There's no cure.

di CrisNialler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Long live the reckless and the brave. ***
Capitolo 2: *** One, two, three drink. ***
Capitolo 3: *** I'm dying to live. ***
Capitolo 4: *** Don't. ***
Capitolo 5: *** I'd kill for one more day. ***
Capitolo 6: *** Till your breathing stops. ***
Capitolo 7: *** I can scream enough to show my face in the light of the day. ***



Capitolo 1
*** Long live the reckless and the brave. ***


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May be you will wake up tomorrow
and find that things never changed,
the apocalypse never happened, and everything's fine,
normal, at home.

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Long live the reckless and the brave.

 

"Da quanto camminiamo? Sono distrutta." La castana, si massaggiava le cosce doloranti senza però smettere di camminare, e rimanere quindi al nostro passo.

"Saranno tre ore Eliza, voglio fermarmi anche io, sono stanchissimo." Le rispose Jason grattandosi gli occhi scuri, lucidi di sonno.

Per tutta risposta Cleo quasi urlò "Vedo delle case!" Ma si sbagliava, era solamente una stazione di servizio, ma comunque era qualcosa per i nostri stomaci vuoti e piedi stanchi. Fuori il locale abbattemmo silenziosamente, io con la mia fedele katana mentre gli altri con machete e coltelli, sei camminanti che con la loro puzza non favorirono alla debolezza che ci portavamo dietro da ore. Il sole era basso, e un fresco venticello stropicciava I capelli di tutti. "Entriamo? Sembra pulito dentro. " Constatò Eliza impaziente.

"SÌ ok - fu Lowell a parlare - però controlliamo se c'è una seconda entrata. Crystal, vieni con me?" Non era una vera domanda in quanto già si era avviato. "Pronti ad agire voi tre!" Urlò, sempre Lowell, quando già era lontano.

Io lo seguii indignata: sapeva usarmi. Quando gli serviva un braccio forte per salvargli la pelle ecco che chiama me, ma era il primo che pensava a salvare il suo migliore amico Jason o Cleo che non sapeva neanche dove colpire i non-morti.

"Eccola." Nella parete opposta all'entrata principale c'era una piccola porta aperta. La maniglia era insanguinata, giusto a ricordarci il pericolo. Lowell decise "Tu vai a sinistra, io avanzo sulla destra."

E si avviò. Sbuffai silenziosamente ed ubbidii. Il locale era piccolo, ma tranquillo. All'interno uccisi due non morti senza difficoltà cercando di non farmi prendere dalla felicità crescente nel vedere il cibo sparso per terra, ancora intatto e commestibile. Un rumore di un barattolo di latta che cadeva mi distrasse; il rumore, seguito da un gemito, proveniva dal lato sinistro, controllato da Lowell: non ci pensai due volte e corsi da lui. Lo trovai che penetrava il cranio di una non morta con il suo coltello. "Tutto ok?" Gli chiesi fissando nella penombra degli scaffali i suoi occhi azzurro ghiaccio che ogni volta mi trafiggevano. Lui rispose con un cenno per poi tornare sulla sua strada.

______________________________

"Questo posto è il paradiso." Sputacchiò Jason mentre ingurgitava un pacchetto di patatine, finendo quasi per strozzarsi.

"Jason, mastica almeno!" Rise Lowell colpendolo alla schiena. Ridemmo tutti un po' riposandoci su due sacchi a pelo che avevamo recuperato sulla strada.

Iniziai il primo turno per sorvegliare il luogo di notte: sarebbe finito dopo due ore e poi avrei dovuto svegliare Lowell, che mi avrebbe sostituito.

Aspettai la fine del turno da sentinella mangiando caramelle e pulendo la katana. Girando la testa verso gli scaffali che mi circondavano, gli ormai capelli lunghi mi andarono sugli occhi, bruciandoli, per questo mi alzai e mi diressi verso quello che doveva essere l'ormai andato reparto femminile. Cercai con la torcia un elastico per capelli e ne trovai un pacchetto da 4 che sarebbe andato benissimo. Mentre controllavo cos'altro poteva essermi utile nel reparto una mano si poggiò fortemente sulla mia bocca. Impugnai saldamente il coltello che mi pendeva dalla cintura e appena la mano lasciò la presa l'arma si trovava sulla carotide dell'uomo dietro di me. Riconobbi subito la risata.

"LOWELL! Cazzo, potevo ucciderti." Controllai il tono di voce per non svegliare gli altri. "Non te lo avrei lasciato fare." Disse sorridendo facendo rilassare la mia mano destra che ancora impugnava l'arma.

"Va a dormire, tocca a me." Masticai un ok, per poi quasi correre via. Il suo comportamento mi sbalordiva, forse per questo mi piaceva.

Mi addormentai vicino ad Eliza, e come sempre feci un incubo che il giorno dopo non avrei ricordato. E da svegli la situazione non migliorava, l'incubo era reale, e si doveva sopravvivere.

__________________________

"Non possiamo rimanere qui almeno altri due giorni, io credo che sia abbastanza sicuro e c'è cibo, un bagno funzionante... c'è tutto." Era Cleo a parlare rivolta a Lowell ovviamente.

"SÌ potremmo rimanere, voi che ne pensate?" chiese a me e agli altri masticando biscotti al cioccolato.

"Non dovremmo proseguire, avevam-"

"Avevamo detto così," Lowell non mi fece finire "ma verso cosa stiamo andando? Si sa che le basi militari non durano, quella a Washington è stata distrutta dopo un mese, come quella ad Alexandria." 

Non mi lasciai convincere.

"Non pensate che siamo troppo esposti? Lo abbiamo trovato facilmente e anche altri potrebbero."

"Io voglio restare.. restiamo dai!" Piagnucolò Cleo rubando il biscotto che Lowell stava addentando. Lui rise, quasi malizioso, mentre io sbruffai silenziosamente seguita da un'occhiataccia di Eliza che comprendeva il mio stato d'animo frustrato e geloso.

"Restiamo allora." Finii alzandomi e muovendomi tra gli scaffali per trovare qualcosa da sgranocchiare.

Il piccolo reparto frigo puzzava terribilmente per i cibi oramai scaduti e mi costrinsi ad avanzare con la mano sul naso, e dopo aver raccolto un pacco di patatine uscii dal negozio.

L'area circostante era vuota, le uniche cose mi facevano compagnia erano le mosche che volavano sopra i vaganti morti che avevamo spostato sul lato sinistro dell'edificio. Il sole di Springfield bruciava, ma si respirava aria di pace.

"Ehi, straniera!" Mi spaventò Eliza riportandomi alla realtà.

"Ehi a te signorina." Ridemmo.

"Cosa ti preoccupa?" Mi chiese sedendosi con me sul ciglio della strada.

"Questo posto, ho una brutta sensazione a riguardo." Dissi guardando l'orizzonte.

"Cosa intendi?" Era Lowell a parlare, spuntando dalle nostre spalle.

"Non lo so, è troppo tranquillo, questa dovrebbe essere una zona trafficata, è l'autostrada che ti porta direttamente ad Alexandria, perché non c'è neanche una macchina? Tutte le auto e persone che le autorità non hanno fatto arrivare al campo base dove sono?" Ragionai con Lowell.

"Se non vuoi restare devi solo dirlo, siamo un gruppo, rispetteremo le decisioni di tutti." Risposi con un silenzioso Sì come no! che lui non capì.

"Ormai saranno le sei del pomeriggio, mettersi in cammino di notte è troppo pericoloso, vedremo domani mattina."

"Se sei sicu-"

Jason dall'ingresso del minimarket ci interruppe.

"Ragazzi.. questo non vorrete perderlo."

 

*****
HOLA MISHAMIGOS!
Quindi.. Avevo questa storia in my mind da troppo tempo!
SI' CI SARANNO ANCHE I PERSONAGGI PRINCIPALI
Ma non prima di 5/6 capitoli, quindi per ora dovete sopportarvi Crystal! 
aspetto almeno una recensione, dai! x 

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Capitolo 2
*** One, two, three drink. ***


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“Is that the end... of all the races and civilizations,
and the dreams of the world, to be able to leave a few stones buried beneath the sands,
to tell the Dark that we were here?”

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II. One, two, three drink.

Rientrammo preoccupati.

Per terra, vicino il bancone, Cleo aveva raggruppato tutte le bottiglie di alcool che il negozio possedeva. Eliza quasi urlò un "Wow!" Mentre io e Lowell ci guardammo poco convinti.

"Ragazzi non mi sembra il luogo e il caso di prendersi una sbornia dav-"

"Lowell tranquillo, è tutto sotto controllo." Disse Cleo perdendo l'equilibrio ovviamente ubriaca.

"Cleo, hai bevuto?" Chiesi preoccupata non riuscendomi più a muovere per l'ansia.

"Solo un pochino." Disse mostrandoci la bottiglia di vodka alla pesca per 1/3 vuota.

"Cazzo, cazzo, cazzo.." dissi mettendomi le mani tra i capelli.

"No, no Crystal, va tutto bene, divertiamoci, ce lo meritiamo." Disse ridendo insieme a Jason, che aveva stappato una bottiglia di un alcolico che non riuscii ad identificare.

"Jason anche tu? Ci sono.." feci un respiro profondo ".. Ci sono fuori queste quattro mura non abbastanza sicure per proteggerci, degli esseri pronti a mangiarci la faccia e voi vi ubriacate? Sapete che sprecare anche sol-"

"Crystal, nessuno vuole ascoltare i tuoi discorsi scoraggianti! Divertiti." mi disse la coscienza dopo aver notato che nessuno mi ascoltava.

"Bene." Sussurrai, girando i tacchi e uscendo di nuovo dall'edificio.

Con la katana in mano e il mio zaino con qualche provvista sempre dietro le spalle mi posizionai sul ciglio della strada aspettando la sera, mentre dietro di me i miei compagni festeggiavano non si sa quale evento.

Nei momenti di solitudine non facevo che pensare a casa e di come si stava in realtà bene a tavola con i parenti, ad andare a scuola o litigare con i genitori. Una lacrima mi solcò il viso, ma la asciugai e ricacciai indietro le altre. Mi misi a pulire la katana silenziosamente controllando la situazione all'esterno. Riuscivo a scorgere dai vetri trasparenti del minimarket Cleo che versava dritta nella bocca di Lowell quella che mi sembrava sambuca per poi baciare profondamente le labbra aspre. Tolsi lo sguardo verso destra dove in lontananza un orda di zombi mi fece scattare. Ne contai quindici prima di rendermi conto della loro vicinanza, scattai e corsi immediatamente dentro.

"RAGAZZI" cercai di farli concentrare. "RAGAZZI, VAGANTI." Urlai impaurita.

"Lo dici solo perché non vuoi lasciarci divertire." Masticò Cleo con la classica voce da persona ubriaca. "Lowell non andare, non è vero." Si aggrappò al braccio del ragazzo che con uno strattone si staccò da le riprendendo subito una leggera lucidità vedendomi impaurita e, recuperato il fucile dal bancone, si diresse fuori.

"Andiamo." Quasi ordinai a Jason e Eliza che però non mi seguirono. Li guardai accigliati.

"Non credo di riuscirci." Rise Eliza ubriaca cercando di impugnare la sua pistola senza però riuscirci. Jason uguale. Ero nel panico.

"Ok, pensa, pensa, pensa." Mi dissi distratta dagli spari fuori dal locale. "Voi tre, rimanete qui dentro, nascondetevi dietro il bancone. Sapete ancora sparare nonostante tutto." Ed uscii, andando incontro alla mia fine.

La mandria si era avvicinata lentamente ma gli spari stavano attirando altri camminanti dai boschi che ci circondavano: ne abbattei due sulla destra e un altro sulla sinistra con il mio coltello.

Lowell sparava con il fucile a quelli che si avvicinavano ma era molto scoordinato: i colpi mancavano il cranio degli zombie rallentandoli ma non abbattendoli. Stava sprecando troppe munizioni.

"Low-"

"Ci sto provando… Te lo giuro." Stava piangendo.

"Lascia fare a me." Cercai di prendere il fucile, ma mi scansò con una leggera gomitata.

"No. Non riuscirei neanche ad ucciderli con un coltello. Crystal, sono un disastro."

Con quella parola le munizioni finirono e dal suo volto pallido capii che non ne aveva altre.

"Cazzo." Bisbigliò buttando il fucile da un lato. Estrasse il machete dalla cintura e avanzammo insieme. Ne erano una decina, riuscimmo ad abbatterli, ma più volte dovetti pensare a Lowell che non riusciva a mettere molta forza nel colpo e trapassare il cranio.

Pensavamo di aver finito: Lowell si reggeva sulle ginocchia affaticato dall'alcool respirando fortemente seguito da me, che con mani tremanti cercavo di pulire il pugnale che avevo usato, quando uno zombie arrivò da dietro le mie spalle.

Mi accorsi di lui solamente quando poggiò una logora mano sulla mia spalla sinistra e morse lievemente l'altra. Riuscii a trafiggergli il cranio attraverso l'unico occhio che gli rimaneva, prima che potesse del tutto trappare la mia carne.

Ma ero già stata morsa. Ero morta.

Lowell alzò lo sguardo quando il morto vivente cadde a terra. Mi guardò profondamente, con le lacrime secche che gli solcavano ancora le guance.

"Crys.." 

"No." La vista mi si appannò per le lacrime.

Lasciai cadere il coltello che aveva ucciso il mio assassino toccandomi la spalla: non era uno squarcio ma avevo un'arcata superiore ritrattata. Sarebbe bastato. 

"Non può essere vero." Bisbigliammo insieme. 

Indietreggiai con la sola idea di scappare.

"Crystal, aspetta."

Guardai il sangue che usciva dal morso e sgorgava dalla mano premuta su di essa.

Mi voltai  spaesata verso l'entrata del minimarket a una trentina di metri da noi. Gli altri erano appena usciti e stavano traballando verso di noi.

"Mi dispiace." Dissi, senza una vera colpa, prima di correre via nei boschi.
 

MEGA-CIAONE
da notare come titolo e quote sono azzeccati asf, but nessuno
riconosce il mio grande sforzo :(
Aspetto una recinsione ok? OK,
xxxx

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Capitolo 3
*** I'm dying to live. ***


____________________________

“Isn't it strange that all life can pretty much end,
but the universe goes on as it is?
No one else exists, but the moon keeps shining
and the stars keep falling.”

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Stavo correndo, correvo da ore e piangevo.

 

La mano era sempre sulla spalla, che non sanguinava molto, ma faceva male. Non lo accettavo, no cazzo, non accettavo la mia morte.

 

Non volevo dare la colpa agli altri, ma forse loro erano gli unici da incolpare: se non fossero stati ubriachi, se Lowell fosse stato sobrio forse avrebbe usato il silenziatore per il fucile, e quello zombie non sarebbe mai arrivato. L'essere sarebbe stato vivo, e forse anche io.

 

Ero un cane che correva lontano da casa per morire.

 

Una radice fina e secca mi fece cadere al suolo ma non mi mossi da quella posizione scomposta e dolorosa. Non me lo aspettavo, ero la protagonista della mia vita, non potevo morire, i protagonisti non muoiono, non così.

A cosa pensavo? Mi ero ridotta a questo?

 

Mi asciugai le lacrime che non accennavano a smettere di scorrere e strisciai verso un albero vicino. Sentivo la fronte che mi scottava, le braccia tremavano, e tutto il corpo era scosso da tremende ondate di brividi. Era già arrivata la febbre.

 

Indossai la camicia a quadri che portavo legata alle vita, cercando nella flanella il caldo che mi serviva perché, lo avevo notato solo adesso, era sera.

 

Avevo fame, molta fame, ma non volevo mangiare. Mi chiedevo a cosa sarebbe servito. Sarei morta comunque. Se non toccavo quel poco cibo che avevo con me sarebbe servito realmente a qualcuno, che passando avrebbe trovato armi e anche qualcosa da mangiare.

Ma sai cosa, te lo sei meritato, mangia, anche se per l'ultima volta, ma mangia.

Era la mia coscienza a parlare e come sempre l'ascoltai.

 

Aprii una scatola di fagioli e dopo averli scolati inclinai il barattolo alla mia bocca, ma solo dopo un boccone scoppiai di nuovo a piangere.

Non piangere, attirerai i mostri.

Ma lo sono anche io.

 

Proprio in quel momento decisi che non volevo morire mangiata dagli zombi, avrei combattuto fino allo stremo delle poche forze che mi rimanevano se serviva.

Nonostante questo non sarei mai riuscita a premere quel grilletto lo sapevo. Speravo nell'arrivo di qualcuno, qualche uomo spietato che mi avrebbe ucciso anche prima di morire per la febbre cocente. Ero una codarda.

 

È meglio così, mi dissi.

 

Basta dolore, basta crani da colpire, basta sopravvivenza.

 

Continuai a mangiare.

 

                                                          ____________________

 

Era notte fonda secondo il mio orologio dal vetro spaccato, ma funzionante. Non riuscivo a dormire, speravo di assopirmi per sempre, anche se conoscevo bene gli stadi della malattia ed ero lontana dal morire.

 

Il morso era diventato viola, ovviamente infetto, ma stava formando già una crosticina di protezione, in questo caso inutile.

 

La mia mente arrivò agli altri, chissà se avevano smesso di bere e di ubriacarsi come dei quindicen- "È ciò che siamo dopotutto." Dissi ad alta voce.

 

Siamo dei semplici ragazzi di diciassette anni che sopravvivono.

Tu sei morta, parla per loro.

Loro sono sopravvissuti almeno per un nuovo giorno, e continueranno a far parte di questo mondo, distrutto e morto, ma comunque qualcosa. Io sarò una ragazza senza il coraggio di uccidersi, una mangia cervelli in piena regola, una morta che cammina, solo un corpo senza anima, si spera.

 

Pensavo spesso a loro, agli zombie.

 

Cosa provavano? Davvero non avevano più nulla dentro di loro, ed erano pronti a mangiare un loro caro? Possibile che qualcosa faccia davvero succedere questo? Che uccida ogni briciolo di umanità rimasta in questo mondo?

Lo proverai, manca poco.

Quasi sorrisi all'idea questa volta, stavo anche impazzendo.

 

Scansai con la mano una cicala che mi si era poggiata sulla gamba. Odiavo gli insetti, li avevo sempre odiati, proprio come non sopportavo adesso lo sporco sotto le unghie, il non potermi lavare i denti tre volte al giorno, i capelli sporchi e la terra sempre attaccata ai vestiti. La morte non era poi così male dopotutto.

 

Sentii dei rumori di passi dietro di me. Erano degli zombie? Speravo solo non fossero i miei amici, non potevano vedermi così, ero scappata proprio per questo: morire da sola. Ma no, dietro di me non c'erano i miei amici: c'era l'uomo spietato che aspettavo con ansia, solo che non mi uccise come desideravo.

 

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Helloww
Quindi.. la storia continnua così, ma
effettivamente cosa sta succedendo??
Il casino nero :))
grazie anche a voi lettori nell'ombra, e un bacione
alla scrittrice più brava del sito
(Serendipity__, andate a leggere le sue storie)
 che mi lascia delle recensioni sempre motivanti


*shoutout agli ALL TIME LOW 
che ispirano i ttoli dei capitoli asf*

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Capitolo 4
*** Don't. ***


_____________________

“Sure everything is ending, but not yet.”
_______________________________

 

Mi risvegliai con un forte dolore alla testa e alle articolazioni.
Mi svegliai.
Dannazione.

Ero cosciente, ero io, ero viva, stavo morendo ma non nel luogo che avevo scelto: ero in una casa.

"Buongiorno principessa." Una voce dietro di me mi face venire i brividi, diversi da quelli che la febbre mi provocava.

"Ch-chi sei?" Chiesi cercando di girarmi, ma delle spesse fascette nere mi laceravano i polsi appena provavo a muovermi.

Ti hanno raccolto in strada e sei legata perché  tra poco ti trasformerai, non perché vogliono farti del male.

"Io sono Clide, cerco una cura a questa merda e tu sei la mia cavia." Disse diretto, parandosi davanti a me con il camicie bianco che risplendeva sotto le luci chiare del locale. Guardandolo riuscivo a pensare solamente a rabbia repressa e voglia di uccidere.
Mi si inumidirono gli occhi.

"No, no, non piangere, tanto sei già morta ragazza." 

Non aiuta.

La spalla non faceva male stranamente. Forse il corpo era concentrato sul dolore dei polsi e caviglie per preoccuparsi di uno stupido morso.
Sudavo, la febbre aumentava velocemente.

"Lasciami andare." Non lo stavo pregando anzi, lo meritavo. Stavo morendo e volevo farlo secondo le mie regole, come avevo deciso: lontano da tutti.

"Non credo sia un'opzione possibile bimba." 

"Non mi chiamo bimba." 

"Oh bene, hai anche un nome?" 

"Sì, ce l'ho mi chiamo Crys-"

"Non ho detto che volevo saperlo."

Il dialogo mi lasciò senza forze, volevo solamente dormire, per sempre questa volta.
Entrò nella stanza un ragazzo poco più grande di me, speravo fosse la mia salvezza. Volevo dicesse una qualche frase come "Che sta succedendo qui? Lascia stare questa ragazza!" Sì lo desideravo, volevo solamente morire in santa pace

"Stiamo iniziando dottore?" 

Ovviamente non era ciò che mi aspettavo, ma in fin dei conti cosa poteva andare storto? Nel giro di due giorni sarei diventata una mangia-cervelli, dovevo solamente stringere i denti.

La prima cosa che fecero fu quella di infilarmi un ago nella vena del braccio sinistro, estraendo diverse fiale di sangue. Non riuscii a protestare ero debolissima. Il sangue estratto mi tolse molte delle poche energie che già  venivano divorate dalla febbre.

"Sei stata brava, non come otto, lei sì che si è lamentata." sogghignò Clide seguito dal ragazzo che nel frattempo stava spostando una fiala su un piano pieno di strumenti medici.

"Otto? Io cosa sono io? Un dodici?" risi sarcastica forzando i polsi per cercare di liberarmi. L'uomo non rispose, continuò il suo lavoro in silenzio, nonostante sapesse benissimo di aver ricevuto una domanda.

"Allora, brutto figlio di puttana a che numero di fallimenti sei arrivato con me?" sputai.

Da parte sua non arrivò una risposta bensì un pugno sordo, che mi zittì per una buona ora, facendomi svenire.

"Guarda un po' chi è tornata."

Il ragazzo di cui ignoravo il nome, sorrise freddo finendo di pulire degli attrezzi. Eravamo solo noi due nella stanza. Stavo per rispondere quando mi resi conto che la mascella mi faceva troppo male per colpa del destro di Clide.

Bisbigliai un 'fanculo' che lo fece ridere, in quanto nonostante le parole dure che oramai uscivano a fatica, ero pur sempre un'infetta senza forze legata ad una sedia.
Mi fece bere un anti dolorifico che nel giro di pochi minuti ridusse il dolore del viso e mi diede poche energie in più.

"Però- iniziò il ragazzo - stai bene per essere una che è stata morsa da un giorno."

"Ho la febbre che mi divora, 'bene' non credo sia la parola giusta per descrivere la mia salute."
Senza degnarmi di uno sguardo se ne andò.
Scusa se ti stavo parlando. Sbuffai, ma notai che quella era un'ottima occasione per cercare di capire come scappare, perché continuavo ad odiare l'idea di passare i miei ultimi giorni qui dentro con due maniaci che cercavano una cura a qualcosa che non voleva essere curato.

La stanza era molto grande, per lo più scura se non fosse stato per la grande lampada neon che mi illuminava costantemente il viso. Davanti a me c'era una gabbia, avevo paura di trovarci altre persone all'interno, che avrebbero dovuto subire le mie stesse torture.

Avevo le mani e i piedi addormentati perché le fascette nere erano decisamente troppo strette e non lasciavano scorrere il sangue facilmente.

Troppo vicino il mio corpo c'erano bisturi e forbici: guardandole capii subito che sarebbero diventate le mie migliori amiche di lì a poco. E in un angolo c'era davvero una vecchia conoscenza: la katana. Ora si poteva davvero dare inizio alle danze.
 

*_*_*_*_*_*_*_*_*
Hola mishamigos  :)
spero vi piaccia!
Un bacio a voi lettori, recensori e non. ❤

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Capitolo 5
*** I'd kill for one more day. ***


__________________________

“Civilization is held together by duct tape and spit,
and I'm worried
 about the duct tape.”

____________________________

 

"Meno ti agiti e meno ti farà male."

Questa frase mi risuonava nelle orecchie mentre disinfettava la mia pelle.
Commisi il grande errore di guardare lì dove mi faceva male perché avevano asportato un quadrato di pelle, proprio sul morso, lasciando solamente metà dell'arcata superiore che lo zombie mi aveva regalato.
Sbiancai -ancora di più- alla vista dei muscoli tesi sotto la ferita e il sangue che mi sporcava l'intero braccio.
Ricoprirono la ferita con una garza medica ponendo la pelle asportata, che aveva un clorito violaceo per l'infezione, su un piattino trasparente. La pelle era pronta per essere analizzata con il microscopio che, da quanto avevo capito in base alle numerose sparizioni dei due, si trovava in un'altra stanza.

 

Resisti, resisti.
Dio, no! Non dovevo resistere dovevo solo scappare al più presto. Sarebbe successo ora, o, letteralmente, mai più.

Aspettai che Clide andasse via sbattendosi alle spalle la pesante porta scura, per fare la mia mossa.
"Devo andare in bagno." dissi cercando di stringere le gambe facendo capire il mio problema.
Il ragazzo borbottò qualcosa per poi rivolgersi a me "Ci sei andata poco fa, questo non è un albergo."
"Lo avevo notato."
"Perspicace, quindi sai anche la risposta."
"L'ultima volta non ne avevo bisogno ed era.. Erano comunque 5 ore fa."
Parlare mi risultava difficile, non potevo farcela davvero.
Sbuffò imprecando, ma comunque cadendo nella mia trappola: mi slegò.
Tremante poggiai i piedi sul pavimento, ma la debolezza e il formicolio delle gambe mi costrinsero a fermarmi.
Devi farcela.

"Ora sbrigati, però." mi strattonò e caddi, provocando il lui risate fredde e in me forte dolore alle braccia, anch'esse addormentate.
Sentii il corpo del ragazzo avvicinarsi, accovacciarsi vicino a me. Mi spostò i capelli da un orecchio sussurrandomi qualcosa che suonava come un "Manca poco" alla quale non prestai attenzione in quanto tutto il mio corpo era occupato nel nascondere l'arma che avrei utilizzato per ucciderlo.

 

Durante l'operazione per asportarmi la pelle nessuno dei due aveva raccolto un bisturi caduto dal piatto di metallo sul quale poggiavano tutti gli strumenti che stavano usando. Avevo riposto tutta la mia attenzione, e speranza, su quell'attrezzo: non ero del tutto sicura fosse di cosa fosse, ma qualcosa di appuntito era caduto, ed era la mia unica salvezza.
Ora, stringendolo nelle mani, mi sembrava così potente e perfetto. Era un bisturi vecchio, grezzo ma tagliente.

"Non.. Non lo hai ancora capito, vero?" Gli chiesi sorridendo tra il dolore che continuavo a provare.
"Cosa, signorina?" Mi rispose toccandomi oscenamente il fondoschiena da sopra i pantaloni verdi.
"Che io non morirò qui!"
Con un colpo di fianchi riuscii ad allungare abbastanza il braccio da recidergli la carotide.

 

Lui borbottò qualcosa con le mani che cercavano un modo di fermare il sangue che scendeva copioso e la bocca che non riusciva a contenere quello che la riempiva.
Sorrisi alla scena.
Stava agonizzando al suolo quando provò, nonostante tutto a fermarmi dal prendere la katana per finirlo del tutto. Si aggrappò alla gamba del pantalone e io lo strattonai debolmente.

 

Con due grandi falciate sicure afferrai la mia arma che quasi mi trasmise forza, riempendomi i muscoli di adrenalina. La sfoderai, la lama era scura e rovinata, ma perfetta in quel momento.

Un rumore alle mie spalle mi fece scattare: la porta si era aperta e davanti ad essa c'era Clide, che con un sorriso soddisfatto osservava l'ormai cadavere del suo giovane assistente.

 

Appena provai ad avanzare verso di lui, con la katana pronta a colpire, mi puntò contro una pistola. Non mi fermò: non avevo nulla da perdere, ero già morta.
Premette il grilletto, sparando alla mia gamba, ma non fu un proiettile a colpirmi. La pistola era a tranquillante che nel colpirmi alla coscia diffuse immediatamente il suo contenuto nel mio corpo.
Caddi al suolo, come una bambola dagli arti rotti, abbandonando la presa sulla katana.
Con gli occhi bagnati dalle lacrime e offuscati dal vicino sonno forzato riuscii a vedere l'uomo avvicinarsi lentamente a me. Poggiò le grandi mani sulla mia fronte, borbottando qualcosa.
"Dove pensavi di andare?" Mi chiese calmo.
"P.. Perché mi fai questo?" sputai con l'ultimo briciolo di lucidità.
"Perché? Perché tu, bambina, sei
immune."
 

______________________________
Tadataaaaa
PLOT TWIST ASF
fatemi sapere cosa a va o cosa non va in questa storia perchè 
senza commenti, senza sapere se effettivamente piace a qualcuno
ho sempre meno voglia di scrivere :( x

 

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Capitolo 6
*** Till your breathing stops. ***


_____________

In this world you have to die to find peace.
_____________

 

 

"È bello stare qui."
"Vero Cleo, le stelle si vedono troppo bene e non ci sono più le luci delle città ad offuscarle."
"Sì, ma non si vede nient'altro, Crys."
"Jason, non rovinare questo momento di pace." Ridemmo.
"Pace? Non per te."
"Come scu-"
"Devi svegliarti, è qui, è tornato." Disse Eliza.
"Eliza, che cos-"
"Principessa svegliati." Era Lowell, e nel dirlo mi toccò leggermente la spalla.
"È qui, lo so, ma non voglio svegliarmi. Ragazzi mi farà del male. Non vogl-"
"Devi Crys, lui vuole aiutarti." Era Eliza a parlare, si era alzata e mi aveva circondato le spalle sedendosi questa volta accanto a me.
"Mi sta dissezionando, mi ha preso un pezzo di pelle, saliva, sangue, tutto! Cosa vuole ancora da me?" Chiesi tra le lacrime.
"Lui vuole aiutarti."
"No non vuole, io sto benissimo. Non sono la risposta e non vuole accettarlo. Smettete di difenderlo." urlai alzandomi e allontanandomi dai miei amici.
"Svegliati è qui." Dissero in coro.
"Come scappo? Come vado via?" dissi inginocchiandomi prendendo le mani di Lowell tra le mie. "Tu sai sempre cosa fare, aiutami."
"Crys devi svegliarti." Mi rispose con sguardo vuoto.
"No, no, ti prego."
"PRINCIPESSA SVEGLIA." urlò il ragazzo con un urlo che gli deformò la bocca.

 

Aprii di scatto gli occhi mettendo faticosamente a fuoco l'uomo che mi urlava contro.
Un altro sogno. Non ce la facevo più.

Clide continuava con ricerche ed esperimenti sul mio corpo. Nulla sembrava migliorare: il mio sangue era come quello di tutti gli altri, il cervello anche.
Il morso era quasi completamente guarito nella settimana che mi trovavo lì, e non faceva più male.
I contatti umani si erano limitati ad urla verso il falso medico, a battibecchi assurdi dettati dalla morfina con i miei fantasmi che mi torturavano, dalla mezz'ora di cibo durante la quale Clide mi nutriva e da qualche toccatina di troppo che l'uomo non riusciva a controllare quando mi aiutava per andare in bagno. Le notti erano insonni, in quanto non riuscivo realmente a capire quando fosse buio fuori: mi aveva analizzata ininterrottamente, e a giudicare dalla sua cera, anche il dottore non dormiva molto più di me. La sua debolezza era la mia unica fonte di salvezza, mi ci sarei aggrappata fino a strapparla con i denti se necessario.

 

Nella stanza c'era un perenne gemito in quanto il corpo dell'assistente, oramai trasformato in zombie si trovava nella gabbia difronte a me che sentiva il nostro sangue pulsare e gemeva, ringhiava per averlo.
Avevo paura di scoprire lo scopo di quel mangia cervelli; includeva me, e non riponevo in Clide le speranze di una vita migliore.

 

"Ma siamo solo noi qui?" chiesi in cerca di conversazione, in quanto se era così che dovevo  vivere volevo farlo in modo dignitoso almeno. "Mi risponda la prego."
"Siamo una piccola comunità." rispose secco, continuando ad armeggiare con attrezzi che non riuscivo ad indentificare in quanto avevo le lacrime agli occhi che mi appannavano a vista.
Una piccola comunità.
Chissà se sanno della mia esistenza, di ciò che mi sta succedendo, se sono d'accordo. Certo che sono d'accordo! Potresti trovare loro una cura, venderebbero un dito pur di assistere allo scuoiamento del mostro immune, della privilegiata! Le persone sono cattive, Crystal, farebbero di tutto per sopravvivere.

 

                                                              __________________________________

 

"Alzati, sbrighiamoci."
Clide mi slacciò le mani e le caviglie; le fascette nere erano state sostituite da una spessa corda plastificata che comunque veniva stretta troppo forte.
Le gambe erano addormentate, come sempre, per questo dovetti sorreggermi alla camicia bianca del dottore, che mi staccò bruscamente appena riuscii a reggere il mio stesso peso sulle gambe malferme.
Mi avviai verso il bagno con la sua pistola puntata dritta alla mia tempia: sapevo che non mi avrebbe mai ucciso, anche se lo avessi attaccato con le mie stesse mani, ero troppo unica ed utile per morire.

Entrai nel piccolo bagno chiudendomi come sempre la porta alle spalle. Mi girava la testa e gli occhi facevano fatica a tenersi aperti. Aprii il rubinetto sciacquandomi il viso con l'acqua fredda che mi svegliò leggermente rendendomi più attiva. Mi guardai allo specchio e non mi piacque per nulla ciò che rifletteva.

Feci mente locale: mi trovavo lì da poco più di una settimana, un pazzo psicopatico voleva trovare una cura usando me e il mio corpo grazie alla mia immunità. Pensa, pensa, pensa!

C'è sempre una soluzione. Sempre una via di uscita. Sempre qualcosa per la quale vale la pena lottare, che sia una persona, un' idea, una speranza. Ma nulla è certo: le sbarre alla finestra mi impediranno di scappare. Nulla è certo, nulla! Solamente la morte.
La morte.
LA MORTE!

Ero immune non immortale.

Cosa usare: doveva essere una morte veloce, la porta non era chiusa a chiave e lui era proprio dietro di essa ad aspettarmi. Come a ricordamelo bussò e chiese con tono sgarbato se avessi fatto: risposi che mi serviva altro tempo e potei tastare nell'aria lo sguardo accigliato nella risposta che seguì.
Posai lo sguardo sul mio corpo nello specchio, la debolezza era visibile dalla punta delle dita a quella dei capelli spettinati e tropo lunghi. Desideravo molto tagliarli, ma non avevo forbici o nulla di appuntito da utilizzare, non un coltello, non un taglierino. Tutto ciò che c'era in quel bagno era una tazza, una vasca, un lavabo un bicchiere in ceramica con dentro lo spazzolino da denti e lo specchio.

Avevo ciò che mi serviva, lo avevo avuto davanti gli occhi tutto questo tempo e non lo avevo notato. Dannazione.
Veloce e non pensarci due volte.
Catturai tra le dita magre il bicchiere di ceramica e feci per lanciarlo verso il mio stesso riflesso quando mi bloccai: ero e rimanevo una codarda, non ci sarei mai riuscita.
Respira e fallo. Non ce la farò mai. Devi. Devo!

Sentii Clide allontanarsi verso il tavolo degli attrezzi grazie al suono metallico della caduta di una forbice ed agii.

Lo specchio si ruppe al primo colpo in due grandi metà ed al secondo fui pronta a prenderne tra le mani uno spicchio abbastanza grande. Con la scheggia in mano mi trovai spiazzata perché non sapevo dove usarla e avevo meno di tre secondi per recidermi una vena.

L'avambraccio, verticalmente.
Ed è così che caddi a terra, con un braccio sanguinante, il palmo tagliato e la felicità sul volto.
Immediatamente arrivò Clide che imprecò qualcosa di incomprensibile prima di caricarmi  e buttarmi su quella che era stata la mia casa da una settimana, cioè la sedia. Mi fissò per un secondo e io ricambiai il suo sguardo terrorizzato con un sorriso soddisfatto e di sfida. Finalmente ero io a ridere, ad essere in pace.

Non sentivo dolore, l'adrenalina era molta, che però andava scemando insieme al sangue sul pavimento.
Corse fuori dalla stanza che si era fatta stranamente pacifica e silenziosa. Con un ultimo briciolo di lucidità capii che c'era qualcosa di sbagliato. Lo zombie. Lo zombie era silenzioso, muto, immobile, indifferente a me al mio sangue.
Anche lui voleva la mia morte, e non voleva dare fastidio nei miei ultimi secondi.

Il silenzio si spense subito quando fu Clide ad entrare nella stanza con ago, filo e garze.
No, no, no. Fottuto dottore.
La vista si appannò ancora di più, e vedevo tutto bianco.
Sentivo Clide schiaffeggiarmi il viso per farmi stare sveglia, e quasi piangere frasi di incoraggiamento alla mia vita.
"Non morire."
"Non puoi morire."
"Sono troppo vicino ad una soluzione."
"Ragazzina egoista."
Esatto, ero stata egoista e non me ne pentivo.

Sentii l'ago ricucirmi lo squarcio verticale e subito dopo una siringa entrarmi in una vena.
I miei occhi erano chiusi, la mia ferita cucita, il mio corpo ricaricato e la mia vita finita.
Avevo fallito nella mia unica opportunità di libertà, ero costretta qui per molto altro tempo.

                                                                   ____________________

 

A svegliarmi fu il forte martellare del mio sangue, lo sentivo ovunque dal cranio alle punte dei piedi. Cercai di sedermi in modo composto sulla sedia che mi ospitava da troppo tempo e cercai di recuperare energie.
Il braccio sinistro era fasciato da uno spesso strato di bende bianche che non riuscivano a contenere tutto il sangue dello squarcio che mi ero inflitta, infatti un'ombra scura dominava su tutto l'avambraccio. Un ago mi nutriva dal braccio destro.
Mi guardai intorno ed ero sola, nessun rumore echeggiava nella stanza.

Ma io non ero mai sola.

Lo zombie.
Guardai nella gabbia che era dietro di me in quanto la sedia era stata spostata e dava verso la porta ma lui era lì. Era esattamente dove doveva essere solo che non mi vedeva. Non sentiva il mio odore, non mi gemeva contro, per lui la stanza era vuota ed era anche girato di spalle da ciò che riuscivo a vedere.
Impossibile, spesso sono rimasta sola con lui e spesso mi svegliava nelle poche ore di sonno che avevo per colpa dei suoi ringhi.
Cosa è cambiato, io sono la stessa, anche lui.

In quel momento mi tornò in mente, come un ricordo vecchio dieci anni che ti fa venire i brividi. 
Lo stesso silenzio si era creato quando Clide mi aveva buttata sulla sedia ed era scappato a prendere la garza sterile per la ferita. Nulla era cambiato, si era solo aggiunto il sangue.
Riuscivo a sentirlo anche io attraverso la stoffa macchiata, denso e rugginoso.
Forse ero morta, ero una di loro.
Pensa lucidamente, stupida!
Sentivo il cuore battere ed era tutto ciò che mi serviva per capire di essere viva.


Un ciuffo ribelle di capelli mi cadde davanti al viso e pensai di scostarlo, ma stranamente potetti. Avevo un braccio libero, il sinistro quello fasciato. L'altro invece era ammanettato alla sedia. Non mi scoraggiai neanche quando notai che nulla di appuntito o affilato era nelle vicinanze.
Sbuffai cercando di forzare - sapevo già in partenza inutilmente- le manette con le poche forze che avevo e l'ago mi pizzicò debolmente. Un illuminazione mi colpii: avevo visto in un film, che non mi misi a ricordare, un ragazzo che usava come chiave delle manette un ago, riuscendosi a liberare, ma era un film.
Ma non hai altre opportunità, sfrutta almeno questa.
Lentamente staccai il nastro che attaccava l'ago alla pelle e lo sfilai dalla vena. Respirai profondamente e lo infilai nella fessura delle manette: girai, cercai i forzare delle piccole sporgenze che intravedevo e solamente dopo che la punta dell'ago si ruppe riuscì a sentire lo scatto della serratura e liberarmi il polso.

La mia idea era quella di agire velocemente senza pensare a nulla, avrei ucciso di nuovo se necessario, ma lo zombie silenzioso mi incuriosiva troppo e avrei anche potuto sfruttare la situazione.
Raccolsi la katana che vidi in un angolo e accarezzandola piano mi diressi verso la gabbia del mangia cervelli. La stanchezza era sempre lì, persistente sulle ginocchia e le braccia, mi faceva muovere lentamente e mi faceva girare la testa.
Mi aggrappai con le dita alla rete scura che mi divideva dal mangia cervelli e la mossi leggermente per farmi notare. Con un ringhio l'essere si girò, avanzò di un passo e si fermò, osservando con occhi vitrei e odorando l'aria.
"Sono qui." Dissi piano. Ebbe la stessa reazione, ringhiò ma smise subito dopo.
Cosa vuol dire? Perché non mi vedi, sono qui, cazzo!
Non potetti finire il mio ragionamento che una porta in lontananza si aprì.

Clide era tornato.


Hallo
finalmente siamo ad una svolta della storia, spero vi piaccia, lasciate una recensione se volete :)

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Capitolo 7
*** I can scream enough to show my face in the light of the day. ***


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“There's no right and wrong anymore. Just living and dying.” 
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VII. I can scream enough to show my face in the light of the day.

 

La stanza non possedeva punti nascosti, era quadrata e non c'erano mobili adatti a nascondermi. Mi aggrappai al chiavistello della gabbia per darmi forza, osservando lo zombie. Potevo nascondermi dietro il tendone che copriva un lato delle sbarre, ma accantonai l'idea quando capii che si sarebbe vista la sagoma del mio corpo.

Clide era vicino.

Notai una cosa, una colonna dietro il tendone dove era avvitata la gabbia.

Entrare nella tana del lupo per nascondermi? Era davvero un'idea accettabile?

Era vicinissimo, i passi lenti erano accompagnati dal martellare del mio cuore.

Agii. Velocemente senza fare rumore. Aprii il chiavistello e lo richiusi dietro di me, dopo essere entrata, senza un rumore o un cigolio.

Presi posto dietro la colonna che era abbastanza larga da coprire la mia intera figura e impugnai la katana portandomi la federa alle spalle.

Era nella stanza, lo capii dal rumore di provette infrante al suolo, dal ringhiare famelico dello zombie, ad una serie di "No" sussurrati dall'uomo.

"Non può essere vero." Iniziò ad urlare cercandomi per la stanza, aprendo tutti i cassetti e ante presenti nella stanza come se fossi stata capace di rimpicciolirmi e nascondermi tra i bisturi.

Lanciò oggetti ovunque che si infransero al suolo e sulle pareti grezze. Respirai solo nei momenti di rumore per non rischiare: nonostante lo zombie che urlava non riuscivo a sentirmi del tutto coperta.

Sentii Clide quasi piangere, trafficare con le mani velocemente tra le tasche per poi correre via, ma non uscii dal mio nascondiglio fino a quando non fui sicura di essere sola.

Dovetti, per uscire, uccidere lo zombie, ragionando sul fatto se fosse o meno una buona idea: se non fossi riuscita a scappare, se mi avesse fermata varcata la soglia della porta avrebbe sicuramente capito qualcosa, forse proprio quello che a me sfuggiva, e l'avrebbe sfruttata fino ad uccidermi. Dall'altra parte però lo zombie, ancora attratto dal sangue del dottore, stava attaccato alla porta della gabbia e non potevo rischiare un contatto fisico in quanto lo spazio all'interno era ristretto e sarebbe stato difficile usare la katana agilmente in caso di pericolo.

Avevo pochi minuti lo sapevo. Da dietro silenziosamente perforai il cranio dello zombie ed aprii difficilmente il chiavistello, uscendo dalla gabbia che si era fatta troppo stretta.

Ascoltai attentamente ma non c'era segno di Clide, o di una qualunque altra persona della comunità che non avevo mai avuto occasione di conoscere. Mi guardai intorno cercando qualcosa di utile, ma il mio zaino non era mai stato lì, e non c'era nulla che potesse servirmi, se non delle garze che infilai nelle grandi tasche di pantaloni consumati insieme ad un accendino.

Uscii dalla stanza, con un piccolo sorriso sulle labbra, la mia speranza era molta, ma non dovevo abituarmi a questa tranquillità. Un corridoio stretto e buio mi portò ad una seconda porta accostata, che portava a sua volta a delle scale molto più luminose: ero in un seminterrato.

Salii le scale e la luce vera del sole mi bruciò per un attimo gli occhi. Nella casa sporca non c'era nessuno, ma fuori le 4 mura potevo sentire degli uomini parlare, darsi ordini: mi stavano cercando.

Guardai velocemente dalle finestre senza scostare le tende gialle. Clide stava parlando con degli uomini, urlava. Gli altri non capivano. Lui rosso in viso cercava di descrivermi. Con le mani tracciava il profilo della mia persona, la mia altezza, la lunghezza dei capelli e credo come fossi vestita. Non avevo tempo di stare lì a guardarlo, cercai un'uscita secondaria che trovai sul lato destro della casa. Portava ad un giardino, recintato da alti pannelli di legno. Dovevo scavalcarli, perché oltre riuscivo a scorgere degli alberi alti, il bosco.

L'adrenalina mi scorreva nelle vene ed anche per questo non riuscivo a pensare lucidamente.

I pannelli erano alti circa due metri, mi sarebbero bastati solamente 50 centimetri di appoggio per riuscire a scavalcare ed optai per uno scivolo in plastica per bambini abbandonato in un angolo del prato rovinato.

Sforzandomi per tirarlo su sentii cedere i punti della ferita, ma non ci feci molto caso in quanto nello stesso momento la porta di casa sbatté rumorosamente, ad indicare che qualcuno era dentro, diretto alla porta secondaria che avevo lasciato aperta.

Dannazione!

Mi arrampicai quindi sullo scivolo e saltai giù.

Stavo correndo, da ore ormai. Non dovevo far trovare le mie tracce e speravo che il vento avesse smosso il fogliame e nascosto le mie impronte. Era come ritornare agli inizi, io che scappavo dai miei amici per non farmi vedere mentre morivo, solo che ora ero io che correvo lontana dai miei nemici per sopravvivere.

Era buio pesto, la luna non illuminava abbastanza e sbattevo contro i grossi alberi ogni dieci metri, avevo il viso e braccia martoriate e sentivo il sangue delle ferite scendere sulla maglietta che non mi copriva abbastanza, avevo freddo e fame. Ero molto debole e sentivo che la ferita sul braccio si era aperta di molto, in quanto le garze erano bagnatissime. Dovevo fermarmi e ragionare. Avevo corso abbastanza e comunque non sarei riuscita ad andare oltre senza fermarmi a capire come stavo.

Mi sedetti ai piedi di un albero, e respirai profondamente, con la gola secca e fredda che urlava per un po' di acqua.

Mentre mi riprendevo e regolarizzavo il respiro divisi mentalmente le mie priorità: dovevo scaldarmi, medicarmi e cercare cibo e acqua.

Mi alzai e aiutata dall'accendino che avevo messo in tasca insieme alle garze mi aiutai nel cercare qualche ramoscello, ma era difficile anche solamente accucciarmi per raccoglierli.

Recuperai dal suolo dei piccoli ramoscelli che iniziai ad infiammare insieme a del fogliame secco, le mani mi tremavano e riuscire a far prendere quel poco che avevo raggruppato si rivelò più difficile del previsto. Quando finalmente si accesero potetti scaldare le dita congelate sulla fiamma che sembrava essere dalla mia parte, infatti con poco tempo il calore riuscì a farmi stare meglio.

Lo scoppiettio del fuoco mi spaventava in quanto ero sempre attenta ai rumori che mi circondavano: ormai ero capace di distinguere i passi dei vaganti da quello degli umani e di diversi animali, ma a quanto sembrava ero sola.

Con la luce della fiamma potetti definire come grave la ferita del braccio, in quanto circa cinque punti si erano staccati, lacerando la pelle e provocando nuove fuoriuscite di sangue. La visione della mia stessa carne insanguinata mi provocò un piccolo giramento di testa e mi abbandonai sulla corteccia dell'albero per recuperare i sensi.

Quando le orecchie smisero di fischiare tornai con le mani verso il fuoco, quasi a coprirlo. Ero stata stupida ad accenderlo così, senza nascondermi meglio, avrei attirato sicuramente qualcuno o qualcosa.

Sciolsi il braccio dalla fascia ormai zuppa di sangue e presi, cercando di forzare poco l'avambraccio ferito, le garze nella tasca anteriore dei pantaloni srotolandole sulle gambe incrociate.

Con i lembi ancora puliti della garza già usata cercai di pulire leggermente la ferita tamponando il sangue che non smetteva di uscire; anche se in minor quantità non avevo smesso da quando scappavo.

Buttai la garza insanguinata vicino al fuoco e iniziai a far passare quella pulita su tutto il lungo squarcio. Ero a metà dell'opera, avevo appena ricoperto lì dove erano saltati i punti che sentii dei rumori dietro di me. Velocemente spensi il fuoco con i piedi facendomi bruciare gli occhi per colpa del fumo.

Stavo piangendo. Non volevo tornare lì, basta con siringhe, sangue e pezzi di pelle.

Il rumore regolare e l'assenza di gemiti mi faceva perfettamente intuire la presenza di persone, due o più.

 

Questa volta non mi avrebbero avuta.

Srotolai la benda bianca dal braccio e con la katana, pronta nella mano destra, spezzai i punti rimasti intatti. Sentii immediatamente il sangue scorrere su tutto il braccio come era successo poche ore prima, e proprio come la prima volta mi sentii debole, ma felice.

Mi abbandonai su un fianco con il calore del suolo ancora tiepido e chiusi gli occhi.

 

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