Christmas nights

di nigatsu no yuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Silent night ***
Capitolo 2: *** Birthday night ***
Capitolo 3: *** Warm night ***
Capitolo 4: *** Bitter night ***
Capitolo 5: *** Santa Claus' night ***
Capitolo 6: *** Funny night ***
Capitolo 7: *** Lonely night ***
Capitolo 8: *** Endless night ***
Capitolo 9: *** Magic night ***



Capitolo 1
*** Silent night ***


One shot | Ukatake | 1100 parole | Prompt 5 "Nevicata notturna"
Qui il link del contest.




 


Silent night




L'aria gelata dell'ultima settimana aveva ben predetto la nevicata che aveva iniziato a ricoprire tutta la prefettura dalla sera prima. La stagione in fondo era quella giusta - e il tutto sembrava accentuare ancora di più l'atmosfera natalizia.
Ittetsu al momento si trovava con le gambe calde intrecciate sotto il kotatsu, fissava fuori dalla finestra i fiocchi di neve che si intensificando ad ogni battito di ciglia e sentiva l'eco di ritornelli natalizi riecheggiare, nonostante le esagerate decorazioni musicali fossero del negozio dall'altra parte della strada.
Si ritrovò a chiedersi per quale motivo avesse permesso a tutti i fatti degli ultimi due giorni di rovinargli addosso in quel modo. Anzi a ben pensarci la situazione si era incrinata già da un mese; precipitata era un'espressione fin troppo grande.
Shimada-kun e Takinoue-kun erano già andati via, dopotutto entrambi vivevano nel quartiere di Ukai-kun quindi, armati di coraggio e di giacconi pesanti, avevano affrontato la bufera per rincasare. Invece per la sua macchina non c'era stato nulla da fare: bloccata nella neve nel parcheggio scolastico. 
Strinse le mani intorno alla tazza di tè ormai freddo mordicchiandosi un labbro, non credeva di poter reggere quella tensione ancora per molto, tutto il suo corpo era rigido e non aveva quasi la forza di voltarsi verso la porta che dava nel corto corridoio e che collegava la sala al resto della casa.
«Sensei non hai ancora finito di bere quel tè?» Ukai-kun apparì interrompendo bruscamente i pensieri di Ittetsu e facendolo sobbalzare in modo fin troppo evidente.
«Ecco, sì certo... io sono...» era tremendamente teso, ogni volta che lasciava la mente viaggiare per conto suo tornava indietro di un mesetto, quando i ragazzi erano riusciti a sconfiggere la Shiratorizawa e ad accedere ai nazionali. Saeko Tanaka non ci aveva pensato due volte ad organizzare una festa per i sostenitori e gli allenatori dove l'alcol aveva inebriato ancora di più gli animi. Ittetsu stesso ammetteva a se stesso di aver esagerato quella sera, ma non capiva come da un bicchierino di sakè di troppo era arrivato a trovarsi sotto un temporale - appena fuori casa di Shimada-kun - con gli occhiali ricoperti di goccioline e Ukai-kun fin troppo vicino, che dopo avergli lanciato uno sguardo fin troppo annebbiato aveva fatto unire le loro labbra in un bacio che gli aveva completamente azzerato ogni pensiero.
E adesso era lì: bloccato a casa del coach, costretto a rimanere finché la mattina dopo sarebbe riuscito a liberare la macchina dalla neve.
«Ho preparato il futon anche per te, conviene andare a dormire perché alla fine si è fatto fin troppo tardi» le parole del coach riportarono di nuovo il professore alla realtà, lo fissava con interesse mentre prendeva un'ultima boccata di tabacco spegnendo poi la sigaretta.
«Sì... arrivo» Ittetsu si alzò sentendosi addosso lo sguardo dell'altro uomo, cercando di ignorarlo in ogni modo, sentendo il volto andare a fuoco.
 
 
Dannazione erano troppo vicini.
Tra i due futon stesi al centro della camera di Ukai-kun c'erano a malapena dieci centimetri e Ittetsu li sentiva tutti addosso, a schiacciargli la testa e il petto.
«Non dormi ancora sensei?»
Sentì quel sussurro nell'oscurità, rischiarata appena dal lampione sulla strada - che filtrava comunque oltre le imposte socchiuse, espandersi per la stanza. Ittetsu si ritrovò a stringere l'angolo del cuscino «Sembra che il sonno non voglia arrivare» ammise piano.
Era l'intera situazione a togliergli il sonno, non semplicemente l'essere lì quella sera, in quella stanza. Come poteva far finta di nulla? Era da troppo tempo che cercava di nascondere a se stesso lo sfarfallio insistente e il volto perennemente arrossato quando pensava ad Ukai-kun, quando si trovavano insieme, quando lui inconsapevolmente gli sorrideva. Quel bacio era tutto ciò che aveva sempre desiderato ed insieme ciò che non sarebbe mai dovuto accadere per evitare di minare ancora la sottile patina di menzogna che nel suo cervello lo aveva tenuto lontano dall'inevitabile catastrofe.
«Sono brutti pensieri a tenerti sveglio?» gli chiese dopo qualche attimo di pausa.
«No» era la verità quella, non erano affatto brutti i pensieri che aveva, semplicemente sbagliati.
«Neanche i miei lo sono, ma ahimè continuano a ronzarmi in testa.»
«Riguardano i ragazzi? Per caso è colpa dei nazionali?» Ittetsu si voltò di scatto in direzione dell'altro uomo, spaventato ed immaginando che il coach fosse in ansia per quei ragazzi che stavano preparando il torneo con tutto l'impegno di cui erano capaci.
Lo vide sorridere appena nel buio - il suo cuore si fermò per un attimo - e scuotere piano la testa «No ho fiducia nella squadra, non dubitare di questo» gli assicurò, poi tacque e il professore era quasi sicuro che non avrebbe aggiunto altro, lasciando il discorso cadere piano, come la neve fuori dalla bolla calda che era diventata quella stanza.
Ittetsu si sistemò meglio sotto le coperte e voltò di nuovo la testa verso il muro, stropicciandosi appena gli occhi.
In quel momento lo sentì come lo schioccare di una frusta il fruscio del pesante piumino sollevato e come un colpo di cannone il battito del suo cuore quando sentì una mano afferrare la sua. Spalancò gli occhi per la sorpresa e trattene il respiro, era quasi del tutto sicuro che Ukai-kun avesse sentito come era sobbalzato quando le loro mani erano entrate in contatto.
«Ma vorrei chiederti qualcosa sensei» iniziò lui e lo sentì di nuovo sorridere e aumentare la presa «in realtà sarebbero diverse le cose che vorrei chiederti e qualcosa mi dice che è meglio se parto dall'inizio.»
Ci fu un lunghissimo attimo di silenzio o almeno fu quello che sperò Ittetsu: sperò che il battito del suo cuore non rimbombasse nella stanza come rimbombava nelle sue orecchie.
«A volte chiedo a me stesso cosa avrei fatto se non avessi accettato le tue innumerevoli suppliche per allenare i ragazzi, sinceramente non riesco a vedermi meglio in nessun posto che non sia la panchina mentre li vedo giocare, con te al mio fianco» sussurrava piano, le sue parole riuscivano comunque a raggiungere l'altro «ma poi mi ricordo che questi son pensieri troppo vecchi che hanno preso fin troppo del mio tempo e quindi penso a questa prima domanda che vorrei tanto farti e che forse stasera ho trovato il coraggio di tirare fuori.»
Ebbe paura Ittetsu, tanto che serrò le palpebre talmente forte che piccoli fiocchi di neve si illuminarono davanti ai suoi occhi.
«Cosa hai fatto quella sera, dopo la festa di Saeko-san?» domandò.
Si era alzato il vento fuori, insinuandosi tra le tegole della casa produceva suoni simili ad ululati.
Erano rimasti in silenzio su quell'argomento fin troppo, era quasi naturale che fosse venuto fuori e Ittetsu si era già preparato mentalmente un discorso: avrebbe detto che non era stato nulla di ché, che entrambi avevano bevuto troppo, che aveva già dimenticato. Avrebbe mentito bene.
In quel momento però aveva la gola secca ed era sicuro che se avesse aperto bocca, l'unica cosa ad uscirgli sarebbe stato un singulto rauco e senza significato.
«Io mi sono messo davanti a questa finestra a guardare la pioggia fino a mattina, senza chiudere occhio» ricominciò lui «c'era un silenzio terribile o forse era il troppo sakè» ridacchiò «ah perdonami è la stagione che mi fa tirar fuori questo lato strano di me.»
Stringeva ancora la mano, non l'aveva lasciata un attimo.
«Credo tu abbia più o meno inteso cosa voglio realmente chiederti, vero?»
«Ukai-kun» come aveva previsto la voce gli venne fuori raschiante e incerta «lo sai anche tu... sarebbe sbagliato.»
Era fatta: aveva appena detto di no a ciò che desiderava da quasi un anno, qualcosa che, ne era sicuro, l'avrebbe reso felice per molto tempo.
«Sensei voglio sapere la tua risposta, non quella della gente, non quella di chiunque altro» specificò il coach.
«Io... lo vorrei davvero, ma non posso, non possiamo! Questi pensieri, quello che sento non possono...»
Uno strattone forte: si ritrovò praticamente addosso ad Ukai-kun, l'aveva attirato a sé, dividevano appena il poco spazio nel futon.
«Ti tradisci da solo sensei, volevo sapere solo quello che pensavi tu, del resto non mi importa» Ittetsu si accorse che nonostante la situazione drammatica che stava vivendo in quel momento nel suo animo, l'altro uomo rideva felice «e ti ringrazio per questa risposta.»
Un calore profondo lo avvolse mentre era abbracciato al coach, sotto le coperte: era così caldo e soffice che non poté far nulla per impedire a due grosse lacrime di rigargli entrambe le guance.
«Non mi importa di nulla, tu rimani così al mio fianco» gli sussurrò ancora Keishin.
Ittetsu annuì con forza, nonostante avesse la testa premuta contro il petto dell'altro e in quel momento sembrò quasi che tutta l'ansia e la tristezza che si era sempre ritrovato ad associare a quei sentimenti, fosse sparita nel nulla, sciolta da quel calore. Si ritrovò a ridere anche lui di gusto.
«E visto che siamo in stagione sensei, puoi lasciare la tua macchina sotterrata sotto la neve, perché almeno fino a Natale* rimani qui con me.»
Il professore si ritrovò ad arrossire ancora di più, ma il buio era sicuro avrebbe celato tutto quello.






[*in Giappone le festività natalizie sono diverse rispetto alle nostre: l'ultimo dell'anno è una festa importante in cui ci si ritrova con la famiglia, il Natale di per sè, essendo una festa d'importazione occidentale, è un giorno da condividere con il proprio ragazzo/a per scambiarsi i regali.]











Angolino

Buonasera gente, ritorno qui come minacciavo promettevo :3
Parto subito con qualche precisazione, giusto per spiegarvi un pochino questo contest: ho scelto nove prompt quindi questa raccolta avrà nove os! Le coppie saranno tutte diverse, perché mi sarei annoiata a scrivere sempre sulla stessa (e perché amo le sfide... speriamo di riuscire a rendere bene tutti ç_ç) e tutte avranno un tema natalizio di sottofondo! Perché non ne avevamo abbastanza di luci, alberi, "buon natale" già a metà novembre... vabbè non odiatemi vi prego T_T
Siamo all'inizio quindi: coach e sensei. Giuro che qui ho trovato tanto difficoltà per il nostro Ukai-kun, spero con tutta me stessa che non sia troppo OOC e nel caso segnalatemelo perché come sapete ci tengo davvero tanto a rendere i personaggi il più coerenti possibile çwç
Questa cosina è stata frutto di un'ispirazione del momento, spero di non aver combinato i soliti pasticci >_>
Bene ho detto tutto, vi ringrazio se l'avete letta e se vorrete lasciarmi un vostro parere :3
Potrei spoilerarvi quale sarà la prossima coppia... ma non lo faccio, io sono anti-spoiler :D
Ok dopo questa mi dileguo, grazie a tutti! Alla prossima :3

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Capitolo 2
*** Birthday night ***


One shot | Kagehina | 1500 parole | Prompt 26 "Pattini da ghiaccio"
 


Birthday night



Le disposizioni da parte del direttore scolastico erano state chiare: dato che quella era l'ultima domenica prima della sospensione delle lezioni per la pausa natalizia, la palestra sarebbe rimasta chiusa per riparare una perdita del tetto, causata con ogni probabilità dai numerosi giorni di mal tempo.
Quindi la squadra non si sarebbe allenata prima del lunedì dopo e Kageyama non aveva quasi fatto caso quando, nel primo pomeriggio di quella domenica stranamente soleggiata, Hinata gli aveva chiesto di accompagnarlo al centro commerciale perché aveva bisogno di comprare un nuovo paio di scarpe da allenamento. 
Non ci aveva fatto caso perché quale seconda intenzione avrebbe potuto leggere dietro a quella richiesta? Esatto, nessuna.
Eppure in quel momento stava maldicendo se stesso con forza, non potendo semplicemente prendersela con l'altro ragazzo.
Era vero: erano andati nel negozio sportivo del centro commerciale, Hinata ci aveva messo secoli a decidere un paio di scarpe che insieme fossero abbastanza comode, ma del colore giusto. Non che fosse dispiaciuto a Tobio: di sicuro non era la persona giusta da andare a fare shopping - non di sua spontanea volontà almeno, sua madre doveva sempre obbligarlo, ma in quel caso aveva potuto curiosare tra scarpe, ginocchiere e palloni nuovi.
Il problema si era presentato dopo, quando Hinata, calata la sera, appena dopo aver mangiato una ciotola di ramen al volo, senza che lui opponesse neanche così tanta resistenza, l'aveva condotto appena due isolati più verso il centro città, davanti all'ingresso della pista da ghiaccio montata per la stagione, in una delle piazze più affollate.
A Kageyama si era gelato il sangue nelle vene, la temperatura scesa ancora un po' però, non ne sembrava la causa.
 
«Kageyama!» l'urlo arrivò dall'altro lato della pista ghiacciata «ti vuoi muovere?»
Tobio era paralizzato: che possibilità di scamparla aveva? Ci aveva pensato attentamente mentre allacciava più volte i lacci dei pattini, mettendo in quelle azioni semplici e meccaniche tutto il tempo che poteva. Voleva evadere e non aveva scampo.
«Non urlare idiota» lo riprese l'alzatore «questi pattini sono difettosi!»
Shouyou frenò vicino al compagno di squadra, facendo stridere il metallo contro il giacchio; si appoggiò alla ringhiera che delimitava la pista, rinforzata da un'imbottitura morbida per evirate qualsiasi incidente. In ogni caso Kageyama era sicuro che neanche quella l'avrebbe salvato se avesse deciso di mettere un piede in pista.
Non poteva permettere che l'altro scoprisse che non era in grado di pattinare sul ghiaccio. Ne andava del suo orgoglio.
Dall'altra non poteva neanche rifiutarsi arrivato a quel punto, non senza destare qualche sospetto nel piccolo centrale.
«Sto arrivando, ti conviene continuare a scaldarti o la gara la vinco io» gli ripeté Kageyama, senza effettivamente guardarlo - non del tutto sicuro che il suo dissimulare fosse invisibile.
Hinata, che mai si sarebbe tirato indietro di fronte ad una sfida, ghignò divertito «Ti farò mangiare la polvere!»
Raggiunse finalmente la pista, ben attento a non staccare una mano dell'appoggio alla sua destra: poteva superare tutto quello, l'importante era non staccarsi dalla balaustra. Quando fu sicuro di essere abbastanza stabile su quei dannati pattini si prese un momento per ricercare Hinata sulla pista: il piccoletto sfrecciava veloce e leggero tra le persone, era straordinariamente elegante, anche quando frenò di colpo per aiutare una bambina caduta a rialzarsi.
Kageyama non capì perché sentì il volto scaldarsi pian piano, quando lo realizzò abbassò lo sguardo subito dandosi dell'idiota e chiedendosi che razza di pensieri il suo cervello stesse formulando. Hinata carino? Tutto quel ghiaccio doveva avergli dato alla testa.
Con un sospiro, conscio anche che il compagno di squadra si trovava lontano dalla sua portata, decise di provare a lasciare il corrimano e testare se effettivamente riusciva a rimanere in piedi senza aver nessun tipo di appoggio.
Capì solo più tardi che il suo tempismo era davvero pessimo: riuscì solo a sentire come l'altoparlante avesse finito di riprodurre una delle ultime hit del momento per iniziare a riempire la pista con una melodia molto più natalizia, poi sentì Hinata che urlava ridendo il suo nome ed infine si ritrovò sdraiato sul ghiaccio, l'altro ragazzo disteso su di lui.
Impiegò qualche secondo per realizzare che quell'idiota gli si era lanciato addosso senza remore e successivamente per arrossire senza spiegarsi davvero il perché. 
«Kageyama perché sei caduto? Potevi benissimo fermarmi senza farci cascare entrambi» iniziò il centrale a lamentarsi, sfregandosi il gomito su cui era atterrato «non ti sei fatto male, vero?»
Il cervello di Kageyama ci impiegò qualche secondo per ragionare su come i fatti sembravano essersi evoluti a suo favore, si fece scappare uno di quei suoi ghigni - che a detta di tutti erano spaventosi - poi lo sostituì subito con la sua peggiore espressione omicida «Razza di cretino!» sbraitò contro Hinata «sei caduto sulla mia caviglia!»
Il piccoletto si alzò di scatto ed iniziò a sudare freddo «Mi-mi s-spiace Kageyama-kun, non essere arrabbiato con me» piagnucolò, già immaginando che se il compagno di squadra avesse perso le staffe rischiava come minimo un pugno in faccia.
Tobio esultò mentalmente: era fatta, se fingeva di essersi fatto male sarebbero finalmente andati via da quella dannata pista di pattinaggio e la sua montatura non sarebbe crollata miseramente rivelando come sul ghiaccio fosse un incapace con i fiocchi.
Quando alzò lo sguardo su Hinata lo trovò sull'orlo delle lacrime e rimase sconvolto; l'altro si fece coraggio, lo afferrò per un braccio per poi passarselo intorno alle spalle ed aiutarlo a rimettersi in piedi.
A Kageyama sembrava di non avere peso, era troppo concentrato a cercare di leggere attraverso l'espressione del compagno di squadra; si lasciò tirare su, quasi non badò al fatto che era sul ghiaccio senza nessun appiglio che non fosse Hinata. Ed era strano perché nonostante non si potesse reggere alla balaustra sentiva che non sarebbe scivolato.
«Hai ragione per questa volta Kageyama, sono un idiota» iniziò il più basso guardando fisso davanti a sé «solo che stavo pensando che fra tre giorni è il tuo compleanno e... beh avevamo questa domenica libera così ho pensato "Perché non possiamo uscire come farebbero due amici?" Insomma, mia mamma mi ha detto che sarebbe stata un'idea... carina»
Tutte quelle informazioni mandarono in sovraccarico la mente dell'alzatore che si ritrovò a distogliere lo sguardo, sembrava che la temperatura si fosse alzata improvvisamente e capì che il suo volto stava andando a fuoco senza che potesse realmente controllarlo. Si sentì di nuovo lui l'idiota: perché stava reagendo in quel modo? Che Hinata fosse fin troppo strano ed a volte espansivo tanto dal rasentare l'inopportuno era appurato, ci era abituato. Però quelle parole, a quelle non era abituato anche perché era la prima volta che quella parola - amico - veniva fuori con così tanta naturalezza.
Avrebbe dovuto farlo sentire bene, pensare che il centrale fosse un compagno di squadra era un conto, ma un amico, la sua mente non aveva mai sentito il bisogno di spingersi così oltre. Ora però, quella verità sbattuta in faccia con forza, gli procurava una strana sensazione che dall'apice dello stomaco gli stava stringendo tutto l'addome in una morsa: gli stava stretta, la sua mente per un attimo, pensò che quella parola non fosse abbastanza.
«Quindi scusami Kageyama» concluse intanto Hinata, che non si era accorto del conflitto interiore che l'altro stava vivendo nel suo animo «volevo solo portarti in un posto che mi piace davvero tanto, ho pensato che dato che a tutti e due piace così tanto la pallavolo forse anche questa cosa avrebbe potuto essere in comune e ci tenevo a condividerla con te, per il tuo compleanno. Ma ho finito per incasinare tutto... e se la tua ferita fosse grave? Oddio, abbiamo i nazionali dopo le feste, Daichi-san mi uccide se scopre che ti ho fatto infortunare e poi...»
«Tappati la bocca!»
Le parole uscirono fuori troppo brusche, in ogni caso Kageyama riuscì a frenare la crisi nascente in Hinata che si ritrovò ad alzare lo sguardo su di lui «Non mi sono fatto così male idiota smettila di blaterare a vanvera.»
Hinata montò su il broncio senza però far sparire dal suo volto l'espressione preoccupata che vi era dipinta sopra.
Kageyama sospirò sentendo di nuovo le guance andare a fuoco «Ti ringrazio» sussurrò piano, lasciando che le parole fluissero fuori, senza aver modo di fermarle «nessuno aveva mai fatto qualcosa di simile per me.»
Calò uno strano silenzio tra i due e Kageyama si maledisse subito, stava già cercando qualcosa da aggiungere, per togliersi da quell’imbarazzo, ma Hinata lo anticipò - come ormai faceva di sovente.
«Ghwaaaaa!» esclamò e senza tante cerimonie abbracciò il ragazzo più alto «sono felice che ti sia piaciuto, uscendo possiamo prendere una cioccolata calda a quel chioschetto vicino alla pista e andare a vedere l'albero che hanno addobbato vicino alla biblioteca» cominciò a parlare a raffica come al suo solito per poi stopparsi all'improvviso. Non si staccò da quella posizione così imbarazzante perché aveva le guance arrossate e un sorriso spropositato a decorargli il volto. Non sapeva che se avesse alzato la testa avrebbe trovato un altrettanto imbarazzato Kageyama che pur di non fissare lui guardava il cielo scuro - e quello che decorava il volto dell’alzatore, poteva scommetterci tutto, era un vero sorriso.
 
 
 
[«Ehi Kageyama non potevi dirmi prima che non sei capace a pattinare sul ghiaccio? Avremmo fatto qualcos’altro!»
«Eh? Che dici idiota? Sono totalmente in grado di pattinare sul ghiaccio!»
«Davvero? A me non sembrava proprio.»
«Idiota di un Hinata stai...»
«Scherzo, scherzo! Comunque Kageyama...»
«Che vuoi ancora?»
«Buon compleanno!»]












 
Angolino
Come avevo preannunciato (anche se spero che nessuno di voi segua con costanza i miei scleri su twitter) torno oggi con questa seconda os :D
Come ho già scritto nell'introduzione ho intenzione di trattare tutte coppie diverse, quindi ecco a voi cara gente una Kagehina bruttina che va sempre bene!
Sono una persona orribile che fa gli auguri in anticipo, ma questo è anche un piccolo omaggio aal compleanno del caro Tobio-chan, che spero perdonerà l'avventatezza di far uscire questa cosa prima del 22 dicembre :3
Ho un rapporto davvero strano con questa coppia: sono stati i primi che ho shippato con tutto il cuore guardando l'anime e ancora oggi non riesco a vederli in un modo che non sia puro, innocente ed un po' idiota ^w^ ( che è un modo articolato per dire che non ce la faccio a vedere nulla di "rosso" tra questi due bimbi belli - e anche se l'avessi potuto vedere, non potrei scriverlo perché ho questo rapporto inesistente e complicato col raiting rosso.... mamma mia quanto mi vergogno).
Come al solito mi sto dilungando inutilmente, grazie a chi ha letto fin qui, a chi ho inserito in lista questa piccola raccolta e a chi mi ha lasciato il suo parere per la prima fic (grazie ancora çwç).
Vi posso già avvisare che prima del weekend non potrò pubblicare la nuova shot (che devo ancora cominciare a scrivere, ma dettagli) e che molto probabilmente sarà online da lunedì!
Comunque, sempre della serie "un po' di spoiler", spero abbiate apprezzato il sottogenere fluff di questi primi due lavori... ditegli addio perché solo un'altra shot sarà fluff, poi ci saranno solo tragedie - natalizie certo, ma sempre tragedie °w°
Alla prossima! :3

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Capitolo 3
*** Warm night ***


One shot | Tsukiyama| 2000 parole | Traccia 8  "A e B hanno una tradizione: bere della cioccolata calda (o altro) seduti sulle scale, con le gambe intrecciate"

Warm night
 

La città oltre il vetro era colorata e fin troppo luminosa: i profili dei grattacieli in lontananza erano diventati un'abitudine, le lucine colorate che addobbavano le case basse del quartiere si rifacevano davvero troppo bene al periodo natalizio che pervadeva ogni cosa, lì a Tokyo. Ovviamente Tsukishima trovava tutto quello tremendamente esagerato, ma avrebbe mentito dicendo che l'atmosfera invernale di per sé non gli piacesse.
Tornò a prestare attenzione agli appunti sparsi davanti ai suoi occhi sul divano, gli stava salendo il mal di testa e quello non era affatto un bene: aveva un esame da preparare prima della fine delle lezioni e della pausa per la fine dell'anno e per il Natale. Si ritrovò a pensare che quella era la prima volta, da quando si era trasferito a Tokyo per l'università, che aveva davvero voglia di tornare a casa, di staccare dall'aria asfissiante della metropoli.
Kei pensava sempre come tutto quello era stato semplice: dopo il primo anno di liceo alla Karasuno - dove non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva capito così tanto di se stesso quasi da spaventarsi - gli ultimi due anni di scuola superiore gli erano passati addosso veloci. La squadra era rimasta più o meno la stessa e loro avevano continuato a trionfare; il loro ultimo anno Yamaguchi era anche diventato il capitano. Era stato facile prepararsi con costanza per accedere all'università, non perché ne fosse realmente appassionato, ma perché era sicuro che fosse qualcosa di necessario, un passo che sapeva essere importante per crescere e diventare adulto. Come quello di trasferirsi nella capitale, affittare un piccolo appartamento per studenti, dividerlo con Yamaguchi. Quando l'amico, più di un anno prima, gli aveva comunicato che si sarebbe iscritto alla sua stessa università, seguendo però un indirizzo di studi diverso, Tsukishima non aveva potuto far altro che congratularsi con lui nel modo serio e quasi scostante che lo contraddistingueva, ricevendo in cambio una delle espressioni più felici che aveva visto sul volto di Tadashi, il quale aveva esclamato «Sono così felice Tsukki! Sto già controllando gli affitti degli alloggi nel quartiere, dobbiamo assolutamente andare ad abitare vicino alla fermata della metropolitana.»
Yamaguchi non gli aveva mai più chiesto nulla, erano entrambi cresciuti e sembrava che l'amico avesse imparato a rigirarsi Kei come voleva. Yamaguchi non gli aveva mai realmente chiesto se andava bene andare a vivere insieme, diventare coinquilini, e Tsukishima gli fu grato di quello, come al solito lo aveva tolto dall'imbarazzo di dover essere lui a proporgli qualcosa. Il suo orgoglio o quel suo carattere così complicato perdeva sempre contro la naturalezza di Tadashi, anche se per il ragazzo più basso quello voleva dire esporsi di più e inevitabilmente farlo arrossire in quel modo che Kei aveva pian piano iniziato ad amare.
Si decise ad abbandonare l'idea di studiare ancora in quel tardo pomeriggio, ripose i libri e gli appunti, sbirciando di nuovo verso la finestra vide che si era alzata una leggera nebbiolina: la neve del giorno prima mescolata a quell'atmosfera bianca appena calata rendeva il paesaggio cittadino più calmo. Guardando l'orologio si accorse che era in ritardo: il tempo di arrivare in cucina e tirare fuori tutto l'occorrente che si rese di nuovo conto di quell'idea fastidiosa che gli era balenata in mente la mattina precedente, si ritrovò a fermarsi le mani tese a mezz'aria verso una mensola e lo stomaco che gli stingeva appena.
Patetico.
Era l'unico aggettivo che gli veniva in mente per descriversi, ormai pensava quello di sé da diversi mesi e la cosa lo faceva irritare più che mai.
Nella sua vita i momenti che davvero avevano cambiato qualcosa in lui erano quando aveva perso il controllo di tutto ciò che lo circondava: era successo da bambino, una volta scoperta la verità su suo fratello e in quel caso aveva quasi del tutto perso il suo interesse verso la pallavolo. Il primo anno di liceo, trovarsi alla Karasuno, aveva ribaltato radicalmente il suo modo di pensare: aveva incontrato tante persone - alcune tremendamente fastidiose - e toccato tante idee diverse dalla sua. Era difficile ammetterlo, ma l'avevano aiutato nel suo percorso. Nell'ultimo anno poi molte situazioni nella sua vita erano variate - com'era prevedibile alla fine, spostandosi a Tokyo per studiare, la realtà della grande città, della distanza da casa, persino per lui, non era qualcosa a cui ci si abituava in due giorni.
Di nuovo si ritrovò a pensare che la costante in tutto quello rimaneva Yamaguchi e quasi senza pensarci tornò nel piccolo salotto accendendo le luci sull'albero di Natale che l'amico aveva voluto a tutti i costi addobbare con lui appena due settimane prima.
Il problema, quello che affliggeva la sua mente, che metteva di nuovo in discussione tutto, che rendeva le cose difficili, era che stava dubitando della sua costante.
 
Tsukishima sapeva bene che la parola amichevole non lo descriveva per nulla: non era empatico né solare, e si poteva dire che di amici potesse contarne sulle dita di una mano - perché sì, dopo gli anni del liceo poteva riunire sotto quell'appellativo Hinata e, purtroppo, anche Kageyama. Certo crescendo era cambiato, ricordava come l'ultimo anno alla Karasuno tutti i kohai più giovani pendessero dalle sue labbra perché era il migliore a spiegare le tattiche di gioco; aveva acquisito quell'aria matura che metteva in soggezione certo, ma che poteva anche instillare sicurezza. Ecco perché all'università forse non era riuscito ad avvicinarsi davvero a nessuno, alcuni compagni di corso si trovavano bene a studiare con lui, ma nulla di più. Nessuna uscita di gruppo il sabato sera in qualche locale per karaoke o i pomeriggi per andare al centro commerciale o al cinema.
Quelle erano attività che si riservava di fare con Yamaguchi, un po' perché l'amico l'obbligava, un po' perché alla fine anche lui si divertiva molto.
Anche Tadashi era cresciuto: non era più il ragazzino impacciato preso di mira dai bulli della scuola, era diventato il capitano della squadra, era solare e socievole, era pieno di nuovi amici di città, aveva tutte le sere praticamente impegnate in uscite ed eventi di ogni genere.
E Kei rimaneva indietro.
Alzò lo sguardo verso il vecchio orologio appeso sopra la televisione: Yamaguchi sarebbe tornato a momenti quindi decise di accendere il fuoco mentre pian piano l'aroma di cioccolata calda si diffondeva lento per tutta casa.
Era davvero patetico, si ritrovò a pensare ancora, e aveva paura; probabilmente era stata quella a spingerlo quel pomeriggio, dopo la neve caduta tutto il giorno precedente a ricordarsi della tradizione che lui e l'amico condividevano. Il cambiamento, l'uscita dagli schemi era qualcosa che lo metteva inevitabilmente in allarme, quei mesi trascorsi lontano da casa, in quel nuovo mondo avevano solo messo in evidenza quanto Tsukishima aveva pian piano immaginato: Tadashi era uno che andava avanti mentre lui rimaneva ancorato al passato. Perché nel passato era lui quello forte tra i due, era la spalla dietro la quale Yamaguchi trovava conforto; poi pian piano i ruoli si erano invertiti e Kei era troppo orgoglioso e testardo per ammettere di essere lui quello che aveva bisogno della spalla su cui appoggiarsi, per ammettere che mai avrebbe voluto abbandonare il fianco dell'amico.
«Tsukki, sono a casa!» lo sbattere della porta e il richiamo dall'ingresso distolsero il biondo dai suoi pensieri, prese le due tazze di cioccolata calda fumante ed andò verso la grande porta finestra che dava sul piccolo balcone, unico nell'appartamento, che offriva una vista frammentata solo dai pali del telefono della skyline dei grattacieli del centro città. Vi erano due piccoli gradini che si inframezzavano tra il salotto e la grande porta finestra; Tsukishima si sedette su questi, in attesa.
Appena Yamaguchi spuntò dal piccolo ingresso - tracolla e cappotto ancora indosso, Kei fissò gli occhi in quelli dell’amico sussurrando un piatto «Bentornato» e godendosi oltre la montatura degli occhiali la vista dell'altro che, notata la situazione, fece comparire sul suo volto un sorriso spropositato mentre le guance diventavano appena più rosse, facendo risaltare di più la miriade di lentiggini di cui erano decorate.
Tsukishima ignorò - come ormai era abituato a fare - la stretta che gli attanagliò lo stomaco alla vista dell'amico così felice.
«Tsukki te ne sei ricordato?» Yamaguchi si era disfatto di corsa del pesante giaccone e lo aveva raggiunto rimanendo di fronte a lui.
Kei arricciò il naso «Perché dovrei essermene dimenticato?» gli chiese invece.
Tadashi rise cristallino, poi si sedette anche lui sui gradini, afferrò una tazza fumante e distese le gambe intrecciandole con quelle dell'amico.
Una vecchia tradizione: ogni prima nevicata dell'inverno erano soliti rimanere a fissare il paesaggio bianco dalla finestra di casa Tsukishima, cioccolata calda a portata di mano, prima preparata da Akiteru, quando entrambi erano ancora piccoli, sulle scale di legno e le gambe intrecciate per dividere lo stretto spazio di un gradino.
Erano cresciuti e cambiati, ma Kei voleva che almeno quella cosa tra loro rimanesse la stessa e non esisteva nient'altro, potevano essere ancora bambini, potevano ancora essere solo loro due.
Yamaguchi prese una lunga sorsata di cioccolata, continuando a sorridere per poi iniziare a raccontare all'amico la sua giornata all'università mentre il biondo lo ascoltava, lo aveva sempre ascoltato, perdendosi tra i dettagli inutili di una lezione particolarmente difficile e l'intricato disegno stampato sul suo volto. Lo guardava, e con l'avanzare del tempo aveva finito per accorgersi come ricercava sempre di più quella sua figura, come riuscisse a dargli pace e insieme rendergli lo stomaco leggero. Non voleva spiegare quella sensazione e non voleva dargli un nome, la consapevolezza era nemica in quel caso.
«Non mi stai più ascoltando» Yamaguchi lo guardò accigliato sbuffando, i soliti baffi da cioccolato formatisi tra labbra e naso rendevano il quadretto tremendamente buffo.
Kei sospirò e quasi senza pensarci si spose in avanti, raccolse con un pollice tutto quello sbuffo di cioccolato dal volto dell'amico «Puoi parlarmi della tua lezione di letteratura inglese quanto vuoi, ma lo sai che non la capisco per nulla» spiegò mentre il volto dell'amico assumeva una tonalità che si avvicinava pericolosamente al viola.
Ci fu un attimo di assoluto silenzio in cui Yamaguchi spostò appena la gamba sinistra, solo per trovare una posizione più comoda, appoggiandosi alle ginocchia raccolte di Tsukishima, aumentando quel tanto l'imbarazzo che fu sopportato solo da un'ulteriore sorsata di cioccolata bollente.
«Ti ho portato una cosa» ruppe il silenzio Tadashi scavando nella sua tracolla ed estraendo un dvd «appena l'ho visto mi sono ricordato che non l'hai ancora comprato, è una parte del regalo di Natale... possiamo anche vederlo stasera.»
Tsukishima prese ciò che l'amico gli porgeva: era il dvd di Jurassic World. Era quasi del tutto sicuro che i suoi occhi stessero brillando in quel momento, ma cercò di mantenere il suo solito contegno «Non porta male dare i regali prima del tempo?» chiese.
Yamaguchi ridacchiò posando la tazza ormai vuota, leggendo oltre quelle parole: il regalo era tutt'altro che sgradito «Scusa Tsukki!»
«Non devi uscire questa sera?» chiese a quel punto Tsukishima: era strano che proprio un venerdì come quello Yamaguchi decidesse di rimanere a casa, avrebbe potuto contattare i suoi amici dell'università. Non era prettamente un pensiero di gelosia, quello che pervadeva la mente del biondo, la gelosia era marginale. Il contorno più ampio era ciò che gli faceva storcere il naso e, sotto sotto, arrabbiare per nessun motivo apparente.
«No, preferisco stare qui a guardare questo film, fa parte della nostra tradizione, no? E questa rimarrà sempre.»
Eccolo di nuovo, il crampo improvviso allo stomaco che fece alzare uno sguardo fin troppo sorpreso a Kei. Poteva essere la dimostrazione che si sbagliava? Yamaguchi andava avanti, ma forse lo stava trascinando con sé «Rimarrà sempre» si ritrovò a fargli da eco.
Forse si sbagliava: le cose continuavano ad essere semplici, era Tadashi a semplificarle ogni volta; qualcosa era cambiato, ma probabilmente ne aveva visto un risvolto negativo che non c'era, l'altro gli aveva dimostrato il contrario. La sua costante era rimasta.
Tsukishima guardò di nuovo Yamaguchi che sorrideva felice - mentre iniziava a commentare le parti del film che gli erano più piaciute e quelle che l'avevano più spaventato - e si trovò di nuovo a perdersi nei dettagli mentre i pensieri in testa ronzavano di sottofondo.
Li ascoltò tutti, anche quello che gli suggeriva di far tacere per una buona volta l'amico con un bacio. Decise che probabilmente quell'idea se la sarebbe tenuta in serbo per il giorno di Natale.










Angolino
Eccomi tornata proprio di lunedì (che bello riuscire ad essere puntuale per una volta con gli aggiornamenti çwç).
La prima cosa che voglio dire è che questa one shot non doveva venire così: sono stata un persona debole che si è fatta corrompere e alla fine non è riuscita a fare nulla di angst... sono davvero triste!
Scherzi a parte, è la prima volta che mi cimento in questa coppia (l'intera raccolta, vede un sacco di novità) quindi il risultato non mi soddisfa per nulla e quando mai!
Trovo che Tsukishima sia un personaggio impossibile da descrivere bene, o almeno io non ne sono in grado, quindi spero di non aver distrutto la sua caratterizzazione ç_ç
Non mi voglio dilungare troppo perché altrimenti queste note al fondo diventano sempre eterne ^///^ ringrazio sempre tantissimo chi recensisce e chi sta seguendo questa raccolta :3
Aspetto i vostri pareri e ci rivedremo verso la fine della settimana conla prossima storia :D
Alla prossima!

 

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Capitolo 4
*** Bitter night ***


One shot | Iwaoi | 2000 parole | Traccia 9 - “Sono certo che tu sia nella lista dei bambini cattivi!”
“Tu a breve sarai in quella dell’ospedale”


 
 
Bitter night
 

«Iwa-chan ammetti che i biscotti che ho fatto io sono quelli venuti meglio, non puoi continuare a negarlo!»
Lo sguardo omicida che Tooru si tirò addosso dopo quell'affermazione era solo uno dei tanti che gli erano stati rivolti quel nevoso pomeriggio, appena un giorno prima del Natale.
Le lezioni universitarie, finite soltanto qualche giorno prima avevano permesso a Oikawa e Iwaizumi di ritornare a casa per il Natale. E anche di passare un po' di tempo insieme: avevano scelto strade diverse e il tempo non sembrava mai abbastanza per condividere i momenti come erano soliti fare durante gli anni precedenti.
La pausa per la fine dell'anno era stata qualcosa che Tooru aveva atteso con impazienza: tornare a casa, tornare a casa con Iwa-chan, era qualcosa di cui sentiva il bisogno fisico, quasi da far male. Staccare da tutto, immaginarsi - mentendo - che tutto fosse come appena due anni prima, quando il capitano e il suo vice erano quasi un'entità indissolubile. Rifugiarsi in quelle fantasie infantili riusciva spesso a calmare il suo animo, magari quando si trovava nel suo spoglio bilocale tra le strade trafficate di città; lì davanti ad Hajime però veniva a galla quanto queste fossero patetiche.
«Non è affatto vero Tooru, i miei almeno saranno mangiabili!» Takeru continuò a decorare con la glassa i biscotti al cioccolato interrompendosi solo per lanciare uno sguardo di sfida allo zio, che essendo fondamentalmente un bambino di cinque anni imprigionato nel corpo di un ventenne, iniziò a battibeccare con il nipote. Il tutto si concluse con Takeru che chiamava in causa la nonna, e la madre di Oikawa che lo sgridava - proprio come un bambino di cinque anni - per comportarsi sempre in modo così immaturo. Vista da fuori quella scena ad Hajime faceva ridere ogni volta.
 
Tooru era riuscito a riempire un piccolo vassoio di biscotti e portare anche due tazze di tè fin su nella sua camera. Iwaizumi l'aveva seguito senza tante cerimonie: calcava quelle scale e solcava la prima porta sulla sinistra da così tanti anni che ormai non si sentiva neanche così tanto in colpa a farlo con quella naturalezza.
Oikawa si era seduto sul tappeto di fianco al suo letto e si era catapultato sui biscotti senza aspettare che si freddassero a dovere, sentirli scendere ancora caldi giù nello stomaco, mentre Iwa-chan si sedeva di fianco a lui, bevendo piano il tè prima di soffiarci un po' sopra, gli provocò una strana stretta alle viscere. 
Sebbene chiunque - Iwa-chan più di tutti - lo accusasse di essere melodrammatico lui odiava esserlo, odiava lamentarsi nonostante nell'ultimo periodo riuscisse a darsi noia da solo. Era sicuro che tutto quello fosse dettato da quella dannata insicurezza che non lo abbandonava mai, non importava quanto all'esterno riuscisse a dissimulare, a sembrare il brillante ragazzo sicuro di sé che sperava di essere. Sospirò appena, perdendosi nelle venature di cioccolato dei biscotti che aveva di fronte al naso, per poi, di tanto in tanto, far scivolare i suoi occhi su Hajime. L'amico soffiava a ritmo alternato sulla tazza di tè: le guance che si gonfiavano appena donandogli un aspetto davvero buffo, il che sembrò alleggerire di un poco l'inquietudine nell'animo di Tooru, che ridacchiò divertito.
«Che c'è di tanto divertente Culokawa?» borbottò infastidito Iwaizumi sapendo benissimo che l'amico stava ridendo di lui.
«Aaaah Iwa-chan sei un sacco buffo, lo sai?» cinguettò Oikawa.
«Lo sai che Takeru aveva ragione e i tuoi biscotti sono immangiabili?»
«Cattivo~!» esclamò Tooru imbronciandosi subito «non apprezzi la vera arte culinaria, per questo lo dici.»
Hajime alzò gli occhi al cielo tirandogli una gomitata ed intimandogli di far silenzio, perché voleva riuscire a finire di bere il tè in pace.
Oikawa si accigliò incrociando le braccia «Sono certo che tu sia nella lista dei bambini cattivi Iwa-chan, attento potrebbe non arrivarti nessun regalo per Natale.»
«Tu a breve sarai in quella dell’ospedale» replicò Iwaizumi rubando però l'ultimo biscotto dal vassoio e mangiandolo prima che l'altro potesse fermarlo.
Si guardarono un attimo per poi scoppiare a ridere: Tooru si premunì di osservare attentamente la risata dell'amico, appena accennata, che oscillava piano tra il divertimento e l'eterna esasperazione di avere a che fare con qualcuno come lui. Si sistemò meglio al suo fianco lasciando cadere indietro la testa sul materasso alle sue spalle mentre Hajime gli chiedeva se poteva provare il nuovo videogioco che aveva comprato la settimana prima.
Gli sembrò nuovamente di tornare indietro nel tempo, quando da ragazzini era normalissimo trovarsi l'uno a casa dell'altro per fare i compiti, giocare ai videogiochi, guardare vecchie partite o film, semplicemente parlare. Ora riuscivano a ritagliarsi quel poco tempo solo quando le lezioni finivano ed entrambi tornavano a casa e il tempo sembrava riavvolgersi.
Durante l'anno scolastico, tra gli impegni e lo studio si vedevano talmente poco che Oikawa avrebbe mentito a se stesso dicendo che Iwaizumi non gli mancava affatto.
Perché gli mancava così tanto da far male.
Magari si trovavano un pomeriggio a studiare insieme, ma poi Hajime preferiva ripetere con i suoi compagni di corso in vista di un esame particolarmente difficile. Poi si sdebitava con lui e lo accompagnava al cinema a vedere uno di quei film sugli alieni che, Tooru ne era sicuro, a lui non piacevano neanche così tanto. I messaggi diventavano radi, si intensificavano in vista delle pause, quando potevano incontrarsi alla stazione insieme e tornare nella loro prefettura. Si scontravano con le loro squadre di pallavolo dell'università: Hajime aveva legato con tutti i compagni, mentre Tooru era quasi del tutto sicuro che i ragazzi dell'ultimo anno lo odiassero. A casa bastava poco, tornavano a giocare insieme, tornavano il capitano e il suo vice, e andare a trovare Kunimi e Kindaichi, ormai al loro ultimo anno, nel loro vecchio liceo, metteva entrambi sempre di buon umore.
Nonostante questo era tutto sempre meno. Quel tutto indissolubile, che Tooru era sicuro sarebbe durato per sempre, come la loro amicizia, cominciava a perdersi.
E lui aveva voglia di urlare. Ed era un codardo, uno stupido codardo, perché continuava a chiedersi cosa sarebbe successo se fosse stato sincero con se stesso, con Iwa-chan; se l'amicizia si stava perdendo, incastrata in tutto quello che voleva dire crescere e cambiare, qualcos'altro invece sarebbe sopravvissuto? 
Sentì gli occhi pizzicare traditori, si voltò appena verso la finestra notando che aveva ripreso a nevicare. Dal piano di sotto arrivavano musichette natalizie in perfetto stile occidentale e Tooru si disse che prima o poi avrebbe dovuto far sparire quei dannati cd che tanto piacevano a sua mamma.
No, nulla sarebbe sopravvissuto, nulla sarebbe mai iniziato - ne aveva avuto la prova inconfutabile un mese prima - e avrebbe definitivamente rovinato tutto quello che c'era tra loro. Fu naturale spostare piano la testa finché questa non si appoggiò sulla spalla di Iwaizumi, il quale sussultò appena mettendo in pausa il videogioco «Ohi, va tutto bene?» gli chiese.
Nulla andava bene e avrebbe voluto dirglielo, voleva essere debole perché in quei due anni universitari era stato fin troppo forte e Iwa-chan per lui c'era stato, ma non come prima. Avrebbe voluto dirgli la verità anche se poi Iwa-chan probabilmente non gli avrebbe più rivolto la parola.
Invece mentì, e gli riuscì fin troppo bene «Sto bene» disse piano «stavo pensando ad una cosa.»
Iwaizumi aspettò un attimo prima i far ripartire il videogioco, poi sospirò «Dimmi, sono tutt'orecchi.»
«Perché non l'hai invitata qui, per questo Natale?»
La domanda cadde pesante tra di loro e se Iwaizumi era solo imbarazzato Oikawa sentiva la rabbia crescergli dentro. Era inutile e ingiusto, lui quella ragazza neanche la conosceva ed era sicuro che stesse rendendo Iwa-chan - il suo Iwa-chan - davvero felice. Ma era più forte di lui, sebbene non avesse senso, sebbene lui non potesse recriminare nulla, la odiava.
«Non dire fesserie» borbottò Hajime, le orecchie, riusciva appena ad intravederle appoggiato ancora alla sua spalla, accese di rosso «stiamo... insieme solo da qualche mese, non voglio affrettare le cose.»
«Beh Natale è la festa giusta per le coppie, no?» continuò Oikawa, il tono piatto, il sorriso falso «potevi passarlo con lei, e tornare a casa per l'anno nuovo, sei davvero rude Iwa-chan, e con le ragazze non ci sai ancora fare!»
Hajime non abboccò alla provocazione, fece solo schioccare la lingua sul palato infastidito «Non mi volevi proprio a casa per le feste? È un modo strambo dei tuoi per farmelo capire?»
Tooru sentì la morsa nel suo stomaco stringersi fino a farlo boccheggiare, fissava le mani dell'amico ancora impiegate sul joystick, si sentì di nuovo uno schifo.
Avrebbe voluto passare ogni Natale della sua vita con lui, sotto un albero illuminato da lucine intermittenti, a scambiarsi i regali, indossando maglioni di lana dai disegni natalizi imbarazzanti, avendo in sottofondo quelle inascoltabili canzoncine tutte uguali. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere il coraggio di confessargli che era innamorato di lui da quando erano ragazzini, che sarebbe stato e si sarebbe impegnato ad essere migliore di qualsiasi ragazza che avrebbe mai incontrato.
Ma Tooru era un codardo e quella notte prima del Natale gli stava sfuggendo dalle dita come la neve sciolta al sole, gli faceva stringere le membra e sentire in bocca il sapore amaro delle lacrime.
E dato che, oltre ad essere un codardo, si sentiva la persona più patetica del mondo iniziò a piangere silenziosamente.
Hajime se ne accorse solo quando sentì il suo silenzio protrarsi troppo a lungo, insieme ad un singhiozzo che sfuggì alle sue labbra senza che riuscisse a ricacciarlo giù. Si voltò appena verso l'amico guardandolo spiazzato, senza capire cosa lo avesse portato a crollare in quel modo «Ehi, sul serio, cosa succede?»
Oikawa non poteva permettere che Iwaizumi lo vedesse in quello stato, aveva paura che gli avrebbe letto ogni cosa negli occhi, nell'espressione triste; affondò il viso nel suo petto stringendolo forte, costringendoli fin troppo vicini nella posizione seduta in cui erano.
«Oikawa così mi spaventi» lo riprese l'altro continuando a non capire.
«Ora passa» gli assicurò quando fu sicuro che la sua voce fosse abbastanza ferma, inspirando a pieni polmoni contro il maglione dell'altro, imprimendosi nella mente la sensazione delle braccia di Iwa-chan che timidamente ricambiavano la sua stretta. Probabilmente non avrebbe avuto tante altre occasioni come quella, finite le vacanze sarebbero tornati ognuno nel proprio appartamento in città, ognuno alla propria università, alla propria vita. Tooru avrebbe aspettato sempre con ansia il momento di ripassare di momenti insieme, anche se questi sarebbero stati sempre meno, anche se il Natale successivo probabilmente Iwa-chan non sarebbe venuto a casa sua per fare i biscotti natalizi e giocare ai videogiochi, ma avrebbe ospitato a casa sua quella ragazza davvero carina, presentandola ai genitori.
«Tooru, non scherzo, cosa c'è che non va? Perché stai piangendo?»
«Iwa-chan, mi prometti una cosa?»
Sentì solo l'altro stringerlo di più, trattenersi dal chiedergli cosa diavolo gli era preso, tirando fuori quel controllo e quella pazienza che aveva sempre nei confronti dell'amico «Dimmi.»
«Anche se i miei biscotti sono immangiabili, mi prometti che mi aiuterai a farli ogni Natale nonostante tutto?»
Chiedergli qualcosa come "non lasciarmi mai" era sempre troppo difficile, erano parole che non riusciva a far uscire, erano parole che Hajime riusciva sempre a cogliere dietro i suoi discorsi che in quei casi sembravano capricci di un bambino.
Iwaizumi gli passò una mano tra i capelli scompigliandoli, sapendo quanto l'altro lo odiasse «Fino a cinque minuti fa eri tu quello che voleva liberarsi di me, vorrei ricordarti» gli disse.
«Non vorrò mai liberarmi di te» sussurrò Tooru tirando su con il naso.
Hajime sorrise amaramente, il videogioco abbandonato lì vicino segnava a lettere rosse il game over e la neve non aveva smesso di cadere, il cuore dell'ex capitano e il suo respiro erano veloci e lui li percepiva distintamente. Erano qualcosa che avrebbe voluto ascoltare per sempre, erano qualcosa di irraggiungibile per lui, qualcosa che non avrebbe mai potuto avere per sé. Qualcosa che cercava di dimenticare, di sotterrare, di sostituire, inutilmente.
«Allora smettila di piangere idiota, io non vado da nessuna parte.»
Tooru lasciò che quelle parole gli riempissero l'anima, cercò di marchiarle a fuoco nella sua memoria, sapendo che forse poteva andare avanti immaginando che fossero vere.









Angolino
...
Buon Natale 
(´°̥̥̥̥̥̥̥̥ω°̥̥̥̥̥̥̥̥`)
Ok sono una persona orribile e mi merito la verdura marcia che mi state lanciando T__T
Chi mi segue okay magari nessuno sa che io amo gli Iwaoi, amo alla follia Tooru e amo l'angst. Il che spiega questa cosa :'3
Spero di aver reso bene Iwa-chan perché questa volta sono un po' più insicura su di lui D:
Il prompt non prevedeva tragedie, non so bene perché la storia abbia preso questa piega ç_ç
Non vi stresso con altre parole, ma vi auguro felicissime feste e un buon Natale ^w^
Ultimo ringraziamento a chi legge, segue e recensisce (mi riempite di gioia ç_ç)
Dato che alle Iwaoi in generale tengo particolarmente se volete lasciare un parere sarà un bel regalo di Natale per me :3
Bene ho finito, tra 27 e 28 vedrò di aggiornare spero

Un bacione a tutti e alla prossima!

PS: ho inaugurato questa pagina autore su facebook, se volete rimanere aggiornati con tutti i miei lavori :3



 

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Capitolo 5
*** Santa Claus' night ***


One shot | Asanoya | 1300 parole | Traccia 15 "A costringe B a vestirsi
da Babbo Natale (o Elfo o Renna)" 





 
Santa Claus’ night
 

 
«Asahi-san smettila di togliere il cappello, sei perfetto non c'è bisogno di aggiustarlo più di così.»
Asahi fece ricadere le braccia lungo i fianchi, arrossendo vistosamente mentre non staccava un attimo gli occhi da Nishinoya che gli stava mettendo in ordine la parrucca bianca.
Il piccolo libero era anch'egli addobbato peggio di un albero di natale: in testa aveva un cerchietto con applicate le classiche corna da renna decorate da campanellini dorati, il naso finto rosso sgargiante e un costume - molto simile a quei pigiami che andavano tanto di moda - anch'esso da renna. Ovviamente a lui era toccato il costume rosso e la lunga barba bianca.
Non riusciva ancora a capire come il compagno di squadra l'avesse convinto in un'impresa simile, lui poi, che tutto ciò che voleva evitare era l'umiliazione pubblica. Grazie al cielo era riuscito a confinare quella pazzia alla sola palestra e quindi avrebbero coinvolto i loro compagni di squadra.
«Andiamo Asahi-san hai idea di quanto faremo felici i bambini» quella era stata la prima esclamazione di Yuu dopo che gli aveva spiegato attentamente il piano per rendere speciale quel Natale. Aveva sorvolato su come l'amico si era rivolto ai ragazzi del primo anno - di cui tre di loro superavano il libero di quasi trenta centimetri - chiamandoli come bambini. Insomma a vederlo conciato in quel modo avrebbero tutti solamente riso di lui.
Il problema era che si sentiva estremamente debole e quando Nishinoya gli chiedeva qualcosa, ben attento di includere nel pacchetto, quel suo sorriso spropositato, beh Asahi non ce la faceva proprio a dirgli di no.
«Ecco ho finito!» Yuu gli aggiustò la barba finta per poi tirare su il pollice e guardarlo soddisfatto «perfetto, si va in scena!»
 
Ovviamente i suoi compagni di squadra riuscirono a stupirlo come al solito: Daichi e Suga ebbero la reazione che si sarebbe aspettato, ovvero scoppiarono a ridere, seguiti a ruota da Tanaka; il più esaltato di tutti fu, com'era prevedibile, Hinata che incominciò ad urlare entusiasta se Babbo Natale - ovvero il povero Asahi - gli avesse portato qualche bel regalo. Il centrale fu prontamente schernito da Kageyama e Tsukishima che incominciarono a dargli del bambino. A sedare gli animi che iniziavano a scaldarsi furono lo sguardo omicida di Daichi e a quello esasperato di Ennoshita. Yuu tutto contento, insieme a Tanaka, aveva finito per animare la festa improvvisata al finire dell'allenamento di quel giorno, si era anche impegnato a decorare la parete dietro le panchine, con ghirlande, luci e fiocchi rossi.
Persino Takeda-sensei era rimasto estasiato nel vedere tutte quelle decorazioni dicendo che avrebbe parlato con il preside per avere il permesso di lasciarle fino alla fine delle lezioni. Era stato un pomeriggio divertente per tutti, anche quando Nishinoya aveva proposto che se si fossero seduti sulle ginocchia di Asahi chiedendogli cosa volevano per Natale, lui avrebbe portato ad ognuno di loro un bel regalo. Ovviamente il secondo ad insistere per quell'imbarazzante situazione fu Suga, che si fece anche fotografare da Daichi sulle gambe del personale Babbo Natale della Karasuno.
Verso sera, quando si fece davvero tardi, rimase proprio Asahi ad aiutare il libero a rimettere in ordine la palestra, anche perché lui stesso doveva tornare nei suoi abiti se non voleva essere assalito da veri bambini questa volta una volta lasciata la palestra.
«Quindi Asahi-san, non ti avevo detto che avresti fatto un figurone?» disse Yuu mentre chiudeva il magazzino dopo aver rimesso a posto gli ultimi palloni; fece scattare la serratura e si girò contento verso l'asso che sorrideva imbarazzato «Okay Noya, avevi ragione» gli concesse alla fine.
Il libero esultò «Puoi sempre fidarti di me Ace, lo sai!»
Asahi continuò a sorridere, ora che l'ansia era passata - perché era praticamente quasi un uomo e vestirsi da Babbo Natale non era il massimo per essere presi sul serio - capì che un pomeriggio come quello, tra i suoi compagni, gli sarebbe presto mancato, una volta che si fosse diplomato. Guardò di nuovo tutta la parete della palestra addobbata a festa e si voltò di nuovo verso Nishinoya che si stava infilando il giubbotto pesante «Hai fatto davvero un lavoro incredibile in questa palestra» ammise.
«Se ci va bene potremmo tenerlo per qualche altra settimana» disse il più piccolo avvicinandosi ad Azumane «ma il travestirsi da renna e Babbo Natale è stato il vero colpo di genio.»
«Spero che Suga non faccia vedere a tutti quella foto» rispose sconsolato Asahi pensando quanto l'amico poteva in apparenza sembrare angelico e quanto in realtà non lo fosse affatto quando si trattava di foto imbarazzanti.
«Andiamo, andiamo, non è certo la fine del mondo!» esclamò Yuu, che in nessun caso perdeva il suo buonumore.
Spensero le luci e si avviarono verso la porta, quando Asahi la aprì il vento gelido li investì con prepotenza: l'asso si strinse nel suo cappotto, scendendo i due gradini posti all'ingresso della palestra mentre una nuvoletta bianca del suo fiato si espanse intorno al suo volto. Si voltò notando che Yuu era ancora fermo sotto lo stipite della porta e fissava in alto «Ehi Asahi-san guarda un po' qui, questo mica l'ho messo io» il libero portò una mano a grattarsi il capo, senza capire.
A quel punto anche Asahi alzò lo sguardo e quando mise a fuoco quello che Nishinoya stava fissando intensamente avvampò in un baleno. Capì perché andando via Suga l'aveva guardato sghignazzando alla grande, non era dovuto al suo costume rosso, poteva mettere la mano sul fuoco che ad appendere quel vischio era proprio stato l'alzatore, probabilmente aiutato da Tanaka.
Suga e Daichi erano sicurissimi - come tenevano bene a precisare almeno una volta al giorno - che Nishinoya avesse una specie di cotta per lui; quando glielo avevano fatto notare la prima volta il gigante non aveva fatto altro se non arrossire e balbettare quanto quello fosse assurdo. Ci avrebbe ripensato poi, più del previsto, e alla fine quello con "una specie di cotta" si era trovato ad essere lui. Suga gli aveva detto più volte che poteva andare a parlarne con il libero, ma Asahi era terrorizzato dalla cosa - non sapeva neanche con che coraggio l'avesse ammesso ai due amici. Quindi non c'era nessuna possibilità che avrebbe potuto far lo stesso con l'oggetto dei suoi costanti pensieri.
Rimase a fissare quel rametto dandogli tutta la colpa di aver rovinato quella che, era stata fino a quel momento, una serata davvero divertente.
«Mmh questo è un problema» disse Nishinoya, ma Asahi lo sentiva appena «se siamo entrambi sotto il vischio, non posso non cogliere al volo l'opportunità.»
L'asso ci mise qualche secondo a processare quelle parole, quando abbassò lo sguardo sul libero era già troppo tardi: Yuu rimanendo due gradini più in alto rispetto a lui lo aveva attirato a sé con impeto fino a far incontrare le loro labbra. Asahi non era riuscito a chiudere gli occhi subito - come avrebbe dovuto fare, dopotutto quello era un bacio - rimase con questi ultimi spalancati per la sorpresa mentre sentiva tutto il suo corpo fremere e il cuore accelerare pericolosamente i battiti. Nishinoya fece scorrere le dita tra i suoi capelli prima di staccarsi da quel bacio che aveva lasciato anche il libero senza fiato, questo sorrise nel vedere l'espressione esterrefatta dell'altro ragazzo, chiuse la porta velocemente poi prese per mano Asahi, che era rimasto imbambolato per tutto il tempo, e lo trascinò verso la strada «Ti va di accompagnarmi a vedere un film domenica pomeriggio Asahi-san? Giuro che non ti costringerò a vestirti da Babbo Natale questa volta» chiese Yuu sbirciando verso di lui.
Asahi ancora esterrefatto si morse appena un labbro, per poi arrossire e mormorare un timido «Sì» che fece esultare di gioia il numero quattro, il quale dopo essersi aggiustato la sciarpa intorno al collo strinse con più forza la mano dell'altro ragazzo.









Angolino
Salve mondo eccomi tornata! Siete sopravvissuti alle feste? Io un po', il troppo cibo non ha avuto la meglio su di me fortunatamente.
Ritornare con qualcosa di leggero che dopo l'angst della scorsa os fa solo bene all'anima :D
Non avevo mai scritto su questa coppia, anche perché avrei voluto scriverci qualcosa, ma sul periodo iniziale, quando entrambi sono fuori squadra... giusto per aumentare l'angst, ecco qualcuno mi fermi!
Quindi diciamo che sono molto un esperimento e spero che sia come minimo decente ^///^"
Come al solito a voi va un enorme grazie per continuare a seguire questa raccolta (5 persone l'hanno messa tra i preferiti... voi volete farmi piangere çwç) e grazie a chi continua a farmi sapere il proprio parere :3
Il prossimo aggiornamento sarà una sfida perché, partendo per la montagna, tenterò l'arduo compito di aggiornare dal tablet (ho già paura).
Alla prossima!

ps: vi ricordo di nuovo (scusatemi, sono ripetitiva) che ho aperto questa pagina su facebook, se siete interessati :)

 

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Capitolo 6
*** Funny night ***


One Shot | Levyaku | 900 parole | Traccia 20 - I personaggi addobbano
l’albero di Natale insieme.


 


 
Funny night


 
Yaku avrebbe dovuto prevedere che lasciare da solo, anche per alcuni secondi, Lev sarebbe stato un grande errore.
Ora probabilmente lui la stava prendendo troppo bene - e come dargli torto, dato che la scena che aveva davanti agli occhi era davvero esilarante - anche perché gli era risultato impossibile non scoppiare a ridere di gusto.
Lev aveva passato tutti gli ultimi giorni di allenamento prima della pausa invernale, lamentandosi perché i suoi genitori e sua sorella non erano a casa con lui per almeno una settimana, e che quindi non avesse nessuno che lo aiutasse con l'albero di Natale. Da quello a trovarsi come vittima decisa per aiutare il mezzo russo, Yaku non ricordava con esattezza come fosse successo - poteva incolpare Kuroo e Yamamoto, che piuttosto che rimaner loro due incastrati in quello, avevano scaricato tutto su di lui.
Si era quindi presentato a casa del ragazzo del primo anno già sapendo che si sarebbe prospettata una lunghissima serata - dato che Lev gli aveva assicurato che poteva rimanere a cena da lui. Nel grande soggiorno il ragazzo aveva già spacchettato tutte le palline e gli addobbi utili, l'albero era stato posto al centro, ancora spoglio: ovviamente regnava il caos ed era ben ovvio che nessuno fosse in casa con il ragazzo più piccolo da qualche giorno. Nell'angolo più lontano dall'ingresso, in una cuccia dai colori sgargianti, un gatto aveva radunato qualche pallina e ci stava giocando.
Yaku aveva ripreso il più piccolo dicendo che non poteva lasciare la casa in quelle condizioni al ritorno dei suoi genitori e Lev, previdente, aveva preso la palla al balzo implorando il suo aiuto per riordinare ogni cosa.
Stavano quindi addobbando l'albero, Lev aveva messo il bollitore sul fuoco e quello aveva iniziato a fischiare mentre il libero della Nekoma stava cercando di snodare le lucine intermittenti, aveva così lasciato il compito all'altro ragazzo dicendo che avrebbe messo lui nelle tazze il tè - temeva che se Lev fosse andato in cucina avrebbe finito col rovesciare l'acqua bollente per terra, o peggio addosso a se stesso.
Aveva versato il tè e preso alcuni biscotti, come gli aveva detto di fare Lev, cercando di non cadere per colpa del gatto che si strusciava tra le sue gambe - probabilmente puntando ai biscotti. Una volta tornato in soggiorno aveva trovato il danno: le lucine che in quel momento Lev stava cercando di districare gli si erano avvolte tra i polsi, con l'inevitabile fine di annodarsi ancora di più.
Yaku aveva riso, forse fin troppo, quando il ragazzo del primo anno gli aveva chiesto aiuto per liberarsi, ma alla fine aveva deciso di slegarlo.
«Sei proprio un danno, lo sai vero?» gli aveva detto, le mani che si muovevano veloci, sfiorando appena i polsi dell'altro.
«Yaku-san sembrava essere davvero facile per te» si giustificò Lev voltando il capo e fingendosi offeso.
Dopo quell'esilarante quadretto Lev riuscì a trattenere il suo entusiasmo, che gli si era incastrato addosso quando aveva saputo che proprio il libero lo avrebbe aiutato con il suo albero di Natale: erano riusciti insieme a finire prima del previsto. A quel punto avevano iniziato a rimettere tutto in ordine e avevano finito per scaldarsi degli avanzi lasciati dalla signora Haiba.
Finito di cenare Yaku si accorse che dopo tutto il lavoro speso dietro all'albero di Natale non si erano neanche ricordati di accenderlo. Quando lo fece capì che proprio sulla punta di questo mancava la classica stella, che era rimasta appoggiata sul tavolino. La prese per completare l'albero quando si accorse che questo era fin troppo alto e che per arrivare in cima gli ci sarebbe voluta una sedia, almeno per non creare nessun danno collaterale. 
Il tempo di formulare quel pensiero che sentì una risata fragorosa alle spalle seguita da un "clic" inconfondibile, segno che gli era appena stata scattata una fotografia. Non c'erano bisogno di certezze, erano solo in due in casa dopotutto, e neanche una motivazione, la scena era già abbastanza ovvia e comica vista da fuori: il libero in punta di piedi che tentava di prendere le misure per posizionare la stella sulla punta dell'albero.
Yaku non poté far nulla se non arrossire e ringhiare verso il compagno di squadra perché cancellasse quella foto.
«Aaaah Yaku-san, posso prenderti in braccio per farti mettere la stella in cima» propose Lev ridendo.
«Sta zitto dannato moccioso, mettila tu questa stella!» sbottò il libero.
Lev continuò a ridacchiare felice fino a portarsi davanti a Yaku che continuava a lanciare lampi di furia dagli occhi: il centrale si abbassò - cosa che fece arrabbiare ancora di più l'altro - fino a trovarsi davanti ai suoi occhi, a quel punto ghignò divertito.
«Non posso cancellarla, sembri davvero carino, sai?» disse come se fosse la cosa più naturale del mondo, ostentando una spudorata sicurezza in sé che mandò nel panico più totale il ragazzo più grande. Yaku sentì il volto in fiamme e grugnì in risposta qualcosa di incomprensibile.
Lev gli sfilò di mano la stella e con semplicità la posizionò sull'apice dell'albero, per poi attaccare anche questa alla spina di corrente e, nel mentre, spegnere le luci del salone. L'intera stanza era illuminata solo dalle lucine colorate dell'albero, vicino a lui Lev era entusiasta e non si stava lasciando scappare l'occasione di fotografare il loro lavoro per poi postarlo su ogni social conosciuto.
Doveva ammettere a se stesso che quella serata non era stata così tragica come se l'era aspettata: si era divertito e sembrava che anche per l'altro ragazzo fosse lo stesso. Yaku si prese quell'istante in più per osservare a fondo l'espressione di Lev, illuminata della sua solita felicità: gli occhi danzavano a ritmo delle luci e quando si voltò verso di lui, sorridendogli in modo spropositato Yaku non si preoccupò così tanto del calore che dal suo petto si irradiò a tutto il suo corpo, facendolo sorridere a sua volta.










Angolino
Salve gente, sono tornata!
Scusate l'assenza, ma per il primo dell'anno sono andata via e senza pc ed internet è stato impossibile aggiornare çwç
Quindi buon anno a tutti voi!! 
Allora questa piccolissima shot doveva venire più breve, qualcosa di carino e leggero, spero non sia troppo leggero o brutto da leggere in ogni caso >_< adoro questa coppia, ma non so mai come renderla al meglio çwç
Come al solito ringrazio davvero tanto chi continua a seguirmi e chi trova il tempo di lasciarmi il proprio parere :3 sono felicissima di leggere i vostri commenti *u*
Non assicuro nulla sul prossimo aggiornamento, ma in linea di massima dovrebbe arrivare per il fine settimana :D
Grazie a tutti e alla prossima!!

PS: mi trovate anche qui!

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Capitolo 7
*** Lonely night ***


One shot | Kuroken | 2300 parole | Traccia 27 "A e B si imbattono in un randagio
il giorno della Vigilia e uno dei due prega l’altro/a per poterlo tenere."




 
Lonely night
 

 
Kuroo si era accorto che qualcosa stava girando per la mente di Kenma nell'ultimo periodo. Non perché l'amico fosse un libro aperto - anzi a detta di tutti, vedere qualcosa oltre la sua solita espressione distaccata dalla realtà, era impossibile - ma perché semplicemente lui lo conosceva troppo bene. Abbastanza da poter leggere oltre quei silenzi, abbastanza da sapere quando c'era bisogno di preoccuparsi.
Poi visto da fuori, Kuroo non aveva affatto l'aria di qualcuno a cui importasse così tanto. Non così tanto da passare un'intera settimana a scervellarsi senza chiedere. Perché chiedere a Kenma, se c'era qualcosa che non andava, significava ricevere semplicemente il silenzio come risposta - e se proprio il ragazzo più piccolo era in vena di parlare, qualcosa che avrebbe fatto cambiare inevitabilmente discorso.
Pioveva ad intermittenza da una settimana ormai, le lezioni si erano concluse, così come gli allenamenti - dato che l'ingresso al torneo nazionale era assicurato per la loro scuola.
L'atmosfera festiva del Natale aveva riempito il quartiere con la sua aria satura di aspettativa, dolciastra, forse fin troppo. Non che a Kuroo dispiacesse: staccarsi per un po' dallo studio - soprattutto da quello in vista degli esami di ammissione universitari - non poteva che fargli bene.
Che, invece, a Kenma quel periodo piacesse poco era risaputo. Anzi, più che piacergli poco, il ragazzo più grande avrebbe solo detto che Kenma amava chiudersi in casa, magari sotto tre o quattro coperte, cioccolata calda alla mano e immancabile PSP nell'altra. Di uscire, magari per negozi, era qualcosa che non gli si poteva assolutamente proporre: troppa gente.
Il problema era che quell'anno Kenma era fin troppo cupo e restio a metter piede fuori casa, anche se era praticamente Natale. Kuroo aveva quindi dovuto raggirare l'amico - cosa che gli procurava sempre una certa gioia, quando veniva irrimediabilmente scoperto e si godeva la nascita del tipico broncio sul volto dell'altro. Ero così riuscito a trascinarlo fino al centro commerciale il giorno della vigilia di Natale, dicendogli che il nuovo gioco che aspettava da quell'autunno era finalmente uscito. Non era stato così difficile, anche perché sembrava che non avesse dovuto sforzarsi così tanto con il più piccolo, che alla fine, magari dopo aver pestato un po' i piedi, gliel'avrebbe data vinta.
 
Era successo con l'arrivo della prima neve, verso la fine di Novembre. Non aveva potuto far nulla per evitare che quei pensieri iniziassero ad entragli nella testa, indesiderati e molesti. Erano qualcosa con cui aveva già avuto a che fare prima, pensava di esserci preparato, di sapere come impedir loro di condizionarlo fino a quel punto. In fondo era cresciuto dall'ultima volta e pensava - sperava - di essere maturato anche da quel lato, diventare adulti non voleva forse dire saper affrontare le situazioni difficili con le proprie forze? Magari sconfiggere anche i propri demoni?
Era successo per caso, probabilmente era proprio a causa del fatto che non se lo aspettava: la mamma di Kuroo si era presentata a casa loro una serata più fredda delle altre, portando con sé un regalo per la madre del ragazzino più piccolo. Le due erano state compagne di classe alle elementari e medie, si erano poi perse di vista più avanti, ma una volta diventate adulte, per puro caso, avevano preso casa in quel quartiere tranquillo, e si erano ritrovate. Era stata quindi la cosa più naturale del mondo per i due figli diventare inseparabili, tanto che Kenma non sapeva se quella fosse stata davvero la cosa migliore che gli fosse capitata nella sua vita.
La signora dai lunghi capelli neri era quindi arrivata a casa loro con la sua solita esuberanza, stringendo al petto un grande pacco ornato con un fiocco blu: lo aveva consegnato alla signora Kozume facendole tanti auguri per il suo compleanno, caduto qualche giorno prima.
«Alla fine Tetsurou-kun ha deciso l'università che frequenterà il prossimo anno?»
«Ah, vuole fare lo sfaticato fino all'ultimo mio figlio! In ogni caso abbiamo già chiesto i prezzi di un paio di appartamenti nella zona delle due università che gli interessano.»
«Beh i test di ammissione andranno bene, si sta comunque impegnando.»
«Certo, inoltre immagino non veda l'ora di liberarsi di me andando a vivere da solo!»
«Credimi, gli mancherai dopo poche settimane!»
Aveva sentito i discorsi tra le due donne e qualcosa dentro di lui si era spezzato.
Era riuscito ad arrivare in camera sua, a chiudere accuratamente la porta, per poi accasciarsi contro di essa. Lo aveva sentito arrivare e crescere dentro il petto: il respiro mozzato, i fini tremolii e la tachicardia sempre più marcata. Ci era abituato e Kuroo gliene aveva anche parlato: quella reazione non aveva senso. E più lo pensava più il cuore batteva forte e più cercava di prendere aria, come se questa non riuscisse ad arrivargli ai polmoni, inutilmente.
L'amico era più grande di lui, lui era sempre stato lasciato un anno indietro, solo, in mezzo a gente che lo guardava, che pensava fosse strano. Kuroo era lo scudo e sebbene Kenma sapesse che continuare così, lasciare che l'amico si frapponesse fra lui e la vita, non fosse sano, non riusciva a farne a meno.
Non aveva avuto mai altri amici, poi era arrivata la squadra di pallavolo - anche lì, era stato Kuroo ad insistere, a dirgli di dare a tutti una possibilità, perché in fondo erano tutti molto simpatici - Kenma l'aveva sperimentato sulla sua pelle, era la verità.
Ma Kuroo sarebbe andato all'università, si sarebbe trasferito nel centro di Tokyo, per la prima volta così lontano da lui che solo pensarci gli faceva tremare le ginocchia. Un anno intero, anzi probabilmente molto più tempo dato che poi sarebbe stato il suo turno di scegliere un'università, di andare via.
Aveva stretto le ginocchia al petto, quella sera, fino a sentire la testa leggera perché stava iperventilando, senza riuscire a versare una lacrima e sentendosi semplicemente perso.
Ed ecco spiegato il suo comportamento delle ultime settimane: si sentiva vuoto e smarrito, sapeva che mancavano appena tre mesi alla fine dell'anno scolastico. Poi Kuroo sarebbe andato via e lui sarebbe rimasto solo. 
Probabilmente per il ragazzo più grande sarebbe stato più facile, era lui in fondo quello che si sapeva adattare: avrebbe trovato tanti nuovi amici, sarebbe stato preso dalla squadra universitaria e avrebbe giocato insieme a Bokuto, magari si sarebbe trovato anche una ragazza.
Era tutto quello a mandare nel panico più totale Kenma, sapere di non avere il controllo per arginare quella verità, di non avere la forza per affrontarla. Dire a Kuroo di quei suoi pensieri non avrebbe cambiato nulla, avrebbe messo a nudo ancora una volta quanto dipendesse dall'amico; poi forse Kuroo l'avrebbe consolato, assicurandogli che lui poteva benissimo farcela e che si sarebbero rivisti appena il più grande avesse avuto un po' di tempo libero - Kenma lo avrebbe costretto a vederlo solo perché non riusciva a sopportare la lontananza - e gli avrebbe permesso di venirlo a trovare nel suo nuovo appartamento, magari nel weekend. E Kenma lo trovava sbagliato, anche se era tutto ciò che voleva, stargli accanto ancora tanto tempo, dividere quegli spazi stretti di un monolocale per studenti, stringersi sotto lo stesso futon, sentendo ogni cosa nel suo petto incendiarsi e prendere fuoco.
«Tieni, questo è per te.»
Kenma si riscosse dai suoi pensieri: era scesa la nebbia, il che gli stava facendo risuonare nelle ossa una solitudine lacerante. Si voltò verso Kuroo che gli porgeva uno dei tanti pacchetti che aveva comprato quel giorno, veniva dal negozio di videogiochi e il più piccolo sapeva bene cosa conteneva, tant'è che si imbronciò «Avevamo detto nessun regalo...»
Kuroo ghignò «Andiamo dovevo farmi perdonare, oggi ti ho portato al centro commerciale, è la vigilia di Natale e c'era talmente tanta gente che dava fastidio a me!»
Kenma afferrò il pacchetto col videogioco che aspettava da mesi, borbottando un grazie appena accennato e nascondendo il viso nella sciarpa di lana per mascherare le gote arrossate.
Spesso si trovava a chiedere a se stesso da quanto lo nascondeva. Perché era sicurissimo che Kuroo era talmente bravo da capirlo, che fosse impossibile che non sospettasse nulla. Dopo ogni sorriso quando lui arrossiva, dopo ogni contatto fisico più prolungato che gli faceva distogliere lo sguardo imbarazzato, dopo ogni abbraccio quando era sicurissimo l'altro potesse sentire il suo cuore galoppargli nel petto. Semplicemente non poteva non aver capito. Anche se Kenma aveva sempre cercato di nasconderlo, se ne vergognava talmente tanto che spesso le notti sognava un mondo dove tutti sapevano, dove tutti lo guardavano e lo deridevano, per poi svegliarsi in preda all'ansia e alle lacrime.
Come se uno come Kurro avrebbe mai potuto provare qualcosa di più di amicizia per lui.
«Ehi Kenma ti va per una volta di non cambiare discorso? Mi dici che ti succede? Sei strano negli ultimi tempi» Kuroo riaprì bocca per dar sfogo a tutti i suoi dubbi, mentre l'altro continuava a guardare davanti a sé con insistenza, incominciando a ragionare in che modo sviare l'argomento, di nuovo.
Borbottò qualcosa di incomprensibile, ma lo sguardo di Kuroo addosso era troppo insistente e quella sera sapeva che sarebbe crollato, troppi pensieri, troppi dubbi.
«Tua mamma parlava con la mia del tuo nuovo appartamento vicino all'università qualche tempo fa» disse semplicemente quello, sapendo fin troppo bene che Kuroo avrebbe letto tra le righe. Infatti quello sospirò irrigidendosi appena, Kenma riuscì a sentirlo «Sarà soltanto per un anno, non pensare che non ti voglio a dividere quell'appartamento quando inizierai anche tu l'università» gli rispose, tirando fuori il suo solito ottimismo, quello che spesso aveva anche tirato su il morale a Kenma.
Ma lui quella volta non era così convinto, quella volta la paura era troppa e da solo non ce la faceva a mandarla via «Non è detto che andrò a frequentare i corsi vicino a te» sussurrò piano.
«Ohi, non farti venire strane idee» riprese Kuroo avvicinandosi a lui, facendo sfiorare le loro braccia mentre camminavano «qualunque cosa accada rimaniamo insieme, lo sai che su questo non ti ho mai mentito.»
Il più piccolo grugnì qualcosa che non era una risposta per poi bloccare i suoi passi: la via era tranquilla, la nebbia la ricopriva come una coperta, ma a lui sembrava di aver sentito un rumore estraneo a quell'ambiente.
«Che succede?» gli chiese Kuroo vedendolo così all'erta.
«L'hai sentito?» chiese Kenma e in quel l'esatto istante lo avvertì di nuovo e si mosse verso il vicolo alla sua sinistra. 
«Ehi Kenma non andare da solo» l'amico lo seguì per trovarlo a metà del vicolo, inginocchiato vicino ad una scatola di cartone dalla quale proveniva un lamento acuto. 
Kenma sollevò con cura quel corpicino tremante, avvicinandosi lo al petto «Ecco chi era a chiedere aiuto» disse sorridendo appena e aprendo il suo giubbotto per avvicinare di più al suo corpo quel gattino. 
Era piccolissimo e dal pelo chiaro, Kenma lo sentiva tremare contro di sé. 
«Kenma lo sai che tua mamma è allergica ai gatti» gli ricordò Kuroo.
«Non posso certo lasciarlo qui» protestò il più piccolo assottigliando le labbra, poi sospirò «puoi tenerlo tu?»
 
Kuroo guardò l'amico, l'espressione triste e smarrita che gli si era appiccicata addosso negli ultimi giorni, in quel momento era sostituita da fin troppa aspettativa.
Dimenticò per un attimo il gatto, pensando quanto fosse assurdo, non riusciva a capire perché avesse avuto quei pensieri - quelli che sapeva gli affollavano continuamente la mente - dopo aver sentito le loro madri parlare dell'università. Sapeva che sarebbe successo e mai, mai Kuroo avrebbe permesso che il più piccolo si sentisse abbandonato. La squadra di pallavolo sarebbe stata nelle sue mani l'anno dopo e non si poteva certo dire che Kenma non fosse benvoluto da tutti.
Era Kuroo ad essere terrorizzato da ciò che lo aspettava: non pensava che avrebbe avuto problemi a vivere da solo, era abbastanza indipendente da poter sopportare la lontananza da casa e saper badare ad un monolocale. Era lasciare di nuovo Kenma indietro, ciò che lo disturbava di più: prima, alle elementari o medie, aveva solo cambiato scuola, i loro ritmi erano rimasti. Ora avrebbe cambiato casa, significava vedersi i weekend o nelle pause per gli esami, significava inevitabilmente allontanarsi e Kenma aveva ragione, egoisticamente Kuroo sperava che l'amico scegliesse se non la sua stessa università, una vicina alla sua. Perché gli sembrava del tutto normale immaginarselo con lui, a dividere quel monolocale, a trascinarlo fuori le sere, magari per uscire con Bokuto, con un'atmosfera diversa, nella quale il capitano della Nekoma avesse avuto il coraggio di essere sincero, di dire al suo migliore amico quella verità che lo stava dilaniando pian piano. Poi però tornava con i piedi per terra e si diceva che era inutile, che Kenma non avrebbe mai ricambiato ciò che lui provava, che continuare a sperarlo era inutile e dannoso.
Nonostante quello era così egoista che voleva averlo accanto, ad ogni costo, anche se quello voleva dire non averlo davvero.
Ghignò a quel punto riportando lo sguardo sull'amico «Okay, potrei prenderlo con me, lo porto nel monolocale vicino alla facoltà ad aprile, può valere come regalo di Natale non trovi?» disse sfiorando appena la testolina tremante del gattino.
Kenma sorrise e Kuroo sentì il cuore accelerare pericolosamente - quel sorriso era la sua più grande debolezza - e cominciò a tornare verso la strada principale «Lo faresti davvero?» chiese.
«Ho scelta?» replicò l'altro «continuerai a chiedermelo fino a convincermi in ogni caso.»
Kenma riacquistò il suo broncio, le guance appena più colorate di rosso. Kuroo ridacchiò, poi tornò serio, sentiva a stento i fini miagolii del gattino.
Strinse appena i pugni e decise di essere ancora una volta egoista «E potrai venire a trovarlo tutte le volte che vuoi» assicurò «poi lo vedrai sempre, una volta trasferito davvero da me, fra un anno.»
Lo vide spalancare un po’ di più gli occhi, stringendo più a sé il micetto «Solo se lo vuoi anche tu» mormorò.
Kuroo sorrise, una vena di amarezza a dipingergli lo sguardo mentre scompigliava i capelli dell'amico: poteva farsi bastare quello forse.











Angolino

Incomincio a ritardare gli aggiornamenti, come mio solito, però eccomi qui a proporvi ormai la settima one shot ^D^
Finalmente ho la possibilità di scrivere una Kuroken un po' più impegnativa, anche perché su ao3 tutte le storie sui gattini della Nekoma che ho letto sono angst e non potevo non omologarmi in parte :') il prompt non prometteva nulla di tragico, ma il tragico ha avuto la meglio in ogni caso, non me ne vogliate TwT
Spero di essere riuscita a mantenere IC soprattutto Kuroo, perché ho i miei dubbi. Non avevo intenzione di addentrarmi troppo su questioni che avrebbero presupposto un avvertimento quale "Tematiche delicate" poiché, se non sbaglio, il regolamento lo prevede in caso di argomenti psicologici e medici un po' più pesantucci. Quindi nulla, "l'attacco di panico" semidescritto qui è una roba molto blanda, spero non dia fastidio a nessuno (blanda anche perché poi mi sarei persa sui tecnicismi e non avevo intenzione di deliziarvi con terminologia pesante e, in questo caso, inutile.)
Okay scusate il solito sproloquio finale, un grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa raccolta (ad aggiungerla alle liste siete stati tantissimi e io piango di gioia çwç).
Spero non ci siano errori, nel caso siete liberissimi di segnalarmeli, insieme alle vostre opinioni :3
Ci vediamo a metà settimana con la prossima storiella, alla prossima! ^__^

 

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Capitolo 8
*** Endless night ***


One shot | Daisuga | 2600 parole | Traccia 28 "A e B non si vedono da molto tempo.
Si incontrano di nuovo quando le loro famiglie/amici organizzano il cenone insieme."



 
Endless night
 

Suga sapeva fin troppo bene che quella sua scelta gli si sarebbe inevitabilmente rivoltata contro: era un uomo adulto ormai, sapeva venire a patti con se stesso quando pensava di non poter reggere più certe cose. Non per la vecchiaia - come a volte gli piaceva chiamarla - di per sé, semplicemente perché il tempo che passava non era qualcosa che si poteva ingannare. E il tempo, inevitabilmente, cambiava tutti.
Aveva capito troppo tardi che declinare quell'invito non sarebbe sembrato così sconveniente come accettarlo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non trovarsi in quella situazione. 
 
Nishinoya l'aveva chiamato entusiasta la mattina del 23 dicembre chiedendo la sua partecipazione per il cenone che lui e Asahi avevano organizzato la sera dopo. Aveva assicurato che ci sarebbero stati tutti i vecchi membri della Karasuno - gli unici mancanti, avrebbe poi scoperto sarebbero stati Kageyama e Hinata, entrambi in vacanza in Europa, e Yachi bloccata a casa dalla febbre.
Non ce l'aveva fatta a dire di no all'ex libero, alla sua esuberanza e, segretamente, a ciò che il suo cuore agognava da anni: rivedere Daichi.
Il problema era che se ne sarebbe pentito perché lui, Sugawara Koushi, 30 anni di lì a pochi mesi, era un codardo.
Yuu l'aveva accolto in casa saltandogli praticamente al collo. Erano nella vecchia casa di campagna che aveva ereditato da sua nonna, ci passava spesso le vacanze con Asahi, tant'è che aveva deciso per quel ritrovo di vecchi amici per Natale potendo usufruire delle numerose stanze per gli ospiti. 
«Suga-san! Sono così felice che tu sia venuto!» esclamò Nishinoya, perché lui era sempre così eccitato per tutto. 
Rivide ognuno dei suoi vecchi amici, erano tutti lì: Tanaka accompagnato dalla moglie e dal figlioletto, più o meno della stessa età della bambina più grande di Ennoshita - il più piccolino non era ancora in età scolare e rimaneva in braccio alla madre con espressione assonnata. Narita e Kinoshita erano entrambi accompagnati dalle rispettive fidanzate - anzi, ora che guardava meglio gli anelli dorati, il primo era già sposato. La bella manager Kiyoko, anche lei era in dolce compagnia, nonché in dolce attesa, a testimoniarlo il ventre pieno che si notava appena sotto il largo maglione dalle improbabili fantasie invernali. Tsukishima e Yamaguchi erano da soli, anche se il secondo stava già intrattenendo i bambini quando Suga arrivò.
Mancava Daichi e il ragazzo cercò con tutto se stesso di non provare dispiacere. Anche perché era inutile, oltre ad essere sconveniente e controproducente da ogni punto di vista.
Asahi fu l'unico a guardarlo con sguardo comprensivo quando Noya si fu allontanato dopo aver avvisato tutti del suo arrivo. Il moro gli mise una mano sulla spalla sorridendo nel suo solito modo gentile, voleva essere rassicurante, ma Koushi era da troppo tempo schiavo di sentimenti negativi, una festa di Natale non avrebbe certo rimesso insieme i cocci della sua vita.
 
Arrivò in ritardo, l'ex capitano, erano già tutti seduti a tavola quando il campanello suonò con insistenza. Suga si ritrovò a pensare, prima che l'altro ragazzo varcasse la porta, che non lo vedeva da più di cinque anni. Non aveva avuto - anzi non aveva voluto - più sue notizie da quando si era diplomato, gli anni dell'università erano scivolati silenziosi tra alti e bassi: tra silenzi imbarazzanti e piccole gioie, ma soprattutto tra singhiozzi soffocati con unico spettatore Asahi. Il vero colpo di grazie Koushi l'aveva ricevuto quattro anni prima, ed era patetico, perché lui non l'aveva mai superato.
Poi apparve sulla soglia e, quasi fosse la cosa più prevedibile di quel mondo, il cuore del ragazzo moltiplicò i battiti e il suo stomaco fece una capriola: era arrivato da solo. O meglio, non era affatto solo, perché stringeva in braccio una bambina di non più di tre anni, ma accanto a lui mancava una figura che Suga si sarebbe aspettato di vedere.
Daichi salutò tutti e quando il suo sguardo si posò sull'ex alzatore sembrò addolcirsi, mentre sussurrava un "Ciao" solo per lui. E come era prevedibile Koushi sentì le membra stringersi e il malessere bloccargli il respiro in gola: di nuovo quell'idea, di nuovo si maledisse per essere andato a quella cena.
 
L'alcol aveva finito di scorrere appena un'ora dopo la mezzanotte, col finire di questo i bambini si erano già tutti addormentati da un pezzo e ognuno di loro era stato inviato verso le due grandi stanze disponibili. Suga avrebbe voluto liberare la sua risata isterica quando Noya lo indirizzò verso quei due futon, nella stanza adibita agli uomini, quando vide che su uno di essi dormiva la bambina di Daichi.
Capì che voleva andarsene a casa, non gli importava del sake ancora in circolo, non avrebbe potuto sopportare quella notte che stava diventando infinita.
Era lì, seduto per terra, le tempie che pulsavano dolorosamente, mentre già Narita e Tanaka dormivano. Poi sentì un fruscio, qualcuno si sedette vicino a lui.
Non aprì gli occhi subito, si fece cullare dall'illusione che fosse Asahi.
«Dannazione ho bevuto davvero troppo» sussurrò piano Daichi.
Il castello di vetro nella mente di Koushi si sbriciolò fragile, sentiva quasi i pezzi taglienti conficcati nel petto: non poteva sostenere una conversazione con lui, non era sicuro che ne sarebbe stato in grado neanche da sobrio. Ma ne fu costretto.
«Non abbiamo più l'età, vero?» disse semplicemente Suga dischiudendo piano gli occhi, posandoli su Daichi che lo fissava attentamente. Arrossì e sperò che, con l'oscurità dalla sua parte, non si notasse. 
«Non sei cambiato per nulla Suga» disse Sawamura, sorridendo piano «non ci vediamo da anni, avevo quasi paura di ritrovare qualcuno di estraneo» rise, per smorzare un po' di tensione «non pensavo comunque venissi da solo, Asahi non me lo aveva detto.»
Koushi si ritrovò a ringraziare mentalmente l'amico, ringraziò la sua riservatezza e intanto cominciò a pensare a cosa poteva dire.
Asahi era l'unico a sapere la verità su di lui: Koushi lo aveva sempre pregato perché non dicesse a nessuno quella sua verità, era terrorizzato dal giudizio degli altri. Cosa avrebbero pensato una volta saputo che gli piacevano gli uomini? Non ci voleva neanche pensare.
Si sentiva però in dovere di raccontare a Daichi la verità - o almeno parte di essa, in modo da non sentirsi poi in colpa quando avrebbe rigirato su di lui la stessa domanda.
«Ho avuto una relazione di quasi quattro anni» incominciò con un sussurro «ma è finita qualche mese fa, questa persona... ci tenevo tanto a lei, ma ha accettato un lavoro in Inghilterra e non riuscivo proprio a mollare tutto per seguirla.»
Koushi aveva conosciuto quel ragazzo quando aveva iniziato la specialistica: aveva qualche anno più di lui ed era un medico a tutti gli effetti, un radiologo. Aveva fatto una lezione sulle indagini strumentali agli specializzandi di pediatria. Si erano frequentati, ed andava tutto bene, ma Suga avrebbe mentito a se stesso dicendo che non si era lanciato in quella relazione per dimenticare. Per dimenticare la notizia che Asahi quasi con timore gli aveva lasciato: il matrimonio di Daichi.
Poi si era davvero affezionato, ma nell'ultimo anno c'erano stati più litigi che perdoni, e l’altro aveva accettato quel posto a Londra.
«Mi dispiace» replicò piano Daichi «immagino come tu possa averla presa, non è mai facile.»
Parlava con una strana amarezza nella voce e la curiosità di Koushi era troppa, anche se sapeva che sarebbe stata la sua rovina.
Si voltò piano verso la bambina sorridendo «È davvero bellissima» disse piano: era la verità, uguale identica a Daichi, tranne che per gli occhi, erano più chiari.
L'amico sorrise dolcemente «È la cosa migliore che mi sia capitata, anche se spesso guardandola ripenso alle tue parole e a quelle di Yui.»
A Koushi si bloccò il respiro in gola, sia per le parole in sé, sia per aver risentito il nome della vecchia amica di Daichi.
Lui continuò senza accorgersi di nulla «Lo dicevate sempre, quella matricola non faceva per me, ironico come me ne sia accorto solo un anno dopo il matrimonio e la nascita della bambina.»
A Suga tornò in mente ogni cosa: la sua mente fu annebbiata da ricordi vecchi, ricordi di quei primi anni universitari, ricordi che catalogava nella sua mente come troppo pericolosi, che forse, da un lato, avrebbe preferito dimenticare del tutto.
Le università erano diverse, ma ci si ritrovava spesso a passare i weekend insieme per locali: lui, Daichi, Asahi e Michimiya. A volte capitava una festa, altre andavano semplicemente a cantare al karaoke.
Alcune volte Asahi non andava con loro e si permetteva un'uscita con Noya, a volte era il piccolo ex libero ad unirsi a loro; altre volte anche la ragazza non usciva con loro e Suga e Daichi si ritrovavano ad andare al cinema insieme o a fare compere, magari proprio nel periodo delle feste. Quelli erano i momenti peggiori per Koushi, perché dentro di sé sapeva che li analizzava in modo sbagliato: Daichi era un suo amico, non sarebbe mai stato nulla di più, anche se Suga stesso era arrivato a pregare - non sapeva neanche bene lui cosa - le notti che quei sentimenti che provava fossero ricambiati. Era un ingenuo e lo sapeva fin troppo bene.
Daichi aveva conosciuto quella ragazza il loro terzo anno di università: era una matricola e stravedeva per lui, tant'è che l'ex capitano della Karasuno si era fatto ammaliare da quel volto perfetto. A nulla erano valsi gli avvertimenti di Koushi e di Michimiya: visti dall'occhio esterno di Asahi, entrambi fin troppo poco disinteressati. Suga lo sapeva, sapeva che Yui provava per Daichi ciò che provava anche lui e dentro, nel suo profondo, nascosto dalla visione di tutti, nascosto dalla sua parte buona, lui la odiava. Perché lei era una ragazza e avrebbe avuto tutte le opportunità che a lui erano negate; nonostante quello non si era mai fatta avanti.
Durante il secondo anno di università, in un impeto di coraggio Koushi aveva chiesto all'amico cosa pensasse di Michimiya: Daichi era arrossito profondamente balbettando qualcosa di sconnesso molto simile a "È una mia amica ed è bellissima... ma non ho mai pensato a lei in quel modo." Mentiva e Suga lo sapeva, ma sorridendo nel modo migliore che riusciva gli aveva detto "Mr. Romanticone non ti credo affatto" aveva sussurrato in un soffio "credo che dovresti darle una possibilità."
L'aveva visto sorridere e per un attimo la tristezza era andata via anche dal suo animo: si era quasi convinto che l'importante fosse la felicità di Daichi, anche se quella felicità non era lui. Era un bel pensiero e ci aveva creduto, ma si ricordava che quel weekend - quel weekend impresso a fuoco nella sua mente - era crollato, era andato ad una festa senza Asahi e aveva bevuto così tanto che aveva quasi scordato tutto. In quello stato di euforia si era dimenticato della tristezza e stava quasi bene, non sapeva che a quella festa c’era anche Sawamura e non capiva come, questo ad un certo punto questo se lo era caricato in spalle e lo aveva riportato a casa, dicendogli quanto fosse irresponsabile e chiedendogli quale fosse il problema. E Koushi era sicurissimo che fu l'alcol a parlare per lui, a muoversi per lui, poiché appena chiusa la porta di casa si aggrappò con forza all'amico attirandolo alla sua altezza e baciandolo. Aveva realizzato ciò che bramava da anni, la sua mente era focalizzata su quello, non si chiedeva perché Daichi stava rispondendo a quel bacio - lo avrebbe capito giorni dopo, una volta scoperto che Michimiya usciva con un ragazzo, una volta scoperto quanto l'amico l'aveva presa male - si lasciò trasportare da quel momento, mentre sentiva il cuore esplodergli nel petto.
A volte involontariamente la mente tornava a quei secondi confusi, quando il bacio si era intensificato sempre più e con urgenza Suga si era liberato della sua maglia per fare la stessa cosa con quella del compagno, le mani che sfioravano la pelle sulle spalle e sui fianchi. Era arrivata a quel punto la consapevolezza nell'altro, che si era staccato da lui ansimando e bloccandolo per i polsi: nel suo sguardo aveva letto cose che non avrebbe mai voluto vedere. "Cosa stai facendo Suga?" gli aveva chiesto "cosa sto facendo io..." si sarebbe poi detto.
Koushi ricordava come se ne fosse andato a dormire barcollando senza dirgli più nulla, come avrebbe finto, il giorno dopo, di non ricordarsi nulla per non distruggere ogni cosa, come avrebbe pianto l'anno successivo una volta scoperto che Daichi si era fidanzato con quella ragazza del primo anno, lasciando smarrito sia lui che Michimiya.
Ritornò nel presente, si costrinse a farlo, anche perché sentiva le unghie che affondavano nei palmi delle mani con insistenza. Pensò quanto fosse inutile ritornare nel passato, quanto fosse doloroso, quanto rendesse solo più lunga ed interminabile quella notte. Si fissò le mani, senza la forza di alzare lo sguardo sull'amico; capì che quegli anni passati lontano da lui gli erano serviti, aveva potuto lavorare su se stesso, imponendosi quasi, di non essere più innamorato di Daichi. Ci aveva provato con tutte le sue forze, adesso era bastata quella festa a far vacillare tutto ciò che si era costruito, e non era pronto a perderlo, avrebbe fatto di nuovo troppo male.
«Stiamo parlando di argomenti fin troppo tristi per una festa, non trovi?» si fece uscire a quel punto Daichi, sempre a bassa voce, per non svegliare nessuno.
«Sono le nostre storie, possono essere tristi, ma raccontano ciò che siamo» replicò piano Suga.
Sawamura rise sommessamente «Sei sempre così saggio» gli disse.
A quel punto il ragazzo si concesse un sorriso, cosa che non passò inosservata a Daichi «Finalmente sorridi, avevo iniziato a temere che non sopportassi più la mia compagnia» scherzò.
Gli avrebbe volto dire tante cose: che la sua compagnia era ciò che desiderava da sempre, che non avrebbe voluto perdere quegli anni, sfilacciati dalla lontananza, che aveva voglia di togliersi il peso dal petto che lo opprimeva da quando aveva sedici anni. Ma non poteva, non avrebbe mai potuto.
«Koushi» iniziò Daichi e nel sentirsi chiamare per nome il ragazzo trattenne il respiro «ascolta volevo chiederti...» si bloccò e Suga riportò lo sguardo su di lui lasciando che questo lo analizzasse: sembrava combattuto, voleva domandargli qualcosa, forse non si osava. Ebbe paura di sentirla quella domanda, ebbe paura di non essere in grado di dargli una risposta senza irrimediabilmente esporsi.
Daichi però scosse la testa, fece incontrare i loro sguardi e gli sorrise «No, nulla» disse infine.
Era meglio così.
«Mi sarebbe piaciuto rivedere anche Yui, sono almeno due anni che non ci sentiamo» riprese così da nulla, forse per alleggerire la tensione, ma quello fece solo cadere un macigno sullo stomaco di Suga.
Sorrise piano, sperando che la sua voce non tremasse «Anche lei è diventata mamma da poco» riferì quelle stesse parole che Asahi gli aveva detto qualche mese prima, non tanto perché lui avesse chiesto, ma erano uscite leggere, come nulla.
«Sì l'ho saputo» disse piano «solo che adesso ripensare a lei mi fa tornare in mente quelle tue parole di una volta, ti ricordi vero?»
Koushi sentì il cuore rallentargli nel petto.
«Sono stato un vero idiota» disse piano, poi si voltò ad accarezzare la testa della sua bambina, quasi volesse redimersi con lei per quel suo ultimo commento.
Suga si voltò piano, appena in tempo per nascondere nel buio una lacrima che gli stava solcando il volto, chiedendosi di nuovo perché di quei suoi sentimenti, pregando perché sparissero pur di non farlo soffrire in quel modo, ma rimanendoci attaccato come se fossero la cosa più preziosa che aveva «Lo siamo tutti» sussurrò piano, più a sé stesso che ad altri.
Alzando lo sguardo verso la finestra notò che aveva cominciato a nevicare: fu Daichi a sussurrare poi «Buon Natale Suga» e fu Koushi che rimase a fissare quella finestra piuttosto che rispondergli, riuscendo con chissà quale forza di volontà a ricacciare giù le lacrime.










Angolino

°---w---°
Salve!
Di solito a questo punto inizio giustificarmi per il ritardo nel pubblicare (scusatemi, ma la prossima settimana ho due esami ç.ç) e per l'angst (di questo non mi posso scusare però).
Quindi nulla sopportatemi queste altre due righe :3
Adoro questa mia coppia è ho un sacco di headcanon tristi su di loro: primo tra tutti Daichi innamorato di Yui, Suga innamorato di Daichi e quindi sofferenza ç_ç
Magari ce la farò invece a scrivere su di loro in chiave coppia felice, magari... anche perché sono tra i miei preferiti nel fandom!
Detto questo vi anticipo che dato che domani il contest finisce, e io sono in ritardo :') l'ultima os arriverà domani sera, probabilmente sarà una flashfic e beh, direi che la coppia che manca sia abbastanza ovvia (no okay, magari solo per chi mi conosce OYA!)
Come al solito grazie a tutti voi per il vostro supporto, non pensavo che questa raccolta piacesse così ç.ç i vostri pareri mi riempiono di gioia :3
Che dire, quindi a domani! :D

 

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Capitolo 9
*** Magic night ***


One shot | Bokuaka | 800 parole | Traccia 40 "Harry Potter!AU"



 
Magic night
 

«Bokuto-san potresti smettere di agitarti così tanto? Stai spaventando i gufi.»
Nella voliera quel tardo pomeriggio non c'era più fermento del solito: molti dei gufi non erano presenti, probabilmente perché tornati alle famiglie e pronti per portare l'indomani mattina - la mattina di Natale - auguri, dolci, magari qualche piccolo regalo ai ragazzi rimasti ad Hogwarts in quelle vacanze natalizie.
Ad essere rimasto al castello c'era il gufo di Akaashi: era una femmina di gufo reale e stava covando le due sue prime uova. Quello era un evento abbastanza raro, avvenuto nel momento sbagliato; quelle uova, proprio lì ad Hogwarts non andavano bene. Ma non avrebbero neanche potuto trasportarle o farle Materializzare fino a casa sua. Aveva quindi ottenuto un permesso dal preside e dal professore di Cura delle Creature Magiche per lasciare che il gufo finisse la sua covata lì e decidere poi di trasportare i pulcini verso Londra.
Ad Akaashi erano sempre piaciuti gli animali e le creature magiche - materia in cui eccelleva, insieme a molte altre - e, all'alba del suo sesto anno di scuola iniziava a capire quanto fosse stata una buona idea coltivare quella sua passione per poi farne un lavoro. Suo padre, che copriva un’alta carica nell'ufficio del Ministro della Magia, non ne sarebbe stato così contento, ma Keiji rimaneva fermo sulla sua scelta.
«Ehi Akaashi, secondo te quanto ci vorrà ancora? Inizia a fare troppo freddo!»
Il ragazzo di voltò a destra fissando di sbieco l'amico. Bokuto Koutarou era un Tassorosso del settimo anno, si erano conosciuti l'estate del suo terzo anno, dopo aver scoperto che abitavano ad una decina di minuti l'uno dall'altro a Londra. In realtà si erano conosciuti in circostanze "forzate" come le aveva definite Akaashi: il padre di Bokuto lavorava anch'egli al Ministero ed era un collega del suo. Il padre di Akaashi, a cui l'animo calmo, quasi distaccato del figlio, non piaceva affatto, aveva deciso di presentargli un amico. Come se lui non fosse in grado di farsene da soli.
Bokuto Koutarou era l'esatto opposto di Keiji: allegro, esuberante, capitano della squadra di Quidditch e una frana assurda in Trasfigurazione ed Incantesimi.
«Non posso prevedere il futuro Bokuto-san, ma si sentiva becchettare sul guscio prima, non manca molto» disse paziente Akaashi, strofinando le mani tra loro perché la sera stava calando e il freddo crescendo.
«Non puoi fare un incantesimo? Ne conosci un sacco avanzati dopotutto» gli propose l'altro stringendosi più sul volto la sciarpa giallo-nera.
Akaashi alzò gli occhi al cielo: Bokuto pensava che dato la sua casa di appartenenza lì ad Hogwarts - Corvonero - e i suoi voti - tutti superiori ad "Oltre ogni aspettativa" - lui fosse onnisciente «Non hai proprio pazienza, vero?»
«Stasera c'è il banchetto di Natale e io ho davvero fame» incominciò l'altro facendo un mezzo broncio.
«Sei tu ad esser voluto venire a tutti i costi, ti ricordo» lo riprese Keiji riportando lo sguardo sul rapace.
«Ehi io adoro i gufi, non potevo perdermi la nascita dei pulcini!»
Non dovettero aspettare ancora molto, Bokuto ebbe solo il tempo di commentare come fosse la cosa più sciocca del mondo che la squadra di Quidditch di Sepreverde, si fosse allenata anche quel giorno - Akaashi sospettava fosse un modo per lamentarsi del fatto che Kuroo lo aveva abbandonato alla noia quel pomeriggio, piuttosto che scorrazzare per il castello a combinare guai con lui.
Videro il grande gufo sollevarsi sulle zampe mentre le due uova venivano rotte dall'interno dai piccoli becchi dei pulcini.
Bokuto iniziò a lanciare urletti di entusiasmo una volta che furono del tutto fuori dai gusci ormai rotti «Guardali Akaashi, non sono bellissimi?» esultava felicissimo.
Il Tassorosso si esaltava sempre talmente tanto che Keiji non sapeva davvero da dove tirasse fuori ogni volta così tanto entusiasmo: era estremamente diverso da lui, ma in qualche modo gli piaceva quello stacco netto tra le loro personalità, lo faceva stare bene.
«Questa è la cosa più bella che mi sia mai successa, migliore anche di quando abbiamo vinto la coppa delle case due anni fa o di quando io e Kuroo siamo riusciti a fare quello scherzo stratosferico a Pix!» aveva preso in mano uno dei due pulcini lisciandogli le piume sul capo, mentre quello pigolava felice.
Akaashi si ritrovò a sorridere guardando quella scena, trovandola davvero tenera e mentre questo pensiero gli balenava in mente, aveva abbassato gli occhi arrossendo appena.
La magia di quella notte gli aveva tenuti vicini ai pulcini per lunghi minuti poi entrambi, infreddoliti, ma felici; avrebbero deciso di tornare verso la Sala Grande, perché il cenone di Natale era qualcosa a cui non potevano assolutamente mancare. Bokuto poi, prima di rientrare nel castello avrebbe allungato un braccio sulle sue spalle dell’amico attirandolo a sé, dicendogli che quel regalo di Natale era stato davvero spettacolare e che, per la barba di Merlino, Akaashi era davvero fantastico.

E forse per Keiji fu il più bel regalo di Natale vedere la felicità dipingere il volto dell’altro e il suo braccio forte che lo stringeva a sé con gioia.









Angolino
E siamo arrivati alla fine gente!
Wooo quasi non ci credo, sono sempre felice quando riesco a finire un progetto, anche perché ho fin troppe storie incomplete, sia sul sito che sepolte nel pc!
Questa raccolta natalizia è stato un esperimento divertente e stimolante, appena ho letto i vari prompt tra cui scegliere avevo già deciso di centrarla unicamente sui nostri bellissimi pallavolisti, le coppie poi le ho scelte abbastanza a caso rispetto ai prompt e spero siano tutte comunque credibili ^///^
Spendo due paroline su quest'ultima os: adoro la coppia Bokuaka ed è una delle mie preferite in assoluto! Ovviamente al prompt HP!AU ho subito pensato alla posta, ai gufi e quindi nulla, era d'obbligo mettere loro due :3 
E più corta delle altre, diciamo che avevo deciso di non ridurmi a renderla eterna, avevo paura diventasse noiosa T_T spero che comunque vi sia piaciuta!

Ora partirò con i ringraziamenti (dovuti, quindi sopportatemi un attimino :3)
Grazie alla pagina Fanwriter.it per aver creato questo contest davvero divertente, se non la seguite su facebook rimediate al più presto perché hanno un sacco di iniziative divertenti!
Un grazie a tutti voi lettori che avete seguito questa raccolta con costanza o se avete letto solo qualche os, grazie mille :3
Un grazie taaaanto grande alle quattro fantastiche personcine che mi hanno fatto sapere il loro parere per ogni capitolo, mi riempite di gioia çwç
Nulla ho finito qui :D scusate questo sproloquio finale!
Vi lascio qui la mia pagine autrice su fb se volete rimanere aggiornati con i prossimi progetti (tipo un nuovo contest... non mi fermo mai dannazione), idee e scleri vari anche se giuro che proverò a rimanere seria il più possibile!
Un saluto a tutti e alla prossima :D

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