Tristezza d'estate

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho difeso il mio amore ***
Capitolo 2: *** I ragazzi che volano via ***
Capitolo 3: *** Mio fratello è figlio unico ***
Capitolo 4: *** La formula chimica del dolore ***
Capitolo 5: *** Disperatamente giovani ***
Capitolo 6: *** Straniero in terra straniera ***
Capitolo 7: *** Casa ***
Capitolo 8: *** Un mondo perduto e ritrovato ***



Capitolo 1
*** Ho difeso il mio amore ***


Dolore.

Spasimi sordi e acuti dentro di lui che crescono di minuto in minuto, oltrepassano il limbo fumoso ed indistinto.

Gli occhi sono così pesanti che non riesce a tenerli aperti mentre le voci riecheggiano in un lieve sottofondo nel box della Terapia Intensiva che, a malapena, riesce a vedere.

Il tempo è passato e Colin non è stato in grado di misurarlo, abbozzolato in quel guscio che permetterà al suo corpo di recuperare dall'anestesia, dai diversi farmaci, dal dolore.

Mani sconosciute lo hanno spostato, cambiato di posizione, massaggiato. Hanno infilato aghi e discusso, a voce bassa, di lui.

Finalmente mette a fuoco un'immagine: sotto il camice politenato, la mascherina e la cuffia monouso guizzano gli occhi pieni d'amore, pieni di lui, velati da una lacrima impercettibile ma talmente corrosiva da lasciare un solco permanente.

Sbatte le palpebre e cerca di tornare sé stesso.

"Mamma!"

Le labbra secche di Colin baciano due volte per quella conquista preziosa ed ardua come scalare un grattacielo. Sharon lo sa cosa significa tenere stretta quella mano esile ed accompagnare il suo bene più prezioso su e giù per i gradini, diventati insormontabili.

È tornare una mamma alle prime armi, reggere il suo cucciolo sull'erba nei suoi primi passi, reggerlo cautamente senza palesare il suo sostegno spasmodico, sdrammatizzare ogni volta che inciampa sul terriccio tanto banale quanto fatale!

Sorride a trentadue denti davanti a Colin ma piange dentro l'anima nell'atroce consapevolezza del non poter fare di più.

"Sono qui con te, bambino mio!"

Questa volta non sarà facile come quando bastava il suo bacio soffiato sulle ferite per farle guarire. Ma è una mamma e lo sa che un sorriso sincero scalda più di mille candele accese, che la sua voce è confortante come una nenia antica.

Lascia una carezza sul viso contratto da smorfie di dolore, senza mollare la mano che tante volte si è protesa verso di lei per farsi accompagnare.


Gli ultimi giorni per Sharon e Jim sono stati i più duri: due genitori in cerca di un miracolo, due senza-tempo sulla panca fuori dal reparto ad aspettare una risposa o un verdetto. Ore d'attesa passate senza alcun desiderio, fino a ritrovarsi la forma lineare della mattonella impressa nella retina, un posto difficile dove sono naufragati stremati, e dove sono restati inchiodati ad un dolore misterioso e alla vertigine della morte.

Per Jim è stato più complicato avvicinarsi al monitor multiparametrico, al ventilatore d'emergenza, alla testa bendata di suo figlio.

Prima di tornare da Colin, fragile ed immobile in quel letto immacolato, sosta a lungo nell'angolo tra Broadway e Colfax Ave antico capolinea dei cercatori d'oro. Sotto la statua equestre di Kit Carson, la sua angoscia vaga a due settimane fa quando Colin, dopo l'ultima TAC, si è seduto sulla panchina coperta da un velo di gelo vicino alla fontana commemorativa dei pionieri del Colorado.

"Cosa mi succederà adesso, papà? Cosa ci succederà?"

Le labbra del ragazzo si erano chiuse e lo spavento era entrato nel suo petto con un sibilo fondo. Jim non aveva saputo combattere quell'inquietudine spietata, la mancanza di orizzonti. Si era limitato ad una pacca sulla spalla tremante di suo figlio.

"Adesso torniamo a casa, Colin!"

Non è facile fare staffetta con sua moglie, affrontare le linee verdi sui monitor dal fondo scuro che lo investono come una bordata micidiale, nell'atavico terrore che il forsennato bip bip si tramuti in un grido prolungato.

Le pulsazioni hanno un ritmo normale, il video disegna diagrammi tranquillizzanti, con apici e avvallamenti che confermano il ritorno alla vita. Commosso come un bambino, si avvicina fino a sfiorare la testa fasciata dal mitra d'Ippocrate. Il contatto leggero è sufficiente ad allertare Colin, che si è assopito da poco.

"Fa male papà. Fa malissimo."

Non è facile trovare le parole giuste innanzi alla vulnerabilità di suo figlio, roccia tanto solida quanto sfaldabile.

"Tieni duro ragazzo mio. Resisti Rockets !"

Un sorriso debole illumina il viso livido del ragazzo a quel vezzeggiativo rispolverato dalla sua infanzia e dà a Jim la certezza che Colin sarà ancora il suo specchio riflesso sul balcone della vita.

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Capitolo 2
*** I ragazzi che volano via ***


Il reparto neurochirurgico dell'ospedale di Denver è stato ristrutturato di recente. Pulito, ben tenuto.

È una sorta di bunker isolato e semideserto dove, fuori orario di visita, si incrociano sempre poche persone.

Amy e Bright avanzano in quella tristezza di fondo, tra camici verdi che si aprono a schiera, constatando come il rollercoaster emotivo degli ultimi giorni abbia invertito i ruoli: è la ragazzina che, combattendo le sue crociate, ha maturato un autocontrollo spartano a prendere per mano suo fratello. Bright avanza in silenzio, a testa bassa e con gli occhi puntati sul pavimento; non c'è soltanto tristezza o vergogna nel suo atteggiamento remissivo, nella sua ingiustificabile soggezione. Amy vi legge dell'altro.

Legge, sotto i ricci biondi che coprono le ciglia, l'incertezza nel non saper cosa dire, l'impotenza difronte ai loro limiti manifestati e, soprattutto, l'imbarazzo nell'avvicinare Colin nella sua veste di ammalato.

Esita quando sta per premere il pulsante dell'ascensore che li porterà al terzo piano e Bright approfitta di quel labile tentennamento per sfuggirle.

"Vai avanti da sola. Ti raggiungo tra poco!"


Lei, disposta a concedergli i suoi tempi, non insiste e non indaga e soltanto lo strizzare l'occhio del fratello la rassicura che Bright è quello di sempre e rafforza la loro complicità, consolidata da quando Colin è stato dichiarato fuori pericolo.

Procede rilassata e sicura tra i corridoi asettici, sollevata dopo il pericolo scampato. Eppure nei giorni scorsi il suo ottimismo ha vacillato tanto da tenerla sveglia per notti intere, nel suo mondo sottovoce tra poster e peluche. Tanto che si è ritrovata, nel momento più freddo e più nero, tra le braccia di suo padre a farsi consolare come quando, da bambina, faceva un brutto sogno.

"Promettimi che questa volta sarà diverso. Promettimi che Colin starà bene!"

È stata l'unica rassicurazione che ha cercato di ottenere da Harold, sebbene insidiosa ed inconsistente come sabbie mobili.


E, adesso, che si affaccia a quella camera di degenza con gli arredi fissi, sembra un filo di seta sospeso in un gioco di rasoi.

Colin è appoggiato sulla schiena e, con sforzo quasi titanico, affonda il cucchiaino nella gelatina di frutta dopo che ha, praticamente, ricattato i suoi genitori costringendoli ad andare a bere un vero caffè.

Quando i loro occhi si incrociano, sono due funamboli in equilibrio precario su una corda tesa finché l'unica parola pronunciata da Colin ha un effetto magico che scioglie il blocco di tensione e apre più di uno spiraglio.

"Grover!"

Emozionata, Amy si avvicina al lettino a passo veloce. Puntellandosi sui gomiti, Colin cerca di mettersi a sedere ben dritto e, quando la ragazza si siede sul bordo del lenzuolo, osserva ogni sottile sfumatura di quel bellissimo viso adolescente. Alla fine allunga la mano sui capelli che ricadono dritti sulla fronte di lei.

"Hai fatto la frangia! Adesso il tuo naso a patata risalta di più!"

È un modo per depurarsi dalle brutture con cui sta facendo i conti e, nonostante gli strascichi di orrore indelebili e tangibili, nei suoi occhi brilla una luce nuova alla risata di Amy.

"Come corteggiatore sei un disastro totale!"

Lascia che il braccio di lui le scivoli lungo la vita sottile e restano così, come due innamorati che si dondolano sull'altalena, finché Amy non afferra il piattino con il budino dal vassoio pieghevole senza che Colin protesti.


Questa è la scena strana e surreale che accoglie Bright: sua sorella, chinata sul letto a pantografo, che con dedizione ed amore imbocca il suo migliore amico. Lui è ancora soggiogato da quella sensazione di stomaco sottosopra e senso di vuoto, come se fosse appena sceso per davvero dalle montagne russe.

Per un secondo Colin crede che quella nuvola arcobaleno che accompagna Bright sia un effetto collaterale dei farmaci o dei suoi sogni stranissimi.

Il vulcanico Abbott, nascondendo tutta l'inquietudine dietro il colorato insieme di palloncini che svolazzano tra le sue dita, ritorna padrone della situazione. Annoda il suo originale regalo all'asta porta-flebo e, quando finalmente si decide ad affrontare Colin, il nodo gordiano che gli serrava la gola si è sciolto nella disinvoltura di sempre.

"Sono andato a comprarti tutti i portafortuna che sono riuscito a scovare...Dopo lo spavento che ci hai fatto prendere! Ovviamente ho tralasciato quelli di felicitazioni per le nascite!"

L'ultima battuta è proprio da Bright e calamita le risate sia di Amy che di Colin. Il piccolo eroe è, però, costretto ad ingoiare a vuoto un paio di volte, per lenire il bruciore di gola e ritrovare un filo di voce per formulare una frase di senso compiuto.

"Grazie uomo dei palloncini!"

Questa volta è Bright ad anticipare Amy e ad adoperarsi per riempire un bicchiere d'acqua e farlo sorbire all'amico a piccoli sorsi.

Quando si sente un po' meglio, Colin si appoggia stancamente ai cuscini e allunga le mani verso i fratelli Abbott.

"I miei cavalieri serventi!"

Sorride e, prima che i suoi occhi si chiudano, si ritrovano tutti e tre avvolti in un abbraccio in cui entrano adulti e si ritrovano bambini.

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Capitolo 3
*** Mio fratello è figlio unico ***


Man mano che le dolci colline e la pianura costiera della Virginia vengono sostituite da montagne scoscese e profondi canyon, i pensieri di Laynie cavalcano come un grosso tronco in un fiume placido.

Di nuovo in quel rettangolo perfetto che è il Colorado, casa sua, la sua eutimia muta in disincanto e le linee delicate del suo viso si fanno aspre e severe. È come il granito, la roccia e i detriti calcarei che le scorrono dinnanzi, propensi a frantumarsi, polverizzarsi e sbriciolarsi in balia del cosmo.

Anche il suo soggiorno forzato alla Saint Margaret, a Tappahannock, le sembra adesso un'epifania momentanea, destinata a scomparire, ad essere travolta, distrutta e inglobata dalla natura e dal destino.

C'è Jim ad aspettarla nel lounge bar dell'Union Station, la stazione ferroviaria nel centro città. La ragazza schiva l'abbraccio impacciato con cui il padre vorrebbe darle il bentornato e, rifiutando ogni contatto fisico, sale in auto senza proferir parola.

Nell'affastellarsi di torri rosso fuoco, nell'aria tersa e nella passione per la vita outdoor, Laynie è come Denver che ha dovuto reinventarsi per sopravvivere e crescere.


Non riesce a staccare gli occhi da quello sbaffo di filo rosso intrecciato al mignolo sinistro.

Era stato Colin ad avvolgerglielo la sera stessa che lei aveva deciso di tornare alla Saint Margaret.

Erano stati mesi difficili per tutti e se la sofferenza dell'inizio era stata così grande, inaspettata e sconosciuta che l'intera famiglia aveva rischiato di perdersi; lentamente era subentrata una profonda tristezza ma Sharon, Jim e Laynie si erano adattati.

Ad aver spezzato quel fragile equilibrio ritrovato era stato il ribaltone improvviso, il peggioramento che Colin si ostinava ad insabbiare, che li aveva di nuovo catapultati in una situazione precaria.

Per la ragazza l'unica soluzione era stata giocare d'anticipo, fuggire prima che qualcosa di grave accadesse, prima che il loro castello di carte fragilissimo crollasse.

Suo fratello l'aveva salutata promettendole che sarebbe andato tutto bene, intessendo quel filo da cucito, inanellandolo e lasciandolo scivolare sul dito di sua sorella come quando, da bambini, volevano suggellare un patto.

"Facciamo come i cavalieri che, prima di partire in battaglia, legavano un filo d'oro al dito delle loro dame del cuore così non li avrebbero dimenticati. Quando lo guarderai saprai che, in qualsiasi parte dell'universo saremo, io starò pensando a te!"


Trema ancora per gli strani presagi che quel saluto includeva e, finalmente, si decide ad affrontare la realtà di petto.

"Sarà sempre così? Come stare su una sedia a dondolo, sempre in movimento ma senza mai avanzare di un passo?"

Jim non è più abituato alla schiettezza, alla spietatezza e alla fragilità dei sedici anni di sua figlia. Fa un sospiro profondo e capisce che lei, che è sempre apparsa come la più forte, è in realtà la più debole. Lei che ha pianto di notte, in silenzio, senza farsi né vedere, né sentire da nessuno. Le sue mani che hanno tremato a tal punto che, a malapena, è riuscita a scrivere quelle poche righe che non ha mai spedito a casa.

Deve aprirle il suo cuore per toccare l'anima temprata dalle cicatrici.

"Vorrei poterti dire che, dopo le avversità e le tempeste che abbiamo incontrato e vinto, ora ci meritiamo la calma di un porto sicuro. Ma so che ogni nuova onda può arrivare senza avvisare e che siamo ancora in mare aperto, senza punti di riferimento. Vorrei tanto poter mettere te e Colin sotto una campana di vetro, per proteggervi, ma so anche che non posso impedirvi di vivere. E che voi non vi arrenderete mai, perché siete due vincitori, e i vincitori non hanno scelta!"

Sono le parole giuste perché Laynie non si senta più gabbiano senza nido che non trova pace. È come l'erica resistente, nella brughiera tormentata dai venti, attaccata alla terra sempre e comunque. Attaccata alle sue radici, anche se aspre e ostili.


Passo dopo passo prende coraggio, continuando comunque a guardarsi intorno con attenzione. Nel labirinto di corridoi verso la stanza di Colin le sembra di seguire un filo invisibile che la condurrà verso il loro passato dimenticato.

Il suo cuore si stringe, diventando minuto come una noce, mentre osserva i movimenti sicuri dell'infermiere di turno che arrotola le bende, ricoprendo la testa di suo fratello come quella di una mummia egiziana.

"Ciao maharajah!""

La voce soffocata dall'emozione le esce quasi roca ma non scalfisce il sorriso con cui Colin l'accoglie.

"Ti avverto che la mia testa sbendata, tra crosticine, punti metallici e quella disgustosa pomata con cui mi ungono è peggio di una prigione medievale, sorellina!"

Pare un Baccarat finissimo, la voce è pastosa e gli occhi stanchi tradiscono un'espressione straziata eppure non rinuncia a farla sentire speciale.

A quel diminutivo affettuoso e tenero Laynie non riesce a trattenere le lacrime ma Colin la ammonisce con un sorriso di disappunto.

"Basta piangere, va bene? Adesso ho bisogno soltanto di sorrisi!"

Sua sorella non ci mette molto ad avvolgerlo in un abbraccio travolgente e a sussurrargli all'orecchio frasi, in quel linguaggio di smorfie e sorrisi che hanno coniato da bambini.

Jim e Sharon li osservano in disparte, tenendosi per mano con gli occhi umidi.

Accalorata, grata ed entusiasta, alla fine Laynie si stacca da Colin per farlo rifiatare e, senza lasciargli la mano, gli indica la fascia arcuata che incornicia le Montagne Rocciose.

"Guarda: c'è l'arcobaleno!"

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Capitolo 4
*** La formula chimica del dolore ***


A Colin sembra di essersi svegliato in una storia di Kafka: barcolla, resta in piedi spingendosi da una parte all'altra, suda e ha la netta sensazione di cadere in avanti nonostante la presa salda del fisioterapista. La testa gli gira, sbanda e, alla fine, la gamba destra non lo regge.

E’ come se fosse scivolato, di nuovo, alla base della parete che stava scalando e, allo stesso tempo, la montagna fosse raddoppiata in altezza.

Un attimo dopo si ritrova con la testa sul water a vomitare l'anima e la rabbia, con Sharon che gli tiene la fronte e soffre più di lui nel veder sprofondare quel poco di vita faticosamente ricostruito, come in quei terremoti dove la terra si inghiotte da sé. Aspetta che la nausea si attenui e poi lo sostiene fino alla poltrona regolabile multifunzione, dove Colin si affloscia in preda alla resa e allo scoramento.

"Perché?"


E’ la parola che Sharon temeva di più e risuona nella sua testa come un eco con cerchi larghi e lenti su un fondo nero. E’ la più semplice delle domande che suo figlio potesse rivolgerle ma non ha risposta.

Non può ricordargli che una notte di un'estate appena nata era rimasta a contemplare il neonato che dormiva nella culla vicino a lei. E, mentre si rigirava nel lettone, con il sonno che la scansava per il caldo e per il ronzio fastidioso di una piccola zanzara, tra tante immagini aveva preso forma una promessa.

Aveva promesso a Colin una vita che, al mattino, lo svegliasse sempre con il sorriso.

"Io non posso dar risposte alle tue sofferenze, tesoro. Posso solo dirti che la vita è dura, non coccola nessuno e, ogni volta che ti colpisce assesta dieci colpi. Abituatici presto ma non lasciare che ti sconfigga!"

Ammette mentre le immagini edulcorate ed abbellite dalla nostalgia lasciano la scena al presente. Colin, però, ha bisogno di sfogare quel dolore che lo afferra e lo stringe, che lo scava e lo affonda.

"Voglio tornare a casa! Sono stanco di questo posto senza i miei poster alle pareti, senza la mia lampada accecante sugli occhi, senza la tazza di latte caldo che mi aspetta sul tavolo della cucina al mattino..."

Si abbandona nell'abbraccio di Sharon, poggiando la testa sulla sua spalla, dove si sente sereno, a casa : lì la donna sente che qualcosa di buono sta facendo.


Quando la loro vita ha incontrato la malattia, tutti hanno imparato a convivere con essa. E’ una convivenza fatta di emozioni e di praticità, di tanti sentimenti diversi e a volte contrapposti. E’ fatta di disagio, dolore, a volte disperazione. E’ fatta di speranza, di coraggio di vivere, organizzando i momenti pratici.

La famiglia Hart si è chiusa come un bozzolo d'amore che protegga Colin, spesso non permettendo ad altri di entrare. Harold e Rose lo penetrano in punta di piedi, a piccoli passi, cercando di occupare il meno spazio possibile.

Per Sharon è un conforto questa rete di solidarietà che non la lascia ad affrontare la solitudine della malattia in quel mondo dal quale vorrebbe fuggire. Colin, invece, accoglie la frutta ricoperta di cioccolato, la pecan pie e i gentili ed affettuosi visitatori con un misto di stupore ed imbarazzo mentre l'acido gli risale la gola.

Gli Abbott devono insistere un po' ma, alla fine, le due mamme si allontanano verso il giardino terapeutico, verso l'auto di Harold con il pretesto di recuperare le riviste che hanno portato per Sharon e con la necessità di uno sfogo tutto al femminile.

Harold resta qualche secondo a fissare il ragazzo, svuotato e pallido, surreale come un quadro di Magritte. Poi sparisce qualche minuto in corridoio e, quando torna, ha in mano una lattina di coca-cola fredda ed un bicchiere. La versa a Colin, che fino ad allora ha deviato lo sguardo su punti dello spazio per nulla interessanti, e lo convince a bere con i suoi modi premurosi e paterni.

"Guarda che è un ottimo antiemetico!"


L'accorgimento funziona e Colin recupera abbastanza energia da cambiare di posizione, nonostante il dottor Abbott si affaccendi per aiutarlo.

"Non sono decisamente un buon partito per sua figlia!"

Non ha paura nel mostrarsi nelle sue debolezze, anzi, è una prova di fiducia così grande nei suoi confronti che Harold ne è intenerito e capisce di dover smentire quella punta di autocommiserazione.

"A me basta sapere che ami Amy come un adolescente e la rispetti nel profondo. Io posso soltanto inchinarmi a questo vostro sentimento bianco, puro, scottante e luminoso!"

Sono entrambi emozionati dopo essersi messi così in gioco affettivamente tanto che Colin deve reinventarsi lo spavaldo di un tempo per rendersi degno di un'approvazione così vera e profonda.

"Dottor Abbott mi da il permesso di portare Amy a cena fuori...Quando uscirò di qui?"

È sicuro di sé, quasi ai limiti della sfrontatezza, come quando due anni fa ha chiesto di poter portare sua figlia al ballo della scuola e, nonostante sul viso gli spunti un sorriso che non riesce a trattenere, ad Harold piace tenerlo sulle spine non riuscendo, infine, a contenere la sua gelosia.

"Verrà anche Bright insieme a voi. S'intende!"

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Capitolo 5
*** Disperatamente giovani ***


Guarire è un processo in salita: lento, faticoso, insidioso e senza certezze ma, dopo essere scampato alla morte, Colin ha una voglia disperata di rinascere.

La riabilitazione procede con movimenti incongrui e faticosi per rimettersi in piedi, per camminare tra le parallele, per usare il tripode o salire qualche scalino e, nonostante la prudenza, è ancora l'insicurezza a dominare il ragazzo. Non sono rari i momenti in cui vede tutto nero, in cui vorrebbe semplicemente fuggire da sé stesso, dalla sua testa e diventare una palla di vuoto.

È soprattutto merito di Amy e di Laynie se quell'aria di enigmatica indifferenza trascolora, il più delle volte, in un sorriso che si insinua tra la pelle soffice e calda della mano di Amy a contatto con la sua mentre la sorella diventa un'abile narratrice: certe volte recita, mette in scena ricordi e situazioni, che scorrono come le sequenze di un film.

Laynie racconta della città dal nome algonchino e di come nel Seicento John Smith venne scacciato dalle tribù indiane.

Parla delle passeggiate nell'orto botanico, parla della poesia, della storia e della bellezza macabra nel museo dedicato ad Edgar Allan Poe, e di Monticello dove ha dato un'occhiata alla vita personale di Thomas Jefferson il terzo presidente degli Stati Uniti.

"È davvero una giramerica la mia sorellina!"


Neppure una volta, però, Laynie accenna alle lunghe ore che è rimasta appesa al telefono per avere notizie più precise, finché la comunicazione con sua madre non si era interrotta. Non racconta mai di quel giorno di fine primavera quando le emozioni, la paura, l'amore e la delusione che credeva di poter dominare l'hanno travolta. Si era messa a piangere senza ritegno e senza sosta e nessuna delle ragazze del collegio era riuscita a consolarla.

Voleva stare sola mentre continuava a piangere e a parlare, inveendo contro tutto e tutti.

Lei ed Amy non hanno un manuale di comportamento ma ad entrambe basta lo sforzo di Colin di addobbare la situazione e mascherarla d'allegria.

E quando riesce a malapena a restare cosciente o si assopisce nessuno obietta sul fatto che abbia guadagnato quel riposo!

È un sonno a singhiozzo, chimico ed agitato, che non ristora.


Bright non sa cosa fare quando arriva nel mezzo di quegli sbuffi e lamenti simili ad un pianto; così resta in piedi in mezzo alla stanza in penombra con gli zigomi alti e le labbra abbassate.

Il suo migliore amico è così indifeso e fragile mentre dorme, ben lontano dal giovane simulatamente coraggioso e fatalista che è andato a cercarlo subito dopo aver deciso per l'operazione, come un giocatore d'azzardo che punta e perde, senza calcolare niente.

Quel giorno, però, Colin aveva ponderato ogni minimo dettaglio del suo testamento disperatamente giovane.

"Promettimi che avrai cura di Amy! È ancora così bambina, cemento umido dove tutto ciò che la colpisce lascia un’impronta! Tienila d’occhio quando ricomincerà ad uscire con i ragazzi e quando arriverà quello giusto incoraggiala e fa in modo che la sua vita sia perfetta. Fai in modo che quando vostro padre l’accompagnerà all’altare non si lasci tradire dall’emozione mettendosi il piede in bocca e dicendo la cosa sbagliata.

Vai alla Notre Dame, Bright! Non sprecare il tempo vivendo la vita di qualcun altro. Segui il tuo cuore e la tua intuizione, in qualche modo essi sanno cosa vuoi davvero diventare!”

Quella forza serafica di Colin nel cercare soluzioni inaspettate a problemi irrisolvibili lo avevano confuso e, in un tumulto crescente di emozioni, Bright aveva superato il disorientamento iniziale infervorandosi.

"“Lascia stare i sogni a lungo termine! Queste cose non hanno senso se non ci sei tu a condividerle con noi. Io e te andremo insieme all’università e quando, un giorno, mio padre accompagnerà Amy con uno dei suoi improponibili papillon, ci sarai tu ad aspettarla all’altare e io cercherò di metterti in ordine la cravatta, all’ultimo secondo da bravo testimone. Andrà così Colin. Andrà così!”


Gli tremano ancora le gambe se ripensa a quella conversazione così assurda e matura nel giardino di casa sua e scatta ad impulso appena l'amico si risveglia all'improvviso sudato e tremante.

"Stai bene? Lo so che non è una grande domanda ma mi interessa, per davvero!"

Colin non ha la forza di fingere e sa che le attenzioni di Bright sono sincere.

“Mi sembra che la testa sia stata messa tra l’incudine e il martello e colpita più volte. Tutta la stanza mi sembra che giri e non riesco a stare seduto!”

La sua schiettezza lo imbarazza ma è anche una ventata d'aria fresca: Bright è l'unico che può tirarlo fuori da quel buio cavernoso, profondo e vuoto.


Dieci minuti più tardi la sedia a rotelle avanza tra peonie, rose e ortensie, tra i colori del cielo e del mare che fioriscono nel giardino terapeutico.

Ordine, armonia, bellezza, colori e profumi accarezzano il ritorno alla vita di Colin. Ha una voce strana, eccitata ed impaziente, quando chiede a Bright di fermarsi.

"Vieni qui e reggimi, Bright! Adesso mi rimetto in piedi sul serio!"

Sono entrambi così concentrati nel far funzionare quel piccolo miracolo che, soltanto quando Colin tenta di fare qualche passo da solo, si accorgono di Amy e di Laynie che si tengono per mano e non riescono a nascondere la loro commossa felicità.

Bright sorregge l'amico che vacilla e gli sussurra all'orecchio, con complicità:

"Andiamo dalle tue donzelle, tartaruga zoppa! Facciamogli vedere come macini giri di corridoio!"

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Capitolo 6
*** Straniero in terra straniera ***


Nell'ultima settimana, che hanno trascorso organizzando il futuro, Colin è diventato sempre più intollerante in quello spazio chiuso, così chiuso ed isolato dal resto del mondo da sembrare una casa araba senza il tetto. Con crescente impazienza ha aspettato di tuffarsi nel mondo fuori da quella scatola bianca.

I giorni non sono più sospesi e il tempo ha ripreso a fluire ad un ritmo normale adesso che, come una farfalla sbriciolata, da astante sta per tornare primo attore della sua vita.

Forte di quell'amore che l'ha circondato nell'ultimo mese, che si è espanso, allarga le stampelle e puntellandosi si incammina a passi pesanti nel lungo corridoio popolato da cigolii e clangori, da rantoli e respiri e soltanto la presenza solida dei suoi genitori dietro di lui impedisce ai ricordi di sciamare in quella ferita ancora aperta.


Fuori è aria, spazio, orizzonte.

Subito si sente come un cieco che apra gli occhi, si sente persino stupito dello stesso stupore che prova e geloso che il cuore gli nasconda parte delle sue emozioni. Si accorge com'è bello affacciarsi senza la finestra con le veneziane.

Fuori ogni secondo è un istante di vita, ma di vita vera.

Colin si commuove e si sente felice. Finora ha combattuto, disperatamente, con il corpo, con la mente e con il cuore ma si rende conto che adesso c'è un'altra battaglia da affrontare.

Vorrebbe essere come quei bambini il cui unico compito è quello di giocare e di lasciare agli adulti il compito di tutto il resto. Invece è terrorizzato, non tanto dal fatto di uscire, quanto dal sapere che lo aspetta un altro lungo percorso doloroso e dal risultato dubbio.

Il dolore stanca moltissimo e lui vorrebbe avere la certezza che un giorno finirà.

Con la sua aria da pellegrino di ritorno, che non può ritrovare il suo posto consueto e non sa dove sia, sale sul sedile posteriore dell'auto e si appoggia a sua madre.

Sharon e Jim stanno cercando di trovare un equilibrio tra le loro premure quasi morbose ma sanno che le cautele saranno tantissime prima di poter dare a Colin la medaglia di guarito.

Il ragazzo non riesce a stare vicino allo sportello e, dopo un paio di chilometri gli sembra di soffocare e non bastano le carezze materne sulla testa deturpata da rasoi, creme depilatorie e saponi neutri, a rasserenarlo.

"Fermati papà! Ho bisogno d'aria!"

Jim inchioda immediatamente a quella richiesta così stentorea ed accorata. Si trovano a Colfax Avenue, cinque settimane prima anticamera di morte. Ad est c'è l'ingresso del più grande parco di Denver.

"Che ne dici di un giro in barca sul lago Ferrell?"


Si sente come un pesce fuor d'acqua mentre sorpassano la fontana prismatica, la statua di Martin Luther King e il Museo della Scienza e della Natura che rievoca alcuni racconti di Laynie sulla Virginia.

Raggiunta la rimessa delle barche, Sharon si accommiata nella darsena mentre il dolore grande, indefinibile, delle ultime settimane si addolcisce in una speranza nuova.

Un po' tramortito e conquistato dalle anatre starnazzanti che procedono dondolando verso di loro, sul lato opposto del lago, Colin immerge una mano nell'acqua cristallina e sta attento nello scoprire calette seminascoste e a godersi lo skyline delle Montagne Rocciose.

Si rilassa, non è più nervoso e a tratti si sente come un ladro che sta rubando un po' di libertà e amore alla vita.

La libertà, la felicità sono belle ma lo affaticano così agli occhi attenti di Jim non sfugge il suo impercettibile cedimento.

"Come ti senti?"


Una domanda semplice, aperta, spesso abusata negli ultimi tempi, tuttavia Colin sa che suo padre è pronto ad ascoltarne attentamente la risposta e a gestire le emozioni di entrambi.

"Mi sento come uno straniero in terra straniera. Come se la felicità dovesse trasformarsi, improvvisamente e necessariamente in panico. Come se fossi sbarcato sulla luna e non riuscissi a trovare più un senso a niente."

È una prova contro sé stesso e i propri limiti e mentre grattacieli e montagne sfilano come un pezzo di storia che si scioglie in bocca, apre completamente il suo cuore.

"In questo momento la soluzione più sensata mi sembra quella di non voler essere nessuno. "

Nello scenario di alberi incurvati e dai tronchi contorti, dove tutto è perfetto senza esserlo per davvero, anche Jim infine trova il modo di mitigare l'asprezza del suo essere di uomo montanaro.

"Non sentirti apolide, o in imbarazzo ragazzo mio! Sei a casa, adesso. E lasciami almeno il privilegio di poterti proteggere da oggi in poi. Una cosa che non ho mai saputo fare ma che con te mi viene naturale!"

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Capitolo 7
*** Casa ***


Casa. Una parola così piccola per un'emozione così grande da accelerargli il battito e ripagarlo di ogni singolo istante di incertezza degli ultimi mesi.

Colin ha avuto quasi paura di non ritrovarla come la ricordava, di sentirla estranea, invece è come se fosse uscito dal portone con il vetro sabbiato soltanto pochi minuti prima. A metterlo a suo agio sono stati, soprattutto, l'accortezza e lo spirito pratico di Laynie.

Sua sorella ha sgobbato gli ultimi due giorni a rendere gli spazi comodi e confortevoli e a profumare l'ambiente con un pot-pourri di fiori secchi, scorze di agrumi, erbe essiccate e spezie.

È un uragano di impazienza e gioia, però, quando si fionda verso Colin, delicato come un guscio d'uovo, che copre la distanza tra l'utilitaria di famiglia e la casa con circospezione, quasi stesse attraversando un ponte di sabbia. L'abbraccio travolgente di Laynie lo sostiene mentre si riappropria di pavimenti, pareti, soffitti, di odori familiari, di conforto, sicurezza e affetti. Di casa sua.

"Ti ho registrato le migliori sit-com. Dieci minuti per episodio!"

Lui non obietta a quelle premure incalzanti, precisando che leggere gli è ancora impossibile e che anche le trame di film già visti e rivisti gli sembrano insensate.

"Apprezzo il pensiero, sorellina! Ma, al momento, la mia capacità di attenzione è pari a quella di un pesce rosso."

Ridono in sincrono e, finalmente, Colin crede che tornare a casa sia bello, per quanto impegnativo.

Tornare è un po' come cercare di finire un puzzle con un pezzettino più grande del buco. Va limato, e limati tutti gli altri pezzi che gli stanno intorno.


C'è anche un lato difficile, però, che non aveva previsto: l'uscita dall'ambiente protetto dell'ospedale lo mette, brutalmente, difronte ai suoi limiti fisici.

Star male in ospedale è normale. Adesso, invece, i dolori, la debolezza e le difficoltà di movimento risultano molto più pesanti e difficili da accettare.

Si è dovuto mettere in ginocchio e tirarsi su goffamente, appoggiandosi al muro. Più tardi, quando ha tentato di salire le scale, ha dovuto fare i gradini uno alla volta, caricando il peso sulla gamba sinistra e appoggiandosi pesantemente al corrimano.


La notte è la parte che teme di più. Nei lunghi giorni di ricovero è diventata nemica: problemi d'insonnia, improvvisi risvegli notturni, ore passate a fissare il buio fuori dalla finestra. E quando, finalmente, si appisolava, le medicine disturbavano il sonno con vertigini e sogni inquietanti, al confine con le allucinazioni. E poi la nausea, il letto scomodo, la difficoltà nel trovare una posizione che non fosse dolorosa, i rumori del reparto.

Le notti in ospedale non finivano mai aspettando che il cielo impallidisse nell'alba.

Adesso, mentre si infila sotto le lenzuola fresche che profumano di sapone di Marsiglia, si rende conto di aver paura. Paura di non dormire, di dormire male, di svegliarsi mille volte, di non trovare una posizione comoda, di provare dolore...

Alla fine le ansie e la stanchezza lo stordiscono, come sotto l'effetto di un potente sedativo, lentamente abbassa le palpebre che si fanno sempre più pesanti e cade in un sonno intriso di incubi.

Si sveglia di colpo, sudato e ansante, tremante e stremato e ci mette qualche minuto ad accertarsi che il tum tum di una palla che rimbalza nello spiazzale davanti casa non è una rifrazione di un momento nostalgico o uno strascico delle sue inquietudini.


Si affaccia alla notte dalla brezza gentile dopo la calura, sotto un cielo stellato e un profumo corposo di mughetto e gardenie.

Lei, la sua fata dell'estate è di un fascino semplice e disarmante mentre palleggia e lancia la palla verso di lui.

Colin la schiva, come una palla avvelenata.

"Hai deciso di creare un Great Western Forum in miniatura per me?"

Amy gli si avvicina, con il suo sorriso leggiadro e il movimento pieno di grazia, e allora Colin si accorge che è sempre bella come una bambola di porcellana ma ha qualcosa in più: la grinta e l'ostinazione di una valchiria preraffaellita.

Si ritrova a disagio, imbarazzato e affascinato da quell'imprevedibile soffio di vita, dalla pura innocenza di lei.

"Mia cara Pazienza..."

Le sussurra, attirandosela tra le braccia come se fosse il suo unico bene. Amy cerca di vincere l'emozione.

Da quando il dramma si è ripresentato nelle loro vite, lo ha sillabato per digerirlo meglio ma restava sempre una camionata in faccia. Uno di quegli scossoni che prima ti stordiscono e poi, quando la consapevolezza riaffiora, ti lasciano appiccicati addosso strati di paure, quasi una seconda pelle.

Si è inventata interessi per restare a galla negli ultimi tempi, ha intensificato i corsi di danza, si è aggrappata ai suoi grandi amori, alla sua famiglia prima di tutto.

Si siedono insieme sulla panchina in ghisa, nell'angolo che profuma di marzapane, ed Amy posa lentamente la testa sul cuore palpitante di lui.

"Allora Ulisse com'è tornare a casa?"


Colin non risponde. Si porta una mano alla bocca, cercando di soffocare un singhiozzo e con i palmi tenta di coprirsi il volto, mentre il naso inizia a pungere, e le lacrime scendono inarrestabili.

Amy non è troppo sconvolta sentendo il torace di lui scuotersi sotto di lei, anzi, ne è quasi sollevata: sono lacrime che guariscono.

Colin è fragile e quando si è fragili è come essere senza pelle. Le parole e i gesti risuonano come nelle casse enormi di un concerto. Amplificati e assordanti.

"Sono felicissimo di essere tornato a casa, davvero. Però non credevo che sarebbe stato così difficile."

Attacca con voce rotta.

"Ho difficoltà a chinarmi e a sollevare da terra qualcosa che pesi di più di un fazzoletto. Non riesco a stare in piedi, né seduto su una sedia rigida per più di dieci minuti. Mi stanco subito...Non resisto, Amy!"

La ragazza, però, ha imparato a guardare oltre la malattia e quei momenti di abbattimento e ha imparato che si può continuare a sperare, a sorridere alla vita anche nei momenti bui.

Gli leva dalle guance le lacrime che l'aria calda non è riuscito ad asciugare ed ha impresso quel sorriso effimero, confuso e contagioso, impregnato ancora dall'anestesia, con cui Colin l'ha accolta in Terapia Intensiva.

Un sorriso che le è rimasto appiccicato addosso. Ed è a quel sorriso che sente il bisogno di restituire la vita.

"Nessuno arriva al traguardo da solo, Colin! Piano piano metteremo all'angolo i fantasmi. Ogni tanto li tireremo fuori, uno alla volta, ma solo per metterli al tappeto. È vero, le nostre vite sono cambiate per sempre. Ma non è detto che sia in peggio!"

Per la prima volta il futuro appare più concreto a Colin e quando la sua fata promette di combattere al suo posto quando proprio non ce la farà, scuote energeticamente il capo.

"Non combattere al posto mio, combatti al mio fianco!"

E la loro promessa, tenera e coraggiosa, vibra tra il canto delle cicale e l'ombra dei balconi aperti.

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Capitolo 8
*** Un mondo perduto e ritrovato ***


Tornare a casa è stato bello ma, anche, molto impegnativo.

Colin ha passato le ultime due settimane a cercare di riabituarsi alle persone e alle relazioni con la sua famiglia e gli amici, assorbendo tutte le storie che si sono accumulate durante la sua assenza.

Tutto è nuovo e lui si è sentito un po' come una star di Hollywood finché gli altri non si sono abituati al suo ritorno.

Sa che il successivo passo da compiere è uscire da quella piccola bolla felice e sicura e rituffarsi fuori, nel mondo.

E c'è solo un Caronte che può traghettarlo verso una normalità che sa di conquista, un punto d'arrivo.

Sharon, diventata ormai una mamma super protettiva, ha qualche remora alla prospettiva di un intero pomeriggio con Colin che sfugga al suo occhio vigile e senza che lei risponda prontamente alle sue esigenze.

“Il ragazzo ha bisogno di vivere la sua vita!”

È stata l'inattesa complicità di Jim, che ha deciso di coalizzarsi con Colin carente e desideroso di aria di vera estate e, soprattutto Bright, vivace ed impaziente nella suo mitologico ruolo di Mnemosine, a farla capitolare.


Bright guida senza una meta precisa, percorrendo le stesse strade di cui conosce a menadito ogni ciglio e con una buona musica che gli risuona nelle orecchie, mentre il passeggero al suo lato vive il paesaggio come un bambino stupito.

"Portami a Mills Creek, Bright!"

La richiesta piomba inattesa nel pre-ritornello di Man on the Moon , posta con la pacatezza e la decisione di chi ha bisogno di tornare ad un passato remoto, al punto di partenza del suo personalissimo calvario per essere libero per davvero.

Bright, invece, eviterebbe volentieri di tornare in quel posto, sulla scena del suo crimine, eppure con le mani sudate che impugnano lo sterzo e la gola secca, fa inversione di marcia e guida in silenzio verso la radura erbosa, carniere dei loro fantasmi.


Colin scende con circospezione e, appoggiandosi pesantemente alla portiera aperta, è soggiogato da quell'impotenza di quando prova a ricordare volontariamente qualcosa e non ci riesce.

Le immagini di quel quattro luglio maledetto affiorano chiare e distinte soltanto nei pensieri di Bright, crudeli e complete in tutti i loro dettagli.

La strada impazzita. Gli occhi fiammanti di dolore. Il corpo scomposto ed insanguinato sulla collinetta di fiordalisi. Colin esanime, incosciente. Lui traumatizzato, immobile come un palo mentre una coltre sottile di aghi di pioggia aveva preso a tormentare il suo corpo.

Adesso, un anno dopo, il bosco profuma d'estate. Profuma di resina e di foglie umide, di more e di fragoline.

L'aria è pura e trasparente, attraverso le nuvole fa capolino un sole che non scotta il viso e la pelle; ci sarebbe tanto da guardare e da fare, tutto per ritemprarsi: i due ragazzi non dovrebbero far altro che riposarsi e divertirsi.

In un attimo, invece, la rabbia tende i muscoli sotto la camicia di Bright, gli fa serrare i pugni e contrarre la mascella e i suoi occhi chiari diventano sottilissime fessure.

Indovinando i pensieri che turbinano dietro quello sdegno manifesto, è Colin a vestirsi da domatore di demoni senza perdere la sua tranquillità.

"Sai, il giorno dopo che sono tornato a casa me ne sono rimasto seduto nella mia camera da letto, dove sono cresciuto, e mi sono accorto che nulla era cambiato. Tutto è come prima. Allora mi sono reso conto di quanto sono cambiato io. E non mi riferisco ai capelli, al peso o ai vestiti che mi stanno larghi. Sono cambiati i miei sogni, percepisco le persone in maniera differente, ho capito tutto quello di nuovo che, adesso, è veramente importante per me. Vorrei che ognuno riconoscesse questi cambiamenti, e non sentirmi spaesato a casa più di quanto non lo ero in quello sperduto ospedale. Il passato, adesso, mi tranquillizza Bright: con la sua tristezza, i suoi silenzi e la sua staticità."

È una confessione così intima che il cuore gli martella nel petto. Mettere a nudo la sua anima non è stato semplice ma è proprio questo atto di estremo coraggio dell'amico che convince Bright a tentare di andare d'accordo con il passato e a seppellire il rimpianto.

Intuendo l'andatura traballante di Colin gli è tosto di fianco per sostenerlo.

"Eccomi qui tartaruga zoppa, il tuo carapace protettivo!"

Convinto a non sfuggire più alle responsabilità adulte, parla anche lui con il cuore in mano.

“Voglio cambiare insieme a te, Colin. Questa volta per davvero!”

“Lo so. E abbiamo già cominciato a farlo, senza accorgercene fratello : non mi hai abbandonato mai negli ultimi mesi, hai sempre trovato un minuto per me. È per questo che, oggi, ho voluto portarti qui: per chiudere il cerchio!”

Chiude gli occhi un secondo. Riprende fiato. Riposa un attimo e quando li riapre riesce a rubare una risata a Bright.

“E, ora, abbiamo ancora metà pomeriggio da sfruttare e non voglio rinunciarci per niente al mondo. Salta su amico. Che ne dici di andare al lago e provare a prendere un pesce a mani nude?”

Bright ride ancora, così felice e così grato. Aiuta Colin a salire dal lato passeggero ma, prima di mettere in moto, esita con uno sguardo sornione.

“Ehi nomade dei laghi, lo sai perché i pesci sono muti?”

Colin si gratta la fronte perplesso, poi azzarda la prima ipotesi che gli passi per la testa.

“Perché hanno le branchie?”

Allora Bright si atteggia a finto erudito e incrocia le braccia come un vecchio professore severo.

“Provaci tu a parlare con la bocca piena d’acqua, fratello

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