Deianira.

di julsshood
(/viewuser.php?uid=934960)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** One. ***
Capitolo 3: *** Two. ***
Capitolo 4: *** Three. ***
Capitolo 5: *** Four. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***



Baltimora, Maryland, USA.
Venerdì, 4 Novembre, 16:48.


Di certo non si sarebbe mai aspettato di finire in quel modo, lui. Lui che pretendeva di avere sempre un controllo di tutto, lui che pretendeva di essere quello indipendente e di non aver bisogno di nessuno. Luke era particolare. Lo era sempre stato, infondo, anche quando cercava di nasconderlo. Luke era particolare e unico nel suo genere: una sorta di angelo che giocava a fare il demone. 

Un demone che, in quel momento, si sentiva un po' ammaccato. Una maschera che stava lentamente cadendo. Non piangeva; figurarsi, lui non era uno che versava lacrime “a cazzo”, come definiva lui. Piangeva solo per situazioni gravi, e l'unica volta che aveva provato un tale dolore da indurlo a piangere era stato al funerale della madre. Brutta storia, certo, un ragazzo quindicenne privato della figura materna, ma che non si provasse pena per lui. O almeno, se proprio si doveva provare una sorta di compassione patetica come quella nei suoi confronti, che nessuno glielo dicesse. E adesso si trovava lì, lui, seduto su un marciapiede freddo nel bel mezzo di un pomeriggio di novembre, con le foglie secche che gli cadevano di fianco.
L'autunno lo circondava, come una coperta lo avvolgeva. Luke si sentiva a casa quand'era autunno, i colori gli infondevano un calore che lo faceva stare bene, nonostante lui si ostinasse a dire che: “era un pezzo di ghiaccio”, e forse quella non era del tutto una bugia. Ma, certamente, nel mondo, esisteva chi era più freddo di lui. E di certo non si sarebbe mai aspettato di trovarla lì, quell'anima ghiacciata e fredda. Non si sarebbe mai aspettato che quel pomeriggio, con il sole che gli accarezzava il viso e l'autunno che lo copriva, avrebbe conosciuto la sua rovina.
Colei che l'avrebbe distrutto.

Quasi per volere delle stelle, o di una qualsiasi forza maggiore, anche lei, quel pomeriggio, si trovava lì. Il destino, voler di Dio, o semplicemente il caso era stato quello ad indurla lì. Strano, per una come lei, che amava il freddo ma preferiva rimanere al caldo. E non era di certo una che amava uscire dal suo guscio senza un motivo apparente, ma intanto se ne stava a percorrere quel marciapiede con la mente altrove. Che camminasse pensando troppo e ad altro era di sua abitudine ormai, aveva perso il conto di quante volte andava a sbattere contro la gente nelle strade di Tallahassee. Già, Tallahassee. Le mancava la sua città natale, le mancava sua mamma e le mancavano quei pochi amici che si ritrovava. Non che ne avesse molti, lei, complicata com'era non riusciva a tenersi accanto nessuno. Ma, una cosa comincia a far meno male una volta abituatosi, e forse lei era talmente abituata da non sentire più nulla. O forse pretendeva di non farlo, il che erano due cose enormemente differenti: lo stare bene e il pretenderlo di esserlo. Il fatto che neanche Luke sapesse se stesse fingendo o meno non faceva altro che accomunarli, mentre passo dopo passo lei si avvicinava a lui.
Fu un momento, forse anche di meno, quando i loro occhi si incrociarono per la prima volta. L'azzurro chiaro di Luke si fuse con il marrone scuro di Deianira, come un cielo sereno e un mare in burrasca.

Ed è da lì che inizia la nostra storia.
E' da lì che inizia la distruzione di Luke e la caduta di Deianira.




 


Non so mai come iniziare uno spazio autrice, 
quindi mi limiterò nel presentarmi e cazzate varie.
Sono Giulia, e..si, beh, scrivo.
Avevo pubblicato una storia settimane fa, sempre su questa categoria, ma non mi convinceva
e poi non se la filava nessuno quindi, lol.
Non che sia convinta che qualcuno si caghi questa però mai dire mai. 
Quindi si, scrivo da circa due anni e spero che il mio modo di scrivere non vi dispiaccia..
Bene, al prossimo capitolo, per chi seguirà la storia (:
Bye bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** One. ***



Baltimora, Maryland, USA.
Venerdì, 4 Novembre, 17:01


Novembre portava una sorta di malinconia, con sé. Quando arrivava ti entrava dentro senza neanche lasciarti il tempo di accorgertene, e ti invadeva. Ti invadeva lo spirito e l'anima con il freddo e la malinconia. Con i colori caldi che facevano da contrasto alle temperature basse. Novembre era un po' strano per Luke. Il mondo girava e la natura moriva, ma lui...lui si sentiva vivo più che mai.
Camminava a passo felpato, senza fretta, che tanto nessuno lo reclamava. Aveva saltato scuola e restava in religioso silenzio mentre percorreva quel marciapiede che lo avrebbe portato chissà dove. Il sole stava calando su Baltimora, ricoprendola di quella solita malinconia. Una malinconia che colpiva Luke in pieno viso, mentre con un calcio colpiva le foglie cadute per terra.
Morte e secche, arancioni e rosse. Luke rimase incantato da quella visione. Una cosa con colori così vivaci, come poteva esser morta?
Si diede un risposta da solo, come faceva sempre d'altronde, ed essa era che l'apparenza inganna. Che c'entrasse meno o no quella risposta con delle foglie morte, non gli importava più di tanto. Nella sua mente, quella risposta, era dettata da un ragionamento logico. Le foglie, in quel momento, lo indussero a pensare che, non tutti quelli che abbiano una determinata facciata al di fuori, siano allo stesso modo anche all'interno. In parole povere, pensava che non tutti quelli che si dimostrassero felici in realtà lo fossero per davvero. Mentre si sedeva in quel marciapiede, circondato da foglie, pensò a suo padre.
Lo associò un po' a quelle foglie con colori vivaci ma in realtà morte. Pensò anche che suo padre fosse un bugiardo dalla testa fino ai piedi per il semplice fatto che diceva di stare bene. Stava bene, stava bene. Luke sapeva che non era così, ma stava in silenzio, annuiva e cambiava discorso. In realtà non stava bene neanche lui. E il discorso non gli interessava in modo particolare, andava bene in quel modo: con le emozioni tenute dentro fino a quando il cuore non si fosse lacerato.

In quel momento, tuttavia, Luke era bloccato in una bolla. Si sentiva totalmente fuori dal mondo ma gli andava bene così; i pensieri non lo tormentavano e un'insolita pace lo cullava. Un vento leggero gli scompigliava i capelli color grano, alzati in un ciuffo disordinato, una melodia triste risuonava dalle cuffiette bianche. Luke intonava la melodia a bocca chiusa, gli occhi azzurri saettavano da una parte all'altra, cercando qualcosa che smuovesse il suo interesse. Non ci sperava tanto, tuttavia, poiché Luke era divenuto un ammasso di ossa e carne senza sentimenti. Era esilarante il pensiero di come, il Luke quindicenne, alle prime esperienze con il mondo, avesse voluto diventare apatico; così, per delle sciocchezze. Il mondo era stato stronzo con Luke, se lo ripeteva sempre, come un mantra, perché, come per accontentarlo, era divenuto apatico grazie alla morte della madre.
Niente lo smuoveva. Niente amore, dolore, paura, ansia. Vedere Luke era come vedere un cadavere camminare.
Una persona vuota. Bianca e nera.

Eppure, per volere di qualche forza maggiore, quel giorno, qualcosa -o meglio dire qualcuno- aveva attirato l'attenzione di Luke. I suoi occhi azzurri si erano fermati sulla figura di una ragazza. Ad occhio e croce, Luke, le avrebbe dato una sedicina d'anni; ella era di media statura, i capelli color caramello erano legati in due trecce ai lati del viso. Camminava a testa bassa, le mani cacciate all'interno del suo giubbotto, il passo cadenzato e il labbro inferiore tra i denti.Luke seguì i suoi passi, osservando come le trecce si muovessero quasi impercettibilmente ad ogni suo passo, notando che ogni mossa corrispondeva quasi ad un ritmo specifico; tra i capelli color caramello, Luke, notò due cuffiette bianche identiche alle sue. Si domandò cosa potesse star ascoltando, mentre Goner, nel frattempo, stava quasi terminando la sua riproduzione. La ragazza alzò la testa per un fratto di secondo, cambiando e attraversando la strada. Luke ebbe la possibilità di scorgere il colore dei suoi occhi, un marrone talmente scuro da sembrare nero. Occhi che sembravano di cioccolato fuso, a Luke fece quasi male averli visti soltanto di sfuggita.

Luke doveva capir qualcosa, però, nel momento esatto in cui lo sguardo di quella ragazza si posò dritto sul suo; nel momento esatto in cui il calore di quei occhi sembrava trafiggerlo. Per la prima volta dopo tanto, sembrò provare dolore.

Luke aveva appena visto la sua rovina, e non poteva pensare altro a quanto fosse bella.

 



Sono le 23:23, sto morendo di sonno, domani ho scuola ma sono qui ad aggiornare
anche se nessuno si caga la storia hahah sad
bando alle ciance, eccovi il primo capitolo di Deianira :) 
Spero possa piacervi tanto quanto piace a me, tanti baci!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Two. ***




Baltimora, Lunedì 7 Novembre; 7:55 AM.

Le mura grigie non donavano di certo un'armonia piacente, quel lunedì mattina; a Luke sembrava di stare in una cella fredda e spoglia ma ,d'altronde, quell'istituto scolastico non poteva che esser paragonato ad una prigione.
Il biondo afferrò saldamente il libro di matematica, l'unica materia che riuscisse ad appassionarlo, forse l'unica in cui prendeva voti sufficienti. 
Di conseguenza, poi, prese il libro di letteratura inglese, storcendo il naso alla vista della copertina rilegata scura e rovinata. Luke era per le cose certe, fredde, o bianche o nere; la matematica era una di quelle e, pur essendo un paragone strano, era l'unica materia in cui trovava certezze. Al differenza della letteratura che, al contrario, era un misto di emozioni, colori e incertezze. 

Avanzò a passo lento verso l'aula dell'insegnate Duncan, una donna sulla quarantina piena di vita, con un sorriso stampato sul volto che infondeva allegria. Peccato che, quel sentimento -come tutti gli altri- non toccasse minimamente Luke; quell'anima nera circondata da colori vivaci. 
Si abbandonò sulla sedia all'ultimo banco, il solito posto vicino al muro che occupava da anni. Attimi dopo l'aula venne occupata da i restanti alunni di quel corso; Luke li osservava sorridere e conversare, prendere posto e ridere con i rispettivi amici. Parlando proprio di amici, il ragazzo si chiese che fine avesse fatto Calum, l'unico che potesse definire suo amico, se non quello più stretto.
Come se l'avesse richiamato, Calum fece il suo ingresso un minuto prima dell'inizio della lezione, e mentre l'insegnate iniziava a parlare, Luke guardò l'amico avvicinarsi con il respiro affannato.

«Hey Luke, scusa se ti ho lasciato solo, ma il motorino non partiva»
Posò il suo zaino sopra il banco, sedendosi stremato sulla sedia ed ispirando quanta aria poteva; Luke lo guardò riprendere fiato. Calum era, all'apparenza, un ragazzo normale. Uno che non ricordi in mezzo ad una folla; ma con i suoi ricci scuri, gli occhi marroni e le labbra piene, era bello in un modo tutto suo.
I suoi tratti leggermente orientali a distinguerlo dalla massa, e la pelle ambrata che faceva cadere ogni supposizioni sulle sue origini asiatiche. 
«Non ho finito la relazione di letteratura.» disse Luke, la voce gli uscì come un verso roco e graffiato, come se non parlasse da giorni, e rivolse il suo sguardo verso la finestra; il cielo era grigio, come tutto ciò che lo circondava.
Calum lo guardò, allungandogli un plico di fogli, ordinatamente sistemati.
«Prendi la mia.» sorrise leggermente, abbassando lo sguardo sulle sue mani ambrate.
Luke lo guardò, desiderando ardentemente di poter essere buono e gentile come il suo migliore amico, ma semplicemente non era nella sua indole.
Il ragazzo dai capelli biondi lo ringraziò, sfogliando con pigrizia la relazione, sobbalzando non appena la voce della professoressa arrivò alle sue orecchie.
«Oggi parleremo di altro, avrò tempo per consultare le relazioni alla fine del trimestre.» annunciò con un sorriso, un boato generale si innalzò tra i ragazzi.
«Girate a pagina 254, vi presento Oscar Wilde.» 
La donna iniziò a parlare, ma Luke non era realmente attento: pensava a tutto e a niente. D'altronde, la lezione su Oscar Wilde, non lo interessava per nulla.
Continuò così fino a quando la campanella suonò, segnando la fine della lezione. Si diresse in corridoio, Calum alla calcagna mentre blaterava.
Un ragazzo dai capelli neri gli diede una spallata, facendogli corrucciare gli occhi.
«Scusa, non l'ho fatto di proposito.» si scusò Calum, anche se la colpa non era realmente sua. Il ragazzo nemmeno gli diede retta, continuando la sua corsa e facendo nascere sul volto del ragazzo dai tratti asiatici una smorfia.
Luke gli lasciò una pacca sulla spalla destra, prima di scoccargli un'occhiata.
«Andiamo, Calum.»



17:10 PM.

Il cielo era colorato di tenue arancione, qualche chiazza rosea e violacea faceva da contrasto in quella tavolozza enormemente azzurra. Il colore originario si distingueva in piccoli tratti, andava sbiadendo. Luke guardava fisso il cielo, come faceva spesso da un paio di giorni a quella parte; contemplava, semplicemente, ciò che si estendeva sopra di lui; si chiedeva, di tanto in tanto, se qualcuno lo osservasse allo stesso modo.
Non aveva mai creduto a quello che gli ripeteva la gente: 'tua madre veglia su di te', 'lei ti guarda da lassù'. Era difficile concepire la morte, perciò Luke era dell'idea che no, sua mamma non lo guardava. Povera quella donna, se solo avesse visto cosa faceva suo figlio. 
Luke scosse la testa e abbassò sguardo, il sole gli sfiorava il viso in modo dolce, il calore fece provare al ragazzo una sorta di pace; tutto gli sembrava perfetto, nonostante niente lo fosse. 
La scuola era finita da poche ore, ma il biondo teneva ancora lo zaino con sé; non tornava a casa prima di sera, preferiva guardare il sole d'autunno tramontare, quindi se ne stava semplicemente lì, da solo.

Un pensiero nuovo gli attraversò la testa, il colore quasi dorato del cielo gli ricordò una chioma caramello legata in due trecce, e un paio di occhi marroni grandi abbastanza da poterci annegare dentro. La figura della ragazza inchiodò Luke in un pensiero fisso. 
Era banale, l'incontrare una ragazza e pensare a quanto potesse apparire strana ma bella, intrigante ma irraggiungibile. Eppure se, a pensare qualcuno così intensamente, era uno come Luke, la cosa non poteva definirsi proprio banale. Scacciò via quel pensiero insieme al volto della ragazza dalla sua mente, ritornando a pensare al tutto e al niente insieme, convincendosi che la sua vita non era una storiella per adolescenti, che il vedere quella ragazza era come vedere un banale passante che, sicuramente, non avrebbe mai più rivisto.
Ma la vita, il destino, il caso e qualsiasi altra forza maggiore che dovesse esistere, aveva deciso di giocare brutti scherzi a Luke. O semplicemente di renderlo debole, stravolgendogli l'esistenza.
Luke pensò che non era un caso trovarla nuovamente lì, quella ragazza con dei fili dorati al posto dei capelli, ed incrociare di nuovo quegli occhi scuri quanto il cioccolato fuso. 

Sembrò mancargli l'aria quando la vide avvicinarsi con passo determinato verso di lui. Un cipiglio si formò sul volto di Luke che, quando sentì la voce della ragazza, sembrò trovare la sua canzone preferita.

«Hey scusa, non sono di qui e credo di essermi persa. Mi aiuteresti a trovare casa mia?»



 


Halla guys! Come va?
La scuola mi sta uccidendo ma, pur facendo i salti mortali, trovo il tempo di scrivere.
Quindi ecco il secondo capitolo di Deianira, dove Calum fa la sua comparsa e i nostri ragazzi si incontrano :)
Spero che quella specie di banner sopra il capitolo possa almeno definirsi carino, dato che ho perso le mie capacità con Gimp. Vi preannuncio che ho sistemato e terminato l'idea della storia e, nonostante siamo solo al secondo capitolo, vi informo che Deianira avrà uno spin-off, incentrato sul Calum, quindi prestate particolare attenzione al suo personaggio.

Bene, questo è tutto.
Alla prossima, per chi segue la storia.
Bye!



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Three. ***



Baltimora, Mercoledì 9 Novembre; 5:00 PM.

Il blu dei suoi occhi quasi si fuse con quello della porta dinanzi a lui. Inerme, con un'espressione dura sul viso, Luke si limitava a fissare semplicemente quella porta come se da essa dipendesse la sua vita; ed era relativamente in quel modo, sotto un certo punto di vista. Enormi nuvoloni coprivano il biondo, rendendo la sua aura scura ancora più macchiata di nero, annerendo di conseguenza tutto ciò che era intorno a lui. Sembrava una casa normale vista da quella prospettiva, i muri dapprima bianchi erano ingialliti, le foglie cadute nel giardino dai fiori appassiti rendevano il quadro solo più malinconico. A Luke venne quasi da ridere: tutto nella sua vita sembrava riportarlo a quello, a quella insensata e fastidiosa condizione emotiva: la malinconia. Prese semplicemente coraggio e aprì la porta blu, non del tutto convinto di reggere quella recita a cui veniva sottoposto; «Hey Luke! Finalmente sei qui, iniziavo a preoccuparmi» parlò suo padre, salutandolo con un sorriso a bocca chiusa. Luke si limitò a un cenno col capo, stando zitto al sorriso finto di suo padre, salendo le scale di casa e precipitandosi in camera sua. La suoneria del suo cellulare risuonò tra le pareti chiare della sua stanza spezzandone il silenzio; il nome di Calum lampeggiava sullo schermo.

«Luke, amico! Ma dov'eri finito? Sono due giorni che non vieni a scuola, inizi a mancarmi»

Il risolino di Luke fece sorridere di rimando Calum, che quasi aveva perso l'abitudine nel sentirlo ridere o vederlo sorridere. Era difficile smuoverlo, ma smuoverlo davvero, e solo Calum sembrava accorgersi di ciò che si celava dietro le azioni di Luke.

«Sono stato male, nulla di che»
«Influenza? Febbre?»
«Pensieri»
Il silenzio interruppe la conversazione, spezzandola con un taglio netto. Calum sapeva quanto i pensieri fossero presenti nella vita di Luke, quanto quel ragazzo pensasse, e quanto quella frequenza stancante lo facesse stare male; perciò aspettò, e quando sentì nuovamente la voce di Luke risuonargli nelle orecchie ascoltò come si ascoltano le prime parole di un bambino. Parole uscirono dalla bocca di Luke come un fiume in piena così come i ricordi riaffiorarono come fiori in primavera.

 

«Hey scusa, non sono di qui e credo di essermi persa. Mi aiuteresti a trovare casa mia?»
Luke la guardava serio, a labbra serrate, ammirandone il viso delicato: il naso piccolo e tondo, gli occhi grandi e scuri, i fili biondi che le sfioravano il viso col vento. La sconosciuta lo guardava dall'alto in attesa di una risposta, guardandolo intensamente quasi quanto faceva lui. «Certo, credo di si. Dov'è che abiti?» s'alzò dal marciapiede e, pulendosi i jeans, notò come la sua altezza sovrastasse la ragazza accanto a lui e, nonostante la differenza, i suoi occhi scuri erano ancorati ai suoi blu.

«Una certa Bauernwood Ave»
Luke annuì distrattamente: era chiaro che quella ragazza non fosse di lì, e mentre lei si ritrovava persa Luke conosceva quelle strade come le tasche dei suoi jeans.

«È a pochi isolati da qui, proprio dietro casa mia. Posso accompagnarti se vuoi», bisbigliò a voce bassa, con la solita apatia a dominargli la voce e il viso. Solo dopo avendola vista annuire imbarazzata Luke iniziò a camminare per le grandi strade di Baltimora, con quella sconosciuta al suo fianco e il sole tramontargli dietro le spalle. Per minuti che parvero infiniti gli unici rumori in quella strada colorata d'arancione furono i sassolini calciati da Luke, e il vento che muoveva le foglie degli alberi; poi il silenzio venne spezzato, causando forse qualche crepa nei muri di Luke. «Deianira», parlò, e Luke si voltò verso la ragazza con le sopracciglia corrugate, «Mi chiamo Deianira».

«Che strano nome»
«Già, non si sente molto in giro»
«Mi piace però»
Deianira rivolse gli rivolse un sorriso a labbra chiuse, Luke si ritrovò a boccheggiare per la prima volta da quando ne aveva memoria. «Sono Luke»

«Luke» ripeté lei, perdendosi in pensieri a lui sconosciuti; «significa 'nato alle prime luci del mattino', lo sapevi?»
Il ragazzo la osservò confuso, non riuscendo ad afferrare il concetto che forse lei voleva trasmettergli, scosse la testa osservandola nuovamente sorridere.

«Non sei di qui, vero?»
«Vengo da Tallahassee»
«È abbastanza lontano da Baltimore»

Deianira si limitò ad annuire col capo chino, i suoi occhi scuri fissi nell'asfalto grigio e la mente persa nelle strade di Tallahassee. Quando alzò lo sguardo si ritrovò comunque Baltimora davanti, ma Luke accanto a sé.
«Devo pur venire a trovare mio padre ogni tanto», facendo spallucce inchiodò il suo sguardo di fronte a sé, ammirando i colori che macchiavano il cielo di Baltimora al calar del sole; a Luke toglieva il fiato ogni volta, mentre a Deianira era tutto così estraneo. «Siamo arrivati», entrambi si fermarono davanti alla segnaletica che recitava 'Bauernwood Ave', dando inizio a una strada lunga ed ampia uguale a tutte le altre, costeggiata da grandi case. Luke e Deianira si guardarono in silenzio, osservandosi l'un l'altro e studiandosi accuratamente, nell'attesa che qualcuno scagliasse la pietra e rompesse quel muro di silenzio; i muri di Luke si stavano decorando lentamente di piccole e quasi insignificanti crepe mentre, con sguardo serio e labbra serrate, faceva scontrare il colore dei suoi occhi con quello di Deianira; ancora, ancora, un rumore che solo lui pareva sentire in mezzo a quel silenzio. Si diede del pazzo e dello stupido, e scuotendo la testa lasciò perdere ciò che stava accadendo nella sua testa; le crepe del muro si ritrassero, come per magia.

«Beh allora ciao, credo»; Deianira mormorò a bassa voce quel saluto incerto, con gli occhi chiari di Luke puntati ancora addosso. Lo vide annuire quasi impercettibilmente, poi andò semplicemente dritto, incamminando la strada per tornare a casa, senza salutare. Non un ciao, non un cenno della mano, non si voltò e continuò per la sua strada, lasciando Deianira sotto quella segnaletica, a fissare un punto impreciso sull'asfalto, con gli occhi chiari di Luke impressi nella mente.

 

Calum aspettò alcuni secondi prima di aprire bocca e fare domande, riflettendo bene su cosa dire e che parole usare; il fatto che Luke pensasse ad una cosa del genere a giorni di distanza era strano, ma strano davvero. Lui lo conosceva Luke, e senza giri di parole, Calum sapeva che niente riusciva a rimanergli impresso. Era tutto così frivolo nella vita di Luke, niente che lo segnasse in modo permanente, solo un vento freddo e insignificante, mai una pioggia che gli macchiasse la pelle. Niente, fino a quel momento.

«Luke?»
«Mh»
«È strano»
«Cosa?»
«Che tu abbia pensato a questa ragazza e al vostro breve e vacuo incontro»
«Oh lo so»
«Lo sai?»
«Si, ma non mi preoccupo. Non la vedrò più nella mia vita, no?»
Calum si ammutolì, e Luke continuò a fissare il soffitto bianco in silenzio come di suo solito, di nuovo solo gli occhi scuri di Deianira impressi nella mente.


 


bene, ciao a tutti, come va?
sono mancata per un botto di tempo, non che io creda che importi a qualcuno ma vabbè, lmao.
per i pochi -davvero pochi- che seguono la storia: mi dispiace non aver aggiornato per mesi,
ma eccoci qua, con l'incontro tra Luke e Deianira e la strafottenza -neanche troppa- di Luke.
come procederà? si vedrà preso (spero).
buonanotte/giorno -dipende da quando leggete tutto questo- e grazie per aver letto.
baci, giulia.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Four. ***




 

Baltimora. 
Sabato 12 novembre, 8.00 AM.

La sua fronte era poggiata sulla lastra di vetro trasparente della sua finestra, e il freddo di Baltimora alle prime ore del mattino d'autunno le oltrepassava le ossa, procurandole brividi di freddo alla spina dorsale. Si strinse maggiormente nella sua coperta, stringendola tra le dita e accucciandosi all'angolo tra la finestra e la panca sotto di essa. Fissava il cielo, vedeva la grande distesa azzurra ma non guardava niente, i suoi occhi avevano semplicemente trovato qualcosa che calmasse le voci nella sua testa e i suoi pensieri, solitamente incasinati, avevano ritrovato il loro ordine. Il cielo di quella mattina era limpido e sovrastava Baltimora in tutto il suo splendore, mentre -ancora basso- il sole illuminava fiocamente le vie larghe e si posava adagio sulle case silenziose. Deianira era circondata dal silenzio, e la pace le occupava la mente come poche volte; camera sua, così come tutta la casa, non era protagonista delle solite urla e delle soliti liti, ma i muri sembravano trapelare tutte la parole gridate da giorni a quella parte e un senso di malinconia pervase la ragazza. La differenza abissale tra Baltimora e Tallahassee le sembrava proprio quella: la prima le ricordava il rumore, la seconda il nulla; e tra le due, Deianira, preferiva Tallahassee. Chiudendo gli occhi le sembrava di sentire suo padre canticchiare mentre smanettava con pentole e pentolini, l'odore di caffè e pancakes solleticarle il naso e il sole caldo della Florida batterle sul viso; sorrise istintivamente, forse il primo sorriso che fece da quando si trovava a Baltimora, e poi aprendo gli occhi venne brutalmente catapultata in quella realtà che le veniva stretta. Quella realtà dove, a farle compagnia tutti i giorni, erano le liti e i disguidi con la madre, il rumore e il freddo pungente. Sarebbe scappata, se avesse solo potuto, ma era consapevole che non poteva fuggire dai problemi. Intrappolata in quella città troppo rumorosa e fredda, abbandonata ai suoi sbalzi d'umore e governata dai suoi impeti di rabbia repressa. Era convinta che tutto accadesse per mano di qualcos'altro, come tante reazioni a catena, un domino crudele che si divertiva con il suo cuore e i suoi sentimenti, frantumandoli a suon di rabbia. Aprì di scatto gli occhi, inspirando ed espirando a pieni polmoni, lasciando che il blu del cielo spazzasse via la sua rabbia.

A pochi chilometri da lì Luke camminava sul marciapiede con passo strisciato, con una felpa grande a coprirgli il corpo e le mani cacciate dentro le tasche dei jeans. Pensava a tutto e al niente, mentre calciava sassolini e pestava le foglie secche sotto i suoi piedi; l'autunno intorno a lui sembrava donare colore alla sua vita grigia, che pur di staccare la spina da quella monotonia Luke s'alzava presto di sabato mattina e, semplicemente, camminava senza avere una destinazione. Imboccò la Bauernwood Avenue senza neanche rendersene conto, badando poco alle lettere stampate sulla segnaletica e continuando a camminare con lo sguardo perso nel cielo. Le labbra screpolate erano leggermente aperte, piccole nuvole di condensa uscivano da esse offuscandogli la vista e gli occhi blu, illuminati dai raggi solari, acquisivano striature talmente chiare da somigliare al cielo di quella mattina. La ragazza bionda, poggiata alla finestra della sua camera, lo guardava curiosa, riconoscendo quel viso angelico e associandolo allo stesso ragazzo che le aveva mostrato la via per casa, giorni a dietro. E illuminato dal sole Deianira pensò che non esistesse nome e definizione più adatta per il ragazzo fermo sotto la sua finestra; Luke, colui nato alle prime luci del mattino. Con la luce battergli sul viso, intanto, l'attenzione di Luke venne lestamente spostata alla figura della ragazza alla finestra e, senza riconoscerla, ne ammirò i capelli biondo miele sciolti e gli occhi scuri scrutare i suoi. Si scrutarono come solo due amanti avrebbero fatto, lei dall'alto della sua finestra e lui sotto i raggi di un sole debole, rimanendo interdetti e curiosi di conoscere il motivo per cui, alle prime luci di un mattino freddo, entrambi guardassero il cielo in attesa di un miracolo. O semplicemente, di una risposta a tutti i loro perché.

10.30 PM.

Che non fosse una persona fatta per i posti affollati e controllati dal rumore lo si poteva evincere dall'espressione annoiata e profondamente amareggiata sul suo viso, seduto in un angolo di una casa sconosciuta e con i muri tremanti a causa della musica, Luke osservava come un fantasma ciò che accadeva intorno a lui, desiderando ardentemente di poter essere in un posto differente da quello. Più calmo, silenzioso, profondo. 
Notava con disappunto come i ragazzi della sua età si divertivano: bottiglie di birra e alcolici vari erano lasciate vuote e fredde su dei tavolini sparsi per la casa, residui di sbronze adolescenziali fatte per provare l'adrenalina di sentir scorrere, insieme al sangue, liquido trasparente e logorante. E l'altra parte non occupata nel contaminarsi la mente e le vene si divertiva saltellando al centro di quell'ambiente rumoroso, compiendo passi nel vano tentativo di ballare e racimolare attenzioni -particolari o meno- da sconosciuti e non. Calum si faceva spazio in mezzo alla folla per raggiungere l'amico, con due bottiglie di birra aperte in mano e un sorriso imbarazzato stampato in viso.

«So che non sei il tipo da festa Luke, mi dispiace averti trascinato qui». Lo guardò con labbra serrate e l'espressione neutra, costatando quanto fosse realmente dispiaciuto il suo amico dalla pelle ambrata, e afferrando la bottiglia ricoperta di goccioline di condensa fece spallucce. Poi, dopo aver represso il suo malessere in un bel sorso di birra, parlò dicendo: «Va bene uguale Cal, tranquillo»; Luke sapeva quanto Calum si sforzasse di aiutarlo, quanto -nel suo piccolo- cercasse di smuoverlo, e di trasformare quell'immensa apatia e quell'immenso dolore represso in qualcosa di bello; aveva sempre pensato che in realtà, il suo amico, stesse soltanto sprecando il suo tempo. Stava cercando di far cadere gocce di pioggia sul terreno arido di un deserto troppo vasto e troppo afoso. Luke era semplicemente senza speranza.

«Va a divertiti Calum, non stare qui con me. È una perdita di tempo.»

Li vide vacillare, gli occhi di Calum, in un modo in cui –a vederlo– non assisteva da tanto, e l'esitazione nella sua voce era antitetica a ciò che trasmettevano i suoi occhi.

«Non voglio lasciarti solo»

«Ed io non voglio che tu stia qui con me quando potresti ballare e divertirti, perciò va e non badare a questo lupo solitario»

Con un ultimo rassicurante sorriso Luke vide il suo amico ringraziarlo mestamente, alzarsi e dirigersi a grandi falcate verso il centro del grande salone dove la folla di scalmanati ubriachi lo accolsero come un vecchio amico. E mischiato alla mischia, Calum si perse e Luke...Luke rimase solo, con una bottiglia fredda e ricoperta di condensa come tutte le altre. Anche lui, apparentemente uguale agli altri suoi coetanei, si perse nel suo mondo fatto di silenzio; ma non contento sentì il bisogno viscerale di percepirlo quel silenzio, che sembrava richiamarlo nella sua testa fragile, come un eco lo abbindolava e attirava verso di lui e il biondo, sobriamente, si lasciò trascinare in quella corrente di calma. Prese un respiro profondo quando mise piede fuori quella casa, un po' più lontano dal rumore, udendo il richiamo del silenzio farsi più vicino, e inspirò ed espirò come se fosse stato in apnea per troppo tempo, avvolto in una morsa letale per il suo animo inconsueto. Avviandosi a passi piccoli ma veloci, Luke si ritrovò in una strada buia e larga, immerso in quel bramato silenzio che aveva cessato il suo richiamo, e con la testa tra le nuvole e le mani cacciate in tasca semplicemente si allontanò, cercando di ritrovare se stesso.

Lì vicino, intanto -forse qualche isolato di lontananza dalla figura persa di Luke- una ragazza sbatté violentemente la porta di casa dietro di se, e in preda ad una rabbia incontrollata corse via da quella struttura divenuta troppo oppressiva. Deianira corse senza mai fermarsi verso una meta anche a lei ignota, non badando alle strade che imboccava, col solo pensiero di fuggire –in qualche modo e il più lontano possibile– da quella casa. Si ritrovò davanti al cancello logoro e quasi sinistro, a causa del buio della notte, di un piccolo parco; non badando all'orario e alla città che si andava spegnendo, Deianira si lasciò cadere ai piedi di quel cancello respirando a pieni polmoni l'aria consumata durante la corsa. Con mente stanca ed emozioni danneggiate la ragazza mandò giù il groppo formatolesi in gola, reprimendo con esso la voglia di urlare e lasciandosi cullare dalla quiete intorno a lei. Chiuse gli occhi con la stanchezza offuscarle la mente; una stanchezza che la costringeva a rimanere a corto di parole e fiato, liti continue che si ripetevano nella sua testa come un disco rotto. Deianira strinse le sue mani in due pugni conficcando le unghia nel palmo della sua mano, procurando tagli che avrebbero fatto la loro figura il mattino successivo, ma non importava quanto stesse male, lei sapeva che quello non era il momento esatto per crollare. Le lacrime non cadevano, e la testa continuava a pulsare, costringendola a strizzare gli occhi; aveva paura, paura per ciò che sarebbe potuto succedere dopo, e il suo desiderio irrefrenabile di ritornare a Tallahassee crebbe soltanto di più. Ma proprio mentre stava per piegarsi alla rabbia dentro di sé, causando la sua imminente distruzione, il rumore di passi affrettati la obbligò ad aprire gli occhi, ritrovandosi a pochi metri di distanza la figura di un ragazzo perso quanto lei.
Guardandolo, nel buio della notte, con la luna ad illuminargli il viso, gli parve il miracolo mandatole da Dio. Un demone nei panni d'angelo con gli occhi blu, Luke incarnava alla perfezione la sua anima andata e persa, fottuta e devastata. Represse una risata, Deianira, a cui quell'intera situazione sembrava soltanto un crudele scherzo del destino. Quel ragazzo continuava a ritrovarla.

«Guarda chi si rivede» disse, la voce le uscì graffiata e tirata, conforme a ciò che era accaduto in casa sua. Luke, dal suo canto, lasciandosi cadere ai piedi dello stesso cancello, accanto a quella che per lui era sconosciuta, la guardò con sguardo corruciato.

«Ci conosciamo?»
«Non proprio. Sono la ragazza persa che hai accompagnato a casa, giorni a dietro»
«Oh, sei tu. Quella col nome strano»
«Deianira, esatto. Tu sei il ragazzo nato alle prime luci del mattino»
Luke sorrise sbilenco ad occhi semi-chiusi, certamente ricordava quel viso quasi angelico e gli occhi scuri esaminare i suoi, come se ci fosse realmente qualcosa da studiare in essi.
Non l'aveva dimenticata, neanche per un minuto; aveva soltanto represso il pensiero e accantonato il ricordo.

«Cosa ci fai qui? È pericoloso»
«Potrei farti la stessa domanda»
«Sono scappata»
«Da cosa?»
«Non ha importanza»
«Credo ce l'abbia»
«E tu? Perché sei qui?»
«Avevo bisogno di pace»
«Perché?»
«Non ha importanza»

Facendo insinuare il silenzio tra di loro, ammazzando quella conversazione sul punto di nascere, Luke e Deianira si persero a guardare il cielo di Baltimora sopra di loro, con la consapevolezza e il divertimento amaro di chi sapeva che quello, di per certo, non sarebbe stato il loro ultimo incontro. Poiché mai, nelle loro vite, avevano smesso di cercarsi inconsapevolmente.

 
non ho scusanti per il mio ritardo di due mesi e passa, e il fatto quasi divertente è che non ho avuto niente che mi abbia impedito di aggiornare. ma vabbè, non sarà l'ultima volta, soprattutto con l'inizio di questo terzo anno di linguistico e tutto ciò che comporta: venite al mio funerale, in caso.
mi scuso per eventuali errori e, spero presto, al prossimo capitolo.
tanti baci, giulia.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3596001