Per il bene superiore

di Rosebud_secret
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piume di gufo ***
Capitolo 2: *** Petali rossi ***



Capitolo 1
*** Piume di gufo ***


Benvenuti a tutti,
di rado sento il bisogno di mettere le n.d.A anche in apertura, ma dato il clamore che sta facendo questa ship e tutti i casini derivati, perché OMMIODDIO è badwrong/abusive, brucerete all’Inferno se li shippate eccetera-eccetera (sembra di esser circondati da tante madri di Credence), mi pare necessario.
Informo subito chi legge che il rating della storia parte con l’arancione ma potrebbe variare al rosso. Ciò non solo per la probabile presenza di una lemon futura, ma anche per i contenuti generali, non inerenti alla ship, che saranno “delicati” come si dice qui. Chiariamo anche un’altra cosa: non sappiamo quanti anni abbia Credence, c’è chi dice sedici, c’è chi dice diciotto, c’è chi dice venti e c'è chi gioca i numeri al lotto. Qui ne ha diciotto, glielo farò dire anche all’interno del testo. Se la Rowling, in un prossimo futuro, dovesse chiarire l’impasse e Credence dovesse risultare minorenne, epurerò la fanfiction da tutti quegli elementi che infrangono il regolamento del sito.
Ultima cosa, poi ci rivediamo in fondo: questa non è una storia d’amore e Grindelwald/Graves non è il principe azzurro di nessuno. È un uomo complesso, con molte sfumature. A titolo personale lo apprezzo molto come personaggio, ma lo faccio proprio perché è subdolo e macchinatore. Non è nel mio interesse, e, suppongo, neppure nel vostro, renderlo una patata romantica.
La storia coprirà il frangente di tempo che comincia dalla conoscenza tra i due, sino agli eventi del film. A volte potrà sembrare che io stracci la continuity, ma non sarà così, questo è un prequel ideale che è in linea con gli eventi del film. Ovviamente è la mia personale interpretazione, non sono nella testa della Rowling, ma sarò accurata il più possibile.
Scusate il pippone iniziale, ma a volte sembra di dover passar dall’avvocato per poter pubblicare una storia.
Buona lettura!

 

 
 
 
Credence camminava a testa bassa lungo il marciapiede. Sapeva di star correndo un grosso rischio a lasciare la sua postazione, ma aveva finito i volantini e sua madre era dall’altra parte di Manhattan per tenere uno dei suoi comizi, non se ne sarebbe accorta.
Non poteva accorgersene.
E poi era troppo curioso di sapere cosa stava succedendo. Non capitava certo tutti i giorni di vedersi recapitare un biglietto da un gufo.
No, non capitava proprio. O, quanto meno non a lui.
Da principio aveva pensato a un qualche scherzo, o magari ad uno di quegli addestratori del circo venuto in centro a fare un po’ di pubblicità ai suoi spettacoli, ma non era riuscito a notare nessun bizzarro individuo lungo la via.
Il circo… una volta aveva pensato di scappare per unirsi a dei saltimbanchi di passaggio, ma non era arrivato neanche alla fine dell’isolato. Non sapeva fare niente, non l’avrebbero voluto, sarebbe stato solo un’altra, inutile, bocca da sfamare. Aveva fatto bene a tornare indietro e ora, solo il pensiero che sua madre potesse venir a sapere di quella sua peccaminosa fantasia gli faceva accapponare la pelle per il terrore. I saltimbanchi erano persone maligne, empie, adoratori del demonio.
Srotolò il piccolo biglietto, ancora incredulo. Si fermò persino, per concentrarsi meglio e rileggere con fatica quella breve frase. Non aveva mai imparato a farlo bene, sua madre sosteneva che non gli sarebbe mai servito: presto l’avrebbe mandato a lavorare in una qualche fabbrica e in catena di montaggio leggere è inutile.
“Ca… caro Credence…”, bofonchiò a mezza voce, muovendo qualche altro passo, “Av...av...rei pia...cere di…”
Qualcuno lo colpì con una spallata, sbalzandolo contro un palo della luce.
“E guarda dove vai, cretino!”, si sentì apostrofare.
“C-chiedo scusa.”, balbettò, affranto e dolorante, ma l’altro se n’era già andato. Credence sollevò lo sguardo, un po’ sollevato. La spalla gli faceva male, gli sarebbe venuto un livido ma, in fin dei conti, era andata bene: quell’uomo non se l’era presa sul serio. Decise comunque di attraversare, temendo che potesse tornare indietro, ed eccolo, finalmente, il vicolo che diceva il biglietto. Era passato lì davanti centinaia, forse migliaia di volte, eppure non l’aveva mai notato. Nonostante fosse pieno giorno, era in penombra, come se qualcuno avesse deliberatamente deciso che dovesse sembrare un posto poco appariscente, visto, magari, con la coda dell’occhio, ma destinato ad essere dimenticato.
“Come me…”, pensò con amarezza.
Ormai era quasi arrivato, gli bastavano pochi passi per addentrarvisi, eppure la paura lo teneva fermo lì, con quel foglietto stretto tra le mani. Si guardò intorno, atterrito dal timore che sua madre potesse balzar fuori da un momento all’altro.
E se fosse stata lei a mandargli quel biglietto per metterlo alla prova e punirlo per la sua curiosità?
Era possibile, ma non spiegava la faccenda del gufo. Un animale da streghe avrebbe aiutato la messinscena, certo, ma come avrebbe potuto addestrarlo? E dove? Gli unici uccelli che infestavano la chiesa erano i piccioni.
Una folata di vento lo investì, quasi sospingendolo verso l’imboccatura del vicolo. Tiepida, accudente e dall’odore di biscotti appena sfornati. Eppure non c’erano pasticcerie lì attorno.
Che fosse un segno?
Tutto cominciava ad assomigliare a quelle fiabe che gli aveva raccontato la mamma da bambino. La sua vera mamma, non sua madre. Aveva trascorso molte notti a cercare di ricordare di cosa trattassero, anche solo per poter risentire la sua voce, ma era passato troppo tempo. Persino il suo viso era offuscato dalla nebbia, null’altro che i frammenti di una fotografia bruciata nei meandri della memoria.
Deglutì, incerto. Era ancora al sicuro, ancora in tempo per tornare indietro e fingere che nulla fosse successo. Inoltre, era trascorsa l’intera mattinata da quando aveva ricevuto il messaggio. Forse chi l’aveva mandato si era stufato. In fin dei conti, chi avrebbe mai atteso ore per vedere lui? Proprio lui?
Nessuno.
“Stupido…”, si disse, accartocciando il foglietto e voltandosi per tornare da dove era venuto, ma si fermò al sentire dei passi.
“Ben arrivato. Ti stavo aspettando.”
Con lentezza voltò il capo, le spalle curve, ingobbite dalla vergogna e rimase ammaliato dall’uomo che scorse. Distinto e ben vestito, se ne stava appoggiato alla parete con le braccia conserte e un sorriso accomodante sul viso pulito. Trasudava una sicurezza elegante e torbida che Credence non avrebbe mai potuto neanche sperare di eguagliare.
“Cominciavo a credere che il gufo avesse perso la lettera, prima di tornare. Non è il mio. Ci si può fidare solo di ciò che si possiede, non sei d’accordo?”, lo sentì insistere.
“L-lei… lei è Percival Graves, signore? C-credo che abbia commesso un errore, io non...”, mormorò con un filo di voce che si spense nel silenzio dell’imbarazzo.
“Lo sono. E tu sei Credence Barebone. Nessun errore. Vieni, c’è molto di cui dobbiamo discutere.”
L’uomo gli fece cenno di seguirlo, prima di imboccare il vicolo e lui lo fece, sebbene esitante. Camminò nella sua ombra sino alle scale che davano su uno spesso portone intarsiato. Percival le salì con sicurezza, “Coraggio.”, lo spronò, dischiudendo l’uscio.
Credence non era uno stupido, sapeva che non era prudente fidarsi di uno sconosciuto. Era una lezione che si imparava in fretta, quando si era orfani. Lui era stato derubato e malmenato più volte di quante riuscisse a ricordarne, per poi essere puntualmente punito da sua madre. Però quell’uomo voleva parlare con lui. Non c’era nulla di male e poi, con quegli abiti d’alta sartoria, non sembrava affatto un ladro.
Ecco cosa avrebbe fatto: se gli avesse chiesto di fare qualcosa di sbagliato se ne sarebbe andato via.
Con angoscia si rese conto di essere rimasto fermo come un cretino sul marciapiedi per un’eternità. Percival Graves stava ancora tenendo aperta la porta con viso disteso. Per fortuna non sembrava essersi spazientito. Perché? Ne avrebbe avuto tutte le ragioni, dato che l’aveva aspettato per ore!
Credence si sentì in colpa ma, soprattutto, in obbligo nei suoi confronti. Preso un respiro profondo, si fece forza ed entrò nell’atrio, lo sbattere del portone, tuttavia, acuì le sue paure. L’altro lo condusse sin dentro all’ascensore, dove premette il bottone per il nono piano con silenziosa naturalezza, come se fosse normale, per loro, incontrarsi in quel modo. Credence, invece, lo trovò molto strano e finì col rifugiarsi nell’angolo, lontano da lui il più possibile.
“Se hai così paura che possa farti del male, perché mi hai seguito?”
La domanda lo colse alla sprovvista e il fiato gli mancò nel petto, impedendogli di rispondere. Riuscì a stento a farfugliare qualcosa di incomprensibile per poi impallidire e abbassare lo sguardo.
Graves gli posò una mano sulla spalla con gentilezza.
“Non ti farò niente. Hai la mia parola.”, lo rassicurò, prima di aprire la grata dell’ascensore, “Ho voluto incontrarti perché sei l’unico che può aiutarmi. È molto, molto importante...”
Una giovane donna uscì dal primo appartamento sulla sinistra e l’uomo smise di parlare. Era vestita in modo bizzarro, riconobbe Credence, ed era arrossita alla vista del signor Graves. Sbatté le palpebre, confuso: gli era sembrata mora, a una prima occhiata, invece era bionda… diede la colpa alla luce e smise di guardarla. Fissare le persone portava solo guai e lui non ne voleva.
“Buongiorno, signor Graves!”, trillò lei, tutta contenta.
“Signorina Stone.”
“Ha funzionato, sa? Ora io e mia madre non abbiamo più paura che qualche malintenzionato possa entrare in casa dalla scala antincendio. Ho eseguito ogni passaggio di quel sigillo di protezione, proprio come mi aveva detto, signor Graves. Sa che cosa dico? Dovrebbero farlo tutti! Che pericolo sarà mai un fuocherello quando puoi ritrovarti Grindelwald in persona in soggiorno, dico bene? Ma lei lo sa, lei è un bravissimo Auror! Ma che dico? Il migliore, signor Graves!”, ripeté il suo nome, accarezzandolo con la lingua e dando qualche pacchettina gentile sul petto dell’oggetto del suo interesse.
Credence guardò il suo accompagnatore ed ebbe la sensazione che fosse sul punto di mettersi a ridere, o ad urlare. Invece si schiarì la voce e sorrise di cortesia.
“Lieto di saperla tranquilla, signorina Stone.”, rispose, facendole persino un debole inchino con l’intenzione di accomiatarsi.
La donna parve sciogliersi sotto il suo sguardo e Credence si domandò se fosse un po’ lenta di comprendonio: era chiaro che il signor Graves non vedeva l’ora di sbarazzarsi di lei.
Apparentemente cieca all’evidenza avanzò per stringergli le mani in modo appassionato.
“È davvero una fortuna avere un uomo come lei come vicino di casa! Io e mia madre saremmo molto felici di averla per cena. Per ringraziarla dell’aiuto, naturale! Che ne dice di martedì?”
Graves arretrò di un passo, il suo disagio sempre meno celato.
“Ne sarei onorato, ma al Ministero c’è sempre molto da fare. Sono davvero sommerso di lavoro. Andiamo, Credence.”, con urgenza lo afferrò per una spalla e lo sospinse verso il portone sulla sinistra, per poi aprirlo.
“Chi è questo giovanotto? Un suo parente?”, tornò all’attacco la signorina Stone.
“Un amico. Buona giornata.”
Graves chiuse bruscamente l’uscio e prese un profondo respiro.
“Ho visto folletti attaccarsi all'oro con meno fervore.”, commentò tra sé e sé, “Le mie scuse, Credence. Accomodati.”
Ma il ragazzo non lo stava più ascoltando, terrorizzato e meravigliato guardava, da lontano, gli ultimi numeri del NYG sparpagliati sullo scrittoio davanti al caminetto. I titoli svettavano sulle fotografie in movimento e Credence non riusciva a credere ai propri occhi.
“Perdonami.”, intervenne Percival, prendendo i quotidiani e buttandoli nel fuoco, “Non ho pensato che potessi notarli. Sei un fine osservatore.”, si complimentò.
“M-mia madre aveva ragione!”, esclamò l’altro con voce stridula, “Le streghe esistono!”
“Sì… io sono un mago, però.”
“C’è differenza?”
“No, le donne sono streghe, gli uomini maghi. Semplici definizioni. Sediamoci.”
Fece per avvicinarsi per indurlo ad entrare nel salotto, ma il ragazzo si ritrasse, tremante.
“Stia lontano da me!”, gridò, accovacciandosi a terra nell’angolo, la testa stretta tra le mani come a volersi proteggere.
Graves lo guardò dall’alto, la rabbia e il dispiacere a deturpargli il volto. Si levò di dosso il cappotto e lo abbandonò sulla scrivania, prima di chinarsi a sua volta, senza avanzare.
“Ascoltami, Credence: tutto quel che ti ha detto tua madre sulla magia non è altro che un preconcetto partorito dall’ignoranza e dalla paura. I maghi non sono persone malvagie, non rapiscono bambini nei loro letti per sacrificarli al demonio, né stuprano vergini in suo nome. Sono persone come tutte le altre, perseguitate e massacrate per secoli solo perché nate con un dono che le differenziava dalle masse. Guardami, ti sembro forse un uomo cattivo?”
Credence sollevò gli occhi con timore: Graves gli sorrideva con dolcezza e il suo sguardo era pieno di calore e di comprensione.
“I-il diavolo è seducente e bugiardo…”, sentenziò a bassa voce, riportando uno dei sermoni di sua madre.
“Il diavolo non è che un concetto. Una potente fantasia ideata per soffocare le menti con la colpa di un peccato mai commesso. Se ci sia qualcuno o qualcosa, al di là della percezione della vita, io non so dirlo, ragazzo, ma sono convinto che nessuno debba sprecare l’esistenza nella paura di fare un torto a un personaggio di finzione. Tutto ciò che è raccontato dall’uomo non è che l’interpretazione di un onirico spettacolo scorto, solo per pochi attimi, da un buco della serratura. Non è reale, al risveglio, e non è autentico. Perciò io sono solo un uomo, con gli attributi della mia natura, preziosi più dell’oro per alcuni, torbidi e crudeli per altri. Ti prego, giudicami in base a ciò che vedi, non a ciò credi. Te lo chiedo ancora: sembro, forse, un uomo cattivo?”
Credence scosse il capo e Graves gli sorrise, rialzandosi. Gli porse la mano.
“Allora andiamo di là. Il sofà è più comodo del pavimento.”
Il ragazzo si prese il suo tempo prima di stringerla e farsi tirare in piedi. Era spaventato a morte. Una parte di lui non desiderava altro che prendere la porta e fuggire via per non guardarsi mai più indietro, ma gliene mancava il coraggio.
Non si fidava di quell’uomo, ma forse, assecondandolo, sarebbe riuscito ad uscirne vivo.
Mansueto come un agnello sacrificale, si accomodò sul divano nel salotto attiguo.
“Non hai domande da pormi?”, si sentì interrogare.
Diniegò, brusco, il corpo scosso da un tremore incontrollato. Aveva la nausea e si sentiva come se il cuore fosse sul punto di scappargli via dal petto.
Graves sospirò con rassegnazione, ma preferì non ripetergli di non aver paura. L’avrebbe solo acuita. Si domandò, persino, se non fosse più opportuno oblivare il ragazzo e tentare un altro approccio, più cauto, magari in territorio neutrale. Decise di insistere, per quell’opzione c’era sempre tempo.
“I maghi e le streghe,” disse, cominciando a passeggiare per la stanza, “non vivono con le persone non magiche, hanno una loro società. A ben guardare non è neppure così diversa dalla vostra: la comunità magica è suddivisa in stati, ognuno con il suo governo, i suoi ministri e i suoi funzionari. Abbiamo diversificati ruoli sociali, io, per esempio, sono un Auror, l’Auror in chief. Il mio compito è quello di coordinare tutti gli agenti del paese per preservare l’ordine pubblico.”
“Q-quindi è… un poliziotto, signor Graves?”, chiese Credence, sentendosi appena più tranquillo.
“In un certo senso. Credo che il mio ruolo sia più simile a quello del capo del NY Detective Bureau, ma ammetto di non essere un esperto di società nomag.”
“Nom..?”
“Nomag: non magica. Un’altra definizione.”, spiegò distrattamente, soffermandosi a guardare una libreria che non gli apparteneva.
Sorrise, divertito. Era un rischio, ma anche una tentazione...
“Sai leggere, Credence?”, domandò, “Certo che sì, altrimenti non saresti arrivato sin qui. Chiunque altro non avrebbe visto nulla su quel biglietto.”
“N-non so farlo bene, signor Graves… signore.”
“Un signore per frase è sufficiente, Credence.”, lo rimproverò con dolcezza, per poi sfilare un libricino dallo scaffale, “I nostri bambini frequentano scuole e leggono libri per soli maghi. Questo, per esempio, è una delle nostre raccolte di fiabe più conosciute.”
Si sedette sulla poltrona di fronte al divano, prima di porgerglielo.
“È tuo adesso.”, concluse.
“No!”, esclamò Credence, ritraendosi di scatto, “I-io non posso accettarlo!”
“Ti assicuro che è solo un libro per bambini. Non ti farà alcun male.”, insistette Graves, sorpreso.
L’altro scosse ancora il capo.
“L-lei non capisce… se mia madre lo trovasse...”
“Tu non farglielo trovare. Coraggio, so che vuoi prenderlo.”
Il ragazzo allungò le dita a stringere la copertina e impiegò qualche attimo per leggerne il titolo: “Le fiabe di Beda il Bardo”.
“Sembra familiare…”, bisbigliò.
Graves sorrise.
“Tutti abbiamo avuto le nostre fiabe, da bambini. Si somigliano. Sono curioso di sapere quale sarà la tua preferita.”
Credence sospirò, riluttante.
“Mia madre direbbe che sono troppo grande per le fiabe. Sono un adulto...”
“E tu cosa ne pensi?”
Si riscosse, come folgorato e lo guardò, confuso.
“È importante?”, domandò, timido.
“Il proprio è l’unico parere che conti davvero qualcosa, nella vita. Io ne ho una preferita, ma ne parleremo una volta che avrai letto il libro.”
Credence annuì e distolse lo sguardo.
“Perché mi ha cercato, signore?”
“Non per regalarti un libro di fiabe. In realtà, quel che sto facendo è illegale. Non potrei star qui a parlare con te del mondo magico e delle sue regole, men che meno potrei regalarti qualcosa. Verrei processato e finirei in prigione, se al Ministero scoprissero che mi sono messo in contatto con te senza cancellarti la memoria subito dopo. Come ti ho detto, è molto importante. Tu sei l’unico che può davvero aiutarmi, ma non potrai parlarne con nessuno. Saremo solo tu ed io.”, fece una pausa, scrutandolo con attenzione. Doveva essere sicuro che avesse capito la gravità della situazione. “Alcuni maghi, come me, possiedono capacità più rare di altri e possono, talvolta, avere visioni del futuro. Nulla di preciso, solo frammenti poco chiari. Volti sconosciuti tra la folla, spesso impossibili da identificare. Capirai, quindi, il mio stupore nell’aver riconosciuto tua madre, ieri sera, mentre tornavo a casa dal Ministero. Certo, una mia sottoposta vi tiene d’occhio per via delle vostre posizioni anti magiche, ma non avete mai rappresentato una minaccia tanto pericolosa da richiedere la mia attenzione. Non conoscevo tua madre, né l’avevo mai vista.”
“Siamo in pericolo?”, domandò Credence, immediatamente attento e meno timoroso. Solo l’idea che potesse succedere qualcosa alla sua sorellina lo spaventava ben più delle streghe.
Graves annuì, serio in volto, “Penso che lei lo sia e forse molti altri ancora, ma, se mi aiuterai, nessuno si farà male. Questa… forza che vi minaccia, in verità non ha alcuna colpa, ma forse è opportuno che io mi spieghi meglio. Può capitare che un mago o una strega nascano in una famiglia che non ha mai avuto alcun potere. Le teorie sul perché ciò avvenga sono molte e non ci interessano. Un bambino con capacità magiche comincerà a svilupparle sin dall’infanzia. Fanno parte di lui e tutto va per il meglio se tali manifestazioni avvengono in un ambiente dove, chi lo circonda, non lo osteggia o non lo emargina, ma i non maghi sono stupidi e imprudenti… Dall’inizio dei tempi perseguitano i maghi, costringendoli a nascondersi per non essere uccisi o costretti a difendersi. Un bambino, tuttavia, non è un mago formato, è solo un bambino con uno straordinario potere che non può controllare da solo. Deve essere guidato da altri maghi. Ciò non può succedere in un contesto dove la magia viene considerata malvagia. Il primo a spaventarsi è il bambino stesso che, per timore di essere scoperto, cercherà di reprimere le sue capacità. Giorno dopo giorno, anno dopo anno queste cresceranno dentro di lui, straziandolo, per poi esplodere incontrollate, causare grandi devastazioni e la sua morte.”, scosse il capo, serrando i pugni, “Nella comunità magica molti pensano che questi bambini, gli obscuriali, non siano altro che una leggenda, qualcosa che non può più succedere, nella modernità. Sono più stupidi dei nomag! Io ne ho conosciuta una, ho toccato con mano la disgrazia che ha causato e non voglio che succeda ancora. Uno dei bambini di cui si occupa tua madre ha subito la stessa ingiustizia. Se mi presentassi da lei, anche sotto copertura, desterei troppi sospetti. Sono un personaggio influente nella comunità magica, ma non me ne starò fermo a guardare. Non di nuovo. Devo trovare quel bambino prima che sia troppo tardi ed è per questo che mi serve il tuo aiuto. Ti chiedo di essere i miei occhi e le mie orecchie. Lo so che…”
“Com’è fatto?”
Graves esitò, colpito: Credence l’aveva persino interrotto! Non pensava sarebbe stato così semplice convincerlo.
“Non lo so.”, ammise, amarreggiato, “Nella mia visione non sono riuscito a scorgerlo. Non so neppure se sia un maschio o una femmina, ma ha un'età compresa tra gli otto e i dieci anni. Mi aiuterai?”, domandò.
Il ragazzo non rispose.
“Che ne sarà di lui, o lei, se lo farò?”, chiese.
Sapeva che era rischioso esitare di fronte a un mago, ma non gli avrebbe mai permesso di fare del male a uno di loro.
“Me ne occuperò personalmente e lo proteggerò. Hai la mia parola.”
Non gli apparve altrettanto convincente. Sebbene Graves sembrasse animato da buone intenzioni, probabilmente non avrebbe esitato a uccidere il bambino in caso di pericolo. Tuttavia, se quel che diceva era vero, in molti avrebbero rischiato la vita, se lui si fosse rifiutato di collaborare.
“V-va bene…”, bisbigliò, “L’aiuterò.”
Il viso dell’uomo si distese in un sorriso e il suo tono si fece ancor più vellutato.
“Sentivo di poter contare su di te. Se riusciremo a trovare questo bambino, mi impegnerò per far sì che una simile crudeltà non possa mai più verificarsi. Troppe vite sono state spezzate a causa del pregiudizio dei non maghi, è ora di porre fine alla loro arroganza.”
Si rialzò bruscamente e raggiunse la finestra, “Non puoi immaginare quanto io ti sia grato, Credence. Senza di te, nulla sarebbe possibile.”
Il ragazzo rimase silenzioso, la mente confusa da sentimenti contrastanti: per la prima volta qualcuno lo considerava importante, ma questo qualcuno era un mago, un uomo che sua madre l’aveva educato ad odiare. Che sarebbe successo se l’avesse scoperto? Percival Graves si sarebbe esposto per proteggerlo?
Porsi quelle domande era inutile, visto che aveva, stupidamente, già accettato.
“Credence, mi stai ascoltando?”
Distratto com’era, non si era reso conto che avesse parlato ancora.
“C-come?”, gemette, senza fiato.
“Ho detto che non voglio rischiare di avvelenarti cucinando, ma possiamo mangiare qualcosa fuori. È il minimo che possa fare per sdebitarmi e per scusarmi di averti trattenuto tanto a lungo.”
Credence guardò la pendola sulla parete e impallidì. Mancavano cinque minuti alle due del pomeriggio. Aveva mancato il servizio del pranzo in chiesa. Sua madre lo avrebbe punito.
Si alzò bruscamente.
“N-no! Io devo andare, signor Graves!”
L’uomo si allarmò.
“Ho detto o fatto qualcosa che ti ha spaventato?”, gli chiese, sorpreso di vederlo, di nuovo, tanto scosso.
“No. No, mi scusi… Devo solo andare!”, ripeté, ormai quasi in lacrime
“Va bene… Non tornare qui, non dobbiamo attirare l’attenzione. Ti contatterò io.”
Dopo aver annuito, il ragazzo corse verso la porta e lasciò l’appartamento, le fiabe di Beda il bardo nella tasca interna della giacca.


N.d.A.: Eccoci in chiusura. Visto che vi ho tediati più su, sarò breve. Per ovvie ragioni non farò comparire Silente nella storia, ma la sua ombra sarà spesso presente nei ricordi e nelle azioni di Grindelwald(Graves). Mi aggrapperò ad ogni più sordido elemento per riuscire a rendere una caratterizzazione a tutto tondo sia di Grindelwald che di Credence.
La storia non dovrebbe essere lunghissima, ma chi vivrà vedrà. Ormai non faccio più pronostici, tanto li canno tutti XD!
Grazie per essere arrivati sin qui. Se vorrete lasciarmi un commento, ne sarò felicissima ^^! Alzate le bacchette, fiere shippatrici dell'abominio XD!
Un bacione,
Ros.

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Capitolo 2
*** Petali rossi ***


“Credence, cosa stai facendo?”, esclamò sua madre, “Va’ subito a prendere l’altra pentola di zuppa!”
Si riscosse bruscamente. Da quasi cinque minuti non stava facendo altro che scrutare ogni singolo bambino presente nella chiesa. Nessuno di loro gli era apparso diverso dagli altri, ma c’era, doveva esserci. Si affrettò verso la cucina e obbedì, trasportando con cautela il pentolone.
“Non ci siamo, non ci siamo davvero.”, gli sibilò Mary Lou, “È evidente che non hai imparato la tua lezione.”
“S-scusami… Non succederà più.”, farfugliò lui.
“Lo dici ogni volta e non è mai vero. Oltre che un incapace sei anche un bugiardo! Credi che mi piaccia punirti? Sei tu a costringermi, stupido e ingrato.”
Credence arretrò, affranto ma ormai rassegnato.
“Mi dispiace…”
La donna gli colpì la bocca con un manrovescio, aprendogli le labbra con il bordo del mestolo che stringeva.
“Prendi i volantini e vattene. Non ho tempo per te, adesso.”
Non se lo fece ripetere.
Era andata bene.
Se non avesse sbagliato nient’altro in tutta la giornata, probabilmente, non ci sarebbero state altre ripercussioni. Afferrata la fascina corse fuori dalla chiesa, il sangue che gli gocciolava, copioso, sul mento.
Il suo stomaco brontolò di protesta, dal momento che non aveva mangiato nulla, ma non vi badò e proseguì a testa bassa lungo la strada. Per prudenza decise di infilarsi in un vicolo, nel caso sua madre avesse cambiato idea e deciso di inseguirlo. Aveva appena svoltato l’angolo, quando si scontrò con violenza con qualcuno e finì malamente a terra. I volantini gli sfuggirono di mano, sparpagliandosi al vento.
“Un saluto caloroso, non c’è che dire.”, commentò Graves, ironico, per poi trasalire, “Sono stato io?”, chiese, dispiaciuto, chinandosi per guardare meglio il sangue che gli macchiava il viso e le labbra, “Le mie scuse. Ero appena arrivato, non mi sono reso conto che stessi per svoltare l’angolo. Avrei dovuto fare più attenzione. Posso?”, aggiunse, sollevando una mano in sua direzione.
Credence non rispose ma, per istinto, tirò indietro il capo. Graves sorrise con dolce pazienza.
“Ti farà male solo per un istante. Solo un pochino.”, decise di non mentirgli.
“E poi?”
“Poi tutto sarà passato.”
“V-va bene…”
Graves gli afferrò il mento con il palmo per poi premere il pollice lungo le sue labbra con una carezza decisa. Al taglio, Credence neppure fece caso, ammaliato com’era dal suo sguardo, ma si stupì quando il dolore, d’improvviso, scomparve del tutto.
“Ecco fatto. Non è stato così tremendo, vero?”, sorrise l’uomo, sfilandosi dalla tasca un candido fazzoletto di seta per ripulirsi le dita, “Tieni.”, disse poi, porgendoglielo.
Credence lo accettò, imbambolato, e se lo passò sul viso, poi lo strinse, indeciso se restituirlo o meno, sporco di sangue com’era. Graves parve non porsi neppure lo scrupolo e si raddrizzò. Impugnata la bacchetta, la ruotò e tutti i volantini che si erano sparpagliati nel vicolo gli tornarono in mano.
Le streghe vivono tra noi…”, lesse ad alta voce, “Bhe, quasi vero.”, voltò la pagina, interessato, “Gli occhi dei ciechi saranno aperti. No, questo non mi dice niente.”
Credence si rialzò.
“È la Bibbia, signor Graves. Il libro di Isaia.”, spiegò, timidamente, sfilandosi il libro sacro da dentro la giacca e sfogliandolo, “È qui, guardi.”
Sebbene non sapesse leggere bene, ormai conosceva quelle pagine a memoria. Sua madre lo aveva costretto ad impararle. Vivere secondo le regole del Signore era fondamentale.
L’altro glielo prese di mano e corrugò le sopracciglia.
“In un certo qual modo, sono d’accordo: penso anche io che gli occhi della gente debbano essere aperti.”, sentenziò.
Credence impallidì.
“Oh, no, signor Graves!”, esclamò, “Lei sembra una brava persona e quel che dicono di fare ai maghi è… è orribile.”, si spiegò con voce sempre più flebile.
“Non mi stupisce. Ti dispiacerebbe prestarmelo? Credo sia venuto il momento di farmi un’idea meno astratta di tali credenze. In fin dei conti, non c’è nulla che sia inutile conoscere. Purtroppo, non si può sapere tutto.”
Credence si limitò ad annuire in silenzio e si infilò il fazzoletto in tasca, non visto. Graves, invece, sfogliò la Bibbia ancora per qualche istante, prima di chiuderla di scatto.
“Hai mangiato?”, gli chiese e sorrise a vederlo scuotere il capo, “Andiamo, allora.”
“Non voglio recarle disturbo.”, lo interruppe bruscamente Credence, a disagio.
“Sarà un piacere.”, lo rassicurò Graves per poi riflettere, “Non ho mai provato il cibo dei fast-food nomag, se per te non è un problema, sarei curioso.”
In realtà non smaniava all’idea, ma doveva essere sicuro che quel ragazzo avrebbe collaborato senza fare storie e l’unico modo per esserne certo era diventargli amico.
“Ce n’è uno sull’altra strada.”, rispose il ragazzo, efficiente.
“Guidami.”
Uscirono dal vicolo dalla parte opposta e attraversarono. Il fast-food era proprio lì di fronte e a quell’ora, ormai tarda, era semivuoto. Si sedettero a un tavolo lontano dalle finestre e una cameriera di mezza età li salutò calorosamente, prima di servir loro i menù.
Credence non lo prese neanche. Rimase immobile, a spalle curve, seduto di fronte al suo accompagnatore, lo sguardo sulle mani che stringeva in grembo. Graves, distratto da un ambiente che conosceva appena, impiegò qualche istante per notarlo.
“Vuoi che lo legga per te?”, gli domandò.
“N-no, non è questo, signore…”, bisbigliò il ragazzo, vergognoso, “Non ho soldi per pagare.”
“Pensavo fosse chiaro che l’avrei fatto io per entrambi. Prendi tutto quel che vuoi. Sei mio ospite, Credence.”, lo spronò, aprendogli di fronte il menù.
“G-grazie…”
Con esitante riluttanza abbassò gli occhi sulla lista, ma il suo sguardo venne immediatamente catturato dalla pubblicità che troneggiava sulla pagina di sinistra: raffigurava, dall’alto, un giardino innevato, o forse un parco, dove tutti sembravano felici. C’era chi si lanciava palle di neve, chi andava sullo slittino, un cagnolino guardava, incuriosito, dentro un secchio rovesciato e poi c’era un grosso cartello rosso con una scritta bianca: Bevi Coca-Cola, deliziosa e rinfrescante, diceva. Il suo cuore si strinse d’angoscia. Era da molto tempo che desiderava assaggiarla, ma l’unica volta che aveva provato a chiedere il permesso a sua madre era stato punito per il suo peccato di gola. Scacciò la tentazione e cercò di impegnarsi per leggere gli ingredienti dei sandwitch e degli hamburger, ma riuscì a stento a decifrare un paio, prima che la cameriera tornasse.
“Cosa vi porto, cari?”, domandò in modo quasi materno.
“Mi sorprenda.”, disse l’uomo con un sorriso affabile.
“I-io il primo del menù.”
“Molto bene. Da bere?”
“Acqua!”, si affrettò a dire Credence, quasi con urgenza. Graves si limitò ad annuire, poi però trasalì e fu rapido a sfilargli di mano il menù.
“Signora!”, la richiamò, “Ci porti anche due di… qualsiasi cosa sia questo, per favore.”, indicando la pubblicità.
Lei gli rivolse uno sguardo stranito: chi non conosceva la Coca-Cola? Si sforzò di non far caso alla stranezza e aggiunse la richiesta all’ordine.
Graves si voltò verso il ragazzo, che ora lo guardava con gli occhi sgranati di smarrimento.
“Sono bravo a capire cosa piace alle persone.”, gli spiegò.
“Mia madre non vorrebbe che…”
“Non ho invitato tua madre a pranzo. I genitori sanno essere davvero delle palle al piede. Dimenticati di lei. Ci siamo solo noi.”
Il modo in cui aveva detto noi lo fece fremere e le sue guance si scaldarono di un pallido rossore. Quell’uomo lo faceva sentire strano, diverso, ma non era sicuro che quel sentimento gli piacesse.
“Allora, hai notato qualcosa?”
“C-crede che sia opportuno parlarne qui?”, gli domandò, guardandosi intorno, agitato.
Graves sorrise, appoggiando le spalle al divanetto con fare rilassato.
“Non c’è quasi nessuno e poi ti stupiresti di quanto il prossimo sia disinteressato alle faccende altrui. Ognuno vive nel suo piccolo mondo, fatto di piccoli problemi e piccole ambizioni. Non ci presterebbero orecchio neppure se dicessimo che vogliamo rapinare una banca. L’indolenza è un tratto comune a tutti, maghi e nomag. In questo noi siamo diversi. Siamo osservatori silenziosi che scrutano l’umana natura. Persone rare, più preziose di un gioiello e più pericolose delle fiamme. Non ti ho scelto a caso, Credence. In verità ti osservavo da tempo, domandandomi quale fosse il modo più opportuno per contattarti. Temevo di spaventarti. Il tuo coraggio e la tua comprensione sono stati doni inaspettati e piacevoli. Osserva.”
Con lentezza sollevò una mano e l’avvicinò al triste vaso di crisantemi appassiti che ornava il tavolo. Non toccò il fiore, fermò solo il palmo a pochi millimetri, ruotando le dita. Credence sbarrò gli occhi al vedere i petali giallastri rinvigorirsi, tingersi di un rosso cupo e poi allungarsi e racchiudersi sino ad assumere una forma e un colore del tutto diversi. Quando Graves tornò a posare la mano sul tavolo, il crisantemo non era più tale. In un tripudio scarlatto si ergeva, fiero e bellissimo, tra gli ormai indegni compagni. Sembrava pulsare di vita e le macchioline più sanguigne che ne ornavano i petali parevano danzare in modo ammaliante e ipnotico. Credence, del tutto rapito, non desiderò altro che poterlo prendere per assaporarne il profumo. Doveva essere incantevole, lo sentiva persino a distanza: dolce e pungente al tempo stesso, gli toccava il cuore, scaldandolo, irretendolo, facendolo vibrare di desiderio. Balzò indietro, spaventato, quando Graves gli afferrò il polso con decisione, e si divincolò, turbato. Non si era neanche reso conto di aver cercato di avvicinarsi al vaso.
“Non toccarlo.”, lo ammonì l’uomo, “È bello oltre ogni immaginazione e, proprio per questo, letale. Non c’è nulla di sicuro nella bellezza, ma se si accetta di pagare il fio del rischio, il nostro limite si infrange al di sopra del cielo e si perde al di là della percezione. Diventiamo noi stessi il cielo?”, rifletté, assorto.
Credence, ancora premuto col fianco contro il divanetto, si sentì stupido e ignorante.
“Non credo di aver capito la domanda, signor Graves…”, bisbigliò.
L’altro si riscosse e sorrise.
“Non farci caso, anzi, perdonami. Tendo a perdermi in sciocchezze, di tanto in tanto. Il consiglio era uno solo: se desideri sicurezza, cercala nella mediocrità. In quanto tale non può ferirti. Ad ogni modo, malgrado la mia imprudenza, nessuno mi ha notato, visto?”
Credece serrò i pugni e un’improvvisa tristezza salì a stringergli la gola. Chinò ancor più il capo, ingobbendosi.
“È per questo che si è rivolto a me?”, gli sfuggì detto, “Perché sono mediocre?”
Graves lo scrutò per qualche istante, colpito, prima di scuotere il capo.
“Non hai prestato attenzione. Ti ho paragonato a me e di me si possono dire molte cose, ma non che sia mediocre. Lascio che siano altri a cullarsi nel tepore della sicurezza. Quando si aspira a grandi cose, dimenticare la serenità è un sacrificio necessario. Tu sei prezioso e pericoloso. Non posso che sperare nella tua simpatia. Come ti ho già detto: se altri maghi scoprissero dei nostri incontri, finirei senz’altro nei guai. Tuttavia, ogni cosa si riconduce ad un unico principio: se si vuole avere, si deve dare. Non si scopre, né si ottiene alcunché nel proprio orticello. Farà male, quando cadrò? Certamente, perché cadere è sempre doloroso, eppure preferisco bruciare le mie ali accarezzando il sole, piuttosto che trascorrere una lunga vita nel buio. Tu sei come me, altrimenti saresti fuggito. Chi porta la fiaccola rischia sempre di morire bruciato. Non posso sapere se mi tradirai, ma il solo fatto che tu abbia deciso di accompagnarmi al principio merita il più alto rispetto e la mia riconoscenza.”
Credence sbatté le palpebre, rintontito da tante parole a cui non sapeva cosa rispondere. Nessuno lo aveva mai definito degno di rispetto, prima di quel momento. Il cuore gli batteva forte nel petto e il nodo alla gola si trasformò da tristezza in commosso senso di colpa. Due lacrime gli rigarono le guance e un silenzioso singhiozzo lo scosse da capo a piedi.
“Io… non lo merito, signor Graves…”, gemette con voce rotta, “N-non sono stato capace di notare niente di insolito, in questi giorni… Mi dispiace, signor Graves!”, ripeté il suo nome e si schiacciò ancor di più contro lo schienale, temendo di essere punito per la sua incompetenza.
Sua madre non avrebbe esitato.
“Mi dispiace!”, singhiozzò ancora, stringendosi la testa tra le mani.
L’uomo lo guardò con perplessa costernazione, incapace di comprendere il motivo di quel comportamento. Rapido lasciò il suo posto e gli si sedette accanto, per poi stringerlo con forza tra le braccia: se consolare quel ragazzino era necessario, allora lo avrebbe fatto senza esitare.
La posta in gioco era troppo alta.
Credence parve pietrificarsi sotto il suo tocco. Non era di certo un abbraccio quel che si aspettava. Non riusciva neppure a ricordare l’ultima volta in cui qualcuno gli aveva mostrato affetto in quel modo, ammesso che ci fosse stata. Le sue mani corsero ad aggrapparglisi al petto e fu in quel momento, con il viso prossimo alla stoffa che riconobbe il suo profumo: la fragranza della colonia che portava era in tutto e per tutto simile a quella del misterioso fiore che ora stava al centro del tavolo. Sollevò appena gli occhi per guardarlo in volto: anche Graves era bello, voleva forse significare che era anche letale?
“Non devi preoccuparti. Il compito che ti ho assegnato non è facile. Non mi aspettavo che ci riuscissi subito. Probabilmente è ancora troppo presto.”, lo sentì dire, “Calmati. Te l’ho detto: sono un mago, ma non ti farei mai del male. Col tempo avrai meno timore di me, anche questo non posso pretenderlo, ancora. Ci stiamo solo conoscendo, dico bene?”
Credence avrebbe voluto confessargli che non era per quello che piangeva, ma come trovare le parole per spiegare il dolore che lo affliggeva? Non ce n’erano di giuste e lui non era bravo ad esprimersi. Quindi rimase immobile tra le sue braccia, desideroso che quel momento non finisse mai.
Sentì freddo e solitudine quando, dopo un poco, Graves si fece indietro, ma non ebbe il coraggio di trattenerlo. Anzi, non lo guardò neppure.
A disagio si asciugò le lacrime e deglutì.
“Mi dispiace…”, ripeté per l’ennesima volta.
“Non c’è ragione di scusarsi.”, sorrise l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla, prima di rialzarsi, “Il nostro pranzo sta arrivando.”
La cameriera li servì e si ritirò in fretta per occuparsi di altri clienti che erano sopraggiunti nel frattempo. Graves scrutò il suo panino con sincera curiosità.
“Cibo americano autentico.”, ironizzò, “Immagino che i crauti qui non siano diffusi.”
Credence, incantato a guardare la bottiglietta di Coca-Cola che aveva davanti, si riscosse.
“Lei è straniero, signor Graves?”
Le labbra dell’altro si piegarono in un sorriso compiaciuto. A un primo sguardo, effettivamente, quel ragazzino gli era apparso mediocre, ma stava dimostrando un’inaspettata intelligenza.
“Sai mantenere un segreto?”, gli domandò.
“Non so se voglio questa responsabilità, signor Graves…”, ammise il ragazzo, che ne sentiva sin troppe sulle sue spalle, date le circostanze.
“Voglio fidarmi di te in ogni caso. No, non sono americano, ma è una cosa che sappiamo solo tu ed io.”
Credence avrebbe voluto indagare, ma non ne ebbe il coraggio. Perché un uomo straniero era a capo del servizio di sicurezza magico del paese? Gli sembrava poco sensato. Graves, inoltre, non era un cognome forestiero… che non si chiamasse davvero così?
Chi era Percival Graves?
Cominciò a mangiare ponendo un freno alla sua imprudente curiosità. Il sandwitch non era un granché, ma le patatine erano buone. Dopo un po’, tuttavia, cominciò a sentirsi minacciato dallo sguardo dell’altro. Perché non smetteva mai di fissarlo?
Sollevò gli occhi in una muta domanda e Graves distolse i propri, colto in flagrante.
“Le mie scuse, Credence.”, lo anticipò, “Come per te è strano trovarti in compagnia di un mago, altrettanto lo è per me stare con un nomag. Sono solo curioso e tu molto riservato. Perché non parli? A me non interessa più di tanto scoprire come funzioni la tua società, ma trovo bizzarro che tu non abbia nulla da chiedermi.”
Credence posò il panino sul piatto e si prese il suo tempo, prima di rispondere:
“Ho imparato a non impicciarmi troppo degli affari altrui. Non è educato.”
“Si dice che domandare sia lecito.”
“Ti mette solo nei guai.”
Graves sorrise ancora, giocherellando con un lembo della sua sciarpa.
“Molto saggio. Ho solo da apprendere dalla tua prudenza.”
Il ragazzo sbatté le palpebre, preso alla sprovvista e si imbarazzò.
“Io… io non so fare nulla, signor Graves. Al contrario di lei non ho l’abilità di non sbagliare mai una parola.”
L’espressione dell’altro mutò, come se l’ombra dolorosa di un ricordo gli avesse scurito il viso.
“Sei molto giovane, Credence. Imparerai. Ho avuto il mio lungo elenco di parole sbagliate, in passato, accompagnate da concetti, da sentimenti e da azioni. Persino adesso, per quanto affilato io possa apparire, sono tutt’altro che prudente. In tal senso, sembro incapace di apprendere, ma la verità è che l’ago della mia bilancia pende in un’unica direzione. Non vorrei la tua prudenza in ogni caso, neppure se servisse a salvarmi la vita. Gli uomini sono ciò in cui credono, tutti abbiamo una battaglia da combattere, presto scoprirai la tua.”
Sul tavolo calò di nuovo il silenzio, fino a che Graves non cambiò del tutto il discorso:
“Che ne dici di assaggiare questa cosa nera? Che cos’è, birra?”, avvicinò la bottiglietta al naso con un certo sospetto e scosse il capo, “No. Decisamente no. Forse una pozione mortale? Con tutte queste bollicine.... Coca-cola, persino il nome è da magia oscura. Sono certo che sia stata distillata a Durmstrang.”
A Credence sfuggì una timida risata, di cui si pentì subito dopo.
“Mi scusi, non volevo offenderla.”, si affrettò a bisbigliare.
Graves ridacchiò, scuotendo il capo.
“Nessuna offesa, sono consapevole di apparire… strambo? Chi beve per primo?”
Il ragazzo sollevò la sua, dimentico dello spettro di sua madre e, incuriosito, prese un lungo sorso.
Tossì, sorpreso dalle bollicine.
“Pizzica.”, spiegò, “Ma è una delle cose più buone che abbia mai assaggiato. Grazie, signor Graves.”
L’altro sorrise con dolcezza.
“Puoi avere anche la mia, se vuoi.”, offrì, posandogli di fronte la bottiglietta, ma Credence scosse il capo con decisione.
“Allora dovrò smettere di fare il coniglio e berla.”
Prese a sua volta un sorso, ma non fu il sapore a colpirlo, bensì la sensazione. C’era qualcosa dentro quella bevanda in grado di provocare un sensibile mutamento dell’umore.
“Con cosa è fatta?”, domandò.
Il ragazzo, ormai oltre la metà della sua, smise di bere.
“Non lo so, signor Graves.”, disse, tenendo la bottiglia ben stretta tra le dita.
E Graves notò che persino quel timido giovane sembrava aver acquistato una maggiore sicurezza. Stava, persino, meno curvo e il suo viso era più rilassato.
“Magari è davvero una pozione…”, commentò, prendendo un altro sorso, “Un giorno ti farò provare la burrobirra. In realtà, il whiskey incendiario è migliore, ma l’America ha le sue regole… Il proibizionismo non salva nessuno.”, concluse con uno sbuffo snervato.
“Posso chiederle una cosa?”, intervenne Credence con meno timidezza.
“Certo.”
“Houdini era un vero mago?”
“Houdini?”, ripeté Graves che, di certo, non si aspettava quel tipo di domanda. Aveva letto di lui. Era stato un personaggio molto famoso, persino nella comunità magica e la sua morte aveva fatto scalpore. Forse c’era persino stata un’inchiesta sul suo conto.
“Una volta, quando ero piccolo, ho visto un suo spettacolo. Avevo quattro anni, mia madre mi aveva lasciato su una panchina lungo il fiume, mentre parlava con padre Colter. Ho visto le persone radunarsi lungo la riva e una grossa gru. Mi sono avvicinato per guardare. Le persone parlavano di un trucco di magia di Houdini, ero curiosissimo. E lui… lui si fece ammanettare e chiudere in una cassa, poi con la gru, la calarono nell’acqua. Houdini era lì dentro, signor Graves! Tutto era stato controllato: la cassa era una vera cassa e le manette vere manette di ferro. Non poteva liberarsi, invece nuotò fuori poco dopo!”, gli raccontò, vivace, tralasciando la punizione che sua madre gli aveva inflitto per essersi allontanato da dove l’aveva lasciato.
Non voleva pensarci, quello era un ricordo bello.
Graves ascoltò, paziente, un sorriso sul viso, poi scosse il capo.
“Houdini non era un mago.”, chiarì.
“Oh, che peccato...”, sospirò Credence, deluso.
“Perché? Non essere un vero mago lo nobilitava. Se fosse stato uno di noi non sarebbe stato che un cialtrone che si approfittava della credulità dei nomag. Un reato, tra le altre cose. Il fatto che, con le sue sole doti, sia riuscito a compiere qualcosa di straordinario è stupefacente. L’intelligenza non è da tenersi in minor conto delle doti magiche. Si può essere maghi e, al tempo stesso, completi imbecilli. Ne ho conosciuti molti, ti stupiresti. Houdini si serviva di trucchi, ma nessun nomag è riuscito a smascherarli, men che meno ad emularli. Si ergeva al di sopra della massa con assoluta onestà ed è stato questo a renderlo ammirevole e straordinario. Non è la magia a renderci quello che siamo, ma l’uso che facciamo di quel che ci è stato dato.”
Credence rimase in silenzio, dubbioso. Gli sarebbe tanto piaciuto essere un mago che non riusciva a vedere il merito del non esserlo. Con la magia avrebbe potuto scappare lontano da sua madre, vivere in pace, senza più nessuno che lo punisse.
“Purtroppo si è fatto tardi.”, sospirò Graves, “Devo rientrare al Ministero.”, si alzò per andare a pagare il conto e il ragazzo lo avrebbe seguito, se il suo sguardo non fosse caduto sul vaso. Il fiore vermiglio aveva annichilito i crisantemi che lo circondavano, sino a renderli nulla più che steli anneriti. Un piccolo bocciolo era nato lungo il gambo e sembrava pulsare.
La cosa lo turbò enormemente, ma prima che potesse richiamare il signor Graves perché se ne occupasse, i rossi petali collassarono su se stessi, appassendo in un battito di ciglia.
“Lontano da altra vita, il periculid non può sopravvivere. Anche il bocciolo morirà, tra poco.”, gli spiegò l’uomo, sopraggiungendo, “Non ha nutrimento per crescere, né per difendersi. Andiamo, non è più un pericolo per nessuno.”
Con un po’ di riluttanza, il giovane lo seguì, continuando a guardarsi indietro sino a quando non ebbero oltrepassato la porta del fast-food.
“È stato un piacere, Credence. Ci saranno altre occasioni.”, gli sorrise l’uomo, dandogli una pacca sulla spalla.
“Grazie, signor Graves.”, lo salutò, ma troppo tardi: l’uomo era già svanito.
Con i volantini stretti in pugno, Credence si sistemò un po’ più avanti, lungo la strada. Odiava distribuirli… le persone non erano mai gentili con lui, ma almeno ora aveva un altro bel ricordo con il quale consolarsi: il pranzo con il signor Graves.
Era ormai sera e gli restavano ancora un paio di volantini, quando decise di cominciare ad avviarsi verso la chiesa. Era appena entrato nel vicolo da cui era passato quello stesso pomeriggio, quando notò una coppietta intenta ad amoreggiare, nascosta fra le ombre. Lei rideva con un certo imbarazzo, mostrando una resistenza solo di facciata alle moine del giovane.
Suo malgrado restò fermo a osservarli, domandandosi se sarebbe mai riuscito ad assaporare la stessa felicità con qualcuno.
Si riscosse solo quando la ragazza, scortolo, strillò di spavento. Il suo fidanzato gli fu addosso in un lampo.
“Guardone schifoso!”, tuonò, spintonandolo a terra, “Te la faccio passare io la voglia!”
Lui si coprì la testa con le mani, mormorando delle scuse confuse e non reagì al calcio che gli venne dato.
“Steve, dai andiamo via! Lascialo stare! Se qualcuno del vicinato ci vede finisco nei guai!”, intervenne la giovane, trattenendo il compagno. Questi gli inflisse un altro calcio, prima di allontanarsi con lei.
Credence rimase lì a lungo, troppo spaventato dall’idea di raggiungere la strada e ritrovare i due per pura casualità. Impiegò molto tempo per trovare il coraggio di rialzarsi in piedi e uscire dal vicolo.
Ormai di fronte alla chiesa, venne preso a male parole da un passante, reo solo di avergli offerto un volantino. Esausto e avvilito, si rassegnò all’idea di non riuscire a consegnarli tutti prima del servizio serale per la cena e si avvicinò al portone.
“Ragazzino, scusa?”, lo chiamò una voce tanto gentile da lasciarlo incredulo.
Si voltò e vide una donna andargli incontro, aveva capelli castani di media lunghezza e dolci occhi scuri. Non le disse nulla, attendendo che fosse lei a parlare.
“Mi daresti un volantino? Anzi, due. Così lo porto anche a mia sorella.”
“C-certo, ecco…”, mormorò, tendendo la mano.
Lei sorrise, gentile.
“Molte grazie…”, attese che si presentasse, ma il ragazzo non lo fece, “Come ti chiami?”
“Credence. Credence Barebone, signorina.”
“Io sono Tina Goldstein. Piacere di averti conosciuto.”, gli rivolse l’ennesimo sorriso, per poi allontanarsi e lui la fissò per qualche istante, confuso, prima di entrare in chiesa.
 
N.d.A.: Eccoci qui con il secondo capitolo ^^! Allora, qualche contestualizzazione. Non sono particolarmente ferrata della storia e del costume del primo ‘900, men che meno di quello americano, quindi ho fatto qualche superficiale ricerca, prima di scrivere questo capitolo:
La Coca-Cola, originariamente, conteneva una percentuale di cocaina ed è ad essa che Graves si riferisce quando parla di un ingrediente che muta l’umore, ed è sempre quella il motivo per cui Credence pare aprirsi un po’. Per quanto in dosi ridotte, è pur sempre una sostanza eccitante. Non sono riuscita a rintracciare l’anno preciso in cui la Coca-Cola ha tolto la cocaina dagli ingredienti. In caso di smentita, facciamo finta che nel ‘26 ci fosse ancora. Chiudiamo un occhio XD. Anche la pubblicità che vede Credence è degli anni '20, ma non so se sia effettivamente del '26. Chiudiamo anche l'altro occhio XD;
Harry Houdini è stato il più grande illusionista della storia. Avrei preferito usarlo più attivamente, magari descrivere un suo spettacolo a cui i due potevano assistere, ma, ahimè, morì nel marzo del 1926, mentre l’inizio di questa storia sta a cavallo tra il settembre e l’ottobre del 1926.
Il periculid: io non so se nel canone potteriano esista effettivamente. Le mie ricerche non hanno dato frutti in tal senso, però la guida ufficiale del film (letta clandestinamente in libreria), ci dice che Graves, a pranzo con Credence in un fast-food, trasformò un crisantemo in un periculid, un fiore bellissimo e letale. Stop. Questo è quanto se ne sa, quindi ignoro sia il colore, sia la forma, sia il perché sia letale. Ho interpretato, insomma XD.
Non ve ne fregava una mazza né della Coca-Cola, né di Houdini, né del fiore, ma io sono squilibrata, quindi ho sentito il bisogno di annoiarvi a morte.
Perdonatemi. Ah, un'ultimissima cosa, giuro: contestualmente la storia si ambienta anche prima che Tina aggredisca la madre di Credence.
Grazie infinite per il leggere questa storia, come sempre, ogni commento sarà il benvenuto.
Un bacione,
Ros.
 

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