We're going home.

di brvkenalec
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. (Parte 1) ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2. (Parte 2) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


You gave me more than a hand to hold, caught before I hit the ground.
Tell me I'm safe, you've got me now. Would you take the wheel If I lose control? If I'm lying here, will you take me home? 


PROLOGO. 

P.O.V Alec.


Quando Alec Lightwood, su ordine del Conclave, si era recato a Buenos Aires per seguire un’indagine su alcuni attacchi da parte del clan dei vampiri della zona, non si aspettava di vedere la sua vita venire stravolta ancora una volta.
E di certo non si sarebbe mai aspettato di dover passare una notte in una camera di un hotel mondano in compagnia di un bambino di poco più di cinque anni che solo poche ore prima aveva tentato di rubargli il portafogli dalla tasca della giacca. 
Quando Alec lo aveva colto sul fatto il bambino era rimasto a fissarlo con un paio di grandi occhioni spaventati che spuntavano da sotto una chioma troppo lunga e arruffata, prima di mettersi a correre fra la soffocante folla di Plaza del Mayo. Lo Shadowhunter aveva deciso di non lasciarselo scappare, incuriosito dal gesto che il piccolo aveva tentato di compiere, e si era messo all’inseguimento cercando di velocizzare il suo ritmo, avanzando al massimo delle sue potenzialità, nonostante in quel momento, dopo aver trascorso una giornata estenuante fra Consigli e riunioni, esse non fossero così al massimo come avrebbero potuto essere se Alec si fosse disegnato una runa della velocità sulla pelle prima di uscire dalla sua stanza, quella mattina stessa.
Fortunatamente per Alec, il bambino dopo qualche minuto di corsa si era stancato e il Nephilim era riuscito, compiendo un ultimo e decisivo scatto, ad afferrarlo per la maglietta logora che stava indossando. Era evidente come il piccolo, a differenza di Alec, non fosse addestrato e non possedesse quindi la resistenza necessaria per correre più a lungo di quanto avesse appena fatto. Nonostante questo, però, Alec si era trovato a chiedersi come mai il bambino fosse riuscito a vederlo, per quale ragione avesse la Vista. Era uno di quei rari casi di mondani nati con il dono della Chiaroveggenza pur non avendo nessun sangue angelico o demoniaco nelle vene?
L’aspetto da mondano lo ha, aveva pensato Alec ad una prima occhiata. Il piccolo non poteva avere più di cinque anni. La corporatura esilissima gli conferiva un aspetto ancora più giovane e i vestiti sporchi e rovinati erano evidentemente di almeno una taglia più piccola di quella che avrebbe dovuto portare. Gli occhi erano marrone scuro, quasi nero, e, nella loro grandezza, avevano un ruolo da protagonisti sul suo viso scavato.Lo Shadowhunter aveva notato che era scalzo e che il suo ginocchio destro sanguinava. 
«Stai bene?» aveva chiesto, cercando di usare un tono calmo. Ormai stava imparando; Era abituato ad utilizzarlo con Max quando lui piangeva, per tranquillizzarlo.Su quel bambino, però, la voce di Alec aveva avuto l’effetto opposto. Il piccolo infatti aveva iniziato a dimenarsi col tentativo disperato di scappare dalla morsa del Cacciatore, ma Alec gli aveva bloccato le braccia in una presa salda, impedendoglielo.
«Hey, non voglio farti del male. Dove sono i tuoi genitori?» 
Nessuna risposta da parte del piccolo, i cui occhi avevano iniziato a diventare lucidi. Alec aveva riconosciuto il segnale ed era arrivato alla conclusione che, se non avesse fatto qualcosa, quel bambino si sarebbe messo a piangere.
«Ti sei perso? Sai, posso aiut-»
«Déjame ir!1» aveva urlato lui, in spagnolo. Lo Shadowhunter era rimasto spiazzato per una frazione di secondo, poi aveva chiuso gli occhi maledicendosi.
«Quanto sei stupido, Alec?» si era detto ad alta voce, lottando contro l’impulso di darsi uno schiaffo.
Non solo il bambino doveva essere terrorizzato nel trovarsi davanti agli occhi un uomo mai visto prima, che indossava nero da capo a piedi e una cintura straboccante di armi, ma molto probabilmente, il fatto che Alec non avesse avuto l’accortezza di parlare in spagnolo, e quindi di permettere al bambino di capire ciò che stava dicendo, doveva aver incrementato ulteriormente le sue paure, e non di poco.
«Discùlpame, debi haber sabido que tu habla espagñol.2 » aveva detto Alec, ringraziando mentalmente Hodge per le lezioni di lingue straniere alle quali lo aveva sottoposto sin da bambino.Il piccolo sembrava essersi calmato un po’, smettendo di divincolarsi e fissando con intensità gli occhi del Nephilim.
« ¿Dónde estan tu padres? 3» aveva ripetuto, questa volta nella lingua giusta.
Gli occhi del bimbo si erano riempiti di lacrime mentre lui scuoteva la testa e abbassava lo sguardo. Le labbra carnose di Alec si erano contratte in una smorfia di dolore e dispiacere. Alec aveva lasciato andare una delle braccia del piccolo e lui stava già iniziando a portarsela verso il volto per asciugare una lacrima che gli rigava la guancia, ma Alec lo aveva preceduto e gliel’aveva asciugata con una carezza gentile.
«Lo siento.4»

Da lì la conversazione era proseguita con difficoltà. Anche se Alec sembrava starsi guadagnando la fiducia del bambino, egli non rispondeva quasi mai alle sue domande e si limitava solamente a starsene seduto contro il muro del vicolo con le ginocchia strette al petto, tremando.
« ¿Te duele?5 » aveva domandato lo Shadowhunter, riferendosi al ginocchio ancora sanguinante che aveva notato prima. Il piccolo aveva seguito lo sguardo di Alec e si era sfiorato la ferita con il piccolo indice.
« Un poco.6»
Alec si era avvicinato cautamente, per esaminare meglio la lesione.
« Necésitare algo para desinfectar la herida7
Il bambino lo fissava con lo stesso sguardo col quale Max era solito fissarlo quando lui si allenava nella palestra dell’Istituto: curiosità mista ad una punta di inspiegabile ammirazione.
Il Nephilim si era guardato intorno. I passanti, che si recavano con passo deciso verso le proprie rispettive abitazioni, ovviamente non potevano vederlo, essendo dei semplici mondani. Eppure sembrava che ignorassero anche la presenza del piccolo bambino ferito, malgrado Alec fosse convinto che se solo avessero abbassato lo sguardo, avrebbero potuto vederlo.
Il ragazzo aveva sbuffato ed era tornato a rivolgere la propria attenzione al bambino. Rannicchiato lì, con una ferita che rischiava di infettarsi da un momento all’altro e una sola maglietta strappata a ripararlo dal freddo e dall’umidità, sembrava sul punto di cadere a pezzi. Per qualche secondo ad Alec era apparsa nella mente l’immagine di Max, quando era ancora in fasce e giaceva sulle scale dell’Accademia con un biglietto adagiato al suo fianco.
Lo stomaco di Alec si era chiuso in una morsa d’acciaio.
« Quieres venir conmigo? Yo puedo ayudarte. Debe tener mucha hambre.8 » Il piccolo sembrava ancora titubante ma il suo sguardo si era illuminato nel sentire parlare di cibo.
«No te haré daño.9» aveva insistito Alec, ponendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«¿Prometes?10» La domanda del bambino era uscita in un sussurro ma il ragazzo l’aveva colta ugualmente e aveva sorriso.
« Prometes.11»
Sentite queste parole, il bambino aveva allungato la mano e aveva afferrato quella più grande del Cacciatore e insieme avevano iniziato allontanarsi verso l’hotel presso il quale Alec alloggiava.

Fu dall’istante in cui Alec e il piccolo varcarono la soglia della stanza, proprio nel momento in cui fuori iniziò a tuonare, che la vita del Cacciatore iniziò a cambiare.

Ancora una volta.



Traduzione dialoghi in spagnolo:

1: Lasciami andare!
2: Perdonami, avrei dovuto sapere che parli spagnolo.
3: Dove sono i tuoi genitori?
4: Mi dispiace.
5: Ti fa male?
6: Un po'.
7: Mi serve qualcosa per disinfettare la ferita.
8: Vuoi venire con me? Posso aiutarti. Avrai sicuramente molta fame.
9: Non ti farò del male.
10: Promesso?
11: Promesso. 

N.B: Non ho mai studiato lo spagnolo quindi mi scuso per eventuali errori!

Note d'autore.


Hey Shadowhunters! Come state?
Sono finalmente tornata, dopo mesi di hiatus, con una storia incentrata sulle dinamiche famigliari di una delle nostre coppie preferite, la Malec! 
Personalmente sono curiosissima di vedere Alec e Magnus nei panni di genitori, anche se sono già convinta che saranno fantastici e che daranno ai propri figli lo stesso amore che si danno reciprocamente, ogni giorno. 

La seconda stagione si avvicina! Siete emozionati quanto lo sono io? 

Fatemi sapere se la storia vi piace e se vorreste leggere i capitoli successivi!

Un bacione, Alice. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


CAPITOLO 1.

P.O.V Alec.
 

Una volta entrato nell’ambiente a lui poco familiare ed essersi guardato attorno con marcata curiosità, il bambino, su consiglio di Alec, si sedette timidamente sul bordo del letto. Dalla sua postura rigida, Il cacciatore poteva constatare che il piccolo non si sentiva ancora totalmente al sicuro, nonostante lui gli avesse ripetuto più volte di volerlo aiutare e di non avere cattive intenzioni. I suoi occhi si muovevano con una velocità impressionante, analizzando ogni particolare della stanza, quasi volesse trovare una via di fuga nel caso in cui si fosse presentata la necessità di scappare.
«Tienes hambre?1» chiese Alec, avvicinandosi al piccolo frigo e aprendone l’anta.Il bambino alzò il volto sorpreso, fissando i suoi grandi occhi scuri in quelli del Cacciatore dall’altra parte della stanza. Dopo un momento di esitazione annuì.
« Es tu dia de suerte, tengo sobras de pizza.2» Alec sorrise, tirando fuori un piatto pulito dalla credenza del piccolo cucinino presente nella stanza d’albergo e posando sul tavolo un invitante trancio di pizza. Scostò la sedia e con un gesto della mano invitò il bambino a sedersi. Lui fissò con aria titubante la runa della Vista sulla pelle del Cacciatore ma poco dopo si alzò dal materasso e andò a sedersi al tavolo. Alec si versò un bicchiere d’acqua e si sedette di fronte al bambino, osservandolo mangiare.
A giudicare dalla velocità con la quale si stava avventando sulla pizza, il piccolo doveva essere rimasto digiuno a lungo. Alec fu invaso dal dispiacere e non poté evitare di pensare a Max e a tutti quei bambini che, come lui, avevano come unica preoccupazione quella di decidere fra quali cereali mangiare per colazione, al contrario del bambino che ora sedeva di fronte a lui che non aveva nemmeno la certezza di poter mettere sotto ai denti qualcosa ogni giorno.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del suo cellulare che, oltre a riportare Alec alla realtà, spaventò il bambino, facendogli perdere la presa sulla fetta di pizza, la quale cadde sul piatto con un tonfo sordo. Il Cacciatore si portò il telefono all’orecchio, non senza prima fare un gesto rassicurante per fare capire al bambino che era tutto sotto controllo e che poteva tornare a mangiare senza preoccupazioni.
« Sì? »
« Alexander! Grazie al cielo stai bene. Perché non hai risposto alla mie chiamate? » La voce di Magnus conteneva un misto di isteria e rabbia, il che non succedeva spesso. Alec corrugò le sopracciglia, confuso, e allontanò il cellulare per constatare che Magnus aveva davvero provato a contattarlo più volte. Sullo schermo compariva la scritta “8 chiamate perse.” Il ragazzo si passò una mano dietro al collo con imbarazzo e dovette impegnarsi al massimo per evitare di lasciarsi scappare un’imprecazione davanti al suo piccolo ospite.
« Magnus. Calmati. Mi dispiace, okay? Ho avuto un imprevisto e non ho proprio controllato il telefono. Scusa, davvero.»
«Un imprevisto? Di che si tratta, tu stai bene? » Pur trovandosi a oltre mille chilometri di distanza, Alec riusciva a percepire la tensione del suo ragazzo e si maledì ulteriormente per averlo fatto preoccupare in quel modo. Odiava quando le persone si preoccupavano per lui. Preferiva essere lui quello che si angosciava per gli altri. Lo aveva sempre fatto, ormai era un’abitudine irrinunciabile. Eppure, da quando Magnus era comparso nella sua vita, sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti. Lo stregone si premurava per Alec come nessun altro aveva mai fatto, e Alec non sapeva mai come sentirsi a riguardo. Sapeva di dover essere sollevato e che il comportamento di Magnus dimostrava ancora una volta quanto ci tenesse a lui, ma allo stesso tempo non amava sapere che qualcuno stesse male per colpa sua, nemmeno se “sentirsi male” significava semplicemente essere preoccupati. Alec Lightwood non voleva ferire le persone che amava, nemmeno per sbaglio.
« Sì, sto bene. E’ che… Ho trovato un bambino. Orfano. Ha la Vista. Non credo abbia una casa dove stare e- » il Cacciatore lasciò uscire dalle sue labbra uno sbuffo di esasperazione. Si prese un minuto di pausa, che Magnus decise di non riempire. « Sembra così… piccolo, Magnus. Non so cosa fare con lui.»
Ci fu un momento di silenzio fra i due interlocutori. Nonostante nessuno stesse parlando, il lieve rumore dei loro respiri riusciva a passare attraverso la linea telefonica, e a trasmettere emozioni non esprimibili a voce, o in nessun altro modo.
« Dove siete adesso?» domandò lo stregone infine. Alec guardò verso il bambino, che aveva finito la pizza e stava cercando di pulirsi il viso sporco di pomodoro con le sue ditina altrettanto sporche. Sebbene la situazione non fosse per niente divertente, ad Alec scappò un sorriso nel vedere l’ingenuità del piccolo. «L’ho portato in albergo e gli ho dato da mangiare. E’ ferito ad un ginocchio ed è sporchissimo. E per l’Angelo, Magnus, sta tremando di freddo. Che cosa dovrei fare? Io non so-»
«Calmati, Alexander. Sei un padre fantastico, okay? Hai tutto sotto controllo. » disse Magnus, con decisione. L’effetto delle sue parole fu immediato ed Alec strinse le dita attorno al bordo del tavolo, come se al posto del legno stesse stringendo le dita del suo ragazzo, in cerca del sostegno che lui gli dava ogni volta che si trovava nei suoi paraggi.
«Hai ragione, scusami. Non so cosa mi prende. E’ solo un bambino dopotutto, no? Non dovrei reagire così.» rispose il Cacciatore, più cercando di convincere se stesso che altro. Si alzò dalla sedia, voltandosi verso la finestra e appoggiando la fronte sul vetro freddo. Poteva vedere il tramonto sotto ai disegni che il suo fiato lasciava contro la superficie trasparente.
« Ascoltami, Alec. Ora, cerca di dare una sistemata al piccolo e occupati della sua ferita, se devi. Una volta fatto ciò, mi avvisi ed aprirò un portale così potrete raggiungermi qui all'appartamento e decideremo il da farsi insieme, come facciamo sempre. Va bene? Sono sicuro che il Conclave non farà troppe storie se ti assenti per una notte. Probabilmente non se ne accorgerà nemmeno.»
« Sì, hai ragione. E’ la soluzione migliore. Avrei comunque dovuto avere la mia ultima riunione domani all’alba. Se la mia presenza sarà necessaria potrò sempre venire e tornare da voi appena finisce. »
« Ovviamente è la cosa migliore da fare, perché è una mia idea. Sono o non sono il Sommo Stregone di Brooklyn? » chiese Magnus, ridendo. Alec rise a sua volta, immaginando i tratti indonesiani dello stregone contrarsi sul suo volto, lasciando spazio al sorriso che lui amava tanto.
«Sì, sei sempre il vecchio saggio. Ti amo, Magnus. Ci sentiamo più tardi.»
« Non troppo vecchio, Alexander. Ti amo anche io.» E con questo si concluse la chiamata.
Ancora sorridendo allo schermo, Alec si voltò verso il tavolo, aspettando di trovare il bambino ancora seduto sulla sedia. Ma quando alzò lo sguardo, lui non era più lì. Il panico si impossessò del giovane Cacciatore, che cominciò ad aggirarsi per la stanza cercando il piccolo.
«Hey!» disse Alec, ad alta voce, cercando di attirare l’attenzione del bimbo, dovunque lui fosse.
«Niño?3»
Dove poteva essersi cacciato? La stanza non era così grande ed al Cacciatore sembrava di aver controllato in tutti i nascondigli immaginabili dalla mente di un bambino di poco più di cinque anni. Mentre spostava la tenda per la milionesima volta sentì un rumore proveniente dall’atrio. Alec girò la testa di scatto e si avvicinò lentamente all’ingresso. La sua runa del Silenzio gli permise di sorprendere il bambino di spalle, senza farsi scoprire. Il piccolo stava armeggiando con la corda dell’arco che Alec aveva depositato accanto alla porta di ingresso insieme alla faretra e al resto della sua tenuta da caccia. La faretra era a terra e il suo contenuto rovesciato.
«¿Sabes que no deberías jugar con eso? Es peligroso.4 » disse Alec in spagnolo, posando una mano sulla sottile spalla del bambino e cercando di allontanarlo dall’arma. Quando vide quell’esile corpicino sussultare sotto alla sua presa sperò mentalmente di non aver usato un tono di voce troppo severo.
Il piccolo si girò e fissò, ancora una volta, il suo sguardo in quello del ragazzo alto che torreggiava sopra di lui, ma non disse nulla. I suoi occhioni, che sembravano sproporzionatamente grandi per il suo viso spigoloso, e che erano parzialmente coperti dai ricci scuri ed arruffati, in quel momento erano lucidi e Alec temeva che si riempissero di lacrime da un momento all’altro.
« Te puedo ayudar a lavarte si tu quieres. Debemos desinfectar tu herida. 5» continuò, spingendo lentamente il bambino verso la porta del bagno. Il Cacciatore rimase sorpreso quando lui iniziò ad opporre resistenza e a strillare, utilizzando tutto il repertorio di insulti in spagnolo che doveva aver appreso ascoltando e osservando i passanti di Plaza del Mayo. Alec strinse la presa sul suo braccio ma non troppo, temendo di fargli del male. Il piccolo tirava in direzione opposta al bagno, verso l’ingresso dove pochi minuti prima era stato sorpreso a giocare con l’arco e le frecce dello Shadowhunter.
Alec decise che lasciarlo andare e seguirlo fosse la scelta migliore da fare per capire che cosa volesse, dal momento che il bambino non sembrava molto entusiasmato dall’idea di comunicare e di trasmettere i propri desideri a voce. Il piccolo tornò all’ingresso ed afferrò una delle frecce dal pavimento, poi si voltò di nuovo verso Alec.
«¿Puedes enseñarme? 6»
Le sopracciglia del Cacciatore scattarono verso l’alto nel sentire la bizzarra richiesta e per un attimo Alec rimase a corto di parole. L’arco non era l’arma più comune fra gli Shadowhunters e forse anche la più sottovalutata. Il ragazzo ricordava bene gli sguardi di disapprovazione dei suoi genitori nel vedere l’arma scelta da loro figlio. Ed ora, quel bambino, gli stava chiedendo di insegnargli come utilizzarlo?
Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. «Si, claro!7» Il bambino ricambiò timidamente il sorriso e si strinse la freccia al petto.
«Pero primero debemos cuidar de tu herida.8 » aggiunse, allungando una mano verso la freccia, aspettando che il bambino gliela consegnasse, per poterla riporre nella faretra insieme alle altre. Il piccolo però non si mosse, se non per rafforzare la presa sulla freccia e stringerla ancora di più a sé.
Alec alzò gli occhi al cielo. Questo bambino è più testardo di Max, si ritrovò a pensare.
«Vale. Sólo por favor...ten cuidado. La punta es afilada.9»
Dopo essere giunti al compromesso, Alec e il bambino raggiunsero finalmente il bagno, dove Alec pulì come meglio poteva la sua pelle, scrostandola dalla polvere e dalla salsa di pomodoro della pizza. Buttò la maglia, ormai ridotta ad uno straccio logoro, che indossava e gli infilò il maglione più stretto che trovò nella valigia, che comunque era troppo lungo per il suo piccolo corpo e gli arrivava fino al ginocchio. Durante tutta l’operazione il bambino aveva continuato a giocherellare con la freccia, rischiando di infilzare Alec in un occhio con un movimento troppo brusco.
Una volta averlo pulito e rivestito, il ragazzo prese in braccio il piccolo e lo riportò in camera da letto, per adagiarlo sul materasso.
Si accovacciò e tirò fuori da sotto il letto un kit di primo soccorso dal quale prese il necessario per disinfettare il taglio: antisettico, garze, bende, crema cicatrizzante.
Quando Alec si inginocchiò ai piedi del letto e iniziò a imbevere del cotone con il disinfettante, l’interesse del piccolo per la freccia sembrò sparito quasi del tutto, nonostante il dardo fosse ancora ben stretto fra le sue piccole dita. Ora la sua attenzione era totalmente catturata dai gesti lenti ed esperti del Nephilim, che muoveva le sue mani con una dimestichezza tale da far pensare che quella non fosse la prima volta in cui si era trovato a dover prendersi cura delle ferite di qualcuno. Era vero che ogni Istituto offriva un corso di pronto soccorso di base per tutti i suoi studenti, per i casi estremi in cui le rune non potevano fare il loro lavoro, ma l’esperienza di Alec non derivava solamente da quelle lezioni. Fin da piccolo era abituato a prendersi cura dei suoi fratelli, ogni volta che erano poco prudenti durante gli allenamenti o mentre giocavano, e finivano per cadere e sbucciarsi le ginocchia o i palmi delle mani. Quando succedeva, Isabelle e il fratellino Max lo guardavano con la stessa espressione con la quale lo stava guardando ora quel bambino di cui non conosceva nemmeno il nome.
Dopo aver chiuso il bendaggio con una garza elastica Alec rassicurò il piccolo dicendogli che il bruciore che sentiva era dovuto all’azione dell’antisettico e della crema a base di arnica sulla ferita, e che sarebbe scomparso prima ancora che lui se ne accorgesse.
Il bambino aveva annuito alle parole del Cacciatore e si era rimesso a gingillare con la freccia mentre Alec mandava un messaggio a Magnus per dargli il via libera per aprire il portale.
«Escucha, pequeño. Te llevaré a un lugar securo. Tienes que confiar en mì, claro?10»
Il diretto interessato annuì ancora una volta e si mise in piedi, raggiungendo la mano di Alec tesa verso di lui. Lui si chinò e lo prese in braccio, assicurandosi di avere una presa abbastanza salda. Pochi secondi dopo un portale si materializzò nella stanza davanti a loro, alzando un venticello che fece rabbrividire il bimbo anche da sotto il maglione pesante che indossava. Le sue pupille si dilatarono e dalle sue piccole labbra uscì un lamento.
«No te preocupes, no te dejaré ir.11» E con queste parole Alec entrò nel portale.

 

            ***

 

Niente era cambiato nel salotto dell’appartamento di Magnus da quando Alec era partito per Buenos Aires. Lo stesso arredamento vintage, lo stesso profumo di casa. L’unica cosa diversa era che ora Alec vi ci aveva messo piede con un bambino aggrappato alla sua giacca, con la testa nascosta nell’incavo del suo collo, proprio sopra la sua runa di Blocco. «Alexander!» Magnus era in piedi davanti al divano, con le braccia ancora a mezz’aria e delle scintille blu che guizzavano fra le sue lunghe dita. «Magnus.» disse lui allo stregone, con un sorriso sollevato. Il Nascosto gli si avvicinò e si alzò sulle punte dei piedi, pronto a salutare il suo ragazzo con un bacio sulle labbra, quando si ricordò del bambino che giaceva sulla sua spalla. Nello stesso istante in cui il piccolo sollevò lo sguardo, rivelando un volto rigato dalle lacrime, una vocina riempì il silenzio del salotto.
«Papà?» Sia Alec che Magnus si voltarono di scatto, già sapendo chi avesse posto la domanda. Max, loro figlio, era in piedi nel corridoio. Indossava il suo pigiama preferito e aveva i capelli scompigliati. Quando si accorse che suo padre era davvero tornato da Buenos Aires e si trovava a pochi passi da lui il suo viso si illuminò e gli corse incontro, abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo.
«Papà! Mi sei mancato tantissimo.» disse, saltellando sul posto e spostando lo sguardo da Alec a Magnus.
«Anche tu, piccolo. Ma tu che cosa ci fai ancora sveglio? Sbaglio o il tuo coprifuoco è passato da un bel po’?» rispose Alec, scompigliando affettuosamente i capelli del figlio, ma allo stesso tempo lanciandogli un’occhiata severa. Non amava vedere il figlio infrangere le regole.
«E io sbaglio o ti avevo messo a letto due ore fa?» indagò Magnus, incrociando le braccia al petto.
Max sbuffò. «Ero nel mio letto, infatti, ma poi ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare e...» si interruppe senza terminare la frase. «E’ un bambino, quello?» chiese, corrugando la fronte, visibilmente confuso. Alec annuì. «Non ha nessun posto dove stare. Viene da Buenos Aires e cercheremo di aiutarlo. Confido che tu ti comporterai bene con lui finché resterà con noi.»
«Sì.» disse Max, con una serietà che sul viso di un bambino di quattro anni sembrava fuori posto.
Poi si avvicinò al bambino, che si teneva ancora stretto contro il petto di Alec. In una mano stringeva la freccia, mentre l’altra era infilata in bocca, gesto che probabilmente gli era venuto spontaneamente in un momento di confusione e tensione come quello che stava vivendo. Il suo viso era ancora bagnato dalle lacrime. Max si alzò in punta dei piedi, cercando di arrivare all’orecchio dell’altro bambino.

«Benvenuto a casa.» sussurrò.


Traduzione dialoghi in spagnolo.

1 :Hai fame?
2 : E' il tuo giorno fortunato, ho degli avanzi di pizza.
3: Bambino? 
4:  Sai che non dovresti giocare con quello? E' pericoloso.
5: Posso aiutarti a lavarti, se vuoi. Dobbiamo disinfettare la tua ferita.
6: Puoi insegnarmi?
7: Si, certo!
8: Però prima dobbiamo prenderci cura della tua ferita.
9: Va bene, Per favore, però, fa attenzione. La punta è affilata.
10:  Ascoltami, piccolo. Ti porto in un posto sicuro. Tu devi fidarti di me, va bene?
11: Non preoccuparti, non ti lascio andare.

 

 

Note dell'autore.

Buonasera Lettori, come state? Spero che voi possiate perdonarmi per la lunga assenza ma fra problemi personali e impegni scolastici, non ho un attimo di tregua. Spero vi piaccia questo nuovo capitolo. Fatemi sapere che cosa ne pensate e se siete interessati a leggere i capitoli seguenti. Mi sarebbe davvero d'aiuto. 
Vi ringrazio!

Un bacio, Alice.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. (Parte 1) ***




CAPITOLO 2. (Parte 1.)

P.O.V Magnus.


 

Dopo che Max aveva fatto conoscenza col nuovo arrivato, Magnus lo portò a letto per la seconda volta e pregò mentalmente che ci restasse. Aprire il portale lo aveva stancato e in quel momento l’unica cosa che desiderava era potersi infilare con Alec sotto al piumone caldo del loro letto a baldacchino e rilassarsi, per poi addormentarsi insieme e dormire abbracciati, come ormai era consuetudine fare per la coppia. Per fortuna Max si addormentò quasi subito e lo stregone si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo prima di baciare suo figlio sulla fronte, sistemare un’ultima volta le sue coperte in modo che non prendesse freddo durante la notte, ed uscire dalla stanza cercando di fare il minor rumore possibile. Mentre attraversava il corridoio per dirigersi nella camera da letto che condivideva con Alec, sentì la famigliare voce dello Shadowhunter provenire da una delle stanze degli ospiti nella quale avevano sistemato temporaneamente il bambino che lui si era portato con sé dall'Argentina. Magnus si avvicinò e si affacciò nello spiraglio della porta semichiusa, osservando con le sopracciglia alzate la scena che gli si presentava davanti agli occhi. Sia Alec che il bambino erano sdraiati sul letto. Il Cacciatore sopra al piumone mentre il piccolo, che ora indossava un pigiama preso in prestito da Max, infilato sotto alle coperte. Alec parlava con tono rassicurante, un braccio piegato sotto al suo corpo a sostenerlo in una posizione semi-sdraiata, mentre il bambino aveva il volto piegato di lato e ascoltava con attenzione ciò che il ragazzo gli stava dicendo. Magnus sorrise, ricordando la prima sera in cui avevano trovato Max sui gradini dell’Accademia e Alec aveva tenuto il neonato fra le sue braccia con protezione ed affetto. La situazione sembrava starsi ripetendo con quel nuovo piccolo estraneo. Quella fantasia ad occhi aperti doveva averlo distratto dalla realtà più a lungo di quanto gli fosse sembrato perché quando sbatté le palpebre per scacciare il ricordo dalla sua mente, si ritrovò davanti le espressioni interrogative del suo ragazzo e del piccolo, che ora si era alzato e si era messo seduto. «Magnus, c’è qualcosa che non va?» chiese Alec. Dal suo tono di voce, insistente e quasi preoccupato, non doveva essere la prima volta che il Nephilim gli poneva la domanda.

Lo stregone sbatté le palpebre ancora una volta, confuso, e fece qualche passo, entrando nella stanza.
«Oh, no. Assolutamente no. Anzi, perdonatemi per aver interrotto il vostro momento. » rispose, sorridendo e giocando nervosamente con gli innumerevoli anelli di cui ornava sempre le sue dita affusolate. «Volevo solo dirti, Alec, che Max si è addormentato, finalmente. Ti aspettavo per andare a dormire. »
«Uhm. Mh, certo.» il Cacciatore si schiarì la voce, mettendosi in piedi e avvicinandosi a Magnus. «Il fatto è che… Vedi, non vuole che lo lasci da solo. » continuò, voltandosi parzialmente verso il bambino che era ancora seduto sul letto e che adesso li fissava intensamente, con gli occhi sgranati e due delle sue piccole dita infilate in bocca. «So che può sembrare strano, ma prima si è messo a piangere mentre stavo uscendo dalla porta. Mi dispiace, Magnus.»
Gli anelli brillarono sotto la luce artificiale del lampadario quando lo stregone alzò una delle sue mani e poggiò l’indice sulle labbra carnose di Alec.
«Sembra che dovrai restare qui a fare il papà, eh?» disse, sorridendo. «Non ti preoccupare per me, Alexander. Sembra che qualcuno stasera abbia bisogno di te più di quanto ne abbia bisogno io. »
Alec sorrise a sua volta. «Devo alzarmi all’alba, domattina. Sai, per la riunione del Conclave. Spero che lui decida di addormentarsi prima di allora, così passerò a salutarti prima di partire. Non tarderò a tornare, in ogni caso, il Consiglio dovrebbe durare un’oretta al massimo.»
«Penso di potermela cavare da solo con i bambini per qualche ora, non credi?» chiese Magnus con un ghigno divertito e poi alzandosi sulla punta dei piedi ed allungandosi verso le labbra del Cacciatore, per un ultimo bacio della buonanotte.
«A domani.» rispose Alec.
Prima di uscire in corridoio Magnus guardò oltre le spalle del Cacciatore, verso il bambino e gli fece l’occhiolino. «Sé amable con él.1» 
E con questo si chiuse la porta alle spalle.

                                                       ***

A malincuore, sia per Magnus che per il diretto interessato, le speranze di Alec non andarono a buon fine. Il bambino non chiuse occhio fino alle sei del mattino, non definitivamente almeno. Ogni volta che Alec si alzava e si incamminava verso il corridoio, pensando che il bambino stesse finalmente dormendo, sentiva il rumore di piccoli passi dietro di sé e poco dopo una mano gli afferrava la maglietta. Quando si girava trovava sempre il solito paio di occhi grandi, pieni di lacrime trattenute e di una silenziosa richiesta che pregava Alec di non abbandonarlo, di non lasciarlo da solo come qualcuno doveva aver fatto tempo prima. Allora il Cacciatore si lasciava travolgere da quello sguardo smarrito e, prendendo la mano del bambino, lo riaccompagnava in camera e aspettava ancora una volta che lui si addormentasse. Poi il ciclo si ripeteva, finché ad un certo punto Alec aveva capito che non valeva nemmeno più la pena alzarsi.
Quando Alec si era svegliato, la radiosveglia segnava già le 6.05. Si era alzato di colpo, ma pur sempre con attenzione. Il bambino stava finalmente dormendo, e, nonostante apprezzasse la fiducia che il piccolo gli aveva dato, il Nephilim non poteva permettersi di avere qualcuno che lo rallentasse e che gli impedisse di partire, considerato che era già in ritardo. Prima di uscire dalla porta e chiudersela dietro di sé, Alec si era preso un minuto per osservare l’esile figura che si trovava sotto le coperte. Sembrava ancora più piccolo di quanto gli era sembrato quando lo aveva trovato la sera prima e adesso la sua fronte era aggrottata, come se non riuscisse ad avere un momento di pace nemmeno mentre dormiva.
Alec aveva poi raggiunto Magnus, che lo aspettava in salotto con una tazza di caffè fumante.
 «Torno presto.» aveva promesso. Poi aveva attraversato il portale che lo stregone aveva aperto, e si era allontanato dall’appartamento ancora una volta.

Lo stregone si trovava adesso in cucina e stava preparando la colazione. Mentre metteva in tavola tre tazze e i cereali preferiti di Max, si ritrovò a pensare, non per la prima volta in quella settimana, a quanto odiasse il fatto che Alec dovesse stare lontano da casa tanto a lungo. Il letto sembrava vuoto quando non c’era il suo corpo alto e muscoloso ad occuparlo insieme al suo ed era sicuro che ci fosse qualcosa di diverso anche sul viso di loro figlio quando lui non era presente. Nonostante la mancanza di Alec fosse qualcosa di dolorosamente difficile da sopportare, Magnus sapeva che doveva rispettare il lavoro del suo ragazzo, anche se ogni volta che usciva di casa armato di arco e frecce il suo cuore perdeva un colpo per paura di non vederlo più tornare.
Magnus scacciò quel pensiero dalla testa, cercando di allontanarlo il più possibile.
«Max!» urlò per l’ennesima volta, avvicinandosi al vano delle scale che portavano al piano superiore, dove si trovava la sua stanza. «Scendi o arriverai in ritardo a scuola.»
«Arrivo papà!» urlò lui in risposta. Poco dopo Magnus sentì i passi pesanti di Max scendere le scale e la sua massa indistinta di capelli arruffati entrò in cucina.
«Dormito bene?» Lo stregone posò davanti al bambino un piatto straboccante di uova e pancetta.
Lui annuì e ringraziò. Magnus lo osservò mentre cercava di mettersi il cibo in bocca senza fare grandi pasticci, impugnando una forchetta forse troppo grande per la sua piccola mano. Sia Magnus che Alec avevano provato a farlo ragionare, spiegandogli che avrebbe potuto usare posate più piccole, adatte alla sua età, e che questo avrebbe reso tutto più comodo, ma Max stava attraversando una di quelle fasi in cui spesso i suoi coetanei erano soliti entrare. Un giorno aveva guardato con sguardo serio i suoi due papà e aveva annunciato che era grande abbastanza per poter utilizzare le “cose da adulti”, il che includeva anche, oltre al dopobarba di Alec e al gel per capelli di Magnus, le posate da grandi.
«Dov’è il bambino strano?» chiese Max, sorseggiando del succo all’ace da un bicchiere “da grandi.” Aveva i lati della bocca sporchi e Magnus si avvicinò per pulirlo con un tovagliolo.
«Non è strano, Max. E’ solo che per lui tutto questo è nuovo.» disse, versandosi del caffè nella propria tazza e risedendosi al tavolo. «E comunque ho preferito lasciarlo dormire. Ieri sera mi sembrava esausto. Potrà fare colazione dopo che-»

«¿dónde está Alec?2» Magnus e il figlio, entrambi sorpresi da quell’improvvisa interruzione, si voltarono di scatto verso l’entrata della cucina dove spuntava, da dietro lo stipite della porta, la testa del loro ospite. Max si era immobilizzato con un biscotto mangiuccato a metà fermo a mezz’aria. «Non sa parlare?» chiese, stupito, appoggiando il biscotto sulla tovaglia. Lo stregone alzò gli occhi al cielo e mise giù la tazza di caffè, alzandosi in piedi per avvicinarsi al nuovo arrivato, il quale era ancora seminascosto dalla porta. «Ma certo che sa parlare, Max. Utilizza una lingua diversa dalla nostra. Lo spagnolo, per l’esattezza.» Si accovacciò sulle ginocchia, senza avvicinarsi troppo al bambino ancora visibilmente spaventato.

«Alec está asistiendo a una reunión, pequeño. Él pronto volverá a casa, no te preocupes.3» L’orologio sopra la credenza, in effetti, segnava già le nove e un quarto e a quel punto la riunione col Conclave doveva essersi già conclusa. Alec avrebbe potuto materializzarsi nel salotto da un momento all’altro. Prima di partire aveva informato il suo ragazzo che non avrebbe avuto bisogno di un suo portale per tornare indietro, ma che il Console in persona aveva incaricato un gruppo di stregoni di rispedire a casa tutti quegli Shadowhunters che non abitavano a Buenos Aires. 
Malgrado il sorriso rassicurante col quale Magnus aveva pronunciato quelle parole, il bambino si ritrasse ulteriormente. Il suo viso si era distorto in un’espressione che conteneva confusione mista a qualcosa di molto simile alla delusione e al dolore. 

«Oye, no te preocupes. ¿Quieres desayuno?4» chiese Magnus, indicando il tavolo bandito alle sue spalle. Il bambino allungò il collo per guardare ciò che lo stregone gli stava mostrando e fece contatto visivo con Max, che era rimasto in silenzio fino ad allora. 
«Puoi mangiare i miei biscotti. » disse Max, come se volesse convincere il bambino a sedersi al tavolo con loro. «Per oggi.»
Il piccolo fissò Max per un lungo minuto prima di scoppiare a piangere e scappare in corridoio. 
Magnus sbuffò e si girò verso il figlio.  «Che ho detto?»  
«Non è colpa tua, Max. » Magnus si passò una mano fra i capelli laccati e chiuse gli occhi, con esasperazione. Max, con un’empatia straordinaria per i suoi quattro anni, non poté fare a meno di notare che sembrava molto stanco, quasi triste, e si chiese quale potesse essere la ragione. «Per favore, va in camera tua e preparati. Quando tuo padre arriverà ti accompagnerò all’asilo.»
Il bambino annuì e salì le scale correndo. 
Magnus tirò fuori il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni di tweed e mandò un messaggio ad Alec. 
“Alexander, abbiamo un problema.” Una volta essersi assicurato che fosse arrivato al destinatario, si fiondò in salotto. Dove potrebbe nascondersi un bambino spaventato e in lacrime?, chiese a se stesso, facendo ricorso alla sua limitata esperienza con i bambini. 
Cercò ovunque. Le camere da letto al piano terra, il bagno, addirittura lo sgabuzzino nel quale tenevano le riserve alimentari. Max era solito intrufolarsi in quella stanza. Quando era più piccolo, lui e Alec lo avevano trovato con le mani infilate in una busta di biscotti e il viso ricoperto di cioccolato. Alec era arrabbiato e aveva iniziato a fare un lungo discorso su quanto fosse pericoloso, sottolineando che Max sarebbe potuto diventare diabetico o peggio, se avesse continuato a mangiare così tanti dolci, e aveva insistito perché lui e Magnus stabilissero delle regole, per evitare che situazioni simili potessero ripetersi. In tutto ciò Max rideva e continuava a mangiare biscotti, mentre Magnus scattava foto con il suo cellulare. Qualche giorno dopo ne aveva addirittura fatta sviluppare una da un suo amico fotografo e l’aveva messa in una cornicie, sopra al comodino della loro stanza.  Ma il nuovo bambino non sembrava interessato ai dolci quanto lo era loro figlio, dato che non si trovava nemmeno nello sgabuzzino. 
Solo quando Magnus era ormai sfinito, con la fronte imperlata di sudore, Alec si materializzò accanto alla porta d’ingresso. 
Appena lo vide lo stregone si lasciò cadere sul divano, con un suono molto simile a quello che Presidente Miao emetteva quando lui si ricordava finalmente di riempirgli la ciotola. 
«Magnus! Tutto bene? Ho letto il tuo messaggio.» Alec si avvicinò al divano, tendendo una mano verso Magnus per aiutarlo a rialzarsi. Lui, ancora stravaccato sui cuscini con una mano poggiata sulla fronte in un gesto teatrale, lo guardò con un’espressione che il Cacciatore interpretò come una tacita domanda retorica che probabilmente voleva dire “Ti sembra una faccia da tutto bene?” 

«No, non va tutto bene.» sottolineò, alzandosi senza usufrire dell’aiuto del suo ragazzo. «Il tuo bambino è scomparso. Nel nulla. Nel nulla, ti dico.» 
Alec alzò gli occhi al cielo, cosa che, Magnus doveva ammettere, gli riusciva parecchio bene. «Magnus, cosa stai dicendo? Sarà qui da qualche parte. Hai cercato be-» Il ragazzo venne interrotto da due piccole braccia che gli circondarono la gamba sinistra, da dietro, stringendola con forza. Alec si voltò e abbassò lo sguardo, aspettando di vedere la pelle e gli occhi blu di suo figlio Max, che amava accoglierlo in quel modo ogni qualvolta che tornava a casa. Ma Alec fu sorpreso nel vedere che le braccia che lo stavano abbracciando non erano di Max, bensì dello stesso bambino che la sera prima aveva cercato di derubarlo. 
«E tu da dove sbuchi?» chiese Magnus, ancora più sorpreso di Alec. Quest’ultimo, dopo essersi ripreso dallo stupore, arruffò i capelli scuri del bambino e lo prese in braccio, avvolgendolo con cura. Il bambino lasciò andare la presa sulla gamba solo per poi stringerla intorno al collo del Cacciatore, strappando una risata ad Alec. 
Il piccolo guardò oltre la spalla e fissò Magnus, che gli stava lanciando un’occhiata diffidente. Poco dopo gli fece una linguaccia, lasciando lo stegone ancora più a bocca aperta. 
«Alexander. Credo che questo bambino mi odi.»
«Che cosa ti prende, Magnus? » chiese Alec, confuso. «Questo bambino non sa nemmeno cosa significhi odiare.»
Magnus si lasciò scappare un singhiozzo, in rassegna. «Dovrei accompagnare Max all’asilo. Quando torno spero di poter avere una conversazione seria con te.»
Alec annuì. «Sì, anche io ho bisogno di parlarti.»
Nel frattempo Max scese le scale, saltando i gradini due a due, con in spalla uno zaino troppo grande per lui. 
«Max, cos’ho detto riguardo il correre in casa?» chiese Alec, serio. 
«Che non devo farlo. Ciao, padre. » disse lui, abbracciando il Cacciatore. Anche se Alec era il genitore severo, Max lo amava lo stesso. Non c’era giorno in cui non dimostrava ai suoi genitori quanto ci tenesse a loro. 
«Sei pronto? Hai preso tutti i tuoi giochi?» Magnus posò una mano sulla spalla di suo figlio e si mise il suo zaino in spalla, per alleggerirlo da quel peso. 
«Sì.»  disse, ma rispondendo al padre fissò il bambino che si trovava in braccio ad Alec e che ora nascondeva il suo viso nell’incavo del suo collo. Alec sembrava a suo agio, con quello sconosciuto attaccato a sé come una sanguisuga, mentre Max adesso lo guardava con curiosità e sospetto.
«Allora andiamo.» disse Magnus, prendendo le chiavi dell’auto. 
Sia lui che Alec erano stati d’accordo sin dall’inizio sul far frequentare a loro figlio una scuola mondana, almeno per i primi anni. Volevano che in parte avesse una vita normale, che avesse la possibilità di farsi amici mondani e di giocare con loro. Per questo Magnus e Alec si erano dovuti adattare. Avevano comprato una macchina che utilizzavano quando erano impegnati in  “questioni mondane” e Magnus aveva insegnato a Max come utilizzare un glamour per nascondere la sua carnagione blu, che altrimenti sarebbe siccuramente passata all’occhio.
Max e lo stregone salutarono definitivamente Alec e uscirono dalla porta, lasciando il Cacciatore e il bambino soli ancora una volta. 




Traduzione dialoghi in spagnolo:

1: Trattalo bene.
2: Dov'è Alec?
3: Alec sta partecipando ad una riunione. Tornerà presto a casa, non ti preoccupare.
4: Hey, non preoccuparti. Vuoi fare colazione?


N.B: Come la volta precedente, mi scuso per eventuali errori nell'utilizzo dello spagnolo. Non lo ho mai studiato. 


Note dell'autore. 

Buongiorno, Shadowhunters! Come state?
Finalmente sono riuscita ad aggiornare. Ho deciso che questo capitolo 2 sarà suddiviso in due parti, altrimenti sarebbe risultato troppo lungo. 
Fatemi sapere come sempre se è stato di vostro gradimento. Adoro ricevere recensioni e capire da voi in che cosa potrei migliorare. 

Alla prossima, Alice.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 2. (Parte 2) ***


Capitolo 2. (Parte 2.)

P.O.V: Alec.

 

Alec osservò l’auto uscire dal vialetto di casa e allontanarsi sulla strada principale. Grazie alle rune di potenziamento riuscì a riconoscere le sagome di Max e Magnus a lungo, finché la macchina non svoltò all’incrocio. Il Cacciatore, che teneva ancora il bambino in braccio, scostò la tenda e sospirò, voltandosi verso la cucina.

Il tavolo era ancora bandito e nel punto in cui Max si era seduto la tovaglia era chiazzata con macchie di succo ed era piena di briciole di biscotti.

Alec valutò che cosa fare, per poi abbassare lentamente lo guardo sul corpicino fra le sue braccia.

Il pigiama di Max gli stava evidentemente troppo largo, nonostante di età il bambino dovesse essere sicuramente più grande. Le maniche lunghe erano bagnate di lacrime.

«Oye, todo bien?1» chiese, cercando di alzare il volto del bambino. Gli occhi erano ancora gonfi ed arrossati e la sua espressione turbata aveva lasciato lo spazio ad uno sguardo ben più accusatorio, quasi arrabbiato.

« Me prometiste que no irías a ningún lado.2 » sussurrò, il viso sfigurato dal broncio.

Al sentire quelle parole Alec chiuse gli occhi e sospirò ancora una volta. In effetti aveva ragione. La sera precedente, pur di farlo calmare e addormentare, aveva ripetuto più volte che non c’era bisogno di preoccuparsi, dato che lui non se ne sarebbe andato da nessuna parte. Eppure lo aveva fatto quella mattina stessa, per la riunione. Alec sperava di trovare il bambino ancora addormentato al suo ritorno, anche perché gli era sembrato esausto e aveva chiuso occhio solo verso l’alba, quindi supponeva che avrebbe dormito almeno per qualche ora.

Se fosse tutto andato secondo i piani, il bambino non si sarebbe nemmeno accorto dell’assenza di Alec. Ma non era andata così, e adesso il Cacciatore si ritrovava con un bambino deluso da una promessa non mantenuta.

«Lo siento. Tienes que entender que no tenía elección.3 » rispose, sedendosi su una delle sedie del tavolo e sistemandosi il bambino in grembo. Il piccolo, imbronciato, guardava il pavimento sotto al tavolo come se in esso potesse trovare tutte le risposte.

«¿me perdonas?4 » continuò, non ricevendo replica. Gli diede un buffetto affettuoso sulla guancia destra con una mano, mentre con l’altra mantenne la presa salda sul vitino del piccolo.

«Creo que si5.» rispose il bambino, annuendo. «Pero no lo vuelvas a hacer6.» Alzò per la prima volta in quella mattina lo sguardo, guardando Alec negli occhi dal basso. Per farlo dovette inclinare la testa indietro, data l’altezza del ragazzo.

Il Nephilim sorrise, ma tornò serio poco dopo. «Lo prometo.7»

«Tienes hambre? Magnus me dijo que tu no ha desayunado.8» chiese, alzandosi in piedi e facendo delicatamente sedere il bambino sulla sedia.

Dopo aver assunto un’espressione che fece capire ad Alec che avrebbe preferito rimanere in braccio a lui, il bambino salterellò sulla sedia per posizionarsi meglio e quando fu comodo afferrò i bordi del sedile con le sue piccole dita.

«¿quieres leche caliente?9»

Il piccolo rispose con un’alzata di spalle, come per dire che qualsiasi cosa sarebbe andata bene, il che diede da riflettere ad Alec. Probabilmente non era abituato a poter scegliere che cosa mangiare, per lui doveva già essere una benedizione riuscire a trovare effettivamente qualcosa da mettere sotto i denti.

Mentre il latte scaldava nel microonde, il Cacciatore offrì al bambino dei biscotti, che lui apprezzò.

Dopo colazione, Alec sparecchiò tavola. Per distrarre il piccolo decise di accendere la televisione e di impostare un canale che trasmetteva cartoni animati. Anche se le voci erano in inglese, lui guardava ad occhi spalancati le immagini e restò tranquillo, il che era ciò di cui Alec aveva bisogno.

Quando lo raggiunse sul divano abbassò il volume e iniziò a fare delle domande, cercando di non sembrare troppo insistente.

Scoprì che i suoi genitori erano Shadowhunters, morti durante la Guerra Oscura, come già supponeva, e che lui aveva vissuto da solo, in strada, da allora.

Il bambino disse ad Alec di sapere un po’ di inglese, imparato ascoltando viaggiatori di passaggio e gli raccontò dei suoi incubi. Rivelò che in uno di essi aveva visto gli “strani disegni scuri” che il Cacciatore aveva sulla pelle, e nel farlo prese a punzecchiare la runa Senzasuono che spuntava da sotto la manica della giacca del ragazzo. Alec sorrise e gli spiegò che si chiamavano Rune, poi gli fece la domanda che forse avrebbe dovuto porre per prima.

« Cuál es tu nombre?10 » Ma il bambino non se lo ricordava, il che, pensò Alec, era abbastanza normale. Se i suoi genitori erano morti quando lui era ancora molto piccolo, era inevitabile che non lo sapesse. Il Cacciatore cercò di fare ancora qualche domanda ma presto il piccolo iniziò a sbadigliare e a strofinarsi gli occhi, quindi Alec capì che era meglio lasciar perdere e rimetterlo a letto, con la speranza che questa volta si riposasse davvero.

Lui però iniziò a protestare, non volendosi allontanare troppo dal suo nuovo amico, e alla fine Alec cedette, concedendogli di dormire sul divano.

 

Pochi minuti dopo Magnus rientrò a casa e sorrise debolmente vedendo il bambino addormentato con la testa poggiata sulle ginocchia del suo ragazzo.

Alec ricambiò il sorriso, alzandosi dal divano con attenzione. Si avvicinò allo stregone e gli diede un lungo bacio.

« Finalmente.» sussurrò Magnus, ridendo, prima di alzarsi verso le labbra del Cacciatore per baciarlo di nuovo. «Mi sei mancato, Alexander.»

Continuarono per qualche minuto, poi si presero per mano e si sedettero in cucina, in un punto strategico in cui avrebbero comunque potuto tenere d’occhio il divano.

Alec raccontò allo stregone ciò che aveva scoperto dalla precedente conversazione con il bambino e lui ascoltò in silenzio, annuendo di tanto in tanto.

Sembrava distratto, quasi assente, ma Alec sapeva che non voleva essere maleducato. Probabilmente l’intera storia lo stava facendo pensare alla propria infanzia, al lungo periodo che anche lui aveva passato da orfano, proprio come quel bambino che ora dormiva sul suo divano.

« C’è ancora una cosa, Magnus.» aggiunse il Nephilim, alzando di proposito il tono di voce per assicurarsi che lui sentisse. « So che eravamo d’accordo che avremmo deciso sul da farsi insieme, ma questa mattina ho dovuto parlare della situazione con il Conclave.»

Lo stregone alzò le sopracciglia e aprì la bocca per parlare, ma Alec gli fece segno di lasciarlo finire.

«Ne ho parlato con Jia Penhallow. Sì, il Console.» sottolineò, vedendo l’occhiata assassina che Magnus gli stava lanciando. «Magnus, mi fido dei Penhallow. Sono amici di famiglia da generazioni e Jia ha promesso di non farne parole, per adesso.»

«Per adesso?!» lo stregone si alzò di colpo, sbattendo le mani sul tavolo e facendo strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento. Dal salotto giunse un gemito e Alec guardò allarmato verso il divano. Per fortuna il bambino non si era svegliato, ma lanciò comunque un silenzioso avvertimento a Magnus. Lui sospirò passandosi una mano fra i capelli e appoggiandosi alla parete.

«Alexander… Lo sai quanto sia imprevedibile il Conclave.»

«Magnus.» Alec si alzò dalla sedia e si avvicinò alla parete, prendendo la mano di Magnus. Le sue unghie erano smaltate di una tinta Borgogna e le dita tremavano leggermente. Il Cacciatore le baciò e le strinse saldamente fra le sue, con la speranza di infondere un po’ di sicurezza allo stregone, che in quel momento sembrava venirne meno. «Devi fidarti di me.»

«Lo faccio, Alexander. Sempre. Ma-» Magnus chiuse gli occhi e prese un respiro, la sua mano era ancora stretta a quella di Alec e cercò di concentrarsi su quel contatto per continuare a parlare.

«Sono certo che tu ti ricordi le storie che hanno fatto per Max. Hanno addirittura convocato una riunione solo per il nostro caso. Per quanto io ami restare al centro dell’attenzione, non è stata una bella esperienza. E lui era un Nascosto, che nessuno voleva. Che cosa diranno per questo bambino Shadowhunter?»

Il Cacciatore ora fissava Magnus negli occhi, con serietà e curiosità.

«Quindi anche tu ci hai pensato. Ad adottarlo, intendo.» disse, voltando la testa verso il salotto.

Magnus seguì il suo sguardo pensieroso e annuì. «Malgrado la complessità della situazione e tutte le problematiche e le responsabilità che sapevo ne sarebbero derivate, sì. Dal momento che mi hai chiamato e mi hai detto che lo avevi trovato per strada. Non potevo fare altrimenti. Avere una famiglia con te è tutto ciò che desidero.» disse, sorridendo.«Inoltre, mi conosci, non mi piace negare aiuto a chi ne ha davvero bisogno. E non piace neanche a te.»

Alec scosse la testa e allungò la mano libera verso il viso dello stregone, carezzando con delicatezza la sua guancia. «Magnus, lo so che il Conclave dirà qualsiasi cosa per impedirci di prendere questo bambino con noi. Lo so che ti accuseranno di non poter essere un genitore degno per uno Shadowhunter ma io so che non è vero. E farò di tutto per provar loro che sei il miglior padre che un bambino potrebbe desiderare di avere.»

Il viso di Magnus si illuminò e lui si allungò ancora una volta, abbracciando il Nephilim.

L’abbraccio era caldo, accogliente e durò a lungo. Nessuno dei due sembrava volersene staccare, finché fu Magnus a farlo.

«Ora se non ti dispiace, dovrei andare a prendere nostro figlio all’asilo. Non credo che dimenticarsi un bambino da qualche parte in giro per Brooklyn contribuisca al Curriculum per padre dell’anno e sono sicuro che il tuo amato Conclave non lo vedrebbe di buon occhio.»

Alec rise insieme allo stregone ma dovette sbattere le palpebre più volte per assicurarsi che l’orologio segnasse davvero le 11.45. Incredibile come vola il tempo mentre discuti pratiche di adozione.

Magnus ripartì con la macchina e Alec andò a controllare che il bambino stesse ancora dormendo sul divano. Notò che, come quella mattina stessa, il suo viso era irrequieto. Che stesse avendo uno di quegli incubi di cui gli aveva parlato dopo colazione?

Qualunque cosa fosse, Alec si promise che l’avrebbero superata insieme.

Come una famiglia.

 


Traduzione dialoghi in spagnolo:

1: Hey, tutto bene?
2: Mi avevi promesso che non saresti andato da nessuna parte.
3: Mi dispiace. Devi sapere che non ho avuto scelta.
4: Puoi perdonarmi?
5: Credo di sì.
6: Però non devi farlo più.
7: Lo prometto.
8: Hai fame? Magnus mi ha detto che non hai fatto colazione.
9: Vuoi del latte caldo?
10: Come ti chiami?

N.B: Come ogni volta, premetto di non aver mai studiato lo spagnolo quindi chiedo scusa per eventuali errori.

Note dell'autore


Buona sera, Shadowhunters!
Per fortuna sono riuscita ad aggiornare abbastanza in fretta questa volta. Spero che il capitolo vi piaccia, nonostante sia abbastanza breve.
Come sempre, vi ricordo che apprezzo moltissimo ricevere recensioni per sapere se il mio lavoro piace e in che cosa potrei migliorarmi.
Grazie mille per impiegare il vostro tempo leggendo la mia storia.

Alla prossima, Alice!

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 3. ***


 

 

CAPITOLO 3.

 

Max e Magnus avevano a malapena avuto il tempo di varcare la soglia dell’appartamento e sedersi al tavolo che Alec aveva apparecchiato, prima che il cellulare del Cacciatore iniziasse a suonare. Mentre Magnus legava un tovagliolo al collo del piccolo stregone e il nuovo arrivato osservava incuriosito la posata che stava impugnando, Alec rispose alla chiamata.
«Sì?» chiese, avvicinando il cellulare all’orecchio e passandosi una mano fra i capelli scuri. 
«Hey fratellone! Come stai? Noi tutto bene, Simon mi ha appena portata al centro commerciale a fare shopping. Ho preso un nuovo maglione per te, perché non sopportavo più i tuoi vestiti bucati. Oh, e ho una sorpresa per Max. Stiamo venendo a casa vostra per portargliela. In effetti abbiamo appena svoltato all’incrocio e stiamo cercando parcheggio.»Alec alzò gli occhi al cielo riconoscendo la voce della sorella. Ogni volta che iniziava a parlare, fermarla era impossibile. Generalmente la coppia amava ricevere visite, specialmente da Isabelle, il cui rapporto con Alec non si era consumato ed era ancora forte come lo era sempre stato, ma questa volta era diverso. Al timore che il Cacciatore aveva di mettere a contatto il nuovo bambino con altri volti sconosciuti, dubitando che fosse la cosa giusta da fare per il suo benessere, si aggiungeva anche l’incertezza di dover rivelare la notizia a qualcun altro, nonostante questo qualcun altro fosse sua sorella, della quale si fidava ciecamente.

«State arrivando adesso?» chiese il Nephilim sottolineando l’ultima parola e voltandosi verso Magnus. Lo stregone, che aveva alzato il viso verso di lui, alzò le sopracciglia in una muta domanda alla quale Alec rispose mimando il nome di Isabelle con le sue labbra carnose.
«Sì, c’è qualche problema? » disse Isabelle dall’altro lato della cornetta.
Magnus lanciò una lunga occhiata verso il bambino e riportò lo sguardo verso Alec.
Il Cacciatore aprì la bocca, incerto sul da dirsi.
«No. No, Iz. Nessun problema.»
Mentre Alec scambiava le ultime parole con Isabelle e riattaccava, Magnus si avvicinò verso di lui e gli posò una mano sul braccio.
«Sei sicuro di volerlo fare?»
Il Cacciatore tacque, lo sguardo fisso negli occhi dello stregone. «E’ Isabelle.» disse semplicemente. Magnus annuì, offrendo la sua fiducia ad Alec. Ci aveva preso l’abitudine, ormai. Alec era un uomo onesto e responsabile, cresciuto con il peso di prendere delle scelte, che la maggior parte delle volte non erano le proprie, costantemente sulle spalle. Senza contare che Magnus gli avrebbe affidato la vita anche se lui in quel momento, al posto di accarezzargli il braccio con le sue dita coperte di anelli, stesse puntando una freccia dritta contro il suo petto.
Suonò il campanello e Alec aprì la porta, lasciando entrare la sorella seguita da Simon.
Intanto che Isabelle e Alec si scambiavano un abbraccio e Simon se ne stava sulla porta imbarazzato, Max ebbe il tempo necessario per realizzare che le persone appena entrate in casa sua erano i suoi zii preferiti e si alzò di scatto dalla sedia, rischiando di portarsi dietro tutta la tovaglia.
«Ziiizzy! Ziiimon!» urlò eccitato. Quando era più piccolo e non era ancora in grado di pronunciare correttamente certe parole era solito recitare insieme due parole al posto di spaziarle com’era giusto, e per molte cose l’abitudine era rimasta. 
«Max! Non ti alzare dal tavolo prima di aver finito di mangiare.» lo rimproverò Alec, alzando gli occhi al cielo. Il piccolo lo ignorò e corse in braccio alla zia.
«Hey piccolo!» lo salutò lei sollevandolo e facendolo girare in aria. «oh, non dimenticarti delle corna. Infilzerai qualcuno prima o poi.»
Max rise e nascose il viso nel collo di Isabelle. Simon gli toccò le corna e fece un comparazione tra la forma che esse, crescendo, stavano assumendo e i capelli di una certa principessa Leila di Star Wars, cosa che né Max né gli altri presenti nella stanza compresero appieno.
«Fa niente...» borbottò Simon fra sé e sé sconsolato, guadagnandosi una squadrata da Alec. Anche da Shadowhunter, Simon rimaneva il solito nerd.
Alec iniziava a pensare che fosse dato da qualcosa di genetico, ma aveva smesso di chiedersi cosa ci vedesse Isabelle in lui di tanto attraente quando aveva passato un intero pomeriggio ad interrogarsi sulla questione, il giorno in cui lei e Simon avevano annunciato il loro fidanzamento, ed era arrivato alla conclusione che, se avesse continuato a spendere tutto quel tempo riflettendo sulla lunga lista di ragazzi discutibili che la sorella aveva avuto, non gli sarebbe bastata una vita sola. Si limitò ad un’alzata di spalle prima di girarsi sui tacchi e focalizzare la sua attenzione sulla sorella che ora stava allungando un pacco incartato a suo figlio.

Max aveva gli occhi spalancati e un sorriso a trentasei denti stampato in faccia. Fece per prendere il regalo ma quando Alec diede un palese colpo di tosse, sia lui che Isabelle si bloccarono con le mani a mezz’aria e si girarono verso di lui. La ragazza alzò le sopracciglia, ponendo una muta domanda al fratello che indicò con la testa il tavolo alle sue spalle. 
«Giusto. Finisci il pranzo e potrai avere il regalo» acconsentì Isabelle, facendosi seria. «O altrimenti Papà Alec ci ammazza entrambi» aggiunse poi con un sorriso spostando affettuosamente una ciocca di capelli dalla fronte del piccolo. Max rise nuovamente e corse verso il tavolo, lanciandosi sulla sedia. Isabelle ammiccò al fratello. Quando si alzò in piedi e si voltò verso il tavolo, si accorse per la prima volta dell’intruso e rimase a bocca aperta.
Il bambino, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, iniziò a respirare affannosamente e guardò Alec in cerca di risposte.
«ALEC!» urlò Isabelle, senza nemmeno voltarsi verso il fratello «Mi devi dire qualcosa, forse?»
Il piccolo sentendo le urla si coprì le orecchie e si gettò a terra, gattonando sotto al tavolo.
«Izzy… ti prego.» iniziò lui, passandosi una mano fra i capelli.
Magnus nel frattempo si era avvicinato al tavolo, indeciso sul da farsi. Max, con la bocca piena di pasta, guardava la scena con l’aria di chi non ha idea di cosa stia succedendo. Simon sembrava più confuso di quanto sembrasse abitualmente.
«Da dove è sbucato, Alec? » chiese Isabelle, senza abbassare il tono di voce.
«E’ una storia lunga, ti prometto che ti racconterò tutto ma-»
«Lo avete rapito?» lo interruppe la ragazza che adesso aveva preso a camminare su e giù per la stanza con le mani sui fianchi. I suoi tacchi risuonavano sul pavimento come il ritmo di un tamburo.
« Che cosa? Isabelle, cosa stai dicendo? » esclamò Alec, allargando le braccia esasperato. «Pensi davvero che potrei fare una cosa simile?»
«Tu no, ma lui probabilmente sì. E so che sa essere parecchio convincente.»
« Ma ti ascolti mentre parli, Izzy? » continuò il ragazzo, sempre più contrariato. Fece un passo verso la sorella, sbarrandole il passaggio. Isabelle gli diede una spinta affettuosa, rimproverandolo ancora una volta per aver mantenuto quel segreto da lei. « Lo so, Alec, scusami. Non volevo prendermela così tanto. » Si passò elegantemente una mano fra le ciocche ondulate e guardò il fratello maggiore con i suoi grandi occhi di cioccolato. Malgrado stesse indossando i tacchi doveva comunque inclinare la testa all’indietro per guardarlo in viso. « Solo, per favore… Non fare più niente del genere. Sai che a me puoi dire tutto.»
Alec annuì e scostò una ciocca di capelli dal volto della sorella che rise al suo gesto. 
«Mi dispiace interrompere questa riunione di famiglia molto toccante ma credo che abbiamo un’emergenza.» Tutti si girarono verso Simon che si trovava in mezzo alla stanza, con le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri. Così, immobile, si confondeva con l’arredamento del salotto. «Sì, insomma, c’è un bambino in piena crisi di panico sotto ad un tavolo. Oh, e credo che Max si stia strozzando con la pasta.» aggiunse, alzando le spalle. Alle sue spalle Max tossiva. Le sue guance si stavano arrossando e creavano un contrasto bizzarro con la carnagione blu. Da sotto il tavolo si sentivano provenire dei lamenti. Singhiozzi, forse?
«Per l’Angelo» esclamò Alec, insieme ad un’imprecazione soffocata. Si avvicinò di corsa al tavolo e iniziò a dare piccole pacche sulla schiena di Max. Simon, Isabelle e Magnus invece si divisero e circondarono la tavola da pranzo, indecisi sul da farsi. Dopo qualche secondo Magnus si fece avanti e si inginocchiò, scostando la tovaglia per localizzare il bambino nascosto. Il piccolo era rannicchiato all’estremità opposta, accanto alla credenza. Stava mordicchiando la maglia del pigiama e respirava affannosamente, le lacrime che scendevano come fiumi sulle guance arrossate. L’espressione di Magnus si addolcì a quella visione. Se lui e il bimbo non avevano avuto un incontro molto piacevole, adesso lo stregone aveva una profonda empatia per quel nuovo arrivato, che era in una situazione di evidente disagio. 
« Està bien, no te asustes. Sal de ahi, por favor.1 » tentò, allungando una mano verso il piccolo per aiutarlo ad uscire da sotto al tavolo. Alec alzò lo sguardo dal figlio, sorpreso nel sentire il suo fidanzato parlare una lingua diversa dalla quale era solito sentirgli parlare. Magnus non gli aveva certamente mai accennato di saper parlare fluentemente lo spagnolo, ne tanto meno di avere un bellissimo accento nel farlo. Vivendo per secoli si possono imparare molte più cose di quanto si possa pensare – si disse Alec, ritornando a prestare attenzione al figlio, che adesso sorseggiava piccoli sorsi d’acqua reggendo il bicchiere con due mani. Il gesto dello stregone però fu vano e ebbe come unico effetto quello di far allontanare il bambino ancora di più, invitandolo a stringersi in se stesso come se potesse proteggersi da tutto il pericolo del mondo.
Magnus si rimise in piedi e si spazzolò i pantaloni di tweed. «Non ha funzionato.»
«Provo io.» esordì Isabelle, che aveva lanciato la giacca di pelle al suo fidanzato e si era legata i capelli in uno chignon disordinato per praticità. Si accovacciò con grazia e infilò la testa oltre la tovaglia. Quando trovò ciò che cercava sorrise e alzò una mano a titolo di saluto.
«Ciao!» disse, con più entusiasmo di quello convenzionalmente accettabile in situazioni simili. Il bambino la guardò con occhi sgranati.
«Devi parlargli in spagnolo, Isabelle. Non sa l’inglese.» la informò qualcuno dall’alto. 
La ragazza alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Fammelo aggiungere alla lista delle cose che non mi avete detto.» Dopo essersi fatta seria tornò nuovamente a porre l’attenzione al bambino spaventato.
«Hola!» ripeté , questa volta nella lingua giusta. «Me llamo Isabelle y...» La Cacciatrice si bloccò di colpo e lasciò andare una risatina nervosa. 
«Isabelle, non vorrai forse dirmi che questo è tutto ciò che sai dire in spagnolo?» disse Magnus, incredulo. Stava origliando da sopra il tavolo e non riusciva a credere che una Cacciatrice addestrata e istruita come Isabelle Lightwood non sapesse parlare le lingue straniere. Faceva parte dell’educazione di base degli Shadowhunters, o no? Sempre dall’alto Isabelle sentì provenire uno sbuffo annoiato. Poco dopo, all’estremità destra del tavolo, vide apparire due stivali slacciati, seguiti dal volto di Alec che si infilò sotto alla tovaglia. Era una scena buffa alla quale assistere. Il corpo decisamente troppo alto di Alec riusciva a malapena a stare in uno così spazio ristretto. La testa del Cacciatore toccava il tavolo e i suoi capelli erano schiacciati contro la sua superficie, formando una sorta di corona disordinata intorno al capo del ragazzo.
«Questo è ciò che succede quando cresci facendo fare a tuo fratello maggiore tutti i tuoi compiti e passando le lezioni a disegnare vestitini e fiorellini sul banco invece che ascoltare.» Nella sua voce vi era un tono di rimprovero ma anche di ironia, cosa che ancora stupiva Isabelle. Alec non era sempre stato un tipo ironico o divertente. Era sempre il fratello maggiore controllato e responsabile che rifiutava e rinnegava ogni tipologia di svago. Solamente con l’arrivo di Magnus la ragazza aveva finalmente potuto osservare questo lato più felice e rilassato del fratello venire alla luce, e Isabelle doveva ammettere che non le dispiaceva affatto.
Lanciando un’occhiataccia accusatoria ma non priva di affetto ad Alec, la ragazza si rimise in piedi, imbronciata per non essere riuscita nemmeno lei a far uscire il bambino dal suo rifugio. Magnus, Isabelle e Simon rimasero tutti e tre in attesa di veder ricomparire un vittorioso Alec da sotto la tavola. Nel momento in cui però il Cacciatore si rimise in piedi senza nessun bambino fra le braccia, emisero un lungo sospiro scoraggiato.
«Perché non andate con Max e lo aiutate a lavarsi i denti e a prepararsi per il sonnellino pomeridiano? Finisco io qui.»
Isabelle capì subito il messaggio che il fratello cercava di trasmettere. Aveva chiaramente bisogno di rimanere da solo. Il bambino spaventato non sarebbe mai uscito dal nascondiglio in loro presenza.
«Vieni Max, andiamo a lavarci i denti e ad aprire il regalo, che ne dici?» La ragazza allungò una mano verso il piccolo ma quest’ultimo al posto di afferrarla alzò le braccia al cielo, chiaro segno del fatto che volesse essere preso in braccio.
«Va bene pigrone, andiamo.» disse ridendo e prendendo il bambino fra le sue braccia. Magnus osservò Isabelle e suo figlio imboccare le scale per salire al piano superiore e appoggiò una mano sulla spalla di Simon, facendo segno di seguirli. Lo stregone fu l’ultimo a lasciare la stanza, indugiando con lo sguardo in direzione di Alec, che adesso si era inginocchiato nuovamente, pronto a effettuare un secondo tentativo.
«Se hai bisogno chiamami, Alexander.» Alec gli sorrise e annuì e, come se il suo sorriso gli avesse dato la sicurezza necessaria per farlo, Magnus iniziò a salire le scale.

 ***

 

Non passò molto tempo da quando Magnus, Simon e Isabelle insieme a Max avevano lasciato il salotto a quando Alec li aveva raggiunti, reggendo un bambino ancora visibilmente spaventato ma più calmo fra le braccia. Isabelle e Magnus avevano aiutato Max a spogliarsi e a indossare il pigiama, mentre il piccolo raccontava ciò che aveva fatto durante la mattinata con l’entusiasmo che solo un bambino della sua età poteva avere. Simon invece era rimasto affascinato dalla collezione di videogiochi che Max teneva con cura su uno scaffale accanto al letto, ed ora ne stava leggendo i titoli. Quando Alec e il bambino varcarono la soglia Max aveva appena scartato il regalo che Isabelle gli aveva fatto e stava abbracciando sua zia per ringraziarla. Alec sorrise e raggiunse Magnus che stava osservando la scena dalla parete alla quale era appoggiato. Il Cacciatore accarezzò la guancia dello stregone con il braccio libero, cogliendolo di sorpresa. Nessuno si era ancora accorto del suo arrivo. Magnus guardò a lungo il bambino che Alec reggeva fra le braccia. Aveva la testa nascosta nell’incavo del collo del Cacciatore, proprio come quando era uscito dal portale ed era giunto a New York per la prima volta. Magnus alzò le sopracciglia in un’espressione interrogativa, poi sorrise ad Alec.
«Ce l’hai fatta. Beh direi proprio che fra noi due tu sei il padre più dotato.»
Alec prese seriamente le parole dello stregone e corrugò le sopracciglia, accigliato. «No. Magnus, non pensarlo mai. Non è vero.»
Prima di continuare si guardò attorno, come se stesse per rivelare un segreto che nessun altro doveva sentire. «E’ solamente spaventato, ha bisogno di tempo. Probabilmente è più a suo agio con me perché sono la prima persona con cui parla da anni. Ma sono sicuro, e ti prometto, che prima o poi le cose andranno meglio.»
Magnus sorrise nella maniera che solamente lui sapeva fare, tenendo le labbra serrate e facendo brillare i suoi occhi da gatto, poi si alzò in punta di piedi e si allungò verso Alec, dandogli un rapido ma intenso bacio che venne interrotto da una risatina in sottofondo. Sia il Cacciatore che lo stregone si girarono e videro loro figlio che li osservava con una mano sulla bocca. Teneva fra le braccia il pupazzetto di Captain America. Poco distante da lui Isabelle sorrideva, guardando con gradimento la coppia.Anche Simon sorrideva ma guardando Isabelle, il che portò Alec a sollevare gli occhi al cielo con la sua solita teatralità.
Il Nephilim si scharì la voce. «Il piccolo qui vorrebbe dirvi qualcosa e mi ha chiesto di fargli da portavoce.» 
Nella stanza calò il silenzio mentre tutti osservavano Alec, in attesa. «Ha detto che è dispiaciuto per quello che è successo e che vorrebbe che non fosse successo dato che sembrate tutti molto simpatici. Testuali parole.»
Il piccolo alzò lentamente il capo dal collo di Alec, senza però lasciare la presa, e si guardò intorno, studiando il nuovo ambiente. Incontrò lo sguardo di Isabelle che gli sorrise dal letto e quello di Max che fece altrettanto, alzandosi in piedi e correndo verso di lui.
«Fa niente, sei perdonato perché anche tu sei simpatico.» disse all’altro bambino, allungandogli il supereroe che aveva appena ricevuto in regalo da Isabelle. 
«¿es por mi?» chiese, lasciando a bocca aperta tutti. Il bambino parlava raramente, tanto meno in pubblico. Aveva scambiato solo qualche parola con Alec, a bassa voce, quando i due erano soli.
«Non so cosa voglia dire. Ma va bene, credo.» rispose Max, tendendo ancora il giocattolo verso il bambino in braccio a suo padre.
Alec tradusse velocemente ciò che suo figlio aveva detto in spagnolo e, una volta ricevuto il messaggio, il bambino si allungò e prese il giocattolo che Max gli stava porgendo. Poi appoggiò di nuovo il capo sulla spalla di Alec, osservando con curiosità il pupazzetto nelle sue mani.
«Captain America piace a tutti, suppongo.» disse Simon.
Isabelle rise, abbracciandolo.
«Alec, perché non organizziamo una cena all’Istituto? Mi sembra un buon inizio per far conoscere il nuovo arrivato a tutti.»
Alec scambiò uno sguardo con Magnus, annuendo. «E’ una buona idea, Iz. Ma forse è meglio domani, credo siano successe già tante cose oggi.»
Isabelle acconsentì e i quattro rimasero a parlare, mentre Max mostrava all’altro bambino come Captain America fosse in grado di maneggiare il suo potente scudo. 
Sembrava quasi un normale pomeriggio in famiglia, anche se tutti erano consapevoli del fatto che ci fosse ancora tanto su cui lavorare. 



TRADUZIONE DEI DIALOGHI IN SPAGNOLO. 

1:  E' tutto okay, non devi aver paura. Esci di lì per favore.



Note d'autore: 

Buonasera Cacciatori! Perdonatemi di nuovo la lunga assenza ma fra scuola e vari problemi di salute non sono riuscita a scrivere nulla per mesi. Ora che la scuola è finita spero di riuscire a pubblicare più frequentemente. 
Fatemi sapere come sempre se il capitolo è stato di vostro gradimento e non esitate a commentare su cosa vorreste che io migliorassi. 
Sono sempre aperta alle critiche positive.
Spero passiate un buon sabato sera. 

A presto! 

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