Sono niente senza di te

di SweetMelany
(/viewuser.php?uid=713244)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontrarsi ***
Capitolo 2: *** Rivedersi ***
Capitolo 3: *** Smemorata ***
Capitolo 4: *** Iscrizioni ***
Capitolo 5: *** Manca poco ***
Capitolo 6: *** Non è l'inizio che mi aspettavo ***



Capitolo 1
*** Incontrarsi ***


Un suono incessante mi percuote le orecchie e non smette fino a quando io non allungo il braccio fino al comodino.
La sveglia segna le 7 in punto di mattina. So che dovrei alzarmi e affrontare la giornata, ma il materasso è così comodo e c’è così caldo, avvolta in queste lenzuola soffici, che l’istinto di chiudere gli occhi prevale.
La voce di mamma che chiama mio fratello Sota mi risveglia. Quando butto l’occhio sull’orologio non posso credere a ciò che scorgo. Sono le 8 meno un quarto! Non è possibile, mi è sembrato di chiudere le palpebre solo per cinque secondi!
Butto le gambe fuori dal materasso e non ho neanche il tempo di rendermi conto di quanto sia freddo il pavimento che sto già correndo in bagno.
Non posso fare tardi proprio oggi!
Dopo essermi lavata la faccia e aver indossato la divisa, scendo le scale come se la casa andasse a fuoco.
Afferro alla svelta una fetta di pane tostato che mamma ha preparato sulla tavola, mi infilo le scarpe, arraffo la cartella e inizio a correre alla volta della scuola.
Per miracolo non perdo il treno e mi spintono a forza tra i pendolari, sgomitando e chiedendo scusa. Sono troppo in ritardo per avere sensi di colpa. Normalmente me ne starei buona buona ad attendere che il vagone si fermi e che i suoi passeggeri scendano e continuino la loro giornata, ma non oggi.
Non appena le porte si spalancano mi catapulto fuori, anche se per poco non investo il capo treno.
Arrivo davanti ai cancelli della scuola e per fortuna vedo che la mia classe e la sezione D ci sono ancora.
– Kagome! –. Ayumi sventola il braccio in alto per segnalare la sua posizione e io le vado incontro. Vedo che con lei ci sono anche Eri e Yuka.
– Ma dove ti eri cacciata? Ti avrò inviato almeno dieci messaggi… – come al solito Eri fa l’esagerata, anche se questa volta c’è mancato davvero poco. Mi sorprendo che i Sensei non abbiano avuto niente da ridire in proposito. Nemmeno un ammonizione. Oggi è il mio giorno fortunato.
– Scusate ragazze, ma mi ero addormentata… e probabilmente nella fretta ho anche lasciato il telefono a casa – ammetto, imbarazzata.
Prima che le altre ribattano, i docenti ci invitano a seguirli.
Non mi sembra vero di essere all’ultimo anno delle medie e di essere in procinto di visitare la mia futura scuola superiore, che inizierò a frequentare fra soli pochi mesi.
Una volta arrivati ci accoglie il preside e ci conduce nella hall, per poi guidarci nell’aula magna, dove intervengono vari professori e alunni modello.
Io non sarò mai una di loro, penso sconsolata. Già in questi anni ho fatto fatica a rimanere al passo con le materie, chissà una volta al liceo come me la caverò.
Dopo aver fatto il tour completo dell’edificio e osservato le aule e i laboratori, arriviamo in giardino.
Il tempo è talmente volato, che quasi non credo ai miei occhi quando l’orologio che è appeso alla facciata scocca le 14.
Ringraziamo il più educatamente possibile il rettore e usciamo in strada, ovviamente con il consenso dei professori.
Sto per proporre alle mie amiche di andare a mangiare qualcosa, quando una voce attira la mia attenzione.
– Higurashi! –. Akitoki Hojo, della sezione D, mi viene incontro con un sorriso a trentadue denti. Prima che riesca a raggiungerci, Yuka ed Eri mi strattonano un braccio e iniziano a sussurrarmi nelle orecchie i soliti avvertimenti. È da quando è iniziato l’anno scolastico che quelle due non fanno altro che incitarmi a mettermi con Hojo.
– Ehi, Hojo. Come stai? – gli chiedo, staccandomi dalle mie compagne.
– Bene, grazie, e tu? –. Sorrido e annuisco, affermando che è tutto okay.
– Senti, ti andrebbe di andare a mangiare un boccone in un locale qua vicino? Non dista tanto e poi è solo questione di mezzora, non voglio occupare il tuo tempo per tutto il pomeriggio – mi rassicura.
È così speranzoso che non ho il cuore di rifiutare e dirgli che era proprio quello che avevo intenzione di fare io… ma con le mie amiche, anziché con lui.
– Ma certo, nessun problema – rispondo, anche se adesso il mio sorriso è un po’ forzato. Soprattutto avrei voluto condividere con loro le idee che si erano fatte della scuola, se avevano intravisto ragazzi carini tra una lezione e l’altra e se avevano già in mente quali lezioni frequentare.
Be’, ma puoi farlo benissimo anche con Hojo, mi convince una vocina nella mia mente, anche se assomiglia molto a quella di Yuka.
Saluto le altre con un cenno e noto che nei loro sguardi – esclusa l’ingenua Ayumi – c’è una traccia di orgoglio.
Riporto la concentrazione su Akitoki, che nel frattempo non ha smesso di parlare, e cerco di farmi andare bene la piega che hanno preso gli eventi.
Giunti a quella che noto essere un sushi bar, ci accomodiamo a un tavolo cha si affaccia su una finestra e ordiniamo da bere.
Mentre siamo intenti a guardare il menu, penso a come sarebbe avere una relazione seria con Hojo. Mi faccio una lista di tutti i pro e i contro e noto con stupore che quella a favore supera davvero di molto quella a sfavore.
Eppure… c’è qualcosa che mi frena. Ma che cosa?
Non appena arriva il cameriere gli riferiamo le nostre ordinazioni e una volta che se n’è andato cominciamo la conversazione che tanto agognavo. Ascolto con piacere che lui è esattamente in sintonia con me, che condivide tutte le mie idee e che se fosse per lui avrebbe già cominciato ad andare in quel liceo, senza aspettare la fine delle medie.
È così perfetto, così premuroso… eppure non avverto la scintilla. Non mi vengono le farfalle allo stomaco, non provo alcuna attrazione per lui, nonostante sia un bel ragazzo. Che cos’ho che non va?
Quando finiamo di mangiare, allungo la mano sotto il tavolo e dico ad Hojo che non ho intenzione di farmi offrire il pranzo, quando mi accorgo di una cosa sconcertante. La mia mano tocca il vuoto. Non sento lo zaino sotto il palmo, e nemmeno la pressione che dovrebbe fare sulla gamba.
E poi, mentre il panico mi assale, mi ricordo di averlo dimenticato nel bagno al secondo piano del liceo Kururuma. Come ho fatto ad accorgermene solo ora? Hojo deve aver notato la mia espressione, perché inizia a farmi domande e anche il suo volto si corruccia dalla preoccupazione.
Gli spiego velocemente ciò che è successo e ciò che intendo fare e gli assicuro che gli restituirò i soldi per il pranzo.
Prima di rendermi conto di stare correndo, sono fuori dal sushi bar e sono diretta all’edificio che ho visitato solamente quella mattina.
Se non ho capito male, in quella scuola fanno anche dei corsi pomeridiani, il che significa che c’è una buona probabilità che sia aperta, adesso.
Mi rassereno quando vedo che una parte del cancello è aperta. Diminuendo il passo e con il fiatone che mi scuote i polmoni, varco la soglia. Spero vivamente che i bidelli non mi facciano una ramanzina per il fatto che non mi sono cambiata le scarpe. E spero anche di non incappare in qualcuno, soprattutto un professore, dato che la mia divisa spicca un po’ troppo e non ho voglia di rispondere alle domande che seguirebbero. Anche perché sarebbe davvero imbarazzante.
Salgo le scale fino al secondo piano e mi precipito ai bagni delle ragazze. Con mio profondo sollievo ritrovo immediatamente lo zaino. Me lo metto in spalla ed esco. Sto per ripercorrere i miei passi, quando odo una voce profonda provenire da quella direzione. Decido allora di fare dietro front e svolto l’angolo, di modo da essere coperta. Mi acquatto al muro, origliando il suono di quella voce, ma sento che prosegue la sua salita, il che vuol dire che per il momento sono salva. Tanto per non rischiare, però, decido di continuare verso quel corridoio. Ci deve essere di sicuro un’altra uscita.
Percorro il corridoio e noto che tutte le classi sono chiuse. Tranne una.
Butto un occhio all’interno, l’ambiente è illuminato dalla luce del sole, che sta cominciando a imbrunirsi, sfumando verso l’arancione.
Al suo interno c’è un ragazzo. Ha la testa appoggiata sul banco, sopra le sue braccia che gli fanno da cuscino, la schiena piegata. Solo sentendo un lieve russare capisco che sta dormendo. Mi chiedo che cosa ci faccia qui, ma soprattutto se sappia che la scuola chiuderà a momenti. Sono indecisa se svegliarlo o meno.
Non mi accorgo di essere entrata, finché non mi trovo davanti a lui. Mi chino, indecisa su quale sia il modo migliore di scuotere una persona che non conosco dal sonno. Lo pungolo su una spalla con un dito. Visto che non dà segni di essersene accorto, continuo.
Il giovane finalmente si muove e alza lievemente la testa. Si strofina un occhio con il pugno ed emette uno sbadiglio.
E adesso che gli dico? penso preoccupata.
Quando alza gli occhi assonnati su di me, mi blocco. È bellissimo. Ha due occhi scuri, quasi neri, e i capelli, del medesimo colore, gli arrivano alle orecchie. Non riesco a capire se siano spettinati per il sonnellino da cui si è appena rinsavito o se siano così normalmente.
Ci guardiamo per alcuni istanti e all’inizio non faccio caso ai sentimenti che si inseguono nel suo sguardo. Prima noto confusione, poi riconoscimento e infine… odio. Sembra che questa emozione copra qualcos’altro, ma non ho il tempo di rimuginarci sopra.
– Che cos’è, uno scherzo? – mi chiede. Ha una voce roca e… sensuale. È strano associare un aggettivo del genere ad una voce, ma non riuscirei a trovare un altro sinonimo per descriverla.
Il suo tono è così glaciale che non fraintendo neanche per un attimo che ciò sia una burla.
Inarco un sopracciglio, non capendo che cosa voglia dire.
Lui posa i palmi sulla superficie del banco e si tira in piedi, sovrastandomi di almeno dieci centimetri.
– È stato Miroku a chiamarti? Che cosa ci fai qui? – chiede. Adesso l’odio è sfumato dalla rabbia. Il ghiaccio si è tramutato in fuoco e non riesco a capire se ciò sia una cosa positiva o meno.
Non ho idea di chi sia il ragazzo che ha nominato, ma non ho il tempo di riferirglielo che un suono difficile da confondere con qualcos’altro invade il silenzio che si è creato. Il cigolio di un cancello che si apre… o che si chiude.
Ignorando le frecciate che lo sconosciuto mi continua a lanciare con gli occhi, mi dirigo in corridoio e scopro a malincuore di aver avuto ragione. La cancellata è stata chiusa, il guardiano o uno dei bidelli sta sigillando a chiave la serratura, intrappolandoci nell’edificio.
Il panico mi assale. È la terza volta che mi capita oggi e spero vivamente che sia l’ultima. E ora come faccio a uscire?
Nel frattempo, avverto la presenza del ragazzo vicino a me. Mi ha raggiunto e suppongo che anche lui sia arrivato alle medesima conclusione. Mi giro per guardarlo, sperando di riuscire a ragionare con lui per trovare una soluzione al nostro problema, e invece continua ad avere la faccia imbronciata, le sopracciglia aggrottate e una ruga che gli solca la fronte.   
– Che c’è? Ora non è il momento, dobbiamo trovare il modo di andarcene da qui… – inizio, anche se lui continua imperterrito a mantenere la stessa espressione, concentrato su qualcosa che non immagino. Posso quasi vedere le rotelle del suo cervello girare, nel tentativo di arrivare a una conclusione, di prendere una decisione che sarà fondamentale per entrambi: fidarsi o no di me?
– Tu non sei Kikyo – mormora alla fine.
Metto i pugni sui fianchi. Non ho idea del perché proprio io gli abbia ricordato questa Kikyo, o se devo prenderlo come un complimento o come un’offesa, fatto sta che l’osservazione mi sta sui nervi.
– Per tutto il tempo sei rimasto a rimuginare su questo? Non so chi sia costei, ma io mi chiamo Kagome. Ka-go-me. Chiaro? – annuncio.
Lui sembra stupito, anche se probabilmente sta cercando di nasconderlo, ma non è l’istante per infierire. In questo periodo dell’anno fa buio presto e non voglio tornare a casa a un’ora così tarda, soprattutto perché dovrei dare una spiegazione a mia madre e a mio nonno, e non mi va proprio di ammettere di essermi intrufolata in una scuola e di avere intrapreso una stramba conversazione con un ragazzo più grande di me.
– Adesso sbrighiamoci –. Non gli do il tempo di ribattere che gli volto le spalle. So che mi sta seguendo e non posso fare a meno di congratularmi con me stessa.
Non passano dieci secondi che lui mi si affianca. – Tu conosci bene questa scuola. Sai se c’è un’altra uscita o un punto nelle mura che è possibile scavalcare? – domando, sperando nella prima ipotesi.
Con la coda dell’occhio vedo che lui fa spallucce. L’irritabilità ritorna come un’onda impetuosa e non sono capace di fermarmi.
Sospiro. – Senti, lo so che probabilmente non aspettavi di trovarti in una situazione del genere. Nemmeno io, se è per questo. Ma sarebbe meglio per entrambi se collaborassimo, se ci aiutassimo – affermo, cercando di mantenere la calma.
Proseguo la camminata, prendendo il suo silenzio come un tacito assenso.
– Inuyasha –.
Volto la testa verso di lui. – Come? – gli chiedo.
– Mi chiamo Inuyasha – aggiunge.
Io annuisco. Avendo raggiunto una specie di tregua, proseguiamo senza proferire altre parole.
Con la coda dell’occhio però non perdo neanche un suo movimento. Non mi fido abbastanza di lui e non so cosa potrebbe farmi. O dove potrebbe condurmi.
Una volta ritrovate le scale, scendiamo fino al piano terra. È piuttosto inquietante e raccapricciante osservare una scuola deserta, senza gruppi di studenti ad invadere i suoi corridoi, senza le risate e le voci che riempiono le classi e i laboratori. Un brivido mi serpeggia giù per la schiena.
– Dimmi, ragazzina… –. Adesso è il mio turno di lanciargli un’occhiata di puro odio.
– Non sono una ragazzina – affermo, incapace di trattenermi e mettendo tutto il veleno possibile in quelle parole.
– … come ti sei cacciata in questa situazione? – prosegue, ignorando deliberatamente il mio intervento.
Riassumo un atteggiamento noncurante, sperando di scoraggiare l’idea della “ragazzina” che a quanto pare si è fatto di me. Se mi dimostro più matura di quanto sono, magari si dimenticherà in fretta di me una volta usciti di qui.
– Perché ti interessa? – rispondo alla sua domanda con un’altra, un vecchio trucco che ho imparato da mio fratello minore.
Lui fa spallucce. Dentro di me non riesco a trattenere un moto di soddisfazione. A quanto pare la strategia che ho adottato ha funzionato meglio del previsto.
Fatti pochi passi, però, la delusione del fallimento ritorna a trovarmi.
– Non so, è che bisogna essere davvero stupidi per entrare in una scuola a quest’ora –. Per poco non stramazzo a terra, impietrita.
Lui continua a guardare davanti a se, e non si è accorto che mi sono fermata, nel tentativo di sbollire la rabbia. Ma come si permette?!
– Ehi, non mi sembra che tu sia stato molto più furbo – ribatto piccata, raggiungendolo e mettendomi di nuovo al suo fianco, la cartella che pende da una spalla.
Okay, forse l’approccio della ragazza matura è fallito. Ma non potevo di certo rimanere in silenzio dopo un’affermazione del genere…
– Io mi sono addormentato, che centra? Vorrei vedere te, dopo tre ore di recupero –.
È qui che l’ego ha il sopravvento su di me e non riesco a frenare la lingua. – Tzt. Io non avrò bisogno dei corsi di recupero, innanzitutto – ma una vocina nella mia testa mi sta urlando oscenità, insieme ad affermazioni del tipo: “Che cosa?” oppure “Dici sul serio, Kagome?”. E so che quella parte non ha tutti i torti. Ma in fondo, quando io entrerò in questa scuola lui sarà già uscito e non scoprirà mai, nel caso accada, che ho mentito. A giudicare dal suo aspetto fisico, dovrebbe già essere al terzo anno. Anzi, forse gli davo un paio di anni in più.  
Inuyasha borbotta qualcosa che non riesco a udire, ma non ci tengo particolarmente a scoprire di che cosa si tratta.
Prima che uno dei due possa aggiungere altro, arriviamo all’uscita. Automaticamente, mi dirigo alla porta e premo la maniglia antipanico che, ovviamente, è chiusa a chiave.
– Che stai facendo? –. La voce di Inuyasha attira la mia attenzione e vedo che è oltre le scarpiere, a pochi metri da me, affacciato su una stanza o un corridoio di cui non riesco a capire l’uso. Mi avvicino a lui. – Secondo te? Cerco di uscire, no? –. Quando gli sono di fronte incrocio le braccia davanti al petto. Comincia a fare freddino.
Lui intanto entra in quello che mi accorgo essere uno sgabuzzino e inizia ad armeggiare con una sedia e la scrivania. – Tu piuttosto che combini? – è il mio turno di chiedere.
– Cerco di uscire, no? – risponde, in falsetto, nel tentativo di imitare il mio tono di voce. Giuro che non lo sopporto.
Sale con i piedi sulla sedia e si affaccia alla finestrella in alto. Solo in quel momento noto che ha in mano un coltello, anche se non ho idea da dove l’abbia tirato fuori.
Dopo pochi minuti odo i chiodi che tenevano chiusa la finestra cadere sul pavimento e rimbombare in quel silenzio che mi fa accapponare la pelle.
Inuyasha spinge la finestrella con la mano e questa si apre senza problemi verso l’esterno.
– Forza, che fai lì impalata? – mi riscuote. Solamente allora comprendo che è quella la nostra via di fuga. Sgrano gli occhi. – S-stai scherzando, vero? – balbetto.
– Non ti preoccupare, ci passerai senza problemi – dice, nel tentativo di rassicurarmi, con il risultato di farmi solo arrabbiare di più. Lo fulmino con uno sguardo.
– Non sono in ansia per la taglia, ma piuttosto… per… l’altezza – ammetto, la paura che torna a contorcermi le viscere.
– Non dirmi che soffri di vertigini… – sospira, alzando gli occhi al cielo, e usando un tono incredulo che sembra voler dire: “Ma tutte a me capitano?”. Non vedo l’ora di separarmi da questo individuo così antipatico.
Forse è proprio questo a convincermi, ma mi dirigo verso il muro, un’altra sedia in mano, decisa ad andarmene al più presto da quel luogo e di dimenticarmi di tutta questa faccenda. Prima uscirò, prima potrò dire addio al signorino qui presente, mi autoconvinco.
Mi tolgo lo zaino dalle spalle e lo calo dalla finestra. Sento il tonfo quasi subito, il che è incoraggiante. Entro con le gambe nell’apertura e sto per lasciare la presa e lasciarmi cadere, quando la paura mi blocca nuovamente.
– Andrà tutto bene, sono solo pochi piedi da terra. Tutto quello che devi fare è piegare le ginocchia e non ti accadrà niente –. Quella rassicurazione è così inaspettata che non mi accorgo delle sue mani che mi danno la spinta necessaria perché io molli la presa.
Prima di rendermene conto sono fuori, illesa.
Un attimo dopo Inuyasha è accanto a me.
– Bene. Visto, non era poi così diff… –.
– Sei completamente impazzito?! – gli urlo contro.
Lui è talmente preso alla sprovvista che perde l’equilibrio e cade sul terreno.
– M-ma che ti prende? – mi domanda. Oh certo, fa il finto tonto.      
– Non ti azzardare mai più a spingermi quando mi trovo in alto, sono stata chiara? – lo minaccio, chinandomi su di lui per accentuare la frase.
– C-certo – assente.
– Bene. E ora vediamo di occuparci del prossimo ostacolo – aggiungo, prendendo la cartella e avviandomi, senza aspettare che si rialzi, verso il cancello che delimita la scuola.
 
 
 
E adesso? non posso trattenermi dal pensare. Siamo davanti alla cancellata, la via d’accesso chiusa con una catena.
– Non dovrebbe essere alto più di quattro metri… – riflette a voce alta il mio compagno di sventura.
Quattro metri?! 
Se per me era difficile saltare da un metro e mezzo, figurarsi adesso…
– Forza, sali sulla mia schiena – esordisce.
Io lo guardo incredula. – Che hai detto? –.
– Credo di riuscire a sopportare il tuo peso per pochi minuti e non vedo altra soluzione per te se non passare la notte all’aperto e aspettare che domattina il guardiano apra –.
Cerco di ignorare l’insinuazione che ha fatto sulla mia taglia ancora una volta e di apprezzarlo come un gesto galante.
– Sei sicuro? – gli chiedo per sicurezza. Non voglio ritrovarmi col sedere a terra dopo solo un metro percorso.
– Dubiti di me? – domanda, un sopracciglio inarcato e le labbra piegate in un sorriso.
– Be’… sì, a dire il vero – rispondo.
– Fai bene a non fidarti di un estraneo, ma non hai altra scelta, ricordi? –.
Deglutisco, nel tentativo di prendere coraggio. Espiro. – Va bene. Facciamolo –.
Mi sistemo meglio lo zaino sulle spalle e quando lui si piega sulle ginocchia io mi aggrappo con braccia e gambe al suo collo e ai suoi fianchi. Si avvicina alla rete in ferro e inizia a salire.
Sono incapace di tenere gli occhi aperti e per la paura gli stringo ancora di più le spalle. Ha un buon profumo. Sa di menta e di selvatico. Inconsciamente inizio a rilassarmi, sarà per il calore che emana o per la sicurezza che avverto in lui o forse per la gentilezza che ha dimostrato nell’aiutarmi.
– Ehi, scimmietta, ora puoi anche mollarmi –. La sua voce mi riporta alla realtà e quando apro gli occhi di fronte a me vedo la scuola, coperta dalla rete di ferro che la delimita.
Inuyasha si schiarisce la gola.
– Oh, certo, scusa –. Lo sciolgo dal mio abbraccio e mi allontano di almeno un metro, imbarazzata.
– Be’, credo che sia arrivata l’ora dei saluti – esordisce lui.
 
 


ANGOLO DELL'AUTRICE
Salve a tutti!! 
Voglio informare chiunque sia stato preso dalla curiosità della trama e abbia letto il primo capitolo, che questa è la mia prima vera e propria Fan Fiction!! ^-^
Perchè Inuyasha vi chiederete voi.. beh è uno degli anime che mi ha segnata da bambina e oltre alla domanda che ci siamo posti tutti, ovvero: come è continuata la vita di Inuyasha e Kagome e tutti i loro amici nell'Era Sengoku dopo la fine dell'anime? Mi sono anche chiesta: ... e se Inuyasha e Kagome fossero vissuti nel nostro tempo, Inuyasha non fosse stato un mezzo-demone ma un semplice essere umano? Ora, la sua vita e il suo spessore caratteriale ho cercato di mantenerli uguali, sperando di esserci riuscita e di aver fatto lo stesso con il resto dei personaggi... ma per il resto, la storia è ambientata ai giorni nostri e ce ne saranno delle belle e delle crude per i nostri amati protagonisti ^-^
Spero di poter aggiornare abbastanza costantemente, ma voi lasciate una recensione ogni volta che potete! :)
Baci, SM.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rivedersi ***


Passano i giorni e, nonostante questo, la mamma non mi ha ancora perdonata per essere rientrata a casa così tardi. Come se fosse stata colpa mia… beh si, un po’ lo è stata ma chi poteva prevederlo?
Comunque cerco di ignorare le sue occhiate di rimprovero e mi convinco che presto le passerà.
Oggi è venerdì e come al solito mi trovo con le altre all’incrocio a pochi isolati dal tempio. Prendiamo la metro e ci dirigiamo a scuola.
All’ingresso vedo Hojo, il quale mi saluta allegramente. Le mie amiche mi danno di gomito e iniziano a rifarmi mille domande sul nostro “appuntamento”, come lo chiamano loro.
- Ragazze, ve l’ho detto, siamo solo andati a mangiare un boccone insieme. Non si può certo chiamare appuntamento – ripeto.
- Ah ah e dopo che è successo? – mi ignorano.
Sospiro. – Niente, siamo andati a prendere la metro e ci siamo salutati. Tutto qui – rispondo.
Okay, forse le cose non sono andate esattamente così. Ma non ho avuto il coraggio di raccontare loro la mia piccola avventura. Soprattutto perché 1) sarebbe stato imbarazzante ammettere di aver dimenticato per l’ennesima volta lo zaino da qualche parte e 2) non mi sembrava il caso di nominare il ragazzo conosciuto in quel frangente.
Prima che possano ricominciare con i loro incoraggiamenti e consigli non richiesti, mi avvio verso l’entrata.
La giornata passa tra una lezione e l’altra e come al solito i professori decidono di riempirci di compiti in vista del prossimo esame.
Quando l’ultima campana suona, sospiro amareggiata.
Appoggio la testa sul banco e la circondo con le braccia. Le mie amiche arrivano subito a consolarmi e mi promettono di prestarmi tutti i loro appunti. È in questi momenti che le adoro più che mai.
Raccolgo la cartella e insieme ci dirigiamo all’uscita.
- Allora Kagome cos’hai deciso per questo weekend? Pensi di riuscire a venire? – mi chiede per la centesima volta Eri.
Vorrei risponderle di sì, ma la parte più razionale di me decide di prendere il sopravvento.
- Lo sai che non posso – rispondo sconsolata. È la verità purtroppo.
- Oh andiamo Kagome! Si tratta solo di una sera e il posto non è lontano da qui – mi prega Yuka.
- Lo so, e infatti il problema non è questo come ben sai… -. Le altre abbassano gli occhi, non sapendo più cosa replicare. Il fatto è che non ho abbastanza soldi da permettermi di partecipare alla festa. Già facciamo fatica ad andare avanti così con la misera pensione del nonno e le offerte del tempio. Non posso chiedere anche altri soldi per comprarmi dei vestiti e dei trucchi, il taxi per il ritorno e magari qualcosa da bere quando sono là.
- Quello che ti chiediamo è solo di proporre la cosa a tua madre, tutto qua – esordisce Ayumi.
Certo, come se non avesse già il suo da fare per cercarsi un lavoro decente e badare a mio fratello.
- Non vi prometto niente ragazze, ma almeno ci proverò – consento alla fine. La loro reazione mi tira su di morale, il che mi infonde abbastanza coraggio da domandarlo ai miei parenti.
Non l’ho detto alle altre, ma in realtà è anche la consapevolezza di essere in una mezza punizione a frenarmi. Dopo quella sera e averli fatti preoccupare a tal punto mi sono sentita talmente in colpa… non mi sembra il caso di proporre proprio ora, che le cose sembrano migliorare, di poter partecipare a una festa. Per di più sarebbe a casa di un ragazzo della B, che neanche conosco di persona.
È stata Ayumi a procurarci l’invito. Ha conosciuto il ragazzo perché è anche lui un rappresentante di classe e al consiglio degli studenti si sono visti spesso. Per di più sono convinta che abbia una cotta per lei, e le ragazze si trovano d’accordo con me. Ayumi è una bellissima ragazza e anche Mamoru è un tipo a posto e piuttosto affascinante da quel che ho sentito. Ma io sono l’ultima a poter giudicare, vista la mia situazione con Hojo.
Non appena apro la porta di casa, l’odore del curry mi investe, facendomi venire l’acquolina in bocca. Il coraggio acquistato poco prima sembra scemare sempre più, man mano che mi avvicino alla cucina. Sembra che mia madre l’abbia fatto apposta a cucinare il mio piatto preferito, come se volesse farmi sentire ancora più in colpa. Chissà se quando sarò madre avrò lo stesso sesto senso…
- Ciao Kagome, com’è andata a scuola? – mi domanda.
Mentre mi accomodo al tavolo le faccio un riassunto della giornata. Sento provenire dal soggiorno un chiacchiericcio che immagino provenga dalla TV accesa e immagino che il nonno e Sota siano seduti sul divano a guardarla.
Forse questo è il momento buono.
- Mamma, posso chiederti una cosa? – inizio. Lei smette di mescolare la carne e si volta, prestandomi tutta la sua attenzione.
- Ma certo, tesoro, dimmi pure -.
Mi accarezzo le mani, cercando le parole più adatte.
- Ecco… mi domandavo se… se… se potevo andare a una festa sabato sera! -. Praticamente l’ultima frase mi esce urlando, e spero che il nonno e Sota non abbiano sentito.
Non ho il coraggio di vedere la reazione di mia madre, così tengo gli occhi fissi sul tavolo.
Prima che abbia il tempo di dire qualcosa, arriva mio fratello. – Sorellona tutto bene? Io e il nonno ti abbiamo sentito gridare -. Ecco e ti pareva…
Non ho neanche il coraggio di rispondergli per paura di minare in qualche modo la decisione della mamma. Mi limito ad annuire.
- Kagome, perché avevi paura a parlarmene? – domanda lei, prendendomi alla sprovvista.
È allora che decido di incontrare il suo sguardo.
Non vorrei mettere il dito nella piaga e sottolineare così la nostra situazione economica, ma non saprei cos’altro rispondere.
- È per via del castigo? -. Incredibilmente, questo mi facilita le cose. Colgo l’occasione al volo e annuisco.
- Beh, penso di averti punita abbastanza e immagino che tu abbia riflettuto a sufficienza su i tuoi errori. Per cui, non vedo per quale motivo tu non debba non andare a questa festa -.
Non credo alle mie orecchie.
- Dopotutto, hai quasi sedici anni. È normale che tu voglia divertirti un po’ -.
E detto questo riprende a cucinare il curry, come se niente fosse.
- Sorellina, ti senti bene? -. Non mi ero nemmeno resa conto che Sota era rimasto in cucina.
- Non l’ho mai vista così… mamma, credi che sia in stato di shock? -.
 
 
 
- E questo come mi sta? – domando per la milionesima volta ad Eri. Yuka e Ayumi sono andate a bere qualcosa nella caffetteria qua di fronte, mentre lei mi fa compagnia.
- Eh? Ah sì, molto bene – risponde, anche se immagino che ormai persino un sacchetto per la spazzatura somigli attraente per lei. Penso che le altre si siano pentite di aver insistito tanto perché andassi alla festa con loro, anche se quando ho riferito la risposta di mia madre hanno saltato dalla gioia e mi hanno abbracciato per almeno mezzora.
È il pomeriggio prima del fatidico evento. Mancano più o meno tre ore. E io ancora non so cosa indosserò. Sono un disastro.
- Ti ripeto che il quinto vestito che hai provato ti stava meravigliosamente, quindi ti prego… compra quello e andiamo -. Forse dovrei seguire il suo suggerimento. D’altronde devono prepararsi anche loro e non posso rivendicare per me tutto il tempo.
- D’accordo. Lo compro – acconsento alla fine. Eri sospira felice, come per dire “Era ora!”. E scommetto che anche Yuka e Ayumi avranno la stessa reazione.
Usciamo dal negozio e ci separiamo. Io vado con Eri e promettiamo con le altre di aspettarle fuori dall’abitazione nel caso arrivassimo prima di loro.
Eri mi ha permesso di prepararmi a casa sua e mi presterà anche i trucchi di cui dispone, che sono davvero tantissimi.
Non mi piace approfittare degli altri, ma lei ha insistito talmente tanto che se avessi rifiutato avrei finito per compromettere la nostra amicizia.
Quando siamo entrambe pronte ed Eri ha finito di applicarmi il trucco – ombretto, mascara e un po’ di lucidalabbra – usciamo. Le nostre madri hanno insistito molto che prendessimo un taxi, perché a parer loro la metro non è molto sicura a quest’ora. Fortunatamente il nostro mezzo è già lì fuori che ci attende.
Mentre ci accomodiamo sul sedile posteriore do una ricontrollata al nostro look. Eri indossa un paio di shorts di jeans, con sotto le calze a rete, e una maglia beige con le maniche che le arrivano al gomito. Ha optato per un trucco pesante e porta degli stivali da cowgirl.
 
Io invece indosso l’abito che ho comprato oggi, nero, con le maniche lunghe trasparenti e la scollatura a cuore. Mi arriva a metà coscia e non mi delinea bene le curve come altri che ho provato, ma per una prima festa va bene così.
I tacchi che porto me li ha prestati Yuka, dato che abbiamo lo stesso numero. Un’altra gentilezza che non ho potuto rifiutare.
Quando arriviamo all’indirizzo, troviamo già le nostre amiche ad attenderci. Ayumi suona il campanello e dopo pochi secondi un ragazzo, che sarà alto almeno venti centimetri più di me, viene ad aprirci. Ci rivolge un sorriso sexy che farebbe sciogliere qualsiasi ragazza.
- Ciao, voi dovete essere amiche di Mamoru. Prego, entrate pure – e detto questo spalanca la porta per farci accomodare.
Come benvenuto devo dire che non mi dispiace affatto e lo stesso può dirsi delle mie amiche.
Lo sconosciuto porta i capelli legati in un codino e ha profondi occhi blu notte. È… affascinante.
- Io sono Miroku, piacere di conoscervi – si presenta, mentre ci guida all’interno.
Miroku… perché quel nome mi suona familiare?
Non ci bado molto e seguo le mie amiche fino al soggiorno, che è già parecchio affollato.
- Ehi, ce l’avete fatta, mi fa piacere – afferma un ragazzo che immagino essere il padrone di casa.
- Bene, visto che siete in buone mani vi lascio alla vostra festa – e prima che qualcuno protesti, se n’è già andato.
- Che voleva dire con questo? – domando.
- Oh, mio cugino intendeva dire che… - ma non fa in tempo a finire la frase che viene salutato da altra gente appena arrivata. Siamo sicuri che c’è abbastanza spazio in questa casa?
Nel frattempo il dj ha messo su alcuni pezzi che si sentono spesso alla radio e prima che me ne accorga vengo sospinta sulla pista da ballo improvvisata, dalle mie amiche. È una sala adiacente il soggiorno, che immagino sia stata svuotata dei mobili per fare spazio alle persone e al banco del dj.
Dopo una decina di minuti di scuotimenti e di salti, mi viene sete e decido di raggiungere la cucina. Le mie amiche non sembrano pensarla come me, dato che sono ancora intente ad agitare le braccia in aria.
Mi allontano e spero di tornare prima che si accorgano della mia assenza.
La cucina, in compenso, è deserta. Appoggio la pochette nera – altro acquisto della giornata – sull’isola al centro della stanza e apro il frigo, in cerca di qualcosa di dissetante.
- Trovato niente? -. Per poco non sbatto la testa contro un ripiano dallo spavento. Quando chiudo il frigo per vedere chi è il deficiente che per poco mi fa venire un infarto, resto di sasso.
Tra tutte le persone, non mi sarei mai aspettata di vedere lui. E tra tutti i posti in cui potevo incontrarlo non mi sarei mai aspettata di vederlo qui.
- Che cavolo ti dice il cervello? – domando alla fine, il cuore che batte ancora per la paura.
Lui si caccia a ridere e prima che possa aggiungere altro si avvicina riapre il frigo. Sono così scioccata che non mi accorgo di trovarmi a pochi centimetri da lui finché non mi porge una bottiglia di acqua gelata. Io la afferro, ancora intontita, mentre lui fruga nelle credenze alla ricerca di un bicchiere. Quando trova il ripiano giusto, ne prende due. Riprende l’acqua e ne versa in ognuno.
- Alla salute – dice, mettendomene uno in mano.
Lo guardo bere avidamente, una goccia d’acqua che gli cola giù per il collo, solcando il pomo d’Adamo che va su e giù a ogni sorso, fino ad arrivare alle clavicole. I capelli spettinati gli conferiscono un’aria sbarazzina e sono sparati in tutte le parti, bagnati dal sudore. È addirittura più bello di come lo ricordassi, mi rendo conto in quel momento, mentre la rabbia se ne va, sostituita da qualcos’altro.
Solo quando ha finito mi accorgo di quanto sembri patetica e ridicola per averlo fissato tutto il tempo. Bevo anch’io, calmando la mia sete.
Solo quando mi sono ripresa decido di parlargli. – Che ci fai qui? -.
Lui inarca le sopracciglia. – Scusami? -.
- Insomma, non mi aspettavo di rivederti a una festa delle medie – spiego.
- Infatti non sono venuto a questa festa. Al piano di sotto ce n’è un’altra, che ha organizzato Miroku. Non ci tengo proprio alle vostre festicciole da studenti, sai? Di certo questa non si può chiamare festa, ma l’hai vista? -. Io arrossisco, non potendo controbattere facendo paragoni dato che questa è la prima a cui partecipo.
Non trovando altri motivi per rimanere, esco in cucina. Solo allora mi accorgo di avere ancora il bicchiere stretto in mano. Lo appoggio con nonchalance a un mobiletto affiancato alla parete, sperando di passare inosservata.
Ritrovo le mie amiche e ricomincio a ballare, cercando di distrarmi, di dimenticare il ragazzo con il quale ho condiviso quell’avventura.
Non lo rivedo per tutta la sera.
 
 
Quando arriviamo a casa mia sono talmente distrutta che non ho neanche le forze per mettermi sotto la doccia. Saluto Yuka con il quale ho condiviso il taxi e le auguro una buona domenica.
La mamma è ancora sveglia e mi accoglie con un sorriso, chiedendomi com’è stata la serata. Tra uno sbadiglio e l’altro le racconto l’esperienza, tralasciando l’incontro con Inuyasha.
Quando finalmente mi lascia salire al piano di sopra, mi butto sulle coperte e piano piano il respiro si calma.
Quella notte non sogno nulla.
La mattina dopo mia mamma mi chiama per dirmi che il pranzo è pronto. Alzo la testa, ancora insonnolita, e guardo l’orario sulla sveglia. Le 12:11.
Mi metto supina e stiro braccia e gambe. Indosso ancora il vestito di ieri sera.
Prima di scendere, decido di farmi una doccia e quando mi sento abbastanza rinvigorita esco, mi asciugo e mi vesto. Imbocco le scale proprio quando la mamma mi richiama per la seconda volta quel giorno.
Mangiamo in silenzio. Sota e il nonno non fanno domande, probabilmente la mamma ha già raccontato loro l’evento.
Quando sparecchio la tavola esco in giardino a prendere una boccata d’aria. La temperatura sta lentamente salendo con l’avvicinarsi dell’estate. Se penso che fra poco finirò la scuola media mi viene mal di testa.
Sospiro e mi siedo sulla panchina al fianco della casa. Le foglie di Goshinboku mi riparano dai raggi del sole e una lieve brezza le muove, riempiendo il silenzio di quel suono così calmante.
Chiudo gli occhi e respiro con il naso, cercando di rilassarmi completamente.
Vorrei che la mia vita fosse sempre così: fatta di momenti felici, una sera vado alla festa e il mattino dopo mi rilasso… conoscere gente nuova… magari, chissà, un ragazzo carino che mi chiede di uscire… Prima che me ne renda conto sogno un paio di occhi scuri velati da riflessi bluastri, una mano poderosa che scosta i capelli mori da essi e se li spara in tutte le direzioni… 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Smemorata ***


Lunedì mattina, come al solito in ritardo, corro con lo zaino che mi sbatte sul fianco e un pezzo di pane tostato in mano, nella speranza di non aver perso la metro.
Quando arrivo trafelata a scuola, dopo aver aspettato il treno successivo, il suono della campana mi perfora i timpani, ricordandomi di aumentare il passo.
Arrivata in classe mi scuso, cercando di riprendere fiato. Mi accomodo al mio posto e mi appoggio al banco, facendo lunghi respiri. Il professore comincia la lezione e non appena il cuore riassume il suo battito normale, inizio a prendere appunti.
Alla fine dell’ora, vengo affiancata dalle mie amiche, ormai abituate ai miei ritardi.
Cominciamo a parlare della festa, quando veniamo interrotte dall’entrata del sensei.
La giornata prosegue e prima che me ne renda conto devo alzarmi per uscire. 
Scendiamo le scale e nel frattempo Ayumi mi fa un riepilogo dell’ultima lezione, dato che ho perso alcuni passaggi. È più forte di me, non ce la faccio a restare attenta tutto il giorno.
- Mi spiegate come ci riuscite? A me sarebbe scoppiato il cervello… e già adesso mi gira la testa - affermo, alzando gli occhi al cielo.
Loro fanno spallucce e continuano a camminare. Io le seguo, verde d’invidia.
Quando arriviamo alla cancellata Eri mi dà di gomito, attirando la mia attenzione.
- Ehi, super schianto a ore dodici – mi dice.
Quando alzo gli occhi per scoprire a chi si riferisca, per poco non mi viene un infarto. Impallidisco di colpo e mi trattengo dal sgranare gli occhi, stupita.
Oh no.
Questo ragazzo è una vera persecuzione.
Che è venuto a fare qui?
Abbasso immediatamente lo sguardo, nella speranza che non mi riconosca.
Okay, niente panico. Magari non è neanche venuto qui per me. Forse ha voluto fare una sorpresa alla sua ragazza che, guarda caso, fa la mia stessa scuola. Sì, dev’essere così.
Mentre ci avviciniamo al cancello per uscire, lui è appoggiato al muretto, noto che le mie amiche non hanno smesso di fissarlo un secondo. È allora che decido di rialzarli.
Pessima idea.
Vedo che non ha perso l’aria spavalda. Cerco di ignorare le domande silenziose dipinte nei visi delle mie amiche.
- Ehi – mi limito a salutarlo, cercando di tenere un tono di voce normale. Non voglio che traspari il panico e la paura che provo in quel momento.
Ti prego non nominare la scuola, ti prego…
Prima che possa chiedergli che ci fa qui, lui mi mostra una borsetta. No, sbagliato, è la mia borsetta.
Me la porge e io la prendo, incredibilmente senza che mi tremino le mani.
- Ma… cosa…? -
- L’avevi dimenticata alla festa. – spiega, e lo immagino mentre alza gli occhi al cielo, la sera prima.
- Gr-grazie – gli dico, arrossendo. Che gentile…
Eri si schiarisce la gola, attirando l’attenzione e ricordandomi che io e Inuyasha non siamo soli.
- Oh, ti presento Eri, Yuka e Ayumi – dico indicandole una per una. – E questo è… -
- Scusami ma adesso devo proprio andare – mi blocca, prima che possa pronunciare il suo nome. Mi fa un ultimo cenno del capo e prima che io possa ribattere se ne va.
Che cafone… e pensare che solo un attimo prima l’avevo considerato un ragazzo gentile. Certo come no, e il cielo è verde.
Le altre non aspettano neanche tre secondi che già mi riempiono di domande.
- Ma chi era quello? -
- Come l’hai conosciuto? -
- Oh, santo cielo, che pezzo di… -
- Perché non ci hai raccontato niente? -
- Uscite insieme? -
- Che carino è stato a riportarti la borsa! -
Io sono ancora sotto shock e non riesco rispondere a nessuna di queste domande, finché Ayumi non mi chiede: - Pensi che vi rivedrete? -
Mi volto verso di lei e le dico sinceramente: - Non lo so. -
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Iscrizioni ***


- Tesoro, hai preso tutto? -
- Sì, mamma. -
- Sicura? Il portafogli, il tesserino sanitario, il certificato di diploma? -
- Ti ripeto di sì. -
- Perfetto. Credo che possiamo andare. -
Il sospiro di sollievo di Sota è il suono che ci accompagna fuori di casa. Sarà da almeno mezzora che la mamma mi rifà le stesse domande. Forse sta esagerando un po’, ma è assolutamente vitale che oggi sia tutto perfetto.
Ci dirigiamo insieme alla metropolitana. Il treno dovrebbe arrivare tra dieci minuti, anche se vorrei fossero di meno.
Non posso crederci. Sto per iscrivermi alla scuola superiore! Sono così emozionata… ma anche terribilmente in ansia. E se non mi trovassi bene? E se non finissi in classe con Eri, Ayumi e Yuka? Come farei dopo? Chi mi aiuterebbe per gli esami, chi mi presterebbe gli appunti?
- Kagome, ci siamo. -
Saliamo a bordo, ma non appena le porte scorrevoli si richiudono e il veicolo riparte, le domande riprendono ad assillarmi la mente.
Inizia a contorcermisi lo stomaco. Ho finito le medie pochi giorni fa. E devo già preoccuparmi di una nuova scuola… non posso godermi la breve libertà appena guadagnata?
Per fortuna arriviamo a destinazione quasi subito. Questo istituto è molto più vicino a casa.
Seguo mia madre stando attenta a non perderla di vista in mezzo a tutta la gente che occupa la strada. Qua siamo in pieno centro e le vie sono più affollate, dato che vi sono soprattutto uffici e aziende, rispetto ad abitazioni.
Arrivate davanti all’edificio il mio cuore salta un battito. Quando passiamo per il cancello il mio subconscio è attraversato da un flashback, ma è così breve che quasi non ci faccio caso.
- Mamma, non trovi che questa recinzione sia davvero alta? -
Lei si volta a guardarmi, ma non mi chiede spiegazioni. Sa che oggi sono particolarmente nervosa anche se non lo ha detto apertamente.
L’ho notato nelle piccole cose, come la colazione che mi ha preparato o il tono particolarmente dolce che ha usato per svegliarmi…
- Mmmh… sì, in effetti è bella alta – risponde, prestando attenzione alla cancellata in ferro.
Entriamo dall’ingresso principale e noto con piacere che non siamo le uniche a essere venute. Vedo un’altra decina di ragazzi della mia età, accompagnati anche loro da uno o entrambi i genitori, e questo mi tranquillizza molto. Alcuni di loro sono scocciati per il tempo che stanno perdendo per una cosa così sciocca, altri invece sembrano nervosi almeno quanto me. C’è gente seduta, gente in piedi che guarda fuori dalla finestra e gente che aspetta davanti alla porta, ansiosa che venga il loro turno.
Io decido di accomodarmi su una delle sedie rimaste libere e così anche mia mamma.
Mentre le persone entrano ed escono dalla segreteria aspettando il loro turno, io ritorno, seppur involontariamente, al giorno in cui visitai questa scuola la prima volta.
Scommetto di essere stata l’unica studente di una scuola media ad averla vista in quel modo. Sarebbe assurdo pensare che qualcun altro abbia avuto la mia stessa esperienza. E intendo completamente uguale, ovvero accompagnata persino da un alunno dell’istituto.
Mi chiedo se Inuyasha sia uscito da questa scuola, come io sono uscita dalla precedente. In fondo, non mi hai mai detto a quale anno fosse. Sembrava avere molti più anni di me, o forse erano solo gli occhi ad avermi ingannato. Così profondi e indagatori…
A saperlo fuori di qui, il dispiacere mi invade. Sarebbe stato bello vederlo per i corridoi, scambiarci qualche parola… Oh, ma che sto dicendo? Sveglia, Kagome! Lui è lo sconosciuto con il quale hai condiviso un’avventura che non dovrai mai rivelare a nessuno! Condividete un segreto e meno lo vedi, meglio è per entrambi! Dopotutto, lui non vorrà di certo rivedere la ragazza che è rimasta chiusa con lui dentro la scuola, giusto? Così come non lo vuoi rivedere tu. mi sussurra una voce. La voce noiosa della coscienza, penso tra me e me.
Mi mordicchio l’unghia del pollice, sovrappensiero.
Non l’ho più rivisto da quando…
- Il prossimo – annuncia la segretaria.
- Vieni, Kagome. -
La realtà mi risveglia di colpo e mi alzo in fretta prima di essere chiusa fuori.
Concentrati, Kagome! si fa risentire la voce.
L’addetta alle iscrizioni ci spiega cosa è necessario fare e ci fa firmare dei moduli e compilare dei fogli con i miei dati personali. Le consegniamo il mio attestato delle medie e lei ci da una ricevuta e mi conferma la data dell’inizio delle lezioni. Ci dice anche che la divisa arriverà a casa entro una settimana, e io non vedo l’ora di indossarla.
Ci congediamo con un saluto cordiale mentre lei esce per chiamare i prossimi.
È stato… facile. Me lo immaginavo molto peggio.
Mia madre espira, come se si fosse tolta un peso dal petto. E forse è proprio così. Mi sorride.
- Come stai, Kagome? -
Le sorrido a mia volta, ed è un sorriso sincero.
- Meglio, credo. -
Da questo momento, sono ufficialmente una studentessa di scuola superiore. Non sarà peggio delle medie, suvvia. Si tratta solo di tre anni.
 
Ma non avevo idea di quello che mi aspettava. Quelli, sarebbero stati gli anni più felici, ma anche i più duri della mia vita e l’avrebbero cambiata completamente.
Lui mi avrebbe cambiata completamente.
 
 
 


ANGOLO DELL'AUTRICE
Ehilà! Scusate per la lunga attesa, cari lettori, ma la scorsa settimana mi sono completamente dimenticata di aggiornare. Per farmi perdonare, ho pubblicato due capitoli. 
Sono molto Slice Of Life, niente di veramente importante, solo un modo per approfondire il carattere di alcuni personaggi. 
Spero vi piacciano e vi assicuro che giovedì prossimo riceverete il continuo!
Baci, SM

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Manca poco ***


Un suono insistente mi perfora le orecchie. Quando alzo la testa, mi rendo conto essere la sveglia che ho puntato sul mio nuovo cellulare.
Non appena lo vedo, la felicità mi invade il petto. È stato il mio regalo per il diploma.
Mamma ha trovato un lavoro, un buon lavoro, e sembra andare alla grande. Non so esattamente di che cosa si occupi, ma vedere il sorriso sul suo volto quando torna a casa è più che sufficiente. E quando ho ricevuto questo, ho avuto la conferma che guadagna anche discretamente.
Lo prendo in mano e spengo la sirena. A quanto pare la sveglia sul telefono funziona meglio di una normale. O forse è solo la frenesia di possedere un cellulare tutto mio a farmi alzare dal letto.
Non appena guardo il display mi ricordo il motivo per cui l’ho puntata, nonostante sia domenica. Oggi devo vedere Eri e Yuka.
Scosto le lenzuola e mi vesto velocemente dopo la doccia.
Scendo a far colazione e saluto il nonno e Sota non appena finisco di abbuffarmi. La mamma è uscita di prima mattina.
Aspetto l’autobus che mi porterà in centro, non mi va di prendere la metro.
Quando salgo, mando alle mie amiche un messaggio per far sapere che sto arrivando.
Ayumi non è potuta venire perché aveva un appuntamento… con il suo ragazzo!
È ancora una novità, dato che è successo neanche una settimana fa, ma siamo tutte entusiaste per lei. Finalmente si è decisa a mettersi con Mamoru e sarei stata più felice se finite le esclamazioni di gioia le mie amiche non si fossero girate a guardarmi per chiedermi: “E tu Kagome, quando pensi di metterti con Hojo?”.
Scendo dall’autobus e guardo l’orologio. Sono in perfetto orario. Ah! Questa mattina non sarò l’ultima. Attraverso tutta tronfia la strada verso il punto di ritrovo, quando l’orgoglio che provo scema, non appena vedo Eri e Yuka già sul posto. Maledizione!
Comunque non sembrano ritenermi in ritardo, il che è già qualcosa. Ci dirigiamo subito verso il centro commerciale. Eri ha bisogno di nuovi trucchi e Yuka di una borsa con la tracolla.
Ci diciamo le nuove, visto che non ci vediamo da una settimana, da quando Ayumi ci ha chiesto di incontrarci per raccontare la notizia. Lo so che è strano, ma quando sei abituato a vedere e parlare con una persona tutti i giorni, come noi, hai sempre fatti nuovi da rivelare.
- Ragazze, ma ci credete che fra meno di un mese saremo delle studentesse del liceo? – chiede incredula Yuka. In effetti no… non mi sento così matura da affermare: sono pronta per questa nuova esperienza. Niente affatto! Anzi vorrei continuare a vivere come ora, libera e senza pensieri, passando le giornate con le amiche o stando a casa a guardare la TV con la mia famiglia. Nessuna preoccupazione e nessuna ansia. Zero stress.
Mentre io ed Eri esterniamo le nostre opinioni riguardo al prossimo futuro, mi chiedo ancora una volta se sarò in grado di trascorrere tra anni senza il loro aiuto e la loro compagnia.
Sì, ho scoperto che non sarò in classe con nessuna di loro. E nemmeno Ayumi. Le fortunate in questo frangente sono Eri e Yuka.
È vero, sono invidiosa, avrei voluto almeno essere in compagnia di Ayumi, ma non ci posso fare niente. E la disperazione non fa che invadere i miei pensieri da quando l’ho saputo, minando anche la breve libertà che mi rimane, prima dell’inizio della scuola.
- Buongiorno, Higuarashi! -.
Sentendomi chiamare mi volto, già consapevole a chi appartenga quella voce, dato che c’è solo una persona che mi chiama per cognome.
- Hojo! – lo saluto a mia volta.
- Ma che sorpresa! – afferma, avvicinandosi. Le mie amiche si fanno da parte, pensando di farmi un favore lasciandomi un po’ di privacy.
Da quando abbiamo scoperto che Hojo frequenterà un collegio maschile, le altre sembrano aver lasciato perdere gli incoraggiamenti di mettermi con lui.
Spero che quest’incontro non faccia cambiare loro idea.
Ci aggiorniamo sugli ultimi eventi, non entrando troppo nel personale e ci salutiamo come vecchi amici quali siamo.
Quando Eri e Yuka mi si accostano, cominciano a darmi di gomito. E tanti saluti alla speranza che se ne dimenticassero.
- Questo è un segno del destino, Kagome! – afferma Eri.
- Già, non fartelo sfuggire! – subito sostenuta da Yuka.
Io alzo gli occhi al cielo. Ci risiamo.
- Ma quale destino? Il fatto che ci siamo rivisti non vuol dire un bel niente. Non mi ha chiesto di uscire e non lo rivedrò più, fine – affermo.
Mi allontano e cerco di cambiare argomento attirando la loro attenzione su una camicetta smanicata. Ma non funziona come avrei voluto.
- E del bel liceale che mi dici? -.
Be’, almeno abbiamo cambiato argomento.
Anche se non vorrei, la mia attenzione cala precipitosamente su Inuyasha. Non ho più pensato a lui da quando sono rientrata in quella scuola. Spero che non mi succeda tutte le volte che vi metterò piede, perché sennò sono nei guai. Non posso essere ossessionata da una persona che conosco appena. Giusto?
Sospiro. – Nulla. Perché non c’è stato assolutamente niente tra di noi, chiaro? -.
L’ultima volta che ci ho parlato è stato quando mi ha riportato la borsetta, davanti alle mie amiche. Ci sono volute settimane prima che loro smettessero di chiedermi di lui.
Però, l’ho rivisto poco tempo dopo. Avrei voluto fermarlo per ringraziarlo di essere stato così discreto da presentarsi davanti alla mia scuola attirando, non solo l’attenzione delle mie amiche, ma anche quella dei miei compagni di scuola!
Ma quando mi ha guardato, qualcosa mi ha fermato. La sua espressione, forse… o i sentimenti che vedevo inseguirsi nei suoi occhi. Prima delusione, poi rabbia e infine… dolore.
E prima che potessi anche solo dispiacermi per lui o chiedergli spiegazioni, se n’è andato senza degnarmi di un saluto. E dire che ero solo dall’altra parte della strada, avrebbe dovuto riconoscermi. Si è pure fermato, anche se solo per pochi istanti, prima di riprendere la sua camminata.
Scrollando le spalle mi incammino verso il prossimo negozio. Non voglio parlarne oltre, non voglio che le mie amiche si concentrino su qualcuno che non rivedrò mai più. Soprattutto, non voglio pensare ancora a lui.  

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Non è l'inizio che mi aspettavo ***


- … e vi auguro di passare degli anni meravigliosi qui. Benvenuti all’Istituto Kururuma! -
Uno scroscio di applausi segue l’ultima affermazione. Finalmente il preside ha finito il suo discorso di benvenuto e possiamo avviarci all’aula.
Scorgo con la coda dell’occhio le mie amiche e faccio loro un cenno di saluto, un sorriso a sfigurarmi il volto. Devo essere forte, mi ripeto. Almeno oggi. Si sa, niente è peggio del primo giorno di scuola.
Soprattutto se sei sola soletta e non conosci nessuno, si insinua la voce odiosa della mia mente.
Cerco di zittirla mentre ci avviamo per i corridoi e infine in classe.
Il professore si presenta e per fortuna iniziamo con argomenti piuttosto facili. All’intervallo sono fiera di ammettere che ho ricopiato perfettamente gli appunti trascritti dal docente alla lavagna.
Appoggio la schiena alla sedia e mi prendo un momento per rilassarmi.
Guardandomi intorno noto con sconforto che i miei compagni sono già divisi in gruppetti. E hanno tutta l’aria di essere off-limits a chiunque cerchi di entrare a farne parte.
Vorrei appoggiare la testa sulle braccia e rialzarla solo una volta finite le superiori.
Sto pensando di andare a trovare Ayumi nella sezione B, quando una figura si affianca al mio banco.
- Ciao. – mi saluta. È una ragazza molto carina, l’avevo notata mentre il preside parlava nell’aula magna. È stata l’unica che pareva essersi annoiata e che non l’aveva nascosto. Aveva tenuto le gambe distese davanti a sé, le braccia incrociate e un’espressione scocciata a deformarle il viso.
- Io sono Sango Hirai, piacere di conoscerti – continua.
- Piacere, Kagome Higurashi – ribadisco.
Non protendo la mano nella speranza che me la stringa perché so che non lo farà. Dal comportamento di stamattina immaginavo non badasse alle formalità e in un certo senso mi va bene così.
Subito dopo si siede dietro il banco di fianco al mio. – Allora, come ti è sembrato il sensei? – mi domanda. Sembra quasi una domanda retorica. Mi dà l’impressione che conosca già la mia risposta.
E ne ho la conferma dopo averle dato ciò che voleva. Il suo sguardo è quasi compiaciuto, come se non si fosse aspettata nient’altro da me.
- Eh già, il prof è un maestro nell’arte del piacere. Ma aspetta una settimana e vedrai come ci massacrerà – rivela, sorridendo.
- Scusa se sono inopportuna, ma tu come fai a saperlo? – le chiedo, troppo curiosa per trattenermi.
- Be’, devi sapere che questo è il secondo anno che frequento la prima – risponde. E usa un tono così leggero che quasi penso non le importi. E forse è proprio così, anche se mi sembra incredibile.
Io sono stata molte volte in difficoltà nello seguire le lezioni e nel prepararmi in tempo per i compiti in classe, ma non ho mai rischiato la bocciatura. Quindi per me è un terreno completamente estraneo.
Non so cosa rispondere, ma per fortuna non ne ho il tempo dato che suona la campanella ed entra l’insegnante di inglese. 
Sango mi fa l’occhiolino prima di voltarmi le spalle per accomodarsi al suo posto, tre file davanti alla mia.
Mentre tiro fuori il quaderno nuovo dallo zaino, una domanda continua ad assillarmi il cervello.
Perché proprio io?
 
 
Quando torno a casa la mamma mi assale con una domanda di ogni tipo, mi ha chiesto persino se in classe c’era troppo freddo e se i professori erano giovani o anziani.
Io cerco di essere paziente e dimostrarmi disponibile, ma sono già le sette di sera e io sono veramente affamata dopo una giornata del genere, così quando sta per attaccarmi con un altro quesito le lancio un occhiataccia e la invito a smetterla.
Ma lei è troppo entusiasta per prenderla male e così si mette a preparare la cena con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. È anormale che mi dia sui nervi il suo atteggiamento solare?
La risposta la conosco, ma non vedo come qualcuno possa entusiasmarsi per una giornata in realtà insipida e noiosa.
Okay, forse non lo è stata poi così tanto, ripensandoci.
All’ultima ora, come regalo di benvenuto in ritardo, ci è stato annunciato che la lezione di educazione fisica sarebbe stata anticipata a questo pomeriggio.
Tutto perché la professoressa Shirakami aveva avuto un’intossicazione alimentare la sera prima e sarebbe mancata per una settimana. Così la segreteria aveva dovuto cambiare i turni delle ore di ginnastica del prima anno e spartirle ai professori del secondo e il terzo.
Così ci fu detto di presentarci per le due e mezza nel campo da baseball, dietro la scuola.
Lato positivo: avremmo frequentato i ragazzi del secondo anno per un’ora e mezza.
Lato negativo: non avendolo saputo fino a oggi, nessuno si era portato dietro il pranzo.
Per fortuna ci fu concesso di uscire dall’edificio per andare a nutrirci, bastava che tornassimo puntuali.
A quel punto mi sarei aspettata che Sango mi avrebbe chiesto di mangiare insieme, ma appena suonò la campanella lei prese la sua roba e uscì svelta dall’aula.
Non la vidi più quel giorno, non si era presentata.
Fortunatamente gli abiti per la ginnastica si trovavano dentro gli spogliatoi, comprese scarpe e calzini.
Quando misi la mia puzzava ancora un po’ di plastica, dato che era rimasta chiusa per mesi in un sacchetto ermetico, ma sempre meglio che continuare a indossare la mia divisa scolastica.
Una volta pronte, ci dirigemmo al campo dove tutti gli studenti del secondo anno erano già seduti a terra ad ascoltare le direttive dell’allenatore, che quando ci vide arrivare assunse un’aria corrucciata e insolente.
- A cosa è stato dovuto il ritardo? – chiese.
Noi ci guardammo confusi. Sulla circolare c’era scritto le due e mezza.
Un ragazzo si assunse la responsabilità di dirlo a voce alta e il professore lo guardò storto. Per tutta l’ora seguente lo prese di mira, facendogli notare ogni cosa sbagliata. O meglio, ogni cosa che non fosse come voleva lui.
- Molto bene. Stavo spiegando ai vostri compagni che, data l’assenza della professoressa Shirakami, oggi avranno compagnia. E che quindi faremo tutti lo stesso sport e gli stessi esercizi. Siete in troppi perché possa tenere d’occhio sia i maschi che le femmine.  –
Disse il tutto come se fosse colpa nostra, anche se aveva specificato apertamente la causa del nostro “lavoro di squadra”. Sperai vivamente che la professoressa si riprendesse al più presto.
Quando ci assegnò i ruoli ringraziai i Kami di essere finita in panchina.
L’allenatore ci aveva divisi in due, e ogni parte era formata da ragazzi del primo e del secondo anno.
La nostra squadra era quella dei battitori, con mio enorme rammarico. Non avevo mai tenuto in mano una mazza in vita mia, che bella figura avrei fatto!
E per di più il professore non sembrava incline ad alcuna spiegazione, quindi cercai di metabolizzare il proverbio: “o la va o la spacca!”.
Ma l’agitazione era così tanta che non feci caso ai nostri compagni di sventura del secondo anno, finché le ragazze sedute di fianco a me non attirano l’attenzione su un giocatore in campo.
- Ma l’hai visto? Oh, quanto mi piacerebbe potergli parlare – affermò la prima.
- Parlare? Sai cosa gli vorrei farei io a quello? Lo vorrei slinguazzare dalla testa ai piedi, non saltando neanche un centimetro e poi… - ribadì un’altra, al che mi voltai per capire quanto fosse seria.
Lo era eccome e la cosa peggiore era che non se ne vergognava affatto, al contrario della sua amica.
- Yura, abbassa la voce, ti sentiranno tutti. -
- Perché, tu non vorresti… fartelo? - E detto questo assunse un’espressione maliziosa, inarcando sopracciglia e bocca.
L’altra arrossì violentemente e iniziò a balbettare cose senza senso.
Okay, ero veramente curiosa. Chi aveva scatenato così in fretta la libido delle mie compagne?
Quando seguii i loro sguardi fino al soggetto delle loro attenzioni rimasi senza fiato.
- Guarda com’è sicuro mentre impugna la palla e si prepara a lanciarla – quasi gridò la seconda e me la immaginai con la bava che le scendeva da un angolo della bocca e gli occhi a forma di cuore.
Mentre i miei erano spalancati e sconvolti e la mia mascella era caduta dallo stupore.
Non può essere lui… mi ripetei. Non può avere solo un anno più di me!
Mentre questa litania mi occupava la mente, un altro pensiero si fece strada come un lampo nella tempesta.
Non avrei dovuto incontrarlo mai più.
E proprio in quell’istante l’allenatore diede il cambio e tra tutte le ragazze che poteva scegliere chiamò me!
Non poteva scegliere momento peggiore.
Per di più, prima c’era ancora la speranza che lui non si fosse accorto di me, mentre quando gli stetti di fronte, con la mazza che qualcuno mi aveva messo in mano, non ci furono dubbi che l’avesse fatto.
Mi misi in quella che pensai fosse la posizione corretta per ricevere la palla e, mentre sistemai meglio la presa, notai un sorrisino fare capolino dalle sue labbra.
A quel punto non potei più fare a meno di guardarlo.
I nostri occhi si incrociarono. Nei suoi il divertimento prevalse. Nei miei l’incredulità.
Fui ancora persa in quello sguardo quando lui lanciò la palla nella mia direzione.
Essendo presa alla sprovvista, risposi in ritardo al suo attacco e il prof gridò: - Strike uno! –
Sentii un velo di sudore incresparmi la fronte.
Concentrati Kagome!
Non ci tenevo a fare una brutta figura. Soprattutto perché era la prima lezione e perché, se sbagliavo, il mio errore avrebbe segnato il resto della mia vita scolastica.
Con la coda dell’occhio vidi i ricevitori posti agli angoli del campo rilassarsi, incrociare le braccia, allargare le gambe. Avevano intuito già che non c’era nulla da temere e che non si sarebbero mossi per un bel po’.
Inuyasha nel frattempo aveva ripreso la palla in mano. Tenni d’occhio lei, anziché il suo possessore. Ma ancora una volta sbagliai tempismo e mi mossi prima che questa mi passasse di fianco.
- Strike due! –
Anche le mani iniziavano a sudarmi. Questa è la mia ultima possibilità, non posso fallire.
I giocatori si stavano stirando le braccia, alcuni sbadigliavano, altri si erano addirittura tolti il guantone di cuoio.
Quando Inuyasha fu pronto per l’ultimo tiro, cercai di concentrarmi e di osservare i suoi movimenti.
Divaricò le gambe, tirò indietro le spalle, inspirò lentamente e poi…
Clang!
Un suono sconosciuto mi invase le orecchie. Quel rumore inaspettato mi immobilizzò e io continuai a fissare il mio avversario, finché l’allenatore non urlò: - Corri! –
E allora rinsavii e iniziai a muovere un piede dietro l’altro fino alla prima base. Alla seconda anche i miei compagni di squadra mi incitavano di non fermarmi e di andare più veloce. Cercai di non mollare, di spingere quanta più forza possedevo nelle mie gambe magre. Arrivata alla terza base decisi di non fermarmi. Volevo vincere.
Con la coda dell’occhio vidi un oggetto bianco passarmi di fianco così decisi di lasciarmi cadere e scivolare fino all’ultima base.
Si creò una nuvola di polvere e solo quando questa si depositò vidi il professore sporgersi sopra di me, distesa a pancia in su, una gamba tesa nella speranza di aver raggiunto l’obiettivo.
Mi appoggiai sui gomiti e constatai che ce l’avevo fatta.
La domanda era: avevo fatto in tempo?
Guardai speranzosa il prof. La sua espressione non faceva presagire niente di buono.
Di fianco a me sentii una presenza e alzai un secondo gli occhi solo per accorgermi che si trattava di Inuyasha, anche lui impaziente di conoscere il verdetto finale.
- Salva! – gridò alla fine e avvertii un peso togliermisi dal petto.
Quando i miei compagni di squadra mi sollevarono sulle loro teste non potei fare a meno di ridere divertita.
È stato fantastico, assolutamente e incredibilmente fantastico.
Non avrei mai immaginato che il mio primo giorno di scuola sarebbe cambiato così radicalmente in poche ore.
- Kagome? Ehi, mi stai ascoltando? -
Rinsavisco giusto in tempo per vedere mia madre osservarmi preoccupata dal mio silenzio improvviso.
- Scusa mamma puoi ripetere? -
- Tutto a posto? – mi domanda e io mi limito ad annuire. Per fortuna non insiste oltre e continua a preparare la cena come se niente fosse. La mamma non è una grande appassionata di sport, così non mi ha chiesto niente della lezione di ginnastica e io non ho dovuto dirle del mio grande esordio come battitrice.
Ne sono felice, anche perché raccontandoglielo non avrei potuto evitare di pensare a Inuyasha.
Quando fui uscita dallo spogliatoio femminile, lui mi stava aspettando davanti ai cancelli della scuola. Per una volta non mi dispiaceva affatto vederlo.
Un sorriso compiaciuto mi si dipinse in volto. – Che c’è? Vuoi che ti ripeta l’azione di quando ti ho miseramente stracciato, poco fa? – gli chiesi.
Lui era appoggiato con la schiena al muro della cinta, una gamba piegata con il piede che toccava la stessa superficie e le braccia incrociate. Era incredibilmente affascinante in quella posa. Mi osservava divertito, come se non gli scocciasse affatto di essere stato battuto da una ragazza. Più giovane per di più.
- Allora? – lo provocai.
Lui sorrise scuotendo la testa. - Eh, sei proprio una ragazz… - ma non riuscì a finire la frase che una mia compagna di classe ci affiancò.
Era la stessa che prima aveva fatto quei commenti poco “pudici” riguardo il mio interlocutore.
L’altra non era nei dintorni. Forse non approvava quello che la sua amica stava per fare. O per dire.
- Ciao. Mi chiamo Yura, tu sei Inuyasha vero? – domandò.
Ma non lo fece finire di parlare che aggiunse: - Scusa se ti importuno, ma volevo dirti che, a mio parere, hai giocato molto bene oggi. Meritavi di vincere. –
Mentre parlava si passò una ciocca di capelli tra le dita e sbatté le ciglia almeno due volte per ogni parola che pronunciava.
Non dava per niente l’idea che avesse appena fatto ginnastica. I capelli a caschetto erano perfettamente in ordine, il viso truccato e pulito, e il suo profumo aveva una fragranza così forte che sicuramente lo stava avvertendo anche Inuyasha.
- Comunque… mi chiedevo se potevo offrirti una coca per farti stare meglio dopo la pesante sconfitta di oggi – e detto questo assunse un’aria triste, per far intendere quanto fosse rammaricata che la sua (ovvero la nostra) squadra avesse vinto.
Osservai Inuyasha. Al contrario di Yura, lui non sembrava per niente dispiaciuto di aver perso. La guardava con uno sguardo impassibile, come se lei non valesse neanche la scocciatura di risponderle male.
Ma Yura non mollò. Si avvicinò di pochi passi, fino a stagliarsi di fronte a Inuyasha. Gli toccò il braccio in un modo così sensuale che provai imbarazzo per lei. Tutto d’un tratto ero diventata il terzo incomodo. Più Yura si avvicinava e gli tastava i muscoli dei bicipiti, più io mi allontanavo.
- Allora, che ne dici? – domandò alla fine con voce roca. Quella ragazza non si faceva alcuno scrupolo! pensai allibita.
Ma che cosa ci facevo ancora lì? Era ovvio che Inuyasha avrebbe accettato. Dopotutto Yura era una bella e più che disponibile ragazza, ci sarebbe uscito volentieri.
Cercai di dileguarmi senza farmi notare.
- Scusa tanto, ma stavo parlando con lei. – rispose Inuyasha, con un tono così glaciale che mi convinse a guardarlo. Aveva scostata da sé Yura e prima che potessi obiettare mi prese per un polso e mi trascinò con lui.
- Andiamo, Kagome. – disse per congedarci. Non mi voltai a guardare la reazione della mia compagna, troppo sconvolta per quello che era appena successo.
Inuyasha si fermò dietro l’angolo e, non appena vedemmo una Yura uscire adirata dal cancello e andare nella direzione opposta alla nostra, tirò un sospiro di sollievo.
- Che gente c’è al mondo? – sussurrò.
Io lo osservai, ancora incredula. Quando lui si accorse della mia espressione, inarcò un sopracciglio.
- Be’? Perché mi guardi a quel modo? – domandò.
- È la prima volta che mi chiami per nome. – affermai e sentii gli angoli della bocca sollevarsi in un sorriso.
Lui alzò il mento. – Tzt. Non montarti troppo la testa. Non significa nulla – disse.
Però ripensandoci adesso non posso fare a meno di sorridere nuovamente.
È una reazione sciocca, lo so, ma quando l’ho sentito chiamarmi per nome, anziché con il solito vezzeggiativo, mi si è scaldato il cuore.
- Sorellona, che hai? – mi chiede Sota, entrando in cucina.
- Mmh? Niente, niente – dico scuotendo la testa.
Lui non sembra convinto della mia risposta, però lascia correre. – Mmmh, sarà? – 



ANGOLO DELL'AUTRICE
Eheheh... qualcuno di voi ricorderà la fine del quarto episodio di Inuyasha.. beh ho cercato di riprendere una scena (avrete già capito quale) da quella puntata, per far avvicinare maggiormente i due protagonisti. 
Ma torniamo alla storia. Inuyasha e Kagome iniziano a mostrare le prime simpatie, ma la strada che condurrà a una vera amicizia purtroppo è ancora lunghettina ^-^" 
Spero che il capitolo abbia soddisfatto Romanticgirl02, Giorgia2006 e Maria76 (soprattutto quest'ultima, così carina da lasciarmi sempre una recensione positiva) :)
Alla prossima settimana! 
Baci, SM

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3596857