Troppo tardi per amare

di Bel Riose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bentornato sulla Terra ***
Capitolo 2: *** Al cospetto dell'Imperatore ***
Capitolo 3: *** Il potere del tirannno ***



Capitolo 1
*** Bentornato sulla Terra ***


L’Isola che non c’è era ormai lontana, scomparsa alle spalle del ragazzino che ora sfrecciava nel cielo diretto alla meta tanto ambita dal suo cuore.
Era stata una decisione sofferta, ma conseguenza inevitabile di un’altra molto più dolorosa, il lasciare l’Isola. Ma Peter aveva ormai imparato che al cuore non si comandava, che era lui a comandare.
Così, nonostante tutto, era senza remore particolari che volava diretto verso Londra; o meglio, una remora c’era eccome: quella di non aver seguito il volere del cuore quando ne aveva avuto la possibilità, quando Wendy se ne era andata. Ma ora, pensava tra se e se Peter, tutto si sarebbe rimesso a posto, tutto sarebbe andato come doveva andare, per lui non c’era altra soluzione plausibile; lo aveva capito, con certezza assoluta, quando si trovava ancora sull’Isola, intento come sempre a rimuginare, tra la folta foresta, seduto su di un masso, sulla giovane Darling: era stato allora che aveva sentito, dentro di lui, come una voce, un richiamo, la presenza di Wendy che sembrava volerlo chiamare di nuovo a Londra. E lui, ovviamente, non aveva esitato.
La nebbia iniziò a circondare Peter; la tipica nebbia inglese dell’alba.
Ma il ragazzo non riusciva ancora ad intravedere nulla della città, come neppure del terreno sottostante.
Cominciò ad abbassarsi lentamente, nel tentativo di trovare la casa dei Darling una volta che Londra gli si fosse parata innanzi in tutto il suo splendore. Ma, con suo grande stupore, non vide nulla.
Evidentemente, pensò, la nebbia era davvero densa quel giorno.
Dentro di lui, però, sentiva quel richiamo già sentito sull’Isola ricomparire più forte, ed aumentare di intensità mano a mano che avanzava, come un faro nell’oscurità.
Ed il ragazzo continuò nella discesa, nella speranza di individuare almeno qualche tetto su cui appoggiarsi e poter sfruttare come punto di riferimento. Ma ancora, come prima, fu il nulla ad accoglierlo, e nell’animo di Peter iniziò ad insinuarsi il dubbio.
D’un tratto, quindi, decise di scendere in picchiata, il più velocemente possibile. E mano a mano che scendeva, la nebbia iniziò a diradarsi, lasciando spazio all’oscurità dell’alba appena iniziata.
Comparve un prato, di quel verde perfetto ed omogeneo tipico solo dell’Inghilterra, ma ancora nessun edificio, nessuna luce.
Delicatamente, ma con velocità come solo lui poteva fare, Peter atterrò, e si guardò attorno: il verde si stendeva in lungo e in largo, qualche collinetta qua e là; poi, il suo sguardo venne attirato da una sagoma semi-invisibile per l’oscurità, ed egli le si diresse incontro. A prima vista, sembrava un edificio.
E mentre avanzava, si accorse che, in effetti, tutto attorno a lui si ergevano sagome di molto simili; e che l’erba, di tanto in tanto, era interrotta da frammenti di quella che sembrava essere stata, un tempo, una strada. Il richiamo si faceva sempre più forte.
Poi, d’un tratto, ecco il sole fare capolino dall’orizzonte, e diffondere i suoi raggi su tutto il paesaggio: quel poco di nebbia rimasta sparì, l’oscurità iniziò a cedere il passo alla luce.
E davanti a Peter si mostrò, finalmente, Londra o, più precisamente, quel che ne rimaneva: le sagome si rivelarono essere scheletri di palazzi da tempo distrutti, e rovine quasi irriconoscibili erano sparse un po’ ovunque, coperte dall’erba.
Londra non esisteva più, e da moltissimo tempo ormai, da come sembrava.
Peter rimase immobile, come pietrificato a quella tetra visione, senza che riuscisse più a muovere un passo, persino la mente era ferma, come scioccata.
Non si accorse del singolare rumore che si udiva per l’aria; un rumore lievissimo, quasi un sussurro, che si faceva però chiaramente sempre più vicino.
Né si accorse dei passi alle sue spalle, accompagnati da suoni metallici.
Solo l’improvviso rimbombare nell’aria di una sirena squillante riuscì a scuoterlo da quello stato, ed egli iniziò a guardarsi attorno, confuso: e vide così una trentina di soldati con strane armi ed equipaggiamenti circondarlo, e puntare contro di lui i loro fucili.
Poi, comparve anche la causa del rumore di prima: tre velivoli avveniristici chiaramente militari spuntarono da dietro la rovina più alta, il muso rivolto verso Peter, minacciosi, le armi pronte al fuoco.
Subito dopo, un uomo che indossava una uniforme grigio scuro con ben in vista numerose mostrine e medaglie, accompagnato da due soldati diversi dagli altri, totalmente vestiti di nero, si fece avanti, verso Peter.
- Salve- disse, con un sorriso quasi maligno sul volto.
Il ragazzo lo squadrò, poi rispose:- Chi siete?Da dove venite?- - La domanda corretta sarebbe: da dove vieni tu.- replicò freddamente l’ufficiale- Ma questo comunque non ha molta importanza, direi- breve pausa, poi aggiunse, accompagnando le parole con un gesto rivolto ai due soldati accanto a lui:- Prendetelo.-
I due avanzarono verso Peter, il volto coperto da un casco, ed il ragazzo, vedendoseli venire incontro, fece per librarsi in volo. Ma non fece neppure in tempo a muovere un muscolo, che uno dei due soldati, con una velocità impressionante, inumana, alzò il braccio verso di lui, e dalla mano comparve una scarica elettrica che fulminò il ragazzo e lo fece cadere a terra, svenuto.
L’ufficiale raggiunse il ragazzo privo di sensi insieme ai due uomini e rise gelidamente:- Bentornato sulla Terra, mio caro Peter Pan.-

Quando riaprì gli occhi, Peter dovette faticare non poco per farli adattare alla luce intensa che illuminava la piccola stanzetta dove si ritrovò. Si massaggiò la testa, gli doleva in maniera incredibile, e cercò di capire dove si trovava, e cosa fosse successo, ma scoprì di avere una sorta di vuoto di memoria; per un po’ rimase fermo, seduto sul freddo pavimento di quella che era a tutti gli effetti una cella di detenzione, cercando di ricordare il suo volo verso Londra, verso Wendy.
Wendy.
Non appena il pensiero andò a lei la memoria tornò, tutta d’un colpo, come un fulmine. Ed il ragazzo si ricordò quel che era accaduto, e davanti a lui poteva ancora vedere, nitida, l’immagine di quella Londra che non c’era più.
Si ricordava anche dei soldati, dell’ufficiale e delle sue due guardie che lo avevano aggredito. Era ovvio che lo avevano preso. Ma dove si trovava ora? Dove lo avevano portato?
Si guardò intorno: nessuna finestra, nessuna porta. Che razza di posto era mai quello?
Si mise in piedi, e rimase a lungo ad osservare il suo nuovo alloggio, nel vano tentativo di capire come fare ad uscire.
Per ore si girò e rigirò, ma alla fine non ce la fece più ed urlò, sbattendo i pugni contro le pareti:- Fatemi uscire!-
Nulla. Nessun rumore, nessun suono.
Continuò per diversi minuti a sbattere sulle pareti, con sempre maggiore forza, lanciando urli sempre più alti, quasi pensasse di distruggere in tal modo quelle mura completamente bianche, al pari del pavimento.
Poi, infine, cadde a terra esausto, e si stese sul pavimento, fissando quel soffitto di un bianco accecante, cercando di ricordare il bel volto di Wendy, i momenti che aveva trascorso con lei sull’Isola, sicuramente i più belli della sua lunghissima vita.
Per quale motivo aveva rifiutato tutto ciò, tanti anni prima? Con quale coraggio aveva detto di no all’amore?
Lo prese una fitta al cuore. Tutto era cambiato, nulla era più come un tempo, prima della venuta di Wendy.
Lui per primo non era più lo stesso di una volta, non era più, ormai, il bambino che non voleva crescere; iniziava a rendersene conto solo adesso.
E pianse.

In un enorme salone semi-avvolto nelle tenebre, l’ufficiale che aveva catturato Peter poco prima era ora in piedi, alla base di una scalinata marmorea su cui sorgeva un trono occupato da una sagoma quasi invisibile per l’oscurità che regnava sovrana.
Poco oltre l’ufficiale, una proiezione olografica sospesa a mezz’aria mostrava l’interno della cella dove era stato rinchiuso il ragazzo, proprio mentre costui si lasciava andare a quel pianto liberatorio.
Dopo aver dato una veloce occhiata all’immagine, l’ufficiale si volse verso il trono:- Crede che possa bastare, mio signore?-
Gli rispose una voce incredibilmente atona e gelida, che non esprimeva alcun tipo di emozione: - Si. Basta, ora. Conducetelo da me, Generale.-
Il Generale, annuì, fece un profondo inchino ed uscì dal salone, oltrepassando un immenso portone che si aprì e si richiuse automaticamente al suo passaggio.
La sagoma rimase ferma sul trono, e continuava a fissare l’immagine olografica. Nell’oscurità si potevano vedere brillare come di luce propria due occhi grigio perla, glaciali come la voce di prima.
Era giunto il momento, quindi.
Il momento di scrivere finalmente la parola fine su quella storia che durava ormai da oltre cinquanta secoli.

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Capitolo 2
*** Al cospetto dell'Imperatore ***


Peter rimase quasi scioccato quando vide una parte della parete della sua cella scomparire per far posto ad una porta, che si aprì subito dopo per far entrare il Generale, ancora una volta scortato da due soldati completamente vestiti di nero, identici a quelli che lo avevano catturato.
Fu quasi per istinto che, non appena li vide entrare, Peter si appiattì contro la parete opposta.
Il Generale gli si avvicinò, sul volto sempre quel sorrisetto malizioso: - Devi venire con noi, ora.-
Peter non si mosse.
Il Generale scosse il capo al vedere la reticenza del ragazzo, poi fece dietro-front, e si fermò davanti la soglia.
Nuovamente, come al momento della cattura, senza però voltarsi a guardare Peter, con un gesto della mano destra ordinò ai due soldati di prenderlo.
Stavolta, però, nonostante tutto, Peter non cercò di sfuggire: sapeva che era impossibile.
Così, i due lo presero di peso per le braccia e lo trascinarono fuori, per un lungo corridoio, anch’esso, come la cella, completamente bianco.
Dopo una decina di minuti, uscirono infine dall’edificio e si ritrovarono in uno spiazzo molto grande, al centro del quale, ad aspettarli, stava un velivolo dalla livrea incredibilmente elegante.
Il Generale vi salì per primo, seguito poi a ruota dagli altri tre.
Peter non ebbe neppure il tempo di guardarsi attorno che già si ritrovò seduto su di un sedile, circondato dai soldati ed immobilizzato da una sorta di campo energetico.
L’unica consolazione era la presenza di un vetro accanto a lui che gli permetteva di vedere l’esterno.
Pochi minuti, il tempo per tutti di sistemarsi al proprio posto, con il Generale che si sedette di fronte a Peter, di tanto in tanto guardandolo freddamente, ed il velivolo iniziò le fasi di decollo e si librò nell’aria per qualche secondo prima di accelerare bruscamente in avanti.
Nei quindici minuti che seguirono Peter potè vedere stendersi dinanzi a se qualcosa che non aveva mai neppure immaginato: una metropoli immensa, sconfinata, i cui altissimi grattacieli risplendevano alla luce del giorno come fossero di cristallo; migliaia di velivoli scorrevano febbrilmente tra di essi.
Ma la cosa che colpì più di tutte le altre il ragazzo fu il fatto che ogni edifico, ogni strada era completamente avvolta dal verde: terrazze, giardini, viali alberati, tutto era un tripudio di natura, perfettamente inglobata nelle meraviglie artificiali.
Infine, si giunse dinanzi ad un edificio colossale, a tal punto che il grattacielo più alto che Peter aveva visto fino ad ora sembrava ben poca cosa in confronto: era semplicemente enorme ed altissimo, tanto che la parte più alta risultava completamente avvolta dalle nubi.
Il velivolo si portò verso l’edificio, un hangar si aprì e vi entrò, atterrando con grazia su di una piattaforma.
Il Generale si alzò, con lui i soldati, e nuovamente Peter si ritrovò ad essere trascinato fuori.
Non ci volle molto prima che il gruppetto giungesse nella Sala del Trono. Quando furono davanti all'enorme ingresso, il Generale lo fece aprire, poi si fece rispettosamente indietro, indicando il buio della sala a Peter:- Entra.-disse.
Il ragazzo venne spinto dentro, e subito le porte si richiusero alle sue spalle, lasciandolo solo, nella semi-oscurità.
Più per una strana curiosità che per altro, iniziò ad avanzare, ma non fece in tempo a compiere qualche passo che venne bruscamente interrotto dalla voce proveniente dal trono:- Ma guarda chi si vede: Peter Pan nel mio palazzo. Quale onore.-
Il tono era chiaramente ironico, ma di una ironia che strideva con la freddezza della voce, rendendo il tutto estremamente inquietante.
Peter si diresse verso l'origine della voce:- Chi sei?Cosa vuoi da me?- chiese.
Si udì una gelida risatina:- Cosa voglio io? No, non è importante cosa voglio io. Quello che importa è cosa vuoi tu.-
-Che vuoi dire?-
-Perchè sei qui?-
-Perchè mi ci avete trascinato.-
- Risposta sbagliata.-
A questo punto, Peter tacque; non riusciva proprio a comprendere il senso di quel discorso.
Ora riusciva a vedere gli occhi grigio perla.
La voce continuò:- Non capisci, vero? Non c'è da stupirsene, d'altronde. Sei così ottuso da non riuscire a vedere un centimetro oltre il tuo naso.- poi aggiunse, sottovoce:- Disattivazione oscuramento vetrate.-
Lentamente, i raggi del sole iniziarono ad illuminare la sala, provenendo da delle enormi vetrate poste a destra di Peter; lentamente, il ragazzo potè vedere il suo interlocutore.
Era un giovane di non più di venti anni, dai capelli biondissimi che incorniciavano un volto quasi pallido. Era seduto su di un trono completamente d'oro, ed indossava una uniforme completamente nera.
Peter stette per un pò a guardarlo, quel giovane, e fissando il suo sguardo, ora potè leggervi una nota di profonda tristezza racchiusa in un involucro di freddo distacco, come se cercasse di non provare alcuna emozione pur di non mostrare quella mestizia.
Il giovane riprese la parola:- Bene, vorrà dire che ci arriveremo poco per volta…nel frattempo vedrò di regolare i conti con te una volta per tutte…-
Il tono di voce era talmente glaciale che un brivido percorse tutto Peter:- Ma si può sapere cosa vuoi?- chiese.
Il suo interlocutore non rispose.
Invece, si alzò e scese qualche gradino della scalinata sulla quale poggiava il suo trono, lo sguardo sempre inespressivo:- Attivare proiettare.- disse poi ad alta voce.
Immediatamente, al centro della sala, a pochi metri da Peter, comparve come dal nulla una grande proiezione olografica, che rappresentava una sorta di arcipelago.
Per Peter fu quasi automatico voltarsi a guardare.
Rimase come pietrificato: uno sguardo gli bastò per riconoscere luoghi che conosceva fin troppo bene.
Il villaggio degli indiani, il Jolly Roger, la grotta delle sirene…tutto questo Peter poteva vedere ora accanto a sé; ed mentre li guardava, sempre più provava un senso di orrore, come presentimento di qualcosa di imminente ed orribile.
-Mi sembra inutile dirti cosa è questo- riprese il giovane:- Ma sono sicuro che invece vorrai sapere perché te lo sto mostrando, vero?-
Peter non rispose; rimase a guardare quell’immagine, prodotto da una tecnologia che non aveva mia visto prima.
Il giovane sospirò:- Questo è tutto quello che entro poco tempo scomparirà per sempre, cancellato una volta per tutte dalla faccia dell’universo.-
Peter si voltò a guardarlo, ma ancora una volta non ebbe la forza di dire alcunché, mentre l’interlocutore gli ricambiava lo sguardo:- Sei stupito, forse? O spaventato?- chiese, con tono chiaramente ironico, di una ironia che aveva un chè di malefico.
Finalmente, Peter si decise a parlare:- Cosa vuoi fare?-.
La sua voce somigliava più ad un flebile sibilo.
- Penso che sia evidente..- fu la risposta:- Ma ora ti mostrerò più nel dettaglio.- poi, nuovamente ad alta voce:- Mostrare piano d’attacco.-
La rappresentazione olografica si riempì di colpo di tante immagini: sul mare quelle che sembravano navi da guerra, sulla terraferma enormi camminatori e carri armati; in alto, nel cielo, enormi vascelli fluttuanti nell’aria.
Tutti i vari pezzi si disposero velocemente in schieramento, e il giovane aggiunse:- Mostrare risultato previsto.-
La rappresentazione si riempì di quelle che sembravano essere esplosioni, innumerevoli esplosioni, alcune di grandiosa entità, e ben presto Peter vide svanire il villaggio degli indiani, crollare la grotta delle sirene, disintegrarsi il Jolly Roger.
Rimase inorridito.
L’altro tornò a guardarlo:- Allora, che te ne pare? Non è meraviglioso? Ma devi sapere che tutto questo è solo il termine di un processo molto più lungo e laborioso.-
- A cosa ti riferisci?- ora la voce di Peter era quasi un urlo, un urlo di disperazione mascherato da una nota di arroganza.
Il suo interlocutore rimase, come sempre, impassibile:- Dovresti imparare che ci sono modi più educati per chiedere qualcosa. Ma non mi stupisco di questo tuo atteggiamento…gli animali diventano più aggressivi quando si sentono in trappola…comunque sia, te lo dirò ugualmente: io non ho solo intenzione di spazzare via l’Isola che non c’è e tutto quello che vi è sopra, ho anche intenzione di farla morire lentamente, insieme a te….molto lentamente.-

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Capitolo 3
*** Il potere del tirannno ***


Peter rimase fermo all'udire l'imperatore, pure non completamente immobile: fremeva quasi impercettibilmente.
Fremeva di ira.
L'imperatore, dal canto suo, sembrava quasi, pur nella sua apparente inespressività, soddisfatto di quella reazione, come fosse proprio quello che cercava, quello che voleva vedere.
- Sei stupito, forse?- diceva- oppure semplicemente terrorizzato? Di sicuro, però, vorrai sapere cosa ho intenzione di fare...-
Nessuna risposta.
L'imperatore prese allora a girare attorno all'immobile Peter, gli occhi grigi fissi su di lui:- Bene...prenderò il tuo silenzio come un si.-
Un breve sospiro, quindi riprese:- Mi sembra opportuno dirti una cosa: io so tutto di te, dell'Isola che non c'è, dei suoi abitanti e dei suoi luoghi. Conosco ogni signolo centimetro quadrato, anche il più minuscolo anfratto...ma la mia conoscenza non si limita a luoghi e persone...-
Peter continuò a guardare fisso davanti a se, solo di tanto in tanto lanciando un fuggevole sguardo al suo interlocutore.
- In parole povere- continuò questi:-Io so perfettamente quale è la natura del tuo mondo, Peter, e la tua. E, cosa più importante, conosco il metodo per distruggerla, per farla sparire dall'universo come se non fosse mai esistita...ed è propriamente quello che ho intenzione di fare: cancellarvi, te ed il tuo mondo, come si cancella uno scarabocchio fatto a matita da un foglio.-
Fece una breve pausa, poi continuò:- Come avrai notato venendo qui, io posseggo cose che tu prima d'ora non potevi neppure immaginare...e quello che hai visto era solo un minuscolo, insignificante pezzo, diciamo pure un misero assaggio di ciò di cui io sono capace.-
Cacciò da una tasca un minuscolo oggettino.
Peter lo guardò, più automaticamente che di propria volontà: era un rettangolino completamente liscio.
L’imperatore continuò il suo discorso: - Ecco: questo è lo strumento per mezzo del quale morirai.-
Sembrava quasi sghignazzare, non fosse che era completamente atono nel tono ed inespressivo nel volto.
Peter era stupito: cosa diamine era quello?
- Dunque, questo è un piccolo gioiello di tecnologia…si tratta di un sofisticatissimo computer miniaturizzato che, impiantato sul collo di una persona, ne permette di controllare finanche il più recondito pensiero.
Uno strano, inquietante timore si fece strada nella mente di Peter, mentre l’imperatore giocherellava con quell’oggetto:- Ciò che ho intenzione di fare è semplicissimo: ordinerò di applicare questo simpatico giocattolino a tutti gli abitanti del mio Impero, in special modo ai bambini, di modo che controllerò tutti i loro pensieri, le loro fantasia. Perché sono questi che hanno creato te ed il tuo mondo, non è forse vero, Peter? Sono loro a mantenerlo in vita: i pensieri e le fantasie. Lentamente, ma inesorabilmente, io cancellerò pezzo dopo pezzo l’Isola che non c’è…e quando sarò sicuro di averti fatto soffrire a sufficienza, invierò le mie truppe e la spazzerò via una volta per sempre..-
Un abbozzo di sorriso comparve sul volto dell’imperatore, mentre pronunciava queste parole.
Aggiunse:- E se stai pensando che tanto esistono tanti altri posti dove io non regno, beh- scrollò le spalle:- Mi spiace informarti che io sono il sovrano di tutta l’umanità, il mio regno si estende lungo tutto l’Universo…come puoi capire da te, oltre il mio Impero c’è solo il nulla.-
Peter era esterrefatto, incredulo: davvero quel giovane aveva ai suoi piedi l’intero universo? Davvero egli poteva governare le stelle? Davvero poteva controllare i pensieri di tutti i suoi sudditi? Peter stentava a crederci. Mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che esistesse una persona tanto potente.
Mai.
Ma al di là dell’incredulità, una marea di domande ora assillavano Peter:- Se puoi fare tutto questo, allora mi puoi dire perché mi hai condotta qui? Perché mi hai preso prigioniero, quando puoi uccidermi ad uno schiocco di dita sulla mia Isola?- chiese.
L’imperatore sembrò diventare più cupo di quanto non fosse già, ma non rispose.
Si limitò a voltarsi e ad incamminarsi nuovamente verso il suo trono, mentre chiamava le guardie.
Il portone d’ingresso si aprì ed il Generale entrò nella sala accompagnato dai soliti soldati.
L’imperatore fece loro un cenno con la mano e le guardie presero Peter e lo trascinarono fuori, senza che questi opponesse resistenza.
Quando il portone si richiuse, nella sala rimasero solo l’imperatore ed il Generale.
- Cosa ne dobbiamo fare, ora?- chiese questi.
- Procedete come stabilito, Generale.- fu la perentoria risposta dell’imperatore, che nel frattempo si era riseduto.
Il Generale chiese nuovamente:- Ritenete davvero che sia necessario? Perché non passiamo subito ad eliminarlo?-
L’imperatore lo fulminò con gli occhi:- Questi sono gli ordini, Generale. Lei dovrà solo eseguire, chiaro?- fece una breve pausa, poi aggiunse:- C’è ancora qualcosa che Peter deve vedere.-
E mentre parlava, lanciò a terra il piccolo computer, frantumandolo.

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