Nella fine è il principio

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Contrasti ***
Capitolo 2: *** Fiore di un'ora ***
Capitolo 3: *** L'attimo prima ***
Capitolo 4: *** Un capitolo della tua vita ***
Capitolo 5: *** Fischio finale ***
Capitolo 6: *** Profumo di bimba ***
Capitolo 7: *** Sogni sfumati ***
Capitolo 8: *** I battiti del mare ***
Capitolo 9: *** Le fasi del dolore ***
Capitolo 10: *** Hope ***



Capitolo 1
*** Contrasti ***


Più di una volta si era sentito la morte addosso. Mai però, come in quella luce dorata e umida di ottobre, ingoiare il boccone amaro della sconfitta era stato ingiusto. Spietato.

Aveva vinto lui! Quel cuore malato, affaticato, traditore.

Un brivido nervoso e un senso di tristezza mentre i suoi occhi caldi e feriti si voltavano a cercare suo padre: paradossalmente era Gregory a sentirsi a pezzi, con la cavità toracica che pareva essere stata svuotata e riempita di cemento a presa lenta e i polmoni che non riuscivano a riempirsi d'aria.

In quell'alternarsi di sole e violenti scrosci, il dottor Johnson osservata, impotente, quel quadretto padre-figlio. Era genitore anche lui, prima che medico, e non poteva rassegnarsi così, tracciando una linea di demarcazione netta tra la speranza e il non c'è più niente da fare.


"Julian, potremmo sottoporti ad un intervento terapeutico temporaneo..."

Ma lui, stremato dai continui monitoraggi e dai lunghi e dolorosi esami, disilluso da una lista d'attesa che sembrava infinita e da quella telefonata dal centro trapianti che non arrivava mai, aveva scosso con decisione la testa.

"Sono stanco di sottopormi a terapie fallimentari, di vivere sul filo del rasoio. Sono stanco di essere stanco, di non poter avere diciotto anni, dei continui ricoveri. Sono stanco."

Di fronte a quella resa, incondizionata e accorata, anche Gregory aveva capitolato: non aveva senso cercare di cambiare vestito ad una morte annunciata e niente era riuscito a vincere la risolutezza di suo figlio nel voler spendere quelle ultime settimane a casa, a modo suo. Lontano dal verde acquoso e appiccicoso degli ospedali.

Ancora strabordante di rabbia e disperazione, il signor Ross si era acquietato soltanto al tocco leggero ma deciso della mano aperta di Julian che si poggiava sulle sue spalle larghe.

"Aiutami a mettermi in piedi papà. Non vorremo fare aspettare troppo la mamma?!"


Andy attendeva fuori da quel reparto fatto di latte e di sudore e di riti millenari, campo di battaglia per sole donne. Stava vivendo quell'inattesa gravidanza con concretezza, pur tra mille domande e dubbi, e quella bambina, che le cresceva in pancia, era qualcosa di così grande e speciale che ne era già innamorata perdutamente.

Luce e buio. Felicità e tristezza. Gioia e dolore.

Inizio e fine.

La vita, in tutti i suoi contrasti, pareva essere stata disegnata sulla figura ballerina di Julian, appena sorretta da Gregory. E, come nelle fotografie, la parte scura, quella delle ombre, aveva spiccato sulle luci.

Le era bastato incrociare gli occhi, gonfi di pianto, di suo marito per capire quell'assurdo cerchio delle loro vite, quell'opposto che non si concilia.

L'urlo che le era salito in gola non aveva fatto in tempo ad implodere. La mano gentile e calda di Julian si era poggiata sul pancione, e sul viso gli si era dipinta quell'espressione buffa di quando asseriva di voler fare le coccole alla bimba.

"Sbrigati a nascere, piccolina. Presto saremo in quattro!"

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Capitolo 2
*** Fiore di un'ora ***


Fin da quando aveva scelto di continuare a giocare, aveva preventivato una fine definita, coreografica, diversa: con quel pallone che, oltre che tra i piedi, gli era rimasto appiccicato nell'anima.

Julian avrebbe preferito uscire di scena così: indossando quegli scarpini che lo facevano uomo, con gli occhi brucianti di quel fuoco di chi vuol diventare un campione. Stroncato da quella fatica che lo annientava, puntualmente, già alla mezz'ora del primo tempo.

Sarebbe dovuto essere rapido, improvviso ed indolore. Come lo spettro di quell'infarto che aveva sempre aleggiato su ciò che più amava.

Teneva ancora le mani serrate a pugno, quando suo padre aveva frenato e il campo d'allenamento della Mambo, profumato di libertà e ricordi, si era dispiegato dinnanzi al parabrezza come un vascello fantasma.

Non c'era bisogno di parole. Gregory gli aveva sciolto, con delicatezza, le dita contratte e le aveva avvolte a lungo con la sua mano grande e protettiva. Da papà.

"Faccio veloce!"


Il campo da gioco era deserto e Julian si era armato di una ferrea volontà per arrancare su per i trentaquattro gradini che conducevano sull'ampio tetto, dove gli studenti erano soliti consumare i loro pasti.

Amy era lì.

Una sposa del vento che si nascondeva dispettosa, come quelle delle leggende nordiche che vivono dentro le corolle dei fiori. Lui aveva resistito ad una fitta nell'ammirarla, protesa verso l'immensa distesa blu abitata da squali e sirene, da barche a vela e tsunami. Voltandosi, con un fiore appuntato tra i capelli, ricordava una Primavera del Botticelli : la gonna della lunghezza giusta, una camicetta colorata e un sorriso dolce ma velato di tristezza.

"Sai che l'Oceano Pacifico occupa circa un terzo della Terra? Lambisce i margini ghiacciati dell'Isola di Ross!"

Julian era incantato dalle gote di lei arrossate da una curiosità bambina, dalle sue movenze leggiadre come quelle di una farfalla.

"No, non lo sapevo. Hawaiana!"


Le dita del ragazzo si erano allungate a sfiorare quel fiore ad imbuto, trilobato e caduco, che solleticava l'orecchio di Amy. Lei lo aveva scollato immediatamente, sentendosi sciocca.

A lui, invece, quella splendida rosa cinese, fiore di un'ora, ricordava la bellezza delicata dell'estate.

"Dovresti acconciare i capelli così anche per il ballo d'inverno. Ti danno un'aria così sofisticata e romantica che, finalmente, quel tonto di Stephen troverà il coraggio d'invitarti. Lo sai, vero, che ti fa il filo fin dalle elementari?"

Amy gli aveva dato la schiena, indispettita e capricciosa.

"Probabilmente non ci andrò a quello stupido ballo!"


Era stata richiamata dal tonfo con cui uno stremato Julian si era appoggiato, pesantemente, contro la ringhiera a quadro intrecciato.

Il pallore, i denti stretti a cercare di controllare il dolore e quella mano attanagliata sul petto, in un'antica e intollerabile posa, avevano allarmato Amy. Gli si era inginocchiata immediatamente a fianco, scostandogli una ciocca dalla fronte sudaticcia.

"Stai bene?"

Non poteva proteggerla con una bugia. Non poteva preservarla da quelle due parole pesanti come macigni e stonate sulla bocca di un diciottenne.

Le avrebbe lacerato l'anima, comunque.

"Sto morendo, Amy!"

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Capitolo 3
*** L'attimo prima ***


La contrazione violenta dell'utero e il dolore che l'aveva fatta piegare in due erano stati dei campanelli d'allarme per Andy. Aveva abbassato i pantaloni e ritratto la mano sporca di sangue: di quel colore di amore e di vita, non ancora vita, seriamente in pericolo.

Era rimasta accasciata sulle piastrelle fredde del bagno, sopraffatta da quella girandola di disillusione, paura e ricerca di un colpevole, con le mani aggomitolate sul ventre. Era stato proprio quello spasmo a ridarle la lucidità necessaria per credere che la vita è bella anche quando è brutta, che mettere al mondo quella bambina sarebbe stato il miracolo dei miracoli.

Aveva stretto i denti, cercato di controllare il batticuore e il pianto nervoso, capendo che non ce l'avrebbe mai fatta da sola.

"Julian!"


Quel richiamo urgente aveva ricompattato i mozziconi di tempo penosi in cui si erano accartocciate le loro vite. Aveva fatto sentire Julian compreso, importante ed utile: connesso, di nuovo, con quella mamma che rifuggiva ogni affetto; non più soltanto due estranei uniti dallo stesso corpo e dalle stesse emozioni.

Quando era arrivato di sopra, non si era lasciato vincere da quel panico collaterale, dalla consapevolezza che lo stress triplicava il rischio di un aborto spontaneo.

"Devi chiamare papà, subito!"

Controllando la massa nervosa di paura, Julian aveva cercato il telefono e agito con razionalità. Poi aveva spostato indietro le ciocche sudate appiccicate alla fronte della mamma e l'aveva abbracciata forte, finché i tremori di lei non si erano acquietati.

"Non sono una minaccia, mamma. Io non ho paura di starti vicino, non averne neanche tu!"


Da quando il futuro non era più una promessa ma una minaccia, Andy e Gregory si erano stretti in un furore strano, spaventato, che li aveva lasciati stropicciati.

Di quella telefonata l'uomo avrebbe ricordato, per sempre, l'attimo prima. Quello da equilibristi.

Dieci minuti più tardi era inciampato nel caos di casa sua, in quell'incubo senza fine nel quale non sapeva come muoversi.

"Devi essere svelto, papà. Corri in ospedale: salva le nostre donne!"

Suo figlio era stato un faro, nonostante il cuore che pulsava forte e le labbra affamate d'aria. Gregory gli aveva lasciato una carezza frettolosa, poi aveva preso in braccio sua moglie ed era passato all'azione.

Julian si era accasciato sul pavimento, sollevato perché adesso la mamma avrebbe avuto le cure giuste. Questa consapevolezza, però, non aveva normalizzato la sua tachicardia o lenito i brividi e la nausea.

Impossibilitato nel gestire i battiti irregolari, il formicolio e la sensazione di soffocare, aveva riafferrato il telefono e composto il numero di Amy.

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Capitolo 4
*** Un capitolo della tua vita ***


Piangere non rientrava nel DNA di Julian. Quando Amy, che negli ultimi otto anni aveva raccolto le sue fragilità e le sue paure, lo aveva trovato riverso sul gradino all'entrata, con gli occhi gonfi e le guance striate, si era spaventata per quel brivido nefasto che soltanto un vuoto d'amore sa dare.

Si era fatta forza e si era avvicinata, cercando di dipingersi un sorriso sul viso stropicciato. Aveva sollevato la testa del ragazzo strofinando via due stille penose e tormentate. Quelle due lacrime appena spuntate, però, erano esplose in forti singhiozzi.

"Ehi non sono da te queste lacrime! Ricordi quando sono arrivata a Tokyo? Ti stupivi tanto di quanto io piangessi ma poi da te ho preso l'abitudine degli occhi asciutti e il coraggio di non abbassarli mai!"

Al suono di quelle parole dolci e calme, il dolore di Julian si era placato come carta che logorandosi si assottiglia. Aveva disteso i pugni contratti, i denti e gli occhi serrati e si era fidato di Amy, non opponendo resistenza, mentre lo sorreggeva fino al divano.


"Ho tentato di scrivere un paio di lettere d'addio. Una scelta morbosa e patetica, vero!?"

La confessione improvvisa di Julian aveva reso l'aria talmente gelida da non riuscire a muovere nemmeno le ciglia. Amy era rimasta immobile, atterrita da quel riso amaro e dai muscoli del viso contratti in un espressione sardonica sconosciuta.

Ancora una volta era stato lui a parlare.

"Promettimi che andrai avanti! Sei forte e supererai tutto questo. Io non ho rimpianti, ho avuto dei momenti bellissimi..."

Amy si era seduta sul pavimento in bambù, aveva coperto gli occhi e filtrato le tossine accumulate in quegli ultimi mesi. Aveva pianto senza vergogna, senza singhiozzi e senza scomporsi, mentre la mano di Julian le massaggiava la schiena.

"Io sono stato soltanto un capitolo della tua vita. Ce ne saranno molti altri, magari anche più belli!"


Amy era barcollata all'indietro all'impatto con quella dichiarazione, lo stomaco si era contorto e il cuore si era stretto nel petto. Si era ritrovata abbracciata a Julian, nello stesso magone e nello stesso dolore, con la mente che correva a quelle risate che li facevano cadere a terra con il mal di pancia e agli occhiolini dolci e maliziosi che vivacizzavano le lezioni.

Il Dottor Johnson li aveva trovati così, in quella strana fusione di amarezze e coraggio, di sfiducia e innocenza.

Dopo tanti anni trascorsi nelle corsie, sapeva bene come per un medico fosse tutta una questione di sguardi perciò non aveva indugiato sugli occhi impazienti e supplichevoli di Julian.

"La tua sorellina è una vera lottatrice. È forte, non mollerà!"

La tensione accumulata era stata alleviata da un sospiro di sollievo e da lacrime nuove, emotive, sul viso stanco.


Le occhiaie, il pallore e il respiro corto non erano stati sottovalutati dal cardiologo che, con scrupolosità, aveva tirato su la manica della camicia del ragazzo per auscultargli il polso.

"Hai bisogno di riposare un po' adesso, Julian. Ti darò qualcosa che ti aiuti!"

Lo aveva lasciato con un buffetto che era stato ripagato da un sorriso stirato e si era allontanato verso la sua borsa da medico per preparare un'iniezione.

Amy aveva tenuto la mano del ragazzo per tutto il tempo e anche oltre, finché l'intensità di quella giornata non si era smorzata nei respiri irregolari del sonno chimico di Julian.

Allora era stata lei a non resistere, a non respingere più quei pesi accumulati sul cuore.

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Capitolo 5
*** Fischio finale ***


Non era facile trovare il modo giusto per distrarre questo Julian, chiuso in una bolla inaccessibile. Per il suo migliore amico era faticoso presentarsi davanti a lui sempre sorridente, senza lasciarsi prendere dall'emotività.

Per la prima volta, tra di loro mancavano le parole. A volte Stephen le trovava ma erano quelle sbagliate.

Alla fine aveva capito che il modo migliore per distrarre Julian dalla malattia e dalla depressione, per fargli capire di non essere solo, era continuare ad essere sé stesso. Senza tabù.

Quella domenica pomeriggio, che i due amici stavano trascorrendo insieme come una parabola perfetta, aveva avuto senso soltanto al guizzo furbo degli occhi di Julian che, finalmente, davano accesso a quella bolla invisibile.

"Oggi c'è la partita. Giochiamo contro la prima in classifica."

L'osservazione era intonsa di un passato fatto di occasioni mancate e di un presente sbagliato eppure aveva suggerito a Stephen quale fosse la cosa giusta da fare.

Anche se aveva dovuto sudare per strappare a Gregory un mezzo accordo alla Cenerentola.


Tokyo, tra grattacieli e pagode, si svelava lentamente come una danza mentre l'auto sportiva di Mellory avanzava a passo d'uomo nella megalopoli ecclettica e chiassosa, in una moltitudine di gente educata ed ordinata.

In un'antitesi dolorosa, quasi ai bordi di periferia, il campo da gioco della Mambo li aveva accolti con quell'odore caratteristico, amaro e gradevole, di cumarina. Il profumo di felicità perduta e un attacco di vertigini avevano fatto barcollare Julian ma Stephen aveva avuto i riflessi pronti per reggerne il corpo che si accasciava.

"Avevo scordato quanto rumore può fare uno stadio vuoto!"

Stephen aveva serrato i pugni, mentre la collera montava. Era ingiusto che la vita avesse giocato un così brutto scherzo proprio ad una persona gentile, corretta e buona come Julian. Più ci pensava, più si arrabbiava.

"Sai qual' era il rumore che temevo di più quando eravamo in campo? No, non erano i suoni martellanti del mio cuore affaticato! Erano i tre fischi finali dell'arbitro: arrivavano sempre troppo presto quando stavamo inseguendo un pareggio o con lentezza esasperante quando, in vantaggio, ci chiudevamo a difendere il risultato..."

Aveva fatto una breve sosta per riprendere fiato e Stephen, in un silenzio imbarazzato, ne aveva approfittato per riordinare i pensieri confusi e tumultuosi.

"Tu mi somigli, Mellory. Anche tu detesti quel fi, fii, fiii. Siamo fatti così: se giochiamo bene vorremmo continuare per segnare, se giochiamo male vorremmo continuare per riscattarci!"

La sua spalla destra, in campo come nella vita, non era riuscita a camuffare le lacrime nemmeno dietro un tentativo di battuta disinvolta.

"Dovrei essere io a consolarti ed invece sei tu a dare conforto a me!"

"C'è una cosa che puoi fare ancora per me!"


Negli spogliatoio, tra armadietti a casellario impregnati di odori muschiati e malumori, si percepiva un'atmosfera mesta e tesa. Qualcuno ultimava gli esercizi di stretching, qualche altro si passava l'olio di canfora sulle gambe.

Un altro odore acre, forte, che voleva dire proprio calcio, che bruciava nelle narici e aveva fatto girare, di nuovo, la testa a Julian. Si era sostenuto al braccio di Stephen in una stretta a morsa e aveva sfoderato un sorriso fatto di coraggio e credibilità. In fondo un capitano sa sempre mantenere il controllo.

"Allora ragazzi cosa sono questi musi lunghi? Tra novanta minuti potremmo essere di nuovo noi la capolista!"

"Capitano!"

I calciatori della Mambo lo avevano accerchiato meravigliati, fiduciosi, positivi; accogliendolo con quel titolo abusato, ricco di onori e di responsabilità. Stremato, il ragazzo si era lasciato cadere su una delle panche di quel territorio amico.

Sapeva che ancora una volta, forse per l'ultima volta, toccava a lui indirizzare la squadra nella direzione desiderata.

"Noi non siamo mai stati soltanto un gruppo di ragazzi con la stessa passione. Siamo una squadra, lo siamo diventati con sacrificio, lavorando duramente in allenamento, al limite dello sforzo. Qui non si tratta di fare a modo mio, a modo del Mister, o a modo di chi ha ragione. Le cose dobbiamo affrontarle insieme!"

Undici mani si erano sovrapposte a quella di Julian in un linguaggio complice e sottinteso. Poi gli occhi lucidi del Capitano avevano cercato Stephen.

"Adesso va a cambiarti Mellory. Ho ancora bisogno di te per arrivare a bordocampo!"

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Capitolo 6
*** Profumo di bimba ***


In quel novembre grigio, con il sole che rompeva le nebbie improvvise, per la famiglia Ross diventava ogni giorno sempre più difficile.

Andy, in particolare, si sentiva una straniera in terra straniera: non accettava quel rischio di morte come se si fosse già realizzato, né lo rifiutava come se si potesse, comunque, sconfiggere. L'unico conforto, l'unica luce in quelle giornate grigie, era la fragilità delle vecchie certezze: come il bacio, appartenente ad una routine ventennale, con cui Gregory la salutava al mattino prima di andare a lavoro.

Restata da sola, faceva di tutto per non affrontare quella notizia così impossibile da accettare, gravata com'era di paure e, allo stesso tempo, dalla necessità di stare accanto a Julian.

Il presente era vuoto e senza senso e anche affacciarsi al futuro, in quell'angolo di casa progetto di favole e di sogni, significava esplorare un mondo stanco. Tuttavia passare del tempo nella stanza della bambina era una spinta propulsiva ad affrontare un futuro difficile.


Nel tramonto austero, Andy si era chinata sulla culletta in ferro battuto a rassettare il piumotto imbottito quando un'ombra tremula, allungandosi sulla parete verde mela, l'aveva costretta a raddrizzarsi e ad affrontare quella lente d'ingrandimento di angosce e dolore.

Julian era appoggiato allo stipite della porta, le braccia incrociate e quel sorriso di vivente-morente , di chi vorrebbe lasciare meno tristezza possibile intorno a sé.

Lasciandosi guidare esclusivamente dal suo istinto materno, Andy lo aveva avvicinato e afferrandogli la mano di slancio, lo aveva guidato verso la sedia a dondolo in giunco che non aveva ancora una collocazione definitiva.

Julian non si era seduto. Attingendo alle sue energie residue, aveva spinto la sedia sotto il sole anemico che filtrava al di là dei vetri, poi aveva sospinto dolcemente la mamma e si era rannicchiato ai suoi piedi come gli piaceva fare quando era bambino.


Da quando si era ammalato, per Julian le parole sembravano possedere una qualità quasi mistica, le afferrava al di là del loro significato superficiale e istintivamente riusciva a comprenderne anche suoni, colori, pause e accenti. Perciò aveva misurato attentamente il sospiro della mamma prima di decidersi a parlare.

"Ti immagino già, nelle lunghe notti di veglia, seduta qui a cullarla. Ho cercato di immagazzinare nella mia testa e nel mio cuore anche tutti i profumi: quello di arcobaleno, quello di peluche e scarpette inamidate che sventoleranno appesi ad asciugare. Quello di terra, di unghie sporche e di gelato caduto sulla maglietta. Non sono triste perché so che questa casa profumerà sempre di nuvole e di sole."

Andy non era riuscita a dire niente, devastata da quell'innocenza così schietta, da un'unità familiare destinata a frantumarsi, dal tempo contato per prepararsi a quella tragica perdita.

Non aveva potuto far altro se non accarezzare la guancia scavata del suo bambino e poi attirarlo nel suo abbraccio grande, da mamma.

"Scusami, scusami, scusami!"

Erano le uniche parole che avevano trovato posto dietro le lacrime.


Si erano staccati a fatica da quello stesso nucleo di tormenti e Julian, in silenzio, era scivolato in camera sua ritornandone, poco dopo, con un cerchietto di legno flessibile e una rete di palline.

"Il tuo acchiappasogni!"

Senza troppi complimenti, aveva accettato il posto sulla sedia a dondolo che Andy gli aveva ceduto.

"Voglio che lo abbia lei. Deve pescare soltanto sogni belli nel lago della notte e quelli brutti dovranno svanire con le prime luci dell'alba!"

Nonostante tutto Andy si era sentita fortunata per quel momento così speciale, per poter tenere ancora Julian stresso a sé. Per avere i suoi figli insieme a lei.

Aveva preso la mano del ragazzo e l'aveva appoggiata su una sporgenza del pancione: il movimento nitido, quello scalciare che sembrava un messaggio aveva entusiasmato Julian.

"La monella è sveglia!"

Aveva sussurrato Andy con dolcezza incommensurabile, sforzandosi di resistere alla commozione.

"Dobbiamo trovarle un nome, mamma!"

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Capitolo 7
*** Sogni sfumati ***


Amy aveva fantasticato tante volte su quel ballo, un po' da serie tv americana, con i lustrini, i fiori e la tensione per l'incoronazione del re e della reginetta.

Quel sogno di bambina si era infranto in una vita diventata routine senza senso, e lei da causa era passata ad essere effetto di quella vita stessa. Per ammorbidire quella realtà grigia, era stato naturale tirar fuori dall'armadio il vestito in chiffon dallo scollo a cuore e le scarpette in vernice con il tacco acquistati ai saldi.

Aveva fatto aderire l'abito da cerimonia sul suo corpo e, con un filo d'imbarazzo, si era ritrovata a sognare ad occhi aperti.

Le era sembrato un rifugio sbagliato quando sua madre era entrata all'improvviso, distruggendo quel mondo artefatto, quell' illusione che l'avrebbe difesa dalle frustrazioni e consolata soltanto per un breve momento.

Muovendosi a disagio, anestetizzata da quelle fantasie in cui si era cullata fino a poco prima, Amy aveva scaraventato sul letto il vestito nuovo, abbassando lo sguardo. La signora Aoba le aveva messo due dita sotto il mento e aveva sorriso.

"Niente scuse. Stasera tu andrai al ballo! Di sotto c'è un bellissimo cavaliere che ti aspetta!"


Si era sentita un po' come Cenerentola mentre sua madre l'aiutava con l'acconciatura e gli orecchini con chiusura alla monachella. Si era commossa, per quell’attimo di felicità prezioso, quando aveva intravisto Julian, elegante ed incravattato, ad attenderla al piano di sotto. Aveva dovuto usare le mani come ventaglio per impedirsi di sciogliere il trucco, soprattutto dopo l’occhiolino d’intesa che aveva captato tra sua madre e l’inaspettato cavaliere.

Julian le aveva allacciato il corsage di ibisco sul polso, poi le aveva scostato una ciocca sfuggita dallo chignon morbido.

“"Meriti anche tu una serata in cui arrabbiarti con il fidanzato, chiuderti nel bagno a piangere con le amiche, rifarti il trucco. Riconciliarti con il fidanzato, rilitigare, richiuderti nel bagno...E poi far pace sulle note dell'ultimo lento! La parte del fidanzato la faccio io, anche se lo smoking mi balla addosso e non ho noleggiato una limousine. Dovremmo accontentarci di Stephen come autista!"

Il bacio di gratitudine di Amy, per quel niente che era tutto, si era stampato sulla guancia sbarbata di Julian come un calco d’argilla mente si lasciava appuntare un ibisco rosso sul revers della giacca.


Amy era decisa a trascorrere una bella serata. Arrivati in palestra, si era concentrata sul vociare degli invitati e sulle note di un boogie woogie che aveva portato in pista diverse coppie di studenti. Pochi di quei coraggiosi, però, non erano scappati via sulle note di un primo lento.

"Andiamo?"

Julian aveva porto la mano ad Amy, con uno svolazzo, spiazzandola.

"Io non credo sia una buona idea!"

Aveva cercato di dissuaderlo lei sottovoce, cercando di celare dietro un sorriso stentato il nervosismo e la preoccupazione nel vederlo un po' affaticato.

"Mezzo ballo, ok?"

Julian le aveva preso la mano, sollevandola leggermente, e l'aveva guidata senza fretta sulla pista da ballo: voleva assaporare il momento.

Era un ballo molto facile e si erano limitati ad oscillare avanti e indietro, con Julian che teneva le mani attorno alla vita della ragazza e lei a cingerle le spalle.

"Usciamo un po'?"


I loro passi sul marciapiede lucido somigliavano ad uno scalpiccio di fantasmi ed Amy si era sentita lacera dentro per le foglie accartocciate dal gelo e per il vento che giocava con i rami avvizziti.

Si era scordata di quel dolore soltanto quando sulle sue spalle nude era stata appoggiata una giacca larga impregnata da una fragranza erbacea oceanica, e gli occhi appannati di Julian l'avevano messa a confronto con rimpianti più grandi dei suoi.

"Avrei voluto essere con te l'ultimo giorno di scuola. Avrei voluto esserci il giorno del tuo diploma e quello della tua laurea. Avrei voluto vederti sorridere, anche da lontano. Avrei voluto tenerti per mano tra la folla e baciarti sotto la pioggia..."

Continuare quel saluto senza ritorno era diventato difficilissimo, anche fisicamente. Era un addio sonoro, da punto alla fine, che aveva inchiodato Amy finché le sue lacrime non si erano fuse alle prime gocce di pioggia.

Irrazionale, ed un po' prepotente, aveva posato le sue labbra su quelle di Julian, complice in quel bacio passionale e disperato rubato al destino.

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Capitolo 8
*** I battiti del mare ***


L'ultima crisi, oltre ad un dolore acuto e trafittivo al petto, aveva lasciato Julian sconfitto ed inerme nei confronti di un mondo che diventava sempre più difficile da abitare.

Ai suoi genitori, con lui su quel baratro oscuro prevedibile, non era restato altro da fare se non tenerlo stretto, in silenzio, per ore e fare i turni perché accanto a lui ci fosse sempre un corpo caldo.

Si era creato un tempo nuovo, né giorno e né notte, durante il quale Gregory faticava ad uscire da quella dimensione farraginosa che ormai schermava i suoi dolori.

"Voglio rivedere le mie partite!"

La richiesta di Julian, flebile ma decisa, gli aveva fatto raccogliere tutta l'energia per regalargli ancora un sorriso. Il coraggiosissimo ragazzo voleva distrarsi dall'orrore di quegli ultimi mesi, dal battito accelerato e dalla difficoltà a respirare, dalle vertigini e dalla debolezza. Aveva bisogno di cullare quei ricordi belli, rigirandoseli in mente e vivendoli al rallentatore, per non escluderne nemmeno i contorni frastagliati.

Nel mezzo di uno di quegli spezzoni di tackle e sorrisi, aveva scostato la mascherina ormai indispensabile, ed aveva inspirato ed espirato un paio di volte per calmare l'affanno.

"Non è questo dolore al petto ciò che mi opprime di più ma una sensazione di spreco. Avevo dei progetti per i prossimi anni, papà! Me li ero sudati. Me li ero meritati!"

Lo sforzo lo aveva spossato e, mentre si assopiva, Gregory aveva perso ogni scopo da inseguire mentre tutto il suo universo deragliava lontano dalla sua orbita. Si era lamentato come un animale ferito mortalmente, per tutta la notte, consapevole che occhi asciutti e morte non vanno d'accordo.


Poco dopo l'alba nessuno era riuscito a dar forma a quelle ore senza fine. Gregory ed Andy stavano accanto a Julian, un guscio vuoto, vivo ma soltanto fisicamente, con il loro amore incondizionato, scottante e luminoso.

Ciò che era tutto e mai abbastanza.

Andy era stata la prima a tentare un'estrema difesa per quella vita minacciata, contro quella sofferenza che le scavava l'anima a costo di infrangere la promessa fatta a Julian.

Aveva afferrato la seconda borsa per le emergenze e consegnato le chiavi dell'auto a Gregory, poi si era chinata su suo figlio.

"Adesso ti portiamo in ospedale!"

La stretta debole di Julian le aveva bloccato il polso.

"No, non permettere che il mio ultimo posto sia l'ospedale in inverno, che puzza come un'ostrica senza perla. Portatemi al mare."


Quel minuscolo lido aveva il potere di rendere la tristezza più triste e la solitudine più sola. Un luogo letargico e spento nel quale la famiglia si era inoltrata, quasi come un quadro metafisico: Gregory portava in braccio Julian ed Andy gli camminava di fianco, facendo scricchiolare ad ogni passo le conchiglie sotto i piedi.

Julian aveva chiesto che si fermassero sulla battigia, al confine di quel mare dicotomico: colorato, caldo e avvolgente d'estate, aveva adesso mutato carattere diventando nervoso, triste e pungente.

Tremava ma, con gli ultimi sprazzi di lucidità, si era lasciato incantare dai gabbiani che, a dispetto della nebbia e del vento freddo, sembravano impazienti ballerine sul palcoscenico di acqua e di sabbia.

Una fitta più dolorosa delle altre lo aveva fatto sussultare mentre in un secondo gli scorreva davanti tutto quello che avrebbe voluto portare con sé.

L'abbraccio della mamma e del papà. Le risate e le litigate che avrebbe voluto con sua sorella.

Gli scherzi con Stephen.

Gli occhi di Amy. Un pezzo del tramonto che avevano visto insieme. La pioggia di quel giorno che avevano litigato per poi fare pace...

Con gli ultimi residui di forze aveva proteso la mano verso il pancione, per dar voce e significato alla morte.

"Dalle cose in contrasto nasce l'armonia più bella!"

Il vento aveva soffiato forte, ancorando Andy e Gregory a quell'ultimo battito vivo, con lo sguardo perso.

Perduto tra la strada e il mare. Sull'orlo tra l'essere e il nulla.

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Capitolo 9
*** Le fasi del dolore ***


Per le prime ore, i giorni e anche le settimane dopo la morte di Julian, Amy non aveva fatto altro che piangere.

Non riusciva a mangiare quasi più nulla, non dormiva, era diventata pallida e con gli occhi cerchiati e, incapace di concentrarsi, aveva deciso di prendersi ancora un po' di tempo prima di tornare a scuola. I suoi genitori, in pena per lei, glielo avevano concesso.

Poi quel muro di vetro tra lei e i suoi sentimenti, fatto di intorpidimento e indifferenza, l'aveva protetta dal rischio di dissolversi. Sapeva di essere triste ma non riusciva a soffrire.

I suoi pensieri spaziavano dal sollievo nel poter tornare ad una vita normale, dopo essere stata una sorta di caregiver per tanto tempo, ai sensi di colpa.

"Concediti il permesso di sentirti come vuoi. Hai appena vissuto un terremoto emozionale e le scosse secondarie dureranno un bel po'. Va bene se non puoi piangere e va bene anche se piangi per tutto il tempo o in momenti inappropriati!"

Quando la tenda protettiva del rifiuto aveva iniziato a scivolare su un lato, nel momento più difficile quando le cose sembravano più nere, le parole di sua madre erano state le uniche a toccare le corde giuste.


Amy aveva forzato sé stessa a stendere la mano e, finalmente, aveva accettato quell'invito ad una passeggiata che Stephen le inoltrava da mesi.

Quando aveva aperto l'armadio per accarezzare la giacca che aveva ancora la forma del corpo di Julian, e quando aveva annodato sulla gola la sciarpa di lui, che sapeva ancora di lui, si era sentita come il ragazzo di un racconto letto a scuola, che indossava la divisa alla marinara della fidanzata morta.

Era stato come se, lentamente, cominciasse a respirare di nuovo. Aveva notato la fragranza di caffè tostato e le era venuta voglia di iniziare a leggere un libro nuovo.

Per un breve attimo si era sentita di nuovo sé stessa e aveva avuto il coraggio di guardare la luce fragile di quella stagione che non sapeva ancora come fiorire.

"Mi sa che fuori è primavera!"

Quel ritorno di consapevolezza, il nuovo taglio di capelli di sua madre, l'avevano fatta sorridere.


Stephen la aspettava all'ingresso del parco, con sullo sfondo il monte Fuji con le sue cime ancora innevate. Anche lui era stato gettato in quel fiume a lottare controcorrente con emozioni contraddittorie ma era un maschio e riusciva a controllarle meglio.

Aveva avvolto Amy in un abbraccio concreto, da fratello maggiore, sentendola sotto quel tocco fragile come un fiore di cristallo.

Soltanto quando si erano seduti sulla panchina vicino al lago abitato da anatra starnazzanti, Amy aveva tirato su gli occhiali scuri e aveva respirato profondamente nella sciarpa prima di uno sfogo in apnea.

"Non ho voluto vedere nessuno in queste settimane perché non volevo nessun party della pietà!"

"E' okay Amy. Tutti noi, un poco alla volta, stiamo cercando di accettare ciò che ci è accaduto. Io vivo Julian in ogni momento, in ogni persona che incontro. Parlo di lui e faccio le cose che facevamo insieme. Per te deve essere difficile il doppio: come si fa a sopravvivere alla morte dell'amore della tua vita?"

Anche quella domanda senza risposta aveva fatto scoprire alla ragazza una riserva di forza.

"Credevo saremo diventati vecchi insieme, avrei voluto vederlo con i capelli bianchi accanto a me. Non mi abituerò mai ma sto trovando una nuova dimensione, fatta di ricordi ed emozioni passate. Può sembrarti strano ma il nostro amore mi basta: quello che provo per Julian è rimasto e mi fa andare avanti!"

Come in quella regola dei segni, dove meno per meno fa più, le loro ferite si erano unite in un unico punto di forza.

Si tenevano ancora per mano, con le guance calde di lacrime, quando il cellulare di Amy aveva vibrato e sul display era comparso il numero della signora Ross.

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Capitolo 10
*** Hope ***


Quando muore un figlio si apre un buco nero che inghiotte il passato ed il futuro. La sofferenza scava l'anima e lì rimane, per sempre.

Quando nasce un figlio ricominci a credere nella vita,riscopri dove nasce il sole, anche se il tuo cuore si spezza molto più facilmente.

Il tuo amore diventa senza limiti. Sovrumano.


Le contrazioni, più forti e regolari, avevano messo in moto Andy e Gregory in piena notte: quando i reparti maternità sono campi di battaglia per sole donne.

La paura, il dolore, la gioia agrodolce per poter finalmente conoscere la loro piccola meraviglia, li aveva riavvicinati dopo mesi.

Non c'erano stati limiti o schemi che valessero, avevano vagato senza mai approdare, senza un orientamento, superstiti vulnerabili e disperati.

Fino a quella notte Julian aveva continuato ad occupare le loro menti e i loro cuori, spezzando ogni equilibrio. Rifiutavano ancora, con tutti loro stessi, l'idea che quel figlio così fragile ma con un sorriso così potente da riempire la casa, quel piccolo uomo pieno di promesse e capace di affrontare la vita, fosse scomparso nel nulla portandosi via anche le loro vite.


"Possiamo anche parlare di lui, se può aiutarti!"

Nella passeggiata in quell'isola interdetta ai maschi, prima che cominciasse la fatica vera, le parole inattese di Gregory avevano strappato Andy da quella trance senza pensieri e parole. Gregory, che non aveva più voluto le foto in casa, che si era chiuso in sé stesso, era disposto ad affrontare in maniera diretta il dolore, a tenere vivo il ricordo del figlio insieme a lei.

Amy era arrivata in quel momento. Quando l'alba livida aveva già virato il suo colore biancastro in una tonalità arancio.

Aveva cercato la signora Ross, intontita ed incantata, tra madri, sorelle, cugine che assistevano, consolavano, accarezzavano e sorvegliavano.

Il silenzio ovattato interrotto dal gemito di una partoriente, la penombra notturna spezzata da un pianto improvviso le avevano fatto meno paura quando, finalmente, aveva raggiunto i genitori di Julian.

"Grazie per avermi voluta qui con voi!"


La ragazzina non era rimasta con le mani in mano mentre Andy, in una sorta di corpo a corpo con sé stessa, lottava con quel dolore spietato e necessario. Amy le aveva sistemato asciugamani caldi dietro la schiena, le aveva tamponato il sudore, assicurandole con voce ferma che sarebbe andato tutto bene.

Al momento di entrare in sala parto, però, aveva fatto un passo indietro lasciando tutti gli oneri e gli onori al futuro papà.


Seduta sulla poltroncina dell'attesa le sembrava di aver fatto un passo avanti e due indietro. Quel giorno avrebbe segnato per sempre una netta linea di demarcazione tra il prima e il dopo.

Si trovava in quello spazio che non appartiene a nessun mondo fisico, quando Gregory era venuto fuori con gli occhi umidi di commozione.

" È nata ed è bellissima. Vuoi venire a conoscerla?"


Aveva sofferto una vertigine in quella liturgia fatta di latte e di sudore, di disinfettante e vagiti improvvisi ma tutto si era disciolto nello stupore più infantile quando aveva incrociato quel piccolo miracolo di vita, che con i suoi movimenti improvvisi credeva di essere ancora nel pancione.

Andy, nonostante il corpo lacero e gonfio, sorrideva trionfante e gloriosa, vera eroina, mentre la neonata era poggiata al suo petto, unico punto fermo insieme alla voce calda e affettuosa della sua mamma.

"Vieni avanti tesoro. Ti presentiamo Hope!"

Era stato un vero momento d'incontro, dove tristezza, tenerezza e occhi lucidi si erano incrociati.

"Hope Julia Ross!"

Aveva precisato Gregory.

"Julian ha scelto il primo nome: sapeva che questa bambina, come un essere piumato, sarebbe stato il nostro migliore inizio dopo il finale peggiore! Il secondo nome è un omaggio al nostro piccolo guerriero!"

Amy si era sentita più leggera e di nuovo sé stessa. Si era avvicinata prendendo tra le sue mani grandi il pugnetto arricciato della sorellina di Julian.

"Ti hanno messo davvero un bel nome, Hope. Tuo fratello ha scelto bene!"

Era stata ripagata dal bacio che Andy le aveva lasciato tra i capelli, mentre le loro lacrime si mescolavano in quella giornata agrodolce.

Adesso erano donne con una marcia in più. Donne che avevano combattuto e sofferto. Donne le cui ferite sarebbero guarite con il tempo.

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