Rainy days

di Tamar10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How everything began ***
Capitolo 2: *** Family dinner ***
Capitolo 3: *** Lost and found ***
Capitolo 4: *** Rain in the wasteland ***
Capitolo 5: *** How everything began (again) ***



Capitolo 1
*** How everything began ***


Note:
Ci tengo particolarmente a questa storia, probabilmente perché è nata di getto proprio durante delle camminate sotto la pioggia milanese di questi giorni. Personalmente mi piace la pioggia e ho pensato che anche se il nostro caro Colonnello la detesta tanto (perché lo rende inutile, come tutti tengono a ricordargli) devono pur esserci stati dei giorni di pioggia che ricorda con felicità.
In tutto saranno cinque capitoli (ho già praticamente finito di scriverli tutti) che procedono in ordine cronologico e seguono l'evolversi del rapporto fra Roy e Riza, compariranno anche gli altri membri della squadra però serviranno più che altro come sfondo. Questo è il più breve e anche quello che mi piace meno, anche perché è un episodio molto trattato, ma era necessario come introduzione.
Spero che la storia possa piacere e vi chiedo che mi lasciate delle recensioni per sapere se ha senso andare avanti a pubblicare o meno.



 
 
Roy aveva passato notti a studiare la schiena di Riza. Il giorno doveva compiere il suo lavoro da militare, ma la notte si recava nella casa che era stata del suo maestro e al lume di una lanterna cercava di decifrare il tatuaggio che la ragazza aveva impresso sulla pelle. Era diventato una specie di rito, strano e infelice, ma Roy era ben felice di sacrificare le sue ore di sonno per quello. Non era solo la possibilità di poter finalmente dominare l’Alchimia del Fuoco, ma anche solamente per poter passare del tempo con la signorina Hawkeye.
Non che si divertissero, ogni notte era stato sempre lo stesso rituale: lei che gli apriva la porta, scambiava pochi convenevoli, poi si spogliava dalla cintola in su e si sdraiava sul letto. Per le prime due notti aveva anche pianto, in silenzio, ma non aveva potuto nascondere i singhiozzi. Roy non aveva osato parlare, in parte perché non avrebbe saputo cosa dire, in parte perché sapeva che qualsiasi cosa avrebbe detto non sarebbe servita.
Suo padre le aveva inciso la propria ricerca sulla schiena, cosa si poteva provare in questi casi? Inoltre lui non aveva alcun diritto di giudicare, la stava studiando, come se fosse un dannatissimo libro. Quella era stata la prima volta che aveva pensato che gli Alchimisti fossero delle persone orribili.
La terza notte aveva preso coraggio, forse anche perché lei non stava più piangendo, e le aveva proposto che, vista la situazione, avrebbero pure potuto cominciare a chiamarsi per nome. Aveva provato a buttarla sul ridere nella speranza di riuscire a strapparle almeno un sorriso, non c’era riuscito ma perlomeno lei gli aveva accordato quel permesso.
Le notti successive aveva scoperto che era più facile parlarle quando la chiamava Riza, anche se le risposte che otteneva erano poco più che monosillabi e non è mai piacevole conversare con qualcuno di cui vedi solo la nuca. I suoi erano più che altro dei monologhi, le raccontava della sua vita o della sua giornata o dei suoi sogni, parlava a ruota libera cercando di distrarla, di ricordarle che lei non era un manoscritto o un libro, ma una persona.
La penultima notte fu la prima volta che lei lo interruppe.
“Certo che parli un sacco. Sicuro di riuscire a studiare e chiacchierare contemporaneamente?”.
Roy rimase spiazzato per qualche secondo, cercando di capire se fosse una sorta di umorismo o un secco rimprovero, probabilmente era entrambe le cose.
“Riesco a fare più cose insieme” replicò, non senza una punta di orgoglio “E poi ho quasi finito”.
La ragazza irrigidì le spalle per un attimo, ma poco dopo le rilassò nuovamente.
“Bene, si concentri” disse semplicemente, tornando automaticamente al lei.
Quando l’ultima notte dichiarò lo studio concluso e vide Riza riallacciarsi la camicetta per quella che sarebbe stata l’ultima volta Roy fu sommerso da un fiume di tristezza, sapeva che difficilmente le loro strade si sarebbero ri-incrociate. Certo, era euforico per ciò che aveva appreso, ma forse non gli sarebbe dispiaciuto metterci un po’ di più per svelare i segreti del suo maestro per trascorrere altro tempo in compagnia di sua figlia.
All’improvviso fu fulminato da un’idea, mancavano ancora almeno due ore all’alba quindi aveva tempo per provare ciò che aveva imparato e, per la prima volta, gli sarebbe piaciuto fosse presente anche Riza.
“E su cosa vorrebbe provare?” domandò lei, guardandosi intorno lievemente preoccupata, quando lui le espose la sua idea.
“Possiamo andare nei boschi intorno alla casa”.
Sorprendentemente non fu troppo difficile convincerla, forse era curiosa di vedere coi suoi occhi se il progetto a cui suo padre aveva dedicato tutta la sua attenzione, a scapito di sua figlia, funzionasse davvero. Roy si disegnò un cerchio alchemico sulla mano uguale a quello sulla schiena della ragazza e trovò un pezzo di stoffa d’accensione nell’ex-studio del suo maestro.
“Possiamo andare” annunciò, talmente eccitato da non stare più nella pelle.
Prima di uscire Riza prese un vecchio fucile da caccia che faceva bella mostra in salotto.
“Quello per che cos’è?” domandò il ragazzo.
“Solo una precauzione, non si sa mia cosa si può trovare in queste zone abbandonate” rispose tranquillamente la ragazza.
Fuori era buio e faceva freddo, non si intravedeva neanche una stella perché il cielo era completamene coperto. Riza insistette ad addentrarsi nel cuore del bosco, con una lanterna in mano, dicendo che conosceva il posto adatto e che non voleva rischiare che Roy desse fuoco alla sua casa, una delle poche cose che le erano rimaste. Dopo qualche minuto di cammino sbucarono in un’ampia radura attraversata da un sottile ruscello.
“Perfetto” disse Roy portandosi al centro dello spiazzo.
Tutto d’un tratto si sentiva nervoso, voleva fare bella figura davanti a Riza per dimostrarle che aveva fatto bene a fidarsi di lui, ma c’erano un milione di cose che avrebbero potuto andare storte. Forse non sarebbe riuscito a sfruttare l’ossigeno dell’aria per la combustione o aveva tracciato male il cerchio alchemico o non sarebbe riuscito a controllare la fiammata e avrebbe dato fuoco a tutto il bosco.
Era così perso nei suoi complessi che non si accorse neanche che era cominciata a scendere una pioggerellina leggera. Poi un rumore secco alle sue spalle lo fece voltare: al limitare della radura, dal lato opposto a quello in cui si trovava Riza, un grosso cinghiale lo fissava con fare minaccioso.
“Questo sarebbe un ottimo momento per fare sfoggio delle tue abilità” suggerì la ragazza con voce tesa.
L’animale intanto avanzava, con il chiaro intento di scacciare gli intrusi dal suo territorio. Lo sguardo di Roy si soffermò in particolare sulle lunghe zanne appuntite.
Richiamò alla mente le nozioni imparate, portò avanti la mano sulla quale aveva disegnato il cerchio alchemico e sfregò il tessuto di accensione. Seguì un lungo istante di silenzio, come se il bosco intero stesse trattenendo il fiato, ma non successe niente.
“Quanto ci mette precisamente a fare effetto?” domandò Riza dopo qualche secondo.
“In teoria ha effetto immediato” ribatté Roy corrucciato “Ma non riesco ad accendere”.
E per sottolineare il fatto provò a sfregare ancora la stoffa che però non emise alcuna scintilla.
Intanto il cinghiale aveva percepito il tentativo di attacco ed era diventato parecchio irrequieto. Roy stava ancora lanciando imprecazioni, fermo al centro della radura, quando l’animale decise di caricare. Il ragazzo si girò ad affrontare la bestia armato solo dell’inutile stoffa bagnata, le zanne si avvicinavano e lui si sentiva maledettamente impotente.
Per un attimo temette il peggio, poi, quando mancavano solo un paio di metri prima che fosse trasformato in uno spiedino, sentì uno sparo e l’animale sbandò, accasciandosi a terra poco più in là.
Roy guardò il luogo da cui era partito il colpo, Riza aveva il fucile spianato ancora puntato verso il corpo del cinghiale e uno sguardo risoluto. Passarono dei minuti lunghissimi in cui nessuno si mosse, il ragazzo ricominciò a respirare e sentì i battiti del suo cuore ritornare lentamente regolari.
“Penso sia morto” si decise a dire infine.
“Sì, ci conviene tornare a casa, Alchimista. Prima che ci capitino altre brutte sorprese”.
Roy la seguì senza dire una parola, lo stomaco bruciante per la delusione. La pioggia intanto era cresciuta di intensità e gli appiccicava i capelli corvini alla fronte. Cercava di immaginare i pensieri della ragazza che camminava spedita davanti a lui, di sicuro era furiosa per aver affidato ad un tale incompetente il prezioso segreto di suo padre.
“Grazie” sussurrò infine quando giunsero in vista della casa “Io...non so, pensavo avrebbe funzionato, ma...non avevo pensato che da bagnata la stoffa non producesse scintille”.
Riza si fermò e si girò per guardarlo negli occhi. La luce della lanterna le illuminava il volto in modo spettrale, ma Roy rimase comunque incantato dal suo sguardo ambrato. Per una settimana intera aveva parlato alla sua nuca, non si era mai reso conto di quanto fossero intensi e profondi i suoi occhi.
“Non è colpa tua” disse lei con voce dolce e Roy non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: non era arrabbiata con lui. “Capita a tutti di sbagliare un colpo. Almeno adesso sappiamo che sei inutile quando piove”.
Nonostante tutto, Roy non poté fare a meno di unirsi alla risata della ragazza.
Quello fu il giorno in cui Roy Mustang cominciò ad odiare la pioggia, ma anche il primo giorno di pioggia in cui fu davvero felice. Aveva provato per tutta la settimana a strappare un sorriso a Riza Hawkeye e, se qualche goccia d’acqua era il prezzo per poter sentire la sua risata, era ben contento di pagarlo. Inoltre non gli importava di essere inutile, non finché avrebbe avuto qualcuno come lei a coprirgli le spalle.






Note finali: Riza passa dal tu al lei in maniera inconscia, perché non è abituata ad avere così tanta familiarità con Mustang. Il tatuaggio di Riza io do per scontato sia nero fin da quando ho letto il manga, anche se nell'anime è rosso; inoltre non sono affatto sicura ci possa essere un bosco con dei cinghiali di fianco a casa Hawkeye, ma lasciatemi questa licenza poetica.
A presto :)

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Capitolo 2
*** Family dinner ***




Pioveva ininterrottamente da giorni, enormi pozzanghere si erano formate in mezzo ad ogni strada e le macchine erano costrette a procedere a passo d’uomo per evitare incidenti. Il clima così rigido e piovoso in confronto a quello dell’est era il motivo principale per cui a Roy Mustang non piaceva tornare a Central City, nonostante fosse la sua città natale.
Probabilmente con un tempo simile il Colonnello si sarebbe depresso, ma durante il suo soggiorno nella capitale non aveva ancora potuto concedersi un simile lusso. La settimana era trascorsa frenetica fra riunioni, corsi d’aggiornamento, colloqui con i gradi più altri e lunghe chiacchierate con Hughes.
A fine giornata arrivava così esausto da non trovare neanche le forze per uscire a divertirsi, non che il Tenente, unico membro della squadra ad accompagnarlo, glielo avrebbe permesso. Alloggiavano nello stesso albergo e lei aveva appositamente richiesto di avere le camere una di fianco all’altra, ufficialmente per poter intervenire in caso di pericolo, ufficiosamente per tenerlo d’occhio.
Non che la sera gli dispiacesse consumare una cena tranquilla con il suo Tenente, soprattutto perché non avevano quasi occasione di parlare durante il giorno, ma gli sembrava di aver in parte sprecato il soggiorno a Central City; in fondo quel viaggio sarebbe anche dovuto essere un modo per staccare dalla sua impegnativissima vita, invece anche l’ultima sera prima del ritorno ad East City il suo progetto di una serata di baldorie era stato stroncato sul nascere.
“Non gli ho mica detto di sì! Perché mai avrei dovuto?! Io odio i bambini” stava giusto protestando, mentre la macchina d’ordinanza trasportava lui e il Tenente verso la loro destinazione.
“Invece il Maggiore Hughes aveva proprio capito che avresti partecipato volentieri. Ormai Glacier ha già cucinato, è scortese dare buca all’ultimo” rispose la donna, senza riuscire a nascondere del tutto il divertimento di fronte alla frustrazione del Colonnello.
“Sì, come no. Tanto anche se provassi a non presentarmi Maes mi verrebbe a cercare e mi trascinerebbe lì con la forza. Figurati se perde l’occasione di vantarsi del suo piccolo tesoro che compie un anno” disse scimmiottando la voce smielata del maggiore quando parlava di sua figlia.
“Non è che per caso lei è invidioso?” domandò il Tenente, mentre l’autista accostava la macchina all’ingresso di una normalissima villetta.
“Invidioso? Io? E di cosa?”.
“Di una donna fedele? Di una dolce figlia? Di una famiglia felice? Di una ricevere del vero amore?” disse il Tenente aprendo la portiera e scendendo dall’automobile.
“Non essere ridicola” rispose il superiore imitandola “E poi piove, siamo in primavera inoltrata ed è una settimana che piove a dirotto! Qualcuno lassù mi odia” aggiunse senza alcun filo logico, nel chiaro tentativo di cambiare discorso.
Riza scosse la testa rassegnata, si tirò su il cappuccio nella speranza di proteggersi dall’acqua e lo precedette lungo il piccolo sentiero lastricato che conduceva alla porta di casa Hughes.
Fu proprio il padrone di casa ad accoglierli.
“Roy! Riza! Finalmente siete arrivati, temevo sarei dovuto venire a cercarvi”.
“Il Tenente Hawkeye mi ha fatto ben presente che non sarei mai potuto mancare ad un simile evento” rispose Roy senza neanche tentare di mascherare il suo cattivo umore.
“Meno male che c’è lei a metterti in riga! Ho sempre pensato ti servisse una donna decisa”.
“Cos…?” farfugliò Mustang.
“Dov’è la festeggiata?” domandò Riza, sviando l’attenzione di Hughes da quell’argomento spinoso.
L’uomo li condusse nel salotto dove la bambina stava giocando con dei pupazzi sul tappeto, mentre dalla cucina attigua proveniva rumore di pentole.
“Elycia, tesoro, guarda chi è venuto per festeggiare il tuo compleanno”.
La bambina puntò i suoi grandi occhi verdi, così simili a quelli del padre, sui due nuovi arrivati e li studiò con curiosità.
“Quest’uomo dall’aria imbronciata è lo zio Roy, ti ricordi di lui?” continuò Maes con voce dolce.
Elycia piegò la testa con aria perplessa.
“Come potrebbe ricordarmi? L’avrò vista un paio di volte quando era appena nata, già è tanto se mi ricordo io di lei” puntualizzò il Colonnello scocciato.
Il sorriso della bambina scomparve davanti a quel tono poco gentile, immediatamente si formò un piccolo broncio sul suo volto angelico e il labbro inferiore cominciò a tremare.
“No, dai, non fare così!” si affrettò ad aggiungere l’Alchimista, cercando di prevenire il pianto “Il tuo papà non fa altro che parlarmi di te, non potrei dimenticarti neanche volendo. So perfino quanti pannolini al giorno ti cambiano!”.
Elycia sembrò tranquillizzarsi davanti al tono dolce e al sorriso splendente del Colonnello.
“Questa invece è Riza. Voi due non vi siete mai conosciute, vero?” chiese rivolto alla donna.
“No” confermò lei “Ma è un piacere incontrarti di persona, dopo che ho tanto sentito decantare le tue doti. A proposito: auguri!” disse con un sorriso gentile, accucciandosi per essere alla stessa altezza della bambina.
La piccola fece forza con le mani riuscendo a darsi una spinta per tirarsi in piedi, traballò per qualche secondo in cerca di equilibrio e poi mosse i primi passi incerti verso i tre adulti.
“Guardate che brava, cammina già verso il suo papà!” esclamò Hughes entusiasta.
Invece, arrivata davanti a suo papà, Elycia decise di scartare all’ultimo e andò incontro a Mustang, aggrappandosi alla sua gamba.
“Cosa?! Non è possibile!” si disperò il Maggiore.
“A quanto pare il mio fascino sulle donne non ha limiti” gongolò invece il Colonnello, che dopo questo piccolo episodio sembrava aver riacquistato il buon umore. Prese in braccio la bambina e le cominciò ad accarezzare i capelli.
“Giù le mani da mia figlia!” disse Hughes, strappandogliela praticamente dalle mani e cominciando a coccolarla a sua volta.
“Zio Roy, eh? Direi che le si addice, signore” disse Riza, prendendo in giro il suo superiore.
“Non gli ho mica dato io il permesso di chiamarmi così” puntualizzò lui piccato.
All’improvviso la porta della cucina si aprì, sprigionando un odore di ottimo cibo, e Glacier fece il suo ingresso in salotto con ancora un grembiule legato alla vita.
“Scusate se non sono venuta a salutarvi subito, ma la cena richiedeva le mie attenzioni” disse con un sorriso “Oh, ma vedo che mio marito non vi ha ancora preso i cappotti e fatto accomodare! Scommetto che vi ha portati dritti dritti da Elycia, quando si tratta di nostra figlia sembra che tutto il resto possa aspettare per lui” disse alzando gli occhi al cielo.
Poi si prodigò nel ritirare il loro cappotti, leggermente bagnati, e li fece sedere sul divano.
“Scusate ma devo tornare in cucina, ancora poco ed è pronto. Nel frattempo sono sicura che mio marito vi saprà intrattenere”.
“Io le posso dare una mano” si offrì Riza di getto “Così gli uomini possono fare i loro discorsi in santa pace” propose con un leggero rossore.
Glacier capì subito che il Tenente non voleva sentirsi di troppo in compagnia dei due migliori amici e accolse la sua proposta con entusiasmo.
La cucina era ampia, da un lato c’erano varie mensole e dei fornelli, su cui erano scaldate numerose pentole dal contenuto misterioso, mentre il resto dello spazio era occupato da un grande tavolo. A capotavola era posizionato un seggiolino rosa.
“Mi piace il tuo taglio” disse Glacier dopo qualche minuto, riferendosi ai capelli corti di Riza.
“Grazie, signora” rispose il Tenente, senza riuscire a fare a meno di arrossire “Sono molto pratici, ma in realtà ultimamente ho deciso di farli crescere”.
“Non chiamarmi signora! E non voglio sentirti dare del lei neanche a mio marito” la redarguì con affetto “In fondo non avrò che un paio di anni in più di te”.
“Va bene, Glacier” rispose Riza con un sorriso, dopo un attimo di titubazione. Quella donna le era stata simpatica fin dal primo istante in cui l’aveva vista, anche se nelle precedenti occasioni in cui si erano incontrate non avevano avuto modo di parlarsi.
“Per quanti devo apparecchiare?” domandò Hawkeye, mentre la padrona di casa cominciava a mescolare quello che sembrava essere un gustoso stufato.
“Quattro, più Elycia”.
“Ma come? Non ci sono altri invitati?” chiese Riza, spiazzata da quella risposta.
“No, tutti i nonni abitano fuori città e con questo tempo da lupi non ci è sembrato il caso di farli venire proprio stasera ed Elycia ha un anno, non ha ancora degli amichetti da invitare!” le spiegò la donna con dolcezza “Inoltre Maes ha detto che ci teneva a fare una festa tranquilla, in famiglia”.
“Oh” disse semplicemente il Tenente, fissandosi i piedi.
“Ho detto qualcosa che non va?” si preoccupò subito Glacier, cogliendo il suo cambio d’umore.
“No, è solo che...insomma io...” balbettò Riza, mentre un rossore imbarazzato compariva sulle sue guance.
“Ma cara, non devi preoccuparti!” esclamò l’altra, capendo quale fosse il problema “Non devi assolutamente sentirti fuori luogo, anzi. Mi fa estremamente piacere sia venuta anche tu, non vedevo davvero l’ora di conoscerti meglio. Maes mi parla sempre di te e di Roy, anche se davvero è meglio che tu non sappia cosa dice a proposito”.
Riza si sciolse in un sorriso un po’ incerto ma sincero, davanti a quelle parole dette col cuore.
“Davvero non so come riusciamo ad essere così pazienti da sopportare quei due” aggiunse Glacier con un occhiolino complice.
“Se Maes è pigro anche solo la metà del Colonnello non voglio immaginare quanto lavoro devi fare qui a casa da sola” rispose Riza con lo stesso tono divertito, mentre cominciava ad apparecchiare.
“Temo sia nella natura degli uomini. Però devo ammettere che Maes è un ottimo padre” rispose Glacier con gli occhi colmi di orgoglio e di amore.
Dopo pochi minuti era tutto pronto per la cena e i due uomini entrarono in cucina, Roy teneva in braccio la festeggiata.
“Amore, dovremo insegnare alla bambina a scegliere meglio le sue compagnie quando diventerà grande. Guarda come gli sta attaccata!” scherzò Hughes, guardando con affetto sua figlia e il suo migliore amico.
“Deve essere stata una settimana impegnativa per voi due” disse Glacier rivolta a Riza e Roy, mentre serviva la cena “Poi con questo tempo, immagino sarete felici di tornare ad est”.
“Dobbiamo tornare, Havoc e gli altri avranno lasciato indietro un sacco di lavoro da recuperare” disse il Tenente con disappunto.
“Questo è un ottimo motivo per rimanere qui, anche dovesse piovere per un mese intero” brontolò Mustang, beccandosi un’occhiata di rimprovero.
Elycia agitò le braccia felice, come se avesse compreso ciò che aveva detto Roy, mandando cibo da tutte le parti.
Il resto della cena trascorse tranquillamente, la compagnia dei coniugi Hughes era ottima e anche la loro bambina, pur avendo solo un anno, era una vera e propria macchietta. Perfino il Tenente era di ottimo umore e aveva abbandonato il suo solito comportamento formale e ligio al dovere.
Roy dovette ricredersi, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, non avrebbe potuto trovare modo migliore di trascorrere l’ultima sera di quel soggiorno a Central City. In un certo senso quella serata così bella rendeva ancora più triste la partenza del giorno successivo, sarebbero passati mesi prima che riuscisse a rivedere il suo migliore amico e con una punta di rammarico si chiese se sarebbero state possibili altre cene del genere. Aveva sempre saputo che la sua scalata al potere comportava molti sacrifici e dubitava che una volta salito sempre più in alto avrebbe avuto tempo per eventi del genere.
“Adesso è il momento della torta!” annunciò Glacier, distogliendolo dai suoi percorsi mentali.
“Cavolo!” esclamò lui sbattendosi una mano sulla fronte, mentre la donna appoggiava la magnifica Apple Pie sul tavolo “Non abbiamo portato neanche un regalo” spiegò dispiaciuto.
A quella rivelazione anche Riza assunse un’espressione desolata.
“Non ci abbiamo proprio pensato”.
Elycia però non sembrava soffrirne, anzi rideva senza sosta, mentre Maes cercava di imboccarla.
“Non dovevate! Ci ha fatto piacere anche solo avervi qui” disse Glacier con un sorriso gentile “A proposito, siete i benvenuti ogni volta che vi capiterà di passarei a Central City. Scommetto che Elycia aspetterà con ansia di poter rivedere lo zio Roy”.
Riza lanciò un’occhiata divertita al suo superiore, che aveva alzato gli occhi al sentire quel soprannome. Maes osservò quel quadretto, mentre un sorriso diabolico gli illuminava il viso.
“In effetti un regalo alla piccola Elycia potresti anche farlo, cara Riza” disse con tono tranquillo.
“Quale?”.
“Sbaglio o non l’hai ancora presa in braccio? Anzi sembra quasi ti spaventi” affermò con un sorriso furbo.
Mustang fece rimbalzare lo sguardo dal suo migliore amico alla sua sottoposta, incuriosito dalla piega che avrebbe potuto prendere la situazione.
“Ovviamente non mi fa paura! È una bimba così graziosa” si difese precipitosamente Riza.
“Allora non avrai problemi a tenerla per un po’ ” insistette Hughes, già sollevando la figlia dal seggiolino per passarla al Tenente.
Roy vide un lampo di panico saettarle negli occhi.
“Aspetta! In realtà un problema ci sarebbe” ammise il Tenente abbassando lo sguardo “Io non ho mai avuto a che fare con dai bambini. Non so come si fa”.
“Non devi preoccuparti, è una cosa che viene del tutto naturale” la incoraggiò Glacier con un sorriso.
“Ecco qua” disse Maes, spingendole Elycia fra le braccia, senza darle tempo di tergiversare ulteriormente “Mettile una mano qua attorno...così, brava! E una sotto la testa. Perfetto”.
La bambina e Riza si guardarono negli occhi con un misto di curiosità e timore e, per qualche terrificante secondo, Mustang pensò che sarebbero scoppiate a piangere entrambe, invece Riza sorrise con dolcezza e fu subito ripagata da una risata cristallina di Elycia.
“Mia figlia è così carina che va sempre d’accordo con tutti!” esclamò Hughes felice e orgoglioso.
“Cosa ti avevo detto, cara? Devi solo lasciarti guidare dal tuo istinto materno” disse sua moglie.
Roy dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere, il Tenente Hawkeye con un’arma a portata di mano era tutto fuorché materno. La sua ilarità fu però presto sedata.
“Allora Roy, non hai ancora trovato la donna della tua vita?” lo punzecchiò Maes, come faceva sempre.
Il Colonnello si irrigidì immediatamente e per qualche strana ragione gli venne istintivo lanciare un’occhiata in direzione della sua sottoposta. In effetti, nonostante la divisa, con la bambina fra le braccia e l’espressione serena era una delle poche volte in cui risaltava più la donna che il soldato.
“Lo sai come la penso, amico. Perché averne una quando le puoi avere tutte?” ribatté alla fine con un sorriso sfrontato. Percepì, piuttosto che vedere, il Tenente che gli rivolgeva un’occhiata esasperata.
“Vedrai che un giorno cambierai idea, ci sono gioie che solo una donna può darti” rispose Hughes, accennando ad Elycia, che dormiva beata fra le braccia di Riza.
“L’hai fatta addormentare in un baleno! Ti dovremmo invitare più spesso” si complimentò Glacier, cambiando argomento.
“Era semplicemente stanca perché prima ha giocato con me” intervenne il Colonnello, che sembrava aver preso a cuore e andare molto fiero del debole che la bambina mostrava per lui.
“Tranquillo Roy, il titolo di zio dell’anno rimane a te” lo prese in giro Hughes.
“Semplicemente io sono abituata a fare la babysitter” rispose Riza con una frecciatina, neanche troppo velata.
Le chiacchiere andarono avanti ancora per un po’, poi, quando anche gli adulti cominciarono a sentire le palpebre pesanti e a sbadigliare, capirono che era il momento di salutarsi.
Riza appoggiò Elycia nella sua culla e la salutò con un bacio sulla fronte. Fuori continuava a piovere, ma il Colonnello decise che non c’era bisogno di chiamare una macchina per riaccompagnarli in albergo, in fondo non era distante e in quella settimana non avevano avuto modo di passeggiare per la città.
“Almeno prendete un ombrello” insistette Glacier.
Riza accettò con un sorriso riconoscente l’ombrello nero che le porgeva la donna.
“Ve lo restituiremo la prossima volta” promise fiduciosa.
(Ancora non lo sapeva, ma l’occasione successiva in cui Glacier e Riza si rividero fu un funerale e, tanto per la cronaca, non stava piovendo).
Si salutarono e ringraziarono a vicenda un’ultima volta, poi i due militari abbandonarono definitivamente casa Hughes.
“Bella serata, non è vero?” domandò dopo pochi passi il Colonnello con un sorriso soddisfatto.
La pioggia ora cadeva leggera e sottile, quasi nebulizzata, rendendo le luci dei lampioni e delle case sfuocate con un effetto molto artistico. Perfino l’aria fredda era piacevole e le strade praticamente vuote aiutavano a creare un senso di intima tranquillità.
“Il Maggiore Hughes e sua moglie sono davvero delle persone fantastiche” rispose Riza “Ogni tanto è bello trascorrere una serata così normale”.
Mustang, che stava reggendo l’ombrello, si voltò a guardarla. Erano molto vicini per potersi riparare entrambi dalla pioggia, in effetti era una piacevole novità sentirla camminare di fianco a lui e non due passi dietro come al solito.
“Non ti penti mai pensando che anche tu avresti potuto avere tutto questo?” chiese a bruciapelo “Un bravo marito, una vita tranquilla, una figlia...ti ho visto come la guardavi dormire”.
Riza si arrestò per un istante, ma subito dopo recuperò il passo tornando sotto la protezione fornita dall’ombrello.
“Non penso di essere tagliata per quel genere di cose, invece fare il militare mi riesce piuttosto bene” rispose con voce monocorde “In un certo senso entrando nell’esercito sapevo sarebbe stata una scelta definitiva, ormai non penso di meritarmi più una vita normale” aggiunse con un sussurro.
Che il sotto inteso fosse ciò che era accaduto ad Ishval era chiaro ad entrambi.
“No, forse non saresti tagliata per fare la casalinga. Come minimo minacceresti tuo marito di morte tre volte al giorno, non penso potrebbe esistere una casalinga più terribile di te*. Ma comunque...”.
“Non mi pento delle mie scelte, signore. Di nessuna delle mie scelte” lo precedette “Nonostante ogni tanto mi sembra di aver davvero a che fare con un bambino”.
Roy sbatte le palpebre un paio di volte, sorpreso e anche leggermente ferito nell’orgoglio, poi si sciolse in un sorriso. Era incredibile quanto il Tenente riuscisse a capirlo e a rassicurarlo, in fondo una parte di lui non riusciva a non sentirsi in colpa. Per averla indirettamente convinta ad arruolarsi, per averle bruciato la schiena, per averle chiesto di seguirlo. In un certo senso era colpa sua se Riza non aveva potuto avere una vita normale, anche adesso sapeva di essere una presenza troppo ingombrante nella vita della sua sottoposta per lasciare spazio ad altro.
Pensò a cosa sarebbe potuto succedere se non avesse parlato dei suoi sogni alla figlia del suo maestro davanti a quella tomba: probabilmente sarebbe rimasto un soldato semplice e sarebbe andato lo stesso in guerra, magari sarebbe morto, magari sarebbe sopravvissuto e sarebbe tornato da lei. Forse avrebbero potuto sposarsi. In realtà sembrava tutto quanto un’assurdità. Entrambi avevano consacrato la loro vita ad un ideale e fino a quando non l’avessero ottenuto non ci sarebbe stato spazio per quelle fantasie inutili.
Ormai erano quasi arrivati, l’insegna luminosa dell’albergo si intravedeva opaca in fondo alla via. All’improvviso Roy passò l’ombrello nell’altra mano, lasciandoli scoperti, e le afferrò il braccio con gentilezza.
“Comunque grazie” disse, senza riuscire a guardarla negli occhi “Mi ha fatto piacere vederti così serena questa sera...”.
Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di lei che cullava la bambina, la dolcezza nel suo sguardo mentre la metteva a letto, non riusciva a non pensare che lei meritasse quel genere di amore. Sarebbe stata perfetta anche come mamma.
“Si figuri, signore” rispose Riza, aveva capito che quel grazie non era riferito solo alla sua semplice partecipazione alla cena a casa Hughes. Sciolse gentilmente il braccio dalla stretta del Colonnello e spinse la porta dell’albergo, entrando nella hall.
“Domani si ritorna a casa” constatò Mustang, seguendola con un sospiro.
“Già, si ritorna dalla nostra famiglia” sorrise il Tenente, pensando con affetto ai suoi compagni di squadra a East City.
“Stai iniziando a parlare come Fury” disse il Colonnello con una smorfia.
Le loro camere si trovavano al primo piano, salirono le scale in silenzio e si fermarono nel corridoio, era ancora avvertibile tra di loro una leggera tensione che li faceva tentennare sull’uscio delle proprie stanze.
“Buonanotte signore” lo salutò Riza, raccogliendo finalmente il coraggio di mettere fine a quella situazione piena di indecisione.
Roy senza neanche pensare le afferrò la mano, in un gesto goffo a metà fra una stretta formale e una semplice carezza. Il loro sguardo si incrociò per un attimo, nero nell’ambra.
“Beh, allora buonanotte Tenente” rispose Mustang prima di decidersi a lasciarla e ad entrare.
Quella notte entrambi fecero fatica a prendere sonno, ma quando finalmente si addormentarono l’ombra di un sorriso aleggiava sul loro volto e per la prima volta dopo molto tempo non ebbero neanche un incubo.




*Ovviamente c’è e mi riferisco a Izumi.

 

NOTE:

Dico solo che non doveva uscire così questo capitolo, ma – per quanto strano – mi soddisfa. Il compleanno di Elycia dovrebbe essere a maggio secondo le mie fonti (ma non sono certe) inoltre la storia dovrebbe essere ambientata nel 1912, quindi i capelli di Riza sono “in fase di crescita”. Maes forse sembra un po’ uno psicopatico (ma in fondo lo è quando si tratta di sua figlia quindi prendetelo per buono). Spero di non essere andata troppo OOC con Riza, ma è una situazione strana, intima e “in famiglia”, quindi mi sembra giusto si conceda meno rigidità (senza contare che ormai lavora con Mustang da più di quattro anni). Non so come mai ma in questo capitolo c’è anche il p.v. di Riza (diciamo che è preponderante nella parte centrale), in teoria non doveva esserci proprio in tutta la raccolta ma questa sarà l’unica eccezione, ci tenevo a farla interagire con Glacier. Inoltre il quasi flusso di coscienza di Roy sul finale e i suoi gesti apparentemente insensati secondo me gli si addicono abbastanza.

Ah, la frase fra parentesi in cui mi riferisco al funerale di Hughes ero indecisa se metterla o meno, in teoria questo capitolo doveva essere tutto fluff e tenerezza, ma a quanto pare sono geneticamente incapace di non infilare un po’ di angst qua e là. Anche se questo era un colpo basso anche per i miei standard.

Grazie mille a chi a recensito e anche agli altri lettori silenziosi che spero continueranno a seguirmi :)

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Capitolo 3
*** Lost and found ***


 

Note iniziali:

Questo è il terzo giorno di pioggia, quello centrale, quindi in un certo senso rappresenta un momento di spaccatura fra i due capitoli iniziali e i due finali.
Nel caso non si sia capito ci troviamo una data non ben specificata che va dagli anni dal 1912 a prima della morte di Hughes, quindi quando Mustang e il suo team trascorrevano il loro tempo ad oziare al quartier generale di East City.
Probabilmente questo è il capitolo che ho trovato più interessante scrivere un po’ perché ho avuto estrema libertà nel far interagire Roy e Riza, un po’ perché è situato in una fase del loro rapporto intermedia. So che può sembrare un capitolo di transizione e dove non avvenga nulla di eclatante, anche perché è abbastanza lungo, ma io mi sono divertita molto a ficcare il Colonnello e Riza in questa situazione. In realtà l’intera idea della storia è nata proprio da questo capitolo.

Dopo avervi tediato a sufficienza vi lascio alla lettura.







Il temporale estivo li aveva colti all’improvviso, un secondo prima stavano soffocando nella calura di quel tardo pomeriggio di giugno inoltrato, un secondo dopo il cielo si era coperto di nuvoloni e grosse gocce avevano cominciato a cadere.
Il generale Grumman aveva assegnato alla squadra del Colonnello Mustang quella che si preannunciava come la missione più noiosa dell’ultimo secolo: sorvegliare degli uomini sospettati di essere membri di un’organizzazione criminale e poi scrivere un lungo rapporto sulle loro attività giornaliere.
Gli indiziati erano tre e si ritrovavano ogni giovedì sera nel retro di un pub piuttosto malfamato a discutere dei successivi possibili colpi da portare a termine, stando a quanto detto dal loro informatore. Quindi quel venerdì la squadra di Mustang si era divisa in gruppi da due per poter tenere d’occhio i sospettati e controllare che non compissero azioni insolite, il Colonnello era naturalmente accompagnato dal Tenente Hawkeye, mentre Breda e Falman formavano un’altra coppia e la restante era composta da Havoc e Fury.
La mattinata era trascorsa lentamente, l’uomo che il Colonnello e il Tenente dovevano sorvegliare era andato a far compere al mercato di East City, ma era stato facile non perderlo di vista perché con la sua elevata statura e i capelli di un’arancione carota si distingueva fra la folla. Il Colonnello non aveva fatto altro che lamentarsi della folla e dell’afa, anche se per lo meno non era costretto ad indossare la divisa militare visto che non dovevano essere notati.
Aveva optato per una maglietta bianca, non troppo attillata, e un paio di comodi pantaloni blu, era strano non vederlo con i soliti capi raffinati ma in qualche modo riusciva a risultare elegante anche con quei vesti semplici. Il Tenente Hawkeye invece indossava una leggera camicia di un rosa pallido e pantaloni chiari, anche se i capelli erano raccolti ordinatamente con il solito fermaglio era comunque incredibile quanto potesse sembrare più femminile e delicata senza l’uniforme. Mustang si era soffermato più del dovuto ad osservarla con la bocca aperta quando quella mattina la squadra al completo si era trovata per discutere il piano d’azione, solo il timore di essere impallinato nel caso avesse provato a farle qualche complimento l’aveva convinto a tenere la bocca chiusa. Anche se dentro di sé aveva deciso che se non fosse riuscito a passare la norma che rendeva obbligatoria la minigonna per tutte le donne dell’esercito, avrebbe almeno abolito la divisa per il gentil sesso.
“Uffa!” ripeté Mustang per la milionesima volta “Maledetto Generale Grumman, perché diamine mi ha affidato questa noiosissima missione?!”.
Lui e Riza stavano camminando dietro al sospettato, a distanza di sicurezza per non essere notati, avevano già abbandonato la città da un po’ e stavano percorrendo una strada di campagna che era costeggiata da entrambi i lati da campi. Fortunatamente era abbastanza affollata dal via vai di contadini che con i carri tornavano a casa dopo il mercato e sembrava che l’uomo coi capelli rossi non si fosse ancora accorto di niente.
“È evidente che questa missione sia una punizione perché ultimamente sta battendo un po’ troppo la fiacca, signore” rispose il Tenente, non senza rimprovero nella voce.
Il Colonnello provò a brontolare qualcosa in risposta, ma, dopo essere stato fulminato da un’occhiataccia della donna, non osò proseguire.
Intanto il sole, che continuava a picchiare spietato sulle teste dei passanti, aveva superato lo zenit e stava cominciando la sua lenta discesa. Dopo un’altra mezz’ora di camminata la strada cominciò a svuotarsi a poco a poco e dovettero rallentare il passo per non dare nell’occhio, fino a che il sospettato non fu poco più che una sagoma in lontananza.
“Ma dove diavolo sta andando?” riprese a lamentarsi Mustang “Su questa strada sterrata mi sto sporcando tutte le scarpe nuove! Meno male che ho addosso una maglia bianca, almeno non si notano gli aloni di sudore, maledetto caldo!”
Il Tenente si limitò ad alzare gli occhi al cielo, era abituata alle lamentele del superiore e al suo vanesio parlare a macchinetta.
“Guarda, il sospetto ha svoltato!” esclamò all’improvviso il Colonnello “Potremmo tagliare per di lì” propose, tracciando con il braccio un’immaginaria linea retta che passava attraverso la piantagione di altissime spighe di grano che sorgeva fra dove si trovavano loro e la direzione in cui si stava dirigendo il loro obiettivo.
Alla donna non piaceva l’idea di perdere di vista il sospettato, anche solo per poco, però in questo modo avrebbero risparmiato parecchia strada e con un po’ di fortuna la vegetazione sarebbe stata abbastanza folta da riuscire a farli avvicinare a sufficienza senza essere visti. Così alla fine il Tenente cedette e i due cominciarono a farsi largo attraverso le spighe.
In cielo intanto si stavano ammassando grossi nuvoloni scuri che, se possibile, rendevano l’aria ancora più afosa e pesante.
“Stiamo piegando troppo ad ore dieci” stimò il Tenente Hawkeye.
Erano già passati almeno cinque minuti da quando erano entrati nel campo di grano, le spighe superavano entrambi in altezza, rendendo difficile orientarsi. Il Colonnello faceva strada e Riza lo seguiva come al solito, subito dopo il suo passaggio la vegetazione si richiudeva dietro di loro, tanto da ridurre il mondo di Hawkeye al giallo delle grano che la circondava, al cielo grigio sopra di lei e alla schiena bianca di Mustang.
“So perfettamente in che direzione stiamo andando” disse il suo superiore con tono saccente.
Solo dieci minuti e molte imprecazioni dopo fu disposto ad ammettere che forse potevano essersi persi.
“Pensavo sapesse perfettamente dove stessimo andando, signore”.
“Questo maledettissimo campo è tutto uguale! E la radio che mi ha dato Fuery qua in mezzo non prende” sbottò il Colonnello “Che giornata terribile! Non vedo come potrebbe andare peggio”.
Fu allora che scoppiò il temporale. Grandi gocce di pioggia cominciarono ad abbattersi pesantemente sulla campagna, facevano quasi male quando colpivano la testa dei due militari e piegavano le coltivazioni sotto la loro forza.
“La prego, non dica più nulla” supplicò la donna con un sospiro esasperato.
In pochi minuti erano entrambi bagnati fradici. La maglietta bianca di Mustang, che si era rivelata una scelta così azzeccata contro il calore del sole battente, si era appiccicata al suo petto e il tessuto semitrasparente lasciava poco spazio all’immaginazione.
Anche Riza era nella stessa situazione, il reggiseno di pizzo bianco era ben visibile al di sotto della camicetta bagnata e nonostante la situazione disagiata Roy Mustang non poté fare a meno di gioire che proprio quel giorno fossero stati costretti a vestirsi con abiti civili.
“Non ti facevo tipa da pizzo” le disse con un sorrisetto, senza riuscire a trattenersi.
La donna non rispose, ma incrociò automaticamente le mani al petto per coprirsi e contemporaneamente proteggersi dal freddo.
“Pensiamo ad uscire da questo maledettissimo campo” disse risoluta, cominciando a camminare in una direzione a caso, nel tentativo di nascondere il rossore che si era diffuso sulle gote.
Il suo superiore fece per seguirla, ma si bloccò di colpo quando notò che si intravedevano delle linee scure sulla sua schiena. Il tessuto non era così trasparente da far scorgere chiaramente i segni scritti con l’inchiostro né la cicatrice, forse una persona qualunque avrebbe pensato fosse un semplice tatuaggio, ma Roy sapeva. Un lampo di dolore gli balenò nello sguardo mentre vedeva la schiena di Riza allontanarsi, ma poi si riprese dall’esitazione e le andò dietro.
Quando finalmente riuscirono a sbucare fuori dal campo di grano l’acquazzone era calato d’intensità, anche se era ancora ben lungi dallo smettere del tutto. Si ritrovarono su una strada sconosciuta, costellata di pozzanghere fangose, ma dall’altro lato si estendeva un prato d’erba su cui sorgevano due costruzioni. Una era una casa in pietra evidentemente abitata, infatti le finestre erano illuminate e una scia di fumo usciva dal comignolo, l’altra sembrava un vecchio fenile di legno in disuso.
“Almeno abbiamo trovato un posto in cui ripararci” disse il Colonnello dirigendosi verso il fienile.
“Cosa fa?” lo bloccò il Tenente “Non possiamo entrare, sarebbe violazione di proprietà privata”.
“Innanzi tutto per quanto ne sappiamo questa potrebbe essere la casa di un pericoloso criminale, quindi abbiamo tutto il diritto di entrare. Inoltre i proprietari non avranno nulla da ridire se non lo scopriranno e non penso che con questa pioggia qualcuno si azzardi ad uscire” replicò Mustang con aria furba.
La donna ebbe ancora un attimo di esitazione.
“Che altra alternativa abbiamo? Restare sotto la pioggia?” insistette lui “Potrei prendere freddo, ammalarmi, finire all’ospedale. Insomma la mia guardia del corpo dovrebbe occuparsi della mia salute...”.
“Va bene,” lo interruppe, cedendo per esasperazione “ma appena finisce questo temporale riprendiamo la missione”.
Il fienile era davvero malmesso e semi abbandonato, sembrava avere una funzione a metà fra deposito e discarica, oggetti rotti e non erano ammucchiati un po’ ovunque. La porta non aveva neanche un chiavistello ed era bastato un tocco leggero per aprirla, mentre il tetto era bucato in più punti, in corrispondenza dei quali si erano formate grosse pozze d’acqua.
“Che bel posticino” commentò il Colonnello guardandosi intorno.
Riza richiuse la porta ed esaminò il luogo in cerca di eventuali pericoli, era incredibile come riuscisse a essere così professionale anche in situazioni come quella.
“Non è completamente abbandonato” dichiarò dopo la sua analisi “Ci sono alcuni oggetti, come ad esempio giochi, libri e coperte, che sono in buono stato. Forse i bambini della casa usano questo luogo come una specie di rifugio”.
Mustang intanto stava cercando di rovesciare una cassa di legno particolarmente larga.
“Non è male” le rispose quando fu riuscito nella sua impresa “Mi sembra un posto molto romantico” aggiunse con un sorrisetto.
Il Tenente arrossì e allo stesso tempo assunse una postura ancora più rigida di prima, le braccia sempre strette al petto e ben attenta che la schiena non fosse visibile al suo superiore.
“Cosa ha fatto?” chiese seccamente, accennando alla cassa rovesciata, chiaramente con l’intento di sviare la conversazione.
“Una panchina” disse sedendocisi sopra. Il legno emise un lieve scricchiolio, ma non cedette. “C’è spazio per entrambi. Non vorrai mica rimanere in piedi, dritta come un fuso, per tutto il tempo”.
Questa volta Riza non si fece ripetere l’invito, in parte perché era stata una giornata stancante ed era bello potersi concedere un momentaneo riposo, in parte perché le sarebbe dispiaciuto deludere il Colonnello dopo che si era impegnato tanto per creare quella seduta improvvisata.
La cassa aveva posto giusto per due persone sedute vicine, infatti le loro cosce si sfioravano, così Roy non poté non notare che la sua guardia del corpo era scossa da piccoli brividi di freddo.
In realtà l’afa estiva non era del tutto scomparsa, ma il temporale aveva fatto abbassare di parecchi gradi la temperatura e con i vestiti bagnati addosso alla lunga diventava spiacevole.
“Potresti toglierti la camicia”.
Riza lo guardò come se fosse pazzo, per un attimo Mustang temette che gli avrebbe tirato uno schiaffo o che se ne sarebbe semplicemente andata.
“Intendevo per non sentire freddo” si affrettò quindi ad aggiungere.
“Sono felice che si preoccupi per me, signore, ma preferisco rimanere vestita” rispose lei con voce piatta, ma senza poter nascondere l’ennesimo brivido.
Roy scosse la testa di fronte all’ostinazione del Tenente e piccole gocce d’acqua schizzarono da tutte le parti. Poi gli venne un’idea e si alzò di scatto.
“Cosa…?”.
Riza non riuscì nemmeno a finire la domanda che il Colonnello stava già tornando con espressione trionfante e una coperta in mano.
“Adesso che ne dici di toglierti la camicia bagnata e avvolgerti con questa? Giuro sul mio onore che non guarderò” disse girandosi dall’altra parte dopo averle teso la coperta, per confermare le sue buone intenzioni.
“Finito” annunciò la donna dopo poco, mentre lanciava a terra la camicetta e si copriva il meglio possibile.
Era davvero buffa con quella grande trapunta di lana scura drappeggiata fino alle orecchie, quando Roy le si risedette vicino fu sollevato di notare che la coperta era vecchia ma in buono stato, niente puzza né macchie sospette, tanto per cominciare.
“Lei non ha freddo?” domandò il Tenente, accorgendosi solo in quel momento che anche il Colonnello indossava ancora la maglietta bagnata.
“No, io sono un vero uomo”.
Riza gli lanciò uno sguardo che poteva essere allo stesso tempo di sufficienza e di affetto.
“Lo faccio solo perché non voglio che nei prossimi giorni lei salti il lavoro con la scusa di un malanno” disse tutto d’un fiato, però senza riuscire a nascondere il tono imbarazzato.
Contemporaneamente schiuse il suo bozzo e lanciò la coperta anche sulle spalle del Colonnello, fortunatamente era abbastanza grande da avvolgere entrambi. Roy rimase per qualche istante meravigliato da quel gesto, sentiva la pelle nuda della donna scottare a contatto con il suo braccio. Tutto quello era disorientate, loro erano sempre vicini, ma mai così vicini. Era strano, ma incredibilmente piacevole.
“Grazie, Tenente” sussurrò Mustang. Mai avrebbe pensato che Riza Hawkeye potesse fare un gesto simile, ma forse era proprio questa sua capacità di sorprenderlo mostrandogli continuamente nuovi lati di sé che la rendeva ancora più straordinaria ai suoi occhi. Ora doveva solamente cercare di ignorare il fatto che lei fosse in reggiseno, praticamente appiccicata a lui, e che fossero da soli in un fienile abbandonato.
“Naturalmente nessuno dovrà mai sapere niente di tutto ciò” disse la donna con voce seria.
“Sapere cosa?” rispose il Colonnello con un sorriso complice.
Il picchiettare della pioggia li fece compagnia per un po’, mentre entrambi erano persi nei loro pensieri. Fu Riza a rompere il silenzio.
“In fondo mi piace la pioggia” disse con tono leggero, quasi spensierato.
Roy le lanciò un’occhiata di soppiatto, sorpreso da quell’affermazione apparentemente fuori luogo, e rimase ancora più sorpreso dall’espressione rilassata che la sua sottoposta aveva in volto. Lui che la conosceva da anni sapeva che era davvero un evento raro vederla così serena. Per qualche assurdo motivo si ritrovò a fissare con sguardo perso la ciocca di capelli biondi che le ricadeva sul volto e gli balenò in mente che era davvero bella così, quando sembrava più una donna che un soldato.
“Lo dici solo perché quando piove puoi renderti utile nel fare il tuo lavoro di guardia del corpo” rispose l’Alchimista di Fuoco con un sorriso divertito.
“Veramente io sono sempre utile, signore. La differenza sta nel fatto che lei diventa inutile”.
“Non capisco perché dobbiate tutti sottolineare questa storia” borbottò lui, mettendo su un finto broncio.
Andarono avanti a chiacchierare del più e del meno, mentre ascoltavano la pioggia che gocciolava nel fienile attraverso i buchi nel tetto. Parlavano con naturalezza, ignorando la situazione assurda in cui si trovavano, ed era quasi magico sentire le intemperie abbattersi tutto intorno, mentre invece loro si trovavano in quel bozzolo, pelle contro pelle, al caldo e al sicuro come se fossero in un altro mondo.
“Quando ha smesso di piovere?”.
Fu Roy a rompere l’incantesimo con quella domanda. Erano talmente immersi nella loro conversazione da non accorgersi che, in effetti, il tamburellare della pioggia era finito da un pezzo.
Riza si mosse a disagio, scostandosi il più possibile e irrigidendosi, come se si fosse appena destata da un’illusione e fosse stata improvvisamente investita dalla consapevolezza di quanto fosse disdicevole ciò che stavano facendo.
Il Colonnello scostò il suo lembo di coperta e si alzò, fingendo di non aver notato la reazione della donna, per andare a controllare la situazione all’esterno del fienile. Il cielo si era decisamente rischiarato, ora un sole rosso stava tramontando oltre i campi colorando di cremisi le poche nuvole rimaste. Il paesaggio rurale illuminato dagli ultimi raggi di sole, dopo il violento temporale di quel pomeriggio, era uno spettacolo che trasmetteva un istintivo senso di tranquillità e pace.
“Via libera” annunciò Mustang tornando verso la donna, che aveva approfittato del lasso di tempo in cui lui era via per rivestirsi e recuperare la sua intransigente aria professionale.
“Ora cosa ha in mente di fare, signore?” domandò il Tenente.
“Non ha senso mettersi a cercare il sospettato, potrebbe essere chissà dove e correremmo solo il rischio di perderci. Cerchiamo piuttosto di ritornare in città”.
Appena messo nuovamente piede sulla strada sterrata la radio appesa alla cintura del Colonnello cominciò a gracchiare.
“Pensavo non prendesse quaggiù” osservò perplesso.
Il Tenente scrollò le spalle, ugualmente confusa. Nessuno dei due si intendeva granché di tecnologia, però riuscirono a sintonizzare l’apparecchio sulla frequenza indicata loro da Fuery e subito sentirono le voci dei loro compagni di squadra.
“Tenente? Colonnello? Ci ricevete?”.
“Sì, Havoc. Prima non funzionava, ma ora vi sentiamo forte e chiaro” rispose Mustang.
“Fuery dice che il temporale ha disturbato il segnale” la voce del biondo risuonava metallica attraverso la radio “Comunque la missione è finita, capo. Siamo rientrati tutti tranne voi due e non riuscivamo a contattarvi, stavamo cominciando a preoccuparci”.
“La missione è finita? Come?” domandò il Tenente.
“A quanto pare i nostri uomini si ritrovavano non per discutere grandi colpi criminali, ma per giocare a poker. Abbiamo sventato una pericolosissima bisca clandestina, un altro brillante caso risolto dal Team Mustang” disse Havoc, non senza ironia “Piuttosto, voi dove siete?”.
I due si scambiarono uno sguardo eloquente.
“Da qualche parte nella campagna a ovest della città, manda una macchina a prenderci” rispose il Colonnello.
“Campagna?” ripeté il Sottotenente “Cosa diavolo stavate facendo?”.
“È una storia lunga e divertente, che non ho alcuna intenzione di raccontare”.







 

Note finali:

Perdonatemi, lo so che in questo capitolo ci sono troppe note, ma sono necessarie per chiarire un po’ la situazione.
Spero di essere riuscita a rendere bene l’ambiguità e l’indecisione che regna fra i due: hanno già quel feeling che li contraddistingue ma non c’è stato ancora tutto quello che c’è stato durante la lotta contro gli homunculus. Quindi anche episodi stupidi come questo possono essere fondamentali per svolte e ulteriori avvicinamenti.
So che Riza può sembrare che abbia fatto un “passo indietro” per l’atteggiamento più freddo nei confronti di Roy, ma in realtà questo cambiamento è dovuto al contesto: siamo durante una missione, quindi in un ambito più strettamente lavorativo, mentre nel capitolo precedente, benché non fossero esattamente in vacanza, era una cena in famiglia, quindi una situazione decisamente più rilassata.
Inoltre qui fanno una comparsa i membri del team, non che abbiano chissà che spessore, sono personaggi che faccio fatica a caratterizzare, però mi piacerebbe sapere oò vostro parere sul risultato, li ho usati troppo a sproposito o andavano bene? Anche perché ho in cantiere una raccolta di tipo comico/slice of life proprio sul Team Mustang, almeno so se sto lavorando nella direzione giusta.
Grazie ancora a chi dà fiducia a me e alla storia con recensioni <3

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Capitolo 4
*** Rain in the wasteland ***


Note iniziali: Storia ambientata un po’ dopo la conclusione del manga, infatti la ricostruzione di Ishval è già a buon punto. Mi serviva il nome di una città della zona, ma non ne ho trovato neanche uno, così ho usato New Ishval come nome per la nuova capitale della regione. Non è una mia invenzione, penso di averlo visto usato da qualche parte, ma non ricordo dove.
Roy è diventato Generale perché è il normale corso degli eventi, mentre Riza è rimasta Tenente per due ottimi motivi 1) non penso le freghi qualcosa dei gradi militari, l’importante per lei è lavorare come guardia del corpo di Mustang 2) non ho idea di come funzionino le gerarchie, quindi non avrei saputo quale grado sarebbe stato plausibile assegnarle.
Ah, la traduzione del titolo del capitolo sarebbe “Pioggia nel deserto”, ma wasteland più letteralmente significa anche terra devastata. Ho scelto questo termine perché entrambe le traduzioni si addicono a Ishval.






 
 
Il Generale sedeva al posto del passeggero dell’automobile nera, con la testa appoggiata contro il finestrino. Dall’altra parte del vetro le gocce di pioggia si rincorrevano disegnando sempre nuovi percorsi, come uno strano gioco. Il Tenente Hawkeye stava guidando l’automobile che procedeva lentamente fra le strade fangose di New Ishval; la città era deserta, probabilmente gli abitanti, poco abituati alla pioggia e ai disagi che essa comportava, si erano rifugiati nelle loro abitazioni.
La ricostruzione di quelle terre devastate dalla guerra civile riempiva la squadra del Generale Mustang di duro lavoro, ma anche di soddisfazione. Benché di tanto in tanto scoppiassero ancora delle proteste di natura violenta nei confronti dell’esercito di Amestris erano più che altro casi isolati, l’impegno e la pazienza dei soldati stanziati lì stavano cominciando a dare i loro frutti. Finalmente quando camminavano per strada non erano più costretti a sopportare sguardi di occhi rossi colmi d’odio e minacce, ma l’ingente aiuto che stavano portando nel promuovere la costruzione di case, scuole, ospedali e nel restituire tranquillità e dignità a quel popolo era ormai riconosciuto dalla maggior parte degli Ishvaliani.
Eppure il Generale Mustang, uomo simbolo di questo successo, osservava con aria irrequieta il paesaggio fuori dal finestrino. Nonostante fosse pieno Gennaio si sentiva soffocare chiuso in quell’automobile e provò l’impulso irrefrenabile di aprire la portiera e scendere a prendere una boccata d’aria fredda. Il contatto della fronte con il vetro freddo riusciva a concedergli sollievo solo in parte. Si mosse a disagio, cercando di slacciare il primo bottone della camicia per riuscire ad allentare quel senso di soffocamento; solo allora il Tenente – che si era chiusa in un silenzio stanco ma sereno, mentre guidava tenendo gli occhi fissi sulla strada – gli lanciò un’occhiata perplessa e sembrò accorgersi del suo stato d’animo.
“Tutto bene, signore?”.
“Non proprio. Mi piacerebbe scendere a fare due passi” rispose lui cercando di nascondere la sua agitazione.
“Ma è tardi e sta piovendo!” esclamò incredula “Cosa c’è che non va?”.
Roy non rispose, continuando a guardare il paesaggio fuori dal finestrino senza vederlo davvero. Loro due ne avevano passate di avventure insieme, in certi momenti ancora non riusciva a capacitarsi che il sogno che lui le aveva confidato davanti alla tomba di suo padre, quando erano entrambi giovani e pieni di speranza, si stesse realizzando. Certo, il prezzo da pagare era stato alto, avevano dovuto attraversare l’inferno della guerra e poi scontrarsi contro esseri mostruosi, ma alla fine ce l’avevano fatta.
Allora cos’era che lo tormentava ancora? Nelle ultime notti era rimasto sveglio a contemplare lo skyline di New Ishval dalla sua finestra e a riflettere. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, che con Riza Hawkeye aveva un legame che non avrebbe mai potuto avere con nessun’altra donna. La sua guardia del corpo era speciale sotto molti punti di vista – lo provava anche solo il fatto di averlo seguito e sostenuto fino a lì – e a lui era bastato, almeno fino a quel momento.
Ora che Roy Mustang era quasi riuscito a realizzare il suo sogno e poteva finalmente pensare a sé stesso aveva capito che l’unico modo per sentirsi pienamente felice sarebbe stato dichiarare il suo amore a Riza ed essere contraccambiato. Però conosceva il Tenente e sapeva che, nonostante fosse sicuro che lei ricambiasse i suoi sentimenti, non avrebbe detto di sì tanto facilmente, forse non avrebbe detto di sì affatto.
Così aveva posticipato il momento della verità il più possibile, in attesa di un segno. Poi quel pomeriggio il cielo si era rannuvolato ed era arrivata la pioggia. La pioggia ad Ishval! Roy si era dovuto decidere che quella era la sera giusta, così aveva passato le ultime ore ad elaborare un piano e alla fine aveva deciso che avrebbe parlato con Riza una volta che lei lo avesse accompagnato a casa, come faceva ogni sera. Ma più la macchina procedeva attraverso la città verso la sua destinazione, più il Generale sentiva crescere quel nervosismo e quell’ansia soffocante e all’improvviso non fu più sicuro di star facendo la cosa giusta.
Il rischio di rovinare tutto e perderla per sempre era presente e pressante.
“Generale?” lo chiamò con tono preoccupato.
Solo in quel momento Mustang si rese conto del tremito che gli scuoteva le mani e di star respirando affannosamente e con difficoltà, come se l’ossigeno presente nell’aria non riuscisse ad arrivare al suo cervello.
Il Tenente inchiodò per riuscire a controllare come stesse il suo superiore, ma appena la macchina si fermò Roy aprì la portiera e barcollò fuori. L’aria fredda e la pioggia sferzante sul viso gli procurarono immediato sollievo, anche se non riusciva ancora a calmare del tutto il respiro. Era chino sulle ginocchia e fissava una pozzanghera scura ai suoi piedi, cercando di recuperare il controllo.
Non si accorse della presenza di Riza accanto a lui finché lei non gli posò una mano sulla spalla, con delicatezza. Chiuse gli occhi, mentre il petto continuava ad alzarsi e ad abbassarsi ad un ritmo frenetico.
“Sta avendo un attacco di panico” gli sussurrò con tono gentile la sua voce, proveniva da un punto estremamente vicino al suo orecchio sinistro e Roy la immaginò chinata vicino a lui.
“Adesso deve provare a calmarsi e a fare dei respiri profondi” continuò la voce con calma quasi surreale “Si concentri, va tutto bene”.
Il Generale provò a fare quando gli veniva ordinato, con gli occhi chiusi gli riusciva più facile focalizzarsi sul ritmo dei suoi respiri, provò a inspirare lentamente e sentì con gratitudine l’aria fredda riempirgli i polmoni. Poi avvertì il peso della mano di Riza abbandonare la sua spalle e spostarsi sulla sua testa; la donna cominciò ad accarezzargli piano i capelli corvini, come se non fosse del tutto sicura di come fare, era un tocco un po’ goffo, ma gentile.
Roy si concentrò su di esso e cominciò a inspirare e a espirare seguendo il ritmo dettato da quelle carezze. Dopo un lasso di tempo imprecisato si accorse che il corpo aveva smesso di tremare e che il respiro era tornato regolare, anche il senso di attanagliamento era svanito quasi del tutto. Aprì gli occhi e dopo pochi secondi riuscì a mettere a fuoco la pozzanghera puntellata dalle gocce di pioggia che continuavano a cadere.
“Ora sto bene” disse e fu soddisfatto di sentire che la sua voce suonava abbastanza salda.
Riza spostò la mano sotto il suo braccio per fargli da sostegno.
“Riesce ad alzarsi?”.
Mustang fece un cenno affermativo e si mise in piedi, aggrappandosi alla donna per mantenere l’equilibrio. Avvertì lo sguardo indagatore di Riza esaminarlo per controllare il suo stato di salute, una volta constatato che riusciva a reggersi sulle sue gambe sfilò delicatamente il braccio dalla stretta.
“Grazie” sussurrò il Generale tenendo gli occhi bassi.
Il Tenente non rispose, si limitò ad osservare il suo superiore con perplessità, sapeva che fare domande in quel momento non sarebbe servito. Quindi lasciò che il Generale Mustang si prendesse il suo tempo per riordinare le idee, poi sapeva che le avrebbe spiegato di sua iniziativa cos’era successo.
Dovette aspettare solo pochi minuti, in cui rimasero uno di fianco all’altro incuranti della pioggia che appesantiva le loro divise, prima che Roy si decidesse a parlare.
“Pioggia nel deserto”.
“Come scusa?”.
“Pioggia nel deserto. Era quello che speravo ogni fottuto giorno quando eravamo quaggiù, se avesse piovuto, almeno per quel giorno, la mia alchimia non avrebbe funzionato e non avrei potuto sterminare tutte quelle persone” spiegò con voce amara e addolorata “Ma in fondo era un pensiero da stupidi, non credi? La pioggia nel deserto è un evento impossibile. È un po’ come sperare che tu mi conceda quella fatidica cena insieme”.
“Non capisco cosa centri...” cominciò a dire Riza, ma il Generale continuò, apparentemente perso nel suo discorso.
“Forse è per questo che sono così irrequieto. È come se mi fosse palesata davanti agli occhi la prova che l’impossibile può accadere, è un segno che aspettavo da troppo tempo”.
Riza sgranò gli occhi, mentre cominciava a capire dove il Generale volesse andare a parare.
“Signore, questo non mi sembra il posto adatto per parlare” cercò di troncare il discorso accennando al maltempo e alle vie deserte che potevano nascondere numerosi pericoli.
“Perché no? Non penso abbia senso rimandare ulteriormente, in fondo questo posto non fa altro che ricordarmi continuamente che ho già troppi rimorsi, non voglio avere anche rimpianti” rispose Mustang, che sembrava aver recuperato la solita risoluta sicurezza e aveva inchiodato lo sguardo della donna con il suo.
“Non lo dica” supplicò Riza scuotendo la testa.
“No?”.
“Le regole anti-fraternizzazione sono chiare. Non voglio essere costretta a respingerla”.
Questa volta non si trattava di una stupida richiesta di concedergli un appuntamento, non era uno di quei tentativi buttati lì un po’ scherzosamente che Mustang faceva più che altro per divertirsi a mettere alla prova la pazienza della sua guardia del corpo. Roy si stava dichiarando davvero, era bastato guardarlo negli occhi per capire che le stava aprendo il suo cuore.
Non si poteva passare attraverso una cosa del genere ed andare avanti come se nulla fosse, era come se si fosse appena rotto il sottile equilibrio che teneva insieme il loro rapporto. Roy aveva osato infrangere la barriera che li teneva divisi e ora non c’era più modo di ripararla.
“Non devi per forza respingermi” disse lui, che ora che si era levato il peso della confessione si sentiva incredibilmente calmo “Non devi per forza rinunciare a quello che...”.
“Stia zitto!” esclamò Riza sbattendo un piede a terra, l’acqua della pozzanghera schizzò da tutte le parti.
Non era arrabbiata, ma più che altro agitata. Sembrava si fossero invertiti i ruoli rispetto a poco prima.
Roy la guardò con gli occhi scuri colmi di affetto e dispiacere.
“Di quante cose sei già stata privata nella tua vita? Di un infanzia felice, della tua schiena, di un’esistenza tranquilla lontana dai campi di battaglia, della possibilità di costruirti una famiglia. Non privarti anche dell’amore, non privarti anche di questo. Lo so che va contro le regole, ma per una volta, mio intransigente Tenente, non potresti chiudere un occhio? Per una volta anteponi ciò che vuoi a ciò che devi, te lo meriti, davvero. So che non basterà mai a compensare tutte le sofferenze che hai dovuto sopportare e io non posso prometterti che riuscirò sempre a farti felice, ma ti giuro che ci proverò. In fondo, l’hai visto coi tuoi occhi, sono un uomo di parola”.
“Non ho intenzione di continuare questo discorso sotto la pioggia” replicò velocemente Riza, che non voleva dare il tempo a quelle parole di essere metabolizzate dalla sua mente.
Roy si mosse all’improvviso e istintivamente il Tenente fece un passo indietro, ma il Generale stava puntando all’automobile, abbandonata con entrambe le portiere aperte nel bel mezzo della strada. Frugò per qualche secondo sotto il sedile del passeggero e ritornò immediatamente con un ombrello in mano e un’espressione vittoriosa in volto.
“Adesso possiamo continuare a discutere tranquillamente” disse aprendo l’ombrello sopra la testa della donna.
Riza si scostò impercettibilmente, per sua fortuna l’ombrello era abbastanza grande da fornire riparo ad entrambi, ma allo stesso tempo permettere che fosse mantenuta una certa distanza.
“Generale, questa volta non posso seguirla” riuscì infine a dire “Non così, non adesso...”.
“Non sei costretta a rispondermi adesso. In effetti non sei costretta a rispondermi affatto, solo...non mentire a te stessa”.
Riza abbassò lo sguardo, le spalle curve. Ogni cosa nel suo atteggiamento indicava sofferenza per la scelta davanti a cui era posta, nonostante Roy non si pentisse di ciò che aveva detto si sentiva in parte in colpa.
Rimasero in silenzio per lunghissimi minuti, l’unico rumore era la pioggia che picchiettava sull’ombrello e i loro respiri che formavano delle nuvolette di vapore nell’aria fredda. In realtà Roy non pensava che il Tenente avrebbe detto qualcosa, stava solo aspettando che la tensione si dissipasse, per questo si girò sorpreso verso di lei quando ruppe il silenzio.
“Non sono solo le regole” sembrava che parlare le costasse una fatica immensa “Io l’ho sempre seguita, camminando dietro di lei, non penso di poter stare al suo fianco. Non sto dicendo di avere paura o di non esserne in grado, intendo semplicemente che sarebbe sbagliato. Non è il mio posto. Io sono un soldato, un cecchino, un assassino, non potrò mai essere la donna perfetta, la moglie che desidera. Lei promette di provare a rendermi felice, ma io non posso fare altrettanto”.
Mustang non poté trattenere un sorriso dolce, davvero inappropriato davanti all’espressione addolorata del suo Tenente.
“Allora non hai capito, a quanto pare la nostra intesa non è così perfetta come credevo. Io non voglio una donna perfetta, io voglio l’unica donna che mi è rimasta accanto per tutti questi anni, quella che mi ha capito meglio di chiunque altro. Non ti sto chiedendo altro che amarmi e non abbandonarmi, perché senza di te sono perduto” rispose Roy con voce leggermente rotta “Mi hai visto prima, non sarei riuscito nemmeno a superare la crisi di panico!” aggiunse nel tentativo di sdrammatizzare.
Riza spalancò gli occhi, stupita da come Roy con le sue parole fosse in grado spazzare via anche le sue ultime difese e i suoi dubbi più profondi. Sentì i sentimenti che provava verso di lui, quelli stessi sentimenti che per anni aveva seppellito e cercato di nascondere nel profondo della sua coscienza, venire fatti riemergere prepotentemente dal tono tenero e sincero dell’uomo.
Non poté far altro che arrendersi, ancora una volta non sarebbe stata in grado di dirgli di no.
“Già, che razza di cretino si fa venire un attacco di panico per una stupida dichiarazione?” domandò con tono forzatamente canzonatorio.
“Basta che alla fine abbia funzionato” disse Mustang, improvvisamente pervaso di speranza da quel cambio di atteggiamento.
Riza incrociò il suo sguardo e Roy sentì il cuore leggero davanti a quegli occhi finalmente privi di ombre e ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto fosse bella, soprattutto con quel timido sorriso stampato sul volto.
“Direi di sì” disse, mentre una prima lacrima solitaria le solcava la guancia.
“Tenente, non deve piangere”.
“È solo una goccia di pioggia”.
Mustang alzò gli occhi verso l’ombrello, che riparava ancora perfettamente entrambi, come per controllare se davvero fosse possibile che la pioggia fosse filtrata da qualche parte.
“Hai ragione, quest’ombrello è difettoso” disse lui sfilandoglielo dalle mani e chiudendolo con un gesto secco.
“Generale, cosa…?” domandò Riza, mentre la pioggia le lavava via le lacrime dal volto.
Mustang si voltò a guardarla con un mezzo sorriso, era felice che finalmente quelle della donna fossero lacrime di gioia.
“Pensavo che non le piacesse la pioggia perché la rende inutile”.
“Sto cominciando a rivalutarla, con dei sottoposti così efficienti presto le mie fiamme saranno superflue. E poi alcune cose sono migliori se fatte sotto la pioggia”.
Nel dire ciò fece un passo in avanti, finendo con un piede nel mezzo di una pozzanghera, ma non se ne curò, questa volta Riza non indietreggiò.
“Ah sì? Ad esempio?” chiese invece, mantenendo un tono forzatamente disinvolto.
“Ad esempio i baci sotto la pioggia sono estremamente romantici. Se vuoi posso provare a convincerti di questa mia tesi” disse Roy e, senza attendere una risposta, annullò la distanza fra di loro coinvolgendola nel tanto decantato bacio e stringendola forte a sé. Rimasero lì fermi, bagnati, infreddoliti e stanchi, ma felici come non lo erano mai stati.
Il ticchettio della pioggia sulla città simbolo della loro redenzione faceva da colonna sonora alla scena, loro non aggiunsero altro, non ce n’era bisogno.







 

Note finali:
Ok, il romanticismo non è il mio forte, però la dichiarazione di Mustang mi è uscita davvero dal cuore. In un certo senso questo capitolo si è scritto da solo. Non mi sembra troppo sdolcinato (io odio le scene d’amore diabetiche) e spero che le riflessioni/affermazioni dei due siano abbastanza credibili. Secondo me il problema del Royai è proprio nella sua natura: per tutto il manga è evidente ma implicito, quindi è ovvio che nel momento in cui lo si esplicita si rischia di andare OOC.

Grazie mille a chi ha commentato o anche solo a chi segue la storia, fate la mia gioia!
Ci vediamo fra poco con l’ultimo capitolo :)

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Capitolo 5
*** How everything began (again) ***


 
 
Il Generale Mustang esaminò il suo riflesso nello specchio per la milionesima volta nell’ultima mezz’ora, aveva certamente visto tempi migliori: profonde occhiaie scure sul suo viso in contrasto con il colorito pallido, le labbra erano irritate a causa del mordicchiare nervoso e incessante, le mani avevano le unghie smangiucchiate e continuavano a tremolare.
“Non la vedevo così agitato dalla sera in cui ha dovuto mantenere fede alla sua promessa e portare a cena fuori il Generale Amstrong”.
Roy lanciò un’occhiata attraverso allo specchio ad Havoc, in piedi dietro di lui.
“Non me lo ricordare” biascicò in risposta, sentiva che se avesse aperto di più la bocca avrebbe rimesso la colazione.
“Vuole una sigaretta?” offrì il biondo tirando fuori di tasca il pacchetto “Magari la aiuta a calmarsi”.
Roy scosse la testa, mentre continuava a sentirsi sempre peggio.
“Vabbé, io fumo lo stesso” continuò il suo sottoposto aprendo la finestra “Un po’ d’aria fresca non può farle che bene”.
Era una grigia giornata d’inizio settembre in cui l’autunno sembrava essere arrivato in anticipo, il Generale, che indossava solo un panciotto grigio sopra la camicia leggera, rabbrividì sentendo l’ondata di freddo proveniente dall’esterno.
“Coraggio capo!” esclamò Havoc, appoggiato al davanzale, mentre soffiava fuori una nuvola di fumo “Ci siamo passati tutti. Deve riprendersi, non riuscirà mica a stare in piedi per più di un’ora conciato come uno straccio”.
Mustang si passò una mano fra i capelli neri, pettinati ordinatamente all’indietro.
“Non sono più sicuro di poterlo fare”.
Havoc lanciò la sigaretta e si avvicinò al suo superiore, afferrandolo per le spalle e fissandolo negli occhi con sguardo deciso.
“Eh no! Le ricordo che quando è toccato a me mi ha minacciato e praticamente trascinato fuori usando l’alchimia, ora non può tirarsi indietro. Inoltre Tenente Hawkeye ci ucciderebbe entrambi”.
Il generale fece un profondo respiro e l’espressione da malato terminale scomparve. almeno in parte.
“È stato bello tutta la settimana” continuò però con tono lamentoso, sciogliendosi dalla presa del biondo ed avvicinandosi alla finestra “e proprio oggi minaccia pioggia. Magari è un segno del cielo”.
“Da quando in qua crede ai segni del cielo?” sbuffò Havoc “Non avrà mica paura di un po’ di pioggia?” domandò poi con un ghignò ironico, sapendo perfettamente quanto fosse suscettibile il suo superiore sotto quell’aspetto.
“Certo che no!” si infervorò infatti “Temo solo che venga rovinata la festa” disse accennando al tendone che sorgeva sul prato che circondava la villa nella quale si trovavano.
“Oh, non si preoccupi per gli invitati, si divertiranno” disse Havoc, sistemandosi meglio il completo nero e lanciando un’occhiata all’orologio “Meglio muoversi, è quasi ora. Non vorrete farci aspettare ancora?” domandò con palese ironia.
“Continuo a chiedermi perché io abbia scelto te” borbottò seccato il Generale, infilandosi una giacca nera estremamente elegante e seguendolo fuori dalla stanza.
“Probabilmente è colpa di Rebecca”.
“Già” asserì Roy, la bocca sempre più secca ad ogni passo.
Percorsero un breve corridoio vuoto fino a ritrovarsi in un atrio altrettanto deserto.
“Sono già tutti pronti, eh?” domandò Mustang, nervoso.
“Penso che nessuno voglia perdersi questo evento” rispose Havoc con un sorriso.
“Umph, neanche fosse la mia nomina a Führer. Quella sì che sarà un evento da non perdere!”.
Havoc gli rifilò uno sguardo obliquo.
“Le conviene non dirlo troppo forte, almeno per oggi. Andiamo?” chiese poi, afferrando la maniglia del portone d’ingresso. La tirò ed uscì senza aspettare neanche una risposta.
“Non penso di essere pronto” gli disse il Generale, seguendolo lungo il verde prato che circondava la villa. Mai come in quel momento aveva sentito la mancanza di Maes.
“Non lo si è mai”.
“Insomma questo è il game over” farfugliò nervoso.
“Niente più divertimenti” confermò Havoc, anche se un sorrisetto si era fatto spazio sul suo volto nel vedere il Generale in simili condizioni.
Nel frattempo avevano aggirato la villa, portandosi sul retro. Svoltato anche l’ultimo angolo Roy riuscì a vedere chiaramente il tappeto rosso che passava sotto l’arco di fiori e andava a finire a ridosso di un piccolo podio sopraelevato. Ai due lati erano disposte molte sedie, già tutte occupate, come aveva supposto Havoc.
Mustang afferrò per un braccio il suo sottoposto, prima che arrivassero troppo vicini alla folla rumoreggiante. Sentiva il cuore così pesante che anche solo fare un passo sembrava essere un’impresa.
“Te ne sei mai pentito?” chiese, manifestando le sue paure in uno slancio di disperata onestà.
L’espressione di Havoc diventò improvvisamente seria.
“Come potrei? Non riuscirei a trovare cosa più bella del suo sorriso e neanche più importante. Lo so, sono un idiota innamorato” aggiunse il biondo imbarazzato, passandosi una mano fra i capelli.
Roy invece sembrava aver ripreso vigore grazie a quelle parole.
“Il vestito è a posto?” domandò, ritrovando il suo solito tono autoritario.
“Perfetto”.
Si passò per l’ennesima volta una mano sulla testa, controllando che i capelli, pettinati all’indietro, fossero a posto, e si girò con risolutezza verso il tappeto rosso.
“Andiamo. Ho un matrimonio a cui attendere”.
 
 
Erano davvero presenti tutti. Roy ebbe tempo per osservare le facce euforiche degli invitati e scambiare qualche cenno di saluto, mentre aspettava in piedi di fianco al patio. In prima fila, con la divisa da cerimonia dell’esercito tirata a lucido, erano seduti Breda, Falman e Fuery, quest’ultimo esibiva un enorme sorriso e aveva gli occhi che luccicavano felici. La sagoma del Colonnello Amstrong spiccava come al solito fra la folla e anche il suo pianto commosso sovrastava il chiacchiericcio eccitato, Mustang ringraziò mentalmente che almeno non si fosse ancora spogliato.
Ormai erano più di dieci minuti che il Generale aspettava, lo sguardo che saettava nervoso verso il punto in cui la sposa sarebbe dovuta comparire, e stava cominciando a venir preso nuovamente dal panico.
“E se non si presenta?”.
Havoc alzò gli occhi al cielo, esasperato, e fu allora che cominciò a cadere una pioggia leggera, ma insistente.
“Lo sapevo!” si lamentò Roy “Questo è un segno divino!”.
“Generale, glielo ripeto per l’ennesima volta, oggi era prevista pioggia. Piuttosto perché non batte le mani ed usa l’alchimia per darci riparo?”.
“Non so quanto sia una buona idea” intervenne Falman “Basta modificare anche solo un piccolo dettaglio per far impazzire una sposa il giorno del suo matrimonio”.
“In effetti è meglio evitare sparatorie, sarebbe un vero peccato se il suo completo nuovo venisse macchiato di sangue” concordò Havoc, indicando con il pollice il Generale.
Roy stava per ribattere, ma la sua attenzione fu improvvisamente catturata dalla vista di alcune persone che procedevano lungo il prato, verso il podio. Anche gli invitati erano ammutoliti di colpo e si erano girati ad osservare meravigliati.
Per prima veniva Rebecca con un sorriso raggiante in volto e un semplice vestito celeste, della stessa tonalità della cravatta di Havoc, ma lo sguardo del Generale si era già spostato sulle due persone che camminavano dietro di lei.
Il Comandante Supremo Grumman avanzava lento e solenne, con un’espressione soddisfatta che lo ringiovaniva di una decina d’anni, attaccata al suo braccio lo accompagnava la sposa.
Roy sentì il cuore cominciare a battere forsennatamente, come mai gli era capitato in vita sua, e per un momento immaginò che gli sarebbe venuto un infarto e che sarebbe morto lì, come un vero idiota. Si consolò al pensiero che almeno sarebbe morto felice.
Il vestito da sposa era di un candore accecante, interrotto solo da alcuni ricami argentati lungo gli orli dell’abito. Aveva il girocollo alto e anche la schiena era coperta perfettamente, ma non aveva maniche, quindi facevano bella mostra le braccia atletiche della donna. La parte superiore aderiva al corpo, mettendo in evidenza le sue forme, mentre poco sopra i fianchi il taglio cominciava ad allargarsi fino a ricadere in una morbida gonna lunga, che strisciava appena a terra.
Non portava gioielli ad eccezione di un paio di orecchini d’argento e a una tiara dello stesso materiale appoggiata sui corti capelli biondi, ma non aveva bisogno di sgargianti decorazioni. Aveva un sorriso radioso, così raro da vedere sul suo volto, ma in grado di illuminare completamente quella giornata piovosa. e Roy guardandola comprese perfettamente il significato della risposta che Havoc gli aveva dato poco prima.
Non riusciva a sentire l’orchestra che aveva cominciato a suonare, né la pioggia fredda che gli cadeva addosso, l’unica cosa che sembrava essere in grado di percepire in quel momento era la donna che, come in un sogno, si avvicinava sempre di più.
“Riza...” sussurrò pieno di meraviglia e gioia, mentre Grumman gli cedeva il braccio della donna con un occhiolino “Sei bellissima”.
“E lo dici con quel tono sorpreso?”.
La donna gli lanciò un’occhiata fulminante e per un istante il Generale temette che avrebbe tirato fuori la 9mm da una tasca nascosta del vestito e gli avrebbe sparato addosso qualche colpo d’avvertimento.
Invece l’espressione di Riza si distese nuovamente e il sorriso ricomparve sul suo volto.
“Comunque grazie” disse sistemandogli con dolcezza la cravatta argentata, in tinta con i ricami sul suo vestito bianco “Anche tu stai benissimo”.
“Vi volete sposare o avete intenzione di stare tutto il tempo a tubare?!” li interruppe l’inconfondibile voce di Ed, immediatamente subissato dagli insulti di Winry.
“Una volta tanto Fullmetal ha ragione” ammise il Generale, puntando i suoi occhi scuri in quelli castano chiari di Riza.
Dal momento in cui l’aveva vista ogni dubbio, paura o preoccupazione era sparita, come se la sua sola presenza fosse in grado di farlo tornare il solito Alchimista di Fuoco sicuro di sé stesso.
“Insieme anche fino all’inferno” gli disse lei afferrandogli la mano.
Si scambiarono uno sguardo pieno d’amore e, davvero, non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere nessun’altra promessa.
 
 
Mustang era esausto, i festeggiamenti si erano protratti per tutto il giorno e non aveva avuto un secondo di riposo fra le foto, i discorsi di congratulazioni e il taglio della torta. Solo dopo aver concesso un ballo a praticamente ogni donna presente, con la ovvia eccezione di Winry e di Olivia Amstrong, aveva finalmente trovato un attimo di pace e ne aveva approfittato per andare a prendere una boccata d’aria.
Ormai si era fatto buio fuori, l’oscurità era accentuata dai nuvoloni neri che coprivano la luna e le stelle. Roy aveva camminato lentamente per un po’, allontanandosi dal tendone sotto il quale si stava svolgendo il ricevimento, fino a fermarsi vicino ad un lampione che sorgeva solitario in mezzo al giardino della magione.
La pioggia, che aveva continuato incessante tutta la giornata, si vedeva chiaramente nel momento in cui veniva illuminata dal cono di luce. L’Alchimista si fermò proprio al limitare della zona in ombra, guardava le gocce cadere, perso nei propri pensieri.
“Non posso credere che tu non fossi presente, ti saresti divertito moltissimo” sussurrò, alzando il volto verso il cielo e lasciando che l’acqua scorresse sul suo viso.
Non che Havoc fosse stato un cattivo testimone, anzi, era anche merito suo se lo sposo non se l’era data a gambe prima della cerimonia, ma semplicemente non era quello giusto. Il vuoto che si era lasciato dietro Maes Hughes era per molti versi incolmabile.
Roy fece un sospiro stanco e con una mano scombinò i capelli ormai fradici, facendo riacquistare loro la solita disposizione spettinata.
“Ecco dov’eri finito”.
Si girò sorpreso al suono di quella voce, non si era accorto che qualcuno si stava avvicinando.
“Riza” la salutò con un sorriso “Tutto a posto?” domandò indicando il tendone, da cui provenivano le luci e i rumori della festa.
La donna scrollò le spalle, indossava una leggera giacchetta sopra il vestito per proteggersi dal freddo.
“Me ne sono andata mentre Fuery veniva assaltato dalle ragazze di tua zia, ma non ho più forze per intervenire”.
Roy scoppiò a ridere.
“Tranquilla, non può fargli che bene” rispose, allungando un braccio per cingerle le spalle “E poi sono esausto anch’io”.
“Non dovresti stare qua fuori sotto la pioggia, si rovinerà il vestito” lo rimproverò, appoggiandogli la testa sulla spalla, dovette piegarla quasi ad angolo retto perché con le scarpe con il tacco era alta quasi quanto lui.
“Non avrei avuto questo problema se qualcuno mi avesse lasciato sposare con l’uniforme militare” ribatté il Generale.
Riza girò il volto per riuscire a rivolgergli uno sguardo infuocato.
“In quel caso anche io avrei dovuto avere il diritto di indossare l’uniforme, ma tu volevi tanto che io mettessi un vestito da sposa, quindi non vedo cosa ci sia di sbagliato nel fatto che anche tu sia vestito con un abito elegante. E non dovresti neanche avere il diritto di lamentarti, queste scarpe mi stanno facendo impazzire!”.
Roy fece uno sbuffò esageratamente seccato.
“Lo faccio solo perché sei mia moglie, ma non ti ci abituare” disse, prendendola in braccio con una mossa improvvisa.
Riza emise un’esclamazione sorpresa, avvolgendo entrambe le braccia attorno al collo del suo uomo per evitare di cadere.
“Roy” lo chiamò, mentre l’Alchimista aveva già cominciato a camminare verso il tendone, sempre sorreggendola fra le sue braccia “Ti ricordi la prima volta che hai provato ad usare l’Alchimia del Fuoco?”.
La bocca dell’uomo si piegò in una piccola smorfia.
“Come dimenticare? Una delle figuracce peggiori della mia vita”.
“Invece fu proprio quell’episodio che mi fece pensare che dovevi avere bisogno di qualcuno che ti proteggesse. In un certo senso dovremmo ringraziare la pioggia, forse senza di essa non sarei diventata la tua guardia del corpo”.
Roy si fermò ed alzò il viso verso il cielo.
“Già” disse dopo qualche secondo “Forse è un bene che piova anche oggi”.
Riza gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Sai come si dice, no?” continuò lui con un sorriso “Sposa bagnata, sposa fortunata e, a giudicare dalle nostre vite, noi di fortuna ne abbiamo molto bisogno”.






 

Note:
Ed eccoci giunti all’ultimo capitolo! Grazie mille per aver letto questa storia, mi dispiace quasi aver già concluso. La buona(?) notizia è che ho già in magazzino tante altre storie (Royai ma anche no) quindi spero di non sparire tanto facilmente da questo fandom.

Perdonate se ci sono errori di ogni sorta, giuro di aver riletto, ma sono alquanto stanca (questo ponte mi ha provato piuttosto che rilassarmi) quindi non garantisco nulla.

Passando a informazioni più tecniche: lo scorso capitolo era ambientato a gennaio, questo a settembre, ma probabilmente dell’anno dopo. Se la sono presa con calma, così hanno avuto anche il tempo di cambiare la regola anti-fraternizzazione.

Inoltre riguardo ai gradi dell’esercito per Riza vale lo stesso discorso del capitolo precedente, mentre Armstrong è passato da Maggiore a Colonnello (dovrebbe essere giusto, visto che è ciò che ha fatto anche Roy dopo la guerra di Ishval).

Ho provato a cominciare il capitolo senza dare informazioni chiare di cosa stava succedendo nella speranza di riuscire a suscitare un po’ di effetto a sorpresa, anche il fatto che l’identità della sposa si svelata solo da Roy stesso una volta che lei lo raggiunge è teso a creare “tensione”. Anche se temo sia troppo palese che si tratti del loro matrimonio, comunque sono curiosa di sapere se avevate già capito tutto dopo tre righe o ci è voluto un po’. In ogni caso spero non fosse scontato che la conclusione della storia sarebbe stata il loro matrimonio, o comunque di essere riuscita a rendere questo episodio (molto usato e abusato) in modo abbastanza interessante/originale.

Fra l’altro, nel caso non sia ovvio, HAVOC STA CON REBECCA, li trovo di una tenerezza incalcolabile.

Ho tagliato la scena del matrimonio perché non volevo ripetere le stesse formule da film (che tra l’altro essendo un altro mondo ci saranno usanze diverse) e poi se no il capitolo diventava davvero troppo da diabete per i miei gusti e già così ho dato fondo alla mia riserva di fluff. Almeno mi sono anche risparmiata la fatica di scegliere il cerimoniere (vi dico solo che nella mia testa si erano formate le idee Scar o Dr. Knox, quindi meglio così).

La conclusione si è scritta da sola, ma adoro il fatto che richiami il primo capitolo della storia. Anche il titolo richiama quello del primo capitolo, nel senso che il matrimonio è un nuovo inizio.

Riguardo l’abito di Riza è una storia buffa, nel senso che mi è comparso tipo illuminazione durante una lezione due settimane fa, ho cercato un po’ su internet abiti da sposa che ci si avvicinassero per riuscire a mettere un’immagine qua sotto ma nessuno mi soddisfaceva. Poi ieri a notte fonda vagavo come al solito a caso su internet e mi sono imbattuta in questa fanart: https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/originals/0a/49/7f/0a497ff5b6ddf62723a858dae11da2b6.jpg che è quasi esattamente quello che immaginavo. Le belle coincidenze della vita <3

Per il resto spero che sia una conclusione degna e soddisfacente.

Grazie ancora a tutti quelli che hanno seguito, ma soprattutto recensito.
Spero di risentirvi presto! Baci <3
Tamar

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