni secondo più del precedente. È fidarsi. È togliersi le maschere che si usano per difendersi dagli altri. È dare a quella sola persona tutto ciò che si ha che si è. È combattere per l’altro, senza paura di farsi male. È restare nonostante le difficoltà. È pensare costantemente all’altro e al suo bene, mettendo se stessi in secondo piano. È sperare di non perderlo mai, per nessuna ragione al mondo. È così tante cose, che nessuno potrebbe mai descriverlo con esattezza.»
Michael parla. E, lentamente, Letizia si sente invadere da un calore familiare. Un calore che le riporta alla mente tempi passati, ricordi incastonati nella sua memoria, cristallizzati a causa di parole non dette al momento giusto; parole che hanno rovinato tutto. Un calore che le riporta nel cuore tanti momenti degli ultimi tre mesi e mezzo; mesi in cui la sua vita è stata stravolta da un ragazzo che è sempre stato accanto a lei ma che ha incontrato solo poco tempo prima; mesi che lei, nonostante tutto, ricorda con un sorriso, perché sono l’unica parentesi di felicità che ha avuto prima di ricadere nel buio e nel vuoto ancora una volta; mesi che, almeno per un po’, le hanno dato ciò di cui sentiva la mancanza da troppo tempo.
Ascolta il suo migliore amico con il cuore che sembra necessitare di quelle parole. Ascolta; si lascia trasportare, lontano da tutto. Ascolta in silenzio, senza interromperlo. E intanto si ritrova a pensare a come sarebbe bello poter amare qualcuno nello stesso modo in cui Michael ama Ashton; a come sarebbe provare quel calore in grado di scaldare l’anima di cui spesso ha sentito parlare; a come sarebbe sentirsi completa almeno una volta; a come sarebbe combattere per qualcuno a cui si tiene senza paura di farsi male.
Un paio di occhi color del caffè le tornano in mente, solo per un attimo, poi svaniscono.
Lei rabbrividisce e scuote la testa, non riuscendo a capire perché debba ripensare a Calum proprio adesso.
«Leti?» la chiama l’amico, facendole aprire gli occhi. «Puoi essere sincera, almeno una volta?»
«A proposito di cosa?» chiede la mora, irrigidendosi e puntando i suoi occhi scuri in quelli dell’altro.
Michael le accarezza la schiena delicatamente. «Ti fidi di me?»
«Sì. Perché?»
Lui sorride. Spera solo che vada a finire tutto bene. «Tu vuoi bene a questo Calum di cui mi parli sempre?»
«È la cosa più importante che ho, Mike. Non posso non volergli bene.»
«Hai paura di perderlo?»
La mora non pensa neppure per un attimo prima di rispondere. «Troppa.»
«Ti manca?»
«Da morire.» e intanto, il suo cuore batte forte dentro di lei, quasi volesse uscirne, intrappolato da paure che Letizia non sa, non vuole spiegarsi, troppo spaventata dall’idea di farsi male ancora una volta.
«Lo pensi spesso?»
La ragazza sospira e chiude gli occhi. E subito il volto del suo vicino si fa spazio tra tutto il resto. «Se non fosse il mio chiodo fisso da quasi quattro mesi, non te ne avrei mai parlato.»
Il maggiore si passa una mano tra i capelli. «E allora perché non riesci a capire?»
«Cosa dovrei capire, Mike?!» sospira Letizia, stanca, mettendosi seduta sul letto, con il cuore che non riesce a smetterle di batterle nel petto. «Che tengo più a Calum della mia stessa vita? Che non voglio perderlo per nessuna ragione al mondo? Che farei qualsiasi cosa pur di farlo stare bene? Che vorrei salvarlo anche se lui continua a respingermi? Che mi andrebbe bene lasciarlo andare se servisse a tirarlo fuori dal buio? Che lo penso anche quando non vorrei? Che è l’unico in grado di farmi stare bene? Che…»
Poi però si ferma. Perché le è appena passato per la testa qualcosa a cui non aveva mai pensato prima di quel momento. Qualcosa che la spaventa, più di tutto il resto.
Qualcosa che fa sorridere Michael di cuore. Perché lui ha capito da tempo. Adesso spetta solo a Letizia accettarlo
.





Letizia
Ciao bellissimi! Come state? Io non mi lamento, ahahah ;).
Parlando della storia, cosa dirvi? Capitolo interamente dedicato ai Mizia dopo chissà quanto tempo *^* (con la comparsa veloce di Ash :3).
Insomma, quanto saranno belli questi due come amici? Io li amo troppo *^*
E... Secondo voi, che cosa ha cercato di fare Michael con Leti? Deheheh, vediamo se avete capito ;).
Piccol avviso prima di salutarvi: PER IL PROSSIMO CAPITOLO PREPARATE FAZZOLETTI!!!!!!!!!!!!!!!
Detto questo, scappo sul serio e torno a studiare!
Grazie per tutto, siete davvero unici! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 24
*** Ventiquattro ***


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Ventiquattro
 
 
 
Un sentimento che, quando si lascia libero, prende campo su tutto il resto.
Un sentimento forte, a volte persino difficile da controllare.
Un sentimento per cui non è mai troppo tardi tornare a combattere, pur di viverlo fino in fondo.
 
 
 
È uscita dall'ospedale da quasi mezz'ora; le cuffie nelle orecchie, i piedi che vanno da soli, le mani nelle tasche grandi della felpa, gli occhi scuri che osservano tutto ma non vedono niente. E da quasi mezz'ora non fa altro che pensare a cosa ha finalmente capito parlando con Michael.
Perché non riesce a togliersi dalla testa quel pensiero, quelle parole che mai riuscirebbe a dire a voce alta, bloccata da una paura più forte di tutte le altre, in grado di imprigionarla dentro quelle stesse mura che si è costruita intorno al cuore, pur di difenderlo, pur di tenerlo lontano dal dolore, senza però riuscirci.
Pensa, Letizia, a quelle parole importanti più di qualsiasi altra cosa al mondo, portatrici di un sentimento che non crede di essere in grado di affrontare. Perché sa di non meritare qualcosa di così bello e così potente che la lascia senza respiro al solo pensarci. Non può permettersi un lusso simile, non dopo la lezione che ha imparato quando era ancora una bambina. Quella stessa lezione che ha rovinato tutto il resto.
Ha paura di non essere pronta per ciò che arriverebbe se decidesse di lasciar spazio a sentimenti che non conosce e che non è in grado di controllare. Ha paura di peggiorare le cose, di perdere quei pochi granelli di sabbia che le sono rimasti tra le dita, così piccoli che potrebbero andarsene lontano da lei nella frazione di un attimo. Ha paura di fare troppi errori; di prendere decisioni sbagliate; di ferire chi non se lo merita minimamente. Ha paura di come andrebbe se anche dall’altra parte i sentimenti fossero gli stessi.
Poi due occhi color del caffè si fanno largo tra i suoi pensieri. Occhi che le mancano più dell’aria. Il suo cuore manca di un battito. Il respiro le si ferma per un istante. Ed una nuova ferita si apre. Perché sa chi potrebbe perdere se si mettesse in gioco; se mostrasse ciò che prova; se si lasciasse andare; se permettesse alle emozioni di avere il controllo; se permettesse a lui di entrare completamente dentro di lei e di curarle l’anima.
Sospira e si sistema gli occhiali sul naso. Vorrebbe soltanto che le cose non fossero così difficili; che non ci fosse una posta in gioco così dannatamente alta; che ci fosse la possibilità di cambiare tutto quanto per ricominciare da zero. Perché ripartire da capo sarebbe la soluzione migliore per tutti.
Alza lo sguardo al cielo, lentamente, fermandosi un attimo in mezzo al marciapiede. Guarda il tramonto prossimo a diventare notte, con le nuvole che in lontananza coprono il sole e creano un gioco di luci ed ombre che Letizia ha sempre amato fin da quando era bambina. Osserva attenta, come a voler imprimere nei suoi ricordi quel piccolo attimo di pace, quella piccola goccia di colore su un muro quasi totalmente grigio, sul quale i colori, le tracce del passato sbiadiscono dopo un po'. Osserva senza fretta, lasciandosi cullare dalla brezza tiepida di fine primavera.
Guarda tranquilla il paesaggio, con la musica che un po' riesce a zittire i suoi pensieri troppo rumorosi, ma che non riesce a nascondere i passi di qualcuno che si sta avvicinando. Passi che Letizia non riesce a distinguere, a riconoscere. Allora si volta, curiosa di sapere chi ci sia dietro di lei. Ma non vede nessuno. E subito un brivido le corre lungo la schiena. Perché è sicura di non essersi immaginata niente.
Torna a guardare la strada davanti a sé, come se non fosse successo niente. Però adesso la musica è spenta e le cuffiette nelle orecchie che non producono alcun suono iniziano a darle un lieve fastidio. Cammina; il passo deciso, le gambe tremano un po', il cuore batte veloce nel petto come se volesse uscirne da un momento all'altro. 
Di nuovo, il rumore di passi dietro di lei si fa sentire. E di nuovo, lei aumenta il passo, cercando di mantenere i nervi saldi mentre lunghi brividi di una paura mai provata prima di quel momento – una paura diversa da tutte le altre – le corrono lungo il corpo. Sospira profondamente; si sistema meglio la borsa sulla spalla e gli occhiali sul naso; continua a camminare con lo sguardo sempre puntato in avanti.
E si ritrova a pensare che forse adesso sta esagerando un po'; che forse non c'è motivo di preoccuparsi così tanto; che di persone in giro per la città a quell'ora ce ne sono tante; che non deve aver paura di niente; che...
Poi però una mano afferra il suo polso e la trascina in un vicolo senza sfondo, deserto, molto più in ombra della strada principale, illuminato soltanto dalla luce fioca di una lampada posta sopra una porta chiusa. E Letizia si sente in trappola, senza alcuna vita d'uscita ancor prima di aver chiaro cosa stia succedendo. 
Guarda davanti a sé solo per un attimo, il tempo di vedere un paio di occhi castani che la stanno osservando pieni di un qualcosa che la paralizza, senza darle modo di ribellarsi, di scappare da quelle mani sconosciute che subito corrono sulla sua pelle, sotto i vestiti. Mani che toccano, che graffiano, che fanno male. Mani sconosciute che Letizia non vuole sentire su di sé. Mani che le impediscono di muoversi, di andare via, bloccandole i polsi al muro, sopra la testa. Mani accompagnate da labbra umide che si posano dove non dovrebbero e da parole dure, feroci, che le fanno battere il cuore sempre più forte, quasi volessero farlo scoppiare di puro terrore. Perché Letizia adesso riesce a provare solo quell’emozione. Perché la voce non le esce fuori, non grida per chiedere aiuto, non chiede al ragazzo davanti a lei di smetterla. Non ci riesce. È paralizzata. L’unica cosa che le resta da fare è lasciar andare le lacrime, il solo modo che ha per esprimere ciò che sente.
Chiude gli occhi. Respira a fatica. Non sa come fermare i brividi che le stanno correndo incessanti sulle braccia, sulle gambe, rendendola sempre più debole, sempre meno in grado di liberarsi da quelle mani, da quelle labbra sconosciute. Stringe i denti. Cerca di trattenere i singhiozzi, di non fare niente di avventato, di tranquillizzarsi. Ma è tutto inutile. Ha troppa paura. Non sa chi sia il ragazzo che la sta violando. Non vuole saperlo. Non vuole neppure sapere il perché. Vuole soltanto andare a casa, lontano da lì il prima possibile. Vuole togliersi di dosso quelle mani che si aggrappano a lei come tentacoli in grado di tirarla sempre più a fondo. Vuole che tutto ciò finisca.
«Non azzardarti a gridare.» le sussura all’orecchio il ragazzo; la voce dura, feroce, un grado di aumentare il terrore dentro di lei nella frazione di un attimo, in grado di farla rabbrividire di paura con niente. «Non ci vorrà molto.»
E fa per agire, fa per scavalcare quella linea che nessuno dovrebbe oltrepassare se non è l’altro a volerlo; ma Letizia prende tutto il coraggio che le resta e grida a voce alta, strappandola solo per un attimo dalla morsa della paura.
«Calum!» riesce a dire solo quel nome, che racchiude molto più di quanto voglia ammettere. Perché è l’unica cosa a cui sta pensando da quando quelle mani si sono posate prepotenti su di lei. È l’unico motivo che l’ha spinta a farsi sentire, a cercare di liberarsi. È l’unica persona con cui vorrebbe essere in quel momento. È l’unico appiglio che le resta a cui potersi ancorare per non cadere di nuovo.
«Aiutami.» un sospiro, uno soltanto, quasi inudibile.
Lo sconosciuto la guarda. Gli occhi come tizzoni ardenti. Le mani che si serrano all’improvviso attorno alle braccia della ragazza, facendole ancora più male di prima. «Tu, brutta–»
Ma non riesce a concludere la frase, che subito qualcuno lo allontana dalla mora, intrappolandolo tra il proprio corpo ed il muro opposto. Qualcuno di cui lei riesce subito a riconoscere i lineamenti anche osservandolo da dietro: la curva morbida della nuca, i capelli scuri e soffici, le spalle larghe, il corpo magro. Qualcuno che Letizia adesso osserva attonita, mentre dentro al suo cuore emozioni contrastanti cercano di prevalere una sull’altra.
Perché Calum è davvero venuto a salvarla. È davvero lì, davanti a lei, pronto a proteggerla ancora una volta.
Lo osserva come se fosse una visione; come se lui fosse soltanto frutto della sua immaginazione, del suo bisogno di averlo con lei. E intanto lascia scivolare la schiena sulla parete, ritrovandosi seduta a terra senza rendersene del tutto conto, con gli occhi ancora fissi sulla figura che le sta ancora dando le spalle. 
Perché Calum adesso è interessato al ragazzo castano che ha davanti. Calum; che era capitato in quella zona della città proprio per caso dopo essere sceso dall'autobus; che aveva sentito dentro al cuore una strana fitta, un brutto presentimento che non riusciva a farlo stare tranquillo. Lui che, non appena aveva sentito una voce urlare il suo nome, era corso a vedere cosa stesse succedendo. Lui che, non appena aveva visto Letizia, aveva agito di istinto.
Ed ora eccolo lì; con addosso l'intenzione di lasciare che la rabbia prenda il controllo sul resto, senza freni. Rabbia verso quello sconosciuto che si è permesso di far del male alla persona più importante della sua vita. Rabbia verso se stesso; perché se non avesse lasciato Letizia da sola, non sarebbe successo niente. Rabbia causata da troppi fattori che lui ha smesso di contare da tempo.
«Non azzardarti a toccarla.» dice allora; la voce dura, lo sguardo freddo, le mani strette a pugno con le nocche sempre più bianche, le braccia tremanti, il corpo percorso da brividi che non riesce a controllare.
Lo sconosciuto sorride sornione, quasi divertito, senza dar segno di fastidio delle dita dell’altro che vanno a stringergli forte la maglia, per attirarlo più vicino a sé. «Perché altrimenti cosa fai?»
Calum assottiglia lo sguardo, velocemente. Poi è un attimo, e il castano si ritrova steso a terra, il naso sanguinante e gli occhi iniettati di rivincita. Una rivincita che prende il moro di sorpresa, facendolo ritrovare con la schiena al muro ed un dolore lancinante al petto per il pugno appena ricevuto; un dolore che supera di gran lunga quello alla mano che ha colpito la faccia dell’altro, quella mano che adesso ha le nocche spaccate. Non fa neppure in tempo a riprendersi, che subito lo sconosciuto gli è di nuovo addosso, con le gambe lo tiene saldamente per i fianchi, bloccandolo a terra, senza dargli modo di difendersi; i pugni tornano ad infierire, a far male, a creare lividi, a far uscire sangue. Pugni, botte, ai quali il moro cerca di rispondere per come può, nello stesso modo, con più intensità, dettata dalla voglia di portare la ragazza sana e salva a casa.
Ed è solo quando Letizia vede come si sta riducendo il suo vicino solo per proteggerla; solo quando vede l’espressione di dolore sul volto del moro; solo quando si rende davvero conto di cosa stia succedendo; che si riscuote dal torpore in cui era caduta. Un torpore che le aveva fatto vedere la scena a rallentatore, come se si trattasse soltanto di un film; che aveva inibito ogni sua percezione, come se all’improvviso fosse nata attorno a lei una barriera invisibile, una debole bolla capace di dividerla dalla realtà. Una bolla che tuttavia non potrebbe mai trattenere la forza dei sentimenti, anche quando essi non vengono accettati da chi li prova. Perché quella è una forza che deve essere sfogata; perché non c’è modo di domarla, di comandarla a proprio piacere. È una forza che non ha limiti o barriere; travolge e cambia tutto nella frazione di un attimo.
Una forza che travolge pure la mora che, senza rendersene conto, si ritrova con le mani sulle spalle del castano per cercare di allontanarlo da Calum. E tira, con tutto il coraggio che ha, mentre il cuore non fa altro che batterle forte dentro al petto. Tira, e non le importa delle settimane passate lontana dal moro; non le importa del dolore che ha provato; non le importa di poter uscire ferita lei stessa da quella faccenda; non le importa delle brutte parole che riceve dal castano; parole che – grazie al cielo – Calum non riesce a sentire. Le importa soltanto di aiutare la persona più importante della sua vita con ogni mezzo che ha. E ci riesce, lei; riesce ad allontanare di poco il castano, anche se solo per un secondo, sufficiente al moro per liberarsi dal peso dell’altro e capovolgere la situazione.
Altri colpi, altri lividi, altro sangue che lentamente riga le mai, il viso.
Poi lo sconosciuto smette di dimenarsi, di reagire. Il moro gli tocca il collo.
«È ancora vivo.» commenta, come se volesse rassicurare più se stesso che Letizia, mentre digita lo 000 e richiede la presenza di un’ambulanza per un ragazzo reduce da una rissa. La chiamata termina poco dopo.
 
Sono a casa di Letizia da pochi minuti. Non hanno aspettato l’ambulanza; non avrebbero saputo come rispondere alle domande dei medici e dei poliziotti, non avrebbero voluto peggiorare la situazione in alcun modo. Si sono incamminati in silenzio, senza dirsi una parola, senza fare niente, limitandosi a non oltrepassare quelle lievi barriere che Calum ha costruito per dividere entrambi, per tener lei lontana da lui. Barriere che però adesso non ci sono più, mentre il moro osserva attentamente la ragazza, senza perdersi neppure un particolare di quel viso che gli è mancato più dell’ossigeno, più di tutto il resto.
Lei, che adesso è davanti a lui; gli occhi scuri lucidi, pieni di lacrime; le mani strette a pugno, le braccia stese contro i fianchi, il corpo che trema come le labbra da cui non riesce ad uscire neppure un suono. Perché non sa cosa dire, la mora, non sa come reagire né come fare, non ha idea di cosa succederà da ora in poi. Sa solo che, anche se per un singolo attimo, ha avuto paura di perdere Calum veramente. E adesso quella paura si è radicata così tanto in lei, che la ragazza non sa più come sciogliere quelle catene che le stringono il cuore, paralizzandola.
E non si rende conto delle braccia del ragazzo che la circondano delicatamente, fino a che le labbra morbide di lui non le baciano la fronte, facendola svegliare totalmente dal torpore, riattivandole il cuore come solo Calum è in grado di fare. Perché solo il moro  è in grado di toccare i tasti giusti per farla ritornare da lui.
«Ehi, Leti, va tutto bene. Ci sono io con te. Non preoccupati.»
Parole sussurrate delicatamente. Parole che le arrivano fin dentro l’anima, scaldandola, riaccendendola; che aprono porte rimaste chiuse per troppo tempo; che lentamente la fanno ritornare a contatto con la realtà. E poco a poco, Letizia torna a percepire ciò che la circonda: braccia forti e calde attorno a lei; le labbra di Calum nuovamente posate sulle sua fronte; il petto di lui che si abbassa e si alza per respirare; la sua mano che persino da sopra la maglietta dell’altro riesce a sentire il battito forte di un cuore che ha ancora tanto da dare e ricevere.
«È tutto finito. Puoi smettere di tremare adesso.»
Il corpo della mora risponde a comando, come se lei non fosse in grado di fare niente, come se non fosse più neppure padrona di quel poco che le restava. Perché in realtà lei è lì solo per metà: osserva ma non vede, sente ma non prova. È come se al suo posto ci fosse un involucro vuoto che non può essere riempito in alcun modo.
Un involucro che, tuttavia, Calum ha intenzione di riempire, di curare, di far tornare a splendere usando tutte le forze che ha. Perché ora che ha ritrovato Letizia, non vuole perderla più, per nessuna ragione al mondo. Perché è lei la ragione che continuamente lo spinge a non mollare; che lo spinge a vivere e a combattere con le unghie e con i denti. È grazie a lei se alcune idee del passato non si sono più ripresentate. È grazie a lei se lui è ancora lì.
Lui; a cui non sembra vero di poterle stare nuovamente vicino; a cui non interessa il dolore che prova addosso; a cui sembra impossibile stringere quella ragazza senza percepire l’aprirsi di nuove ferite dentro al cuore. Lui; che le vuole troppo bene; che la ama come non hai mai amato nessuno, neppure quella persona che ora non c’è più.
Poi, all’improvviso, Letizia alza gli occhi color cioccolato, incontrando quelli color caffè di Calum.
E subito il respiro le muore in gola. Perché, nonostante tutto quel tempo passato lontani, quegli occhi più scuri dei suoi continuano a farle sempre lo stesso effetto; continuano a farle battere fortissimo il cuore; a farla sentire sulla cima del mondo, in grado di combattere e abbattere qualsiasi cosa; a farle toccare il cielo con la punta delle dita; a darle una speranza di cui ha bisogno più di quanto voglia ammettere.
E nonostante sia passato un mese dall’ultima volta che loro due si sono guardati davvero, è come se quei giorni passati lontani non fossero mai esistiti; è come se fossero parte di un brutto sogno da cui entrambi si sono finalmente svegliati grazie all’aiuto dell’altro. È come se tutti i muri che si erano costruiti attorno fossero caduti all’improvviso, lasciando i loro cuori esposti a sentimenti che non vogliono più contrastare, nonostante la paura.
Letizia lo osserva, a lungo, perdendosi in quel colore caldo, in quello sguardo tranquillo, rassicurante; in quegli occhi che sanno di casa, di benvenuto, di un qualcosa da cui è molto meno lontana di quanto pensi. Lo osserva; lascia che il suo calore curi ciò che c’era da rimettere in sesto; lascia che il suo cuore torni a battere con più vigore, con più coraggio e voglia di continuare a lottare. Lascia che quel ragazzo moro che le ha stravolto la vita entri completamente dentro di lei. Perché soltanto lui è in grado di riempire quegli spazi vuoti dentro la sua anima.
Lui che, come la mora, si lascia avvolgere da quel color cioccolato, da quello sguardo pieno di affetto e di un qualcosa in più che solo adesso sta iniziando davvero a capire. Lascia che quel calore tiepido, dolce, quasi timido, si insinui nelle sue ferite per curarle, per mandarle un po’ via; per attenuare il vuoto che, da quando Letizia è piombata nella sua vita, non ha fatto altro che diminuire, lentamente, giorno dopo giorno, senza che lui riuscisse ad accorgersene, concentrato com’era a capire quella ragazza fatta tutta a modo suo. Quella stessa ragazza di cui si è innamorato senza prevederlo, senza notare segnali di alcun tipo. Quella stessa ragazza che non vuole abbandonare mai più. Quella stessa che riesce a sorprenderlo sempre con il suo comportamento fuori da ogni schema, libero; proprio come in quel momento in cui il silenzio viene spezzato da una voce che lui non sentiva da settimane.
«Sei uno stupido!»
Sono quelle le prime parole che Letizia gli rivolge dopo tutto quel tempo. Sono quelle le prime parole che riesce a far uscire dopo quel terrore che spera di non provare mai più, per nessun motivo al mondo. Sono quelle le prime parole che lascia andare. E non le importa se non sono quelle a cui aveva pensato giorno dopo giorno nella speranza di vederlo tornare. Ora che ha dato via libera a quello che pensa, è difficile tornare indietro. Ma a nessuno dei due importa; perché entrambi sanno quanto sia importante sfogarsi, di tutto.
«Mi hai fatto morire! Tu… Non hai idea di quanto sia stata in ansia per te! Non–»
«Leti, smettila.» la frena lui, posando le mani sulle sue guance. «Sono vivo, sono qui. Non fasciarti la testa.»
Lei sbuffa e si libera dalla presa, tirandosi indietro. Ma avrebbe preferito non farlo, se solo avesse saputo che la conseguenza sarebbe stata sentire nuovamente un improvviso vuoto dentro al petto. Un vuoto che pure Calum percepisce distintamente, ma al quale non vuole dare la benché minima importanza.
Respira forte, lei; chiude gli occhi solo per un attimo, per tranquillizzarsi, per rallentare i battiti del proprio cuore. Poi li riapre; e non si sorprende nel notare Calum osservarla preoccupato. Perché certe cose non cambiano mai.
«Non mi fascio niente. Però lascia che ti medichi le ferite.» gli dice atona, prima di voltarsi e prendere il piccolo kit del pronto soccorso custodito in un cassetto della cucina. Sta di spalle, non lo guarda. Perché ha paura di non riuscire a frenare le sue emozioni se dovesse continuare a parlare.
Ed anche perché non riesce ad aggiungere altro, non appena scorge le macchie violacee sul corpo magro del ragazzo, mentre il cuore si ferma nel petto al vedere le poche gocce di sangue rimaste sul viso e sulle mani, come lievi tracce di qualcosa che è stato subito buttato alle spalle per dimenticarsene del tutto.
Sfiora delicatamente ogni livido, Letizia, con la punta fredda delle dita, quasi avesse paura di essere lei stessa a causarne altri, a fargli ancora più male. Li sfiora uno ad uno, anche quelli sulle braccia, tracciando distrattamente il contorno di quei tatuaggi che vede per la seconda volta in tutti quei mesi, passando sopra le cicatrici delle punture. Cicatrici che, al solo sentirle sotto la pelle, la fanno rabbrividire, le fanno tornare in mente le settimane di puro inferno appena passate. Settimane, ricordi, che la ragazza non vuole rivivere, non così presto.
E non si rende conto di star piangendo fino a che le dita di Calum non passano sopra il suo viso, facendo in modo che i loro sguardi si incontrino e si perdano l’uno nell’altro, cancellando pian piano ogni traccia di un dolore che il ragazzo non vuole più vedere, non negli occhi di Letizia.
«Guarda come ti ha ridotto…» sospira la mora; la voce incrinata, il corpo che trema.
Lui sorride lievemente. «Non fanno poi così male, non preoccuparti.»
La ragazza lo guarda preoccupata. «Si può sapere cos’hai nella testa?»
«E si può sapere cosa ci facevi in giro a quell’ora?»
Lei sospira e si porta una ciocca scura dietro l’orecchio, mentre gli disinfetta attentamente le nocche e parla con gli occhi nuovamente bassi, raccontandogli una parte della sua vita che con lui non aveva mai scoperto prima di quel momento. «Sono andata al Children Hospital a trovare un amico.»
Lui la osserva, senza riuscire a capire; lei allora gli spiega. «Si chiama Michael.»
Subito, quel nome fa scattare in una sola volta troppe serrature che il moro avrebbe preferito aprire con più calma, per darsi il tempo sufficiente per prepararsi ad affrontare nuovamente tutto quanto.
«Michael?» chiede. Perché è impossibile che Letizia conosca proprio…
«Michael Clifford.»
E Calum si ritrova a chiedersi perché alla vita piaccia giocare così tanto con gli essere umani. Si domanda che gusto provi nel vederli arrancare, nel vederli cadere, schiacciati dal peso del dolore e dei ricordi, delle ferite e delle paure. Si chiede perché non ne abbia mai abbastanza.
«Vado a trovarlo da qualche mese. In un certo senso, è stata Azura a farmelo conoscere.»
Lui non chiede altro. Resta in silenzio, pur di non pensare, pur di non ricordare. Perché ha tanta, troppa paura.
La ragazza si preoccupa delle sue ferite e dei suoi lividi, medicandolo per come può, seguendo i consigli che Azura le ha dato tempo prima. Anche se cerca di non pensarci, avrebbe bisogno di parlare ancora con il moro; di trovare le risposte di cui ha bisogno. Ha bisogno di capire una volta per tutto. Però aspetta; in fondo, conosce Calum, e sa che lui ha bisogno dei suoi tempi per aprirsi.
Una volta finito, mette tutto l’occorrente in ordine e si avvia in camera sua, seguita dal suono dei passi dell’altro dietro di lei. Quel suono che le era mancato da morire e che le ricorda tutti i momenti passati insieme, a conoscersi, a scoprirsi lentamente, a crescere insieme senza rendersene conto.
Si accomoda sul pavimento; le gambe incrociate, la schiena posata alla fine del letto, il cuore che protesta piano.
Il ragazzo le si siede davanti, posandosi alla parete piena di foto, senza aver bisogno di chiedersi il perché lei non lo stia guardando. Perché gran parte delle risposte alle sue domande lui le ha già; solo che… Preferisce non dar loro attenzione, non per adesso almeno. Non quando ci sono questioni più urgenti da risolvere il prima possibile.
«Grazie.» le dice. Proprio come la notte in cui si sono conosciuti.
Letizia allora lo guarda attentamente, lo osserva a lungo, come a volersi imprimere nella memoria ogni più piccolo particolare di quel viso che ha popolato i suoi sogni in quelle ultime settimane. Settimane in cui ha faticato per non mollare tutto, per evitare di cadere a picco, per rimettere in sesto quel poco che le era rimasto, per non impazzire ulteriormente. Settimane in cui ha cercato di accettare la decisione di Calum, senza però riuscirci, nonostante gli sforzi. Settimane in cui è a malapena riuscita a gestire le sue emozioni. Emozioni che adesso sono un turbine, un tornado incontrollabile. Allora prende un respiro. Poi lascia che tutto ciò che ha dentro al cuore esca. E all’improvviso, si libera, di ogni singolo peso. Perché ha aspettato troppo tempo. Ed ora che ne ha l’occasione, non vuole sprecarla per niente al mondo. Non quando si tratta della persona più importante della sua vita.
«Perché?» una domanda semplice, innocua, che racchiude molto più di quanto voglia far intendere.
Calum non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Però resta in silenzio. Perché avrebbe talmente tante cose da dirle, da farle capire, che non saprebbe da quale cominciare.
Sospira e si passa nervosamente una mano tra i capelli scuri e sul viso, ora privo di tracce di sangue, pulite dal disinfettante. Sposta lo sguardo verso la finestra, verso il blu della sera, con le stelle che iniziano a farsi vedere a fatica, piccole scintille troppo poco potenti per illuminare la volta immensa del cielo.
Perché, nonostante sia innamorato di Letizia più di quanto vorrebbe, non riesce a darle tutte le spiegazioni che merita? Perché ha così tanta paura di risponderle, di rivelare il motivo che l'ha spinto ad agire in quel modo? Perché, nonostante la forza dei suoi sentimenti, prova ancora la paura di perderla? Perché non vuole sbagliare, Calum, non un'altra volta, non quando potrebbe perdere davvero quella ragazza mora che per lui è diventata il suo tutto senza che lui se ne rendesse conto davvero, fino a che non è stato troppo tardi.
«Perché, Cal?» chiede ancora Letizia. Una semplice domanda, a cui basterebbe sul serio un’unica risposta, anche quella più stupida. Basterebbe per colmare il vuoto che Calum ha creato dentro di lei andandosene senza una spiegazione, evitandola, non parlandole, escludendola all’improvviso dalla sua vita. Basterebbe per cancellare le lacrime versate in silenzio. Basterebbe per ricominciare da capo, senza rancore, senza dolore, senza ulteriori ferite di cui nessuno dei due ha bisogno. Basterebbe per fermare l’inferno che la mora sente dentro da quando si è ritrovata senza la persona più importante della sua vita.
«Guardami, per favore.»
Lo prega, con il cuore in mano che trema come una foglia troppo debole per restare attaccata ad un ramo. Una foglia che è caduta. Una foglia che la mano di Calum ha appena ripreso, evitando che si rompesse ulteriormente.
Perché non appena i loro occhi si incontrano ancora una volta, ogni vuoto scompare, ogni ferita si risana quasi del tutto, ogni battito si fa sentire fin dentro le ossa, ogni brivido sulla pelle diventa più intenso del precedente. Ed il coraggio che mancava arriva all’improvviso, aprendo porte e lucchetti chiusi da troppo tempo.
«Ho bisogno di una spiegazione.» sospira lei. E stavolta, la risposta che aspettava arriva.
«Avevo troppa paura di perderti, Leti; di spaventarti per quello che sono, di vederti andare via e non tornare.»
«Non ne avresti avuto motivo.» si ritrova a sussurrare lei piano, d’istinto, con il cuore che batte forte; l’anima che freme; le mani che tremano anche se strette tra loro. «Io sarei rimasta in ogni caso. Rimarrei sempre.»
«Questo è quello che più mi spaventava.»
Letizia sgrana gli occhi. «Perché?»
«Perché mi sarei sentito in colpa, per tutto.»
Lei divide i loro sguardi, solo per un attimo, il tempo di decidersi a lasciar andare tutta quella rabbia sorda che ha cercato di contenere durante le ultime settimane. Una rabbia ed uno sconforto che lentamente l’hanno divorata, distrutta. Una rabbia che, almeno per adesso, è più forte di tutto il resto – più del sollievo di riavere Calum con lei; più del senso di benvenuto che sente dentro da quando i loro occhi si sono guardati davvero; più del fatto che stanno parlando di nuovo; più di ciò che prova per lui ma che non è ancora pronta ad accettare.
«Tu ti saresti sentito in colpa?!» la voce più alta del solito, gli occhi un poco più lucidi, il cuore che protesta come tutte le volte. «E non ti è passato per la testa che mi sarei preoccupata comunque, indifferentemente da cosa tu stessi facendo? Non hai pensato che meritassi una spiegazione? O che non sarebbe stato semplice per me svegliarmi un giorno e vedere te che mi eviti? Non hai pensato a come sarebbe stato difficile accettare il fatto che ad un tratto ti fossi stancato di me, quando per me tu sei la cosa più importante che ho? Non hai idea di quanto facesse male vederti ma non poterti parlare, sentirti ad un muro di distanza ma non poterti abbracciare, volerti aiutare ma non sapere come… Fa male anche adesso, Cal… Fa male perché mi sei mancato da morire e… Non puoi tornare come se non fosse successo niente… Perché tu non ci hai mai pensato… Vero?»
«Ci ho pensato, invece!» ribatte lui; la stessa rabbia che ha bisogno di sfogarsi ancora un po’, le mani tremanti, l’anima sconfitta ancora una volta. «Ci ho pensato giorno e notte, ogni singola fottutissima ora ho pensato a quanto male ti stessi facendo, a cosa stavo facendo ad entrambi. Ho pensato a come ti stavi riducendo a causa mia. Ti ho vista ogni giorno diventare sempre più debole, sempre più triste. E non sai quanto avrei voluto essere con te e dirti che sarebbe andato tutto bene. Però… Niente andrà per il verso giusto, Leti… Ci ho provato, ogni volta; ho cercato di reagire, ma non è cambiato niente… Cos’altro avrei dovuto fare?!»
«Avresti potuto parlarmene.» sussurra la ragazza; il cuore a pezzi, le lacrime che nuovamente le rigano le guance, in silenzio, senza che lei se ne accorga. «Avresti potuto sfogarti con me; chiedermi una mano; domandarmi tutto quello di cui avevi bisogno… Avresti potuto ancorarti a me.»
Lui scuote lentamente la testa, prima di posarla al muro. Poi chiude gli occhi. «L’avresti fatto pure tu?»
La mora non risponde; Calum apre gli occhi. «Mi stai dicendo che avrei potuto fidarmi di te. Tu l’avresti fatto?»
Letizia lo guarda, senza ombra di dubbio nello sguardo. «Io mi sono sempre fidata di te, Cal. Ho messo tutto quello che sono nelle tue mani perché pensavo che l’avresti trattato con cura…»
L’altro sospira. «Però ci sono parti di te che ancora non conosco.»
«Vale lo stesso per me, Cal.» commenta l’altra; gli occhi nuovamente rivolti verso il pavimento. Occhi che poco dopo notano delle dita affusolate allacciarsi alle sue, timidamente, quasi avessero paura di causare altre ferite. Dita a cui la ragazza si ancora subito, d’impulso. E non appena il calore familiare della pelle di Calum torna a farsi sentire a contatto con la sua, Letizia si ritrova a chiedersi come sia riuscita a resistere senza di lui per tutto quel tempo.
Il moro le si siede vicino, in silenzio, con il cuore che batte così forte da fargli a volte morire il fiato in gola. Lei non ci pensa due volte a posare la testa sulla sua spalla. E ad entrambi sembra di essere tornati ad un mese e mezzo prima, quando ancora i segreti non avevano mandato a monte tutto.
Calum inizia a giocherellare con le dita magre dell’altra, intrecciandole con le proprie, lasciandole andare, accarezzandole delicatamente una per una, tranquillizzandosi nel percepire sotto i polpastrelli quella pelle liscia e tiepida che lo ha sempre fatto sentire a casa.
«Anche io mi sono sempre fidato di te, Leti. Il problema è che non mi fido di me stesso.»
La mora sospira debolmente. Ora che la rabbia è svanita, ora che alcune domande hanno finalmente trovato la loro risposta, ora che sa di poter procedere con più calma; non ha motivo di attaccarlo ulteriormente.
«Tutti noi abbiamo parti della nostra vita che troviamo difficili da lasciar vedere agli altri. Sono quelle parti che ci rendono ciò che siamo. Sono l’unione delle nostre esperienze, delle nostre emozioni, di quello che ci ha portato a sviluppare il nostro carattere in un determinato modo.»
Lui sorride lievemente. «Citazione di quale libro?»
Lei sorride a sua volta. «Il mio.»
«Sai che prima o poi lo leggerò, vero?» le dice il moro, divertito.
L’altra annuisce, più tranquilla di prima. «Certo. Prima però fammelo finire.»
Calum la stringe a sé. E non gli sembra vero di star provando una felicità simile. Una felicità che non sentiva dentro da troppo tempo. Una felicità che sta cancellando definitivamente il ricordo di un paio di occhi così verdi da sembrare trasparenti per far posto ad un paio color del cioccolato. Quello stesso cioccolato che sta osservando proprio adesso, senza paure, senza maschere di alcun genere.
Quello stesso cioccolato che nasconde sentimenti, parole, che solo Letizia per adesso conosce. Sentimenti e parole che prima o poi troveranno il modo di uscire, ne è sicura.
«Cal?» lo chiama; lui la guarda, non capendo. «Non hai risposto alla domanda.»
«Quale?»
La mora sospira e si sistema meglio gli occhiali sul naso. «Perché ti sei comportato così?»
L’altro prende un respiro profondo ed aumenta un poco la stretta sulle spalle della ragazza.
«Perché volevo proteggerti.» inizia e, senza rendersene conto del tutto, lascia libero ciò che aveva dentro. «Volevo proteggerti da quello che sono e da quello che potrei diventare se non riuscissi a dire basta una volta per tutte. Volevo evitare che ti prendessi sulle spalle pesi più grandi di te. Volevo evitare di farti preoccupare. Volevo evitare di dipendere anche da te. Volevo evitare di farti stare male.»
Letizia lo guarda, lo ascolta attenta. Ed ogni parola è come un sasso che viene mandato via da dentro di lei, liberandola da un peso che non credeva di poter tenere sulle spalle ancora per molto. Ascolta; e solo adesso capisce perché Calum si sia comportato in quel modo; solo adesso capisce che lui ha agito così perché le vuole bene davvero; solo adesso capisce che pure lui ha sofferto, addirittura forse più di lei, nel prendere una decisione così drastica. Solo adesso capisce quanto importante per lui sia ciò che hanno condiviso in tutti quei mesi.
«Volevo… Proteggerti da me stesso.» ammette il moro.
E la ragazza si ritrova a sorridere, mentre il cuore torna a battere forte, mentre gli occhi le si riempiono di altre lacrime, mentre i pezzi della sua anima tornano ad essere uno solo. Piange; perché non avrebbe mai creduto che Calum stesse così male; che avesse così paura di se stesso tanto da allontanare chi ama, non accettando alcun tipo di aiuto da parte di chi gli vuole bene. Non avrebbe mai immaginato che lui si fosse ridotto in quel modo, solo per evitare che le persone a cui tiene più di tutto il resto stessero male a causa sua.
«Lo avrei fatto io per tutti e due, Cal.» sussurra allora, lasciando che il calore del ragazzo le entri dentro.
Un sussurro che Calum sente benissimo. Un sussurro che gli fa battere forte il cuore; che gli riempie gli ultimi spazi vuoti della sua anima; che lo fa stare bene; che cura quel che c’era da sanare; che unisce quel che prima si era diviso. Un sussurro che gli fa capire che Madison aveva ragione da vendere, fin dall’inizio.
«Non avrei potuto sopportare di perderti.»
«Neppure io, se è per questo.» commenta la ragazza, passandosi nervosamente la mano tra i capelli sciolti.
Poi i loro occhi si incontrano, ancora una volta. E di nuovo, tutto torna ad avere più colori, ad essere più vivace, più luminoso, più bello; tutto torna ad avere quella sfumatura particolare che a nessuno dei due passa inosservata quando sono insieme. Di nuovo, tutto torna ad avere un senso; ad avere uno scopo, un motivo per cui continuare a lottare fino alla fine, senza darla vinta a niente e nessuno. Di nuovo, riescono a trovare una parte di se stessi nella persona che hanno davanti e che stanno imparando a conoscere. La stessa persona che li sorprende sempre, ogni volta; che li fa stare; che li rende capaci di toccare il cielo con la punta delle dita. Quella persona speciale che non potrebbero mai perdere, per nessun motivo al mondo. Perché senza di lei, niente sarebbe lo stesso. Perché, per Calum, Letizia è il suo angelo, è il miracolo che l’ha salvato dall’inferno silenzioso che la sua vita stava diventando.
«Scusami.»
«Non fa niente, Cal.»
Si guardano a lungo, loro due. E di parole da dire, di sentimenti da sfogare, ne avrebbero davvero tanti. Eppure…
Lui si perde in quello sguardo intenso e vivo; quello sguardo contro cui, finalmente, non deve più usare maschere.
Lei si lascia avvolgere dal calore di quegli occhi scuri; quegli occhi che, finalmente, la fanno sentire a casa.
Il moro le accarezza il viso, delicatamente, come se avesse tra le mani il più prezioso dei tesori. E intanto, lascia che tutte le emozioni che ha dentro, tutti i sentimenti che prova, si concentrino in un unico punto. Perché nel cuore sente che è il momento giusto; che quella volta non compirà un errore; che niente andrà storto, fintanto che Letizia resta con lui; che non ha più niente di cui avere paura. Sente che non sbaglierà, non adesso che è così vicino.
Allora prende un respiro. Poi, lascia che l’amore prenda il sopravvento su tutto il resto.
«Ti amo.»
Due parole che rompono il silenzio tra di loro; semplici, portatrici di un qualcosa che nessuno dei due conosce fino in fondo. Parole che lui non avrebbe mai creduto di poter ridire a qualcuno e che lei non avrebbe mai immaginato di poter sentire. Due parole che entrano timidamente nel cuore di entrambi per non uscirne più.
E prima che Letizia riesca a capire davvero cosa abbia detto l’altro, Calum la bacia, mandandole in tilt il cuore, facendo tacere ogni pensiero. Ed è come se le loro anime si inondassero completamente di luce all’improvviso.
Le loro labbra si modellano lentamente, le une sulle altre, morbide, tiepide, dolci. Labbra inesperte che devono abituarsi; che devono scoprire un mondo nuovo; che iniziano ad assaporarsi, a giocare, ad accarezzarsi con delicatezza, quasi avessero paura di ferirsi a vicenda. Labbra che tremano; che sanno di casa. Labbra che trasmettono un sentimento che nessuno dei due ragazzi aveva mai provato prima di quel momento. Labbra che, secondo dopo secondo, diventano sempre più decise, più sicure di ciò che stanno facendo. Labbra che si schiudono piano.
Ed il resto è un gioco di battiti del cuore a volte più veloci, altre più lenti; di respiri sulla pelle che fanno rabbrividire; di sospiri che accarezzano il viso; di brividi che corrono su tutto il corpo; di lingue che si divertono a rincorrersi e a danzare insieme; di anime che vibrano; di occhi chiusi; di labbra stese in sorrisi che non se ne andranno tanto presto; di sentimenti che crescono ogni istante che passa.
Poi Calum divide le loro labbra, lentamente, posando la fronte su quella di Letizia mentre stringe a sé la mora. E non gli importa se per adesso l’altra non dice niente, se ci vorrà del tempo per far crescere ciò che li lega, se dovrà combattere per due da ora in poi, se rimbalzerà sui muri che forse la mora ha ancora attorno al cuore. Non gli importa delle difficoltà. Finalmente ha capito che vuole stare con lei, che vuole continuare a vivere per lei.
Letizia, che adesso non sa davvero come comportarsi, come reagire; che ha più paura dell’altro di sbagliare; che non crede di meritare qualcuno di così bello e speciale come il ragazzo che la sta stringendo adesso; che non avrebbe mai pensato di poter vivere qualcosa di simile, nonostante i troppi libri letti ed i troppi film visti sull’argomento; che sente battere fortissimo il cuore dentro al cuore, sperando che il maggiore non se ne accorga; che non sarebbe mai aspettata una corrispondenza nei sentimenti del suo vicino di casa; che sa cosa dovrebbe rispondere, ma che non riesce a trovare il coraggio sufficiente per farlo.
Si guardano, sorridendosi timidi e complici mentre le loro guance si tingono lievemente di rosso.
«Non andartene.»
Letizia sorride, mentre sente un calore tiepido, dolce, scaldarle l'anima, facendo fremere ogni sua più piccola cellula. Non ha bisogno di pensare a cosa dire. Perché risposta è sempre stata lì, a portata di mano, solo che ha preferito non vederla fino a quel momento. 
«Non ti lascerei per nessuna ragione al mondo, Cal.»
E non fa in tempo ad aggiungere altro, che subito le labbra morbide e piene del moro sono di nuovo sopra sulle sue, dolci delicate, pazienti, pronte a rubarle un bacio veloce, strappandole un sorriso luminoso che lui da troppo tempo non vedeva su quel viso bello come una stella. 
«Ti amo.» ripete lui.
Ti amo anche io, pensa lei. Ma non lo dice ad alta voce
.





Letizia
Ecco... Sì, insomma... COSA POSSO DIRE DOPO UN CAPITOLO SIMILE?!?!?!?! 
CIOE', I LALUM SI SONO BACIATI, SI SONO BACIATI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ed io ho perso cuore ed anima mentre scrivevo questo capitolo, ma who cares u.u L'importante è che sia uscito esattamente come volevo *^*.
Spero davvero che vi sia piaciuto, è uno di quelli a cui tengo particolarmente :3 *^*
Fatemi sapere che cosa ne pensate, ci conto davvero tantissimo!
Ci sentiamo presto; grazie per ogni singola cosa, siete meravigliosi ed io vi adoro troppo! <3
Un bacione, Letizia <3
P.s.: il 1° luglio ho dato l'orale di maturità, e adesso sono libera!!! *^*

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Capitolo 25
*** Venticinque ***


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(Per cortesia, leggete l'angolo autrice; è importantissimo oggi! Buona lettura! <3)

Venticinque
 
 
 
Un sentimento che a volte fa così paura che si preferisce relegarlo in un angolo.
Perché fa paura soffrire, perdersi, andare in frantumi, condividersi, aprirsi all’altro.
Perché quando si crede che l’amore porta solo dolore, è difficile lasciarsi andare davvero.
 
 
 
Se non fosse stato per Luke Hemmings, Madison a quell'ora si sarebbe ritrovata a girovagare per la città senza una meta ben precisa, con troppi pensieri a riempirle la testa, il cuore; ad appesantirle l'anima. Sarebbe andata al parco del suo quartiere, per rifugiarsi sotto il salice piangente come tutte le altre volte. Avrebbe tenuto la musica alta nelle orecchie per non dare spazio a niente, per sciogliere anche solo di poco quelle catene che la trattengono a terra impedendole di volare via, libera come avrebbe sempre voluto essere.
Invece eccola lì, con il ragazzo che da quattro mesi è diventato il centro di tutti i suoi pensieri, senza che lei potesse impedirlo. Lo stesso ragazzo che, per quel pomeriggio, le ha proposto un giro in città diverso dal solito, pur di stare insieme a lei il più possibile. Ma questo, Madison non lo sa; Luke preferisce così.
Sono saliti sul bus da una mezz'ora buona, ma è come se fossero trascorsi solo cinque minuti. Non riescono a smettere di chiacchierare, ridere, scherzare, divertirsi come non succedeva da un po' di tempo, a causa della scuola con i suoi impegni e tutta la miriade di altre cose di cui entrambi devono preoccuparsi anche quando non vorrebbero. Hanno così talmente tanto dentro, che qualche volta si ritrovano persi, disorientati. E sanno che, se non fosse per la persona che hanno accanto, non ritroverebbero mai la giusta bussola da seguire.
Si guardano mentre si parlano, intensamente: il castano che si perde nel mare, le labbra che non riescono a smettere di sorridere, i brividi che corrono lentamente sulla pelle; il cuore che continua a battere sempre più forte, a volte così tanto da mozzare loro il respiro nella frazione di un attimo, sorprendendoli, lasciandoli senza alcuna difesa contro quel qualcosa che non conoscono e non sanno come prendere, affrontare, tener lontano.
Luke osserva Madison, intensamente, a lungo. E non riesce a dire niente. È come se dentro di lui alcuni ingranaggi di vitale importanza avessero smesso di funzionare, all'improvviso, senza dargli modo di preparare un piano di riserva. Non sa come comportarsi, non con quel calore che percepisce dentro al petto. Un calore dolce, tiepido, in grado di mettere a tacere i suoi demoni almeno per un po'. Non sa cosa sarebbe meglio fare, cosa dirle. Perché ha troppa paura di rovinare tutto quanto. Ha paura di perdere la sola persona che è riuscita a fargli dimenticare le ferite anche se solo per poco. Ha paura di perdere la ragazza a cui tiene più della sua stessa vita.
La ragazza che ama più di tutto il resto.
Non ha la benché minima idea di come sia successo, di come quel sentimento sia nato. Sa solo che, fin da quando si sono conosciuti, Madison è sempre stata il suo chiodo fisso, giorno e notte, senza sosta. Si è sempre dimostrata l'unica capace di capirlo, di tirargli su il morale, di farlo tornare a sorridere davvero, come non succedeva da tanto tempo. Si è dimostrata la sola pronta a tutto pur di farlo stare bene. Si è dimostrata l’unica persona di cui gli importi davvero, senza alcuna riserva.
E lui… Si è ritrovato a preoccuparsi per lei, molto più di quanto avrebbe mai immaginato. Si è ritrovato a dipendere da lei e da tutto ciò che la riguarda senza rendersene conto fino a che non è stato troppo tardi. Si è ritrovato ad aver paura di restare all'improvviso senza di lei, senza la sua risata allegra, i suoi occhi profondi e bellissimi, il suo modo di fare semplice e diretto che riesce sempre a spiazzarlo un po'. Si è reso conto che senza di lei non riuscirebbe ad andare avanti.
E più la guarda, più si rende conto che non ha la benché minima idea di come gestire quella situazione, di come affrontare quel qualcosa nettamente più grande di lui. Ha troppa paura di commettere errori su errori. Ha paura di vederla andare via senza spiegazione, senza neppure un addio. E lui non vorrebbe, non vorrebbe perderla per niente al mondo, non quando proprio il suo mondo ruota attorno a lei.
Sono passati due mesi da quando Madison ha scoperto di Liz. E non ha mai cambiato atteggiamento nei suoi confronti; non ha mai infierito sulle ferite, né fatto domande di alcun tipo. Non le ha mai visto negli occhi né pietà né compassione, solo tanto affetto. Un affetto che è diventato la sola medicina in grado di rimetterlo in piedi quando forze più grandi di lui lo schiaccino contro il suolo. Un affetto a cui lui tiene più di tutto quanto, perché è una delle poche cose belle che la vita gli ha dato e vuole tenersela stretta il più a lungo possibile, non importa se dovrà rinunciare a volere qualcosa di più.
Sono due mesi che si è reso conto di essersi innamorato di Madison, quando si è presentata a braccia aperte nel momento più buio di tutti. Due mesi da quando ha imparato a decifrare i messaggi del suo cuore perennemente in corsa, della sua testa sempre concentrata su un paio di occhi grandi e talmente intensi che spesso riescono a farlo sentire piccolo, una nullità in confronto a tutto il resto. Due mesi da quando le sue idee sono diventate ancora più confuse. Perché l’amore è un’arma a doppio taglio.
E subito, il pensiero di un’altra ragazza si fa largo nella testa del biondo. Una ragazza conosciuta su Twitter ormai sette mesi prima. Una ragazza che, lentamente, ha preso un posto molto particolare nel suo cuore; un posto che Luke difficilmente cederà a qualcun altro. Perché Madx è sempre stata accanto a lui, senza lasciarlo neppure per un attimo; ha sempre cercato di tirargli su il morale ogni volta che era a pezzi; è sempre riuscita a fargli tornare il sorriso con poco, come se fosse una magia che solo lei riesce a fare; non si è mai tirata indietro. Ed il biondo, anche se non le ha ancora raccontato tutta la sua storia, sa di potersi fidare di quella ragazza forse troppo lontana da lui, fatta tutta a modo suo. Proprio come Madison.
Un brivido gli corre lungo la schiena, facendolo tornare con la mente alla realtà. Sospira piano, cercando di rimettere in ordine le idee, di tranquillarsi. Poi i suoi occhi color del mare corrono al panorama visibile dal finestrino e sorride lievemente, nel notare che la loro fermata è ormai vicina.
Occhi color del mare che non notano quelli castani dell’altra posati sulla sua schiena. Perché la bionda, ora che ha la possibilità, si permette di osservare il ragazzo senza paura, senza doversi preoccupare di proteggere ciò che porta dentro al cuore e che custodisce come il più grande dei tesori. Ha la possibilità di osservare ogni parte del corpo del maggiore, per imprimersela nella mente, per paura di dimenticarsi anche il più piccolo dei dettagli. Nel mentre, cerca di non dare spazio a quei sentimenti che vorrebbero uscire, sfogarsi, trovare il loro posto nel cuore della persona accanto a lei. Una persona che, tuttavia, non sarà mai ciò che Madison desidera.
Perché sa di provare qualcosa di dannatamente forte per Luke, qualcosa che non ha mai provato per nessun altro prima di quel momento. Eppure… Sa che non le sarà mai concesso un dono così grande. Dopotutto, la vita ha sempre giocato contro di lei, mettendole davanti così tanti ostacoli che alla fine sono riusciti ad avere il sopravvento su tutto. Da quello che ha passato, avrebbe dovuto imparare che la vita non dà niente di buono a nessuno se non riceve qualcosa in cambio. E Madison è conscia che non deve sperare in niente, perché non ha niente da dare.
Sospira stancamente e si passa una mano tra i lunghi capelli biondi, sistemandoli dietro lei orecchie.
E intanto si chiede che cosa abbia fatto per meritarsi qualcosa di simile. Si domanda cosa c’è che non vada in lei per aver ricevuto quei sentimenti che non dovrebbe provare, non per Luke, non per l’unica persona capace di riportare un po’ di luce nel buio dell’inferno in cui era caduta. Perché Madison sa di non meritare un ragazzo come lui; sa che non avrà mai speranza; che le cose non andranno come lei spera.
Eppure… È innamorata di Luke. E non può farci niente. Non dopo aver tentato di tutto per dimenticare, per nascondere, per fermare quei sentimenti scomodi, dei quali ha paura molto più di quanto voglia ammettere. Sentimenti che per lei sono una completa novità, che non sa come affrontare. Sentimenti che le ricordano troppo bene quanto poco lei valga, quanto la sua vita somigli ad un pugno di polvere inconsistente.
Si è innamorata senza capirlo, senza pensarci, come se in qualche modo il cuore avesse già deciso al posto suo, senza chiederle niente, conducendola in un vicolo da cui non è possibile trovare una via. Per lo meno, non così in fretta. Perché nessuno riesce ad uscire in fretta dalla trappola dell’amore; nessuno è abbastanza forte da contrastarlo completamente, da sradicarlo dal proprio cuore. Solo pochi ci riescono, ma ciò che resta di loro non ha niente della luce che le emozioni donano. Perché estirpando l’amore, si rinuncia a tutto quello che rende la vita degna di essere vissuta in ogni suo aspetto.
E a Madison non importa se dovrà soffrire, non le importa della paura che sta prendendo sempre più campo dentro di lei. Anche se sa di non meritarsi Luke, non ha la benché minima intenzione di rinunciare a quei sentimenti che la stanno rendendo viva dopo tanto, troppo tempo. Sentimenti che, lentamente, alimentano un calore che le arriva fin dentro l’anima, scuotendola dal torpore in cui era caduta
Non ha pura di ciò che prova; ha paura delle conseguenze che potrebbero portare. Ha paura di perdere Luke, anche se sa che farà di tutto perché i suoi sentimenti non vadano oltre i limiti fragili che si è imposta; sa che farà qualsiasi cosa pur di reprimerli, pur di non farli esplodere.
Perché è sicura che, se Luke dovesse conoscere la sua storia, le volterebbe le spalle in silenzio, nonostante tutte le tacite promesse che in quei quattro mesi si sono fatti a vicenda, per curarsi, per salvarsi, per dare all’altro la speranza di cui hanno bisogno per non rinunciare a combattere una volta per tutte.
Prende il telefono per vedere che ore sono. E non appena vede la notifica di un messaggio su Twitter, si sente irrigidire. Perché c’è pure lo strano rapporto che ha con Lu_x a cui deve pensare. Un rapporto che da ben sette mesi le sta dando molto più di quanto avrebbe mai immaginato. Un rapporto che lei vorrebbe concretizzare, anche solo una volta, per ringraziare quel ragazzo per ogni cosa che ha fatto per lei. Perché Madison vorrebbe conoscere Lu_x; vorrebbe vederlo, abbracciarlo forte, parlare di ciò che amano e che hanno in comune. Vorrebbe sentirsi libera con lui come quando lo è con Luke.
Guarda fuori dal finestrino, seguendo lo sguardo del biondo, cercando di non dar peso a ciò che le è appena passato per la testa. E si ritrova a sorridere, triste, nel vedere il mare riflettere la luce morbida e intensa del tramonto.
 
«Siamo arrivati.» le dice Luke non appena l'autobus si ferma, distogliendola dai suoi pensieri.
«Harbour Bridge?» chiede lei sorpresa, con il sorriso che lentamente le nasce sulle labbra.
«Non dirmi che non ti piace la vista.» commenta il biondo, aspettando che l'altra scenda dal veicolo.
«Non è questo. Sai che amo i tramonti. Solo che…» riprende Madison quando iniziano a camminare; ma non riesce a finire la frase, a causa di tutte quelle parole che le premono nella gola pur di uscire, pur di farsi sentire, pur di dar modo ai sentimenti di sfogarsi. Non continua perché ha paura di dire cose che invece dovrebbero restare celate in un angolo, per evitare che qualcuno possa anche solo intravederle per la frazione di un attimo.
«Solo che?» domanda allora l’altro, senza guardarla direttamente negli occhi, limitandosi ogni tanto a far sfiorare le loro mani, così vicine che potrebbero diventare una sola, se soltanto entrambi lo permettessero, se soltanto entrambi si lasciassero andare davvero, senza paura di cadere.
Lei scuote debolmente la testa. «Non me l'aspettavo, tutto qui.»
Il biondo ridacchia divertito. «Allora dovrei farti più spesso sorprese simili.»
Madison sgrana gli occhi, presa alla sprovvista da quelle parole che mai si sarebbe aspettata. «Non devi, lo sai.»
«Non devo, ma voglio. È diverso.» ribatte il maggiore, sicuro; lo sguardo sempre fisso davanti a sé.
E la ragazza si chiede ancora una volta perché proprio lei doveva incontrare un angelo come Luke. Si domanda come mai proprio a lei sia toccata la fortuna di conoscere una persona tanto bella e unica come lui, l’angelo che è riuscito a portare un po’ di conforto in quel buio pieno di dolore. Quell’angelo che, tuttavia, non sarà mai in grado di salvarla da se stessa, dai suoi pensieri, dai suoi occhi perennemente giudici, dalle parole degli altri.
Poi lei alza lo sguardo. Luke volta il suo.
E non appena i loro occhi si incontrano, un brivido percorre le loro schiene, facendoli irrigidire, facendo loro trovare una luce che non avevano mai visto prima di quel momento. Una luce in grado di riempire i vuoti, di sanare le ferite, di farle scomparire. Una luce che arriva fin dentro l’anima e la scalda, come a volerla tenere al sicuro, lontana dal dolore e dalla solitudine. Una luce che nessuno dei due crede di meritare davvero.
Eppure… I sentimenti che hanno dentro al cuore non riescono a restare indifferenti a quel calore, a quel senso di benvenuto, nonostante i due ragazzi tentino di fermarli, di relegarli in un angolo, di nasconderli persino a loro stessi. È come se, ad un tratto, tutto avesse trovato il suo giusto posto, la sua soluzione. Una soluzione che però né Luke né Madison sono capaci di vedere. Forse perché, a volte, l’insicurezza e la paura rendono ciechi, soprattutto di fronte ad una cosa talmente bella e semplice come quella che provano dentro di loro.
«Grazie per avermi portata qui.» Madison rompe il silenzio. Poche parole, che per entrambi significano tanto.
Luke le sorride e le sistema una ciocca bionda dietro l’orecchio.
«Tu credi che adesso Calum e Letizia staranno bene?» domanda poi, cambiando discorso e puntando nuovamente gli occhi davanti a sé. Perché non riesce a reggere quello sguardo intenso e sincero, non quando ha paura che i suoi sentimenti vengano alla luce all’improvviso, senza che lui non riesca a gestirli.
La ragazza gli si avvicina, posando le braccia sul parapetto della banchina del porto.
«Ne sono sicura. Si amano troppo per lasciarsi andare e farsi del male.»
L’altro sospira piano. «Spero solo che i segreti di Calum non rovinino tutto.»
Madison scruta l’orizzonte, cercando di non pensare a quella crepa che si è appena formata dentro di lei.
«Tutti abbiamo dei segreti.» ribatte atona. «E a volte è bene tenerli per sé il più a lungo possibile.»
Luke non potrebbe essere più d’accordo di così.
 
«Non credevo sapessi guidare.» commenta sorpreso Michael, osservando curioso la mora al volante.
La mora ridacchia. «Ed io non credevo che mi avresti tenuto nascosto questo giorno fino all'ultimo.»
L'altro sospira colpevole e si passa una mano tra i capelli. E intanto, ripensa a cosa è accaduto poco prima. Ricorda l’espressione felice dell’amica al sapere la buona notizia; ricorda la voglia di riprendersi tutto il tempo perduto che lentamente gli è nata nel cuore da quando si è svegliato quella mattina; ricorda il suo voler vedere una persona davvero troppo importante.
«Volevo farti una sorpresa.» ammette; la voce bassa, tranquilla, gli occhi rivolti verso la strada.
«Ci sei riuscito in pieno.» concorda Letizia che, tutt’ora, fatica a rendersi conto di ciò che è successo solo pochi minuti prima. Era andata a trovare Michael, convinta di passare il pomeriggio a raccontargli di ciò che era accaduto tra lei e Calum. Invece si era ritrovata davanti un ragazzo perfettamente sano, in grado di stare in piedi da solo, senza gessi alle gambe, senza stampelle a cui reggersi, con dei vestiti puliti addosso, un borsone pieno in mano ed una luce bellissima negli occhi che lei non aveva mai visto prima di quel momento.
«Finalmente esco da qui.» le aveva detto piano; gli occhi lucidi ed il sorriso sulle labbra.
E lei, nella frazione di un attimo, si era ritrovata ad abbracciarlo forte, a tenerlo stretto, a festeggiare con lui quell'avvenimento che entrambi aspettavano da mesi. Non avrebbe mai pensato che Michael potesse tornare a casa così presto, non con tutto il tempo di cui aveva avuto bisogno per la riabilitazione. E invece, il gran giorno era arrivato, ed entrambi non potevano essere più felici di così.
«Probabilmente ti servirà un passaggio.» aveva detto ad un tratto una voce proveniente dalla porta alle loro spalle, spezzando all’improvviso il silenzio che si era creato tra di loro, sorprendendoli e facendoli voltare, lasciandoli così senza parole per quella sorpresa, inaspettata sotto ogni punto di vista. Soprattutto per Letizia.
Perché mai la mora avrebbe immaginato di vedere Azura davanti a lei in un giorno simile; mai avrebbe immaginato che si tenesse costantemente informata sulla salute di Michael – fino a che lui non le aveva poi spiegato la situazione – mai avrebbe pensato che vederla, proprio in quel momento, le avrebbe fatto così tanto piacere.
La donna le aveva dato le chiavi della sua macchina senza chiedere o aggiungere altro.
La giovane l’aveva guardata negli occhi, senza chiederle niente. E, almeno per qualche secondo, quel grigio caldo e pieno di affetto era riuscita a reggerlo più delle altre volte, senza sentire dentro al cuore quello strano senso di inadeguatezza e di vuoto che provava di solito, a causa di un qualcosa tenuto segreto troppo a lungo.
«Grazie.» era stata quella l'unica parola che le aveva rivolto; una sola parola ricca di tante, troppe cose non dette, alcune delle quali addirittura rimaste in sospeso. Cose a cui entrambe dovranno prima o poi trovare una soluzione definitiva, che possa rimettere in sesto ciò che è andato in pezzi in un istante.
Sospira stanca, Letizia, al ricordo di come si è sentita quando Azura le ha sorriso, gentile e affettuosa come sempre; al ricordo di quel calore che è riuscito ad abbattere lievemente i muri che la ragazza ha eretto solo per la donna che conosce da tutta una vita, quei muri che non riescono a respingerla completamente, come invece la giovane vorrebbe, solo per non dover sentirsi in colpa continuamente per ogni cosa. Scuote lentamente la testa, come a voler scacciare quel pensiero, e si concentra sull’amico, fermo davanti la macchina con lo sguardo perso nell’osservare casa sua.
Perché è da sette mesi che il ragazzo non vede il posto un cui è cresciuto: le persiane verdi brillanti, la porta in mogano, il piccolo giardino che circonda l’abitazione. Sette mesi passati in quella stanza di ospedale mai sentita sua, neppure per una volta. Sette mesi che Michael avrebbe passato da solo in quelle quattro mura, se con lui non ci fossero stati Letizia ed Ashton che andavano a fargli visita praticamente tutti i giorni. Sette mesi che non vede i suoi genitori, che non parla con loro, che non vede i loro occhi, che sente di averli perduti quasi del tutto.
«Mike, va tutto bene?»
La voce dell’altra cattura la sua attenzione, scuotendolo dal torpore in cui era caduto navigando nei ricordi. Si volta verso di lei e le sorride, cercando di rassicurarla. L’ultima cosa che vuole è farla preoccupare, soprattutto quando ha tante altre cose a cui pensare, troppe cose che hanno bisogno di trovare una soluzione il prima possibile.
La mora gli si avvicina e lo prende giocosamente a braccetto, come a volerlo sorreggere; come a voler fargli capire che non se ne andrà, qualunque cosa accada, che non lo lascerà solo ad affrontare i suoi demoni e le sue paure, che rimarrà con lui fin quando sarà necessario e anche oltre, se la vita lo vorrà.
«Forza Clifford, è questione di un passo soltanto.»
Un passo che però Michael non è totalmente convinto di voler fare. Non quando sa cosa lo aspetta varcata la soglia di casa sua. Non quando sa già contro cosa dovrà tornare a combattere, benché siano passati anni da quando la sua vita e quella della sua famiglia sono state stravolte completamente. Perché i suoi genitori non si sono mai ripresi dalla morte di Rachel. Non hanno mai accettato l’accaduto; si sono sempre ostinati a negare cosa fosse successo; non hanno mai voluto cambiare idea. Ed il loro comportamento li ha portati nel buio, nel vuoto; li ha fatti cadere, li ha fatti perdere in un limbo che il ragazzo non è mai riuscito a raggiungere, nonostante gli sforzi, nonostante cercasse giorno dopo giorno di essere forte per tutti loro, di essere la piccola scintilla per dare una speranza ai suoi genitori che l’avevano persa in quella lontana notte d’estate.
Sospira, si passa nervosamente una mano tra i capelli. E fa per chiedere all’amica se ha voglia di conoscere Karen e Daryl Clifford. Ma la porta di casa sua si apre all’improvviso. E Michael non potrebbe chiedere niente di meglio della persona che ha davanti agli occhi per dimenticarsi di tutto quanto almeno per un po’, per lasciare il buio in un angolo almeno per quella sera speciale, diversa dalle altre. Perché Ashton è lì, a pochi passi da lui. Ed il ragazzo dai capelli colorati non riesce a dire niente, ammutolito dalla sorpresa inaspettata, mentre il riccio gli si avvicina ed intreccia le loro dita delicatamente, facendo battere i cuori di entrambi senza che loro possano farci niente.
«Certo che ce ne avete messo di tempo per arrivare!» asserisce il maggiore allegro, rivolto a Letizia, con gli occhi che non hanno intenzione di spostarsi, incatenati a quelli dell’altro, lucidi e specchi di una felicità che Ashton da troppo tempo non vedeva nello sguardo del suo ragazzo.
La mora ride e si avvicina ai due. «Non è colpa mia se la tua dolce metà impiega un’eternità per salutare tutti.»
«Sempre il solito sentimentale.» commenta il riccio a bassa voce, sorridendo ed accarezzando con la punta delle dita i lineamenti del viso del minore, che semplicemente si lascia andare, senza muri, senza maschere, senza paure o dubbi. Si lascia andare, Michael; si lascia scaldare fin nel profondo, fin nell’angolo più freddo e remoto della sua anima, a cui soltanto Ashton riesce ad accedere, in un modo che l’altro, nonostante siano passati anni, non è ancora riuscito a capire completamente.
«Un po’ mi dispiaceva.» ammette il minore.
Ashton scuote la testa divertito e lo abbraccia forte. Lo stringe come se non volesse farlo andare via, come se avesse paura di perderlo da un momento all’altro, di vederlo sparire davanti ai suoi occhi senza che lui possa fare niente per impedirlo. Lo stringe a lungo, per accertarsi che Michael è veramente davanti a lui, che sta davvero bene, che tutto quello non è un sogno.
Il ragazzo dai capelli colorati risponde all’abbraccio nello stesso modo, con la stessa intensità, con lo stesso amore che li ha fatti trovare e che ha fatto in modo che, nonostante tutto, riuscissero a restare sempre insieme, a combattere l’uno accanto all’altro contro tutte quelle difficoltà che la vita ha messo loro davanti, come a volerli testare, come a voler capire quanta voglia di vivere avessero.
Si abbracciano come se non volessero perdersi mai più, per nessuna ragione al mondo.
E nella loro testa si fa lentamente spazio tutto quello che hanno passato insieme.
Ripensano alla prima volta che si sono conosciuti per le prove della band che poi avrebbero formato con altri due amici. Ripensano a come fin da subito si sono sentiti attratti dall’altro, in un modo mai sperimentato prima. Ripensano alla paura dei loro sentimenti che all’inizio li aveva fatti vacillare. Ripensano a quanto sia stato difficile accettare quella novità con loro stessi. Ripensano a quando poi, solo guardandosi negli occhi, avevano capito che non c’era bisogno di essere così preoccupati, che le cose sarebbero andate per il verso giusto e che loro si starebbero dati forza a vicenda, proprio come è successo. Ripensano all’imbarazzo delle prime uscite, alle risate e alle lunghe chiacchierate sul tetto di casa Irwin con una semplice birra in mano che durava per tutta la note perché alla fine a nessuno dei due importava davvero bere e sballarsi completamente. Ripensano al primo bacio, avvenuto un anno dopo il loro primo incontro dato dopo la fine delle prove con la band nel garage di Michael, quando gli altri due erano ormai andati a casa; quel bacio che aveva dato loro la conferma di aver trovato la persona giusta. Ripensano a tutte le cose successe da quel momento in poi: i litigi, i silenzi, gli sguardi pieni di scuse, i baci, gli abbracci, i momenti carichi di troppe parole che non hanno bisogno di essere espresse. Ripensano a come sia cambiato, a quanto sia cresciuto il loro rapporto durante quei quattro lunghi anni; a come si siano resi sempre più conto che non riuscirebbero mai a farcela senza l’altro, senza quella persona che è riuscita a rendere la loro vita completa e bella da morire, unica come mai avrebbero creduto possibile. Ripensano al fatto che sono stati davvero fortunati a trovare quel ragazzo che adesso hanno davanti agli occhi; quel ragazzo di cui sono innamorati senza misura, senza riserva, al quale sanno che doneranno sempre tutto ciò che sono e che hanno senza paura di restare feriti.
Si sorridono. Ed è come se il loro mondo si inondasse di luce in un istante, senza dar loro il tempo di prepararsi, di capire bene che cosa stia succedendo. È come se ad un tratto fossero stati tratti fuori dal tempo e dallo spazio per vivere in una bolla lontana da tutto il resto, per gustarsi in pieno ciò che in quei sette mesi hanno perduto.
Poi Michael si volta verso la sua migliore amica e le sorride. «Grazie Leti per il passaggio.»
Lei annuisce tranquilla e lascia che i due entrino in casa del minore senza aggiungere altro, con soltanto due sorrisi raggianti sulle loro labbra, segni di una felicità vera, di un sentimento vero e potente, in grado di abbattere anche i muri più spessi, le paure più grandi, i dubbi più sottili.
Si baciano, si accarezzano, si cercano con le labbra e con le mani; mentre i loro occhi sono chiusi; mentre incespicano qualche volta sui gradini della scala che conduce al primo piano; mentre Ashton apre la porta della camera di Michael e quest’ultimo la richiude alle sue spalle un attimo dopo; mentre si ritrovano privati di tutto quello che potrebbe dar fastidio. Si cercano, si trovano mentre diventano una cosa sola; mentre lasciano che scie di brividi corrano sulle loro braccia, sulle gambe, sulla schiena; mentre i cuori battono sempre più forte, seguendo un ritmo tutto loro, mozzando loro il respiro in gola per la sorpresa e per l’intensità di ogni loro singolo gesto; mentre si completano; mentre si sentono vivi e brucianti come stelle come non accadeva da tempo.
Si amano a lungo, Ashton e Michael, così tanto che ormai non hanno bisogno di contare minuti. Così tanto che Michael capisce perché il suo ragazzo sia lì mentre i suoi genitori no, mentre il minore si rende conto che avrà ancora tanto da affrontare per sanare la situazione della sua famiglia.
Guarda Ashton, tremante tra le sue braccia, con il sorriso di chi è riuscito a toccare il cielo con un dito. E sa che, fin tanto che il riccio resterà al suo fianco, andrà tutto bene. Non ha bisogno di avere paura.
 
Letizia osserva divertita i due amici scomparire all’interno della casa. Poi entra in macchina e mette in moto, svoltando per riportare l’auto all’ospedale dove lavora Azura. E mentre alla mente le torna il sorriso che i due ragazzi avevano sulle labbra non appena si sono visti, non riesce a non pensare a quello che spunta sul suo viso ogni volta che pensa a Calum, ogni volta che sono insieme.
E ancora non riesce a credere che da una settimana stia con il ragazzo che ama con tutta se stessa, per il quale è sicura che metterebbe sempre in gioco la propria vita pur di vederlo felice ad ogni costo, pur di fargli capire che lui è il suo tutto, il centro del suo mondo, pur di veder andare via le ombre dai quegli occhi color caffè ed il buio che Calum ancora le tiene nascosto.
Le sembra di vivere una storia simile a quella dei libri che tanto ama; simile persino a quella stessa storia che sta scrivendo ed in cui sta mettendo anima e corpo, scoprendosi, mostrandosi per come è realmente, senza maschere, muri, senza paure. Quella stessa storia che, un giorno, spera di poter far leggere a più persone possibili, pur di ricordare loro che la speranza c’è sempre, anche se flebile; c’è, è quella piccola scintilla di vita che non abbandona mai nessuno e che spinge ogni persona a sopravvivere fino alla fine.
La stessa speranza che proprio Calum le sta donando, giorno dopo giorno. Quella speranza che, anche se non vorrebbe, spesso si ritrova a rifiutare senza che il moro se ne accorga. Perché Letizia; nonostante la felicità che prova, nonostante i sentimenti che stanno diventando sempre più forti; ancora crede di non meritare un affetto così grande e così vero, così talmente pieno da lasciarla senza fiato, da farla sentire viva nella frazione di un attimo.
Un affetto che riempie tutto ciò che era stato vuoto e freddo per troppo tempo.
Sospira e si sistema gli occhiali neri sul naso, mentre aspetta che il semaforo scatti.
Vorrebbe soltanto che, almeno una volta, le cose andassero bene. Come vorrebbe che andassero bene pure per Madison. Perché, anche se di ragazzi parlano poco, Letizia ha notato troppo bene gli sguardi tra la bionda e Luke, sguardi pieni di un qualcosa che adesso lei conosce. Spera solo che la sua migliore amica non perda quell’occasione troppo importante per essere mandata all’aria solo per paura di stare male ancora una volta
.





Letizia
Ma ciao a tutti! Scusate questo lievissimo ritardo, ahahah ;) Spero che l'estate stia procedendo bene, come spero che i maturandi stiano bene (dai gente, vi ho nel cuore, ormai mancano solo gli ultimi sforzi e poi vacanza! <3 ;)).
Parlando invece della storia, che dirvi?
Eccoci qui, dopo qualche tempo, con le altre due coppie dolcissime *^*: i Lukie ed i Mashton (e la sottoscritta sclera male, malissimo *^*). Che ve ne pare dei nostri bei piccioncini?
Dai dai, fatemi sapere, che sono curiosissima ;).
Come sempre vi ringrazio e, prima di salutarvi, ho un annuncio da darvi: siccome io la prossima settimana parto per le vacanze e sto via praticamente un mese e mezzo, non potrò aggiornare come ho fatto gli anni scorsi perché nei posti in cui andrò so che non c'è neppure una briciola di WiFi :/. Quindi... Ci sentiamo a fine estate carissimi! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 26
*** Ventisei ***


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Ventisei
 
 
 
Un sentimento che ha tante sfumature quante sono le persone che si amano.
Persone sempre ricche di così tante sorprese e novità capaci di cambiare il gioco della vita.
Persone capaci di sconvolgere tutto, semplicemente nella frazione in un istante.
 
 
 
«Ti piacerà, ne sono sicura.» ripete allegra Letizia, per quella che probabilmente è l'ennesima volta da quando sono uscite da casa sua ormai una mezz'ora prima. È la vigilia di Natale, e la ragazza ha pensato di fare una sorpresa a Michael per portargli il regalo che ha preso per lui e, contemporaneamente, mantenere una promessa fatta a Madison: farli conoscere.
La bionda ride divertita. Non ha mai visto la sua migliore amica così di buon umore. E, nel profondo, sa che deve ringraziare Calum se la mora si sta lentamente lasciando andare; se sta cominciando a fidarsi sempre più degli altri; se pian piano sta ricostruendo un rapporto con Azura.
Perché Madison conosce tutta la storia, l'ha vissuta sulla propria pelle. Sa quanto la mora sia stata male, quanto abbia perso in un singolo minuto. Erano insieme quando la verità è venuta fuori, dopo anni di silenzio, di parole volutamente non dette. E non avrebbe mai creduto che una cosa simile avrebbe potuto annientare la sua migliore amica, così tanto da convincerla di non meritare l'affetto delle persone che le vogliono bene. Madison, anche se non lo dà a vedere, anche se non dice niente, ha capito da anni che Letizia fa fatica a lasciarsi andare con lei, a farsi amare da lei. E non può biasimarla, la bionda; non può criticarla per le sue scelte, quando pure lei si è ritrovata accerchiata da muri costruiti con le sue stesse mani; muri che volutamente ha messo attorno al cuore per proteggersi. Capisce la sua migliore amica, Madison, perché neppure lei riesce a parlare alla mora di ciò che le sta succedendo e che l'ha fatta cadere ancora una volta. Non vuole dirglielo perché non vuole farla preoccupare.
Sospira e si passa stancamente una mano tra i capelli, mentre con l'altra accarezza le maniche lunghe del cardigan leggero che indossa nonostante sia estate piena. Maniche che coprono quei segni di cui si vergogna terribilmente; segni che la ragazza ha paura a mostrare e a lasciar curare; segni di cui non si libererà tanto facilmente; segni che bruciano e che fanno male ogni volta che le sue dita magre li sfiorano.
«Secondo me i tuoi biscotti gli piaceranno.» commenta Letizia strappando l'amica dai suoi pensieri e sorridendole allegra, con quel sorriso tiepido e vivo che la bionda non vedeva da troppo tempo. «È molto goloso.»
Madison ridacchia e punta gli occhi sulla strada, cercando di sembrare normale, tentando di nascondere all'amica il suo disagio, sperando che l'altra non si accorga di niente. «Spero solo che vada tutto bene.»
La mora la prende a braccetto, come a voler tirarla su, come a voler aprire quelle porte che la bionda tiene ancora chiuse nonostante siano passati anni. Perché, anche se non chiede niente, vede troppo bene che qualcosa non sta andando come dovrebbe. Perché gli occhi castani di Madison non sono più luminosi come qualche mese prima, e la ragazza non è più serena.
Letizia sente un brivido correrle lungo la schiena. Non vuole pensare che il passato sia tornato a rovinare tutto quanto ancora una volta. Né lei né la sua migliore amica riuscirebbero a resistere di nuovo, non quando hanno provato sulla propria pelle cosa voglia dire cadere senza nessuno pronto per dare una mano a rimettersi in piedi.
Guarda davanti a sé e, non appena nota la casa di Michael sulla sinistra della strada, spera ancora di più che quel pomeriggio possa portare qualcosa di buono per tutti loro. Suona il campanello, con la mano della bionda ben stretta nella sua. E non riesce a non sorridere, quando il suo migliore amico le corre incontro e la abbraccia forte, come suo solito. Come se ogni volta potesse essere l'ultima.
Madison si fa un poco da parte, lasciandoli soli per qualche minuto e sorridendo nel notare quanto quei due si vogliano bene. Perché è chiaro come il sole che tra Michael e Letizia c’è un’amicizia forte; forte come quella che lega la mora alla bionda da tutta una vita eppure completamente diversa allo stesso tempo; un’amicizia di cui Madison non è gelosa o invidiosa, perché sa bene quanto per Letizia sia importante quel ragazzo dai capelli colorati. Quel ragazzo che, con il suo sorriso contagioso e i suoi modi di fare allegri l’ha subito incuriosita. Lascia allora che i suoi occhi castani vaghino su ciò che si trova intorno a lei. E, non appena leggono il cognome del ragazzo con cui adesso Letizia sta chiacchierando, un lungo brivido le corre lungo la schiena. Perché non avrebbe mai immaginato che i pezzi di quel puzzle troppo complicato si sarebbero uniti così presto; non avrebbe mai creduto che il suo passato l'avrebbe unita a così tante persone in così poco tempo.
Scuote la testa, seguendo gli altri due in casa. Deve solo ricordarsi della promessa che ha fatto; deve ricordarsi di non mollare; deve ricordarsi che può farcela con le sue forze. Deve farlo per quella persona che non c'è più, che non è stata abbastanza forte per reagire, che ha causato troppe ferite senza rendersene conto in tempo.
Entra nel salotto di quella piccola villetta a due piani, piena di addobbi natalizi, e subito un calore dolce si espande dentro di lei, come a volerla liberare, come volerla tenere al sicuro il più a lungo possibile. Un calore che a casa King non c’è più, proprio a causa di ciò che Madison ha fatto in passato e che ha rovinato tutto quanto.
Si avvicina alla finestra e chiude gli occhi, beandosi del calore del sole di quel pomeriggio, lasciando che la sua testa si svuoti dei ricordi, lasciando che il cuore si alleggerisca da quel peso che fa sempre più male.
Intanto, gli altri due si sono seduti sul divano e continuano a chiacchierare, le voci basse e le risate sommesse.
«Come mai qui?» domanda il ragazzo alla mora, facendola ridacchiare.
«Domandi è Natale e sono venuta a portarti il tuo regalo.» comincia lei, dando all’amico un piccolo pacchetto quadrato e sottile. E il maggiore sgrana gli occhi per la sorpresa nel vedere l’ultimo CD degli All Time Low, quello che, stando in ospedale, non ha avuto modo di prendere quando è uscito.
«Sei un mito, Leti. Grazie!» asserisce, prima di stringere Letizia in un lungo abbraccio, a cui l’altra risponde nello stesso modo, con il sorriso sulle labbra che non riesce a controllare. È felice, Letizia, di aver trovato il regalo giusto. Ha girato così tanti negozi il giorno prima che, a fine giornata, non sapeva più da che parte andare. Poi, mentre tornava a casa, è passata davanti al negozio di CD in cui va a dare un’occhiata ogni volta che esce. E lì ha trovato esattamente ciò che cercava. «Prego Mike.»
Lui le sorride, poi si volta alle sue spalle, catturato dalla figura magra della ragazza bionda ferma davanti alla finestra. Una bionda che è sicuro di aver già visto da qualche parte, ma non ricorda dove, né quando.
«Chi è la tua amica?» chiede curioso alla mora, attirando l’attenzione dell’altra su di sé ed osservandola con i suoi occhi chiari che riescono, nella frazione di un attimo, a riportare a galla ricordi ed esperienze che Madison vorrebbe tenere il più lontano possibile dal cuore e dalla testa; per vivere tranquilla; per non impazzire del tutto; per non perdere nuovamente altre parti di sé che non saprebbe più come trovare nel limbo da cui non è ancora completamente uscita, nonostante ci abbia provato con tutto quello che ha.
«Sono Madison, tanto piacere.» risponde cortese la diretta interessata; un sorriso di circostanza, debole sulle labbra, tremulo per l’ansia e la paura di sbagliare, mentre porge la mano al maggiore che la stringe vivacemente.
«Michael, piacere mio. Finalmente ti conosco! Leti mi ha parlato davvero tanto di te!» esclama il ragazzo che – anche se si è accorto della lieve ombra negli occhi della ragazza, un’ombra che purtroppo sa riconoscere in fretta, non dice niente al riguardo – non riesce a credere di avere in carne ed ossa davanti a lui una delle poche persone di cui la mora gli ha parlato a lungo durante quei mesi: Madison, quella persona a cui Letizia tiene più della sua stessa vita e per la quale non esiterebbe a dare qualsiasi cosa ha pur di farla stare bene. Una persona che Michael non vedeva l’ora di conoscere per poter chiacchierare di tutti quei gruppi musicali di cui entrambi sono fan.
Madison volta improvvisamente lo sguardo verso l’amica, stupita, sorpresa, senza parole. Perché mai avrebbe immaginato che l’altra avrebbe parlato a qualcuno di lei. La guarda, e la mora semplicemente sorride, facendole un occhiolino e mimandole con le labbra un «Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene.»
Allora la bionda sorride più tranquilla e torna a prestare la sua attenzione al ragazzo, che subito la riempie di domande, a cui lei si ritrova a rispondere senza paura o disagio, ridendo e dimenticandosi per un po’ di quel grande casino che porta nel cuore e che le appesantisce l’anima, passo dopo passo. E parla davvero tanto Madison; parla e si sente libera, leggera, con un paio di piccole ali sulla schiena, in grado di portarla lontano da tutto e da tutti almeno per un po’. Parla, e si rende conto che Michael è esattamente come Letizia glielo ha descritto: paziente, attento, spiritoso, tranquillo. Un ragazzo con cui pure lei riesce a sentirsi a proprio agio.
Però non sa che la cosa è reciproca. Non sa che pure per Michael è una sorpresa sentirsi così bene in compagnia della minore, con cui sa di non dover usare maschere o muri di alcuni tipo – anche se non ne sarebbe in grado in ogni caso, non dopo quello che ha passato. E ad ogni minuto che passa, si rende conto di quanto Letizia sia fortunata ad avere un’amica come Madison: premurosa, timida, insicura, eppure allo stesso tempo con una grande forza d’animo dentro al cuore che, tuttavia, non ha ancora trovato il momento giusto per uscire.
Parlano a lungo, ridendo e scherzando, aprendo un passo alla volta tutte quelle porte che di solito tengono chiuse quando nella loro vita entra all’improvviso qualcuno che non conoscono e di cui non si fidano ancora. Parlano, e non forse non si rendono del tutto conto di quel sottile filo che sta già iniziando ad unire ed intrecciare le loro vite, in un modo che nessuno dei due ancora conosce e di cui non potrà mai prevedere gli effetti.
 
Intanto, Letizia li osserva attenta, in disparte, seduta sul divano, con un sorriso sulle labbra che non ha alcuna intenzione di andarsene. Li guarda, e si ritrova a pensare che farli conoscere sia stata davvero una buona idea. Le basta vedere la scintilla di luce che hanno negli occhi come prova e premio. Perché mai avrebbe creduto che i due si sarebbero aperti così tanto all'altro fin da subito, senza usare maschere o costruire muri attorno al cuore.
Allora si alza e, senza dire una parola, va in un'altra stanza, lasciando agli altri due un momento per conoscersi ancora più a fondo e per sentirsi liberi di parlare di qualsiasi cosa senza vergognarsi – anche se non avrebbero motivo, non quando sanno che Letizia non giudica mai nessuno.
Si ritrova sulle scale che portano al piano di sopra. E, inevitabilmente – come tutte le altre volte – i suoi occhi scuri corrono alle fotografie appese alle pareti, in cornici vivaci e colorate che un po' stonano con l'ambiente freddo e distaccato del primo piano, opposto all’atmosfera allegra e solare del soggiorno. È una casa fatta di antipodi, quella di Michael. E Letizia non ha bisogno di chiedere per sapere il perché. Le è sufficiente aver notato il pomeriggio prima una porta chiusa, con una R dipinta di un rosso vivace, l’unica nota di colore in quel silenzio assordante.
Osserva le foto, attentamente, una ad una, come a voler imprimere nella sua memoria la felicità di quell’attimo rubato al tempo. Eppure… Ogni scatto è una pugnalata al petto, che fa sempre più male ad ogni secondo che passa; che si diverte ad infierire e ad aprire squarci sempre più profondi, in silenzio, godendo del dolore che lentamente si propaga dentro di lei.
Perché Michael, in quelle foto con sua sorella Rachel, è felice; lo è davvero, come non lo ha mai visto. Felice in un modo che non potrà più tornare, strappatogli da forze maggiori che non risparmieranno mai nessun essere umano. Felice come solo poche volte Letizia è riuscita a vedere, poche volte in cui Ashton è riuscito a toccare tutti i punti giusti per far tornare quella bellissima luce negli occhi di Michael, anche se solo per un attimo soltanto.
Sospira la mora, mentre si sistema gli occhiali sul naso, cercando di non dar spazio alle lacrime che le pungono gli angoli degli occhi pur di uscire e sfogarsi. Perché sta osservando Rachel, lei, in una foto dove la ragazza e Michael si stanno abbracciando forte. E la vede bella, bellissima, con quei lunghi capelli biondi e quegli occhi verdi così chiari, simili a quelli del fratello da quanto sono trasparenti; occhi che emanano solo tanta voglia di vivere e di essere felice come chiunque altro.
Vorrebbero uscire, le lacrime, perché per Letizia è impossibile capire perché qualcuno di così solare come Rachel possa anche solo aver pensato di rinunciare alla vita; non riesce a capirlo, è più forte di lei. E vorrebbe tanto piangere per quella vita che non c’è più, che ha smesso di dare la sua bellezza al mondo solo perché le altre persone sono troppo occupate a pensare a loro stesse per preoccuparsi di chi li circonda.
Vorrebbe piangere per le lacrime che Rachel ha smesso di versare e che invece sarebbero sempre state belle, anche se fossero state causate dal dolore, perché sarebbero state la prova che lei era ancora viva e che niente l’avrebbe schiacciata, nonostante il peso e le difficoltà che avrebbe incontrato.
Vorrebbe piangere per ogni volta ch ha pensato a quella ragazza che non conoscerà mai, quando invece lei avrebbe tanto voluto ringraziarla anche solo per un secondo per aver reso felice il ragazzo che da sette lunghi mesi è diventato il suo migliore amico, a cui Letizia non ha mai chiesto niente in più sulla storia di Rachel perché non voleva riaprire ferite che avevano avuto bisogno di tanto, troppo tempo per guarire.
Vorrebbe piangere davvero, Letizia. Ma sa che non può; Madison e Michael hanno bisogno di lei, come lei necessita di loro più di quanto possa anche solo immaginare.
 
Con la coda dell’occhio, Madison vede la mora uscire dalla stanza ed andare in una parte di quella casa che lei ancora non conosce, ma nella quale spera di andare più spesso, a causa del ragazzo davanti a lei che, secondo dopo secondo, si sta mostrando sempre più gentile, sempre più propenso a lasciarla entrare. Quel ragazzo con cui, stranamente, riesce a sentirsi a proprio agio, senza più alcuna paura di commettere un passo falso.
«Spero che per il prossimo tour verranno qui a Sydney.» commenta lui, a proposito dei Bring Me The Horizon, mentre addenta l’ennesimo biscotto fatto dall’altra, che annuisce convinta e si sistema meglio il cuscino dietro la schiena, per stare un po’ più comoda e per prendere tempo.
Perché Madison, da quando è entrata in casa, ha una domanda per Michael sulla punta della lingua. Una domanda che le sta bruciando nel petto per uscire, per toglierle quel dubbio che le sta facendo girare la testa. Una domanda che però la giovane ha paura di porre. Perché non vorrebbe toccare quel tasto, non vorrebbe far riemergere ricordi che probabilmente nessuno dei due vorrebbe rivivere, non vorrebbe riaprire ferite mal curate. Ma ha bisogno di sapere. Deve avere almeno quella certezza per sapere come potersi comportare.
Michael, intanto, la osserva curioso, con quei suoi occhi chiaro che studiano ogni millimetro della ragazza seduta di fronte a lui. Una ragazza che – ne è sicuro – ha già incontrato in qualche modo, che però non riesce a ricordare, non adesso. Una ragazza che si sta dimostrando tutto il contrario di come il maggiore l’aveva immaginata: è spontanea, dolce, timida; una ragazza che – nonostante l’ombra che le è passata negli occhi castani – in quel momento non sta usando alcuna maschera; si sta mostrando per chi è veramente. E lui non potrebbe esserne più felice. Perché sta conoscendo la Madison che pure Letizia conosce; e, sul serio, non potrebbe chiedere niente di più.
Poi la ragazza gli fa una domanda a bruciapelo, all’improvviso, lasciandolo completamente spiazzato. Una domanda che mai si sarebbe aspettato. Perché nessuno – oltre a Letizia e le altre persone direttamente coinvolte – conosce ciò che è successo. Eppure… Madison sa; Michael riesce a leggerlo nitidamente in quegli occhi castani che adesso lo stanno osservando, bisognosi di una risposta a quella domanda che ancora gli ronza in testa, come un disco rotto che non ha alcuna intenzione di fermarsi.
«Tu sei il fratello di Rachel?»
Si guardano a lungo, i due ragazzi, senza sapere di preciso cosa fare o cosa dire in una situazione simile, mentre lentamente ricordi, scene, parole, promesse del passato tornano a far loro visita dall’angolo in cui entrambi avevano relegato tutto quanto pur di andare avanti e non soffrire ulteriormente.
«Tu com–?» inizia il maggiore; la voce spezzata, gli occhi lucidi e pieni di domande.
Ma subito Madison lo blocca. «Sono stata al Royal Rehab con lei.»
E neppure Michael avrebbe mai pensato che il passato, in un modo o nell’altro, gli avrebbe riservato altre sorprese.
 
Calum sta mettendo le ultime cose in ordine prima che i suoi amici arrivino. Hanno deciso di passare la vigilia di Natale a casa sua, così il moro si è ritrovato a dover fare troppe cose in pochissimo tempo; e ancora non sa come abbia fatto a non perdere la testa in tutta quella confusione.
Sorride tranquillo, mentre piega le maglie sparse per la sua stanza e le ripone nei cassetti, immaginandosi come potrebbero passare la serata tutti insieme. Soprattutto, sta pensando ad una persona molto particolare che, da appena una settimana, può considerare sua senza più paure, dubbi o incertezze.
Perché Letizia è la sua ragazza adesso.
E lui non potrebbe chiedere niente di più. Perché la mora è tutto ciò che gli serve, tutto ciò di cui ha bisogno. È la persona più importante della sua vita; quella che l’ha spinto a non mollare, a combattere, a trovare sempre una ragione per voltare pagina e andare avanti; quella persona che ha rimesso in sesto la sua anima spezzata, ridotta a brandelli; quella persona che, giorno dopo giorno, gli è entrata sempre più dentro, fino a che non è stato più possibile mandarla via, fino a che non si è reso conto di essersi innamorato di lei.
Perché è davvero innamorato, Calum: innamorato di quella risata allegra e di quegli occhi sempre attenti, sempre in grado di leggergli l’anima, di spogliarlo di ogni maschera e di ogni muro; occhi capaci di farlo sentire piccolo ed insignificante, di regalargli un mondo fatto di silenzi e di parole scritte su carta. È innamorato di come Letizia riesce a vedere la realtà, con quel suo realismo mischiato ad un qualcosa che non gli è ancora molto chiaro. È innamorato di come riesce a farlo sentire anche con un semplice sguardo, anche solo unendo le loro mani.
È innamorato. E non avrebbe mai immaginato che, dopo tutto quel tempo, potesse essere ancora così bello e pieno di sorprese. Fino a che Letizia non gli aveva sconvolto la vita, lui aveva sempre creduto che, dopo aver perduto la prima persona di cui gli fosse importato così tanto, non sarebbe stato più capace di amare di nuovo qualcuno in quel modo. Invece Letizia è riuscita a fargli cambiare idea, a dimostrargli che può e che deve fare ancora tante cose; è stata in grado di annientare le sue difese e di mostrargli nuovamente quella luce che lui non aveva fatto altro che allontanare per paura di scottarsi di nuovo. Soprattutto, è stata capace di aiutarlo a voltare pagina senza dimenticare niente di ciò che è successo.
Perché adesso Calum, se ripensa agli occhi verdi di quella persona che non c’è più, non ha più paura.
Poi però si guarda allo specchio del suo bagno. La maschera pesante che ha usato per tutto quel tempo va in pezzi, nella frazione di un attimo. E tutte le sue certezze – troppo precarie per stare in piedi – crollano all’improvviso, facendo andare in frantumi la terra sotto i piedi, rendendolo instabile e poco pronto ad affrontare la realtà, ricordandogli quanto stia fingendo e quante bugie si stia raccontando giorno dopo giorno, per evitare di affrontare quelle parti della sua vita che non sono ancora state curate.
Perché Calum lo sa che, nonostante i sentimenti che prova per Letizia, le cose non stanno andando bene. Perché è vero che si è reso conto che, amando la mora, non manca di rispetto a nessuno. Ma è anche vero che continua ad incolparsi di tutto quello che è successo e delle conseguenze che hanno mandato in polvere ogni cosa. Continua a rivivere quelle scene, una dopo l’altra; scene di un passato che non ha avuto il futuro che si meritava; un passato marcio, pieno di nero e di demoni che nessuno è stato capace di combattere, di allontanare. Continua a ricordarsi che non merita niente delle cose ha adesso e che gli stanno illuminando la vita; cose che la stano rendendo degna di essere vissuta, quando è lui a non essere degno di andare oltre.
Sospira stanco, si passa le mani sul viso, respira forte, cercando di riprendere un minimo di lucidità.
Perché, anche se Letizia è con lui, Calum non è ancora riuscito a voltare del tutto pagina; non è ancora riuscito ad andare avanti, come se il passato esercitasse su di lui una magia che non gli dà alcuna via d’uscita. Nonostante ci sia Letizia, Calum sta ancora mentendo a se stesso. E non sa più come fare per smettere.
Si guarda attorno. Ed il suo cuore si ferma, non appena i suoi occhi cadono sul cassetto della biancheria, aperto come tutti gli altri. Allora chiude gli occhi e respira a lungo, cercando di calmarsi.
Solo su una cosa la mora è riuscita davvero ad aiutarlo. Non si droga più; ha smesso. E sa che è grazie al fatto che non assumeva morfina giornalmente, se non ha avuto crisi di astinenza che avrebbero potuto far preoccupare tutte le persone che lo amano e a cui lui vuole bene più di quanto riesca a rendersene conto.
Osserva la sua stanza, ancora preda del caos. E subito i suoi occhi vengono catturati dalla Moleskine nera aperta sulla sua scrivania. La prende delicatamente e la chiude con l’elastico. Proprio come aveva fatto la prima volta che si era ritrovato tra le mani quel diario che era stata la rovina per troppe persone.
 
Era passato un mese da quando quella persona se n’era andata, lasciando un vuoto che Calum non aveva idea di come riempire. Era passato un mese, eppure per lui era come se tutto fosse accaduto soltanto il giorno prima, come se la persona più importante di tutte avesse lasciato andare la sua mano sul letto d’ospedale solo poche ore prima, come se i suoi genitori lo avessero portato via da quella stanza di forza solo pochi minuti prima.
Era passato un mese esatto. E ancora Calum non riusciva a capire, non riusciva a spiegarsi quel gesto estremo senza ritorno; non riusciva a trovare un perché, un motivo che avesse causato tutto quanto. Si era arrovellato il cervello giorno dopo giorno, pur di capire, pur di trovare quelle risposte di cui aveva assoluto bisogno. Risposte che, tuttavia, non erano mai arrivate.
Ecco perché quel pomeriggio si era ritrovato lì, davanti quella villetta a due piani in cui non entrava da tanto, troppo tempo con il dito premuto sopra il bottone del citofono. Poco dopo una signora bionda, dagli occhi verdi stanchi e cerchiati da occhiaie scure, gli aveva aperto la porta, sorridendogli cordiale.
«Ciao Calum, entra pure.»
«Ciao Karen.» l’aveva salutata lui piano mentre metteva piede in casa; il cuore in mano che gli batteva a stento, la voce fioca che quasi sembrava aver paura di uscirgli dalla gola, mentre lunghi brividi gli correvano sulla schiena, a causa del disagio, della vergogna, del dolore che sentiva dentro al cuore.
«Io…» Karen si era fermata non appena i loro occhi si erano incontrati. Poi li aveva distolti, dando le spalle al ragazzo  e tornando in cucina, dove il bollitore del caffè stava fischiando sonoramente.
«Se ti serve qualcosa, prendilo pure, non farti tanti problemi.» gli aveva poi detto, dopo un attimo di silenzio; attimo in cui Calum si era domandato più e più volte che cosa gli fosse passato per la testa.
«Prendi tutto quello che vuoi.» aveva concluso la donna, senza guardarlo negli occhi, dandogli sempre le spalle.
Il ragazzo aveva ringraziato piano, così piano che probabilmente Karen non l’aveva neppure sentito. Ma a Calum non importava. Aveva solo bisogno di risposte. Risposte che poteva trovare solo in quella camera che dava sul corridoio del primo piano, la stanza più luminosa di tutta la casa.
Una stanza che, non appena il moro vi aveva messo piede, si era rivelata spoglia, priva di vita, di calore, di affetto.
Ed i suoi occhi da diciassettenne non erano stati abbastanza forti per reggere il colpo. Perché subito piccole lacrime avevano iniziato a rigargli le guance, in silenzio, senza che lui se ne accorgesse, senza che lui le sentisse bruciargli la pelle ad ogni secondo.
Lacrime che non sarebbero mai bastate per spiegare a sufficienza il tormento che il ragazzo sentiva dentro. Un tormento simile ad un fuoco in grado di distruggere tutto quanto nella frazione di un attimo; un fuoco simile ad un inferno. Perché Calum stava iniziando a vivere il suo inferno, solo che ancora non lo sapeva.
Si era guardato intorno. Aveva osservato i poster appesi ai muri, le mensole piene di libri e di DVD, le tende chiare con la fantasia a stelle blu, il letto morbido ad una piazza coperto da una trapunta che riprendeva il motivo delle tende; aveva osservato le foto appese ai muri, attimi di una vita ormai finita per sempre. Aveva osservato tutto per imprimerlo nella sua mente, per non dimenticare assolutamente niente.
Poi i suoi occhi avevano scovato una Moleskine nera tra i libri di una mensola. Una Moleskine che, non appena Calum l’aveva aperta, si era rivelata essere la causa di tutto.
 
Il ragazzo apre gli occhi; un brivido gli corre lungo la schiena, lui non ci fa caso. La sua mente è ancora concentrata su quel ricordo, su quel pomeriggio di due anni fa, quando aveva trovato ciò che ha stravolto la sua vita: non la Moleskine in sé per sé, ma le parole scritte su quel quaderno da quella persona che aveva deciso cosa fare senza parlare con nessuno, senza sfogarsi con nessuno, perché convinta che nessuno l’avrebbe mai capita, che nessuno avrebbe cercato di provarci.
Guarda la copertina della Moleskine, sfiora quelle pagine che solo pochi muniti prima erano sotto i suoi occhi. Traccia con le dita il nome della proprietaria scritto all’interno, come tutti i segreti che sarebbero dovuti rimanere tali, invece di trovare il modo di tornare alla luce e sconvolgere tutto. Accarezza distratto il dorso dell’oggetto.
Poi il campanello suona. E Calum sa che dovrà fare di tutto per evitare che gli altri si accorgano di qualcosa; sa che dovrà evitare di pensare e di lasciarsi andare al limbo dei ricordi. Perché, almeno per quell’anno, vorrebbe festeggiare in allegria con le persone a cui vuole davvero bene.
Sospira e si guarda allo specchio, indossando il sorriso più falso di tutti, sperando che nessuno se ne accorga
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Letizia
Beautiful people, ciao! <3
Come promesso, siamo a fine estate (nelle note autrice dello scorso capitolo intendevo fine agosto, scusatemi :)) ed io sono tornata con un nuovo capitolo tutto pe voi (oltre che ad essere tornata a casa dalle vacanze, che sono state il top del top *^*)! Quindim, bando alle ciance e parliamone un po', che ne dite?
Finalmente Mike e Maddie si conoscono!!!! E, sorpresa sorpresa, Maddie conosceva Rachel, la sorella di Mike!!! *^*
Quanti legami riesce a creare la vita, eh? Voi che ne dite? ;)
Passando a Letizia, che è una tenerina a preoccuparsi così tanto per tutti i suoi amici *^* Piccola bimba (prima o poi mi farà causa per tutto quello che le sto facendo passare, ma va beh, ahahah :D, ormai ci siamo abituate entrambe :P).
L'ultima parta invece ci mostra un Calum un po' incerto, che cerca di stare bene e ha mille dubbi e mille paure. Riuscirà mai a superarle tutte? Speriamo di sì dai u.u
Detto questo cari, voglio ringraziarvi per ogni cosa che state facendo per questa storia, siete le persone più dolci del mondo ed io non posso non amarvi! <3
Ci sentiamo la prossima settimana! A presto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 27
*** Ventisette ***


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Ventisette
 
 
 
Persone alle quali si apre totalmente il proprio cuore.
Perché si sa che non c'è più niente da temere, se si è pronti a voltare pagina.
Perché si sa che avere paura non potrà mai portare a qualcosa di buono.
 
 
 
Sono passati due lunghi mesi da quando Letizia e Calum sono diventati una coppia. Due mesi di cui nessuno dei due ragazzi avrebbe mai potuto prevedere gli effetti. Mesi pieni, ricchi di così tante emozioni, sorprese e novità, che entrambi fanno ancora fatica a credere che sia tutto vero. Spesso hanno la sensazione di star vivendo un sogno ad occhi aperti ed hanno paura che, all’improvviso, tutto quanto svanisca come polvere.
Sono passati due mesi, lentamente, con calma. Due mesi che hanno visto il loro rapporto crescere e cambiare, diventare più profondo, più radicato dentro di loro, sempre più potente e più vero, in grado di renderli una cosa sola anche con il semplice intreccio delle loro dita, come se riempire gli spazi vuoti tra loro fosse la chiave per guarirsi a vicenda, giorno dopo giorno, senza fretta, senza andare contro lo scorrere ed il volere del tempo.
Due mesi in cui litigi, parole dure, silenzi e lacrime non sono mai mancati, compensati da abbracci, carezze, baci, scuse date senza dover per forza ricorrere a parole; parole di cui comunque hanno entrambi bisogno per farsi capire dall’altro, per comunicare parte del dolore che ancora hanno dentro al cuore ma che, lentamente, sta svanendo, come se l’amore che lega i due ragazzi fosse davvero la sola medicina in grado di curare le loro anime ancora a pezzi, divenute più forti e sicure da quando si sono incontrati.
Due mesi in cui Letizia e Calum non hanno fatto altro che continuare a conoscersi, , facendosi bastare le piccole cose che giorno dopo giorno sono venute alla luce, sorprendendo e tingendo di tinte allegre la tela bianca destinata alla loro storia, ai loro cammini che si sono intrecciati senza che loro due se ne rendessero conto fino in fondo.
Due mesi passati a cercare di capirsi a vicenda senza dover parlare, provando a leggere gli occhi dell’altro sempre più in profondità, perdendosi in quel colore caldo ed intenso, capace di farli sentire a casa ogni volta, in grado di avvolgerli e sottrarli dalla realtà ogni volta che glielo permettono. Un colore capace di farli sentire unici, speciali, importanti per quell’unica persona a cui hanno deciso di donare tutto ciò che sono e che hanno senza mezze misure, senza pensare ad alcuna conseguenza, soltanto con la certezza che nessuno dei due ferirà l’altro. O almeno, ci proveranno; perché non vogliono far del male alla persona che amano più di loro stessi.
Due mesi vissuti con i battiti del cuore costantemente fuori ritmo; con i brividi sempre presenti sulla pelle, come se si divertissero a tenere in tensione ogni loro singola cellula; con gli occhi sempre più pieni di una luce e di una voglia di vivere che non sentivano da troppo tempo, e che adesso si sta riscattando di tutto il tempo che le è stato rubato dal dolore; con il sorriso costantemente stampato sulle labbra, senza che nessuno dei due riesca a controllarlo. Non riescono più a controllare quasi niente di ciò che riguarda le loro emozioni; ma non si preoccupano, non hanno paura delle conseguenze adesso; sanno che va bene così, che amare va bene. Non potrebbero chiedere altro.
Due mesi vissuti intensamente, gustando ogni singola sensazione, ogni singola emozione come se fosse la prima, come se avessero iniziato a vivere davvero soltanto dal momento in cui le loro labbra si sono toccate per la prima volta. Labbra che stanno diventando sempre più familiari, sempre più in grado di tranquillizzare l’altro, sempre più capaci di trasmettere emozioni e comunicare cose che a parole non avrebbero lo stesso effetto.
Due mesi in cui Calum non avrebbe mai immaginato di vivere qualcosa di simile. Ogni giorno non ha fatto altro che imparare qualcosa di nuovo sulla persona a cui ha deciso di donare tutto se stesso. E mentre scopriva Letizia, ha lasciato che pure lei scoprisse qualcosa su di lui; qualcosa tuttavia ancora troppo lontano da tutta la sua storia ma che, pian piano, sta percorrendo la strada giusta per arrivarci. Perché il moro vuole essere sincero fino in fondo con l’altra, vuole parlarle di quello che ha vissuto e che l’ha reso il ragazzo che lei ha conosciuto; vuole vivere senza più alcun peso, libero dalle catene che lo hanno sempre tenuto prigioniero per tutti quegli anni. Però sa che adesso è ancora troppo presto; sa che sarebbe rischioso tastare un argomento che né lui ne Letizia sono pronti ad affrontare, soprattutto perché lui non si sente ancora in grado di fare un passo di una portata tale da poter sconvolgere tutto ancora una volta nella frazione di un attimo.
Due mesi in cui il moro non si è pentito della scelta fatta. Perché non potrebbe mai pentirsi di essersi innamorato di una ragazza come Letizia, bellissima in ogni sua più piccola parte, unica, capace di farlo sentire vivo davvero, in grado di farlo sentire il re del mondo; la sola persona che è riuscita ad entrargli dentro e a leggergli l’anima completamente, curando con calma e pazienza quelle ferite ancora aperte e sanguinanti.
Due mesi in cui Calum si è reso sempre più conto che senza la mora non potrebbe più stare. Si è abituato al suo profumo dolce, alla sua pelle liscia a contatto con le sue mani, alla sua voce allegra, ai suoi sorrisi capaci di fargli tornare il buon umore, ai suoi occhi in grado di fargli vedere un mondo nuovo che lei riesce a mettere su carta e a renderglielo visibile e a volte persino tangibile. Si è abituato ad ogni più piccola cosa che caratterizza il loro rapporto: i baci sulla fronte, gli abbracci dati all’improvviso; i pomeriggi passati sul divano di casa sua, lei con un libro in mano, lui preso a suonare il basso o a giocare ai videogiochi; i momenti di silenzio, in cui le parole non servono perché ad entrambi basta sentire l’altro accanto per stare bene. Si è abituato a Letizia e al suo riuscire a farlo stare bene. Si è abituato alla felicità che solo lei è in grado di dargli. E lui non ha intenzione di rinunciare alla sola persona che conta davvero, non adesso che è finalmente riuscito a trovarla.
Due mesi in cui Letizia non ha fatto altro che chiedersi perché proprio a lei sia toccata una fortuna simile. Non avrebbe mai pensato che essere innamorati di qualcuno volesse dire ripartire da zero, concentrare inconsciamente i propri pensieri sulla persona più importante della propria vita, fare di tutto per l’altro mettendo se stessi in secondo piano senza paura. Non avrebbe mai creduto che le parole di Michael si sarebbero rivelate vere proprio per lei che, al contrario di ciò che ritiene il suo migliore amico, sa di non meritarsi niente di ciò che ha.
Due mesi in cui la ragazza si è domandata di continuo perché proprio nella sua vita doveva capitare quell’angelo che ha sconvolto tutto, curandole parte di quelle ferite che hanno bisogno di un’ulteriore medicina per guarire completamente. Un angelo che è arrivato ad allontanarsi da lei solo perché le vuole troppo bene. Un angelo che le dimostra sempre ciò che prova nei suoi confronti, senza timore, senza paura di sbagliare, come se l’amore avesse reso Calum ad un tratto molto più sicuro di se stesso e determinato.
Due mesi in cui si è sentita costantemente invadere il cuore e l’anima da uno strano calore, a causa di quei sentimenti potenti ed incontrollabili che la uniscono a Calum e che la fanno sentire a casa dovunque si trovino. Sentimenti che pian piano sta capendo e ammettendo con se stessa, anche se le fanno ancora paura – perché i segni del passato, anche sotto l’effetto dell’amore, hanno bisogno di tempo per guarire, come qualsiasi altra cosa. Sentimenti che stanno cominciando a far parte della sua quotidianità, del suo stesso essere. Sentimenti che lei adesso non vuole più combattere, perché tra le braccia del moro ha trovato finalmente il posto che può chiamare casa, e non vuole perderlo per nessuna ragione al mondo.
Due mesi che l’hanno aiutata a capire quanto sia innamorata di Calum, quanto bene gli voglia, quanto necessiti di lui anche se ancora non riesce completamente a rendersene conto. È come se quel ragazzo ad un tratto fosse diventato il centro di tutto il suo mondo, di tutta la sua vita, senza chiederle il permesso.
Due mesi che, per adesso, per entrambi, sono stati i migliori della loro vita.
 
È tramontato il sole da pochi minuti, ma nessuno dei due vuole tornare a casa per il momento. Sono stati in spiaggia per tutto il pomeriggio a divertirsi, a godersi quella giornata di fine estate, con la mente libera da ogni pensiero ed il cuore più tranquillo del solito. Stesi sulla sabbia, hanno lasciato che il sole li scaldasse e scurisse ulteriormente la loro pelle già abbronzata, mentre la brezza frizzante li accarezzava piano.
E adesso che le stelle stanno spuntando in cielo, Letizia non riesce a non sorridere, mentre Calum le accarezza le braccia delicatamente, con la punta delle dita, divertendosi a lasciarle piccoli baci sulle spalle scoperte. Baci che riescono a far rabbrividire la mora, a farla sentire bene, a farle battere forte il cuore senza che lei riesca a controllarlo. Baci che le arrivano fin dentro l’anima, fino dentro le ossa, capaci di scuotere ogni sua più piccola cellula, in grado di farle toccare il cielo con un dito.
E mentre il tocco del suo ragazzo le riempie il cuore, Letizia si ritrova a pensare a ciò che in quei due lunghi mesi è accaduto: Natale a casa Hood; Capodanno dai King; la festa a sorpresa per il ventesimo compleanno del moro; l’inizio per tutti loro dell’università: Calum e Madison all’accademia di musica, Luke a quella di fotografia e lei alla facoltà di Lettere. Pensa a ciò che insieme hanno fatto. O almeno, cerca di farlo, cerca di tenere la mente occupata con altre cose. Perché, in realtà, i suoi pensieri sono concentrati su un solo punto: trovare una risposta alla domanda che porta dentro da sei lunghi mesi, da quando Calum è piombato nella sua vita in quella notte di fine agosto. Una domanda che non è mai riuscita a trovare né voce né corpo. Una domanda che ha occupato costantemente una parte della sua mente. Una domanda che adesso la ragazza non sa più come trattenere. Perché ha bisogno di sapere, di capire, perché non vuole commettere sbagli, non vuole toccare il passato del moro neppure per caso. Perché non vuole fargli male.
«Cos’hai Leti?» le domanda Calum con il sorriso sulle labbra, gli occhi scuri intenti ad osservare il profilo dell’altra, le braccia strette attorno al corpo della minore per assaporare quel calore tiepido che solo lei sa dargli.
«Troppi pensieri nella testa.» ammette Letizia; lo sguardo puntato verso il mare calmo e tinto con il blu del cielo.
«Potrei saperli?»
Lei sorride. Poi è un attimo, e quella domanda trova subito il modo di uscire dalle sue labbra, senza che la mora se ne renda conto fino a che non è troppo tardi ed ormai il danno è stato fatto. Perché avrebbe voluto chiederglielo in una circostanza diversa, senza la paura di rovinare tutto quanto. «Quale storia nascondi, Cal?»
Una domanda di cui lei si è sempre vergognata ogni volta che faceva capolino nella sua mente, perché avrebbe voluto che fosse stato Calum a parlargliene quando si sarebbe sentito pronto, senza alcuna pressione o timore, senza preoccuparsi dei ricordi e delle ferite. Avrebbe dovuto aspettare, Letizia; sa che sarebbe stato più corretto nei confronti del suo ragazzo. Perché non avrebbe fatto male.
Una domanda che effettivamente lascia Calum un po' spiazzato, senza appigli a cui reggersi, senza punti fermi su cui restare in piedi senza la paura di cadere. Perché ha sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato; ha sempre saputo che non sarebbe mai stato davvero pronto a parlare a Letizia di ciò che ha vissuto e che l’ha cambiato, conducendolo al punto di non ritorno in cui la mora lo aveva trovato e dal quale lo aveva portato via.
Una domanda che, al solo pensarci, l’ha sempre spaventato, l’ha sempre reso insicuro, troppo preoccupato di riaprire ferite non ancora curate del tutto e di riceverne di nuove che non saprebbe come contrastare. Una domanda che ha costantemente cercato di evitare, per non dover ricordare, per non dover affrontare il suo passato. Una domanda a cui, tuttavia, sa che deve dare una risposta sincera, almeno a Letizia. Perché con lei, Calum, vuole togliersi di dosso tutte le maschere. Una domanda a cui però lui non potrà dire tutto quanto.
Prende un respiro; la guarda negli occhi, perdendosi in quello sguardo che ormai ha un po’ imparato a conoscere, a decifrare, uno sguardo che riesce a farlo sentire a casa ogni volta.
Poi, lascia che le parole escano fuori da sole; che i ricordi prendano campo e tornino nitidi; che i brividi gli corrano sulla pelle a causa di tutto quello che sta rivivendo frase dopo frase. Lascia che il cuore batta forte, senza ritegno, senza freni, sfogandosi per ciò che non è stato capace di dire e fare al momento giusto e per ogni singola cosa che ha dovuto tenere nascosta, sotto controllo, senza potersela lasciare alle spalle. Lascia che la sua anima si spogli in parte di quel peso divenutogli troppo familiare. Si lascia andare, Calum, perché sa che non deve avere paura fin tanto che Letizia è con lui, pronta a rimetterlo in piedi se mai dovesse cadere.
Parla. E non gli importa più del dolore, delle ferite, del senso di colpa. Non gli importa di ciò che ha passato e che gli ha fatto male, gli ha stravolto la vita, portandolo a camminare su un filo troppo sottile e debole per sorreggerlo a dovere, facendogli perdere la bussola. Non gli importa delle lacrime che sente agli angoli degli occhi.
«Avevo una ragazza tempo fa.» inizia. E subito la voce si incrina, solo un poco, nel ricordare quegli occhi talmente verdi da sembrare trasparenti. Occhi che fino a qualche mese prima erano il suo pensiero fisso, il suo incubo e sogno insieme, ciò che lo faceva vacillare costantemente sull’orlo del baratro. Occhi che anche solo per poco tempo gli hanno dato tanto. Un tanto a cui Calum sarà sempre riconoscente.
«Lei era… Era la persona più bella che avessi mai visto. Noi… Ci conoscevamo fin da bambini, suo fratello era il mio migliore amico… Sapevamo tutto l’uno dell’altra.» e intanto, i ricordi dell’infanzia tornano alla luce, mostrando scene piene di sorrisi, di allegria; scene di giochi e di semplicità, di quell’affetto vero e disinteressato che nessuno potrebbe mai mettere in discussione. Ricordi che poi portano all’adolescenza; al primo bacio scambiato sul tetto di casa di lei; alla loro prima volta; alle pazzie fatte insieme; al senso di pienezza che il loro rapporto riusciva a dargli giorno dopo giorno; alla felicità che sempre gli inondava il cuore; al fatto che quella ragazza era diventata sempre più importante, era diventata il suo tutto, a cui lui mai avrebbe potuto rinunciare facilmente.
«Lei era… Davvero speciale, capace di fare qualsiasi cosa… Era la migliore…» continua; e la rivede impegnarsi, dare sempre il massimo come se fosse la cosa più normale del mondo; la rivede ridere ad ogni sconfitta, senza tristezza in quello sguardo che riusciva sempre a farlo sentire al sicuro; la rivede mettersi in gioco, provare sempre qualcosa di nuovo e uscire più forte dopo ogni caduta.
«Era anche la migliore attrice di tutti i tempi.» commenta; la voce debole, il cuore che batte all’impazzata nel petto, i ricordi affilati come lame che quasi si divertono ad infierire su tutto quanto. Ricordi che Calum non avrebbe mai creduto di dover affrontare così presto, senza muri a difenderlo, senza scuse o maschere da usare per starne lontano il più a lungo possibile, come un codardo, solo per non soffrire ancora. Ricordi che, allo stesso tempo anche se soltanto per un attimo, riescono a strappargli un sorriso, per quella parvenza di felicità che ogni tanto gli mostrano. La felicità nascosta in ogni sorriso, in ogni occhiata d’intesa; in ogni notte passata sulla spiaggia a cantare ad alta voce, senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto sentire; in ogni brivido percepito sulla pelle.
«Lei… Era bravissima a non far capire agli altri come si sentisse davvero… Non si sfogava mai, non chiedeva mai una mano a nessuno… Si chiudeva nel suo guscio, nei suoi silenzi ed io… Non sono mai riuscito a raggiungerla, non ho mai capito quale fosse la cosa giusta da fare per farla stare bene…» e ripensa a tutte le volte in cui lei non apriva bocca, restando testarda nel suo mondo fatto di niente. Ripensa a quante volte ha cercato di capirla, di leggerla; di conoscere ciò che le stava succedendo; di intuire cosa nascondessero quegli occhi trasparenti, incapaci di mostrare l’anima della ragazza. Ma non ci è mai riuscito, neppure una volta, nonostante gli sforzi.
«Era così brava che, quando ci mettemmo insieme, non mi resi mai conto di quello che aveva cominciato a distruggerla…» e ricorda ogni attimo vissuto pensando che lei stesse bene, che i suoi silenzi prolungati fossero parte del suo carattere particolare; ricorda i momenti spesi a parlare di cose frivole, quando invece lei avrebbe avuto bisogno di sfogarsi, anche solo di poco, per non soccombere, per non cadere sotto il peso che portava, per non dover affrontare da sola quell’inferno che lentamente aveva iniziato a corroderla. Un inferno che lui non è stato capace di vedere, di combattere, di mandar via. Un inferno che ha rovinato tutto.
«Era così brava che mi resi conto del suo dolore soltanto quando suo fratello mi disse che i loro genitori l’avevano mandata in un centro di recupero… E lei non mi aveva detto niente…» e subito gli torna in mente l’incredulità, il senso di colpa e d’impotenza che da quel momento gli hanno fatto compagnia giorno dopo giorno, senza che lui potesse impedirlo, senza che riuscisse a capire cosa stesse davvero succedendo. Perché per Calum era impossibile credere che la persona più importante della sua vita stesse male fino a quel punto; per lui era impensabile credere che lei non gli avesse mai detto nulla nonostante fossero una coppia da ormai un anno, che non si fosse mai sfogata con lui, neppure una singola volta. Faceva così male che, durante i mesi in cui lei rimase al centro di riabilitazione, lui quasi smise di esistere: aveva perso le forze; si muoveva per inerzia, sospinto da una corrente che non era in grado di contrastare; si sentiva svuotato di tutto. Era come se ogni cosa avesse ad un tratto perso i suoi colori, la sua luce, lasciandolo in un pozzo buio da cui non sapeva come uscire.
«Avevo pensato al peggio. Avevo creduto che non sarebbe mai uscita da quel posto, che non l’avrei più vista ridere o piangere, che quello che avevamo costruito sarebbe andato distrutto… Poi però lei uscì, e sembrava che tutto fosse tornato com’era prima: uscivamo, ridevamo, scherzavamo, andavamo al cinema come al solito, come tutte le altre coppie… Lei… Sembrava stare bene davvero… Sembrava essersi ripresa…» e ben ricorda il senso di sollievo e di pienezza nel vederla varcare la soglia di quell’edificio con il solito sorriso allegro sulle labbra. Ricorda la felicità che aveva provato nel riaverla al suo fianco dopo tutti quei mesi fatti di silenzi, di lacrime, di pugni sul muro e sul cuscino, di canzoni scritte e buttate nel cestino un attimo dopo. Ricorda la speranza che gli era nata dentro nell’immaginare il loro nuovo futuro insieme. Speranza che, in un attimo, era riuscita a cancellare il brutto periodo, le brutte sensazioni, il nero che gli aveva attanagliato il cuore fino a quel momento.
«Passarono i mesi e le cose sembravano essere tornate davvero quelle di un tempo… Lei aveva ripreso a mangiare, ad interagire, a ridere… Pareva che ciò che le era successo fosse soltanto un brutto ricordo…» e rivede le loro uscite con gli amici, piene di allegria, di vita come erano sempre state fin da quando erano piccoli; rivede la luce tiepida in quegli occhi verdi, una luce di cui non aveva mia dubitato neppure una singola volta, fidandosi ciecamente solo di ciò che vedeva, fermandosi alla superficie invece di andare più a fondo.
«Poi però le cose cambiarono…» trattiene il respiro, chiude gli occhi, stringe i pungi. Si era ripromesso che non avrebbe pianto il giorno in cui avrebbe raccontato a qualcuno quella storia. Si era ripromesso che sarebbe stato forte, che avrebbe superato tutto. Si era ripromesso che sarebbe andato tutto bene e che non sarebbe caduto, che non sarebbe andato di nuovo in pezzi. Invece sta succedendo il contrario. E lui non ha più forze per reagire.
«Era l’ultimo dell’anno… Eravamo andati sulla spiaggia con i nostri amici per vedere i fuochi d’artificio… Poco dopo la mezzanotte, lei disse che doveva andare in un posto…» e la rivede andare via, dargli le spalle dopo averlo salutato con un bacio che gli era sembrato solo di poco diverso da tutti gli altri; un bacio a cui aveva risposto come ogni volta, con tutto l’amore di cui era capace e che provava per quella ragazza straordinaria. Ricorda il «Ti amo, Cal.» che lei gli aveva sussurrato vicino all’orecchio, con la mano posata sul suo cuore; un Ti amo che per lui aveva significato molto più di quanto si sarebbe aspettato: era come se tutt’ad un tratto gli avessero regalato il mondo intero e lui lo stesse tenendo tra mani troppo malferme. Ricorda ogni singolo istante di quell’ultima notte. Ricorda soprattutto quegli occhi verdi velati da un’ombra a cui lui non aveva dato peso, pensando che si fosse sbagliato e convincendosi del fatto che la sua ragazza ormai stava bene davvero e non c’era nessun rischio di alcun tipo di ricaduta. E invece…
«Però… Lei non tornò… La cercammo per tutta la notte ma non riuscimmo a trovarla… La rividi il giorno dopo stesa su un letto d’ospedale, pallida, con gli occhi chiusi…» e ancora non riesce a dimenticare l’odore di medicinali che aveva percepito entrando in quella stanza anonima, triste, troppo silenziosa per uno come lui abituato al rumore. Non riesce a dimenticare lei, stesa sotto quelle coperte chiare, leggere, priva di quella scintilla di vita che aveva catturato il suo cuore fin da subito. Non riesce a dimenticare le lacrime, il senso di impotenza e la rabbia che avevano nuovamente preso il sopravvento dentro di lui. Una rabbia cieca, devastante, durata per un tempo troppo lungo; una rabbia che è stata in grado di distruggere tutto.
Prende un respiro; punta gli occhi verso l’orizzonte, perdendosi nell’osservare il mare tranquillo, increspato soltanto dalla brezza leggera. Si passa una mano sul viso, cercando di rimettere ordine dentro la sua testa. Ha bisogno di tutto il coraggio e la forza possibili per affrontare la parte della storia che deve ancora arrivare. Un coraggio che non crede di avere, non quella volta; una forza che probabilmente è troppo nascosta nei meandri della sua anima per essere trovata facilmente. Un coraggio che, tuttavia, riesce a trovare negli occhi della mora e che lo aiuta a compiere quell’ultimo passo.
«Suo fratello mi raccontò quello che aveva fatto… Lei… Si era buttata da una scogliera, Leti… Voleva morire, voleva smettere di stare male… Voleva farla finita senza… Senza parlarne prima con qualcuno, con me!»
Si ferma di nuovo. Non vuole continuare, non vuole scoprire quella parte del suo cuore che ha cercato di proteggere fino alla fine. Ha paura di cadere di nuovo, di sembrare debole, di perdere anche Letizia per quella vigliaccheria che l'ha portato fin lì, che non ha mai sentito sua, ma che era comoda per scappare dal dolore; che lui vuole estirpare da dentro di sé per non commettere più lo stesso errore.
«È morta davanti a me, Leti… Stavo tendendo la sua mano quando il suo cuore ha smesso di battere, quando la sua pelle è diventata fredda! Io… Non ero preparato a dirle addio, non ero pronto a lasciarla andare… Non ancora…» e si rivede in quella stanza scura, silenziosa, con le mani strette a quelle della ragazza per farle aprire gli occhi, per farla tornare indietro, per non perdere la persona più importante di tutte. Si rivede portato via da degli infermieri, strappato da quella parte della sua vita che aveva perso nella frazione di un istante, senza poter rimediare a niente di ciò che aveva sbagliato.
«Perché volevo scusarmi… Volevi dirle che mi dispiaceva di essere stato così cieco, di non averla aiutata, di non averle mai chiesto come si sentisse, cosa provasse davvero… Volevo scusarmi per non essere stato la persona di cui lei aveva davvero bisogno…» e ripensa al senso immenso di vuoto, di impotenza, di disorientamento che aveva provato. Ripensa a quanto tempo gli è servito per ricominciare a convivere decentemente con quella realtà che aveva perso ogni interesse. Ripensa a come durante i primi mesi non riuscisse più a parlare, né a provare alcun tipo di emozione. Ripensa all’ombra che era diventato e che aveva fatto preoccupare le persone che più gli volevano bene. Ripensa a tutto, Calum, e il cuore torna a fargli male, frantumandosi in silenzio in pezzi sempre più piccoli che lui adesso non la forza di raccogliere.
Si passa una mano sul viso, asciugando quell’unica lacrima che ha trovato una via d’uscita. Sospira, mentre cerca di rendere regolari i battiti del suo cuore, mentre Letizia lo stringe forte, senza dire niente, incapace di emettere qualsiasi suono, troppo preoccupata per quel ragazzo che non deve cadere di nuovo; preoccupata perché non avrebbe mai creduto che il moro avesse vissuto qualcosa di così devastante. Perché perdere la persona più importante di tutte davanti ai propri occhi porta un dolore che nessuno sarà mai in grado di descrivere.
Lo stringe come se avesse paura di perderlo, di vederlo scomparire all’improvviso. Lo stringe forte, sperando di essergli d’aiuto in qualche modo; sperando che si sfoghi ancora, che lasci andare via ciò che si è tenuto dentro per tutto quel tempo. E intanto, cerca di non piangere; di restare forte, con i nervi saldi, pronta a sorreggerlo se mai lui dovesse cadere e farsi male di nuovo. Non vuole sapere altro, ha ricevuto molto di più di quanto si sarebbe immaginata: Calum le ha aperto parte del suo cuore; e lei non potrebbe chiedere niente di più.
Calum che, in silenzio, si lascia abbracciare, si lascia cullare; lascia che l’affetto dell’altra lo rimetta in sesto, lo curi, lo tranquillizzi anche solo per poco; lascia che tutti i ricordi facciano il loro corso, fino alla fine, senza contrastarli, senza combatterli, consapevole di non poter più tornare indietro. Si ancora a Letizia perché ha bisogno di qualcuno di reale per stare bene. Ha bisogno di qualcosa di vero in cui credere per non perdere quella flebile speranza che ha ritrovato da quando la mora è entrata dentro di lui come un uragano. Ha bisogno di almeno una certezza per riprendere del tutto in mano la sua vita e farla tornare a splendere.
 
«Pensi ancora a lei?» la voce della ragazza è bassa, flebile, rotta. Proprio come lei, che non fa altro che chiedersi come Calum sia riuscito a tenersi dentro quella parte della sua vita per tutto quel tempo; che ha il cuore a pezzi per quella storia che in qualche modo le sembra familiare.
Il moro la guarda, in silenzio; gli occhi rossi, cerchiati da occhiaie molto meno marcate rispetto a qualche mese prima, il sorriso gentile e stanco sulle labbra, le dita intrecciate a quelle di lei, le lacrime che hanno smesso di scendere da qualche minuto, il cuore che ha ripreso a battere più tranquillo.
«In questi ultimi due anni non ho fatto altro… Ti ricordi la sera di Capodanno?»
Letizia annuisce. Ricorda bene quel giorno: Calum era arrivato in ritardo, quando ormai la festa era quasi finita, senza avvertire nessuno – neppure lei –, facendoli preoccupare fino all’ultimo istante. Era entrato in casa in silenzio, aveva salutato tutti con un veloce cenno della mano e le si era seduto accanto senza dire una parola. Lei non aveva fatto domande. Aveva capito che il moro aveva bisogno dei suoi spazi.
«Sono andato alla sua tomba, come l’anno prima. Sai, volevo… Salutarla…» le spiega il ragazzo, tornando a guardare il mare, perdendosi in quello specchio d’acqua che si sta tingendo sempre più del colore della notte, riflettendo quelle poche stelle che hanno iniziato a splendere.
Non aveva detto niente, lui, perché temeva che nessuno avrebbe capito. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che chiudersi nel suo guscio fatto di ricordi, che lo avevano tormentato fino a che non aveva messo piede nel cimitero, fermandosi davanti la foto di quella persona che aveva tanti sogni, tanti progetti in mente, nessuno dei quali avrebbe mai visto la luce. Era andato lì con l’intenzione di fare come le altre volte: portarle un mazzo di rose bianche – le preferite della ragazza –, parlarle un po’ di come stavano andando le cose, salutarla e darle l’appuntamento per l’anno seguente. Eppure, quella volta, non aveva fatto niente di tutto ciò.
«Ho trovato qualcuno di davvero importante e non voglio fare lo stesso errore.» aveva detto; il cuore in mano, i brividi che gli correvano lungo ogni singolo millimetro di pelle, la voce bassa e spezzata, gli occhi velati da un leggero strato di lacrime che a stento era riuscito a tenere a freno.
«Grazie di tutto. Sono felice di averti avuta nella mia vita.» si era limitato a salutarla così, con il sorriso tranquillo di chi ha capito che forse è meglio andare avanti, invece di restare costantemente ancorato al passato. Con il sorriso di chi spera di essere riuscito a voltare definitivamente pagina.
«È stata l’ultima volta.» finisce di raccontare, cercando poi gli occhi di Letizia e sorprendendosi nel vederli sbarrati, lucidi, carichi di un’emozione così profonda ed intensa che Calum non sa proprio come agire, bloccato da quella stessa intensità che non aveva mai visto negli occhi di altre persone.
La ragazza non dice niente. Si limita a stringerlo ancora, a baciargli la fronte. Non è gelosa di ciò che il moro ha fatto, non è arrabbiata con lui. Solo che… Si sente impotente, completamente. Vorrebbe tanto essergli d’aiuto; vorrebbe fare qualcosa di concreto, tangibile, per farlo stare meglio. Però sa di non esserne capace; sa che per superare qualcosa di simile ci vuole tempo; sa che non deve forzare niente, che deve essere paziente e sperare che le cose si risolvano nel miglior modo possibile. Perché non vuole più vedere il maggiore in quello stato: non vuole più vederlo con gli occhi vuoti, tristi, distrutti come pochi minuti prima. Non deve permetterlo.
«Leti?» la chiama lui ad un tratto, catturando la sua attenzione e facendola sorridere.
«Cosa c’è?» chiede la ragazza; le labbra di nuovo sulla fronte dell’altro, mentre sente le lacrime pungerle gli occhi; lacrime che non vuole lasciar andare per niente al mondo.
Calum la abbraccia forte, nascondendo il viso nell’incavo del collo di lei, inspirando il suo profumo dolce, calmandosi nel sentire il battito del cuore della ragazza anche attraverso la stoffa. La abbraccia; e sa che non può chiedere altro; sa che Letizia è la cosa migliore che potesse capitargli. È grazie a lei se non è caduto, se è riuscito a resistere, se ha capito almeno in parte cosa sia giusto fare. È grazie a lei se sta tornando a vivere. E sa che non potrà mai ripagarla abbastanza per tutto quello che ha fatto e che sta continuando a fare, a donargli, senza rendersene conto fino in fondo. È felice di essersi innamorato propri di lei. «Grazie. Di tutto.»
Letizia si irrigidisce, solo un attimo, prima che l’altro le baci la fronte e la guardi negli occhi.
E lei sorride, mentre il cuore quasi le esplode nel petto per quella gioia inaspettata che sente dentro.
«Grazie a te.»
Poi lui la bacia, piano. Ed entrambi sanno che non potrebbero chiedere niente di più
.





Letizia
Bella gente, ciao! <3
Nuovo sabato, nuovo capitolo tutto per voi!
Capitolo che, come avete ben notato, è incentrato sui nostri Lalum e soprattutto... *rullo di tamburi, grazie* ... Sulla storia di Cal! (della serie "Ma 'na gioia" - diciamocelo, questa storia è il "Mai 'na gioia" perenne, ahahah ;)).
O almeno, una parte di tutto ciò che il nostro bassista preferito ha dentro *^*
Che ve ne pare? Dai dai, fatemi sapere, che sono curiosa!
Piccolo indizio: se pensate bene, trovate un collegamento ulteriore con qualcosa che sappiamo già u.u
Adesso scappo, ma ci sentiamo presto, promesso!
Un bacione e, come sempre, grazie per tutto quanto! <3
Vi voglio davvero troppo bene, Letizia <3

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Capitolo 28
*** Ventotto ***


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Ventotto
 
 
 
Eppure, a volte la paura del passato è forte più di tutto il resto.
Così forte da bloccare ogni cosa ed imprigionare il cuore nel ghiaccio.
Così forte da non lasciare alcuna via d’uscita per sentirsi liberi fino in fondo.
 
 
 
È uscito di casa da ormai un buon quarto d’ora, Luke. E ancora si domanda che cosa gli sia saltato in testa così all’improvviso, non appena aveva visto quella vecchia foto tra i quaderni di scuola. Una foto che credeva di aver perso da tempo, che pensava di aver buttato via in un momento di disattenzione. Una foto scattata in quel periodo della vita in cui non si sa niente dei problemi, del dolore, della solitudine. Ritrovarsela tra le mani, con tutti i ricordi ad essa connessi, ha sbloccato qualcosa dentro di lui; qualcosa rimasto sepolto per troppo tempo; qualcosa che il biondo sapeva che avrebbe dovuto fare molto prima.
Ed ora eccolo lì, in quel pomeriggio di fine febbraio, con il caldo dell’estate che ancora si fa sentire, a camminare veloce per le strade di quel quartiere in cui non metteva piede da mesi; un quartiere che, durante la sua infanzia, è stato il posto in cui sono nati alcuni dei suoi ricordi più belli; ricordi che Luke custodisce gelosamente nel cuore, come un cimelio che non deve andare perduto per niente al mondo.
Osserva tutto con attenzione, curioso; ogni cosa gli sembra così familiare eppure diversa al tempo stesso: i colori delle insegne un po’ più sbiaditi, le persone alle finestre un po’ più anziane, i mattoncini delle case un po’ più consumati. Cammina per quelle strade che ancora ricorda alla perfezione e che ad ogni angolo riescono a fargli spuntare un sorriso di nostalgia sulle labbra.
Si sistema gli occhiali da sole sul naso prima di fermarsi un attimo ad osservare il cielo azzurro e limpido sopra di sé. Poi sospira. È nervoso per ciò che succederà a breve e non sa se si sente pronto abbastanza per affrontare quella persona che non vede da troppo tempo a causa di forze più grandi di entrambi. Quella persona con cui non ha mai smesso di parlare, nonostante ciò che è accaduto.
Riprende a camminare; la musica nelle orecchie e il cuore che batte un po' più forte del normale, facendolo rabbrividire, scuotendo ogni sua cellula. Respira piano, cercando di non perdere la calma. Spera solo che quel pomeriggio vada tutto bene; che il rimpianto ed il rimorso non prendano campo per nessun motivo; che il passato non cerchi di rovinare tutto ancora una volta. Perché non sa se sarà in grado di resistere di nuovo.
Svolta l'angolo. E subito la casa che cercava si fa vedere, bianca e tranquilla come sempre, con il giardino che, rispetto al passato, è meno sgargiante, meno vivo. Al notare le persiane chiuse, il cuore gli fa un balzo nel petto, seguito da brividi sulla pelle e da una brutta sensazione che non riesce a mandar via neppure quando suona il campanello. Neppure quando il suo migliore amico gli apre la porta con un sorriso che Luke non gli aveva mai visto addosso prima di quel momento.
 
Quel pomeriggio, Michael non aveva programmi di alcun tipo: avrebbe semplicemente giocato a qualche videogioco fino a sera tardi, dopo aver studiato gli appunti che i suoi compagni di corso all’università gli avevano gentilmente prestato per aiutarlo a rimettersi in pari. Avrebbe fatto le cose di sempre, rispondendo ai messaggi di Ashton che si erano fatti più preoccupati e più esilaranti del solito.
Invece, poco dopo pranzo aveva ricevuto un messaggio da una persona con cui non aveva parlato spesso in quegli ultimi mesi. Una persona che, in passato, gli era stata accanto durante i suoi periodi più neri, senza abbandonarlo, nonostante il peso che si portava sulle spalle. Un peso che Michael non era mai stato in grado di alleviare.
Un messaggio che il ragazzo ricorda anche adesso, a distanza di due ore.
 
Verrò a farti visita più tardi, superstite. Vedi di farti trovare.
Luke
 
Un messaggio capace di strappargli un sorriso e migliorargli la giornata  nella frazione di un secondo. E no, non gli importa del passato, delle cicatrici ormai sanate. Non gli importa dei ricordi, di chi ha perso, di cosa deve ancora rimettere in sesto. Gli importa sapere che le poche persone a cui vuole bene siano rimaste e stiano bene, com’è giusto che meritino, dopo tutto quello che hanno vissuto.
Si alza dal letto e si mette a cercare qualcosa in mezzo ai pochi libri che ha in camera. Qualcosa che non apriva da anni e che col tempo ha accumulato un leggero strato di polvere. Qualcosa a cui ha sempre tenuto tanto. Lo trova sotto il nuovo libro che Letizia gli ha prestato – La storia infinita – e che lui ha ormai finito. E si ritrova a sorridere, nel rivedere quell’album fotografico dopo tutto quel tempo.
Un album in cui sono custoditi i suoi ricordi più belli, condivisi con quelle persone che non se ne sono mai andate davvero, anche se si sono allontanate da lui per forze più grandi di loro. Lo apre; e subito le risate dell’infanzia gli tornano in mente, con le feste fatte in giardino o in casa a seconda della stagione, seguite dagli anni delle medie e poi delle superiori, ognuno con i suoi ricordi e le sue emozioni. Anni che Michael vive sempre a metà tra la rabbia e la riconoscenza, a causa di tutto quello che ha passato, che gli è stato tolto e dato senza che lui potesse far niente per cambiare le cose. Anni che lo hanno reso la persona che è adesso, capace di resistere, e non solo per se stesso; capace di guardare oltre il passato e più deciso che mai a fare la stessa cosa con gli altri.
Sospira, mentre accarezza una delle poche foto in cui il gruppo era al completo. Poi il campanello suona.
 
«Ehi, Luke!» esclama il padrone di casa, facendolo entrare.
«Ciao, Mike.» lo saluta il minore, sorridendogli pacatamente e battendogli una pacca sulla spalla.
«Ce ne hai messo di tempo per arrivare.» commenta l'altro avviandosi in camera sua salendo i gradini a due a due come suo solito, facendo scuotere la testa all’altro che non riesce a stupirsi nel notare che Michael non è cambiato di una virgola in tutti quei mesi: è rimasto il bambino di sempre; quel bambino che, ogni tanto, parla della vita in un modo così profondo eppure così semplice allo stesso tempo, da lasciare spesso completamente senza parole.
Luke entra nella stanza piano, senza fare rumore, sistemandosi sul tappeto morbido al centro, il posto in cui si è sempre seduto fin da quando erano bambini e non dovevano pensare al peso della vita. Si guarda attorno; e non riesce a non sorridere nel vedere che la camera è come se la ricordava: la porta dipinta di bianco alla sua sinistra, mentre alla sua destra la finestra aperta e sotto ad essa la scrivania piena di cianfrusaglie di tutti i tipi; dietro di lui il letto sempre da rifare, con le coperte tutte messe alla rinfusa; davanti a lui l’armadio in legno chiaro, dalle cui ante lasciate aperte riesce ad intravedere una chitarra che ha tanti anni quanti quelli del suo migliore amico. La stessa chitarra che ha accompagnato la loro infanzia ed i primi anni della loro adolescenza, giorno dopo giorno.
«Come… Come stai, Luke?»
È titubante, Michael, nel fare quella domanda, mentre osserva l’altro di sfuggita, cercando di nascondersi un po’ da quelle iridi azzurre che sono sempre riuscito a leggerlo con facilità; occhi perspicaci che il ragazzo non si sente in grado di fronteggiare, non ancora, non dopo tutto quel tempo. È titubante perché purtroppo conosce il tasto che ha appena toccato, e non ha sa se le cose sono cambiate dall’ultima volta che lui ed il suo migliore amico hanno parlato dell’argomento.
Luke sospira piano e si passa nervosamente una mano tra i capelli spettinati, mentre cerca di trovare le parole giuste da dire. Parole che riescano ad esprimere la sua situazione che, purtroppo, non è migliorata neppure di una virgola da quando Madison è andata a casa sua ormai qualche mese prima. E rimane basito nel notare che parole sufficienti, adatte a descrivere il tutto, non esistono.
«Potrei stare meglio… Ma non mi lamento… Tra alti e bassi riesco a stare in piedi. E per adesso mi basta.»
L’altro sospira, in silenzio, senza sapere cosa dire, come rispondere a quelle poche parole che gli sono arrivate fin dentro l’anima, fin dentro le ossa. Parole cariche di talmente tante cose, che ancora lui non riesce a capire come il biondo sia in grado di sopportare tutto quanto da solo.
Si passa una mano sul viso stanco, segnato da occhiaie poco marcate. Avrebbe voluto esserci quando i suoi migliori amici si erano ritrovati ad aver bisogno di una mano. Invece si era ritrovato in un fottutissimo ospedale, fermo su un letto a causa di uno stupido che, per una sera, aveva deciso di divertirsi più del solito.
«Tu, invece, come te la passi?» gli chiede l’altro, attirando la sua attenzione in un attimo, come al solito.
Il maggiore sospira e mette a posto il cubo di Rubik che aveva preso per tenere la mente occupata, per non dover pensare alla sorpresa che uno dei suoi più cari amici gli ha fatto quel giorno; una sorpresa che lui ha paura di non essere in grado di gestire, anche se è riuscito a superare ciò che è successo.
«Diciamo che rimettersi dopo sette mesi passati all’ospedale non è tanto semplice come credevo.» ammette ridendo forte, rompendo il ghiaccio come ha sempre fatto nelle situazioni in cui si sentiva in difficoltà.
Luke lo nota, ma non dice niente; sa che, dopo tutto quel tempo, la reazione di entrambi è comprensibile. Si limita a cambiare argomento, conscio che, così facendo, l’atmosfera potrà soltanto migliorare.
«Che mi dici di te e di Ash?» domanda allora; un sorriso malizioso sulle labbra e la curiosità di sapere che Madison durante tutti quei mesi è riuscita a trasmettergli.
L’altro ridacchia nervoso, prima di distogliere lo sguardo da quello dell’amico, mentre le guance gli si tingono lievemente di una tonalità più rosea, più scura del solito. «Non credo tu debba chiederlo.»
Il minore sorride, più tranquillo, mentre nota con piacere che la brutta sensazione che sentiva dentro sta lentamente scomparendo. «Volevo vedere se stai bene davvero.»
«Ma io sto bene!» ribatte l’altro, tornando a puntare i suoi occhi in quelli del biondo e restando senza parole nel vedere in quell’azzurro una sicurezza ed una profondità tali che mai prima di quel momento era riuscito a scorgervi; forse perché era ancora troppo presto.
«Non mentire.» asserisce Luke, senza dividere il sottile filo che pian piano li sta portando in un campo minato, nel quale nessuno dei due vuole arrivare davvero. «Sai meglio di me che sei un pessimo attore.»
Michael sorride debolmente, senza rispondere. Si limita a guardare fuori dalla finestra, perdendosi nell’osservare il giardino di casa sua incolto, secco, senza più quei fiori colorati che un tempo davano allegria e di cui sua mamma si occupava personalmente, amante del giardinaggio com’era sempre stata, prima che Rachel decidesse da sola di stravolgere tutto quanto nella frazione di un istante. Sospira; un lungo brivido gli corre sulla pelle, mentre i denti vanno a torturare il labbro inferiore, mentre le lacrime iniziano a pungergli gli occhi solo un po’. Lacrime che il ragazzo caccia subito indietro, senza farsi vedere. Perché non vuole piangere, lui, non quel giorno.
«Sono solo preoccupato, tutto qui.»
Il biondo abbassa gli occhi verso il pavimento alle parole dell’amico; parole che condivide pienamente e che sente dentro come un macigno talmente pesante che neppure due persone insieme riuscirebbero a portare.
«Lo siamo tutti, Mike.»
L’altro sospira, prima di poggiare la fronte al vetro fresco e sospirare, creando un alone di condensa che sparisce subito dopo. «Ho paura di vedere quante persone ci rimetteranno, se le cose dovessero andare a rotoli.»
«Non succederà, non stavolta.»
Michael si volta, puntando i suoi occhi vitrei in quelli azzurri dell’amico. «Come fai ad esserne così sicuro?»
Luke sorride. «Basta vedere come Calum guarda Letizia per capire che le cose sono completamente diverse.»
Michael annuisce. «Per lei è lo stesso.»
Il minore non si sorprende a quelle parole. Sa che la mora ed il suo migliore amico si conoscono; glielo ha detto lei dopo poco essersi conosciuti. Se deve essere sincero, è contento che le persone più importanti della sua vita siano in qualche modo legate le une alle altre, con un filo che ha qualcosa di magico dentro di sé; un filo che probabilmente ha tutta l’intenzione di stravolgere nuovamente ogni cosa.
«Secondo te ce la faranno?» chiede il ragazzo dai capelli colorati.
«Ne sono sicuro. Si amano troppo per mandare all’aria tutto quanto.»
Michael ride allegro, rincuorato. Sa di potersi fidare di Luke. E sa anche che l’amico ha ragione da vendere, sotto ogni punto di vista. Spera solo che le cose non cambino all’improvviso com’è già accaduto una volta.
«Tu invece?» gli chiede poi, curioso.
Il biondo lo guarda senza capire. «Io cosa?»
«Se ti dico “Madison”, a cosa pensi?»
Luke non risponde. Si limita a spostare lo sguardo su un altro punto della stanza.
Il maggiore sorride lievemente; non è poi così difficile intuire la risposta. In fondo, gli occhi dell’altro sono rimasti gli stessi di quando erano piccoli. Ed entrambi ormai sanno che, in un’amicizia come la loro, alcune domande non hanno bisogno di essere poste.
 
«Non posso crederci, l’ho trovato!» esclama Letizia a voce più alta del solito, catturando l’attenzione della bionda – affaccendata nel reparto di musica del negozio in cui lei e la sua migliore amica sono ormai da quasi tutto il pomeriggio – e facendola voltare verso di lei.
«Un nuovo libro?» domanda Madison non appena l’altra le si avvicina con un piccolo volume in mano.
«Non un libro qualsiasi, Maddie. Questo è il libro, lo cercavo da una vita!» le spiega la mora, mostrandole entusiasta cos’ha in mano: Momo di Michael Ende, dalla copertina rossa e semplice.
«Sai che io conosco a malapena un millesimo di tutti i libri che hai letto e che leggerai, cara Lewis.» ammette l’altra sorridendo divertita e tornando a cercare il CD che sperava di trovare.
Letizia scuote la testa e va alla cassa per pagare. Lei e Madison hanno sempre avuto gusti ed interessi molto diversi tra loro. Gusti ed interessi che, per quel pomeriggio, entrambe hanno deciso di rispolverare dopo mesi di silenzio. Ecco perché sono in quel negozio da ore ormai. Sono tornate alle vecchie abitudini, a quando si nascondevano in quel posto in cui hanno sempre trovato una parte di loro stesse, in cui hanno trascorso talmente tanto tempo che ormai i proprietari le riconoscono e le trattano sempre con un occhio di riguardo. Un posto in cui Letizia si sente a casa, circondata da tutti quei libri in cui adora perdersi, in cui ritrova sempre almeno un aspetto della sua vita.
Accarezza distrattamente la copertina del suo nuovo acquisto, mentre ritorna dall’amica. E, involontariamente, si ritrova a pensare all’unica storia che sta portando avanti davvero; l’unica che non ha smesso di scrivere dopo la prima pagina; la sola che gli sta dando molto più di quanto avrebbe mai immaginato. Quella storia che, nel suo piccolo, la sta aiutando a veder meglio, a volte più lucidamente, il mondo attorno a lei; la sta aiutando a mettere pian piano dei punti fermi nella sua vita, da cui partire seguendo il suo ritmo. Quella storia che le sta aprendo gli occhi su parte dei sentimenti che da due mesi e mezzo prova nel cuore, a causa di un ragazzo che lentamente si sta prendendo la parte migliore di lei. Un ragazzo che le riempie ogni singola giornata; la fa sentire bene, amata;  le fa vedere il mondo con quei colori che la mora aveva creduto di aver perso. E lei non potrebbe esserne più felice.
«Hai trovato quello che cercavi?» domanda alla bionda, osservandola spostare diverse pile di CD.
«Ancora no.» risponde l’altra; il tono sconsolato di chi non è riuscito ad ottenere quel poco che stava cercando. Il tono di chi, anche, sta facendo di tutto pur di non far vedere niente, pur di tenere ogni segreto nascosto sotto maniche lunghe e sorrisi sempre più falsi, sempre meno luminosi. Il tono di chi, come Madison, si sta tenendo nuovamente il dolore dentro al petto senza lasciarlo sfogare neppure una volta. Il tono di chi si sente sconfitto, schiacciato di nuovo dal peso della vita, strattonato dal buio verso un pozzo nero senza ritorno. Il tono di chi vorrebbe tanto un aiuto, un aiuto che però non ha il coraggio di chiedere, per paura di sembrare ancora più debole, ancora più incapace, ancora più insignificante.
Perché Madison sa che adesso ha davvero bisogno di aiuto, perché da sola non ha più la benché minima idea di come rimettersi in piedi. Però è difficile; è difficile ammettere di non essere in grado di cavarsela con le proprie forze, di non sapere da che parte andare per trovare quella luce che serve per stare bene. È difficile avere paura e sentirsi bloccata, paralizzata da un terrore che non sa come gestire, come sfar scomparire una volta per tutte. È difficile sentirsi ai margini, messa in disparte, non compresa da chi cerca di farlo ma non riesce a vedere fino in fondo. È difficile cercare un aiuto nella propria migliore amica e trovare un muro di cecità.
Madison non è arrabbiata con Letizia, non potrebbe; non dopo tutto quello che hanno vissuto e cercato di combattere insieme, giorno dopo giorno. Non potrebbe essere arrabbiata con l’unica persona che, nonostante gli sbagli, le cadute, i silenzi ostinati, è sempre rimasta al suo fianco, senza mai farle pesare niente. Non potrebbe avercela con chi non riesce a vedere davvero. Perché la bionda, ormai, è diventata un’attrice esperta nel nascondere le proprie emozioni agli altri. E sa che non può prendersela con nessuno, se nessuno nota il dolore che ha dentro.
Sospira. Avrebbe bisogno di un istante di coraggio, uno soltanto, per fare quel salto che potrebbe cambiare tutto; quel salto che potrebbe darle la forza che le manca per riprendere in mano la sua vita e farla tornare a risplendere come prima. Un prima che a Madison sembra troppo lontano, perduto nei meandri del tempo, quasi come un sogno a cui agogna ma che non riesce più a raggiungere.
«Come si chiama l’album?» le domanda la mora, riscuotendola dai suoi pensieri.
«All killer no filler. È dei–» ma non riesce a finire la frase, che subito la mora la precede.
«Sum 41. Guarda che so bene che tu per loro attraverseresti il mondo a piedi se potessi.»
La ragazza non dice niente. In fondo, c’è un motivo se proprio Letizia è diventata la sua migliore amica: la conosce meglio di quanto Madison conosca se stessa; la capisce anche senza bisogno di parole, sa leggerla come nessuno – neppure Luke – è mai riuscito a fare. Però… Perché non si accorge di quello che sta succedendo di nuovo?
Letizia si mette a cercare nel reparto Punk e, poco dopo mostra il CD all’altra. E la bionda non riesce a non reprimere un sorriso di gioia, nel rendersi conto che adesso ha davvero tutti gli album di quella band che l’ha accompagnata per tutti quegli anni, dandole un motivo per continuare a restare a galla. Una band di cui, ne è assolutamente certa, prima o poi andrà ad un concerto. E Letizia sarà la persona che avrà il posto accanto al suo.
«Grazie, Lewis.»
L’altra ridacchia e, dopo averla presa a braccetto, la accompagna alla cassa. «Non c’è di che, King.»
Madison scuote piano la testa, divertita. Può star sicura che Letizia non la tradirebbe mai. E anche se fa male rendersi conto che ci sono cose che la sua migliore amica non riesce a vedere, le va bene così. Se lo fa andare bene, se lo fa bastare, anche se non sarà mai abbastanza per curare tutto quanto. Si fa bastare l’affetto che la mora le dà giorno dopo giorno, trattandola senza quella pietà che Madison non ha mai sopportato negli occhi di nessuno. Si fa bastare quell’amicizia senza la quale non sarebbe dov’è adesso, sotto quel cielo azzurro e senza nuvole con accanto ad una delle persone più importanti di tutta la sua vita. Si fa bastare ciò che ha. Perché ha imparato che, a chiedere troppo, si perde sempre molto più di quanto si era desiderato.
Letizia intanto la guarda, la osserva attenta. E, nonostante lo sguardo della sua amica sia tranquillo, sereno, non riesce a mandar via quella brutta sensazione che da giorni sente dentro al petto. Una sensazione strana, che la rende tesa, nervosa, che non la fa stare tranquilla e la tiene costantemente all’erta, come se dovesse succedere qualcosa di davvero spiacevole in un futuro non troppo lontano. Una sensazione che le riporta alla mente ricordi che la mora preferirebbe tenere il più lontano possibile per non doverli vivere ancora una volta.
Sospira e scuote piano la testa. Deve smetterla di pensare sempre in negativo, di ancorarsi costantemente al passato. Ormai le cose stanno cambiando, stanno migliorando passo dopo passo. Non può permettere che il suo irrefrenabile sesto senso rovini ogni cosa. Deve sperare che tutto vada bene; che finalmente lei e Madison saranno davvero felici, senza più la paura di quel passato che le ha rese le persone che sono adesso. Deve sperare che la sua migliore amica stia di nuovo bene. Perché sa che, se dovesse succedere di nuovo qualcosa di simile a ciò che hanno già vissuto, nessuna delle due sarebbe pronta per reggere il colpo ancora una volta.
La bionda si volta. La mora le sorride, mascherando le sue preoccupazioni.
Ed entrambe sanno che, nonostante tutto, niente potrà nuovamente mandarle nel buio. Non fin quando saranno l’una il sostegno dell’altra. Non fin quando saranno sempre pronte ad aiutarsi a vicenda e a tirarsi su dalle macerie delle loro ferite. Non fin quando si vorranno bene come sorelle
.





Letizia
Ma ciao a tutti tesori miei! <3
Spero stiate bene e che il pensiero dell'inizio della scuola non vi rattristi troppo ;).
Passando alla storia, che capitolo dolcino che abbiamo qui!!!!
I Muke che si ritrovano dopo tanto tempo, dimostrando che la loro amicizia non è cambiata nonostante tutto. Sono dei topini dolciosi questi due *^* (sì, lo ammetto, anche se non sono una Muke shipper, mi sono emozionata a scrivere la loro scena :3).
E poi abbiamo le nostre giovani donzelle: Maddie e Leti che stanno passando un sano pomeriggio tra amiche. Eppure, tanto sano non lo è, se entrambe pensano al fatto che c'è qualcosa che non va :/. Secondo voi, riusciranno a ricucire per bene il loro rapporto?
Fatemi sapere che ne pensate, ci conto! <3
Ci sentiamo presto! Come sempre, grazie per tutto, vi adoro! <3 *^*
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 29
*** Ventinove ***


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Ventinove
 
 
 
Una libertà a cui a volte si rinuncia perché ci si sente troppo incapaci, deboli.
Troppo deboli per affrontare la vita a testa alta.
Troppo deboli per combattere davvero per ciò a cui si tiene più di tutto il resto.
 
 
 
Avete presente il rumore che fa un vaso quando cade per terra? Rumoroso, improvviso. E i battiti del cuore che corrono nel vostro petto per la sorpresa? O i grossi respiri per riacquistare la calma? O ancora il dolore del taglio che procurano i cocci, se presi in mano nel modo sbagliato? O il senso di vuoto lasciato da quel vaso che, anche se dovesse essere riparato, non sarà mai più lo stesso?
Avete presente tutto questo?
Perché è proprio con quel vuoto che Letizia sta cercando di fare i conti, adesso. Un vuoto che sperava di non dover affrontare ancora una volta. Un vuoto a cui aveva smesso di pensare grazie a Calum, da quando lui aveva continuato a sconvolgerle ulteriormente la vita da quando si erano messi insieme, ormai ben tre mesi prima. Un vuoto che, ora, le sta di nuovo portando via quel poco di buono che era riuscita a far ricrescere dentro di sé. Un vuoto che sembra destinato ad accompagnarla per tanto tempo, nonostante la sua lotta continua per tenerlo lontano il più a lungo possibile. Una lotta che sembra non avere mai esiti a suo favore.
 
Quel pomeriggio, mentre rincasava passando dal solito posto, si era sorpresa nel notare dalla finestra della camera di Calum la tenda tirata, come se niente e nessuno dovesse entrare. Non si era fatta domande; in fondo, sapeva che il moro e sua madre sarebbero stati fuori casa tutto il pomeriggio, quindi non aveva alcun motivo di preoccuparsi. Eppure… Mentre studiava, non aveva fatto altro che combattere contro un brutto presentimento che le era nato dentro il cuore non appena aveva visto quella barriera. Un brutto presentimento che le diceva che qualcosa non tornava, che c’era qualcosa di sbagliato. Aveva tentato di non pensarci, di fare altre cose, ma non era servito a niente. Alla fine, quella brutta sensazione aveva avuto la meglio su di lei, e la mora si era ritrovata davanti la finestra di Calum ancor prima di rendersi conto di cosa stesse succedendo davvero.
Aveva sospirato, come se solo così facendo i suoi nervi si sarebbero rilassati. Poi aveva scostato la tenda per entrare meglio da quella finestra sempre aperta. Solo che non era preparata a ciò che le si sarebbe presentato davanti agli occhi, all’improvviso.
 
Guarda il ragazzo davanti a sé come se fosse non fosse davvero lì, cercando di convincersi che non è reale, che è soltanto un incubo; cercando di trovare una spiegazione che sembra non esserci mai stata; tentando di tenere insieme i pezzi della sua anima che è andata ancora una volta in frantumi nella semplice frazione di un istante, capace di farla cadere nuovamente in quel buio che aveva creduto di essersi lasciata completamente alle spalle.
Guarda Calum, cerca i suoi occhi color caffè, sperando di trovarci almeno una risposta, sperando che lui la aiuti a capire e che le confermi che ciò che sta succedendo è soltanto un brutto sogno, dal quale si sveglierà presto. Perché si deve svegliare, Letizia. Deve aprire gli occhi e tornare alla realtà, alla vita in cui, finalmente, lei ed il ragazzo a cui tiene più di tutto il resto stanno bene e non devono più preoccuparsi del passato.
Perché, fino a pochi minuti prima, per la mora era davvero così: per lei, durante quei tre lunghi mesi, le ferite di entrambi sembravano essersi rimarginate, lentamente ma costantemente, facendo così spazio a qualcosa di migliore, di più luminoso e bellissimo. Ne era convinta, con tutta se stessa. Era convinta che tutte le cicatrici stessero scomparendo passo dopo passo, cancellando il marchio dei ricordi da dentro i loro cuori.
Perché, in quell’ultimo mese, ha sempre osservato attentamente il moro, lei; non l’ha mai perso di vista da quando lui le ha parlato della sua ex – una storia che, al solo pensarci, ogni volta le fa nascere nel petto una strana sensazione che non riesce mai a spiegarsi, una sensazione che la fa rabbrividire e preoccupare allo stesso tempo, come se ci fosse altro oltre quella storia, come se fosse successo altro di cui lui non le ha parlato. Gli è sempre stata vicina, attenta, silenziosa, pronta a notare qualsiasi cosa, anche la più piccola ferita; pronta a dare tutto senza riserva alcuna pur di farlo stare bene. Pronta a perdere tutto, anche se stessa, pur di salvare Calum da se stesso. Gli ha donato ogni grammo della sua anima, pur di fargli capire che non doveva mollare, che doveva continuare a lottare; per fargli capire che lei gli sarebbe rimasta accanto in ogni caso, pur di aiutarlo a voltare pagina senza affrettare troppo le cose, pur di ricordargli che ci sarebbe stata sempre una possibilità per ricominciare da zero.
E ci ha provato, Letizia, Dio solo sa quanto abbia provato, quanto abbia cercato di essere forte sia per Calum che per se stessa – perché i rapporti tra lei ed Azura che lentamente stanno tornando ad avere una forma lievemente più definita la stanno lentamente mandando al tappeto, confondendola e tenendola costantemente sul filo del rasoio, come se per la vita fosse divertente vederla sempre in difficoltà, in bilico tra l’equilibrio ed una caduta.
Ci ha provato tanto, senza fermarsi mai, ogni volta scontrandosi sempre più violentemente contro i suoi stessi limiti. Dopotutto, sa di essere soltanto un essere umano, e sa che occuparsi di troppe cose insieme può diventare veramente rischioso, e non soltanto per se stessa.
Eppure, adesso che Calum è davanti a lei, è chiaro come la luce del sole che i suoi sforzi non sono serviti a niente.
Perché potrebbe fare qualsiasi cosa, lei. Ma non può ignorare il fatto che Calum ha di nuovo una siringa in mano.
E non può neppure negare il fatto che cadere di nuovo fa molto più male di quanto avesse creduto.
 
Avete presente quanto invece faccia male sapere che una persona in cui si ripone completamente la propria fiducia non ha rispettato una promessa? E il senso di delusione e di vuoto? O il dolore sordo, nascosto in un angolo, relegato lì proprio per evitare di pensarci? O ancora quel senso di perdita, come se all’improvviso qualcuno avesse strappato via un pezzo di anima e di cuore; pezzi che non torneranno più; pezzi la cui assenza continuerà costantemente a farsi sentire? Avete presente cosa voglia dire sapere di essere la causa della propria rovina?
Calum lo sa anche troppo bene.
Lo sta vivendo sulla sua pelle proprio adesso, con gli occhi color cioccolato di Letizia puntati su di lui; sul laccio emostatico stretto attorno al braccio; sulla sua mano che tiene la siringa pronta per entrare in vena. Occhi puntati nei suoi, capaci di leggergli l’anima e di farlo sentire un niente nella frazione di un attimo, capaci di farlo sentire ancora più in colpa, ancora più debole, ancora più incapace e inetto di prima. Occhi che il moro non ha il diritto di guardare; non quando dentro di lui c’è quel marcio che non è mai andato via davvero.
Un marcio a cui Calum non ha dato la giusta attenzione, la giusta importanza. Un marcio che, alla prima opportunità, lo ha fatto cadere ancora una volta. Un marcio che ha annullato tutto quello che, in quei lunghi otto passati da quando Letizia è entrata nella sua vita, lui era riuscito a rimettere un po’ in sesto. Un marcio che lo ha fatto tornare in quel circolo vizioso da cui credeva, sperava di essere completamente uscito.
Perché, nonostante gli sforzi, nonostante la sua voglia irrefrenabile di tornare a stare bene e voltare pagina una volta per tutte, Calum ha ripreso a drogarsi. Ha ripreso ad essere l’ombra di se stesso, nascondendosi dietro sorrisi finti e vuoti con cui ha fatto pratica talmente bene senza rendersene neppure conto, che nessuno è stato in grado di cogliere alcun cambiamento – neppure Letizia, Luke o Madison, che sono sempre stati al suo fianco, dimostrandogli costantemente il loro affetto ed il fatto che lui, per loro, sarà sempre importante.
E Calum ci ha provato, ha provato davvero a farsi trascinare da quell’idea, da quella visione di un nuovo se stesso in grado di cavarsela, capace di sapere affrontare a piene mani i problemi senza dare di matto, senza perdere la bussola. Ha provato a ripartire da zero, a rimettere delle basi solide su cui poter costruire da capo la sua vita. E, per un primo periodo, le cose erano andate addirittura meglio di quanto si fosse aspettato.
E questo solo e soltanto grazie a Letizia e al fatto che la mora ha sempre fatto di tutto pur di farlo stare bene, pur di farlo sorridere, riuscendoci in pieno. Perché è grazie alla ragazza che ama se, pian piano, ha provato a muovere i primi passi per uscire completamente dal buio; è grazie a lei se ha cercato di non darsi per vinto e ha continuato ad andare avanti. E ci stava riuscendo, ci stava riuscendo davvero.
Poi, un pomeriggio, tutto è andato a puttane nella frazione di un istante.
 
Era tornato a casa alla stessa ora; aveva salutato Letizia con il solito bacio prima di entrare in camera sua passando dalla finestra tenuta costantemente aperta. Si era tolto le scarpe ed aveva lasciato cadere lo zaino sulla sedia, come al solito. Era andato in bagno, si era rinfrescato il viso guardandosi allo specchio senza notare niente di strano, senza vedere maschere di troppo o ferite nate da poco che non potevano essere curate. Stava bene, come non si sentiva da tanto, troppo tempo. Neppure il ricordo della sua ex faceva più così tanto male. La Moleskine nera era ben chiusa in un cassetto e lui da un mese non l’aveva mai ripresa in mano per leggerne anche solo qualche riga.
Aveva sorriso divertito alla sua immagine riflessa nello specchio ed era tornato in camera. Di sfuggita aveva notato il cassetto della biancheria aperto. Aveva indugiato un attimo di troppo. Un attimo che aveva mandato in fumo tutto il resto con una facilità tale che Calum ancora fatica a capire.
Un secondo dopo, un ago con la solita dose di morfina era conficcato nel suo braccio. E la sensazione di pace, di tranquillità che solo la droga sapeva dargli era tornata a fargli compagnia, facendolo stare ancora meglio.
 
E Calum sa che quel gesto è ben più grave di tutto il resto. Sa, è cosciente che non si è drogato perché aveva bisogno di dimenticare; non ha ripreso a drogarsi perché si sentiva in colpa; non ha ripreso a farsi del male perché crede di meritarlo. Ha ricominciato a drogarsi perché il suo corpo anelava una dose da troppo tempo.
Una dose a cui ormai si era abituato e dalla quale non si sarebbe distanziato tanto facilmente. Aveva creduto di poter arginare la dipendenza che quella piccola quantità di droga a lungo andare gli avrebbe causato. Aveva cercato di non cadere così in basso, di mettere un muro dentro se stesso per non fare un passo troppo lungo senza certezza di ritorno. Aveva anche tentato di non considerare minimamente i segnali che il suo corpo gli mandava senza neppure rendersene conto: prurito alle braccia, brividi, nausea. Non era andato in crisi d’astinenza perché la dose che assumeva era davvero esigua. Ma il suo corpo si era ormai abituato. E sa che non riuscirà a trovare tanto facilmente una via d’uscita definitiva.
Calum Hood sa di essere caduto in una trappola peggiore di quella del suo passato; sa che stavolta colerà davvero a picco e che non c’è modo di tornare indietro, se non è lui stesso il primo ad ammettere di aver bisogno di aiuto. Sa di aver incasinato ogni cosa ancora una volta. Sa di aver rovinato tutto. Eppure, di quella dose, lui non riesce a fare a meno; anche se non si buca tutti i giorni, la voglia di quella sensazione di estraneità dal mondo c’è, ed aumenta ad ogni dose, famelica, come se non fosse mai abbastanza, come se volesse sempre di più, come se volesse cibarsi di parti del suo stesso essere sempre più grandi. Sa di aver perso davvero quella luce che finalmente, dopo troppo tempo rimasto senza, era quasi riuscito a raggiungere. Sa di aver ferito Letizia ancora una volta.
Ed ora eccolo lì, che non ha neppure il coraggio di guardarla in faccia; che non sa come affrontare quella vergogna che si sta prendendo gioco di lui e che sta peggiorando tutto quanto. Eccolo lì, che non dice niente a sua discolpa, che non tenta di spiegare. Eccolo lì, in silenzio, gli occhi scuri rivolti a terra ed il cuore che sembra volergli esplodere nel petto da un momento all’altro.
Perché deve sempre rovinare tutto quanto?
 
«Calum?»
La voce di Letizia cattura la sua attenzione e, prima che lui riesca a capacitarsene, i suoi occhi si ritrovano incatenati a quelli scuri della mora, velati da lacrime che non hanno intenzione di uscire, non ancora.
«Che cosa ti sta succedendo?» sussurra lei; la voce flebile, rotta.
La voce di chi non riesce a credere a ciò che vede; di chi ha appena perduto tutto all'improvviso ancora una volta; di chi non sa più cosa fare per affrontare la realtà. La voce di un'anima distrutta, devastata, fatta diventare polvere da forze più grandi e incontrollabili. La voce di una ragazza completamente innamorata, senza alcuna riserva, del ragazzo che ha davanti e che sta cercando di capire con tutte le sue forze.
Calum però non risponde. Resta lì, muto, in balia di quel circolo vizioso che lo ha riportato al punto di non ritorno. Un punto da cui stavolta non partirà nessun viaggio per tornare indietro, per tornare a stare bene, ne è sicuro. Sente fin dentro le ossa che adesso non c'è davvero più niente da fare. Non c'è niente, nemmeno l'amore che prova verso Letizia, che potrebbe riportarlo sulla giusta strada. E intanto, sente il cuore e battergli forte dentro al petto, lo sente protestare a gran voce dentro la sua testa, lo sente contorcersi e cercare di scappare da quel buio che è tornato e che cerca di tirarlo nuovamente a fondo, senza che il ragazzo possa fare qualcosa per difendersi.
Letizia gli si avvicina piano, come se ad ogni passo avesse paura di fare la mossa sbagliata. E intanto lo osserva attenta, a lungo. Osserva il suo viso, gli occhi color caffè stranamente vuoti, l’espressione incolore. Osserva le sue braccia scoperte, le cicatrici delle vecchie punture ormai guarite e sparite quasi del tutto e quelle nuove, contornate da piccoli lividi che da lontano nessuno potrebbe notare sulla carnagione ambrata del moro. Osserva quel ragazzo che aveva creduto di aver iniziato a capire almeno un po', ma che ancora una volta si è rivelato un estraneo, un muro impossibile da valicare.
«Parlami, ti prego!» lo supplica, cercando i suoi occhi scuri; cercando di non dare troppa importanza al dolore sordo che sente dentro al cuore; cercando di relegare in un angolo la paura che le sta attanagliando l'anima.
Calum si alza in piedi, si allontana da lei. Si toglie il laccio emostatico dal braccio e svuota il contenuto della siringa nel lavandino del bagno, per poi tornare in camera e aprire del tutto la finestra, facendo entrare nella stanza la brezza fresca di inizio autunno. Fa di tutto pur di sfuggire allo sguardo della minore, pur di sfuggire a quella realtà che sembra essere tornata a divertirsi del suo dolore e della sua debolezza. Fa di tutto, pur di non aumentare il senso di vergogna che si è nuovamente impadronito di lui.
La ragazza si alza e lo raggiunge, intrappolandolo tra il davanzale ed il suo stesso corpo.
L’altro la guarda e sospira, mentre lunghi brividi cominciano a corrergli sulle braccia, lungo la schiena.
«Cosa vuoi che ti dica?»
Letizia resta in silenzio. Si limita a perdersi in quegli occhi grandi che ha sempre considerato un porto sicuro in cui poter trovare riparo; quegli occhi che la capiscono meglio di chiunque altro e che la fanno stare bene con poco, quasi come per magia; quegli occhi che lei non sopporta vedere in quello stato.
«Vorrei soltanto sapere cosa ti sta succedendo, Cal.» risponde poi; la voce che pare un sussurro ancora più difficile da udire, da comprendere. Un sussurro che, alle orecchie del ragazzo, tuttavia arriva forte e chiaro. Un sussurro capace di far crollare tutto quanto nella frazione di un istante.
«Hai visto da sola.» ribatte Calum, atono; lo sguardo ancora incatenato a quello dell’altra. «Non ti basta?»
La mora lo osserva allibita, senza sapere cosa dire o fare. Perché la persona che ha davanti non è il ragazzo di cui si è innamorata, che ha conosciuto, che nonostante tutto le ha curato ogni ferita. È qualcuno che Letizia non conosce; qualcuno che lei sa che deve andarsene, a tutti i costi. Perché Calum deve tornare, a tutti i costi.
«Io…» inizia, ma la sua voce incespica come un bambino che cammina per la prima volta. «Voglio saperlo da te.»
Calum vacilla a quella domanda, a quella preghiera più che lecita. Vacilla perché sa che sta mandando nuovamente tutto all’aria; sa a quali conseguenze andrà incontro, a quanto dolore provocherà a Letizia – perché di se stesso, della sua vita, al ragazzo non importa più niente. Non potrebbe mai dimenticare cosa è accaduto quando lei aveva scoperto il suo segreto per la prima volta; non potrebbe dimenticare il senso di sconfitta e di vuoto, il dolore e la solitudine, le ferite che aumentavano; non potrebbe dimenticare il disperato bisogno di avere Letizia al suo fianco ed il suo volerla tenere lontana per non farla stare troppo male; non potrebbe dimenticare il senso di pienezza e di sollievo quando poi si erano chiariti e la loro storia era cominciata.
«La merda non ha mai fine. Ti basta come spiegazione?» ribatte allora lui; la voce fredda, incolore; gli occhi vuoti e privi di quella luce che aveva fatto innamorare la ragazza davanti a sé; il dolore che intanto continua ad espandersi sempre più, senza che lui possa fare qualcosa per evitarlo.
Letizia lo guarda, inerme. E intanto, il cuore continua ad andare in frantumi, a fare male, a chiedere una tregua che non arriverà tanto facilmente; continua a contorcersi in quella prigione che il dolore ed il buio gli hanno nuovamente creato attorno, come se fossero tornati a divertirsi con il loro gioco preferito dopo una lunga assenza.
«No, non mi basta, Cal. Io… Voglio soltanto tirarti fuori da tutto questo, dannazione! Voglio aiutarti. Ma se tu continui a comportarti così, non so come fare…»
«A comportarmi così come?» chiede lui, lasciando che intanto ogni parola dell’altra gli entri dentro marchiandolo a fuoco, ricordandogli l’errore che sta commettendo ancora una volta, ricordandogli che potrebbe perdere di nuovo la persona più importante di tutte solo perché vuole proteggerla. Perché Letizia è importante, più di tutto il resto, più della sua stessa vita. E lui non vuole che soffra ulteriormente. Ecco perché sta cercando di allontanarla ancora una volta; ecco perché le sta rispondendo male, a denti stretti, come se non volesse più averla intorno quando invece è tutto il contrario – perché l’amore è così, e lui lo sa; ma sa anche che non merita qualcuno come la mora.
Lei sospira e si passa una mano tra i capelli, cercando di tranquillizzarsi, di trovare un senso tra quelle macerie che sono tornate ad essere le loro compagne di vita. Perché è così che si sente: è come se tutto intorno a lei fosse stato distrutto da una forza incontrollabile, capace di far scomparire ogni cosa nella frazione di un istante, come se quella poca luce che era riuscita ad entrarle dentro in realtà non fosse mai esistita.
Perché Letizia non riesce a credere che Calum abbia ricominciato a drogarsi; non riesce a capirlo, a trovare una spiegazione; non riesce ad accettarlo. Perché lui aveva smesso, dopo che si erano messi insieme; aveva smesso e le cose sembravano essere iniziate con il piede giusto – quei tre lunghi e bellissimi mesi passati insieme lo hanno dimostrato ad entrambi. Ma allora perché è successo di nuovo? Perché deve esserci sempre qualcosa nella loro vita che cerca costantemente di tirarli verso il fondo, verso il punto di non ritorno?
«Come se non ti importasse.» sussurra ancora, lei.
E intanto chiude gli occhi, perché non vuole vedere la realtà che ha davanti agli occhi. Non vuole, non ci riesce. E non le importa se ha diciotto anni – come non le importa se Calum ne ha venti. Non le importa se entrambi teoricamente dovrebbero comportarsi seguendo il senno, dato che ormai sono maggiorenni; non le importa se teoricamente dovrebbero essere più abili ad equilibrare sentimenti e ragione. In una situazione come la loro non c’è distinzione di niente, non c’è un punto fermo a cui ancorarsi per ripartire e vedere le cose con più chiarezza. Perché la loro, di chiarezza, è stata spazzata via quando tutte le loro certezze sono crollate, senza più ricostruirsi come avrebbero dovuto.
Non vuole più aprire gli occhi, Letizia. Proprio come i bambini, che credono che, se chiudono gli occhi, i mostri sotto al letto spariranno per sempre. Non li apre, non ancora, come se volesse tenere in piedi ancora per qualche istante quel poco del muro che le era rimasto dentro; quello stesso muro che il moro era riuscito a buttare giù. Un muro che adesso a lei serve per non andare completamente in pezzi.
Calum la guarda. Non riesce a dire niente, non riesce a sciogliere quel nodo che gli si è formato in gola, impedendogli persino di respirare, impedendogli di liberarsi di quel peso che lo sta nuovamente trascinando verso il fondo.
Perché non avrebbe mai immaginato che le parole della ragazza sarebbero potute essere così devastanti. Non avrebbe mai pensato che avrebbero potuto fargli così male. Non avrebbe mai creduto che l’avrebbero fatto cadere in un istante, senza dargli l’opportunità di proteggersi. Perché è vero; è vero che a lui non importa più di niente, se non della ragazza che ama più di se stesso: ha perso tutto, ha perso Letizia ancora una volta. Cos’altro gli resta?
«Io–» inizia; la voce atona e flebile. Ma non riesce a proseguire.
Perché Letizia agisce d’impulso, guidata da una forza che non sapeva di avere. Agisce e non si pente, perché sa, sente che è la cosa giusta, la sola che può fare in quel momento.
Zittisce Calum, all’improvviso, unendo le loro labbra in un bacio dolce, quasi timido; un bacio che li lega e che sembra avere vita propria. Un bacio che ricorda ad entrambi quell’amore, quella forza bellissima ed inspiegabile che li tiene insieme. Le loro labbra si muovono, si cercando, si accarezzano delicatamente, quasi avessero paura di farsi male a vicenda; si esplorano a fondo, arrivando a toccare l’anima dell’altro, facendolo rabbrividire, facendolo fremere sotto le dita, percependo distintamente i battiti irrefrenabili anche da sotto il tessuto che li divide. Lasciano che le loro mani si trovino e si completino, stringendosi talmente forte da far sbiancare le nocche, mentre i loro respiri accarezzano il viso dell’altro in modo talmente delicato da sembrare impercettibile.
Poi però Calum si allontana, conscio del fatto che entrambi preferirebbero che le cose andassero diversamente
«Io non vado bene per te, Leti, lo capisci? Con tutta la merda che ho dentro, merito solo di bruciare all’inferno.»
Lei lo guarda ancora; gli occhi lucidi, il respiro irregolare, le mani tremanti sul petto di lui, ferita da quelle parole dure, a cui non riesce a credere neppure volendo. Parole che mai avrebbe creduto di sentir pronunciare proprio da Calum, proprio da quella persona che le aveva insegnato a non mollare mai, a trovare una ragione per continuare a lottare nonostante tutto. Quella persona che si è dimostrata essere l’unica capace di dare un senso alla sua vita.
«Se tu bruci, io brucio con te.»
Lo dice a testa alta, a voce ferma, con gli occhi fissi in quelli del ragazzo. Perché è l’unica cosa di cui Letizia sarà sempre certa: seguirà Calum sempre, senza preoccuparsi minimamente del posto in cui dovrà andare per farlo tornare da lei. Non le importa se questo significa procurarsi ulteriori ferite, ulteriore dolore. Il ragazzo davanti a lei è una delle pochissime cose belle che la vita le ha concesso; non può permettersi di perderlo, non quando si è resa conto che quel moro è divenuto il tassello che le mancava per ricominciare. Quel tassello più importante di tutti gli altri, che Letizia difenderà con le unghie e con i denti, senza freni. Se lui dovesse andare al’inferno, lei lotterebbe pur di raggiungerlo.
«Non posso permettertelo.»
Le parole di Calum rompono all’improvviso il silenzio che si era creato tra loro. Parole che il moro deve dire per metterla in salvo, per tenerla lontana da un dolore che non merita, per preservare quella luce che ha ripreso ad illuminare quegli occhi scuri in cui lui adora perdersi ogni volta che ne ha l’occasione, perché sa che non gli succederà mai niente. Deve proteggerla, deve proteggere Letizia da se stesso e da tutto quello che lo circonda e lo compone; non può permettere che il suo buio la contamini, non lei che è la sua stella, la sola bussola in quel limbo fatto dei pezzi della sua stessa anima.
Entrambi vogliono proteggere l’altro. È l’amore che li guida verso le scelte che stanno facendo. Ma è anche l’amore che ha appena fatto andare in frantumi tutto ciò che i due ragazzi avevano costruito insieme
.





Letizia
Bellissime personcine, buon salve! <3
Spero che questi primi giorni stiano andando bene per tutti (e colgo l'occasione per fare un grandissimo in bocca al lupo a chi quest'anno dovrà affrontare l'Esame di maturità! <3)
Parlando di cose un po' più tristi(ssime), da dove comincio? :'(
I Lalum sono di nuovo punto e a capo. E' come se la loro vita fosse un disco rotto che, dopo un po' di tempo che gira, si ferma sempre sullo stesso punto, impedendo alla canzone di finire il suo corso.
Cal ha ripreso a drogarsi vuole tenere lontana Leti perché vuole saperla al sicuro, mentre lei non vuole lasciare da solo il nostro bel bassista per niente al mondo.
Cosa credete che succederà da ora in poi? (Informazione di servizio: tra qualche capitolo serviranno fazzoletti *^*)
Prima di scappare (perchè, come al solito, ho mille millanta cose da fare -.-"), voglio dirvi un'ultima cosa: è questa la scena chiave, quella che dà il titolo a tutta la storia (che poi è ripreso dalla canzone Burn with you di Lea Michele *^* - se non l'avete ascoltata, FATELO SUBITO U.U è meravigliosa *^*)
Detto questo, oggi chiudo qui, sperando che il capitolo nuovo vi sia piaciuto e ringraziando per tutto quanto. Siete pazzeschi!!!!! <3 <3 <3 *^*
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 30
*** Trenta ***


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Trenta
 
 
 
Eppure, a volte è proprio quel qualcosa di importante a portare la luce.
È quel qualcosa di basilare che porta quel pezzo di puzzle che mancava per completare il tutto.
Per completare una vita che sembrava aver perduto tutto quanto.
 
 
 
«Hemmo, quanto ti ci vuole per prendere un pacchetto di biscotti?!» esclama Madison, seduta sul divano del salotto, con il cellulare in mano e il sorriso stampato sulle labbra da quando Luke ha messo piede in casa sua all’improvviso, senza avvertirla, facendola una sorpresa ben gradita.
Un sorriso che in quelle ultime settimane è nato sempre più spesso sul suo viso, a causa del ragazzo biondo che è ancora in cucina e che, con una semplicità unica, estrema, riesce costantemente a farla sentire perfetta, ogni volta che i suoi occhi azzurri come il mare si posano su di lei, come se fossero guidati da una forza più grande di loro.
Sorride sempre più spesso, Madison, perché i suoi sentimenti per Luke stanno crescendo, giorno dopo girono; le riempiono il cuore e l’anima, le danno quell’unica certezza a cui si ancora con tutte le forze. Quella certezza che, tuttavia, non sarà mai in grado di far scomparire del tutto ciò che macchia la vita della ragazza.
Perché il passato che la ragazza continua a nascondere è ancora lì, a farle compagnia in ogni momento; a ricordarle quanto di sbagliato, imperfetto ed inutile ci sia dentro di lei, quanto in realtà sia debole, incapace di difendersi e di camminare sulle sue stesse gambe; è ancora lì come le sue cicatrici, alcune fresche di un giorno soltanto, altre che hanno lasciato il loro segno da tempo, restandole impresse addosso fin da subito, segno indelebile del peso che si porta dentro da anni e che l’ha fatta nuovamente precipitare.
E lei ormai, anche se cerca di trovare un minimo di riparo nei suoi sentimenti per Luke, nell’amicizia che la lega a Letizia, a Calum, a Michael ed Ashton – che ha conosciuto poco dopo Natale e che è riuscito con poco a conquistare la sua simpatia – sa che, in realtà, ha smesso di combattere e ha rinunciato già da tempo, da prima ancora che le cose si complicassero. Perché Madison King vigliacca era, e vigliacca rimarrà fino alla fine, troppo spaventata di muovere un ulteriore passo solo perché ha troppa paura di ciò che incontrerà.
Sospira stanca e si passa una mano sugli occhi contornati da occhiaie scure e troppo evidenti. Occhiaie dovute non tanto a ciò che la sta mandando in pezzi ancora una volta – a cui sta cercando di abituarsi perché sa che non le resta altro da fare – quanto al fatto che non riesce a chiudere occhio a causa di ciò che Letizia e Calum stanno passando da un mese a quella parte.
Perché sono caduti di nuovo, insieme, a causa di un qualcosa troppo più grande di loro che nessuno ha idea di come gestire. E stavolta i loro amici sanno anche troppo bene che non sarà semplice rimettere insieme i cocci rotti di ciò che è rimasto. Sanno troppo bene che per aiutarli ci vorrà tempo, pazienza e tanta forza di volontà per tenere duro e non crollare a propria volta. Sanno troppo bene che non devono lasciarli soli, neppure per un momento, perché nessuno di loro sa cosa i due potrebbero fare se il dolore dovesse avere la meglio.
Perché Madison conosce Letizia, meglio di qualunque altra persona sulla faccia della terra. E sa che l’amica ha subito l’ennesimo colpo dalla vita. Un colpo forse più potente di quello che aveva ricevuto in passato e che aveva cambiato tutto quanto nella frazione di un istante. Un colpo che, adesso, ha reso la mora nuovamente silenziosa, distaccata, assente; l’ha svuotata di quella luce che, grazie a Calum, era riuscita finalmente a tornare in quegli occhi scuri e profondi. Occhi che Madison ha sempre ammirato per la loro forza ed il loro coraggio, qualità che Letizia ha sempre dimostrato nonostante tutto, senza rendersene conto neppure una singola volta.
La sua migliore amica non è più la persona che lei conosceva. È come se adesso al nome di Letizia rispondesse un robot vuoto, incapace di provare qualsiasi tipo di emozione, freddo come il metallo che lo compone. Eppure, Madison sa che dietro quel metallo, dietro quell’apatia, c’è ancora la persona con cui ha condiviso tutta una vita e che non ha la benché minima intenzione di perdere per nessun motivo. Letizia è la sua migliore amica, la sola persona che le sia rimasta accanto nei momenti peggiori e che non ha mai lasciato la sua mano; l’unica persona che Madison vuole al suo fianco, nonostante tutti gli errori che ha commesso e che sta continuando a fare.
E nonostante tutto, mentre si ritrova a leggere un messaggio su Twitter che le ha mandato Lu_x – Non indovinerai mai con chi sono in questo momento! – sa, sente che non tutto è perduto, che tutti insieme troveranno il modo di far funzionare le cose tra i loro amici.
Perché Letizia merita di essere felice. E perché Calum ha bisogno di lei per voltare pagina una volta per tutte.
Su questo Madison è più che sicura.
Ed è mentre risponde a quel messaggio, che altri pensieri le invadono la testa. Pensieri che, anche solo per qualche istante, la portano lontana da ciò che sta accadendo e che sembra non avere una spiegazione logica, una spiegazione che non è per niente facile vedere alla prima occhiata.
Pensieri che riguardano proprio Lu_x, proprio quel ragazzo che, con il tempo, è diventato sempre più importante per lei, trasformandosi in una parte fondamentale della sua vita; una parte senza la quale – Madison lo sa anche troppo bene – non riuscirebbe a stare, neppure volendo. Perché Lu_x è arrivato in punti della sua anima dove Letizia non era mai riuscita a posare gli occhi; punti che soltanto Luke era riuscito qualche volta ad intravedere e cullare, mandando via il dolore, la paura e la tristezza.
È importante Lu_x; lo è davvero. Lo è talmente tanto che… Adesso, le regole che si sono imposti stanno cominciando a diventarle strette. Perché vorrebbe conoscerlo, Madison, vorrebbe guardarlo dritto negli occhi e dirgli «Grazie.» per ogni singola cosa che ha cercato di fare nonostante una possibile distanza incolmabile a dividerli. Vorrebbe stringerlo e dirgli quanto bene gli voglia. Vorrebbe sentire il suono della sua voce e della sua risata, almeno una volta nella vita. Vorrebbe sentire le sue braccia stringerla forte per non lasciarla più andare, per tenerla al sicuro come riesce a fare anche soltanto con dei semplici messaggi.
Sa che chiede troppo e che sperare per lei sta diventando sempre più rischioso. Ma pure lei è umana, e le emozioni non si potranno mai controllare fino in fondo.
Pensa a Lu_x, la bionda. E l’unica cosa che riesce ad inquadrare di lui sono gli occhi.
Occhi che lei si immagina azzurri come il mare.
Perché i suoi sentimenti verso Lu_x sono esattamente a metà strada tra l’amicizia e l’amore. Perché Madison King sa che non è innamorata di Lu_x: solo Luke Hemmings è riuscito a rubarle il cuore davvero.
 
Da: Madx; 30.03.2016, 06:25 pm
Con quella ragazza che ti piace tanto?
 
Luke sorride nel leggere quel messaggio, a cui risponde velocemente con un Mi conosci troppo bene, non vale, per poi afferrare il pacchetto di biscotti al cioccolato che stava cercando e tornare in salotto, dove Madison è seduta comodamente; gli occhi castani puntati verso la finestra che dà sul giardino, rigata dalla pioggia che sta cadendo da tutto il pomeriggio. Ed il cuore gli fa un balzo nel petto.
Perché, anche se sono passate parecchie settimane da quando si è reso conto dei suoi sentimenti per la bionda – anche se ormai ha fatto l’abitudine ai batticuore, ai sorrisi ebeti che gli nascono all’improvviso sulle labbra, al lieve rossore che gli colora il viso quando lei lo guarda a lungo, facendolo sentire nudo, senza difesa alcuna – ogni volta che si ritrova con lei non riesce a non sorprendersi. Perché Madison diventa sempre più bella, ogni giorno che passa; diventa sempre più simile alla stella che Luke aveva visto di sfuggita in quegli occhi castani incontrati grazie a Calum nel corridoio della scuola. Occhi che, in qualche modo, gli hanno marchiato l’anima ed il cuore, facendo nascere in lui un sentimento sempre più difficile da contenere e nascondere.
Perché fa male non poterle dire cosa prova; fa male stare al suo fianco con  la costante paura che qualcuno migliore e più adatto di lui possa trovarla e portargliela via. Certo, non direbbe niente, perché Madison si merita solo il meglio dalla vita. Ma farebbe male, da morire. Farebbe male perché perderebbe una delle poche certezze che ha, una delle poche persone che è stata capace di curargli le ferite, la sola in grado di alleviare il peso che lui da anni si porta dietro completamente da solo, un peso che riguarda lui soltanto.
Farebbe male perdere Madison e non poterle dire niente in ogni caso. Perché è come se i suoi sentimenti cercassero costantemente di uscirgli dal petto; è come se cercassero in ogni modo una via d’uscita per sfogarsi, per arrivare alla persona che ha dato loro vita e a cui sono destinati. Solo che… Luke sa troppo bene che non potrebbe rovinare la loro amicizia in un modo simile: sarebbe troppo rischioso, e lui non vuole perdere una delle persone più preziose di tutta la sua vita a causa di sentimenti che ormai ha imparato a controllare – nella maggior parte dei casi.
Si limita ad amarla da lontano, è l’unica cosa che gli rimane da fare per non impazzire del tutto.
«Che stai guardando di così interessante?» le chiede allora, all’improvviso, spezzando il silenzio.
Madison sobbalza, colta alla sprovvista, e si volta verso Luke, sorridendogli.
«Niente di che.» gli risponde, sistemandosi meglio sul divano e lasciando che il ragazzo la stringa a sé con il  braccio, scaldandola con il calore tiepido del suo corpo che la fa rabbrividire lievemente in quella sera di autunno. Un calore a cui Madison ormai si è abituata durante quei sei – quasi sette ormai – lunghi mesi, dal quale sembra essere diventata dipendente in un modo che non riesce a capire fino in fondo. Un calore che sa di casa.
Si è abituata, lei, alla presenza costante di Luke nella sua vita. E sa che, se mai le cose tra loro due dovessero cambiare, andare a rotoli, non sarebbe in grado di resistere da sola. Per questo motivo non ha ancora confessato all'altro ciò che prova. Perché ha paura, lei, paura di perdere Luke, di rovinare quell'amicizia bellissima che in quei mesi è nata e cresciuta tra loro due, un'amicizia a cui si ancora con tutto ciò che ha per non cadere, un’amicizia che le ha dato tanto, senza che lei chiedesse niente.
Si accoccola sulla spalla del maggiore e chiude gli occhi, sperando che i pensieri che le vorticano dentro la testa si fermino, anche solo per un istante, per lasciarla libera di respirare almeno per un po’.
Intanto, Luke osserva attentamente il viso stanco di Madison, soffermandosi su quelle occhiaie che l’hanno fatto preoccupare non appena le aveva viste quando era entrato in casa quasi un'ora prima. Occhiaie che, in quelle ultime settimane, sono diventate sempre più scure, sempre più marcate a causa di un qualcosa che non fa dormire neppure lui, un qualcosa che lo tiene spesso sveglio a lungo durante la notte.
Un qualcosa che, purtroppo, riguarda nuovamente il suo migliore amico e quella che col passare del tempo si è rivelata essere una persona insostituibile. E Luke sapeva che, se fosse caduto soltanto Calum, sarebbe riuscito ad essere di aiuto in qualche modo. Ma il fatto che pure Letizia sia caduta, sprofondando in un pozzo nero e perdendo ciò che l’ha sempre resa quella che è, lo ha destabilizzato completamente, lo ha mandato al tappeto, facendogli crollare quelle certezze a cui si era ancorato durante quegli ultimi mesi pur di trovare la forza per continuare a restare in piedi nonostante tutto il resto.
Come Madison, anche il giovane Hemmings è preoccupato, ma non riesce a dirlo, non riesce a sfogarsi: ha paura di peggiorare la situazione, di minare quel terreno già devastato e renderlo ancora più instabile; un terreno su cui si sono andate a trovare troppe persone a causa di forze più grandi e più potenti di loro.
Sa che ha bisogno di essere forte, di restare in piedi per dare una mano. Eppure… Non ci riesce, non stavolta, non quando troppe persone a cui vuole bene sono state attaccate da quel buio contro cui lui non ha mai smesso di lottare da quando lo ha visto per la prima volta negli occhi di sua madre: un buio che risucchia tutto quanto e che manda in pezzi il cuore e l’anima nella frazione di un istante.
Sospira e si passa una mano tra i capelli chiari, mentre l’espressione vuota del moro di qualche settimana prima gli torna in mente. Un’espressione che Luke non aveva mai visto sul viso dell’amico prima di quel momento.
«Ho perso tutto quanto.»
Aveva detto così Calum; la voce atona, gli occhi vuoti, il corpo scosso da tremiti.
Luke non aveva avuto bisogno di chiedere. I nuovi segni sulle braccia dell’altro gli avevano fatto capire tutto quanto. E sì, aveva pensato di parlare con la signora Hood; aveva davvero pensato di raccontarle ogni cosa. Però… La promessa che aveva fatto a Calum ed il fatto che Joy sarebbe stata devastata da una notizia simile gli avevano fatto abbandonare l’idea. Non avrebbe potuto ferire quelle persone ulteriormente.
Ed ora eccolo lì, Luke, che cerca di non pensare, che prega di poter dimenticare, di svegliarsi con l’amnesia – proprio come la canzone che aveva scritto con i suoi amici, benché il contesto fosse completamente diverso. Eccolo lì a chiedersi come andranno le cose da ora in poi, quanto avrà da combattere e da mettere in gioco per far tornare la luce, quanta forza gli servirà per non cadere e per rimettere le cose in sesto insieme a Michael ed Ashton.
«A cosa pensi, Luke?»
La voce di Madison lo coglie alla sprovvista, attirando completamente la sua attenzione e facendogli aprire gli occhi che non si era reso conto di aver chiuso poco prima.
«A troppe cose, Maddie.» risponde piano, distogliendo subito lo sguardo mentre le mani corrono al telefono per leggere il messaggio di Madx. E subito il suo sorriso diventa improvvisamente più ampio e più luminoso.
Un sorriso nato proprio grazie a quella ragazza sconosciuta che è entrata nella sua vita ormai da tempo e che lo sta aiutando a restare in piedi in un momento tanto delicato come quello senza rendersene minimamente conto: gli tiene la mente occupata; lo fa sorridere; lo fa stare bene; gli fa dimenticare anche solo per qualche istante tutto il dolore, la paura e l’angoscia; gli alleggerisce il cuore. Dopo Madison, Madx è una delle poche ragioni per le quali continua a lottare. Perché, un giorno, lui vorrebbe incontrarla, dirle quanto tenga a lei e quanto le sia grato per tutto ciò che ha fatto per lui. Vorrebbe stringerla forte, vorrebbe sentire il suo cuore che batte.
Un cuore che, a pensarci proprio in quel momento, ha lo stesso ritmo di quello della ragazza accoccolata tra le braccia del biondo, che sta scrivendo la risposta a Lu_x, con gli occhi lievemente più vivi.
 
Da: Madx; 30.03.2016, 06:40 pm
Come sta andando con quella che ti piace?
 
Invia e sorride piano. È curiosa, Madison, di sapere chi sia la persona che è riuscita a rendere felice Lu_x, quel ragazzo meraviglioso che merita solo il meglio dalla vita.
Sente il corpo di Luke muoversi all’improvviso sotto di lei. Per questo apre gli occhi, cercando di capire che cosa sia successo. Ma vede solo il biondo digitare qualcosa sullo schermo del telefono. E dopo poco, il cellulare le vibra nella mano, facendola sobbalzare per la sorpresa.
 
Da: Lu_x; 30.03.2016, 06:41 pm
Meglio di quanto potessi sperare. È qui accanto a me, sai? Ed è la persona più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita.
 
Madison sorride e risponde, con il cuore che intanto batte ancora più forte nel petto, per un motivo che non riesce a spiegarsi, mentre un lungo brivido le corre lungo la schiena facendola irrigidire lievemente.
 
Da: Madx; 30.03.2016, 06:43 pm
È davvero fortunata ad averti incontrato.
 
Poi la ragazza guarda Luke. E lui è di nuovo a scrivere qualcosa con il cellulare. Lo vede premere Invio.
Nello stesso istante, il suo telefono vibra ancora una volta, facendole andare il cuore in gola.
Perché no, non è possibile. È soltanto una pura e semplice coincidenza.
Se lo ripete come un mantra, mentre legge la risposta che Lu_x le ha appena scritto.
 
Da: Lu_x; 30.03.2016, 06:45 pm
Sono io quello fortunato. Lei è la cosa più preziosa che ho al mondo.
 
Madison guarda di nuovo Luke, che sembra star aspettando qualcosa dalla persona che lo sta cercando e che lo sta tenendo con gli occhi quasi completamente incollati allo schermo. Una persona che la ragazza ha all’improvviso la netta sensazione di conoscere anche troppo bene.
 
Da: Madx; 30.03.2016, 06:48 pm
Hai mai pensato di dirglielo?
 
La bionda lo invia. E subito, prima che possa posare gli occhi sull’altro, le sue orecchie vengono catturate da un suono proveniente proprio dal telefono del ragazzo seduto accanto a lei, che non sembra essersi accorto di niente.
Lo stesso ragazzo che si trova a leggere il messaggio inviatogli da Madx a voce alta. Senza rendersene neppure conto. «Hai mai pensato di dirglielo?»
Ed eccola lì, all’improvviso, la conferma che Madison stava cercando.
«Luke?» lo chiama allora, piano, la voce che sembra un sussurro alle sue orecchie, assordate dai battiti del cuore che sente galoppare fin dentro le tempie. Non è possibile, non ci credo.
«Sì, Maddie?» risponde lui; gli occhi azzurri puntati in quelli castani della bionda, il sorriso sulle labbra.
«Posso vedere un attimo il telefono, per favore?»
Il ragazzo la osserva stranito per un attimo, non capendo il perché di quella strana richiesta. Poi però glielo dà.
Madison corre subito alla conversazione di Twitter lasciata aperta. Ed il cuore smette di battere.
Perché le parole sono lì. Tutto ciò che lei ha scritto a Lu_x è lì, davanti ai suoi occhi, nel telefono della persona che gli sta accanto da più di quanto lei riesca a credere. Ogni singola cosa che lei e quel ragazzo si sono detti, confidati, è lì, nel telefono di Luke. Nel telefono di quella persona a cui ha aperto parte del suo cuore.
Il ragazzo osserva l’amica diventare improvvisamente pallida; i suoi occhi castani diventare lucidi; le sue labbra tremare per la frazione di un secondo. Osserva lo sguardo dell’altra cambiare in un istante, lo vede trasformarsi in qualcosa di nuovo. Qualcosa che non sa come prendere.
«Maddie, che succede?» le si fa più vicino; cerca di capire che cos’abbia, mentre tenta di non dar peso al batticuore che lo sta assordando. Lei si limita a dargli entrambi i telefoni, senza dire una parola. Lui li prende e legge.
Ed è come se, ad un tratto, tutto quello che è attorno a loro sparisse, lasciandoli completamente soli, incatenati da un qualcosa che non sono mai stati in grado di gestire, di contenere, di nascondere fin dall’inizio. Un qualcosa che, giorno dopo giorno, è cresciuto dentro di loro, portandoli sempre più vicini all’altro, rendendoli lentamente una cosa sola. Un qualcosa che li ha sempre spaventati e che tuttavia, alla fine, è poi riuscito ad avere la meglio nei loro cuori ridotti a brandelli. Un qualcosa che per entrambi è stata una sorpresa, sotto ogni punto di vista; una sorpresa che è riuscita a rimetterli un po’ in sesto, a sanare una piccola parte di quelle ferite che si portano dentro, a far tornare un piccolo raggio di luce e dentro di loro, a farli tornare a sperare dopo troppo tempo. Un qualcosa che entrambi sanno cos’è, ma che hanno paura di ammettere ad alta voce. Perché non importa se dentro di loro lo hanno accettato: dargli corpo con la voce cambierebbe tutto quanto.
«Ciao Madx.» dice allora Luke.
E intano guarda Madison, la osserva attentamente, cercando di imprimersi nella mente ogni minimo particolare, per non dimenticarlo più; di convincersi che ciò che sta succedendo non è frutto della sua immaginazione; di contenere le sue emozioni per paura di rovinare tutto quanto.
Osserva quella ragazza bionda che, adesso, gli appare diversa, come se custodisse qualcosa di nuovo che lui non aveva mai notato prima. Osserva quella ragazza che da ormai nove lunghi mesi è entrata nella sua vita – tre dei quali aiutandolo soltanto con le parole. Osserva la ragazza di cui si è innamorato giorno dopo giorno; la stessa ragazza sconosciuta che avrebbe voluto incontrare e che, proprio come Madison, non gli ha ancora parlato del suo passato. Osserva la ragazza che gli è sempre sembrata un angelo fin dalla prima volta che si sono incontrati; un angelo dalle ali strappate, non più capace di volare, costretto a vagare sulla terra soffrendo fino alla fine. Osserva Madison; la ragazza che gli è sempre sembrata irraggiungibile, ma che adesso, all’improvviso, è a portata di mano, come se fosse sempre stata lì e non se ne fosse mai andata.
Sente il cuore corrergli nel petto; lo sente distintamente nel collo, nelle tempie. Sente i brividi corrergli lungo le braccia, il collo, la schiena. Sente qualcosa fremere dentro di sé, come un’energia, una forza che mai prima di allora aveva sperimentato. Sente che, finalmente, le cose andranno bene; che Madison starà meglio. E lui non ha la benché minima intenzione di farsela scappare. Non adesso che ha la conferma che soltanto lei è quella giusta..
«Ciao Lu_x.» risponde Madison.
E quasi le sembra un sogno. Perché no, non è possibile che proprio Luke sia Lu_x; il suo Lu_x, quel ragazzo che, in un modo o nell’altro, è sempre stato in grado di rimetterla in sesto, senza preoccuparsi della distanza, senza chiedere niente in cambio. Non è possibile che il ragazzo a cui ha affidato un’ampia parte del suo cuore sia lo stesso di cui si è innamorata senza poterci fare niente.
Però… Le parole parlano chiaro. Non ci sono equivoci, non ci sono errori.
C’è soltanto lei. Lei e la sua paura di lasciarsi andare, di permettere che Luke scopra del suo passato. C’è il fatto che, anche se lo ama più di se stessa, incondizionatamente, non può permettersi di mostrargli il buio che ha dentro da troppo tempo. Perché conosce Luke, e sa che farebbe di tutto pur di prendersi quel peso per farla stare meglio, proprio come ha fatto con Calum e Liz. Come sa anche che non è possibile che la vita le abbia fatto un dono simile; non quando ogni sorpresa ha sempre avuto conseguenze orribili. Non è possibile che quel ragazzo molto più simile ad un angelo sia stato mandato apposta per lei. Non ci crede. Non per lei che è piena di difetti, debole, codarda, insicura; non lei che non se lo merita.
Eppure… Il suo cuore continua a battere nel petto, come a volerle confermare che non c’è alcun errore, che almeno per quella volta va davvero tutto bene; come a volerle dimostrare che pure lei ha diritto di essere felice e di assaporare il sentimento più potente e bello di tutti. Batte il suo cuore, come se non riuscisse a contenere tutta quella voglia di vivere che all’improvviso sembra esserle nata dentro. E questo soltanto grazie a Luke, che adesso è davanti a lei e che ha nei suoi occhi azzurri come il mare ciò che Madison ha sempre cercato.
Amore.
Restano in silenzio. Si limitano a fra incrociare le loro dita, ad ancorarsi all’altro quasi come se avessero paura di farsi male a vicenda. E intanto, i loro cuori continuano a correre, a far rumore dentro la loro testa; i loro occhi, così diversi eppure così simili allo stesso tempo, non fanno altro che cercarsi, studiarsi fin nel profondo, perdendosi in quelli dell’altro sena più alcuna paura.
E, almeno per adesso, entrambi sentono che il passato non fa più paura, non fa più male; sentono che qualcosa dentro di loro si sta lentamente rimettendo in sesto, come se loro due fossero pezzi di un puzzle che funziona bene solo se è unito. Pezzi di un puzzle che, finalmente, sono riusciti a trovarsi.
«Io–»
«Ti amo, Madison.»
E lei non riesce a spiegarsi come mai proprio quelle tre parole abbiano il potere di far cadere all’improvviso il muro che, sforzo dopo sforzo, si era costruita attorno al cuore per proteggerlo. Si sente pervadere da un calore che, prima di quel momento, non aveva mai sperimentato; un calore bellissimo, diverso da tutto il resto, unico e assolutamente meraviglioso. Un calore che, nella frazione di un attimo, la aiuta a dire quelle parole che da troppo tempo le premevano nella gola. Un calore che l’aiuta ad affrontare quei sentimenti di cui ha sempre avuto paura perché non sapeva come gestire; sentimenti che aveva sempre reputato scomodi, come un ennesimo peso che non sapeva come portarsi dietro. Sentimenti che, invece, si sono rivelati essere la cosa migliore che le sia mai capitata.
«Ti amo anch’io, Luke.»
Lui le sente fin dentro al petto, quelle poche parole. Sente che bruciano dentro di lui, che curano ogni ferita, che mandano via ogni cicatrice. Sente l’anima diventare più forte e più leggera. Sente un coraggio ed una forza che credeva di non avere. Sente che non tutto è perduto, che c’è ancora tanto che può e deve fare, se Madison resta con lui. Sente che adesso, quel sentimento che ha sempre cercato di nascondere, può lasciarlo libero di agire.
E nessuno dei due si rende conto di ciò che accade, fino a che non sentono le labbra dell’altro premere sulle proprie. Non si rendono conto di essere nella realtà – e non in un sogno – fino a che le loro labbra non cominciano ad accarezzarsi timide, a rincorrersi, ad avvolgersi delicatamente, come se avessero il timore di farsi male in ogni momento. E mentre si baciano, Luke e Madison – mentre lasciano che l’amore prenda il sopravvento; mentre mettono da parte almeno per un po’ la paura e i brutti pensieri; mentre assaporano le labbra dell’altro senza pensare al tempo che scorre; mentre sentono i cuori che battono forte, senza controllo – sanno che, adesso, hanno davvero qualcosa per cui continuare a combattere, per far bruciare la scintilla di vita dentro di loro.
 
«Leti, mi passi un altro piatto?» chiede Ashton che, davanti al lavandino della cucina con un panno in mano, sta cercando di mettere un po' in ordine in casa di Michael da quella mattina.
La ragazza ne prende uno dalla pila di quelli che ha lavato per dare una mano al riccio e torna ad osservare il giardino incolto dal vetro della portafinestra, senza dire una parola. Quando è arrivata a casa di Michael, a malapena è riuscita a sussurrare un «Ciao.» per salutare i due ragazzi, prima di cadere nuovamente in quel silenzio che da un lungo mese le sta tenendo compagnia.
Un mese da quando ha scoperto che Calum ha ripreso a drogarsi; da quando lui ha deciso di escluderla del tutto dalla sua vita, peggio di come aveva già fatto in passato. Un mese da quando lei ha veramente perso tutto quanto perché non ha più niente a cui ancorarsi – perché non vuole addossare ad Azura un peso non suo; non vuole minare quel rapporto che sta crescendo e le sta dando molto più di quanto si sarebbe immaginata, nonostante il periodo buio che sta passando. Un mese da quando, perdendo Calum, ha perso una parte di sé; quella stessa parte che aveva affidato al moro perché si fidava ciecamente di lui, perché era sicura che lui non le avrebbe mai fatto del male. Un mese da quando il vuoto dentro al petto è tornato a farle male; un vuoto che sembra aver risucchiato tutto quel poco di buono che restava di lei. Un mese da quando ha perso tutto ciò per cui aveva messo in gioco ogni parte di se stessa, della sua anima, del suo amore. Un mese da quando ha preso a mettere i suoi pensieri e le sue emozioni su carta, sfogandosi con quella storia che sembra diventare giorno dopo giorno sempre più completa, sempre più fondamentale nella sua vita, come se senza quelle parole scritte di getto niente avesse più senso. Un mese da quando il dolore causato dal suo sentirsi impotente di fronte al resto non ha fatto altro che aumentare, schiacciandola lentamente secondo dopo secondo, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza preoccuparsi di renderla una macchina, fredda e apatica, che non permette più ad alcuna emozione di entrarle dentro e di uscire dal suo cuore. Un mese da quando non è più la stessa.
Perché si è chiusa a riccio, Letizia. Si è chiusa per evitare ulteriore dolore, ulteriori ferite da aggiungere ad altre che non si sono ancora rimarginate completamente. Si è chiusa perché ha paura che un qualcosa estremamente più grande e potente di lei possa distruggerla, annientarla completamente, senza via d’uscita.
Non avrebbe mai creduto che una persona potesse sopportare così tanto in così poco tempo. Non avrebbe mai creduto che sarebbe toccata a lei una prova simile, una prova che dura da ben sette lunghi anni – sette anni da quando tutto ha cominciato a prendere una piega diversa, peggiore, più difficile, costellata di buio e di vuoto.
«Mike dovrebbe tornare tra poco.» le fa sapere il riccio, distraendola dai suoi pensieri solo per un istante.
«Va bene.» risponde lei, senza distogliere lo sguardo dal giardino, arido come il suo cuore.
Ashton sospira e la guarda. Guarda la sua migliore amica, distrutta a causa di un qualcosa estremamente più grande di lei. Guarda la ragazza che gli ha insegnato a non arrendersi mai, a continuare a lottare per le persone a cui si vuole bene – proprio come lui ha continuato a fare con Calum. Guarda la persona che ha ridato un po’ di speranza a Michael, che era caduto in un limbo da cui sembrava impossibile tirarlo fuori prima che lei arrivasse. Guarda Letizia, che ne ha già passate tante e che adesso ha soltanto bisogno di lasciarsi andare un po’, di sfogarsi, di liberarsi da una parte di quel peso che si porta addosso da sola da troppo tempo.
Perché ha imparato a conoscerla; ha imparato ad interpretare i suoi silenzi, i suoi sguardi, la sua espressione, il suo tono di voce. Un po’, Ashton conosce Letizia. E sa, vede bene dagli occhi grandi e lucidi della mora che lei ha soltanto bisogno di far uscire in qualche modo ciò che a parole non riesce a dire.
«Leti?» la chiama allora, avvicinandosi e posandole delicatamente le mani sulle spalle. La ragazza non risponde.
«Guardami, per favore.»
Allora lei si volta. E l’unica cosa che riesce a dire è una parola che martella la mente di tutti loro. «Perché?»
Una parola che è sempre stata una costante nella loro vita, in quella dei loro amici. Una parola a cui tutti loro hanno sempre cercato una risposta adeguata, senza mai trovarla. Una parola che, silenzi dopo silenzi, non ha fatto altro che scavare solchi sempre più profondi dentro di loro, pur di trovare anche solo una spiegazione plausibile.
«Perché, Ashton? Perché? Perché Calum non mi ha detto niente? Perché si è tenuto tutto dentro?»
Non urla, la mora, non grida, non si dispera, non si agita. Tiene la testa bassa, gli occhi stanchi rivolti a terra. E intanto, cerca di mettere insieme i pochi cocci rimasti della sua anima andata completamente in frantumi. Lascia che quelle domande, quei dubbi, escano da dentro di lei in un sussurro quasi inudibile; un sussurro che non ha abbastanza forza per farsi sentire da chi adesso non c’è; un sussurro che sembra costarle fatica, troppa. Un sussurro che diventa ciò che le rimane per sfogarsi almeno un po’.
Ashton sospira piano ed abbraccia forte l’amica. Perché non sa cos’altro fare, cos’altro dire. Perché, anche se ha sempre cercato una spiegazione, non è mai riuscito a trovarla. La abbraccia forte, sperando di riuscire ad aiutarla in qualche modo, sperando che alla fine le cose possano andare nel verso giusto almeno una volta, almeno per lei e per Calum, almeno per loro due che hanno davvero bisogno dell’altro per di stare bene sul serio, per abbattere completamente la paura che ancora hanno del loro passato, per riprendere in mano la loro vita e farla tornare a risplendere.
«Certe persone si tengono tutto dentro per non far preoccupare nessuno.»
Letizia sospira, non dice niente. Si permette solo di lasciar andare una lacrima, mentre Ashton resta lì, accanto a lei, cullandola in silenzio, mentre il suo cuore lotta per smettere di stare male. Mentre lei si rende conto che non aveva mai pensato che avrebbe potuto amare Calum fino a quel punto, così tanto da arrivare a perdere se stessa pur di salvarlo e farlo vivere davvero
.





Letizia
Ma ciao a tutti tesori miei! <3
Dai, ogni tanto succede qualcosina di bello in questa storia che sembra essere un perenne "Ma 'na gioia".
Insomma, voglio dire... LUKE E MADDIE SI SONO MESSI INSIEME ED HANNO CAPITO CHI SONO LU_X E MADX. ED IO SONO LA BIMBA PIU' FELICE DEL MONDO PER I MIEI PICCOLI TESORI!!!!!!!!!!!!!!!!! Ok, ora però mi calmo, promesso u.u
Anche perché le cose belle sono subito seguite da Ash che cerca di tenere in sesto Leti, come quell'amico importante e leale che si è dimostrato fin da subito per la nostra mora che ne sta passando davvero davvero tante :/.
Secondo voi questa volta le cose andranno meglio? Oppure ci sarà qualcosa che farà precipitare il tutto?
Piccolo consiglio prima di salutarvi: per i capitoli 31 e 32 tenetevi forte, ve lo dico spassionatamente *^*
Detto questo, vi ringrazio infinitamente per ogni cosa: per le visite, le recensioni, i preferiti, i ricordati i seguiti; siete tutti dolcissimi e tenerissimi. E boh, vi amo troppo!!! <3 *^*
Ci sentiamo presto! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 31
*** Trentuno ***


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Trentuno
 
 
 
A volte, però, quella luce non basta a sanare un’anima già ferita in partenza.
Non basta a rimettere in sesto dopo che non c’è più niente da rimettere insieme.

Non basta a far voltare pagina a chi ne ha bisogno.
 
 
 
È di nuovo lì, davanti a quello specchio che tante, troppe volte ha riflesso la sua immagine. Un’immagine che lei ha costantemente giudicato, criticato, sminuito. Un’immagine che non è mai riuscita ad accettare, a sopportare, a capire. Un’immagine che le ha sempre ricordato i suoi errori; il suo essere una nullità; la sua vigliaccheria, le sue paure, le sue incertezze.
Si guarda, Madison, attentamente, esaminando ogni singolo millimetro del proprio corpo, del viso, soffermandosi troppo a lungo sulle cicatrici degli ultimi tagli che si è procurata. Tagli che ormai risalgono a quasi due mesi prima, quando si è ferita per l’ultima volta; quando per l’ultima volta ha permesso alle sue debolezze di trascinarla in basso, facendola cadere, impedendole di essere libera sul serio; quando per l’ultima volta ha sentito la lametta inciderle la pelle, tenendole bene a mente il fatto che lei, quel dolore, se lo sarebbe sempre meritato; quando per l’ultima volta si è sentita niente.
Ultimi tagli che risalgono a quasi due mesi prima soltanto grazie a Luke. Perché è da quasi due mesi che sta con lui; è dal loro primo bacio che non ha più pensato a farsi male; è da quando il ragazzo ha cominciato a fare di tutto pur di farla sentire speciale, unica, che lei non ha più preso in considerazione quella via d’uscita. Perché non ne ha più sentito il bisogno. Non ha più sentito il bisogno di farsi male per ricordarsi di essere un errore. Non ha più sentito dentro al petto quel senso di inadeguatezza che l’aveva fatta allontanare dagli altri, quel dolore sordo che non ha fatto altro che farle costruire muri attorno al cuore, quel terrore di non essere abbastanza per nessuno.
Luke ha spazzato via tutto quanto: ha spazzato via il buio che l’aveva fatta cadere; ha fatto scomparire le sue paure; è riuscito a far entrare di nuovo la luce dentro di lei, una luce tiepida e dolce che giorno dopo giorno non ha fatto altro che curare le sue ferite, lentamente, con pazienza.
In quei mesi, il biondo non ha fatto altro che rendere la sua vita e la loro storia bella, da morire; non ha fatto altro che prendersi cura di lei, amarla, esserci in ogni momento; non ha fatto altro che darle ciò che le mancava. Le ha riempito l’anima, l’ha sempre fatto fin da quando si sono incontrati. L’ha fatta tornare a vivere.
E Madison non potrebbe essergli più grata. Non è mai riuscita a trovare le parole giuste per ringraziare quel ragazzo che, senza chiederle il permesso, è entrato nella sua vita e l’ha fatta tornare a splendere, dandole il tempo necessario per far sparire del tutto le macerie che le impedivano di muoversi, di essere libera da ogni peso. Quello stesso ragazzo che è diventato il centro di tutto il suo mondo, per cui farebbe davvero qualsiasi cosa, senza mai tirarsi indietro, senza mai lasciare posto alla paura.
Luke ha riportato indietro la vecchia Madison, l’hanno notato tutti.
Pure la diretta interessata l’ha notato. E non avrebbe mai immaginato che quella strana sensazione di libertà, di rivincita e rinascita l’avrebbe fatta sentire così viva, così piena di un’energia che non è mai riuscita a contenere; non avrebbe mai creduto che sarebbe riuscita a sentirsi forte, almeno una volta nella vita.
Eppure… Tutto quel bellissimo sogno non è durato che un istante, un fugace attimo di luce nuovamente inghiottito dalle tenebre. Perché non è stato abbastanza, non è servito a niente. Perché, alla fine, la sua vita è piombata ancora una volta in quel limbo, in quella voragine da cui non ci sarà mai un’uscita definitiva per lei. Perché quei due mesi per lei non saranno mai abbastanza per migliorare le cose. Quei due mesi non basteranno per sanare completamente le sue ferite, per scacciare il buio che la imprigiona, per farle vivere completamente la sua vita senza preoccupazioni o dubbi. Quei due mesi non basteranno mai per cambiare ciò che pensa di se stessa.
Perché tutto il nero che si porta dietro da anni non è sparito davvero; è sempre stato lì, nel suo angolo, in agguato, pronto ad entrare in azione al momento opportuno, pronto a far andare in cenere quelle poche cose buone rinate in lei dopo troppo tempo, pronto a farla sprofondare ancora una volta. Perché neppure il dolore se n’è andato; quel dolore sordo che prova sempre in mezzo al petto e che non fa altro che darle il tormento, nonostante lei cerchi in ogni modo di non dargliela vinta, di reagire, di vincere almeno per una volta. Perché neppure il disgusto che prova verso se stessa se n’è andato; è sempre rimasto nella sua testa, pronto a ricordarle tutti i suoi sbagli.
Tutto ciò che ha cercato di fare Luke, in realtà, non ha lenito niente, non ha cancellato niente. Perché Madison si è illusa, ha solo creduto che il suo ragazzo fosse riuscito a farla stare meglio; non si è mai fermata a riflettere, a trovare un minimo cambiamento. Ha solo negato e nascosto i problemi, relegandoli in angolo, sperando di averci più niente a che fare. Perché aveva sperato che, con Luke al suo fianco, si sarebbe risolto tutto quanto; che sarebbe bastato lui per farla stare bene. E lei si era talmente ancorata a quella speranza, a quell’idea, che non era riuscita a vedere il quadro completo, a vedere che in realtà le cose non stavano facendo altro che peggiorare.
Ed ecco ciò che vede adesso, grazie al suo specchio: fallimento.
Riesce a vedere soltanto fallimento nei suoi grandi occhi castani. Riesce a vedere soltanto un disastro che non vale più la pena di essere rimesso in sesto, che non merita niente di ciò che ha, che non ha speranza di farsi strada e stare bene sul serio, che non servirà mai a niente o nessuno. Perché Madison, nonostante l’amore di Luke, non ha mai ripreso a combattere le sue ombre, non ha mai fatto niente; si è lasciata sopraffare, si è lasciata andare. Si è lasciata prendere da quel buio che lei, nonostante le sue debolezze, aveva tentato di scacciare. E per un po’ ci era riuscita: per due anni aveva lottato. Ed era quasi arrivata ad un ottimo punto, era quasi riuscita a guarire. Poi però, cinque mesi prima ci era ricaduta. E da quel momento non aveva più avuto alcuna idea su cosa fare per uscirne una volta per tutte.
Il tempo passato con Luke non è stato in grado di cancellare i precedenti. Ha soltanto aggiunto altro dolore.
Perché Madison si è resa ancora più conto che davvero non si merita una persona così speciale come il ragazzo di cui si è innamorata. Perché quel biondo, quell’angelo, è troppo per lei; è troppo per un disastro, un errore come lei, che non fa niente per riprendere in mano la propria vita e farla tornare a splendere. È troppo prezioso, Luke. E la ragazza non ha alcuna intenzione di trascinarlo in quel buio che deve affrontare da sola.
Solo adesso si rende davvero conto della decisione che ha preso Calum. Solo adesso capisce in pieno la difficile scelta del suo migliore amico. Perché entrambi vogliono salvare le persone che amano, vogliono metterle al sicuro, perché almeno loro devono essere felici.
E lei sa con certezza che vuole salvare Luke, con le poche forze che le restano. Vuole tenerlo lontano da ciò che sta lentamente distruggendo la sua vita. Vuole evitare che il ragazzo perda quella luce di cui lei si è innamorata. Vuole che quell’angelo che ha cercato di curarla, di salvarla, non sprechi il suo tempo con una causa persa come lei. Vuole soltanto che lui stia bene. E se per farlo dovrà rinunciare a chi le ha riempito il cuore, le sta bene.
Intanto, continua ad osservarsi allo specchio, a notare tutti quei difetti a cui Luke non ha mai dato peso; quei difetti che, tuttavia, sono riusciti a distruggere Madison secondo dopo secondo; quei difetti che hanno mandato tutto in frantumi, senza che lei potesse fare niente per impedirlo. Quegli stessi difetti che lei detesta, che non riesce a mandare via, che l’hanno portata ad avere di nuovo tra le mani una lametta.
Quella stessa lametta che adesso le sta indicendo i polsi, in profondità. Perché altrimenti non sentirebbe male. Perché altrimenti dimenticherebbe il fatto che, per lei, Luke sarà sempre troppo, un angelo irraggiungibile che non può amare il disastro che lei si porta dentro. Perché altrimenti continuerebbe a soffrire.
Perché vuole farla finita, Madison. Una volta per tutte.
Ci ha pensato tanto, in quelle ultime settimane. Ha soppesato davvero tutti i pro ed i contro della sua decisione. Ha ripensato anche al passato, a quando era arrivata davvero vicina al punto di non ritorno. Ha pensato a chi avrebbe lasciato, senza preoccuparsi troppo perché tutti sarebbero stati sicuramente meglio senza di lei. Ci ha riflettuto fino in fondo. E la decisione alla fine è arrivata.
E adesso capisce anche Rachel, la sorella di Michael, l’unica persona con cui aveva legato al centro di recupero; la sola che riuscisse a capire almeno un po’ il buio che Madison si è sempre portata dentro. Capisce troppo bene Rachel Clifford, lei; capisce il perché la ragazza abbia preso la decisione che l’ha portata alla fine, al punto da cui nessuno può fare ritorno.
Perché pure Madison vuole smettere di soffrire; di sentirsi inutile, incapace; di essere un peso per se stessa le persone che ama. Vuole smettere di sentirsi tirare sempre più a fondo da quel buio che sembra diventare sempre più forte. Vuole smettere di esistere; farebbe davvero un favore a tutti quanti, soprattutto a se stessa.
Perché, nonostante Luke abbia tentato di salvarla da se stessa, non c’è stato niente da fare. Ogni cosa fatta è arrivata troppo tardi. Ogni raggio di luce che è riuscito ad entrare è stato troppo debole. Ogni sorriso per lenire le ferite è stato troppo breve. Niente è più in grado di aggirare le tenebre con cui lei convive da troppo tempo; di mettere in sesto la sua anima completamente distrutta, devastata dal dolore; di farla tornare a vivere davvero – perché le illusioni rimarranno sempre tali. Niente, nessuno, neppure Luke con tutto il suo amore, sarà mai capace di ripararla, di riparare quel cuore ormai troppo debole per andare avanti.
E perché, nonostante l’amicizia di Letizia, il legame che le lega fin da quando sono nate non potrà mai essere abbastanza forte per far restare entrambe in piedi. Nonostante l’affetto infinito che le ha sempre unite, Madison sa che lei non sarà mai quella che riuscirà a resistere da sola di fronte alla vita. Sa che, tra le due, Letizia sarà l’unica capace di restare in piedi. Perché è forte la mora, lo è sempre stata; perché è lei che non deve mollare, non quando la sua vita, al contrario di quella della bionda, ha ripreso a scorrere, ad avere nuovamente un senso, a splendere.
Ed anche se Letizia non si è accorta neppure quella volta che c’era un problema, che la sua migliore amica stava di nuovo candendo, Madison non gliene fa una colpa, non potrebbe, non quando è proprio Letizia l’unica ad esserle rimasta accanto sempre, senza mai voltarle le spalle, senza preoccuparsi minimamente delle parole non dette o rimaste in sospeso.
Sa che ha scelto la via d’uscita più facile, quella dei vigliacchi. Sa che, nonostante tutto, non avrebbe dovuto arrendersi di fronte a niente, mostrando un po’ di coraggio per abbattere tutto quanto. Sa che avrebbe dovuto agire diversamente: parlare, aprirsi, non impedirsi di amare e di accettare l’affetto altrui. Sa che adesso è troppo tardi per cambiare idea, per chiedere un’altra possibilità, per riavvolgere il nastro. Sa che adesso non c’è più nessuna via d’uscita, che la strada che ha preso va soltanto in una direzione e che è senza ritorno. Sa che avrebbe potuto essere una persona migliore, se soltanto avesse colto le opportunità al momento giusto.
Però adesso è troppo tardi, per qualsiasi cosa.
Sente il sangue uscire copioso dai tagli.
Le lacrime le rigano le guance in silenzio.
La testa comincia a girare.
La vista le si appanna.
Chiude gli occhi.
E sorride.
Perché forse la libertà non è poi così lontana.
Poi però la sua mano, debolmente, si ritrova a sfiorare il braccialetto che porta al polso da quasi due mesi; un sottile filo di argento a cui è appeso un piccolissimo ciondolo a forma di cuore. Il braccialetto che le ha regalato Luke per festeggiare il loro primo mese insieme. Un regalo che Madison non ha fatto altro che custodire con tutto il cuore, trattandolo con estrema cura ed attenzione, come se fosse il tesoro più prezioso che avesse.
Un regalo che, nonostante il dolore, la paura, il vuoto, la debolezza, l’insicurezza, non fa altro che ricordarle cosa sia davvero successo tra lei ed il biondo. Un regalo che le ricorda anche troppo bene che lei e Luke si amano, da morire, completamente, senza più alcun dubbio su ciò che provano l’uno per l’altra. Un regalo che le ricorda quanto avesse sperato di poter provare dentro al cuore un calore simile soltanto a quello che il ragazzo riesce a far nascere nella sua anima; un calore di benvenuto, di amore incondizionato, senza alcun limite. Un regalo che le ricorda anche troppo bene il fatto che lei, Luke, non vuole lasciarlo, nonostante tutto il resto; non quando lo ha appena trovato, non quando la paura verso i suoi sentimenti ha cominciato a venir meno, non quando si è resa davvero conto che non vuole ferire Luke in nessun modo, perché è la persona più importante che ha, quella persona senza cui la sua vita non avrebbe alcun senso. Perché lui non si merita di soffrire a causa sua.
A causa di quella stessa ragazza bionda che, adesso, sta cercando a tentoni il suo telefono, a fatica, mentre il sangue continua ad uscirle dai polsi, sempre più scuro, sempre più denso, macchiando il pavimento. Vuole scrivere un messaggio, Madison, all’unica persona che potrebbe aiutarla davvero. Lo scrive a Luke, con il cuore in mano che batte piano mentre lei digita quelle poche parole che vogliono dire più di tutto il resto. Scrive a lui perché sa che il ragazzo non la lascerebbe mai da sola – proprio come lei, che si è appena resa conto di non poter lasciar da solo lui, non quando proprio il biondo ha fatto il primo passo raccontandole del suo passato, un passato che Madison, invece, non è ancora riuscita a mettere a nudo. Scrive a lui perché Luke è la sua salvezza; lo è sempre stato fin da quando i loro occhi si sono incontrati per la prima volta.
Invia il messaggio. Poi chiude gli occhi, mentre nuove lacrime tornano a rigarle le guance, bruciando, rendendo ancora più evidente la sua sconfitta; mentre sente qualcosa di potente, vivo, vero, tornare a pulsare improvvisamente dentro al suo cuore, mentre sente la sua anima andare in pezzi ancora una volta,
Perché si vergogna, lei. Si vergogna della sua debolezza, delle sue paure e delle sue insicurezze. Si vergogna di essere la ragazza che è: un disastro imprigionato dalle sue stesse catene che non riesce mai a riscattarsi, neanche quando ha le possibilità a portata di mano; un errore continuo, che non riesce mai a farne una giusta. Si vergogna della sua vigliaccheria, del suo aver scelto ogni volta la via più breve per risolvere i suoi problemi. Si vergogna della decisione che ha preso.
Perché ha capito che non vuole andarsene, Madison, non ancora.
 
Da: Madison; 21.05.2016, 05:23 pm
Salvami, ti prego.
 
Luke e Letizia stanno camminando per le strade del centro da quella che ormai è una mezz’ora buona, in quel pomeriggio di fine autunno. Si sono incontrati per caso, nel bar che dà sull’incrocio tra le vie in cui i due abitano, riscaldandosi con due tazze di cioccolata calda prima di avviarsi verso la casa di Madison per farle una sorpresa.
Non hanno fatto altro che parlare di piccole cose: l’università e gli esami, le tanto agognate vacanze invernali, i progetti per un’eventuale vacanza insieme. H anno parlato tanto, i due amici, cercando di riempire il silenzio con più cose possibili, cercando sempre do avere la testa presa da qualcos’altro.
Perché il silenzio ricorda loro cosa sta succedendo con Calum, come stanno peggiorando i loro rapporti e come sta andando in pezzi quel poco di bello che era nato tra loro; ricorda loro le ferite che giorno dopo giorno si stanno riaprendo, scavando dentro di loro solchi sempre più profondi e dolorosi. Perché il silenzio li porta a pensare, a riconsiderare tutto quanto, pur di vedere una via d’uscita che prima sembrava non esserci, pur di vedere cosa hanno sbagliato per cercare di rimediare. Perché il silenzio amplifica il dolore, la perdita, la mancanza, il vuoto; amplifica tutto quanto e né Luke né Letizia, ora come ora, sono abbastanza forti per parare il resto.
Perché nessuno dei due vuole pensare, non adesso; non quando non sanno più da che parte andare per capire; non quando devono abituarsi alle nuove ferite, al nuovo peso da portare sulle spalle; non quando ancora faticano a credere a cosa sta accadendo a tutti loro.
Perché Luke non riesce ancora a credere al fatto che Calum abbia ripreso a drogarsi. Non capisce come mai il suo migliore amico abbi ricominciato a farsi del male. Non riesce ad accettare il fatto che, adesso, Calum sia seriamente in pericolo.
«Ne sono diventato dipendente. Bella merda, vero?» gli aveva risposto, quando Luke gli aveva chiesto il perché.
E sono proprio quelle parole che più fanno star male il biondo. Perché adesso non ha davvero più alcuna idea per rimettere in sesto la situazione. C’è solo un’opzione che gli ronza in testa da tanto, troppo tempo. Ma non sa minimamente se può rivelarsi una buona idea oppure no.
Letizia, invece, non sa proprio cosa pensare. È svuotata di tutto; va avanti per inerzia, come se il vedere Calum a pezzi come il pomeriggio di ormai due mesi prima le avesse strappato tutte le energie all’improvviso, lasciandola agonizzante e sola ad affrontare il dolore ed il senso di vuoto che sembrano non voler scomparire mai del tutto. Sono due mesi che sta così; che sembra non avere più niente e nessuno per cui combattere e restare in piedi; che ha perso la persona più importante della sua vita; che la poca luce che era riuscita ad entrare dentro di lei è scomparsa di nuovo. Due mesi che cerca di convincersi, di convivere, di abituarsi a quel qualcosa più grande di lei che sembra impossibile da mandare via. Due mesi che Calum ha smesso di parlarle, escludendola completamente dalla sua vita: adesso non si incontrano nemmeno più per caso nei corridoi o in sala mensa, durante le poche lezioni che hanno insieme lui si siede sempre il più lontano possibile da lei, non si incrociano più neppure sulle scale sul retro del loro palazzo per entrare o uscire dalle loro camere. Due mesi che si sente distrutta, completamente in frantumi, vuota, priva di quella scintilla di vita che solo Calum era stato in grado di riaccendere. Due mesi che si sente divisa a metà; perché solo il moro era capace di farla sentire completa, a casa, in pace; solo lui riusciva a far coincidere tutti i pezzi del suo cuore, come se fosse l’unico in grado di mettere ordine nel puzzle senza logica che lei stessa è; l’unico capace di rendere la sua vita luminosa e piena. Ma adesso che lui non c’è, niente ha più senso. Perché lei non ha più un posto in cui sentirsi davvero a casa.
Perciò nessuno dei due ragazzi vuole restare in silenzio. Perché, a volte, il rumore può diventare una buona medicina per dare tempo alle ferite di rimarginarsi, almeno in parte.
«Sono sicura che, appena ti vedrà, ti salterà letteralmente addosso.» commenta Letizia allegra, immaginandosi la sua migliore amica stringere forte il biondo, come se avesse una paura folle di perderlo da un momento all’altro.
«Sai che stiamo parlando di Madison e che potrebbe fare seriamente qualcosa di molto peggio, vero?» ribatte Luke, scatenando le risate di entrambi. Risate che risuonano limpide, cristalline, contro i muri trasparenti e indistruttibili del buio che lo avvolge e li inchioda a terra, impedendo loro di volare via, di essere liberi fino in fondo. Risate che contrastano il dolore, anche se solo per un attimo soltanto. Risate che suonano rivincita su tutto il resto.
Risate che ricordano ad entrambi quanto siano fortunati ad essersi trovati. Perché né Luke né Letizia avrebbero mai immaginato di trovare un amico così importante nell’altro, una persona su cui poter fare affidamento sempre, di cui potersi fidare senza paura alcuna, con cui poter essere se stessi senza sentirsi giudicati. Si vogliono davvero troppo bene, Letizia e Luke; e sono davvero felici dell’amicizia che li lega da ben sette lunghi mesi. E anche se il biondo sa che la mora non gli ha detto tutto, va lo stesso bene così.
Poi, l’arrivo di un messaggio al telefono di Luke cattura anche l’attenzione di Letizia, che sente gelarsi il sangue nelle vene non appena legge cosa dice.
«Leti, cosa–?» chiede il ragazzo; la voce preoccupata, le mani che tremano, gli occhi che non sanno quale emozione mostrare. Perché non riesce a capire, lui; non riesce a capire cosa si celi dietro quelle parole che non promettono niente di buono; non riesce a capire cosa debba fare per aiutare la sua ragazza. E intanto, mentre cerca negli occhi color cioccolato dell’amica una misera traccia di una risposta che possa aiutarlo anche solo un po’, vede l’altra sbiancare, all’improvviso.
«Dobbiamo sbrigarci.» riesce a dire a malapena quella poche parole, Letizia, prima di cominciare a correre più velocemente possibile verso casa della sua migliore amica, con Luke subito dietro che cerca di tenere il suo passo.
Ma lei non si preoccupa se il biondo riesce a starle dietro oppure no. Non le importa se adesso anche il pensiero di Calum si è spostato in secondo piano, come tutto il resto. Le importa soltanto di arrivare in tempo, per evitare di perdere Madison una volta per tutte.
Perché la situazione è troppo simile a quella che le due ragazze hanno vissuto quattro anni prima, quando avevano da poco cominciato a frequentare il liceo. Perché pure quella volta Madison aveva mandato un messaggio, però alla mora, con le stesse parole che ha poi mandato a Luke quel pomeriggio di qualche anno dopo. Perché pure quella volta era successo tutto all’improvviso, senza che nessun altro si rendesse conto di niente, senza che Letizia avesse mai notato niente prima di quel momento.
Ed è proprio questo che più spaventa la giovane Lewis. È il fatto che, ora come in passato, non è stata attenta come invece avrebbe dovuto fare. È il fatto che, nonostante tutto, nonostante quello che entrambe hanno vissuto, lei non è stata capace neppure quella volta di notare anche solo il più piccolo segnale d’allarme,il più piccolo particolare che avrebbe potuto renderle subito chiaro che cosa stava succedendo. È il fatto che, nonostante gli sforzi per cercare di tenere la sua migliore amica in piedi, non è riuscita a rispettare la promessa che le aveva fatto non appena Madison era uscita dal Royal Rehab, due anni dopo il giorno in cui si era tagliata fino quasi a morire.
«Se dovessi fare un’altra cazzata come questa, impediscimi di arrivare fino in fondo.»
Le aveva chiesto questo la bionda; la voce tremante, gli occhi lucidi, specchi del terrore che la ragazza provava in quel momento. Letizia aveva promesso, sapendo fin da subito che avrebbe messo in gioco tutta se stessa pur di aiutare la sua migliore amica. Eppure… Non ci è riuscita. Perché non ha visto niente: non ha fatto altro che pensare a se stessa, senza staccare la spina neppure una volta per dare un minimo di attenzione a quella persona che non se n’è mai andata e che le ha sempre voluto bene, nonostante gli sbagli.
«Cazzo, Maddie!» dice tra sé, cercando di correre ancora più veloce, percependo distintamente il battito del cuore in gola, nelle tempie, arrancando a causa dell’ossigeno che non è abbastanza. Ma a lei non importa. Deve soltanto arrivare il prima possibile. Deve rimediare almeno uno dei troppi errori fatti.
Luke intanto cerca di restare al passo sempre più veloce dell’amica. Cerca di non perderla di vista, di non sbagliare strada. Perché Letizia è l’unica che può aiutarlo a salvare Madison; che probabilmente sa cosa sta succedendo davvero; che potrebbe aprirgli la porta sul passato che la sua ragazza ha sempre cercato di nascondergli, in ogni modo possibile, quasi come se ne vergognasse troppo anche solo per farne qualche accenno. È l’unica che potrebbe dargli una mano a tenere vivo ciò che lui e Madison hanno costruito in quegli ultimi due mesi.
Due mesi che per lui sono stati i più belli ed importanti di tutta la sua vita; pieni di talmente tante cose che proprio non saprebbe da dove cominciare. Due mesi che gli hanno costantemente dimostrato che amare Madison è stata la scelta migliore che potesse fare, forse la sola davvero giusta fatta fino a quel momento. Perché Madison è tutto ciò che ha sempre cercato e che, prima di conoscerla, gli era mancato. Madison King è amore, è vita, è la cura per le sue ferite, è la persona che riesce a completare il suo vuoto, la sua anima, a farla combaciare perfettamente con la propria. È la cosa migliore che potesse capitargli: gli riempie le giornate, allevia i suoi pesi e riesce a farlo sentire pieno, vivo, come non si era mai sentito prima. Da due mesi, è diventata il centro di tutto il suo mondo. E non gli importa se non gli ha ancora parlato del suo passato, non gli importa quanto tempo le servirà per aprirsi completamente. Sa soltanto che, quando arriverà il momento, lui sarà lì, pronto ad accoglierla a braccia aperte.
Però… Ha paura, Luke. Paura per ciò che sta succedendo; per Madison, perché non ha mai notato niente di strano; per Letizia, che lui non aveva mai visto così preoccupata prima di quel momento – neppure quando si tratta di Calum. Ha paura, lui, perché teme di essere d’intralcio; di non essere pronto ad affrontare quello che accadrà; di non essere capace di dare a Madison la forza necessaria per restare in piedi. Teme di non essere la persona giusta per salvarla, forse da se stessa.
A quel pensiero, un brivido gli attraversa la schiena, mentre raggiunge Letizia che si è appena fermata.
«Devo sapere una cosa prima di entrare.» chiede, mentre l’altra non fa che suonare disperatamente il campanello.
«Qualunque cosa sia, Luke, io non posso risponderti. Soprattutto se riguarda Maddie. Deve essere lei a spiegarti come stanno le cose.» gli risponde la mora velocemente, senza staccare gli occhi dalle finestre del primo piano, sperando di veder sbucare il volto della sua amica. Ma questo non accade e allora apre la porta con la copia delle chiavi di casa King che Helen, la mamma di Madison, ha fatto apposta per lei in caso di bisogno.
Intanto, il cuore continua a batterle forte, ad andare in pezzi sempre più piccoli, mentre salgono di corsa le scale, mentre apre tutte le porte del primo piano della casa per trovare la sua amica, mentre lascia che sia Luke ad aprire l’ultima del corridoio, quella del bagno. Mentre vede il volto dell’altro sbiancare nella frazione di un istante.
«Leti, io… Cosa–» Luke cerca di parlare, ma è come se le parole non riuscissero a trovare la via d’uscita.
«Spostati, ti prego.» lo ferma lei, spingendolo in un angolo ed entrando, bloccandosi davanti a ciò che vede.
Madison è seduta a terra, la schiena poggiata alla parete della vasca, accerchiata da una pozza di sangue scuro che continua ad uscirle dai polsi, la pelle grigia, priva di ogni traccia del colorito che era solito accenderle il viso. Gli occhi sono socchiusi, accerchiati da occhiaie talmente pesanti da sembrare nere, come se avesse combattuto faccia a faccia contro la vita e quest’ultima le avesse inferto il colpo di grazia in un istante.
Quegli stessi occhi che si aprono a fatica, e che sempre a fatica riescono a mettere a fuoco.
«Luke… Sei qui…» Madison sospira piano, come se non avesse più ossigeno nei polmoni per parlare, mentre lascia che il suo sguardo si posi prima sul ragazzo davanti a lei, per poi passare alla mora, facendole fermare il battito del cuore in mezzo al petto, come se mille aghi lo avessero appena trafitto. «Leti… Ci sei anche tu…»
Ma prima che possa dire altro, gli occhi le si chiudono di nuovo.
E solo in quel momento, Letizia si rende conto che la situazione attuale è peggiore del passato; che Madison ha perso molto più sangue rispetto alla prima volta; che, se solo fosse stata più attenta, vigile, niente di tutto quel casino sarebbe successo e che la sua migliore amica sarebbe lì davanti a loro allegra come sempre, se solo lei non avesse commesso lo stesso errore, come se il passato non le avesse mai insegnato niente.
E si ritrova lì, la mora, inerme, incapace di muoversi, di fare anche il più semplice ragionamento, mentre il suo cuore cade nuovamente in frantumi, a causa del senso di colpa che risucchia ogni cosa in un attimo.
Vede tutto come uno spettatore esterno, con le lacrime agli occhi, come se lei non fosse davvero lì, in quella stanza, con la schiena poggiata al muro, proprio davanti la sua migliore amica. Sente in lontananza Luke imprecare, per poi vederlo legare dei panni puliti ai polsi della bionda per fermare il sangue. Lo vede chiamare l’ambulanza ed eseguire tutto quello che gli viene detto. Lo vede chiudere la chiamata, accarezzare delicatamente il viso di Madison con la punta delle dita, baciarle piano la fronte e poi prenderla in braccio per portarla al piano di sotto per raggiungere l’ambulanza che è appena arrivata.
Lei, intanto, rimane lì, in silenzio, come in passato. Perché, come in passato, non è riuscita a fare niente di niente
.





Letizia
Personcine meravigliose, ciao a tutti e ben tornati!
Vi prego, non odiatemi!!!! *in inginocchia*
Lo so, lo so che sono una cattiva autrice, che faccio soffrire sempre i miei personaggi, che le mie storie sono un perenne "Mai 'na gioia". Ma vi chiedo di pazientare ancora un pochino, perché alla fine verrete ripagati con una bella, bellissima sorpresa! *^*
Ma parlando del capitolo di oggi, che cosa dire?
Siamo tornati punto e a capo con Maddie, che ha mollato quasi del tutto perché non ce la fa più. Una Maddie che fa prendere un bel coccolone a Luke e Leti.
Pensate che il prossimo capitolo sarà molto lungo e molto denso di feels, quindi tenetevi pronti u.u
Detto questo scappo; ci sentiamo presto! E grazie come sempre per tutto quanto, siete davvero speciali!!! <3 *^*
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 32
*** Trentadue ***


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Trentadue
 
 
 
Una pagina che, a volte, ha bisogno di un punto fermo, prima di essere voltata del tutto.
Un punto al passato, ai capitoli mai conclusi davvero, ai pesi sul cuore e sull’anima.
Un punto da cui poter ripartire da zero.
 
 
 
Arranca sulle scale che portano alla sua finestra. Non riesce a reggersi in piedi. A malapena percepisce sotto le dita il freddo della ringhiera di ferro a cui cerca di tenersi per non scivolare. È come se, da quando l’ambulanza ha portato via Madison, sfrecciando ad una velocità che non prometteva niente di buono, lei non esistesse più. È come se un qualcosa di tremendamente ed infinitamente troppo più grande di lei l’avesse annientata in un istante, sbriciolando anche quel fragile involucro vuoto che era diventata in quegli ultimi tre mesi, l’ultima traccia di ciò che era rimasto di lei. È come se avesse smesso di percepire anche la più piccola cosa, come se i suoi sensi ed il cervello non riuscissero più a comunicare, a lavorare bene insieme. È come se il buio, le catene, il dolore, il senso di vuoto, si fossero volatilizzati nella frazione di un attimo, lasciandole dentro qualcosa di peggiore; un qualcosa che la rende priva di emozioni, di luce; un qualcosa che sembra aver scoperto ogni suo singolo punto debole per giocarci pur di mandarla al tappeto, pur di annientarla del tutto. È come se il tempo avesse smesso di scorrere, come se ogni cosa si fosse cristallizzata nel momento in cui i suoi occhi scuri si sono posati sulla figura della sua migliore amica coperta di sangue. È come se tutto quanto avesse perso i suoi colori, la sua luce, la sua scintilla di vita; come se ogni cosa avesse perso quel senso nascosto che tutti cercano continuamente senza mai riuscire a trovarlo davvero. È come se il suo essere umana le si fosse rivoltato contro, trasformando il suo pregio maggiore nella sua debolezza più grande; come se il suo essere fragile, vulnerabile, avesse capovolto tutto quanto, impedendole di provare anche soltanto la più piccola emozione.
Perché Letizia non prova niente, da quando è uscita da casa di Madison. Non ha provato niente mentre camminava verso casa sua: nessun dolore, nessuna ansia, nessuna preoccupazione, nessun rimorso, nessun senso di colpa, nessuna paura, nessun senso di vuoto, nessuna tristezza, nessuna frustrazione. Non prova niente neppure adesso, mentre sale le scale a fatica, come se ogni passo la prosciugasse ulteriormente. Non riesce neppure a muoversi per inerzia: è come se fosse bloccata e compiere ogni piccolo gesto le infliggesse una pena indescrivibile persino per lei, che con le parole è sempre stata brava, più che con i fatti.
Arriva alla sua finestra che quasi non sa più neppure come respirare, come se muovere il petto fosse diventata un’azione che non è più in grado di compiere. Stessa cosa per le sue mani, bloccate lungo i fianchi, come se il cervello non fosse più capace di farle muovere per aprire il vetro ed entrare in camera. Proprio come le sue gambe, ferme come pezzi di legno che non hanno la benché minima intenzione di muoversi.
Non prova a concentrarsi, a prendere un respiro per calmare i nervi. Non ragiona.
Semplicemente, aspetta davanti al vetro per un tempo che sembra non passare mai. Aspetta, come se avesse bisogno del permesso per continuare a fare qualsiasi altra cosa, come se non le fosse più concesso di essere libera, come se quel qualcosa più grande di lei avesse preso posto dentro il suo corpo per infliggerle quell’estenuante tortura pur di vederla agonizzare dal dolore. Un dolore che però non riesce a toccare o a scalfire niente.
Perché dentro di lei c’è qualcosa di indefinibile che è peggio del niente.
Il tempo intanto passa. Il sole tramonta. Il freddo diventa più pungente.
E Letizia è ancora lì, bloccata, come se quel qualcosa di indescrivibile facesse di tutto pur di rinchiuderla  dentro se stessa, la prigione peggiore di tutte.
Perché adesso che è buio e che il silenzio attorno a lei sta diventando sempre più opprimente, la mora comincia a realizzare che cosa è davvero successo, mentre quel qualcosa di indistruttibile si fa da parte per lasciare che tutte le altre emozioni che la ragazza non è riuscita a provare fino a quel momento finiscano il lavoro.
E capisce, la mora, che non merita di essere amica di Madison; non merita di avere quella ragazza così speciale nella sua vita. Non ha fatto altro che lasciare che il dolore dell’altra la divorasse, non è stata attenta, non è riuscita a vedere o a capire niente. Non ha agito quando invece avrebbe dovuto, quando per puro caso aveva avuto il sentore che qualcosa dentro la bionda stesse lentamente cambiando. Non ha imparato niente dagli errori del passato, dal terrore che l’ha accompagnata dopo che Madison, anni fa, aveva tentato una cosa simile a quella di poco prima. Non ha fatto altro che chiudersi in se stessa, senza pensare alla sua migliore amica, a quell’unica persona che è rimasta al suo fianco, riuscendo sempre a strapparle un sorriso, a tirarla su nei momenti bui.
E mentre il senso di colpa comincia a farsi sentire, pungente sulla pelle e sugli occhi, è come se ad un tratto dentro al suo corpo tornasse un minimo di energia, che le sue membra usano subito per aprire la finestra ed entrare nella stanza, forse l’unico posto davvero sicuro per lei.
Lei, che adesso sta rovistando tra i cassetti e le mensole della libreria, pur di trovare quell’unica foto che non condividerebbe mai con nessun altro, a parte la persona con cui è ritratta. Una foto scattata talmente tanti anni prima che adesso è ingiallita un po’, perdendo alcune sfumature dei colori che all’inizio erano talmente vividi e brillanti da farla sorridere all’istante. Una foto che non riguardava da anni. Perché da anni non ha fatto che dare la presenza di Madison nella sua vista per scontata; non ha fatto altro che considerarla ormai parte della sua quotidianità, dimenticando il fatto che ogni attimo passato con la sua migliore amica era, è e sarà sempre prezioso.
Solo adesso si rende davvero conto del suo errore; solo adesso si rende conto che avrebbe potuto davvero perdere la persona che per lei è più che una sorella. Solo adesso si rende conto del danno che ha commesso, perché non ha fatto altro che pensare a se stessa, dimenticandosi di chi ha fatto letteralmente di tutto pur di farla tornare a vivere dopo che la vita le aveva inferto il colpo peggiore di tutti.
Trova la foto in una delle tante scatole colorate poste nell’armadio, ma non riesce a vederla bene, con gli occhi colmi di lacrime che non riescono ad uscire e che le appannano la vista. Mette a fuoco a fatica, prendendo dei grossi respiri, cercando di trattenere la crisi che sente vicina ed i singhiozzi che non vuole far sfogare per l’ennesima volta. Ma non appena quell’immagine si staglia nitida davanti ai suoi occhi, le lacrime iniziano a bagnarle le guance.
Perché la foto che ha in mano è stata scattata il primo giorno d’asilo da Azura, durante il quale le due bambine raffigurate sono diventate amiche. «Lo saremo per sempre»; così si erano promesse tanti anni prima, con sorriso sulle labbra e le manine sporche di cioccolata, proprio come le ritrae l’immagine.
Eppure, Letizia sente anche troppo distintamente in fondo al cuore il fatto che lei, in realtà, non si è mai comportata come una vera amica. O almeno, questa è l’unica cosa che riesce a pensare adesso; l’unica cosa che riesce soltanto ad ingrandire il senso di colpa che la mora percepisce in ogni millimetro del suo corpo, come aghi che non fanno altro che pungerla, senza darle tregua alcuna, tendendole costantemente in testa il suo sbaglio più grande, il suo essere stata cieca per troppo tempo con troppe persone.
Perché non si è mai accorta di niente, lei: né della perdita di cui Michael ogni tanto sente ancora gli effetti, della preoccupazione di Ashton per il suo ragazzo e per tutto il resto, del peso che Luke si porta sulle spalle completamente da solo, del problema che Calum non è mai riuscito a superare davvero del tutto, delle insicurezze e delle paure di Madison che si è chiusa talmente tanto in se stessa pur di non far preoccupare nessuno.
È cieca, Letizia; non riesce ad accorgersi che le persone a cui vuole bene stanno male più di quanto possa anche soltanto immaginare. Che razza di amica è? Che razza di persona è, una come lei che a malapena sa che non vuole perdere chi le è caro per nessuna ragione al mondo, ma che non fa niente per impedirlo?
Sente le lacrime bruciare, scenderle lungo la gola per poi sparire tra i vestiti. Sente i brividi, il corpo che trema e che viene all’improvviso riempito nuovamente di tutto quanto: dell’anima, del cuore, dei sentimenti, di ogni singola cosa che credeva di aver perso. Un tutto che, però, pesa come un macigno e non le rende possibile stare bene.
Sente quel tutto andare di nuovo in frantumi e riformarsi, come se fosse un disco rotto che ripete sempre lo stesso passaggio all’infinito. Ed ogni volta che lei va in pezzi, fa più male della precedente, le fa nascere nel petto un dolore atroce, talmente intenso da impedirle di respirare.
Intanto il silenzio continua ad essere il suo unico compagno in quella situazione. E la porta a pensare, a ricordare, ad aprire squarci sempre più profondi e dolorosi dentro di lei, ad aumentare le ferite ancora una volta, come se non fosse mai abbastanza, come se non ci fosse mai fine a niente.
Accarezza la foto con al punta delle dita.
Poi è un attimo, ed il primo attacco di nausea si fa sentire anche troppo distintamente.
Primo attacco seguito subito da altri, che costringono la ragazza ad alzarsi e a correre in bagno a fatica.
Prova a vomitare una, due, tre volte, ma non succede niente. Perché è nuovamente vuota Letizia, adesso; non ha più niente da spartire con il resto.
E intanto il dolore non fa altro che aumentare, mentre le lacrime continuano a scendere e la nausea a peggiorare.
Si passa velocemente una mano tra i capelli, cercando nervosamente gli occhiali e ricordandosi di averli lasciati sulla scrivania insieme alle altre cose quando era entrata. Stringe le dita ai bordi della felpa che indossa fino a far sbiancare le nocche; ma non succede niente: il senso di colpa, la vergogna, il vuoto, le ferite, tutto resta lì, al suo posto, come se non potesse fare altrimenti, come se non ci fosse alcuna alternativa.
Come se lei non avesse più la facoltà e la libertà di scegliere.
Chiude gli occhi, di scatto, sperando che almeno così facendo le lacrime smettano di scendere e che il resto la lasci in pace, almeno per un minuto, uno soltanto. Ma sa, è fin troppo consapevole che la sua preghiera non verrà ascoltata da nessuno, che non ci sarà nessuno quella notte a rimettere insieme i pezzi. Perché lei non può, non ci riuscirebbe; non saprebbe più come fare.
E mentre il cuore si lascia andare, si lascia diventare preda di tutto il buio, Letizia lascia che ogni singola emozione che è riuscita a trattenere fino a quel momento abbia il sopravvento su di lei.
Così la tristezza ed il senso di colpa si fondono, sfogandosi in singhiozzi sempre più forti, che le scuotono il corpo, che la fanno tremare, che le fanno perdere il senso di ogni cosa. Così il senso di vergogna si acuisce, trasformandosi in una lama che sembra voler lacerare tutto quello che incontra. Così il senso di sconfitta diventa sempre più evidente, attraverso il colore della sua pelle che sta diventando sempre più pallido, mentre ciò che è dentro di lei non ha più il benché minimo ordine.
«È tutta colpa mia.»
Non fa che ripetersi quelle poche parole, come un mantra, come se volesse in qualche modo trovare una spiegazione plausibile a ciò che è accaduto. Una spiegazione che sembra non arrivare, che sembra non essere da nessuna parte. Una spiegazione di cui però lei ha bisogno a tutti i costi, pur di sapere cosa dovrà affrontare in futuro.
Perché sa che, oltre a Madison, neppure Luke riuscirà a perdonarla: benché fosse lei quella al corrente della situazione; quella che una sera di quattro anni prima aveva trovato Madison stesa per terra nel solito bagno, con la stessa pozza di sangue troppo scuro e denso attorno; quella che avrebbe dovuto sapere che cosa fare in casi simili; non è stata capace neppure di tranquillizzare il suo migliore amico e dargli i giusti consigli per salvare la ragazza a cui entrambi tengono troppo e senza la quale non potrebbero mai stare.
Sa troppo bene, Letizia, che potrebbe seriamente perdere le poche persone a cui tiene davvero, a causa di quell’errore che l’ha marchiata fin troppo in profondità per essere rimosso.
Lo sa, lo sente fin dentro le ossa, fin dentro il cuore.
Ma sa anche che è troppo tardi per tornare indietro e riavvolgere il nastro.
È lei quella che deve bruciare all’inferno, lei soltanto. È la punizione che si merita dopo tutto il casino che ha combinato. Una punizione che, probabilmente, non le infliggerà mai una pena pari a quella che sta sperimentando adesso, vivendo sulla propria pelle le conseguenze immediate delle sue azioni.
E mentre le lacrime continuano a rigarle il viso; mentre i singhiozzi continuano a scuoterle il corpo; mentre i brividi continuano a correrle sulla pelle; mentre tutto fuori e dentro di lei continua a distruggersi; mentre si rannicchia su se stessa come a volersi isolare dal resto; un suono di passi che si stanno avvicinando a lei cattura la sua attenzione, facendole alzare lo sguardo ed impedendole di continuare a respirare.
 
Ha tutto l’occorrente pronto da almeno un buon quarto d’ora: il laccio emostatico sul letto, steso accanto alla sua gamba; la siringa piena tra le dita; le braccia pronte ad essere bucate; il corpo che anela quella piccola dose come se non potesse vivere senza, come se quella piccolissima quantità di morfina fosse l’unica cosa capace di farlo continuare ad esistere, come se quel liquido fosse la sola energia che lui è in grado di usare.
Eppure… Eppure aspetta, Calum. Non vuole soddisfare il bisogno del suo corpo; cerca di resistere a quella voglia, a quel desiderio che secondo dopo secondo diventa sempre più bruciante, sempre più capace di ottenebrare la sua parte razionale per farlo cadere vittima della droga come tutte le altre volte. Però, quel pomeriggio è diverso, sotto ogni punto di vista.
È diverso perché gli occhi color cioccolato di Letizia sono l’unica cosa a cui sta pensando, la sola cosa su cui la sue mente è seriamente concentrata da quando si è svegliato quella mattina. Quegli occhi che gli hanno fatto compagnia per tutta la giornata, alleviando anche se solo di poco il senso di vuoto, di sconfitta, di vergogna che prova da ormai tre lunghissimi mesi, da quando il suo mondo è crollato ancora una volta.
Tre mesi da quando Letizia lo ha visto nuovamente con una siringa tra le dita. Tre mesi da quando lui ha nuovamente deciso di allontanarla, recidendo ogni legame con lei, evitando il suo sguardo, i suoi saluti, i suoi messaggi, le sue chiamate. Tre mesi da quando ha perso nuovamente la persona più importante di tutte a causa di quella debolezza che non è mai riuscito a contrastare, che non è mai stato capace di far scomparire completamente. Tre mesi da quando ha visto per l’ultima volta il volto della mora di cui, nonostante tutto, riesce ancora a ricordare ogni singolo particolare, come se lei fosse davvero davanti a lui. Tre mesi da quando ha assaporato quelle labbra morbide e tiepide per l’ultima volta; labbra che adesso gli mancano da morire, perché erano una delle pochissime cose in grado di tenerlo con i piedi ben ancorati per terra e di fargli sfiorare il cielo con la punta delle dita allo stesso tempo. Tre mesi da quando ha sentito per l’ultima volta la voce limpida della ragazza; quella voce che non ha fatto altro che mancargli disperatamente; la sola voce capace di mettere a tacere l’uragano dentro la sua testa. Tre mesi da quando ha smesso di sentirsi completo, di sentirsi davvero a casa. Tre mesi da quando sente distintamente di aver perduto per sempre una parte fondamentale di se stesso, una parte che forse non potrà mai più tornare indietro. Tre mesi da quando il dolore non ha fatto altro che aumentare, costantemente, spesso così tanto da toccare picchi talmente alti da mozzargli il respiro, per poi lasciarlo agonizzante, senza niente per lenire le ferite. Tre mesi da quando ha ripreso ad addossarsi la colpa di tutto quanto: delle sue stesse debolezze, dell’assenza di Letizia e di altre persone che sono ancora vive ma che lui non ha più il coraggio di avvicinare perché sa che non ne ha il diritto. Tre mesi passati nella confusione più totale, nonostante Luke cercasse in ogni modo di tenerlo ancorato alla realtà, riuscendoci a malapena. Tre mesi da quando ha dato campo libero alla sua dipendenza, che nel giro di poco l’ha fatto tornare ad essere nuovamente  l’ombra di se stesso; un’ombra vuota, fredda, come un contenitore che non serve a niente, che non ha più niente da custodire e di cui prendersi cura. Tre mesi da quando è tornato ad essere preda del buio, del dolore.
Sospira e si passa una mano sul viso, senza lasciar andare la siringa, mentre piccoli brividi cominciano a corrergli lungo il corpo, facendolo fremere, tenendogli bene a mente il fatto che presto dovrà iniettarsi quella dose se vuole evitare di soffrire ulteriormente, se vuole continuare a dimenticare, a relegare in un angolo tutti gli errori commessi che, tuttavia, non potranno mai essere cancellati davvero.
E intanto, il pensiero della mora continua a martellargli la testa, a premere, a ferire, ad aprire porte che Calum aveva volutamente chiuso per evitare di stare troppo male; continua a mandargli l’anima in frantumi, ad aumentare il senso di vuoto, di mancanza, di assenza; continua ad aumentare la consapevolezza del fatto che niente potrà tornare come prima.
Eppure… Lui vorrebbe davvero che le cose cambiassero. Vorrebbe poter tornare a parlare tranquillamente con i suoi genitori, con i suoi amici. Vorrebbe tornare ad essere il ragazzo allegro e tranquillo che era prima che tutto quel buio lo inghiottisse. Vorrebbe tornare ad abbracciare Letizia, a sentire la sua voce, a perdersi nei suoi occhi, a percepire il suo profumo dolce, ad accarezzare le sue labbra tiepide, a sentirsi al sicuro e completo con lei al proprio fianco, a percepire quel calore che solo lei sapeva dargli per lenire il resto. Vorrebbe poter avere abbastanza coraggio per riprendere in mano la sua vita e rimetterla in sesto con le sue forze, senza dover sempre dipendere dagli altri. Vorrebbe smettere di vedersi come un fallimento, sotto ogni punto di vista. Vorrebbe smettere di provare freddo in ogni più piccola parte di sé. Vorrebbe non aver paura di affrontare il dolore. Vorrebbe essere più coraggioso. Vorrebbe essere migliore.
Ma sa che non può, che non ne avrà mai la possibilità; che sperare non gli servirà a niente per sopravvivere, per sconfiggere i suoi demoni, per mettere a tacere tutto quanto. La sola cosa che gli resta è la morfina, che riesce a trasportarlo lontano da tutto ogni volta che lui ne ha bisogno, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Eppure… Quel pomeriggio neppure la droga riesce ad attirare completamente la sua attenzione, anche se il suo corpo necessita di quella sostanza più di qualsiasi altra cosa. Perché, per Calum adesso, solo gli occhi di Letizia sono importanti; solo quel colore caldo e avvolgente che riusciva sempre a farlo sentire benvoluto, amato, al sicuro da ogni ferita; solo quegli occhi grandi e profondi che erano capaci di trasportarlo lontano, di alleviare il dolore; solo quello sguardo che riusciva sempre a trasmettergli un amore che lui mai si sarebbe immaginato di poter meritare. Solo gli occhi di quella persona che gli manca da morire, ogni giorno più del precedente.
Perché, a Calum, Letizia manca davvero, molto più di quanto lui riesca a descrivere nelle canzoni che ha ricominciato a comporre per sfogarsi, per non perdere del tutto il ricordo della ragazza che ama più di se stesso e per la quale farebbe letteralmente qualsiasi cosa pur di farla stare bene, pur di vederla sorridere, pur di mandar via quell’ombra che è sempre presente in quello sguardo marchiato dal dolore; un dolore che lui non è mai stato capace di mandar via, di far scomparire.
Gli manca Letizia, più delle altre volte. Gli manca sentirla vicina, poterle prendere la mano senza problemi per riempire il loro vuoto che entrambi si portano dentro. Gli manca osservarla di soppiatto per poi farsi beccare e farla sorridere. Gli manca perdersi ad ascoltarla leggere ad alta voce o a sentirla cantare una ninna nanna con quella sua voce potente, distrutta e triste allo stesso tempo che lo fa sempre rabbrividire. Gli manca sentire di aver finalmente trovato con la mora il posto in cui stare, in cui essere se stesso senza più alcuna paura. Gli manca dimostrarle il suo amore, il suo vederla a disagio per i complimenti o i baci di troppo dati nel bel mezzo della strada, sotto gli occhi di tutti. Gli manca ogni singola volta in cui era lei a dimostrargli il suo affetto; con silenzi che non pensavano a nessuno dei due; con sguardi intensi e profondi che scavavano fin dentro l’angolo più remoto della sua anima; con parole che arrivavano sempre in profondità per non lasciarlo più; con carezze lievi e delicate sopra le cicatrici delle punture; con abbracci che ogni volta sembravano arrivare a toccargli il cuore; con baci pieni di talmente tante cose che lui non saprebbe proprio come descrivere. Gli manca tutto di Letizia.
E quella mancanza lo sta uccidendo, gli sta frantumando quel poco che resta della sua anima, che si ricrea e soccombe costantemente, come un disco rotto che torna sempre sullo stesso punto. Ed ogni volta che la sua anima cade, cade anche lui, perché non ha più alcun appiglio a cui ancorarsi. Perché Letizia era la sua ancora, il suo salvagente: era lei il suo angelo. Lo stesso angelo che lui ha perso, forse definitivamente, nonostante si fosse ripromesso più e più volte che di quella mora avrebbe avuto cura fino alla fine; nonostante si fosse ripromesso che l’avrebbe protetta, che l’avrebbe tenuta lontano dal suo buio; nonostante si fosse ripromesso che avrebbe fatto in modo che le cose con lei sarebbero andate diversamente.
Sa di aver ferito la persona più importante della sua vita; sa di averle fatto male e sa anche che la sta ferendo giorno dopo giorno da quando si sono lasciati tre mesi prima. Perché non riesce a non prestare attenzione ai pianti che la notte la mora cerca di soffocare con il cuscino. Perché non riesce a non notare gli occhi rossi che la ragazza ha la mattina a scuola, durante le prime ore di lezione; occhi rossi e lucidi di pianto che lo feriscono più di tutto il resto ogni volta che si ritrova ad osservarli da lontano.
E non avrebbe mai creduto che quella lontananza gli avrebbe procurato tutto quel dolore, tutte quelle ferite. Era preparato ad ogni conseguenza, ad ogni colpo che la vita gli avrebbe dato una volta separatosi da Letizia. Ma mai avrebbe immaginato che stare senza di lei durante quei lunghi mesi sarebbe stato peggio delle altre volte. Perché non aveva minimamente tenuto in conto il fatto che avrebbe potuto fare così male; non aveva pensato al fatto che, senza la mora, tutto sarebbe andato completamente a rotoli, proprio com’era prima che le loro strade si incrociassero. È come se Calum avesse disimparato a respirare, come se non riuscisse più a capire chi sia e dove si trovi, come se avesse perso la bussola che equilibrava tutto il suo stesso essere, come se non sapesse più come si fa a sopravvivere. È come se, con la mancanza di Letizia, mancasse in lui quel qualcosa che collega il suo cervello al resto; è come se fosse diventato una macchina che risponde automaticamente ad impulsi esterni, ma che non capta davvero ciò che gli succede attorno.
È come se, senza Letizia, lui non esistesse più.
Continua a giocare con la siringa tra le dita, senza però osservare davvero quel piccolo oggetto che lo ha guidato in quel limbo da cui sa che non ci sarà alcuna via d’uscita; non per uno come lui.
Poi il cellulare che suona per l’arrivo di un messaggio cattura la sua attenzione.
 
Da: Luke; 21.05.2016, 06:38 pm
Vai da Letizia, ha bisogno di te.
 
Da: Calum; 21.05.2016, 06:40 pm
Cos'è successo?
 
Quel messaggio che ha appena inviato è la prima cosa che gli è venuta in mente. Perché non capisce; sente che c’è qualcosa che non va, ma non riesce a capire cosa di preciso. Perché non è mai successo che il biondo gli mandasse messaggi di quel tipo; di solito, gli dice cose simili a scuola, ogni mattina, dritte in faccia, rimproverandolo per il suo comportamento. Deve per forza esserci qualcos’altro. Qualcosa che a lui è sfuggito. Qualcosa che forse quasi nessuno di loro conosceva fin dall’inizio. La risposta non si fa attendere.
 
Da: Luke; 21.05.2016, 06:43 pm
Madison si taglia. Leti l’ha vista.
 
E prima ancora che Luke posso scrivergli altro, Calum si precipita sul balcone, lanciando la siringa che aveva in mano oltre il parapetto, senza curarsi del rumore di vetri infranti che si sente un istante dopo, senza preoccuparsi della dose di morfina ormai perduta. L’unica cosa che adesso conta davvero è Letizia. Perché il ragazzo sa anche troppo bene cosa voglia dire vedere una delle persone più importanti della propria vita farsi del male. Spera solo di essere ancora in tempo.
Passa dalla finestra della camera della mora, lasciata semiaperta come al solito. E non ha bisogno di chiamarla a gran voce per sapere dove sia. Gli basta seguire i singhiozzi che sente provenire anche troppo distintamente dal bagno. Singhiozzi che; mentre lui si avvicina titubante, con il cuore che batte sempre più forte e che fa sempre più male; sembrano lame, dolorosi, implacabili. Perché fa male ascoltarli, fa male sentire tutto quel dolore trattenuto troppo a lungo sfogarsi in un modo simile. Soprattutto, gli fa male vedere la ragazza che ama andare lentamente in pezzi, come se non ci fosse più niente capace di tenere insieme i cocci della sua anima.
 
Perché Calum adesso è davanti a lei. Davanti a quella mora che gli ha stravolto la vita fin dall’inizio. Davanti all’unica persona per cui morirebbe, se dovesse servire. Davanti alla ragazza che è diventata la sua ragione di vita; la sola che lo spinge a continuare a respirare anche se tutto il resto sta andando a rotoli. Davanti alla sola persona capace di capirlo e di amarlo come nessun altro. Davanti a quell’angelo che adesso sembra aver perso le sue ali.
Perché Letizia è distrutta, completamente. In quegli occhi scuri e disperati puntati nei suoi, Calum riesce anche troppo distintamente a vedere il dolore che l’ha ridotta in quello stato. Un dolore che pure lui conosce e che non è mai riuscito a combattere fino in fondo. Un dolore che è troppo simile al suo e che, in quegli occhi grandi e persi, distrutti, non fa altro che aumentare e ferire l’unica persona che merita soltanto di stare bene e di sorridere.
Perché la mora non può, non deve soffrire in quel modo. Non è giusto, non è possibile. Non vuole crederci, lui; non ci riesce. Perché non riesce a sopportare quegli occhi color cioccolato rossi di pianto, velati da lacrime che non hanno ancora finito il loro corso; quello sguardo perso, distrutto, sconfitto; non riesce ad accettare i singhiozzi che fanno tremare visbilmente il corpo dell’altra.
Lei, che adesso non sa più che cosa pensare o fare. Lei, che adesso, davanti a Calum, davanti ad una delle cause di quel dolore lancinante che sente dentro, non sa come reagire. Lei, che adesso vorrebbe soltanto che tutto quanto smettesse, che qualcuno premesse il pulsante di emergenza per far cadere ogni cosa nel buio, pur di non farla pensare, pur di alleviare l’uragano di emozioni che ha dentro e che la sta mandando in pezzi. Lei, che adesso si sente svuotata di ogni più piccola parte di sé. Lei, che ha distolto lo sguardo da quello spaventato di Calum per riportarlo sulle sue mani che non hanno ancora smesso di tremare.
«È colpa mia. È solo colpa mia.»
Continua a ripetere quelle parole tra una lacrima e l’altra, tra un singhiozzo e l’altro, come se non avesse altro a cui ancorarsi per non cadere, come se quella fosse l’unica cosa che conta, come se non avesse altro a cui poter rivolgersi per far smettere tutto quel caos che l’ha bloccata a terra, impedendole di spiccare il volo.
Parole che al ragazzo suonano troppo familiari. Come tutta quella situazione. Perché anche lui si era ritrovato nelle stesse condizioni della mora, dopo aver finito di leggere il diario della sua ex. Ed era stato in quella circostanza, nel suo momento peggiore, che aveva preso la decisione che avrebbe rovinato tutto; che aveva sentito il bisogno di drogarsi per non dover sentire più in alcun modo quel senso di colpa lacerante e insopportabile. Era stato quello il momento in cui il suo inferno era cominciato. Un inferno da cui soltanto la mora era riuscita a tirarlo fuori, passo dopo passo, prima che lui ci cadesse dentro ancora una volta.
E adesso, Calum sa che è il suo turno; che sta a lui aiutare Letizia ad affrontare il buio in cui è precipitata, prendersi cura di quell’angelo che ha perso la sua luce; sa che sta a lui essere forte, almeno per una volta, per aiutare la sua ragazza a rimettersi in piedi e ricominciare.
Si accovaccia davanti a lei, lentamente, come se avesse paura di spaventarla, come se avesse il terrore di sbagliare, come se fosse paralizzato all’idea di perderla per un gesto di troppo.
Le prende delicatamente la mano tra le sue e la accarezza con il pollice, percependo nuovamente quella pelle liscia che tanto gli era mancata in quegli ultimi mesi. Una pelle che però adesso è fredda, percorsa da brividi che sembrano essere fuori controllo. Proprio come le lacrime che le scendono lungo le guance da minuti che paiono interminabili; lacrime a cui lui non vuole pensare, non ora che Letizia ha nuovamente puntato gli occhi verso di lui.
«Non è colpa tua, Leti.» le dice, piano, cercando di farla ragionare, di trovare anche solo un barlume di lucidità a cui potersi ancorare per tirarla fuori dal buio.
«Non è vero.» ribatte la ragazza; e intanto, la sensazione di calore improvviso che le ha dato il sentire la voce di Calum dopo tutto quel tempo si fa strada dentro di lei, andando a colonizzare una piccolissima parte del suo cuore martoriato, distrutto, completamente arido ma non più vuoto come prima. Perché adesso c’è la voce del moro a darle un minimo di sollievo, a riempire alcuni dei punti vuoti comparsi dentro di lei; quella stessa voce che aveva sperato di poter tornare a sentire durante quegli ultimi tre mesi passati lontana da lui; quella stessa voce che si sta rivelando la medicina giusta per cominciare a nuotare verso la luce. Eppure… Il senso di colpa non se ne va; anzi, torna più forte di prima. E le lacrime, che solo per un attimo si erano fermate, tornano a scandire il loro percorso.
«È colpa mia se Maddie ha ripreso a tagliarsi! È colpa mia se sta di nuovo male!»
Si sfoga, Letizia. Si sfoga di tutto il dolore con ogni mezzo che ha a disposizione.
E intanto, le braccia di Calum la stringono a lui, mentre il ragazzo resta in silenzio e ascolta. Ascolta il dolore di lei che man mano diventa meno forte, cedendo il posto alla tristezza. Ascolta con il cuore in una mano e quella della mora stretta nell’altra. Ascolta quella voce che si è trattenuta per troppo tempo e che adesso ha finalmente trovato la giusta via d’uscita. Ascolta quelle parole che fanno male da morire, una sempre più dolorosa della precedente. Ascolta quell’anima che sta cercando di riemergere da sotto le macerie di se stessa. Ascolta i singhiozzi che pian piano diventano meno violenti, meno forti, meno distruttivi. E ad ogni singhiozzo che Letizia soffoca contro il suo petto, come se si vergognasse di quello sfogo, come se ne avesse quasi paura, Calum la stringe ancora più forte, per non farla cadere, per tenere insieme i pezzi di quella persona che per lui è diventata il centro del suo mondo che adesso niente avrebbe più senso senza.
«Io… Io non volevo, Cal. Giuro che non volevo… Io non volevo…»
La voce di Letizia adesso è un sussurro che trema, che ha paura di uscire e farsi sentire, perché è quello che fa più male di tutto il resto. I suoi occhi sono irriconoscibili: sono diventati pozzi neri da cui non proviene più alcuna luce, alcun colore. Il suo corpo continua a tremare, mentre le sue braccia stringono convulsamente le gambe, come se la giovane volesse scomparire su se stessa.
Calum continua a restare in silenzio, a stringere quel corpo sempre più debole, cercando di trattenere le lacrime e la frustrazione, di resistere e non crollare insieme a quella ragazza talmente distrutta che quasi sembra non sapere più neppure dove si trovi. Non sa cosa dire, lui. Non sa cosa fare per calmare la mora, per migliorare la situazione. Sa soltanto che non vuole lasciarla andare, che non vuole lasciarla cadere per nessun motivo. Non adesso che sono di nuovo insieme, anche se in un modo a cui lui mai avrebbe pensato.
Intanto i minuti scorrono lenti, inesorabili, vanno via, accompagnati dai brividi che pian piano scompaiono, come i singhiozzi, le grida soffocate e le lacrime. Scompare tutto quanto. Resta solo il vuoto; un vuoto che, per Letizia, Calum sarà sempre il solo capace di riempire fino in fondo. Un vuoto accompagnato dal silenzio, che fa rendere ad entrambi conto che quella è la prima volta che sono di nuovo insieme, dopo tre mesi di lontananza.
Tre mesi che per Letizia sono stati un inferno. Tre mesi senza la sua bussola, senza la persona più importante di tutte. Tre mesi passati costantemente in ansia, preda della preoccupazione, della frustrazione, della paura di poter perdere da un momento all’altro il suo angelo. Tre mesi trascorsi a chiedersi come fosse potuto accadere; a farsi carico di colpe dovute al suo essere sempre cieca. Tre mesi scivolati via lentamente, senza che lei riuscisse a rendersene conto davvero. Tre mesi senza ossigeno.
Perché Calum sarà sempre il suo ossigeno; l’unico che riesce a farla respirare, a farla vivere davvero; capace di farla sentire amata, accettata, di farla sentire a casa, completa in ogni sua più piccola parte; l’unico in grado di capirla, di accarezzarle il cuore e l’anima con un sorriso, di farle sfiorare il cielo con la punta delle dita, di rendere la sua vita degna di essere vissuta fino in fondo. Sarà sempre la ragione per cui lei non smetterà mai di combattere.
E sarà sempre il solo in grado di farla stare bene davvero.
Perché è grazie a lui se ha smesso di piangere, se il dolore si è attenuato almeno un po’, se è tornata a respirare a pieni polmoni. È grazie a lui se adesso il senso di colpa che prova verso Madison non le fa più così male.
Allora lo guarda.
E negli occhi scuri del ragazzo trova la risposa che stava cercando, quella certezza che le serviva per riemergere, il coraggio di ammettere a se stessa ciò che l’ha sempre spaventata, ciò che l’ha sempre frenata, ciò che le ha sempre impedito di buttarsi completamente, fino in fondo, senza paura. Trova il coraggio di ammettere ad alta voce parte dei suoi pensieri. Quegli stessi pensieri che nessuno è mai riuscito a decifrare davvero, che nessuno è mai riuscito a vedere. Quegli stessi pensieri che, col tempo, si sono trasformati in una prigione fatta di insicurezze e paure, dalle quali Letizia non aveva mai capito come uscire, prima che Calum piombasse all’improvviso nella sua vita, stravolgendola completamente.
Lo guarda; si perde ad osservare attentamente ogni singolo dettaglio di quel viso che le era mancato da morire; si perde dentro quegli occhi scuri che, anche in quella circostanza, la fanno sentire a casa; che riescono sempre a farla sentire nuda, spogliata di tutto; che sanno toccarle l’anima, avvolgendola in un abbraccio caldo, confortante.
Ed è mentre lascia che la rabbia, l’angoscia, la frustrazione, la tristezza, la vergogna e il dolore fluiscano via, che le parole trovano la strada per uscire, per arrivare al giusto destinatario. Parole che lei, con le lacrime agli occhi, pronuncia facendo appello a quel poco coraggio che le è rimasto. Parole che lei sa che deve dire, perché sono troppo importanti per restare nascoste, bloccate da quella paura che le ha sempre impedito di svelare i suoi sentimenti fino in fondo. Parole che, per la mora, valgono davvero tanto.
«Non voglio perderti.»
Parole che rispecchiano ciò che la ragazza prova dentro da quando è uscita da casa di Madison. Parole che rispecchiano anche troppo bene la paura della giovane. Perché quella è la sua paura più grande, è ciò contro cui ha sempre cercato di lottare con tutte le sue forze, con tutta se stessa. Perché non vuole perdere Calum, Letizia; non vuole perdere la persona più importante di tutte, la sola che è riuscita davvero a darle ciò che lei ha sempre cercato con affanno negli altri. Non vuole perdere la persona a cui ha affidato la sua vita.
Non vuole perdere Calum, lei, perché sa che non ce la farebbe ad andare avanti da sola.
Perché ha quasi perso del tutto la sua migliore amica, e non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto farle così male; non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così doloroso – ed i singhiozzi che hanno appena ripreso a scuoterle il corpo sono dovuti a quel senso di colpa che si sta nuovamente facendo sentire dentro di lei più forte di prima. Non vuole perdere Calum perché non osa pensare alle conseguenze, perché non può permettersi il lusso di perderlo, adesso che sono di nuovo insieme. Perché sa che, senza di lui, lei non sarebbe niente.
A quelle parole, il moro si sente invadere da un calore che non provava da veramente troppo tempo. Un calore che lentamente si diffonde in ogni sua più piccola parte; che lo aiuta a risollevarsi almeno un po’ dalle macerie di se stesso che lo hanno bloccato al suolo fino a quel momento; che sana parte di quelle ferite che si porta dentro, facendo scomparire alcune delle cicatrici che ormai hanno smesso di fare male; che gli riempie l’anima completamente, senza mezze misure. Un calore che solo Letizia è sempre stata capace di donargli; che gli ricorda il perché lui ami tanto quella ragazza che adesso è di nuovo al suo fianco.
«Non succederà.» le dice, per poi baciarle la fronte e stringerla ancora di più a sé sperando, così facendo, di fermare quei singhiozzi che detesta con tutto se stesso. «Te lo prometto.»
È la sola promessa che può davvero farle; che sa di poter mantenere a qualsiasi costo; che rispetterà fino alla fine. Perché per lei farebbe sul serio qualsiasi cosa, e cercare di restare sempre con lei è il suo pensiero fisso, nel quale spera di trovare quel minimo di forza che gli serve per agire.
E Letizia a quella promessa, a quelle parole che per lei valgono molto più di quanto possa immaginare, si ancora con tutta se stessa, con tutta la speranza che ancora le resta. Perché per lei quella promessa è una delle pochissime certezze che ha e da cui vuole trarre forza per ricominciare, per ripartire e ricostruire la sua vita passo dopo passo, insieme a Calum. Insieme al ragazzo che ama più di se stessa.
Perché Letizia ama Calum, da sempre, forse proprio fin dalla prima volta che i loro occhi si sono incontrati sotto le stelle parecchi mesi prima. Lo ama con tutta se stessa. Lo ama e non riesce a fare altrimenti, non riesce a reprimere quei sentimenti che all’inizio l’hanno spaventata da morire, impedendole di rispondere alla dichiarazione del moro; sentimenti che non aveva mai provato prima perché per lei, prima di conoscere Calum, l’amore era sempre stato una grandissima incognita. Lo ama per la persona che è, per l’affetto che le dà, per come riesce a farla sentire. Lo ama, incondizionatamente, e sa che questo non cambierà.
Ama i suoi occhi scuri, che sanno sempre come farla sentire a casa, come curare ogni sua ferita senza bisogno di parole. Ama i suoi sorrisi, quelli veri, che sono rari e che sono la cosa più bella del mondo: luminosi, allegri, capaci di scaldarla con niente. Ama le sue mani grandi dalle dita affusolate; che sono sempre state lì per aiutarla a rimettersi in piedi nonostante le cadute; che l’hanno sempre fatta sentire protetta, al sicuro. Ama le sue braccia ogni volta che la stringono, perché sembra che non vogliano farla andare via per nessun motivo; quelle braccia che, col tempo, sono diventate un porto sicuro in cui lei riesce sempre a trovare conforto. Ama la sua passione per la musica, perché ogni volta che lo sente suonare e cantare percepisce anche troppo distintamente quanto il ragazzo sia felice, quanto si senta vivo. Ama la sua ossessione per il cornetto al cioccolato da prendere ogni mattina insieme al caffè, perché «Altrimenti la giornata non comincia nel modo giusto», come dice sempre lui. Ama quando lo becca ad osservarla e lui le risponde sorridendo.
Ama tutto quello che è, perché Calum è perfetto così, e lei non potrebbe chiedere niente di meglio.
E adesso che è lì, davanti ai suoi occhi, Letizia fatica a credere di aver ricevuto un regalo simile. Perché quel ragazzo è un angelo, che lei ancora fatica a credere di avere al suo fianco. Un angelo che le sta donando un amore immenso, che lei non avrebbe mai immaginato di poter ricevere da qualcuno. Un angelo che rende la sua vita bellissima giorno dopo giorno, che la riempie di calore e colore giorno dopo giorno.
Calum è l’angelo che l’ha fatta tornare a vivere.
E proprio perché lo ama, cerca con tutta se stessa di combattere il buio che l’ha catturato e che lo sta lentamente trascinando in quel pozzo da cui difficilmente si ritorna indietro. Perché non può lasciare che il moro sprechi così la sua vita, non quando proprio lui, inconsapevolmente, le ha fatto capire che la vita merita di essere vissuta fino alla fine, senza permettere al dolore di avere la meglio su tutto quanto.
Ecco perché le parole che non ha mai detto prima riescono finalmente a trovare la via d’uscita, mentre le lacrime continuano a scendere dagli occhi scuri della ragazza, mentre i singhiozzi continuando a scuoterle il petto – perché ha talmente tante cose dentro, lei, che riesce a sfogarle soltanto in quel modo.
«Ti amo, Calum.»
E prima ancora che Letizia possa aggiungere altro, Calum la bacia, facendole battere il cuore talmente forte da mozzarle il fiato per la sorpresa.
La bacia, Calum, perché non sa in quale altro modo rispondere alle parole che la mora gli ha appena detto. Parole che per lui valgono più di tutto il resto. Parole che aspettava di sentire da talmente tanto tempo che adesso quasi non gli sembra vero. Parole che gli riempiono il cuore in un istante di un qualcosa di infinito e meraviglioso.
Perché l’amore è così.
Riempie tutto e dà molto più di quanto si possa immaginare.
 
E prima che i due ragazzi riescano a capire davvero che cosa stia succedendo, Letizia si ritrova seduta sulle gambe del moro, con le braccia attorno al collo dell’altro e con il cuore che batte talmente forte che quasi sembra volerle uscire dal petto. Perché si sente viva, tra le braccia di Calum, con le labbra a contatto con le sue, con quel calore che pian piano si fa strada dentro di lei, arrivando a toccare ogni sua più piccola parte, con il respiro del ragazzo che le accarezza timidamente il viso. Si sente viva, davvero. E non avrebbe mai immaginato che, sarebbe potuto essere così bello. Non avrebbe mai creduto di potersi sentire così.
Intanto Calum continua a baciarla; ad assaporare quelle labbra che gli sono mancate da morire durante quelle settimane di distanza; a percepire la morbidezza del viso della mora, con quei lineamenti delicati che sono sempre stati capaci di attrarre la sua attenzione; a lasciarsi inebriare da quel profumo dolce che non è mai riuscito a dimenticare; a godere di ogni singolo istante in cui sente distintamente il battito del cuore dell’altra attraverso la stoffa pensate della felpa.
Stoffa che lui scosta lievemente, per accarezzare la pelle della ragazza che, a quel contatto inaspettato, inarca lievemente la schiena, mentre lunghi brividi, partendo dalla punta delle dita di Calum, le attraversano il corpo e la fanno sentire ancora più viva, ancora più bruciante, mentre una sensazione completamente diversa dalle altre, mai provata prima di quel momento, si fa strada dentro di lei, passo dopo passo, fino a toccarle il cuore.
Una sensazione che pure il maggiore sente dentro di sé; una sensazione che gli dona una sicurezza ed un coraggio tali da permettergli di andare più in fondo, per arrivare a punti a cui nessuno dei due aveva mai pensato di arrivare, punti che sono al di là di porte che entrambi hanno lasciato chiuse per troppo tempo; porte che adesso hanno bisogno di essere aperte, per far entrare nuova luce, nuovo calore, nuovi colori, per far ricominciare tutto da capo.
Le loro mani continuano a cercarsi, a stringersi, ad accarezzarsi timidamente, quasi avessero paura di ferirsi con il più piccolo gesto. I loro respiri continuano a fondersi, ad unirsi, come i battiti dei loro cuori, che diventano una cosa sola man mano che i secondi scorrono. Si prendono cura a vicenda l’un l’altra, consci del fatto di avere tra le mani il più prezioso di tutti i tesori, la persona più importante che potessero trovare lungo il loro cammino. Si medicano le ferite che hanno dentro, con i baci che diventano sempre più lunghi, sempre più profondi, come se volessero far congiungere la parte più nascosta dei due ragazzi, come se volessero farli diventare una cosa sola; con le carezze che sfiorano ogni parte del viso, del collo, delle braccia, della schiena, delle spalle.
Perché le loro mani pian piano si fanno sempre più strada sotto i vestiti, percependo distintamente i muscoli dell’altro che si tendono e si irrigidiscono per la sorpresa, mentre i brividi li attraversano e li fanno fremere, mentre i loro cuori non fanno altro che battere sempre più veloce, mentre i loro respiri accarezzano piano l’altro.
Le mani di Calum passano sulla schiena della mora, lentamente, assaporando totalmente ogni millimetro di quella pelle tiepida e morbida, che il ragazzo vorrebbe soltanto ricoprire di baci, di carezze, per dimostrare a quella ragazza quanto sia importante per lui; per dimostrarle quanto la ami, quanto le sia grato, per ogni singola cosa. Sono mani che non mettono fretta, quelle del giovane, neppure quando incontrano il tessuto del reggiseno, su cui indugiano un po’ di più, prima di passare ad accarezzare le spalle della minore.
Lei che, timidamente, sposta le mani sul corpo dell’altro, percependone la forza, le cicatrici, i brividi, i muscoli tendersi e rilassarsi sotto la punta delle sue dita. Procede piano, Letizia, sotto la maglia che il moro indossa, perché non sa che cosa fare di preciso, da dove partire. Si lascia guidare dall’istinto e dalle sue stesse mani che, meglio di lei, sembrano sapere quali siano le mosse giuste. E ad ogni brivido che sente sulla pelle di Calum, automaticamente rabbrividisce anche lei, come se loro due fossero diventanti davvero una cosa sola e percepissero ogni sensazione nello stesso momento.
Ed è bellissimo. Indescrivibile. Fuori dal tempo, dallo spazio, in un posto in cui soltanto loro due possono stare per esprimere ciò che a parole non riescono a dire.
E mentre continuano a baciarsi, ad assaporare le labbra dell’altro, Calum si alza in piedi, trascinando con sé Letizia, che allaccia le proprie gambe alla vita del moro per non cadere, mentre lui esce dal bagno e si dirige lentamente verso la camera della ragazza, che si stringe ancora di più a lui per non perdere neppure un secondo di ciò che sta succedendo, per godersi fino in fondo ciò che la vita le sta regalando.
Il maggiore la adagia sul letto, piano, quasi avesse paura di farle male. E sempre piano, con calma, si mette sopra di lei, bloccando il suo bacino tra le proprie ginocchia e le sue mani con le proprie contro i cuscini, senza lasciare le labbra dell’altra neppure per un istante.
Letizia sospira piano, mentre sente il cuore battere veloce, mentre stringe timidamente le mani del suo ragazzo con le sue, tremanti, insicure. Proprio come il suo corpo, che freme sotto ogni carezza, ogni bacio di Calum; che rabbrividisce ogni volta che il respiro di lui sfiora la sua pelle.
Poi il moro divide le loro labbra, all’improvviso. E la giovane si ritrova persa, spaesata, come se senza le labbra di Calum sulle sue non riuscisse più a capire che cosa stia succedendo.
«Cal, che succ–?» fa per chiedergli.
Ma l’altro la frena, posandole un dito sulle labbra e cominciando a tracciarne il contorno con la punta, lasciando che il respiro di lei lo accarezzi, scaldandogli l’anima, donandogli quell’ultimo grammo di coraggio che gli serve per arrivare fino in fondo, per varcare quella soglia che ormai ha raggiunto da tempo, ma che ha sempre avuto troppa paura di attraversare. Ora però sente che è arrivato il momento di compiere quel passo, ma ha bisogno che anche Letizia sia d’accordo, perché quello è un traguardo che possono raggiungere soltanto se sono insieme.
Perciò si è fermato. Perché prima di andare avanti, di dimostrare alla ragazza stesa sotto di lui quanto la ami, ha bisogno di sapere, di avere almeno una conferma. Perché, adesso che son di nuovo insieme dopo quei lunghi tre mesi passati lontani, si è finalmente reso conto completamente cosa significhi Letizia per lui; per questo non vuole compiere neppure la più piccola mossa sbagliata. Non vuole mandare tutto all’aria ancora una volta.
L’altra intanto lo osserva, aspettando una qualsiasi mossa, una qualsiasi parola che possa rompere quello strano silenzio che si è creato tra loro, che le fa percepire anche troppo distintamente il proprio cuore battere fortissimo fin dentro la gola e le tempie. Aspetta, lei, perché non sa cosa fare, come muoversi; non ha la benché minima idea di cosa Calum stia pensando. Sa soltanto che non deve preoccuparsi, perché lui è lì, davanti ai suoi occhi, a distanza di un bacio, pronto a proteggerla se dovesse essercene bisogno.
Il moro prende un respiro e stringe un po’ di più la presa sulle mani dell’altra. Poi lascia che tutto quello che ha dentro si liberi. Perché vuole, deve far capire alla persona più importante della sua vita ciò che sta provando, perché ha bisogno di fare quel passo e non può aspettare, perché non ha idea di quando potrebbe capitargli una possibilità simile in futuro. Sa soltanto che fare quel salto insieme alla sua ragazza vale più del resto, perché sarà quello stesso salto il punto da cui lui comincerà a prendere seriamente la sua vita in mano, per rimetterla in sesto, con l’aiuta di quell’angelo che adesso lo sta guardando con i suoi grandi occhi color cioccolato che riescono sempre a farlo sentire piccolo, insignificante rispetto a tutto il resto.
«Io… Voglio fare l’amore con te. Voglio amarti come meriti, voglio darti quello che non sono mai riuscito a dimostrarti prima. Voglio renderti felice e non più feriti come ho fatto fino ad ora. Voglio far sparire le lacrime dai tuoi occhi. Voglio vederti sorridere. Perché… Perché ti amo. Ti amo come non ho mai amato nessun’altra. Ti amo e voglio soltanto darti il meglio. Perché senza di te non sarei niente. Senza di te sarei rimasto in quel limbo in cui sono caduto due anni fa. Senza di te, la mia vita non avrebbe senso. Voglio… Voglio te, voglio ogni più piccola parte di te. Perché senza di te non so stare.»
Si ferma un attimo, Calum. Perché non riesce a credere di aver appena ammesso ciò che si porta nel cuore ormai da mesi; di aver avuto il coraggio di esporsi così tanto, di mettersi completamente a nudo, nelle mani di quella ragazza che ama con tutto se stesso, che ama proprio perché è se stessa: forte e fragile allo stesso tempo, con il coraggio di quei lupi che le piacciono tanto ed un’anima talmente grande da non avere confini.
Quella stessa ragazza che non riesce a credere alle parole che ha appena sentito. Perché non avrebbe mai creduto di essere così importante per il moro. Non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse amarla a tal punto, così intensamente da lasciarla senza fiato. Non avrebbe mai immaginato che proprio quell’angelo scegliesse lei. Non riesce a credere di essere così fortunata. Perché si vede fortunata, Letizia, con Calum al suo fianco che la ama in quel modo, di un amore che riesce ad avvolgere ogni sua più piccola cellula, a sanare tutto, a farla stare bene. Si sente fortunata, perché è soltanto grazie a Calum se ha ricominciato a respirare, a vivere la sua vita completamente.
Per questo vuole ringraziarlo. Per questo non ha paura della decisione che ha appena preso, del passo che sta per compiere, per ciò che succederà da quel momento in poi. Non ha paura, perché sa che del maggiore può fidarsi ciecamente, senza alcun dubbio. Si fida di lui perché lo ama. E si sa, l’amore a volte è talmente potente che riesce a buttar giù ogni paura, ogni catena, pur di salvare le persone coinvolte.
Perché si stanno salvando a vicenda, Calum e Letizia. E nessuno dei due avrebbe potuto chiedere di più.
Ed è anche per questo motivo, se la giovane non ha paura. Sa che è la scelta giusta, che non c’è bisogno di aspettare: si sente pronta a donare tutta se stessa alla persona più importante della sua vita.
Perciò sorride timidamente, mentre risponde tremante alla stretta del maggiore sulle sue mani, con gli occhi lucidi per la sorpresa e la felicità, con il cuore che non riesce più a contenere tutte le emozioni che la ragazza sta provando e che ha bisogno di farle uscire il prima possibile.
«Anch’io voglio fare l’amore con te.»
E non fa in tempo ad aggiungere altro, che subito il ragazzo la bacia di nuovo, pronto a costruire la danza più bella di tutte, a dar corpo a ciò che li lega ormai da tanto, tanto tempo.
E mentre continuano a baciarsi, ad assaporare delicatamente le labbra dell’altro, a far giocare insieme le loro lingue; le loro mani si dividono piano, andando ad accarezzare nuovamente il corpo dell’altro da sotto i vestiti.
Calum sfiora il fianco di Letizia con la punta delle dita e lei, a quel contatto, a quel brivido che le corre lungo il corpo, inarca la schiena e sospira sulla guancia del moro, che non riesce neppure per un secondo a porre fine al bacio, mentre lei passa le unghie sulla sua schiena, piano, perché non vuole fargli male. A quel lieve bruciore che parte dalle spalle, il maggiore sospira forte e spinge il bacino vero quello della minore, che intanto ha circondato la vita del ragazzo con le gambe, pur di sentirlo il più vicino possibile.
Ed è come se le loro mani, i loro occhi, le loro labbra, sapessero già che cosa fare, dove andare. È come se entrambi conoscessero da sempre quella danza unica e meravigliosa che solo adesso hanno la possibilità di mostrare davvero. È come se la sicurezza, il coraggio, la fiducia, la felicità di essere insieme, l’amore, avessero preso il sopravvento su tutto il resto, relegando almeno per un po’ il dolore, la tristezza, l’angoscia, nell’angolo più profondo di loro stessi, per renderli liberi, per far loro assaporare la parte più bella della vita.
È un gioco, il loro; di mani che si intrecciano, si stringono fino a far sbiancare le nocche; di occhi che non smettono di cercarsi, di perdersi in quelli dell’altro; di labbra che non fanno altro che incontrarsi e completarsi a vicenda; di cuori che non fanno altro che battere forte, ogni secondo sempre più di quello precedente, come se si avvicinassero sempre più al limite senza mai raggiungerlo davvero. Si perdono l’uno nell’altra, Calum e Letizia. E sanno che non devono avere paura, che non succederà niente. Perché sono insieme, e niente potrebbe andare storto.
Ad un tratto il maggiore si distanzia un attimo dall’altra, giusto il tempo di togliersi la maglia e slacciarsi la cintura per far cadere entrambe a terra, prima di concentrarsi sul collo della mora per riempirlo di baci e leccarlo piano, mentre lei chiude gli occhi e lascia che siano le sue mani a guidare le sue labbra, che trovano presto la spalla dell’altro e la marchiano con la loro traccia umida.
E mentre la minore gli bacia le spalle, il petto, il collo, il mento, gli zigomi, le tempie, la fronte; lui le apre la zip della felpa e la aiuta a toglierla, facendola poi cadere sul pavimento insieme ai suoi vestiti. E prima ancora che la ragazza possa stendersi di nuovo sul materasso, Calum la bacia nell’incavo dei seni, piano dolcemente, mozzandole il respiro, continuando a baciarla fino al collo, e poi ancora più su fino alle labbra, mentre con calma le slaccia il reggiseno, seguito dai suoi pantaloni – che l’altra apre con le mani che non riescono a stare ferme – e poi da quelli di lei, che lui riesce a toglierle facilmente con un unico gesto.
E adesso che Letizia è lì, davanti a lui, Calum non riesce a non ritenersi il ragazzo più fortunato della Terra: è con la persona più importante della sua vita e non potrebbe chiedere altro. E si ritrova a sorridere, mentre aiuta la mora a liberarlo dai boxer per poi toglierle gli slip. Sorride perché Letizia è pazzesca, unica, bellissima, molto più di quanto ricordasse. Bellissima nei suoi occhi scuri e profondi, capaci di leggergli il cuore in un istante. Bellissima nel sorriso che le ha catturato le labbra da quando, quella sera, hanno cominciato ad amarsi; un sorriso che la rende luminosa, proprio come quell’angelo di cui si è innamorato. Bellissima nelle sue dita tremanti ed insicure, che fremono ogni volta che lo toccano. Bellissima nei «Ti amo» che ogni tanto si lascia sfuggire, con le guance lievemente più rosee e la voce simile ad un sussurro. Bellissima in ogni più piccola parte di lei.
Lei che, sotto quello sguardo attento, innamorato, si sente davvero bella; si sente bene, in un modo che non aveva mai sperimentato prima, piena di un qualcosa che riesce a toccare ogni singolo angolo della sua anima. Ed il suo sorriso non fa altro che aumentare, mentre lui torna a baciarla sulle labbra, sul collo, sulle spalle, sul petto, sul ventre, accarezzando con la punta delle dita ogni millimetro di pelle scoperta, facendola rabbrividire, facendole toccare il cielo con un dito.
Lui che, per la mora, è la cosa migliore che potesse capitarle, la persona più bella che potesse incontrare. Perché, per Letizia, Calum è davvero bello. Bello nei suoi occhi sereni e felici, nei suoi tatuaggi che lei adesso può vedere completamente per passarci sopra le dita e le labbra, piano, delicatamente. Bello nella sua risata che, insieme alla sua, riempie la stanza di allegria. Bello in ogni sua più piccola parte.
E la ragazza continua a baciare ogni parte del corpo dell’altro, marchiandolo con la traccia umida delle labbra, che si soffermano più a lungo sulle cicatrici delle punture sulle braccia del moro che non sono ancora scomparse del tutto. Quelle cicatrici che, se solo lei potesse, vorrebbe far svanire all’istante, insieme a ciò che comportano. Perché è anche quello il motivo che l’ha spinta a fare quel passo importante: vuole aiutare la persona che ama ad uscire davvero da quell’inferno e sa, sente che quel salto fatto insieme è l’inizio migliore per cominciare a cambiare davvero le cose nella vita di entrambi.
E continuano ad amarsi così, Calum e Letizia, semplicemente, senza fretta, a lungo, gustando ogni singolo istante per non permettere al dolore o alla tristezza di tornare troppo presto. Si amano con ogni gesto, ogni sguardo, ogni bacio, ogni carezza, ogni risata, ogni battito che riescono a percepire anche troppo distintamente, ogni «Ti amo.» sussurrato piano all’orecchio dell’altro. Si amano, si riempiono, sanano i vuoti che si erano formati in quei mesi di distanza e di silenzio, curano le ferite che il tempo ha disegnato dentro di loro.
Ad un tratto, Calum pone fine a tutto per prendere dal portafoglio un preservativo e guardare Letizia, che annuisce lentamente, mentre stringe forte le mani del moro, che non riesce a smettere di guardarla mentre la fa sua piano, delicatamente, cercando di non farle male in alcun modo.
E mentre entrambi diventano secondo dopo secondo una cosa sola, di cui non riescono a vedere i confini, vengono travolti da una sensazione unica, indescrivibile: una sensazione di pienezza, di benessere, di felicità pura e semplice che tocca ogni loro cellula, ogni loro più piccola parte, ogni loro angolo più nascosto, unendoli in un modo che nessuno dei due avrebbe mai immaginato.
Perché nessuno dei due avrebbe mai creduto che fare l’amore con qualcuno sarebbe potuto essere così bello
.





Letizia
Ma ciao a tutti tesori miei! <3
Eddai che ogni tanto arriva qualche gioia!!!
Lo so, non possiamo dimenticare il senso di colpa ed il dolore che prova Leti. Come non possiamo dimenticare il fatto che Maddie stia davvero male, che Cal ancora ha i suoi demoni da affrontare, che Luke, Mike e Ash non sanno più come fare per sistemare tutto quanto. Non possiamo dimenticarci del fatto che ognuno di loro, a modo proprio, sta ancora cercando di sopravvivere.
Ma, insomma, voglio dire... I LALUM HANNO FATTO L'AMORE!!! E sono la cosa più bella del mondo *^*. Sono belli (almeno secondo me) perché dimostrano che, nonostante il buio e il dolore, ci sarà sempre qualcosa che ci aiuterà a rimetterci in piedi.
E boh, credo sia meglio che non dica altro, per non rovinare il momento :3. Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto emozionare in qualche modo :3 *^*.
Ci sentiamo presto! Come sempre, grazie infinite per ogni cosa, vi amo immensamente! <3 <3 <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 33
*** Trentatré ***


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Trentatré
 
 
 
Perché ripartire da zero è la migliore possibilità che si ha per stare bene.
Una possibilità che va vissuta fino in fondo, senza preoccuparsi, senza avere paura.
Soprattutto se si ha al proprio fianco qualcuno che ci ama senza riserva.
 
 
 
Guarda la strada fuori dalla finestra di camera sua, Madison. Guarda le persone che camminano, le auto che corrono veloci sull’asfalto bagnato dalla pioggia. Guarda tutto quello che le sta attorno. E non riesce a smettere di sorridere; di meravigliarsi per ogni più piccola cosa, per ogni minuscola sfumatura di quel mondo che negli ultimi anni aveva sempre visto come una trappola buia e scura. Quello stesso mondo che, da qualche settimana, sta cominciando a vedere in maniera totalmente opposta: pieno di colori, di vita, di cose per cui gioire senza aver più paura di soffrire e per le quali combattere con ogni grammo di forza che si ha.
Perché Madison King sta imparando a non avere più paura, a non vergognarsi più di se stessa, dei suoi difetti, delle sue insicurezze; di restare ferita dagli altri, di lasciarsi andare. Il buio che la attanagliava, che le impediva di vivere davvero, che l’aveva quasi portata al punto di non ritorno, oramai è quasi completamente sparito. Come anche il senso di impotenza, che l’aveva resa sempre più critica verso il proprio corpo e che l’aveva portata al limite.
Ciò che le è rimasto adesso tra le dita è la sua stessa vita, che la ragazza non vede l’ora di ricostruire da zero, passo dopo passo, con calma, curando ogni più piccolo dettaglio, per avere la certezza di renderla unica e bellissima, indimenticabile. Una vita degna di essere vissuta in pieno, fino in fondo.
E sorride, lei, perché sa che, anche se non sarà semplice ricominciare, tutte le persone che ama saranno al suo fianco, per aiutarla a restare in piedi se mai dovesse cadere.
Sorride perché si sente bene, adesso; si sente libera, come non le succedeva da tanto tempo. Si sente pronta a combattere, a dare tutta se stessa per difendersi e per vivere la sua vita come vuole lei, senza dare spazio al dolore, alla tristezza, alla vergogna, senza lasciare che le sue stesse debolezze prendano nuovamente il sopravvento. Perché non vuole più cadere, Madison.
E per questo deve ringraziare Luke che, in quegli ultimi due mesi, non ha fatto altro che starle accanto, dandole forza, coraggio, fiducia. Le ha dato qualcosa in cui credere, qualcosa da difendere ad ogni costo per far sì che si avveri. Quel ragazzo dai occhi color del mare si è trasformato in quel qualcosa per cui Madison vuole lottare.
Perché vuole difendere il suo amore, lei; vuole difendere ciò che pian piano sta costruendo con il biondo, in cui sta mettendo anima e corpo, senza preoccuparsi delle ferite, senza aver paura di farsi male. Perché sa che Luke non la ferirebbe mai, che non la lascerebbe mai da sola, che non le permetterebbe mai di rinunciare. E non potrebbe essere più felice. Perché le occhiate piene d’amore che il suo ragazzo le riserva sono la cosa più bella che abbia mai ricevuto. Quegli sguardi sono il suo carburante, senza i quali lei non sarebbe arrivata dov’è ora.
Perché quegli ultimi due mesi sono stati davvero duri per la bionda. Giorno dopo giorno ha provato a scacciare le proprie paure; ha provato ad affrontarle tante volte e altrettante volte è caduta senza successo. Sono stati mesi in cui ha cercato in ogni modo di fregarsene dei giudizi altrui, del fatto di non essere perfetta. Mesi in cui, con molta fatica, ha cominciato ad apprezzarsi un po’ di più, un passo alla volta; ad osservarsi senza doversi per forza giudicare, a vedere le proprie debolezze non più come un peso, ma come quel qualcosa che la rende la persona che è sempre stata, nascosta sotto strati di diffidenza e paura. Mesi in cui ha cominciato davvero a capire quanto valore abbia ogni secondo della sua vita. Mesi di lotta continua, di dolore, di paura, di lacrime lasciate andare, di singhiozzi soffocati, di sorrisi sempre più presenti, di coraggio sempre più crescente. Sono stati mesi in cui Madison è riuscita a prendere quella rivincita che aspettava da troppo tempo.
E adesso che ce l’ha fatta, adesso che ha capito come e cosa fare, non riesce a smettere di essere felice.
Perché c’è Luke con lei, e ogni giorno le riempie il cuore e l’anima; la fa sentire viva, amata come lei non aveva mai provato prima di allora; la fa sentire bellissima, in un modo che lei non avrebbe mai creduto. Perché non si era mai vista bella, lei: in tutti quegli anni non aveva fatto altro che notare soltanto i difetti, senza badare minimamente a ciò che la rende ciò che è: una stella luminosa pronta ad esplodere. E Madison non riesce a non amarlo, a non vedersi come la ragazza più fortunata della Terra. Ancora fatica a credere di avere accanto quell’angelo dagli occhi color del mare, però si sta abituando all’idea che qualcuno – forse la vita – abbia voluto farle un simile regalo, a cui non vuole rinunciare. Perché è grazie a quel regalo, se ha avuto una seconda possibilità, che non vuole sprecare per niente al mondo.
È felice anche perché Letizia non l’ha lasciata da sola neppure quella volta. Dopo essersi risvegliata all’ospedale e aver ricordato che cosa era successo, Madison aveva davvero creduto che la mora avesse perso le speranze e la pazienza con lei; che avesse rinunciato a tutto, soprattutto alla loro amicizia; che non le importasse più di niente; che fosse talmente stanca dell’intera situazione da non riuscire a sopportare altro. Però ogni suo dubbio si era dissolto non appena l’amica si era presentata in camera sua qualche ora dopo, con un mazzo di fiori in una mano e tutti i suoi CD dei Sum 41 nell’altra. E lì la bionda aveva capito.
Si erano abbracciate a lungo, lei e Letizia, senza bisogno di dire qualcosa; si erano capite con uno dei loro tanti silenzi ed i loro sguardi complici come sempre. E poi avevano ripreso da dove erano state interrotte da forze più grandi di loro. Forze che, purtroppo, stanno ancora schiacciando la mora in silenzio, lentamente. E la bionda sa che Letizia non lo ammetterà mai, perché non vuole essere un peso, per nessuno.
Madison, però conosce la sua migliore amica fin troppo bene: sa che è forte come nessun altro, ma sa anche che, se Letizia dovesse cadere davvero, sarebbe un guaio, per tutti loro. Per Letizia stessa, per Calum – che della mora ha bisogno più che dell’ossigeno – e per lei, per Luke, per Michael e per Ashton. Perché è grazie a Letizia se tutti loro sono in piedi. È grazie a lei, che non ha mai perso la speranza – soprattutto da quando Calum è entrato nella sua vita – se tutti loro sanno che non devono mollare e continuano a combattere per non cadere. È per questo che Madison non può permettere a Letizia di cadere. Perché se lei cade, cadono anche tutti gli altri. E non ci sarebbe nessuno capace di rimettere in sesto la mora.
Ecco perché la bionda non vuole lasciare sola la sua amica. Perché si ritiene fortunata ad avere una persona così speciale al proprio fianco e non vuole perderla per nessun motivo, non dopo una vita passata a dimostrarle che, nonostante tutto, non se ne sarebbe mai andata. Perché Letizia è sempre rimasta al sua fianco, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sorreggendola ad ogni caduta, supportandola costantemente pur di farla tornare a camminare, senza darsi pace, mettendoci tutta se stessa. Esattamente come ha fatto Luke da quando si sono conosciuti.
E Madison sa che, senza Luke e Letizia, lei non sarebbe diventata la persona che è adesso. Perciò vuole combattere per loro due. Perché li ama, con tutto il cuore. E non può permettersi il lusso di perderli, di cadere nuovamente preda del buio, dell’angoscia, della paura, delle insicurezze. Perché sono stati proprio Luke e Letizia che l’hanno aiutata a combattere e a vincere. E lei vuole ripagarli con tutto quello che può.
Vuole essere un’amica più presente per la mora, per darle l’appoggio e la forza di cui ha bisogno, per essere la spalla su cui Letizia può piangere quando ne ha bisogno. Vuole aiutarla a portare quel peso che da anni la sta rendendo sempre più debole e diffidente. Un peso contro cui Madison sa che, purtroppo, non può fare molto. Ma vuole provarci lo stesso. Perché sa che Letizia farebbe lo stesso per lei.
Vuole essere una presenza più costante nella vita di Luke, per aiutarlo con sua madre, per non farlo sentire solo davanti alle altre prove che la vita gli metterà davanti. Vuole essere il coraggio che mancherebbe al suo ragazzo, se mai lui si sentisse troppo stanco per continuare a lottare e buttasse la spugna. Vuole essere il suo sole, come lui lo è stato per lei fin dal primo istante in cui i loro occhi si sono incontrati. Vuole ringraziarlo per essere rimasto, per non averla giudicata, per averle regalato un bacio ogni volta che ne aveva avuto bisogno.
Perché gli ha raccontato tutto, lei, senza dimenticare neppure un dettaglio. Gli ha raccontato dei bulli, del suo sentirsi costantemente una nullità, delle sue insicurezze. Gli ha raccontato del centro di riabilitazione, di Rachel e di Michael. Gli ha raccontato ogni cosa, senza vergogna o paura, dimostrando a se stessa di poter andare avanti. E lui non se n’è andato; è rimasto al suo fianco, spronandola a dare il massimo senza paura di sbagliare e farsi male.
Esattamente come hanno fatto anche Ashton e Michael che, ogni volta che potevano, sono andati a trovarla, a farle compagnia, dandole parte delle forze e del coraggio che le mancava, spronandola ad abbattere i suoi muri, guidandola – insieme a tutti gli altri – verso la luce, verso quella versione di se stessa che Madison aveva nascosto agli occhi del mondo per non danneggiarla, per proteggerla.
Quei due si sono dimostrati essere gli amici di cui Madison non credeva di aver bisogno fino a che le cose non sono precipitate. Si sono dimostrati essere persone con le quali la bionda può mostrarsi per ciò che è, senza freni, senza maschere, senza paura; con le quali sa di poter aprirsi, di poter parlare e mostrare completamente ciò che prova, anche i suoi demoni, con la certezza che nessuno dei due se ne andrebbe. Persone sulle quali la ragazza sa di poter contare, sempre, ogni volta che ne sente il bisogno; nelle quali ha riposto la propria fiducia, perché sa che non andrà sprecata, che i suoi amici ne faranno tesoro. Per questo non può che essere loro riconoscente.
Perché Ashton, con il suo modo di fare sempre allegro e ottimista, è stato uno dei pochi capace di farle cambiare idea, di farle scoprire i suoi pregi e di annullare tutte le critiche che la sua testa continuava a produrre, senza mai fermarsi. È stato uno dei pochi che non ha mai chiesto niente, che non ha mai invaso i suoi spazi, i suoi pensieri, aspettando pazientemente che arrivasse il momento giusto per ascoltare i suoi sfoghi, per asciugare le sue lacrime, per prenderla per mano e rimetterla in piedi ogni volta che c’è stato bisogno.
E perché Michael le ha dato molto più di quanto potesse anche soltanto immaginare. Perché sa, Madison, che il giovane Clifford non voleva commettere gli stessi errori del passato, che non voleva che le succedesse ciò che era accaduto a Rachel. Sa che è grazie al loro legame tutto particolare, se nessuno dei due ha avuto bisogno di parole o gesti di troppo per capirsi a vicenda; che la propria vita avrebbe avuto bisogno di molto più tempo per rimettersi in sesto, se non ci fosse stato Michael ad aiutarla con i suoi silenzi complici, i sorrisi silenziosi, gli abbracci.
Sa che è grazie a loro due se le cose sono migliorate più in fretta di quanto i medici e avessero creduto.
E sa che è anche grazie a Calum se non ha smesso di sperare, di lottare. Perché è sempre stato al suo fianco, lui; non l’ha mai lasciata da sola, non le ha mai permesso di cadere ancora una volta, ricordandole costantemente l’immensa amicizia che li lega – a cui entrambi tengono molto più di quanto vogliano davvero ammettere. Ogni giorno, il moro ha sempre cercato in qualche modo di farle una visita per sapere come stessero andando le cose, come stesse lei, che cosa provasse. È stato uno dei pochi che davvero è riuscito a curare gran parte delle ferite e delle cicatrici che Madison aveva dentro; uno dei pochi capace di capire sul serio il dolore che la bionda si portava dietro, senza mai riuscire ad allontanarsene.
Un dolore di cui Madison, con fatica, si sta lentamente liberando, anche se non può dire lo stesso del suo migliore amico. Perché sa che Calum sta continuando a drogarsi – anche se tutti i suoi amici, Letizia soprattutto, non fanno altro che dirgli di smetterla, perché non ne ha motivo, perché non serve a niente. È a conoscenza delle paure, dei rimpianti, delle insicurezze che tengono il moro inchiodato a terra, impedendogli di avere una seconda possibilità per ricominciare. Sa che, nonostante gli sforzi, nonostante tutto l’affetto che prova per lui, non sarà mai capace di fargli cambiare idea. Perché è Letizia l’unica che può cambiare come stanno le cose. Ed è per questo motivo che non ha ancora perso la speranza: perché sa che c’è ancora tanto da fare, da migliorare. E sa anche che nessuno dei suoi amici lascerebbe l’altro da solo.
E sorride, Madison. Perché adesso capisce quanto abbia ancora da dare, a se stessa e alle persone che le vogliono bene e che lei non vuole perdere, per nessuno motivo al mondo.
Sorride anche quando i suoi genitori entrano in camera sua per dirle che Luke e Letizia sono al piano di sotto e la stanno aspettano. La ragazza li osserva, con attenzione. E vederli così di buon umore, felici perché pian piano le cose stanno migliorando, non può che rendere la ragazza ancora più soddisfatta della sua vittoria.
 
Sono appena usciti da casa di Madison, Luke e Letizia.
E la mora ancora non riesce a credere ai progressi enormi che, giorno dopo giorno, la sua migliore amica sta facendo per ricostruire la sua vita. Non avrebbe mai immaginato che Madison, in quegli ultimi due mesi, avrebbe tirato fuori un coraggio da leoni, per stravolgere tutto, persino se stessa, pur di ricominciare, pur di mandar via una volta per tutte quel buio che l’aveva sempre intrappolata, impedendole di volare, di vivere davvero. Non riesce ancora a credere ai sorrisi che ogni volta la bionda le rivolge non appena la vede, allo sguardo allegro che le tinge il viso, all’energia che irradia ad ogni risata, alle cicatrici sul suo corpo che pian piano stanno scomparendo.
Non riesce a credere che pian piano tutto stia andando bene sul serio.
Perché gli ultimi due mesi sono stati duri anche per lei. Perché aveva avuto paura che Madison non riuscisse ad uscire dalla prigione che si era creata attorno. Aveva avuto paura di cosa sarebbe potuto succedere se le cose non fossero andate per il verso giusto; di perdere una delle persone più importanti della sua vita, per la quale non esiterebbe mai a mettere in gioco tutta se stessa. Aveva avuto paura che fossero arrivati troppo tardi, che non ci fosse più niente da fare per cambiare le cose. Invece la sua migliore amica ce l’ha fatta: si è ripresa, ha combattuto ed ha vinto i suoi demoni. E Letizia non potrebbe essere più orgogliosa e felice di così.
Perché Madison è rinata, è tornata ad essere la ragazza solare che era sempre stata prima che le sue insicurezze la intrappolassero. È tornata ad essere viva, piena di energia, di voglia di vivere, piena nuovamente di quella luce che negli ultimi anni aveva ceduto troppo spazio a quell’ombra che stava quasi per distruggerla completamente.
La mora non avrebbe potuto chiedere niente di più bello.
Perché, in quella situazione, le persone che per lei valgono più di tutto il resto si sono ritrovate vicine, pronte a dare a Madison tutto l’aiuto di cui ha avuto bisogno per rimettersi in piedi, per abbattere i suoi incubi e ripartire.
E mai, mai avrebbe immaginato che proprio Ashton e Michael si sarebbero preoccupati così tanto per la bionda; che avrebbero fatto letteralmente di tutto pur di farla stare bene, pur di farle coraggio, pur di renderla più sicura di se stessa. Non avrebbe mai creduto che quei due tirassero fuori un affetto simile per una persona conosciuta da poco tempo. Eppure sa che non dovrebbe sorprendersene; che c’è un perché se proprio quelle determinate persone si sono ritrovate unite da un’amicizia che va al di là di quanto qualsiasi altra persona possa anche solo pensare.
Allo stesso modo, mai avrebbe immaginato che Calum potesse preoccuparsi così tanto per la sua migliore amica: nelle ultime settimane, non ha fatto altro che domandarle come stesse Madison, quando potevano andare a trovarla, che cosa potevano portarle per farla stare meglio. Prima di allora, non si era mai resa conto di quanto il suo ragazzo e la sua migliore amica fossero legati, di quanto riuscissero a capirsi, a trovarsi nel dolore che li distruggeva.
E non riesce a non sorridere, Letizia, nel pensare al fatto che l’amicizia che lega tutti loro come una famiglia, li stia curando uno per uno. Un’amicizia che ha dato a Madison qualcosa per cui tornare a sorridere.
E sa che il merito va in gran parte anche al ragazzo che sta camminando accanto a lei. Perché è soprattutto grazie a Luke se la sua migliore amica ha ripreso a vivere; se è riuscita a rimettersi in piedi, a lottare, a cambiare; se adesso il buio che le attanagliava il cuore non c’è più. E la ragazza non potrebbe essergli più riconoscete di così.
E lo guarda, sicura di trovare nei suoi occhi color del mare la stessa felicità che sta provando lei in quel momento. Ma non appena riesce ad intravedere l’espressione sconvolta che Luke ha sul viso, ogni sua certezza cade. Perché non ha mai visto il suo migliore in quelle condizioni. Non l’ha mai visto così a pezzi, distrutto, come se qualcosa più grande di lui avesse spazzato via ogni sua energia, riducendolo nell’ombra di se stesso.
«Luke, cos’hai?» gli chiede preoccupata, parandosi davanti a lui, impedendogli di proseguire.
Il ragazzo non risponde. Ha la mente talmente piena di immagini e pensieri, che non sa da che parte cominciare per metterle in un angolo almeno per un po’. Perché quei pensieri lo stanno distruggendo, lo stanno rendendo sempre più preoccupato per come potrebbe andare tutto quanto. È come se si cibassero della sua forza di volontà, come se si divertissero a svuotarlo giorno dopo giorno, senza che lui possa fare qualcosa per impedirlo. È in balia delle proprie paure, Luke, perché non vuole perdere le persone che più gli stanno a cuore. Non dopo tutti gli sforzi che hanno fatto per tornare a stare bene.
Pensa a sua madre e ai suoi occhi oramai privi di quell’ombra che lui ha sempre cercato di contrastare, di mandar via definitivamente. Quell’ombra che, in quegli ultimi due mesi, non ha fatto altro che diventare sempre più debole, sempre più flebile, fino a scomparire del tutto, lasciando nello sguardo della donna soltanto la voglia di reagire, di rimettere in piedi la sua vita da zero. La voglia di tornare ad essere felice davvero.
Non è stato semplice. In quelle ultime settimane, Luke l’ha vista cadere più volte; l’ha vista con le lacrime agli occhi per quella sconfitta che ancora non riusciva a superare; l’ha vista rinunciare e poi provare a camminare di nuovo; l’ha vista rimettersi in sesto passo dopo passo, senza fretta, dando tempo alle ultime ferite di rimarginarsi e alle vecchie cicatrici di scomparire definitivamente; l’ha vista riprendere in mano la sua vita, chiudendo con l’alcol, con il senso di impotenza e la poca autostima; l’ha vista ricominciare a fare fotografie, la sua più grande passione; l’ha vista uscire di casa per andare a scuola con il sorriso sulle labbra, come faceva sempre prima che Andrew rovinasse ogni cosa. L’ha vista pian piano chiudere la porta del proprio passato per lasciarselo alle spalle una volta per tutte, pur di ricominciare, pur di stare bene.
E Luke è sempre rimasto con lei: è rimasto quando sua madre si sentiva andare in pezzi i primi tempi e non sapeva da che parte cominciare; quando ha cercato di combattere con le sue sole forze i propri demoni, a volte riuscendoci, a volte restandone ancora ferita; quando ha cominciato a muovere i primi passi verso la felicità completamente da sola. È rimasto anche quando ormai il suo aiuto non è stato più necessario, perché quell’ombra orrenda è finalmente scomparsa dalla loro vita, per sempre.
Pensa anche a Madison, Luke. Pensa alla ragazza che ama più di se stesso, per la quale non ha mai smesso di combattere. Pensa a quanto siano stati difficili per lei quelle ultime settimane, durante le quali l’ha vista tirare fuori un coraggio che non le aveva mai visto negli occhi prima di allora; l’ha vista combattere, cadere e rialzarsi continuamente, senza tregua; l’ha vista tornare lentamente a sorridere, a vivere, lasciando indietro quel peso che l’aveva resa diffidente e che l’aveva trasformata in una persona completamente diversa, fragile, debole, una persona che Madison non è mai stata davvero. Ha visto la sua ragazza tornare ad essere quella che è sempre stata, piena di allegria, di sorrisi e di amore. L’ha vista vincere sul passato e sulle ferite che si portava dentro da troppo tempo. Ha visto i suo occhi piangere di felicità non appena si era resa conto di avercela fatta.
Quegli stessi occhi che adesso stanno meglio; che, nonostante il peso del passato che ancora grava un po’ sulle spalle della ragazza, hanno ripreso a risplendere; che finalmente sono tornati a mostrare quell’anima forte e decisa a rimettersi in sesto, a riprendere in mano tutto quanto per sanarlo e farlo splendere di nuovo. Quegli occhi che sono tornati ad essere specchio di un’anima rimasta prigioniera delle sue stesse macerie per troppo tempo, incapace di muoversi, di ricominciare, di trovare il coraggio che mancava per fare quel salto verso la luce. Un’anima che sta finalmente tornando a brillare di luce propria, a bruciare come fanno tutte le altre stelle.
Eppure… Ha paura, Luke. Ha paura che ciò che sta vivendo adesso sia soltanto un sogno. Ha paura di svegliarsi e di constatare che niente è cambiato davvero, che sua madre sta ancora male, che non è ancora riuscita a lasciarsi suo padre alle spalle e che continua ad essere preda della sua bassa autostima. Ha paura che Madison continui a vedersi come un errore, una nullità; che continui a ferirsi perché crede di meritarselo; che cada nuovamente vittima delle parole degli altri. Ha paura, Luke, di perdere ancora una volta le persone che ama. Perché la vita è imprevedibile e ciò che lui ha vissuto, gli ha insegnato che la felicità non dura a lungo, che quasi mai le cose vanno per il verso giusto. Ha paura che presto tutto precipiti nuovamente nel buio.
E lo dice alla sua migliore amica. Perché ha bisogno di sfogarsi, di togliersi quel peso che quasi gli rende impossibile respirare. Perché non sa cos’altro fare; perché ha la mente talmente piena di cose che potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Perché ha bisogno di aiuto. Perché da solo non ce la fa più.
«Spesso mi chiedo se sarò forte abbastanza per continuare a sopportare tutto questo.»
Perché è quella la sua paura, il suo timore più grande: ha paura di non essere capace di resistere, di non essere abbastanza forte per aiutare e proteggere le persone che ama; ha paura di essere troppo debole, di non essere capace di gestire le cose se dovessero andare di nuovo male.
Letizia non fa domande. Perché quegli occhi chiari non riescono mai a nasconderle niente. E lei la vede, quella paura che sta bloccando Luke; la vede distintamente, come un’ombra che sta oscurando quello sguardo sempre allegro, determinato, forte. La vede, e capisce il suo migliore amico; capisce il peso che si sta portando dentro e che lo sta distruggendo, che sta facendo aumentare le sue paure. Perché è lo stesso che ha portato lei dentro al cuore per tutti quegli anni, costantemente preoccupata di perdere la sua migliore amica da un momento all’altro. Perciò non dice niente. Perché sa che cosa Luke sta passando per sua mamma, per Madison, per Calum.
Si limita a stringerlo forte a sè, con tutto l’affetto che può dargli per aiutarlo, per fargli capire che, se mai lui dovesse cadere, lei sarà al suo fianco, pronta a rimetterlo in piedi.
«Non avere paura, Luke. Andrà tutto bene.»
Lui annuisce e la abbraccia a sua volta, con le mani che tremano, con le lacrime che, in silenzio, hanno cominciato a rigargli le guance, a bruciargli la pelle, ad alleggerirgli il cuore.
«Lo spero, Leti. Lo spero davvero.
»




 
Letizia
Hola a todos el mondu! (ok, non studio spagnolo e non so se ho scritto bene, chiedo scusa per eventuali errori :))
Come state? Spero bene :3 
Come spero anche che questo capitolo vi sia piaciuto!
Finalmente la nostra Maddie comincia a stare meglio: sta cercando di voltare pagina. E grazie al cielo non ha più paura! E tutto questo grazie alla nostra mora e ai nostri bei maschietti ;); insomma, chi l'avrebbe mai detto che Ash e Mike si sarebbero fatti in quattro per lei? I nostri topini!!!!! *^*
Al contrario, il nostro povero Lukeè preoccupatissimo :'(. In fondo, credo sia normalissima la reazione del nostro biondo, umana oserei dire. Dopotutto, chi non ha mai provato un sentimento simile? Speriamo però che le cose migliorino ;).
Grazie al cielo c'è Leti accanto a lui, che un po' riesce a rimetterlo in riga. Speriamo bene per il resto u.u
E voi invece che ne pensate? Cosa credete che succederà da adesso in poi? Dai dai, fatemi sapere che sono curiosa!!! *^*
Detto questo, anche oggi chiudo qui ;). Ci sentiamo presto! Grazie infinite per tutto quanto, siete adorabili! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 34
*** Trentaquattro ***


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Trentaquattro
 
 
 
Un qualcuno che non se n’è mai andato, nonostante tutto.
Qualcuno che non ha fatto altro che dare ogni parte di sé per far stare bene chi ama.
Qualcuno per cui vale la pena provare a cambiare davvero le cose.
 
 
 
Ha la penna in una mano e il suo quaderno per scrivere nell’altra. Eppure, non le viene in mente niente da buttar giù sulla pagina; non sa di cosa parlare in quella storia in cui sta mettendo tutta se stessa. Una storia fatta di parole che scandagliano ogni angolo più buio della sua anima, riuscendo chissà come a metterli a nudi, completamente, senza che la ragazza possa fare qualcosa per impedirlo.
Perché è come se la sua stessa anima sentisse il bisogno di spogliarsi, di mostrarsi per ciò che è davvero, senza filtri, senza paure; è come se, attraverso quelle parole, cercasse di inviare quella muta richiesta d’aiuto che a voce non è mai riuscita ad esprimere, senza maschere a nascondere il dolore. Ed è appunto senza nessuna maschera che Letizia scrive la sua storia e quella delle persone che la circondano. Perché quei capitoli sono forse l’unico posto al mondo in cui può essere veramente se stessa, con tutte le sue paure e incertezze, senza sentirsi costantemente uno sbaglio, non meritevole di amore.
Però… Quel pomeriggio non sa proprio da che parte cominciare. È come se dentro di lei ci fosse un’energia che la sta spingendo a fare qualcos’altro, a pensare ad altro, impedendole di riordinare i pensieri e le parole da usare.
Si passa stancamente una mano sul viso e, sospirando, poggia la testa sul cuscino, chiudendo un attimo gli occhi.
E non passa neppure mezzo secondo, che subito il ricordo delle labbra di Calum su di lei le invade la mente, piano, come una carezza a cui non riesce mai a sottrarsi. Perché non avrebbe mai creduto che fare l’amore con qualcuno – dandogli tutta se stessa, mostrandogli ogni pregio e ogni difetti, lasciandosi amare, lasciandosi curare – potesse essere così magico, indescrivibile. Perché, ogni volta che passano momenti simili insieme, Letizia non riesce mai a trovare le parole adatte per descrivere ciò che prova: una sensazione di pienezza e di amore talmente forte da lasciarla senza fiato, talmente intensa da farla rabbrividire, da farle perdere del tutto il contatto con la realtà, talmente potente da farla sentire piccola, insignificante rispetto tutto il resto.
Una sensazione talmente bella e semplice nella sua complessità da farla piangere.
«Problemi con la storia?»
La voce divertita di Azura arriva all’improvviso alle orecchie della mora, cogliendola di sorpresa e facendole aprire gli occhi di scatto, per osservare la donna che si è appoggiata allo stipite della porta – che in quelle ultime settimane è rimasta aperta sempre più spesso – e che sta sorridendo allegra, vestita nel suo cappello di lana chiaro e nel suo giaccone scuro, con le mani coperte dai guanti e la sciarpa attorno al collo.
«Già.» risponde la giovane sedendosi meglio sul materasso e sbadigliando piano, stanca, non sorprendendosi della domanda dell’altra. Dopotutto, sono mesi che la mora ha quel quaderno e la penna tra le mani, e Azura sa che da sempre la scrittura per lei è molto più importante di qualsiasi altra cosa.
«Non riesco a trovare le parole giuste.» spiega, senza smettere di fissare il muro coperto di foto e scritte davanti a sé, sperando di trovare in qualche modo l’ispirazione che, ora come ora, sembra essersi volatilizzata nel nulla.
Allora la donna le si avvicina con una sciarpa in mano e gliela lega al collo, delicatamente. Letizia la lascia fare, non riuscendo a capire dove voglia andare a parare, limitandosi ad osservarne gli occhi grigi pieni di un qualcosa che la ragazza non è mai riuscita a capire fino in fondo, nonostante tutti gli anni spesi ad osservarla.
«Vai a prendere una boccata d’aria fresca. Potrebbe aiutarti a schiarirti le idee.» le consiglia Azura una volta finito con la sciarpa, aggiustandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, senza smettere di sorridere. «Magari potresti chiedere a quel ragazzo moro che abita accanto a noi di venire con te.»
«Come fai a–?» chiede allora la mora, spiazzata. Ma non riceve risposta, perché l’altra si affretta ad uscire dalla stanza, subito dopo averle lanciato addosso il cappotto.
«Oppure potresti andare anche da sola. Magari ti aiuta a tranquillizzarti.» aggiunge la donna, mentre indossa gli stivali per poi andare a lavoro.
Letizia sospira piano mentre accarezza distrattamente il cappotto che ha tra le mani. E si ritrova a sorridere, mentre lo indossa, pensando al fatto che Azura la conosce molto più di quanto avesse immaginato, nonostante tutti quegli anni passati una lontana dall’altra, passati in silenzio, cercando costantemente le parole giuste da dire per chiarire e ricominciare da capo; parole che, tuttavia, nessuna delle due è mai riuscita a trovare.
Si mette gli stivali e prepara la borsa. In fondo, stare fuori per un po’ non le sembra una cattiva idea; anche se è inverno inoltrato a Sydney, non è poi così tanto freddo. E forse proprio quel freddo potrebbe darle la spinta che quel giorno le manca per distendere i propri pensieri su carta. Ecco perché scende le scale quasi di corsa, per poi ritrovarsi sulla strada umida di pioggia con un po’ di fiatone e le labbra ancora curvate in un timido sorriso.
E mentre comincia a camminare con le cuffie nelle orecchie e la musica a farle compagnia, si ritrova a pensare a ciò che è appena successo tra lei e la donna con cui ha sempre vissuto. Si ritrova a pensare a quanto i loro gesti e le loro parole siano stati naturali, veri, non più accompagnati dalla paura, dal terrore di sbagliare, dai sensi di colpa e dal risentimento. Si ritrova a pensare a quanto le piccole attenzioni di Azura le abbiano fatto piacere; a come, in un modo o nell’altro, siano riuscite a scaldarle il cuore; a come le cose stiano lentamente cambiando, migliorando, tornando ad essere quelle di una volta.
Perché in quegli ultimi mesi, il rapporto tra Letizia ed Azura è davvero cambiato: entrambe hanno cominciato a fare dei piccoli passi in avanti, per andare incontro all’altra, per provare a sanare le vecchie ferite e chiudere definitivamente le porte del passato e creare insieme qualcosa di nuovo. Non è stato semplice – tutt’ora non lo è – ed entrambe lo sanno anche troppo bene. Perciò stanno procedendo con cautela, dosando ogni azione, ogni parola: non vogliono ripetere gli stessi errori, non vogliono tornare al punto di partenza.
Soprattutto la ragazza che, in quelle ultime settimane, ha cominciato ad aprirsi un po’ di più con la donna, a raccontarle delle sue giornate e a chiederle come andava a lavoro, a parlare di un film visto con Calum e gli altri o dell’ultimo libro appena comprato, a chiederle consigli anche per le cose più semplici. Ha cominciato con i gesti più banali, più semplici, che non le avrebbero richiesto un prezzo troppo alto da pagare. Ha iniziato a renderla sempre più partecipe della sua vita, passo dopo passo, cercando di abituarsi nuovamente alla presenza dell’altra, che non se n’è mai andata e che ha sempre continuato a dimostrarle il suo affetto, il suo sostegno, senza mai chiedere niente in cambio, donandole sorrisi e abbracci in cui potersi sempre sentire al sicuro. Specialmente quando Madison ha avuto l’ultima ricaduta.
Perché è stato sulla spalla di Azura che Letizia si è sfogata davvero, mettendo a nudo l’ansia e la vergogna verso se stessa; è stato con la donna che la ragazza ha fatto uscire completamente la propria paura, la propria tristezza, la propria frustrazione; è stato con lei che la mora si è sentita al sicuro, pronta a ripartire per dare una mano alla sua migliore amica. Calum l’ha aiutata a non perdere la speranza e a continuare a lottare; ma è stata Azura che l’ha aiutata a restare con i piedi per Terra, ricordandole che combattere per chi si ama non è mai facile.
Sono stati mesi intensi per lei, gli ultimi appena trascorsi; non soltanto per ciò che è successo a Madison, o per la preoccupazione che prova verso Calum e Luke. Sono stati mesi pieni di vittorie e rivincite che finalmente anche lei è riuscita a riprendersi. Perché adesso, il peso che da anni si porta dietro adesso se ne sta andando, passo dopo passo, lasciandola più libera di osare, di respirare, di vedere la vita a colori più vivi e luminosi; dandole la possibilità di sentirsi completa e mostrandole che la vita non è fatta solo di dolore. Sono stati mesi pieni di sorprese scovate ad ogni angolo ed altre che invece aspettano soltanto di essere scoperte, cosa che Letizia non vede l’ora di fare. Perché sa che, anche se ci vorrà tempo affinché tutto torni come prima tra lei e Azura, è sicura di riuscirci.
In fondo, glielo deve. Le deve tutta una vita.
E sa anche che, se le cose stanno pian piano migliorando, è anche grazie a Calum, che non ha mai smesso neppure un secondo di starle accanto; che non ha fatto altro che rassicurarla, curando le ferite che ogni tanto il passato si diverte a riaprire dentro al suo cuore, come se volesse vedere fino a che punto potrà resistere prima di cadere davvero. È grazie a Calum se non ha smesso di credere che tutto, col tempo, sarebbe andato meglio; se non ha mai perso la speranza; se ha capito che può ancora cambiare le cose, perché non è mai troppo tardi per provare.
Calum.
Si ritrova a sorridere, mentre nella sua mente gli occhi scuri dell’altro si fanno strada e il suo cuore batte più forte.
Perché pensare a lui, ogni volta le riempie l’anima, la fa sentire bene, cancella i brutti pensieri, l’ansia, la paura. E anche se ormai sono parecchi mesi che stanno insieme, a volte si ritrova ancora a chiedersi se, nonostante tutto, ciò che lei e il moro stanno vivendo non sia soltanto un bellissimo sogno. Perché non avrebbe mai immaginato che una persona come il suo vicino avrebbe potuto darle così tanto.
E lei sa che, prima o poi, dovrà raccontargli di quel peso che si porta sempre dietro e che troppo spesso le fa dubitare di meritare le persone meravigliose che, in quell’ultimo anno, sono diventate parte integrante della sua vita, senza le quali non sarebbe mai arrivata ad essere la persona che è adesso. Sa che dovrà raccontargli la sua storia, senza nascondergli niente, senza mascherare il dolore o nascondere le cicatrici.
Solo che… Non si sente pronta a compiere quel passo. Non ancora. Ha troppa paura di stare nuovamente male, di ricordare momenti che in tutti quegli anni non ha fatto altro che relegare nell’angolo più remoto della propria mente pur di dimenticare, pur di cancellare in qualche modo ciò che l’ha cambiata, irrimediabilmente.
Qualche giorno prima ha provato a farlo con Michael. Ha provato a raccontargli la sua storia, pezzo dopo pezzo, ad aprirsi, cercando di arginare il dolore, di non pensarci, di non prestare troppa attenzione alle ferite che sentiva riaprirsi dentro di lei. Ma non ci è riuscita: il senso di vuoto e di impotenza che all’improvviso le hanno attanagliato il petto le hanno impedito di andare fino in fondo, mozzandole il respiro, facendola tremare, impedendole di parlare, di spiegare, di andare fino in fondo.
E non osa pensare a cosa sarebbe potuto accadere se il suo migliore amico non fosse stato con lei; se non ci fosse stato lui a darle una mano. Perché Michael l’aveva abbracciata forte, non appena lei aveva cominciato a piangere per quel senso di sconfitta da cui non riesce tutt’ora a liberarsi. L’aveva tenuta stretta a lungo, senza chiedere niente. Le aveva accarezzato la testa, cullandola in silenzio – come se lui fosse il suo fratello maggiore e lei la sorella che il ragazzo aveva perso troppo presto. L’aveva rimessa in sesto per come aveva potuto, dimostrandole ancora volta che il loro legame è troppo prezioso per entrambi per essere mandato a rotoli.
«Non importa che tu me lo racconti, se non vuoi. Maddie mi già ha detto tutto.»
Le aveva detto così il ragazzo, guardandola con gli occhi di chi si sente in colpa, di chi crede di aver sbagliato. Lei aveva scosso piano la testa e gli aveva sorriso, mentre cercava di asciugarsi il viso, vergognandosi delle proprie lacrime, della propria debolezza, ringraziando silenziosamente la sua migliore amica per aver parlato per lei.
L’altro le aveva preso la mano e l’aveva accarezzata delicatamente, quasi avesse avuto paura di ferirla.
«Se vuoi parlarne, io sono qui. Non me ne vado.»
E quelle parole sono ancora scolpite talmente in profondità nella mente della mora, che la ragazza ancora fatica a credere di avere accanto a sé qualcuno come Michael. Lui che, da quando si conoscono, si è rivelato essere uno dei motivo che la fanno sorridere e che le fanno trovare la forza di combattere senza arrendersi; che le fanno capire che c’è ancora tanto da fare; che ci sono persone per cui vale davvero la pena vivere, andare avanti. Lui che ha sempre cercato di capirla, di intravedere la vera Letizia sotto le maschere e i muri che lei non ha fatto altro che indossare e costruire per troppo tempo. Lui che è riuscito a conquistare la sua fiducia fin da subito, in silenzio, senza aver bisogno di chiederle niente. Lui che, per lei, è sinonimo di famiglia. Come tutte le altre persone che ama.
Perché Michael si è rivelato essere uno dei regali più belli che la vita le abbia mai fatto. E Letizia è davvero felice che lui, nonostante tutto, sia voluto rimanere al suo fianco.
Sorride ancora, la mora, pensando alle persone che le sono vicine e che, in un modo o nell’altro, riescono sempre a migliorarle le giornate, a riempirle l’anima, a curarle ogni cicatrice. Sorride, perché non avrebbe mai creduto possibile qualcosa di simile. Sorride perché sa che farà di tutto per proteggere ciò che ha. Ne è più che sicura.
 
È di nuovo in quell’ospedale, Calum. Di nuovo in quel piccolo sgabuzzino. Di nuovo con il senso di colpa e di vergogna addosso. Di nuovo con gli occhi chiari di Ashton davanti ai propri, occhi che lo stanno osservando severi e stanchi allo stesso tempo, come se non avessero più forze, come se non sapessero più da che parte andare, come se non riuscissero a trovare alcuna via d’uscita ad un enigma più grande di loro.
Il maggiore osserva per un attimo la piccola provetta contenente il sangue dell’amico, come se non sapesse che cosa farne davvero, come se avesse paura di andare avanti con tutta quella storia. Come se si sentisse in colpa per ciò che sta succedendo. Non sa più che cosa deve fare per far capire al moro che deve smetterla, che deve tirarsi fuori da quel circolo vizioso prima che sia troppo tardi.
Il problema è che Ashton non sa che Calum è arrivato al punto di non ritorno. Non sa che adesso è diventato dipendente dalla morfina, che non la usa più per dimenticare, che è il suo corpo a guidare ogni azione perché anela la droga come l’ossigeno; che non può più farne a meno, che il fatto di star nascondendo una cosa simile a Letizia lo distrugge, che essersi nuovamente ridotto come un’ombra lo sta devastando. Non sa niente, Ashton.
Perché Calum non parla, non si sfoga, non accenna a niente. Si tiene tutto dentro, collezionando giorno dopo giorno segreti su segreti, bugie su bugie, errori su errori, di cui non sa per quanto ancora sarà in grado di reggere il peso. Quello stesso peso che lo sta schiacciando ancora una volta, che gli rende sempre più difficile respirare a pieni polmoni, che gli impedisce di sentirsi davvero libero. Quel peso che si è creato da solo nel corso degli anni e che avrebbe potuto benissimo evitare se solo, tempo prima, avesse preso una decisone diversa.
Perché il moro potrà aver creduto di essere riuscito a chiudere con il proprio passato; di essere riuscito a metterci una volta per tutte una pietra sopra per andare avanti, senza più guardarsi indietro. Ma la verità è un’altra: è il fatto che lui, a causa del senso di colpa che prova verso uno dei suoi migliori amici, non si è ancora allontanato del tutto da ciò che è accaduto; non è ancora riuscito a darsi davvero pace, a perdonarsi. E anche se continua ad illudersi di avercela fatta, a ripetersi che il passato non gli fa più male, non è vero.
Si sta solo raccontando bugie, Calum. Si sta illudendo. Perché non sa più cos’altro fare, non ha più idea di come andare avanti, di come superare tutto quanto. Ha perso la bussola e non sa come; sa soltanto che le poche persone che riuscivano a strappargli un sorriso – Madison, Luke, Letizia – gli sono ancora accanto, anche se lui non lo vorrebbe. Perché non vuole dar loro una preoccupazione in più, non vuole rubare loro tempo prezioso che potrebbero spendere cercando di essere felici il più a lungo possibile, senza pensare all’inferno che lui soltanto deve portarsi dietro, che lui soltanto deve imparare a gestire.
Non può chiedere a Madison di prendersi cura delle sue insicurezze. Non quando in quegli ultimi due mesi l’ha vista combatterle e vincerle, dimostrando un coraggio che Calum non ha fatto che invidiarle ogni volta. Non può chiederle di immedesimarsi in lui per capirlo. Non vuole trascinarla di nuovo in quel circolo vizioso da cui è finalmente uscita, dimostrando una forza di volontà che il moro ha sempre cercato ma che non è mai stato in grado di trovare. Non può farle un torto di quel genere, non se lo perdonerebbe mai.
Come non può chiedere aiuto a Luke. Non quando il suo migliore amico ha sempre cercato di farlo, ma lui ha sempre rifiutato. Non quando Liz sta finalmente cominciando a stare meglio. Non quando la vita sta finalmente ripagando il biondo di ogni sforzo fatto negli ultimi anni pur di tenere tutto in piedi. Non quando finalmente il suo migliore amico sta cominciando a sorridere davvero, finalmente libero dalle catene che lo imprigionavano. Con che faccia tosta potrebbe fare una cosa simile, dopo aver rifiutato la mano che si era tesa per aiutarlo?
E con che coraggio potrebbe chiedere a Letizia di salvarlo? Con che coraggio potrebbe domandarle di fare tutto il lavoro sporco, quando è lui che dovrebbe agire e cambiare da solo le cose? Con che coraggio potrebbe chiederle di fare di più, quando è stata lei la sola a giocare tutto quello che ha pur di farlo stare bene; pur di curare ogni sua cicatrice, ogni sua ferita; pur di dargli una mano a risalire? Ed in un primo tempo ci era pure riuscita; era riuscita a fargli cambiare idea, a fargli credere che forse una seconda possibilità avrebbe potuta averla anche lui, che forse le cose sarebbero andate bene almeno una volta anche per lui. Eppure… Non è stato abbastanza. Non stato sufficiente per scacciare il buio, i demoni, gli incubi, le insicurezze, le paure.
Perché è caduto, Calum, ancora una volta. È caduto in quel gioco vizioso che rovina chiunque ci arrivi.  È caduto, si è perso. Ed ora non ha più la benché minima idea di come fare per tornare indietro. Perché vorrebbe tanto tornare indietro, lui; vorrebbe poter riavvolgere il nastro e impedire a se stesso di prendere una decisione troppo avventata e stupida come quella di due anni prima. Perché adesso ne conosce le conseguenze, le sta vivendo sulla propria pelle giorno dopo giorno, maledicendosi e aumentando il senso di vergogna che lo fa sprofondare sempre di più, come se si divertisse a vederlo andare in pezzi ora dopo ora, minuto dopo minuto.
E adesso che è davanti ad uno dei suoi migliori amici, rivede ogni sbaglio, ogni errore, ogni bugia. Si vede per quello che è diventato: un’ombra flebile, troppo debole per reagire, per spiegare, per andare oltre e cambiare; un’ombra che potrebbe scomparire da un momento all’altro, se la vita lo volesse.
«Sei ancora qui a rovinarti la vita?» gli chiede Ashton, spezzando il silenzio che si era creato, guardandolo dritto negli occhi, cercando di capire cosa il moro nasconda ancora agli altri e, soprattutto, a se stesso da talmente tanto tempo che adesso non è più capace di ammetterlo ad alta voce.
Calum lo guarda. E si sente nudo, spogliato di ogni protezione, ricoperto solo di ciò che l’ha ridotto in quello stato.
«Ash, è… È più complicato di quanto sembri.» lo dice piano, il giovane Hood, come se avesse paura di parlare, di far uscire la propria voce, come se ogni sua debolezza stesse cercando di farlo affogare. Perché è tutto troppo complicato, e non ci sono spiegazioni, né logiche né plausibili, che possano chiarire fino in fondo ciò che sta vivendo. È come se fosse intrappolato in una teca di vetro: tutti riescono a vederlo, ma nessuno riesce a raggiungerlo davvero. Ed è la cosa peggiore di tutte.
Il maggiore sospira e scuote debolmente la testa. Quanto vorrebbe che Calum capisse; che cambiasse idea e si lasciasse aiutare, per mettere un punto definitivo a tutto e ricominciare davvero. Vorrebbe soltanto, Ashton, che le cose fossero andate in maniera completamente diversa. Vorrebbe essere arrivato in tempo, per evitare l’inferno che due delle persone a cui tiene di più al mondo stanno vivendo, ognuna a modo proprio.
Guarda allora il suo migliore amico. E l’unica cosa che riesce a vedere è un ragazzo distrutto, a pezzi, intrappolato dai suoi stessi sentimenti – troppo forti e intensi come la persona che li prova – con gli occhi disperati di chi non sa più chi è, di chi ha perso la bussola e non sa più come andare avanti. Gli occhi di chi ha perso la speranza.
Ashton sa che Calum è in quelle condizioni solo a causa della morfina, che non lo sta facendo ragionare lucidamente, che pian piano lo sta distruggendo. Sa che la persona davanti a sé non è il vero Calum e mai lo sarà. Sa che ci deve pur essere un modo per aiutarlo. Sa che, prima che il moro si rendesse conto di essere diventato dipendente dalla droga, le cose stavano cominciando ad andare per il verso giusto. Perché c’era Letizia, e le cose sembravano aver preso una piega diversa, sembravano essere sul punto di cambiare definitivamente, per chiudere i conti con il passato. Poi però l’inferno si è messo in mezzo ancora una volta.
«Se hai qualcuno per cui vale la pena continuare a vivere, non permettere a quella merda di rovinare ogni cosa… Perché lo so che c’è qualcuno per te, Cal.»
Sono quelle le ultime parole che il maggiore gli dice prima di andarsene.
E Calum, non appena le sente penetrargli fin dentro le ossa, rivede gli occhi scuri di Letizia. Occhi che, nella frazione di un istante, fanno aumentare ulteriormente la vergogna che prova verso se stesso. Perché non è mai stato capace di combinare niente di buono, di stare bene davvero, neppure con l’aiuto della persona che ama più di chiunque altro e che vorrebbe soltanto proteggere con ogni mezzo che ha a disposizione, pur di vederla felice.
Subito, il senso di colpa riprende a graffiargli l’anima più violentemente delle altre volte, mentre le guance continuano a bruciare a causa delle lacrime che gli rigano il viso, piccole e costanti, silenziose come il grido muto di aiuto che cerca disperatamente di far uscire, senza però riuscirci.
Perché è rinchiuso in quella teca di vetro. E nessuno verrà a tirarlo fuori.
 
Non appena si chiude la porta alle spalle, sospira, passandosi stancamente le mani sul viso. E intanto, cerca di non pensare al dolore sordo che sente in mezzo al petto, al senso di colpa che, inesorabile, si sta facendo sempre più strada dentro di lui, mandando in frantumi quelle poche parti di sé che il riccio era riuscito a proteggere a fatica.
Sta cadendo, Ashton. Sta lasciando che tutto quello che aveva tentato di nascondere, di reprimere, di cancellare dalla propria vita, gli si rivolti contro, distruggendolo, frantumandogli l’anima, devastandogli il cuore.
Perché, da due anni, si sente responsabile per ciò che sta succedendo a Calum e a Michael. Perché sa che; se solo fosse stato più attento in passato, se solo avesse capito prima che cosa stava succedendo, se solo non avesse pensato unicamente a se stesso, se solo non avesse concentrato tutta la sua attenzione solo sui suoi progetti e sulle sue ambizioni; le cose tra tutti loro sarebbero andate in modo completamente diverso: Calum non avrebbe smesso di parlare a Michael e cominciato a drogarsi; il suo ragazzo non sarebbe caduto in depressione vedendo i suoi genitori autodistruggersi giorno dopo giorno – una depressione da cui, soprattutto grazie alla presenza di Letizia, al suo esserci sempre, al suo essere capace di curare le ferite degli altri, Michael è riuscito ad uscire.
Ashton sa nel profondo che, se solo fosse stato più vigile, nessuno di loro si sarebbe fatto male. Ma sa anche che non può tornare indietro, che non può riavvolgere il filo, che non serve a niente darsi la colpa per chi ha deciso di smettere di vivere, lasciando un vuoto difficile – ma non impossibile – da colmare.
Per questo motivo, non ha esitato un solo istante ad aiutare Madison, quella ragazza bionda che, in poco tempo, è diventata un’amica preziosa ed insostituibile. Non ha esitato a mettersi in gioco, a dare tutto se stesso per farla stare meglio, per tornare a vedere il suo vero sorriso, sperando che nessuno dei suoi sforzi fosse invano.
Non appena era andato a trovare Madison all’ospedale, aveva capito: non avrebbe più commesso lo stesso errore.
E adesso che finalmente la sua amica sta di nuovo meglio, lui ancora fatica a credere che, insieme a tutti gli altri, è riuscito a salvarla, a rimetterla in sesto, a farla tornare a splendere.
Sospira di nuovo, mentre una lacrima – una soltanto, piccolo sfogo di tutto il caos che ha dentro ma che non può, non vuole liberare, non ancora, non quando sa che potrebbe cedere alla preoccupazione da un momento all’altro – sfugge al suo controllo, rigandogli la guancia, bruciandogli la pelle, facendolo rabbrividire, ricordandogli che non può permettersi di cadere, non ancora. Non fin tanto che Michael ha bisogno di lui per rimettere in sesto ciò che rimane della sua famiglia. La asciuga in fretta, prima che qualcuno possa vederlo. Ed è proprio in quel momento che gli arriva un messaggio.
 
Da: Michael, 15.07.2016, 06:27 pm
È tornato da te, vero?
 
Il riccio sa a chi l’altro si sta riferendo.
Perché Letizia continua a sfogarsi con Michael, a raccontargli cosa stia succedendo tra lei e Calum, a tenerlo informato su quella persona che nessuno di loro vuole perdere; continua a trattarlo come l’amico migliore che abbia mai avuto, come la persona a cui – dopo Calum – sa che può donare tutta se stessa senza farsi male; a vederlo come la persona a cui può mostrarsi per come è veramente, senza maschere, muri, paure o dubbi. È grazie alla mora se, in qualche modo, lui e Michael riescono a sentire Calum un po’ più vicino a loro, dopo tutti quegli anni passati in silenzio, troppo distanti, senza che nessuno di loro facesse qualcosa per cambiare le cose, per riallacciare i rapporti, per non mandare a puttane l’amicizia di una vita.
Ashton sa che il suo ragazzo non avrebbe potuto chiedere niente di meglio; che Michael anela quelle piccole informazioni pur di stare tranquillo, pur di sapere che c’è ancora qualcosa che possono fare. Sa che, pian piano, nonostante tutto, le cose stanno andando per il verso giusto. Perché Letizia ha riempito in parte il vuoto che Rachel aveva lasciato nel cuore di Michael che, della mora, non riuscirebbe a fare a meno neppure volendo.
Digita velocemente la risposta, per poi riporre il cellulare nella tasca del camice.
Respira piano, cercando di calmarsi, di rimettersi in sesto.
Poi torna a lavoro, con addosso la sensazione che, presto, le cose cambieranno. In meglio.
 
Da: Ashton, 15.07.2016, 06:32 pm
Già. E non hai idea di quanto vorrei che smettesse.
 
A leggere quelle parole, Michael sospira piano.
Perché è a conoscenza di cosa stanno vivendo le persone a cui tiene più di tutto il resto; sa che stanno male, che alcune di loro ancora faticano a reggersi sulle proprie gambe perché non sono ancora riusciti a vincere le proprie paure; sa che ciò che può fare non è molto, che per alcune cose ci vorrebbe sul serio un miracolo per il quale continua a sperare, giorno dopo giorno. Perché sente fin dentro le ossa che qualcosa sta per succedere, che qualcosa sta per cambiare. E lui, a quella strana sensazione, vuole credere con tutto se stesso: vuole credere che sia la volta buona, che finalmente tutto possa tornare al suo posto, cancellando il dolore e le ferite.
Eppure, nonostante la speranza, non riesce ad allentare la morsa della preoccupazione che pian piano gli schiaccia il cuore. Perché gli ultimi mesi sono stati intensi per tutti loro. Insieme, hanno dovuto affrontare molto più di quanto avessero mai immaginato: hanno rischiato di perdere nuovamente qualcuno di caro, prima di vederlo rialzarsi dalle macerie di se stesso per riprendersi la propria rivincita.
Perché è questo ciò che ha fatto Madison: si è armata di coraggio e ha combattuto contro se stessa fino alla fine, uscendone vincitrice, riprendendosi la rivincita che aspettava da tempo. E Michael non potrebbe esserne più felice.
Quando era venuto a conoscenza del passato della bionda, aveva percepito distintamente il proprio cuore andare in frantumi, in silenzio. Perché non poteva credere che le cose si stessero ripetendo ancora una volta, che tutto stesse per andare nuovamente a puttane. Per questo, insieme ad Ashton e agli altri, ha messo in gioco tutto quello che aveva per farla stare bene, per non perderla, per farla tornare a sorridere, a vivere davvero.
Non è stato semplice: ogni volta che la vedeva cadere, veniva assalito dall’ansia di non essere stato capace di fare abbastanza, di non esserle stato accanto abbastanza. Poi però lei ci riusciva: passo dopo passo, riusciva a vincere le proprie paure e a rimettersi sulla giusta strada. E lui non riusciva mai a nascondere il suo sollievo. Un sollievo che si sfogava il lacrime, che Letizia non ha fatto altro che asciugargli.
Letizia. La sua migliore amica. La persona che per lui è diventata una sorella, che è riuscita a riempire il vuoto che Rachel aveva lasciato, che è stata capace di dargli quel grammo di forza e di coraggio che gli mancava per reagire e per capire cosa fare per rimettere in sesto i suoi genitori. La persona che, col tempo, si è dimostrata essere un’amica insostituibile, senza la quale lui non saprebbe proprio che cosa fare; quella persona che si è rivelata essere quel raggio di sole che mancava alla sua vita da troppo tempo per tornare a splendere.
Perché è grazie a lei se è riuscito a sconfiggere la depressione in cui era caduto. È stato grazie al suo essere forte e decisa, che lui non ha perso la speranza. È stato grazie alla sua amicizia, se adesso ha finalmente la certezza che, in un modo o nell’altro, le cose riusciranno ad andare bene per tutti quanti loro, non importa quanto tempo servirà.
E Michael sa che dovrebbe raccontarle la verità; che avrebbe dovuto farlo fin da subito. Sa che avrebbe dovuto farle capire fin dall’inizio i fili che legano tutti quanti loro. Sa che non dovrebbe tenerle nascosto qualcosa di simile, che tutti quei mesi passati in silenzio non avrebbero dovuto esserci. Sa che non doveva avere paura di rivelare parte di quella storia in cui ognuno di loro ha una parte fondamentale.
Eppure, anche adesso come allora, la paura di rovinare ogni cosa lo blocca, impedendogli di riportare alla luce quel passato che ha distrutto più di una vita, che ha spazzato via troppe cose in troppo poco tempo; impedendogli di darle tutti gli elementi che le servono per capire fino in fondo come stanno le cose, per sapere come comportarsi con quella persona a cui entrambi vogliono troppo bene.
Spera solo che qualcun altro, che quella stessa persona, riesca a raccontare come stanno davvero le cose. Perché Letizia, dopo tutti quei mesi, merita di sapere. 






Letizia
Bellissima gente, ciao! <3
E ciao anche a questo capitolo mezzo positivo per la nostra Leti (che finalmente sta tornando ad avere un rapporto più normale con Azura) e mezzo negativo per il nostro poveron Cal (che invece sta affondando sempre più - vi prego, non uccidetemi! *si inginocchia perché sa di essere nel torto*).
Che ne pensate del ruolo che hanno, almeno per oggi, Ash e Mike nella vita dei loro amici? E di ciò che provano?
E che cosa credete che succederà nei prossimi capitoli? (voglio solo precisare che ne mancano sei alla fine - ED IO NON CE LA POSSO FARE!!!)
Spero che vi sia piaciuto e spero che mi farete sapere che cosa ne pensare; sapete che ci conto! <3
Detto questo, come sempre vi ringrazio tanto e vi abbraccio fortissimo! Siete formidabili! <3
A presto! Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 35
*** Trentacinque ***


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Trentacinque
 
 
 
Qualcuno a cui, alla fine, si mostra ciò che si tiene nascosto da troppo tempo.
Qualcuno di cui ci si fida talmente tanto da non aver più paura.

Qualcuno che, costantemente, si dimostra essere la cosa più bella di tutte.
 
 
 
Sono passati undici mesi da quando Calum è entrato nella sua vita, riempiendola. Mesi che, per entrambi, sono stati un susseguirsi di emozioni talmente forti e intense che nessuno dei due riuscirebbe mai a descrivere a parole.
E Letizia ormai non si chiede più perché il cielo le abbia fatto un regalo così grande, perché la vita le abbia messo accanto quell’angelo prezioso ed unico. Perché sa che non avrà risposta, in nessun caso. Perché sta cominciando a capire che molte cose non avranno mai una spiegazione vera e propria; succedono, forse per caso, forse no. Sta di fatto che, quando accadano, sconvolgono sempre tutto quanto. La mora lo sa bene.
Perché non avrebbe mai immaginato che, dopo aver conosciuto il suo vicino di casa, la sua vita avrebbe preso quella piega. Non avrebbe mai pensato di attraversare così tanti alti e bassi, di superare così tanti ostacoli. Non avrebbe mai immaginato che avrebbe ricevuto molto più di quanto aveva sperato per tutta la vita. Non avrebbe mai creduto di poter avere una seconda occasione per ricominciare.
Perché Calum è la sua seconda occasione. Ecco perché sta cercando in tutti i modi di aiutarlo, di capirlo fino in fondo, per farlo uscire dal buio che lo ha risucchiato e che l’ha privato di quella luce che, solo per poco, era riuscita a vedere in quegli occhi disperati. Occhi che sono sempre stati capaci di vederla veramente, di spogliarla di ogni sua maschera, di abbattere ogni suo muro, di accarezzare l’angolo più profondo della sua anima. Occhi che le hanno dato molto più di quanto lei abbia mai sognato.
E la ragazza non può ignorare il fatto che la persona che ama sta male e non riesce a sfogarsi, a parlare del suo dolore; che sta soffrendo per un qualcosa più grande di lui. Come non può, non riesce ad ignorare il fatto che si sente completamente impotente, incapace, perché non riesce a trovare una soluzione a tutto quel casino. Perché non riesce a salvare l’unica persona che le ha dato amore, in un modo che lei non aveva mai sperimentato prima.
Lo guarda, Letizia. Guarda Calum negli occhi, mentre lui la sta abbracciando forte. Sono stesi sul letto della mora, eppure nessuno dei due si sente ancorato al suolo. È come se fossero in un mondo fatto solo per loro, da cui non vogliono uscire, per nessun motivo. Un mondo che è dentro gli occhi dell’altro, in un gioco che lega indissolubilmente i loro sguardi, che colma ogni loro spazio vuoto.
Guarda gli occhi del ragazzo, lei, perdendosi in quel colore scuro che per tutto quel tempo ha soltanto cercato di proteggerla, anche se non sempre ci è riuscito, dimostrando ad entrambi che solo stando insieme possono rimarginare le ferite e lasciarsi definitivamente alle spalle i pesi che si portano dietro da anni e che non fanno altro che renderli sempre più deboli ad ogni secondo che passa.
Però… Letizia non conosce i pesi che Calum ancora si porta dietro. Perché sa, sente che il ragazzo le ha raccontato una minima parte della sua storia, lasciando in sospeso ciò che maggiormente lo tormenta; quello stesso qualcosa contro cui anche lei sta cercando di combattere, per il bene del moro. Perché non può permettersi di perderlo, non adesso che l’ha finalmente ritrovato.
Vorrebbe… Vorrebbe soltanto che si lasciasse aiutare, che si aprisse, almeno per quel tanto che serve per cambiare le cose. Ma sa, lei, che per aprirsi a qualcuno ci vuole tempo. Lo sta sperimentando sulla sua pelle da mesi ormai. Mesi passati a chiedersi perché non è mai riuscita a trovare il coraggio sufficiente per parlare al suo ragazzo di ciò che l’ha resa la persona che è adesso, di ciò che l’ha ferita, che le ha lacerato il cuore e distrutto l’anima pezzo dopo pezzo, come se si divertisse a vederla persa, con più alcuna certezza a cui ancorarsi per non cadere.
Certezza. Una parola di cui ha cominciato a capire il significato e l’importanza solo quando Calum è piombato all’improvviso sulla sua strada. Una parola che, passo dopo passo, l’ha guidata fino a dov’è ora.
Perché adesso Letizia è pronta a raccontare la sua storia, ad aprirsi, a mostrare ogni parte di sé al moro, ad affrontare le ferite e le cicatrici che si porta dietro da troppo tempo, a voltare pagina una volta per tutte, a fare quel salto di cui, fino a poco tempo prima, aveva paura. Una paura che l’aveva bloccata, che l’aveva resa incapace di ribellarsi, di cambiare le cose. Una paura che adesso non c’è più, che ha lasciato posto ad un coraggio che la giovane, fino a quel momento, non credeva di avere.
«Cal?» lo chiama, e la sua voce risuona limpida, quasi timida, nel silenzio della stanza.
Il ragazzo le sorride e le sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per vedere meglio quegli occhi color del cioccolato in cui non ha mai avuto timore di perdersi. «Che c’è, Leti?»
Lei sospira. Chiude un attimo gli occhi, cercando il coraggio che era riuscita a trovare. Poi li riapre.
«Ti… Ti ricordi del mio compleanno? Quando mi chiedesti del tatuaggio?»
Calum annuisce in silenzio, ricordando fin troppo bene il brusco cambiamento nel comportamento della ragazza non appena aveva accennano alla L sulla sua spalla; ricordando la curiosità che l’aveva sempre spinto ad osservare quel tratto di inchiostro, domandandosi che cosa significasse, quale storia celasse.
«È la L di Libertà, che in italiano vuol dire libertà.» comincia allora Letizia. Ma è come se le parole le morissero in gola, come se non volessero uscire, come se la paura che aveva creduto di aver vinto stesse tornando più forte di prima, impedendole di essere libera.
Allora prende uno, due, tre respiri, cercando di tranquillizzarsi, di rimettere in ordine le idee, di placare il battito fin troppo veloce del proprio cuore. Sa che deve farlo, che deve parlare e superare le sue insicurezze. Perciò chiude gli occhi, cercando l’ultimo grammo di coraggio che le serve. Poi si butta, lasciando che le parole abbiano la meglio sul suo timore. Perché ha bisogno, vuole andare avanti una volta per tutte.
«Avevo circa undici dodici quando ho scoperto… Di essere stata adottata.» inizia. E subito il dolore le attanaglia il cuore, lacerando tutto quello che trova. Lei però cerca di non pensarci, di non preoccuparsi, perché sa che presto finirà. E dopo non dovrà più riaprire nessuna di quelle ferite.
«Era pomeriggio ed io stavo cercando dei fogli per fare un disegno… Per Azura… Per appenderlo insieme a quelli degli altri bambini all’ospedale…» e ricorda l’allegria che, anni prima, quel pensiero le aveva dato: era felice di fare quella piccola sorpresa, voleva rendere l’ospedale più colorato, come la sua camera che, a quel tempo, aveva le pareti dipinte dei colori dell’arcobaleno. Era sgargiante la sua stanza, proprio come lo era lei: un’esplosione di vita e di allegria, di sorrisi luminosi ed energia da vendere.
«Stavo rovistando tra i cassetti e… Ad un certo punto mi sono ritrovata con una busta in mano.» e subito il cuore torna a batterle forte, a chiedere una pausa. Perché, raccontando, a Letizia sembra di star vivendo ogni cosa da capo ancora una volta, come se non fossero bastati gli incubi o le notti insonni avuti per anni dopo quel pomeriggio. Dopo che tutto era andato a rotoli.
«Era dell’ospedale dove adesso lavora Azura e…»
Ma non ci riesce, Letizia. Non riesce ad andare avanti, a spiegare del tutto quella verità troppo grande persino per lei; una verità che aveva sconvolto ogni cosa nella frazione di un attimo, che l’aveva resa diffidente, debole, insicura; che l’aveva ferita in un modo che aveva creduto irreversibile.
Non riesce a parlare. È come se la sua stessa voce si ribellasse e non volesse uscire. Al contrario delle lacrime, silenziose, brucianti, che hanno cominciato a scorrerle sulle guance senza che potesse impedirlo. È come se non fosse più padrona di se stessa, come se avesse perso il controllo e non riuscisse più a tenere le fila di niente.
Calum allora la stringe a sé, cercando di proteggerla, di tenere insieme i pezzi di quella persona che sta cadendo ad ogni secondo che passa. Non dice niente, perché non sa che come rispondere a ciò che gli sta raccontando la mora. Perché aveva pensato a tante cose, lui; si era dato tante possibili risposte sul perché gli occhi di Letizia fossero distrutti quanto i suoi, sul perché la mora provasse un dolore così atroce da farla chiudere in se stessa come un riccio. Ma non aveva mai pensato a niente di simile. Perché è troppo assurdo persino per lui che, adesso, sta cercando di capire in che modo può aiutare la ragazza che ama.
Continua a stringerla, ad ascoltare in silenzio i suoi singhiozzi, a sentire tra le proprie braccia il suo corpo scosso dai tremiti, come se stesse per rompersi in mille pezzi da un momento all’altro. Come se non fosse più in grado di sopportare oltre. Come se non avesse più abbastanza forza per resistere.
Eppure… Eppure lei continua a parlare, a lottare contro se stessa, contro il passato e le paure, contro le ferite e le insicurezze. E non le importa se dovesse fare ancora più male, se dovesse mancarle il respiro per il dolore, se dovesse rimetterci tutto quanto ancora una volta. Perché adesso sa che non deve mollare, che non deve rinunciare a riprendersi quella rivincita per cui sta combattendo da una vita. Perché c’è ancora tanto da fare, da dire, prima di mettere un punto fermo ad ogni cosa.
«Dentro c’era il mio certificato di nascita e… Al nome dei miei genitori… C’erano quelli di Elizabeth Lee e Adam Lewis…» sospira e chiude gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. «Io non… Non riuscivo a capire… Avevo sempre vissuto da sola con Azura… Lei era sempre stata mia mamma… Non capivo perché ci fosse un altro nome su quel foglio… Credevo che si fossero sbagliati… Che avessero scritto male…» e si ricorda fin troppo bene della confusione provata in quel momento, del freddo che, lentamente, aveva iniziato ad impossessarsi di lei, come se avesse già cominciato a pregustare la fine di tutto, del vuoto che aveva cominciato a scavarle dentro.
«Azura è entrata nella stanza e… Mi ha vista con quel foglio in mano e ha detto: “Devo raccontarti una storia”.» e ripensa a come si sia sentita strana in quel momento; al fatto che, mentre guardava Azura, non riusciva più a vedere la persona che fino ad allora aveva sempre chiamato mamma; a come ogni cosa, in un modo o nell’altro, le era sembrata solo un brutto sogno dal quale era sicura che si sarebbe svegliata presto. Ripensa alle parole che la donna le disse in quell’occasione. Le stesse che sta ripetendo adesso a Calum, come se una macchina priva di emozioni stesse parlando al posto suo, mentre le lacrime continuano a rigarle il viso, piano.
«Elizabeth era la sorella di Azura… Lei… Rimase incinta del suo ragazzo quando aveva sedici anni e… Al momento del parto non… Non ce l’ha fatta…» e ricorda quanto male le fece sentire quella storia, ascoltare quelle parole; ricorda quanto freddo le entrò dentro, come se non aspettasse altro che le sue difese calassero per prendere il sopravvento. Ricorda gli occhi lucidi di Azura, il tremito delle sue mani mentre le accarezzava la testa. Proprio come adesso sta facendo Calum, che la sta stringendo forte a sé, che sta cullando delicatamente ogni più piccola parte di lei, come se avesse paura di farle male con il più piccolo gesto. Come se avesse tra le mani qualcosa di estremamente fragile che non vuole rompere, di cui vuole soltanto prendersi cura.
«Adam chiese ad Azura di occuparsi della… Di me perché lui… Non aveva idea di come fare…» e ripensa a come possa essere stato difficile per Azura – che all’epoca aveva da poco compiuto vent’anni – prendersi cura di lei per tutto quel tempo, imparando da sola ogni cosa, perché i suoi, di genitori, erano morti, lasciando troppo presto lei ed Elizabeth da sole. Ripensa a come quella donna, che una volta chiamava mamma, si sia fatta forza completamente da sola, sia stata coraggiosa ed abbia lottato con tutta se stessa, pur di far funzionare le cose.
«Da quel momento, lui… Non ha più voluto sapere niente di me… Non mi ha mai voluta conoscere, nonostante Azura gliel’abbia chiesto più volte… Non è mai venuto ad un mio compleanno o a vedere come stavo quando ero più piccola… Lui… Non c’è mai stato…» e ricorda troppo bene quanto, qualche mese dopo aver scoperto la verità, quella considerazione le fece male, quanto la ferì, sconvolgendo la sua vita così velocemente che lei non seppe più da che parte ricominciare. E sa che, se Madison non fosse stata al suo fianco, adesso non sarebbe tra le braccia di Calum. Braccia che non vogliono lasciarla andare per nessun motivo; che, nonostante la droga le stia rendendo sempre più deboli, la stanno stringendo così forte da scaldarle il cuore in un istante; che riescono a farla sentire al sicuro anche in quel caso, mentre sta combattendo contro le sue stesse catene.
«Io… Giuro che non sapevo che cosa fare… Avevo cominciato a pensare che non meritavo più l’amore di nessuno, né di Azura, né di Madison… Pensavo di essere un errorre… Credevo di meritare di soffrire perché, se i miei veri genitori non mi avevano amata, nessun altro l’avrebbe fatto al posto loro… Avevo iniziato ad allontanare tutti, a chiudermi, a costruire muri su muri… Eppure… Azura e Madison sono sempre rimaste con me… Anche quando le cose tra me e Azura hanno cominciato a peggiorare, lei… Lei mi ha sempre voluto bene… L’ha sempre fatto e… Me l’ha sempre dimostrato… E faceva male… Faceva troppo male… Perché io non riuscivo a capire, non… Non mi vedevo come una persona che potesse meritare affetto...» e ricorda, Letizia. Ricorda troppo bene i giorni in cui in casa sua era calato il silenzio tra lei ed Azura; ricorda la difficoltà di stare con la donna, di parlarle, di lasciarsi amare; ricorda il dolore provato ogni volta che l’altra la cercava, pur di farle sapere che non se ne sarebbe mai andata. Ricorda tutto come se lo avesse appena vissuto, come se non fosse passato neppure un attimo da quando la sua vita era andata a rotoli.
«Prima che ci conoscessimo, io… Stavo cercando di capire che cosa volessi davvero e… L’unica cosa a cui continuavo a pensare era… Che volevo essere libera…» sospira un attimo, come se volesse riprendere fiato prima di finire la sua storia. «Libera dal passato, dal dolore… Libera da tutto quanto…» e si ricorda il giorno in cui si è fatta il tatuaggio, quella piccola L che le ha dato la spinta per cominciare a cambiare. Si ricorda il lieve dolore, quelle piccole punture che le hanno fatto capire di essere viva, di potercela ancora fare. Si ricorda la promessa che ha fatto a se stessa: non mollare mai, per nessun motivo, soprattutto se trovi qualcuno per cui vale la pena farsi male.
Punta allora gli occhi in quelli di Calum. E sente che, all’improvviso, ogni ferita, ogni dolore scompare.
«Poi però sei arrivato tu, Cal… E hai cambiato tutto… Mi hai fatta tornare a respirare… Mi hai fatto il regalo più bello che potessi desiderare… Mi hai fatta sentire completa e…» ma non riesce a proseguire oltre. Perché nuove lacrime le stanno scendendo dagli occhi e non sa come farle smettere. Non sa come frenare quel calore immenso che le è appena nato dentro al cuore, a causa di quella felicità che solo il ragazzo è stato capace di darle.
«Grazie, Cal. Per tutto quanto. Io–»
Ma non riesce ad andare avanti, lei. Perché subito le labbra di Calum sono sulle sue.
 
E si baciano, loro due. Si baciano a lungo, allontanandosi dalla realtà, dal passato, rifugiandosi in quella bolla che, giorno dopo giorno, hanno costruito insieme, affrontando le loro paure, le loro insicurezze, mettendo in gioco se stessi pur di far funzionare l’unica cosa davvero bella di tutta la loro vita. Si baciano, si curano delicatamente l’anima, come se tra le mani avessero il più importante di tutti i tesori.
Quelle stesse mani che, pian piano, si stanno facendo strada sotto i vestiti, accarezzando la pelle tiepida dell’altro, sentendo i muscoli irrigidirsi e stendersi sotto le dita, percependo ogni singolo brivido, ogni più piccola scossa come se, in quel momento, le loro sensazioni si fossero amplificate oltre ogni limite.
La bacia intensamente, Calum. La bacia, la ama con tutto se stesso. Perché sa che è l’unica risposta che può dare a Letizia, alle parole che gli ha appena detto, all’affetto che non ha fatto altro che donargli dal primo istante in cui i loro occhi si sono incontrati. Fare l’amore con lei è l’unico modo che il ragazzo conosce per dimostrarle quanto la voglia, quanto necessiti di lei, quanto abbia bisogno che sia felice. Perché vuole cancellare le sue lacrime, lui; vuole che gli occhi color cioccolato dell’altra tornino ad essere completamente luminosi; vuole combattere l’ombra del passato che continua a ferirla. Vuole amare la ragazza che ha tra le braccia, vuole proteggere la persona più forte e bella che abbia mai conosciuto. Vuole cancellare tutto ciò che l’ha ferita. Vuole farla stare bene.
E non gli importa della morfina, adesso. Non gli importa dell’inferno che ha alle spalle e da cui non è riuscito a scappare del tutto. Non gli importa di niente. Sa che Letizia è troppo per uno come lui, è troppo per chiunque; sa di non meritarla. Eppure… Non vuole lasciarla andare. Non vuole perdere quell’angelo che ha deciso di fidarsi proprio di un caso perso come lui. Non vuole perdere l’unica persona capace di farlo sentire vivo davvero.
Letizia si lascia baciare, si lascia cullare da quelle mani che ormai sono diventate familiari sul suo corpo; mani che ne conoscono ogni millimetro, ogni punto debole. Quelle stesse mani a cui lei si è affidata per stare bene. E sa, sente fin dentro le ossa, di aver fatto la scelta giusta. Perché sa che Calum non la ferirebbe mai di proposito.
Si tolgono lentamente i vestiti, lasciandoli cadere sul pavimento. E non smettono di baciarsi neppure per un secondo. Non smettono di accarezzarsi, di marchiare l’altro con la traccia umida delle proprie labbra. Non smettono di amarsi, di dimostrasi quanto abbiano bisogno l’uno dell’altra. Non smettono di guardarsi, di perdersi negli occhi dell’altro, pur di trovare quell’amore che ha dato loro speranza, che li ha cambiati e sta continuando a farlo, passo dopo passo. Non smettono di ringraziare il cielo per aver ricevuto un regalo così importante.
Un regalo che sentono scorrere dentro le proprie vene, del quale non riescono a fare a meno. Perché è grazie a quel regalo se adesso, finalmente, si sentono davvero a casa.
Poi Calum si mette a sedere sul letto e tira Letizia su di sé. La ragazza sorride e gli bacia la fronte, gli occhi, le guance prima di accarezzargli le labbra con le proprie. Il moro la marchia sul petto, sui seni, sulle spalle, gustando ad ogni bacio quella pelle tiepida di cui adora il profumo, dolce e unico, proprio come la persona che sta amando con tutto se stesso. Lei si lascia andare e lui la fa sua, delicatamente, come se avesse tra le mani qualcosa di talmente flebile che potrebbe svanire in un soffio. Intanto, i loro cuori battono forte, facendosi sentire dappertutto.
E mentre Letizia accarezza il collo dell’altro con il respiro lievemente più accelerato, Calum si protende e bacia quel piccolo tatuaggio, di cui adesso conosce il significato. Bacia quella L perché vuole dare alla sua ragazza la libertà e l’amore che ha sempre meritato. E la mora, a quel gesto, si irrigidisce per un istante, prima di distruggere ogni sua difesa e lasciarsi andare completamente, permettendo alle lacrime di scenderle sul viso.
Lacrime che Calum asciuga con un bacio. Lacrime che anche il giovane ha negli occhi.
Lacrime che dimostrano ad entrambi che la loro vita, nonostante tutto, non potrebbe essere più bella di così.
 
Non riesce a smettere di guardare la mora, Calum. Perché non riesce a credere che tutto ciò che ha sempre voluto è lì, davanti a lui, racchiuso in una ragazza che non ha fatto altro che dargli tutta se stessa, con cui il moro vorrebbe passare ogni singolo istante della propria vita. E sa che è troppo presto per pensare ad una cosa simile. Sa di essere troppo giovane, sa che pure Letizia lo è. Eppure… Lo sente fin dentro l’anima. È come se, in qualche modo, il suo cuore gli stesse dicendo che è lei quella giusta, la persona che vorrebbe vedere ogni giorno appena si sveglia, con cui vorrebbe condividere tutto. La persona con cui vorrebbe avere un futuro, sul serio. Un futuro in cui non gli importa più della morfina, in cui non si vede più come un disastro completo e in cui non si vergogna più di se stesso. Un futuro completamente diverso dalla sua vita attuale, di cui conserverebbe intatta soltanto una cosa: Letizia, e tutto ciò che lei ha portato con sé.
Ed è mentre pensa a questo, che la ragazza gli si avvicina; lo sguardo divertito e il sorriso sulle labbra, incuriosita dall’espressione che l’altro ha, così seria che lei non gli aveva mai visto addosso prima e che un po’ la fa preoccupare, perché non sa che cosa aspettarsi.
«Come mai sei arrossito?» gli chiede, curiosa, cominciando ad accarezzargli le braccia con la punta delle dita, senza distogliere gli occhi dal viso di Calum, che lentamente sta diventando sempre più roseo.
Lui sorride e prende la mano di lei tra le proprie, intrecciando le loro dita e riempiendo gli spazi vuoti.
«Stavo pensando.» risponde vago, divertendosi nell’osservare l’espressione sorpresa dell’altra.
«A cosa?»
«A qualcosa.»
Letizia sbuffa e sistema meglio il cuscino sotto il petto. «Perché deve essere sempre così con te?»
Calum ridacchia e la abbraccia forte, passando lentamente le mani tra i lunghi capelli scuri della mora, percependo distintamente il suo cuore battere veloce dentro al petto a pensare all’importanza delle parole che da tempo ha sulla punta della lingua. Parole che vorrebbe dire perché sono preziose, uniche. Parole che gli fanno compagnia da mesi. Perché da mesi ha in testa quell’immagine, quella speranza che, nonostante tutto, diventa sempre più luminosa, sempre più potente. Eppure… Non ci riesce, non riesce a dire ciò che pensa. Perché ha troppa paura di dar corpo a quel qualcosa veramente troppo importante. Qualcosa che non aveva mai detto a nessuno e che mai, prima di conoscere Letizia, aveva preso davvero in considerazione.
«Stavo pensando a noi. A cosa faremo tra qualche anno. A come andranno le cose.»
La ragazza sorride. Perché, da un po’ di tempo, i pensieri del ragazzo sono gli stessi che stanno popolando la sua mente. E tutti hanno come fine il cercare di vivere con Calum il più a lungo possibile. Perché non vuole lasciarlo, non vuole stare senza di lui. Non vuole perdere l’unica persona che sia mai riuscita a farla sentire davvero completa. Perché sa che, senza il moro, tutti i suoi sforzi non avrebbero senso, che la sua vita non avrebbe senso.
«E stavo pensando che…» ma non riesce a continuare, Calum. Non riesce ad ammettere ad alta voce quel piccolo grande sogno in cui spera, nonostante l’immenso casino che è ancora la sua vita. Non riesce ad ammettere la sua speranza più importante, ciò per cui farebbe qualsiasi cosa pur di continuare a vivere, quel sogno nel cassetto a sui sta pensando da mesi. Perché potrebbe rivelarsi quell’occasione in più che ha sempre cercato; quell’occasione in più per ricominciare, per ricostruire la sua vita dalle fondamenta.
Poi i suoi occhi incontrano quelli di Letizia. E all’improvviso ogni paura scompare, lasciando posto ad un coraggio che il moro non avrebbe mai creduto di avere. Un coraggio che gli fa battere il cuore molto più velocemente di quanto si sarebbe immaginato, mentre lascia che quelle parole trovino la strada per uscire, mentre lui comincia a sperare che quel piccolo grande sogno, un giorno, diventi realtà.
«Voglio avere una famiglia con te, Leti.»
La mora trattiene il respiro, mentre sente il proprio cuore correrle dentro al petto. Resta in silenzio.
Non sa come rispondere a quelle parole, che gli sono arrivate dritte al cuore come una freccia. Parole importanti, che mai avrebbe pensato di sentir pronunciare da Calum. Parole che le mostrano quanto grande sia il sentimento che il moro prova nei suoi confronti, quanto forte sia l’amore che li lega. Parole che, nella frazione di un istante, le hanno scaldato l’anima, le hanno incendiato il cuore.
Perché ha fatto una promessa a se stessa, Letizia, che vuole mantenere ad ogni costo, non le importa quanto dovrà mettere in gioco. Perché avere una famiglia è sempre stato anche il suo sogno – soprattutto da quando la sua vita è andata in pezzi. Perché ha sempre sperato di avere qualcuno su cui contare ogni giorno, con cui condividere la propria vita, i brutti momenti e quelli meravigliosi. Un sogno in cui ha sempre sperato per curare del tutto le sue ferite, per cancellare completamente il dolore. Eppure… È strano parlarne così, con il moro, come se fosse qualcosa che si può avverare sul serio, che in futuro potrebbe davvero diventare realtà. Come qualcosa in cui credere con tutti se stessi pur di renderlo possibile.
«Io–» comincia. Ma non sa davvero come rispondere ad un qualcosa estremamente più grande di lei, che l’ha colta di sorpresa, spiazzandola, lasciandola senza fiato, solo con un calore dolce e tenero all’altezza del cuore.
Calum sorride e le bacia la fronte, cercando di rimanere tranquillo. «Non serve che ci pensi o che mi dia una risposta adesso. Mi basta sapere che tu sarai con me. Il resto verrà dopo.»
Letizia sorride a sua volta, senza riuscire a trattenerlo, mentre sente la propria anima scaldarsi, mentre circonda il corpo dell’altro con le braccia che tremano, senza pentirsi in alcun modo delle parole che decide di lasciar andare. «Anche io voglio avere una famiglia, Cal.»
Perché non le importa se si conoscono da poco tempo. Non le importa se sono inesperti, se hanno ancora tanta strada da fare, tante cose da capire. Non le importa delle difficoltà che dovranno affrontare, di ciò che riserverà loro la vita. Hanno già combattuto tanto insieme e sa che riusciranno sempre a cavarsela, fin tanto che resteranno l’uno nella vita dell’altra, ad amarsi, a darsi forza, a spronarsi a dare sempre il massimo.
E prima che possa aggiungere altro, le labbra del ragazzo raggiungono nuovamente le sue, per rubarle un bacio che sa di felicità senza alcun limite.
«Vorrei avere un bambino.» continua allora lui. E ad ogni parola alterna un bacio, mentre l’altra non riesce a smettere di sorridere. «Vorrei che avesse i tuoi occhi e il tuo talento per la scrittura.»
«Ed io vorrei che avesse la tua passione per la musica e che riuscisse ad amare come ami tu.»
Calum sorride ancora più ampiamente e bacia di nuovo la mora, più a lungo, più intensamente, come se non fosse in grado di farne a meno, come se avesse bisogno di quei baci per accertarsi che ciò che sta succedendo è reale e non frutto di un sogno o della morfina.
«Vorrei un figlio da te perché so che sarebbe la cosa più bella della nostra vita.»
Stavolta è la ragazza che sorride, con gli occhi lucidi, con il cuore che quasi sembra scoppiarle nel petto perché troppo pieno di un qualcosa che neppure lei riesce a spiegarsi fino in fondo; qualcosa che riesce a scaldare ogni sua più piccola parte, mentre cerca le labbra dell’altro con le proprie. Perché stava pensando esattamente la stessa cosa. Perché anche lei è sicura che avere un bambino con il moro sarebbe meraviglioso E perché non avrebbe mai creduto che, grazie al ragazzo che la sta stringendo a sé adesso, i suoi sogni sarebbero potuti diventare realtà.
E sorridono, Calum e Letizia. Sorridono, perché non avrebbero mai immaginato che la loro vita sarebbe potuta diventare così, piena di felicità, piena di quel qualcosa che entrambi hanno sempre cercato, senza mai riuscire a trovarlo prima di conoscersi. Una vita piena d’amore.






Letizia
Tesori miei, salve a tutti! <3
E... FINALMENTE SCOPRIAMO ANCHE IL PASSATO DI LETI!!!
Alleluia insomma, ahahah :).
Scusate se ci ho messo così tanto ad arrivare a questo punto della storia. Ma era necessario che Leti si fidasse al mille per cento di Cal prima di rivelargli una cosa simile.
Siete sorpresi? Avevate pensato a qualcos'altro? Adesso cosa pensate del personaggio di Azura?
Dai dai, fatemi sapere che sono curiosa!
E... A proposito...
CAL E IL DISCORSO SULLA FAMIGLIA!!! Io muoio ora, tipo seduta stante, ma who cares *^* Cioè, ma vi immaginate Calum con un bambino in braccio?! Io svengo, giuro *^*
Che cosa pensate del bellissimo desiderio del nostro moro? E della nostra piccola Lewis? Fatemi sapere, ci conto!
Detto questo, per oggi chiudo qui e vi ringrazio infitamente per ogni cosa. Siete fantastici! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3
P.s.: ho aggiornato oggi perché domani sono al Lucca Comics, ahahah ;). Ciau! <3

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Capitolo 36
*** Trentasei ***


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Trentasei
 
 
 
Qualcuno per cui si decide di mettere tutto quanto in gioco.
Per cui si trova il coraggio e la forza di cambiare, di crescere.
Per cui si farebbe qualsiasi cosa, perché quel qualcuno è più importante di tutto il resto.



Ha di nuovo in mano una siringa piena di morfina, il laccio emostatico di nuovo stretto attorno al braccio, la voglia di una nuova dose che ormai ha raggiunto il limite, il punto di non ritorno. I brividi gli corrono lungo il corpo, scuotendolo piano, come se volessero invitarlo ad assecondare il desiderio che sente bruciargli dentro, come un tizzone ardente che soltanto la dose di morfina di cui ha bisogno può spegnere, come se in quel momento la sua vita dipendesse soltanto da quei pochi millilitri che le sue vene attendono con impazienza feroce da quelli che ormai sono diventati lunghi, estenuanti minuti.
Eppure... Si trattiene, Calum, ci prova, lottando contro se stesso con le poche forze che gli sono rimaste, inibite dalla morfina assunta sempre più spesso durante gli ultimi mesi. Nonostante la voglia che non riesce a trattenere, non vuole cedere, non vuole cadere ancora più in profondità.
Non quando vuole a tutti i costi che il suo sogno di una vita insieme a Letizia si realizzi sul serio – perché è l’unica cosa che gli resta, l’unica in cui ripone ancora un po’ di speranza, la sola che non vuole perdere, non quando ha già dovuto rinunciare a tanto altro. Non quando sono giorni che si immagina il viso che potrebbe avere il loro bambino: lo sguardo intenso come quello di Letizia e il taglio degli occhi come il suo, i capelli scuri e la risata allegra. Non quando ha da poco iniziato a sperare che il futuro riservi loro soltanto belle sorprese, dopo tutto quello che hanno dovuto passare. Non quando ha deciso di voler tagliare completamente i ponti con la merda che si ritrova tra le mani. Non quando ha finalmente trovato la forza di cambiare, di voler diventare migliore, soltanto per essere degno di stare con Letizia, quella persona che, anche nei suoi momenti più bui, brillerebbe comunque come una stella, bellissima e irraggiungibile. Quella stessa persona a cui non ha detto niente di ciò che ha intenzione di fare, perché vuole farle una sorpresa quando tutto sarà davvero finito.
Perché vuole cambiare, Calum, davvero. Vuole mettere un punto fermo a ciò che ha vissuto fino a quel momento per ripartire, per reinventare tutto quanto da zero, senza rimpianti, senza paura, senza maschere o muri, senza usare vie di fuga che solo chi ha perso completamente la speranza si ritrova a prendere. Vuole tornare ad essere la persona che era un tempo, con tanti sogni e speranze da realizzare. Vuole smettere di avere paura di ferirsi. Perché ormai ha capito che stare male fa parte della vita, che non serve a niente fare di tutto per proteggersi, che non porta a niente allontanare gli altri solo perché non si vuole restare feriti. Vuole ritrovare il ragazzo che amava la musica sopra ogni altra cosa, senza la quale non riusciva a sentirsi completo, senza la quale non sapeva come sfogare le proprie emozioni, come sentirsi davvero se stesso.
E tutto questo soltanto grazie alla sua vicina, che per anni aveva visto di sfuggita passare dalla finestra sul retro del palazzo, ma che mai avrebbe immaginato potesse diventare il centro di tutto il suo mondo. Perché Letizia, adesso, è il punto a cui ruota ogni aspetto della sua vita, attorno a cui lui si ritrova sempre a girare, senza più chiedersi il perché. Letizia è la ragione del suo cambiamento, la sola persona in grado di leggergli l’anima fin nel suo angolo più profondo e nascosto; l'unica che è stata capace di mostrargli che la vita, nonostante il dolore, è bella sempre, in ogni sua sfumatura più lieve.
Per questo vuole migliorare, per questo vuole diventare la persona di cui Letizia potrà sempre fare fidarsi, sulla quale potrà sempre contare. Perché vuole ripagarla per avergli curato le ferite, per averlo fatto tornare a vivere sul serio, riuscendo ad oltrepassare la teca di vetro in cui si era rinchiuso sena accorgersene.
Ecco perché sta cercando di domare il suo desiderio, di cancellare il bisogno che il suo corpo ha della morfina. Sa che il modo migliore per partire è allontanarsi il prima possibile da ciò che lo ha ridotto in quello stato, trasformandolo in un'ombra che a stento riesce a reggersi sulle proprie gambe.
Per questo sta osservando la siringa, cercando di trovare il momento giusto per recidere del tutto la propria dipendenza, per cancellare ogni legame col passato.
Chiude gli occhi, respira piano, provando a non farsi distrarre dal battito del proprio cuore che sente corrergli sempre più veloce nel petto. Trattiene il respiro.
Poi è un attimo, e tutto quello che prima era nel cassetto della biancheria adesso è nello scarico del bagno, ormai inutilizzabile e irrecuperabile. Come le siringhe e i lacci emostatici, chiusi in piccolo sacchetto di plastica che Calum lancia fuori da camera sua attraverso la finestra, subito dopo aver tirato lo sciacquone. E non appena sente il lieve rumore delle siringhe che si frantumano a contatto con il suolo, non riesce a reprimere un sorriso.
Perché quella volta, finalmente, ce l'ha fatta, sul serio: è riuscito a dire no, ad allontanarsi almeno di qualche passo da quel baratro che, se solo lui avesse esitato un po' di più, lo avrebbe inghiottito del tutto, senza dargli alcuna via d’uscita. È riuscito a vincere parte delle proprie paure, proprio come ha fatto Madison.
E si ritrova a sorridere, ripensando alla sua migliore amica. Perché, se alla fine ha preso quella decisione così importante e drastica, è stato grazie anche a lei, che è riuscita a dimostrargli che tutti – persino un errore come lui – hanno diritto ad avere una seconda possibilità.
 
Sono passate alcune ore da quando ha assunto la sua ultima dose di morfina.
E Calum non aveva minimamente tenuto conto dei sintomi dell’astinenza. Dopo aver iniziato ad assumerla giornalmente, ad orari sempre più ravvicinati tra loro, avrebbe dovuto sapere che il suo corpo non avrebbe retto ad un dose mancata per troppo tempo. Sono quasi otto ore che non tocca una siringa, che le sue vene anelano quei pochi grammi di droga, che lui sta cercando in ogni modo possibile di trattenersi dall’uscire di casa per correre all’ospedale per procurarsela.
Si sente a pezzi, come se non avesse fatto altro che combattere un match di pugilato senza alcuna tregua. In più, nonostante sia pieno inverno, non riesce a smettere di sudare. Si è dovuto liberare della maglietta che aveva indosso, perché ormai era inutilizzabile. Eppure, la situazione non sta facendo che peggiorare.
Sospira mentre cerca un pacchetto di fazzoletti nei cassetti della scrivania. È il terzo che apre quel giorno. Si soffia il naso e arranca verso il bagno per rinfrescarsi il viso con l’acqua tiepida, sotto il cui getto tiene a lungo i polsi, cercando di stabilizzare i battiti del proprio cuore, che da un po’ sembra essersi trasformato in un cavallo lasciato al galoppo, senza alcun freno.
Non osa guardarsi allo specchio. Nonostante tutto, ancora si porta dentro il senso di vergogna che provava verso se stesso e che gli ha impedito di chiedere aiuto alla mora, di raccontarle dall’inizio tutta la sua storia; quella storia che, anche adesso, non ha la benché minima idea di come sistemare una volta per tutte.
Scaccia dalla mente quei pensieri. Non vuole affrontarli, non ancora. Soprattutto, non quando fatica a restare lucido, benché il suo corpo gli chieda di riposare almeno un po’. Si ritrova a sbadigliare, mentre i suoi occhi cercano il letto, sul quale si lascia cadere, sperando che l’inferno che ora sta sperimentando finisca in fretta.
Perché, nonostante tutto, il suo corpo vuole ancora quella dose. La reclama più dell’ossigeno. Eppure, ad ogni secondo che passa, quel desiderio sembra venir sempre meno, rimpiazzato dalla voglia crescente di spegnere in qualsiasi modo il fuoco che sente divampargli nelle vene. Un fuoco che lo distrugge e lo libera al tempo stesso, consumando ogni sua energia pur di arrivare fino alla fine, pur di concludere una vota per tutte quell’estenuante agonia che il moro spera di non dover più riprovate.
Ha gli occhi chiusi da un po’. Eppure non riesce a dormire, a prendere sonno. Ha la testa piena di pensieri, di immagini, di domande a cui non riesce a dare ordine. Intanto, le sue membra gli chiedono di far smettere il dolore, di cancellare quella brutta sensazione che si fa sempre più spazio dentro di lui.
Si rigira più volte nel letto, privandosi anche dei pantaloni, restando soltanto con la biancheria addosso, sperando che almeno qualcuno di quei sintomi diminuisca la sua intensità, lasciandogli almeno qualche secondo per riprendere fiato, per riacquistare le energie che gli servono per arrivare fino in fondo.
Ma non serve a niente. Perché il sudore fa incollare le lenzuola al suo corpo, imprigionandolo in un intrico di coperte contro cui Calum si ritrova a combattere con molta più forza di quanta servirebbe, dimenandosi, contorcendosi, quasi come se stesse cercando di liberarsi dalla morsa di un serpente che è riuscito ad intrappolarlo. Muovendosi a scatti, quasi rabbioso, strappa le coperte, riducendole a brandelli, lasciandole cadere sul pavimento insieme ai suoi indumenti.
Intanto, il cuore continua a battere forte, come se volesse scoppiare da un momento all’altro.
Prende uno, due, tre respiri per calmarsi appena un po’. E, all’improvviso, il sonno ha la meglio su di lui.
 
Cammina piano Letizia, mettendo distrattamente un piede davanti all'altro, senza preoccuparsi davvero di ciò che le sta intorno, non prestando attenzione alla musica che proviene dalle cuffiette che ha nelle orecchie, senza pensare al proprio cuore che batte a fatica. È come se si trovasse in una bolla, che la isola da tutto il resto, che ovatta il mondo circostante, imprigionandola nel silenzio e nell'apatia, impedendole di trovare il minimo contatto con la realtà, di capire se ciò che sta vivendo sia un incubo o la vita vera.
E tutto questo soltanto perché non riesce a mandar via la preoccupazione che prova per Calum.
In quegli ultimi mesi, ha tentato in ogni modo di non pensarci, di non lasciarsi sopraffare, di non dar spazio a quel sentimento che, passo dopo passo, sta diventando sempre più presente. Ha cercato di essere forte, di non mostrare la propria paura per non far preoccupare chi le vuole bene. Ha provato a relegare le proprie ansie nell'angolo più remoto sella sua mente, a mascherarle, a renderle inoffensive. Però non ci è riuscita.
Perché non riesce a non pensare al fatto che il suo ragazzo – anche se lui tenta di negarlo, di nasconderlo, di comportarsi come se niente fosse – stia continuando a farsi del male; non riesce a non pensare che, a lungo andare, potrebbe arrivare il punto di non ritorno, portandole via l'unica cosa bella della sua vita.
Perché Calum sta continuando a drogarsi, e lei non ha mai avuto bisogno di alcuna spiegazione per capirlo: le bastava vedere le occhiaie attorno agli occhi del maggiore diventare sempre più scure, sempre più marcate e il pallore della sua pelle sempre più preoccupante; le bastava notare il fatto che il maggiore si grattasse le braccia sempre più spesso e che cercasse in ogni modo – soprattutto nelle ultime settimane – di tenerla il più lontano possibile da camera sua. Le è bastato accorgersi che Calum le sta tutt’ora tenendo nascosto qualcosa di troppo importante, che qualcosa dentro l'anima del moro è tremendamente troppo vicina al limite del baratro.
Sospira piano, cercando di calmarsi, di rimettere in ordine il caos di pensieri che le stanno invadendo la testa.
Perché oltre alla preoccupazione, deve fare i conti anche con la rabbia che le cresce dentro ogni secondo che passa.
Rabbia contro la vita stessa, che quasi sembra godere immensamente nell’osservare la precarietà delle persone una volta spinte sul filo del rasoio a causa di forze più grandi di loro. Rabbia contro Calum che, testardo, si rifiuta di aprirsi con lei, di farsi aiutare, di pensare di avere una seconda possibilità. Rabbia soprattutto verso se stessa.
Perché esita sempre. Ogni volta che vede stare male qualcuno a cui tiene, si blocca perché non sa cosa dire o fare per essere d'aiuto in qualsiasi modo. Si blocca, come se avesse costantemente paura di sbagliare, di distruggere ciò che ama e che invece vorrebbe soltanto proteggere il più a lungo possibile. Si blocca perché ha paura di non essere abbastanza, di non avere forze sufficienti per ribaltare la situazione.
Anche con Calum sta esitando. Perché è consapevole di non conoscere ancora completamente la storia del suo ragazzo; sa che il moro non le ha detto tutto quando, alcuni mesi prima, si è aperto con lei parlandole della sua ex; sa che necessita di quella piccola parte mancante per capire davvero, per far combaciare ogni pezzo di quell’immenso puzzle che sembra toccare tutte le persone a lei più care. Come sa anche che solo Calum ha la chiave dell’enigma che, col tempo, è diventata la sua vita, di cui lei non ha mai chiesto niente: ha sempre aspettato, paziente e comprensiva, che il maggiore si lasciasse andare del tutto, che si fidasse di lei tanto da lasciarla finalmente entrare nelle ombre del suo passato.
Si sistema gli occhiali sul naso e sospira, mentre svolta l’angolo, diretta verso casa sua. Mentre sente un lungo brivido correrle lungo la schiena, simbolo della sua paura, del suo timore più grande.
Perché ha troppa paura di perdere Calum, da quando sono tornati ad essere l’uno parte della vita dell’altra. Ha troppa paura di perdere la persona più importante della sua vita, alla quale ha donato tutta se stessa, anima compresa; quella persona che le ha stravolto le giornate; che l’ha cambiata, curata, facendola tornare a splendere, a vivere sul serio. Ha troppa paura di restare da sola all’improvviso, dopo essersi completamente aperta a quel ragazzo che conosce i demoni che a lungo l’hanno tormentata e la capisce meglio di chiunque altro. Ha paura del dolore che potrebbe nuovamente provare se dovesse succedere qualcosa di brutto, un dolore che potrebbe farla cadere in un istante. E Letizia sa che, se mai dovesse accadere, non avrebbe la forza necessaria per rimettersi in piedi.
Ed è anche per questo motivo che vorrebbe che il moro smettesse di farsi male, di lasciarsi andare, di rovinarsi.
Perché si sono fatti una promessa, lei e Calum. Si sono promessi che sarebbero stati al fianco dell’altro in ogni momento, davanti ad ogni difficoltà, senza preoccuparsi dei problemi, senza dare troppo spazio al dolore e alla sconfitta. Si sono ripromessi di fare qualsiasi cosa pur di far avverare l’unico sogno che hanno e al quale si ancorano con tutti loro stessi per non perdere la bussola, per trovare la forza che a volte manca per combattere.
Perché Calum, anche se non vuole ammetterlo, sta ancora lottando contro i mostri del proprio passato. E Letizia non sa più che cosa fare per aiutarlo ad uscire definitivamente dal tunnel vizioso in cui è caduto.
Sente gli occhi inumidirsi, mentre scalino dopo scalino sale le scale sul retro del suo palazzo. Si affretta ad asciugare l’unica lacrima sfuggita al suo controllo, cercando di darsi un contegno.
Non può farsi vedere così dal maggiore. Non quando lui si sta silenziosamente affidando a lei per non affogare del tutto. Non quando Luke e Madison le hanno apertamente detto che lei è l’unica che può fare qualcosa, la sola che può cambiare davvero le cose, che può far tornare tutto com’era prima che la vita giocasse la sua parte.
Ed eccola lì, un’altra paura che non è mai riuscita ad ammettere con se stessa, nascosta in un angolo della sua anima per continuare a dare fastidio, indisturbata, semplicemente perché nessuno si accorge di lei: la paura di non essere pronta, o forte abbastanza, da reggere sulle proprie spalle il nuovo peso di cui si sta prendendo cura.
Apre piano la finestra della camera di Calum, sperando di trovarlo. Ha bisogno di parlargli, di fargli capire che non può andare avanti così, che non può mandare a puttane la sua vita e tutti gli sforzi fatti per arrivare fin lì.
Ma il cuore smette di batterle nel petto, non appena i suoi occhi si posano sul ragazzo disteso sul letto.
 
Perché Calum non sta bene. Ha il corpo madido di sudore, le occhiaie scure attorno agli occhi, la pelle troppo pallida, livida. Attorno a lui, le coperte sono ridotte a brandelli e il letto su cui disteso non è altro che un ammasso indistinto di lenzuola umide e spiegazzate. Il resto della camera è nel caos più completo, come se l’inferno che il ragazzo sta vivendo dentro di sé avesse trovato modo di uscire e manifestarsi anche all’esterno.
Letizia gli si avvicina piano. Ha paura di toccarlo, di fargli male in qualche modo. Non sa cosa fare, cosa dire per farlo stare meglio. Perché, prima di allora, non l’aveva mai visto in quello stato: sofferente, agonizzante, come se un fuoco lo stesse bruciando da dentro, passando per le vene e distruggendo lentamente tutto il resto, come una lunga tortura che non troverà la fine fino a che non avrà completato il suo percorso.
Il cuore le batte a stento nel petto, a fatica, come se in parte il dolore di Calum si stesse riversando in lei, pur di trovare una qualsiasi valvola di sfogo, pur di liberarsi.
«Cal?» lo chiama piano, senza mai smettere di guardarlo.
Lui apre gli occhi, lentamente. Ed è come se, all’improvviso, tutto precipitasse nel vuoto.
Perché quello sguardo assente, distante, perso, risucchia ogni cosa, facendola scomparire, disintegrandola, nascondendone per sempre l’esistenza. Lo sguardo di chi è ormai arrivato al limite e non sa più come andare oltre, come muovere gli ultimi passi che gli restano per essere definitivamente libero. Lo sguardo di chi sta impiegando tutte le forze che gli restano per combattere contro se stesso e vincere. Lo sguardo di chi sta cercando di non crollare, pur di arrivare fino alla fine. Lo sguardo di chi, adesso, sta finalmente ammettendo di aver bisogno di aiuto.
Perché è questo ciò che Letizia vede negli occhi color caffè del suo ragazzo, è questo ciò che Calum le sta chiedendo in silenzio: una mano per uscire completamente dalla trappola in cui è caduto molto, troppo tempo prima, e dalla quale, alla fine, è riuscito a trovare la giusta via d’uscita.
«Che cosa devo fare, Cal?»
Calum non risponde, indebolito dalla stanchezza e dal proprio corpo, che adesso sta tremando violentemente perché ha raggiunto il punto di rottura. Si limita ad abbozzare un sorriso, mentre dentro di sé il sollievo inizia a prendere pian piano il sopravvento sul dolore. Perché Letizia è lì, al suo fianco nel momento peggiore. È lì, con la mano tesa per rispondere alla sua richiesta, per aiutarlo a compiere l’ultimo passo prima di essere veramente libero.
E vorrebbe tanto risponderle, ringraziarla, per ogni volta in cui si è sentito perso e lei è sempre riuscita a trovarlo, per ogni grammo di amore che gli ha donato da quando si sono conosciuti; per essere l’angelo, il miracolo di cui aveva bisogno, che stava cercando da tempo. Vorrebbe dirle tante cose, Calum.
Ma il peso che ancora lo sta schiacciando gli impedisce di pensare, di parlare, di agire.
E si ritrova a tremare ancora più violentemente, mentre sente gli ultimi cocci della propria anima cadere a terra e frantumarsi, trasformandosi in polvere fine che viene portata via; mentre sente che, nonostante tutto, qualcosa di nuovo, più forte e sicuro, passo dopo passo si sta facendo strada tra le macerie del suo vecchio se stesso; mentre inizia ad intravedere la fine non appena chiude nuovamente gli occhi, cadendo prenda degli incubi per l’ennesima volta, da quando quella mattina si è sbarazzato della causa del suo inferno.
«Calum!»
Letizia lo chiama. Lo chiama ad alta voce, a lungo, scuotendolo piano, spaventandosi nel percepire anche troppo distintamente i brividi che corrono su quel corpo di cui ormai conosce a memoria ogni millimetro. Quello stesso corpo che adesso sta affrontando gli ultimi sforzi, gli ultimi istanti di dolore, prima di godersi la rivincita che Calum ha sempre cercato durante gli ultimi tre anni.
Il cuore le batte furioso nel petto, mozzandole il respiro, impedendole di pensare lucidamente.
Ha paura di ciò che ha davanti a sé: degli occhi del moro caduti preda del sonno, dei tremiti che gli attraversano la pelle, del suo respiro corto e affannato, delle poche cicatrici di puntura rimaste sulle sue braccia. Ha paura, si sente bloccata. Non riesce a muovere niente, neppure un passo.
È come se tutto, attorno a lei, fosse scomparso; come se il la camera di Calum si fosse volatilizzata, perdendosi nel vuoto, nel buio. Perdendosi in quell’incubo a cui la mora vuole mettere a tutti i costi una fine.
Continua a chiamarlo, a scuoterlo; cerca di svegliarlo, di farlo parlare. Ma è come se il maggiore fosse coperto da un velo sottile che lo isola da tutto il resto, rendendolo ancora più irraggiungibile di quanto già non sia.
«Calum, svegliati!»
Ha le lacrime agli occhi, Letizia, mentre sente montare dentro di sé un’energia che non credeva di avere, che le impedisce di crollare su se stessa a causa della paura e della preoccupazione. Un’energia che la sprona ad agire, a mettere in gioco tutto pur di aiutare Calum a vincere, pur di vederlo nuovamente sorridere sul serio, libero dalle ombre del proprio passato. Pur di non dare modo alla paura di prendere il sopravvento su tutto il resto.
«Svegliati! Ti prego!»
Ma è come se ogni sua preghiera fosse muta, come se non ci fosse niente da fare: Calum è preda del sonno e del dolore e lei non ha niente in mano per aiutarlo come vorrebbe.
Eppure non rinuncia, non ancora: non vuole darsi per vinta. Non sa che cosa sta succedendo al moro, né che cosa lui stia passando in quel momento. Sa soltanto che non vuole lasciarlo da solo a combattere, che gli darà una mano ad affrontare quell’ultima prova, pur di mettere un punto al dolore una volta per tutte.
Però… Ha paura, tanta. Perché non sa cosa fare, come rendersi utile.
Poi, all’improvviso, il silenzio di casa Hood viene rotto dal rumore stridente della porta che si apre.
Subito Letizia punta gli occhi verso il corridoio, senza preoccuparsi delle lacrime che sente scenderle sulle guance.
«Joy!»
Alcuni passi risuonano nel corridoio. La donna compare sulla soglia. Osserva i due ragazzi per un attimo, poi corre a fare una telefonata, mentre Letizia torna ad osservare Calum, col il cuore in mano che batte di nuovo a stento.
Pochi minuti dopo, un’ambulanza si ferma davanti il palazzo.






Letizia
Bellissimi, buona sera a tutti! <3
E... Beh, eccoci arrivati anche a questo punto della storia, un punto mooolto fondamentale, dato che il nostro Cal alla fine decide di allontanarsi definitivamente dalla droga.
Era anche l'ora, voi che ne dite? ;) Siete felici???? (Io sì *^*)
E che mi dite di Leti, che al nostro moro tiene sempre di più?! *^* Topina lei!!!!
Spero davvero che il capitolo di oggi (anche se lievemente più corto rispetto al solito) vi sia piaciuto :).
Mi raccomando, fatemi sapere che cosa ne pensate, ci conto! <3
Un bacione e a presto, Letizia <3

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Capitolo 37
*** Trentasette ***


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Trentasette
 
 
 
Per questo, alla fine, si trova sempre la forza di reagire e rimettersi in piedi.
Perché ci si rende conto che la vita è ancora lì, tutta da vivere.
Una vita di cui non si vuole perdere neppure un secondo.
 
 
 
Non sa da quanto tempo si trovi in quella stanza, Letizia. Ci è rientrata dopo essere tornata dall'ospedale, e si è subito messa a cercare nell'armadio una felpa di Calum per tenersi al caldo in quel freddo pomeriggio di fine agosto.
Si guarda attorno, in quella camera in cui non ha spostato niente. Si sente persa, spaesata, senza punti stabili su cui poter poggiare i piedi senza aver paura di cadere. Ed osservare tutto il caos che ha intorno le sembra strano, surreale, così tremendamente lontano da sé che quasi le pare un sogno, sfocato, poco nitido.
Si guarda attorno, come a voler trovare a tutti i costi una spiegazione per ciò che è accaduto, come a voler snodare in qualche modo il groviglio di pensieri che ha nella testa e che sembrano non avere alcun filo logico, alcun punto fermo, alcuna certezza. Si guarda attorno, ma in realtà non vede niente: in ogni cosa su cui posa lo sguardo, riesce soltanto a vedere Calum steso sul letto d'ospedale, con gli occhi chiusi, il respiro irregolare, il corpo scosso da brividi, bollente per la febbre.
È quella l'ultima immagine che ha del moro. La sola che è riuscita ad intravedere prima che gli infermieri chiedessero la porta della stanza per occuparsi di lui.
Si sistema distrattamente una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio, cercando di mettere a fuoco almeno la libreria che ha davanti a sé, senza rendersi conto di avere gli occhi pieni di lacrime fino a che una non le scende lungo il collo per poi sparire tra i vestiti, facendola rabbrividire e rendendo all'improvviso reale l'intera situazione.
Perché fino ad allora aveva creduto che si trattasse tutto di un brutto sogno, di un incubo da cui presto si sarebbe svegliata tra le braccia di Calum, che le avrebbe sorriso e baciato piano la fronte per darle il buongiorno, per poi stringerla forte a sé per non farla andare via, per non perderla.
Fino a quel momento, si era sentita racchiusa in una bolla, che l'aveva allontanata da ogni cosa, che le aveva fatto perdere il contatto con la realtà. Una bolla che si era formata quando aveva visto i medici entrare in camera di Calum per portarlo via; che si era rafforzata quando Joy le aveva detto di andare con lei all'ospedale e quando, una volta arrivate, Luke e Madison le erano andati incontro; che si era ispessita quando, tra le braccia della sua migliore amica, era crollata, lasciandosi andare, sfogando tutta l'ansia e la preoccupazione. Una bolla che aveva ovattato ogni suo pensiero, ogni sua sensazione, rendendola apatica, silenziosa come una bambola in balia del corso della vita, senza più alcuna forza nascosta da usare per non farsi tirare giù dalle proprie emozioni. Una bolla che le aveva impedito di capire la situazione, lasciandola nella confusione più completa.
Una confusione che non si è ancora dissolta, in cui soltanto tre parole spiccano su tutto il resto.
Sindrome da astinenza.
È così che i dottori hanno descritto ciò che è successo a Calum quel giorno, dando corpo a quel peso che solo il diretto interessato e pochi altri conoscevano. Un peso che, però, è piombato all’improvviso sui signori Hood, dal quale Joy è riuscita a difendersi in qualche modo, nonostante l’angoscia, riuscendo a rimettere in sesto anche David, nei cui occhi Letizia aveva visto una disperazione talmente forte da lasciarla senza parole.
Una disperazione che, nonostante l’ansia e la paura, lei non prova, neppure ripensando a come ha trovato il moro qualche ora prima. Perché sa che Calum ce la farà, che riuscirà ad uscire completamente dalla trappola che ha creato con le sue stesse mani senza saperlo; sa che non la lascerà sola, che sarà al suo fianco per realizzare i loro sogni e per darsi forza in quel futuro che hanno scelto di costruire insieme, l’una nella vita dell’altro. Sa che non deve perdere la speranza. Non adesso che, finalmente, qualcuno sembra aver ascoltato le sue preghiere.
Eppure, nonostante cerchi di tranquillizzarsi, di convincersi che non ha più bisogno di avere paura, non riesce a togliersi del tutto di dosso il senso di impotenza che l’aveva resa apatica, non appena aveva messo piede in ospedale. Si era sentita vulnerabile, fragile, come una foglia ormai secca pronta a cadere al primo soffio di vento, anche a quello più debole. Era come se la sua anima e il suo cuore avessero cominciato a rimpicciolirsi, pur di scomparire, pur di non occupare più alcuno spazio; come se avessero voluto ridurre al minimo le conseguenze dell’ansia e della preoccupazione che cercavano di prendere il sopravvento su tutto.
E lei si era ritrovata svuotata, senza più alcun peso che la tenesse ancorata al suolo.
Si era sentita persa, incerta su ogni passo da compiere. Vedere Calum in quelle condizioni l’aveva scioccata, privandola di un qualcosa che soltanto ora che è nuovamente lucida le sta tornando dentro, anche se a fatica; vederlo in quello stato l’aveva messa completamente davanti a parte di ciò che il moro si stava tenendo dentro da tempo, un dolore che, al solo sfiorarlo, aveva sconvolto ogni punto certo su cui aveva posato se stessa fino ad allora.
Quelle poche ore passate all’ospedale sono state le più lunghe ed estenuanti della sua vita. Si era seduta tra i suoi amici e i signori Hood, cercando di trovare un senso, una logica a quel silenzio assordante che le impediva di respirare, di pensare, di fare qualsiasi cosa, intrappolandola dentro se stessa. Era stata un’agonia non sapere che cosa stesse succedendo a Calum, cosa lui provasse, quanto fossero gravi le sue condizioni. Ogni minuto che passava senza che nessuno desse loro una spiegazione era una tortura, lenta, feroce, che si divertiva nel disintegrare la loro speranza, il loro voler vedere le cose almeno per una volta con un po’ di ottimismo.
Poi, all’improvviso, un medico era uscito dalla camera del moro, l’espressione stanca e tranquilla.
«Non preoccupatevi.» aveva detto. «Una volta finite le giornate di oggi e domani, Calum inizierà a stare sicuramente meglio, posso garantirvelo.»
E lei a quelle parole si era ancorata con tutta se stessa. Perché sapeva che non doveva perdere la speranza; sentiva che, almeno per quella volta, tutto sarebbe andato bene.
Sospira piano mentre chiude gli occhi e si massaggia lentamente le tempie, cercando di liberare la mente dalle immagini di poche ore prima. Sa che non dovrebbe pensare di nuovo a ciò che è successo; che dovrebbe metterci una pietra sopra, almeno per riposare tranquilla giusto quella sera; che non serve a niente continuare a cercare a tutti i costi una spiegazione; che dovrebbe essere paziente e aspettare soltanto un altro po’.
Eppure… Se c’è una cosa a cui non ha ancora rinunciato, è il fatto che ha bisogno di riempire il vuoto del passato di Calum che, nonostante sia quasi passato un anno da quando si sono conosciuti, ancora non le ha raccontato niente. Ha bisogno di sapere, di capire. Perché vuole evitare di riaprire vecchie ferite che potrebbero rovinare nuovamente tutto quanto; di toccare punti della sua storia che Calum non è ancora pronto ad affrontare. Vuole una spiegazione per evitare di causare ulteriore dolore.
E mentre cerca quella spiegazione, quella risposta, i suoi occhi passano distrattamente sui pochi volumi presenti nella libreria, di cui scorre velocemente i titoli per riempire il silenzio e la mente con qualcosa da fare, pur di non pensare. E all’improvviso, tra i vari libri posti sulle mensole, una Moleskine nera, piccola, nascosta tra tanti altri quaderni e libri di scuola, attira la sua attenzione, con i suoi angoli rovinati e le pagine vissute riga dopo riga.
La apre.
E il cuore quasi le scoppia nel petto, nel leggere il nome Rachel al centro della prima pagina, scritto con uno spesso pennarello nero. Un nome risalta distintamente sul bianco del foglio. Un nome che, subito, le ricorda ciò che le ha raccontato Michael un pomeriggio di alcuni mesi prima. Un nome che la riporta ad una storia che ha già sentito due volte, raccontatale da due persone completamente differenti. Uno nome che la spaventa, la rende inquieta, insicura. Un nome che le fa nascere addosso lunghi brividi che non sa come controllare; che le fa nascere dentro al cuore una sensazione strana, quasi di disagio, che non sa come gestire, mentre una sola, semplice domanda comincia a prendere posto su tutto il resto.
Perché Calum ha il diario di Rachel?
Scorre delicatamente le pagine scritte in nero, sperando di trovare almeno una delle tante risposte che le servirebbero per capire quell’enigma che, tassello dopo tassello, si sta facendo sempre più complicato, come un labirinto, in cui non ha la benché minima intenzione di perdersi.
Osserva attentamente la scrittura ordinata, piccola, sottile, che ha scavato lievi solchi sulle pagine, piene di quella vita che Letizia non ha avuto la possibilità di conoscere, anche se lo avrebbe voluto con tutto il cuore. Scorre il diario velocemente, cercando di non lasciare troppo campo alla curiosità che sente montarle dentro. Fino a che non arriva all’ultima pagina che, in un istante, mette a tacere ogni suo pensieri.
 
31.12.2013, 00:01 am
Ho deciso. Oggi la faccio finita sul serio.
Ho perso tutto. Ho perso me stessa. Che senso avrebbe andare avanti?
Io… Giuro che non ce la faccio più!
Ho provato a dirmi che sarebbe andato tutto bene, che sarei riuscita a distruggere il mio vuoto; a convincermi che ce l’avrei fatta, che non sarei caduta, che non mi sarei più fatta male.
Ho cercato di farmene una ragione, di accettare le parti di me che più odio. Ci ho provato tanto, davvero, con tutta me stessa, con tutto quello che avevo.
E invece sono riuscita soltanto a mandare tutto a puttane ancora una volta.
Perché sono una stupida: avevo creduto che sarei stata capace di salvarmi da sola, senza chiedere l’aiuto di nessuno. Perché nessuna delle persone che amo ha capito che sto ancora male, che i mesi passati in quel posto pieno di sconosciuti – Maddie a parte – non sono serviti a niente, che i miei incubi sono ancora qui con me.
Io… Sono un disastro, lo sono sempre stata.
Sono sicura che le persone a cui voglio bene staranno meglio senza di me.
Le libererò del peso di avere a che fare con un errore come me.
Come avrei dovuto fare molto tempo fa.
È la cosa migliore che posso fare.
Questa volta non mi guarderò indietro.
Addio,
Rachel
 
Il ticchettio dell’orologio che porta al polso è una delle poche cose che rompe il silenzio che si è creato nella stanza. Un ticchettio cadenzato, rumoroso, accompagnato dai battiti del proprio cuore, talmente potenti da scuoterla, talmente intensi da impedirle di respirare, di pensare a mente fredda, di capire fino in fondo.
Perché non avrebbe mai immaginato che Rachel avesse sofferto così tanto; che il suo fosse stato un gesto mosso da una disperazione così grande. Non avrebbe mai pensato che quelle parole avrebbero potuto farle così male. Né che l’avrebbero fatta piangere.
Perché sente anche troppo distintamente le lacrime che, pian piano, in silenzio, le stanno scendendo dagli occhi, rigandole le guance, nascondendosi tra i vestiti. Lacrime che bruciano, che fanno male, che rendono quella storia ancora più reale e difficile da accettare.
Perché Letizia non riesce a capire perché la vita di Rachel sia dovuta finire in quel modo; perché quella vita unica e preziosa sia dovuta andar via troppo presto rispetto alle sue coetanee; perché quella vita splendida sia stata macchiata da un dolore che nessuno dovrebbe mai provare.
E mentre cerca di riprendersi, di calmarsi, un foglio ripiegato cade dalla Moleskine, attirando la sua attenzione, distogliendola almeno per un istante dal dispiacere che sente crescerle dentro. Perché, fin da quando Michael le aveva parlato della sorella, in lei era nata la convinzione che la vita di Rachel fosse speciale; e adesso, sapere che quella ragazza non c’è più, che non avrà un futuro in cui poter realizzare i suoi sogni, le fa male, tanto. Perché sente che la giovane Clifford aveva tanto da dare e, soprattutto, ricevere.
Sospira mentre apre il foglio bianco.
E subito le mani cominciano a tremarle, non appena inizia a leggere. Il cuore le batte talmente piano nel petto, che potrebbe fermarsi da un momento all’altro. I brividi le corrono sulla pelle senza alcun controllo. Il corpo freme, incapace di reggersi sulle proprie gambe, mentre lei, parola dopo parola, trova tutti i tasselli che le mancavano per completare il puzzle.
E finalmente capisce perché Calum non le abbia mai detto niente, perché si sia sempre rifiutato di incontrare Ashton e Michael ogni volta che lei glielo proponeva. Capisce perché nessuno – neppure Luke o Madison – le abbia mai parlato di cosa è davvero successo. Capisce il dolore di Calum e il fatto che lui stesse cercando il giusto momento per dirle tutto. Capisce Ashton e Michael, legati da una silenziosa promessa che hanno mantenuto fino alla fine. Capisce il dolore che aveva visto negli occhi di Calum la prima volta che si erano incontrati; quello stesso dolore di cui adesso non c’è più alcuna traccia. Capisce tutto quanto.
E finalmente si sente libera da un peso che non aveva più idea di come poter portare dentro di sé.
Non si preoccupa delle lacrime che ancora le solcano le guance, né dei singhiozzi o dei tremiti, mentre lascia che le parole scritte in blu su quel foglio bianco le entrino nell’anima, per non uscirne più; mentre lascia che il sollievo e la speranza prendano il sopravvento su tutto il resto.
 
17.08.2016, 11:00 am
Ciao Rachel.
Sono io, Calum. Quello che fino a due anni e mezzo fa era il tuo ragazzo. Quello che, dopo che tu hai deciso di farla finita senza dirmi niente, ha perso tutto, letteralmente.
Ho perso persino l’amicizia che avevo con tuo fratello Michael, ci credi?
Da quando sei morta, non ho più avuto il coraggio di parlare con lui. E sai perché?
Perché mi vergognavo di me stesso. Mi vergognavo di non essere stato capace di notare il tuo bisogno di aiuto, di aiutarti a rimetterti in sesto. Mi vergognavo di essermi comportato come uno di quei tanti ragazzi superficiali e vuoti che hai sempre odiato; di non averti capita e di averti lasciata da sola ad affrontare le tue paure, i tuoi problemi. Mi vergognavo di non averti aiutata, di non aver capito in tempo come stavano davvero le cose. Mi vergognavo perché, se solo fossi stato più attento, tu saresti ancora qui insieme a noi, ne sono sicuro. Mi vergognavo perché sapevo che era colpa mia se tu non c’eri più.
Mi vergogno ancora adesso, perché so che le cose non potranno mai cambiare. Perché non c’è rimasto niente su cui poter lavorare per costruire qualcosa di nuovo.
Io… Ancora non riesco a credere che tu l’abbia fatto sul serio, che ti sia buttata proprio da quella fottuta scogliera di cui dicevi di avere una paura folle.
Da quando ho trovato questa Moleskine, non ho fatto altro che leggerla, ogni giorno, ogni ora, per capire il tuo dolore, per capire che cosa ti avesse portato al limite. All’inizio non ci riuscivo: ero così arrabbiato, con me stesso, con te, con tutti gli altri; non riuscivo a capire dove stavo andando, né che cosa fosse davvero successo. Mi rifiutavo di accettare la tua assenza.
Poi però le cose sono cambiate. E, lo giuro , adesso ho capito che cosa provavi quando stavi male.
Perché, in parte, il tuo dolore è stato lo stesso che ho vissuto io dopo che te ne sei andata. E all’inizio era talmente forte, devastante, che è riuscito a schiacciarmi e distruggermi in un secondo, spazzando via tutto quello che avevo, creando in me un vuoto che da solo non sono mai riuscito a riempire.
Per dimenticare, per non pensare a te o a tuo fratello, per evitare il dolore, ho iniziato a drogarmi.
Ti prego, quando leggerai queste parole, non dire niente. Perché so che è stata la scelta peggiore che potessi fare.
Però… Non ce la facevo ad affrontare la tua assenza, né il senso di colpa che provavo verso di te e verso Mike. Era un inferno e lo è tutt’ora, anche se qualcosa, almeno in parte, sta migliorando.
Io… Avevo bisogno di farlo, avevo bisogno di dimenticare. Credevo che annullarmi sarebbe stata la soluzione migliore. Perché ero stanco di soffrire, di sentirmi vuoto, privo di tutto; credevo che, con la droga, ciò che provavo se ne sarebbe andato, prima o poi. E per qualche tempo sembrava davvero così: prendevo una dose di morfina soltanto quando il dolore diventava veramente insopportabile, la mente mi si annebbiava ed io stavo meglio, anche se sapevo che non sarebbe servito a niente.
Come sapevo che iniziare a farmi fare di nascosto le analisi del sangue da Ashton all’ospedale, in realtà fosse soltanto un pretesto per sapere come stesse tuo fratello, soprattutto dopo che un idiota ubriacone l’ha investito.
E… Cazzo, io avevo bisogno di te quando Mike è rimasto all’ospedale per tutti quei mesi. Avevo bisogno di te per continuare a sperare che sarebbe andato tutto bene Avevo bisogno di te, e tu invece non c’eri!
Perché non ti sei preoccupata di quante ferite avresti causato a me, a tuo fratello, ai tuoi genitori. Credevi di essere un peso, quando invece era l’esatto contrario! Perché non ti sei mai sfogata con me? Perché?
Non c’è stato un solo giorno, in cui io non mi sia chiesto il perché tu ti fossi comportata così. E sai una cosa? Alla fine ho smesso di cercare una risposta. Perché neppure così le cose sarebbero cambiate…
Perché, per tutti questi anni, sei mancata tu a fare da collante tra me, Luke, Ash e Mike. La tua assenza faceva troppo male; nessuno di noi riusciva più a suonare, cantare o fare qualsiasi altra cosa insieme. Ci siamo persi. E ora come ora non so se saremo capaci di ritrovarci in futuro.
Eppure… Forse qualche speranza ancora resiste, sai?
Perché c’è una persona che è stata capace di guarire il vuoto che tu hai lasciato. Una persona che è arrivata all’improvviso, quando ormai credevo di essere arrivato al limite, quando stavo per perdere sul serio tutto. Una persona che è riuscita a rimettermi sulla buona strada, salvandomi da me stesso.
È la migliore amica di Madison.
Son sicuro che ne avete parlato quando eravate in camera insieme al centro di recupero.
Si chiama Letizia.
Ed è il mio miracolo.
Se non ci fosse stata lei, io… Non so che cosa avrei fatto, né che cosa ne sarebbe stato di me.
Lei… Mi riempie le giornate, mi fa stare bene, mi fa vivere. E nonostante mi sia rovinato con le mie stesse mani, diventando dipendente dalla merda che ho usato per dimenticarti, lei è ancora qui, accanto a me, dandomi qualcosa che non avrei mai pensato di poter provare per qualcuno.
Lei è… La ragione che mi ha spinto a mettermi in gioco, completamente, pur di smetterla di farmi male; il motivo per cui ho deciso di cambiare. Perché Letizia si merita solo il meglio. E voglio essere io il solo capace di darle tutto ciò di cui ha bisogno per essere felice.
Io… Dio, quanto la amo.
Sono sicuro che ti sarebbe piaciuta.
Soprattutto perché è grazie a lei e a Madison, se Luke, Ash e Mike sono tornati a stare bene davvero.
Dovresti vederli, adesso: le adorano! Le trattano come una sorella minore fin da quando le conoscono!
E so che anche tu ne saresti felice.
Per quanto mi riguarda…
Non avrò mai parole a sufficienza per descriverti quanto Letizia significhi per me, quanto sia importante, quanto la ami. Non sarò mai in grado di descriverti quello che sento ogni volta che la vedo, che sono con lei; né sarò mai capace di capire come, tra tanti, proprio lei sia capitata all’improvviso nella mia vita.
Io…
È grazie a lei se oggi sono ancora qui. Se ho capito che ho ancora tante cose da fare e vedere. Se ho capito che, nonostante gli errori, posso avere una seconda occasione.
È grazie a lei se, stamattina, ho deciso di buttare via tutta la morfina che avevo in casa. Perché voglio disintossicarmi, voglio essere migliore.
È grazie a lei se sono ancora vivo; se ora sono qui, Rachel, a scriverti per l’ultima volta.
Perché voglio ringraziarti per ogni istante di te che mi hai donato, per quel poco che abbiamo condiviso.
Grazie, sul serio.
Sai che questo da parte mia è un addio.
So che capirai.
Grazie ancora, per tutto.
Ti vorrò sempre bene.
Con affetto, Calum
 
Non si preoccupa di niente, Letizia.
Perché adesso ha finalmente tutti i tasselli che stava cercando; ha la spiegazione di cui aveva bisogno per capire.
E adesso sa che può finalmente stare tranquilla e che l’unica cosa che le resta da fare è continuare a sperare.
Con tutta se stessa.






Letizia
Tesori miei, sorpresa! <3
Pubblico di venerdì perché domani ho un impegno, ahahah ;).
E... Che capitolo vi porto!!!!
Insomma, finalmente qui abbiamo davvero tutti i tasselli, tutti i fili sono venuti a galla e anche la nostra mora li ha finalmente chiari (inserire qui cori di "Era anche l'ora", ahahah ;)).
Penso che molti di voi già avessero capito un po' come stessero davvero le cose. Per chi invece non avesse capito, beh, qui avete trovato la spiegazione a tutto :).
Spero che il capitolo vi sia piaciuto *^*
Una cosa molto importante: per il prossimo capitolo tenetevi forte, perché ci sarà una bella sorpresa u.u
Detto questo, scappo a studiare (questa università inizia a farsi sentire o.O).
A presto e grazie mille per tutto! <3
Un bacione, Letizia <3
P.s.: se avete voglia di farmi sapere che cosa pensate di questa storia, non esitate a scriverlo! Leggo e rispondo molto volentieri ai vostri pareri (e consigli, che sono sempre ben accetti ;)).

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Capitolo 38
*** Trentotto ***


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Trentotto
 
 
 
Una vita che, all’improvviso, dopo il dolore, regala la felicità più grande di tutte.
Una felicità nata dall’amore, senza confini, impossibile da contenere o capire fino in fondo.

Una felicità duratura, capace di sanare ogni ferita, di cancellare ogni errore.



Quel sabato mattina, la sveglia suona troppo presto, strappandola all’improvviso dalle poche ore di sonno che, quella notte, si era conquistata a fatica. Perché non riusciva a smettere di pensare a Calum, a come stesse, a cosa avrebbero fatto insieme una volta che lui sarebbe svegliato; non riusciva ad allontanare il cuore dal moro, come se quello strano organo che funziona completamente a modo proprio, stesse aspettando il risveglio del ragazzo per tornare a battere regolarmente. Perché soltanto Calum ha un potere simile su di lei.
Senza aprire gli occhi, tasta piano il comodino accanto al letto e spegne la sveglia, lasciando che il tepore del sonno la accarezzi ancora un po’, cullandola, rilassandole i muscoli costantemente tesi a causa della preoccupazione che ancora non riesce a mandare via del tutto.
Perché è da tre giorni che Calum è all’ospedale, in coma farmacologico, per superare meglio gli effetti dell’astinenza, per ripulirsi completamente senza provare troppo dolore. Tre giorni che, per lei, sono stati costellati da picchi d’ansia improvvisi, subito cancellati dalla speranza sempre più forte che sente crescerle dentro ad ogni ora. Tre giorni in cui è sempre andata in ospedale per il moro, non appena finiva le lezioni all’università; e ogni volta le è sembrato strano. Perché quelle visite le hanno ricordato tanto i pomeriggi passati in compagnia di quel ragazzo che, col tempo, è diventato il suo migliore amico, una delle persone a cui tiene più della sua stessa vita.
E Letizia sa che, se non fosse stato per Michael, avrebbe potuto perdere il controllo in quegli ultimi giorni, a causa dello stress che fa sempre più fatica a gestire.
Giorni in cui, allo stesso tempo, i due amici hanno avuto modo di chiarire il perché Michael non le avesse mai raccontato niente di Calum, della loro amicizia, del loro passato in comune, del fatto che Rachel avesse avuto un posto così tremendamente importante nella vita di entrambi: era spaventato, lui, della piega che avrebbe potuto prendere tutto quanto; non voleva che vecchie ferite si riaprissero, né che troppe persone soffrissero ulteriormente.
«Non sarei stato comunque tenuto a parlartene.» aveva concluso. «Calum è il tuo ragazzo, non il mio. Non potevo non rispettare il suo voler trovare il momento giusto per parlartene a cuore aperto.»
«Neppure se questo avesse significato aspettare quasi un anno?» aveva chiesto; il maggiore aveva annuito.
E la mora si era ritrovata a capirlo, a stringerlo forte, ad abbracciarlo come non faceva da tempo. Perché, semplicemente, non era riuscita a contenere la felicità immensa che aveva provato nel sapere che la sua vita e quella di Calum erano – e saranno sempre – costellate da persone uniche e preziose, che li amano oltre ogni limite e che farebbero letteralmente qualsiasi cosa pur di farli stare bene, pur di vederli sorridere.
Al ricordo del suo migliore amico, Letizia si ritrova a sorridere, mentre si alza pigramente dal letto e apre la finestra, lasciando che gli occhi ancora socchiusi si gustino il panorama di quella fredda mattina di fine agosto. E deve proprio ammetterlo: Sydney, la sua città, la sua capitale, non le è mai sembrata più bella di quel momento, con la foschia lieve sopra i tetti delle case e alcuni lampioni ancora accesi per le strade, mentre le altre persone pian piano iniziano a svegliarsi e a vivere una nuova giornata.
E continua a sorridere mentre, andando in bagno, legge i vari messaggi che i suoi amici le hanno inviato, chi durante la notte, chi soltanto qualche minuto prima.
 
Da: Madison, 20.08.2016, 02:23 am
E comunque, cara amica mia, mi aspetto grandi novità da voi due quando quello scemo di Calum si riprenderà.
 
Da: Luke, 20.08.2016, 03:45 am
Non posso crederci che adesso i ruoli si siano invertiti! Comunque, non preoccuparti, Leti. Ti voglio bene!
 
Da: Ashton, 20.08.2016, 08:32 am
Lewis, hai intenzione di consigliarmi altri libri di Dickens? Sono tutt’orecchie (avevi ragione, Grandi speranze mi è piaciuto parecchio – e si è pure dimostrato un ottimo alleato per passare i pomeriggi in sala d’attesa)!
 
Da: Michael, 20.08.2016, 10:07 am
Domani vedi di non darmi buca. Ho voglia di stare con la mia migliore amica prima di concederla a tempio pieno a quell’idiota di Hood.
 
Sorride perché, finalmente, il vuoto che da anni sentiva dentro sta pian piano scomparendo, le ferite che non sapeva come curare non fanno più male, il dolore sordo che non riusciva né a capire né a mandar via si sta ormai affievolendo. E questo solo grazie a quelle persone che ha la fortuna di poter considerare amiche; quelle stesse persone con cui sarà sempre in debito. Perché l’hanno fatta tornare a vivere, standole accanto ad ogni passo, senza preoccuparsi dei momenti bui né del casino che si è sempre portata dietro.
Entra nella doccia e lascia che il getto dell’acqua calda la svegli del tutto, accarezzandole il corpo e stuzzicando le ultime parti di lei ancora preda del sonno. Si rilassa, relegando in un angelo le ansie e le preoccupazioni almeno per un po’, quel tanto che basta per iniziare la giornata col piede giusto.
Una volta finito, indossa l’accappatoio e si mette a cercare il phon dentro ai mobili. E mentre sposta i vari oggetti per vedere meglio, si ritrova in mano un pacco dei suoi assorbenti, ancora chiuso.
All’improvviso, sente l’acqua che ha ancora addosso congelarsi sul proprio corpo, mentre una strana idea comincia a farsi largo tra i suoi pensieri, seguita da piccoli brividi che arrivano fino alle mani, rendendole tremule, obbligandola a tenere il pacco con entrambe ben stretto a sé.
Lentamente, torna in camera, camminando come una macchina, come se non fosse davvero lei la persona che sta percorrendo il corridoio, con il cuore che le batte talmente forte nel petto che potrebbe uscirle, con i polmoni che faticano a riempirsi d’ossigeno, mentre una strana sensazione prende sempre più campo dentro di lei.
Come se non fosse lei a tremare e a mettere a soqquadro la propria camera; a frugare velocemente nei cassetti della scrivania per trovare la piccola agenda che sta cercando. Come se non fosse lei ad aprirla e a scorrere convulsamente le varie date segnate, tentando intanto di restare lucida per contare bene.
Poi, all’improvviso, il piccolo quaderno le scivola di mano, cadendo rumorosamente sul parquet del pavimento, riportandola drasticamente alla realtà.
E Letizia riesce a pensare soltanto ad una cosa.
«È impossibile.»
 
Subito dopo essersi preparata in più in fretta possibile, era uscita di corsa di casa per prendere il bus che la portasse alla farmacia più lontana da casa sua – perché era sicura che non sarebbe riuscita a vincere l’imbarazzo di presentare il suo acquisto alla commessa della farmacia all’angolo che conosce da una vita.
Aveva passato l’intero tragitto a cercare di calmarsi, di trovare una spiegazione logica, plausibile a quel calcolo che non tornava – magari una semplice dimenticanza; dopotutto, gli ultimi mesi erano stati pieni di talmente tante cose che probabilmente si era scordata di annotare quella piccolezza. Si era ripetuta più e più volte che non doveva preoccuparsi così tanto, che sarebbe andato tutto bene, che non ci sarebbero stati problemi. Si era detta che non doveva fasciarsi la testa per niente, che non doveva subito pensare al peggio; che, se davvero fosse stato reale, avrebbe trovato il modo di far funzionare le cose, ne era sicura.
Aveva provato ad ascoltare la musica, a perdersi in quel mondo fatto di note e parole. Ma neppure la sua amica più fidata era riuscita a zittire il turbine di pensieri che avevano iniziato ad attraversarle la mente, confondendola, rendendola instabile; neppure le canzoni che amava di più erano state capaci di allontanare i dubbi, l'ansia, la preoccupazione per quel qualcosa che, se si fosse dimostrato più che concreto, avrebbe seriamente stravolto tutto.
Aveva trascorso il viaggio con le mani ancorate convulsamente ai bordi della borsa, strette così tanto tra loro che le nocche si erano presto sbiancate, mentre teneva gli occhi fissi su ciò che vedeva dal finestrino, concentrandosi fin sul più piccolo particolare pur di non pensare, pur di tenere la mente occupata con qualsiasi altra cosa.
Quasi non si era neppure accorta della fermata. Era scesa di corsa e si era diretta alla farmacia, i passi incerti, le gambe tremanti, lo sguardo puntato a terra e i battiti del cuore che non riuscivano a fermarsi neppure per un secondo, facendola tremare, scuotendo ogni sua più piccola cellula.
Era entrata nel negozio. E solo quando si era trovata di fronte al ripiano di ciò che stava cercando, si era resa conto che l’intera situazione era ben più grande di quanto avesse voluto credere. Una situazione che non sapeva proprio come gestire. Perché non aveva mai affrontato qualcosa di simile e improvviso. Qualcosa che, irrimediabilmente, cambia di tutte le persone che ne entrano in contatto.
Aveva sospirato una, due, tre volte, cercando di calmarsi, di rallentare i battiti del proprio cuore, di rimettersi in sesto, di relegare in un angolo almeno per qualche minuto il caos di emozioni che stava provando da quando aveva visto il pacco di assorbenti ancora intatto.
Aveva preso qualche scatola – anche adesso non saprebbe dire di preciso quante – ed era andata alla cassa, con gli occhi nuovamente puntati a terra e le mani tremanti mentre dava i soldi alla commessa.
«Non preoccuparti tesoro.» le aveva detto quest’ultima, prima che la mora uscisse dalla farmacia, catturando la sua attenzione e facendole alzare lo sguardo a fatica, per trovare in quello dell’altra soltanto un’immensa tenerezza. «Questo dono non potrà mai essere la causa dei tuoi problemi.»
La ragazza aveva sorriso debolmente ed era uscita, per poi ritrovarsi seduta sull’autobus qualche minuto dopo.
E quel viaggio di ritorno si era rivelato completamente diverso dall’andata. Perché le parole della donna non avevano fatto altro che pulsarle dentro, come un disco rotto, fermo sempre sullo stesso punto.
 
Quelle stesse parole a cui Letizia continua a pensare anche adesso, a distanza di ore, rannicchiata sul divano del soggiorno; gli occhi chiusi come la mente, la testa nascosta tra le braccia e le mani strette attorno a quei test di gravidanza che, non appena era rientrata, le avevano dato tutti la stessa disarmante risposta. Quelle stesse parole che le risuonano dentro come un tamburo, impedendole di pensare ad altro.
Sospira mentre si passa distrattamente le mani tra i capelli lasciati liberi sulle spalle; mentre si sente rabbrividire al solo pensare a cosa dovrà affrontare molto presto; mentre cerca di non perdere se stessa di nuovo, a causa di un qualcosa estremamente più grande di lei; un qualcosa che non ha idea di come conviverci quando arriverà il momento; un qualcosa che aveva sperato di avere insieme a Calum, solo... Non così presto.
Perché ha ancora tante cose da fare, imparare, capire, prima di prendersi una responsabilità simile, prima di intraprendere un viaggio che sarà sempre un’incognita continua. Un viaggio che, ora, con tutta la confusione, l'ansia e la preoccupazione che ancora prova, non crede di poter portare avanti.
Perché ha paura di sbagliare, di non essere adatta per quel ruolo che, nonostante ciò che ha vissuto, vorrebbe poter avere nella vita di una persona. Perché vorrebbe essere per qualcuno ciò che le è sempre mancato, anche se non completamente, sopratutto grazie ad Azura che, da quando Calum è in coma, non ha fatto altro che sorreggerla, aiutandola a non crollare, a vedere le cose sotto una luce diversa, migliore.
Vorrebbe essere ciò che sua zia è diventata per lei negli ultimi mesi, dopo anni passati a vivere come due sconosciute. Vorrebbe essere la forza che la donna è diventata per lei, trasformandosi nell'ancora che la riporta in superficie ogni volta che ce n’è bisogno; diventando parte di quella medicina che, passo dopo passo, è riuscita a curare tutte le ferite del passato.
Azura è diventata la madre di cui Letizia ha sempre sentito il bisogno in tutti quegli anni passati l'una lontana dall'altra. Si è dimostrata essere la persona su cui la giovane sa di poter contare ogni giorno, nonostante gli errori, nonostante i silenzi o il risentimento. Si è dimostrata essere la sola persona che la amerà sempre, apprezzando ogni suo pregio e difetto come la cosa più bella del mondo; quella persona capace di farla sentire a casa, protetta, come la mora non aveva mai provato prima; quella persona che la conosce meglio di chiunque altro, che non ha bisogno di parole per capire cosa stia succedendo. Quella persona che la ama immensamente, di quell'amore che Letizia ha cercato per tutta la vita. Quel tipo d'amore che, finalmente, riempie ogni suo spazio vuoto, guarnendole le ferite e dandole il coraggio che le serve per non mollare mai.
E la ragazza sa che, se le cose tra lei e sua zia sono migliorate così tanto, è anche grazie ai suoi amici che, a modo proprio, le hanno dimostrato che la speranza non muore mai; che non è mai troppo tardi per cambiare e riprendere a combattere per un qualcosa che si credeva perso in partenza.
Azura è sua madre. Lo è sempre stata.
Ed è anche per questo motivo che non sa quali parole usare per spiegarle l'intera faccenda; per raccontarle di Calum, di Madison e Luke, di Rachel, di Michael e Ashton; per parlarle di quel piccolo grande miracolo che, pian piano, si sta facendo sempre più spazio dentro di lei, cauto, piccolo, mite, come un pulcino che non sa dove andare perché ha perso di vista la strada giusta. Quel piccolo grande miracolo di cui, tuttavia, ha paura, tanta.
E se dovesse sbagliare fin dall'inizio? Se non fosse capace di capire di cosa ci sia bisogno per far funzionare tutto? Se non riuscisse ad essere la persona adatta per quel ruolo? Se non fosse in grado di tenere le fila di ogni cosa? Se neppure Calum riuscisse a darle una mano? Che cosa accadrebbe allora?
Sospira di nuovo, stanca di tutto, mentre prova a scollegare la mente da ogni pensiero.
Ma il suono della porta che si apre e dei passi che sente in corridoio glielo impediscono. Perché, non appena alza lo sguardo, Azura è davanti a lei; il cappotto ancora addosso e le buste della spesa ancora in mano.
Si guardano a lungo, perdendosi negli occhi dell'altra: il cioccolato nel grigio, il terrore nella sicurezza, l'ansia nella pazienza. Non sanno cos'altro fare, cosa dire per capire cosa stia succedendo. Non hanno idea di come affrontare una situazione simile, mai capitata prima negli ultimi otto anni. Si guardano, con le parole che non sanno come uscire, con i battiti affannati del cuore che le fanno tremare, col silenzio che pesa su di loro come un macigno.
Un silenzio che, alla fine, è la donna a rompere, con quella domanda che Letizia si era aspettata fin dall'inizio.
«Tesoro, che succede?»
La mora non risponde, non riesce a trovare le parole. Non si rende neppure conto di star piangendo, fino a che una lacrima non le scende lungo il collo, facendola rabbrividire, rendendo reale sul serio tutto quanto. Ed è solo quando Azura la stringe forte a sé, che finalmente i suoi muri crollano definitivamente, che le sue resistenze cedono, lasciandola in balia delle proprie emozioni, lasciando che l'ansia, la preoccupazione e la paura si sfoghino; lasciando che il cuore si alleggerisca di tutte quelle novità arrivate troppo in fretta per essere capite fino in fondo. Si sfoga, si lascia andare completamente, si libera di ogni catena ormai arrugginita dal tempo, lascia cadere dietro di sé ogni peso per non riprenderlo più sulle proprie spalle. Si sfoga, si sente bene.
Si sete libera, come aveva sempre voluto essere.
E piange, mentre Azura la stringe sempre più forte ad ogni singhiozzo. Piange a lungo, liberando tutto ciò che, fino a quel momento, aveva cercato di reprimere, di nascondere, pur di non pensarci, pur di non cadere e lasciarsi sopraffare. Piange, singhiozza, trema, mentre torna a respirare, a vivere sul serio. E Azura resta lì, con lei, e la tranquillizza, con lievi carezze sulla schiena, sulle spalle, facendola sentire protetta, al sicuro in quell'appartamento, in quella casa che, per lei, sarà sempre aperta. Resta al suo fianco, trasformandosi nella forza che serve alla mora per compiere l'ultimo passo, prima di chiudere definitivamente le porte con il passato.
Per questo fa sedere l'altra accanto a sé sul divano, mentre lei si rannicchia di nuovo, prendendo un respiro e asciugandosi, per come può, quelle lacrime che, pian piano, stanno lasciando posto ad un coraggio che non avrebbe mai creduto di avere.
«Devo parlarti.»
Sospira, sistemandosi nervosamente gli occhiali neri sul naso.
Poi racconta tutto a Azura, Letizia, senza tralasciare niente. Racconta del suo primo incontro con Calum e poi di quello con Luke. Racconta di Ashton e Michael, dell'amicizia che l'ha legata fin da subito con quei ragazzi meravigliosi. Racconta di Madison, dei suoi silenzi, dei suoi occhi stanchi che non è mai riuscita a decifrare a tempo debito. Racconta di quanto Michael sia stato importante per lei fin dal primo istante e di quanto, giorno dopo giorno, Ashton si sia rivelato prezioso. Racconta del peso di Luke che adesso non c'è più ma che, tempo prima, avrebbe potuto far cadere il biondo in qualsiasi momento, se lui non avesse provato a resistere. Racconta del buio di Calum, di come si fossero trovati simili, troppo bisognosi l'una dell'altro per restare in piedi nonostante tutto. Racconta di come le cose tra lei e il moro siano andate, della paura che aveva provato all'inizio e che solo lui era stato capace di mandar via. Racconta dell'ultimo anno, pieno di talmente tante novità e cambiamenti che, a volte, lei ancora fatica a capire del tutto; un anno pieno di domande, di ansie e insicurezze, spazzate tutte via da ciò che le persone che ama le hanno dato in silenzio, inconsciamente, senza accorgersene; un anno stravolgente, che le ha ricordato che la speranza non muore mai, neppure quando ogni cosa sembra andare a rotoli senza alcun rimedio.
Racconta, Letizia, senza fermarsi.
E Azura la ascolta attenta, paziente, assicurandosi di non perdere neppure una parola di ciò che sua figlia le sta dicendo. Perché, per lei, ogni più piccola cosa che riguarda Letizia è importante, perché sono quelle stesse piccole cose che la aiutano a capire la giovane donna che la sua bambina sta diventando. Sa che Letizia non è davvero sua figlia, eppure... È stata il regalo più grande che la vita potesse farle: dopo la perdita dei suoi genitori, di Elizabeth e il fatto che non sia mai riuscita a trovare la persona giusta con cui condividere le proprie giornate, Letizia è diventata il centro di tutto il suo mondo, per la quale ha fatto letteralmente qualsiasi cosa pur di renderla felice.
Per questo motivo, quando la verità è venuta alla luce troppo presto, lei non aveva saputo che cosa fare. Aveva avuto paura di perdere del tutto il suo tesoro più grande, di dover rinunciare a quella stella che ha sempre avuto bisogno d'amore. Perché Azura è sempre riuscita a  leggere molto bene gli occhi della piccola Lewis, e ogni volta che vi vedeva quel senso di vuoto fare da padrone su tutto il resto, si impegnava anima e corpo pur di mandarlo via. E sa che non sarà mai grata abbastanza a quei ragazzi che sono arrivati dove lei non è mai riuscita a mettere piede, quei ragazzi che le hanno riportato la sua bambina, in ogni sua più piccola parte.
Ascolta attenta e preoccupata, perché non vuole più commettere gli errori del passato.
Letizia parla a lungo, si svuota dei pensieri e dei ricordi che le hanno affollato la mente per tutto quel tempo. Si libera dei segreti che non riusciva più a tenere. Si apre ad Azura come non aveva mai fatto prima. E, nonostante la paura, deve ammettere che sta andando molto meglio di quanto avesse immaginato: parlare le viene semplice, senza balbettare per l'imbarazzo o l'insicurezza; le mani non le tremano e il resto del corpo non è scosso da brividi. È tranquilla, anche perché non ha ancora toccato il tasto più delicato, quello che, poco prima, l'ha fatta crollare. Quel tasto di cui tiene le prove ancora strette tra le dita, come se volesse spezzarle pur di cancellare tutto, pur di rendere quella situazione meno reale di quanto sia in realtà.
Quel tasto non accennato che non sfugge ad Azura, tra le frasi lasciate ogni tanto a metà, tra i gesti nervosi delle mani della giovane, in quegli occhi stanchi che hanno paura di ammetterlo.
«Tesoro, cosa vuoi dirmi davvero?» le chiede, una volta che l'altra finisce di parlare.
A quella domanda, Letizia si irrigidisce, e stringe ancora di più i test di gravidanza che, per tutto quel tempo, ha cercato di nascondere agli occhi della donna. Sente il cuore batterle forte nel petto, assordandola, impedendole di trovare le parole giuste da usare, di far uscire quel coraggio che sente sotto la pelle.
Un coraggio che però è bloccato dalla paura. Perché la mora ha paura della portata di ciò che sta tenendo nascosto in un angolo da quella mattina. Ha paura di cosa potrebbe accadere in futuro se decidesse di intraprendere quel viaggio; di non essere capace di gestire tutto quanto. Di non essere pronta. In fondo, tra poco più di un mese compirà diciannove anni, eppure… Non si sente matura abbastanza per prendersi una responsabilità simile, soprattutto quando non sa ancora chi è davvero. E sa che, anche se dovesse esserci Calum al suo fianco, non sarà abbastanza. Perché non sono pronti, loro due: sono reduci da ferite e pesi che solo in quegli ultimi giorni li hanno lasciati per sempre. Adesso l’unica cosa di cui avrebbero bisogno sarebbe un po’ di tempo, di un attimo di pace, uno soltanto, per riprendersi, per capire se le poche certezze che hanno ora non spariranno in un futuro non troppo distante.
Sospira stanca. E quasi sobbalza nel sentire all’improvviso sulla spalla un tocco gentile, delicato che, senza che lei lo voglia, le fa alzare gli occhi, facendoli trovare davanti a quelli grigi dell’altra. Occhi grigi che, per adesso, non hanno la benché minima traccia di delusione.
Perché ciò che più preoccupa la mora è il fatto che non vuole deludere Azura, non appena le parlerà di ciò che ha scoperto quella mattina; non vuole deludere l’unica persona che l’abbia amata fin dal primo istante, senza pretese, senza chiederle niente in cambio; non se lo perdonerebbe mai. Però… Sa anche che, dopo tutto ciò che le ha appena raccontato, non può tenerle segreta una cosa simile, non quando proprio Azura è un’esperta in materia.
Perciò cerca di rilassarsi, di mandar via tutto, di trovare un istante di silenzio. Poi si lascia andare in caduta libera.
«Io… Sono incinta, mamma.»
Lo dice piano, a stento, con le labbra tremanti e gli occhi sempre più lucidi.
Le mostra i test di gravidanza che, quella mattina, le hanno dato la stessa risposta: Incinta di quattro settimane.
E non fa neppure in tempo ad aggiungere altro, che subito l’altra la abbraccia forte, a lungo, stringendola come se stesse per perderla da un momento all’altro. E non riesce a non sorridere, Azura, a reprimere la felicità che sente dentro. Perché, dopo anni di silenzi, sua figlia l’ha nuovamente chiamata mamma. E perché ha ricevuto una notizia in cui non avrebbe mai sperato. E sa che forse è troppo presto, che ci saranno molte più difficoltà per Letizia e Calum perché sono ancora troppo giovani. Ma sa anche che i due ragazzi si amano, tanto – l’ha visto con i propri occhi. E sa che hanno bisogno l’una dell’altro per stare bene. Per questo, nonostante la sorpresa che non è ancora riuscita ad afferrare fino in fondo, è felice. Perché sa, sente fin dentro le ossa che andrà  tutto bene.
Letizia non sa cosa dire. Si era aspettata di tutto, sul serio, ma non un abbraccio di quel tipo. Soprattutto, non uno di quegli abbracci che scaldano l’anima in ogni sua più piccola parte, per poi cullarla, darle sollievo, farla sentire protetta. Perché è così che la mora si sente adesso: al sicuro, tra quelle braccia che sono sempre state quel porto di cui lei ha sempre sentito il bisogno, senza rendersi conto del fatto che fosse molto più vicino di quanto pensasse. E non riesce a non sorridere, nel rendersi conto che almeno uno dei tanti scogli è stato superato. Adesso non le resta che superarne altri, forse addirittura più difficili di questo. Spera solo che vada tutto bene.
«Però c’è ancora un “ma”, vero?» le chiede Azura, interrompendo i suoi pensieri e catturando la sua attenzione.
La mora annuisce, piano, mentre il cuore continua a batterle forte per l’emozione, mentre lascia che tutti i suoi dubbi escano uno ad uno, liberandola passo dopo passo di pesi immani che non credeva di avere dentro.
«Io… Come posso pretendere di dare delle certezze al bambino che ho dentro, se sono io la prima a non averne?!»
Azura le sorride teneramente e le accarezza il viso con la punta delle dita, mentre sente gli occhi diventarle lucidi: ha appena ritrovato la sua bambina, ed ora la vita gliela porta di nuovo via per dare alla luce qualcosa di meraviglioso, qualcosa che nessuno, neppure chi ci è passato, potrà mai descrivere completamente.
«Non puoi. Perché tu e il tuo bambino crescerete insieme, se deciderai di tenerlo. E le certezze che, col tempo, acquisterai tu, saranno le stesse che acquisterà il piccolo.» le risponde, per poi baciarle la fronte e stringerla a sé. «So che hai paura, ti capisco. Ma so anche che non ti risparmieresti pur di far star bene il tuo bambino. Quindi comincia da qui, senza preoccuparti troppo. Ogni cosa ha il suo momento. E penso che ormai tu te ne sia accorta.»
«Ma se sbagliassi?»
La donna sorride di nuovo. «Nessuno di noi nasce con tutte le informazioni necessarie per essere un bravo genitore. Sbaglierai, tesoro, come sbagliano tutti. Imparerai dai tuoi errori, e cercherai di non ripeterli più.»
Letizia resta in silenzio, spiazzata dalle parole della madre. Parole semplici, belle, che mai nessuno le aveva rivolto. Parole che le accarezzano la pelle, le entrano dentro, nelle ossa, nelle vene, arrivando infine al cuore, dove riescono ad aprire l’ultima porta che, prima di allora, era sempre rimasta chiusa.
E si ritrova a stringere le mani dell’altra, dimostrandole tutta la gratitudine che prova per ogni più piccola cosa che Azura ha fatto per lei. Una gratitudine infinita per quell’amore che sta finalmente imparando a conoscere, a capire e, soprattutto, ad accettare. Quell’amore che la riempie e che le dimostra che c’è sempre qualcosa in cui poter sperare, l'importante è volerlo.
La donna la osserva attentamente, orgogliosa e coscia del fatto che, qualunque sia la scelta che sua figlia prenderà, sarà sempre al suo fianco se mai dovesse avere bisogno d’aiuto.
«Cos’hai intenzione di fare?» le chiede, appunto, sistemandosi meglio sul divano e aspettando la risposta.
La minore non risponde subito. Ha bisogno di capire, di essere davvero sicura prima di prendere una scelta che, in un modo o in un altro, potrebbe cambiarle drasticamente la vita.
Senza rendersene conto, porta la mano sul basso ventre. E all’improvviso, il cuore inizia a batterle talmente forte nel petto che potrebbe uscirle da un momento all’altro, mozzandole il respiro e facendole diventare gli occhi lucidi.
Aspetta un bambino. Tra qualche mese diventerà mamma, e Calum diventerà papà.
E si ritrova a sorridere, lei, di nuovo, con nuove lacrime che, come piccole scintille di luce, le illuminano gli angoli degli occhi, rendendola ancora più bella, più sicura, più vera di quanto non sia mai stata.
Vuole mantenere la promessa che ha fatto a Calum: creare una famiglia, un futuro insieme, senza aver paura né di cadere né di ciò che incontreranno durante la via. L’importante è restare uniti, dandosi forza  l’un l’altra come hanno sempre fatto fin da quando i loro mondi sono stati stravolti dalla presenza dell’altro. Vuole far sì che il sogno del moro si realizzi, a tutti i costi. Come vuole anche mantenere quella promessa che si è fatta tanti anni prima, attorno alla quale la sua mente non ha fatto altro che girare per tutto il pomeriggio. Perché si era ripromessa che non avrebbe mai commesso l’errore che hanno fatto i suoi genitori; si era ripromessa che, se mai fosse diventata mamma, non avrebbe mai e poi mai lasciato pensare al proprio bambino di non meritare l’amore di nessuno.
Si volta verso Azura. Le stringe la mano.
E il cuore palpita per l’emozione, mentre risponde, sincera, felice, decisa, facendo allargare il sorriso dell’altra.
Mentre si rende conto che, in realtà, ha sempre saputo la risposta.
«Voglio tenerlo.»






Letizia
Bellissimi, buon giorno a tutti! <3
E... Insomma... CHE CAPITOLO BOMBA CHE ABBIAMO QUI!!!
Voglio dire, Leti scopre di aspettare un bimbo (che di conseguenza è anche il bimbo di Cal!!!!!!! *^* - E LA SOTTOSCRITTA SCOPPIA A PIANGERE, MA SHHH U.U) e il rapporto tra la nostra mora e Azura finalmente può ripartire sul serio col piede giusto.
Io... Sono davvero troppo felice per i miei bambini, perché adesso le cose stanno iniziando ad andare per il verso giusto e... Voglio piangere!!!!! (x2)
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto!
Fatemi sapere che ne pensate per favore, mi raccomando! <3
Ci sentiamo presto (E RICORDATEVI CHE MANCANO SOLO 2 CAPITOLI, POI LA STORIA FINISCE!!!! o.O - ok, oggi sono più pazza del solito, ahahah :) meglio che mi ritiri ;)).
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 39
*** Trentanove ***


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Trentanove
 
 
 
Una felicità che sprona a cambiare, a fare del proprio meglio per guarire e tornare a vivere.
Per riprendere in mano la propria vita e farla tornare a splendere completamente.
Come quelle stelle che brillano nel cielo nonostante il buio.
 


«Certo che sei un asso a farci preoccupare, eh?» chiede Luke ridendo, aumentando l’ilarità che, quel giorno, riempie quella camera d’ospedale in cui i presenti non hanno fatto altro che alternarsi nelle visite negli ultimi sei giorni.
«Credo sia la sua specialità.» aggiunge Madison che, seduta sulle gambe del biondo, cerca di nascondere gli occhi lucidi per ciò che è successo e che ha portato sollievo a tutti non appena hanno saputo la notizia qualche ora prima.
«Mi dispiace, sul serio.» risponde Calum, sincero, passandosi stancamente una mano tra i capelli, mentre cerca di combattere contro il proprio corpo ancora provato dalle medicine che ha assunto durante il periodo in cui è rimasto in coma farmacologico; mentre cerca, soprattutto, di restare con gli occhi aperti ancora per un po’.
Joy gli si avvicina e gli accarezza piano il viso, piano, quasi avesse paura di fargli male, con la stessa delicatezza che solo una madre potrebbe avere. «Non preoccuparti tesoro, l’importante è che ora tu stia bene.»
«E che prenda in considerazione il consiglio del dottore.» aggiunge David, dando una lieve pacca sulla spalla del figlio, a cui il ragazzo risponde con un sorriso stanco, provato, ma finalmente privo dell’ombra che, a causa della sua dipendenza, aveva iniziato ad essere sempre meno luminoso, fino a spegnersi.
«Lo farò, non preoccuparti.» concorda, per poi salutare i suoi. In fondo, sa quanto abbiano bisogno di uscire un attimo da quel posto, per riprendersi del tutto e per stare più tranquilli.
E intanto, mentre li osserva uscire, non riesce a smettere di pensare a ciò che è successo qualche ora prima.
A quando, dopo aver sentito delle voci non lontane da lui, era riuscito ad aprire gli occhi dopo quasi una settimana di coma, ritrovandosi davanti i genitori in compagnia del dottore, con un sorriso addosso che niente e nessuno avrebbe potuto mandar via dalle loro labbra. Un sorriso che aveva fatto capire a Calum di avercela fatta, di esserci riuscito sul serio; che gli aveva fatto capire di essere finalmente libero dai propri demoni.
E mentre il dottore lo aveva visitato velocemente – per controllare soprattutto se la disintossicazione fosse andata bene – il ragazzo non aveva fatto altro che sorridere, stanco ma felice, nel sentire dentro di sé un qualcosa che non provava più da tempo: una sensazione impossibile da descrivere, che gli accarezzava ogni cellula portandole sollievo; una sensazione talmente intensa e semplice da mozzargli il respiro, impedendogli di parlare, di riordinare i pochi pensieri che avevano iniziato ad affacciarsi nella sua mente.
«Non hai niente di cui preoccuparti, Calum.» gli aveva detto il medico una volta finito, riportandolo alla realtà. «Tutti i parametri sono nella norma e anche gli ultimi esami hanno dato esiti positivi, solo che...»
Si era fermato un attimo, insicuro sul da farsi, per poi voltarsi verso i signori Hood, che avevano annuito sicuri.
«Ne ho parlato con i tuoi genitori e credo che passare qualche mese in un centro di recupero non sarebbe una cattiva idea. Potrebbe darti un grande aiuto, a livello emotivo e psicologico. Perché sono sicuro che tu non abbia iniziato a drogarti perché volevi provare qualcosa di nuovo.»
A quella novità, a quella possibilità inaspettata, Calum era rimasto in silenzio, incapace di far uscire le parole che sentiva sulla punta della lingua. A malapena era riuscito ad annuire per confermare la tesi del dottore, senza però aggiungere ulteriori spiegazioni. Ma non aveva saputo rispondere a quella proposta che, forse, avrebbe potuto davvero aiutarlo a chiudere definitivamente i ponti col passato.
Si era sentito scosso, mandato alla deriva, con il cuore che gli batteva sempre più veloce dentro al petto; con la mente che, ancora annebbiata dai farmaci, non riusciva a distinguere bene i pensieri che, pian piano, avevano iniziato ad affollargli la mente. Si era sentito instabile sulle proprie gambe, ubriaco di tutte le sensazioni ed emozioni che gli avevano invaso il cuore non appena aveva aperto gli occhi. Aveva cominciato a tremare, solo un po’, nell’istante in cui si era reso conto che finalmente non aveva niente di cui doversi più preoccupare, niente di cui avere paura; nell’istante in cui aveva capito di essere tornato a vivere davvero.
Eppure, anche adesso che è in compagnia di alcune delle persone a cui tiene di più, fa ancora fatica a gestire tutte le emozioni che lo stanno attraversando come un uragano, mentre cerca di prendere parte alla conversazione, agli scherzi, alle battute e alle risate che stanno riempiendo la camera.
«Che succede Cal?» gli domanda Ashton, arrivato da pochi minuti, mentre Luke e Madison continuano a discutere su cosa sarebbe meglio fare per festeggiare il risveglio del moro.
Il ragazzo scuote la testa, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. «Sono solo stanco, Ash. Tutti qui.»
Il maggiore sorride, piano, mentre tenta di mitigare la felicità che prova da quando Luke gli ha dato la notizia quella mattina. Un sentimento che aveva paura di non poter provare più, non in quel modo. Eppure adesso è lì, accanto a Calum, a festeggiare il fatto che sia tornato ad essere quello di sempre. Sa che, comunque, ci vorrà ancora del tempo prima che le cose tornino completamente alla normalità, però è fiducioso: le persone che ama sono sempre rimaste, persino nei momenti peggiori. E sa anche che, se continueranno a darsi forza tutti insieme come hanno sempre fatto in quell’ultimo anno, niente potrà andare storto. Ne è sicuro.
«Allora perché non riposi un po’?» gli propone.
«Ma siete tutti qui. Non posso mettermi a dormire!» ribatte Calum che, però, non riesce a trattenere uno sbadiglio.
Il riccio ridacchia e lo aiuta a sistemarsi sotto le coperte. «Piantala! Avremo tutto il tempo di romperti le scatole una volta che ti sarai rimesso per bene, quindi non disperare.»
Il minore fa per protestare, ma gli occhi gli si chiudono presto. E si addormenta ancora una volta, piano, lasciando che il proprio corpo si gusti le ultime ore di sonno che gli mancano prima di tornare a muoversi a dovere; lasciando che la mente abbia ancora qualche istante di pace prima di ricominciare a mettersi in funzione; lasciando che l’anima si abitui con calma alla nuova situazione con cui convivrà da quel momento in poi.
«Ehi, ragazzi.» dice Ashton, richiamando i due biondi che si voltano verso di lui. «Fate piano. Hood si è di nuovo addormentato.» commenta poi, divertito, osservando l’amico che, finalmente, può stare tranquillo.
Luke ridacchia piano e si volta verso Madison. «Non c’è speranza per uno come lui.»
Lei sospira teatralmente, facendo ridere il riccio davanti a sé. «Purtroppo no. È fatto così e non possiamo farci molto. Ci faremo bastare quel poco che abbiamo, anche se è di scarsa qualità.»
E sospira, Madison, mentre sente il proprio cuore allargarsi nel petto, a causa dell’immenso senso di completezza che prova. Una completezza dovuta a Luke e alla loro relazione che, tra discussioni e piccole gelosie, va avanti da quasi sei lunghi mesi, regalando ad entrambi qualcosa che mai avrebbero immaginato: una felicità pura e semplice, senza alcun limite. Una completezza dovuta anche al fatto che, finalmente, il suo migliore amico si è svegliato, per potersi riprendere davvero la rivincita che merita da anni, dopo aver perso se stesso quasi del tutto, se non fosse stato per Letizia e per ciò che, in un modo o nell’altro, ha unito tutti loro.
Controlla l’ora sul telefono, sospirando piano.
Le dispiace che Michael non sia lì con loro a festeggiare, perché sa che lui teneva a quel momento con ogni parte di sé; sa che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di salutare Calum. Però capisce anche le sue motivazioni.
«Non voglio spaventare Cal.» le aveva spiegato quando lei gli aveva inviato l’orario delle visite dell’ospedale. «Ha ancora bisogno di un po’ di tempo prima di affrontare me e tutto quello che mi porto dietro. Posso aspettare altri mesi. L’importante è che lui torni a stare bene una volta per tutte.»
E si ritrova a sorridere, lei, rendendosi conto di quanto preziose ed uniche siano, a modo loro, le persone che ha incontrato in quell’ultimo anno. Persone che l’hanno amata, capita, aiutata, curata, salvata, fatta sorridere, fatta tornare a vivere sul serio. Persone senza le quali, lei non saprebbe come fare.
Luke le sfiora la guancia, piano, attirando la sua attenzione.
«Cos’hai, Hemmings?» gli chiede a bassa voce.
Lui sorride e le bacia la fronte. «Cos’hai tu? Sei silenziosa oggi.»
L’altra ridacchia divertita, prima di sfiorare le proprie labbra con quelle del biondo in un bacio veloce. «Va tutto bene, sul serio. Non preoccuparti.»
E Luke lo fa, sedendosi più comodamente sulla sedia e stringendo Madison a sè. Perché adesso le cose stanno andando davvero bene; adesso non ci sono più muri, maschere o pesi da nascondere; non ci sono più segreti o ricordi che fanno male; non ci sono più ferite da curare né cicatrici da mandar via. C’è soltanto la speranza di crescere, di vivere ogni attimo fino in fondo, gustandone ogni particolare; c’è la voglia di costruire qualcosa tutti insieme, con l’aiuto dei propri amici. C’è la sicurezza del fatto che nessuno di loro abbandonerà mai l’altro.
Sorride, lui, felice per ciò che sta succedendo, mentre osserva il suo migliore amico steso sul letto davanti a sé. Ne osserva gli occhi chiusi e il sorriso luminoso che gli increspa le labbra anche se sta dormendo. Quel sorriso che, finalmente, è tornato per restare fino alla fine.
«Quando arriverà lei?» chiede alla sua ragazza, baciandole piano la nuca scoperta dalla coda.
«A breve.» gli risponde Madison sorridendo, mentre piccoli brividi le corrono sulla pelle come scariche elettriche, facendola fremere piano. «Mi ha detto che oggi le lezioni all’università finivano prima, quindi…»
Ma non riesce a continuare, che subito la porta della stanza si apre, rivelando una ragazza mora sulla soglia.
 
Non appena Letizia entra nella stanza, i ragazzi le si avvicinano e la stringono forte, uno ad uno, pur di farle capire che, se mai dovesse avere bisogno, loro saranno lì, pronti a darle una mano. Perché – come Michael – già sanno la novità e conoscono la la decisione della giovane Lewis.
«Cal adesso sta dormendo. Però credo che a breve dovrebbe risvegliarsi.» le fa sapere il riccio, per poi baciarle la fronte. «Andrà tutto bene, Leti.»
Perché ci crede, Ashton. Crede fermamente che, da adesso in poi, niente potrà andare storto. Non sa di preciso perché senta fin dentro le ossa una certezza simile. Sa soltanto che quella certezza è vera, reale, e che nessuno potrà mai mandarla in pezzi. Non fintanto che le persone che ama saranno al suo fianco.
Lei sorride, tranquilla, e risponde all’abbraccio del maggiore, stringendolo forte, per fargli capire quanto bene gli voglia e, soprattutto, quanto grata gli sia per tutto quello che ha fatto. Grata per essersi dimostrato quell’amico prezioso e leale che non l’ha mai lasciata quando aveva bisogno di una mano; per essersi dimostrato una delle poche persone su cui lei sa di poter contare e di cui potersi fidare sempre.
«Lo so, Ash. Me lo sento.»
L’altro annuisce ed esce dalla camera, dando così spazio agli altri due.
E subito Luke corre ad abbracciare forte la sua migliore amica, a lungo, cullandola un po’, come la sorella minore che non ha mai avuto e, soprattutto, felice per quel qualcosa che, tra qualche mese, cambierà la vita di tutti loro.
«L’importante è che non ti faccia prendere dal panico. Perché senza di te siamo tutti persi, questo lo sai, vero?» le chiede divertito, facendola ridere piano.
«Hemmings, sei tu quello che dovrebbe evitare di caricarsi troppi pesi sulle spalle.» ribatte Letizia, allegra, mentre lascia che il calore del corpo dell’altro le rilassi i muscoli che, benché lei ci provi, sono tutt’ora tesi per l’ansia.
«Senti chi parla!» esclama il biondo, senza riuscire a trattenere un sorriso mentre le bacia la fronte, per poi seguire Ashton fuori dalla stanza, lasciando da sole le ragazze.
E non appena le due amiche si guardano negli occhi, non riescono a trattenere il sorriso, mentre si abbracciano forte, come sempre, come se non volessero lasciarsi andare per nessun motivo. Si abbracciano, a lungo, ringraziando il cielo per aver fatto loro trovare un’amica preziosa, unica e insostituibile come la persona che hanno adesso davanti ai loro occhi. Quella stessa persona che, negli anni, si è dimostrata essere la sorella che nessuna delle due ha mai avuto, alla quale si sono affezionate in un modo che mai avrebbero creduto possibile. Quella sorella senza cui nessuna delle due sarebbe dov’è adesso: libera, felice, pronta a fare qualsiasi cosa pur di stare bene.
«Tra Cal e te non so chi sia più bravo a farci preoccupare.» commenta Madison, a bassa voce, maledicendosi nel sentire i propri occhi diventare nuovamente lucidi. «Metticela tutta, Lewis. Voglio diventare zia in ogni modo.»
L’altra le sorride e la stringe a sé, forte, a lungo, mentre prova a trattenere le lacrime.
«Sissignora.» risponde, sempre a bassa voce, mentre cerca di non piangere a causa di quella gioia infinita che sente dentro e che non sa in alcun modo come contenere.
Poi anche Madison esce dalla camera.
E Calum e Letizia si ritrovano finalmente da soli.
 
La mora si avvicina piano al letto, con il cuore che intanto le batte senza freni, come se potesse uscirle dal petto da un momento all’altro. Le batte forte, preda di emozioni che non riesce a controllare, mentre gli occhi le diventano lucidi, mentre il respiro le si mozza nella gola al vedere che il ragazzo che ama sta bene.
Perché Calum sta bene, davvero: le occhiaie attorno agli occhi sono sparite, la pelle ha ripreso il suo colore ambrato; il sorriso è di nuovo luminoso, vero, libero dall’ombra che l’aveva cambiato; l’espressione è più rilassata, serena, piena di un qualcosa che Letizia non riuscirebbe a descrivere neppure provandoci con tutta se stessa.
Lo osserva a lungo, perdendosi in ogni più piccolo particolare – nelle dita affusolate delle mani, nelle braccia su cui sono rimaste soltanto pochissime cicatrici, nei capelli scuri che gli accarezzano le ciglia, nelle vene in rilevo sugli avambracci magri. Lo osserva rapita, mentre i pensieri le affollano la testa, mentre le domande – che sempre l’avevano tormentata sul perché proprio Calum fosse arrivato nella sua vita – se ne stanno andando, quasi rassegnate all’idea che non riusciranno mai a trovare la risposta che cercano. E alla mora va bene così, perché sa che non potrà mai trovare una soluzione a tutto; che alcune cose rimarranno sempre dei grandi punti interrogativi, dei quali non ha bisogno di preoccuparsi più del dovuto.
E intanto, non riesce a smettere di sorridere. Perché quasi non le sembra vero di essere a quel punto; quasi non le sembra vero che Calum sia finalmente riuscito a chiudere tutte le porte del passato; che adesso sia lì, davanti a lei, vivo e libero da ogni peso; che tutte le sue richieste siano state esaudite. Quasi non le sembra possibile che la vita stia offrendo a tutti loro un’opportunità come quella.
Senza volerlo, si ritrova ad accarezzare piano le braccia del moro. Quelle stesse braccia che, in quell’ultimo anno, l’hanno fatta sentire a casa, protetta, voluta, amata. Quelle braccia che, col tempo, sono diventate un porto sicuro su cui poter sempre far affidamento. Quelle braccia che l’hanno strinta quando stava per andare in pezzi, che le hanno insegnato cosa voglia dire amare qualcuno con ogni parte di sé, senza riserva o paura.
Ne sfiora le cicatrici, delicatamente, per poi passare ai tatuaggi, tracciando il percorso del’inchiostro, arrivando alle vene, delle quali si ritrova a seguire il labirinto dal polso fino alla spalla, e poi ancora più su verso le clavicole, il collo, il mento, giungendo infine alle guance del maggiore. Quelle stesse guance su cui le sue mani si adattano alla perfezione anche quella volta, mentre inizia ad accarezzarle piano, quasi avesse paura di rompere quel ragazzo che, in quel momento, sembra la cosa più fragile che lei abbia mai visto.
E poi, all’improvviso, lui apre gli occhi.
 
Si guardano a lungo, Calum e Letizia. Si osservano attentamente, perdendosi nel gioco di sguardi che i loro occhi hanno creato, nel battito del cuore dell’altro che sentono distintamente oltre il tessuto che li divide, nelle loro mani di nuovo unite, forti, decise a non lasciarsi più, per nessun motivo.
E si sorridono. Perché sono felici. Perché ancora non sanno spiegarsi come abbiano fatto a vincere sulle proprie paure, a mandar via i propri demoni, a distruggere i loro incubi. Perché ancora non riescono a credere di essere liberi sul serio, con talmente tante nuove opportunità davanti, che non hanno idea da quale cominciare.
«Ciao, Cal.» lo saluta lei, a bassa voce, quasi senza rompere il silenzio che si è creato attorno a loro, mentre gli si avvicina piano, timidamente, dosando bene ogni movimento, cercando di controllare il proprio cuore ormai impazzito, preda dell’ansia e della felicità che, da tre giorni, non riesce a contenere nonostante gli sforzi.
Il moro la osserva, a lungo, in silenzio, come a voler ricordare ogni più piccolo particolare di quel viso che ha sempre popolato i suoi sogni da quando quella ragazza è entrata nella sua vita.
Osserva Letizia, lui, semplicemente, perdendosi nei suoi occhi scuri come il cioccolato; lasciandosi cullare dalle sue mani che, come ogni volta, riescono perfettamente a riempire gli spazi vuoti delle proprie; lasciandosi andare in quel bacio che li unisce fin dentro l’anima, in quell’abbraccio che li lega, come quei due pezzi di puzzle che sono sempre stati, fatti per poter combaciare soltanto con la persona che stanno stringendo adesso, come se non avessero più ossigeno per respirare, come se avessero finalmente trovato l’ancora che potrà portarli in salvo dalla tempesta del passato. Come se non ci fosse nient’altro al mondo di così bello e importante.
Calum inspira a lungo il profumo dell’altra: dolce, delicato, proprio come lei che, invece, si aggrappa a quelle braccia che la stanno tenendo al sicuro per dimostrare a se stessa che ciò che sta vivendo non è sogno, ma la realtà, pura e semplice in ogni sua più piccola sfumatura.
«Sei qui.»
Riesce a dire soltanto questo, il maggiore, mentre sente distintamente il cuore riempirsi di un qualcosa di cui sentiva la mancanza da tempo, mentre lo sente tornare a battere con più vigore, a causa della scintilla di speranza che Letizia ha portato con sé. Quella stessa speranza che il ragazzo custodirà sempre, come il tesoro più prezioso che ha e che non vuole perdere per nessun motivo. Quella stessa speranza che gli fa lentamente rendere conto del fatto che la sua vita sta davvero tornando a splendere, ad andare col suo ritmo, senza più alcun peso a trattenerla, senza più alcun dolore ad incatenarla nel buio.
«Sono qui, Cal. Sono qui.»
Lo ripete, lei, come un incantesimo, come se neppure lei riuscisse a crederci. Perché ancora non le sembra vero: è come se, adesso che tutte le sue speranze sono state esaudite, non sapesse più da che parte andare; è spaesata, persa, davanti alla luce che percepisce entrarle prepotentemente nell’amina, per restarci fino alla fine; è incredula, sorpresa, felice, davvero felice. Perché finalmente la persona che ama sta bene e non soffre più; perché finalmente potranno costruire qualcosa di vero e durato insieme, realizzando tutti quei sogni a cui, nonostante tutto, non hanno mai rinunciato, neppure una volta.
Sorride, perché sa che adesso non ha più niente di cui avere paura.
«Grazie di essere venuta.» le sussurra Calum all’orecchio, per poi baciarle il collo, facendola rabbrividire.
«Non mi sarei persa l’opportunità di stare col mio bell’addormentato per niente al mondo.» gli risponde divertita, prima di baciargli piano la fronte, gustando a lungo il sapore di quella pelle che tanto gli era mancata.
«Ehi, non paragonarmi a un cartone animato.» ribatte l’altro, non riuscendo a reprimere un sorriso.
Perché la sua felicità è lì, davanti a lui, racchiusa in quella ragazza che ama con ogni grammo del proprio cuore e della propria anima; quella ragazza che è lentamente diventata il centro della sua vita, il perno senza il quale, col tempo, avrebbe lentamente perso se stesso. Quella ragazza che si è dimostrata essere tutto ciò di cui aveva bisogno per stare bene davvero; che si è dimostrata essere la sua salvezza, la sua cura, il suo miracolo. Il suo angelo.
Letizia abbozza un sorriso, mentre gli accarezza la guancia, preparandosi a ciò che, a breve, dovrà affrontare.
«Cal, posso farti una domanda?»
Alla richiesta, il maggiore sente una strana sensazione nascergli dentro al petto, a cui però non vuole dare peso, non adesso che può prendere tutto con più calma e tranquillità. Non adesso che può finalmente tornare a vivere di nuovo, senza più alcun dubbio, senza più domande, senza più paura.
«Chiedi pure.»
Lei sospira, racchiudendo nelle proprie mani tutto il coraggio che, dentro di sé, riesce a trovare. Perché non vorrebbe far nascere altre ferite, non vorrebbe riportare tutto al punto di partenza, rendendo vano ogni sforzo che Calum e lei hanno fatto in tutti quei mesi. Però ha bisogno di sapere, di capire perché il suo ragazzo non abbia mai voluto condividere quel peso con lei. È l’unica cosa che le serve per mettere una pietra sopra a tutto ciò che è successo e ricominciare da zero, una volta per tutte.
Guarda il ragazzo negli occhi, osservando ogni più piccola sfumatura di quel color caffè che ama. Poi si butta.
«Perché non mi hai mai detto che conosci Michael?»
Calum non risponde subito. Si limita ad abbassare lo sguardo, per poi spostarlo verso la finestra, come a volersi sottrarre ancora per un po’ da quella situazione che, comunque, sapeva di dover affrontare un giorno o l’altro.
Perché sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto spiegarle come stavano le cose; che avrebbe dovuto tirare fuori quella parte del proprio passato che fa ancora male, della quale continua a vergognarsi. Perché, dopo tutti quegli anni passati in silenzio, non ha il diritto di tornare a parlare con il proprio migliore amico, a prescindere da ciò che è successo a Rachel, non dopo avergli voltato le spalle quando aveva avuto bisogno d’aiuto.
Sapeva che, presto o tardi, le cose sarebbero venute fuori in ogni caso. Dopotutto, quel giorno – il 23 agosto – gli ricorda che è passato un anno esatto da quando lui e Letizia si sono incontrati per la prima volta, in quel parco in cui, durante gli ultimi mesi, sono andati spesso. Un anno in cui il moro ha sempre rimandato quel momento, perché aveva sempre avuto paura di non sentirsi pronto abbastanza. Solo che...
«Come fai a sapere di Mike e me?» chiede a sua volta, posando nuovamente gli occhi sull’altra.
A quella domanda, la mora abbassa lo sguardo, mentre le guance le si tingono di un lieve rossore.
«Dopo che ti hanno portato qui qualche giorno fa, sono tornata a casa tua. Io... Avevo paura, ero confusa, non sapevo che cosa fare e... Ho cercato qualcosa di tuo che potesse aiutarmi a non pensare e... Mi sono ritrovata col diario di Rachel in mano.» ammette.
E Calum, sorprendendo entrambi con quel gesto, si ritrova a sorridere, mentre sente la propria preoccupazione sparire all’improvviso, come un’esplosione; mentre percepisce i propri muscoli rilassarsi all’istante e il respiro tornare ad essere più regolare. Sorride, perché lo scoglio più grande è già stato superato. Sorride. Perché si è appena reso conto che, almeno quella volta, la vita gli ha risparmiato una nuova caduta. Perché sa che non sarebbe mai riuscito a raccontare come stessero veramente le cose, che non sarebbe mai stato capace di abbattere quel muro che l’aveva imprigionato fin dall’inizio.
«Non ti ho detto niente perché, se tu avessi saputo che non parlavo più con Mike, ti saresti preoccupata ancora di più per tutto; avresti cercato in ogni modo di salvare la situazione ed io… Non volevo caricarti di un altro peso che devo portare comunque da solo.»
Letizia sospira e gli accarezza pazientemente il viso, senza smettere di perdersi in quegli occhi scuri che mai si stancherebbe di osservare. Quegli occhi che, in quell’ultimo anno, sono diventati tutto il suo mondo.
«Mi sono presa i tuoi pesi in ogni caso, Cal, quando ti ho permesso di diventare la parte più importante di me.»
A quelle parole, il moro sente distintamente un brivido corrergli lungo la schiena, mentre le sue mani stringono ancora più forte, ancora più a lungo quelle della ragazza, come se non volessero lasciarla andare, come se fossero quelle mani delicate l’unica ancora capace di non farlo affondare. Le stringono come se avessero paura di perdere l’altra da un momento all’altro, come se la mora potesse scomparire all’improvviso, lasciandolo solo, senza, la sua luce, senza la ragione che l’ha spinto a migliorare, a sfidare se stesso, a vincere le proprie paure.
«Io… Mi dispiace, Leti.»
Lei sorride, rispondendo alla stretta, mentre uno degli ultimi pesi che aveva dentro scivola via, facendola sentire più leggerà, libera. Perché capisce i motivi dell’altro, capisce l’insicurezza, il dolore, la paura; capisce il suo voler sentirsi pronto prima di affrontare parte di ciò che l’ha fatto soffrire.
«Non fa niente, Cal.»
«Ma io–» ma non riesce a continuare, il moro, perché subito Letizia lo frena.
«Anche perché devo dirti una cosa.» dichiara; la voce bassa, insicura; gli occhi lucidi, il cuore che trema dentro al petto. Perché è arrivata fino a quel punto senza cadere, e adesso ha tutta l’intenzione di andare fino in fondo, senza paura di ciò che potrebbe accadere o andare storto. Vuole soltanto che il suo ragazzo sappia tutta la verità.
Calum non fa neppure in tempo a chiedere spiegazioni, che la ragazza guida lentamente la sua mano sul proprio ventre, lasciando che un silenzio carico di parole non dette prenda campo tra loro. Un silenzio in cui il maggiore, con quel gesto, vede qualcosa in cui spera con tutto il cuore da mesi; qualcosa che sogna da tempo e che, un giorno, spera di poter realizzare; qualcosa che, nonostante l’immensa speranza, non avrebbe mai immaginato di poter vivere così presto. Un silenzio che gli toglie il respiro, la parola, lasciandolo con appena la forza di continuare a respirare, a causa di quella sorpresa che non sa come prendere, come descrivere.
Una sorpresa che, alla fine, Letizia ha il coraggio di rivelare anche a parole, senza riuscire a trattenere il sorriso.
«Sono incinta.»
Il maggiore resta in silenzio, di nuovo, immobile, senza sapere che cosa dire o fare. Percepisce la stoffa della maglia della mora sotto le dita, il battito del polso di lei a contatto con il suo, i propri polmoni che si muovono per farlo respirare; i brividi che, lentamente, gli corrono lungo la pelle. Guarda Letizia, studiando a lungo ogni suo più piccolo dettaglio, osservandola come se la vedesse davvero per la prima volta, bellissima e viva e vera come quell’angelo che è sempre stata e che gli ha costantemente illuminato la vita fin dal giorno in cui si sono conosciuti. Poi i suoi occhi si posano sulla propria mano, sul ventre della ragazza.
«Diventerò papà?»
Riesce a chiedere solo quello, mentre cerca di convincersi che ciò che sta succedendo è reale e non frutto degli effetti collaterali dei farmaci; mentre prova a restare lucido, a non prestare attenzione ai battiti del proprio cuore che sette correre fin dentro le tempie; a ridurre gli effetti che i brividi hanno su di lui adesso, cercando di concentrarsi unicamente sulla persona davanti a sé. Mentre cerca di convincersi che non è un illusione.
«Sì, Cal.»
E prima che Letizia possa aggiungere altro a quelle parole che per il moro vogliono dire tanto, Calum la bacia.
Ed è un bacio completamente diverso da tutti gli altri, il loro.
Un bacio pieno di amore, di speranza, di gioia, di felicità pura. Un bacio che dimostra ad entrambi che i loro sogni stanno finalmente diventando realtà; che le loro preghiere sono state ascoltate; che le loro catene sono state finalmente distrutte una volta per tutte. Un bacio che dimostra ad entrambi il fatto di essersi presi la rivincita che cercavano da tempo, di aver battuto i propri demoni per sempre. Un bacio che dimostra ad entrambi che il loro sogno più grande presto diventerà reale.
Eppure Calum ancora non ci crede, non ci riesce. Perché gli sembra impossibile pensare che tra qualche mese diventerà padre; che presto dovrà prendersi cura di una nuova vita; che avrà sul serio la possibilità di costruire una famiglia con la persona che più ama al mondo. Gli sembra incredibile. Perché adesso che tutte le sue speranze si sono avverate, adesso che la sua vita ha trovato il suo senso, non ha idea di come fare.
Sa soltanto che non permetterà a niente e nessuno di portargli via la fonte della sua felicità – quella felicità infinita che adesso non vuole e non riesce a contenere, troppo preso a convincersi che ciò che sta succedendo sia vero. E non gli importa se è ancora troppo giovane per prendersi una responsabilità simile. Non gli importa degli ostacoli che da adesso in poi troverà lungo il suo cammino. Gli importa soltanto di restare al fianco di Letizia il più a lungo possibile. Perché, senza lei, niente di tutto quello avrebbe senso.
Per questo decide, Calum. Accetterà la proposta del dottore: andrà al centro di recupero per un po’, per farsi aiutare, per chiudere completamente le porte del passato. Perché vuole diventare una persona migliore per il bambino di cui si prenderà cura e che gli sconvolgerà completamente la vita.
«Voglio essere un buon papà.» ammette piano, sottovoce, quasi come se stesse confessando un segreto.
Letizia sorride e lo stringe forte a sé, con il cuore gonfio di una felicità, di un senso di completezza che non aveva mai provato prima di allora. Perché adesso non ha più pesi dentro di sé; non ha più niente di cui doversi preoccupare. Adesso, deve soltanto pensare ad essere felice insieme alla persona che ama.
«Lo sarai, Cal. Sarai un ottimo papà.»
Calum la stringe a sua volta, forte, a lungo, senza smetterle di sorridere.
Poi la bacia, di nuovo.
Ed è come se tutta la felicità del mondo si condensasse in quel piccolo gesto.
Perché la loro vita è davvero completa adesso. E sanno che non potrebbero chiedere niente di più.






Letizia
Bellissimi, buon giorno! <3
Insomma... CHE CAPITOLO ABBIAMO QUI!!!
Calum sta bene e si è svegliato; tutti gli altri stanno bene; Leti gli dà la bella notizia; il nostro moro è felice come una Pasqua e decide di andare al centro di recupero per stare meglio *^*.
Io... Voglio piangere!!!
I miei bambini stanno bene, sono felici e... MANCA SOLTANTO UN CAPITOLO ALLA FINE (e no, io non ce la posso fare, non so come prendere questa cosa, ma shhh, per ora è meglio non pensarci, ho ancora qualche giorno prima di disperarmi come si deve, ahahah ;)).
Scusate gli scleri, vi prego! E' che, quando si tratta dei miei piccini, io vado matta, non c'è verso! Scusatemi davvero :3
Pazzie a parte, spero davvero che il capitolo di oggi vi sia piaciuto *^*. Fatemi sapere per favore, ci conto! <3
Detto questo, io oggi chiudo qui ;). Ci sentiamo presto (e scusatemi per questo lieve ritardo, ma ieri sono tornata a casa davvero tardi :/)!
Grazie di tutto, sul serio! <3
Un bacione, Letizia <3

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Capitolo 40
*** Quaranta ***


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Quaranta
 
 
 
Quelle stesse stelle che, nella nostra vita, si ritrovano nelle persone che amiamo.
Quelle persone che, ogni giorno, rendono la nostra vita bella da morire.
Quelle persone che si rivelano essere il miracolo che aspettavamo per amare e vivere davvero.


 
23 aprile 2017
 
Quella mattina, Ashton si sveglia con addosso il sorriso. Non riesce a farne a meno: è un giorno importante, quello che sta per affrontare, per se stesso e per le persone a cui vuole bene. Un giorno che – ne è sicuro – nessuno di loro potrebbe dimenticare, neppure volendo. Un giorno per cui ha sperato tanto, negli ultimi tre anni, ma che mai avrebbe creduto che sarebbe arrivato sul serio, così, quasi dal nulla, pronto a dare un nuovo inizio, a dare qualcosa in cui poter credere davvero, senza più alcuna paura di cadere e farsi male.
Perché, in quegli ultimi mesi, sia lui che chi ama hanno imparato a proprie spese che non è possibile andare contro la vita stessa o cercare di controllarla; che più si prova ad allontanare il dolore, più questo aumenterà i danni che riuscirà a fare; che tenersi tutto dentro non fa altro che peggiorare la situazione, allargando le ferite e il senso di vuoto. Sa che, adesso, lui e i suoi amici hanno imparato la lezione. Per questo motivo non vede l'ora di incontrarli: hanno un appuntamento importante a cui nessuno di loro vuole tardare.
Si alza dal letto e va in bagno. Si fa la doccia con calma, lasciando che l'acqua lo svegli del tutto, rilassandogli i muscoli e dando un minimo di ordine nel turbine di pensieri che gli sta invadendo la mente. Un turbine composto anche dai ricordi degli ultimi nove mesi, che compaiono uno dopo l'altro, ampliandogli il sorriso sulle labbra e riempiendogli il cuore di quella gioia che gli ha sempre fatto compagnia, fin da quando Calum si è svegliato.
Ricordi che gli fanno rivivere tutto: ogni sorriso, ogni lacrima, ogni preghiera detta in silenzio, ogni promessa fatta e mantenuta fino alla fine, ogni bacio dato e ogni abbraccio ricevuto; ogni momento in cui si è ritrovato a ringraziare il cielo per avergli fatto incontrare quelle persone che, col tempo, si sono rivelate le più importanti di tutte.
Dopo che il moro aveva deciso di entrare al centro di recupero, Ashton, come gli altri, si era sentito spaesato: era come se la libertà dal passato, dai pesi, dalla paura, l’avesse privato di tutto ciò sui cui aveva costruito la propria vita negli ultimi tre anni, durante i quali aveva imparato a convivere con ogni cosa gli procurasse dolore, senza cadere sotto i colpi, senza permettere alle insicurezze di prendere il sopravvento.
Poi però, piano piano, si era abituato a quella nuova quotidiana, piena di luce, piena di un qualcosa che non provava da tempo: una sensazione indescrivibile, dolce, che si irradiava dentro di lui ad ogni passo, accarezzandogli l’anima, riscaldandogli il cuore, facendogli capire che poteva andare avanti senza più doversi preoccupare.
Per questo aveva ripreso gli studi con più voglia di fare e con la mente più tranquilla – spronato anche dai suoi genitori a continuare ciò per cui si era impegnato con ogni grammo di sé –, continuando ad alternarne le lezioni in facoltà e il tirocinio all’ospedale. Si era sentito bene, sul serio, nel fare ciò che più lo appassionava, ciò per cui non aveva mai smesso di mettersi in gioco pur di farlo diventare realtà: studiare per diventare medico, per realizzare il suo sogno, riusciva in parte a dare alla sua vita quell’ordine che, negli ultimi tre anni, era mancato.
Però non era stato solo lo studio ad aiutarlo ad rimettersi in sesto.
Ciò che più di tutto gli aveva dato modo di riprendersi completamente, che più gli aveva fatto capire che non c’era più niente per cui doversi angosciare, erano state le ore trascorse in compagnia dei suoi amici. Ore passate a ridere, a scherzare, godendosi completamente quei piccoli attimi di felicità che non viveva da tempo. Era stato grazie a quelle persone fatte tutte a modo loro, se si era reso davvero conto di quanto l’amicizia potesse essere una medicina potente, forte come l’amore, capace di allontanare definitivamente il buio e il dolore, di annientare il senso di vuoto e di vergogna, di sanare anche la più piccola ferita e cancellare ogni cicatrice rimasta.
Perché, prima che Calum si risvegliasse – benché cercasse di nasconderlo, di non pensarci –, Ashton non era ancora riuscito a perdonare se stesso. Più volte si era incolpato per ciò che stava succedendo al suo ragazzo e al suo migliore amico, per il fatto che le due persone a cui teneva di più non riuscissero a parlarsi a causa di un qualcosa che nessuno era stato capace di prevedere. Più volte il senso di colpa aveva preso il sopravvento su tutto il resto, divertendosi a veder il ragazzo lottare per non cadere, per non perdersi come invece era accaduto a Calum. Un senso di colpa che Ashton avrebbe tanto voluto estirpare, per avere le forze di fare la cosa giusta. Perché lui sapeva fin dall’inizio che avrebbe dovuto agire, che avrebbe dovuto fare qualcosa per cambiare la situazione, per sanare ogni strappo. Eppure… Non ci era riuscito, non ce l’aveva fatta: aveva avuto paura di sbagliare, di peggiorare ulteriormente le cose. All’improvviso, si era ritrovato bloccato dalle sue stesse paure. Ed era stato in quel momento che aveva compreso parte del peso che Calum si portava dietro da tempo. Un peso che – Ashton aveva imparato a proprie spese – nessuno può portare troppo a lungo da solo sulle proprie spalle.
Un peso che, tuttavia, proprio grazie ai suoi amici, il riccio è stato capace di lasciar andare una volta per tutte, senza doversi preoccupare, senza la paura di star commettendo un errore. Si era liberato, e non avrebbe potuto chiedere niente di meglio di quel senso di benessere che, quasi all’improvviso, aveva cominciato a scaldargli l’anima. Un benessere che tutt’ora sente scorrergli nelle vene, soprattutto grazie a quella persona che gli è sempre rimasta vicina, in ogni momento.
Michael.
Perché, ogni singolo giorno,  il suo ragazzo si era dimostrato essere il motivo per cui lui non aveva smesso di sperare, per il quale non aveva rinunciato a niente, neppure per un istante; per il quale aveva messo in gioco tutto se stesso. Si era dimostrato la cura migliore, l’unica capace di dargli quella tranquillità che aveva sempre cercato e che solo stando con il giovane Clifford riusciva a trovare.
In quegli ultimi nove mesi, Michael si era dimostrato essere la sua forza: in silenzio, quasi di soppiatto, come se non avesse voluto essere scoperto, era riuscito a fargli tornare del tutto il sorriso, a fargli accettare i propri errori per poi voltare pagina, a fargli tornare a battere il cuore a pieno ritmo, senza più alcun peso a trascinarlo giù.
E il riccio, da cinque anni ormai, non riesce a smettere di ringraziare il cielo per avergli fatto conoscere quel ragazzo che, col tempo, è diventato la parte più importante di tutta la sua vita, senza la quale non potrebbe stare.
Quello stesso ragazzo che, a causa di una delle loro migliori amiche, è cambiato moltissimo.
E mentre prende le poche cose che gli serviranno quel giorno, Ashton non riesce a sorridere, ripensando a Letizia e all’immenso regalo che ha fatto a tutti loro due settimane prima.
Un dono che, quando la mora gli aveva dato la notizia di persona, gli aveva fatto diventare gli occhi lucidi per l’emozione e, soprattutto, per quello strano senso di sollievo che quelle parole gli avevano fatto provare.
«Ash, ti prego, non piangere pure tu!» aveva commentato Letizia, ridendo allegra. «Penso che Madison abbia fatto abbastanza per tutti noi.»
Lui aveva riso e l’aveva stretta forte a sé, ringraziando in silenzio il cielo per aver fatto ai suoi due migliori amici un regalo simile. Un regalo che – lui lo sa bene, ogni volta che passa per i corridoi dell’ospedale e nota le espressioni che hanno le altre persone a causa di quella stessa circostanza – avrebbe presto rivoluzionato completamente la vita di ognuno di loro.
E mai avrebbe immaginato la piega che avrebbero preso le cose proprio a causa della gravidanza della mora. Mai avrebbe creduto che quella situazione avrebbe potuto essere un’occasione per conoscere di più cosa gli occhi scuri della sua migliore amica nascondessero. Occhi scuri che, in una sera di fine ottobre, si sono aperti a lui, mostrandogli tutta la verità, tutta la storia che Letizia si è portata dietro per anni e che, finalmente, era riuscita a cambiare, a migliorare. Una storia che l’aveva lasciato senza parole, incapace di fare qualsiasi cosa, anche il più singolo gesto, per farle capire che lei ormai non aveva più niente di cui doversi preoccupare.
La mora aveva sorriso, vedendolo in difficoltà, mostrando quel sorriso dolce che Ashton ancora non riesce a descrivere: un sorriso capace di alleggerire ogni peso, di curare il cuore in un attimo.
«Non serve che tu dica niente, Ash.» aveva sospirato, accarezzandosi distrattamente il ventre con gesti così delicati da sembrare impalpabili. «Ora è tutto a posto. La sola cosa che mi restava da affrontare era trovare il coraggio di raccontare cosa mi è successo a chi di voi ancora non lo sapeva.» aveva spiegato con gli occhi lucidi, prima di abbracciarlo all’improvviso, stringendolo a lungo. «E ora sono felice, davvero. Perché ci sono riuscita. Da sola.»
Lui non aveva risposto. Si era limitato a rispondere a quell’abbraccio, a quel gesto d’affetto che tutt’ora conserva nel cuore come uno dei suoi tesori più grandi. Perché si sente fortunato ad avere nella propria vita una persona come Letizia: unica in ogni sua più piccola parte, forte e coraggiosa più di quanto serva per restare in piedi.
È anche per lei se, adesso, sta guidando un po’ più veloce per le strade di Sydney. Perché quell’appuntamento che tutti loro aspettano con ansia riguarda anche lei. Soprattutto lei.
 
È lì da quasi un’ora, seduto sul letto ancora da rifare, con gli occhi puntati sulla chitarra che ha davanti sé.
È a pezzi: non è riuscito a chiudere occhio neppure per un minuto quella notte, a causa dei pensieri che gli frullavano per la testa, impedendogli di trovare un attimo di pace. Eppure, non se ne preoccupa più di tanto, Michael, mentre si ritrova a sfiorare le corde dello strumento con le dita, senza riuscire a trattenere un sorriso.
Era da anni che non toccava più la sua chitarra. Dopo che Rachel era morta, l’aveva nascosta nell’armadio per non doverla più tirare fuori. Perché quello strumento gli ricordava troppo bene le ore passate in compagnia della sorella e dei suoi amici, trascorse a suonare, a scrivere canzoni, mettendo l’anima in ogni strofa e in ogni prova che facevano nel garage di casa Irwin. Momenti che, dopo la scomparsa di lei, per tutti loro sembravano essere perduti per sempre. Perché lo spazio vuoto lasciato da Rachel faceva ancora troppo male. E nessuno dei sui amici, senza di lei, se l’era sentita di continuare.
Eppure, adesso lui è lì, a suonare la sua chitarra come sempre, come se non fosse passato neppure un secondo dall’ultima volta che l’ha presa in mano. Suona, lascia che la musica gli entri dentro l’anima, accarezzandone ogni angolo, ogni parte rimasta al buio per troppo tempo. Suona, canta, lascia che le dita si muovano da sole sulle corde tese, riempiendo la stanza di quel suono che ai signori Clifford è sempre piaciuto.
E si ritrova a sorridere ancora più ampiamente, Michael, ripensando ai suoi genitori.
Sorride, mentre gli occhi gli diventano lucidi, perché in quegli ultimi nove mesi è riuscito a realizzare uno dei suoi più grandi desideri. E sa che deve ringraziare il suo ragazzo e i suoi migliori amici per avercela fatta. Perché senza di loro, senza il loro aiuto, non avrebbe mai trovato la forza di cui aveva bisogno. Soprattutto, senza Letizia non sarebbe mai stato capace di buttarsi per sistemare tutto quanto.
Dopo la morte di Rachel, era stato come se all’improvviso Karen e Daryl avessero perso completamente la voglia di vivere. Si erano chiusi in se stessi, a mala pena si rivolgevano qualche parola, ed era come se si fossero completamente dimenticati di Michael. Soltanto quando era rimasto vittima di quell’incidente, si erano allarmati per lui, così tanto che il ragazzo aveva cominciato a preoccuparsi a sua volta per loro. Perché sapeva bene che, in fondo, i suoi genitori avevano avevano paura di perdere anche lui. Però… Dopo alcune settimane, i signori Clifford erano nuovamente caduti preda dell’apatia, del silenzio, lasciando Michael da solo.
Ed era stato proprio in quel periodo che Letizia era piombata nella sua vita.
Ricorda ancora quel giorno come se fosse accaduto soltanto la mattina precedente.
Era steso sul letto a causa della gamba ancora ingessata e stava guardando un po’ di televisione, pur di tenere la mente occupata, pur di non pensare a tutto quello che, negli ultimi due anni aveva perduto, quando all’improvviso qualcuno aveva bussato, prendendolo completamente alla sprovvista.
«Avanti.» aveva detto; gli occhi fissi sulla porta, il cuore che batteva per un motivo che tutt’ora non sa spiegarsi.
Una ragazza mora con addosso un paio d’occhiali da vista dalla montatura nera era apparsa sulla soglia.
Michael l’aveva guardata a lungo, incuriosito, chiedendosi come mai fosse venuta proprio da lui. Aveva forse confuso la sua camera con quella di qualcun altro?
«Sei tu Michael Clifford, giusto?» gli aveva chiesto lei, invece, spezzando il silenzio che si era creato nella stanza e prendendolo ulteriormente di sorpresa.
«Sì, sono io.» aveva risposto titubante, non capendo che cosa stesse succedendo di preciso.
La ragazza aveva sorriso ed era entrata nella stanza, posando le proprie cose sulla sedia più vicina al letto.
«Letizia Lewis, tanto piacere.» si era presentata, tendendogli la mano, che lui aveva stretto piano, sospettoso, senza riuscire a staccare lo sguardo da quegli occhi scuri, in cui era sicuro di aver scorto un’ombra che, per certi versi, gli risultava anche troppo familiare.
«Michael.»
L’altra aveva annuito tranquilla e si era accomodata sulla sedia, piano, cercando di non far rumore, come se avesse voluto diventare invisibile, come se avesse voluto nascondersi agli occhi di chiunque.
«Io… Ehm… Sono qui per il progetto dell’ospedale…» aveva cominciato a spiegare, imbarazzata, con la voce insicura e gli occhi che non riuscivano ad alzarsi dalle punte dei suoi piedi.
Michael si era ritrovato a sorridere, nel vedere quanto timida fosse, e aveva deciso di darle una mano.
«Quello delle visite ad alcuni pazienti?» aveva chiesto, già intuendo il perché lei fosse lì.
La mora aveva annuito, riportando gli occhi allo stesso livello di quelli del ragazzo. «Però se non vuoi che resti, dimmelo. Io… Non voglio disturbare, sul se–»
«Guarda che sei la benvenuta.» aveva ribadito lui, fermandola e sorridendole. «E poi, è bello vedere gente nuova ogni tanto. Gli infermieri di questo piano sono sempre gli stessi e non si possono fermare troppo a lungo per chiacchierare un po’.»
Aveva detto così perché sperava che lei accettasse, che gli facesse compagnia in quelle giornate monotone, prive di colore; che lo distraesse almeno per qualche ora dal caos che non sapeva come poter affrontare una volta uscito da quel posto. Aveva bisogno di stare con qualcuno, di avere un qualsiasi tipo di contatto con le altre persone. Non ce la faceva più a vivere in quelle quattro mura fatte di solo assordante silenzio.
«Allora forse qualcuno potrebbe rimediare venendo più spesso a trovarti.» aveva proposto l’altra, capendo a che gioco Michael stesse giocando.
Lui aveva sorriso; il cuore più leggero, l’anima serena. «Vuoi essere tu ad avere l’esclusiva di farmi compagnia?»
Letizia aveva piegato le labbra in un sorriso, quel tipo di sorriso che il giovane Clifford non avrebbe mai potuto dimenticare, neppure volendo: pieno, luminoso, vero, sincero, capace di riscaldargli il cuore in un istante.
«Mi farebbe molto piacere.» aveva risposto poi.
E Michael ogni giorno non fa che ringraziare quell’incontro, per avergli fatto conoscere quella persona fantastica che, col tempo, si è rivelata essere una delle più importanti della sua vita, una delle sue migliori amiche. Quella stessa persona che, in quell’ultimo anno – insieme a tutti gli altri – è stata capace di migliorargli le giornate, rendendole più luminose, facendogli trovare la speranza che credeva di aver perso per sempre. Quella stessa persona per cui farebbe letteralmente qualsiasi cosa pur di renderla felice, soprattutto adesso che sta affrontando una delle sfide più difficili di tutte.
Posa la chitarra sul letto e prende il telefono per cercare quella foto che la mora gli ha invitato una mattina di due settimane prima. Una foto che, anche adesso, riesce a riempirgli il cuore di una felicità che non provava da tempo.
Una felicità che riguarda anche il fatto che, finalmente, i suoi genitori sono tornati quelli di una volta, realizzando il suo desiderio di vederli nuovamente felici e, soprattutto, vivi, in ogni loro più piccola parte. Perché, dopo tutti gli sforzi fatti, finalmente è riuscito a far loro capire che non serve a niente ancorarsi al passato per evitare di affrontare il dolore; che non serve a niente annullarsi perché non si riesce a sopportare il senso di colpa; che provare dolore non è così negativo come potrebbe sembrare in realtà.
E adesso che la sua vita è completa, non potrebbe chiedere niente di meglio.
Perché gli ultimi nove mesi si sono dimostrati essere pieni di talmente tante cose, che ancora fatica a credere a come tutto quanto sia potuto accadere.
È riuscito a mettersi in pari con le lezioni e gli esami che gli mancavano all’università per poi iniziare il terzo anno alla facoltà di arte, quella che lui e sua sorella avrebbero voluto frequentare insieme.
Ha continuato a vedersi con i suoi amici, ogni volta che ne aveva la possibilità, ogni volta rendendosi sempre più conto di quanto il loro rapporto stesse diventando sempre più importante, sempre più forte, sempre più necessario per tutti loro che, soltanto grazie all’amicizia che li lega, sono ancora lì, in piedi, nonostante i colpi ricevuti.
Soprattutto, non ha potuto non notare quanto Ashton stesse diventato sempre più essenziale per lui.
Ogni volta che falliva nel provare ad aiutare i suoi genitori, il riccio era sempre al suo fianco, pronto a dargli una mano, a rimetterlo in piedi, a spronarlo a continuare senza arrendersi. Ogni volta che aveva bisogno di qualcuno su cui contare, Ashton era sempre in prima linea, pronto a fare persino l’impossibile pur di farlo stare bene.
Nonostante tutto, Michael non avrebbe mai creduto che quei cinque anni insieme al riccio si sarebbero rivelati i migliori della sua vita, pieni d’amore e di una felicità che tutt’ora non riesce a spiegarsi, a descrivere fino in fondo. Non avrebbe mai immaginato che Ashton avrebbe potuto stravolgere il suo mondo così tanto in profondità.
E sorride, lui, mentre percorre il vialetto di casa sua per salire sulla macchina del suo ragazzo.
Perché quello è un giorno speciale. Soprattutto per Michael che, adesso, non vede l’ora di arrivare alla meta.
 
Sta cercando di pulire la macchina da una mezz'ora buona, per far posto a Madison, a Letizia e a ciò che la mora deve portarsi dietro da due settimane – e a lui, nonostante fosse lì, sembra ancora impossibile. Ma è come se, non appena butta via qualcosa, altri oggetti sbucassero fuori all'improvviso, rendendo quel compito più stressante di quanto non sia in realtà.
Però a Luke non importa più di tanto: ha cose ben più importanti a cui pensare quel giorno, per le quali ha sperato talmente tanto in quegli ultimi nove mesi che, adesso che si sono realizzate, quasi non riesce a crederci.
Butta via l'ennesimo fazzoletto usato e sorride, non appena si ritrova in mano il foulard beige che Maison credeva di aver perso tempo prima. Lo stesso foulard che le aveva regalato per il suo compleanno e che, qualche settimana dopo, le aveva tolto dal collo in quella stessa macchina, con le mani che gli tremavano mentre facevano l'amore per la prima volta. Lo stesso foulard che, adesso, si ritrova a sfiorare piano con la punta delle dita, come a voler sentire la pelle morbida della sua ragazza sotto le mani.
Scuote piano la testa e lo mette da parte, appuntandosi mentalmente di darglielo non appena si vedranno.
E mentre torna a pulire la macchina, il ricordo della notte passata con Madison viene seguito da tutto ciò che è successo in quegli ultimi nove mesi: un susseguirsi di novità, di soddisfazioni, di piccoli sogni pian piano realizzati e piccole speranze avverate, di lunghe ore passate con i propri amici, con sua madre e, soprattutto, con Madison.
Ripensa a quel primo anno all'accademia di fotografia da poco concluso; un anno andato molto meglio di quanto si fosse aspettato: aveva iniziato quella scuola su consiglio della madre, che «Oltre alla musica, ti è sempre piaciuto fare fotografie. Prova e vedi come va.» gli aveva detto. Lui aveva seguito il consiglio e, deve proprio ammetterlo: non avrebbe potuto fare scelta migliore di quella. Perché quella scuola si è rivelata essere il luogo in cui ha finalmente ritrovato la persona che vuole essere: qualcuno che mette tutto se stesso in ogni progetto, in ogni sogno, in ogni speranza, senza preoccuparsi delle difficoltà, senza cadere davanti ai fallimenti.
Ripensa a come il rapporto tra lui, Ashton e Michael, in quei mesi, sia ritornato come quello di una volta: basta uno sguardo per capirsi, la canzone giusta in macchina per un’improvvisata gita fuori porta, le parole adatte per sfondare i silenzi e i silenzi per combattere le paure. È come se la loro amicizia non se ne fosse mai andata, è come se fosse sempre rimasta lì, dentro di loro che, senza rendersene conto, l’avevamo relegata in un angolo per non rovinarla ulteriormente.
Ripensa a come sua madre sia tornata ad essere del tutto la persona che era un tempo, a come il passato non le faccia più male, a come si sia ripresa la sua rivincita sotto ogni punto di vista, dando il massimo in ogni cosa che ama fare e che la aiuta a sentirsi se stessa, senza limiti, senza catene, senza pesi. Ripensa a come Liz abbia fatto di tutto pur di sanare il loro rapporto, per chiedergli scusa di tutti i pesi che ha dovuto portare da solo. Ripensa ai suoi fratelli maggiori che, in quegli ultimi mesi, sono venuti più spesso a casa per dargli una mano, per stare un po’ insieme, come quella famiglia che, nonostante tutto, sono sempre stati: una famiglia che non è mai crollata.
Ripensa a Letizia, a come quegli ultimi nove mesi le abbiano stravolto la vita, a come si sia impegnata giorno dopo giorno, a come abbia messo in gioco tutta se stessa ancora una volta, dando il massimo pur di fare meno errori possibili. Ripensa ad ogni volta in cui l’ha vista con lo sguardo assente, gli occhi lucidi e le labbra piegate in un sorriso; a quanto si sia dimostrata coraggiosa e forte, più del solito; a quanto bene le voglia; a quanto speri che tutto vada per il meglio, specialmente per ciò con cui, da adesso in poi, avranno a che fare.
Ripensa, soprattutto, a Madison. A quella persona che è il centro costante di tutti i suoi pensieri, che è il motivo che l’ha spinto a dare il massimo, a non darsi per vinto, a continuare a sperare. Ripensa a come quella ragazza si sia rivelata essere la parte che mancava alla sua vita per essere completa. Quella parte che ha cercato a lungo, sorprendendosi nel trovarla proprio in quella sconosciuta dai grandi occhi castani, che l’hanno attirato come calamite potentissime fin dalla prima volta che li ha incrociati con i propri. Quegli occhi per i quali ha fatto di tutto pur di privarli di quell'ombra che vi aveva scorto fin da subito. Quegli stessi occhi che, adesso, ogni volta che lo guardano, lo fanno sentire bene, a proprio agio, riempiendogli il cuore e cullandogli l'anima, mostrandogli sempre quanto amore nascondano e abbiano da dare, ricordandogli i motivi per cui non ha mai smesso di combattere. Quegli occhi che, da poco più di un anno, sono diventati la cosa più importante che ha e per la quale ringrazia sempre il cielo per avergliela fatta incontrare.
Perché Luke sa che, se non ci fosse stata Madison, le cose sarebbero andate in maniera del tutto diversa. Sa che, senza quella bionda che ama con ogni grammo di sé, la sua vita sarebbe andata in pezzi, senza possibilità di tornare indietro. E forse non ci sarebbe stato alcun modo per rimetterla in sesto e farla ripartire da zero, per darle una seconda possibilità. Sa che, se non ci fosse stata lei, avrebbe perso la speranza molto prima; che non avrebbe saputo cosa fare per non mandare tutto all'aria. Sa soprattutto che, se non l'avesse conosciuta, non avrebbe mai capito cosa voglia dire innamorarsi di qualcuno così intensamente da mettere in gioco tutto quello che si ha e che si è.
Sorride, mentre ripensa a tutto quello che Madison gli ha dato fin da quando si sono conosciuti. Un tutto a cui, a volte, fatica ancora a credere. Perché è lei e la loro storia sono ciò che più per lui conta, così belle da sembrare un sogno, per il quale ha intenzione di dare ogni parte di sé pur di non perderlo.
E quasi non rende conto di aver finito di mettere in ordine, fino a che no si ritrova soltanto con una camicia di jeans in mano, che lascia cadere sulla poltrona del garage, per poi lavarsi le mani, salire in macchina e partire, sperando seriamente di non trovare traffico per le vie del centro. Vuole arrivare da Letizia in orario, dato che una delle due tappe di quel giorno è proprio casa della mora.
Guida con calma, gli occhiali da sole addosso, la radio accesa, la nuova canzone degli All Time Low che si diffonde nell'auto e che gli fa battere a ritmo il piede sul pedale e le dita sul volante, i finestrini abbassati per rinfrescare l'aria calda di quell’autunno che, benché sia quasi a metà, non dà segno di voler far arrivare l’inferno tanto presto quell’anno.
Guida e si lascia trasportare dal ritmo di Sydney, a volte placido, altre frenetico, capace in ogni caso di catturare chiunque; lascia che le strade lo catturino per portarlo dove vogliono, tra vicoli stretti e viali alberati, tra quartieri tranquilli e altri preda del caos. Soprattutto, lascia che il proprio cuore si tranquillizzi, che palchi i battiti e che gli dia modo di mettere i pensieri in ordine. Vuole essere pronto per quell’avvenimento davvero speciale.
 
Osserva attentamente la foto che ha sul comodino accanto al letto, scattata ormai quasi cinque mesi prima, nel giorno in cui lei e i suoi amici si sono diplomati. Una foto che la ritrae in mezzo ai suoi genitori, sorridente, allegra, viva, come mai prima di allora si era sentita. Una foto che fa da prova al fatto che il passato non ha più alcun potere, su nessuno di loro.
Ricorda bene quel giorno.
Aveva indossato la toga nera sopra al vestito rosso che sua madre Helen le aveva dato la sera prima proprio per quell’occasione speciale. «L’ha scelto tuo padre. E devo dire che ha stupito anche me.» le aveva detto, mentre lei si osservava allo specchio di camera sua – quello stesso specchio che, da mesi, non era più il suo nemico peggiore.
Senza rendersene conto, aveva sorriso alla sua immagine riflessa sulla superficie liscia. Perché non avrebbe mai immaginato di trovarsi così bella – almeno una volta – proprio come in quel momento, con addosso un vestito simile e i calzini spaiati ai piedi infilati in un paio di scarpe da ginnastica da buttare. Si era vista bellissima nei suoi pregi, nei suoi difetti, in tutto quello che la rende la persona che è. Si era vista bellissima nell’essere se stessa, senza più maschere. E non avrebbe potuto chiedere niente di meglio.
Il giorno seguente era stato uno dei migliori della sua vita. Perché le aveva fatto notare che, finalmente, ogni cosa aveva cominciato ad andare per il verso giusto; che lei non aveva più niente da temere, che il rapporto con i suoi genitori aveva ripreso il proprio corso esattamente dallo stesso punto in cui si era interrotto. Un rapporto uscito più forte dopo aver chiuso definitivamente le porte del passato. Un rapporto che, in quegli ultimi nove mesi, Madison ha capito di non voler perdere per niente al mondo, non quando sia lei che i suoi genitori hanno fatto letteralmente di tutto pur di sanare la situazione.
Sospira accarezzando la cornice chiara della foto, sentendo le labbra piegarsi in un sorriso. Poi si alza dal letto e finisce di vestirsi, controllando per l'ennesima volta se nella borsa abbia messo tutto ciò che, in una telefonata durata più di un'ora, Letizia le ha chiesto di portare con sé quella mattina.
«Per ogni evenienza. Non si può mai sapere!» aveva esclamato la mora – quando lei le aveva chiesto perché –, facendola sorridere. Perché è da due settimane che la sua migliore amica si comporta in quel modo: apprensiva, tesa più di una corda di violino e pronta ad ogni eventualità.
E, in fondo, Madison la capisce. È sempre stata al suo fianco in quegli ultimi nove mesi, sa quante l'altra ne abbia dovute passare, tra momenti d'ansia, insicurezza e rabbia che si alternavano in continuazione, facendo camminare tutti loro sul filo del rasoio, dato che non avevano la benché minima idea di come o cosa fare.
Per questo ringrazia ancora il fatto che, oltre ad Azura e a sua madre Helen, anche le mamme dei ragazzi abbiano deciso di dare una mano alla mora per aiutarla ad affrontare una delle tappe più importanti e più difficili della vita, formando quella grande famiglia in cui la zia di Letizia e sua madre sono state accolte con un calore che né loro né le ragazze si sarebbero mai aspettate.
Tutte loro hanno consigliato la mora a lungo, partendo dal fatto che avrebbe dovuto mettere da parte l’ansia fin da subito, perché non avrebbe portato assolutamente a niente, se non a sobbarcarsi di «preoccupazioni del tutto inutili» – così le aveva chiamate Joy Hood, quando aveva invitato le ragazze a passare un pomeriggio insieme, soprattutto per avere l’opportunità di parlare con Letizia, di cose che la giovane King non ha mai voluto sapere.
«Le chiacchiere tra nuora e suocera devono restare tra nuora e suocera.» aveva spiegato alla sua migliore amica, quando quest’ultima le aveva chiesto il perché.
Letizia aveva riso, di quella risata piena e viva che solo lei è sempre stata capace di fare. Quella risata che, fin da quando erano bambine, ha fatto sempre sentire Madison al sicuro, in ogni momento buio.
«Ma io e Cal non siamo sposati!» aveva ribadito; le guance lievemente più rosee e le mani che si stringevano nervosamente tra loro, così tanto da far sbiancare le nocche.
La bionda aveva sorriso e le aveva arruffato i capelli. «Scema, non preoccuparti.» le aveva detto, sperando di riuscire a calmarla in qualche modo. «Tanto sai che prima o poi accadrà in ogni caso.»
«Maddie!»
«E io sarò la tua testimone di nozze. O forse la damigella d’onore?» aveva proseguito, scherzando, capendo con un’occhiata che l’amica aveva intuito il suo gioco. «Posso essere entrambe?»
L’altra aveva sorriso. Ed anche l’ultimo briciolo d’ansia se n’era andato, in silenzio, esattamente com’era arrivato.
«Ti rispondo già di sì. Perché so che tanto farai come vuoi in ogni caso.»
Madison aveva ridacchiato e l’aveva abbracciata forte. «Sei la migliore!»
E si ritrova a sospirare piano, adesso, mentre cerca in tutti modi di tenere a bada la felicità che prova da quando si è svegliata quella mattina. Una felicità che riguarda se stessa e tutte le persone che, in quell’ultimo anno, hanno cominciato a far così talmente parte della sua vita che, adesso, lei non potrebbe in alcun modo pensare alle sue giornate senza di loro. Una felicità che ben le tiene a mente il fatto che, finalmente, ogni cosa storta è tornata al proprio posto, per rimanerci fino alla fine, senza più creare danni, senza più portare dolore.
Aveva agognato tanto la libertà, aveva provato a cercarla in ogni dove. Ma si era arresa: aveva deposto troppo presto le proprie armi; non aveva continuato a combattere come invece avrebbe dovuto. E sa che, se non fosse stato per le persone che ama, non sarebbe dov’è adesso.
Sarà riconoscente ad ognuno di loro per sempre, con tutto il cuore. È l’unica cosa che sa di poter fare per ringraziarli per ogni singola cosa che hanno fatto per lei, per farla tornare a sorridere, a camminare sulle proprie gambe, per aiutarla a prendersi la sua rivincita, liberandola dalle proprie catene e dal proprio inferno.
Soprattutto, non sarà mai in grado di ringraziare abbastanza Luke che, da quando si sono incontrati, ha sempre cercato in ogni modo di renderla felice. Luke, quell’angelo che le ha mostrato che ha ancora tanto da donare, a se stessa, ai suoi genitori, ai suoi amici. È stato grazie a quel biondo se, pian piano, ha ricominciato ad amarsi, a non vedersi più come un errore, a vedersi per quella ragazza che è sempre stata, semplice, con tanti sogni nel cassetto e una voglia matta di sfogare la propria anima con la musica.
Cosa che, in quegli ultimi nove mesi, ha effettivamente fatto. Perché, dopo lunghi ripensamenti, dopo aver messo da parte ogni insicurezza, ogni dubbio, aveva deciso di iscriversi all’accademia di musica. Non sapeva suonare uno strumento, al contrario di tutti gli altri studenti del suo corso, e l’inizio dell’anno scolastico non era stato dei migliori. Però non aveva mollato: si era impegnata al massimo, mettendo in gioco ogni più piccola parte di sé per realizzare quel sogno che, finalmente, aveva la possibilità di far diventare realtà. E non avrebbe mai creduto di poter ottenere risultati simili: in poco tempo, era diventata una dei migliori allievi del corso di chitarra, strumento in cui aveva deciso di specializzarsi – e non soltanto a causa di Luke.
Luke, che è sempre stato lì, al suo fianco, pronto a condividere con lei le vittorie e le sconfitte, pronto a sorreggerla se mai qualcosa fosse andato storto, a riempirle la vita di luce, in quel modo che soltanto lui è in grado di fare; quel modo da cui Madison si è ritrovata ad essere sempre più dipendente.
Perché non riesce a fare a meno del biondo, neppure volendo. Non riesce a stargli lontana, a pensare ad un futuro in cui lui non è presente. Semplicemente, non riesce più a nascondere il proprio amore che, in quell’ultimo anno, sembra essersi preso così tante libertà, che ormai la ragazza ha rinunciato a cercare un modo per migliorare le cose.
All’improvviso, il suono di un clacson la riporta con i pensieri al presente.
Prende ciò che le serve e corre fuori, dopo aver salutato velocemente sua madre.
E sorride. Perché la macchina di Luke è davanti casa sua. E lei non vede l’ora di essere con gli altri.
 
Si tira su la zip della felpa e si siede sul letto, chiudendo gli occhi e lasciandosi cadere piano sul materasso morbido. Sospira, mentre si passa una mano tra i capelli scuri tagliati da poco, provando a non pensare in alcun modo a ciò che succederà tra qualche ora, cercando di tranquillizzare i battiti del proprio cuore che, quella mattina, sembra esserle impazzito dentro al petto, incapace di contenere il turbine di emozioni che l’ha invasa non appena si era svegliata. Emozioni contrastanti tra loro, in grado di farla andare in confusione, di farle perdere la calma, di farla tornare nuovamente a preoccuparsi per ogni più piccola cosa.
Ecco perché, qualche ora prima, aveva chiamato Madison per chiederle di portare qualcosa con sé. In fondo, non sa mai di cosa potrebbe avere bisogno quindi, per evitare il problema, meglio portarsi tutto dietro. Giusto?
Sospira di nuovo, mentre si massaggia piano le tempie, spostando lo sguardo verso destra e ritrovandosi a sorridere, lentamente. E intanto, sente gli occhi diventarle lucidi, mentre osserva ciò che in quegli ultimi nove mesi le ha stravolto la vita, come se non ne avesse già passate a sufficienza l’anno precedente.
Guarda ciò che l’ha spronata a prendere coraggio per affrontare quella sfida che le si è presentata davanti all’improvviso, senza che lei l’avesse prevista o desiderata così presto. Guarda ciò che le ha fatto capire che le cose, con calma, sarebbero andate per il meglio; che non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente perché tutto, in un modo o nell’altro, si sarebbe risolto. Guarda ciò che le fa compagnia ogni giorno da due lunghe settimane, le migliori e le più difficili della sua vita; settimane che ha aspettato per nove mesi, durante i quali si sono susseguite così tante novità che, a pensarci adesso, ancora non riesce a spiegarsi come abbia fatto ad uscirne tutta intera.
Ha finito il primo anno della facoltà di Lettere con il massimo dei voti, nonostante le nottate insonni e gli sbalzi d’umore. Primo anno che le ha dato la possibilità di immergesi completamente in quel mondo che ha sempre amato e di finire quella storia su cui stava lavorando da tempo e che, senza rendersene conto, all’improvviso si era ritrovata tra le mani sotto forma di libro vero e proprio edito da una delle più importanti case editrici del Paese, che era andato a ruba in ogni libreria d’Australia nel giro di neppure un mese.
E per lei, il fatto di aver realizzato uno dei suoi tanti sogni, di essere riuscita a pubblicare un libro, continua a sembrare tutt’ora incredibile. Per lei, che aveva sempre sperato di far provare agli altri qualcosa di forte con le proprie parole, è ancora impossibile capacitarsi del fatto che molti lettori le mandino costantemente lettere e mail, per farle i complimenti, per farle sapere la loro opinione e – la parte migliore di quella novità – per ringraziarla di aver scritto proprio quella storia.
Quella stessa storia che è parte di lei in ogni parola, in ogni pagina. Quella storia in cui ha messo ogni più piccolo grammo di se stessa, sfogandosi, aprendosi, scrivendo di quel dolore di cui non è mai riuscita a parlare bene a voce alta, lasciando che la vera versione di se stessa venisse fuori, con tutti i pesi, tutte le lacrime, tutti i silenzi e i momenti pieni di luce, arrivati dopo che Calum aveva fatto cadere i suoi muri e le sue maschere una volta per tutte.
Quella stessa storia che tocca ogni persona che, in quell’ultimo anno, le ha cambiato la vita, migliorandola, facendola tornare a splendere completamente, senza più alcuna ombra da dover combattere.
Ricorda ancora le espressioni attonite dei suoi amici, quando erano arrivati a casa sua per parlare proprio del libro e del fatto che i personaggi secondari erano molto simili a loro sotto parecchi punti di vista. Espressioni che avevano ripreso un po’ di colore alla risposta che lei aveva dato ai loro perché.
«Volevo raccontare di noi, di quello che abbiamo passato e che ci ha portati fino a qui.»
I ragazzi l’avevano osservata sbalorditi, senza dire una parola – più tardi l’avrebbero riempita di complimenti e vari «Non mi aspettavo che fossi così brava a scrivere», a cui lei avrebbe risposto sorridendo.
Madison, invece, era stata la prima a riscuotersi dal torpore in cui era caduta; la prima a stringere forte a sé Letizia; la prima a piangere per quella storia che l’aveva messa davanti a tutta la sua vita, mostrandole gli errori commessi, le scelte sbagliate prese sempre all’ultimo istante, gli attimi di puro inferno che aveva evitato per un soffio.
«Grazie.» si era limitata a dirle la bionda, mentre cercava di asciugarsi le lacrime.
L’altra aveva sorriso e l’aveva continuata a tenere stretta, mentre il cuore non faceva altro che traboccarle di gioia.
Una gioia che non l’ha mai abbandonata, da quando il suo rapporto con Azura è tornato ad essere quello di un tempo, soprattutto grazie al fatto che la donna l’ha aiutata in ogni passo della gravidanza, tenendola per mano, mostrandole i passi giusti da compiere, consigliandola su cosa fare dopo.
E tutto questo con anche l’aiuto delle madri di Madison e dei ragazzi, che spesso venivano a casa sua per chiacchierare e stare insieme, per condividere le proprie esperienze  e le lezioni che ne sono derivate.
Letizia non si sarebbe mai immaginata un appoggio simile dai genitori dei suoi amici. Mai avrebbe creduto che la famiglia che lei e gli altri avevano costruito in quell’ultimo anno si sarebbe allargata così presto. Mai avrebbe pensato che Azura avrebbe potuto trovare delle amiche tra persone così diverse da lei, con un cuore talmente grande da avere spazio per chiunque. Uno spazio che sua zia si era meritata fin da subito, per essersi aperta, per essersi lasciata andare con loro, per aver tirato fuori tutto il dolore che aveva represso dalla morte di Elizabeth, per aver condiviso la sua storia con quelle persone che l’hanno accolta senza dire niente in contrario.
Come mai avrebbe immaginato che la gravidanza si sarebbe rivelata tanto dura.
I primi mesi erano stati i peggiori: aveva passato le notti chiusa in bagno, con la testa china sul water e il corpo scosso dai conati e stancato dalla nausea; notti trascorse in compagnia dei propri amici, che si alternavano costantemente nelle visite e nelle veglie, per farle compagnia, per darle il loro sostegno, per aiutarla in ogni modo. Notti di nove mesi che si erano rivelate fonti di lunghe chiacchierate e ristate trattenute per non svegliare i vicini; notti di lacrime causate dallo stress e dall’ansia, di confessioni di ogni tipo, di speranze sussurrate con gli occhi rivolti al cielo che vedevano dalla finestra, di sogni fatti avverare giorno dopo giorno.
Con l’entrata nel quarto mese, la nausea si era lentamente affievolita, dando però spazio alla pancia, dalla pelle sempre più tesa e sempre più scossa dai piedini del piccolo. Una pancia che spesso Letizia si era ritrovata ad accarezzare, piano, quasi avesse paura di rompere quell’angelo che le stava crescendo dentro, beandosi di quel calore che sentiva correrle dentro le vene, capace di scaldare ogni sua più piccola cellula. Un calore che le faceva rendere conto che ciò che stava vivendo era molto più che reale.
«Avremo a che fare con un bambino molto vivace.» aveva commentato Ashton una di quelle notti, indicando con un cenno la pancia che si muoveva a scatti piccoli, quasi impercettibili.
Lei aveva ridacchiato piano. «Dovremo avere tanta pazienza.»
Il riccio aveva annuito, non riuscendo a trattenere il sorriso.
E Letizia si era ritrovata a pensare a quanto diversamente i suoi amici stessero affrontando la cosa.
Luke sussultava intimorito ogni volta che notava la pancia muoversi, quasi come se si sentisse molto più piccolo di quell’esserino che, piano piano, cresceva dentro di lei.
Ashton si era rivelato essere quello più lucido di tutti: in veste di aspirante medico, sapeva come affrontare le varie fasi, come agire in determinati momenti; in veste di «zio acquisito» – come ama definirsi – si lasciava scappare soltanto ampi sorrisi, in cui la mora ha sempre visto una tenerezza ed una felicità disarmati, così intense e vere da lasciarla sempre senza parole.
Madison e Michael, invece, facevano costantemente a gara per vedere tra chi dei due sarebbe diventato lo zio migliore, discutendo su ogni più piccola cosa: il nome; il colore della futura stanza, della culla, i tipi di giochi da regalare, i vestiti, l’asilo. Persino su chi, nel gruppo, sarebbe dovuto essere il padrino e la madrina.
Alla fine, Letizia era riuscita a placare la situazione, svelando quella sorpresa che lei e Calum avevano deciso di dire soltanto quando ogni cosa si fosse sistemata una volta per tutte.
«In realtà, Hood e io avevamo pensato proprio a voi due come madrina e padrino del bambino.»
A quella rivelazione improvvisa, i due avevano immediatamente smesso di litigare e si erano ritrovati stretti in un abbraccio che aveva fatto scuotere la testa della mora, seduta proprio davanti a loro.
Sospira piano, lei, nel ricordare quei momenti, nel ripensare a quelle persone che sono diventate parte della sua vita, la fonte della sua felicità. Quelle stesse persone che sono rimaste al suo fianco nonostante tutto; che, durante quei mesi, sono diventate parte di quella forza di cui aveva bisogno per non cedere più alla paura di sbagliare.
E intanto, continua a guardare ciò che la vita le ha regalato, che tanto le ricorda la parte più importante di lei, quella persona che le manca da morire e che non vede l'ora di rivedere.
Calum.
Quei nove mesi di distanza tra loro, nonostante gli impegni e tutte le altre cose a cui pensare, sono stati duri, molto più di quanto si fosse immaginata.
Aveva appoggiato l'idea del moro fin da subito. Voleva che stesse bene, che riuscisse a perdonarsi, a chiudere definitivamente ogni ponte col passato senza più sensi di colpa. Aveva sperato che tutto andasse per il meglio.
L'inizio era stata la parte più difficile: si era dovuta abituare al fatto di non poter avere vicino Calum nel modo in cui avrebbe voluto, soprattutto per affrontare insieme quella novità che li lega ancora più in profondità; si era dovuta ricordare ogni mattina che, ogni giorno passato lontani, equivaleva ad una piccola vittoria di entrambi su tutto il resto, soprattutto sul dolore che non era riuscito ad arrivare fino in fondo.
Poi le cose erano migliorate, passo dopo passo, a partire da un pomeriggio in cui, nella casella di posta elettronica, si era ritrovata una mail di Calum, in cui il moro le scriveva di come stessero andando le cose, di come stesse lui, in cui le chiedeva degli altri e, soprattutto, del piccolo. Una mail che aveva avuto il potere di farla piangere dalla gioia, che le aveva dato modo di sentirsi più vicina al suo ragazzo e che le aveva ricordato che loro due avevano ancora tante cose da fare e da costruire insieme.
Una mail che era stata l'inizio di tutto. Perché non hanno fatto altro che scriversi, costantemente, inondando l’altro di mail alle ore più improbabili del giorno – e anche della notte – parlando del più e del meno, facendo progetti, pensando al futuro. Era stato così che avevano vissuto quei nove mesi, tra mail, lettere e foto di lei e del pancione che Calum le chiedeva sempre. Non molto, ma sicuramente meglio di niente. Era ciò che le serviva per continuare a sperare, per convincersi che le cose sarebbero andate per il meglio.
E per lei, quel poco che sono riusciti a ritagliarsi, vale tutt’ora molto più di qualsiasi altra cosa.
Perché quei momenti, quelle mail sono state il solo modo che lei e il moro hanno avuto per continuare a farsi forza, a sperare; l’unico modo che li ha aiutati a non perdere niente di ciò che avevano costruito insieme.
Il suono di un clacson che rompe il silenzio la riporta alla realtà, facendole spuntare il sorriso sulle labbra.
Prende tutto ciò di cui ha bisogno ed esce dalla porta d'ingresso di quell'appartamento che, finalmente, ha imparato a chiamare casa.
Scende piano le scale, facendo attenzione a non fare mosse troppo avventate, cercando di restare tranquilla.
Poi è un attimo, e tutti i suoi amici sono davanti a lei, col sorriso sulle labbra alla vista di ciò che la mora ha con sé, pronti ad affrontare ciò che succederà a breve.
 
Non riesce a crederci.
Dopo nove lunghi mesi, sta finalmente preparando le sue cose per uscire dal centro di recupero.
E ancora non gli sembra vero.
È come se, all’improvviso, ogni giorno passato in quelle quattro mura avesse acquistato la durata di una frazione di secondo, come a voler scomparire, come a volersi nascondere in qualche modo per non tornare più. È come se le ansie e i dubbi che aveva provato fino alla notte prima si fossero dissolti nel nulla, lasciandogli il cuore e l’anima sensibilmente più leggeri. È come se il suo vecchio se stesso avesse all’improvviso varcato quella porta da cui non potrà mai fare ritorno, per permettere al nuovo Calum di entrare e vivere davvero la propria vita.
Finisce di mettere gli ultimi vestiti nella borsa. Poi se la mette in spalla e si avvia verso la porta, lasciata aperta dall’infermiera che quella mattina è venuta per fargli firmare gli ultimi documenti. E fa quasi per uscire dalla stanza, per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare completamente da zero. Eppure… Una strana sensazione richiama indietro il suo sguardo, facendo sì che si posi prima sul letto e poi sulla scrivania, sulla cui superficie campeggia un vecchio modello di un computer.
E si ritrova a sorridere, mentre gli tornano alla mente gli ultimi nove mesi della sua vita.
Mesi trascorsi interamente in quel centro di recupero in cui ha deciso di andare per cambiare, per essere una persona nuova, migliore; per curare una volta per tutte la sua anima ancora ancorata a pesi che hanno avuto bisogno di tempo e aiuto per scomparire; per medicare il proprio cuore, chiudendo le ferite ancora aperte e facendo scomparire le cicatrici appartenenti ad un passato ormai lontano.
Per tutto quel tempo, non ha fatto altro che combattere costantemente contro se stesso, contro la vergogna che provava e che all’inizio della terapia era diventata insostenibile; contro la rabbia e il risentimento che, pian piano, aveva cominciato a capire e a gestire, per quanto fosse possibile; contro la scarsa autostima che, giorno dopo giorno, aveva vinto trovando sempre qualcosa di nuovo su cui lavorare.
Ha combattuto contro i ricordi, contro quelle immagini che aveva relegato in un angolo della mente molto tempo prima, proprio per non doverle vedere mai più. Quelle stesse immagini che, ora, non fanno più male, alle quali adesso riesce a pensare senza sentirsi più in colpa, provando soltanto una grande nostalgia per chi non c’è più.
Ha lottato con ogni grammo della propria anima, senza risparmiarsi, senza ripensamenti di alcun tipo, senza preoccuparsi delle cadute, senza dare al dolore o allo sconforto la possibilità di agire di nuovo.
L’unica cosa di cui gli importava davvero era il suo obiettivo: diventare una persona migliore per crescere insieme a Letizia il loro bambino. Un obiettivo che non ha mai dimenticato, che si è fin da subito dimostrato essere la sola cosa capace di aiutarlo a rimettersi in piedi dopo ogni caduta; di fargli trovare il coraggio che gli era mancato fino a quel momento e che, da quando è uscito fuori, Calum non ha mai tentato di fermare. Perché quel coraggio è stata l’unica forza su cui ha potuto contare durante quei nove mesi, a cui si è ancorato per non cadere, per non mandare in fumo tutti gli sforzi fatti.
Perché non poteva fare affidamento sui suoi amici, sulla sua ragazza: nonostante si scrivessero spesso, nonostante cercassero di restare in contatto il più a lungo possibile nell’arco di una giornata, loro non erano lì, con lui.
Era da solo, Calum. Solo davanti alle proprie paure, alle proprie insicurezze, ai propri dubbi.
Ed era stato così che aveva capito quanto valore potessero avere un abbraccio, una mano tesa, un sorriso di comprensione e di incoraggiamento, uno sguardo d’intensa. Erano piccole cose, eppure… Solo allora si era reso davvero conto di quanto aiuto potessero dare in una situazione simile alla sua. Piccoli gesti capaci di rendere ogni difficoltà meno dura, capaci di aiutare gli altri a non mollare mai, a trovare sempre qualcosa per cui vale la pena lottare con ogni mezzo che si ha a disposizione.
Si era ritrovato solo a combattere la propria guerra. Una guerra che, alla fine, è riuscito a vincere una volta per tutte perché, anche se le persone che ama non erano con lui, riuscivano sempre a trasmettergli il loro sostegno e a spronarlo a fare sempre meglio.
Ed ora che si rende conto di avercela fatta sul serio, non riesce a crederci.
Sospira piano, mentre lascia che le dita scorrano lievi sulla tastiera impolverata del computer. Quella tastiera su cui ha poggiato tante volte la punta delle dita per scrivere a Letizia che, nonostante la situazione, non ha mai mollato, non gli ha mai voltato le spalle. Quella ragazza che, ogni secondo, non ha fatto altro che continuare a dimostrargli i propri sentimenti, il proprio amore, rendendolo più forte, più sicuro di se stesso e pronto a rimettersi in sesto definitivamente.
Non averla accanto è stata dura. Avrebbe voluto svegliarsi la mattina accanto a lei, avrebbe voluto cominciare la giornata dando un bacio sul ventre sempre più grande della mora, di cui lei gli ha inviato tante, forse troppe foto, per fargli sapere che le cose stavano andando bene, che il bambino stava bene.
È stata dura perché avrebbe voluto essere con lei, per aiutarla, sostenerla. Avrebbe voluto essere presente in ogni fase, in ogni momento, in ogni scatto di rabbia, in ogni istante di frustrazione. Avrebbe voluto vivere quegli attimi tremendamente importanti con la sua ragazza, per ricordarli, per sapere che cosa si prova in momenti simili. Avrebbe voluto esserci, per ricordarle che non era sola, che lui sarebbe sempre rimasto, che lei non aveva niente di cui doversi preoccupare, che sarebbe andato tutto bene. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa.
Adesso, l’unica cosa che gli resta sono gli ultimi giorni di gravidanza. Quelli più cruciali, a detta di Ashton che, insieme a Luke e Madison, l’hanno tenuto costantemente informato.
Si passa stancamente una mano tra i capelli e si volta verso il letto, senza riuscire a smettere di pensare al fatto che, a breve, diventerà davvero padre; al fatto che uno come lui, nonostante tutto, sia riuscito a realizzare il suo sogno più grande; al fatto che, nonostante abbia sul serio paura di sbagliare ancora, non vede l’ora di cominciare quella nuova avventura.
E fa per sedersi un attimo sul materasso, per rilassarsi e mettere in ordine le idee prima di andarsene davvero. Ma un libro posto sul comodino attira la sua attenzione. Lo prende e, per un attimo, il cuore smette di battergli dentro al petto, mentre ripensa a quando gli era arrivato.
Ricorda bene quella mattina in cui, non appena si era svegliato, aveva visto un pacco sulla scrivania. Preso dalla curiosità, l’aveva aperto, e subito i suoi occhi erano corsi al biglietto color crema posto sopra tutto il resto.
Sorpresa! Spero ti piaccia.
Così diceva, senza firma, scritto nella grafia ordinata di Letizia che Calum saprebbe riconoscere ovunque.
Il suo sguardo era caduto sul contenuto: un libro, su cui il nome della mora e il titolo Burn with you spiccavano come fiamme nella notte sullo sfondo nero.
Calum non aveva perso tempo: si era subito immerso nella lettura, lasciandosi travolgere dalle parole che Letizia aveva usato. Parole che gli erano entrate talmente tanto dentro da farlo rabbrividire. Parole che l’avevano fatto riflettere, che gli avevano messo davanti agli occhi gli errori che aveva commesso. Parole che gli avevano riempito il cuore, che ogni tanto erano riuscite pure a strappargli un sorriso. Parole che, fin dalla prima pagina, aveva sentito scorrergli fin dentro le vene per arrivare a toccargli il cuore.
Per tre giorni non era uscito dalla propria camera. Voleva sapere come sarebbero andate a finire le vicende dei protagonisti e dei loro amici, a volte così familiari, così toccanti, da lasciarlo spaesato, completamente senza ossigeno dentro ai polmoni per la sorpresa.
La tua storia parla di noi. E siamo meravigliosi.
Così aveva scritto a Letizia in una mail, subito dopo aver concluso il libro, col sorriso sulle labbra e il cuore pieno di un qualcosa che tutt’ora non riesce a spiegarsi – il sorriso di chi non avrebbe potuto chiedere niente di più bello.
Accarezza la costola del libro delicatamente, mentre si lascia alle spalle la camera in cui ha vissuto per quasi un anno, mentre chiude definitivamente i ponti col proprio passato, mentre guarda in faccia per l’ultima volta i propri demoni, i propri incubi, prima di lasciarli cadere nel buio una volta per tutte. Mentre lascia che le parole dell’epilogo del libro della mora gli tornino in testa, una dopo l’altra, scolpite nella sua mente così tanto in profondità da risultare impossibili da dimenticare.
 
A volte, la discesa verso l’inferno comincia senza rendersene conto, fino a che non è troppo tardi.
Troppo tardi per tornare indietro, per cambiare le cose, per salvare qualcosa di ciò ch’è rimasto.
O almeno, la nostra è iniziata così.
Si cerca una luce per salvarsi, o anche solo per non perdere del tutto la speranza.
Eppure ogni sforzo sembra comunque vano, perché le cose non cambiano, mai.
Restano immutabili, almeno fino a che due universi opposti non si scontrano.
Perché quando due universi opposti si incontrano all’improvviso, cambia tutto, radicalmente.
Le certezze che c’erano prima svaniscono, sommerse da quel qualcosa che accomuna quei mondi.
Tutto scompare; dubbi, paure, sogni, maschere, muri. Resta una sola certezza: quella di non cadere.
E molto spesso non basta neppure tutta la propria forza di volontà per evitare l’inevitabile.
Non basta cercare di difendersi in ogni modo possibile, pur di salvare quel poco che resta.
Perché anche i muri più solidi alla fine cadono.
E a volte capita che alcune cose entrino di soppiatto nella propria vita, passo dopo passo.
Così di nascosto che, quando riescono ad illuminarla completamente, all’improvviso, lasciano senza parole.
E non c’è alcuna scusa da usare, alcun muro da mettere.
Certe persone, però, di quei muri hanno bisogno più di quanto vogliano ammettere.
E quando quelle difese cadono giù nella frazione di un attimo, niente è più come prima.
Perché quei muri sono troppo pesanti per essere ricostruiti da soli.
Poi ci sono persone che, di quei muri, non sanno proprio più che cosa farsene.
Perché quando hanno provato a costruirli, non sono serviti a niente.
E non li hanno risparmiati da quello che la vita ha voluto loro sottoporre.
E c’è anche chi, invece, vuole distruggere i muri delle persone che gli stanno a cuore.
Non per far loro del male, non per renderle preda del dolore.
Vuole distruggerli per aiutarle a superare tutto, per farle tornare a vivere.
Perché tornare a vivere è sempre difficile e, se qualcuno è solo, diventa quasi impossibile.
Per questo le persone che si hanno accanto sono sempre importanti.
Perché danno la forza per non mollare; perché mostrano che non tutto è perduto.
Ma se quel tutto è perduto per sempre, a volte non c’è più speranza di tornare.
E fidarsi, farsi amare inizia a fare paura.
Perché provare a vivere di nuovo non è mai facile, quando non si ha più niente.
Però, a volte, quel niente può cambiare ogni cosa, può tornare a splendere nella frazione di un istante.
Perché essere umani non è mai una condanna, anche se può sembrarlo.
Perché sanguinare quando si cade non mai è un crimine.
Perché neppure ammettere di aver bisogno di aiuto è un crimine.
Soprattutto quando la persona a cui lo si chiede diventa sempre più importante.
E non serve chiedersi troppo, non serve farsi mille dubbi o mille domande; bisogna soltanto agire.
Solo che le azioni che si compiono non sempre sono giuste.
E le conseguenze spesso si rivelano così disastrose che non si riesce ad uscirne da soli.
Perché a volte le proprie debolezze e i propri demoni peggiorano tutto all’improvviso.
Però poi arrivano quelle persone che sanno mettere a tacere tutto quanto.
Quelle persone che passo dopo passo, entrano lentamente dentro al cuore per non lasciarlo più.
Quelle persone che si rivelano essere la medicina migliore di tutte le altre.
E poi ci sono quelle persone per le quali si combatterebbe sempre pur di vederle sorridere.
Perché inevitabilmente si mette la loro felicità sopra se stessi, sopra tutto il resto.
E quando tornano a vivere, tutto è irrimediabilmente più bello.
E a volte, basta davvero poco per rendere felici le persone che si ama.
Perché le cose più semplici e vere sono quelle che più contano.
Soprattutto, il fidarsi completamente dell’altro è il regalo più grande che si possa fargli.
Perché fidarsi delle persone che si ama non è mai un errore.
Dimostra quanto si è disposti a mettere un gioco per far sì che tutto funzioni.
E non importa quando tempo servirà; l'importante è fare il viaggio in due.
Ed è proprio durante quel viaggio, che si capisce quanto importante sia l’altro.
Perché è l’unica persona in grado di curare le ferite che si hanno dentro.
Perché è l’unica persona che riesce a capire e a scacciare la solitudine.
Però spesso le ferite sono così profonde che a volte non c’è modo di rimarginarle completamente.
È così che tutto peggiora, che tutto inevitabilmente diventa grigio, senza colore.
Senza quella luce che invece basterebbe per mettere a posto ogni cosa.
Quella stessa luce di cui chiunque ha bisogno per stare bene, per vivere davvero.
Una luce troppo facile da perdere e altrettanto difficile da riconquistare quando tutto attorno cade.
Soprattutto quando segreti tenuti dentro troppo a lungo rovinano ogni cosa.
Segreti troppo grandi, a cui mai nessuno avrebbe potuto pensare.
Segreti che sono in grado di distruggere tutto quanto nella frazione di un attimo, come una folata di vento.
Segreti che, quando vengono scoperti, creano ancora più danni di prima.
Segreti contro cui si cerca di combattere in ogni modo.
A causa dei quali a volte si cade, ferendosi.
A causa dei quali, a volte, si arriva persino a perdere se stessi e ciò che di più caro si ha.
Eppure, si fa di tutto pur di non mollare, pur di non dire addio.
Pur di non rinunciare a qualcuno di veramente troppo importante.
Qualcuno per cui si sa di provare un sentimento più forte di quanto si voglia ammettere.
Un sentimento che, quando si lascia libero, prende campo su tutto il resto.
Un sentimento forte, a volte persino difficile da controllare.
Un sentimento per cui non è mai troppo tardi tornare a combattere, pur di viverlo fino in fondo.
Un sentimento che a volte fa così paura che si preferisce relegarlo in un angolo.
Perché fa paura soffrire, perdersi, andare in frantumi, condividersi, aprirsi all’altro.
Perché quando si crede che l’amore porti solo dolore, è difficile lasciarsi andare davvero.
Un sentimento che ha tante sfumature quante sono le persone che si amano.
Persone sempre ricche di così tante sorprese e novità capaci di cambiare il gioco della vita.
Persone capaci di sconvolgere tutto, semplicemente nella frazione in un istante.
Persone alle quali si apre totalmente il proprio cuore.
Perché si sa che non c'è più niente da temere, se si è pronti a voltare pagina.
Perché si sa che avere paura non potrà mai portare a qualcosa di buono.
Eppure, a volte la paura del passato è forte, più di tutto il resto.
Così forte da bloccare ogni cosa ed imprigionare il cuore nel ghiaccio.
Così forte da non lasciare alcuna via d’uscita per sentirsi liberi fino in fondo.
Una libertà a cui a volte si rinuncia perché ci si sente troppo incapaci, deboli.
Troppo deboli per affrontare la vita a testa alta.
Troppo deboli per combattere davvero per ciò a cui si tiene più di tutto il resto.
Eppure, a volte è proprio quel qualcosa di importante a portare la luce.
È quel qualcosa di basilare che porta quel pezzo di puzzle che mancava per completare il tutto.
Per completare una vita che sembrava aver perduto ogni cosa.
A volte, però, quella luce non basta a sanare un’anima già ferita in partenza.
Non basta a rimettere in sesto dopo che non c’è più niente da rimettere insieme.
Non basta a far voltare pagina a chi ne ha bisogno.
Una pagina che, a volte, ha bisogno di un punto fermo, prima di essere voltata del tutto.
Un punto al passato, ai capitoli mai conclusi davvero, ai pesi sul cuore e sull’anima.
Un punto da cui poter ripartire da zero.
Perché ripartire da zero è la migliore possibilità che si ha per stare bene.
Una possibilità che va vissuta fino in fondo, senza preoccuparsi, senza avere paura.
Soprattutto se si ha al proprio fianco qualcuno che ci ama senza riserva.
Un qualcuno che non se n’è mai andato, nonostante tutto.
Qualcuno che non ha fatto altro che dare ogni parte di sé per far stare bene chi ama.
Qualcuno per cui vale la pena provare a cambiare davvero le cose.
Qualcuno a cui, alla fine, si mostra ciò che si tiene nascosto da troppo tempo.
Qualcuno di cui ci si fida talmente tanto da non aver più paura.
Qualcuno che, costantemente, si dimostra essere la cosa più bella di tutte.
Qualcuno per cui si decide di mettere tutto quanto in gioco.
Per cui si trova il coraggio e la forza di cambiare, di crescere.
Per cui si farebbe qualsiasi cosa, perché quel qualcuno è più importante di tutto il resto.
Per questo, alla fine, si trova sempre la forza di reagire e rimettersi in piedi.
Perché ci si rende conto che la vita è ancora lì, tutta da vivere.
Una vita di cui non si vuole perdere neppure un secondo.
Una vita che, all’improvviso, dopo il dolore, regala la felicità più grande di tutte.
Una felicità nata dall’amore, senza confini, impossibile da contenere o capire fino in fondo.
Una felicità duratura, capace di sanare ogni ferita, di cancellare ogni errore.
Una felicità che sprona a cambiare, a fare del proprio meglio per guarire e tornare a vivere.
Per riprendere in mano la propria vita e farla tornare a splendere completamente.
Come quelle stelle che brillano nella notte nonostante il buio.
Quelle stesse stelle che, senza saperlo, ritroviamo nelle persone che amiamo.
Quelle persone che, ogni giorno, rendono la nostra vita bella da morire.
Quelle persone che si rivelano essere il miracolo che aspettavamo per amare e vivere senza più paura.
 
Parole che gli ricordano costantemente tutto quello che lui e Letizia hanno dovuto affrontare, per poter arrivare a quel punto. Parole che gli riportano alla mente altri ricordi, altri occhi, altre persone. Parole che gli hanno dato speranza, che l’hanno convinto a non mollare, a non darsi per vinto.
Mette il libro in borsa e sospira. È davanti la porta del centro di recupero. La stessa da cui è entrato. La stessa da cui, adesso, sta per uscire.
Prende un respiro, prova a tranquillizzarsi. Afferra la maniglia con la mano.
Poi è un attimo, e si ritrova fuori dall’edificio.
E ciò che vede lo lascia completamente senza parole.
 
Perché davanti a lui c’è Michael.
C’è il suo migliore amico. La persona che lo conosce meglio di chiunque altro.
C’è la persona a cui tre anni prima ha voltato le spalle per non soffrire ulteriormente, per attenuare la vergogna che provava a causa di ciò che era successo.
C’è la persona a cui non ha fatto altro che pensare per tutto quel tempo – chiedendosi come stesse, cosa stesse facendo – anche se non lo dava a vedere, anche se cercava di non far trapelare niente per non far allarmare nessuno.
Quella stessa persona che, adesso, gli sta sorridendo allegra.
Perché Michael Clifford, benché ci provi, non riesce a trattenere le proprie emozioni. Soprattutto, non riesce a trattenere la gioia che sta provando in quel momento.
Perché, dopo tre lunghi anni, riesce finalmente a rivedere Calum, uno dei suoi migliori amici, una delle persone a cui tiene più di tutto il resto.
Quella stessa persona a cui aveva cercato di riavvicinarsi, dopo la morte di Rachel. Quella stessa persona che, però, l’aveva spinto via, allontanandolo, tagliandolo fuori dalla sua vita, senza dargli modo di capire che cosa stesse succedendo, di capire come e cosa fare per rimettere in sesto tutto quanto. Quella stessa persona per la quale non ha fatto altro che preoccuparsi, in ogni caso; per la quale ha sempre sperato; alla quale ha sempre augurato un futuro migliore, pieno di luce.
Quella stessa persona che adesso è lì, davanti a lui, nella sua versione migliore.
Quella stessa persona che Michael si ritrova ad abbracciare forte, come se non ne avesse abbastanza, come se non volesse più farla andare via, come se non riuscisse a credere a ciò che sta succedendo.
Ed è come se quel gesto cancellasse nella frazione di un secondo tutti gli anni trascorsi lontani l’uno dall’altro; è come se tutti quei giorni passati nel silenzio più totale non fossero mai esistiti. È come se non fosse passato neppure un secondo dall’ultima volta in cui si sono visti. È come se l’amicizia che li lega non fosse mai cambiata.
Perché Calum risponde all’abbraccio, cancellando così gli errori commessi, i silenzi costantemente prolungati, le ferite procurate ad entrambi.
Risponde, stringendo a lungo il suo migliore amico. E il cuore quasi gli scoppia nel petto.
Perché non si sarebbe mai immaginato di vedere Michael, non dopo tutto quel tempo, non dopo ciò che è successo.
Eppure… Averlo lì, davanti a sé, mette ogni cosa in secondo piano – gli sbagli, i silenzi, la distanza.
Perché solo adesso si rende davvero conto di quanto l’altro gli sia mancato, del dolore e delle ferite che ha procurato ad entrambi. Solo adesso capisce che, in passato, avrebbe potuto agire diversamente, magari provando a combattere insieme il vuoto lasciato da Rachel. Avrebbe potuto mettere da parte il suo dolore per aiutare il suo migliore amico a rimettersi in sesto. Avrebbe potuto esserci quando l’altro aveva avuto bisogno di una mano. Avrebbe potuto fare tante altre cose, se soltanto non avesse pensato a se stesso fin dall’inizio.
«Mike, mi dispiace.» sussurra, piano, mentre stringe l’amico ancora di più. «Mi dispiace tanto.»
Michael sorride e, senza preoccuparsi degli occhi lucidi, risponde alla stretta. «Non fa niente, Cal.»
Ed entrambi sanno che adesso è tutto a posto, che da ora in poi non permetteranno più a niente di dividerli, che potranno sempre contare sull’altro in caso di bisogno.
Si scostano e si sorridono, complici, prima che Ashton si avvicini e abbracci Calum a sua volta.
Perché il riccio sapeva che il moro ce l’avrebbe fatta, che sarebbe andato tutto bene, che non c’era niente di cui doversi preoccupare, che ognuno di loro avrebbe avuto una seconda possibilità per ricominciare tutti insieme da zero. Soprattutto, sapeva che Michael e Calum avrebbero fatto pace – non perché il suo ragazzo gli avesse detto qualcosa, ma perché lo sentiva, fin dentro le ossa.
«Sono contento per te, campione.»
Calum non risponde. Si limita a stringere l’altro a sua volta, sorridendo alle parole dell’amico, ringraziandolo in silenzio per tutto ciò che, in quegli ultimi tre anni, ha fatto per lui, mantenendo i suoi segreti; cercando di aiutarlo in ogni modo possibile, di farlo ragionare, di fargli capire che c’era ancora speranza; rivelandosi essere una presenza fondamentale nella sua vita, senza la quale il moro sa che non sarebbe stato capace di resistere tanto a lungo.
Poi Ashton si scosta, e davanti al moro compare Luke, con gli occhi pieni di lacrime.
Lacrime che il giovane Hemmings ha cercato di trattenere a lungo, senza però riuscirci.
Lacrime che sfogano il caos di emozioni che il biondo ha dentro da giorni e che non sa più come contenere; che gli scorrono in silenzio lungo le guance; delle quali non importa niente. Perché gli importa soltanto di Calum adesso. E vedere che sta bene, che si è ripreso, che ce l’ha fatta, è il regalo più bello che la vita potesse fargli.
Il moro sorride, nel notare l’espressione dell’amico. E lo abbraccia, forte, a lungo, grato al cielo per avergli fatto incontrare quel ragazzo con cui ha condiviso letteralmente tutta una vita; che è sempre stato al suo fianco nei momenti più bui. Quel ragazzo che si è sempre dimostrato la persona migliore su cui poter contare.
«Grazie, Luke.»
Il biondo si limita ad annuire in silenzio, mentre risponde alla stretta, felice per ciò che sta succedendo e che da adesso in poi lui e le persone più importanti della sua vita avranno la possibilità di fare e creare insieme.
«Hemmo, hai finito di asciugarti il naso su Cal oppure no?»
La voce di Madison si fa sentire alle spalle del moro, facendo ridere tutti quanti, persino Luke, che si scosta dall’amico e raggiunge la sua ragazza, stampandole un bacio sulla fronte.
«Certo che sai sempre come rovinare un momento importante.»
Lei ridacchia divertita. «Ormai dovresti saperlo che è la mia specialità.»
«Quella che apprezzo di più, devo dire.» commenta Calum, attirando l’attenzione dell’amica e ritrovandosi stretto nel suo abbracci nella frazione di un secondo.
«Ciao, Cal!» lo saluta; la voce bassa, tremula, gli occhi chiusi per nascondere quelle lacrime che, a differenza di Luke, non riesce a lasciar andare.
Il maggiore risponde all’abbraccio e culla l’altra tra le braccia. «Ciao, Maddie.»
Madison sorride a quelle parole, a quel tono di voce allegro, sereno. Sorride, perché sa che tutto è andato bene, che tutto andrà bene; che ha fatto bene a continuare a sperare. Sorride, perché è felice di vedere Calum finalmente libero da tutto il buio che si portava dietro, e che lei – molto più degli altri – in qualche modo riusciva a capire fino in fondo. Sorride, perché il suo migliore amico sta bene, sul serio. Sorride, felice. Perché non potrebbe chiedere niente di meglio di ciò che sta accadendo.
Anche il moro sorride, di nuovo, mentre cerca di realizzare il fatto che è davvero tutto finito, che il suo inferno è davvero sparito, senza possibilità di ritorno; mentre abbraccia a lungo la sua migliore amica, quella persona che più capisce i pesi contro cui ha dovuto lottare, alla quale sarà sempre grato, per l’aiuto che si sono dati l’un l’altra per stare bene una volta per tutte.
«C’è una sorpresa per te.» gli dice poi Madison, sciogliendo il loro abbraccio.
Calum non fa in tempo ad aggiungere altro, che subito davanti a sé compare Letizia.
E lui resta completamente senza parole.
Perché Letizia è più bella di quanto ricordasse, con i capelli un po’ più corti, gli stessi occhiali neri sulla punta del naso, lo stesso sguardo intenso, lo stesso sorriso luminoso, gli stessi occhi color cioccolato che, quel giorno, splendono più del solito, proprio come le stelle della notte in cui si sono conosciuti.
Quegli stessi occhi che, al moro, hanno fatto compagnia ogni giorno ed ogni notte, negli ultimi nove mesi. Quegli stessi occhi che gli sono mancati più dell’ossigeno. Quegli stessi occhi che, ogni volta, si sono dimostrati essere la fonte del suo coraggio, senza i quali non avrebbe mai saputo che cosa fare e come affrontare il proprio inferno. Quegli stessi occhi che hanno qualcosa di diverso, di nuovo dentro, che spinge il ragazzo ad avvicinarsi a lei, piano, quasi avesse paura di vederla scomparire all’improvviso.
Letizia osserva Calum venirle in contro, senza riuscire a nascondere la felicità che prova da quando ha visto Michael asciugarsi gli occhi dopo aver fatto pace con il moro, da quando ha notato Ashton abbracciare Luke per consolarlo e farlo tornare a ridere, da quando ha intravisto l’unica lacrima che Madison ha lasciato andare. Quella felicità che, ora, le sta facendo battere fortissimo il cuore, come se volesse uscirle dal petto da un momento all’altro.
Perché ancora fatica a credere che Calum stia davvero bene, che ce l’abbia davvero fatta, che abbia davvero ripreso del tutto in mano la sua vita per farla ripartire da zero. Ancora fatica a credere che, alla fine, ogni cosa sia andato nel verso giusto, che non ci sia più niente di cui doversi preoccupare, che adesso il futuro è tutto nelle loro mani.
Eppure… Il suo ragazzo è lì, sul serio, davanti a lei. E i suoi occhi color caffè sono ancora più belli di quanto ricordasse. Quegli occhi che, due settimane prima, le hanno fatto compagnia nel momento più importante della sua vita. Un momento che avrebbe tanto voluto condividere con lui, benché sapesse che non sarebbe stato possibile.
«Ciao, amore.»
Lo saluta così, col sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi, non appena il moro si ferma a pochi millimetri da lei.
«Ciao Le–»
Ma non riesce ad aggiungere altro, Calum. Perché i suoi occhi vengono catturati da ciò che la mora ha in braccio.
Una bambina.
Una bambina con i capelli scuri come quelli di Letizia e con il suo stesso taglio degli occhi.
Una bambina che gli ha appena sorriso e che ha cominciato a muovere le manine nella sua direzione.
Una bambina che è la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la vita.
Quella stessa bambina che Letizia gli porge con attenzione, piano, e che Calum prende in braccio con delicatezza, con le mani che gli tremano perché non sa cosa fare, come tenerla per non farle male.
Quella stessa bambina che dimostra al ragazzo che ogni suo sogno alla fine si è realizzato davvero.
«È bellissima.»
Riesce a dire soltanto quelle parole, concentrato com’è su quel visino piccolo e dolce, su quel sorriso meraviglioso, su quella risata allegra che gli scalda il cuore e gli fa diventare gli occhi lucidi, sul quel cuoricino che sente battere vivace, su quegli occhi che hanno tanto da dare e che lo stanno guardando sereni, tranquilli, fiduciosi.
Letizia si avvicina di un passo, e lascia che la felicità dentro al proprio cuore aumenti.
Perché è la prima volta che vede il suo ragazzo e la loro bambina insieme.
E non potrebbe chiedere niente di più bello.
«Si chiama Rachel.» sussurra allora alle orecchie del moro, catturando completamente la sua attenzione.
Perché Calum non riesce a credere che la minore gli abbia fatto quel regalo.
Non riesce a dire niente. Si limita a baciare la mora, a lungo, beandosi di quelle labbra morbide che gli sono mancate da morire. E intanto, stringe un po’ più a sé la sua bambina, la ragione che l’ha spinto a diventare una persona migliore, cercando di non farle male in alcun modo.
Fa poi per voltarsi verso gli altri. Ma una figura alle spalle di Letizia cattura il suo sguardo. Mette a fuoco.
E, per un attimo, gli sembra di intravedere Rachel Clifford che gli sorride, felice, mentre lo saluta con la mano, prima di scomparire per sempre.
Calum resta basito, senza parole a causa di ciò che è appena successo, con il cuore che ha appena perso un battito. Poi una manina si posa sulla sua guancia, facendolo tornare alla realtà, facendolo sorridere, riempiendogli il cuore di un calore che, prima di quel momento, non aveva mai provato.
Perché non ha la benché minima intenzione di sprecare quella seconda possibilità che gli è stata concessa.
Perché non ha intenzione di perdere la felicità che ha appena ritrovato.
Accarezza piano il viso della piccola, della sua Rachel, mentre gli altri lo raggiungono e Letizia gli stampa un bacio sulla guancia bagnata dalle lacrime che lui non ha sentito scendere.
Lacrime nate dal fatto che, adesso, la sua vita è finalmente completa.
E fa una promessa, Calum, mentre guarda la sua piccola Rachel. Una promessa che sa che manterrà fino alla fine.
«Stavolta ti proteggerò.»
 
 
 
Fine





Letizia
Ma ciao a tutti tesori miei! <3
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine anche di quest'avventura, e della mia carriera da scrittrice di fan fiction. Tempo fa avevo detto che, dopo questa storia, non avrei più scritto fan finction. Bien, il momento è arrivato :). Sappiate che mi sono divertita tanto in questi anni a scrivermi, a sfogarmi con questi quattro australiani che ancora adoro. E' che sento l'esigenza di mettere un punto fermo per chiudere questa parte della mia vita di cui non sento più il bisogno, tutto qui :).
Ma passiamo a Burn with you che, dopo quasi un anno, è finalmente giunta alla sua fine! E... Beh, ancora fatico a credere ad una cosa simile!
Voglio dire, i miei bambini adesso stanno bene, sono felici!!!! Leti e Cal hanno una vera famiglia adesso (e la piccola Rachel è la cosa più bella del mondo *^*) e tutti gli altri sono diventati zii *^*. Ok, mi sto per mettere a piangere.
Perché in questa storia ho messo tanto di me, soprattutto all'inizio, nei primi capitoli, che ho usato (in un certo senso) per sfogare quel qualcosa che mi faceva male e che non sono mai riuscita a capire. E' una storia che non avrei mai pensato di scrivere, soprattutto perché non avrei mai creduto di poter affrontare determinate tematiche. Però alla fine ho provato, e devo ammettere che sono più che soddisfatta del risultato.
Certo, non è stato semplice: per cercare di rendere le cose il più reale possibile, ho fatto tantissime ricerche, soprattutto per far combaciare i tempi nel modo migliore possibile (questa sì che è stata una faticaccia, ahahah ;)). Ma devo ammettere che, nonostante alcuni periodi bui (alcuni di zero ispirazione, altri pieni di impegni e poco tempo per stare al PC), mi sono divertita, tanto. Soprattutto perché, insieme ai miei personaggi, anche io sono cresciuta, ho trovato più certezze, più sicurezza in me stessa, e ne sono felice.
Come sono felicissima del percorso che i miei piccolini hanno fatto: tutti loro sono cresciuti, hanno affrontato le loro paure e le hanno vinte, hanno combattuto fino all'ultimo per essere felici e ci sono riusciti. Soprattutto perché, nonostante tutto, la speranza non li ha mai abbandonati.
Ed io spero davvero con tutto il cuore che la storia vi abbia ricordato questo: la speranza è l'arma migliore per affrontare ogni cosa. E' la sola cosa che ho cercato di comunicare attraverso questa storia e questi personaggi e spero con tutto il cuore di esserci riuscita *^*.
Come spero anche che, almeno un pochino, vi sia piaciuta :3.
Io... Non so cos'altro dire, sul serio. Sono un po' sotto shock, mettiamola così, ahahah. Voglio dire, non dovrò svegliarmi il sabato e pensare: "Evviva, oggi aggiorno!". Fa strano :/.
Comunque, a parte i pensieri della matta quale sono, volevo dire un'ultima cosa prima di chiudere del tutto.
Grazie.
Grazie davvero, con tutto il cuore.
Grazie alle persone che hanno recensito, a quelle che l'hanno messa tra le preferite, le ricordate e le seguite.
Grazie a chiunque abbia speso un minimo del suo tempo per leggere anche soltanto un capitolo (o la prima riga :)).
Grazie a chi si è interessato e ha fatto domande.
Grazie a chi è rimasto dall'inizio alla fine e a chi si è aggiunto durante il percorso.
Grazie di tutto.
Vi sono davvero grata *^* <3.
Detto questo, la sottoscritta chiude qui (con i lucciconi agli occhi ;D).
Ciao ciao a tutti! <3
Un bacione, Letizia <3

 

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