Don't Pretend That You Know Me ('Cause I Don't Even Know Myself)

di Vivian Nightingale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ice ***
Capitolo 2: *** Blood ***



Capitolo 1
*** Ice ***


Don't Pretend That You Know Me
('Cause I Don't Even Know Myself)


Chapter 1: Ice

 

Chi sono?
Chi sono, io?
E' l'unico pensiero coerente che riesce a formarsi nel mio cervello, mentre tutto il resto si ferma, intorno a me. Chi sono? Sono forse quel ragazzo con il sorriso sulle labbra, affascinante, che non aveva alcun motivo per essere triste? Sono forse il soldato coraggioso che faceva il suo dovere? L'amico leale e sempre presente, pronto a ergersi al fianco del compagno, che fosse un ragazzino mingherlino (e, diciamocelo, buffo) o un Capitano puro e senza paure? Oppure no. Forse sono la macchina da guerra. L'assassino spietato. Il terrificante fantasma privo di volontà, privo di volto. Lo strumento di un gruppo di fanatici, di folli. Il crudele esperimento, l'arma potente e silenziosa. Chi sono? Chissà, forse, in realtà, non sono nessuno dei due. Sono solo un uomo confuso e spaventato (Almeno, di questo, sono certo). L'uomo con il braccio di metallo e il caos nella mente. L'uomo che non sa chi è, che ha messo piede in un mondo che non è il proprio. Un mondo lontano da ciò che conosce, da ciò che sente come suo, che sente rassicurante. Sono quello che ho udito dire di me, da altri, e sono il miscuglio di emozioni che sento dentro di me, inspiegabile, che tento di non lasciar trasparire, nemmeno per un istante.

 

E' lui, davvero?
Il suo viso è freddo come il ghiaccio in cui, entrambi, siamo rimasti per anni. La sua mano destra, quella ancora di carne ed ossa, è stretta in un pugno. La sua espressione è imperturbabile, impenetrabile. Ma i suoi occhi, quelli no. Sono gli stessi occhi che mi hanno accompagnato per anni, che mi hanno tormentato nei miei sogni. E sono gli occhi di un uomo spaventato e confuso. Occhi che hanno perso quella scintilla di riso che avevano un tempo, quella determinazione che ben conoscevo. Se lui non fosse stato il centro del mio mondo per tutta la mia vita, non mi accorgerei neanche di questo turbamento nel suo sguardo.
Bucky resta immobile nella stanza, in piedi, lo sguardo fisso all'orizzonte. E' davvero lui quell'uomo che osserva il mondo dai vetri di questa casa nel bel mezzo del nulla? Questa casa, lontana da New York, dalla New York che conosceva lui, lontana nello spazio. E nel tempo. Lontanissima.
Non stacco gli occhi dal suo viso, mentre lui è perso, perso in pensieri che nemmeno io posso decifrare. Ma è davvero lui? L'amico che credevo di aver perso per sempre? Il fratello che non mi aveva mai lasciato sul serio? E' lui, forse. Ma, allo stesso tempo, gli anni di torture e di atti crudeli lo hanno reso un'altra persona, così distante da me, da qualsiasi cosa io possa anche solo immaginare. Forse il Bucky che conosco c'è ancora, da qualche parte, ma questo uomo che guarda lontano, senza un posto dove stare, questo uomo che non appartiene a nessun luogo, lui è un estraneo. Un estraneo freddo e distante, che non mi permette di avvicinarmi. Io voglio solo fargli sapere che ci sono, ci sono e basta. Che ho bisogno di lui, certo, ma che anche lui ha bisogno di me. Perché non importa se sono passati decenni. Non importa se il ragazzo che conoscevo è sepolto sotto strati di omicidi e di ordini dell'Hydra. Lui è ancora lì, terrorizzato. Lo vedo nei suoi occhi.
E non importa nemmeno se lui mi tiene ancora a distanza.
Non importa . Riavrò indietro mio fratello.
"Bucky?"
Ma è davvero lui?

 

"James?"
La voce di Steve mi distrae, riportando la mia attenzione al presente. Sembra avermi chiamato già più volte. Continuo a fissare il mio riflesso nei vetri davanti a me, i miei occhi, che sembrano molto più vecchi del viso in cui sono incastonati, più gravi e addolorati. Che sono molto più vecchi e addolorati. Ho perso tutto senza nemmeno accorgermene. Il mondo è diventato un altro, io stesso sono cambiato, mentre ero congelato, o agivo agli ordini di qualche seguace dell'Hydra; un'impotente marionetta letale. Quest'uomo di fianco a me, che è solo un ragazzo, almeno apparentemente, era qualcosa per me. Ricordo, confusamente, certo, ma ricordo, i tempi della nostra gioventù. Siamo ancora giovani, in realtà. Siamo giovani che sono cresciuti troppo in fretta. Anche se “in fretta”, in questo caso, sono esattamente settant'anni. Guardo Rogers. Guardo questo eroe, che ha sacrificato tutto per me e, mentre una parte di me prova per lui un affetto enorme, un'altra si dice confusamente che dovrebbe vedere in lui più di un uomo che ha fatto il suo dovere, ma non ci riesce. Ho pensato. Ho visto una squadra, una squadra di uomini forti e coraggiosi, dividersi anche per causa mia. Una squadra di persone che nemmeno mi conoscevano hanno combattuto tra loro, in parte per colpa mia. Si è combattuta una guerra. Ed è stata colpa mia. Ero sfuggito ad un destino crudele, a una vita terribile e, nel momento in cui sono ritornato nel mondo, questo è esploso. Delle persone si sono fatte male. Un altro senso di colpa, un'altra responsabilità, un altro numero di vite finite a causa mia da aggiungere alla lista. Eppure, pur sapendo che non ci sono altre soluzioni, pur sentendo che il legame che ho con il ragazzo al mio fianco non è più quello di un tempo, temo il momento in cui dovrò rivelare a Steve quello che ho deciso. Quest'uomo che ha rischiato tutto e mi ha portato al sicuro, che una volta era come un fratello per me, che crede di conoscermi. Che ha appena avuto indietro l'amico di una vita, l'amico che credeva di aver perso per sempre. Non so se sono ancora quell'amico, non so nemmeno se vorrei esserlo.
E' la prima volta che siamo insieme solo noi due ed è il silenzio a regnare. Non è uno di quei silenzi tesi, o imbarazzati, è un silenzio leggero, ma carico di pensieri, di necessità di stare da soli. Eppure, Steve non lascia il suo posto di fianco a me. Può anche essere che tema che io sparisca, se mi lascia per trenta secondi. Non introduce il discorso. Mi fissa, anche se io non ricambio il suo sguardo, e parla, determinazione negli occhi, dolcezza nei tratti del suo viso. “Forse ti sembra innaturale, strano...ma puoi parlarmene...di qualsiasi cosa ti tormenti”. Mi giro a guardarlo. Distoglie lo sguardo per un attimo, come imbarazzato, e fa quasi ridere vedere un espressione così goffa su un uomo così forte. Niente in me, ne sono certo, può avergli dato l'idea che io abbia bisogno di parlare di qualcosa. Niente. Sono decenni che non esprimo emozioni, decenni di pratica.
Per un attimo, un breve attimo, sono sul punto di spiegargli che non mi sento al mio posto, che ho bisogno di tempo. Ma l'altra parte di me prende il sopravvento e mi giro di nuovo verso la finestra.

 

Non fingere di conoscermi, Rogers, perché non è così. Non più”
Per quanto io mi renda conto che questa è la verità, le sue parole mi fanno trasalire. Il muro di ghiaccio che avvolge James si era rotto, per un istante; un lampo di sorpresa, nel sentire che tentavo di comprenderlo, aveva attraversato i suoi occhi freddi. Per un secondo, mi era sembrato che il suo sguardo si fosse addolcito. Poi, la realtà ha preso il sopravvento, come sempre. Il suo tono secco mi sorprende. Ci metto un attimo a metabolizzare quello che ha detto, a fare finta di non essere ferito da questa consapevolezza. Nonostante ciò, non mi rassegno. So che il Bucky che conosco c'è ancora, da qualche parte. O, almeno, una parte di lui. So che posso farla riemergere, che posso far tornare mio fratello. E, se non può dimenticare gli ultimi settant'anni, che almeno siano un'ombra lontana. Ho bisogno di crederci, di sperare. O scivolerà di nuovo nel buio...e io con lui.

 

E' meglio per tutti”,
Dico trovando il coraggio. Non ho ancora staccato gli occhi dal mio riflesso. Non voglio vedere la sua espressione, quando lo saprà, anche se non capisco perché ferirlo mi spaventi tanto. Voglio solo fare quello che sento come giusto, perché anni di sbagli e di colpe pesano troppo sulle mie spalle, ora che sono nuovamente cosciente. E lui, per gran parte di me, non è più nessuno. Lancio solo un occhiata a quel viso familiare e sconosciuto e prendo un respiro. La mia bocca, nel riflesso sulla finestra, si apre.

 

 

Devi congelarmi, di nuovo”.
Non so in che modo il mio cervello sia riuscito a capire tutto questo all'istante. Anche ad accettarlo, quasi. Forse me l'aspettavo. Guardo Bucky, il suo braccio di metallo riflette la luce, il suo volto, il volto di quel fratello che non ho visto per troppo tempo, è indurito. Incontro il suo sguardo. D'improvviso mi sembra di vederlo cadere di nuovo dal treno. Di vederlo precipitare, per attimi che durano un'eternità. Sono sconvolto, ma non ribatto. Avverto vagamente di aver annuito, mentre Bucky, nella mia testa, precipita. L'ho perso. Un'altra volta. L'ho perso e so che non farò niente al riguardo. L'ho perso e, forse, è meglio così. Forse non sarò costretto a vedere, tutti i giorni, nei suoi occhi, la fatica che fa per ricordare, per riconoscermi. Forse non sarò costretto a scoprire se il Bucky che conosco è ancora lì, da qualche parte. Forse.
Intanto, però, è caduto di nuovo. L'ho perso.

 

E' meglio per tutti”

 

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Capitolo 2
*** Blood ***


.
Don't Pretend That You Know Me
('Cause I Don't Even Know Myself)

 

Chapter 2: Blood

 

Non ci avevo pensato.

Non avevo pensato che avrei potuto incontrare lui, uscendo di casa questa sera. Erano settimane, forse mesi, che non lo vedevo. E oggi, una giornata come un'altra, nuvolosa e umida, la radio che snocciola nomi di vittime, i passanti tranquilli che passeggiano per le strade, è ricomparso nella mia vita. Riportando a galla tutto, come sempre, quando lo vedo. E fa male, ogni volta, vedere quegli occhi grigi così simili ai miei, vedere quel lampo di affetto subito soffocato, quell'indurirsi dei suoi lineamenti, come se si sforzasse di non salutare, o sorridere, o solo farmi capire che mi riconosce. Fa male, ogni singola volta, ricordare quegli stessi occhi, sorridenti e luminosi, quando gli raccontavo le storie, la notte, nella sua camera, sussurrando perché nostra madre non ci sentisse. Lui tremava di paura, nella grande casa silenziosa, io narravo buffe imprese di eroi stravaganti e scherzavo, e ridevo, finché mio fratello, il mio fratellino, non si addormentava, la testolina scura appoggiata sulle mie gambe. E fa ancora più male ricordare quel viso così delicato, che sembra quasi una fotocopia del mio, segnato dalle lacrime e da graffi sanguinanti, le labbra tremanti, un livido sullo zigomo, la determinazione a non parlare, a non dirmi che erano state le mani di nostra madre a fargli ciò.
Passa di fianco a me solo per un secondo, le nostre spalle si sfiorano appena, e già i ricordi minacciano di sommergermi fino a farmi affogare nel dolore e nella rabbia. Le mie gambe continuano a muoversi, quasi meccanicamente, senza che io lo voglia, un passo dopo l'altro, la mia vista è come annebbiata.
E d'improvviso vedo ancora un'ultima immagine dei suoi occhi, questa volta venati di rosso, la sua bocca umida e contorta, i suoi lineamenti stravolti e la mano che, tremando, regge una bacchetta. Quell'ultima notte a casa, quelle iridi che mi urlavano di restare e le sue grida incrinate che, invece, mi intimavano di uscire, di andarmene subito, coprendomi di insulti. E io che, le mani sporche del mio stesso sangue, scosso dai brividi, uscivo senza voltarmi indietro.

 

Aveva ragione.
Aveva ragione e non posso nemmeno dirglielo, non posso nemmeno fermarmi a parlargli, ad annunciargli che ho capito, che aveva ragione lui, che mi dispiace. Non posso abbracciarlo. Non posso più ridere con lui come quando eravamo bambini, rifugiarmi al suo fianco, pieno di paura, l'orecchio teso a sentire il rumore di passi avvicinarsi sempre di più, sapendo che lui mi difenderà. Qualsiasi cosa succeda.
Qualsiasi cosa...sono passati anni da quei momenti, e quasi desidero tornare agli attimi di terrore paralizzante, di terribile attesa, pur di sapere che mi proteggerebbe...perché alla fine è bastato che lui si allontanasse da casa per separarci. Sono bastati Hogwarts, un assaggio di libertà e un ragazzo che, ormai, era un fratello migliore di me. E ora non riesco a immaginare Sirius senza lui al suo fianco, senza James Potter a sostenerlo quando la vista dei suoi famigliari, il peso del suo passato, erano troppo per lui. E Sirius sarà anche bravo a mantenersi freddo e distaccato, ma nei suoi occhi, i suoi occhi che sono così da Black da stonare paurosamente con la persona che è diventata, è passato un lampo di sbigottimento e dolore quando mi ha visto.
Non so a quale punto delle nostre vite abbiamo smesso di essere davvero fratelli, non so quando ci siamo allontanati così tanto da sentire che nulla sarebbe mai più stato lo stesso. Non lo so. So solo che devo fare violenza su me stesso per non voltarmi e correre, afferrare la sua mano e cancellare gli ultimi anni, ricordargli che io sono ancora qui, che mi manca. E fargli sapere che, finalmente, il velo che avevo davanti ai miei occhi si è sollevato. E capisco. E vedo tutto l'orrore che i miei parenti hanno causato, tutto il male, il marcio di coloro che ho sempre chiamato “famiglia”. Corrotti. Sadici. Crudeli. Fanatici. E io ero uno di loro, succube delle loro idee, incapace di ribellarmi. Ora ho capito,troppo tardi, ora sto per fare qualcosa che, spero, rimedierà in parte a tutti i miei errori. Lui non mi perdonerà, non saprà. Ma io devo farlo. Devo fare finalmente qualcosa di giusto, di buono, per cambiare il disastro che è la mia vita, anche solo per convincermi che sono meglio di ciò che sono diventato. Dopotutto, questo lo renderebbe fiero di me...

 

Perché si è fermato?
Perché trema, come scosso dai brividi, immobile nel mezzo della strada?
Mi sono voltato a guardarlo e il giovane che camminava risoluto e impassibile ha lasciato spazio, nuovamente, al bambino terrorizzato. Non si muove, le spalle ingobbite, le mani strette a pugno, il suo corpo sottile, avvolto in un cappotto, trema impercettibilmente, tanto che se non fossi così abituato ad osservarlo da lontano, nemmeno lo noterei. Qualche goccia di pioggia comincia a cadere sui suoi capelli color inchiostro, eppure Regulus non si muove. Io, paralizzato dal dubbio, tengo gli occhi puntati sulla sua schiena. Si è fermato, come in preda allo shock, ma perché? Non può essere perché mi ha visto. Tutta l'indifferenza che ha mostrato negli ultimi anni non poteva essere falsa. E, ormai, lui è una mela bacata, corrotta da quei folli dei nostri...dei suoi famigliari. Mi è sembrato pallido, però, più del solito. E l'ho amato troppo e troppo a lungo per non accorgermi che è turbato...ma chi non lo è, di questi giorni...No. Qualunque sia il motivo che l'ha indotto a fermarsi, qualunque sia la ragione del suo evidente malessere, non è affar mio. E io non me la sento di essere respinto un'altra volta. Non sono abbastanza forte.
Giro la testa e ricomincio a camminare. Decidendo, finalmente, di non tornare indietro. Decidendo, forse per la prima volta nella mia vita, che Regulus è perduto, che è ora di lasciar perdere, di rinunciare.
James mi aspetta. Mio fratello mi aspetta.

 

Sirius”
Mi accorgo solo dopo averlo detto di aver sussurrato, invece di gridare. Nel momento in cui la mia voce roca lascia la mia gola, capisco che è meglio così. E' bastato incrociarlo per strada per farmi vacillare, non so che effetto potrebbe farmi guardarlo in faccia. I ricordi di quel ragazzo così simile a me, eppure così infinitamente più forte di me, tanto da riuscire a fuggire al terrore di un mondo così soffocante, un mondo che annienta la volontà di chiunque vacilli, anche solo un secondo, si sbiadiscono per lasciare posto ad una voce concitata. Frammenti del racconto confuso di Kreacher rimbombano nella mia testa. Mi accorgo che sto tremando, e capisco che non posso farlo. Che non ci riuscirò. Che non ho il coraggio sufficiente.
Affondo le mani, così bianche da virare al bluastro, nelle tasche del cappotto. Fredde gocce di pioggia scivolano sulle mie guance. Mi giro con decisione e lo guardo, cammina velocemente e con determinazione, la testa fermamente puntata davanti a sé, non esita nemmeno per un secondo. Non si è fermato, non ha pensato di chiamarmi, di avvicinarsi. Non è stato colto dal dubbio, da una lotta interiore. Va per la sua strada, come sempre. Ormai si è rassegnato, ha deciso che non vale la pena di lottare per me. E come biasimarlo...è colpa mia, dopotutto. Ero un fantoccio dei Mangiamorte. Un burattino, un immondo burattino. O forse no.
Forse ero io quel ragazzo che ha commesso atti inenarrabili, che credeva nel sogno di un mondo “puro”. Forse nessuno mi ha costretto, forse l'ho scelto io...forse devo prendermi la responsabilità delle mie azioni. Non posso correre da lui, nemmeno se sono cambiato, nemmeno se è la cosa che più desidero in assoluto. E' colpa mia. E non posso fuggire. Non posso fare il codardo, non un'altra volta. Ho una possibilità per cambiare i piani di quella setta di invasati, per rimediare, almeno in parte, ai miei errori, per non cedere nuovamente all'oscurità.
Il balbettio di Kreacher si mischia, nella mia testa, alla risata, simile ad un latrato, di mio fratello. E sarò più vicino a lui se lo farò, sarò la persona che avrei dovuto diventare anni fa. Stringo le labbra, consapevole che, se corressi verso di lui e gli raccontassi tutto, lo metterei in pericolo. E non posso. Kreacher è ancora in casa (se un luogo di cui non hai ricordi che non abbiano il sapore del sangue o della paura si può chiamare tale) e c'è qualcosa che devo fare. Ricomincio a camminare, voltando le spalle a Sirius per quella che probabilmente sarà l'ultima volta. Grimmauld Place è vicina, e la notte sta calando.

 

E se non fosse vero?
Se si fosse fermato per dirmi qualcosa? Se stessi sbagliando a lasciarlo camminare lontano da me un'altra volta? Forse, se le cose fossero andate diversamente, ora non sarei così scosso dall'aver visto Regulus, l'avrei salutato, sorridendo, non soffrirei. Non soffriremmo. Saremmo felici, per quanto felici si possa essere in un mondo in guerra, costantemente sul punto di cadere a pezzi. Se le cose fossero andate diversamente...se la mia famiglia corrotta e folle (Toujours Pur, che ironia...), non avesse trascinato anche lui nel suo vortice di sadismo e pazzia...se io avessi fatto qualcosa in più.
Perché, forse, avrei potuto salvarlo, avrei potuto salvare quel bambino fragile e spaventato che veniva picchiato, quel ragazzino serio che rideva forzatamente tra i Serpeverde, che è cresciuto ed è diventato esattamente come mio padre, un anonima e silenziosa pedina di Voldemort. Forse avrei potuto rimanere al suo fianco. Forse avrei potuto sacrificarmi al suo posto. Forse è anche colpa mia. Ma ormai lui è così lontano che a malapena distinguo la sua figura esile e io, forse, non sono poi così coraggioso.

 

Addio...”,
Lo sussurro alla porta di Grimmauld Place, forse rivolto a quell'uomo, quel ragazzo che ho incontrato per strada, e che una volta conoscevo come me stesso. Rivolto a mio fratello. Apro a fatica la porta ed entro nel corridoio buio. La casa fredda mi appare così distante da me, da tutto ciò che sono, mi sembra di trovarmi in un sogno confuso e sfocato. Non mi sono nemmeno accorto di essere arrivato davanti all'armadio di Kreacher. Fisso il nudo legno dell'anta, pronto a fare quello che devo. Sto per tradire la mia famiglia, eppure non mi sono mai sentito così puro. Sto per tradire la mia famiglia, eppure non mi sono mai sentito così fedele a chi amo. Sto per tradire la mia famiglia. E con lei tutto quello in cui ho sempre creduto.
Tremo ancora, gocce di sudore scivolano dalla mia fronte sul mio volto contratto in una smorfia. L'ironia di questa situazione fa quasi ridere. E rido, allora, rido per la prima volta in troppo tempo. Poi apro l'anta dell'armadio, l'immagine di due occhi grigi, proprio come i miei, fissa nella mia testa. Le mie labbra umide ancora stirate in un sorriso quasi folle. E' ora.
 

Toujours Pur”

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