Arcadia

di DiamanteLightMoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + istruzioni ***
Capitolo 2: *** Avviso, mi disp ***
Capitolo 3: *** Scelta OC ***
Capitolo 4: *** Capitolo I ***
Capitolo 5: *** Capitolo II ***
Capitolo 6: *** Capitolo III ***
Capitolo 7: *** Capitolo IV ***
Capitolo 8: *** Capitolo V ***
Capitolo 9: *** Capitolo VI ***
Capitolo 10: *** Capitolo VII ***
Capitolo 11: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 12: *** Comunication ***
Capitolo 13: *** Per favore leggete ***
Capitolo 14: *** Capitolo IX ***
Capitolo 15: *** Capitolo X ***
Capitolo 16: *** Capitolo XI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XII ***
Capitolo 18: *** Nero ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 21: *** Capitolo XV ***
Capitolo 22: *** Capitolo XVI ***



Capitolo 1
*** Prologo + istruzioni ***


ARCADIA


Era una giornata fantastica, almeno secondo gli standard di Hermia, che però era abituata al peggio. La principessa di Atene osservava il fratello mentre questi si allenava con il suo migliore amico. Seduta sul cornicione della finestra, appoggiata a una delle colonne che l'adornavano, assaporava il vento al sapore di salsedine che delicato le sfiorava il viso agitandole le trecce più nere degli abissi marini. Le sembrava che niente potesse rovinare quel momento, la pace era rara nel mondo di Hermia. Ancora una volta i suoi occhi verdi come le onde si posarono sul corpo del fratello, quello stesso corpo di cui sentiva ogni singolo muscolo quando l'abbracciava con affetto.
Assottigliò lo sguardo, cercando di capire se le sue supposizioni fossero vere. Hermia, infatti era piuttosto sicura che Enea trovasse molto più attraente il fisico scolpito dei ragazzi che si allenavano con lui anziché le snelle figure, avvolte da sottili strati di abiti, delle sue pretendenti. Tuttavia le sembrava scortese chiederglielo, trovava molto più logico ed adeguato che fosse lui stesso a confessarle il suoi sentimenti. Un'immagine le attraversò la mente e il solo pensiero la fece distendere in un sorriso dolcissimo; uno dei suoi pochi desideri che avevano la possibilità di avverarsi era la felicità del fratello, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederlo tranquillo e sorridente. Con un sospiro Hermia si alzò dal cornicione sul quale era accoccolata.
L'abito bianco le scese fino ai piedi scalzi, a sfiorare le cavigliere dorate che le cingevano entrambe le caviglie; una morbida fascia verde le stringeva la vita, sorreggendole il seno, a spezzare quel mare di purezza idilliaca. Un ciuffo di brillanti capelli color carbone le ricadde sulla fronte, unico fuggitivo dalla prigionia delle trecce. Con un fluido movimento della mano provò a rinfilarlo nell'acconciatura senza doverla sciogliere. Mentre era impegnata a sistemarsi la chioma, si incamminò verso la porta delle sue stanze con il nobile obbiettivo di sgraffignare qualche frutto dalla dispensa, la gamba destra messa in mostra dallo spacco laterale della tunica. Purtroppo non riuscì nel suo intendo perchè la porta si aprì all'improvviso, mancandola di un soffio.
Una bambina di non più di undici anni entrò correndo; Hermia aprì la bocca per rimproverare la sorella, ma l'espressione sul suo viso le fece morire le parole in gola. Il viso trafelato e il respiro corto esprimevano tutta l'angoscia che la ragazzina provava in quel momento. Fu questo a turbare Hermia, il sorriso mancante su un volto sempre pieno di allegria e voglia di vivere. La figlia di Poseidone era sempre stata convinta che solo un tragedia avrebbe potuto spegnere la scintilla nei suoi occhi, e fu proprio la consapevolezza di ciò che la spaventò a morte. Afferrò la sorellina per le spalle, Argyro (si legge Arghirò) sussultò. La fissò dritto negli occhi cercando di carpire il perchè di tutto quel terrore che leggeva chiaro in quelle iridi torbide.
La bambina la prese per mano, ma non era una stretta rassicurante, era una morsa gelata. Argyro la tirò fuori dalla stanza, corsero lungo i corridoi del castello, schivando gli schiavi che lavoravano per loro. Erano entrambe senza fiato quando arrivarono alla sala del trono. Entrarono ansimano, per trovare il re e la regina, i loro genitori o meglio quelli di Argyro, parlare sommessamente. Tra le mani del re vi era una grande foglia, una di quelle enormi che possedevano gli alberi di fico sull'isola di Creta. Le espressioni che mostravano i due sovrani in quel momento non avevano niente da invidiare a quella di Argyro, in fatto di gravità. Hermia iniziò a preoccuparsi sul serio.


Enea si stava allenando, come tutte le mattine, nell'arte della spada. Duellando con il suo migliore amico, cercava di migliorare la sua prestazione per evitare di dover morire per mancanza di abilità nel momento in cui fosse stata necessaria l'uso dell'arma. Sentiva lo sguardo della sorella gemella su di lui, i suoi occhi indagatori a cerca di indizi. Sapeva benissimo che Hermia sospettava che a lui piacessero molto di più gli uomini, ma non le aveva ancora confermato i suoi dubbi. Enea si sentiva una carogna, ma non aveva ancora trovato l'occasione per rivelarglielo. Il clangore delle spade lo riportò in sé, appena in tempo per impedire alla lama del suo avversario di fargli un bel taglio lungo il braccio con cui impugnava le armi. Parò il colpo, prima di fermarsi e guardare verso le finestre delle stanze di Hermia. La sorella non era più seduta sul cornicione, vedeva la sagoma del suo corpo sottile, avvolto dal bianco dell'abito allontanarsi dalla sua visuale. Quando riportò l'attenzione a ciò che gli avveniva intorno notò che vi era una persona in più rispetto a prima.
Agapios, il messaggero di suo padre, era in piedi, le mani sui fianchi, accanto al generale dell'esercito. Il bel viso di Enea si accigliò, per quanto ne sapeva, l'uomo doveva trovarsi ad Eleusi in quel momento intento a comunicare i suoi abitanti che il re di Atene, avrebbe provveduto alla sua difesa nel bisogno, in cambio di forniture di prodotti agricoli. Si avvicinò al trio, nel frattempo anche Kosmas, colui che considerava il miglior amico che avesse mai avuto, si era aggiunto ai due. Quando Agapios vide il principe, gli corse in contro, ma non vi era felicità sul suo viso. Enea comprese la gravità della situazione dall'angoscia che percepiva nell'aria. Ciò che gli fu comunicato confermò il suo stato di allerta.
Lasciò cadere la spada che ancora teneva in mano, per fiondarsi lungo i corridoi del palazzo. Sentiva l'aria lambire il suo petto nudo e sudato, i piedi scalzi percepivano il freddo marmo a malapena, tanto correva veloce. Non riusciva a comprendere le parole del messaggero, tanto sembravano assurde alle sue orecchie. Arrivò alla sala del trono un paio di minuto dopo Hermia e Argyro.
-Padre- urlò urlò attraversando l'imponente porta aperta. Con passo veloce si avvicinò alle sorelle in piedi accanto al re e alla regina.
- Akakios non può fare una cosa del genere. È un suicidio per il suo popolo-
-No- disse il padre, l'espressione grave sul volto scuro- Non se fa questo-
E gli mostrò la condanna a morte di due anime innocenti.

Tutto quello che avrebbe voluto dire perse ogni significato dopo che il ragazzo lesse quelle righe dipinte con inchiostro rosse sullo sfondo verde della foglia. Alzò gli occhi verso i genitori, troppo stupito anche solo per emettere un suono. Hermia strinse forte la mano di Argyro prima di dire:
-È una mossa studiata apposta, Akakios deve averci riflettuto molto e deve essere giunto ad una conclusione che gli sembrava adeguata a far compire il suo obbiettivo. “Vuole dichiarare guerra a tutta la Grecia, che lo faccia pure! Creta è da sola, noi siamo in centinaia.” Vorrei poter dire questo, ma se il suo re ha inviato questo messaggio, allora un motivo ci deve essere.-
-Chissà perchè, ma non lo voglio sapere- sospirò la regina Galatìa, posando una mano sulla spalla della figlia.
-Non possiamo permettere che ciò che Akakios vuole si avveri- esclamò Enea con rabbia, stringendo il pungo sinistro vicino al petto.
-No- concordò il re- ma non possiamo neanche lasciare che il terrore si impadronì delle nostre terre, dovremo per forza dargli quello che vuole o la guerra distruggerà il tutto quello che vale la pena difendere. Come re non posso, e non voglio, nemmeno pensare ad un panorama del genere- aggiunse stringendo la foglia così forte che il latte al suo interno gli bagnò la mano.
-Saremmo un fallimento come famiglia reale se chiedessimo di nuovo agli ateniesi di estrarre a sorte chi dei loro figli andrà a morire, non dopo il giuramento che hanno fatto i nostri predecessori. Ma non abbiamo il potere per fermare questa guerra se non accontentando la richiesta di quel pazzo del re di Creta- Hermia parlò con voce dura osservando il latte di fico gocciolare sul pavimento dalle mani del re. Quel ricatto era un'arma a doppio taglio, esattamente come il materiale che componeva il messaggio con il quale esso era stato comunicato. Tra non molto la mano di Makis si sarebbe gonfiata e lui non avrebbe potuto usarla per giorni.
-Sta architettando qualcosa di grosso, altrimenti non avrebbe aggiunto che vuole solo i figli degli dei- la voce di Enea controllava a stento la rabbia che il ragazzo provava in quel momento. Argyro accarezzò il polso sinistro di Hermia, posando la mano sul simbolo che la identificava come figlia di Poseidone. Il piccolo tridente iniziò a bruciare sulla pelle della ragazza, il dolore alleviato dalla freschezza delle dita della sorella. Con gli occhi cercò il marchio del fratello. Lo trovò subito, una folgore scura sulla pelle del bacino, poco prima che la “V” formata dai muscoli scomparisse nel chitone fissato in vita. E le venne un'idea, un'idea folle, ma proprio per questo efficace. Lo sguardo del fratello incontrò il suo, annuì.
-Una soluzione ci sarebbe- iniziò Hermia, stringendo ancora più forte la mano di Argyro nella sua.
La sorella capì, capì ciò che stava per fare e provò a farle cambiare idea, ma ormai non si tornava indietro.
-Ci andremo noi, io e Hermia, non vedo altra soluzione. Molti dei semidei in questa città non sanno nemmeno di esserlo, nascondendo un segno che credono maledetto. Sia io che lei sappiamo chi siamo, conosciamo le nostre capacità, abbiamo una possibilità in più di sopravvivere- finì Enea per lei. Makis e Galatìa fecero entrambi un passo indietro come a voler allontanare quelle parole tanto vere quanto dolorose.
-Non posso chiedere ai miei sudditi di sacrificare due giovani innocenti, pensi che gli permetterò di avere i mie figli?- urlò la regina, la voce le si spezzò sulla parola “figli”.
-Vostra madre ha ragione, Hermia sei una delle donne più brillanti che io abbia mai conosciuto, diventerai una grande sovrana e saprai guidare tuo marito nella gestione del vostro regno al meglio; Enea, tu sei l'erede del mio trono, se muori Atene rimarrà senza un successore- disse il re a coloro che considerava come figli, nonostante sapesse che erano i discendenti di due degli dei più potenti dell'Olimpo. Si avvicinò a loro, posando le mani sulle spalle di entrambi.
-Allora vorrà dire che avremo un motivo in più per tornare vivi e vegeti- fu la pronta risposta di Enea. Galatìa seguì il marito posizionandosi accanto a lui.
-Non c'è un modo per farvi cambiare idea vero?- domandò nonostante conoscesse già la risposta.
-Teseo non si è tirato indietro quando ha deciso di partire- Hermia le rispose con dolcezza, abbracciando quel corpo sottile di cui aveva ereditato la forma. Argyro si aggrappò alle vesti dei fratelli, come per pregarli a restare. Enea si abbassò fino alla sua altezza.
-Ti affido il futuro del regno e i nostri genitori- gli occhi azzurro torbido della bambina si riempirono di lacrime.
-Torneremo te lo prometto- le giurò il fratello. Argyro gli tracciò un segno sul petto. “Promesso?”.
-Promesso. Lo giuro sullo Stige- le risposero a voce alta sia Enea che Hermia. Sopra le loro teste il cielo tuonò a suggellare le parole dei gemelli.

 

Nascondiglio segreto di Diamante

Salve gente; questa è la prima interattiva che posto e non ha nemmeno una trama semplice.... che persona complicata che sono. Va buono, taglio corto che è meglio. Vi lascio alle regole, prchè si le regole ci sono sempre:

 

Regolamentazione degli OC:
1- la storia è ambientata nell'Antica Grecia, per cui gli OC devono essere coerenti. Quindi il nome, gli interessi, la storia ecc. devono adeguarsi al periodo storico.
2- l’OC si prenota via recensione, siete pregati inoltre di scrivere nella recensione SESSO, ETA’, DISCENDENZA DIVINA E LA CITTA' DI PROVENIENZA
3- Ho bisogno di 12 semidei, figli di tutti gli dei maggiori, Ade ed Estia compresi, a eccezione di Zeus e Poseidone. Vi consiglio di buttare un occhio alle recensioni altrui per vedere quali dei hanno già dei figli e quali città sono già state prese, dato che per ogni città mi servono un maschio e una femmina
4-Per Estia, Era e Artemide accetto sacerdotesse e cacciatrici, la cui età può essere maggiore dle limite posto nella scheda.
5-In questa storia i semidei hanno un segno, tipo marchio, che li identifica come tali.
6- invierete l’OC SOLO dopo il mio ok
7-Non c’è un limite di schede che potete mandarmi
8-Gli OC saranno sottoposti a SELEZIONE perciò non arrabbiatevi se scarterò il vostro OC.
9- Mi servono femmine e maschi in pari quantità, quindi non inviate solo ragazze.
10-Accetto coppie di ogni tipo: w i gay, tenete conto che anche se un maschio è attratto da altri maschi dovrà comunque sposare una donzella soprattutto se di alto rango e viceversa, quindi sono ben accetti promessi sposi e promesse spose, nelle loro storie personali.
11- Se il vostro OC dovesse essere scelto, vi prego di non scomparire; non dico di recensire ogni capitolo, perchè non sempre è possibile, ma se mi sparite per troppo tempo.... beh, quattro dei vostri bellissimi OC tanto devono morire a prescindere....
12-Le iscrizioni scadono il 9 dicembre, alle ore 18:00. NON UN GIORNO OLTRE. Potete inviarmi le schede fino al giorno dopo, alla stessa ora. Cercherò di postare il capitolo di scelta domenica 11.
13-Quando mi manderete la scheda siete pregati di scrivere come oggetto “ scheda OC di nome+figlio di Y+provenienza”
14-Questa storia andrà avanti anche se non avessi abbastanza OC creati da voi o per mancanza di tali o perchè giudicati inadeguati. Gli OC mancanti verranno creati dalla sottoscritta

Vi lascio la scheda.

Nome: coerente con il periodo storico, se non è adeguato la vostra scheda non sarà presa in considerazione
Cognome: che poi sarebbe il patronimico, ovvero il nome del padre+figlio di
Età: dai 14 ai 19 anni, per sacerdotesse e cacciatrici anche maggiore
Compleanno: indicata con i mesi dell'anno dell'antica grecia, che potete tranquillamente trovare su wikipedia. Potete anche dirmi: è nato il giorno della festa di primavera, cose di questo genere
Soprannome: dovrà essere un numero dall'1 al 14, in lingua greca. Potete esprimere preferenze, ma non è detto che io lo mantenga tale e quale
Città di provenienza: la scelta ricade su Sparta, Olimpia, Rodi, Micene, Tebe e Salonicco.
Aspetto fisico: DETTAGLIATO
Carattere: ovviamente ANCORA PIU' DETTAGLIATO dell’aspetto fisico e vi prego, non fatemi un elenco di qualità perché manco vi calcolo, non date al vostro oc solo aggettivi positivi perchè sono i difetti che rendono le persone vere
Prestavolto: Sì, è obbligatorio, va bene anche se non famoso o una foto che ritenete aduguata.
Rango sociale: che ne so, principe/principessa, contadino/a ecc.
Genitore divino e rapporto: siate realisti, sopratutto coerenti al rango sociale, evitate sono pappa e ciccia con il genitore divino
Famiglia mortale e rapporto: tenete conto che nell'Antica Grecia i rapporti sono molto più freddi che oggi, magari evitate di dire che sono molto confidenziali con padre/madre o chi per loro, per i fratelli è più probabile
Storia: insomma, i primi anni di vita, il ruolo nella società, cose di questo genere. Anche qui siate coerenti e soprattutto precisi
Arma: ovvero per quale tipo di scontro sono portati. Eventualmente un arma magica facilmente nascondibile.
Poteri: non esagerate e ricordatevi che non sempre possono usarli. Ho altamente bisogno di poteri legati alla natura, quindi specialmente i figli di dei legati ad essa dovrebbero averli.
Segno: ovvero posizione, aspetto e dimensione del segno che li identifica come semidei
Paure/Debolezze: tutti ne hanno almeno una e datemi anche un perché se è qualcosa di particolare. Anche qui siate coerenti, non ditemi ha paura di salire su un aereo
Difetto fatale: perchè quello ci vuole sempre. Siate fantasiosi. Va bene anche uno dei sette peccati capitali (accidia, gola, lussuria, avarizia, ira, superbia, invidia), ma se lo utilizzate siete pregati di scrivere il perchè.
Orientamento sessuale: va bene tutto, la società del tempo era molto più aperta della nostra da questo punto di vista
Relazione con gli OC: datemi il profilo delle persone con cui potrebbe andare o no d'accordo
Relazione amorosa: idem, datemi più o meno un’idea anche se leggermente più dettagliata di quella di prima. Se volete può giustamente non averne nessuna.
Cosa ama/odia: anche qui ho bisogno che siate coerenti, non potete dirmi che adora giocare ai videogiochi o detesta l'odore del fritto.
Frase che lo caratterizza: una citazione di un libro, autore, film, social, inventata da voi qualsiasi cosa che possa caratterizzare il vostro OC.
Altro: segni particolari, tic, tutto ciò che non siete riusciti a mettere negli altri campi. Coerenza pure qui.
Richiesta particolare: può essere una, al massimo due. Se desiderate che il vostro OC sappia riconoscere tutte le stelle i cielo e che lo insegni agli altri, chiedetelo qui.

Spero di essere stata chiara.
Se avete domande non esitate a farmele, sono a vostra disposizione.
Vi ricordo che la scadenza per la consegna delle schede è il 10 dicembre

Vi lascio la scheda vuota. I campi con * possono non essere compilati

Nome:
Cognome:
Età+compleanno:
*Soprannome:
Città di provenienza:
Aspetto fisico:
Carattere:
Prestavolto:
Rango sociale:
Genitore divino e rapporto:
Famiglia mortale e rapporto:
Storia:
Arma:
Poteri:
Segno:
Paure/Debolezze:
Difetto fatale:
Orientamento sessuale:
Relazione con gli oc:
Relazione amorosa:
Cosa ama/odia:
Frase che lo caratterizza:
*Altro:
*Richiesta particolare:

 

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Capitolo 2
*** Avviso, mi disp ***


QUESTO NON E' IL CAPITOLO DI SCELTA

Come potrete notare questo non è il capitlo in cui comunico i semidei scelti per la storia, per un semplice motivo. Su tutti quelli che mi avevate prenotato solo otto sono arrivati, di cui un paio non mi soddisfano più di tanto. Inoltre io avevo specificato che la storia sarebbe andata avanti e così sarà se entro i prossimo weekend non arriveò a quota 12. Ho intenzione di creare al massimo due personaggi però, quindi siate onesti e coerenti e mandate i personaggi di cui scrivete nelle recensioni. grazie.

Alla prossima settimana, Diamante-sama

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Capitolo 3
*** Scelta OC ***


SALVE A TUTTI!!!!

Come sempre, il salve è universale U.U....

Eccomi qui, con ben un settimana di ritardo ma sorvoliamo (“In parte è anche colpa vostra”*faccina arrabbiata*.... “Zitta! Parte di me che possiede un pessimo carattere”), sono qui per presentarvi i “fortunati” prescelti.... le virgolette alla parole fortunati le ha messe la mia parte cattiva, che però ha ragione.

Okkey, non perdiamoci in chiacchiere, anche se sono buone.

Signore e Signori vi presento i poveri semidei che saranno alla mercè di un pazzo con qualche rotellina fuori posto:

 

 

Agape Hippolotide, figlia di Apollo. Proveniente da Rodi. 18 anni.

"Quante braccia t'hanno stretto mentre io non c'ero. Spero sia solo qualche amore passeggero. Niente di speciale, niente di sincero.”

 

Thaddaios Procopide, figlio di Ermes. Proveniente da Rodi. 16 anni.

 

"Vado cercando i volti degli dei... per fare in modo di compiacerti, di renderti orgoglioso, padre. Una parola gentile. Ci fosse almeno una volta in cui mi avessi abbracciato e tenuto stretto al tuo petto, per me... sarebbe stato come il sole nel mio cuore per mille anni. Cosa odi in me a tal punto?"


Cassiopea Leandride, Figlia di Ares. Proveniente da Sparta. Ha 17 anni.


"Si torna o con lo scudo o sullo scudo"

 

Ilektra Asteride, Figlia di Ade. Proveniente da Olimpia. Ha 16 anni.


"I'll never vive someone the power to destroy me again.

 

Callimaco Agatide, Figlio di Afrodite. Proveniente da Micene. Ha 17 anni.


"Si prendono più mosche con il miele che con l’aceto”

 

Glykeria Ambroside, Cacciatrice di Artemide. Proveniente da Olimpia. Ha 14 anni.


"Solo perché la Luna brilla di luce riflessa non significa che sia meno importante del Sole”

 

Melissa Atride, sacerdotessa di Estia. Proveniente da Salonicco. Ha 14 anni.


"Non ti sia male esser piccola, lo sono anche i fiori e le stelle”

 

Hilarion Pansemnide, figlio di Efesto. Proveniente da Tebe. Ha 19 anni.


"Non serve a nulla rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere"

 

Orion Ninphadoride, figlio di Dioniso. Proveniente da Salonicco. Ha 14 anni.


"Quando sarò grande voglio essere un bambino”

 

Ariadne Pegaside, sacerdotessa di Era. Proveniente da Tebe. Ha 16 anni.


"Se sei con qualcuno e un leone ti insegue levati i pesi inutili. Non sarai più veloce del leone, ma più veloce dell'altro si”

 

Epeo Lacoontide, figlio di Atena. Proveniente da Sparta. Ha 19 anni.


"Meglio una dolorosa verità che una dolce bugia”

 

 

Miei OC

 

Kosmas Nektaride, figlio di Demetra. Proveniente da Micene. Ha 15 anni.


"Tutte le rose hanno le spine”

 

Hermia Makide, figlia di Poseidone. Proveniente da Atene. Ha 18 anni


"L'ira del mare è imprevedibile. Un secondo può essere la cosa più calma del mondo e quello successivo può affondare mille navi”

 

Enea Makide, figlio di Zeus. Proveniente da Atene. Ha 18 anni.


"Dicono che il mare sia illimitato, ma allora il cielo che cos'è se non senza confini?”

 

 

 

Ed ecco a voi i prescelti... ci terrei tuttavia a precisare un paio di cosette:

1- Alcuni dei vostri OC mi piacevano nel complesso, ma non in alcune parti, che o mi sembravano eccessive o poco adette per periodo storico e trama della storia. Questi personaggi li ho inseriti lo stesso sia per mancanza di OC sia perchè mi attiravano e quindi non me la sentivo di escluderli per un piccolo particolare. Tutto ciò per dire, che se troverete incongrueze o imprecisioni che voi non avete scritto, è per questo motivo. Siete comunque autorizzati a dirmi se non vi piace come evolvo il vostro OC.

2-Come alcuni di voi sanno, partecipo al progetto erasmus, che mi porterà tre mesi in Spagna a partire da mercoledì prossimo. Io avrei avuto l'intenzione di publicare il primo capitolo già domani, ma dato che non è concluso e non ho molta ispirazione potrei posticiapare l'uscita a mardedì o giovedì.

3-Alcuni di voi hanno riempito lo spazio *Altro, cosa che mi rende molto felice, ma non riuscirò a inserire tutto ciò che mi avete chiesto a livello principale. Cercherò di mantenere la scheda al suo stato originale, tuttavia è possibile che aggiunga o tolga qualche cosetta, se ciò dovesse succedere sarete avvisati per tempo. NB: se non rispondete al messaggio privato entro la data di scadenza io aggiornerò con le modifiche, siete pregati di controllare la vostra cartella.

4-Il figlio di Demetra non era in programma, ma non mi sono arrivate schede per cui l'ho creato io.


Detto questo io vi saluto

A domandi o al massimo a giovedì

Diamante-sama


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Capitolo 4
*** Capitolo I ***


Capitolo I

 

Rodi- 2 giorni e 14 ore prima dell'arrivo

 

Agape si stava rilassando all'ombra degli alberi di olivo che crescevano sulle colline della sua bellissima isola. Lo considerava un meritato riposo dopo l'egregio lavoro che aveva svolto quella notte, ma a quanto pare Hippolotus non la pensava come lei. Appena vide Kalomira correre su per la collina capì che la giornata sarebbe peggiorata. Fu tentata di girarsi e scappare, nascondendosi alla vista della ragazza dalla pelle color oliva, ma la consapevolezza di quello che sarebbe potuto accadere se solo ci avesse provato la bloccò al suo posto. Kalomira la raggiunse, il peplo rosso sollevato dalle dita lunghe e sottili per permetterle di correre. Agape fissò la quindicenne con sguardo assente, fingendo di essere sorpresa dalla sua visita inaspettata. Quello che Kalomira non sapeva, e che non avrebbe mai saputo, era che la giovane figlia di Apollo era già a conoscenza del motivo che l'aveva portata a scapicollarsi su per la collina nel tentativo di raggiungerla prima che le venissero in mente strane idee. Agape amava essere una semidea, aveva più resistenza fisica degli altri e percepiva il modo in modo diverso; amava la sua condizione, tranne quando il suo potere prendeva il sopravvento, come era successo il giorno prima al mercato. Come spesso capitava, stava scappando da quella che era definita casa sua, ma che non sentiva come tale. Si era ritrovata nell'agorà, nel bel mezzo del mercato che ne animava lo spazio. Era stata sballottata dai corpi delle persone, affollati di fronte ai banchi con esposte le merci e aveva visto. Visto cose che volentieri si sarebbe risparmiata di sapere, visto cose che mettevano in ombra la tristezza o il dolore delle scene precedenti, ma soprattutto aveva visto quello. Aveva dovuto assistere alla sua disfatta più completa, costretta ad osservare il momento in cui tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora andava in pezzi, impotente. La voce di Kalomira la riportò in sé, nel suo corpo disteso sull'erba ai piedi di un olivo.
-Agape. Agape. AGAPE- strillò la ragazza scuotendo le spalle della maggiore. La figlia di Apollo la guardò negli occhi, specchiandosi nelle sue pupille.
-Agape, vi vuole vostro padre- le disse Kalomira, usando termini formali che Agape sapeva di non avere il diritto di ricevere; come poteva una prostituta essere trattata con rispetto? Con un colpo di reni, la giovane diciottenne si alzò, sistemandosi il peplo rosso. Agape guardò semidisgustata la stoffa che stringeva tra le mani, quel colore era un simbolo, un orribile marchio che non l'avrebbe mai abbandonata. Corse giù per la collina seguita a ruota dalla collega. Hippolotus era in piedi, le gambe ben ancorate a terra, le braccia conserte, una mano ad accarezzarsi la barba scusa e ben curata. Agape si spaventò a morte. Nell'aria c'era odore di dolore e Agape ebbe la sensazione che fosse rivolto verso di lei. La giovane si fermò davanti a colui che col tempo era diventato suo padre. Hippolotus aveva un'espressione grave, Agape non riuscì a decifrarla. Altro terrore si aggiunse a quello che già provava. Non erano rare le volte in cui il padre la mandava a chiamare, era solita combinare disastri dato il suo caratteraccio. Ma Agape era abituata all'Hippolotus adirato non a quello pensieroso. L'uomo non disse niente, si limitò a farle cenno di seguirlo. Senza protestare la semidea eseguì, camminando due passi dietro di lui, la testa bassa e le mani unite in grembo. Raggiunse la camera nella quale egli dormiva e ci si infilò dentro, Agape entrò subito dopo. L'interno della stanza era sobrio, solo il minimo indispensabile la adornava, ma non era quel genere di semplicità sinonimo di rifiuto del lusso, ogni volta che entrava in quella stanza aveva la sensazione che tutta quella finta modestia fosse per mantenere un'immagine. C'era un particolare però che stonava con il resto, ovvero un bellissimo abito bianco e porpora accompagnato da gioielli brillanti, disteso in modo composto sul letto. Hippolotus si avvicinò al vestito prima di prenderlo delicatamente in mano. Con un movimento fluido ed elegante, nonostante la massa corporea, lo sollevò per mostrarlo ad Agape.
-Indossalo- fu il secco ordine che ricevette. La ragazza alzò il mento, una scintilla di sfida negli occhi verdi.
-Perchè?- nessun'altra donna che Hippolotus conosceva si sarebbe mai sognata di rispondere in quel modo al proprio padre, ma Agape era diversa, era uno spirito libero, selvaggio. Generalmente l'uomo l'avrebbe fatta pentire amaramente delle sue parole, punendola nei modi più stravaganti che gli venissero in mente, tuttavia quel giorno aveva qualcosa di più importante da fare. C'era un motivo se aveva comprato quel vestito e tirato fuori i gioielli da dove erano riposti dopo la morte della sorella. E il motivo comprendeva un viaggio di sola andata. Assottigliò lo sguardo, lanciando ad Agape quel tipo di occhiata che avrebbe incenerito chiunque. La ragazza obbedì, quasi strappando di mano il vestito al padre. Slacciò il peplo rosso, tenuto da un fermaglio sulla spalla destra. La stoffa le scivolò addosso, lasciandola nuda davanti agli indagatori dell'uomo. Agape sapeva cosa stava cercando, il segno che la identificava come semidea, quel piccolo sole sotto l'ombelico; involontariamente lo coprì per infilarsi l'elegante e raffinato chitone. Lo fermò in vita e su entrambe le spalle con la fascia purpurea e i fermagli scintillanti di lapislazzuli. Al polso bloccò un pesante bracciale con un opale di forma ovale e circondò il collo sottile con un doppio filo di perle rosate. Mai in vita sua Agape aveva assaporato tanta ricchezza, poteva solo rimirarla da lontano. Le brutte sensazioni non avevano abbandonato del tutto la semidea che però si era lasciata confondere dalla sensazione del lino sulla pelle, morbido e fresco. Il padre osservò la figlioccia che si crogiolava nei doni da lui ricevuti, i gioielli che brillavano sulla sua pelle chiara. Scosse la testa in un movimento brusco, per poi avviarsi verso la porta della camera.
-Andiamo- fu l'unica cosa che disse. Agape lo seguì senza fiatare, in parte perchè impegnata ad osservare la luce giocare sull'opale del bracciale, in parte perchè non voleva che Hippolotus se la prendesse di nuovo con lei come era successo un paio di giorni prima. Camminarono per vie secondarie, come se l'uomo cercasse di tenere nascosta la vista di Agape vestita come un'aristocratica. Il palazzo reale si faceva sempre più imponente man mano che si avvicinavano ad esso e la figlia di Apollo capì che quella sarebbe stata la loro destinazione. La curiosità le stringeva lo stomaco in una morsa spingendola a chiedere il movente di quella visita improvvisa, ma era piuttosto sicura di non volerlo sapere. Le guardie ai lati dell'ingresso imponente li fecero passare senza neanche degnarli di una seconda occhiata. I piedi scalzi di Agape e del padre calpestarono le calde pietre della piazzetta prima di entrare definitivamente nel palazzo.

Tutti i cattivi presentimenti che Agape aveva avuto fin a poco tempo prima tornarono tutti in una volta mente attraversava quei corridoi troppo lussuosi mentre gli infiniti schiavi si inchinavano al loro passaggio. La semidea si sentì male vedendo a quale condizione i nobili e la famiglia reale erano abituati, lei viveva nel nulla, doveva lottare per poter sopravvivere. Ancora una volta il desiderio e la smania di sapere le invasero le membra portando il suo cervello a formulare la domanda, ma la bocca non rispose agli impulsi rimanendo serrata, muta, immobile.

Le dita affusolate della figlia di Apollo si strinsero al vestito, permettendo allo spacco di mettere in mostra la gamba abbronzata. Rilassò i muscoli, o meglio ci provò. Quando entrarono nella sala del trono, aveva le spalle tese come corde di violino. Il padre varco a passò sicuro le arcate, continuando a camminare finchè non giunse ai piedi del trono del re. Lì si inchinò, con il dovuto rispetto, invitando Agape a fare lo stesso. Lei eseguì, andando contro alla sua volontà di tirargli un pugno in faccia; per quanto fosse contraria a quello che aveva imparato a definire padre, era abbastanza saggia da capire che in quel momento era meglio tacere e comportarsi in modo obbediente. Così si piegò in un inchino elegante, venuto fuori quasi per sbaglio; l'eleganza non era un tratto dominante del suo carattere, ne possedeva quanto bastava per farsi bella agli occhi degli altri. Cercando di non farsi notare analizzò la stanza, notando solo in quel momento la presenza di altre persone oltre alla famiglia reale. Dall'altra parte della sala vi erano sette persone dall'aria spiegazzata, i vestiti poveri, i piedi scalzi. Agape trovò che stonassero con l'ambiente nel quale si trovavano, ma il contrasto con i semplici pepli delle donne e i ricchi decori delle colonne alle loro spalle ebbe lo straordinario potere di far rilassare la ragazza. Fu allora che successe.

 

Rodi- 2 giorni e 18 ore prima dell'arrivo

 

Thaddaios correva. Correva più veloce che poteva, più veloce delle navi da guerra che solcavano fiere le acque di Poseidone, più veloce della luce del Sole di Apollo che avanzava implacabile segnando la fine della sua libertà, correva talmente tanto da superare i limiti fisici umani. Vorrei dire che correva per vincere, che correva per difendere qualcuno in pericolo, che correva per dimostrare la sua forza, che correva incurante contro un nemico imbattibile, ma non sarebbe vero. Perchè Thaddaios correva per paura, per mancanza di quel coraggio che tanto sperava di possedere, correva per salvarsi la vita. L'annuncio era arrivato poche, pochissime, ore prima e il suo cuore si era diviso in due. In parte voleva offrirsi volontario per farsi notare dal padre, per ricevere parole e sguardi d'orgoglio mai avuti prima di allora; ma l'altra parte, quella dominante, desiderava solo fuggire da quel destino infausto. Non era sicuro che sarebbe stato lui il prescelto, perchè proprio lui in mezzo a dei valorosi guerrieri pronti a perfino a sacrificare la propria vita per la patria e l'onore. Ma c'era una condizione, una condizione che cambiava le carte in regola: coloro scelti come sacrificio dovevano essere semidei. E questo era un problema, il campo si restringeva. Thaddaios sapeva che non vi erano molti semidei sull'isola di Rodi, ancora meno nella fascia d'età indicata dal re di Creta; sapeva che lui era nella lista, forse il primo. Non si era distinto per particolari imprese, non aveva partecipato a valorosi duelli, nel profondo il figlio di Ermes sapeva perfettamente di non essere all'altezza dei suoi compagni. Sognava, sognava ad occhi aperti tutte le volte che vedeva salpare le navi per la guerra, sognava le isole che avrebbe conquistato, gli onori che avrebbe ricevuto. Sognava ogni singolo momento di essere qualcuno che non era e mentre correva come un disperato cercava di farlo ancora più forte. Di dimenticarsi della notizia che presto sarebbe arrivata, di dimenticarsi che le probabilità di tornare a casa vivo erano praticamente nulle, di dimenticarsi del dolore mentale che avrebbe provato all'ennesima conferma della sua codardia e della sua folle ambizione.

Apollo era già sveglio, ma non ancora alto nel cielo, Thaddaios sperava che sulle montagne dove si trovava non lo sarebbero venuti a cercare. La sua mente in subbuglio e il suo cuore spaccato a metà lo portarono a credere che se non si fosse presentato, se non si fosse fatto vedere, magari non lo avrebbero scelto. Ma ovviamente non andò così, anzi fu proprio la sua assenza il motivo della sua condanna.

 

Rodi- 2 giorni e 13 ore prima dell'arrivo

 

Eirene fu molto sorpresa della reazione di Agape alla notizia del suo inevitabile destino. La figlia di Apollo non mosse un dito per fermare quelle parole che la condannavano a morte, non una sola emozione traspirò dal suo sguardo fermo. La ragazza spiò di soppiatto il fratello, il caduceo sul suo collo spuntava dalla stoffa fissata sulla spalla. Il figlio di Ermes, che sarebbe stato il compagno di quella bellissima giovane con il sangue freddo, era, all'apparenza, calmo e rilassato; tuttavia Eirene conosceva suo fratello, nonostante condividessero solo la madre, era certa che dentro di lui era talmente spaventato da non poter nemmeno parlare.

Quello che Eirene non sapeva era che sotto l'apparente stato di menefreghismo ed accettazione Agape ribolliva di rabbia. Una rabbia cieca, senza limiti, si agitava nel suo petto. Avrebbe voluto pestare a sangue colui che aveva il coraggio di definirsi suo padre, lo stesso padre che l'aveva offerta volontaria per quell'incarico che l'avrebbe portata dritta alla morte. Ma in fondo, Agape lo aveva sempre saputo, aveva un carattere scomodo per Hippolotus e alla prima occasione l'aveva gettata via come si fa con le cose vecchie e non più utilizzabili.
E fu così che decise che gliela avrebbe fatta pagare.

-... Dovrebbero partire subito così che arrivino in tempo per la scadenza dataci da Akakios, in questo modo non attireremo le sue ire- stava dicendo il re in quel momento. Hippolotus annuì dandogli ragione e dall'altra parte della sala sei teste si chinarono rassegnate alla perdita del loro caro. Per la prima volta Thaddaios e Agape si guardarono negli occhi, si guardarono e si capirono. Lui vide la rabbia di lei, conobbe il suo odio e la sua forza. Lei vide la paura di lui, scoprì i suoi desideri e la sua determinazione.

-Seguiteci verso il pontile dal quale salperete- disse il re, alzandosi dal trono sul quale era rimasto seduto per tutta la durata della conversazione. La regina e la principessa si posizionarono al suo fianco, fiere e slanciate come sottili colonne. Hippolotus e Agape si avviarono per primi, subito dietro di loro la famiglia di Thaddaios. Camminavano in silenzio, ma gli unici a loro agio sembravano la famiglia reale e Hippolotus, che celava un sorrisetto inquietante.

Arrivarono ben presto ad un pontile di legno, dietro le rocce sul quale il castello era costruito. La nave attraccata lo rendeva ancora più piccolo di quanto non fosse. Il re si voltò:

-Dite addio a chi dovete- fu la lapidaria frase, detta in tono ancora più lapidario.

Procopios si voltò verso il figliastro, nonostante non avesse preso molto bene il tradimento della moglie, non aveva avuto altra scelta se non cresce il bambino come se fosse sue e aveva imparato ad amarlo come un padre fa con i proprio discendenti. Ma aveva la sensazione che il suo affetto non fosse mai arrivato veramente a Thaddaios. I fratellini, un maschio e due femmine, gli si strinsero addosso, abbracciando le sue gambe come se fossero la loro ancora di salvezza. Il semidio si chinò verso di loro, stringendo quei corpi fragili e sottili. Poi fu la volta di suo fratello Akamas, di un anno e mezzo più piccolo, ma già abbastanza robusto da poter competere con lui. Si scambiarono un abbraccio veloce, di quelli con un braccio solo. Nonostante il poco contatto fisico, Thaddaios vide chiaramente il dolore nello sguardo del più giovane. A differenza del maggiore, Eirene strinse il fratello così forte da fargli perdere il respiro. Lo lasciò quando il viso di Thaddaios aveva raggiunto la colorazione più scura di viola. Gli occhi della ragazza erano pieni di lacrime, che cercava in tutti i modi di trattenere. La madre, Efthasias, lo cinse con le braccia abbronzate trattandolo come un vaso di pietre preziose. Per ultimo lo salutò il padre, abbracciandolo stretto. Ma il colore di quella stretta non raggiunse il semidio, il cui sguardo invidioso andò ancora una volta a raggiungere il volto di Akamas, che in quel momento consolava Eirene.

Molto più sbrigativo e freddo fu l'addio di Hippolotus per Agape. L'uomo si limitò ad accarezzare la testa della figlioccia, prima di spingerla verso la barca.

La figlia di Apollo e il figlio di Ermes salirono sulla nave; la prima senza voltarsi indietro congratulandosi con se stessa per non aver ucciso Hippolotus; il secondo pensando ad un modo per fuggire da un destino che nel profondo non aveva ancora accettato.

L'imbarcazione lasciò il mini-porto, portando i due semidei sempre più vicini alla morte. E mentre il vento soffiava sulle vele scompigliando i capelli dei ragazzi nelle loro menti si formulò una promessa:

“Tornerò. E dimostrerò a tutti il mio valore. Lo giuro sullo Stige”

 

 

La stanza segreta di Dia

I am the champion, I am the champion. Non ci credo, sono riuscita ad aggiornare in tempo. Aspettate che mi riprendo un attimo, ho bisogno di fare dei lunghi respiri profondi.

Come potete vedere i protagonisti del primo capitolo sono Agape e Thaddaios. Vi starete chiedendo il motivo... semplicemente perchè la storia mi iniziava a girare così e si è scritta da sola. Inoltre Rodi è la mia isola, un minimo di omaggio dovevo renderle no?!

Nota per le creatrici degli OC presenti nel capitolo: qualsiasi informazione/disguido o malinterpretazione mi deve essere comunicata, in modo tale che possa prenderne atto nei seguenti capitoli o modificare questo.

Detto questo, io vado a dormire che domani mi devo svegliare alle 5:50 per andare a scuola

Diamante-sama

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Capitolo 5
*** Capitolo II ***


Allora ragazzi, prima di lasiarvi il capitolo ci terrei a precisare che per un mio errore ho sbagliato il prestavolto di Cassiopea, figlia di Ares e che quindi inserirò; la foto giusta qui

 

CAPITOLO II

 

Salonicco- 6 giorni e 20 ore prima dell'arrivo
 

Il calore del focolare di Estia venne spazzato via dall'enorme freddezza di quella notizia. Un brivido passò sulla schiena di Melissa, come se mani fantasma le stessero accarezzando la colonna vertebrale. Anthi, la sua maestra, le aveva insegnato che meno di sè mostrava alle persone che visitavano il tempio meglio era. Le sue emozioni erano per la dea, solo per lei; le persone comuni, legate alle guerra e al denaro non avevano il diritto di vedere i sentimenti puri di una sacerdotessa. Anthi congedò il messaggero, mantenendo la sua postura davanti alle calde fiamme, che aveva il compito di accudire. Ma non ci si può nascondere per sempre e la sacerdotessa di Estia lo sapeva bene. Melissa vide le spalle della sua maestra rilassarsi e incurvarsi in modo considerevole. Dall'alto dei suoi quattordici anni non poteva certo affermare di aver fatto tutte le esperienze che l'altra invece aveva sperimentato, tuttavia il suo ruolo da sacerdotessa di Estia le aveva conferito una compostezza e serietà che le permettevano di comprendere lo stato d'animo degli altri ancor prima del suo. E ora quel suo istinto le stava dicendo che Anthi combatteva con se stessa. Melissa vedeva la mente della sua maestra cercare di elaborare una soluzione che comportasse il minor danno possibile, come era solita fare. Poi Anthi si alzò all'improvviso spaventando a morte Melissa, impegnata ad osservarla. Prese la sua mantella e si avviò verso l'uscita. Melissa la guardò confusa, prima di controllare il focolare e seguirla fuori dal tempio.

-Maestra, dove sta andando?- gridò la ragazzina alla schiena di Anthi. Le corse dietro, cercando invano di raggiungerla. Anthi si fermò sull'orlo del promontorio sul quale era costruito il tempio di Estia, Melissa cadde esausta a terra due passi dietro di lei. Il suo corpo non era fatto per la fatica, era troppo minuto e leggero per sostenere uno sforzo fisico pesante. Senza dare nessun tipo di segnale ne spiegare il motivo della sua fuga, la sacerdotessa iniziò a parlare:

-Non dovrei dire ciò che penso veramente perchè andrebbe contro la mia stessa figura, io esisto per proteggere, per unire e per difendere, non per separare e distruggere, ma lo farò comunque per permetterti di capire quello che provo.
Il re di Creta è un uomo intelligente, molto intelligente, e ancora più scaltro. È quel tipo di persona che non si fa scrupoli ad ucciderne centinaia per portare avanti i suoi scopi e per far avverare i suoi obbiettivi. Il dolore che ne consegue non è affar suo, le conseguenza delle sua azioni rendono solo più divertente il gioco. Sinceramente è il genere che detesto in modo più assoluto, ma non ho il potere per condannalo. Tuttavia, nonostante sia un pazzo, ottiene sempre ciò che vuole.

Quando ero giovane, poco prima che decidessi di diventare sacerdotessa di Estia, i miei genitori mi portarono a Creta. Erano mercanti di vasi preziosi e il re Akakios ne aveva ordinati tra i più rari e belli. Partii col loro, tutto sommato fu un viaggio divertente, anche se scoprii di soffrire il mal di mare. Io e mia sorella girovagavamo sulla nave, facendo da balie al nostro fratellino di appena due anni. Il viaggio non durò nemmeno una settimana, sia Zeus che Poseidone furono gentili con noi. I nostri animi erano tranquilli, come possono esserlo quelli di una famiglia appena giunta a destinazione, soprattutto se sa che presto potrà permettersi del cibo migliore. Nessuno si sarebbe aspettato quello che effettivamente successe. Ci dirigemmo subito al castello del re, contando sul fatto che insieme all'ordine, aveva inviato un permesso scritto per farci passare. Entrammo senza problemi nel castello, ci ammiravamo tutti attorno, fin troppo stupiti alla bellezza di quel luogo. Fu quando entrammo nella sala del trono che successe. I miei genitori presentarono i vasi da lui ordinati, ma il re non apprezzò il lavoro degli artigiani giudicandolo inopportuno per la sua vista reale. Il suo comportamento egoista mi aprì definitivamente gli occhi sul vero lato degli esseri umani. Si arrabbiò molto, il re, per la mancanza dei suoi vasi. E decise che sarebbe stato meglio punire chi non aveva obbedito ai suoi ordini- Anthi fece una pausa prendendo un respiro profondo- li uccise; proprio davanti ai miei occhi. Mio padre, mia madre e mia sorella maggiore, che aveva la tua età. Avrebbe ucciso pure noi, se sua moglie non l'avesse fermato, dicendo che non avevamo nessuna colpa punibile con la morte. Fortunatamente le diede ascolto e noi fummo lasciati liberi. Avevo otto anni, mio fratello appena due ed eravamo soli. Soli e senza la minima idea di dove ci trovassimo. In qualche modo riuscimmo a tornare a casa nostra, dopo giorni infernali di viaggio. Quando rientrammo in città, fummo costretti ad affidarci alla sorella di mia madre e suo marito. Appena fu possibile per me iniziare l'apprendistato per diventare sacerdotessa di Estia feci il mio ingresso in questo tempio.

Il mio ultimo desiderio sarebbe quello di tornare nel posto che ha visto la morte della mia famiglia, ma dato che è necessario lo farò- si girò verso Melissa, il cappuccio della mantella si abbassò, mostrando il suo viso serissimo.

-Ho deciso di offrirmi come tributo- disse, portandosi una mano al cuore. Melissa spalancò gli occhi al limite delle possibilità umane. Lo sguardo nei suoi occhi esprimeva i suoi sentimenti come mai prima di allora.
-Cosa?! Non può fare una cosa del genere. Come farà la città senza di lei, il fuoco di Estia non dona solo speranza e prosperità e lei lo sa meglio di me. Sono considerata ancora una novizia, non mi è permesso svolgere molte delle attività che lei compie ogni giorno. Non posso cavarmela da sola, ora che anche la Sacerdotessa Anziana è partita- le parole le uscirono con un tono molto più forte di quello previsto, ma Melissa non se ne curò più di tanto. Non riusciva a figurarsi il tempio senza Anthi. La sua mentora, la sua maestra, colei che l'aveva presa con sé avvicinandola al culto della dea, come poteva anche solo pensare ad un mondo dove lei semplicemente non c'era più.
-Ho preso la mia decisione, la partenza è prevista per domani. Ti svelerò i maggiori segreti che custodiamo noi sacerdotesse, ma dovrai imparare a cavartela da sola, leggendo i testi che custodiamo con cura. Sei intelligente e piena di risorse, sono sicura che ce la farai anche senza il mio aiuto- Melissa la guardò a lungo negli occhi, cercando di trovare la scintilla che le parole che Anthi aveva pronunciato non fossero vere. Purtroppo non riuscì a individuarla.

Tornarono indietro, verso il tempio, in silenzio. Il passo di Anthi era molto più sicuro di quello di Melissa, che camminava quasi barcollando, le mani tremanti e il cuore in subbuglio. Il fuoco di Estia bruciava ancora di un placido calore rassicurante, ma il quel momento la sua dolcezza non raggiunse Melissa. Anthi si sedette al bordo del focolare, le mani protese verso di esso, alimentando le fiamme. E loro brillarono, brillarono come mai avevano fatto prima, incantando Melissa, malgrado il suo stato d'animo. Con gli occhi fissi di fronte a sé, Anthi iniziò a parlare, raccontandole i maggiori segreti custoditi dalle Sacerdotesse di Estia. Artemide aveva preso il posto di Apollo da molto tempo ormai, quando la più anziana finì i suoi insegnamenti. Con gesto fluido si alzò, ponendosi alle spalle di Melissa. Poggiò le mani calde sulle spalle della ragazzina, recitando una benedizione prima di dirle addio. Anthi si voltò per raggiungere la sua stanza.

-Maestra- l'urlo di Melissa si propagò nel tempio cristallino, la sacerdotessa si fermò. Melissa corse verso di lei, abbracciandola forte. Anthi prese quel gesto come l'ultimo saluto che la sua allieva le riservava, ma il significato di quella stretta era del tutto differente. Mentre apprendeva le nozioni nella mente di Melissa era maturata un'idea, una di quelle che pazzoidi e geniali che vengono una volta nella vita. E l'abbraccio serviva a chiedere scusa per la scelta egoista che stava per mettere in atto a discapito di Anthi. Melissa sciolse le sue braccia dalla vita dell'altra, lasciando che il corpo della maggiore scivolasse nelle ombre del tempio.

Aspettò, Melissa. Aspettò che la luna di Artemide fosse alta nel cielo e che la dea fosse impegnata nella caccia lontano prima di fare la sua mossa. Si mosse piano, delicatamente, senza fare il minimo rumore, così come le pacifiche fiamme ardono in silenzio. Il dolore nel suo cuore esplose tutto in una volta facendo vacillare la sua decisione, ma la determinazione fu più forte. Non portò niente di superfluo con sé, solo qualche vivero e dei vesti di ricambio. E finalmente con passo deciso si avviò fuori dal tempio che per anni era stata la sua casa. Sul pavimento, vicino al focolare della dea vi si poteva leggere una scritta, scritta che la mattina successiva Anthi avrebbe trovato al posto di Melissa: Addio.

 

Salonicco- 6 giorni e 14 ore prima dell'arrivo

 

Orion corse fuori dalla porta di casa con un tale slancio che per poco non ruzzolò giù da due gradini che la separavano dalla strada. Eulalia lo sgridò da dentro casa, quando senti l'urlo che fece il ragazzino dopo aver perso e riacquistato l'equilibrio. Orion ignorò quella che l'intera società credeva essere sua madre, continuando a fare quello per cui era uscito di corsa. Saltellando si avviò verso l'agorà. Cinque l'avesse visto per la prima vota si sarebbe seriamente preoccupato delle stato mentale e fisico di quel bambino iperattivo e sorridente che schizzava per le viuzze della città bassa, ma ormai nel vicinato tutti erano a conoscenza dell'esuberanza di Orion e nessuno si preoccupò. La piazza principale era occupata dal grande mercato. Con il suo corpo minuto il quattordicenne si infilò sena problemi nella massa di persone che occupavano lo spazio. Come un topolino si intrufolò tra due signore, a giudicare dall'abbigliamento schiave di qualche ricco, che osservavano con occhio critico le verdure messe in vendita dal commerciante. Fresche dei raccolti dei campi fuori città, assicurava. Orion non n era tanto sicuro, ma i soldi che le donne avrebbero speso non erano suoi. Con mano lesta e silenziose movenza prese qualche baccello contenete delle fave, prima di allontanarsi. Nessuno si accorse dell'operazione, esattamente come non se n'era accorto nessuno il giorno prima, e quello prima ancora. Con un sorrisetto soddisfatto Orion si avviò verso il luogo dove avrebbe finalmente mangiato il suo bottino.

Si riparò all'ombra di un enorme fico, su uno dei rami alti. Orion si complimentò con se stesso, di nuovo. Il calore del Sole gli lambiva la pelle nuda del braccio destro, il ragazzino abbassò lo sguardo sull'altro, coperto dalla stoffa. Il figlio di Dioniso detestava quella manica in più, gli ostacolava i movimenti, ma era perfettamente consapevole che i suo marchio era troppo imponente per non essere nascosto. La sua stessa esistenza sarebbe dovuta rimanere un segreto, ma sua madre, la sua vera madre, aveva trovato un modo per permettergli di vivere all'aria aperta e di questo Orion le era estremamente grato. Finito di mangiare le fave lasciò cadere i baccelli a terra. Alzò gli occhi verso il cielo, una brutta sensazione iniziò a crescergli nel petto. Con un balzo salto giù dall'albero, scalando i rami con agilità che nemmeno lui sapeva di possedere. Sempre con il solito sorriso stampato sulle labbra tornò verso casa sua.

Come una furia entrò nella sala principale della casa di Eulalia. Sedute sulle sedie, sistemate intorno al tavolo rotondo, vi erano Eulalia e Ninphadora che chiacchieravano delle novità e dei pettegolezzi che avevano udito in città. Il ragazzino si illuminò alla vista della madre e le corse incontro gettandosi tra le sue braccia. Si sarebbe benissimo potuto definire un comportamento infantile senza dover mentire. Tuttavia entrambe le donne volevano bene a Orion e per questo avrebbero fatto di tutto pur di proteggerlo dalla corrente che presto l'avrebbe avvolto.
-Orion, tesoro, hai sentito qualcosa si strano mentre giocavi in città?- gli chiese con estrema gentilezza Eulalia, accarezzandogli la testa poggiata sul petto di Ninphadora. Il figlio di Dioniso ci pensò, richiamando alla memoria pezzi di frasi e conversazioni sentite senza volerlo.
-Mmh, molti discutevano di una possibile perdita, ma non ho capito bene che cosa volessero dire- rispose lui. Le due donne si guardarono, un nota grave si potè notare nei loro occhi.
-Orion- il tono di Eulalia era cambiato completamente diventando serio e perdendo la nota di dolcezza che aveva assunto in precedenza- ora dovrai ascoltare quello che ti diremo senza dire una parola. È una cosa estremamente importante- Orion annuì, quasi spaventato dalla freddezza di quelle parole. Eulalia prese un profondo respiro e iniziò a parlare.

 

Salonicco- 6 giorni e 8 ore prima dell'arrivo

 

La nave era salpata da un paio d'ore ormai, ma la città di vedeva ancora, illuminata dal rosse del Sole morente. Appoggiata al bordo di legno scuro e umido Melissa osservava il tempio di Estia scintillare nel tramonto. Non si era pentita della sua decisione ed era sicura che non lo avrebbe fatto nemmeno in futuro. A differenza del cuore di Melissa, che era calmo e sicuro, quello di Orion era ancora sottosopra. Non voleva, non poteva, accettare di essere stato strappato via dalle persone che amava; da tutto ciò che considerava casa, non gli era rimasto nulla, si erano presi anche la sua libertà, l'unica cosa che Orion desiderava non perdere. Si era arrampicato fino alla cima dell'albero della trireme. E ora stava seduto tra il ramo orizzontale e quelle verticale, aggrappato al tronco per non cadere. La città brillava di fronte a lui, così vicina da poterla toccare, ma al tempo stesso così lontana da non poterla raggiungere.

Entrambi sapevano che le possibilità di poter tornare erano pari a zero, forse anche meno di zero, tuttavia entrambi erano certi che avrebbero trovato un modo per riuscirci e una promessa sorse nel più remoto spazio delle loro menti.

 

Vivrò e tornerò a casa. Lo giuro sullo Stige”

 

Stanza segreto di Dia

Chiedo scusa, scusissima, per il ritardo. Mi ero detta: “Dia, ricorda un aggiornamento a settimana” e gia ho infranto la mia promessa, sono una pessima persona. Ma ora, bando alla ciance, come vi è sembrato il capitolo?? Melissa e Orion vi stanno simpatici??

Ho deciso che finirò ogni capitolo con una promessa fatta sullo Stige, che ve ne pare? A me piace come idea. Come sempre mi appello alle autrici/autori degli OC, siete pregati di comunicare come sto evolvendo il vostro personaggio.

Un bacio, DIA

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Capitolo 6
*** Capitolo III ***


Capitolo III

 

Tebe- 2 anni, 5 giorni e sei ore prima dell'arrivo

 

-Ariadne, bambina mia, sii lieta perchè oggi abbiamo ricevuto la conferma del tuo matrimonio- le comunicò felice il padre, poggiandole le mani su entrambe le guance. “Si certo, allegra come il Divino Ade al Solstizio d'Inveno” pensò la ragazza, velenosa. Tuttavia la principessa di Tebe non aveva tutti i torti; a lei andava bene sposarsi, ma solo se il partner fosse stato scelto da lei. In quel matrimonio, invece, di scelto da lei non c'era nemmeno la data delle nozze. In un impeto di rabbia colpì il pavimento con il piede nudo, l'aura di pericolosità che la avvolgeva crebbe in modo repentino. Se ne andò dalla sala del trono senza dire una parola, non si voltò neanche a guardare il volto sorpreso del padre, anche se sicuramente avrebbe migliorato il suo umore. Nessuno osò avvicinarla mentre camminava spedita nei corridoi del palazzo, senza una meta precisa. Il suo unico scopo era trovare un modo per evitare quel matrimonio, dopo aver sbollito la cieca ira che pervadeva le sue membra. Bloccò il suo vagare per affacciarsi a una delle tante aperture colonnate che costeggiavano le pareti del castello. E fu in quel momento che lo vide, un tempio. Un tempio luccicante, imperioso e splendente sotto il bollente Sole di mezzogiorno. E come vide quella struttura imponente, un'idea le nacque in testa. Ariadne sorrise, trattenendosi dal sollevare un pugno nel cielo di Zeus per la vittoria assoluta che avrebbe avuto sul padre.

Lei era Ariadne, figlia di Petio, la dea della persuasione, non c'era niente che potesse esserle negato e questo lei lo sapeva bene. Lei era Ariadne, figlia del re della città di Tebe, la principessa che tutti ammiravano dal basso e questo lei lo sapeva bene. Lei era Ariadne, era immune a qualsiasi cosa che considerava sporco e inadatto, era al di sopra dei mortali, era ad un livello superiore irraggiungibile per chi non era come lei e questo lo sapeva bene.
Perciò semplicemente non potava accettare che qualcuno disobbedisse ai suoi ordini espliciti.
Perciò, il giorno dopo, prese la definitiva decisione di diventare sacerdotessa della dea Era, protettrice proprio dalla causa che la spinse a fare quella scelta. Ariadne lo sapeva, sapeva che sua padre gliela avrebbe fatta pagare, ma non potè resistere alla tentazione di avere la soddisfazione di aver vinto contro di lui anche questa volta.

Tebe- 5 giorni e otto ore prima dell'arrivo

 

Il rumore del pesante martello che batteva sul metallo aveva accompagnato Hilarion fin dall'infanzia e aveva lo straordinario potere di calmare i suoi nervi. Lo aveva sentito, quell'annuncio che comportava l'invio di due semidei come sacrifici. Ma ancora il brivido della paura non l'aveva avvolto. Fu quando ascoltò per sbaglio una conversazione tra due schiave che lavoravano a palazzo che l'estranea sensazione si fece largo nel suo petto.

Per la prima volta da quando era nato temette per la sua vita. Era figlio di Efesto, cresciuto tra il fuoco e il calore, non aveva mai avuto modo di sperimentare la paura. Eppure in quel momento, quando sentì che il re aveva scelto la sua stessa figlia come sacrificio, non riuscì a trattenersi di pensare che a quel punto niente e nessuno avrebbe impedito che il suo nome venisse fuori nel momento dell'estrazione. Era sempre stato freddo verso il mondo esterno, indifferente a cosa gli accadeva intorno. La sua vita era all'interno delle fucine reali, la più fidata compagnia che potesse avere erano l'incudine e il martello avvolti nel calore del focolare in cui scaldavano i metalli, non aveva bisogno di altro, non voleva avere altro.

E fu mentre calava l'ennesimo colpo che i suoi pensieri divennero realtà. Il suo maestro entrò nella fucina con la faccia più cupa del nero del legno bruciato. Non disse una parola, inconsciamente Hilarion gliene fu grato, si limitò ad indicare il soffitto on una mano, il dito puntato verso l'alto. Il più giovane annuì, prima di colpire violentemente il metallo rosso e malleabile; aveva buttato via il lavoro svolto fino ad adesso, ma in quel momento l'unica cosa che gli interessava era cercare di rendersi presentabile per l'imminente e inevitabile incontro con il re della sua città. Hilarion era a torso nudo, solo un piccolo gonnellino gli copriva l'inguine. Il caldo soffocante all'interno delle stanze gli impedivano una copertura maggiore, per cui indossava il minimo indispensabile. Un giovane schiavo lo aiutò a pulirsi la schiena dalla fuliggine e dal sudore. Hilarion lo osservò di sottecchi, pensando che fosse il suo tipo. Era silenzioso, aveva il corpo minuto ed era molto più basso di lui. I lineamenti del viso erano quasi femminei, al contrario dei suoi che erano affilati e ben marcati. Ovviamente la cosa che il diciannovenne considerava più importante era con non parlava e se non lo faceva era il partner perfetto per lui. Dopo essersi reso presentabile si avviò verso la sala del trono dove, ne era sicuro, gli avrebbero comunicato il suo destino. Il re di Tebe non era mai stata una persona a cui piacesse girare intorno alle cose per trovare una soluzione migliore di quella che già aveva, si era limitato a prendere i semidei che aveva più vicini. E questo comprendeva Hilarion e la sua stessa figlia.
 

Tebe- 5 giorni e sette ore prima dell'arrivo

 

Era passata un'ora, una lunga e interminabile ora. Ora dove il re aveva cercato di spiegare alla principessa Ariadne il motivo della sua scelta. E mentre la sacerdotessa di Era strillava contro il padre, Hilarion osservava la scena in silenzio, senza alcuna intenzione di intromettersi nella conversazione. Aveva già accettato il fatto che era stato selezionato per andare a morire, la sua calma e indifferenza verso tutto e tutti erano tornate. E con quella calma e indifferenza stava cercando di capire il filo logico del discorso tra i due reali. Nonostante la sua intelligenza non ci era ancora riuscito.
-Non ho intenzione di sacrificare la mia vita solo perchè ti sei offeso- urlò Ariadne al padre, senza utilizzare nessuna forma di rispetto.
-Sono tuo padre e il re di questa città hai il dovere di ubbidirmi in quanto tuo superiore e portatore delle voci degli dei sulla terra- le gridò contro Pegasios. In realtà lui era un semplice mortale, l'unica cosa che potesse elevarlo tra di loro era il suo status, ma quell'uomo aveva sempre avuto un ego immenso tenuto sotto controllo solo dalla figlia.
-Anche se questo fosse vero, non permetterò che la mia vita venga decisa da qualcun'altro che non sia io stessa e ora- il tono della principessa cambiò diventando più profondo e intimidatorio- io ti ordino, con l'autorità conferitami da mia madre, di permettermi di vivere nel tempio di Era fino alla fine dei miei giorni senza che tu possa in qualsiasi modo ostacolare le mie decisioni-. Ariadne stava esercitando i suoi poteri da figlia di Petio, dea della persuasione, perfino Hilarion ne subì l'effetto anche se era a diversi metri di distanza.

Ma stavolta il volto del padre non diede segni di cedimento, come se le parole non fossero in grado di raggiungerlo.
-Tu salirai su quel cavallo per andare al porto più vicino e prenderai la barca che ti porterà a Creta, che tu lo voglia o no- il re passò alle maniere forti, dato che quando alzò il dito indice per puntarlo contro la sacerdotessa due dei suoi migliori soldati sbucarono da dietro il trono. Ma Ariadne non era mai stata una persona che la dava vinta facilmente e infatti reagì relativamente in fretta.

Sfruttando i suoi riflessi naturalmente superiori scattò verso la porta spalancata. Corse più veloce che poteva e ce l'avrebbe pure fatta se suo padre non l'avesse preceduta. Due soldati spuntarono fuori dalle colonne ai lati della porta, bloccando la sua fuga. La imbavagliarono per impedirle di parlare e quindi sfruttare il suo potere.

Hilarion trovò che fosse estremamente fragile una volta persa la sua voce, o almeno era quella l'impressione che lasciava inginocchiata sul pavimento. Si ricredette quando vide il suo sguardo. Perchè le emozioni che lesse in quelle iridi terse furono talmente potenti da annichilire tutte le parole pronunciate precedentemente. A quegli occhi non serviva urlare per avere l'attenzione, a quegli occhi non serviva minacciare per incutere terrore, a quegli occhi non serviva un mezzo di comunicazione per essere intimidatori. Dentro di sé, Hilarion pensò che quella ragazza in realtà fosse un lupo travestito da agnello. Alla fine se gli occhi sono lo specchio dell'anima, quelli di Ariadne riflettevano un'anima forte e indomabile.
 

Al largo delle Coste dell'Attica- 4 giorni e 6 ore prima dell'arrivo

 

Non era più imbavagliata, Ariadne. L'avevano slegata una volta la largo e con il vento a poppa, per evitare che potesse tornare indietro. La principessa aveva meditato un modo per liberarsi per tutto lo sfiancante e faticoso tragitto a cavallo dalla città di Tebe al porto di Salamina. Era incazzata, oh sì, era incazzata nera; con suo padre, con il re di Creta, con quello stupido ramo che aveva osato graffiarle la guancia, con i poveri cavalli senza colpa alcuna che le avevano procurato uno sgradevole dolore al sedere, con i soldati che li avevano scortati fino al porto, con i marinai della barca su cui stavano viaggiando, con gli dei che non avevano impedito quella follia. Ariadne prese un respiro profondo decidendo di calmarsi, non era il momento adatto per perdere le staffe. Poi un'idea sorse nella sua mente.

A differenza della focosa principessa, Hilarion non aveva volutamente aperto bocca per tutta la durata del viaggio. Già di suo era una persona che non amava parlare preferendo il silenzio, la situazione di certo non aiutava a far partire una conversazione. Non si era mai lamentato, sia perchè lo trovava inutile sia perchè non aveva voglia di attirare di nuovo sguardi ambigui di persone che non lo comprendevano. Mentre Ariadne si rodeva sottocoperta, lui era salito sul ponte. Appoggiato al parapetto con la parte bassa della schiena, le gambe leggermente piegate, le caviglie una sull'altra e le braccia conserte, osservava il mare pararsi infinito di fronte ai suoi occhi. Aveva assunto una posa rilassata, ma i suoi sensi erano comunque all'erta, sempre pronti a cogliere il più piccolo dei movimenti. Si voltò dalla parte opposta volgendo il suo sguardo alle coste che si allontanavano sempre di più. A Tebe aveva lasciato un lavoro in sospeso e lui odiava lasciare i lavori a metà.

 

Mi vendicherò padre, vedrai, vivrò per vedere la tua faccia quando ti arriverò di fronte...”

Tornerò per concludere quella splendida spada a due mani, stai tranquillo papà...”

 

...Lo giuro sullo Stige”

 

Angolo di Dìa

SCUSATE, SORRY, GOMEN NE, DESCULPATEME, JIÈKOU, EXCUSE MOI, DIKAIOLOGÌA... e basta sono tutte le lingue in cui lo so dire. Non sono come scusarmi per il tremendo ritardo con cui pubblico questo capitolo, ultimante sono stata leggermente impegnata e avevo una sorta di blocco dello scrittore a metà; nel senso che sapevo cosa scrivere ma non come farlo. Spero che il capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative nonostante sia più corto degli altri, come sempre mi appello agli scrittori/scrittrici degli OC per consigli o imperfezioni.

Un bacio dalla Spagna,

Dia-sama

 

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Capitolo 7
*** Capitolo IV ***


CAPITOLO IV

 

Micene- 5 giorni e 22 ore

 

Kosmas sapeva che avrebbe dovuto essere felice. Sapeva che avrebbe dovuto fingere di essere felice. Sapeva che avrebbe dovuto fingere di non fingere di essere felice. Ma nonostante Kosmas non sapesse cosa fosse realmente la felicità, era sicuro che non fosse l'emozione che stava provando in quel momento. Perchè come si può essere felici di ricevere la comunicazione della propria morte? E non solo, come si può essere felici di ricevere la comunicazioni della morte di qualcuno che non sei nemmeno tu?(*) Kosmas non sapeva come reagire, sentiva che non poteva permettersi né di sorridere né di scoppiare in un pianto disperato. Così fece la prima cosa che gli venne in mente. Si voltò e se andò con la scusa di sentirsi poco bene.

 

-Perchè devo essere io? Perchè non qualcun'altro? Perchè tocca sempre a me il dolore? Perchè sono solo io quello che sta male?- parlava ad alta voce, senza indirizzarsi a nessuno in particole. Era accasciato in mezzo alla stanza, guardandosi le mani che tremavano talmente tanto da avere i contorni confusi. Con un gesto violento si tolse la spilla che fermava l'acconciatura. I lunghi capelli castani gli ricaddero addosso, coprendogli il viso.
-Perchè non posso semplicemente essere me stesso?- chiese battendo un pugno sul pavimento. Lacrime calde andarono presto a fargli compagnia, lasciando piccoli cerchi bagnati come unico ricordo del loro passaggio. Alzò la testa verso l'angolo più remoto della stanza. Un telaio si mostrava alla luminosa luce del giorno, brillando come se fosse fatto d'argento. Dalla parte opposta vi era una bacinella colma d'acqua. Kosmas si alzò. La superficie gli rimandò l'immagine di un giovane dalla straordinaria bellezza ancora acerba. Il viso fine ed elegante, dai tratti femminili era circondato da una nuvola di mossi capelli castano-dorati scintillanti sotto i raggi del sole. Le spalle sottili erano avvolte da un abito verde chiaro, un abito da donna. Perchè questo era lui. Un maschio costretto a essere una ragazza da quando ne aveva memoria. Lui era diverso, nessuno l'aveva mai chiamato Kosmas, se non sua madre quando erano completamente da soli. Per tutti il suo nome era Demi, giovane quindicenne tra le più belle della città, colei che tutti desiderano ma che nessuno può permettersi di avere.

 

Kosmas voleva gridare. Gridare talmente forte da farsi sentire fino a Creta. Gridare talmente forte da farsi sanguinare la gola. Gridare talmente forte da sfogare le emozioni che si teneva dentro da quando era bambino. Ma non poteva far conoscere al mondo la verità, altrimenti sarebbe finita male, molto male. E questa era l'ultima cosa che Kosmas voleva, se doveva morire almeno sarebbe stato lui solo.

 

Micene- 5 giorni e 19 ore prima dell'arrivo

 

Callimaco si svegliò, il sole negli occhi e il lenzuolo che gli copriva a malapena l'inguine. Con uno sbadiglio insolitamente elegante si stiracchiò adocchiando il corpo nudo accanto a sé. Sul suo volto si dipinse un sorriso soddisfatto al ricordo della notte appena trascorsa. Era stato appagante, ma come sempre mancava qualcosa. Fin da quando aveva iniziato a soddisfare quei bisogni impellenti che provava ogni ragazzo adolescente Callimaco sentiva che vi era un tassello mancante per arrivare ad essere veramente appagato. E lui sapeva benissimo che cosa, o meglio chi, fosse quel tassello. Era l'unica persona che desiderava, ma anche la sola che non poteva avere. E questo era frustrante, molto frustrante. Così per sfogare il desiderio che provava per quella persona intraprendeva rapporti sessuali con uomini che facilmente venivano sedotti dal bel viso e dai poteri del ragazzo.

 

Callimaco si alzò dal letto, accorgendosi solo in quel momento di non trovarsi nella sua stanza. Incurante della sua nudità si avvicinò alla bacinella colma d'acqua gelida. Ci infilò delicatamente le mani dentro, rabbrividendo un poco quando si buttò il liquido freddo sul viso. Si passò i palmi bagnati tra i capelli neri, scompigliandoli ancora di più di quanto già non fossero. Adocchiò il suo chitone, buttato in parte su un panca di legno scuro. Ghignò ricordando l'irruenza del suo partner che lo aveva portato a buttare i suoi vestiti dalla parte opposta della stanza, non che gli fosse dispiaciuto, in realtà. Si rivesti in fretta, senza nemmeno asciugarsi il viso. Si legò i lembi di stoffa su entrambe le spalle, con quelle bellissime spille che Callimaco adorava, ma che gli ricordavano che il suo grande compito all'interno della famiglia si faceva ogni giorno più vicino.

Non era pronto, Callimaco, non era pronto per diventare il capo. Non era mai stato pronto e sin da quando aveva capito che quello sarebbe stato il suo compito aveva cercato in tutti i modo di fuggire. Non sarebbe mai stato pronto a prendere le redini per sostituire suo padre. Callimaco ne era sicuro. Per essere un buon patriarca bisogna avere qualità che Callimaco sapeva di non possedere, lui amava il lusso e il sesso, come avrebbe potuto diventare una guida saggia? Ma quel che più preoccupava il diciassettenne era che presto si sarebbe dovuto sposare, anche avrebbe già dovuto esserlo, ma lui aveva rifiutato la decisione di suo padre sparendo per quattro giorni pur di non farlo. E sposarsi era la minima cosa, avrebbe dovuto dare alla luce un erede e Callimaco non sapeva se sarebbe stato in grado di consumare un rapporto con una donna. E così continuava a sperare di fuggire dal quel destino agognato da molti, ma detestato da lui. Viveva tra gli allenamenti con Cratone, il suo piccolo paradiso personale, il solo momento in cui poteva lasciarsi veramente andare, e cercarsi un compagno per la notte. Evitava la casa dove viveva, quella casa che per lui era solo un edificio elegante. Non sentiva quel senso di appartenenza, non poteva permettersi di rilassarsi, non quando ogni secondo avrebbe potuto essere l'ultimo della sua vita.

Per questo non cercò minimamente di ribellarsi quando venne a sapere della sua prossima partenza.

 

Mar Egeo – 2 giorni e 21 ore prima dell'arrivo

 

La brezza marina carezzava leggera il viso di Kosmas, smuovendogli i capelli, per la prima volta da quando era bambino tenuti sciolti e liberi da complicate pettinature. Indossava, sempre per la prima volta, un peplo bianco fissato sulle spalle da due fiori d'argento. Si portò una mano alla fronte, per impedire alla frangia di finirgli negli occhi. Avrebbe voluto strapparsi di dosso quel vestito e far vedere cosa celava al di sotto, ma non era sicuro fosse una buona idea. Avrebbe aspettato almeno di arrivare a Creta prima di decidere se rivelare o meno la sua vera identità. Erano stati giorni strazianti, soprattutto dopo aver scoperto di soffrire il mal di mare. L'unica cosa positiva è che aveva avuto la possibilità di ricevere una stanzetta tutta per sé, dato che era considerato una ragazza, per evitare di dover dormire con i marinai e quindi aveva passato quei primi giorni chiuso lì dentro cercando di non vomitare anche l'anima. Ora stava abbastanza bene da poter salire sul ponte da poter tenere il contenuto del suo stomaco dentro il suo stomaco.
-Bella vista, vero?- chiese una voce, abbastanza forte da essere udita sopra lo sciabordio dell'acqua.
-Potrei dire di sì, ma dalla finestra della mia stanza vedevo questo panorama tutti i giorni. Ormai per me ha perso tutto il suo fascino- fu la risposta secca di Kosmas.
-Non è una cosa che perde il suo fascino semplicemente perchè ci si abitua alla sua presenza- disse Callimaco, quasi offeso. Kosmas ebbe l'impressione che stesse parlando di se stesso. Non aveva la capacità di capire una persona semplicemente guardandola negli occhi, come aveva visto fare in passato da una coppia di principi, ma uno dei poteri che la madre gli aveva trasmesso era quello di vedere la verità dietro le parole. Sentiva l'odore pungente della menzogna quando veniva pronunciata, così come quello dolce della verità e altre emozioni esprimibili voce alta.
-Il fascino è una percezione personale, ciò che per me può essere bellissimo magari per altri è una schifezza assoluta. Non darei per scontato che ciò che penso io sia la legge del mondo. Ma sì, hai ragione, al tramonto è ancora un panorama mozzafiato- riprese a parlare il figlio di Demetra. In quel momento i capelli gli finirono di nuovo sul viso, così decise di raccoglierli. Con movimenti veloci li porto tutti su un lato della testa, prima di avvolgerli in una crocchia che fermò con dei papaveri dal gambo lungo appena evocati. Le diverse tonalità delle corolle mettevano in risalto il colore dei suoi occhi e la morbidezza della sua pelle color miele. Tuttavia anche se quella scelta avesse fatto esplodere tutta la sua bellezza, su Callimaco non avrebbe avuto nessun effetto. Dopotutto lui non era attratto dalle donne e finché era considerato tale non aveva nulla da temere.

 

-Tu credi nei miracoli?- fu la voce di Kosmas che ruppe il silenzio formatosi tra loro.
-Sarebbe da ipocriti non credere ai miracoli; dopotutto siamo figli degli dei, la nostra stessa esistenza può essere considerata un miracolo- c'era un'immensa sicurezza nel tono con cui Callimaco pronunciò quella frase. Kosmas pensò che avesse molta fiducia in sé stesso, quel tipo di fiducia che si guadagna solo si si è consapevoli di chi siamo e di chi vogliamo essere. Kosmas non aveva quel tipo di certezza e anche se al figlio di Afrodite mancava una parte l'aura che emanava era completamente priva di indecisione, come se sapesse che cosa il Fato avesse in serbo per lui.
-Allora lasciami cambiare la domanda. Tu credi nei miracoli fatti solo dall'uomo, miracoli in cui non centrano gli dei, miracoli che succedono solo grazie alla volontà delle persone che lo invocano?- Callimaco girò la testa verso Kosmas, il ragazzo non si era mosso continuando a fissare un punto indefinito nel mare che aveva di fronte.
-L'uomo può fare di tutto, se c'è volontà. Certo, il talento non può mancare, per quanto minimo. E il potere senz'altro è un mezzo efficace per ottenere ciò che si vuole. Ma niente può impedire ad uno schiavo di ribellarsi al suo padrone. Lo schiavo non agisce per paura delle conseguenze, perchè si è rassegnato al suo status di schiavo, ma continua a sognare. Sogna la libertà che è consapevole che non avrà mai. Penso ci sia un motivo perchè non sono ancora tutti collassati da qualche parte- alzò lievemente il braccio, la mano destra aperta con il palmo rivolto verso l'alto- c'è qualcosa che li fa andare avanti, che fa andare avanti tutti. Persino quell'essere psicopatico che ci ha costretti qui- "che fa andare avanti me".
-E che cos'è?- inconsapevolmente Kosmas sporse il corpo più vicino a quello di Callimaco.
-La speranza, Demi- lo chiamò per nome, ma il figlio di Demetra non ci fece nemmeno caso- la speranza è ciò che permette al genere umano di andare avanti. Ed è anche ciò che che ci terrà in vita quando arriveremo a destinazione. Ricorda, non perdere la speranza. Perchè anche quando la situazione si fa critica, quando sembra che non ci sia nessuna possibilità di vittoria, c'è sempre speranza!- chiuse il pugno all'improvviso, guardando il viso di Kosmas con un piccolo sorriso.
-Come fai a sapere cose come queste?- il quindicenne aggrottò le sopracciglia in modo buffo mentre poneva la domanda.
-Mia madre è la dea dell'amore. L'amore vive di speranza, se non c'è speranza l'amore non sboccia, se non c'è speranza non lo farà neanche la passione. Pesino quando la tua relazione è solo fisica provi speranza- Callimaco si rese conto troppo tardi che si era lasciato sfuggire più dettagli di quanti ce ne fosse bisogno, ma fortunatamente Kosmas era troppo ingenuo per accorgersi del doppio senso che l'ultima frase poteva avere.
-Allora giura con me- il sono tono cambiò, diventando solenne. Il figlio di Afrodite sbatte le palpebre stupito dell'improvviso cambiamento.
-Giura che non perderemo la speranza, giura che se iniziassi a dubitare mi impedirai di perderla-. Si sarebbe cacciato nei guai, Callimaco lo sapeva, lo sapeva benissimo. Ma la passione va a braccetto anche con l'irrazionalità. Mise la mano sopra quella di Kosmas, che praticamente scomparve sotto la sua. E poi in coro esclamarono:

-Lo Giuro sullo Stige-

 


(*) Fare da sacrificio era considrato un onere per la persona che stava per morire e per la famiglia alla quale apparteneva

Angolo Buco Frittata di Autrice

Ora dovrei inventarmi un nuovo modo di scusarmi. Perdonatemi se sono così in ritardo, ma l'ultimo paragrafo non ne voleva sapere di uscire!! comunque ora sono qui. Evviva! Sorratemi se il capitolo è più corto degli altri.

Come sempre mi appello alla vostra clemenza e chiedo agli autori degli OC il loro parere su come ho sviluppato il personaggio.

Passo e chiudo

Diamante

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Capitolo 8
*** Capitolo V ***


CAPITOLO V

 

Boschi nei dintorni di Olimpia- 7 giorni prima dell'arrivo

 

Glykeria correva leggera fra gli alberi. Pochi passi più indietro Danai e Isidora la seguivano. Tutte e tre le Cacciatrici avevano gli archi d'argento in mano e una freccia in cocca. Inseguivano un branco di caprioli che si dirigevano a Nord, avvicinandosi alla città di Olimpia. Glykeria corse più veloce, determinata a non lasciarseli scappare, ma anche a non andare vicino più del necessario alla sua città natia. Con agilità inumana la ragazza saltò su un ramo basso, in modo tale da avere una visuale migliore. Tese la corda del suo arco. Prese la mira sul bersaglio, un giovane capriolo zoppo alla zampa anteriore destra. Balzò sull'albero successivo, scoccando la freccia mentre era ancora in aria. E quella volò, volò oltre la coltre di foglie, senza perdere la sua velocità, andando a conficcarsi precisa e letale nel collo dell'animale. Il colpo uccise all'istante il povero capriolo, causandogli il minor dolore possibile. Il resto del branco si allarmò vedendo il compagno cadere e l'istinto di sopravvivenza li portò a fuggire nella direzione opposta a quella da cui la freccia era arrivata. Appena l'ultimo quadrupede scomparve nel sottobosco, Glykeria si lasciò cadere dal ramo sul quale si era seduta. Due secondi dopo Danai e Isidora atterrarono al suo fianco.
-Psiche*, certo che potevi anche aspettare- disse Isidora, la più grande delle tre. I suoi grandi occhi castani, però, brillarono di divertimento mentre pronunciava quella frase, segno che non vi era alcun sentimento di astio nei confronti di Glykeria. I lunghi capelli biondi, eredità della madre, scivolarono sul davanti quando si chinò sul corpo del capriolo. Con delicatezza tolse la freccia dal collo dell'animale, mentre Glykeria ne accarezzava la testa. All'inizio, appena entrata nelle Cacciatrici si sentiva in colpa ad uccidere delle creature innocenti, ma con il tempo aveva imparato a considerarle come una sorta di sacrificio alla dea alla quale aveva giurato fedeltà.
-Devo ancora capire se Selina sarà o meno contenta- sospirò Isidora. Dimostrava dodici anni, ma ormai erano ben dieci stagioni che era un'ancella di Artemide. Danai rise, portandosi un ciuffo scuro via dalla fronte. A differenza delle sue compagne teneva i capelli corti fino alle spalle. Si chinò anche lei al capezzale dell'animale prima di aggiungere:
-Beh, almeno arriviamo da lei, poi possiamo fare supposizioni-. Selina era la luogotenente della dea, una delle ancelle più anziane. Aveva da poco superato i tredici inverni quando aveva scelto di unirsi ad Artemide e nonostante avesse l'aspetto di una bambina sapeva farsi temere. Le tre Cacciatrici la rispettavano e la ammiravano, e per questo, le loro parole non avevano nessuna traccia di offesa.

Sarebbe bello poter dire che arrivarono all'accampamento delle Cacciatrici, distante qualche chilometro a Sud-ovest. Sarebbe bello poter dire che Selina si limitò a guardarle con aria corrucciata e malcontenta poiché si erano spinte più in là di quanto fosse stato detto loro. Sarebbe bello dire che si sedettero intorno a fuoco quella sera, ridendo allegramente con le compagne mentre la parte delle prede non destinata ai sacrifici cuoceva sopra le fiamme. Sarebbe bello poterlo dire, ma purtroppo nessuna di loro ebbe la possibilità di tornare da dove erano venute.

Successe talmente in fretta che nemmeno i loro sensi più sviluppati del normale poterono aiutarle ad evitare la catastrofe. Sentirono un debole suono, come un fischio prima che una freccia dal piumaggio sporco colpisse Danai in mezzo alle scapole. La Cacciatrice sgranò gli occhi, un grido strozzato bloccato in gola. Cadde a terra, faccia avanti, perdendo la presa sulla carcassa della bestia. Fu il tonfo sordo che produsse il suo corpo a contato col terreno che mise in guardia le altre due. Lasciarono andare l'animale e invocarono i loro archi d'argento. Un'altra freccia attraversò l'aria, accompagnata da un rumore cupo di zoccoli e concitate voci. Questa volta non colpì il bersaglio, andandosi a conficcare nel tronco di un albero dietro ad Isidora. L'istinto di sopravvivenza diceva loro di scappare, scappare più velocemente possibile, ma il senso del dovere verso la compagna caduta e il desiderio pulsante di vedere ai loro piedi i corpi senza vita dei suoi assassini le trattennero in quella radura incriminata. Dieci uomini a cavallo spuntarono dal Nord, apparendo dal sottobosco come vassalli di un arrabbiato Thanatos. Due di loro avevano una faretra colma sulla schiena e archi tesi verso le due ragazze. I restanti otto avevano pugnali o spade legate alla cintura. Le frecce volarono di nuovo e, di nuovo, Glykeria e Isidora le schivarono. Con gesti rapidi e precisi le due giovani Cacciatrici risposero al fuoco e i due arcieri caddero. Fu in quel momento che le spade vennero sguainate. I cavalieri scesero dai loro destrieri e il cambiamento dell'aria fu immediatamente percepito da tutti i presenti. Un improvviso silenzio avvolse il luogo, ora il bosco taceva tenendo il fiato sospeso, in attesa. L'unico modo per sovrastare una Cacciatrice per un essere umano è affrontarla in disparità numerica o assalirla alle spalle quando meno se lo aspetta. Gli uomini usarono entrambe le mosse. Nell'istante successivo gli avversari si lanciarono tutti contemporaneamente verso le due ragazze, che non ebbero altra scelta se non usare l'arco come arma. Glykeria sapeva come sarebbe andata a finire, ne era completamente certa. Non c'era scampo per loro, sia lei che Isidora non erano portate per il combattimento ravvicinato, non avevano nemmeno gli strumenti adatti per essere alla pari con coloro ce stavano cercando di fermare. E infatti, proprio mentre vedeva il ventre di Isidora tingersi di rosso, Glykeria sentì un dolore acuto alla base del cranio. La vista le si fece sfocata e fece appena in tempo a metabolizzare il suono del grido di Isidora che perse i sensi.

 

Olimpia- 8 mesi, 6 giorni e 3 ore prima dell'arrivo

 

Ilektra aveva perso il conto una decina di volte da quando aveva deciso di contare le gocce che cadevano dal soffitto ad una minuscola pozza sul pavimento, vicino all'angolo alla destra della porta- sempre che una serie di sbarre potesse essere chiamata tale. E nonostante ricominciasse d'accapo ogni qualvolta che non ricordava quale numero fosse il successivo era piuttosto sicura che le gocce cadute fossero un quantità talmente grande che dubitava ci fosse un nome per così tante cifre messe insieme. Era lì solo da una settimana e mezza, ma stava già iniziando ad impazzire. Non era fatta per gli spazi chiusi, lei era libera. Era nata per esserlo e lo sarebbe sempre stata. Non si era mai lasciata comandare facilmente, e nonostante il padre adottivo non avesse fatto altro che provare a domare quel suo carattere ribelle, la vena di indipendenza che la caratterizzava non era mai sbiadita. Proprio per questo si era travestita da uomo per poter gareggiare nei Giochi Annuali di Olimpia come corridore. Si era allenata molto per poter partecipare, si era fatta in quattro per riuscire a trovare un modo per iscriversi senza farsi scoprire dai suoi genitori. Ed era andato tutto in fumo. Per colpa di una persona di cui si fidava, per colpa di qualcuno che considerava amico. Non che non capisse il suo sentirsi frustrato, sarebbe stata la stessa cosa per lei, se non avesse vinto. No, quello che non riusciva a capire era il perchè lui l'avesse tradita. Perchè nonostante fosse a conoscenza di sentimenti quali la rabbia, l'invidia e la gelosia, era quel tipo di persona che pensava senza mettere le emozioni in mezzo. La razionalità prima di tutto, era ciò che le aveva insegnato sua madre. Certo, c'era pure un capitolo dedicato a come mettere se stessi prima degli altri, ma per Ilektra quello valeva solo per la guerra. E lei sapeva, che non avrebbe mai potuto combattere, tutto perchè era nata donna. Lei odiava profondamente la percezione della donna nella società in cui viveva, lei voleva essere libera di fare ciò che più le aggradava, di comportarsi come riteneva fosse adatto per la sua persona. Ma la società le aveva mezzo un cappio al collo, le aveva legato un guinzaglio rinnegandola in uno stereotipo. La donna sta a casa, la donna accudisce i bambini, la donna è la parte passiva, la donna è sottoposta all'uomo che sia il padre, il marito o il fratello. La donna non ha voce in capitolo, Ilektra odiava non poter dire la sua, soprattutto quando sapeva di avere ragione. Pensava che forse questo suo modo di agire derivasse dalla sua parte divina, alla fine era figlia di Ade e la morte arriva per tutti allo stesso modo, siano essi maschi o femmine. Per questo, seduta sul duro e freddo pavimento di pietra della cella, il suo odio nei confronti della stessa città che prima apprezzava continuava inesorabilmente a crescere, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia.

 

Mar Egeo- 5 giorni e 6 ore prima dell'arrivo

 

La nave era salpata da solo cinque ore quando Glykeria aprì gli occhi. Le pulsava la testa, anche se non faceva male. Aveva un leggero senso di nausea e un cattivo sapore in bocca. Nel momento in cui provò a deglutire si rese conto di quanto secca fosse la sua gola, come se non bevesse da giorni. Cosa che in realtà era vera. Con un gemito provò ad alzarsi, i muscoli delle braccia tremarono sotto il peso del corpo.
-Piano, non agitarti, altrimenti ti farai ancora più male- disse una voce gentile e sconosciuta. La mente annebbiata di Glykeria non riuscì a comprendere se a parlare fosse un ragazzo molto giovane o una fanciulla in età di matrimonio. Avvertì qualcosa di freddo sulla fronte e quel contatto la risvegliò abbastanza da capire che si stava muovendo. Stava sdraiata su quello che teoricamente avrebbe dovuto essere un letto, ma che in realtà era una nicchia nel muro di legno ricoperta di lana e paglia. Davanti agli occhi aveva un viso dominato da un paio di enormi occhi marroni e circondato da delicati capelli rossi. Sulla fronte vi era adagiato un diadema di perle e a collo era allacciata una corda di cuoio che spariva oltre la sua visuale. Nonostante il gioiello potesse essere destabilizzante la persona che aveva davanti indossava un chitone molto semplice ma di elevata fattura, bordato di porpora e argento, fermato sulle spalle da due bottoni d'oro e smeraldi. Con lentezza disarmante Glykeria si mise a sedere, lasciando le gambe a penzoloni sul bordo, i piedi sfioravano il pavimento.
-Ero così preoccupato quando ti hanno portato in braccio fino a qui. Ti hanno praticamente lanciato sul giaciglio, che scortesi. Hanno detto che non ti svegliavi da giorni. All'inizio pensavo che non ce l'avresti fatta. Hai una ferita sulla nuca, ma nonostante fosse praticamente guarita non aprivi gli occhi o davi segni di vita che non fossero il battito del cuore e il suono del respiro- Glykeria fu investita dal mare di parole, riuscendo tuttavia a cogliere come quella persona si riferisse a se stessa con il maschile. Eppure, c'era qualcosa che non tornava nella mente ancora semi-confusa della Cacciatrice, qualcosa che necessitava di una spiegazione imminente.
-Qual'è il vostro nome?- Glykeria sperò che non suonasse troppo autoritaria, dato che non era sua intenzione esserlo. In più dall'aspetto fisico sembrava che l'altra persona fosse più grande di lei.
-Ilektra- fu la risposta, detta a voce talmente bassa che la ragazzina temette di esserselo immaginato. Guardò ancora di fronte a sé, dove precedentemente vi era un paio di vispi occhi castani. Il quel momento invece, aveva la testa china, i pugni stretti sulle assi di legno scuro. Glykeria la guardò confusa, tutto in lei – perchè si alla fine era una lei per davvero – dava una sensazione di chiusura, come se ci fosse un muro a circondarla. E la Cacciatrice ebbe l'impressione che fosse un muro costruito in seguito a qualcosa di talmente brutto che l'aveva segnata così profondamente da non permettere più al suo cuore la capacità di affidarsi a qualcuno.
-Ehm, ecco, io sono Glykeria- disse, stropicciandosi le mani. Generalmente non era una persona che parlava spesso, anzi di solito le parole le uscivano fuori con le pinze. Le aveva posto la domanda solamente per istinto, una sensazione strana e particolare l'aveva portata a iniziare la conversazione; solo che lei non aveva la minima idea di come tenere una conversazione viva, soprattutto perchè la sua interlocutrice non dava propriamente l'immagine di voler partecipare o anche solo prenderne parte. Infatti, caddero in un inevitabile silenzio che perdurò fino a che ebbero finito di mangiare quello che secondo i marinai era il secondo pasto da quando erano salpati. Stranamente fu la ragazza dai capelli rossi ad interromperlo per prima.
-Che cosa hai fatto di così tanto pessimo e brutale per essere finita qui?- chiese, la voce totalmente priva di emozioni o inflessione, dall'angolo nel quale si era rannicchiata.

-Mi sto facendo la stessa domanda da quando mi sono svegliata- fu la risposta- Io e le mie compagne eravamo a caccia quando un gruppo di uomini ci ha attaccate uccidendo Isidora e Danai davanti ai miei occhi e rapendo me. Non ho idea del perchè-.
-Non usare un tono così educato, probabilmente sei ben più grande di me- iniziò, per poi aggiungere allo sguardo confuso dell'altra- sei una Cacciatrice di Artemide, un'ancella della Dea della Caccia, giusto?- alzò le spalle, cambiando posizione per la prima volta da quando si era seduta.
-Sì. Ma non ho più le mie vesti, ne tanto meno il mio arco o la faretra-
-Intorno a te hai un'aura d'argento e, sebbene non sia questo il mio potere, posso percepire che non sei soggetta allo scorrere del tempo. Sia gli occhi di Crono che quelli di Thanatos sono lontani da te. Solo le Cacciatrici hanno questo dono- Glykeria si aspettava una spiegazione più corta e impersonale.
-Sei in grado di capire quando qualcuno è sta morendo o è in pericolo di vita?-
-No- questo confuse la ragazzina- ma ho delle sensazioni che mi dicono la lunghezza della vita di una persona- detto questo appoggiò la testa sulle ginocchia e chiuse gli occhi. Era un chiarissimo segnale che la conversazione era conclusa, ma Glykeria aveva bisogno di certezze per evitare di perdere la testa.
-Aspetta!- quasi urlò, Ilektra alzò pigramente lo sguardo verso di lei- puoi anche capire se la lunghezza della vita di una persona cambia improvvisamente. Che ne so, per via di qualcosa che non era previsto, come una tempesta in mare o un incidente non calcolato?-
-Non ne ho idea, penso di sì, se sono vicina alla persona-
-Allora promettimelo, promettimi che se la linea della mia vita dovesse modificarsi mi avvertirai- in circostanza normali, Ilektra l'avrebbe guardata come si guarda una pazza, ma la voce di Glykeria era così disperata che si limitò a fissarla.
-Non ho poteri particolari o altro, però sono brava a combattere, sono più veloce e ho dei buoni riflessi. In cambio io cercherò di proteggerti come meglio posso- era scesa dal giaciglio, lasciandosi cadere in ginocchio davanti a Ilektra così che avessero gli occhi allo stesso livello. Piano, molto piano Ilektra annuì e il sollievo che vide sul viso dell'altra la stupì in modo genuino, come se avesse dimenticato la sensazione di provare e ricevere sentimenti naturali e sinceri.
-Va bene- disse ad alta voce, nonostante non ce ne fosse bisogno. E poi in coro esclamarono:

 

-Lo Giuro sullo Stige-

 

*Psiche signigica farfalla in greco

THIS IS ME

(parte a random la canzone di Camp Rock)

(Accidenti! Ma come diavolo si spegne!!??)

Salve gente

Questa volta sono stata un po' più puntuale, anche se vi ho fatto lo stesso aspettare. Chiedo umilmente perdono.

Purtroppo devo darvi una brutta notizia. Tra una settimana torno in Italia per la fine del progetto Erasmus + e dovrò studiare peggio che prima di una sessione di esami all'università, quindi non so quando riuscirò a pubblicare l'ultimo capitolo di presentazione degli OC. Cercherò di farcela prima della fine di aprile, ma non prometto niente. Ovviamente progetto di aggiornare con più frequenza d'estate.

Perdono, spero che il capitolo sia di vostro gradimento e come sempre lancio un appello a chi ha creato i due OC nel capitolo per dirmi se il vostro personaggio è ben sviluppato.

Un bacione

Diamante-sama

 

P.S. La ripetizione della parole “conversazione” è voluta

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Capitolo 9
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

 

Mar Egeo- 17 ore prima dell'arrivo

 

Cassiopea non era una persona debole. Non si era mai considerata tale. Era forte, indipendente e orgogliosa. E veniva stimata per questo. Era una dei guerrieri più in gamba della città di Sparta. L'unica donna che avesse mai superato le etichette poste sul suo genere, l'unica donna che aveva mostrato così tanto talento per le armi da rendere impossibile non iniziarla alle arti belliche. Era una figlia di Ares, il dio della guerra, in un luogo dove la guerra era la più nobile delle arti, la più importante. Era tra coloro che venivano onorati come i più promettenti giovani, coloro che un giorno avrebbero avuto un ruolo di spicco nell'esercito spartano. Cassiopea era fiera di se stessa. Le cose che possedeva le aveva conquistate con il coraggio e con la forza, non grazie al nome di suo padre. Ma ormai era tutto perduto, questo la figlia di Ares lo sapeva benissimo. Conosceva la pazzia. Sapeva cosa volesse dire la follia pura, ciò che possedeva una persona rendendola incapace di pensare razionalmente. E sapeva che il re di Creta era proprio quel tipo di persona, non si sarebbe arreso, avrebbe continuato a perseguire il suo scopo, non importava quanto alto fosse diventato il prezzo; le vite umane non avevano valore per persone come lui, niente gli avrebbe impedito di uccidere se questo faceva parte dei suoi piani. Cassiopea era solo una pedina, se lo sentiva. Non era saggia o acculturata come il ragazzo che aveva come compagno in quel viaggio di sola andata, ma non c'era bisogno di saggezza per riconoscere quando una situazione era senza speranza.
 

Cassiopea odiava la condizione in cui era stata posta. Obbediva solo a chi considerava degno. Abbatteva gli ostacoli che le si paravano davanti, considerando troppo faticoso e inutile aggirarli. Amava il comando, era fiera, fredda e carismatica. Non era pronta ad essere considerata una di quelle donnicciole che avevano paura di sporcarsi le mani per difendere se stesse.

Se avesse potuto avrebbe ucciso Akakios nel momento in cui il re si fosse trovato a portata della sua spada. O anche solo a portata di mano, dato il livello della sua rabbia.
 

-Non puoi ucciderlo. Sarebbe bello, ma non puoi- disse una voce, da qualche parte alla sua sinistra. La ragazza si voltò cercando di non far sembrare i movimenti troppo veloci e rigidi. Un guerriero non deve mostrare la paura, un guerriero trasforma la paura in forza. La voce apparteneva all'altro semidio. Epeo era figlio di Atena, lo conosceva da anni e ancora non era riuscita a decifrarlo. Una persona si legge dalle sue reazioni, dalla sua rabbia e dai suoi sentimenti. Epeo era quel genere di uomo che non si arrabbiava mai, era sempre calmo e posato. La figlia di Ares non lo aveva mai visto adirato, confuso o anche solo apertamente felice. Indossava quell'espressione algida e seria che dice tutto e niente. Doveva ancora decidere se la considerava una cosa positiva o meno. Di certo, detestava l'idea di non sapere quello che stava pensando, la faceva sentire debole e a Cassiopea non piaceva sentirsi debole. Non rispose al ragazzo, si limitò a guardarlo prima di girarsi, cercando in tutti i modi di ignorare la sua presenza, presenza che sentiva fin troppo per i suoi gusti.

 

Sparta- 6 giorni e 2 ore prima dell'arrivo

 

Epeo non amava la guerra, non era una persona bellicosa. Lui era calma e logica; e la guerra era tutto tranne che calma e logica. Certo alle spalle di complicate strategie potevano anche esserci, ma non nell'azione stessa. Infatti era proprio lo stratega il ruolo che Epeo apprezzava di più. Stare dietro una cartina lo faceva sentire più al scuro che stare dietro una spada e uno scudo. L'intelligenza e l'ingegno erano le sue armi, non una lama affilata. Dopotutto Atena era la dea della strategia militare. Epeo preferiva lasciare ai violenti figli Ares gli scontri. Non che non fosse bravo con la spada. Se necessario si gettava nella mischia ben volentieri e la cicatrice che gli deturpava il volto era una prova più che sufficiente. Ma proprio perchè per lui tutto si poteva risolvere con razionalità e una buona riflessione, non era in grado di comprendere le decisioni dettate delle forti emozioni e la pazzia stava in cima alla lista delle cose che non sarebbe mai riuscito a spiegare. Perciò quando si ritrovò davanti le parole del re di Creta non seppe come reagire.
-Mi stai dicendo che ha detto solo questo? Non ha aggiunto altro? Voglio due semidei vergini e in età di matrimonio? Io dove li trovo due giovani del genere, spiegamelo?! Non posso mica privare l'esercito di due apprendisti, lo sai che anche un solo uomo fa la differenza in battaglia- il tono di voce del generale maggiore era talmente alterato da sembrare sarcastico. E lui non era mai sarcastico.
-Mio signore, con tutto il rispetto non credo che cedere alla rabbia sia la cosa giusta da fare in questo momento- non fu Epeo a pronunciare quelle parole, ma rispecchiavano comunque il suo pensiero. Il generale sospirò, appoggiando pesantemente i palmi delle mani sul tavolo. Chinò la schiena in avanti piegandosi sulla cartina che raffigurava il Peloponneso.
-Immagino che dovremo obbedire. Una guerra è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento. L'ultima battaglia ci ha privato di molti uomini. Non siamo in grado di affrontare un esercito in campo aperto. Specialmente se quell'esercito ci chiude ogni via di aiuto, o di fuga- per poco Epeo non si strozzò con la sua stessa saliva. Guardò il generale con gli occhi talmente sgranati che quasi quasi gli uscirono dalle orbite.
-Mio signore?!- fu l'urlo collettivo. Raramente un ufficiale d'alto rango spartano pronunciava quelle parole e se lo faceva allora la situazione era molto più che critica.
-Quindi che ha intenzione di fare, signore?- chiese qualcuno. Il generale alzò lo sguardo, poi stendendo un braccio verso l'esterno ordinò:
-Portate tutti i semidei della città in età da matrimonio ma non ancora sposati. Li voglio qui davanti entro due ore!-
-Signorsì, signore!- dopodichè tutti presenti nella stanza si mossero all'unisono, tutti tranne Epeo. Non che fosse una persona che ignorava gli ordini, anzi delle due obbediva in maniera quasi inquietante (nonostante molto spesso li contestasse successivamente). Non era nemmeno per via di chi quegli ordini li aveva emanati, dato che del comandate generale dell'esercito si fidava abbastanza da affidargli la sua vita. No, il problema era il contenuto dei suddetti ordini. Qualcosa stonava nelle parole, era come se fossero distorte. Avevano assoluto senso messe una dietro l'altra eppure non lo avevano. Epeo odiava non sapere le cose, odiava dover trattare con le cose illogiche, odiava non avere la soluzione di un problema. E questo caso era quel genere di situazione che Epeo odiava di più: avere la risposta sotto al naso, sulla punta della lingua, lì che fa capolino da dietro l'angolo, ma non essere in grado di afferrarla. “Dannazione!” pensò stringendo i pugni. “Dannazione, che razza di figlio sei se non sai neanche utilizzare ciò che tua madre ti ha donato”. Il generale si voltò verso di lui e per poco non gli venne un infarto. Da bravo guerriero veterano di guerra mascherò bene il suo stupore, che però non sfuggì allo sguardo indagatore di Epeo.

-Epeo! Cosa ci fai ancora qui?- chiese guardandolo negli occhi. Avevano circa la stessa statura, anche se il figlio di Atena era leggermente più basso.
-Eseguo gli ordini, mio signore- fu la risposta estremamente educata del giovane. L'uomo di fronte a lui assunse un'espressione accigliata come se non riuscisse a spiegarsi il perchè di tale risposta. Sospirando Epeo si abbassò la tunica quanto bastava per mostrare l'inizio del gufo che gli marchiava il petto. Il generale fissò quelle linee nere finchè il diciannovenne non rialzò la stoffa.
-Capisco- fu l'unica cosa che disse.

 

Mar Egeo- 16 ore e 10 minuti prima dell'arrivo

 

Epeo aprì gli occhi di scatto, non ricordandosi in che momento si fosse addormentato. Guardò disorientato le travi di legno umido sotto di sé per un attimo prima che i ricordi gli invadessero la mente. Gemette portandosi una mano al viso per stropicciarselo. Un lievissimo suono attutito attirò la sua attenzione verso la snella figura che camminava avanti e indietro per la stanza (sempre che potesse essere chiamata tale). Adesso riusciva a capire come mai si fosse assopito.
-Cassiopea, ti sarei veramente grato se la smettessi di muoverti. Mi fai venire il mal di mare. E io non ho mai sofferto il mal di mare- disse il ragazzo alla figlia di Ares. Quest'ultima si voltò nella sua direzione, lanciandogli un'occhiata sghemba. Epeo era appoggiato alla parete poco lontano dall'angolo che delimitava i confini della loro “prigione”. Aveva una gamba tesa in avanti e teneva un braccio appoggiato al ginocchio alzato dell'altra. La testa era a sua volta posata sopra il braccio.
-Non sono affari miei- rispose lei tornando a camminare come se nulla fosse successo. “Va bene, allora usiamo un altro approccio”.
-Manca ancora più di mezza giornata prima di arrivare a destinazione. Davvero vuoi arrivare sfinita e senza forze di fronte all'uomo che vorresti avere morto ai tuoi piedi immerso in una pozza del suo stesso sangue?- quella volta funzionò e Cassiopea si bloccò a metà di un passo prima di sedersi sull'unica sedia presente nella stanza.
-Contento adesso?- chiese sarcastica la giovane- La mia voglia di stare dentro la stiva puzzolente di questa nave è pari al numero di volte in cui mio padre ha perso in battaglia. Non ci sono arrivata perchè l'ho chiesto o perchè l'ho voluto; non ho avuto nessuna possibilità di scelta- aggiunse seccata. Epeo non si stupì di una reazione del genere, abituato ai modi della ragazza.
-Il fatto che io abbia scelto di essere qui non comporta necessariamente la mia felicità nel trovarmici- si limitò a dire, leggendo abilmente tra le parole di Cassiopea. Era vero però, Epeo aveva scelto di salire su quella nave. Ma l'aveva fatto solo e unicamente perchè colui che sarebbe dovuto partire al suo posto aveva appena compiuto quattordici anni. Il terrore nei suoi occhi era stato la goccia che lo aveva portato al quella decisione.

-Perchè l'hai fatto? Intendo perchè hai preso il posto di qualcun'altro?- ruppe il silenzio Cassiopea.
-Perchè nonostante le probabilità di sopravvivere siano molto basse, io ho più speranze di tornare-

-Quindi hai abbandonato tutto quello che avevi, senza la garanzia di un ritorno, solo in base a delle statistiche?-

-Le statistiche sono affidabili, al contrario delle persone. Loro non mentono e non ho paura della morte. Il mio unico desiderio è di non morire inutilmente. Il fatto che io sia qui al posto di un'altra persona mi soddisfa-

-Se qualcuno si fosse offerto al posto mio non mi sarei di certo rifiutata- commentò Cassiopea.

-Hai una voglia estrema di vivere vedo- notò il figlio di Atena.

-Sembri stupito. Non capisco perchè. Nessuno vuole morire, per me è strano che tu non sia attaccato alla tua vita. Ogni minuto che passa ci avviciniamo sempre di più alla nostra morte eppure sei tranquillissimo, indifferente quasi, come se non toccasse te in prima persona-

-Le emozioni sono inaffidabili, non sai mai che cosa potresti fare se ti lasci sopraffare. Non ho la minima intenzione di compiere qualcosa di stupido e illogico in nome di qualcosa di effimero. Non se qualcuno poi pagherà le conseguenze del mio gesto avventato e incredibilmente sciocco-

-Come fai ad essere sicuro che nel momnto in cui avrai Tanatos davanti non ti tirerai indietro o non ti lascerai sopraffare da quegli stessi sentimenti che disprezzi tanto?- domandò Cassiopea. Epeo dovette ammettere che la figlia di Ares aveva un punto a suo favore. Non lo sapeva.

-Allora promettilo- iniziò il figlio di Atena- promettimi che se mai dovessi notare che le emozioni mi stanno portando via la ragione mi ripoterai sulla dritta strada. Non ho intenzione di morire quando non sono pienamente io. Se Tanatos vuole così tanto la mia anima e il mio corpo, voglio almento che la mia mente ne sia pienamente cosciente.- le labbra di Cassiopea si arricciarono leggermente mentre buttava fuori l'aria dal naso con un po' più di forza del normale.

-Cosa mi dai in cambio?-

-Una maggiore possibilità di sopravvivere per uccidere Akakios. E la certezza che se mai avessi l'occasione di farlo fuori, non sarò io a sferrare il colpo mortale- questa volta nel tono di Epeo era presente l'ombra di un'emozione. Fu questo che portò Cassiopea ad accettare la proposta che l'avrebbe incatenata al suo compagno di viaggio in maniere indissolubile.

 

-Lo giuro sullo Stige-

 

 

STUDIO SEGRETO

Sono viva! E mi dispiace. Quest'anno è stato uno schifo. Dopo che sono tornata dall'erasmus non ho avuto un attimo libero. Specialmente queste ultime settimane. Ora tenterò di aggiornare una volta alla settimana, anche se non stabilisco il giorno perchè sono molto poco costante nello scrivere. Può darsi che scriva due pagine in una mattinata e poi due righe il giorno dopo. Comunque
:

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Come sempre mi appello agli autori/autrici degli OC, fatemi sapere se ho interpretato bene i vostri personaggi.

Il prossimo capitolo sarà quello in cui si incontrano tutti, con una prima parte incentrata su Hermia ed Enea.

 

Baci

Diamante-sama

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Capitolo 10
*** Capitolo VII ***


CAPITOLO VII

 

Mar Egeo – 2 ore prima dell'arrivo

 

Si potevano già vedere all'orizzonte. Le coste dell'isola di Creta. Non che Hermia ed Enea ne fossero felici. Nonostante avessero scelto di loro spontanea volontà di recarsi lì nessuno dovrebbe essere felice di non avere la certezza di tornare da coloro che si amano.

-L'aria si fa più affilata- disse Enea, accarezzandosi le braccia nude e abbronzate.

-Il mare è in tumulto, le correnti marine hanno iniziato a non avere più un senso- Hermia parlò come in risposta alla frase del fratello. A differenza del ragazzo che guardava dritto di fronte a sé la terra a cui si stavano avvicinando, Hermia le dava le spalle appoggiata al parapetto.

-È come se anche la natura percepisse che c'è qualcosa che non quadra. Non ne so molto del comportamento degli animali, ma ho viaggiato abbastanza per sapere che i gabbiani iniziano a farsi sentire quando una nave sta per entrare in un porto. Arrivano anche a rubare il cibo dei marinai. Eppure non ne abbiamo visto uno. Non percepisco nemmeno presenza in alta quote, l'aria è libera e non c'è una singola nuvola- il tono di Enea rispecchiava la sua preoccupazione.

-Se ti può aiutare, anche i pesci sono molto irrequieti. Si muovono in banchi molto grandi, anche pesci che di natura sono solitari. Più ci avviciniamo a Creta più la vita marina si assottiglia. Gli animali avvertono molte cose prima degli esseri umani. Disastri possono essere scampati se ci si affida al loro istinto- Hermia confermò solo i dubbi del figlio di Zeus.

 

-Non possiamo affidarci al loro istinto vero?- fece Enea. Hermia scosse la testa.

-Ci stanno dicendo a gran voce di tornare indietro. Se lo facessimo provocheremmo un effetto catastrofico. Ed è sicuramente la stessa cosa che devono aver pensato i semidei sulle altre navi- alle parole della figlia di Poseidone, Enea si voltò. Hermia aveva ragione, si potevano notare diverse navi più o meno vicine all'orizzonte.

-La fiamma si avvicina alla candela- mormorò il ragazzo.

-Direi a qualcosa di molto più grande di una candela-

 

Porto di Cnosso – 10 minuti prima dell'arrivo, 1 giorno e 3 ore prima dello sbarco

 

Purtroppo per Hermia la sua conoscenza del dolore era piuttosto elevata. Purtroppo per Enea la sua conoscenza della morte era decisamente elevata. Ma niente di tutto quello che avevano sperimentato nel loro diciotto anni di vita li avrebbe aiutati nell'affrontare ciò che stavano per fare.

-Quindi...- iniziò Hermia, allungando la lettera 'u'. Per quanto fosse sicura di quello che aveva detto ai suoi genitori poco meno di una settimana prima, non era propriamente felice di sbarcare in quella terra dal re ostile, molto ostile.
-Guarda- Enea le prese delicatamente il polso per attirare le sua attenzione. Il figlio di Zeus stava fissando una nave con le vele ammainate, distante da loro qualche decina di metri. Hermia non l'aveva notata perchè era già presente nel porto al loro arrivo e non aveva mostrato segni di vita, come se a bordo non ci fosse nessuno. Ora, tuttavia, due ragazzi stavano in piedi uno di fianco all'altro, esattamente nella stessa situazione in cui erano anche loro. Hermia si concentrò su quelli che era sicura fossero semidei provenienti da qualche città contattata da Akakios.

-Sono come noi- disse Enea. La sorella scosse la testa.

-No. Loro non hanno scelto di venire qui. Ma condividono il nostro stesso destino-

 

-Perchè non scendono dalla nave?- domandò Enea a nessuno in particolare.

-Perchè avete l'ordine di non toccare il suolo cretese finchè non siete tutti, Vostra Altezza- fu la risposta del capitano dalla loro imbarcazione.

 

-Vuole tenerci in gabbia- aggiunse il ragazzo quando andò a riferire il messaggio ad Hermia, sottocoperta.

-No, o meglio sì; vuole anche tenerci in gabbia. Vuole farci capire chi comanda. Specialmente a coloro che come noi sono abituati a stare dalla parte che da ordini e non che li riceve. Ma non è solo questo. È spaventato. A morte direi- Enea la guardò confuso. La figlia di Poseidone era seduta su uno sgabello e aveva il corpo piegato in avanti con il busto quasi completamente appoggiato al tavolo davanti a lei. Non una posa da principessa, direi, ma Hermia tendeva a perdere la sua compostezza quando era da sola o intorno al fratello.

-Come fa un pazzo ad avere paura? Non sembra in grado di provarne dopo quel messaggio- le fece notare Enea. Aveva sempre saputo che Hermia era una donna fuori dagli schemi, non era fatta per stare in casa a filare al telaio e prendersi cura dei figli. Lei era fatta per il comando, era dotata di quel pensiero critico e mirato che le impediva di sottomettersi a qualcuno. Enea lo aveva sempre saputo, ma se da un lato la ammirava per questa sue caratteristiche, dall'altro era preoccupato che le stesse la portassero alla rovina. Non era mai considerato stupido, certo, non si era mai neanche considerato un genio, eppure c'erano alcuni collegamenti, alcuni ragionamenti che Hermia faceva che lui non riusciva a comprendere minimamente. Come in quel caso.

 

-Essere pazzi non vuol dire non provare sentimenti come la paura. Anzi la paura è praticamente l'unico sentimento che una persona continuare a provare, non importa quanto in basso essa possa essere caduta. Akakios non è da meno. È un re che basa la sua autorità sulla la forza, un tiranno. E i tiranni hanno paura, una paura folle che qualcuno possa portar via loro ciò che hanno costruito sugli sforzi degli altri. Sa benissimo che se arrivasse un persona dal buon cuore con abbastanza forza di volontà e coraggio da sfidarlo, per lui non ci sarebbe scampo. Il popolo odia essere governato da un tiranno, vivere costantemente con la paura di ricevere una qualsiasi punizione per qualcosa di stupido. Se avessero la possibilità di essere liberi dall'orrore in cui sono costretti a vivere, pensi che si schiererebbero dalla sua parte? No, gli andrebbero contro, insorgerebbero. Anche coloro che magari gli avevano giurato fedeltà. Akakios ne è ben consapevole. Ci vede come una minaccia per il suo piano, per il suo regno e per la sicurezza del suo trono. Non penso che i due semidei che abbiamo visto appartengano a potenti famiglie eppure non li ha fatti scendere, perchè? Perchè possiedono qualcosa che manca al re di questa terra. Sono semidei, hanno dei poteri, della capacità inumane che non possono essere fermate se non da altri come noi. Se siamo tutti insieme e non ci siamo mi visti prima ha più possibilità di controllarci. Non ci darà il tempo di memorizzare il territorio, le abitudini del popolo e del palazzo. Ci vuole alla sua completa mercé, inermi, senza altra scelta oltre a quella di obbedire. Ho risposto alla tua domanda?-

-Direi di sì. E pensi davvero che ci riuscirà? A controllarci, intendo- per quanto ne sapeva Enea, sia lui che Hermia non si sarebbero sottomessi così facilmente ed ebbe l'impressione che nessuno dei semidei costretti in quel viaggio lo avrebbe fatto.

-Controllarci- ripetè Hermia in una mezza risata- assolutamente no. Come si può pensare di controllare chi è in parte dio-

 

Palazzo del re, Cnosso – 3 ore prima dell'incontro

 

Se c'era qualcosa che Ariadne non riusciva a sopportare era dover sottostare a qualcuno. E la scomodità. E la puzza. E tutta un'altra serie di cose. Ma per ora mi limiterò a queste. E se c'era qualcosa che la sacerdotessa di Era sopportava ancora meno erano queste tre cose mischiate insieme. Nessuno si poteva permettere di trattare così una del suo rango! Muta nel suo silenzio Ariadne guardava, guardava e scavava nell'anima dei semidei seduti accanto a lei.

 

Thaddaios tremava, tremava come una foglia in balia di una tempesta estiva. Cercava di non farlo notare troppo, ma aveva paura. Eppure nonostante la paura cercava di capire come fare per non morire per primo. Così analizzava, analizzava i comportamenti dei semidei disposti accanto a lui.

 

Kosmas era seduto in modo elegante, le gambe piegate sotto il corpo e le mani in grembo. Il peplo verde che indossava gli lasciava scoperte le braccia, coprendogli però le gambe fino alle caviglie. Kosmas cercava di rimanere calmo, era l'ultima cosa che sua madre, o almeno la donna che considerava tale, gli aveva detto prima di salutarlo: “Resta calma, piccola Demi, perchè solo con la calma si possono risolvere tutte le situazioni, anche le più critiche”. Glielo aveva sussurrato in un orecchio, usando il suo nome femminile per precauzione. Il figlio di Demetra aveva tutta l'intenzione di seguire quelle parole alla lettera. Per cui si concentrò sulla spilla di pietre e metalli preziosi che fissava il chitone sulla spalla della giovane di fronte a lui. La ragazza emanava calma e tranquillità come se fosse seduta con le proprie amiche a parlare degli ultimi pettegolezzi. Kosmas si concentrò su quella sensazione, cercando di farla fluire nei semidei agitati intono a lui.

 

Il cuore di Melissa batteva così forte che era sicura fosse udibile anche al ragazzo accanto a lei. Eppure il motivo per cui aveva accelerato aveva a che fare solo in parte con la situazione nella quale si trovava in quel momento. La sua preoccupazione principale era la sua maestra, come aveva reagito alla partenza della giovanissima allieva? Era questo che dilaniava il suo piccolo cuore e per evitare di venire sopraffatta da quei bui pensieri decise di mettersi ad osservare i semidei raccolti intorno a lei.

 

Il più grande timore di Ilektra era che si accorgessero della sua vera identità e la rimandassero indietro, perchè nonostante ciò che le si parava davanti non era propriamente la più bella delle alternative, era sempre migliore che ritornare in prigione. Era sicura che l'avrebbero fatto, anche se le avevano concesso il perdono. Lei odiava la gabbia e aveva la brutta sensazione che ci sarebbe tornata di nuovo. Entrando nella stanza vi erano stati alcuni semidei che avevano attirato la sua attenzione, così per distrarsi iniziò a cercare di capire che tipo di persona potessero essere e soprattutto che cosa avessero fatto per essere lì in quel momento.

 

Hilarion non era mai stato un tipo dalle tante parole, preferiva il silenzio. Si era sempre sentito a suo agio semplicemente stando zitto e continuando a fare quello che stava facendo, anche se in presenza di altre persone. Quella era la prima volta in vita sua che desiderava rompere quel silenzio che tanto amava. Perchè la tensione in quella stanza poteva essere tagliata con un pugnale nemmeno troppo affilato. Stava fissando la moneta che il ragazzo alla sua destra stava facendo passare sul dorso delle dita quando si era reso conto che poteva sfruttare quel tempo per inquadrare i semidei con cui avrebbe condiviso gli ultimi momenti della sua vita.

 

Agape era seduta a gambe incrociate fregandosene altamente del decoro e dell'educazione. Aveva perso la voglia di seguirli parecchio tempo prima. Giocherellava con il bracciale che suo padre le aveva donato. Più volte durante il viaggio aveva avuto la tentazione di gettarlo in mare, insieme alla collana di perle, si era trattenuta pensando che magari avrebbero potuto essergli utili in futuro. Due giorni di viaggio erano troppo pochi per stabilire un piano di fuga efficiente, in particolar modo se non si conosceva il luogo dal quale si voleva scappare, ma Agape non si era lasciata scoraggiare e ne aveva perfezionati alcuni nei giorni in cui erano rimasti al porto. Solamente adesso però si rendeva conto di quanto impossibili fossero da realizzare senza l'aiuto effettivo di qualcuno. Aveva bisogno di persone con una mente forte, disposte a tutto pur di andarsene. Con questi requisiti in mente e nient’altro che il suo buon senso Agape si mise a cercare candidati nel gruppo di semidei nella stanza.

 

Callimaco odiava essere agitato. Non faceva bene alla pelle. Solo che non poteva non esserlo i quel tipo di circostanza. Cercava di far smorzare la sua agitazione passandosi una moneta sul dorso delle dita, lo aveva sempre rilassato da quando uno dei suoi amanti glielo aveva insegnato. Eppure sapeva che non sarebbe bastato stavolta. Questo poiché il suo unico desiderio era salire su una nave e andarsene da lì. Non doveva per forza tornare a casa, dopotutto a casa avrebbe dovuto prendere le redini della famiglia e lui non lo voleva assolutamente. Si sarebbe accontentato anche di una piccola isola dove vivere in pace, possibilmente nel lusso; non gli sembrava di chiedere troppo! Quello non era l'unico motivo per cui aveva bisogno di calmarsi, ma anche perchè il suo potere tendeva ad andare leggermente fuori controllo quando non era padrone di se stesso e l'ultima cosa che Callimaco voleva era trovarsi con quattordici persone eccitate sessualmente chiuse in una stanza. Lui era compreso nel pacchetto. Il figlio di Afrodite alzò lo sguardo e... magari la parte sulle persone eccitate non era così male se aveva la possibilità di farsi il tipo di fronte a lui.

 

Cassiopea stava fremendo. Il sangue le scorreva veloce nelle vene, le rimbombava nelle orecchie rendendola sorda a qualsiasi altra cosa. Nella sua testa era in corso il primo programma televisivo della storia: “Mille modi +1 per uccidere”, dove i protagonisti assoluti erano lei e Akakios, nel ruolo del boia e del condannato. Cassiopea era sicurissima di aver inventato persino delle nuove armi (non era molto certa che esistessero tutte, a meno che soffocare qualcuno con del cibo per cavalli fosse una tecnica classificata). Aveva persino usato il suo stesso corpo come metodo per uccidere, non chiedetemi come perchè non lo volete veramente sapere. Con le ginocchia strette al petto Cassiopea guardava con sguardo torvo tutti i suoi prossimo compagni di tomba, sempre che ne avrebbero avuta una.

 

Per la prima volta nella sua breve vita Orion non aveva nessun desiderio di muoversi. Se ne stava lì seduto, ripensando a ciò che aveva perso. Stava iniziando ad avere caldo, con quella manica in più che gli copriva la pelle. Lo sguardo era l'unica cosa del suo corpo che si muoveva. Ma niente in quelle iridi dava l'impressione che il ragazzino vedesse effettivamente le persone su cui i suoi occhi si posavano. Orion era come in trance, da quando era stato separato da sua madre e dalla sua balia si rifiutava di accettare la situazione, perchè accettarla avrebbe significato non vedere mai più il volto di coloro che amava.

 

Glykeria non era ancora ripresa del tutto dal colpo che le era stato inferto giorni prima. La vista le si era schiarita, ma non la sua mente non era ancora in grado di registrare appieno gli avvenimenti. Teneva la testa bassa, in una posizione rilassata in modo tale che non le facesse male. Dalla sua angolazione poteva vedere il bordo del bellissimo chitone rosa pallido della giovane accanto a lei, i piedi con i sandali del ragazzo e le bande dorate alle caviglie della ragazza di fronte. Non aveva alcuna intenzione di alzare di più la sua visuale.

 

Epeo non impiegava molto ad afferrare il senso delle cose. Era sempre stato bravo a leggere tra le parole. Eppure non era riuscito a decifrare quelle di Akakios e questo lo stava facendo uscire di testa. Aveva bisogno di sapere. Ma se nella sua testa era in corso una battaglia senza precedenti, il suo viso era uno dei più calmi e asettici della stanza. Epeo abbandonò per poco il suo dilemma per concentrarsi sui volti dei semidei cercando di capire le emozioni che li stavano attraversando.

 

Enea si sentiva osservato. Era uno sguardo carico, caldo. Uno di quelli che ti perfora trapassandoti da parte a parte. Era diverso da quello degli altri semidei. Aveva sentito su di sé molti sguardi nel corso della sua vita, anche nel corso stesso di quelle poche ore mentre erano chiusi in quella stanza, ma non si era mai sentito analizzato fino al profondo dell'anima. Enea alzò gli occhi e incastonò lo sguardo dentro un paio di iridi nere. Rimasero lì a fissarsi, aspettando che uno dei due interrompesse il contatto. Ne Enea ne Callimaco lo fecero perchè entrambi avevano sentito un brivido scorrere lungo la schiena e una vocina nella loro testa che diceva loro di continuare a guardarsi.

 

Hermia era l'unica persona nella stanza ad avere una visuale completamente diversa. La figlia di Poseidone stava ammirando il panorama fuori dalla finestra, una piccola finestra con un monotono panorama. In un altro luogo si sarebbe presto stancata di guardare un pezzo di cielo, ma in quel momento aveva l'assoluto bisogno di concentrarsi su qualcosa che non fosse umano. Sentiva il peso del silenzio iniziare a farsi strada in lei e l'avrebbe volentieri interrotto se qualcuno non l'avesse preceduta.

 

-Qualcuno di voi lo conosce già?- chiese Epeo. Il giovane era giunto alla conclusione che non poteva avere le risposte che cercava senza prima conoscere la persona che li aveva voluti lì. Nonostante non avesse fatto nomi, capirono tutti a chi si stava riferendo.

-Conoscere è una parola grossa- rispose Cassiopea. Lo aveva incontrato una volta, quando aveva cinque anni, non si ricordava molto.

-Se intendete visto, no. Ne ho sentito parlare prima di ora? Nemmeno. Sono una Cacciatrice di Artemide, non mi interesso del mondo umano- questa volta fu Glykeria a parlare.

-Non l'ho mai visto, non ci hanno fatto scendere dalle navi prima che fossimo tutti ed è la prima volta che viaggio all'esterno della mia isola- disse Agape.

-Perchè poi non ci hanno fatto uscire- aggiunse Ilektra.

-Perchè così non avremmo avuto modo di conoscere il territorio, la disposizione delle stanze a palazzo, il turno di guardia. Ci ha tagliato ogni via di fuga- Hermia pronunciò la frase a voce alta, a differenza di coloro che avevano parlato in precedenza.

-E voi come fate a saperlo?- fece Ariadne parlando per la prima volta da quando aveva messo piede fuori dalla sala del trono di Tebe.

-Perchè è quello che farei io se fossi un pazzo con la mania del controllo. Ma non era questa la domanda che volevate fare, vero? Volevate sapere se è davvero così impossibile scappare. Per ora la mia risposta è sì, più tardi potrebbe cambiare. Non andremo da nessuna parte però se iniziamo a dubitare l'uno dell'altro- a quelle parole tutti i semidei, compreso suo fratello la guardarono- intendo dire che dovremo imparare a fidarci. Magari iniziando col dire i nostri nomi-

-Inizia tu- Ariadne non aveva intenzione di farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Hermia vide la determinazione a non cedere nelle iridi celesti della sacerdotessa di Era.

-Io sono Hermia Makide, prima principessa di Atene- proclamò la giovane- sono figlia di Poseidone-

Prima che qualcuno potesse aggiungere qualcosa Enea parlò:

-Io sono suo fratello, Enea, principe ereditario della corona di Atene, figlio di Zeus-

Cassiopea li guardò, trovando la verità delle loro parole nel loro modo di porsi e nella ricchezza dei loro vestiti.

-Mi chiamo Cassiopea, all'età di cinque anni sono stata adottata dal re di Sparta, sono figlia di Ares-

Incoraggiati dalle parole dei tre semidei anche gli altri iniziarono a presentarsi.

-Sono Melissa, a Salonicco ero apprendista per diventare Sacerdotessa di Estia-

-Il mio nome è Glykeria, come ho già detto sono una Cacciatrice di Artemide-

-Agape, figlia di Apollo, vengo da Rodi- il tono che usò Agape era molto formale nonostante le parole non lo fossero per niente.

-Sono un fabbro figlio di Efesto, Hilarion è il mio nome-

-Io sono Orion, figlio di Dioniso- la voce del quattordicenne era tornata ad essere allegra.

-Mi chiamo Ilektra, sono figlia di Ade- la giovane aveva deciso di dire il suo nome femminile, perchè malgrado fosse vestita da maschio aveva addosso il diadema di perle che le aveva donato suo padre. Kosmas prese un respiro enorme prima di parlare.

-Lo so che potrebbe sembrare strano, ma mi chiamo Kosmas e sono figlio di Demetra. A Micene mi conoscono con il nome di Demi, la mia famiglia è nobile e un altro figlio maschio avrebbe creato scompiglio. Vi prego usatelo anche voi. Non ho idea di che cosa poterebbe succedere se il re venisse a scoprire chi sono- Kosmas chinò la testa e unì i palmi delle mani davanti al viso.

-Non preoccuparti, capisco cosa intendi. Forse è meglio se mi chiamate con un nome maschile, dopotutto mi hanno mandato qui con l'identità maschile- ragionò Ilektra.

-Pensi che Ilek si abbastanza maschile?- chiese con voce sottile Melissa. Ilektra sorrise e annuì.

-Mi chiamo Callimaco, primogenito di una delle famiglie nobili di Micene e sono figlio di Afrodite- Callimaco presentò se stesso puntando gli occhi verso Enea.

-Io sono Thaddaios, figlio di Ermes- Thaddaios cercò di non far tremare le ultime lettere.

-Mia madre è Atena e io sono Epeo, stratega di Sparta-

L'unica a mancare all'appello era Ariadne.

-Io sono Ariadne, figlia di Petio e del re di Tebe, sono una Sacerdotessa di Era- disse a denti stretti.

Hermia battè le mani.

-Bene, ora che conosciamo i nostri nomi che ne dite di far sapere il nostro malcontento al re?

 

 

 

Angolo della Me

Stavolta sono meno in ritardo del solito. Colpa mia, ho calcolato male i tempi. In pratica l'ho scritto tutto stamattina. È venuto fuori diversamente rispetto a come me lo aspettavo, ma non mi dispiace. Spero che vi piaccia lo stesso. Sicuramente avete notato che ci sono abbastanza ripetizioni, sono volute. In parte perchè è il mio stile, in parte perchè mi piacevano.

Come sempre ditemi se vanno bene i vostri personaggi. E vi voglio ricordare:

ATTENZIONE! Circa quattro personaggi perderanno la vita, morti, per sempre, ma dato che non voglio penalizzare nessuno e che mi piacciono tutti deciderete voi chi deve … come dire … perire (perire, che verbo altisonante... mi ricorda Perry l'ornitorinco) in base alle recensioni. Se nel capitolo compare il vostro personaggio a maggior ragione. Questo non lo dico perchè voglio tante recensioni, ma perchè così so chi è veramente interessato alla storia e quindi mi fa più piacere che siano i personaggi di quelle persone a vivere.

Detto questo, vi saluto

Baci Baci

Diamante-sama

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Capitolo 11
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

 

 

Sala del trono palazzo di Cnosso – udienza con il re

 

Costò ogni singola goccia di autocontrollo di ogni singolo semidio in quella stanza per evitare di staccare la testa del re. Certo questo non voleva dire che si erano presentati col sorriso, assolutamente no. Anzi se fosse stato possibile uccidere con lo sguardo, Akakios sarebbe morto per ben quattordici volte. In quattordici modi diversi, tutti molto dolorosi. Hermia non aveva il potere di avvertire le emozioni degli altri, era figlia di Poseidone non di Afrodite, ma la percepiva comunque. Percepiva la rabbia pulsante che emanavano i semidei accanto a lei. E questo aumentava la sua ira personale. Insieme alla difficoltà di tenere tutto dentro. Eppure la consapevolezza di ciò che sarebbe successo se qualcuno avesse fatto qualcosa la teneva a bada. Come faceva con tutti loro. Hermia lo sapeva, sapeva che se avessero fatto un passo falso sarebbero morti senza avere la possibilità di pensare a un piano per scappare. Davanti a lei stava suo fratello, che la nascondeva parzialmente alla vista del re di Creta. Alla sua sinistra, anche lei semi-coperta dal corpo di Enea, c'era Melissa. La ragazzina appariva ancora più minuta posta al fianco del ragazzo. Spinta dall'istinto materno Hermia le afferrò la mano.

 

Melissa aveva paura. Non si stava pentendo della sua decisione, non lo avrebbe mai fatto sapendo che aveva impedito che la sua maestra rivivesse di nuovo l'incubo della sua infanzia. La sua era un paura diversa, era il terrore di non poter fare niente per impedire il suo destino. Come sacerdotessa di Hermia pregava la dea di salvarla dalle grinfie di quell'uomo. Come ragazzina sperava che le Parche non decidessero di tagliare il suo filo troppo presto. Per poco non strillò quando sentì qualcosa stringersi alla sua mano. Si voltò verso la principessa di Atene, la giovane le sorrise e le avvolse le dita in un morbido calore che ebbe il potere di far calmare i nervi di Melissa. Ricambiò il sorriso della figlia di Poseidone.

 

Ariadne si trovava immediatamente dopo Melissa, dietro Hilarion. La mole del diciannovenne le impediva di vedere esattamente di fronte a sé, senza però limitarle la visuale sui lati. La figlia di Petio osservò la scena alla sua destra e pensò che l'altruismo che Hermia aveva dimostrato in più di un'occasione in quelle poche ore in cui erano stati nella stessa stanza l'avrebbe uccisa. Lei era più potata al lavoro solitario, non avrebbe esitato a sacrificare i suoi stessi compagni se questo le avesse consentito di salvarsi. Nel mondo in cui era cresciuta, chi era altruista moriva nel modo più brutale possibile tradito da coloro che aveva appena aiutato. E lei era intenzionata a tornare a casa viva, non le piaceva perdere, non avrebbe mai permesso a suo padre di vincere la scommessa.

 

Alla destra di Enea si trovava qualcuno che la pensava in modo molto simile. Callimaco sapeva che l'impressione che lasciva trasparire era quella di un ragazzo facile che amava lo sfarzo e il lusso. Sapeva anche di essere molto più complesso di così. Possedeva una nota diabolica ed egoista che lasciava venire fuori sotto forma di malizia. Ed era talmente bravo che nessuno si accorgeva mai di essere stato manipolato contro il suo volere. Nessuno poteva dire di conoscere Callimaco, perchè il ragazzo si preoccupava sempre di non mostrarsi mai come una statua a tutto tondo, lui preferiva il bassorilievo, l'effetto del vedo-non vedo. A volte persino lui si sentiva un estraneo nel suo stesso corpo. Era carismatico, ma calcolatore. Era gentile, ma anche crudele. Era un amante bellissimo e appassionato, ma sapeva essere estremamente superficiale. Odiava le responsabilità, ma sapeva impegnarsi come pochi per conseguire i suoi obbiettivi. Per questo Callimaco non temeva ciò che stava aspettando. Si sarebbe comportato come aveva sempre fatto. E si sarebbe conquistato la fiducia delle persona adatte a farlo uscire di lì. Per poi lasciarle indietro, tradite e con il cuore spezzato, ovviamente. Nessuno poteva pensare di catturare un figlio di Afrodite.

 

Se Akakios non avesse iniziato a parlare Cassiopea gli sarebbe saltata al collo, se lo sentiva. Odiava dover aspettare, non era mai stata una persona paziente. E odiava ancora di più essere sottoposta ad un potere che non considerava degno di darle ordini. Ringraziò la schiena di Epeo che celava i suoi pugni stretti l'uno nell'altro così forte che le nocche si erano sbiancate. Ma prima che potesse fare una sola mossa qualcuno le afferrò un avambraccio. Si girò verso Glykeria. Impercettibilmente la Cacciatrice gli fece cenno di calmarsi scuotendo la testa debolmente, prima di farle intendere che presto si sarebbero potuti vendicare. Cassiopea annuì e rilassò le mani. Sentiva che la rabbia era ancora lì, un peso nel suo petto che gli stringeva il cuore, decise solamente di rimandare il momento in cui quella rabbia sarebbe venuta fuori.

 

Dall'alto del suo trono il re di Creta osservava i semidei. Quattordici giovani, figli degli dei più importanti dell'Olimpo. E li aveva tutti in pugno, poteva disporre del loro destino come voleva lui e la cosa gli piaceva, gli piace da matti. Si alzò e aprì le braccia.

-Benvenuti!- esordì sorridendo. Non c'era gioia e benevolenza in quel sorriso, ancor meno nei suoi occhi freddi come gli abissi più pericolosi del mare.

 

Arcadia – primo giorno, ore 12.45

 

Thaddaios guardò le pesanti porte di pietra chiudersi con un rombo. Ebbe la sensazione che tutta la sua forza fosse rimasta intrappolata all'esterno. Ora era prigioniero, in trappola. Si sentiva come una piccola preda messa alle strette da un predatore venti volte più grande di lei, in qualunque direzione si fosse voltato avrebbe trovato solo muri spessi come la montagna stessa. Per tutta la durata del discorso del re era rimasto vittima della sua mente. Combattuto tra la metà che gli intimava di fuggire e la metà che lo incitava a combattere. Ma come sempre non aveva mosso un dito, né per affrontare il suo destino, ne per scappare da esso. Il figlio di Ermes sospirò chiudendo gli occhi. La consapevolezza lo aveva colto tutto in una volta, si era reso conto che fino a quel momento aveva sperato alla remota ed impossibile possibilità che Akakios li avrebbe lasciati andare. Ora si rendeva conto che non era affatto così.

 

-E così era vero- disse Enea, guardandosi intorno.

-È vero cosa?- chiese Agape, voltandosi verso di lui, non riuscendo a tenere a freno la curiosità.

-Questo posto esiste veramente- le rispose il figlio di Zeus. Ora aveva catturato l'attenzione di tutti.

-Che cosa intendi dire? È un palazzo come un altro- fece Ilektra, alzando le spalle.

-No, non ha niente a che vedere con altre costruzioni. È incastonato nella roccia, la parte esterna è solo metà del palazzo- osservò Epeo, mettendo in mostra le sue doti di figlio di Atena.

-Epeo ha ragione. Ma non è questo che Enea intendeva dire- questa volta fu Hermia a parlare.

-I nostri genitori ce ne avevano parlato, una fortezza inespugnabile sull'isola di Creta. Impossibile da conquistare e con la resistenza di un'intera montagna. È stata fatta costruire ai tempi dei primi re di Creta, come palazzo reale alternativo in caso di assedio. La sua particolarità però non è solo questa. È inespugnabile da fuori, ma lo è anche da dentro. Per molte generazioni è stato usato come prigione di massima sicurezza. La famiglia reale imprigionava qui i nemici. Una volta chiusa la porta principale, che non si può aprire dall'interno, l'unica possibilità di uscita era attivare una sequenza di azioni dall'interno del palazzo reale all'esterno. È probabile che tutte le famiglia reali di Grecia siano a conoscenza di questo posto, almeno in teoria. Voi non avevate mai sentito parlare?- Hermia si rivolse a Cassiopea ed Ariadne, le uniche che appartenevano ad una famiglia reale, a parte lei e suo fratello. Cassiopea scosse la testa, ma Ariadne non fece altrettanto.

-Ne avevo sentito parlare, ma sicuramente non da mio padre- disse. Ed era la verità, per una volta. Suo padre non le aveva mia detto niente di relativo alla politica, giudicandola inadatta.

-Il re non aveva per caso fatto riferimento a delle stanze?- si intromise Kosmas timidamente. Orion annuì vivace mentre rispondeva affermativamente.

-Come facciamo a sapere di chi è la stanza?- aggiunse poi il figlio di Dioniso.

-Dovrebbe esserci un numero sulla porta- fece Ilektra dubbiosa. Poco tempo prima il re aveva assegnato ad ognuno di loro un numero. Dispari per gli dei maschi, pari per le dee femmine.

-Il che non lascia presagire niente di buono- mormorò tra sé e sé Glykeria. C'era un motivo per cui aveva rinunciato agli uomini per sempre, e questo comprendeva anche la loro inaffidabilità.

 

Fu Hilarion a trovare le loro stanze. E fedele al suo voto di non parlare se non quando estremamente necessario, andò a cercare il semidio a lui più vicino. Il primo che incontrò fu Kosmas. Il ragazzo si guardava intorno, con un'espressione a metà fra la curiosità e il terrore assoluto. Il peplo bianco frusciava ad ogni passo del ragazzo e le spille d'argento catturavano la luce delle torce appese alle pareti. Hilarion si fermò a guardarlo.

 

Kosmas avanzava cauto, come se temesse che qualcosa spuntasse all'improvviso da dietro l'angolo. Avevano preso tutti direzioni differenti e presto la luce naturale si era fatta via via più rada, fino ad avere assolutamente bisogno di torce per vedere. Era alla luce di quelle torce che Kosmas cercava le loro dimore. Aveva cercato di apparire coraggioso, o per lo meno meno spaventato di quanto in realtà fosse. Non codardo, ma nemmeno incredibilmente intrepido. Considerava la sua paura più che lecita, chiunque si sarebbe spaventato nelle sue stesse condizioni. Sapeva che anche gli altri lo erano, sotto le corazze dure che si erano sforzati di mostrare. Riusciva a sentilo, l'odore della paura era sempre stato particolare per l'olfatto del figlio di Demetra. Sapeva di fumo e acanto, come se il fiore fosse stato bruciato su un rogo. E le stanze in cui si erano trovati fino ad allora ben presto si erano riempite di quella fragranza. Fece un giro su se stesso e quando tornò a guardare avanti captò un altro profumo.

 

Hilarion continuò ad osservare Kosmas mentre il ragazzo diventava consapevole della sua presenza. Sentì il suo sguardo posarsi su di lui. La prima reazione del più giovane fu sobbalzare visibilmente portandosi entrambe le mani alla bocca per impedirsi di gridare. Hilarion uscì dall'ombra che fino ad allora lo aveva tenuto nascosto. Non disse niente aspettando che fosse Kosmas a parlare per primo.

-Non farlo mai più- sibilò il figlio di Demetra. Hilarion annuì e trattenne un sorriso. Kosmas era troppo carino con quell'espressione dipinta sul viso.

-Ho trovato le stanze- gli comunicò a mo' di risposta. Il cipiglio dell'altro svanì.

-Uhm, bene-

Quando Hilarion si girò per guidarlo verso la giusta direzione, Kosmas si chinò leggermente in avanti avvicinandosi all'ampia schiena del figlio di Efesto. Annusò l'aria per poi sorridere e seguirlo nei corridoi del palazzo.

 

 

 

Angolo Autrice Morta

Sono viva, ragazzi, sono viva. E mi dispiace. Non aggiorno da troppo tempo, ma sono stata alla casa al mare e i miei nonni non hanno il wi-fi lì, così niente aggiornamenti. Noterete che questo capitolo è più corto degli altri, questo perchè il pezzo finale non mi voleva proprio uscire. Ho deciso di postarlo comunque, non mi sembrava giusto farvi aspettare ancora.

Il prossimo sarà più lungo del solito, perchè ci sarà anche l'ultimo pezzo di questo.

Ho provato a dare una parte a tutti i personaggi, sappiate che non mi riuscirà sempre e ovviamente la loro parte non sarà della stessa lunghezza.

Come avrete notato non sono molto portata per il discorso diretto, nei prossimi capitoli mi sforzerò di inserire molti più dialoghi. Vi prometto che comunque interagiranno tra di loro i vari personaggi.

Continuo a ricordarvi ciò che vi ricordo nelle note di ogni capitolo, ma stavolta aggiungo altri due punti:

  1. Ho già deciso due dei personaggi che moriranno, ma dato che ho molta difficoltà a scegliere vi do la possibilità di scegliere voi per me. Ora che vi potrete fare un'idea dei vari caratteri potete dirmi chi vorreste far vivere a discapito della vita di un altro. ATTENZIONE: è vietato escludere i propri OC dalla lista dei morti, solo perchè sono vostre creazioni non vuol dire che per loro deve andare tutto rose e fiori

  2. Comunicatemi se le prospettive di relazioni vanno bene, o se volete che il vostro OC abbia una particolare relazione con un determinato OC.

 

Questo è tutto, Diamante vi lascia sperando di mantenere la sua promessa di aggiornare fra una settimana.

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Capitolo 12
*** Comunication ***


Ragazzi, prima di scrivere qualsiasi cosa vi devo dire che QUESTA STORIA ANDRA' AVANTI E CHE QUESTO NON E' UN AVVISO PER DIRE CHE HO SMESSO DI SCRIVERLA!!

Tuttavia ìnon sarò in grado di aggiornare in tempi brevi, perchè in questo momento mi ha attaccato il peggior nemico di noi scrittori: il blocco, la mancanza di ispirazione! E' da ormai qualche mese che ogni volta che cerco di scrivere non riesco a farlo. Il capitolo 9 è scritto per metà. Cercherò di farmi tornare l'ispiraizone al più presto, ma non faccio promesse che poi non sarò in grado di mantenere; anche perchè ho appena iniziato il quinto anno di liceo e so che sarà abbastanza impegnativo.
Volevo che sapeste che tengo molto a questa storia e non ho la minima intenzione di abbandonarla, abbiate fede. Ritornerò.

Ora vado a cantare con gli uccellini e a sfidare il sole ad una gara di sguardi così vediamo se mi ritorna l'ispirazione.
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito e che continueranno a seguire questa storia, siete grandi ragazzi!!
Vi chiedo solo di non abbandonarmi,
Un bacio grande grande
Diamante

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Capitolo 13
*** Per favore leggete ***


Salve gente,
Inizierò con dire che mi dispiace molto di non aver aggiornato in così tanto tempo. Come ho scritto qualche mese fa il nemico più grande che uno scrittore possa temere ha avuto la meglio su di me: signori e signore, vi presento il Blocco dello Scrittore!! Devo ammettere che è stato un blocco molto strano, perchè mi sono ritrovata all'improvviso con metà del capitolo 9 pronto e le parole che non riuscivano a uscire (o che non uscivano come volevo io). So come continuare, praticamente ho già il mio bel capitolo finale scritto nella testa. So come evolvere tutti i personaggi, chi uccidere e chi far vivere (so che avevo scritto che avrei fatto scegliere a voi, infatti le mie scelte di vita/morte sono basate anche su questo fatto, in modo da poter cambiare personaggi all'occorrenza). Le mie intenzioni con questo messaggio sono di dirvi che non ho abbandonato questa storia, anzi mi paicerebbe molto riuscire a finirla. Sono fin troppe le interattive che non raggiungono nemmeno il primo capitolo fermandosi alle scelte dei personaggi. Voglio davvero contiuare, solo che facendo il quinto anno in questo periodo la scuola mi sta letteralemnte uccidendo. Devo scrivere ancora più della metà della tesina e studiare davvero, davvero troppo. So che sembra una fregatura il fatto che io abbia scritto anzichè aggiornare verso luglio direttamente (cosa che ho intenzione comunque di fare), ma volevo sapere che ne pensate voi. Soprattutto le splendide persone che mi hanno inviato il loro personaggi. Pensate che continuare sia una buona idea o uno spreco di tempo? perchè ho veramente tante idee per storie originali (praticamente libri) che mi ronzano in testa e continuare a scrivere questa storia mi porterà via tempo e fatica che magari potrei dedicare ad un altro progetto. Quindi vorrei davvero sapere se a voi farebbe piacere sapere la fine della storia. Sono quel tipo di persona che apprezza quando un'altra si interessa al suo lavoro.
Per cui, fatevi sentire e ditemi la vostra! Comunque sia io a luglio pubblicherò il capitolo 9 dato che manca pochissimo alla sua conclusione, ma per i successivi dipende da voi.

Mi dispiace se vi sono sembrata presuntuosoa, non era il mio intento, vorrei solo sapere che il mio lavore è apprezzato.

Un Bacio
Diamante

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Capitolo 14
*** Capitolo IX ***


Innanzitutto vorrei dire: avevo promesso che avrei aggiornato a luglio. Tecnicamente è ancora luglio, ma avrei voluto aggiornare molto prima. Purtroppo sono stata al mare donde ahimè il wifi non c'era e quando c'è stata la possibilità il mio computer ha deciso che il wifi gli stava antipatico e si è rifiutato categoricamente di connettersi. Ho provato di tutto! Sono arrivata pure a proporre al mio amato computer una seduta intensiva di terapia di coppia gentilmente offerta da moi, ma nulla! Quindi ora che ho una connessione internt ecco a voi il capitolo.
Dato che è passato tanto tempo un mini riassunto: Il re di Creta ha obbligato sette città a inviare due semidei a Creta per evitare una guerra. I nostri quatttordici sfortunati eroi sono giunti alla loro destinazione con vari e intensi stati d'animo. Nel capitolo precendete dopo una "piacevolissima" chiaccherata con il re di Creta sono stati rinchiusi in un palazzo scavato nella roccia da cui è impossibile uscire.




Capitolo IX

 

 

Arcadia – 1° giorno, ore 14.15

 

Agape si era buttata a peso morto sul letto appena entrata nella sua stanza. Doveva ancora elaborare a pieno il significato della chiusura delle porte e del discorso di Akakios. “Non uscirete da quella fortezza se non per morire” aveva detto. E Agape stava tentando di non crederci con tutta se stessa, anche se stava fallendo miseramente. Come se non bastasse doveva per forza toccare qualcuno per poterne vedere il futuro e non sempre quel futuro poteva dirle qualcosa di utile. Poi c'era anche da considerare che avrebbe potuto vedere solo quello scorcio ogni qualvolta che avesse attivato il suo potere sulla stessa persona. A volte si chiedeva perchè suo padre non l'avesse fatta nascere con un potere più fruttuoso. Di certo non l'avrebbe aiutata la scena di assoluta quotidianità che aveva visto quando una delle guardie del palazzo l'aveva presa per il braccio. Dei, si sentiva inutile. Sarebbe rimasta a crogiolare nel suo sentirsi tale se tutto intorno a lei non avesse preso a muoversi.

 

Agape corse fuori dalla stanza cercando disperatamente di rimanere in piedi. La figlia di Apollo si guardo intorno mentre nella sua testa ringraziava il terremoto che l'aveva distolta da pensieri che proprio non erano da lei. Vide anche gli altri semidei uscire dalle loro stanze e anche se poteva vedere il timore nei loro occhi, sapeva benissimo che in realtà quel sentimento veniva sovrastato da un tremendo fastidio. Chiedere un po' di tranquillità era troppo? In qualche modo riuscirono a radunarsi tutti nella stanza in fondo al corridoio.

 

Si accasciarono sul pavimento ricolmo di cuscini. E su tutti i loro visi si poteva vedere quanto l'esperienza appena passata li aveva scossi. In pochi avevano vissuto un terremoto e nessuno lo aveva mai sperimentato con una montagna sopra la testa.

-Per tutti gli dei, che diamine è successo?- chiese Thaddaios, cercando disperatamente di non far tremare la propria voce. Le scosse lo avevano colto di sorpresa spaventandolo più di quanto avrebbe voluto ammettere. Ciò che lo tranquillizzava un po' era il fatto che anche gli altri semidei sembravano spaventati quanto lui.

-Un terremoto. Mio padre deve essere piuttosto arrabbiato- rispose Hermia, la voce carica di preoccupazione che non cercò di nascondere. Non serviva a niente celare un sentimento quando questo era dipinto sul viso. Osservò i semidei, tutti apparivano inquieti, ma non era solo paura quella che leggeva nel loro sguardo. Hermia doveva ammettere che anche lei condivideva i loro timori. Non c'era possibilità di sopravvivere se il loro avversario fosse stata la natura. E sfortunatamente nessuno di loro possedeva il potere di tornare indietro nel tempo.

-Kosmas, tua madre ha uno stretto contatto con la terra. Sei in grado di percepire cosa vuole dirci?- chiese Epeo rivolgendosi al giovane figlio di Demetra. Tuttavia Kosmas scosse la testa.

-Mia madre è la dea dell'agricoltura non della terra. Il mio potere mi permette di manipolare la vita delle piante, mi dispiace non posso fare niente per mettermi in contatto con la terra. Potrei farlo con gli alberi o altre forme di vegetazione più piccole, ma non se tra me e loro c'è un muro di sterile roccia. Solo Madre Terra potrebbe farcela- rispose.

-Allora potremmo provare un altro tipo di approccio- questa volta fu Callimaco a parlare.

-Callimaco ha ragione. Sarà anche vero che questo posto è inespugnabile, ma possiamo vedere cosa succede fuori anche senza uscire- Enea parlò con lo sguardo rivolto verso l'unica finestra della stanza. Hermia sorrise.

-Useremo gli occhi di chi fuori ci è già- disse prima di rivolgersi agli altri.

-Quale sfera di potere dei vostri genitori potete controllare?- chiese. Nessuno rispose. Hermia poteva capire quanto fosse difficile fidarsi di qualcuno, ci passava lei ogni singolo giorno della sua vita. Ma riusciva a comprendere quando fosse il momento di mettere da parte i propri dubbi e mettersi in gioco rischiando in prima persona. E questo era uno di quei momenti. Enea le aveva sempre detto che riponeva troppa fiducia negli altri, che credeva fino in fondo nella bontà delle persone ed Hermia sapeva che era vero. Sapeva perfettamente che la menzogna e la malvagità erano dentro tutti gli esseri umani, compresa lei, solo che credeva nella loro parte buona più di quella cattiva.

-Lo so che è difficile fidarsi l'uno dell'altro, lo so che non vi sentite al sicuro a condividere i vostri segreti, ma se rivelarli è la chiave della salvezza allora io ci farei qualche pensiero- disse sbuffando leggermente. Non sapeva più come spiegare loro che questo era il momento sbagliato per fare i diffidenti.

-Lo so che avete paura, è normale averla. Anche io sono spaventata, spaventata di non vedere mai più i miei genitori e la mia bellissima sorellina. Io devo tornare a casa. Immagino che tutti voi abbiate fatto una promessa, promessa che intendete mantenere. Allora, vi prego, in nome di quella promessa chi ha poteri che ci possono aiutare a capire cosa è appena successo lo dica- continuò. Poi sospirò ed esordì:

-Il dominio di mio padre è troppo lontano perchè io riesca a percepirlo in modo chiaro, ma so di per certo che il terremoto non ha danneggiato nessun ambiente marino. E voglio ricordavi che Poseidone è anche il dio dei terremoti, eppure ho la sensazione che non sia stato casuale. Per cui mi farebbe veramente piacere sapere che diavolo sta succedendo- questa volta non trattenne l'esasperazione che invase la sua voce. Hermia odiava non sapere le cose, la mancanza di informazioni limitava la possibilità di creare strategie vincenti. E le lacune che aveva in quel momento la stavano innervosendo.

-Mi dispiace, ma il mio potere non riesce ad attraversare un muro troppo spesso- mormorò Kosmas dispiaciuto, riusciva a capire cosa intendesse dire Hermia solo che aveva la sensazione che i loro poteri non sarebbero serviti a nulla, non in una situazione del genere. Come se gli avesse letto nel pensiero Enea parlò.

-Hermia, non puoi chiedere loro qualcosa che sai anche tu che non sono in grado di fare. So quanto odi questa situazione e la odio anche io, ma non puoi sfogare la tua frustrazione su di loro- appoggiò una mano sula spalla destra della ragazza. La figlia di Poseidone annuì sospirando.

-Scusa, hai ragione- poi rivolgendosi a tutti gi altri semidei seduti per terra aggiunse- scusate, mi dispiace. So che non è colpa vostra se non potete sapere che succede-

 

-Il mare può cambiare da un istante all'altro... non avrei mai pensato che fosse vero anche per i suoi figli- Epeo fu il primo a parlare dopo Hermia. L'unico a non guardarlo in modo curioso fu Enea.

-Ereditiamo più di quanto vogliamo dai nostri genitori, questo vale anche se sono degli dei- disse il figlio di Zeus pensando a quante volte essere se stesso poteva diventare così soffocante da avere bisogno di una pausa. Si voltò verso Kosmas, il giovane che aveva il nome in comune con il suo migliore amico e che non poteva fare a meno di comparare. Erano così diversi che riusciva abbastanza facilmente a rilegare il ricordo del Kosmas che conosceva in fondo alla mente.

-Kosmas, se hai qualcuno che ti aiuta pensi di poter arrivare a percepire cosa dicono le piante?- fece la domanda gentilmente, con il tono che di solito usava per parlare alla sorella di una cosa importante ma complessa. Il giovane figlio di Demetra lo guardò confuso.

-Aiutarlo come?- non fu Kosmas a dirlo, ma Cassiopea. La figlia di Ares si era alzata in piedi e guardava il resto della sala appoggiata al muro di pietra alla destra di Enea. Accanto a lei Orion giocherellava con i fili di un cuscino mentre guardava tutti con occhi curiosi. Alle parole di Enea aveva spostato il suo sguardo grigio verso il figlio di Zeus, gli occhi aperti al massimo aspettando la risposta del semidio con trepidazione.

-Non avete mai unito i vostri poteri con quelli di un altro semidio?- dissero in coro i gemelli. Tutti i semidei scossero la testa guardandosi l'un l'altro. Sul volto di molti si poté intravedere un briciolo di speranza. Forse avevano trovato un modo per uscire.

-Perchè, si può fare una cosa del genere?- chiese Agape. Hermia annuì seguita a ruota da Enea.

-Non è difficile da fare. Basta entrare in sintonia con la forza vitale e l'energia della persona con cui vuoi condividere il tuo potere. Devi trovare la melodia della mente dell'altro e lasciarti avvolgere da essa, devi creare un'armonia tra la tua musica e la sua. La prima volta può risultare complicato ma più volte lo fai più ti viene naturale- spiegò la principessa di Atene. “E più sei capace di avvertire la mente di qualcun'altro più aumentano le tua possibilità di sopravvivere” pensò senza però aggiungere ad alta voce. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era dire che unendo i loro poteri avevano un possibilità di uscire da quel luogo infernale. Ma Hermia aveva un motivo più che valido per tenersi quell'informazione per sé. E quel motivo lo aveva scoperto da sola, nemmeno Enea lo sapeva.

-Funziona meglio se i poteri di coloro che ci provano sono in qualche modo compatibili, almeno le prima volte. Se Hermia e Hilarion provassero ad unire i loro poteri potrebbe essere pericoloso, sia per loro che per chi sta intorno. Questo perchè mia sorella utilizza l'acqua mentre Hilarion il fuoco. Se invece a provarci fossero Hilarion e Melissa sono sicuro che non ci sarebbero problemi di alcun genere. Condividere i propri poteri con qualcun'altro rende più forti entrambi, ma è un processo estremamente delicato e intimo-

-Intimo?- sul volto di Ariadne era già comparsa una smorfia, come se le facesse schifo la parola, cosa probabile. Anche Glykeria e Melissa apparvero leggermente scosse. Hermia le capiva, dopotutto avevano giurato fedeltà alla propria dea e uno dei punti del giuramento era mantenersi caste e vergini. Tuttavia, se in Melissa e Glykeria era la fedeltà a prevalere, in Ariadne Hermia vide chiaramente il disgusto e la voglia inesistente di stabilire un contatto che andava oltre il semplice scambio di parole con gli altri semidei. La figlia di Poseidone era brava a leggere le persone, lo aveva imparato stando accanto al fratello e ai genitori. E negli occhi di Ariadne lesse fredda intelligenza, furbizia, saccenza, serietà e una straordinaria abilità nel trovare il punto debole delle persone. Hermia sapeva che era pericolosa se presa nel momento sbagliato, in questo si somigliavano. Per questo, la principessa sapeva che Ariadne avrebbe aspettato prima di fare la sua mossa. Ma in quel lasso di tempo avrebbe studiato ognuno di loro, avrebbe stabilito chi aveva la forza di volontà più debole, se lo sarebbe fatto amico e poi lo avrebbe tradito senza pietà una volta uscita. Era sicura che prima o poi sarebbe successo. Hermia la capiva, come capiva Thaddaios; il figlio di Ermes poteva anche apparire debole e spaventato, ciononostante nascondeva un lato maligno e calcolatore. Hermia sapeva che ognuno dei semidei nella stanza possedeva un lato simile, soprattutto dopo essere stati scelti. Anche coloro che sembravano non averne, come Melissa, Orion o lei stessa. Hermia si considerava una donna d'onore, ma era abbastanza saggia e intelligente da rendersi conto che nel momento in cui la sua vita o quella del fratello si fossero trovate in pericolo avrebbe messo da parte i suoi ideali, il suo onore e la correttezza. Per questo non giudicava nessuno dei presenti.

-Non intimo in senso erotico, la tua pura castità di Sacerdotessa di Era è più che salva- mentre Hermia pronunciava quelle parole, Enea vide Callimaco afflosciarsi leggermente, una strana espressione sul viso. Si portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso, il figlio di Afrodite si era illuminato per mezzo secondo già pregustando un delizioso banchetto per poi venire lasciato a bocca asciutta. Fece in modo di incrociare gli occhi con il corvino per poi ammiccargli e voltarsi cercando di non far vedere quanto in alto fossero arrivati gli angoli della bocca. Nel frattempo Hermia aveva continuato a parlare ignara dei problemi del fratello a mantenere una faccia seria.
 

Arcadia – 1° giorno, ore 15.15
 

-Quindi- esordì Epeo. Sia Hermia che Enea si voltarono a guardarlo. Il figlio di Atena non si scompose minimamente di fronte agli sguardi dei due principi di Atene. In quanto figlio della dea della saggezza e della strategia militare Epeo possedeva conoscenze e saggezza a sufficienza per rendersi conto che era meglio fare come dicevano Hermia ed Enea. Eppure era anche curioso di conoscere qualcosa a lui sconosciuto.

-Come possiamo fare quello di cui state parlando?- chiese. I due gemelli si guardarono ed Epeo ebbe la sensazione che si stessero parlando. Non dissero una parola. Si mossero e basta. Enea si voltò dando le spalle al gruppo seduto sul pavimento. Non si trovavano proprio al centro della stanza, dato che quando vi erano entrati erano collassati il più vicino alla porta possibile. Di fronte al ragazzo si apriva uno spazio relativamente ampio, abbastanza da contenere comodamente una decina di persone. Per il loro scopo andava benissimo. Enea portò la mano destra alla spalla sinistra, per poi tracciare un'immaginaria linea curva parallela al suolo sferzando l'aria con il braccio teso. I cuscini che ricoprivano l'area vennero spostati dal vento che Enea aveva creato. Soltanto quattro erano rimasti al loro posto, collocati in modo da formare un quadrato, perfettamente al centro del cerchio appena liberato. Con un fluido movimento il figlio di Zeus riabbassò il braccio. Enea fece un passo indietro e guardò lievemente la sorella da sopra la spalla. Hermia sussurrò un “esibizionista” mentre gli passava accanto, cosa che fece sorridere Enea, insieme ad Epeo, Cassiopea e Ilektra, tutti e tre abbastanza vicini per cogliere la parola detta sottovoce. La ragazza superò il fratello e il quadrato di cuscini. Arrivata alla parete opposta rispetto alla porta si voltò. Fece ruotare la testa di un giro completo mentre fissava la porta semiaperta. Sospirando, rilassò le spalle.
Quando tornò a guardare il muro, la porta si chiuse di scatto. Nessuno vide il piccolo sorriso che si formò sul suo volto. Poggiò entrambe le mani sulla pietra fredda come il ghiaccio. Quanto tempo era che nessuno entrava lì dentro? Quando vi erano arrivati loro, poche ore prima, il posto era lindo e brillante, preparato apposta per il loro arrivo, ma l'assenza di presenza umana negli ultimi anni era evidente nella freddezza che le stanze possedevano. Hermia svuotò la testa da ogni pensiero: smise di pensare alla famiglia che aveva lasciato a casa, il volto del gemello scomparve, i mormorii del gruppo di semidei alle sue spalle si affievolirono fino a scomparire, ogni cosa venne relegata nel fondo della sua mente. Quando il bianco colorò il retro delle sue palpebre invadendo il suo campo visivo, Hermia spinse fuori la sua coscienza. La lasciò libera di vagare nella pietra. Trovò residui di magia, di incantesimi vecchi centinaia di anni, spiò segreti antichi e recenti, scoprì ogni cosa che la fortezza nascondeva. E le cose che trovò al tempo stesso la sollevarono e la spaventarono a morte. Richiamò la sua coscienza, ma non staccò le mani dal muro. Questa volta spinse fuori il suo potere. Inspirò violentemente quando finì il suo lavoro. Collassò contro la superficie fredda. Appoggiò la fronte come la roccia. Non sapeva per quanto il trucco avrebbe funzionato. Dovevano sbrigarsi!

-Enea- non disse altro, ma non servivano altre parole. Il fratello si mosse rapido. Si voltò verso Kosmas tendendogli una mano. Il ragazzo la afferrò lasciando che Enea lo tirasse in piedi, indossava ancora il peplo verde e i capelli rimanevano stretti dai papaveri.

-Perchè ci sono quattro cuscini?- domandò Orion, sporgendosi in avanti. Fu Hermia a rispondere.

-Perchè per sapere quello che volgiamo sapere ci occorrono i poteri di quattro persone- si limitò a dire. Si sedette elegantemente sul cuscino verde facendo cenno a Kosmas di sedersi alla sua destra. Il giovane figlio di Demetra si accomodò sul suo cuscino rosso specchiando la posizione assunta da Hermia. Invece di sedersi Enea si voltò verso Hilarion.

-Lo so che prima ho detto che è pericoloso unire poteri opposti, ma in questo caso occorrono tutti gli elementi- disse rivoltò al figlio di Efesto. Hilarion lo guardò un attimo prima di annuire e alzarsi. Enea si lasciò cadere sul cuscino azzurro accanto a Hermia e conseguenza Hilarion prese posto di fronte ad Hermia, dando le spalle alla porta. Il tessuto arancione si amalgamava bene con il bronzo della sua pelle. Dalla sua posizione Kosmas poteva vedere che sui visi dei semidei rimasti fuori era dipinto un misto tra stupore, curiosità, meraviglia, terrore e paura. Trovò che fosse una combinazione interessante e strana allo stesso tempo. Nascondendo un sorriso ritornò a prestare attenzione proprio nel momento in cui Enea iniziò a spiegare cosa dovevano fare.

 

 

 

 

Angolo Autrice

Bene, mi sento un cacchina spiaccicata sul marciapiede. È un anno ormai che non aggiorno. Un paio di mesi fa vi avevo promesso che il capitolo sarebbe arrivato. E infatti eccolo qua! L'ho scritto a pezzi, buttando giù qualche riga un giorno sì e venti no.

Purtroppo quest'anno una serie di avvenimenti mi ha impedito di scrivere costantemente.

In primis verso la fine di luglio dell'anno scorso ho avuto un blocco dello scrittore enorme, mi sono bloccata a metà della stesura di questo capitolo e la mia mente è diventata un mare bianco di nulla. Mi sa che si vede questa cosa, ho smesso di scrivere circa a metà, dopo che Hermia si scusa con gli altri semidei per il suo comportamento.

Poi a settembre ho iniziato l'ultimo anno di liceo. E mi ha ucciso. Ora ho finito gli esami da un po' e mi sono messa a finire il capitolo. L'ho controllato e riaggiustato. Le idee mi sono venute all'improvviso, come un colpo di fulmine. Le ho buttate giù e solo dopo le ho elaborate. Ci tenevo a farvi sapere che ogni cosa in questo capitolo è frutto della mia fantasia, per cui l'unione dei poteri di molti semidei non rispecchia quella di Rick Riordan; anche perchè, se non sbaglio, lui non ha mai fatto unire veramente i poteri dei suoi personaggi. Inoltre sottolineo che ogni cosa ha un senso. Alcuni dettagli che potrebbero sembrare inutili (come il colore dei cuscini o la disposizione dei personaggi) in realtà sono importanti. Vi pregherei di ricordarveli, così sarà più facile per voi capire quello che succederà. Inoltre non vi preoccupate, spiegherò ogni cosa nei prossimi capitoli.

Spero che vi piaccia, perchè voglio essere sincera con voi, a me in realtà non convince tanto. Mi piace, ma non è il mio capitolo preferito. Prometto che aggiornerò più regolarmente d'ora in poi. Ho voglia di finire questa storia. La fine è scritta lì nella mia mente e ho intenzione di metterla su carta.

Lo so che nei capitoli precedenti ho detto che vi avrei fatto scegliere chi uccidere, ma ora come ora non credo sia possibile. La storia si è evoluta e occorrono determinati personaggi per farla funzionare. Quindi mi dispiace, ma ho già deciso tutte le dinamiche di questa storia: chi vive, chi muore (e come muore), le possibili storie d'amore, i legami di amicizia. Insomma tutto quello che rende una storia umana.

Spero che questo capitolo possa essere di vostro gradimento, mi scuso ancora per questo enormissimo ritardo.

Un'altra cosa, preferite che il prossimo capitolo sia un diretto seguito di questo o che quello che succede dopo questo venga raccontato attraverso flashback? Fatemelo sapere il prima possibile. Grazie.

Un bacio

Dia

 

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Capitolo 15
*** Capitolo X ***


Capitolo X

 

Arcadia – 1 giorno, ore 15.15

 

Hilarion si era perso a metà della spiegazione. Non che fosse stupido, ma era un concetto talmente astratto che dopo la frase: “dovete spingere fuori la vostra mente e cercare di toccare quella degli altri” aveva rinunciato.

-Aspetta, aspetta, aspetta- disse Kosmas all'improvviso. Enea si bloccò a metà parola.

-Potresti ricominciare da capo?- chiese con voce sofferta. Dall'espressione del suo viso sembrava che avesse disperatamente cercato di capire cosa gli era stato detto e aveva fallito in ogni maniera possibile. Il figlio di Zeus fece per aprire di nuovo bocca quando la sorella lo interruppe.

-Forse è meglio se rispiego io. Non sei mai stato bravo a dire le cose in maniera chiara e coincisa- fece. Enea la guardò con sguardo semi offeso. Hermia tornò a guardare Kosmas e Hilarion.

-La cosa più importante è che vi concentriate il più possibile. Non ci deve essere niente che possa distrarvi, se perdete la concentrazione quando siamo tutti collegati potremmo perderci per sempre uno nella mente dell'altro. E significherebbe morire, i nostri corpi non avrebbero più niente a sostenerli, l'assenza della nostra mente all'interno li rende corpi vuoti. Il che comporta due alternative: o troviamo un modo per andarcene dalla nostra prigione immateriale o qualcun'altro si prende i nostri corpi- lo disse con tono così lugubre che un brivido passò sulla schiena di tutti nella stanza.

-Ci terrei a continuare ad avere il mio corpo, grazie mille- fece Kosmas stringendo le braccia intorno al busto. Hermia gli sorrise prime di continuare.

-Dopo esservi concentrati dovete buttare fuori la vostra coscienza, dovete cercare di estraniarvi dal vostro corpo. Non fate altro, saremo io ed Enea a trovarvi. La mia mente emette un suono che è diverso da quello di mio fratello, a sua volta diverso dai vostri. Non ritiratevi quando sentirete la nostra musica altrimenti bisogna ricominciare da capo. E non abbiamo il tempo di farlo. Se non riuscite a focalizzarvi sulla nostra musica fatelo sul colore delle nostre anime. Ogni anima ha un colore, la mia è sui toni del verde mentre quella di Enea è principalmente azzurra. Anche la vostra ha un colore e sarà quello che vedrete quando sarete abbastanza concentrati. Appena lo vedrete saprete che è quello il colore che vi rappresenta. È scritto nel vostro io più profondo. Avete capito questa volta?- alla domanda sia Hilarion che Kosmas annuirono. Hermia si voltò verso Enea che in risposta le fece la linguaccia. Hermia sollevò un sopracciglio.

-Molto maturo da parte tua- disse. Poi chiuse gli occhi imitata subito dopo dagli altri.

 

Arcadia – 3 giorni, ore 7.30

 

Kosmas aprì gli occhi di scatto. Aveva il respiro leggermente affannato ma non si ricordava il sogno che lo aveva svegliato all'improvviso. Il figlio di Demetra si rigirò nel lettino, a suo parere neanche troppo comodo. Affondò il viso nelle braccia. Erano passati quasi due giorni da quando avevano scoperto il perchè delle scosse, che si erano ripetute molto spesso nell'arco delle ultime quarantotto ore. Kosmas sospirò e strizzò forte le palpebre.

 

Kosmas si tuffò a capofitto all'interno di se stesso. Vide ciò che era, ciò che sarebbe voluto essere e si riconobbe. Continuò il viaggio nella sua mente fino ad arrivare al luogo più profondo, dove si celava la fonte del suo potere. Si ritrovò in una stanza circolare dal soffitto curvo come quello di una cupola, diviso in cinque sezioni da delle linee formate da liane e fiori pensili. Il pavimento era ricoperto di erba fresca e fiori colorati. La parete alla sua destra era ricoperta d'acqua, mentre quella sinistra da piante rampicanti dalle foglie di ogni possibile sfumatura di verde. Al centro vi era un braciere d'argento. E all'interno del braciere brillava una fiamma rosso vivo, un fiore dello stesso colore vi ruotava dentro. Il figlio di Demetra sospettò che fosse il fiore stesso ad averla generata. Kosmas si avvicinò rapito dal colore singolare della fiamma. Guardò all'interno del fuoco e vide tutta la sua vita. Dalla nascita fino a quel momento in un secondo. Le immagini si impressero nella sua iride come incisioni su una roccia e capì. Capì di trovarsi di fronte alla sua anima. Non sentiva la musica di cui avevano parlato i gemelli, ma forse lui non era in grado di farlo. Rapito, allungò la mano. Appena toccò la fiamma si rese conto che in realtà era fredda. Quando il palmo fu al centro del braciere Kosmas provò un forte strappo allo stomaco e non fu più lì. Venne catapultato fuori dalla sua testa e si ritrovò a vagare all'interno di uno strano spazio. Si sentiva senza peso, come se galleggiasse nell'aria. Era una sensazione strana, ma Kosmas decise che gli piaceva. Il peplo che indossava gli ondeggiava attorno, cercò di avanzare facendo un passo senza però ottenere il risultato sperato. L'unica cosa che riuscì a compiere fu perdere l'equilibrio. Agitò le braccia velocemente sentendosi anche parecchio stupido, ma nonostante fosse caduto non sentì dolore e continuò a galleggiare. Non capendo come muoversi si rassegnò a rimanere fermò lì.

-HERMIA!ENEA!- strillò con tutto il fiato che aveva in gola. Non rispose nessuno. Kosmas prese fiato e urlò di nuovo. Continuò a chiamare i gemelli per un tempo indeterminato. Aveva la sensazione che in quel luogo il tempo non esistesse. Fu quando ormai si era arreso che lo sentì. Un suono. Proveniva da lontano, era talmente debole che per sentilo si doveva sforzare. Si concentrò su quel suono più che poteva cercando di non perderlo. Presto il suono si fece più nitido e vicino. Kosmas riuscì a individuare un senso al suo interno. Fu in quel momento che si trasformò in musica.

Iniziò piano, con note basse. Una melodia quasi inesistente fatta di singole note a quattro quarti. Poi il tempo cambiò e le note passarono ad essere veloci e ben armonizzate. Kosmas riusciva a sentire delle scale. Il tempo si velocizzò ancora per poi tornare al punto di partenza. Un'insieme di note legate tra di loro iniziarono a formare una melodia molto veloce, il volume aumento così come la complessità del suono. Avvertì le stesse note suonate per un tempo indeterminato, alti e bassi, piano e forte ad intervalli. Era bellissima da ascoltare. Kosmas avanzò verso la musica. La sentiva da ogni direzione ora. Si fermò e la musica si fece più articolata. Note basse e note alte coesistevano nella melodia. Cercò di capire a chi potesse appartenere quella musica. Il tempo si modificò di nuovo, accelerando e diminuendo in concomitanza con le note alte e basse. Delle scale facevano da sottofondo alla melodia principale. La velocità aumentò ancora e Kosmas riuscì a sentire due melodie distinte senza però essere separate. Il tempo rallentò per una sola mentre per l'altra rimase invariato. Le note si fecero più leggere poi aumentarono di nuovo insieme alla velocità. Ora una delle melodie era più cupa facendo sembrare l'altra ancora più allegra e brillante. Kosmas colse una sorta di simmetria tra le melodie che sentiva in quel momento e quelle in precedenza, ma non riusci a comprenderla. Il tempo cambiò di nuovo e le note culminarono in una singola nota molto bassa. Kosmas pensò che la musica fosse finita, tuttavia la melodia riprese lenta come era iniziata. Si divise ancora e questa volta il ritmo si fece concitato subito fino ad arrivare ad unire molte note in pochissimo tempo con il risultato di rendere la canzone molto movimentata. Kosmas si smarrì nel suono, smise di cercare di trovarne la fonte e chiuse gli occhi. Si lasciò andare alla melodia ora cupa ora allegra. L'alternarsi di alti e bassi impediva di renderla ripetitiva. Il suono si fece molto forte nonostante la melodia stesse scemando con note sempre più basse e leggere. Kosmas riuscì a cogliere un ultimo tumulto di note prima di perdere del tutto la fonte della musica.

No! Aspetta” pensò disperato. Si lanciò nella direzione da cui il suono proveniva più forte e nitido. Vagò in quello spazio senza tempo senza trovare ciò che cercava. Poi avvertì una nota distante. Girò su se stesso cercando di capire da dove provenisse. Si rese conto che stava ascoltando una canzone diversa da quella di prima. Questa volta la musica partì fin da subito sostenuta, una seconda melodia si fece strada insieme alla prima. Un'esplosione di suoni fuse insieme entrambe le melodie. Scale di alti e bassi si potevano sentire tra le varie sinfonie. Portarono ad un cambiamento di tempo e di note. Ma non per questo la canzone perse di bellezza. Come in precedenza Kosmas smise di cercare. Ormai aveva capito che Enea e Hermia lo avrebbero trovato, se si fosse spostato avrebbe solo allungato le loro ricerche. La canzone culminò aumentando di velocità. Poi mentre era al suo zenit una nota la inquinò.

Kosmas aprì gli occhi di scatto. Una nuova musica si andava formando mentre le due melodie si univano. E finalmente riuscì a vederli. Hermia ed Enea. Correvano verso di lui. O almeno quello era l'effetto, se lo facessero o meno Kosmas non ne aveva idea. Ma da come si muovevano poté intuire che erano abituati all'ambiente ovattato e innaturale in cui erano.

-Kosmas, finalmente!- esclamò Enea appena lo raggiunsero. Sembrava sollevato, come se lo avessero cercato a lungo. Immaginò che fosse così data la loro espressione. Hermia gli sorrise.

-Vieni. Ora bisogna trovare Hilarion. Per cui orecchie bene aperte. Appena senti qualcosa non esitare a farcelo sapere- disse con voce gentile prima di prenderlo per mano. Kosmas fece un bel respiro e i suoi sensi vennero invasi dal profumo dell'oceano. Salsedine , lavanda e rosmarino lo avvolsero quando Hermia si avvicinò. Era l'essenza della sua libertà, il centro della sua anima. Per curiosità Kosmas si avvicinò a Enea. Questa volta sentì l'odore della pioggia con menta e anice. Esprimeva forza e coraggio, Kosmas non invidiava di certo i suoi avversari. I gemelli erano semidei potenti, forse i più potenti che il figlio di Demetra avesse mai incontrato. Dopotutto i loro genitori erano Zeus e Poseidone, due degli dei più forti dell'Olimpo. Aveva la sensazione che contro Akakios il loro potere e il loro altruismo sarebbe di certo stato necessario. Andarono avanti galleggiando per un po' senza tuttavia chiamare il nome di Hilarion. All'inizio non capì come mai, ma si rese conto che sarebbe risultato inutile. Gridando avrebbero coperto le tracce della canzone di Hilarion prolungando le ricerche. E quella era l'ultima cosa che desideravano.

Kosmas non fu il primo ad avvertirla. Fu Hermia a voltarsi all'improvviso nella direzione opposta a quella in cui stavano andando. Avanzò di qualche metro per poi fermarsi. Portò le mani alle tempie per poi allungare le braccia in avanti. Kosmas si girò verso Enea in cerca di spiegazioni.

-I poteri di mia sorella sono molto vasti e ancora più vari. Essendo figlia di Poseidone è in grado di percepire il suono in modo più nitido rispetto a noi. In particolar modo se siamo in un materiale diverso dall'acqua, perchè il suo udito è capace di captare un suono in fluidi molto più densi dell'aria. Questo posto si trova a metà tra i mondi. Non è reale ma non è nemmeno immaginario. Siamo avvolti nell'etere ed Hermia è capace di amplificare le sue capacità di ascolto legandosi al fluido in cui il suono si propaga. È una questione di materiale. Il suono non viaggia nell'acqua come nell'aria. Ed Hermia è capace di sentire molto bene anche se è circondata dai liquidi. Sta solo applicando il suo udito ad un altro materiale- rispose Enea alla sua tacita domanda. Kosmas si accorse che aveva ripetuto due volte la stessa cosa. Immaginò che l'avesse fatto per spiegargli meglio il concetto in due modi diversi.

-Ora la sentite?- chiese Hermia. Enea rispose affermativamente mentre Kosmas fece per scuotere la testa per poi bloccarsi. Una nota lontana gli riverberò attorno. Cambiò la sua risposta. Hermia sorrise per poi avanzare nella direzione da cui proveniva la musica di Hilarion.

Kosmas la seguì. La melodia era calma, le note si univano l'una all'altra senza fretta. Le scale non acceleravano il tempo della canzone, ma ne sottolineavano la lentezza. La melodia andò avanti nello stesso modo, lenta e posata. Finché un tripudio di note interruppe la serenità della melodia. Il forte dominò su ogni cosa oscurando le note precedenti. Dopo quella parte piena di forti e fortissimi, il piano e il leggero tornarono ad essere la giuda della melodia. Era bella da ascoltare ed esprimeva l'io di Hilarion. Silenziosa e quasi incompleta era la musica così come Hilarion era posato e parziale. Kosmas lo conosceva da nemmeno un giorno. Ma dal profumo delle sue emozioni aveva capito che nel giovane figlio di Efesto c'era di più di quanto si mostrava alla vista. E lui era determinato a trovare quel di più che tanto Hilarion si affannava a nascondere. La canzone si interruppe. Confuso Kosmas si guardò attorno, non capiva come mai la musica si fosse fermata se non avevano trovato Hilarion. Poi lo vide a fianco di Enea e una melodia differente giunse alle sue orecchie. Capì che doveva trattarsi dell'unione dei suoni delle loro anime.

-Ora che facciamo?- chiese Hilarion. Hermia ed Enea si sorrisero a vicenda.

-Usciamo- risposero all'unisono. Kosmas non fece in tempo ad elaborare la risposta che lo spazio intorno a loro esplose in mille pezzi. Urlò quando si ritrovò a cadere, l'aria gli scorreva intorno e l'azzurro lo circondava. Sentì qualcosa di caldo che gli afferrava i polsi. Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare quelli di Hermia.

-Vola- fu l'unica cosa che disse, ma bastò ad interrompere la caduta. Kosmas si guardò intorno e accanto a loro vide Enea e Hilarion. Galleggiavano nell'aria. Ormai era chiaro che fossero nel cielo. Come ci fossero arrivati non lo era altrettanto però.

-Come abbiamo fatto ad arrivare quassù?- chiese.

 

Arcadia – 6 giorni, ore 14.32

 

Avevano appena finito di mangiare il pranzo che gli era stato recapitato. Anche quel giorno frutta, verdura cruda e pane. Non che Hilarion si stesse lamentando, almeno davano loro del cibo. Si rigirò tra le mani una mela. Tra i suoi palmi pareva minuscola. Come l'isola di Creta vista dall'alto.

 

 

Hilarion chiuse tutto fuori, pensino i suoi stessi pensieri e si ritrovò a vagare nella sua testa. Cercare di trovare la sua anima si stava rivelando facile come uscire da un labirinto. Poi vide una luce provenire da lontano. Era calda, debole e tremolante. La luce di una fiamma. Hilarion iniziò a correre verso il bagliore determinato a non stare un secondo di più nell'intricato salone della sua mente. Varcò una porta ad arco. Si ritrovò in una stanza quadrata, fatta interamente di pietra. Niente era appeso alle pareti a parte ganci di metallo. Di fronte a lui c'era un camino, di quelli da fucina e una fiamma arancione brillava al suo interno. Hilarion conosceva il fuoco, era stato accanto a lui in ogni singolo giorno della sua vita e non l'aveva mai deluso. Per lui era un caro amico. Eppure non aveva mai visto una fiamma brillare in quel modo. La luce era troppo forte per un semplice fuoco. Hilarion notò che nel centro la luminosità era al suo massimo. Si sentiva attratto da quella luce. Come in trance tese una mano verso il fuoco. Lasciò che le fiamme la lambissero. Ne assorbì il calore, il suo corpo era fatto per quello. Giocò con lui, se lo passò fra le dita, lo accarezzò delicatamente come se fosse un cucciolo bisognoso di cure e affetto. E lui rispose. Gli mostrò chi era, gli fece vedere cose che Hilarion conosceva di se stesso e altre di cui ignorava l'esistenza. Fu dopo che il messaggio del fuoco finì che Hilarion capì cosa fosse esattamente. La sua anima aveva un aspetto diverso da quello che si aspettava. Credeva fosse una sorta di lui in versione spettro, ma doveva ammettere che la versione fiamma lo rappresentava meglio di un clone umanoide. Non riusciva a capire però il perchè dell'assoluto silenzio. Non doveva esserci una canzone nell'aria? Poi sentì una stretta allo stomaco e venne catapultato fuori dalla stanza. Si ritrovò a vagare in uno spazio ovattato, dove i colori e le distanze non esistevano. Si guadava intorno e vedeva ogni colore nello stesso istante, camminava senza muoversi e il silenzio sovrastava ogni cosa. Non chiamò nessuno, non faceva parte del suo carattere urlare a squarciagola per far sapere agli altri dove fosse. Aveva la sensazione che l'avrebbero trovato. Si sedette, o meglio fece l'azione di sedersi. Non capì quanto tempo passò dato che anche il tempo sembrava non esistere. Poi sentì delle note in lontananza. Un tripudio di suoni lo raggiunse. Era una musica ben armonizzata, che racchiudeva più di una melodia. Hilarion non capiva da dove provenisse così si girò in ogni possibile direzione. Non riuscendo a vedere nessuno all'inizio non capì come lui riuscisse a sentirli ma non a vederli.

-Hilarion!- era una voce femminile. Hermia. Ora la musica era molto forte e finalmente li vide. Tra figure in lontananza. Al centro stava Hermia, alla sua destra Kosmas e alla sua sinistra Enea. Erano stranamente avvolti da un'aura colorata, diversa per ognuno di loro. L'aura di Hermia era verde mare, quella di Enea azzurro intenso mentre quella di Kosmas di un delicato rosso papavero. Non riusciva a vedere la propria, ma immaginò che fosse sui tono del fuoco che aveva visto prima. I tre lo raggiunsero presto, anche se Kosmas sembrava distratto.

-Ora che facciamo?- chiese Hilarion. Enea e Hermia si sorrisero.

-Usciamo- risposero in coro. Poi lo spazio intorno a loro esplose ed Hilarion si ritrovò a cadere. Agitò le braccia rifiutando di guardare. Si sentì afferrare per un polso e gli sembrò che il suo corpo rallentasse.

-Fatti sostenere dell'aria- unì la voce di Enea dirgli. Non sapeva come fare, ma smise di cadere. Aprì gli occhi per vedere dove fossero. Galleggiavano nel cielo! Da quell'altezza Hilarion riusciva a vedere molte isole disperse nel blu del mare della Grecia. Non aveva mai creduto che il mondo potesse essere così grande.

-Adesso?- domandò Kosmas -come facciamo a trovare quello che stiamo cercando? Non servirà a molto stare qui sospesi-

-Hai ragione. Per questo noi non staremo qui sospesi. Siamo invisibili per gli altri. Gli unici che possono avvertire la nostra presenza sono gli animali. A volte anche i bambini dall'animo più sensibile si accorgono della presenza di anime senza corpo, ma non sono in grado di capire cosa stanno avvertendo. L'importante è mantenere un atteggiamento positivo e non avere cattive intenzioni, in questo modo si eludono sia gli animali sia i bambini sensibili. Non avvertono il pericolo e noi passiamo inosservati. Ora ci divideremo, io e Hilarion andremo a dare un'occhiata alla fortezza da fuori...-

-Arcadia- Hermia interruppe Enea. Tutti si girarono a guardarla.

-Arcadia è il nome della fortezza. Gli antichi re l'hanno chiamata come uno dei posti più belli e tranquilli del nostro mondo. L'ho sempre trovato incredibilmente ironico e di poco gusto- spiegò.

-...io e Hilarion controlleremo l'Arcadia da fuori- Enea guardò la sorella come per chiederle “Contenta adesso?” -mentre Hermia e Kosmas andranno a palazzo. Le vostre anime sono molto più delicate delle nostre. Attirerete meno attenzione-

-Che significa più delicate?- chiese Kosmas, confuso.

-Vuol dire che io e te abbiamo un tocco più morbido. Deriva da quello che ci hanno insegnato. Essendo una principessa ho avuto modo di ascoltare lezioni che non erano rivolte a me. Tuttavia le mie lezioni erano su come diventare una brava moglie e una brava regina. Le tue non saranno state diverse vista la condizione in cui sei costretto a vivere. Noi abbiamo imparato la guerra da fuori, non ci hanno mai insegnato ad usare la spada e se lo hanno fatto non è certo perchè si aspettano che noi andiamo a combattere per il nostro re nel giorno del bisogno. Questo ha reso le nostre anime più inclini alla gentilezza e alla solidarietà. Tu non te ne accorgi, come non lo faccio io, ma siamo in grado di usare le vibrazioni che emanano le nostre anime come calmante per gli altri. Questo una persona cresciuta nella guerra e nel dolore non lo potrà mai fare. Ci hanno fatto vivere in una bolla credendo di soffocarci senza sapere che così facendo ci hanno donato il potere più grande di tutti. Abbiamo affinato il controllo sulle nostre emozioni e sulla nostra intelligenza. Sappiamo cosa fare in ogni circostanza e sabbiamo come fare in modo che la persona di fronte a noi pensi che l'idea brillante che ha appena avuto venga da lei stessa. È questo che vuol dire avere un tocco delicato- rispose Hermia poggiandogli una mano sulla spalla.

-Essere delicati vuol dire essere manipolatori silenziosi?- fece Kosmas scettico.

-Esatto!- disse Hermia tutta allegra, prima di prenderlo per mano e scendere in picchiata verso l'isola di Creta. Hilarion sentì l'eco del grido di Kosmas.

-Andremo anche noi giù così?- Enea lo guardò eloquente. Il classico sguardo che dice più di mille parole. Hilarion ebbe mezzo secondo prima che il cielo intorno a lui diventasse un cilindro d'aria azzurra. Sperò solo di non spiaccicarsi al suolo, doveva fare male anche senza corpo.

 

Arcadia – 1 giorno, ore 20.20

 

-Pensi che si fideranno tutti di noi?-

-No. Non lo faranno. Ma non hanno altra scelta-

-Alcuni lo faranno, lo stanno già facendo-

-E secondo te sono quelli ingenui o quelli scaltri?-

-Quelli scaltri non si fideranno mai di noi, anche se gli salvassimo la vita un'infinità di volte. Enea, io voglio uscire di qui. Voglio rivedere casa nostra con la nostra famiglia dentro. Voglio vedere le ampie distese di valle dalla finestra più alta del castello. Io voglio vivere. Non ho intenzione di morire qui. Come non lo vuoi tu. Come non lo vuole nessuno qui dentro. E sai che abbiamo bisogno di fidarci che chi sceglieremo come alleati non ci tradirà-

-La fiducia è una cosa difficile da conquistare, sorella. E tu lo sai bene. Lo sai meglio di chiunque altro. Sei brava a fare l'ingenua gentile, ma io ti conosco. So chi sei. Tu hai già trovato un modo per uscire. E so anche che non lo metterai in pratica presto.

-Allora saprai anche il perchè. È un'idea, un inizio di piano. Ma non salverà tutti. Non so nemmeno se salverà noi stessi. Le informazioni che abbiamo raccolto sono troppo poche. Me ne servono altre. E mi serve che tu ti fidi di me-

-Va bene. Cercherò di fare il possibile per aiutarti-

-Enea. Non chiuderti in una bolla. Vivi. Non sappiamo per quanto ancora avremo questa possibilità-

-Lo farò sorella. Ora riposa. Domani si comincia-

Detto questo, il principe di Atene uscì dalla stanza di Hermia. Era vero. Lei aveva un piano, ma non le piaceva affatto. Perchè per funzionare prevedeva un'azione che avrebbe messo in pericolo ognuno di loro. Aveva bisogno di molte più tasselli, il mosaico era solo all'inizio. Lei aveva intenzione di finirlo prima che Akakios scegliesse la sua prima vittima. Aveva dalla sua astuzia e un'incredibile capacità di osservazione che aveva affinato negli anni. Essere una donna portava i suoi vantaggi a volte, poteva osservare senza essere osservata. Utile. E così aveva fatto prima.

 

Hermia entrò nella sua mente con estrema facilità, l'abitudine del gesto visibile nella velocità dell'azione. Entrò nella stanza dove giaceva la sua anima. Appariva come una grotta sotterranea, le pareti bagnate dell'acqua, il pavimento ricolmo di conchiglie e sabbia. Hermia la trovava la stanza più accogliente presente nella sua testa. Per entrarvi si doveva passare da una spaccatura dietro una cascata. La luce proveniva dall'acqua bioluminescente che si trovava dappertutto all'interno. Di fronte alla cosiddetta porta, vi era una fontana. Era fatta in madreperla e tempestata di conchiglie di ogni colore. Riluceva nella tenue luce della stanza. Anche la sua anima aveva la forma di una fiamma, ogni anima appare in quel modo. Ma la sua era diversa dalle altre. Il fuoco non era fuoco, ma acqua nella forma di fuoco. Una fiamma d'acqua, ecco cos'era la sua anima. Una fiamma d'acqua luminosa e tiepida. Si lasciò avvolgere dal suo torpore una volta immersa la mano nel centro delle lingue guizzanti e gocciolanti. Sentì il familiare strappo allo stomaco quando venne catapultata nello spazio tra reale e fantastico. Senza perdere tempo cercò suo fratello. Sapeva che lui l'avrebbe trovata, lo faceva sempre. Ma anche lei era in grado di farlo. Le apparve di fronte, ad un centimetro dal suo naso. Solo la sua musica la trattenne dall'urlare.

-Accidenti!- lo sentì borbottare.

-Accidenti cosa, Enea?- gli chiese con voce scocciata e le braccia conserte. Enea si voltò verso di lei. Dalla sua espressione capì che non l'aveva vista. O sentita. Capitava che una persona non sentisse la canzone di un'altra, ma solo se suddetta persona era così abituato a sentirla da darla per scontata. Ed ad Enea capitava spesso di isolarsi dal resto del mondo per nascondere chi era. Hermia odiava quando lo faceva.

-Ehm. Niente- rispose, Hermia alzò un sopracciglio.

-Niente. Appena riuscirò a capirci qualcosa sarai la prima a saperlo. Come sempre del resto- aggiunse. La sorella gli sorrise. Ovviamente sarebbe stata la prima perchè anche se lui non le avesse detto nulla lei l'avrebbe letto nei suoi occhi.

-Bene, anziché fare il terzo grado a me perchè non andiamo a cercare gli altri? Probabilmente non riusciranno a muoversi in questo spazio, almeno saremo avvantaggiati da questo punto di vista- cambiò discorso Enea. Hermia annuì.

-Meglio dividersi, copriremo più terreno. Ma restiamo a portata di orecchio. Se uno di noi trova Kosmas o Hilarion bisogna andare a prenderlo insieme, potrebbero spaventarsi se non siamo entrambi- disse Hermia. Alle sue parole Enea iniziò ad incamminarsi alla sua destra. Hermia andò nelle direzione opposta. Sapevano entrambi quando avrebbero dovuto smettere di allontanarsi per evitare di perdersi di vista. In fondo alla mente Hermia continuava a percepire suo fratello. Era debole, solo un sottofondo, ma era abbastanza per sapere dove si trovasse Enea in quel momento. Era così concentrata su di lui che all'inizio le sfuggì la melodia che aleggiava al di fuori della sua testa. Era veloce già in partenza. Non poteva essere Hilarion, troppo allegra e leggera. Quindi doveva essere Kosmas. La melodia si ripeteva spesso, da alti e bassi. Era molto altisonante, ideale per una danza festiva. Doveva essere Kosmas per forza. Quella musica esprimeva il suo vero io. Ciò che era celato dietro la facciata da brava ragazza di buona famiglia. Le note sottolineavano la sua parte giovanile e spensierata, ma non ombreggiavano la parte più matura e seria. Ascoltando la musica Hermia si era fermata e aveva inviato un messaggio al fratello tramite quel legame che ancora li univa. La melodia aumentò di velocità e forza. Rimase caratterizzata da questi enormi alti e bassi di note. Non era una di quelle canzoni monotone che Hermia si era ritrovata troppo spesso ad ascoltare. La melodia principale cambiò diventando più lieve per poi riprendere come all'inizio. Tornò un attimo sui suoi passi cercando Enea anche se sapeva che così avrebbe smesso di sentire Kosmas. Individuò Enea alla sua sinistra e gli fece cenno di avvicinarsi. Il fratello le corse incontro e si fermò di poco davanti a lei. Abbastanza perchè sentisse la canzone di Kosmas.

-Andiamo?- domandò Hermia. Enea annuì. Si incamminarono fianco a fianco sapendo bene che Kosmas avrebbe sentito le loro canzoni unirsi. Quando lo videro iniziarono a correre verso di lui. Una volta riunitasi con il figlio di Demetra iniziarono la ricerca di Hilarion. Non ci volle molto prima di trovare anche lui. Ora non restava che uscire da quel luogo e andare dove dovevano andare.

 

Dopo essersi separati da Enea e Hilarion, Hermia e Kosmas volarono a palazzo. Entrarono nella sala del trono dalle ampie arcate che si affacciavano verso l'esterno.

-Come sappiamo che dobbiamo cercare qui?- domandò Kosmas.

-In realtà non lo sappiamo, le leggende non indicano il luogo preciso in cui è nascosto il meccanismo per aprire le porte. Ma questa sala è la più sicura di tutto il palazzo, sarebbe logico se fosse qui- rispose Hermia. Fortunatamente Akakios non c'era. Si divisero l'aerea di ricerca. Tuttavia né Hermia né Kosmas riuscirono a trovare qualcosa che assomigliava anche solo lontanamente a ciò che stavano cercando. Avevano lasciato il trovo per ultimo, in modo da portelo esaminare nei minimi dettagli.

-Il meccanismo funziona attraverso il potere dei semidei. Non potrebbe esistere nella realtà altrimenti. Ha bisogno di un semidio per attivarsi, ma so per certo che Akakios non è uno di noi. Per cui deve avere dei semidei al suo servizio. Semidei che non può permettersi di sacrificare per qualsiasi cosa abbia in mente di fare. Per questo gli serviamo noi- disse Hermia.

-Centra qualcosa il fatto che riesco a percepire della vita all'interno del trono?- chiese il figlio di Demetra. Era vero, avvertiva una scintilla di vita sepolta dalla roccia e dalla madreperla. Ma non aveva idea a chi o che cosa potesse appartenere. In quel momento la sala intorno a loro tremò, lo sguardo di Kosmas si spostò verso il trono.

-Veniva dal trono, perchè?- Kosmas era confuso.

A quanto pareva Hermia lo sapeva perchè si voltò verso di lui raggiante.

-L'abbiamo trovato. Ora non ci resta che scoprire come attivarlo-

-E lo facciamo adesso?-

-Assolutamente no. Uno, perchè è pericoloso sa parere anima e corpo così a lungo. Due, perchè potremmo attivarlo involontariamente e rovinare tutto- detto questo, Hermia prese per mano Kosmas e fece la strada che avevano percorso per arrivare lì al contrario.

 

Arcadia – 1 giorno, ore 21.00

 

Enea aveva lasciato la sorella invitandola a riposare, ma lui proprio non ci riusciva. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era quello che si era reso conto di provare quando si era ritrovato nella sua testa. Enea non voleva crederci, nonostante lo avesse visto all'interno della sua anima. Era troppo presto e lui lo aveva nascosto troppo a lungo. Anche sognare gli sembrava un privilegio che non poteva concedersi.

 

 

Enea entrò facilmente all'interno della stanza dove era conservata la sua anima. Era un ambiente rettangolare molto ampio, con le pareti ricolme di finestre ad arco. Un davanzale di pietra correva tutto intorno, alto poco più di un metro. Il soffitto era finemente decorato con fregi oro, bianchi e azzurri. La stanza era vuota. Non vi era niente a parte una fiamma sospesa al centro. Aveva la forma di una fiamma, ma la consistenza ricordava quella di una nuvola. Era azzurro brillante, come il cielo di una tersa giornata a mezzogiorno. Senza pensarci du volte Enea si lasciò avvolgere dalla sua anima. Era un processo a cui era abituato, guardare la sua vita scorrergli davanti agli occhi. Eppure questo volta qualcosa era cambiato. Gli ci volle poco per capire che quel qualcosa era lui. E proprio mentre se ne rendeva conto rivide la scena che lo aveva fatto cambiare. E non credette a ciò che aveva di fronte. Dopo tutti gli anni passati a cercare di nascondere quello che era per il bene del suo regno era bastata una singola occhiata per abbattere i muri che con tanta cura aveva costruito. E questo lo spaventava. Ma la paura non bastava a coprire un'altra emozione che si stava facendo strada, il desiderio. Era questo che lo terrorizzava ancora di più. Era qualcosa di nuovo mai provato prima. Certo apprezzava la vista dei bei corpi tonici e rilucenti di sudore dei suoi compagni di allenamento, ma non aveva mai provato desiderio verso di loro. Eppure era bastato un singolo sguardo per accenderlo. Un singolo sguardo dagli occhi più neri che aveva mai visto. Si riscosse dai suoi divaganti pensieri quando uscì dalla stanza della sua anima. Era così concentrato nel non pensare a quelle iridi scure che non era reso conto di avere Hermia proprio di fianco. Per tutta la ricerca cercò di concentrarsi buttando fuori dalla sua mente quel ricordo. Non ebbe molto successo finchè non si trovò di fronte alla fortezza di cui erano prigionieri. In quel momento la sua parte di guerriero sovrastò la parte confusa.

-Hilarion. Che ne pensi?- lui si era già fatto un'idea quando li avevano portati lì. La visione dell'alto aveva confermato ciò che sospettava. Girarono intorno alla montagna.

-È ben costruita, la parte fuori dalla roccia è intaccabile da qualsiasi direzione. È stata costruita come fortezza da utilizzare in tempi di assedio. Non capisco come sia possibile che in alcune delle stanze più profonde arrivi la luce naturale... Credo che esista un'altra via d'uscita oltre alla porta d'ingresso- disse Hilarion indicando una scalinata nella roccia. Portava a un minuscolo molo. Enea annuì.

-Quindi esiste una via d'uscita secondaria, non ne avevo mai sentito parlare. Dubito che Akakios lo sappia, altrimenti non ci avrebbe mai rinchiusi qui. Senza sapere dove cercare ci vorranno settimane prima di scoprirla. Per quanto riguarda la luce naturale, la luce penetra da buchi nella roccia-

Enea e Hilarion si guardarono. La fortezza era davvero impenetrabile e con le loro risorse non avevano molta scelta su cosa fare.

-Vieni, torniamo indietro. È pericoloso restare separati troppo a lungo dal nostro corpo-

 

Arcadia – 1 giorno. Ore 16.44

 

Enea, Hermia, Kosmas e Hilarion aprirono gli occhi tutti nello stesso istante.

-Finalmente. Ci avete messo un sacco di tempo- fece acida Ariadne. Epeo la guardò male prima di dire:

-Avete scoperto qualcosa?-

-Sì, ma non sarà facile uscire di qui- rispose Enea sospirando.

-Io e Kosmas abbiamo analizzato il castello. Abbiamo trovato il meccanismo che aziona le porte principali. Serve un semidio per aprirle. E temo che Akakios abbia intrappolato qualcuno o qualcosa all'interno del suo trono. Quando Kosmas mi ha detto che avvertiva della vita non ci ha pensato molto, ora però mi sono resa conto che forse là dentro c'è un semidio. Ed è la persona rinchiusa che causa le scosse. Deve avere a che fare con il meccanismo- disse Hermia.

-Ha rinchiuso qualcuno dentro al trono?- chiese sbalordita Ilektra. La sua espressione sbigottita era dipinta sul volto di tutti gli altri.

-Sotto al trono c'è una stanza. L'ultima volta che siamo stati qui ho avvertito uno spazio vuoto sotto alla sala del trono. È possibili che qualcuno sia intrappolato lì- confermò Enea.

-Siete già stati a Creta?- domandò Cassiopea.

-Avevamo otto anni. Dubito che Akakios si ricordi di noi. Era appena salito al trono allora. Il re precedente era suo fratello maggiore. È morto in mare undici anni fa, con la moglie e i figli. Akakios era l'unico in linea di successione per il trono. Ha moglie, ma non figli maschi- rispose.

-Già, le principesse. Sono gemelle anche loro. Dovrebbero avere circa vent'anni adesso- disse Hermia senza apparente motivo.

-Io e Hilarion abbiamo scoperto che esiste una via d'uscita secondaria- a queste parole, il caos esplose. Ogni persona presente nella stanza iniziò a parlare a voce sempre più alta finchè Enea non fece rimbombare un tuono tra le pareti di pietra. Il silenzio calò di nuovo.

-Non abbiamo idea di dove sia. Fino a pochi minuti fa non sapevo nemmeno che esistesse. Possiamo sperare che ormai il suo segreto si andato perduto da secoli. Non credo che Akakios ne sia a conoscenza, questo ci da un vantaggio. Ma continuiamo ad avere il tempo contro di noi. Per cui dobbiamo sbrigarci e darci tutti da fare. Inizieremo domani mattina presto, ora andiamo a riposare- alle parole di Enea i semidei iniziarono ad uscire ordinatamente dalla sala. Un briciolo di speranza era tornato a brillare nei loro animi. Anche Enea fece per uscire, ma Hermia gli afferrò il polso.

-Non ho percepito un passaggio secondario prima. L'ho cercato, ho visto i segreti di questo posto. Non ci sono vie d'uscita che il mio potere è riuscito a percepire. Dovremo cercare alla vecchia maniere. Chiunque abbia costruito questo posto era molto potente. E pericoloso. Molto pericoloso-

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

E ovviamente è dovuto passare un mese prima che aggiornassi. Mi scuso con tutti voi, spero possiate perdonarmi. Parte del ritardo di questo capitolo è dovuto al fatto che per circa una settimana non ho potuto scrivere niente di niente perchè ero in vacanza con le mia amiche, senza computer. Un altro motivo è il fatto che ho impiegato giorni a trovare le canzioni adatte a Hermia, Enea, Kosmas e Hilarion. Per descirverle a parole non vi dico.

La differenza di lunghezza della descrizione è per via della lunghezza stessa della canzone e della distanza delle persone all'intenro dell'ambiente.

Vi lascio qui i titoli delle canzoni:

Hermia: Sonata 29 in B flat major Hammerklavier 4th di Beethoven suonata da Glenn Gould

Enea: Seiken Tsukai no World Break OST – Main Theme

Kosmas: Ballet Music in G from “Rosamunde” di Shubert

Hilarion: Nocturne Op. 9 No. 2 di Chopin
 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Lo so che questo volta mi concentro molto solo su quattro personaggi, tre dei quali sono miei, ma ho dovuto farlo per forza di cose. Spero inoltre che il fatto che sia molto più lungo del solito posso attutire il ritardo accumulato.

Un enorme bacio

Diamante

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Capitolo 16
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.10

 

Non ci sono altre possibilità: o troviamo quell'uscita, o moriamo tutti”

 

Quelle parole continuavano a rimbalzare nella testa di Melissa. Non avrebbe mai dovuto origliare quella conversazione, lo sapeva. Eppure l'aveva fatto. Quando Enea ed Hermia erano rimasti nella Grande Stanza il primo giorno, solo la sacerdotessa di Estia se n'era accorta. Era tornata sui suoi passi per capire se era successo qualcosa e li aveva sentiti parlare. Non aveva pensato alle conseguenze quando aveva deciso di rimanere ad ascoltare. Ora, più di una settimana dopo se ne pentiva amaramente.

Non avevano trovato niente che potesse anche solo somigliare ad un indizio sulla posizione del passaggio. Melissa aveva paura di morire. Ma quello che la spaventava ancora di più era la presenza costante della paura stessa. Non era abituata ad avere paura, non era abituata a vivere costantemente un'emozione. Lei aveva un modo particolare di percepire i sentimenti: arrivavano tutti insieme, violenti come un'esplosione di fuoco greco e poi scomparivano fino a diventare una piccola fiammella. Erano ventidue giorni che il fuoco della paura bruciava dentro di lei, non si era affievolito e non si sarebbe spento fino al suo ritorno a casa. O alla sua morte. E questo la terrorizzava. La paura annebbia la ragione, la paralizzava impedendole di fare ciò che doveva. E Melissa non poteva permettersi il lusso di tentennare. Se avesse esitato ad agire sarebbe morta. Voleva evitare tutto ciò. Non capiva come alcuni di loro fossero così calmi e composti. Non solo Hermia ed Enea, ma anche Ariadne, Cassiopea ed Epeo sembravano immuni alla situazione. O forse fingevano e basta.

Melissa non era sola nel suo vagare nei bui corridoi della loro prigione. Quel giorno insieme a lei c'era Callimaco. Il figlio di Afrodite non era di certo il suo compagno preferito, era enigmatico e silenzioso. La sua espressione era sempre piatta, Melissa non riusciva mai a capire a cosa stesse pensando. Un attimo sembrava la persona più innocua del mondo, quello dopo aveva l'espressione di un predatore che ha messo all'angolo la sua preda. Non si fidava di lui, era senza ombra di dubbio capace di nascondere in maniera eccellente molte, troppe, cose.

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.15

 

L'unico che probabilmente si stava godendo anche solo un po' il fatto di essere divisi in coppie per poter cercare una via d'uscita quasi sicuramente inesistente o crollata da tempo immemore era Kosmas. E quel solo un po' era dovuto alla presenza di Hilarion accanto a sé. Da quando aveva avvertito il tocco della sua mente più di una settimana prima, l'unica cosa che desiderava era poterlo avvertire di nuovo. In quanto figlio di Demetra Kosmas aveva un legame particolare con la natura e le piante, ma aveva anche l'abilità di avvertire il profumo delle emozioni altrui. Non aveva idea del perchè, forse era dovuto alla presenza di un figlio di Afrodite tra i suoi antenati. Tuttavia anche se non ne comprendeva le origini era un potere che amavo molto. Tutti sono in grado di capire lo stato d'animo delle persone, l'importante è osservare attentamente le reazioni del corpo. Ciò che una persona non dice è molto di più di quello che dice. Questo l'aveva imparato molto tempo prima, quando era solo un bambino e l'aveva coltivato in tutti gli anni in cui era stato cresciuto come una fanciulla di buona famiglia. Non era in grado di controllare le emozioni che avvertiva, ma una volta che sapeva cosa gli altri stavano provando era facile agire di conseguenza. Per questo Kosmas amava quel potere più di ogni altro che possedeva, all'apparenza sentire fragranze nell'aria può essere considerato qualcosa di inutile, ma dopo averlo allenato dava a Kosmas una sicurezza stabile e decisa. E ora lo stava spudoratamente usando su Hilarion. Da quando aveva sentito il profumo della sua anima non riusciva a togliersi di dosso l'odore di fuoco e muschio. Desiderava sentire di nuovo quella fragranza che lo attirava così tanto. Kosmas sapeva che a volte le persone possedevano dei profumi che per altre erano impossibili da ignorare. Erano inevitabilmente attratte verso di loro. Il figlio di Demetra si sentiva così verso Hilarion, voleva avvertire tutte le sue emozioni, voleva sentire il calore del suo corpo di fianco al suo. Quel suo corpo massiccio e muscoloso non stava facendo niente per impedirgli di pensare a lui, anzi peggiorava la situazione.

 

Dal canto suo Hilarion ignorava la battaglia che si stava svolgendo in quel momento nella testa del suo compagno di ricerche. Le sue esigenze erano semplici e non si faceva problemi a lottare per ottenerle. In quel momento, la spada che aveva lasciato ancora incandescente sulla sua incudine era un chiodo fisso. Le sue mani vibravano dalla voglia di prendere impugnare il martello, ne sentiva la necessità fisica. Strinse i pugni, flettendo le dita, come se avesse tra i palmi l'impugnatura del martello e della spada che stava forgiando. Notò che Kosmas lo stava guardano in modo buffo, come se non riuscisse a capire che stesse facendo. Cosa molto probabile.

-Stai bene?- gli chiese dopo qualche minuto Kosmas. Hilarion si voltò a guardarlo prima di annuire. Era un ragazzo di poche parole, se c'era un modo di rispondere senza aprire bocca allora lui lo afferrava al volo. Kosmas continuò a guardalo come un cucciolo guarda l'adulto, con occhi curiosi e brillanti.

-Allora perchè hai le spalle così tese?- era vero, non si era accorto che teneva ancora le mani strette a pugno e aveva irrigidito i muscoli delle spalle talmente tanto che avevano iniziato a fargli male. Ma nonostante tutto si rifiutò di rilassarli. Kosmas si fece un passetto più vicino e senza preavviso gli afferrò la mano destra. Hilarion si voltò sorpreso. La pelle del figlio di Afrodite era fredda e incredibilmente morbida contro quella ruvida e piena di calli del figlio di Efesto. La sua tonalità chiarissima risaltava su quella scura di Hilarion come perle in un mare nero. Delicatamente iniziò a passare le dita sui tendini tesi e sulle nocche. Aveva le mani minuscole in confronto a quelle del diciannovenne. Hilarion avrebbe mentito se avesse detto che questo fatto non gli piaceva. Lentamente Kosmas fece in modo di liberare il palmo dalla morsa delle corte unghie del fabbro. Poi poggiò la punta del proprio indice al centro di suddetto palmo e premette. Hilarion non aveva la minima idea di cosa Kosmas stesse facendo, eppure già sentiva la tensione andare via. Stettero in quella posizione per pochi secondi prima che il figlio di Demetra interrompesse il contatto. Fece una giravolta su se stesso sorridendo.

-Andiamo!- esclamò quando si fermò. E si incamminò tutto contento verso la fine del corridoio che stavano percorrendo. Hilarion abbassò lo sguardo sulla sua mano. Dove prima Kosmas lo aveva toccato ora era disegnato un piccolo papavero che scomparve sotto i suoi occhi come se non fossa mai esistito. Quando riportò la sua attenzione al corridoio lo spazio di fronte a lui era deserto. Per un attimo si allarmò poi però sentì il rumore dei passi di Kosmas poco più avanti. Scuotendo la testa si affrettò a raggiungerlo.

 

Arcadia – giorno 15, ore 9.00

 

Callimaco non si stava impegnando minimamente nella ricerca di una qualche misteriosa porta segreta. Non che la sua mente non stesse lavorando, anzi era impegnatissima. Solo che il motivo per cui era impegnata non era di certo giocare a nascondino con la suddetta misteriosa porta segreta. Era abbastanza intelligente da capire che pensare a come sedurre un bellissimo principe non era di priorità massima in quel momento. Non che a Callimaco importasse molto della priorità delle cose, per lui sentire quei muscoli sotto le dita era di urgenza immediata. Scommetteva che sarebbe stato come sentire dura roccia sotto un velo di preziosa e morbida stoffa. Aveva già l'acquolina in bocca al solo pensiero. Ora doveva soltanto trovare un modo per rimanere solo con lui. Cosa alquanto complessa, non si staccava mai dalla sorella. Che poi come era possibile che fossero gemelli con genitori divini diversi, Callimaco non ne aveva idea. Avrebbe dovuto chiedere ad Enea, non era certo timido. Erano passati quindici giorni da quando avevano deciso di intraprendere quella ricerca ed erano quindici giorni che Callimaco sperava di ritrovarsi in coppia con il figlio di Zeus. Ma ovviamente il giovane principino doveva stare con l'amata sorellina. Il diciassettenne fece un'espressione acida, sapeva di essere irrazionale in quel momento, se si fermava a pensare un momento riusciva a capire il perchè della sua scelta. Sapere il motivo non lo aiutava certo a combattere l'attrazione che provava nei suoi confronti.

Quel giorno era di cattivo umore, peggio del solito cattivo umore, molto peggio. Poiché quel giorno Enea non gli aveva staccato gli occhi di dosso quando si erano riuniti per mangiare e quando si erano divisi aveva avvertito il suo sguardo sulla sua schiena. Callimaco aveva sperato fosse la volta buona e che finalmente avesse la possibilità di strapazzarselo per bene, ma ovviamente era troppo bello per essere vero. Il figlio di Afrodite sapeva benissimo che il broncio che gli decorava il volto era totalmente irrazionale e altamente inutile. Con lui c'era Melissa, la dolce, silenziosa Melissa. La sacerdotessa di Estia, pura e casta. E con un pessimo gusto nei colori, non che lui potesse fare niente, era lei ad andare in giro con una mantellina dai toni terrosi e tristi. Fatto sta, che anche se era irrazionale e molto infantile Callimaco non poteva impedire di sentirsi insoddisfatto, triste e vagamente offeso.

 

Arcadia – giorno 15, ore 9.30

 

All'insaputa di Callimaco, il soggetto dei suoi desideri stava avendo una profonda crisi esistenziale.

-Gah, Hermia!- esclamò Enea stringendosi la testa tra le mani. La sorella lo ignorò ispezionando la parete anche con la vista oltre che con la mente. Teneva una mano appoggiata alla roccia in modo da esaminare con attenzione la sua superficie. Enea non la stava aiutando minimamente, troppo preso a reagire in maniera esagerata a qualcosa di perfettamente fisiologico.

-Non stai nemmeno provando ad aiutarmi- fece Enea rivolto alla sorella. Hermia lo guardò.

-Chi è che deve aiutare chi esattamente?- rispose.

-Questo non è il momento di cercare una via d'uscita la cui esistenza è assai discutibile. Io qui, sto avendo un problema che mi fa sapere della sua presenza prendendomi a calci nel sedere. Ora, tanto bisogna tornare indietro comunque, quindi adesso mi aiuti e dopo guardi- non si era fermato per parlare continuando a camminare. Per sottolineare il suo discorso stava muovendo le mani in maniera molto teatrale ed estremamente eccessiva. Hermia si fermò, senza tuttavia staccare la mano dal muro. Sospirò molto profondamente, non riusciva proprio a capirlo Enea. Aveva la straordinaria capacità di creare problemi dove non ce n'erano.

-Ascolta. Te lo ripeto da tutta la vita. Fregatene delle opinioni altrui e prendi quello che vuoi. A patto che questo non causi una guerra. Ora ascolta bene: Callimaco ti vorrebbe nel suo letto da quando ti ha visto -a quella frase Enea emise un suono strozzato che assomigliava al verso di un'anatra morente -e da quel che vedo te vorresti essere nel suo di letto da quanto tu hai visto lui. E dato che è un sentimento reciproco e parecchio visibile, io, in quanto sorella e in quanto persona che vorrebbe vivere senza la presenza di due idioti sessualmente repressi nella stessa, ti dico di andare da lui ed essere chiaro e coinciso- aveva staccato la mano dalla parete, dato che ora aveva l'indice puntato contro il suo petto. Enea indietreggiò finchè la sua schiena non toccò la pietra dell'altra parte del corridoio. Hermia faceva veramente paura con lo sguardo che aveva in quel momento. Sapeva anche che aveva ragione, ma conosceva se stesso. Se avesse permesso a Callimaco di avere un contatto così intimo, sarebbe inevitabilmente entrato nel suo cuore. Ed Enea non poteva permettersi di innamorarsi di lui. Specialmente in quel momento così critico e perchè sapeva che il figlio di Afrodite non avrebbe provato per lui gli stessi sentimenti; quello che Callimaco voleva era un rapporto fisico per fingere che andasse tutto bene con il proprio di cuore. Enea era capace di leggere nelle persone, aveva visto che il cuore di Callimaco apparteneva a qualcun'altro, qualcuno che non poteva avere. E per non soffrire ricercava il piacere fisico. Non voleva un rapporto così. Enea sapeva che avrebbe dovuto sposare una giovane donna se fosse tornato a casa, era l'erede al trono di suo padre. Non era sicuro che sarebbe stato capace di consumare un rapporto fisico con una ragazza dopo aver assaporato il piacere di giacere con un uomo. Per questo Enea teneva a freno il suo stesso desiderio. Non poteva permettersi di innamorarsi di Callimaco. Se non avessero trovato quel passaggio avrebbe dovuto sopportare la morte di Hermia, non avrebbe retto la morte di una seconda persona amata. Abbassò la testa.

-Il mio problema non è le opinioni altri Hermia. E questo lo sai bene. Non posso innamorami di lui, capisci. Non reggerei il peso della sua morte-

-Chi ha detto che deve morire?- chiese Hermia dolcemente. Enea sentì le sue dita fredde contro la pelle bollente delle sue guance.

-Me lo avevi promesso, ricordi. Che avresti vissuto. Se non troviamo quel passaggio, moriremo tutti comunque, te compreso- lo disse con tono leggero, cercando di stemperare la gravità delle sue parole -tanto vale rischiare il tutto e per tutto. E lottare per quel che si vuole. Sapevo che saremmo finiti in questa situazione, lo sapevo da quando ho visto Callimaco scendere da quella nave. E sapevo anche che tu non mi avresti detto nulla riguardo ai tuoi sentimenti, nonostante io sia praticamente parte di te. Ho dovuto tirartela fuori con le pinze quella confessione! Per una volta lascia perdere i tuoi doveri di principe e fai quello che desideri. Se non vuoi andarci a letto così su due piedi, impara a conoscerlo. E chissà, magari alla fine nel suo letto ci arrivi lo stesso- sogghignò Hermia. Poi lasciò andare il fratello e si incamminò lasciando Enea spiazzato e con il viso dello stesso colore dei chicchi di melograno. La figlia di Poseidone sorrise soddisfatta.

 

Arcadia – giorno 15, ore 12.00

 

L'unico motivo per cui Ariadne non si stava lamentando era perchè avrebbe dovuto aprire bocca. E forse perchè quello era l'unico modo per uscire di lì e tornare vincente da suo padre per sbattergli in faccia la sua superiorità. Ma questo Ariadne lo dava per scontato. Si era resa conto che anche nel caso in cui lei a casa non ci fosse più tornata, a perdere era sempre suo padre. Questo rendeva la morte un po' meno spaventosa. Il che non voleva certo dire che Ariadne volesse morire, anzi, aveva un desiderio estremo di vivere. Lei se ne sarebbe andata, in un modo o nell'altro, anche a costo di tornare a Tebe a nuoto. Perciò sopportava quelle ore di attività poco principesche, anche in compagnia di persone con cui non voleva avere minimamente a che fare. Sopportava lo sporco, che odiava, la possibilità di incontrare malaugurati insetti disgustosi, che odiava ancora di più dello sporco e sopportava la presenza di persone mediocri e assolutamente inutili per i suoi scopi.

Quel giorno era in coppia con Thaddaios. Per quanto il figlio di Ermes non gli piacesse, era sempre meglio dei principi di Atene. Hermia in modo particolare la infastidiva talmente tanto che non riusciva a guardarla senza sentire la rabbia montarle dentro. All'inizio non capiva il motivo, ma più i giorni passavano più si era resa conto che Hermia era più simile a lei di quanto volesse ammettere. Non sarebbe stata in grado di aggirarla. Inoltre su di lei il suo potere non funzionava, come non aveva nessun effetto su Enea. Non riusciva a capire perchè. E questo la mandava su tutte le furie. Mentre cercava quella fantomatica via di uscita stava mettendo a punto il suo personale piano per uscire. La differenza principale tra lei e Hermia era che la figlia di Poseidone era altruista. Metteva gli altri prima di se stessa. Ariadne considerava l'altruismo una debolezza. “Porta solo all'annichilimento di chi siamo come persone” era una frase che ripeteva spesso. Il suo popolo la considerava egoista e deplorevole, ma lei li prendeva come complimenti. Significava che avevano paura di lei. Non poteva negare che amava avere un potere assoluto sugli altri. Ovviamente si era ripromessa che la maggior parte del lavoro sporco sarebbe toccato a qualcun'altro. Tra tutti i ragazzi che avevano fatto coppia con lei Thaddaios si era rivelato quello più adatto al suo scopo. Non che fosse estremamente forte o intelligente, ma perché era il più malleabile tra tutti gli altri semidei. Aveva paura di tutto, la sua mente era debole e facilmente controllabile. Inoltre era un sempliciotto, a suo parere. Non sarebbe stato difficile portarlo dalla sua parte. Un paio di battiti di ciglia, qualche oscillazione dei fianchi, una scollatura che lasciava poco all'immaginazione ed era fatta. Non vedeva l'ora che le conseguenze delle azioni di suo padre gli esplodessero in faccia.

 

Ovviamente Thaddaios non aveva idea di essere stato scelto per diventare una marionetta. Se ne stava tutto concentrato analizzando ogni singola parte dei quei maledetti muri di pietra. Non vedeva l'ora di andarsene da quel luogo. Lo terrorizzava a morte, il gioco di parole non era esattamente voluto e purtroppo veritiero. Ariadne aveva ragione su una cosa: Thaddaios si spaventava facilmente. Ma Ariadne non si era resa conto che non possedeva solo un lato codardo e debole. Tra tutti i semidei presenti in quella fortezza Thaddaios era l'unico il cui egoismo era pari a quello della sacerdotessa di Era. Poteva essere diabolico e se avesse dovuto scegliere tra la propria vita e quella di centinaia di altre persone avrebbe scelto la sua senza esitazione. E senza rimorso. Sarebbe arrivato persino a tradire i suoi compagni pur di sopravvivere. Perchè temeva la morte sopra ogni altra cosa. Avrebbe fatto di tutto per andarsene e sopravvivere, anche a costo di essere un fuggitivo per tutta la vita. O di passare dalla parte di Akakios. Conosceva un paio di figli di Ermes che avrebbero potuto sostituirlo, non si sarebbe di certo fatto scrupoli a fornire dei nomi. Sperava solo che il re di Creta ci mettesse molto tempo a fare quello che aveva in mente di fare perchè altrimenti non avrebbe avuto modo di trovare una scappatoia. Credeva all'esistenza del passaggio di cui avevano parlato Hilarion ed Enea, doveva crederci, altrimenti sarebbe impazzito. Eppure sapeva che non l'avrebbero trovato con la stessa facilità con cui i bambini trovano le conchiglie sulla spiaggia. Ci sarebbero voluti giorni, settimane per riuscire a individuare l'uscita. Senza contare il fatto che non potevano andare troppo lontano, per ora se l'erano cavata dato l'enorme numero di possibili corridoi. Ma presto i corridoi sarebbero finiti e loro avrebbero dovuto rischiare e inoltrarsi più a fondo. Thaddaios sperava davvero che Akakios ci mettesse tanto tempo e che non fosse lui il primo a morire.

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.45

 

Agape non aveva la minima idea di dove Orion trovasse l'energia per schizzare avanti e indietro per quel corridoio. Erano ore che saltellava, non si era fermato un attimo. E la cosa peggiore era che mentre saltellava, parlava. Mai nella sua breve vita Agape aveva incontrato qualcuno la cui parlantina eguagliava quella del giovanissimo figlio di Dioniso. Per la prima ora l'aveva sopportato, anche perchè era curiosa di conoscere come vivevano nella città di Salonicco, così a Nord rispetto a Rodi. Prima di essere scelta come sacrificio Agape non si era mossa dalla città in cui era nata. Era cresciuta con la consapevolezza che da lì lei non se ne sarebbe mai andata. Sarebbe morta sull'isola che la teneva in gabbia. Agape aveva sempre considerato il fatto di trovarsi su una terra circondata dal mare una fortuna per il padre adottivo. Così tutte le giovani che si offriva di aiutare e che costringeva a lavorare per lui non sarebbero mai scappate. Non avevano abbastanza soldi per pagare qualcuno che le portasse via, non potevano di certo imbarcarsi clandestinamente altrimenti il loro destino sarebbe stato peggio di quello che avevano sulla terraferma e Hippolotus non aveva mai insegnato loro a nuotare. Per cui la scelta era rimanere o morire annegate. Nessuno aveva mai scelto quello strada. Ora Agape stava iniziando a pentirsi di non averlo fatto, di certo morire annegata era molto meglio che morire in qualche modo orribile per gli scopi di un vecchio pazzo.

Per questo aveva ascoltato con interesse i racconti di Orion sulla sua vita prima della partenza. Su come avesse due madri, una biologica e una “adottiva”, su come le amasse entrambe con tutto se stesso, su come nessuno lo beccava mai quando rubava qualcosa da mangiare al mercato. Poi però la mancanza di silenzio aveva iniziato a farsi sentire e ora l'unica cosa che desiderava era che Orion stesse zitto e camminasse come una persona normale. Aveva trovato un modo per rendere la voce squillante un sottofondo, ma si era resa conto che in entrambe le situazioni la malinconia la dilaniava. Voleva rivedere il panorama dall'alto della collina, addormentarsi di nuovo sotto gli ulivi e sentire ancora la fresca leggerezza della brezza marina sfiorarle la pelle come un bacio di un amante delicato. Eppure nel suo cuore sapeva che non sarebbe mai più riuscita a farlo. E questo la dilaniava, perchè anche se fosse sopravvissuta non avrebbe mai rimesso piede nella casa di Hippolotus. Agape si chiese se mancasse a qualcuno. Forse alle ragazze come Kalomira e Demetra, le stesse ragazze che aveva tirato fuori dal baratro in cui erano cadute dopo la loro prima sera. La figlia di Apollo sperò che la sua assenza non avesse distrutto quel poco di libertà che aveva ottenuto per loro.

 

Orion saltellava per il corridoio come se niente lo preoccupasse. Senza pensieri e senza dolori. Parlava veloce e automaticamente, raccontava episodi salienti della sua vita, di come amasse le madri e di come si divertiva a fregare i commercianti avidi che vendevano la loro merce a prezzi decisamente alti. Quasi tutti i semidei con cui aveva fatto coppia gli avevano intimato di starsene zitto e aprire bocca solo per comunicare qualcosa di estremamente importante e necessario. Agape gli stava permettendo di parlare a ruota libera. Orion aveva bisogno di farlo, era la sua valvola di sfogo. Alcuni tirano di scherma, altri riempono un bersaglio di frecce e altre ancora coprono di lividi un corpo. Lui parlava. Ne aveva bisogno, doveva tirare fuori l'energia che gli ribolliva dentro e saltellare non bastava. Era iperattivo quando era calmo e tranquillo, la situazione non faceva assolutamente nulla per renderlo docile. Anzi la paura aumentava la sua energia e la malinconia rendeva necessario tirarla fuori. Ad Orion mancavano la madre ed Eulalia, gli mancavano come se loro fossero la sua aria e lui stesse annegando. In quel momento aveva dimenticato tutto il rancore che ancora sapeva di provare verso sua madre Ninphadora, per via di come lo avesse cresciuto di nascosto. Conosceva le ragioni del suo gesto e lo comprendeva, ma non poteva fare a meno di pensare che avrebbe potuto trovare un'altra soluzione. Ora perdonava ogni cosa e il suo unico desiderio era poterla riabbracciare, lei ed Eulalia, la sua balia, la sua seconda mamma.

Orion era infantile sotto molti punti di vista. Il suo aspetto fisico per prima cosa, nonostante avesse quattordici anni era piccolo e magro, tutti lo vedevano come un bambino e lui aveva iniziato a comportarsi come tale. Poi c'era il suo rifiuto di crescere, crescere avrebbe voluto dire abbandonare la casa in cui era cresciuto e questo Orion non voleva farlo. Infine amava giocare e correre, inseguire gli animale nei loro giri e recitare ruoli a teatro, amava fingere di essere famoso e importante. Aveva imparato a correre veloce anche per questa sua passione oltre al fatto che rubacchiava in giro. Per questo Orion voleva tornare a casa, per poter ritornare a vivere come faceva prima.

 

Arcadia – giorno 15, ore 10.00

 

Cassiopea ed Epeo stavano avendo una conversazione più o meno civile. Non si erano ancora uccisi per cui la figlia di Ares la considerava tale. Certo sarebbe stato compromettente farlo proprio in quel momento. Poi avrebbe dovuto portare il corpo del figlio di Atena fino all'ingresso principale. Ovvimente dava per scontato che sarebbe stata lei a vincere, dopotutto erano poche le persone che erano in grado di batterla sul campo di battaglia e anche in quei casi era solo perchè avevano una conoscenza migliore del terreno. Fatto sta che Epeo non aveva ancora detto niente che potesse anche solo lontanamente suscitare la sua rabbia. E parlavano da ben quindici minuti, non si sarebbe mai aspettata tale risultato. Forse era dovuto all'argomento di sudetta conversazione: entrambi volevano tornare a casa, per motivi diversi, certo, ma lo scopo finale era lo stesso. Cassiopea non si sarebbe mai arresa. Non era nel suo carattere e anche se non fosse stata così testarda di suo, di certo non si sarebbe mai sottomessa ad un uomo come Akakios. Aveva giurato a se stessa che se mai si fosse trovata nell'improbabile circostanza di non poter combattere l'uomo che avrebbe scelto per se stessa sarebbe stato un uomo d'onore, leale e che la capisse abbastanza da lasciarla libera. Sapeva di chiedere molto, ma sapeva anche che l'eventuale caso di matrimonio era anche minimo. Non era una di quelle ragazze che pregavano per avere qualcosa che ancora non possedevano o per evitare situzione spiacevoli, eppure in quel momento capiva per la prima volta le emozioni che spingevano quelle giovani alle preghiere disperate a dei che molto probabilmente se ne sarebbero altamente fregati.

-Il colore della roccia cambia a seconda di vari fattori. A seconda della sua vecchiaia oppure per via di infiltrazioni di altri elementi. Il passaggio che cerchiamo sappiamo che esiste solo grazie al fatto che abbiamo trovato un'uscita, ma non conosciamo nulla delle sue gallerie interne; potrebbero essere crollate, potrebbero anche non esistere affatto e quello che Enea e Hilarion hanno visto è lo sbocco di un diverso passaggio. Sono cose che non sappiamo per certo e che aprono le porte a infinite possibilità non molto piacevoli- stava dicendo in quel momento Epeo. Era da un bel po' che blaterava fatti completamente a caso sperando di fare luce sulla faccenda.

-Sei troppo fissato sulle possibilità future Epeo, non serve a niente pensare al futuro se non sappiamo nemmeno cosa ci riserva il presente- disse interrompendolo.

 

Epeo si voltò a guardarla. Il figlio di Atena odiava non sapere le cose, come ogni figlio di Atena che si rispetti. E ritrovarsi con così poche informazioni lo stava facendo impazzire piano piano. Il fatto che non si potessero minimanente collegare tra di loro rendava peggiore il suo stato mentale. Epeo amava tutto ciò che era legato alla logica. Non c'era niente di logico nella situazione in cui si trovava in quel momento. Il loro destino era nelle mani di un re pazzo. Ovviamente essendo pazzo non poteva ragionare come tutti gli altri. La loro unica possibilità di salvezza era rappresentata da una fantomatica via d'uscita di cui conoscevano solo l'esistenza grazie ad un buco a strapiombio sul mare. Decisamente non logico, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Hermia ed Enea avevano deciso che cambiare il compagno ogni giorno era un'idea eccellente. Cosa assolutamente non logica, come fai a imparare a conoscere qualcuno se lo vedi una volta sola? Per cui Epeo aveva bisogno di qualcosa di logico su cui concentrarsi. Aveva deciso che la malinconia che provava verso casa era perfettamente logica. Erano giorni che Epeo rifletteva sulle conseguenze nel caso in cui non fosse tronato. Evitava di pensare al caso opposto perchè avrebbe dovuto fare i conti con i suoi sentimenti, Epeo non era bravo con i sentimenti, proprio per niente. Per tenere la mente occupata parlava. In quel momento, prima che Cassiopea lo interrompesse con una frase sorprendentemente saggia, stava blaterando riguardo ai vari colori della roccia e le possibiltà che quel che stavano così affannatamente cercando non esistesse nemmeno.

-Pensare al futuro è una cosa perfettamente logica e razionale. Se a te ti tranquillizza pensare ai vari modi di uccidere un nemico, a me tranquillizza pensare cose logiche- fu la sua piccata risposta, nonostante sapesse in fondo in fondo che Cassiopea aveva ragione. Pensare al futuro lo faceva soffrire più di quando fosse disposto ad ammettere.

-Beh, allora pensa e basta al tuo futuro- disse la figlia di Ares, stressando il tono sulla parola pensare.

 

Arcadia – giorno 15, ore 13.30

 

Ilektra e Glykeria si erano parlate il minimo indispensabile. Non perchè si stessero antipatiche ma perchè non avevano niente da dirsi. Entrambe osservavano attentamente la parte di parete che si erano assegnate. Non sentivano la necessità di iniziare un discorso.

 

A Glykeria non dispiaceva il silenzio, era abituata a stare zitta per ore quando andava a caccia. Le mancava profondamente la sensazione dell'arco fra le dita, l'adrenalina che le scorrava nelle vene quando addocchiava la sua preda, i movimenti felini e silenziosi che faceva per prepararsi al lancio perfetto. Ma più di tutti le mancavano le sue compagne. Di notte rivedeva i loro volti, intorno al fuoco o al chiarore della luna e delle stelle, nella penombra di una giornata nuvolosa o sotto il sole accecante in mezzo ad una radura. E i volti di Danai e Isidora erano quelli che la tormentavano di più. Rivedeva Danai stesa a terra, una freccia in mezzo alle scapole, immobile. Rivedeva il dolore sbocciare sul viso di Isidora mentre il suo ventre si colorava di rosso. Non l'aveva vista morire. Rimpiangeva di non averlo potuto fare, avrebbe voluto almento stare con lei nei suoi ultimi momenti. Allo stesso tempo però desiderava che al suo posto che fosse Isidora, che fosse stata lei la prescelta per sopravvivere un po' più a lungo. Isidora sarebbe riuscita ad andarsene, Glykeria ne era certa. Se ne sarebbe andata e avrebbe portato ad Artemide almeno il nome di coloro che avevano osato far loro del male. Glykeria non era come Isidora, non aveva la stessa forza interiore. Certo era forte, ma la sua forza non veniva dalla solitudine. Lei era forte insieme alle sue compagne, non era portata per brillare in prima linea. Lei era una persona da retrovie, il tipo che ti aiuta di nascosto e non desidera altro che vederti avere successo. Non aveva bisogno di riconoscimento, considerava il lavoro stesso come tale. Per questo odiava la sutuazione in cui si trovava. Non poteva svolgere il solito ruolo che di solito aveva. Per poter tornare dalle Ccacciatrici doveva brillare più forte di quanto avesse mai brillato in tutta la sua vita. Non poteva essere l'ombra dietro a tutti. Invidiava un po' le persone come Enea, Hermia o Ariadne, così a loro agio sul piedistallo in cui si trovavano. Se fosse stato per le sul piedistallo non ci sarebbe mai salita, odiava stare al centro dell'attenzione, era decisemente più brava ad eseguire gli ordini piuttosto che ad impartirli. Ed ora doveva prendere il comando di se stessa e risplendere al fianco di altre stelle. Forte e luminosa. Non poteva stare dietro la loro luce, non più ormai. Era un freno più che sufficiente per lei.

 

Ilektra odiava essere chiusa in gabbia. Lo era stata per mesi e quando l'avevano liberata credeva di non dover tornarci mai più. E invece era finita in una gabbia ancora più profonda di quella in cui era prima. Almeno ad Olimpia vedeva la luce del sole e respirava aria fresca. Ora sembravano dei miraggi. Sapeva di essere nata nell'epoca sbagliata, o per lo meno nel popolo. Ad Olimpia arrivavano persone provenienti da centinai di luoghi doversi. Come una famiglia che aveva conosciuto quando aveva a malapena otto anni. Avevano le pelle molto più scura della sua e i loro occhi erano neri come le olive mature. Da dove venivano loro le donne avevano molto più libertà, potevano addirittura rifiutare un matimonio se erano di classe elevata. Ilektra sapeva che la ragazza che si era negata al suo promesso sposo qualche anno prima aveva fatto una brutta fine. Lo sapeva perchè l'ultima volta che l'aveva vista aveva il viso bagnato di lacrime e un livido scuro su una guancia. Si era uccisa poco dopo aver scoperto di aspettare un bambino dallo stesso uomo che l'aveva costretta a concepirlo. Ilektra si era rifiutata di piangere quando aveva appeso la notizia. Aveva tredici anni, Galatea ne aveva appena compiuti quindici. Fu anche per quello che quando un Ilias aveva dichiarato di amarla, lei aveva chiaramente detto di no. Poi Ilias l'aveva tradita smascherando il suo travestimento di fronte a tutta la città e aprendole la strada verso quello che lei considerava il Tartaro in terra. E ora si trovava sepolta viva in attesa di morire per mano di un pazzo sclerato assetato di potere. Quasi quasi preferiva la prigione a casa sua. Almeno sua madre aveva il permesso di farle visita una volta alla settimana per qualche ora. Ilektra sapeva che sarebbe stata tra i primi morire. Suo padre era Ade, non solo Re degli Inferi ma anche il più facile da colpire. Se Akakios l'avesse uccisa incolpando uno qualunque degli dei abitanti dell'Olimpo, Ade non sarebbe stato di certo con le mani in mano. Aveva pochissimi figli, avrebbe sicuramente percepito la sua anima entrare nei suoi domini. Akakios sapeva benissimo che non bastava uccidere un semidio per attirare l'attenzione del genitore divino, seriviva qualcosa di molto più subdolo e meschino per farlo. Ilektra aveva la sensazione che Akakios conoscesse il modo perfetto per far arrabbiare a morte gli dei.
E non le piaceva affatto.

 

 

 

Angolo Autrice

I'M SORRY. Lo so mi odiate, avevo promesso che avrei tuenuto un aggiornamento regolare e non l'ho fatto. Faccio schifo a mantenere questo tipo di promesse. Siete autorizzati ad insultarmi pesantemente in qualsiasi lingua e moto ritenete necessari. So anche che non serve avere scuse perchè è inutile, ma posso dirvi che veramente non l'ho fatto apposta a ritardare così tanto. Questo file Open Office è aperto sul mio computer da quando ho pubblicato il capitolo 10. Non l'ho mai chiuso ( e si non ho mai spento il mio computer, credo mi odi anche lui per questo) e l'ho scritto a pezzi. Forse ve ne siete accorti. Ogni coppia o quasi è stata scritta in giorni diversi. So che non succede praticamente niente ed è anche per questo che è stato così difficile scriverlo. Non avevo idea di che far fare loro. Il prossimo capitolo sarà molto più movimentato. Si concentrerà per lo più su un personaggio poiché, signori e signore, sarà il capitolo del primo sacrificio (Provate un po' ad indovinare chi è? A chi indovina invio tanti palloncini e un unicorno rigorosamente blu. È possibile anche scegliere un pandacorno o un qualsiasi altro animale fantstico tipo: drago, viverna, leviatano, grifone, kitsune... insomma avete capito). Vi avviso già in anticipo che ci vorrà un po'. Spero di postarlo per le vacanze di Natale. Lo so che è tra più di un mese e vi chiedo scusa, ma farò tutto il possibile per fare in modo che l'attesa sia ripagata. A quelli che si chiedono: “Ma come mai non aggiorni prima, lazy ass?” : sono al primo anni di università e non è particolamente vicina a casa mia. Ci metto circa un'ora e un quarto ad arrivare e altri dieci minuti dalla stazione all'università. E ovviamente gli orari delle mie lezione fanno assolutamente schifo. Esco di casa alle 7.30 del mattino e ci rientro alle 8.00 di sera. Comodissimo. Odio profondo a chiunque abbia pensato agli orari. Fatto sta che quando sono a casa ricopio gli appunti o faccio i compiti, perchè certo che ho i compiti anche all'università... -.-”””. Per cui vi lascio immaginare in che stato mentale io possa essere in questo momento, By the way, posso pubblicare oggi solo perchè il mio professore di letteratura è stato carino e gentile e ha finito il programma nella lezione di ieri.

Comunque, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Fatemi sapere chi sospettate che possa essere il primo sacrificio... sono curiosa. Se mi dite anche perchè mi fate un favore, almeno io capisco come vengono percepiti da voi i personaggi.

Baci

Dia

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Capitolo 17
*** Capitolo XII ***


MI DISPIACE PER IL RITARDO, PER FAVORE LEGGETE L'ANGOLO AUTRICE IN FONDO PER SAPERE IL PERCHÈ. SPERO CHE IL CAPITOLO VI PIACCIA.

 

 

 

Capitolo XII

 

Arcadia – giorno 30, ore 7.13

 

L'immagine che lo specchio d'acqua restituiva ad Ariadne era quella di un viso sfocato e sconvolto. Colpì la ciotola facendo svanire il suo riflesso, stando attenta a non rovesciala. Non ne avrebbe avuta un'altra se l'avesse fatta cadere. Odiava profondamente l'immagine che vedeva ogni mattina da ormai un mese, odiava come ogni mattina il peso del suo destino le cadesse addosso più pesante di un macigno. Lei era forte, scaltra e intelligente. Allora perchè si sentiva debole e stupida? Non era da lei comportarsi in questo modo, ma il mese passato rinchiusa ad aspettare stava iniziando a fare effetto sulla sua mente. A Tebe se qualcosa non le piaceva la faceva sparire, indipendentemente da che cosa effettivamente fosse. Non le interessava dove finiva ciò che lei aveva scartato, l'importante era che fosse fuori dalla sua vista. Era abituata a fare la bella vita, dove tutti si inchinavano al suo cospetto e persino gli oggetti obbedivano al suo volere. All'interno della fortezza lei non aveva nessun potere e quel poco che poteva avere le era stato rubato da Hermia ed Enea.

Cosa che la faceva impazzire più di ogni altra cosa. Enea poteva anche sopportarlo, dopotutto era un maschio, lo sapeva gestire. Anche se per qualche strano motivo sembrava immune al suo potere. Ci aveva provato un giorno, ma se tutti gli altri erano caduti ai suoi piedi, lui e la sorella non sembravano minimamente affetti dal comando che aveva appena dato. Era Hermia che non riusciva a farsi piacere neanche un po'. Era così altruista, buona e comprensiva. Era tutto ciò che Ariadne considerava debole in una persona. Il lavoro di squadra era sopravvalutato; quale modo migliore di sopravvivere di giocare da solo e sacrificare gli altri al proprio posto? Hermia non era così, appariva come quella che si offre in modo da poter permettere ai suoi compagni di mettersi in salvo. Esattamente l'opposto di quello che Ariadne apprezzava. Eppure non era per questo che la sacerdotessa di Era odiava profondamente la principessa di Atene. La odiava perchè sotto al velo di bontà si celava una mente in grado di competere con la sua. E Ariadne non poteva sopportare di non essere al primo posto in qualcosa che lei considerava il suo territorio. Strinse il bordo della ciotola di terracotta. Mancava poco all'attuazione del suo piano e alla capitolazione definitiva di Thaddaios, presto sarebbe stata libera. L'unica cosa che chiedeva era che Akakios non la scegliesse come prima vittima.

 

Non sapevano niente dei piani di Akakios. Quando li aveva ricevuti a palazzo non aveva detto loro niente riguardo ad essere, si era solo lasciato sfuggire che presto nessuno avrebbe potuto fermarlo. E ovviamente che la loro morte faceva parte della sua fantomatica conquista del potere. Per questo Ariadne, insieme alla maggior parte dei semidei prigionieri, si augurava di non essere la prima a venire uccisa.

 

Palazzo reale di Creta, appartamenti del re – giorno 31, ore 12.00

 

Il re di Creta stava assaporando con fare misterioso la frutta che si era fatto portare nella sua camera da letto. Tutto stava andando per il verso giusto. Nessuno aveva ancora fatto qualcosa per fargli modificare i suoi progetti. Aveva l'impressione che ogni cosa sarebbe filata liscia. Nessuno sospettava la reale grandezza del suo malefico piano. Oh, si, certamente, considerava il suo stesso piano malefico. Questo gli avrebbe impedito di attuarlo? Certo che no. Non si sarebbe lasciato fermare da qualcosa di così banale di qualche sacrificio umano. Non era un tipo sentimentale. Presto avrebbe fatto aprire le porte di Arcadia e un piccolo semidio sarebbe uscito, un addio sulle labbra e le lacrime gli occhi. Akakios sorrise: sarebbe stato così soddisfacente arrivare alla fine e vedere il mondo ai suoi piedi.

 

Arcadia – giorno 35, ore 23.00

 

Nessuno dormiva. Eppure nessuno emetteva un suono. Il silenzio riverberava nei corridoi del palazzo facendoli sembrare ancora più cupi e terrificanti. Doveva succedere qualcosa, qualcosa di brutto. Ognuno di loro se lo sentiva nelle ossa, ma speravano che le sensazioni fossero solo paranoie di una mente rinchiusa troppo a lungo.

Nella stanza no.3 Hermia fissava il soffitto. Non vedeva altro che buio nero come i ricci di mare che a volte vedeva sulla spiaggia. Desiderava dormire con tutta se stessa, perchè se si fosse addormenta allora i cattivi pensieri se ne sarebbero andati. O almeno così sperava.

Dall'altra parte del corridoio Melissa piangeva in silenzio, rannicchiata su se stessa, un'immagine di casa dietro alle palpebre. Voleva solo rivedere il tempio di Salonicco per un'ultima volta.

Callimaco non era nel letto. Era seduto con la schiena appoggiata alla porta, la coperta avvolta intorno al corpo. In notti come queste, quando era a Micene, usciva di nascosto dalla sua stanza e andava a cercarsi un compagno con cui passare il tempo insonne. Oppure si divertiva da solo, esplorando il suo corpo in ogni modo possibile. Ora, il desiderio di piacere fisico era sprofondato in fondo al suo stomaco, non si era mai sentito così vuoto prima.

Tra tutti quella che sembrava reagire meglio era Glykeria. Ma soltanto perchè era in uno stato di profonda meditazione, come faceva quando era con le altre Cacciatrici. Era il suo modo per allontanare le emozioni negative.

Al contrario Ilektra era quella che stava peggio. Essere figlia di Ade ha più contro che pro. Anche se non rientrava tra i suoi poteri principali sapeva quando nelle immediate vicinanze qualcuno stava per morire. E ora quella spiacevole sensazione era tornata. Più forte di ogni altra precedente volta in cui l'aveva percepita. Era così forte che aveva la perenne voglia di rigettare anche l'anima.

 

Arcadia – giorno 36, ore 6.45

 

Un rumore sordo e potente risuonò nei corridoi, quattordici porte si aprirono contemporaneamente. Sapevano tutti cosa significava, avevano sentito lo stesso suono trentasei giorni prima quando erano stati chiusi lì dentro: le porte si stavano aprendo. Si scambiarono sguardi preoccupati, nessuno aveva voglia di sapere per chi esattamente le porte erano state aperte. Tornarono ognuno all'interno della propria stanza. Si resero presentabili nel minor tempo possibile, Akakios non era stato chiaro su molte cose, ma un punto che aveva sottolineato più volte era la necessità di farsi trovare tutti in fila, come erano stati posizionati di fronte a lui, nel momento in cui le guardie sarebbero venute a prendere il prescelto. Nessuno aveva voglia di scoprire cosa avrebbe fatto nel caso in cui non gli avessero obbedito. Quando il fracasso prodotto dallo sfregamento delle pietra contro altra pietra cessò i semidei erano già al loro posto da qualche minuto. Una piccola squadra di quattro guardie armate apriva la fila. Le punte delle lance e i pomelli delle spade risplendevano nella luce rosa del sole appena nato. I ragazzi strinsero le palbebre mentre le ragazze cercarono riparo nell'ombra di coloro che avevano di fronte. I loro occhi non erano più abituati alla luce naturale. La marcia delle guardie finì poco dopo essere entrati nella fortezza, si mossero ai lati aprendo una fessura dalla quale spunto un uomo che non avevano mai visto.

 

Era basso, leggermente cicciottello. Indossava una tunica bordata d'oro e porpora, chiusa sulle spalle da spille di pietre preziose. Ai piedi portava dei sandali di cuoio chiaro. Aveva addosso ogni tipo di gioiello immaginabile, aveva persino un cerchietto dorato intorno alla testa. Ogni cosa di lui urlava a squarciagola ricchezza e potere. Si presentò come il primo consigliere del re avente l'incarico di scortare il semidio o la semidea che il re desiderava a palazzo. Lo disse con tono pomposo e aristocratico, rendendosi ancora più antipatico di quanto già non apparisse. Teneva fra le mani grassocce e piene di anelli un sottile pergamena arrotolata.

-All'interno di questa pergamena il nostro amatissimo e stimatissimo re Akakios ha scritto con la sua regale mano il titolo della persona che desidera incontrare a palazzo. A suddetta persona non sarà permesso protestare e dovrà seguirmi in silenzio fino alla sala del trono. Tutti i possibili tentativi di fuga verranno sventati dal fatto che avrà sia mani che piedi legati con una corda che io terrò. Nel caso in cui tenterà comunque di fuggire ho il permesso di renderla inoffensiva- esclamò con voce se possibile ancora più pomposa e gonfia. Con fare melodrammatico srotolò la pergamena. Fece un profondo respiro prima di leggere con estrema lentezza.

-Figlio di Ade- disse. Tredici paia di occhi si posare su Ilektra. La ragazza teneva il volto rivolto verso terra, le spalle abbassate e la schiena curva. Si ricordò che per Akakios lei era un maschio. Si chiese se scoprire che non lo era avrebbe aggravato la situazione. Sentì una mano fredda sulla spalla. Strinse piano prima di darle una leggerissima spinta in avanti. Le ricordò che si sarebbe dovuta presentare facendo qualche passo avanti. Inspirò con forza e racimolando tutto il coraggio che le era rimasto parlò.

-Sono io- avanzò di cerca un metro rispetto agli altri. Sperò che la voce non le tremasse e che sembrasse abbastanza maschile per i gusti di quell'uomo sudaticcio già alle sette del mattino. Lui la squadrò dall'alto al basso, ma non disse niente a parte:

-Qual'è il tuo nome?-

-Ilias- non aggiunse nessun titolo nella sua risposta, anche se si stava rivolgendo a lui. Non aveva alcuna intenzione di mostrare rispetto a un fidato membro della corte di Akakios. Usò il nome del ragazzo che l'aveva condannata a marcire in prigione per anni. L'ironia: stava per morire e l'avrebbe fatto con il nome di una delle persone che odiava di più. La fortuna non era mai stata dalla sua parte. Almeno se ne sarebbe andata senza rimpianti. Per poco Ilektra non storse la bocca, poteva sentire il peso della bugia ronzarle per la testa. Nessuno disse niente quando il consigliere le fece cenno di seguirlo, non che ne avessero la possibilità. Ilektra sapeva che alcuni avrebbero parlato volentieri, ma si trattenevano per via di ciò che l'uomo avrebbe fatto nel caso qualcuno avesse osato controbattere ai suoi ordini. Era ingiusto offendersi per la mancanza di protesta, alla fine anche lei sarebbe rimasta zitta nella loro posizione, in particolare se la persona per cui stava rischiando a vita era qualcuno che conosceva da un mese e di cui sapeva a malapena qualcosa; eppure un leggero astio le nacque nel cuore.

 

La camminata fino a palazzo fu priva di eventi rilevanti. Ilektra non fece nulla per scappare e il consigliere la ignorò per la maggior parte del viaggio. L'uomo parlò soltanto due volte: la prima volta per cantare una lode al suo re così potente, saggio, meraviglioso, insomma dopo un minuto Ilektra smise di ascoltare; la seconda fu per dirle che doveva sentirsi onorata di far parte dei progetti di Akakios e che il suo sacrificio era di vitale importanza per il destino del mondo. Ilektra si sforzò davvero tanto per evitare di scoppiargli a ridere in faccia. La sua morte di vitale importanza? La considerava ironia di pessimo gusto. Non poté fare a meno di sorridere amaramente, per cui abbassò la testa per evitare di far vedere le sua labbra. Il consigliere interpretò quel gesto come uno di gratitudine e ridacchiò soddisfatto. Aveva una mente meschina quasi quanto quella del re, ma non era altrettanto sveglio e intelligente. Non era in grado di leggere tra le righe, di andare oltre alla vista ed osservare veramente. Per questo era un'ottima pedina nel piano di Akakios, non faceva mai domande e non aveva nessuno scrupolo se si trattava di arricchirsi.

 

Palazzo reale di Creta – giorno 36, ore 8.00

 

Condusse la semidea in una stanza a palazzo, non nel piano della servitù, ma quello dedicato agli ospiti reali. Questo confuse la ragazza. Lasciò che il suo stupore si facesse strada sul suo viso, considerando inutile provare a nasconderlo. Il consigliere non le diede nessuna spiegazione sul perchè del suo gesto, limitandosi ad ordinare a tutte e quattro le guardie di fermarsi di fronte alla sua porta. Suddetta porta venne aperta e lei fu fatta entrare. Prima ancora che si rendesse conto di aver cambiato posizione i due battenti di richiusero alle sue spalle.

Si voltò verso l'uscita ormai inutilizzabile per poi rassegnarsi ad osservare la stanza in cui era stata confinata. Non era enorme, ma non si poteva definire piccola. Il letto alla sua sinistra doveva essere quasi tra volta più grande di quello in cui aveva dormito per il mese precedente. Dalla parte opposta vi erano una serie di mobili di legno scuro, alti circa come la sua spalla. Un catino di terracotta dipinta era riposto nell'angolo più lontano dalla porta, vicino al letto. Dall'altro lato c'era una vasca che, a giudicare dal vapore che si alzava dal suo interno, doveva essere piena d'acqua bollente. Una finestra ampia e colonnata riempiva quasi tutta la parete opposta a quella dove stava lei. Guardando alla sua destra per poco non urlò a squarciagola: in pieni nell'angolo stava una giovane ragazza. Non doveva avere più di quindici anni e indossava l'abito semplice degli schiavi. Aveva lo sguardo rivolto verso terra e non lo alzò nemmeno dopo il verso strano che Ilektra aveva fatto.

“Ha paura” realizzò la figlia di Ade. Fece un passetto avanti prima di parlare con la voce più gentile del suo repertorio.

-Non devi avere paura, non ti farò niente- a quelle parole il viso della giovane scattò verso l'alto. Non la guardò negli occhi, ma Ilektra vide chiaramente lo stupore nei suoi grandi occhi marroni. Aveva la pelle più scura della sua e i capelli erano neri come quelli di Hermia. Non veniva dalla Grecia, Ilektra se ne rese conto dopo poco che l'osservava. Probabilmente proveniva dall'Egitto o altre regione del Sud, con cui Creta aveva dei floridi commerci.

-Non ti farò del male- ripetè. Poi un sospetto le nacque genuino nella mente.

-Come mai sei qui?- chiese. La ragazza non rispose, ma abbassò di nuovo lo sguardo verso terra. Ilektra annullò la distanza che le separava e delicatamente posò una mano sulla spalla di lei. Se ciò che temeva era corretto non faticava a credere che fosse spaventata a morte. Al contatto la giovane sobbalzò senza tuttavia scostarsi. Ilektra fece di nuovo la stessa domanda. Questa volta rispose con voce flebile:

-Re Akakios mi ha ordinato di darvi ogni tipo di piacere- involontariamente lo sguardo di Ilektra di indurì. La giovane si ritrasse spaventata.

-Oh, no, no. Tranquilla. Non ho intenzione di fare niente. Non potrei anche se lo volessi- cercò di calmarla la semidea. Poi si ricordò che la giovane non aveva idea della sua vera identità.

-Il mio nome è Ilektra. Qualsiasi cosa ti abbia detto Akakios deve essere stato per un motivo, vorrei sapere qual'è?- appena disse il suo nome il corpo della giovane si rilassò come se le avesse tolto un peso enorme dalle spalle, cosa probabilmente vera. Ilektra sperava che rispondesse alla sua domanda: aveva bisogno di sapere perchè Akakios aveva mandato qualcuno a sedurla.

-Ecco... io non... il re mi ha ordinato di non rivelare le sue intenzioni nemmeno in punto di morte- Ilektra sospirò stringendosi la base del naso. Si allontanò dall'angolino in cui erano. La finestra era grande, ma per fortuna non dava sulla città. Era rivolta verso le montagne e nessuno avrebbe potuto guardare cosa accadeva al suo interno. Si lasciò scivolare sul pavimento, con la porta di fronte a sé e la finestra alle sue spalle. Poi fece cenno alla ragazza di avvinarsi e di sedersi in modo da poterla vedere in faccia.

-Io non dirò niente e il re non ti chiederà nulla. Da per scontato che rispetterai l'ordine. Non verrà mai a sapere se hai effettivamente fatto come ti ha detto oppure no. Se il re non lo sa non può punirti per non aver ubbidito. E vorrei sapere il tuo nome- a questo la giovane schiava rispose.

-Mi chiamo Tetisheri- questo spiegava il suo aspetto fisico e il suo accento strano quando parlava.

-Bene, Tetisheri. Il re ti ha mandato a sedurmi, in qualsiasi modo possibile. Immagino che non abbia specificato come ma solo che lo facessi. Voglio sapere perchè? Perchè ti ha chiesto di farlo?- stressò il perchè, aveva bisogno di saperlo. Se non per se stessa almeno per chi sarebbe venuto dopo. Capiva come Tetisheri non si fidasse di lei. Ilektra stessa non si fidava di nessuno lì a Creta, ma anche se non si fidava dei suoi compagni prigionieri non era così senza cuore da desiderare che morissero. Per lei non c'era speranza, ma magari avrebbe potuto crearne per gli altri. Immaginava che Akakios non sarebbe tornato fino al giorno dopo. Anche se fosse stata un maschio, sarebbe stata troppo inquieta – per non dire terrorizzata – per potersi lasciare andare a qualsiasi tipo di piacere fisico. Perciò, per dimostrare a Tetisheri di potersi fidare di lei almeno un po', chiese di poter fare il bagno. Dopotutto la vasca era prona, tanto valeva approfittarne. E poi erano secoli che non si faceva un bagno come si deve.

 

Palazzo reale di Cnosso, stanza di Ilektra – giorno 36, ore 15.00

 

C'era voluta mezza giornata per fare in modo che Tetisheri si rilassasse abbastanza da non sobbalzare ad ogni minimo rumore. Ma finalmente, dopo ore di attesa, sembrava che fosse pronta a rispondere alle sue domande. Ilektra sorrise, ma i suoi occhi rimasero immobili, nessuna luce venne ad illuminare le sue iridi scure. Non accadeva da molto tempo e la situazione di certo non aiutava. L'unico motivo per cui continuava a farlo era per mettere a suo agio Tetisheri, aveva bisogno della sua collaborazione. Durante il tempo in cui l'aveva aiutata a lavarsi e a rivestirsi Ilektra aveva cercato di essere il più delicata possibile nelle sue domande. Aveva scoperto che veniva da Alessandria d'Egitto e che i suoi genitori l'avevano venduta insieme alla sorella quando avevano dieci anni a dei mercanti di schiavi. Dall'Egitto avevano viaggiato per tutta la costa orientale del Mediterraneo, a bordo della nave dove erano tenute prigioniere, arrivando infine a Creta. Lì il re aveva personalmente esaminato ciò che i mercanti di schiavi avevano da offrire. Tetisheri, con i suoi brillanti capelli neri e gli occhi incorniciati da lunghe ciglia, aveva suscitato l'interesse di Akakios. Separata dalla sorella, che non era stata nemmeno presentata agli occhi del re, Tetisheri si era ritrovata sola in un'isola di cui non conosceva la lingua alla tenera età di undici anni. Aveva avuto fortuna però perchè il re l'aveva affidata ad un'altra schiava di circa trent'anni che l'aveva presa sotto la sua ala. Ora quindicenne Tetisheri parlava un ottimo greco e sapeva come reagire in ogni occasione. Ilektra si mostrò interessata al suo passato e con una semplice domanda le chiese il suo presente.

 

E finalmente Tetisheri rispose senza esitare. Il re le aveva ordinato di compiacere ogni desiderio del semidio che presto sarebbe arrivato a corte, di farlo rilassare. Doveva indebolire la sua mente il più possibile, rendergli impossibile pensare alla sua posizione di sacrificio umano. Il re non le aveva spiegato perchè e Tetisheri non voleva saperlo. Ma a Ilektra bastava una sola informazione di quel discorso.

-Ferma, aspetta. Hai detto che dovevi farmi credere che potesse esserci una via d'uscita a tutto questo, come? Cosa avresti dovuto dirmi?- se fosse riuscita a capire la falla nel piano di Akakios forse non sarebbe morta invano.

-Il re ha detto che il castello è pieno di passaggi segreti. Sono stati costruiti insieme al palazzo stesso e servono alla famiglia reale per scappare in caso di necessità. Sono talmente tanti che anche il re non li conosce tutti, questo non me lo ha detto lui, ma lo ha mormorato a se stesso quando parlava con me. Deve averlo fatto credendo che non lo sentissi. Ha detto che c'è una porta segreta in quasi ogni stanza del castello che si collega con il labirinto nel terreno sottostante. Nella sala del trono ce ne sono quattro di porte, così come negli appartamenti reali. Sicuramente anche in questa stanza ce n'è uno. Il re mi ha espressamente detto di rivelarti queste informazioni quando la tua mente era il più possibile annebbiata. Forse per impedirti di cercare- Tetisheri si stropicciava le mani mentre parlava, nervosa che qualcuno potesse entrare improvvisamente nella stanza. C'era qualcosa che non tornava nel discorso di Tetisheri, perchè il re stava dando loro informazioni del genere? Ci doveva essere qualcos'altro. Qualcosa che lei non aveva ancora capito e che doveva intuire entro la mattina successiva, possibilmente con qualche ora d'avanzo. Aveva circa quattro ora prima che la cena fosse servita. Poteva farcela.

 

Arcadia – giorno 36, ore 18.00

 

I tredici semidei erano tutti raccolti nella Grande Sala, quella piena di cuscini che avevano usato il primo giorno per cercare una via di fuga. Non avevano ancora avuto successo, ma aveva lasciato perdere la ricerca dopo gli avvenimenti di quella mattina. Nessuno voleva morire e per quel mese in cui erano rimasti chiusi lì dentro la morte, per quanto vicina, era rimasta estranea. Per la prima volta da quando erano stati scelti per partire la realtà li aveva colpiti in pieno volto. Prima potevano sognare di riuscire a scappare, ora le speranze erano perdute. Akakios aveva iniziato con il suo piano e nessuno di loro sapeva in quanto tempo l'avrebbe completato. L'umore generale era pessimo e non sarebbe migliorato molto presto.

Avevano paura, ognuno a modo loro; avevano bisogno di essere rassicurati da qualcuno, ma in quel momento coloro da cui andavano per essere confortati erano a giorni di distanza, solo Hermia ed Enea sembravano avere quel privilegio e Ariadne non avrebbe mai ammesso di non essere in grado di cavarsela da sola. Eppure se solo si fosse fermata un attimo a riflettere si sarebbe accorta che esistono situazioni in cui anche la mente della persona più forte inizia a crollare, ci sono momenti in cui anche i più indipendenti e solitari hanno bisogno di calore umano e parole amiche. E quel momento era proprio quello che stavano vivendo tutti loro. Non c'erano eccezioni sulle loro necessità, non serviva non ammettere a se stessi di avere bisogno di un abbraccio e frasi mormorate all'orecchio, anzi peggiorava le cose. Ma non potevano fare a meno di desiderare di non aver bisogno di farlo, di essere al sicuro a casa loro, accanto alle persone amate.

 

Palazzo reale di Creta, stanza di Ilektra – giorno 36, ore 20.30

 

Le labbra di Tetisheri erano morbide contro quelle di Ilektra. La figlia di Ade non aveva mai baciato una ragazza, non così almeno. Sapeva di essere attratta dalle forme morbide e dei grandi occhi del suo stesso sesso, ma non aveva mai avuto la possibilità di mettere in pratica quell'attrazione.

Dopo aver effettivamente capito il perchè della mossa di Akakios, ci era voluto più di del previsto purtroppo, Ilektra si era resa conto che il re si aspettava una determinata scena quando le guardie avrebbero aperto la porta. Non fargliela trovare non andava certo a suo vantaggio. Per questo stava baciando Tetisheri, per rilassare la ragazza e se stessa. Dovevano fare qualcosa e sicuramente le guardie riuscivano a sentire almeno un po' di quello che succedeva all'interno della stanza, per cui per essere convincenti non bastava andare a dormire nude e bagnare le lenzuola. Ilektra non aveva assolutamente idea di cosa fare, nessuno le aveva mai spiegato per bene nemmeno il rapporto tra uomo e donna, figuriamoci tra due donne. A quanto pareva il suo istinto sapeva benissimo quello che stava facendo perchè sentì le sue mani scivolare lungo la schiena magra e parzialmente scoperta di Tetisheri. Le dita di lei erano intrecciate dietro il suo collo massaggiandole piano la nuca. La giovane egizia era molto più rilassata di Ilektra, avendo ormai perso la sua innocenza da anni. Nessuno tratta con reverenza una schiava giovane e bella, non aveva avuto voce in capitolo su chi o come si era preso la sua verginità. Era stata male per giorni e per poco non si era lasciata morire di fame, si sentiva sporca e rotta. Ma i modi di Ilektra erano diversi da quelli rozzi e violenti degli uomini che l'avevano presa in precedenza. Aveva la sensazione che questa volta avrebbe potuto provare piacere in quei tocchi così intimi.

 

La situazione passò dall'innocente e tentennante a molto più calda e frenetica. Ilektra aveva smesso di pensare razionalmente, lasciando il comando delle sua azioni al suo istinto. Tetisheri la guidava quando non sapeva cosa fare o esitava un poco. I baci ora erano bollenti ed eccitanti, le loro lingue si intrecciavano e i denti stringevano labbra voluttuose. Erano baci dati per disperazione, per bisogno di qualcosa che nessuna delle due poteva offrire all'altra. I vestiti che una volta coprivano i loro corpi erano da tempo finiti sul pavimento, gocce di sudore brillavano alla luce delle torce ai lati del letto. Non serviva molta luce per quello che stavano facendo, anzi il fuoco illuminava ogni cosa di rosso e arancione donando alla stanza e coloro che la occupavano una vena di mistica bellezza. I seni di Tetisheri erano più grandi di quelli di Ilektra, nonostante la semidea fosse di due anni più vecchia. Erano morbidi sotto le sue dita, in contrasto con i capezzoli duri. Avevano entrambe la pancia piatta e gli arti magri, dovuti più alla mancanza di un'adeguata alimentazione che ad un intenso esercizio fisico. Ormai i muscoli che Ilektra si era guadagnata con anni di allenamento stavano sparendo dopo mesi che non si allenava, da quando era finita in prigione il cibo che riceveva serviva a malapena a darle energia per restare sveglia tutta la giornata. Non che questo fatto fosse rilevante, di certo la sua mente non si era soffermata sulla magrezza sua o di Tetisheri. Con la mano destra premeva il fianco della giovane contro il materasso mentre con la sinistra le accarezzava il ventre. Tetisheri teneva le sue sulle scapole di Ilektra, le corte unghie le ferivano leggermente la pelle. Presto avrebbero lasciato otto graffi paralleli lungo tutta la schiena, graffi che mai sarebbero guariti dal suo corpo, ricordo della sua ultima notte. I baci ora erano bagnati e schermo per un desiderio più grande. Ma ne Ilektra ne Tetisheri sapevano esattamente quale fosse il passo successivo, la prima perchè sapeva a malapena le basi e la seconda perchè non aveva mai avuto l'occasione di stare dalla parte di chi ha le redini. Ilektra separò le loro labbra attaccando il collo abbronzato dell'egizia. Tracciò con la lingua una linea verticale fermandosi alla giugulare, sentì il cuore di Tetisheri battere all'impazzata, il sangue che pompava veloce nelle vene. Strinse tra i denti in quel punto, succhiando appena. Il gemito che ricevette in risposta la rassicurò e le diede più sicurezza. Succhiò più forte e quando si staccò con un suono umido la pelle era rosso vivo. Poco dopo, quelle macchie violacee riempirono il torso di Tetisheri fino allo sterno. Ilektra dedicò tempo e attenzione ai capezzoli scuri, dritti e duri nell'aria fredda della notte. Le reazioni di Tetisheri accrescevano la sua confidenza e più si sentiva sicura più si lasciava andare a quello che le veniva istintivo fare. Il prossimo passo fu dedicare attenzione al sesso bagnato di Tetisheri. La giovane non si trattenne e le fece sentire il proprio piacere. Dopo quando fu il turno di Ilektra a stare con la schiene contro il letto ricambiò volentieri il favore.

Ilektra si lasciò andare alla lussuria e al piacere che quel contatto le provocava. Non ci sarebbero state altre occasioni, il suo viaggio si concludeva il giorno dopo. Si perse nel corpo di Tetisheri e le permise di perdersi nel suo. Non si pentì della sua scelta, anche se il loro rapporto era nato dalla necessità più che dal loro piacere personale, entrambe avevano scelto di loro spontanea volontà fin dove spingersi. E nelle loro quotidiane condizioni, dove raramente avevano la possibilità di decidere qualcosa, questo fatto era più che sufficiente da consentire una piacevole passione.

 

Palazzo reale di Creta – giorno 37, ore 7.00

 

Al re non piaceva molto svegliarsi presto. Non era una cosa che si poteva ridurre alla mattina. Una volta che si era addormentato doveva dormire almeno otto ore di fila, non importava che ora del giorno o della notte fosse. Ogni singola persona sull'isola di Creta conosceva questo dettaglio del re. Non che fosse difficile esserne all'oscuro, dato che aveva pubblicamente mandato in esilio un nobile della sua corte per averlo svegliato dopo cinque mere ore di sonno. Va da sé che dopo quell'episodio nessuno aveva mai più osato svegliarlo. Per questo, quando le porte delle stanza reali furono aperte dal re stesso praticamente all'alba, le guardie in pieni accanto ad esse per poco non ebbero un infarto. L'ultima volta che il re era uscito dalle sue stanza così presto era stato il giorno della sua incoronazione più di vent'anni prima. Fortunatamente le guardie non sapevano che non aveva chiuso occhi tutta la notte perchè altrimenti sarebbero sicuramente morte sul colpo. Ovviamente Akakios aveva un motivo per essere così di buon umore. Finalmente la lunga e stancante attesa era finita. Il suo piano stava per essere portato a compimento.

 

Akakios non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé. Era andata esattamente come aveva previsto. Aveva fatto bene a scegliere Tetisheri, la giovane schiava egizia era di una bellezza indescrivibile. Si annotò di usarla anche per gli altri semidei, se aveva funzionato con uno non vedeva perchè non dovesse funzionare con tutti. Inoltre avrebbe risparmiato tempo e fatica, doveva fare economia se voleva che ogni cosa fosse perfetta. Quando le guardia incaricate di potergli il semidio avevano aperto le porte, avevano trovato i due addormentati nel letto. Tetisheri si era svegliata subito, coprendosi i seni nudi con il lenzuolo che era scivolato quando si era seduta. Aveva scosso Ilektra per svegliarla, grata che la coperta non lasciasse intravedere niente a parte la punta delle sue dita sul cuscino. Le guardie erano uscite per permettere a Ilektra di rivestirsi. Tornarono dopo nemmeno dieci minuti. Fortunatamente le maggiori preparazioni erano state fatte prima di andare a dormire la notte prima. Nonostante fossero entrambe esauste infatti, avevano fatto lo sforza di alzarsi dal letto e fare le furbe. Si erano lavate con l'acqua oramai fredda della tinozza prima che Tetisheri aiutasse Ilektra a fasciarsi il petto. Sapeva che Akakios avrebbe comunque scoperto il suo sesso, ma la sensazione della stoffa che la stringeva era ormai famigliare per lei e aveva la capacità di calmare i suoi nervi in modo incredibile. Teneva i suoi capelli rossi relativamente corti, in un taglio facilmente interscambiabile tra maschio e femmina, per cui almeno sotto quel punto di vista non doveva lavorare molto. L'unico problema era che effettivamente le mancava la cosa indispensabile per poter essere considerata un ragazzo. Ilektra in realtà non si preoccupava poi più di tanto. Certo, magari il fatto che il re non si aspettava una ragazza avrebbe peggiorato il dolore che avrebbe provato, ma Ilektra aveva la sensazione che il suo sesso era la cosa minore.

 

Per sua fortuna, Ilektra aveva ragione, al re non poteva importare di meno se fosse un maschio o una femmina, la cosa importante per lui era il suo genitore divino. E non si poteva mentire su quello. Dopo aver detto addio a Tetisheri, Ilektra venne accompagnata dal re. Akakios si trovava in una grande sala al secondo piano del palazzo. La stanza era luminosa e dal soffitto altissimo. Non aveva mobili, a parte un alto scranno di legno scuro contro la parete in fondo. Il pavimento era coperto da vari tappeti di lana colorata e i muri erano dipinti fino in cima. Non sembrava una stanza delle torture. Forse il re era così gentile da farla morire sul morbido e circondata da luce e colori. A Ilektra venne quasi da ridere, come no? Sicuramente il re era così gentile. Akakios era in piedi di fronte al torno quando fu fatta entrare. Sentì le porte venire sigillate una volta che i battenti furono chiusi. Quando Ilektra alzò lo sguardo per guardare Akakios per poco non venne accecata. Un raggio di sole proveniente dalla finestra sulla sinistra si stava riflettendo sui mille gioielli che adornavano il re. Come se non bastasse la moltitudine di anelli, collane, cinture e la corona, aveva pure indossato quello che doveva essere uno degli abiti più stravaganti e colorati che Ilektra avesse mai visto. Guardarlo era quasi doloroso, per cui la giovane semidea optò per posare lo sguardo su un indefinito punto sopra la testa scintillante del re.

 

Confusione era riduttivo per indicare lo stato d'animo attuale di Ilektra. Non aveva idea del perchè fosse stata portata in una camera decorata e luminosa quando si aspettava segrete buie e umide. Akakios l'aveva invitata a sedersi, ad Ilektra non sembrò un invito che poteva permettersi di rifiutare. Si lasciò cadere sul pavimento, in mancanza di una sistemazione alternativa, l'unica sedia della stanza era il trono su cui il re era seduto sopra. Il tappeto era morbido al tatto e stranamente fresco, come se la lana impedisse al freddo del marmo su cui poggiava di disperdersi. La figlia di Ade non osava parlare, non così vogliosa di scoprire le conseguenze di quel possibile gesto. Fu la scelta più saggia perchè quando il re iniziò a parlare ad Ilektra si gelò il sangue nelle vene. Improvvisamente il sole smise di riscaldarle la pelle e un vento gelido lo sostituì.

 

-Meravigliosa, vero?- disse il re indicando la stanza. Tra tute le cose che Ilektra si aspettava che dicesse quella non apparteneva nemmeno alla lista. Si limitò ad annuire, non fidandosi della sua voce. Si spaventò quando si rese conto che cosa il re voleva comunicarle con quella semplice frase. “Ti piace? È un bel posto per morire, guarda che gentile che sono” era il messaggio sottinteso. Il re continuò a lodare la grandezza delle finestre, la bellezza degli arazzi, la morbidezza dei tappeti e l'altezza dei soffitti sorretti da quattro colonne di marmo bianco e sottile. La ragazze cercò di non smettere mai di ascoltare, non sapeva quando il re avrebbe cambiato discorso per riportarlo sul vero motivo per cui lei era lì. Akakios voleva distrarla per coglierla impreparata, questo ormai l'aveva capito da quando si era trovata di fronte Tetisheri nella sua stanza a palazzo. Ma perchè? Perchè mettere su una scena così complessa quando bastava ucciderla con un semplice colpo di spada. Il discorso che il re aveva fatto quando erano giunti a Creta li aveva informati della loro fine imminente, ma non aveva mai spiegato il perchè di suddetta fine. Ora lo avrebbe scoperto e la notizia non le sarebbe piaciuta per niente.

-Vedi, esattamente come la sfumatura più scura ha qualcosa in più di quella chiara, voi avete qualcosa che a me manca- il voi indicava un gruppo di persone, non solo Ilektra, indicava coloro come lei. Ma come lei in che senso? Vi erano molti giovane che le somigliavano, il tratto più importante era quello di essere una semidea, cosa che probabilmente era ciò a cui si stava riferendo il re.

-Nascete, crescete, vivete per lo più ignari del vero potenziale che si nasconde sotto i vostri ridicolmente deboli poteri. Non li sviluppate, non liberate la vostra vera forza, potreste dominare il mondo. Eppure vi accontentate di un'esistenza per lo più patetica e sterile o di una vita piena di ostacoli e dolori che finisce in una morte orribile e in molti casi inutile. E poi ci sono le persone come me, che nascono senza niente ma sono desinate a grandi cose. Ma non possono raggiungere la vetta del monte Olimpo perchè gli dei le hanno privati dei loro diritti- durante il discorso Akakios si era alzato dal trono, senza tuttavia fare dei passi avanti. Era rimasto fermo immobile con le braccia alzate e un'espressione spiritata negli occhi. Ilektra ebbe la conferma che il re non era del tutto sano di mente, fino ad all'ora quando si erano riferiti al re come pazzo lo aveva fatto per sottolineare un concetto o per esagerare un dato. Adesso Ilektra si rendeva conto della verità dietro a quella parola.

-E questo non va assolutamente bene! Io mi rifiuto di stare a guardare mentre insulsi esserini si prendono ciò che è mio solo perchè sono nati con qualcosa in più di me. Per cui ho deciso, un volta per tutte, di fare in modo che nessuno possa usurpare il mio potere. E per farlo ho bisogno del vostro aiuto- continuò il re; la semidea stava piano piano realizzando dove il re volesse andare a parare. Solo che non credeva possibile una cosa del genere.

-Dovete sapere miei cari semidei- Ilektra non aveva idea del perchè parlasse al plurale, c'era solo lei lì, era come se Akakios non si trovasse più nella stanza ricoperta di ricchezze ma di fronte ad un'udienza composta da coloro che odiava di più- che non accetto di avere qualcosa in meno di voi. Le Parche hanno voluto che io nascessi senza privilegi. Non mi sono lasciato fermare da un dettagli così piccolo. Ho conquistato il potere passo dopo passo fino ad arrivare in cima, non c'è nessuno più in alto di me nel mondo umano. Purtroppo esistono persone fuori da questo mondo che lo sono- il re sospirò calmandosi appena. Di nuovo Ilektra non riusciva a seguire il filo del discorso. Tuttavia aveva ormai capito l'obiettivo del re. Non le piaceva, eccome se non le piaceva. Come l'idea che un essere simile diventasse dio poteva essere attraente ai suoi occhi. Non vedeva altro che guerre e distruzione all'orizzonte. Ilektra credeva che l'unico modo per diventare dio fosse attraverso il volere di coloro che dei erano già, ma si sbagliava. Vi era un altro modo, un modo molto più oscuro e pericoloso. Akakios l'aveva trovato e lo stava mettendo in pratica. Non solo, era pure stato fortunato perchè quando i semidei gli erano stati presentati aveva notato con delizia che erano figli di tutti gli dei maggiori, meglio di così non poteva andare.

-Vedete, a volte le cose non vanno come si desiderano. Ed è per questo che esiste la magia divina, per cambiare il mondo secondo il volere di coloro che sono in grado di controllarla. Non chiedo molto da parte vostra. Mi basta un poco della vostra essenza, non mi sembra di esagerare- Akakios sorrise in maniere inquietante. Mentiva e Ilektra lo sapeva. L'essenza di un semidio era la cosa che lo teneva in vita, la colla che legava la sua parte divina a quella mortale. Alterarne l'equilibro voleva dire causare la morte del semidio. Non c'era possibilità di sopravvivere, la parte divina avrebbe iniziato a divorare la parte umana e quando quest'ultima era stata del tutto consumata il loro corpo mortale non sarebbe stato in grado di contenere il loro potere e avrebbe ceduto. Ogni semidio moriva in modo di diverso quando veniva privato della sua essenza. Ilektra si domando come sarebbe morta lei. Sperò che arrecasse il maggior danno possibile al re, per lo meno la sua morte gli avrebbe causato un minimo di fastidio.

-Per questo, ti chiedo gentilmente di non muoverti mentre preparo tutto ciò che occorre per avere un pezzettino della tua essenza- il cambio di persona destabilizzò un attimo Ilektra, capì che non le restava molto tempo da vivere. E lo accettò. Aveva fatto il possibile per evitare al semidio successivo lo stesso destino. Detto questo il re si avvicinò a lei. Le prese il mento tra le lunghe dite. Stringendole il viso mormorò:

-Ma che bel visino, un peccato che tu debba morire, avresti avuto un enorme successo come schiavo personale. Hai un che di femminile adatto ad intrattenere i miei consiglieri- Ilektra contrasse la mascella.

-Spero che il rituale ti faccia un male atroce- ringhiò tra i denti. Non vide la mano del re alzarsi, ma sentì il dolore sbocciarle sul lato destro del volto. Lo accolse con gioia, se provava dolore allora era ancora viva. Akakios uscì e due schiave entrarono al suo posto. Avevano la stessa pelle scura di Tetisheri e i capelli erano raccolti in semplici trecce sulla nuca. Avrebbero posseduto un'enorme bellezza se non fosse stato per l'espressione triste e addolorata riflessa nei loro occhi. Tra le mani stringevano due vassoi colmi di frutta e bevande. Li posarono di fronte a lei. Ilektra non si era alzata dal posto in cui si era seduta a gambe incrociate quelli che sembravano anni prima. Era passata a mala pena un'ora da quando era uscita dalla sua stanza. Non avevano il permesso di slegarle le mani, posate sul suo grembo. Avevano l'ordine di farla mangiare e bere, aveva bisogno di energia per svolgere il rituale che Akakios desiderava compiere e il re non aveva la minima intenzione di farla morire prima di aver preso ciò che voleva da lei. Non parlò mentre le due ragazze la imboccavano. Pensò alla sua famiglia, alla sua città, alle cose che aveva perduto una volta e che ora perdeva per sempre. La dolcezza dei frutti che stava masticando non mitigarono l'asprezza in cui il suo cuore era avvolto.

 

Sapeva perchè il re avesse scelto lei. Come figlia di Ade aveva poteri che si aggiravano entro la sfera dei morti. Akakios non aveva idea di quale effettivamente fosse il suo potere ma non poteva rischiare che si rendesse conto chi fosse la sua prossima vittima. Tuttavia Ilektra non avrebbe potuto avvisarli nemmeno se lo avesse voluto, il suo potere non era quello di sapere chi sarebbe morto in anticipo, tutt'altro, lei era un ponte tra gli Inferi e i mondi in superficie. Riusciva a mettersi in contatto con le anime dei defunti per farli parlare con le loro persone care. Era stato difficile imparare a controllarlo, ma con il tempo aveva trovato il suo equilibrio. Era necessario il contatto fisico perché funzionasse per un'altra persona, non importava quante volte avesse provato altrimenti. Sperò vivamente che questo suo potere facesse avere qualche esperienza traumatica al re. Quando Akakios tornò nella stanza Ilektra era pronta al dolore che presto sarebbe arrivato.

 

E il dolore arrivò. Un dolore che non aveva mai provato prima. Era cresciuta combattendo, aveva sperimentato cadute e ossa rotte. Conosceva il bruciore dei muscoli dopo ore di allenamento e le fitte che davano le ferite nel tempo che impiegavano a guarire. Ma il dolore che stava provando in quel momento era un tipo diverso. Non era fisico, Ilektra poteva sopportare quel tipo di dolore. Le faceva male l'anima, il centro del suo essere sanguinava straziato. Teneva gli occhi chiusi, le lacrime che scorrevano come fiumi sulle guance le impedivano di vedere; aveva la mascella contratta ma grida soffocate trovavano comunque una via d'uscita. Se vivere significava provare questo tipo di dolore tutti i giorni Ilektra avrebbe preferito morire in quell'esatto momento.

Il rituale prevedeva la connessione tra la sua essenza di semidea e l'anima di un mortale ricevente. Il legame tra semidio ed essenza si manifestava attraverso un simbolo sul suo corpo. Nel caso di Ilektra quel simbolo era una triscele sulla spalla, le tre braccia significanti i tre mondi della realtà: Olimpo, Inferi e Mondo Mortale. Attraverso quel marchio una persona poteva estrarre il suo potere e la sua parte divina per infonderla all'interno di un nuovo ospite. Se venivano assorbite le essenze divine dei tredici dei principali, più quella di colei che prima sedeva su uno dei troni dell'Olimpo, allora si riceveva il diritto di chiedere agli dei un desiderio. Il piano di Akakios era di assorbire la parte divina di ogni semidio che aveva fatto portare a Creta e chiedere di diventare immortale: un dio nuovo di zecca, potente ed eterno. La sua posizione di potere fissa per l'eternità.

 

Ilektra sentì chiaramente quanto il suo potere iniziò a fuoriuscire dal suo centro. Le appariva come un fiume di luce di un morbido grigio chiaro che piano piano lasciva il suo corpo per entrare in quello di Akakios. Con ogni goccia vedeva un ricordo diverso riflesso nelle palpebre chiuse. Ora ogni volta che aveva usato il suo potere le si presentava davanti agli occhi, ogni volta che aveva aiutato un famiglia ad accettare la morte di un loro caro, ogni volta che aveva reso il viaggio di un'anima verso gli Inferi meno insidioso e spaventoso, ogni volta che aveva conversato con coloro che dimoravano nell'Elisio quando si sentiva sola e dimenticata da tutti nelle prigioni di Olimpia. I ricordi aiutavano a lenire il dolore. Erano piacevoli, caldi e scintillanti, la avvolgevano come una coperta facendole dimenticare per poco cosa era costretta a sopportare. Poi i ricordi cambiarono. Non erano più i suoi, lei non aveva mai visto un campo di battaglia né aveva combattuto contro nemici all'apparenza invincibili sulla prua di una nave. Si rese conto che non erano i suoi ricordi, ma quelli di Akakios. Non sapeva se il re fosse consapevole di questo doppio lato del rituale. Si poteva rubare la divinità di un semidio, ma il semidio si prendeva qualcosa in cambio. E per trovare cosa prendere leggeva i ricordi di chi lo stava uccidendo.

 

Ilektra vide contorni confusi e un bambino in una culla, la brezza leggera smuoveva la stoffa che la circondava. Poi l'immagine si fece più chiara e due donne entrarono nella stanza. Una era chiaramente una serva, i suoi vestiti e il viso solcato da anni di fatiche lo confermavano. L'altra apparteneva alla nobiltà, dritta e slanciata. Aveva una corona intorno alla fronte, quindi Ilektra dedusse che si trattava della regina di qualche terra. Fu solo quando la serva pronunciò il nome del bambino che Ilektra si rese conto di essere nei primissimi ricordi di Akakios. Akakios bambino gorgogliò felice quando sua madre e la sua nutrice entrarono nel suo campo visivo. La serva lo prese in braccio e la regina gli accarezzò la guancia paffuta con un dito colmo di anelli.

La scena cambiò quando Ilektra si rese conto che quel ricordo non le sarebbe servito a niente. Vide i successivi otto anni in modo accelerato e si rese conto che Akakios voleva molto bene sia alla madre che alla sua nutrice. Finché non perse entrambe quando aveva otto anni.

Un Akakios bambino era accasciato di fianco ad un letto matrimoniale in cui giaceva la madre, pallida e debole. Erano soli nella stanza, l'assenza della nutrice, una costante nella vita del giovane principe, non passò inosservata a Ilektra. Nessuno venne a consolare Akakios quando sua madre esalò l'ultimo respiro. Dopo ore di pianti ininterrotti sul corpo della regina il principino si alzò e corse verso gli alloggi della servitù. Si fiondò all'interno di una porta, sicuro dei suoi passi. Ilektra lo seguì e appena entrò capì il perchè di quella sicurezza. Sdraiata su un letto immensamente più piccolo di quello della madre era la sua nutrice. Respirava a malapena, ma appena di rese conto della presenza di Akakios aprì gli occhi e gli sorrise, o almeno ci provò. Ilektra trovò quel gesto allo stesso tempo estremamente dolce e triste. La donna morì poco dopo l'entrata di Akakios, era evidente che aveva cercato di resistere il maggior tempo possibile così da poterlo vedere un'ultima volta. Akakios fu inconsolabile per mesi. Quando si riprese giurò che non avrebbe mai amato nessun altro come amava sua madre e la sua nutrice così da non soffrire mai più così tanto.

All'età di dodici anni si rese conto che uno dei suoi più grandi desideri era diventare re. Quel desiderio rimase con lui fino alla morte del padre, quasi dieci anni dopo. Ma non fu lui a diventare re, ad essere incoronato fu suo fratello maggiore, di poco più grande di lui, ma con già una moglie e un figlio in arrivo. Il matrimonio di Akakios era previsto per quella primavera. A venticinque anni decise che il potere valeva più di ogni altra cosa. Due mesi dopo uccise suo fratello e la sua famiglia reclamando il trono per sé. Quello che seguì fu uno scorrere di battaglie e giochi di potere che confusero Ilektra più di ogni altra cosa. Uscì dai ricordi del re il prima possibile. Sapeva cosa prendere.

 

Il dolore si fece piano piano più debole mentre Ilektra perdeva le forze. Sentiva un vuoto dentro il petto, dove una volta risiedeva il suo potere. Il legame con Akakios non era ancora stato spezzato e Ilektra ne approfittò per rubare qualcosa che il re considerava prezioso: i suoi ricordi della madre e della nutrice insieme a tutte le emozioni che suscitavano in lui. Lasciò solo qualche memoria sperduta qua e là, giusto per fa sapere che erano esistite e che le aveva amate con tutto se stesso. Non si sentì in colpa per quel gesto, ormai Akakios aveva perso ogni diritto di lamentarsi. E poi non se ne sarebbe accorto subito. Il corpo di Ilektra cadde in avanti atterrando con un suono sordo sul tappeto. Sentì la sua morbidezza sotto la guancia e i palmi delle mani. Sentiva le energie diminuire sempre di più, avrebbe voluto rannicchiarsi in una pallina e finalmente piangere tutte le sue lacrime, ma non sentiva più le braccia e le gambe. Sorrise prima di morire, non gli diede la soddisfazione di vederla soffrire anche nei suoi ultimi momenti. Quando l'ultimo respiro le uscì dal polmoni il suo corpo iniziò a sgretolarsi, divenne ombra e da ombra si dissolse in polvere finchè di lei non rimasse nient'altro che una sagoma scura sul tappeto colorato.

Dal canto suo ad Akakios non gliene poteva fregare di meno di Ilektra. Si sentiva potente come non lo era mai stato. Amava la sensazione. Ne voleva di più, più potere, più essenza divina, più di qualsiasi cosa che lo rendesse più forte. Strinse più volte i pugni saggiando il potere che ora gli scorreva nelle vene. Era tempo di passare al punto successivo del suo piano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Me

E ovviamente sono di quasi due mesi in ritardo. Mi dispiace. Non sapete quanto. Ma per una volta non è colpa della mia straordinaria capacità di procrastinare. La breve versione: il mio computer mi odia e ha cancellato il capitolo finito praticamente minuti prima che io lo pubblicassi. La versione lunga: avevo finito il capitolo per il 7 di gennaio, al che ero tipo “uoa, ho mantenuto una scadenza, evvai!” perchè come sapete faccio schifo a rimanere nelle scadenze che non sono legato alla scuola. Ora mi mancava l'angolo autrice, il che mi faceva presupporre che tempo trenta minuti avrei postato il capitolo. Il mio computer aveva altri progetti per me. Fatto che sta che si è spento (per colpa mia, in realtà perchè mentre cambiavo posizione ho cliccato per sbaglio il pulsante di accensione/spegnimento e anche se non si è spento ho dovuto farlo io perchè altrimenti non si riaccende) e quando l'ho riacceso, dopo aver ripristinato i documenti, ovviamente i miei amati documenti non si erano ripristinati. Ora non ho idea di come spiegarlo perchè non credo sia una cosa comune a tutti i computer ma solo il mio (ho un HP comunque), in pratica è come se me lo ripristinasse, il documento esiste, solo che nel momento in cui io vado as aprirlo mi compare una piccola finestra in cui mi chiede qualcosa a me incomprensibile (ci sono delle opzioni e una lista, e veramente non ci capisco nulla). Quando clicchi accetta te pensi che sia tutto a posto e invece no! perchè quando il documento di apre non ci sono parole ma una serie infinita di “x” che si ripetono per tutta la lunghezza del documento iniziale. Ora come potete vedere questo è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto per questa storia. Non c'è modo di recuperarlo. Quindi dodici pagine buttate fuori dalla finestra. Posso ammettere senza alcun tipo di vergogna che ho pianto... parecchio. Non ho perso solo questo capitolo, ma anche due altre mie storie originali che sono riuscita a recuperare solo parzialmente perchè salvate su un altro dispositivo. Per cui ero abbastanza arrabbiata. Come se non bastasse mi stava per iniziare una sessione d'esami all'università, non il periodo migliore per incominciare da capo a scrivere il capitolo. Fatto sta che ho buttato giù ogni cosa che mi ricordavo (in realtà ho fatto un audio, ma non importa...), mi ha rincuorata il fatto che avevo letto il capitolo prima che fosse cancellato, ma comunque se c'è una cosa che odio profondamente è dover riscrivere qualcosa di cui eri già soddisfatta. Mi piaceva come avevo scritto la prima versione, mi piace anche questa, ma se vedete delle cose che magari non tornano o dettagli strani fatemelo sapere così li correggo perchè nella mia testa avevo già scritto questo capitolo ed è stato una tortura riscriverlo da capo. Ci sono un paio di scene che ci avevo messo anni a scrivere, come la scena tra Tetisheri e Ilektra (non sono brava a scrivere scene con pairing femxfem, nope, not at all) e che ci ho messo il doppio a riscrivere. Quindi mi dispiace per il ritardo e per il capitolo mediocre.

A proposito, ho volontariamente non riletto l'angolo autrice, quindi quello che avete letto è esattamente come l'ho scritto la prima volta e come probabilmente lo avrei detto se fosse stato un dialogo.

Spero che il capitolo vi soddisfi e aggiornerò appena possibile, il che vuol dire spero prima di Pasqua... sono una pessima persona, lo so. Mi faccio schifo da sola

Un bacio

Diamante

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Capitolo 18
*** Nero ***


Ehi,
So che vi aspettavate un capitolo, mi dispiace immensamente che questo non lo sia. Mi sono chiesta per un paio di giorni se era il caso di scrivere o meno questa nota. Perchè di nota si tratta, non sto chiudendo la storia o altro, vi avviso soltanto che il capitolo sarà rinviato ancora più in là di quanto era previsto per una semplice ragione, agghiacciante, ma semplice. Non so dove vivete o se guardate il telegiornale/leggete gionarle cartaceo o virtuale, quindi anche se purtroppo è diventato caso nazionale potreste non saperlo. Non lo faccio mai, ma sto per raccontare dei piccoli dettagli personali. Attualmente vivo in Casentino, in Toscana. Sabato pomeriggio, un mio caro amico è morto. Ora, capisco che la morte non è una cosa rara e sicuramente non è successo solo a me di perdere persone a cui volevano bene. Ma in questo caso la sua morte non è stata naturale ne indolore. Non si conosce nemmeno il motivo per cui non è più vivo e questa cosa mi sta uccidendo lentamente. Perchè sabato scorso è caduto dalla diga di Ridracoli, a Frolì, e nessuno sa se si è suicidato o se è stato un incidente. Ora, lui non aveva nessun motivo per suicidarsi ed era anche un po' una di quelle testine idiote che fanno cose stupide, ma fa male, ragazzi, fa male da morire. E la scrittura è la mia valvola di sfogo, ma tutto ciò che ho scritto in questi giorni è terribilmente triste e senza speranza. Un pezzo di quello che ho scritto in realtà sarà presente nel capitolo e credo si capisca anche quale sia piuttosto facilmente. E niente, volevo solo farvi sapere che il prossimo capitolo potrebbe arrivare a giugno anzichè settimana prossima come mi ero promessa.
Sad, sad, smile
Dia

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Capitolo 19
*** Capitolo XIII ***


Riassunto brevissimo del capitolo precendete: Ilektra è stata scelta come prima "vittima" e al catello ha incontrato Tetisheri, una schiava che le ha fatto compagnia nell'ultimo giorno della sua vita. Dopodichè Akakios ha svolto il rituale per prendersi la parte divina della figlia di Ade e Ilektra è morta per via della sua assenza.


Capitolo XIII

 

Arcadia – giorno 37, ore 12.00

 

Ilektra era morta. Avevano sentito la sua energia lasciare il suo corpo. Come, non lo sapevano neanche loro. Eppure nel momento in cui il legame che univa la sua parte umana a quella divina si era spezzato loro lo avevano avvertito, avevano sentito il dolore di Ilektra nel perdere quel lato di sé. E ora stavano soffrendo per la morte di una loro compagna per mano di un uomo assetato di potere. Ma anche nel loro dispiacere era viva la consapevolezza che nel giro di poco un altro sarebbe stato al posto di Ilektra.

Erano riuniti nella sala dei cuscini, seduti in cerchio da ore ormai. Nessuno sapeva il perchè di quella reazione così profonda. Non conoscevano bene Ilektra, non abbastanza da stare così male alla sua scomparsa. Secondo Epeo la risposta non stava nella profondità affettiva del legame che avevano con lei ma nella loro comune appartenenza alla stessa razza. Non stavano piangendo la morte di Ilektra in quanto Ilektra ma quella di Ilektra in quanto semidea. Il che tutto considerato aveva senso. Ma nonostante la possibile e apparente soluzione al loro problema nessuno di loro si alzò dal cerchio per andare nella propria stanza, nemmeno Ariadne. Stare da soli non appariva allettante in quel momento. Cercavano conforto nel calore che emanavano anche se per la maggior parte di loro il contatto fisico non era nell'immagine. Gli unici a toccarsi apertamente erano Hermia ed Enea, stretti in un abbraccio senza vergogna di ammettere il loro bisogno di starsi accanto. Epeo e Cassiopea avevano optato per un'opzione più discreta dato che erano seduti abbastanza vicini da permettere alle loro cosce di toccarsi. Glykeria stringeva la mano di Melissa che sembrava dormire con la testa appoggiata alle ginocchia alzate, ma a parte quello i loro corpi erano separati.

Parole non dette rendevano l'aria pesante, eppure il silenzio continuava a regnare nella stanza. I discorsi era lì, pronti per essere afferrati, era la voglia di afferrarli che mancava.

 

Enea fu il primo ad alzarsi e solamente perchè Hermia si era addormentata su di lui. Il principe prese in braccio la sorella e lasciò la sala diretto verso le stanze. Fu come se un filo invisibile si fosse spezzato. Uno ad uno i semidei si avviarono verso le loro camere.

Per due giorni nessuno disse niente, si parlavano senza aprire bocca. Ora la consapevolezza di essere prossimi alla morte era così forte da essere palpabile. Prima la sottile speranza di riuscire a scappare era ancora viva nei loro cuori, adesso anche quella misera speranza si era spenta come una fiamma sotto una cappa di vetro. Insieme avevano perduto il desiderio di interagire l'uno con l'altro. A che scopo? Sarebbero morti tutti nel prossimo futuro quindi che utilità avrebbe avuto parlarsi?

 

Palazzo reale di Creta, appartamenti del re – giorno 38, ore 10.00

 

Akakios amava il potere. Viveva per esso. Era il suo scopo finale. Il suo obiettivo, il risultato definitivo. Non bastava mai, mai, mai. Era nato principe, ma gli era stato negato il trono. Aveva ottenuto la corona al costo della vita di suo fratello e dei suoi eredi, ne era valsa la pena. Esercitava un controllo pressoché totale anche sui territori fuori dai confini di Creta, la paura del suo nome abbastanza da rendere i popoli ingranaggi nelle sue mani. Eppure essere solo re non lo soddisfava più. Desiderava una potere più grande. E ora era vicino, vicinissimo al suo intento. Aveva avuto un primo assaggio il giorno prima quando si era preso la parte divina del figlio di Ade. Non si sarebbe fermato adesso che sapeva cosa si provava ad avere così tanto potere, non prima di aver assorbito l'essenza di tutti i semidei rimasti e di essersi conquistato il diritto di avere un udienza con gli dei. Tutta la sua persona gridava per avere di più, ma nonostante la sua impazienza aveva il buon senso di non affrettare le cose. Il suo corpo da essere umano non era adatto a contenere essenza divina, doveva lasciare che si abituasse all'intrusione. Si era dato una settimana per far avvenire il processo. In sette giorni sarebbe diventato ancora più potente. Non vedeva l'ora.

 

Capitolo XIII

 

Arcadia – giorno 40, ore 6.45

 

Era troppo presto per alzarsi? Epeo non ne aveva idea. I ritmi dell'esercito erano pesanti, anche quando eri solamente uno stratega. Non amava la battaglia, ma amava il pensiero dietro ad essa. La matematica dietro alle azioni, le forza dietro ogni colpo di spada, il pensiero dietro ogni ordine. Lo affascinava quando tutto andava secondo i piani. Niente di nuovo, niente di imprevedibile. A Sparta aveva la sua vita pianificata fino al matrimonio, magari anche oltre. Ora non poteva pianificare nemmeno a che ora fare colazione. Non era la solitudine a rendere quei momenti insopportabili, no, era la vivida consapevolezza che ora il suo futuro era un grande blocco nero come una notte di luna nuova senza stelle. Erano poche le persona a cui teneva che desiderava rivedere. Era amico di tutti, ma in fondo in fondi non era amico di nessuno. Voleva bene a suo padre e recentemente i suoi sentimenti per Andromaca avevano preso una piega che non si darebbe mai aspettato. Andromaca. Era la prima volta che si permetteva di pensare alla sua giovane promessa sposa da quando era partito. Il pensiero della ragazza su quel molo, la sua espressione rassegnata e priva di speranza mentre lo guardava partire. Credeva fermamente nel matrimonio, nella fedeltà che un marito deve avere verso la moglie e viceversa, di più difficile interpretazione erano i sentimenti dietro all'atto. Per questo si era costretto a non pensare a lei, aveva avvertito il cambiamento di ciò che già provava in qualcosa di più forte, più disperato e ne aveva paura. Voleva tornare da lei e dal padre. Voleva dimostrare di essere capace di affrontare battaglie più dure di una semplice lotta su un campo. Ma ora più che mai stava dubitando di riuscirci. Il piano di Akakios era entrato in azione e nemmeno il suo cervello da figlio di Atena era in grado di trovare una soluzione in grado di funzionare. Senza il suo permesso una serie di ricordi gli sbocciò davanti agli occhi.

 

Quando Andromaca gli era stata presentata era rimasto abbagliato dalla sua bellezza. La ragazza indossava un magnifico chitone bianco dai bordi colorati di verde, era fissato su una spalla con una spilla d'oro e preziose pietre verdi. Ai piedi portava dei sandali di cuoi scuro e i polsi erano ornati da bracciali dorati. Aveva i capelli raccolti in intricate trecce scure che le lasciavano scoperto il viso. Suddetto viso era dominato da un paio di occhi verdi come le pietre sulla sua spalla, aveva insoliti zigomi sporgenti e labbra sottili. Il naso non piccolo di per sé ma non era nemmeno enorme come quello del padre. Non aveva la classica bellezza che possedevano le figlie di Sparta, ma per Epeo la personalità del suo viso lo rendeva ancora più incantevole. Il figlio di Atena non aveva avuto obiezioni quando gli era stato comunicato che Andromaca era la sua promessa sposa, anzi era sollevato di trovarla interessante. Avevano passato il pomeriggio insieme quel giorni e nelle settimane seguenti Epeo aveva continuato a vedere la promesse sposa. Erano passati due anni e mezzo da quando erano stati promessi, la loro situazione era molto inusuale, per una serie di caratteristiche: la loro vicinanza di età (Epeo era solo due anni più grande di Andromaca, solitamente le giovani venivano date in spose a uomini con il doppio dei loro anni), la lunghezza del loro fidanzamento (erano passati anni dal fidanzamento ufficiale chiamato dai loro rispettivi padri) e il fatto che non era stato Epeo stesso a scegliere la sua promessa (aveva ricevuto molte richieste di matrimonio, essendo un giovane nobile abile e bello, nonostante la cicatrice sul suo volto. Aveva chiesto al padre di scegliere una sposa per lui sapendo di essere in buone mani). Dopo quei fatidici due anni e mezzo Epeo aveva finalmente deciso di far passare la loro relazione al livello successivo iniziando l'ultima fase prima della cerimonia. La tradizione di Sparta prevedeva che il futuro marito “rapisse” la futura moglie, con il permesso dei familiari, e che quest'ultima vivesse con lui per un breve periodo di tempo. Fu durante quel periodo di convivenza che Epeo si era deciso a mostrare il gufo sul suo petto ad Andromaca. In cambio la ragazza aveva giurato di mantenere il suo segreto. Andromaca aveva preso il gesto di Epeo come un segno dei sentimenti che provava per lei. Epeo si fidava di lei abbastanza da farle sapere la sua natura, Andromaca si sentiva la ragazza più fortunata di Sparta. Dopo il suo ritorno nella casa paterna era stato organizzata la cerimonia finale per l'inverno seguente. Ma poi Akakios aveva richiesto due semidei in cambio della pace ed Epeo si era offerto volontario al posto del semideo prescelto. Non si era pentito della sua scelta e aveva detto addio a tutti coloro che contavano nel modo più appropriato che aveva a disposizione.

 

Con uno scatto e un gemito Epeo si buttò giù dal letto, scattando verso la porta. Non voleva ricordare cosa aveva lasciato, non era il caso di aggiungere altri sentimenti sopra quelli che già provava e che già lo confondevano come una bussola sopra una spessa lastra di ferro.

 

 

Arcadia – giorno 42, ore 20.00

 

 

Avevano ripreso a parlarsi, ci stavano provando almeno. Nessuno voleva affezionarsi e poi soffrire di più per l'inevitabile morte seguente. Ma un mondo di silenzio è un mondo di dolore e il loro punto di rottura era vicino come mai lo era stato. Quanto ancora avrebbero retto la tensione prima di spezzarsi, quanto ancora prima che qualcuno cedesse alla tentazione di farla finita prima che Akakios arrivasse a loro? Nessuno di loro lo sapeva e anche che cercava disperatamente una mano a cui appoggiarsi, una spalla su cui piangere e una persona di cui fidasi, era restio ad uscire dal proprio bozzolo fatto di precarie sicurezze. Ma come ogni bozzolo mai esistito anche quello un cui si erano rinchiusi andare rotto. E rotto fu. Per la prima volta dalla morte di Ilektra si riunirono tutti nella Grande Sala. La luce naturale nella stanza era ancora minore rispetto a quando erano arrivati più di un mese prima, la prova che presto l'inverno sarebbe arrivato.

-Qualcuno sa che potere avesse Ilektra?- chiese Epeo. Non aveva una bella cera, con profonde occhiaie sotto gli occhi. Era un aspetto che caratterizzava ognuno di loro, con il sonno che arrivava tardi e se arrivava era tormentato da incubi e ricordi di tempi felici che lasciavano un segno peggiore degli incubi che li avevano preceduti. Tutti scossero la testa. Ilektra era schiva di natura, preferiva stare in silenzio e da sola nel suo mondo come se fosse effettivamente priva di compagnia. Quando si erano presentati le uniche informazioni che si erano dati erano stati il loro nome, la loro provenienza e il loro genitore divino. Alcuni dei loro poteri potevano essere dedotti da quello ma ogni semidio ha qualche potere che non condivide con i suoi fratelli.

-Se non lo sappiamo noi allora perchè Akakios ha scelto lei per andare per prima?- chiese Orion. Era giovane, ma a differenza di Melissa era anche ingenuo e dai desideri semplici. Non aveva idea del perchè un uomo facesse così tanta fatica per ottenere qualcosa senza nemmeno avere la sicurezza di riuscire a farlo.

-Perchè nostro padre o nostra madre ci dona qualcos'altro oltre alla nostra parte divina. I poteri che tutti i semidei hanno derivano in parte da chi abbiamo come genitore e in parte da chi siamo noi come persone. Sapendo che il padre di Hermia è Poseidone possiamo intuire che può respirare sott'acqua perchè è una delle abilità che la maggior parte dei figli di Poseidone possiede. Sapendo che Hilarion è figlio di Efesto possiamo dedurre che ha una passione per la costruzione degli oggetti perchè è ciò che accomuna moltissimi dei figli di Efesto. Sapendo che Callimaco è figlio di Afrodite possiamo ipotizzare che sappia usare il suo aspetto fisico o le sue parole per sedurre qualcuno perchè Afrodite stessa possiede queste capacità e spesso le trasmette ai suoi figli. E così via, ognuno di noi ha un potere o due che ci accomuna con i nostri fratelli e altri poteri particolari solo a noi- rispose Epeo.

-Epeo ha ragione, i nostri genitori, o più in particolare uno dei due, ci dona parte di ciò che siamo. Sta a noi capire che cosa ci ha donato- disse Enea. La sua situazione era estremamente particolare, lui ed Hermia avevano la stessa madre ma padri differenti ed erano nati dallo stesso parto. Non era molto a suo agio a spiegare nel dettaglio il perchè della cosa per cui cercava sempre di evadere la domanda.

-Il che fa sorgere spontanea la domanda: chi è il prossimo?- chiese Cassiopea. Ariadne era seduta dritta come un giunco accanto a lei, aveva l'espressione di qualcuno che voleva aggiungere qualcosa ma si tratteneva nel farlo.

-A meno che non sappiamo che tipo di criterio sta seguendo Akakios non possiamo sapere con certezza chi sarà il prossimo. Potrebbe aver iniziato da Ilektra perchè Ade è fuori dei Dodici e allora la prossima sarebbe Melissa. Ma anche aver iniziato da Ade e non seguire uno schema preciso dopo- fu di nuovo Epeo a rispondere. Non seguire un piano lo inorridiva a livelli estremi, senza un piano tutto poteva andare in fumo. Per la loro situazione però il fallimento non era così tanto male.

-Una delle abilità dei figli di Ade è sapere quando la morte è prossima. Ho visto un figlio di Ade prevenire la morte di persone a lui vicine semplicemente perchè aveva avvertito il loro filo tremare prima di spezzarsi. Akakios deve aver saputo di questa abilità e non sapendo se Ilektra la possedeva o no ha deciso di andare sul sicuro e ucciderla per prima per evitare che potesse prevedere il bersaglio successivo. I figli di Ade non possono prevedere la loro stessa morte- questa volta fu Hermia a parlare. Tra tutti sembrava essere quella che aveva reagito peggio alla morte di Ilektra, aveva un paio di profonde occhiaie e la tonalità bronzea della sua pelle era scomparsa per lasciare spazio ad un pallido bianco.

-Ade è uno degli dei più potenti, sarà pure fuori dai Dodici, ma è a capo di uno dei Domini ed è uno dei Sei. Se Akakios è furbo non sceglierà un altro dio così potente subito dopo, rischia di morire e rovinare il suo piano. No, non rischierebbe così la sua vittoria- aggiunse Enea.

-Ma tutti gli dei che restano fanno parte dei Dodici o lo sono stati, tecnicamente sono tutti potenti quanto Ade per un mortale- fece notare Kosmas.

-Enea non intendeva il potere del dio da solo, ma quanto di quel potere è dentro a figlio. Guardando a questo i figli dei Tre Pezzi Grossi sono i più potenti tra i semidei senza la benedizione aggiuntiva di un altro dio o dea. Tra i Dodici, due non hanno figli diretti, hanno solo sacerdotesse per quanto riguarda Era e le Cacciatrici per Artemide; Estia è anche lui in questa categoria, non ha figli diretti ma solo sacerdotesse. Questo fa in modo che il legame con le dee sia più debole. Ora Ariadne è una semidea, figlia di una dea minore, ma è anche una sacerdotessa il che rende la sua parte divina più consistente di quella di Melissa e Glykeria. Però bisogna anche considerare che Dioniso non è nato dio ed è stato reso tale solo successivamente nella sua vita, ciò potrebbe essere motivo di una parte divina più diluita ma non meno potente. Per il resto degli dei, che possiedono più o meno lo stesso livello di potere, dipende dal semideo stesso. Per cui ci sono molte possibilità e nessuna risposta- chiarì Epeo. Non sapere lo stava infastidendo enormemente.

-Quindi chi potrebbe essere il prossimo?- chiese Agape guardando Epeo.

-Secondo ciò che ha appena detto Epeo la scelta di Akakios ricadrebbe nella maggior parte dei casi su Melissa, Glykeria, Ariadne o Orion, in quanto sacerdotesse e figlio di un dio che non è nato tale. Ora c'è anche da tenere in contro che Akakios è abbastanza pazzo per cui potrebbe anche decidere per qualche strano collegamento poco logico e normale di iniziare con gli dei più potenti e scendere verso quelli che hanno un collegamento minore con i loro figli, no... figli non va bene... con i loro... rappresentanti? Rappresentanti potrebbe andare. Che hanno un collegamento minore con i loro rappresentanti nel mondo terrestre. Per cui che tutti, me compreso, vivano questo giorno e quelli a venire come se fosse l'ultimo. So che non è esattamente incoraggiante, ma vivere nei sogni non fa bene a nessuno- disse Enea. Odiava trovarsi in quella situazione, non solo perchè la possibilità di morte era certa come la luce del sole ma perchè Hermia stava soffrendo e lui detestava quando la sorella stava male. Non poter fare niente per farla sorridere era un punizione peggiore della morte.

-Enea- chiamò Cassiopea.

-Mmm-

-Fai schifo a rassicurare le persone- esclamò diretta la figlia di Ares. La frase fece sorridere il principe così come gli altri nella stanza. Non raggiunse gli occhi di nessuno, ma alleggerì l'umore nero che non accennava ad andarsene. Sarebbero andati a letto più sereni quella notte, forse sarebbero riusciti a ripensare ai loro cari senza il cuore chiuso in una morsa.

 

 

Arcadia – giorno 45, ore 1.17

 

 

Dormiva, ma il suo sonno non era rilassante in nessun modo. Gli avvenimenti degli ultimi giorni avevano risvegliato ricordi che preferiva tenere latenti per il resto della sua vita, corta o lunga che fosse. Ma non le era stato concesso quel lusso. E ora stava rivivendo ciò che aveva sempre cercato di nascondere nel profondo della sua mente.

 

 

Lui non c'era. Lui non c'era. Lui. Non. C'era. Dov'era? Perchè non era con lei? Doveva essere con lei, quindi perchè non era lì?

Tremava. Aveva freddo? Non lo sapeva. Non si sentiva più le mani e i piedi, quindi forse era così. Non faceva sicuramente caldo dentro quella piccola stanza di pietra, ma freddo? Era in grado di capire se aveva freddo oppure no?

Un rumore sordo risuonò da fuori. Il suo cuore saltò un battito, due, tre, poi riprese a battere regolarmente. Per quanto regolare potesse essere quando il terrore regnava sovrano. Aveva paura, come mai l'aveva provata in tutta la sua vita. E non aveva nessuno a fianco per poterla condividere. Di solito aveva qualcuno con cui parlare, sempre. Ma lui non era lì.

 

Lui non c'era. Dov'era?

Tremava. Aveva freddo? Forse. Paura? Decisamente. La porta si aprì. Si fece piccola piccola nell'angolo più buio della stanza. Ma non successe niente. Non successe niente. Solo un vassoio venne lasciato sul pavimento quando la porta si richiuse.

Aveva fame? Non sapeva da quanto non mangiava. Le strette allo stomaco che sentiva potevano derivare da quello o forse no, non sapeva più nulla ormai. Mangiò. Mangiò come se avesse di fronte un banchetto delle più fini carni e delle verdure più gustose quando in realtà era semplice pane posso e una misera porzione di minestra con una ciotola colma d'acqua. Ma non importava. Non importava perchè non ne sentiva il sapore. Era cibo. Le andava bene.

 

Lui non c'era. Dov'era?

Tremava. Aveva freddo? Ormai non bastava il calore del suo corpo a farle capire se era ancora viva. Aveva paura? Non ricordava un giorno in cui non fosse vissuta con la paura a stringerle la gola in una morsa. Aveva fame? Un pasto al giorno bastava a tenerla in vita, non a farla effettivamente vivere. Non c'era calore nel sole che filtrava misero dalla minuscola apertura, ne gioia nelle grida degli uccelli. Era tutto grigio.

 

Lui non c'era. Dov'era?

Tremava. Aveva freddo? Non aveva memoria del calore. Paura? Aveva smesso di sperare oramai. Fame? Si faceva bastare il pane e la minestra. Stava morendo, lo sapeva. E lo aveva accettato.

 

Lui non c'era. Dov'era? Dov'era?

Non tremava più. Lui era lì davanti a lei.

 

 

 

 

Angolo autrice

Bene, sono passati mesi dall'ultima volta che ho aggiornato e ovviamente non è più giugno. E questa volta non è stato il mio computer a cancellare il capitolo. Sono stati mesi difficili e lunghissimi. Per chi non avesse letto il mio precedente post: all'inizio di maggio un mio caro amico è morto, dopo qualche investigazione la polizia ha trovato le prove che si è suicidato. Ho preso il mese di maggio come pausa e per riflettere, realizzare e in parte superare la sua morte. Perchè ci vuole tempo per capire che non lo vedrò mai più e ho preferito aspettare che mi sentissi meglio prima di continuare e finire questo capitolo. Poi ho perso la voglia di scrivere e il file è rimasto aperto nel computer per mesi. Ho avuto il mio primo esame della sessione estiva il primo di luglio e l'ultimo è domani, le lezioni mi sono finite il 15 giugno circa e quindi ho preferito dedicare il mio tempo allo studio per superare tutti gli esami. Domani ho l'ultimo e dato che non studio mai intensamente il giorno prima di un esame perchè altrimenti mi confondo e basta ho deciso di finire il capitolo oggi. E ce l'ho fatta!! YAY!! Non so di preciso cosa provo verso questo capitolo per via del tempo praticamente infinito che è passato dall'ultima volta che l'ho scritto. È stato scritto in tre parti, non so se è visibile. L'ultima parte è quella che ho scritto subito dopo aver saputo della morte del mio amico, poi revisionata e scremata delle parte più personali che stavano bene con la storia. Questo capitolo è brevissimo e non succede neinte di particolare (certo si scoprono dei dettagli inediti ma a parte questo è molto blando), volevo solo evitare di mettere due capitoli in cui muore un personaggio uno dientro l'altro. Per cui sorry T.T

L'anno prossimo lo passerò in Cina, ma non vi preoccupate la storia continua, sempre lenta e con singhiozzi ma continua. In settimana credo inizierò a scrivere il capitolo seguente, il 31 vado in Grecia fino al 6 Agosto ma ahimè il computer non viene con come quindi sad life, se ci riesco aggiornerò verso ferragosto quindi pregate qualsiasi Dio o Dei credete o se non credete sperate vivamente.

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento. E se avete opinioni belle o brutte che siano rispetto a qualsiasi particolare fatemelo sapere non mi offendo. Inoltre chi credete che sia il personaggio dell'ultima parte?? E chi pensate che sia il prossimo a morire??

Baci

Dia

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Capitolo 20
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

 

 

 

Arcadia – giorno 46, ore 3.00

 

Ariadne non riusciva a dormire. O meglio, c'era riuscita benissimo fino a quando si era svegliata per un motivo a lei sconosciuto e non aveva più chiuso occhio da allora. Non avendo modo di misurare il tempo senza vedere il cielo Ariadne avrebbe detto che era sveglia da circa un'ora. Il che la irritava non poco. Soprattutto perchè sapeva il perchè della sua insonnia improvvisa. E le piaceva ancora meno di rimanere sveglia. Le parole di Enea l'avevano colpita, nonostante si sforzasse con tutta se stessa di evitare di pensarci. Lei non si faceva controllare da nessuno. Dei, aveva persino deciso di diventare una sacerdotessa di Era per sfuggire al desiderio di controllo che suo padre aveva sulla sua vita. Non si era mai pentita della sua decisione, ma forse ora iniziava a dubitarne l'efficacia. Eppure, l'apparente sicurezza con cui Enea ed Epeo avevano discusso i possibili sacrifici successivi l'aveva messa in allarme. Lei doveva vivere. Doveva dimostrare a suo padre e a tutti coloro che avevano cercato di sopraffarla che era lei ad avere il coltello dalla parte del manico. Solo lei poteva controllare il suo destino. Ma se moriva, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani. E la consapevolezza che nessuno l'avrebbe pianta quando la notizia della sua morte sarebbe arrivata a Tebe le faceva bollire il sangue nelle vene. Per questo doveva sopravvivere. Nel caso in cui fosse stata scelta avrebbe trovato un modo per fuggire, ne era praticamente certa. Quel piccolo dubbio sulla riuscita del suo piano, un secondo piano formulato nel momento in cui il primo era fallito per via di mancanza di tempo, le rendeva la bocca amara ogni volta che le passava per la testa.

 

Arcadia – giorno 46, ore 3.34

 

Glykeria era tra le Cacciatrici da anni ormai, aveva visto morire le sue stesse compagne e aveva ucciso nel caso di bisogno. Non era estranea alla morte, nemmeno a quella riguardante lei stessa. Era sempre al suo fianco, il tempo non la sfiorava da quando aveva pronunciato il suo giuramento ma poteva cadere in battaglia come la mortale che un tempo era stata. Per questo non era la morte a spaventarla. Era il fatto che con la sua morte avrebbe reso un uomo pronto a tutto per il potere più vicino al suo scopo. Non era portata per la guerra e aborriva la violenza. Perciò quello che stava facendo Akakios non le piaceva minimamente, andava contro tutti i suoi principi. E lei non voleva avere un posto nei suoi piani. Sapere che avrebbe aiutato qualcuno di così malvagio a diventare più potente la faceva stare male. Eppure la sua indole sensibile le aveva impedito di provare anche il minimo senso di sollievo quando il suo nome non era stato chiamato con Ilektra, sapeva che la cosa non sarebbe cambiata per il nome seguente. Era spaccata a metà dal desiderio di non avere un ruolo negli scopi di un pazzo e da quello di evitare di vedere i suoi compagni avviarsi verso la fine che lei aveva appena scampato. La confusione dei suoi sentimenti non l'aiutava a riposare. Si girò a pancia in giù schiacciando la faccia sul cuscino. Sarebbe andata nell'Elisio una volta morta? Oppure l'avrebbero mandata nel Campo degli Asfodeli? O peggio nei Campi delle Pene? E sarebbe stato possibile chiedere perdono alla sua signora Artemide una volta negli Inferi? Su questi cupi pensieri Glykeria si addormentò.

 

Arcadia – giorno 46, ore 5.45

 

Melissa sapeva che mancava poco all'arrivo del consigliere del re. E alla conseguente scelta del semidio. Melissa desiderava poter tornare a Salonicco, al tempio in cima alla scogliera. Desiderava rivedere il meraviglioso panorama della baia in una giornata limpida quando era possibile vedere le coste che la circondavano fino all'orizzonte. Melissa amava quei giorni. Ma le piaceva anche quando le onde erano così alte che gli schizzi arrivavano fin sopra il promontorio quando si schiantavano sulle rocce sottostanti. Nessuno veniva al tempio con le mareggiate e Melissa insieme alle altre apprendiste e sacerdotesse più anziane potevano godersi lo spettacolo del mare in tempesta senza essere interrotte. E spettacolare lo era senz'altro. Chiudendo gli occhi Melissa poteva rivedere alti cavalloni rompersi a metà strada e tingersi del bianco della schiuma, per poi infrangersi contro la scogliera. Sognava di rivederlo, il mare della baia, con le sue acque limpide e i pesci che nuotavano sereni. Le probabilità di farlo erano basse, quasi inesistenti, Melissa non era abbastanza stupida da credere di poterlo veramente rivedere, ma ripensare al mare e al tempio le impediva di impazzire definitivamente. E preferiva di gran lunga rimanere sana di mente. Aveva detto addio alla sua maestra, ma solo a lei. Aphia, Kyriake e Sotiria erano già andate a dormire quando era partita e non aveva avuto tempo di salutarle dopo la notizia che Anthi le aveva dato. Le tre apprendiste erano sue amiche da quando era entrata al tempio, non erano venute a sapere della volontà di Akakios perchè avevano altre sacerdotesse come maestre. Sperava che Anthi avesse detto loro addio in sua vece. Con l'immagine dei visi delle amiche in mente Melissa chiuse gli occhi cercando di trovare un minimo di riposo prima di sapere quale nome il consigliere avrebbe chiamato.

 

 

Strada collegante l'Arcadia al palazzo reale – giorno 46, ore 7,21

 

 

Orion era il tipo di persone sbagliato per il genere di ruolo che gli era stato imposto. Era libero, senza pensieri e privo di preoccupazioni. Non pensava mai al suo futuro e se lo faceva era in relazione ai possibili giochi da svolgere. Per questo quando il consigliere del re aveva chiamato il suo nome aveva rivolto un sorriso agli altri, gli occhi liberi dall'ombra che incupiva i loro volti, per questo quando gli avevano legato mani e piedi per impedirgli di scappare il suo primo pensiero era stato quando divertente sarebbe stato provare a liberarsi- per questo non aveva smesso un attimo di parlare da quando le porte di pietra si erano chiuse alle sue spalle. La verità era che Orion aveva capito molto bene cosa lo stava aspettando alla fine della camminata e ne aveva paura. E il suo modo per combattere tale paura era parlare. Non importava di cosa e nemmeno se c'era un orecchio che ascoltava. Lo trovava rilassante, parlare senza filtri di termini e argomenti, a ruota libera passando dalla spiegazione su come arrampicarsi sugli alberi dal tronco privo di rami al modo migliore per cucinare alcune verdure altrimenti amarissime per poi passare a parlare di teatro facendo un interruzione per infilarci dentro una sfilza di curiosità riguardo i cuccioli di leone. Se perdeva il filo non era un problema, bastava iniziare dall'ultimo argomento di cui aveva memoria e poi ricominciare da lì. Per Orion era un passatempo rilassante, per tutte le persone costrette ad ascoltarlo non proprio.

 

 

Palazzo reale di Creta, stanza di Orion – giorno 46, ore 9.21

 

Orion era stato buttato di peso nella stanza. Non perchè cercasse di scappare, ma perchè non aveva smesso un momento di fare domande. Voleva sapere chi erano le persone ritratte sui muri, se poteva abbracciare le tozze colonne rosse del porticato, quanto era alto il palazzo, la comodità di ogni singolo divanetto, poltroncina o panca che avevano incontrato. Ogni cosa che catturava il suo sguardo era degna di una domanda. Alle guardie stava per venire un esaurimento nervoso. Almeno il semidio di prima era stato in silenzio per praticamente tutto il viaggio. Una volta che la porta fu chiusa alle spalle del ragazzino, gli uomini tirarono un sospiro di sollievo e per poco non si accasciarono per terra. Il consigliere li aveva abbandonati appena erano entrati a palazzo, desideroso di andarsene appena possibile. Le quattro guardie si guardarono, un pensiero comune aleggiava nell'aria: speriamo che non parli da solo.

 

Come per Ilektra anche ad Orion era stata assegnata Tetisheri, il re era fiducioso che la stessa tattica avrebbe funzionato su tutti i semidei ignorando che molti non trovavano attraenti le sue forme curve e morbide. Orion faceva parte di uno di quei molti. Non aveva mai pensato a nessuno in quella sfera. L'intimità e il sesso non gli erano per nulla sconosciuti, dato il lavoro di sua madre. Aveva una mente attiva e conosceva il corpo nudo di una donna. Lo sapeva solo perchè spesso Nimphadora girava nuda per casa. Non aveva mai distolto lo sguardo quando questo succedeva. Eppure non aveva mai pensato a qualcun'altro oltre la nudità. Sapeva cosa succedeva dietro le porte della camera da letto della madre, sapeva anche che non sempre i suoi clienti erano maschi. E aveva capito come usare il suo corpo. E proprio perchè capiva, si era reso conto che fare ciò che sua madre faceva quasi tutti i giorni era qualcosa che avrebbe segnato la fine della sua infanzia e l'inizio di una vita adulta piena di aspettative e responsabilità. Esattamente ciò che cercava di ritardare il più possibile.

 

Così quando il ragazzino vide la giovane schiava nell'angolo in cui era la sua prima reazione fu quello da salutarla con entusiasmo, scegliendo di ignorare il motivo per cui lei era lì. Si guardò intorno. La stanza era spaziosa, con una finestra che prendeva tutta la parete di fronte alla porta. In un angolo Orion intravide un vasca fumante. Con gli occhi che brillavano ci si fiondò. L'acqua calda e trasparente appariva come oro agli occhi del semidio. Dopo mesi di bagni con panni immersi nella poca acqua gelida che avevano a disposizione, un'intera vasca colma era un sogno. Non pensò al fatto che c'era un'altra persone nella stanza, si spogliò velocemente e si infilò nell'acqua invitante. Sospirò deliziato prima che Tetisheri si schiarisse delicatamente la voce. A quel punto Orion si voltò a guardarla.

-Sì?- chiese, come se fosse lui a dover servire lei.

-Avete bisogno di qualcosa?- rispose Tetisheri portandosi un ciuffo sfuggito alle trecce dell'acconciatura dietro all'orecchio. Orion scosse la testa, felice di sguazzare nella vasca, più simile ad un giovane figlio di Poseidone anziché ad uno di Dioniso.

 

 

Arcadia – giorno 46, ore 10.00

 

 

Il fatto che fosse stato scelto Orion causava sia sconcerto che sollievo. Sconcerto perchè era uno dei più piccoli tra di loro, se non il più piccolo (non avevano mai chiesto il compleanno di nessuno di loro, per cui non ne erano sicuri); era sempre sorridente e una piccola pallina di energia. Tra tutti loro era quello che sembrava più estraneo alla morte. Sollievo perchè voleva dire che Akakios stava seguendo lo schema che avevano ipotizzato Epeo ed Enea. E che quindi potevano prevedere chi di loro sarebbe stato il prossimo. E magari sarebbero anche riusciti a trovare un modo per comunicare con suddetto prossimo per capire come uscire di lì. Possibilmente vivi.

Erano ognuno nella propria camera, tranne Hermia che era in insieme ad Enea nella stanza di quest'ultimo. Aspettavano con ansia, di quella cattiva che ti divora l'anima piano piano, il momento in cui avrebbero avvertito la vita di Orion andarsene mentre la sua essenza veniva divorata a poco a poco. Non la migliore delle attese.

 

Palazzo reale di Creta, sala del trono – giorno 46, ore 12.00

 

Era arrivato il momento di sperimentare di nuovo quella meravigliosa eruzione di potere che lo aveva fatto sentire invincibile. Non era stupido, sapeva che Ade lasciava un'impronta profonda nei suoi figli, più profonda di quella che il figlio di Dioniso aveva ereditato da suo padre, ma Dioniso era pur sempre un dio e come tale era potente. Ad Akakios piaceva giocare con il fuoco. E avrebbe continuato finchè il dolore delle ustioni non sarebbe diventato insopportabile. Contava che quel giorno fosse molto lontano.

 

 

Palazzo reale di Creta, stanza di Orion – giorno 46, ore 15.00

 

A mezzogiorno gli era stato portato un pasto, migliore di tutti quelli che aveva mai mangiato in vita sua. Non si era soffermato molto sul perchè ci fosse carne della miglior qualità e verdure fresche. Due ore prima dell'arrivo del pranzo, Tetisheri era uscita per recarsi chissà dove, ad Orion proprio non interessava ed era tornata con il vassoio del cibo. La ragazza era sempre stata zitta, ma Orion non si era scomposto e aveva provveduto a riempire il silenzio.

-Non posso proprio uscire dalla stanza?- chiese con voce petulante per la settantacinquesima volta nell'ultima ora e mezza. Lo spazio era grande e spazioso, pieno di cose brillanti e con un meraviglioso panorama. Orion si era stancato di stare dentro lì circa venticinque minuti dopo che era uscito dalla vasca. Non poteva correre, ne arrampicarsi (aveva provato a farlo sulle colonne della finestra, ma Tetisheri lo aveva fermato e gli aveva proibito di provarci di nuovo), non poteva nemmeno osservare la gente da lontano. Per l'iperattività di Orion era una tortura.

-No, non avete il permesso di uscire finchè non verrete chiamato dal re- fortunatamente Tetisheri era una persona paziente, altrimenti avrebbe volentieri ucciso lei stessa il figlio di Dioniso.

-Se vi siete già annoiato di saltare sul letto, nei primo cassetti del mobile ci sono delle trottole e degli astragali. Credo ci siano anche delle biglie- disse Tetisheri. Aveva messo tutto lei lì, prima ancora che venisse Ilektra, nella speranza di distrarre il semidio o la semidea dal destino che presto gli o le sarebbe toccato.

 

A quelle parole Orion si illuminò e con il salto successivo atterrò sul pavimento.

-Le trottole, le trottole!! Sono così belle quando girano, magari sono anche colorate. Hanno anche i colori? C'è il rosso? Voglio il rosso. O forse il nero? No, il nero non mi piace tanto. Magari c'è il giallo. Che bello, che bello. E le biglie? Sono di legno o di vetro? Magari anche le trottole sono di vetro? Le voglio di tutti i colori!- l'entusiasmo del ragazzino fece sorridere Tetisheri. Le trottole e le biglie non erano niente di troppo pregiato, Akakios non si sarebbe mai sognato di dare qualcosa di prezioso come vetro colorato con gli ossidi o legno dipinto a qualcuno che vedeva solo come un sacrificio. Orion trovò nel cassetto due trottole di legno, una di tiglio e l'altra di cipresso, insieme a cinque biglie di vetro non trattato, oltre ad un sacchettino contenente degli astragali d'osso. Con quelli Tetisheri riuscì a tenerlo occupato peri il resto della giornata, inventandosi giochi, parlando poco e ascoltando molto.

 

 

Palazzo di Creta, stanza di Orion – giorno 47, ore 9.05

 

Orion fu svegliato da due forti colpi alla porta. Alzò di scatto la testa e per poco non prese in pieno il bordo del letto. Apparentemente si era addormentato sul pavimento mentre guardava le trottole girare. Si stropicciò gli occhi prima di gattonare fino alla bacinella d'acqua appoggiata sul comodino. Una volta lavatosi la faccia la testa gli si schiarì un po'. Guardandosi intorno notò che Tetisheri era sparita, ma il letto era sfatto. Quest'ultima informazione gli fece rivalutare il perchè si trovasse sul pavimento. Probabilmente era caduto dal letto e lì era rimasto. Un altro colpo alla porta lo fece sobbalzare. Aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima altrimenti le guardi avrebbero visto il suo magrissimo didietro in prima fila dato che poco dopo aver preso a pungi la porta l'avevano spalancata. Gli fu intimato di stare zitto e di collaborare. Orion non fece nessuna nelle due cose. Rimase in silenzio per approssimativamente due minuti e quindici secondi prima di fare la prima domanda e non smettere più. Fortunatamente per le guardie la stanza in cui si trovava il re era più vicina del tragitto della mattina precedente.

 

Il re si trovava di nuovo nella stanza che aveva visto la morte di Ilektra, ma che non ne conservava le prove. I tappeti erano stati puliti dalla polvere che il corpo della figlia di Ade aveva lasciato. Orion non era al corrente di questa informazione per cui una volta che le pesanti porte vennero chiuse alle sue spalle si guardò intorno estasiato. C'erano così tanti colori, così tanta luce. Ad Orion proprio non sembrava una stanza adatta allo scopo del re. Ma chi era lui per lamentarsi? Almeno sarebbe morto dentro a qualcosa che rispecchiava il colore della sua anima. Il suo sguardo fu attirato da un forte luccichio. Si voltò cercandone la fonte. La trovò in Akakios, seduto su un trono pomposo e colmo di gioielli. Orion lo trovò abbastanza ridicolo. Si astenne dal commentare.

-Benvenuto, semidio- Akakios aprì le braccia mentre si alzava.

-Sento la benevolenza fino a qui- mormorò Orion sarcastico. Di solito il sarcasmo non era il suo stile, a quanto pare essere vicini alla morte incupisce il carattere.

-Ti starai chiedendo come mai ti trovi qui- continuò Akakios- vedi, devi esserne grato, sai, fai parte di un progetto molto più grande che avrà molta rilevan-

-Veramente non mi stavo chiedendo proprio niente- lo interruppe Orion con un tono insolitamente secco. Ed era vero. Non poteva importargliene di meno del perchè Akakios stesse facendo tutto quello che stava facendo. Doveva morire comunque, tanto valeva farla finita subito. Non lo avevano legato come avevano fatto quando era arrivato a palazzo. Forse perchè era talmente smilzo da perdere perfino contro il vento.

-Ascolta, re pazzoide, potresti anche spiegarmi la storia della tua vita, ma smetterei di ascoltare prima che arrivi al primo anno di età. O magari ti ascolterei perchè qui c'è davvero poco da fare. Se devi proprio almeno fallo con un minimo di teatralità, sarai più facile da seguire. E se potessi avere del cibo sarebbe fantastico- Orion si era seduto a gambe incrociate su uno dei tappeti. Aveva deciso di ignorate ogni forma di cortesia, dopotutto sarebbe morto uguale tanto valeva godersi le espressioni del re. Come se lo avesse evocato un vassoio gli comparve di fronte alla faccia, sorretto dalle mani di Tetisheri. La ragazza gli sorrise leggermente prima di poggiare il vassoio per terra e ritirarsi. Orion si abbuffò sul cibo senza prestare molta attenzione a ciò che faceva il re. Non alzò lo sguardo finchè anche l'ultima briciola non fu nel suo stomaco. Trovò Akakios che lo fissava con le sopracciglia aggrottare e le labbra posate sulle dita.

-Benissimo, ragazzino, sarei stato abbastanza gentile da farti ascoltare i miei grandiosi piani e farti vivere un po' più a lungo, ma a quanto pare il mio progetto non è apprezzato quindi direi di incominciare-

 

Prima ancora che Orion si rendesse conto di quello che stava succedendo si ritrovò immobilizzato, sdraiato sul pavimento. Il suo respiro accelerò e il rumore del sangue che gli pompava nelle orecchie coprì la voce del re. Per questo non era preparato quando il dolore arrivò. Urlò, ma il grido gli rimase intrappolato in gola. Sentì l'intero braccio bruciare come se stesse andando a fuoco. Si rannicchiò in posizione fetale, con le braccia legate dietro la schiena e le ginocchia tirate fino al petto. Era un dolore lancinante, come mai ne aveva provati prima d'ora. Piangeva e il suo corpo tremava nel bisogno di trovare sollievo. Contrasse i muscoli quando un'altra ondata lo invase. E insieme al dolore apparvero le immagini.

 

Vide una stanza addobbata a festa e un tavolo ricoperto di cibo. Le persone presenti ballavano e chiacchieravano sotto la luce delle candele. Un bambino rideva tra le braccia di una bellissima donna. La donna lo faceva volteggiare nell'aria, incurante degli sguardi che riceveva. Orion non sapeva dove fosse. La scena cambiò quando alla donna e al bambino si unirono un uomo e bimbo di qualche anno più grande. Ora la festa era nei giardini che Orion riconobbe, poiché li aveva visto il giorno prima. E da quei giardini capì di trovarsi nel passato. Era un mondo di ricordi. Vide di nuovo il bambino che stava in braccio alla donna, questa volta in compagnia del bambino che era venuto con l'uomo. Stavano giocando a qualcosa che Orion non era in grado di vedere, ma stavano ridendo tra di loro. Una voce femminile chiamò per nome i bambini e Orion fu travolto da un'altra scena. Questa volta non c'erano musica e risate ma solo un assordante silenzio. C'erano i due bambini, i volti segnati dalle lacrime. L'uomo che aveva visto nei ricordi precedenti li stringeva a sé. Era una scena di lutto. Piangevano qualcuno che amavano e a cui avevano dovuto dire addio. Non ci furono più risate e abbracci pieni di amore nei ricordi di Akakios dopo quell'evento. In altre circostanze Orion sarebbe stato empatico e avrebbe condiviso il suo dolore, ma il motivo per cui stava guardando quelle immagini gli impedivano di sentire anche un minimo di compassione. C'era qualcosa che gli premeva nella mente, la vera ragione per cui gli erano stati mostrati quei ricordi. Decise che il ricordo della vera felicità sarebbe stato uno scambio se non equo almeno conveniente. E fu quello ciò che prese un secondo prima che la sua anima si spegnesse per sempre.

 

 

 

 

 

Angolo autrice

FUN FACT: Il vetro è stato diffuso dai Fenici ed era conosciuto da tutti i popoli antichi. Tuttavia non era trasparente, poiché non possedevano le attrezzature per scaldare la sabbia a temperature così alte. Il colore naturale del vetro era azzurrino verdastro, ma più sull'opaco che sul trasparente. Il colore poteva essere modificato con l'aggiunta di ossidi, l'ossido di rame produceva un blu molto brillante, l'ossido di ferro invece colorava di giallo o di rosso.

FUN FACT N.2: Per molto tempo è stato creduto che gli Antichi Greci avessero una percezione dei colori diversa dalla nostra, più rudimentale. Questo è un pensiero indotto dal fatto che i vocaboli dei colori erano pochi e spesso indicavano quelle che per noi sono più sfumature. Ad esempio il termine porphyreos, traducibile con porpora, indicava sia il rosso, ma anche il violetto e a volte il blu o il verde. Questo perchè il processo di ricavo del colore era lo stesso per ogni sfumatura (si estraeva dai molluschi). Gli Antichi Greci davano più importanza alla luminosità rispetto alla tinta, i loro vocaboli principali erano relativi al bianco, al nero, al rosso e al giallo, colori che hanno un maggior impatto visivo, mentre il verde e il blu, colori con meno impatto visivo, erano classificati in base alla loro luminosità. Per spiegare meglio l'apparente cecità degli Antichi Greci verso i colori basta osservare come utilizzassero lo stesso termine per indicare i capelli bruni e il mare o il cielo, la pelle umana e l'erba... Ho cercato di essere fedele a questo fatto il più possibile anche nei capitoli precedenti.

 

Nel caso in cui vi stesse chiedendo il colore, la musica e il profumo dell'anima di Orion:

Colore: brillante rosso vinaccia

Musica: Spanish Dances op.12 no.1 Moszkowski

Profumo: foglie secche, uva e noci

 

Vi piacerebbe sapere le varie informazioni sulle anime di tutti i semidei?

 

Bene, siamo giunti alla fine di Orion, con solo pochi giorni di ritardo. Perdonatemi se il capitolo non è il mio massimo, ma l'ho scritto velocemente perchè sono stata senza computer per tre settimane al posto che una come avevo previsto.

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento,

Un bacio

Dia

 

P.S. Il 22 settembre parto per la Cina dove rimarrò fino al 5 luglio 2020. Questo non vuol dire che non aggiornerò, ma semplicemente che sarò qualche ora avanti e gli orari potrebbero essere sballati, quindi potrei dire buonasera e da voi è mezzogiorno.

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Capitolo 21
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV

 

 

Arcadia – giorno 49, ore 9.00

 

Anche l'anima di Orion aveva varcato la soglia degli Inferi. Non serviva Ilektra a dirlo, lo avevano percepito come per la morte della figlia di Ade. Ogni giorno che passava Akakios era sempre più vicino al suo scopo e loro sempre più lontani dalla libertà. Tutti i piani che avevano escogitato erano già stati abbandonati da tempo, privi di fondamenta forti abbastanza da poter reggere il colpo. Ciò che avevano scoperto riguardo al luogo dove si trovavano era ormai stato reso inutile dalla presenza sempre costante di qualcuno fedele ad Akakios all'interno della sala del trono. Provare a trovare l'uscita nella via opposta era sembrata una buona idea all'inizio, prima che si rendessero conto che la riuscita dell'impresa avrebbe comportato più danni che altro. L'uscita dava su un molo, loro non avevano una barca, non sarebbero andati molto distante. Eppure, si aggrappavano alla speranza come i fiori si abbarbicano alle rocce in una giornata di vento. Quella speranza era debole e indistinta, un lume di candela in una tempesta che testardo continua a resistere alle intemperie. E come il lume di una candela si affievoliva prima di tornare a bruciare più forte di prima. Ma ormai, anche se la speranza rimaneva, il sentimento comune era la rassegnazione; solo in pochi credevano di riuscire ad uscire da quella prigione prima di essere chiamati. E di conseguenza avevano focalizzato la loro attenzione su come sfuggire alle grinfie di Akakios. Enea e Hermia avevano insegnato a tutti coloro che non ci avevano provato prima a viaggiare con la loro anima. Avevano anche provato ad amplificare i poteri l'uno dell'altro, senza avere molto successo. Si conoscevano ancora troppo poco perchè potesse funzionare al meglio.

 

Ciò che li faceva andare avanti era il desiderio di restare in vita che al tempo stesso era anche ciò che li faceva fallire. Tutti, persino Hermia e Melissa, altruiste per natura, speravano in cuor loro di poter vivere un po' più a lungo. E questo di certo non aiutava a trovare un punto di ritrovo per aiutarsi a vicenda. Erano entrati in un circolo vizioso dal quale era difficile uscire, specialmente senza la voglia di farlo. Ciononostante avevano continuato a provare e a scambiarsi le informazioni che trovavano. Che quelle informazioni non fossero abbastanza non vi era dubbio, ma erano già qualcosa.

 

 

Arcadia – giorno 49, ore 23.51

 

Gli incubi la tormentavano, perchè erano tornati? Non lo sapeva. Era riuscita a liberarsene dopo sforzi immani. Sforzi a quanto pare vani, dato che ora erano tornati nel peggior momento possibile. Odiava quel periodo della sua vita; l'aveva cambiata per sempre rendendola ciò che era eppure l'odio che provava per quei pochi mesi era difficilmente sovrastabile.

 

Lui non c'era. Da quanto tempo lui non era più al suo fianco? Non aveva la risposta. Quanto era passato da quanto li avevano divisi? Non sapeva rispondere nemmeno a questa domanda.

Aveva imparato a stare in silenzio, le parole portavano solo al dolore nel posto in cui era rinchiusa. Aveva imparato a chiudere gli occhi e abbassare la testa quando la porta di apriva. Aveva imparato a non fare domande e prendere tutto ciò che le dicevano come oro colato, ogni singolo dettaglio era indispensabile. Aveva imparato ad accontentarsi di quello che aveva, la consapevolezza di non poter avere di più vivida nella sua mente.

Eppure nonostante la sua vita fosse stata rovesciata sperava che le persone che le volevano bene fossero alla sua ricerca. Non sapeva perchè l'avessero presa, non ne aveva idea e non le erano stati forniti alcuni particolari.

 

Il mondo era diventato grigio, senza colori e senza suoni. Viveva come una bambola, senza volontà, inerte. La sua vita non dipendeva da lei quindi perchè provare? Aveva smesso di mangiare. L'avevano imboccata a forza. La volevano viva. Ma perchè? Perchè doveva sopportare quel dolore?

 

Lui non era con lei. Aveva freddo, fame e sonno. L'inverno stava arrivando, il sole aveva ormai perso il calore che un tempo custodiva e il canto degli uccelli non risuonava più alto e chiaro nel cielo. Il mondo fuori dalla sua piccola stanza di pietra stava andando a dormire. Come sarebbe stato bello fargli compagnia. Un sonno profondo avvolta da un calore accogliente e da respiri silenziosi. Era così allettante chiudere gli occhi con gli scoiattoli che a volte le facevano visita.

 

Aveva gli occhi a metà strada, come se stesse per addormentarsi quando il sole tornò a brillare con forza e il caldo tornò a bruciale la pelle. Lui era lì. Finalmente lui era lì.

 

Palazzo reale di Creta, stanze private del re – giorno 50, ore 13.00

 

Il nuovo potere che aveva preso dall'ultimo semidio era minore rispetto al primo. Ma non per questo meno pericoloso. Akakios non era stupido, si era accorto dei danni che il suo corpo aveva subito. Eppure sembrava aver sorvolato il prezzo più importante, ciò che aveva dovuto pagare in cambio di quel potere che tanto amava. Sapeva già che avrebbe sacrificato dopo il figlio di Dioniso, ma aveva deciso di rallentare un po' i tempi, timoroso che il suo fisico non ce l'avrebbe fatta. Strinse i manici della sedia dove era seduto. Odiava il suo corpo da mortale, così fragile, debole e facilmente danneggiabile. Un solo colpo e la morte poteva prenderlo. Thanatos non sbagliava mai quando veniva a raccogliere le nuove anime che le Parche gli avevano donato. E lui non aveva la minima intenzione di farsi fare una visita dal dio della Morte. Avrebbe fatto il necessario perchè il suo piano fosse un successo e se questo richiedeva ritardare la tabella di marcia avrebbe fatto il sacrificio. Il tempo premiava i pazienti e puniva chi andava di fretta. Avrebbe aspettato e dopo l'attesa ad aspettarlo ci sarebbe stato il trionfo.

 

Arcadia – giorno 50, ore 17.45

 

Un pensiero era ricorrente nelle loro menti da quando Orion era stato chiamato. Pensiero che li stava piano piano mangiando dall'interno, senza nessun tipo si pietà. Non era un pensiero così fuori luogo, anzi sarebbe stato strano se non lo avessero avuto. Chi sarebbe stato il prossimo? Li stava lentamente separando, nessuno voglioso di conoscere meglio una persona per poi perderla subito dopo. Ma la solitudine non faceva bene in situazioni come la loro.

Hermia trovava conforto tra le braccia del fratello ed Enea traeva consolazione dalla presenza della gemella al suo fianco. Callimaco non era una persona sentimentale, tuttavia non gli sarebbe dispiaciuto avere una persona nel suo letto in quel momento. Glykeria avrebbe tanto voluto avere il suo arco e le frecce dal piumaggio d'argento che trafiggevano l'aria silenziose e bellissime. Melissa meditava cercando di ricreare la sensazione di avere un focolare vicino a lei, il fantasma del suo calore che le lambiva la pelle. Ariadne si pettinava i capelli con le dita, il movimento ripetitivo di sbrogliare i nodi aveva un effetto rilassante su di lei. Kosmas danzava lentamente nella stanza buia, i movimenti delle mani e della gambe marchiato con il fuoco nella sua mente. Agape bramava la luce del sole, un singolo raggio sarebbe bastato a scaldarle l'anima. Hilarion aveva trovato un sassolino sul pavimento della sua stanza e se lo stava facendo passare tra le dita, pensieroso. Cassiopea aveva già percorso i pochi metri tra le pareti della camera così tante volte che sicuramente aveva lasciato il solco nella pietra. Epeo era l'unico nella Grande Sala, seduto con la schiena sulla roccia e le gambe distese fissava fuori dalla piccola finestrella. Thaddaios stava nervosamente camminando per uno dei lunghi corridoi, senza mai perdere di vista le fiaccole che illuminavano il sentiero. Ognuno di loro reagiva al fardello che portavano sulle spalle in maniera diversa, incapaci di fidarsi abbastanza da poterlo condividere.

 

Arcadia – giorno 50, ore 18.00

 

Thaddaios entrò nella Grande Sala a grandi passi ma a testa bassa, come se la sua mente avesse pianificato qualcosa e il suo corpo ne avesse svolta un'altra. Epeo non si mosse dalla sua posizione contro il muro. Il figlio di Efesto si lasciò cadere su uno dei cuscini che adornavano il pavimento della stanza con un sospiro. Non aveva la minima idea di come iniziare una conversazione con Epeo, nonostante sentisse il bisogno di non stare più immerso in quel silenzio. Per sua fortuna ci pensò il figlio di Atena a parlare per primo.

-Gli altri dove sono?- Thaddaios per poco non saltò fuori dalla sua stessa pelle.

-I-In camera loro, credo- per grazia divina riuscì a parlare senza balbettare troppo vistosamente. Epeo annuì una volta sola.

-Come mai sei qui?-

-Camminare avanti e indietro mi stava facendo venire il mal di mare-

-Quindi non ti andrebbe proprio di andare a chiamare gli altri e farli venire qui?-

Thaddaios lo guardò male prima di rendersi conto che Epeo aveva gli occhi chiusi.

-Perchè non puoi andarci da solo?- chiese acido.

-Ci stavo per andare prima che entrassi, valeva la pena provare a chiedere- fu la risposta altrettanto aspra che ricevette. Senza dire un'altra parola il giovane semidio si alzò e si incamminò verso il corridoio dove si trovavano tutte le loro stanza. Thaddaios non si mosse da suo cuscino.

 

Venti minuti più tardi Epeo tornò con appresso gli altri dieci. Uno ad uno si sedettero sui loro cuscini, senza alcun ordine preciso. Il figlio di Atena tornò al suo posto contro la parete. Nessuno aveva una bella cera, erano tutti pallidi per la mancanza di sole e tutti stanchi per la mancanza di sonno. Si guardarono l'uno con l'altro, senza dire niente, le parole inutili quando il messaggio era lo stesso per ogni sguardo.

-Non possiamo andare avanti così, in questo modo Akakios l'avrà sicuramente vinta. E magari non potremo impedirgli di avere successo, ma possiamo cercare di fare il possibile per intralciare i suoi piani- esordì Epeo.

 

Il figlio di Atena non ne poteva più dell'atmosfera tetra che si era creata da qualche settimana a quella parte, da quando le porte si erano chiuse dietro Ilektra. Pensava come generale dell'esercito e la sua discendenza si metteva in mezzo di prepotenza. Per cui mentre gli altri si erano isolati per ribollire nella loro disperazione lui aveva pensato a come evitare di finire sacrificato come un agnello nei giorni di festa. Aveva coinvolto Enea, dopo che finalmente era uscito dalla stanza di Hermia. Anche la ragazza aveva dato il suo appoggio, ma non aveva dato molto contributo quando si erano riuniti per parlare a parte qualche consiglio apparentemente banale eppure estremamente utile. Aveva passato la maggior parte del tempo raggomitolata su Enea, Epeo non aveva idea se stesse effettivamente dormendo oppure si stesse solo riposando. La sua energia era diminuita a vista d'occhio nell'ultimo periodo per cui era comprensibile la sua stanchezza. Una volta Hilarion era entrato nella Grande Sala quando stavano discutendo su un particolare. Li aveva guardati con i suoi occhi grigi come la pietra che li circondava, l'espressione stoica che non lasciava presupporre nulla sui suoi pensieri. Si era seduto senza troppe cerimonie e aveva spiegato con sorprendentemente più di cinque parole il suo punto di vista e il meccanismo che stava dietro alle porte della loro prigione. Poi, così come era arrivato se ne andò, in mano la frutta per cui era venuto, lasciando di stucco i tre semidei rimasti nella stanza. Grazie alle nuove informazioni fornite da Hilarion Epeo ed Enea riuscirono a trovare un modo per non far chiudere del tutto le porte, anche in questo caso Hermia fornì dettagli per migliorare la bozza di piano già formato. Anche Kosmas era entrato una volta, saltellando come se stesse cercando di darsi energia. Aveva afferrato una mela e un grappolo d'uva prima di andarsene. Non li notò nemmeno, troppo perso nel suo mondo. Non sembrava che il suo umore fosse peggiorato, ma il figlio di Demetra era sempre stato un po' giù di corda circondato da nient'altro che roccia tutto il giorno, tutti i giorni da quasi due mesi. Enea aveva incontrato Agape quando erano andati a prendere il cibo che arrivava puntualmente due volte alla settimana. La figlia di Apollo era rimasta colpita dalla loro voglia di continuare a combattere quando ormai c'era poca speranza di riuscita. Aveva chiesto di poterci pensare un attimo prima di dargli la sua risposta. Il giorno dopo si era presentata nella Grande Sala. Aveva partecipato solo a tre incontri però, anche se il suo input era stato molto d'aiuto. Con Ariadne non ci avevano neanche provato, sapendo benissimo che la ragazza avrebbe rifiutato appena sentita la parola insieme. Anche Callimaco era fuori questione, il figlio di Afrodite avrebbe distratto troppo Enea, a detta di Hermia; Epeo non aveva trovato nessuna prova del contrario, avendo notato gli sguardi che i due semidei si lanciavano ogni volta che erano nella stessa stanza. Non avevano nessun bisogno di alzare la tensione per nessun motivo. Thaddaios era stato scartato fin dall'inizio, il suo carattere troppo indeciso per partecipare ad un piano come il loro. Melissa e Glykeria potevano andare, ma le due non erano mai uscite dalla loro stanza se non per prendere da magiare insieme a tutti gli altri, per cui rendeva difficile trovare un momento per parlare senza rendere ovvio che stessero organizzando qualcosa. Perciò le due ragazze erano all'oscuro delle loro intenzioni.

 

Quando finì di spiegare le conclusioni a cui erano giunti negli ultimi dieci giorni, con l'aiuto di Enea nei momenti opportuni, le espressioni sui visi dei semidei erano un misto di varie e variegate emozioni, a seconda di quanto erano al corrente della situazione. Ma anche se non erano l'uno la copia dell'altro ciò che era sempre presente era la speranza. Perchè questa volta il piano poteva riuscire, potevano farcela eccome. Era stato pensato nei minimi dettagli e particolari, avevano preso in conto ogni singolo scenario e avevano creato una nuova strada di conseguenza. Era studiato da persone disperate di uscire da una prigione che aveva iniziato a stare stretta appena le porte si erano chiuse dietro di loro la prima volta. E se c'era qualcuno in grado di metterlo in azione quelli erano loro.

 

Arcadia – giorno 60, ore 15.02

 

Un dettaglio del piano, indispensabile alla sua riuscita, era che un altro di loro se ne sarebbe dovuto andare per contribuire al piano di Akakios. Per evitare che le guardie destassero sospetti un semidio sarebbe dovuto uscire come sacrificio. L'attesa era la parte peggiore, specialmente in quel momento, quando paradossalmente desideravano che arrivasse il prima possibile.

Era successo qualcosa in quegli ultimi dieci giorni, qualcosa che aveva fatto muovere sentimenti che altrimenti sarebbero rimasti sepolti e venire a galla desideri seppelliti nel profondo delle loro anime. E uno ad uno avevano dato modo a quei bisogni di uscire senza rimpianti o giri di pensiero. La morte aleggiava sempre nell'aria, ma era cambiato il loro modo di vedere quel futuro. E con il cambiamento arrivò anche la sincerità che, per qualche strano gioco del destino, rimase nascosta agli occhi di chi la esibiva come se fosse un gioiello. E fu un bene, perchè permise il salvataggio di molte vite e il pagamento del sacrificio di altre.

 

Arcadia – giorno 65, ore 7.00

 

Il nuovo nome era stato appena pronunciato. E il nuovo piano era appena iniziato. Avevano smesso di giocare a fare le vittime. Era tempo di reagire: non è mai saggio trasformare il lupo in una pecora, perchè rimane pur sempre un lupo anche se gli viene imposto il vello.

 

 

 

Angolo Autrice

 

Salve gente,

Questa volta ci ho messo solo poco più di un mese ad aggiornare, non male davvero. Come ben sapete, o magari no, sono in Cina adesso perchè moi ha deciso che si doveva uccidersi di lavoro e fare l'erasmus. Scherzo, sto amando ogni singolo particolare, persino i giorni di pioggia e i litigi molto petty con la mia compagna di stanza, che lasciamo perdere vai che è meglio. Comunque, ci ho messo un po' ad acclimatarmi, ma ho cercato di scrivere quando avevo tempo e/o ispirazione, che va e viene come cavolo le pare, maledetta. Fatto sta, spero che il capitolo sia di vostro gradimento, è più corto degli altri ma se lo avessi allungato avrei rovinato l'effetto cliffhanger e non se puole fare, nope, assolutamente no. Immagino di aver sollevato più domande che altro, ma tranquilli miei mighty amici le risposte arriveranno nei prossimi capitoli a partire da 1. che cavolo di piano si sono inventati 2. chi cavolo è quella con gli incubi 3. chi cavolo è il prossimo/la prossima vittima sacrificale e per concludere sul più bello 4. che cavolo c'entrano i lupi e le pecore? Per la 4. vi rispondo adesso: absolutely nothing at all, ma il colpo di genio ha colpito ed ero lì che gongolavo con me stessa per aver trovato un paragone così faigo e quindi eccomi qua con il paragone sulle pecore e i lupi in tema Polifemo quindi non sono tanto nemmeno fuori fandom, mamma mia che genio che sono (plot twist: bugia, non credete al mio GPA sta mentendo). Ma lasciamo perdere il sarcasmo e vi saluto con la speranza che questo capitolo vi sia piaciuto, se così non è stato I'm sorry, tell me what you didn't like,

Baci

Dia

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Capitolo 22
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI

 

Quindi.... ho appena scoperto che ho pubblicato questa storia a dicembre 2016... e ora a maggio 2020 non l'ho ancora finita... *piange istericamente* vediamo se riesco a finirla prima di arrivare a quattro anni. Comunque buona notiza è che ho in programma tre, massimo quattro se volete un epilogo, capitoli e poi ho finalmente finito. Come sempre non vi prometto niente su quando effettivamente pubblicherò questi suddetti tre capitoli, spero veramente prima di dicembre. Questo periodo è stato, ed è ancora, una mazzata. Mi sembra di star lavorando il doppio del solito e praticamente vivo alla mia scrivania. Non solo, come sapete ero in Cina a studiare. E bingo ovviamente un'epidemia è dovuta scoppiare, *sigh*. Fine gennaio-inizio febbraio è stato un incubo per me, ma lasciamo perdere quei giorni di pazzia totale che è meglio. Devo studiare sul serio per due esami ancora, più quelli si inglese che sono tre ma che non mi richiedono un impegno elevato per passare a pieni voti. Devo finire la seconda parte di un altro esame ma niente di estremamente complesso. Quindi dovrei essere libera per la maggior parte dell'estate. E sentitevi liberi di scrivermi messaggi privati epr ricordarmi che sì, Dia, devi finire di scrivere il capitolo.

Fun facts at the end.

Ho cercato di mantenere il più possibile i personaggi fedeli alla scheda, ma potrebbero esserci alcune incongruenze.

 

 

Arcadia – giorno 65, ore 7.00

 

Il nuovo nome era stato appena pronunciato. E il nuovo piano era appena iniziato. Avevano smesso di giocare a fare le vittime. Era tempo di reagire: non è mai saggio trasformare il lupo in una pecora, perchè rimane pur sempre un lupo anche se gli viene imposto il vello.

 

Ariadne avrebbe dovuto aspettarselo, dopotutto il suo stomaco non mentiva mai. Eppure l'aveva ignorato per una settimana intera dando la colpa a tutto tranne che alla sua innata capacità di sapere quando la sua vita avrebbe preso una volta inaspettata. E ora il non aver dato retta al suo stomaco era tornato indietro e le stava mordendo il sedere in maniera alquanto insistente. Non che ci fosse davvero qualcosa appeso al suo, a suo avviso, magnifico didietro, ma l'immagine rendeva l'idea. Fortunatamente nessuno sapeva cosa nascondeva la sua voce. Ma l'effetto sorpresa sarebbe andato perduto dopo il primo uso. E questo non poteva permetterselo, perciò doveva scegliere cautamente il momento giusto in cui usarla e calibrare l'energia che le sarebbe servita nei minimi dettagli. Non solo, odiava il fatto di non avere la certezza di riuscire a sopravvivere. A peggiorare aveva una parte nel piano ideato da Epeo ed Enea, lei, Ariadne, proprio lei. Probabilmente era ciò che le dava più fastidio, aveva sempre dovuto spianarsi la strada da sola combattendo per ciò che desiderava senza darsi limiti e senza il minimo aiuto da parte di coloro che le stavano attorno, quindi, perchè mai avrebbe dovuto fare parte del lavoro sporco e poi non essere lei a godere dei risultati? Ognuno doveva conquistarsi le proprie libertà. Per cui aveva qualcosa su cui rosicare per la durata della camminata fino al palazzo.

(Ariadne era totalmente offesa dal fatto che non le era stata fornita almeno una portantina, era la principessa di Tebe, per il sacro carro di Apollo, questo comportava il non dover camminare non sapeva quanto chilometri nel bel mezzo del nulla)

 

Ora, si poteva dire di tutto su di lei, ma non che fosse il tipo di persona che si rimangiava le parole. Ciò che prometteva veniva meticolosamente rispettato, non importava di che genere fosse la promessa. Lei più di tutti sapeva che le parole erano sacre, una parola ha più potere di mille navi militari. Una sola parola poteva scatenare una guerra oppure finirla, una sola parola bastava per farsi perdonare o per farsi uccidere. Ariadne aveva promesso che sarebbe tornata viva a Tebe, lo aveva giurato sullo Stige. Nessuno, vivo o morto che sia, infrange un giuramento sullo Stige, lei di certo non sarebbe stata la prima a farlo. Sarebbe uscita viva da lì, quella era l'unica certezza che aveva. Quanto ad aiutare gli altri a fare altrettanto, quello era da vedere, dopotutto lei non aveva espresso nessun giudizio quando le era stato comunicato il suo incarico; si era limitata ad annuire e a un lieve suono di presa in considerazione, una sorta di ummmm così basso che a malapena riuscì a sentirlo lei che l'aveva emanato. Eppure Enea non aveva avuto problemi a farlo dato che il suo sguardo si era acceso di pallida speranza. Avrebbe soddisfatto quella speranza? Questo era ancora tutto da vedere.

 

 

Palazzo reale di Creta, stanza di Ariadne – giorno 65, ore 13.23

 

Non aveva ancora incontrato il re. Ovviamente andava da sé che era furiosa come una vipera che viene disturbata dal suo sonno nel giorno più freddo dell'anno. Aveva mandato via la schiava che era già presente nella stanza al suo arrivo senza nemmeno ascoltare il suo nome. Le era stato portato il pranzo (solo anni di allenamento a mascherare le sue reazioni l'avevano salvata, perchè anche la persona più insensibile non può rimanere impassibile di fronte alle prelibatezze che le erano state servite. Non vedeva un pasto del genere da quando era stata mandata via da Tebe) poco tempo prima ma non aveva aperto bocca quando la stessa schiava di prima era entrata, accompagnata da un'altra ragazza dall'aspetto e l'età simile al suo, per poggiarlo sulla cassettiera. Fedele ai suoi insegnamenti di principessa aveva mangiato, o meglio continuava a magiare, con calma e grazia, lentamente, gustandosi ogni boccone dall'inizio alla fine. Fu mentre masticava un pezzo del miglior pollo che avesse mai assaggiato (no, non stava scherzando, aveva un retrogusto dolciastro che sottolineava il sapore della carne succosa e morbida) che le si accesero mille fiaccole nelle mente. Forse mangiare le rischiarava le idee, non ci aveva mai riflettuto a fondo prima, doveva sicuramente mettere alla prova quella teoria. Possibilmente con quel gustosissimo pollo a quello che presumeva fosse miele. O almeno sperava fosse miele dato il sapore dolce che aveva una volta assaporato. Le altre possibilità non erano altrettanto allettanti.

Per quanto riguardava le mille fiaccole le serviva la schiava che aveva cacciato per farle funzionare, quindi immaginò che avesse ancora un po' di tempo in solitudine per continuare a mangiare. E poi avrebbe fatto di tutto per sapere come uscire di lì. Viva.

 

Arcadia – giorno 65, ore 21.08

 

Enea camminava grandi passi nel bel mezzo della Grande Sala, gli occhi della sorella fissi su di lui. Hermia appariva più riposata di quanto lo fosse stata nelle ultime settimane. Non erano soli nella stanza, ma il silenzio che regnava sovrano lo faceva sembrare. Erano nei momenti come questi che si sentiva maggiormente la mancanza di Orion, il ragazzino non smetteva mai di parlare, anche se nessuno lo stava ascoltando. Nessuno di loro aveva mai fatto caso a come quel chiacchiericcio di sottofondo aiutasse l'atmosfera a non farsi così sobria e pesante. Era come se una grande nuvola grigia avesse avvolto tutti loro, una coperta di lana in piena estate era la sensazione che lasciava. Non di certo piacevole.

-Enea, se non smetti di girare da solo, lo faccio io per te- lo minacciò piano Cassiopea, non ne poteva più di vedere il figlio di Zeus girare in tondo, le stava facendo venire il mal di mare nonostante non ne avesse mai sofferto. Il principe si lasciò cadere su uno dei cuscini che addobbavano il pavimento. Gli altri capivano il perchè della sua ansia, ma il costante movimento li stava rendendo ancora più nervosi di quanto già non fossero.

-Spero che vada tutto bene- disse piano Agape.

Dopo che Ariadne era stata portata via, Enea ed Epeo avevano messo al corrente tutti gli altri semidei del loro piano per scappare, lasciando fuori i dettagli più minuziosi e i compiti specifici che ognuno coinvolto doveva fare. Nella riuscita del piano aveva una certa rilevanza la segretezza delle azione svolte.

-Come facciamo a sapere che Ariadne ha fatto quello che deve fare?- chiese genuinamente Kosmas dando voce alla domanda che tutti in realtà di stavano chiedendo.

-Perchè se tutto deve andare come deve andare, le porte dovrebbero aprirsi. Vi ricordate all'inizio quando abbiamo “esplorato” l'esterno?- Enea aspettò che tutti avesse annuito prima di continuare- Io e Hilarion abbiamo notate che dietro al trono della sala del trono è presente un meccanismo, ma c'è qualcosa di estremamente sbagliato al suo interno. Non siamo riusciti a capire cosa fosse o il perchè quel punto brillasse come se là fosse presente un'anima, ma ci siamo resi conto che quel meccanismo permette di aprire le porte da palazzo. Non so come, ma c'era un collegamento tra sotto a quel trono e l'ingesso di questo posto. Immagino che la magia della dea Ecate abbia a che fare con il funzionamento, ma di certo non mi sono fermato a chiedere informazioni-

-Il compito di Ariadne è quello di far scattare quel meccanismo. Non so ho la minima idea di come farà ma ha l'intelligenza e la forza di volontà di capire come fare. Ariadne non vuole morire, forse più di tutti noi messi insieme, troverà un modo, anche se fosse solo per se stessa- lo interruppe Epeo. Il figlio di Atena non dubitava della riuscita di Ariadne, quella ragazza era scaltra e aveva molti più assi della manica di quanti ne avesse mostrati, anche involontariamente. Erano poche le persone che Epeo non sapeva leggere e la sua analisi gli aveva detto che in Ariadne c'era molto di più di quello che si mostrava alla vista. Quando si era presentata Ariadne aveva specificato che sua madre era Petio, una dea minore. Era una semidea di discendenza diretta, anche se essere sacerdotessa di Era non le aveva fornito nessun potere essere figlia di una dea sicuramente lo aveva fatto. Non aveva mai specificato quale fosse questo potere, ma Epeo sapeva chi era Petio, poteva arrivarci da solo. E a quanto pare anche Enea aveva i suoi sospetti o non avrebbe acconsentito così in fretta quando Epeo aveva proposto Ariadne per quel determinato compito.

Per quanto sembrasse brutto, il fatto che Ariadne fosse stata scelta così presto andava a loro favore. Il loro piano sarebbe entrato in azione più in fretta del previsto, ma non per questo non erano pronti a fare le loro mosse. Anzi, lo erano ancora più di prima.

 

Palazzo reale di Creta – giorno 66, ore 1.21

 

Ariadne doveva ammetterlo: avrebbe di gran lunga preferito non vedere il re di Creta prima del necessario. Il giorno prima l'aveva fatta chiamare nella sala del trono, due ore dopo che le avevano portato via i vassoi del pranzo. L'incontro le aveva lasciato più amaro in bocca di quanto ne lasciasse mangiare un fico verde con la buccia.

 

Come previsto, qualche decina di minuti dopo la schiava che le aveva portato il cibo era tornata per portarselo via. Anche questa volta era accompagnata dalla seconda schiava. Ariadne aveva fermato quello che aveva trovato nella sua stanza al suo arrivo lasciando che la seconda portasse via i vassoi vuoti. Aveva sempre vissuto nel lusso, per lei era normale che gli altri facessero questo tipo di cose al posto suo. Si era mai vista una principessa che ritirava i propri piatti da tavola? Non le sembrava proprio.

Aveva lasciato passare un paio di minuti da quando le pesanti porte si erano chiuse dietro la seconda schiava a quando aveva aperto la bocca per chiedere ciò che voleva sapere alla schiava che era rimasta. Non era nel suo stile affidarsi alle parole di coloro che la servivano, dopotutto non dovevano mica fare una lezione; i loro compiti comprendevano prendersi cura del suo corpo non della sua mente. Ma per questo volta giudicò necessario fare un'eccezione. E fu anche un'eccezione fortunata. Quella sensazione di soddisfazione svanì come se non fosse mai esistita una volta di fronte alla faccia di re Akakios. Ariadne sapeva che non era ancora arrivato il suo momento, era troppo veloce, una persona come il re non avrebbe voluto affrettare le cose e poi, gli altri due erano morti il giorno successivo a quello in cui erano stati chiamati. Aveva ancora qualche ora per capire come fare a svolgere il suo compito senza morire. Ebbene sì aveva deciso che avrebbe aiutato gli altri ad aprire le porte della loro prigione. Il motivo preciso non lo sapeva nemmeno lei, ma era abbastanza intelligente da capire che forse, nel caso in cui sarebbero sopravvissuti avrebbe potuto avere quel favore in cambio. O forse sperava che undici semidei scappati da una fortezza inviolabile avrebbero causato abbastanza putiferio da permetterle di scappare inosservata, dopotutto lei era da sola e molto più vicina a possibili postazioni di fuga rispetto agli altri quindi aveva più probabilità di scappare viva. E non era di certo il tipo da farsi sfuggire un'occasione quando ce l'aveva tra le mani. Rimaneva il fatto che non aveva la minima idea di come fare a completare il suo compito. Non solo, doveva considerare che Akakios aveva rubato i poteri di due semidei. Non sapeva quanto erano stati potenti Ilektra e Orion in vita, ma la semidea era figlia di Ade quindi la sua essenza divina doveva essere relativamente forte. Almeno quella degli altri figli dei Tre Pezzi Grossi che conosceva lo era abbastanza da essere percepita quando loro lo permettevano. Sperava solo che Akakios non avesse ancora imparato ad usare ciò che aveva preso con la forza. Inoltre era l'istinto che più di tutti guidava un semidio e fortunatamente quello non si poteva acquistare da una fonte esterna.

Il re era la feccia peggiore che avesse mai camminato sulla terra, almeno secondo la sua umile (per finta ovviamente, ma doveva pur sempre rendersi più innocente agli occhi degli altri) opinione. Si considerava esperta di fecce come Akakios. Non aveva niente in contrario a spaccagli la faccia. Ecco magari che il lavoro sporco lo facesse qualcun'altro, non poteva di certo spaccarsi le nocche. L'udienza con il re non aveva portato nulla di nuovo, a parte tre dettagli molto, molto interessanti che doveva assolutamente analizzare con più calma. Si sentiva fiera di se stessa perchè non aveva aperto bocca durante tutto il discorso di Akakios, per quanto pieno di sciocchezze (ma forse era per la famosa sensazione di fico acerbo). Rifiutandosi di parlare sperava che il re si illudesse che lei non potesse proprio farlo, in modo da coglierlo di sorpresa una volta che l'uso della sua voce fosse stato necessario.

Tornata in camera chiese alla schiava che la stava aspettando, di cui non sapeva ancora il nome, l'occorrente per scrivere comodamente. Una volta con in mano il necessario, Ariadne iniziò il suo ragionamento e la sua analisi pronta ad annotare i dettagli più importanti in modo da non avere modo di dimenticarli.

 

Ariadne fissò le righe di inchiostro che aveva di fronte alla faccia. Era sdraiata a pancia in su sul letto, le braccia distese di fronte a sé. Fortunatamente il re si era lasciato sfuggire un dettaglio molto importante per il suo piano di fuga, gli altri li aveva ricavati dall'ambiente.

Il primo dettaglio era molto semplice, ma estremamente importante; Ariadne ringraziò ogni singolo dio del Pantheon per averle permesso di coglierlo nel discorso e la sua forza di volontà per non aver avuto nessun tipo di reazione esterna. Menomale, perchè altrimenti avrebbe fatto saltare la sua copertura.

 

“Il re ha un'altra sala del trono. E in quella sala del trono farà il rituale che ha anche ucciso gli altri due. Il che mi fornisce tre particolari: dovrò di nuovo uscire da questa stanza, il re dovrà andare nella sala in questione prima di me e qualcuno mi ci dovrà portare perchè non mi lasceranno mai andare da sola. Il che mi mette a disposizione persone, armi e una via di fuga o scudo, che è sempre meglio di niente.”

 

Doveva ancora stabilire le ultime parti, aveva memorizzato la strada per andare dalla sua stanza alla sala del trono alla quale era stata portata il giorno prima per cui la parte del piano in cui apriva il meccanismo era stata ultimata, almeno in teoria. Secondo i suoi calcoli doveva aspettare ancora qualche minuto prima di iniziare.

 

“Ma il fatto che non torni nello stesso posto mi complica le cose. Devo trovare un modo di aprire le porte di notte e di scappare praticamente mentre si stanno aprendo. Una volta che la mia parte dell'accordo sarà onorata nessuno mi potrà rivendicare nulla. La cosa positiva è che la magia in quella sala è facilmente percepibile, almeno per i sensi di un semidio che sta cercando qualcosa. Questo mi da forse un po' speranza che Akakios non abbia ancora imparato a usare i poteri che ha rubato, altrimenti non avrebbe lasciato così scoperto un tasto di questa importanza. La cosa strana è il fatto che nessun semidio di Creta gli abbia mai fatto notare quanto sia percepibile, ma forse lo hanno fatto e sono morti per questo. Comunque non sono affari miei e grazie per l'errore, mi rende le cose più facili. Anche se in effetti la facilità con cui ho individuato la fonte della magia mi preoccupa, di solito più è forte la fonte e più è potente chi la crea. Spero solo che chiunque ci sia dietro non sia troppo leale al re, sarebbe una seccatura dover fare tutta sta fatica per poi non ricavarne niente.”

 

Mentre rileggeva le sue stesse parole le tornò in mente un momento, qualcosa stonava nella sua ultima affermazione. Quando aveva individuato la fonte della magia quest'ultima non si era affievolita. Era come se volesse essere trovata. Un richiamo d'aiuto di qualcuno prigioniero quanto lo era lei. Se chi creava la magia era leale al re perchè tradirlo in quel modo. Ariadne non era stata timida nella sua ricerca, come lei aveva trovato la fonte, la fonte aveva visto lei. Era una ricerca a due vie, nel momento in cui la sua essenza aveva toccato quella della fonte entrambe si erano rese conto della presenza l'una dell'altra. Questo facilitava le cose, voleva dire che poteva far leva sul desiderio di libertà di chi era intrappolato sotto la roccia del trono.

 

Rotolò giù dal letto, le mani ancora occupate. I suoi piani erano difficilmente visibili alla luce della luna, seppure fosse alta nel cielo e quasi piena. Se non fosse stata dentro una situazione di vita o di morte, forse si sarebbe fermata un attimo a guardarla. La bellezza di Artemide non oscillava con le opinioni dei mortali, lei continuava a brillare, incurante di quanti occhi aveva puntati su du lei. Ma Ariadne aveva un compito da svolgere e una fuga da eseguire, non aveva tempo di ammirare il cielo. In un angolo della stanza la vasca era ancora piena d'acqua, ora fredda gelida. Senza pensarci due volte Ariadne ci infilò dentro ciò che teneva in mano. L'inchiostro iniziò a sciogliersi. Ariadne sorrise e con passo deciso si avviò verso il suo nuovo destino.

 

Arcadia – giorno 66, ore 3.22

 

Nessuno degli undici semidei rimasti nella fortezza riusciva a dormire. Comprensibile dato che aspettavano con ansia qualsiasi cambiamento. Di cui non avevano nemmeno una componente, poteva essere positivo e tutto filava secondo i piani oppure poteva andare tutto in malora e avrebbero avvertito di nuovo la sensazione che avevano provato quando Ilektra e Orion erano morti. Ma che avrebbe pesato il doppio nei loro cuori perchè significava dover abbandonare per sempre la speranza di essere liberi. Ariadne era la loro ultima possibilità. E non tutti si fidavano di quella loro ultima possibilità. Era chiaro a tutti quanto Ariadne disprezzasse la situazione e quanto non volesse collaborare, era visibile come fosse una persona cinica e che tendeva a pensare prima a se stessa e poi, forse, agli altri. Eppure nel loro cuore la speranza che Ariadne trovasse qualcosa che le poteva portare un guadagno all'interno del loro piano e che quindi portasse a termine il suo compito esisteva ancora. E sarebbe resistita fino ad un segno che indicare il contrario.

Erano ognuno nella propria stanza, a parte Hermia che era seduta sul letto del fratello. Non era decisamente il caso di dormire, ma dopo aver mangiato tutti insieme avevano deciso di tornare nei loro alloggi per cercare un modo di rilassarsi.

Melissa aveva la schiena contro il muro e le gambe incrociare mentre meditava come le aveva insegnato la sua maestra. Di solito si limitava a distendere i muscoli e a liberare la mente, ma questa volta cercò di seguire le parole dei gemelli come guida per trovare la sua anima dentro se stessa. E dopo quelli che sembrarono infiniti tentativi finalmente riuscì a giungere nel piccolo tempio sulla scogliera nella parte più profonda della sua mente; la sua anima era una fiammella di un pallido ocra che guizzava leggera e delicata nell'aria che sapeva di melissa e olive. La trovò bellissima.

Callimaco era stressato, estremamente stressato, come lo era stato solo nell'unica occasione in cui suo padre aveva accennato ad un possibile matrimonio per prendere le redini della famiglia, ma era stato anni prima, quando ancora la sua odiosa matrigna non era nemmeno stata incinta del suo primo fratellastro. La cosa che lo aveva stressato allora era il possibile matrimonio, quello che lo stava stressando in quel momento era una questione che Callimaco sapeva benissimo essere molto più importante di un semplice accordo tra famiglie. Non solo, Callimaco aveva un doppio obbiettivo e ancora non era giunto alla sua meta in nessuno dei due fini; in più per aggiungere danno alla beffa erano mesi, mesi, che non faceva sesso con qualcuno. Nemmeno con la mano! E questo causava un'enorme quantità di disagio sulla sua mente e sul suo corpo. Il principino che aveva adocchiato all'inizio, lo stesso che aveva espresso evidente interesse quando si erano ritrovati a fissarsi, era più inavvicinabile che mai con il fatto che non lasciava il fianco della sorella da settimane ormai. Non che Callimaco lo biasimasse così tanto, Hermia aveva un brutta cera già da prima che Orion fosse chiamato. Questo però non lo aiutava affatto a rilassarsi. Sospirò e si rassegnò all'astinenza che si era fatta strada nella sua vita.

Glykeria non era una persona volubile, aveva la calma e la pazienza di qualcuno abituato a stare fermo per ore aspettando il momento propizio per scoccare una freccia. Ma l'attesa di una preda svolta appollaiata ad un albero e l'attesa che ora era costretta a fare erano due cose ben diverse. Era l'unica tra i semidei a cui non avevano sottratto tutte le armi, semplicemente perchè in quanto Cacciatrice aveva qualche asso nella manica. Si accarezzò l'interno del polso. Il suo cuore batteva stabile e forte, era lo stesso battito che l'aveva accompagnata dal momento in cui si era unita ai ranghi di Artemide, lo stesso battito che l'avrebbe seguita nei secoli a venire. Se non fosse morta in quel luogo. Non per la prima volta si chiese se le sue compagne la stessero cercando. Sperò con tutto il cuore che la protezione della Dea bastasse a tenerle al sicuro. Non desiderava la morte di altre di loro, non dopo aver perso Danai e Isidora.

Cassiopea era sicura che arrivato il tempo di andarsene da lì il pavimento della sua stanza avrebbe avuto un solco ovale inciso nella pietra. Le mancavano gli allenamenti di Sparta, i duelli amichevoli, le corse a piedi scalzi sul terreno battuto, i corpo a corpo e i litigi per permetterle di parteciparvi. Dei immortali! Le mancavano pure le ragazze che ogni tanto si riunivano nell'ombra degli edifici che circondano il campo di allenamento per ammirare i corpi seminudi dei soldati e le loro risatine acute. Iniziò a girare con più vigore. Non le era stato permesso di portare la sua spada e il pugnale che era riuscita a nascondere le era stato sottratto una volta arrivati. Senza armi, la figlia di Ares si sentiva nuda, vulnerabile nonostante sapesse che il suo corpo poteva essere un'arma più che sufficiente se lo avesse desiderato.

Kosmas aveva un animo sensibile, veniva spesso paragonato ai fiori che crescevano abbondanti nel suo giardino. Ma il figlio di Demetra sapeva che molti di quei fiori erano più forti di quanto i mortali che li coltivavano pensassero. Aveva visto gli stessi fiori sbocciare nei buchi tra le pietre delle strade, sulle pareti di roccia erose dal vento e su terreni molto battuti. Sapeva che c'era una forza interiore nei fiori che li faceva resistere anche alla peggiore delle intemperie. Sperava che il paragone che spesso veniva fatto tra se stesso e i boccioli colorati valeva anche quando si trattava di resistenza e forza di volontà. Voleva tornare a casa, anche se a casa lo aspettava una vita in reclusione solitaria e una falsa identità. Non poteva perdere la speranza, il giuramento che aveva fatto sulla nave che lo aveva portato là glielo impediva, ma anche se avesse potuto non lo avrebbe fatto perchè avrebbe preferito una vita in solitudine piuttosto che l'incognita del suo destino dopo la morte. Dove sarebbe andato a finire senza la sua essenza divina?

Agape stava lentamente impazzendo. Le serviva luce, luce. Era figlia di Apollo, per il tridente di Poseidone, aveva bisogno del Sole. Ovviamente aveva ben poche possibilità di trovarlo là dentro. Anche nella Grande Sala l'unico momento in cui il sole entrava direttamente era durante il tramonto. A Rodi, quando i suoi servizi non erano richiesti anche di giorno, il che avveniva raramente per sua fortuna, le era permesso stare all'aperto per fare ciò che più preferiva. Non era abituata a stare chiusa così tanto, ma per lo meno la sensazione di avere le catene al collo non le era nuova. Sdraiata sul suo letto, torce accese, contava le venature nella pietra del soffitto mentre nella sue testa riverberava il rumore della musica in un giorno di festa.

Hilarion era un tipo semplice, senza troppe pretese. La fucina era più piccola e più calda di metà delle stanze presenti in quel palazzo, non erano gli spazi a infastidirlo. Era l'assenza dei suoni che lo avevano accompagnato da praticamente tutta la vita a renderlo teso e nervoso. E non era mai una buona cosa, la sua pazienza si accorciava e il suo sarcasmo si faceva più tagliente. Ma sapeva che non poteva permettersi scatti di rabbia, non lì dentro. Per un tipo asociale come lui stare a contatto con così tante persone così spesso era destabilizzante. Il suo atteggiamento normalmente freddo e distaccato aveva dovuto affievolirsi un po', la situazione in cui era finito dentro rendeva impossibile la totale impassibilità. E inoltre c'era qualcosa che lo incuriosiva nel giovane figlio di Demetra che mai lo aveva fatto prima. Stava bene con un martello in una mano e un ferro incandescente nell'altra, non faceva il tipo di vita che gli permetteva tanti contatti con giovani bellezze.

Thaddaios era, non sorprendentemente, spaventato a morte. Aveva avuto l'idea che Ariadne potesse essere qualcuno con cui allearsi per sopravvivere più a lungo possibile ma ora la principessa di Tebe era irraggiungibile. Non sopportava l'atteggiamento altruista dei gemelli di Atene o anche di Epeo, perchè salvarli tutti quanti quando potevano salvare loro stessi? Thaddaios non lo capiva proprio, ma se voleva rivedere casa sua e continuare la sua vita e dimostrare finalmente il suo valore allora doveva fingere di essere quello che non era mai stato ancora per un po'. Ma non avrebbe esitato a voltare le spalle a tutti quanti se questo gli avrebbe portato giovamento. Rinvigorito dalla possibilità di usare gli altri a suo vantaggio Thaddaios smise di tremare rannicchiato in una pallina.

Epeo aveva continuato ad allenarsi con il regime di Sparta, desideroso di non perdere la propria forza. Lo aveva consigliato qualche tempo prima agli altri, quando ancora Orion non era stato chiamato, ma non sapeva quanti avevano fatto uso del suo consiglio. Sperava che il piano andasse come doveva andare, ma era una persona pragmatica e preferiva basarsi sui fatti piuttosto che sulla fortuna quindi la sua mente era spezzata in due. Come spesso accadeva quando era solo nella sua stanza tornò a pensare ad Andromaca, la sua promessa sposa. Quando era partito da Sparta, i suoi sentimenti per lei erano ancora confusi. Era innamorato di lei o l'amava come si ama un'amica o una sorella? Ma ora, dopo mesi in cui aveva avuto modo di pensare a ciò che provava, si era reso conto che l'amore verso di lei era tutt'altro che amicizia; era innamorato di lei, lo era stato anche prima senza rendersene conto. Per questo, anche nella sua piena logicità da figlio di Atena, metà di lui sperava che il piano messo a punto con Enea e Hermia permettesse loro di scappare.

Enea era preoccupato. Tuttavia la maggior parte di quella preoccupazione era rivolta alla sorella e non al piano il cui esito stavano aspettando. La situazione aveva risvegliato in entrambi ricordi che avevano cercato in ogni modo di seppellire nella profondità più assoluta della loro mente. Rispetto a poche settimane prima Hermia aveva ripreso colorito e il peso che aveva perso. Era pronta ad affrontare gli inevitabili scontri una volta usciti di lì. Il figlio di Zeus era in equilibrio sulla gamba sinistra, il piede destro sulla coscia sinistra. Teneva le braccia lungo il busto e lo sguardo fisso su Hermia, seduta sul bordo del suo letto. Avevano appena finito di parlare sulle varie possibilità che li avrebbero potuti attendere nel caso in cui Ariadne fosse riuscita ad aprire le porte del loro. La questione non era ancora uscita, ma ne avrebbero sicuramente parlato durante la cena. Inoltre, come Hermia aveva fatto notare, non tutti sapevano combattere e nessuno di loro era in possesso di un'arma all'infuori dei loro poteri (che tuttavia non sempre erano adatti all'offesa e avrebbero retto poco in difesa). Sia Enea che Hermia erano dell'opinione che al di fuori del loro palazzo-prigione non ci fosse nessuna guardia, dopotutto loro non avevano nessuna possibilità di uscire e sprecare uomini per prigionieri senza via di fuga non solo era inutile ma anche stupido. E Akakios era tante cosa ma decisamente non stupido.

Quella sera avrebbero parlato e avrebbero discusso sul da farsi. Molti, se non tutti, avevano promesse da mantenere.

 

 

Palazzo reale di Creta, corridoio – giorno 66, ore 3.21

 

 

Ariadne era riuscita a uscire dalla stanza, quindi il primo ostacolo del suo piano era stato superato. Era stato più semplice del previsto: aveva soltanto dovuto fare in modo che la sua voce raggiungesse l'esterno, cosa relativamente facile dato le fessure presenti nelle porte, perchè le due guardie aprissero suddette porte il più silenziosamente possibile. Con altre poche, semplici parole aveva ordinato loro di chiudersi nella stanza e di uccidersi senza fare rumore. Ariadne decisamente adorava il suo potere. Con un doppio colpo di fortuna nel suo corridoio non si trovavano altre guardie oltre a quelle di cui si era appena occupata per cui era potuta stare tranquilla fino alla prima curva. Si affacciò lievemente per prendere nota della situazione. La fortuna era davvero dalla sua parte perchè non c'era nessuna guardia in vista su quel piano. Con passi silenziosi, sempre mantenendosi vicino al muro si avviò verso la rampa di scale. Sbirciando di sotto vide la punta di due lance e imprecò nella sua testa. Le guardie sul fondo dei gradini le davano le spalle, il che le consentì di scendere la rampa senza essere vista. Arrivata a metà rampa, Ariadne ordinò loro bisbigliando di addormentarsi. La loro testa dondolò in avanti, ma fu l'unica parte del loro corpo a muoversi. Leggera come un gatto la figlia di Petio arrivò in fondo al corridoio, prima di accucciarsi e sbirciare l'altro corridoio. Questo era una seccatura dato che andava sia nella direzione che le serviva sia in quella opposta, quindi doveva stare attenta a due uscite. Si voltò prima verso la parte che non le interessava notando con sorpresa che non era per niente sorvegliata, la sorpresa crebbe quando anche l'altra parte di corridoio risultò vuota di guardie. Quatta quatta, non una da chiedersi domande inutili, giunse all'ultima curva. Qui la sia fortuna ebbe fine perchè poteva sentire le voci di almeno tre uomini. Questo significava che la porta della sala del trono era pesantemente sorvegliata. “Quattro persone a guardia di una sala vuota? Non ha il minimo senso” pensò la principessa di Tebe. A meno che la sala non fosse vuota. Il che era esattamente ciò che Ariadne sospettava. Con voce carica di potere, alta abbastanza da essere udita solo dalle guardie della sala del trono Ariadne ordinò loro di stare dritti e sull'attenti e di ignorare la sua presenza e qualsiasi suono proveniente dalla sala del trono fino a un seguente ordine. Sì, decisamente adorava il suo potere.

Una volta dentro la sala si trovò di fronte all'altro grande ostacolo: come fare a trovare e azionare il meccanismo di cui avevano parlato i gemelli ed Epeo? Non aveva il minimo dettaglio su dove fosse a parte che si trovava nella zona sotto il trono del re. Non aveva idea di quale aspetto potesse avere ne che tipo di cosa ci fosse sepolta insieme.

A passi falsamente sicuri si avvicinò al trono. Si trovava sopra un piccolo palchetto a forma di mezzaluna dello stesso rosso scuro delle colonne. Accanto aveva due troni più piccoli e sobri per la regina e il principe ereditario. Quello di Akakios era una mostruosità di marmo e pietre preziose. Era ovvio come fosse un simbolo di potere, Akakios voleva tutti gli occhi puntati addosso, non c'era niente nella stanza più sfarzoso e scintillante di quel trono. Ariadne fece una smorfia. Nonostante il suo carattere sapeva benissimo che un re era la sua gente, non era il popolo a servire un sovrano ma il sovrano a fare un servizio ai suoi sudditi. In cambio di rispetto e fedeltà il re dava protezione e ordine. Un sovrano doveva essere giusto e imparziale, doveva essere il primo a rispettare le regole che imponeva ai propri sudditi. Akakios era un tiranno che dominava con il terrore. Ma proprio per questo doveva essere paranoico, consapevole delle possibili minacce nate dallo scontento delle persone. Non avrebbe lasciato niente al caso o alla fortuna, per questo Ariadne era sicura che il meccanismo era collegato a qualche tipo di allarme che avrebbe avvisato il re della sua attivazione. Voltò le spalle al palchetto e studiò la stanza. Sicuramente un indizio su come arrivare sotto il trono era nella sala e tutti i passi attentamente studiati del re erano un indicatore molto importante sul fatto che voleva avere tutto sotto il suo controllo. Per cui si trovava in posto visibile al re dal trono.

I gradini di marmo sembravano raffreddarsi man mano che li saliva. Si fermò esattamente di fronte al trono e il pavimento si fece di ghiaccio. Ignorando il freddo assoluto che sembrava penetrarle nelle ossa Ariadne fissò la parete di fronte a lei. Fu quando non riuscì a sentirsi più i piedi che la notò: una crepa. Cosa ci faceva una crepa in castello così sfarzoso e curato? Ariadne era determinata a scoprirlo. Seguì quella sottilissima linea nella parete, si snodava con un serpente lungo tutta la stanza per poi cadere a picco verso il pavimento dove riprendeva la sua andatura serpentina. Senza perdere di vista la crepa Ariadne scese dal palchetto e gli girò intorno. La fenditura in questione finiva esattamente sotto il trono di Akakios, ma era impossibile notarla se non si davano mai le spalle al palco.

 

C'era poco meno di un metro tra la parete e il palco di marmo, ma Ariadne era abbastanza piccola e snella da non avere problemi. E lì, nel bel mezzo del retro dello schienale del trono la crepa finiva. E nel punto in cui finiva brillava una pietra nera venata d'oro. Era di una bellezza straordinaria, che meritava di essere al collo di una regina o sulla corona di un re, non nel retro di un trono dimenticata da tutti. Cauta la figlia di Petio allungò una mano per sfiorarla. Quando non successe niente Ariadne riprovò a toccarla, questa volta lasciando che un poco della sua essenza fuoriuscisse dalla punta delle dita per riversarsi nella pietra. Il trucco sembrò funzionare perchè le venature d'oro presto ingoiarono il nero che prima le circondava. Quando la pietra fu soltanto di un colore, l'oro iniziò a colare nella venatura come l'acqua di un torrente dopo averlo liberato da una diga. Affascinata la ragazza uscì dalla strettoia per continuare a guardare l'avanzata di quel fiume dorato. Presto tutta la crepa venne invasa da quel fiume. E nel momento in cui successe qualcosa iniziò a brillare e presto una pietra identica a quella che aveva trovato sul retro del trono comparve sulla parete. La luce si propagò per tutta la fenditura fino a raggiungere la pietra gemella. Poi la luce sembrò solidificarsi di fronte ad Ariadne in una figura vagamente umana che pian piano cominciò ad avere una forma sempre più distinta. Quando la luce si affievolì Ariadne riuscì a vedere esattamente cosa, o meglio chi, avesse davanti. Di fronte a lei, i piedi sospesi sopra il pavimento di qualche centimetro, si trovava uno degli esseri più belli che avesse mai visto. Indossava un chitone, ma era fissato solo su una spalla rivelando l'assenza di seno. Il tessuto del chitone era dello stesso oro delle pietre così come gli occhi. I capelli, tenuti lunghi e in ordine da un laccio dorato, erano invece neri come ossidiana. La pelle emanava un chiaro bagliore che si rifletteva sui capelli e che faceva risaltare le iridi. Non era del tutto solido, come se si trovasse a metà strada tra un corpo umano e uno spettro. Ariadne rabbrividì senza volerlo quando gli occhi di quella creatura luminosa si posarono su di lei. Nessuno dei due si mosse, nei secondi di silenzio Ariadne capì che qualsiasi cosa fosse era il potere che Enea e Hilarion avevano detto di aver percepito all'interno della sala del trono.

-Non siete re Akakios- fu la prima cosa che disse l'essere di luce.

“Meno male” pensò Ariadne, quello che disse invece fu:

-No. Ma comunque mi trovo costretta a farvi una richiesta-

A quelle parole la creatura, davvero Ariadne ignorava cosa potesse essere, inclinò la testa da un lato. -Parlate degli undici semidei che si trovano rinchiusi nel mio palazzo-fortezza- non era una domanda, ma una semplice affermazione come se non avesse bisogno di chiedere per avere la risposta. Il “mio” fu quello che catturò l'attenzione di Ariadne.

-Vostro?-

-Sì, è stato costruito per mio desiderio. Anche se non ne approvo l'uso come prigione non ho molto potere a riguardo- fu la risposta, chiara e coincisa, ma che fece sorgere ancora più domande in Ariadne.

-Vi state chiedendo come io abbia fatto a sopravvivere- Ariadne si limitò a guardarlo.

-Non avete mai visto un'essenza divina, vero?-

A questa domanda Ariadne sgranò gli occhi. No, non aveva mai visto un'essenza divina, molto semplicemente perchè spariva con la morte del proprio proprietario.

-Avevo visto quindici inverni quando convinsi mio padre a costruire il palazzo. Chiesi aiuto agli dei per permetterci di scavare la montagna; mi venne concesso il loro aiuto, ma in cambio dovetti legare la mia essenza divina alla fortezza che avevo voluto e così alla mia morte la mia anima divenne una grande ossidiana venata d'oro che venne divisa, le due metà vennero incastonate esattamente dove si trovano oggi. Posso controllare il palazzo, manipolarlo a mio piacimento se sono in questa forma. Per anni, decenni, potevo andare e venire senza restrizioni. Ma un giorno, all'alba di una guerra, il re del tempo mi richiuse nelle pietre e ci pose un sigillo. Solo un semidio ha il potere di liberarmi e il tempo che ho fuori dall'ossidiana è proporzionato al potere di chi mi libera. Come hai scoperto di me, giovane semidea? La mia esistenza è un segreto custodito gelosamente dalla famiglia reale-

La spiegazione aveva senso, anche se Ariadne non aveva la minima idea che l'essenza di un semidio potesse vivere così a lungo dopo la morte del corpo che la ospitava. Immaginava fosse perchè era legata a qualcosa di solido come l'ossidiana o il castello stesso.

-Non sono stata io a scoprire che eravate qui- disse a denti stretti la figli di Petio, mantenendo il tono rispettoso che gli era stato inculcato nella mente da quando aveva iniziato a parlare- ma come ho scoperto della vostra esistenza non è importante adesso. Avete detto che potete controllare il palazzo-fortezza. Potete aprire le porte? Possibilmente senza attivare nessun allarme?- aveva aggiunto l'ultima richiesta non per amore altruista verso gli altri undici ma perchè così aveva più tempo per allontanarsi il più possibile dalla città.

-Con la mia energia corrente non mi è possibile, la minima essenza che avete usato per liberarmi non mi permette di fare altro che apparire in questa forma- Ariadne aggrottò le sopracciglia, non le piaceva il messaggio indiretto che le era stato rivolto. Senza di una parola, con lo sguardo meno torvo che riuscì a dare spinse altra della sua energia verso il palmo della mano destra. Lì la sua energia si condensò in una pallina di luce rosa scuro. Sempre in silenzio la mandò verso la sua unica possibilità di fuga (non sarebbe riuscita a scappare senza una distrazione, la città era pattugliata molto più pesantemente dell'ala del palazzo dove si trovava. E più ordini dava usando il suo potere più la sua energia diminuiva). Quando la pallina di luce toccò l'essere di essenza divina il suo colore passò da rosa scuro a un pallido giallo, come il sole appena sorto. Ariadne sperò che fosse sufficiente perchè non aveva assolutamente intenzione di darne di più. Una volta assorbita l'energia della figlia di Petio, l'essere alzò entrambe le braccia, i palmi uniti tra loro. Con un gesto secco, mantenendo le braccia distese, divise le mani.

 

Arcadia – giorno 66, ore 4.00

 

Un rumore secco e improvviso fece uscire tutti dalle loro stanza come fulmini. Guardandosi speranzosi si precipitarono verso l'ingesso. E lì, per loro immensa gioia trovarono le porte spalancate.

 

 

FUN FACT: la scrittura come affare privato inizia a diventare in uso ai tempi di Platone, con il filosofo come uno dei primi promotori. Quindi circa V-IV secolo a.C.. È completamente fuori tempo con l'effettiva scomparsa della civiltà minoica, che è praticamente ciò che ha stimolato l'inizio della storia, MA ce ne freghiamo altamente delle timeline storiche perchè lo dico io.

Alle donne veniva insegnato a leggere e scrivere se di alto rango o se erano sacerdotesse (la scrittura prima di Platone per lo più di natura sacra)

FUN FACT II: il nome del proprietario dell'essenza divina è Kerykos ed è un semidio figlio di Eos, la dea dell'alba. Questo è il prodotto finale, prima di arrivare a Kerykos sono passata tra diversi personaggi: 1. una ninfa della luce o simil, ma poi non avrebbe avuto senso e non ho trovato corrispondenti nella mitologia greca che mi soddisfacessero; 2. parte dell'essenza di Eos stessa, ma non avrebbe avuto senso perchè anche se minore rimane sempre una dea; (questo quando avevo legato il fatto che le porte si potevano aprire solo all'alba/tramonto) 3. il ricordo/spettro di una figura mitologia come una ninfa o una driade, ma mi serviva un morivo per cui era legata alla fortezza e niente mi sembrava abbastanza adatto; 4. il nostro ultimo concorrente Kerykos che prima era una donna, ma mi sembrava più sensato farlo uomo.

FUN FACT III: in natura è praticamente impossibile trovare un'ossidiana venata d'oro ergo il mio utilizzo qui. Non è una pietra naturale

FUN FACT IV: tutte le essenze divine brillano del colore dell'energia del proprio proprietario e hanno l'aspetto fisico di chi le ha possedute nel loro periodo migliore, quindi se muori che sei vecchio e raggrinzito e vuoi conservare la tua essenza questa prima si trasforma in una pietra preziosa, che spesso è del colore opposto a quello della tua energia, e dopo assume la forma migliore che può.

FUN FACT V: il pollo al miele non esiste, credo. Ma suonava bene e mentre lo scrivevo la mia mente traditrice era lì che diceva “secret sweet tooth!Ariadne”

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