La ballata di Yomiuri Land

di sissi149
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stanza I ***
Capitolo 2: *** Stanza II ***
Capitolo 3: *** Stanza III ***
Capitolo 4: *** Stanza IV ***
Capitolo 5: *** Stanza V ***
Capitolo 6: *** Stanza VI ***
Capitolo 7: *** Stanza VII ***
Capitolo 8: *** Stanza VIII ***
Capitolo 9: *** Stanza IX ***
Capitolo 10: *** Stanza X ***
Capitolo 11: *** Stanza XI ***
Capitolo 12: *** Stanza XII ***
Capitolo 13: *** Stanza XIII ***
Capitolo 14: *** Stanza XIV ***
Capitolo 15: *** Stanza XV ***
Capitolo 16: *** Stanza XVI ***
Capitolo 17: *** Stanza XVII ***



Capitolo 1
*** Stanza I ***


Nella Capitale del Principato la giornata era bellissima, una delle migliori da qualche tempo. Il sole splendeva nel cielo, appena a metà della sua parabola ascendente, e una leggera brezza primaverile portava gli odori dei campi e della cittadina sottostante fino alla finestre più alte della castello.

La Fortezza Musashi, costruita settecento anni prima, era da sempre la sede dell'attulae famiglia reale, ancora prima del suo insediamento al trono: inizialmente era stata una base strategica difensiva, si diceva non fosse mai stata espugnata. Da lì il nome di Fortezza, rimasto inalterato nel tempo. Con la pace e il regno degli Ozora, attorno ad essa fiorì la Cittadella che divenne ben presto il punto di riferimento del Principato, rimanendo però fedele alla sua origine: mano a mano che le case, le botteghe e le taverne aumentavano, un'alta cinta muraria veniva costruita sul nuovo perimetro.

Sulla cima della torre più alta, incurante degli intrighi che venivano orditi, sventolava il vessillo della famiglia: spada blu e scudo rosso su fondo giallo, a rammentare che attacco e difesa erano le due facce della stessa strategia.

Koshi Kanda osservava e ricordava tutto questo dalla finestra dell'ampia Sala del Trono, situata al primo piano. Soprattutto rammentava le parole di suo padre sul fatto che la Fortezza non fosse mai caduta per mano di un nemico esterno.

“Già, ma presto accadrà e sarà dall'interno.”

Si spostò verso il centro della sala e rimirò il trono di prezioso legno di Naniwa, la città degli artigiani al confine sud, intagliato dalle abili mani del famoso Mastro Nakanishi: una vera opera d'arte. Un sorriso soddisfatto apparve sul volto dell'uomo e si allargò ulteriormente quando si accorse di non essere solo.

“Da quanto tempo sei qui Kumi?”

“Abbastanza da accorgermi del tuo stupido sorriso, Sovrintendente.”

“Ancora per poco!”

“Lo so, ma proprio per questo non è il caso di inciampare a un passo dal traguardo. - La donna gli si avvicinò fino a potergli sussurrare nell'orecchio, sollevandosi sulle punte e facendo fluttuare la gonna del vestito blu notte – Il Priore è salito dal Principe, sei in grado di sembrare abbastanza dispiaciuto per le notizie che ti porterà?”

“Mi prendi per un idiota?” Sibilò, allontanandola brutalmente da sé.

“Ti prendo per quello che sei: un uomo avido di potere, allettato dall'occasione che ha dinnanzi. Finora sei stato molto abile a far passare per ordini di sua Maestà molte tue decisioni, approfittando dei suoi malori, ma la vicinanza all'obiettivo potrebbe farti agire sconsideratamente.”

Con noncuranza Kumi si sistemò lo scialle nero sulla spalla sinistra, da dove era scivolato lasciando intravedere un lembo di pelle.

“Ho aspettato fino adesso – le rivolse uno sguardo torvo – non rovinerò tutto per la fretta.”

La Lady rispose piccata:

“Eravamo d'accordo che un'azione graduale sarebbe stata meno sospetta e poi il Principe si è rivelato più resistente di quanto ci si potesse aspettare. Se avessi voluto, avrei potuto farlo cadere morto all'istante! Per tua norma, sappi che potrei farlo anche con te, se non rispetti gli accordi.”

Raggiunse anche lei il trono e fece scorrere le dita sulle preziose decorazioni, la sua brama di potere non era seconda a quella di nessuno ed era disposta a qualunque cosa pur di raggiungerla. Si sedette sullo scranno, rimirando la vista della sala da quella posizione sopraelevata.

“Mantengo sempre la parola con chi mi serve fedelmente...” Kanda si morse la lingua, rendendosi conto di aver sbagliato a esprimersi: la sua interlocutrice si era alzata furiosa, sembrando tre volte più alta della sua consueta statura.

“Io non servo nessun mortale! Il mio unico padrone e signore è il grande Gamo, il Signore del Caos! Da lui derivano i miei poteri. Faresti bene a ricordarlo!”

Era terribile a vedersi, gli occhi sembravano emanare fiamme e un alone nero pareva circondare la sua figura. Uno spettacolo terribile, ma allo stesso tempo, per l'uomo, attraente come un vortice.

“Lo so bene! Infatti non ti considero una serva, ma la mia più preziosa alleata, mi pare di avertelo dimostrato in più di un'occasione.” Sorrise malizioso, porgendole la mano e aiutandola a scendere dalla pedana.

La donna parve calmarsi, le fiamme si spensero, il suo respiro tornò regolare. Restarono qualche istante a fissarsi negli occhi: nessuno dei due era intenzionato a distogliere lo sguardo.

Un servitore fece capolino sulla porta, annunciando timidamente:

“Signore, il Priore desidera parlarvi.”

Kanda annuì.

“Va bene, fallo entrare.”

Il Priore era un uomo alto, aveva capelli castani lunghi fino alle spalle e su un occhio portava un monocolo con una spessa lente colorata. Indossava una lunga veste verde, il colore della conoscenza e della saggezza, stretta in vita da una cintura dorata sulla cui fibbia era inciso il simbolo del Priorato, il sole circondato dai raggi. Con sé aveva anche una bisaccia, in cui riponeva tutti i suoi strani strumenti e le erbe curative. Dietro di lui veniva l'uomo più basso che si fosse mai visto nel Principato: il suo apprendista Mitsuru Sano, che a stento superava in altezza un bambino di dieci anni.

“Sovrintendente, Lady Sugimoto.” Salutò inchinandosi.

“Priore Katagiri, siete il benvenuto, volete sedervi da qualche parte?” Kanda indicò le varie panche, solitamente utilizzate durante i giorni di udienza del Principe, ma Katagiri scosse la testa:

“Molto gentile. Preferirei camminare, possibilmente senza essere ascoltati da nessuno.”

Il Sovrintendente annuì gravemente.

“Credo che i passaggi sulle mura della Fortezza faranno al caso nostro.”

“Lady Sugimoto, – Katagiri la interpellò – ho terminato col Principe, può prendere il suo tonico ora.”

“Me ne occuperò personalmente.”

La donna fece una riverenza e uscì dalla sala del trono, rivolgendo però un ultimo sguardo verso Kanda, ricordandogli che si sarebbero visti più tardi.

“Prego, Priore, da questa parte.”

Presero la porta sul lato opposto rispetto a quella da dove era sparita Kumi e percorsero qualche corridoio, fino a giungere all'imboccatura del tunnel che conduceva sulla cima delle mura. Era molto stretto, le scale erano ripide e prive di illuminazione, perciò si era costretti ad appoggiarsi alle pareti e muoversi con cautela per non rischiare di inciampare, o, almeno funzionava così per Kanda: grazie al suo monocolo il Priore riusciva a muoversi perfettamente nell'oscurità.

La luce alla fine del cunicolo fu abbagliante, ci volle qualche istante perché gli occhi vi si abituassero. Il sole era giunto al culmine.

I due uomini si incamminarono e Kanda ruppe gli indugi:

“È così grave?” Chiese.

“Dipende da cosa intendete con grave, Sovrintendente. Se vi riferite solo ad oggi o se ragionate a lungo termine.”

Kanda si morse nuovamente la lingua, per non rispondere irritato alla frase criptica: ai Priori spesso piaceva parlare per enigmi, mentre la sua vena pratica odiava perdersi in giri di parole.

“Siete voi l'esperto, lascio che mi illuminiate.”

“Il Principe ha completamente superato l'ultima crisi, si sente in forze e pronto a riprendere i suoi doveri. Oggi per lui sarà una buona giornata.”

“E' positivo.”

“Relativamente. - Katagiri si sistemò il monocolo – Ormai questi episodi si ripetono molto spesso e a causa di ciò il cuore di sua Altezza è molto indebolito.”

Kanda si fermò di botto, spalancando gli occhi allarmato:

“Che significa?”

“Un altro malore avrà altissime possibilità di rivelarsi fatale, il cuore potrebbe non sopportarlo e smettere di battere.”

Il Sovrintendente si appoggiò contro uno dei merli, nascondendo il viso e singhiozzando, o così pareva:

“Divina Machiko, che ha fatto di male il Principe per meritare questo? - tornò a rivolgersi all'uomo davanti a lui – Non si può fare più nulla?”

“No, mio Signore. Ho tentato tutto quello che la conoscenza e la scienza mi hanno permesso di fare. Ormai anche il tonico è solo un palliativo. Il destino del Principe non è più nelle mie mani. Solo una grazia della Dea lo può salvare e Voi sapete quanto noi del Priorato ci affidiamo a Essa solo nelle situazioni disperate.” Dopo la rivelazione, il Priore sembrò invecchiato di colpo di quasi vent'anni, era dura ammettere che la sua scienza aveva fallito.

Ripresero a camminare.

“Comprendo, sarà un duro colpo per il Principato: il Principe Legittimo è in viaggio per il continente e il Principe Reggente potrebbe morire. Se solo fossi riuscito a far ragionare sua Altezza Tsubasa e convincerlo a non partire.”

Katagiri poggiò una mano sulla spalla di Kanda, gesto di solidarietà insolito per un membro del suo ordine.

“Voi avete fatto tutto il possibile, Sovrintendente. I sensi di colpa non serviranno, dovete essere forte. Se sua Maestà dovesse mostrare anche il minimo sintomo di un nuovo malore, chiamatemi immediatamente, a qualsiasi ora del giorno e della notte.”

“Sarà fatto.”

Erano giunti in cima a una delle scale aperte, che dalle mura conducevano nel cortile. Mentre scendevano, sentirono le grida del cuoco inveire contro uno sguattero che aveva rovesciato un vassoio.

In fondo ai gradini il Sovrintendente strinse le mani dell'uomo che aveva davanti.

“Priore, grazie di tutto.”

“Dovere. Con permesso, devo fare altre consulenze.”

“Prego.”

Kanda osservò Katagiri allontanarsi e venire raggiunto dall'apprendista, congratulandosi con sé stesso per aver interpretato alla perfezione, ancora una volta, il ruolo del fedele servitore.

Sforzandosi di mantenere un'aria compita e pensierosa, si diresse verso la più orientale delle tre torri della Fortezza: la Torre del Sovrintendente, dove erano situati i suoi alloggi. La Torre Centrale, la più protetta e rifugio estremo in caso di assedio, era riservata al Principe Legittimo, colui che per diritto di nascita esercitava il potere, all'eventuale moglie e ai figli: al momento era occupata dal Principe Reggente. A ovest invece c'era la Torre della Famiglia, residenza di tutti gli altri componenti della famiglia reale e rimasta disabitata.

L'ingresso della Torre del Sovrintendente era affiancato da un blasone rimovibile con lo stemma araldico della sua famiglia: il pugno nero in campo grigio. Presto, ne era sicuro, sarebbe diventato lo stemma a cui tutti si sarebbero inchinati.

Raggiunta la sua stanza, all'ultimo piano, trovò Kumi accomodata su una sedia, intenta a sorseggiare da una coppa di vino. Con suo grande piacere si era liberata dello scialle, mostrando la profonda scollatura del suo abito: se le altre dame di corte l'avessero vista, avrebbero gridato allo scandalo.

“Vedo che ti sei già servita.”

La donna smise di bere e sorrise.

“Sai che ho sempre amato stare comoda. - accavallò le gambe - Allora, cos'ha detto il Priore?”

“Che il caro Principe è sul punto di lasciarci le penne.”

“Come sei scurrile! - Si alzò in piedi e gli porse la coppa da cui aveva appena finito di bere – Un po' di vino ti aiuterà a riacquistare un modo più appropriato di parlare.”

“Nelle mie stanze private parlo come mi pare.”

Prese con forza la coppa e la svuotò velocemente, lasciandola poi cadere sul pavimento. Col braccio sinistro afferrò Sugimoto per la vita e la girò di spalle, dopodiché iniziò a baciarla nell'incavo tra il collo e la spalla sinistra, mentre la mano destra scivolava nella scollatura, fino a raggiungere il seno. La schiena della donna si rizzò per il piacere.

“A cosa devo tutta questa riconoscenza?”

“Il tuo filtro ha fatto un ottimo lavoro. - Rispose l'uomo, tra un bacio e l'altro – Katagiri non si è accorto di nulla nemmeno stavolta. Dice che la prossima crisi potrebbe essere fatale.”

“Lo sarà, fidati. Ho potenziato l'ultima dose che ho somministrato oggi. Gli provocherà un attacco di cuore da cui non avrà scampo!”

Si lasciò sfuggire una risata. Le carezze del Sovrintendente si fecero più decise, i baci più famelici.

“Sarai presto sul trono, sempre che Tsubasa non decida di ritornare.”

A quelle parole Kanda strinse violentemente la mano attorno a uno dei seni della donna, provocandole un gemito di dolore.

“Cosa hai detto?” Domandò rabbioso.

“C'è sempre questo rischio, ricordatelo!”

Kumi si divincolò dalla presa, allontanandosi da lui e voltandosi a guardarlo negli occhi.

“Se quello stupido di Tsubasa dovesse decidere finalmente che è ora di prendersi le sue responsabilità, il nostro piano fallirebbe. Avvelenare due principi sarebbe troppo sospetto anche per Katagiri.”

Il Sovrintendente si rabbuiò.

“Prega il tuo dio che questo non succeda, Strega!”

“Non succederà, a breve. Ma devi essere pronto all'evenienza, ormai è più di un anno che è via. Poi ci sono i Ribelli.”

“Un manipolo di straccioni che schiaccerò prontamente!”

Kumi si riavvicinò e prese il volto dell'uomo tra le mani, baciandolo ardentemente sulle labbra. Questi rispose, infilando la sua lingua nella bocca di lei, spingendosi sempre più in profondità. Una volta separatisi, Kanda la spinse di forza contro un muro, accanto alla finestra, fermandosi a pochi millimetri dal suo viso.

“Tsubasa è stato abbastanza generoso da partirsene nel momento più opportuno con quel vagabondo, quell'individuo assurdo, tutto variopinto...”

“Roberto.” Sussurrò la Lady.

“Già, il Profeta della Luce. Quante balle! - la sua faccia mostrava tutto il disprezzo che provava – Solo Tsubasa poteva credere alle sue panzane! Dopo che è stato così gentile da lasciarci campo libero per sistemare il suo adorato fratellino, non tornerà proprio ora.”

Riprese a baciarla con voracità, sul collo, sulla bocca, sulla scollatura. Sentiva l'eccitazione crescere dentro di sé. Con un solo gesto strappò di netto il vestito della donna, in modo da scoprirgli una spalla e un seno. Le sue mani e la sua bocca corsero su quella pelle liscia, mentre il petto di Kumi si sollevava sempre più velocemente.

La porta si spalancò di colpo:

“Mio Signore, ho notizie importanti.”

Kanda interruppe di malavoglia la sua attività, voltandosi verso il nuovo venuto:

“Makoto, ti pare il modo?”

L'uomo si bloccò e si accorse solo in quel momento di Kumi. Questa, staccandosi lentamente dal muro, non diede il minimo segno di volersi ricoprire, anzi, rispose piuttosto irritata ai suoi sguardi:

“Che c'è, con tutti i bordelli che frequenti, non hai mai visto una donna mezza spogliata?”

Makoto Soda distolse rapidamente lo sguardo, tornando a rivolgersi al suo padrone:

“Mio Signore, il Principe è appena uscito dalla Fortezza con il suo Attendente. Hanno preso i cavalli, probabilmente usciranno dalla Cittadella.”

“A meno che non vogliano seminare il panico al mercato, mi pare una cosa ovvia.” Ribatté il Sovrintendente, irato.

“Sì, mio Signore. - Rispose imbarazzato – Vuole che li segua e magari faccia accadere qualche disgrazia lontano da occhi indiscreti?”

Kanda ghignò, era stato per quell'intraprendenza che tra i molti sicari di Azumachi, la città fantasma, arroccata sui monti all'estremo Nord, aveva scelto Soda come suo uomo di fiducia.

“Non sarà necessario, ormai l'ora del Principe è prossima, tra poco non dovremo più preoccuparcene. Trovati qualcosa da fare, senza provocare risse in qualche bettola, mi risulta difficile giustificarti ogni volta con la Guardia Reale. Torna qui al tramonto, ci vediamo nello studio.”

“Come il mio Signore desidera.”

Soda si inginocchiò e baciò la mano di Kanda, poi sparì fuori dalla stanza. Il Sovrintendente lo seguì fino alla porta, che richiuse posizionando un asse sui sostegni, per evitare ulteriori interruzioni.

“Sai, credo che il Principe abbia avuto un'ottima idea, la cavalcata farà entrare in circolo più velocemente il filtro.”

Kanda sbuffò:

“E dicono che lui sia più sveglio di Tsubasa.”

Si girò per tornare dalla donna, ma, dove l'aveva lasciata, c'era solo il vestito, abbandonato sulle fredde pietre del pavimento. La cercò con lo sguardo e la vide nuda e distesa sul suo letto, le braccia sopra la testa, come se lo stesse aspettando. In un attimo il suo desiderio si riaccese.

“Non perdi tempo, vero?”

Le disse, slacciandosi la cintura. Lungo il tragitto verso di lei lasciò gli stivali e i pantaloni. Le salì a cavalcioni.

“Quanto credi rimanga da vivere a sua Altezza?”

“Prima dell'alba il suo cuore avrà ceduto. Solo una Strega Bianca potrebbe avere una remota speranza di salvarlo. Purtroppo sono parecchi anni che non se ne vedono in queste zone.”

Sorrise e si sollevò, mise le braccia intorno al collo dell'uomo e lo baciò nuovamente. Dopo qualche istante le sue mani si mossero fino a spogliarlo del tutto, mentre lui le toglieva il fermaglio, liberando i lunghi capelli dall'acconciatura.

“Che dici, Sovrintendente, festeggiamo la nostra imminente vittoria?”

Kanda non se lo fece ripetere, la spinse sul materasso, calò affamato su di lei e la fece sua.









Ed eccoci qui con una nuova avventura dei nostri eroi.
In un contesto di questo tipo è necessaria una divisione in "buoni" e "cattivi", che però ritengo funzionale a questa storia: non è detto che io consideri chi è cattivo qui "cattivo" anche nella storia originale.
Ho scelto il titolo di Ballata, anche se tecnicamente sarebbe un componimento in versi, perché mi piaceva molto più di cronache o racconti.

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Capitolo 2
*** Stanza II ***


Al portone principale della Cittadella una lunga fila di persone era in attesa di ottenere il permesso per entrare con la propria merce: era giorno di mercato e buona parte produttori dei dintorni confluivano nel centro abitato. Data la grande quantità di gente, c'era molto da fare, soprattutto per evitare l'ingresso nel centro abitato di armi che avrebbero potuto causare guai.

Le due Guardie della Porta, avvolte nei loro mantelli viola, stavano terminando di ispezionare un carro di lana.

“Lady Matsumoto, prego, potete passare. E' tutto a posto. Quest'anno vedo che avete più lana del solito.”

La donna, tenendo le redini nelle mani guantate, sorrise alla guardia:

“Sì, Sir Tachibana. La Dea è stata generosa e ha permesso a tutte le mie pecore di superare l'inverno senza difficoltà, spero solo che non ricambi con una carestia estiva.” Rabbrividì al solo pensiero: una carestia le avrebbe fatto perdere parecchi capi e parecchi guadagni prima della tosatura autunnale. Con un colpo di frusta fece ripartire il carro, lasciando libero il passaggio.

“Masao, Kazuo, come procede il lavoro?”

Al suono di quella voce i due fratelli si inginocchiarono all'istante davanti al magnifico cavallo bianco del Principe.

“Altezza! Non vi avevamo visto!”

“Vi avremmo fatto passare subito!”

“Non era necessario, poi in questo modo ho potuto verificare di persona l'efficienza dei controlli in ingresso.”

Cordiale come sempre, il Principe salutò con un gesto della mano e uscì dalle mura, seguito dal fedele Attendente.

Era un bell'uomo, tutte le ragazze di buona famiglia facevano la fila per essergli presentate, sperando di poter un giorno essere scelte come sua sposa. Aveva i capelli castani e due profondi occhi nocciola, a cui non sfuggiva nulla. Purtroppo però il suo volto era molto pallido e leggermente scavato per appartenere ad un uomo in salute. Molti cominciavano a mormorare che lo svenimento durante l'ultima udienza popolare fosse qualcosa di serio e non semplice stanchezza, come era stato loro spiegato. Quel giorno indossava delle semplici vesti da caccia, senza stemmi o blasoni che lo identificassero.

Usciti dalle mura, i due si mantennero per un po’ sulla strada principale, scorgendo di tanto in tanto qualche abitazione di contadini sparsa in mezzo ai campi. Incrociarono anche un gruppo di bambini che si rincorreva ridendo e urlando, pieni di allegria e vita.

Quando furono sufficientemente lontani dalla Cittadella, il Principe fermò il proprio cavallo e prese dei profondi respiri.

“Maestà, siete stanco? Forse è meglio rientrare.” Chiese l’Attendente, preoccupato per quella sosta.

“Tutt’altro, Sanada. Stavo solo decidendo dove andare.”

Diede un rapido colpo al cavallo e lo fece ripartire al galoppo, abbandonando la strada e attraversando i prati, su cui spuntavano i primi fiori. L’aria gli colpiva il viso e gli scompigliava i capelli, il mantello si sollevava seguendo l’andatura del cavallo. L’animale era ben addestrato e reagiva al minimo movimento delle redini del padrone. Jun finalmente si sentiva vivo e godeva appieno di quella libertà che gli era impedita all’interno del castello, anche a causa della sua salute precaria.

Cavalcò e cavalcò senza mai fermarsi, fino al limite della Foresta Meiwa. Avrebbe voluto proseguire fino all’infinito, ma sapeva che i suoi doveri lo richiamavano alla Cittadella: doveva parlare col Sovrintendente per indire una nuova udienza, poi controllare i granai reali e un mucchio di altre faccende. Quanto avrebbe voluto avere la spensieratezza del fratello in certi momenti.

Sanada lo raggiunse, trafelato: il suo destriero non era all’altezza di quello del Principe ed aveva perso rapidamente terreno.

“Altezza, non dovreste allontanarvi così. Potrebbe essere pericoloso.”

“Suvvia, immagino che anche da lontano non mi avrai perso di vista un secondo.”

“E’ vero, ma il Sovrintendente dice che…”

Con un gesto il Principe lo zittì.

“Credi che sia così sciocco da far sapere a Kanda tutto quello che faccio? Sarà anche l'uomo di fiducia di mio fratello, ma non il mio. Almeno fuori dalle mura lasciatemi respirare, c'è già il Priore che si preoccupa anche troppo. – Constatò amaramente – Vieni, qui vicino nella foresta dovrebbe esserci un fiume. Faremo abbeverare i cavalli, poi rientreremo.”

L'Attendente si inquietò:

“Altezza, volete davvero entrare là dentro? Si dice che il profondo della foresta sia il covo dei ribelli.”

“Sanada, hai paura?” Chiese con una punta di cattiveria.

“Certo che no, mio signore.”

Rispose, ma l’idea di entrare in quel bosco lo inquietava non poco. Tuttavia era suo dovere proteggere il Principe, quindi ovunque fosse andato, lui l’avrebbe seguito.

Si inoltrarono al passo tra gli alberi, stando attenti a non impigliare i mantelli nei rami e nelle fronde più basse. Su un vecchio abete degli uccelli cantavano, in lontananza si udiva lo scorrere lento del fiume.

Giunti sulla riva si fermarono e scesero dagli animali, lasciandoli liberi di brucare nella piccola radura. Jun tolse un guanto e immerse una mano nell'acqua, perso nei suoi pensieri. Era fredda, probabilmente i ghiacciai sui monti si erano sciolti da poco. Nonostante la temperatura quel tocco era piacevole, riusciva a fargli dimenticare la sua condizione: era sempre stato servito in tutto e viziato fin quasi a restarne oppresso, soprattutto da sua madre, che sembrava aver sviluppato una predilezione per lui piuttosto che per Tsubasa. Quando questo era partito aveva pensato di poter finalmente dimostrare il suo reale valore, rimasto un po' nell'ombra del fratello, invece era cominciata quella storia. All'inizio erano state solo piccole crisi sporadiche, che non gli impedivano di svolgere le sue attività ed era riuscito a nasconderle quasi a tutti. Col tempo erano diventate sempre più forti e debilitanti, non passava giorno senza ricevere una visita del Priore. Invece di avere maggiore libertà si era trovato sempre più chiuso in una gabbia.

A un certo punto alzò la testa:

“Sanada, senti niente di strano?”

“Veramente, non sento nulla, altezza.”

“Appunto, c'è troppo silenzio. Non è normale.”

Ora che gli veniva fatto notare, Sanada si accorse che gli uccelli tacevano e sui rami degli alberi le foglie erano completamente immobili, troppo immobili. Lentamente i due uomini si avvicinarono uno all'altro e sfoderarono le spade, mettendosi in guardia. Gli occhi di Jun saettavano ovunque, studiando il più velocemente possibile il posto, cercando di individuare da dove sarebbe arrivata la minaccia. Certo, il fiume alle loro spalle gli tagliava una possibile via di fuga, ma era improbabile che il pericolo giungesse da lì.

Trascorso qualche istante, da un cespuglio uscì un uomo alto e abbronzato, che indossava una vecchia casacca con le maniche arrotolate e sporche, ed era armato con una vecchia spada. I suoi occhi erano scuri e carichi di rancore. In faccia aveva uno strano ghigno, pareva compiaciuto da ciò che vedeva:

“Bene, bene, due nobili che vagano allegramente per la foresta. Direi che potremmo ricavare un ricco bottino!”

“Potremmo?” Pensò Jun e subito ottenne risposta alla sua domanda inespressa: altri uomini stavano raggiungendo la radura e in poco li circondarono. Erano undici contro due, non ne sarebbero usciti facilmente.

“Sanada – bisbigliò – la nostra unica possibilità è aprirci una via di fuga per raggiungere i cavalli. Pronto al mio segnale.”

L'uomo abbronzato, probabilmente il capo, avanzò verso di loro.

“Allora signori, dateci tutto quello che avete, a cominciare dalle vostre armi e vi lasceremo uscire dalla foresta. Noi trattiamo bene i finanziatori della nostra causa.”

Una risata fragorosa scoppiò nel gruppo dei banditi, mentre il capo allungava una mano per afferrare la spada del Principe.

L'Attendente si mosse fulmineo, come da addestramento, frapponendosi fra il suo signore e il Ribelle.

“Tieni le tue luride mani lontane da sua Maestà!”

“Sanada!” Imprecò Jun, si erano probabilmente appena giocati l'unica occasione di uscirne illesi.

“Maestà? Abbiamo preso il Principe? Questo cambia tutto! Scordatevi di andarvene!”

Sputò ai piedi dei due, con profondo disprezzo.

Dal gruppo intervenne un uomo alto e allampanato, i cui lunghi capelli neri scendevano oltre le spalle. Il suo abbigliamento era l'ideale per muoversi furtivo tra gli alberi senza essere visto: non aveva un colore definito, era un insieme di verdi e marroni che sembravano cambiare disposizione ad ogni sua mossa. Jun non aveva mai visto nulla di simile.

“Kojiro, cosa hai in mente?”

“Beh Ken, visto che il nostro caro Principino ci ha fatto il piacere di venirci a trovare, sarebbe scortese da parte nostra mandarlo via su due piedi. Sarà il benvenuto al Toho.”

“Dici sul serio?” Domandò dubbioso Ken.

“Certo, dopo aver provato la nostra 'ospitalità' sono sicuro che sarà molto più propenso ad ascoltare le nostre ragioni. In caso contrario credo che dalla Fortezza qualcuno ascolterà, se vorrà rivedere sua Altezza vivo.”

Sputò nuovamente a terra, mentre un mormorio di assenso si diffondeva tra i seguaci che, lentamente, stringevano il cerchio.

Jun li osservò meglio: a parte Kojiro, Ken e un piccolo ragazzo che avevano vere armi, gli altri erano tutti equipaggiati con bastoni, grossi rami, sassi e fionde, uno aveva un'accetta. Non dovevano essere molto abili nel duellare, forse avevano ancora una possibilità di cavarsela.

“Dimentichi un particolare – disse – noi non abbiamo intenzione di seguirvi, preferiamo declinare l'invito. Sanada, ora!”

Fu un movimento rapidissimo, con uno scatto il Principe scartò di lato e si liberò facilmente di uno degli uomini vicino a lui, facendogli perdere l'equilibrio. Un compagno gli sferrò una bastonata, ma Jun evitò agilmente, preparandosi a metterlo fuori gioco.

Kojiro, riavutosi dallo stupore, sbraitò a tutti:

“Lasciate il Principe a me! Voi potete divertirvi pure con l'altro.”

Subito i suoi uomini obbedirono e Jun e Kojiro incrociarono le spade: la grossa, sporca e vecchia lama del Ribelle, contro la sottile, lucida e perfetta lama del Principe. Questi era un perfetto schermidore, fino a due anni prima era il campione dei più prestigiosi tornei, ed aveva sconfitto anche i campioni dei regni confinanti. Dall'altro lato la tecnica di Kojiro era spesso rozza e imperfetta, ma i suoi colpi erano molto potenti e destabilizzanti.

Sanada, invece, era uno spadaccino nella norma e riuscì a difendersi tranquillamente da tutti, ma contro Ken trovò un avversario complicato.

Jun parava e rispondeva ai violenti colpi di Kojiro, guadagnava qualche metro. Il bandito allora ringhiava e con un fendente più potente riportava l'equilibrio, spingendolo a volte sul bordo estremo del fiume, un solo passo in più e sarebbe caduto in acqua.

A un certo punto, allontanatosi a sufficienza dal fiume e messo l'avversario alle strette con dei rapidi affondi in sequenza, sembrò che Jun potesse avere la meglio.

Una forte fitta di dolore gli attraversò il petto, all'altezza del cuore, impedendogli di mettere a segno il suo colpo e lasciando un fianco scoperto all'avversario. Fortunatamente per lui, il colpo di Kojiro finì sul fodero della spada, distruggendolo, raggiungendo la carne quando ormai era completamente attutito.

“Non adesso, Dea, ti prego, non adesso. Non posso avere una attacco di cuore adesso, ho bisogno di tutta la forza possibile per tirarmi fuori da qui.” Pregò silenziosamente, anche se ultimamente la Dea sembrava si facesse beffa dei suoi appelli.

La fitta al petto si ripeté, più dolorosa, e fu seguita da altre. I suoi colpi divennero sempre meno precisi, mentre quelli di Kojiro si facevano più potenti, o forse erano solo le sue risposte che diventavano meno efficaci e sicure. Cadde in ginocchio, ma continuò a menare colpi. Ormai la sua spada andava quasi sempre a vuoto, finché un fendente di Kojiro non gliela fece cadere di mano.

“Altezza!” Urlò Sanada, cercando di accorrere in suo soccorso, ma Ken lo aveva quasi disarmato.

Con la forza della disperazione, il Principe afferrò un sasso e lo lanciò verso l'uomo alto, costringendolo a mollare la presa sul suo Attendente.

“Sanada, corri a palazzo e avvisa Wakab... - Rantolò – E' un ordine.” Disse con tutto il fiato che gli restava.

Kojiro torreggiava su di lui, la sua ombra ormai lo copriva. Le fitte al petto erano sempre più martellanti. Riuscì a vedere con la coda dell'occhio Sanada saltare sul cavallo e sparire nella foresta.

Il dolore lo assaliva, gli tagliava il fiato, poi tutto divenne freddo e buio.

 

 

 

 

Quando Kojiro vide il suo avversario stramazzare al suolo ghignò soddisfatto:

“Tutto qui Principe?”

“Capo! Dobbiamo inseguire l'altro?”

“No, lasciate che dia la notizia. Così si accorgeranno che con noi è meglio non scherzare. Takeshi prendi il cavallo di sua Altezza e conducilo al Toho per l'accesso secondario! Voi due, svegliate il bell'imbusto, poi legatelo e bendatelo, che non veda la strada.”

Date le istruzioni, si spostò per valutare le condizioni dei suoi uomini: nonostante la netta maggioranza numerica molti di loro avevano contusioni ed escoriazioni, come se non avessero combattuto solo contro due avversari.

“Kojiro, non si può svegliare, è caduto perché sta male!”

Il Ribelle si girò di scatto, ringhiando:

“Yayoi! Cosa ci fai fuori dal villaggio da sola?”

“Avevo bisogno di provviste di erbe e tua moglie non poteva accompagnarmi. Chi vuoi che aggredisca una donna.” Rispose questa con semplicità e un'alzata di spalle.

Kojiro avrebbe voluto ribattere che aveva molte idee su chi potesse avere intenzioni non proprio nobili nei confronti di una come lei: figura esile, pelle chiara, occhi grandi e lunghi capelli rossi fino quasi al sedere, se poi avessero conosciuto il suo piccolo segreto.

Lei non gli diede il tempo di dirle tutto questo:

“Lascia che gli dia un'occhiata, non vuoi che arrivi morto al villaggio, vero?”

Lo superò e si inginocchiò accanto al prigioniero, mentre l'uomo annuiva contro voglia e ribatteva:

“Comunque, Maki non è mia moglie, non ci siamo mai sposati in un tempio.”

“Dettaglio irrilevante.”

Kojiro sbuffò irritato: la odiava, anzi, la detestava, per questa sua capacità di zittire chiunque con una frase e per la sua eterna calma, eppure non poteva dimenticare che se almeno metà di loro godevano di ottima salute dovevano ringraziare lei.

Yayoi voltò il Principe in posizione supina, poi gli sfilò il guanto dalla mano che ne era ancora avvolta.

“E' gelata, cattiva circolazione.”

Gli mise una mano sulla fronte.

“Gelata anche questa e il respiro è molto debole e faticoso.”

Prese il piccolo pugnale che portava alla cintura e lo usò per strappargli la casacca, per aiutarlo a respirare.

“Ahia!”

“Cosa c'è?” Domandò Kojiro, cominciando a preoccuparsi.

“Il petto brucia come se fosse in fiamme! Non ha senso!” Lo toccò ancora con la mano destra e la fece scorrere fino alla sua sinistra:

“Oh mia Dea e signora Machiko! Il cuore è troppo, troppo veloce! Non reggerà ancora per molto, gli scoppierà se continua così!”

Kojiro, per la prima volta, vide Yayoi perdere parte della sua famosa calma e frugare velocemente nella borsa per estrarne un mortaio con pestello e delle strane foglie.

“Puoi fare qualcosa?”

“Spero di essere in tempo. Senza dubbio questa è opera di una Strega Nera, non mi spiego come possa essere altrimenti. Per fortuna ho appena raccolto delle foglie di Machiko.”

Mentre parlava, schiacciava le foglie col pestello, poi aggiunse una strana polvere e infine si raccolse in preghiera:

“Divina Machiko, dammi la forza per compiere la mia magia.”

Stese le mani sopra il mortaio e per qualche istante apparve una luce chiarissima. Terminato l'incantesimo, dove prima c'erano solo foglie pressate ora c'era un impasto omogeneo e cremoso. A grandi manate lo spalmò sul petto del Principe, abbondando nella zona del cuore: la cosa più urgente era quella, fermare la sua corsa impazzita.

“A questo punto non ci resta che attendere e pregare. Ci vorrà del tempo.” Aggiunse, pulendosi le mani nel grembiule.

“Non possiamo restare qui. Dobbiamo tornare al villaggio. - intervenne Ken – Siamo rimasti allo scoperto troppo a lungo.”

“Già – aggiunse Kojiro – se il piccoletto è andato a chiamare rinforzi, prima ci muoviamo, meglio è.”

“E vuoi lasciarlo qui da solo, svenuto? Non ce la farà mai, ha ancora bisogno di cure. Io non mi sposto!”

Yayoi era decisa a non abbandonare il Principe, per nessun motivo.

Kojiro la guardò turbato e aspettò qualche secondo prima di risponderle:

“Anch'io non vorrei perdere il prigioniero – calcò sulla parola – ma la nostra pelle è più importante.”

Una folata di vento più fresco mosse le foglie e ricordò a tutti che la sera si stava avvicinando rapidamente e rientrare al Toho, attraversando il Passaggio col buio, non era consigliabile a chi teneva alla propria incolumità.

Ken avanzò verso la donna e studiò l'uomo privo di sensi.

“Potremmo usare il suo mantello e due lunghi bastoni per formare una barella e trasportarlo in questo modo. Koan, usa la tua accetta per procurarci i rami.”

Il Ribelle annuì e silenziosamente sparì, per tornare pochi istanti dopo con quanto richiesto.

Con molta delicatezza Ken sollevò il Principe quel tanto che bastò a sfilargli il mantello, e, quando la barella fu pronta, con altrettanta delicatezza lo adagiò su di essa. Yayoi gli fu subito accanto, adducendo come scusa il fatto di poterlo controllare meglio.

Si misero tutti in marcia, Kojiro in testa al gruppo e Ken nella retroguardia, impegnato a coprire le tracce del loro passaggio prima dell'arrivo della Guardie Reale.

 

 

 

 

Uscito dalla foresta, Sanada cavalcò più veloce che poté alla volta della Cittadella e della Fortezza Musashi. La sua frusta colpiva il posteriore del cavallo con frequenza sempre crescente, prima arrivava e prima le guardie potevano andare a salvare sua Altezza. Aveva percorso poco più di metà strada che l'animale era già quasi al limite delle sue forze. La foresta non gli era mai sembrata distante dal castello come in quel momento. Se avesse preso il destriero del Principe avrebbe potuto andare più veloce e più a lungo, ma non avrebbe mai osato farlo: lui doveva restare al suo posto e rispettare i suoi doveri di Attendente. Era già un onore per uno di umili origini, come lui, essere l'uomo di fiducia del Principe.

Giunse in vista delle mura e del vessillo reale che sventolava sulla torre più alta del castello. Diede di speroni un'ultima volta al cavallo, per imprimere l'ultima accelerazione. Passò con mala grazia attraverso la fila di mercanti che uscivano dalla cittadella, incrociò anche Lady Matsumoto col suo carro vuoto: era riuscita a vendere tutta la sua lana.

Nella sua furia fece pure cadere una delle Guardie della Porta, Masao o Kazuo, non riconobbe quale. Le strade della Cittadella gli apparvero come un labirinto stretto e intricato.

Nel cortile scese al volo dall'animale, che ormai schiumava dalla bocca, e salì di corsa le scale che portavano all'interno. Farfugliando chiese di vedere Kanda e venne mandato al suo studio, alla Torre.

Aprì la porta di slancio, entrando nella stanza e inginocchiandosi ai piedi dell'uomo, non accorgendosi della presenza di Makoto Soda.

“Sovrintendete! - ansimò – Il.. il.. il Principe è...”

Kanda lo guardò con stupore, attento però a non far trasparire altra emozione, mentre nella sua testa pensava che fosse giunto il momento tanto atteso.

“Cosa è successo a sua Maestà?”

“I Ribelli... la foresta... non...”

Il Sovrintendente fu colto da un piccolo moto di impazienza:

“Sanada, calmati un secondo e prendi fiato, così non caviamo un ragno dal buco. Alzati, non sopporto vedere uomini cadere ai miei piedi.”

Soda dovette reprimere una risata, doveva ammettere che il suo padrone era un vero attore: nessuno più del Sovrintendente godeva nel vedere gente implorare clemenza che non sarebbe mai stata elargita.

L'Attendente si sollevò e cercò di prendere qualche respiro profondo.

“Il Principe ed io siamo usciti dal castello per una breve cavalcata, il Priore l'aveva concesso. Senza accorgercene siamo arrivati fino alla foresta Meiwa. Sua Altezza ha voluto inoltrarvisi.”

“La foresta! Sanada, sei istruito su quali pericoli si celino in essa!”

“Sì, mio Signore, ma il Principe ha ordinato...”

“Va avanti, arriva al punto.”

“Sono arrivati i Ribelli e ci hanno attaccato, volevano prendere prigioniero il Principe. Abbiamo combattuto, ma il Principe ha avuto un altro dei suoi malori, un attimo prima di crollare mi ha ordinato di farmi strada e di allertare la Guardia. Io non lo avrei mai lasciato solo, ma lui ha ordinato, capite vero?”

Calde lacrime gli scendevano lungo le guance, non sapeva se per la rabbia di non essere riuscito a proteggere il suo signore o se per l'attaccamento che nel tempo aveva maturato per lui, o entrambi.

Kanda gli appoggiò una mano sulla spalla, con fare rassicurante e sorridendogli:

“Ragazzo, hai fatto il tuo dovere, tornando a palazzo hai potuto avvisarci sulla sorte del Principe. Ora sappiamo dove poterlo cercare, se fossi rimasto con lui avremmo impiegato giorni per trovare una pista valida. Makoto, - lanciò uno sguardo d'intesa all'uomo – assicurati che Sanada ottenga la giusta ricompensa per i suoi fedeli servigi.”

“Sarà un vero piacere.”

Si avvicinò all'Attendente e fu questione di un secondo: il suo lungo pugnale passò dal fodero alla sua mano, alla gola di Sanada, tagliandola di netto.

Sanada non si accorse di nulla: l'attimo prima era in piedi ad aspettare un premio, l'attimo dopo giaceva a terra morto.

Kanda diede libero sfogo alla sua soddisfazione, ridendo davanti al cadavere di un fedele, quanto stupido, servitore. L'unico suo rammarico era per il tappeto, irrimediabilmente rovinato dal sangue.

“Makoto, fai venire la Strega Nera e avvisala che il nostro piano ha subito un'inaspettata, ma piacevole svolta. Il nostro momento è giunto! Il regno di Yomiuri Land è ormai mio!”

La risata malefica del Sovrintendente riempì tutto lo studio.

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Capitolo 3
*** Stanza III ***


Toho era il nome del villaggio segreto dove vivevano i Ribelli da quasi un anno, da quando le loro azioni erano passate dall'essere opera di due o tre individui isolati a quella di un gruppo abbastanza numeroso e di conseguenza avevano attirato l'attenzione della Guardia Reale, nonché del Principe e del Sovrintendente. Le voci dicevano che fosse situato nel profondo della foresta, ma nessuno era mai riuscito a scoprirlo, tranne i Ribelli stessi. Si trovava nel cuore di una valle protetta dai monti a cui si accedeva tramite il cosiddetto Passaggio, mascherato dalla natura e dall'abilità di Ken Wakashimazu. Chi si imbatteva nel suo ingresso credeva di trovarsi in un vicolo cieco, con una ripida e solida parete rocciosa a bloccare la via, ma spostando uno spesso strato di rampicanti si poteva notare uno stretto varco, una galleria scavata da mani più potenti di quelle umane. Si attraversava la montagna per un centinaio di metri e si sbucava sul Passaggio vero e proprio: uno stretto sentiero malmesso, a filo di burrone, che consentiva il passaggio a un solo uomo per volta. Più ci si inoltrava nella valle, più diventava praticabile, fino a raggiungere la piana dove sorgeva il villaggio. Secondo molti, esisteva anche un accesso secondario, meno pericoloso, ma protetto da una palude maleodorante.

Kojiro e i suoi compagni giunsero alle abitazioni che già imbruniva. Per un soffio erano riusciti ad avere abbastanza luce per affrontare il Passaggio senza rischi eccessivi, soprattutto per coloro che trasportavano la barella col Principe.

“Chi è là?” Domandò una voce ben nota, accompagnata dallo scintillio di una lama.

“Siamo noi Maki.” Rispose Kojiro, avvicinandosi alla donna che lo accolse con un abbraccio, cosa proibita a qualsiasi altra persona, ma Maki Akanime non era una persona qualunque: alta e robusta, molto forte per una donna, portava i capelli con un taglio maschile e la sua gonna non superava mai le ginocchia, mettendo in mostra i polpacci allenati. Sapeva tirare di spada e cacciare, spesso guidava una parte del gruppo durante le sortite: non era solo la donna del capo, ma un Ribelle a tutti gli effetti.

“Bentornato e bentornati. Avete visto Yayoi? E' uscita dalla valle da sola e non è ancora rientrata.” Chiese un po' preoccupata, in fondo avrebbe dovuto essere lei ad accompagnarla.

“E' con noi, un po' indietro, ma c'è.”

“Perfetto, allora ci siamo tutti.”

Kojiro scosse la testa:

“Takeshi sta tornando per l'altra strada, con una preda.”

Maki guidò il bandito verso uno dei fuochi, su cui stavano cuocendo le prede dell'ultima battuta di caccia, e lo invitò a sedersi con lei nell'attesa. Anche gli altri, abbandonate le loro rudimentali armi, presero posto accanto ai vari focolari, osservando le donne del gruppo lavorare nei pressi delle fiamme. Uno di essi, riconoscendo la moglie, le corse incontro, sollevandola e ruotando su sé stesso.

“Yukari! Quanto mi sei mancata!”

“Ryo, mettimi giù! Mi è appena passata la nausea, non farmela tornare!”

L'uomo la depositò a terra e poi, affettuosamente, le accarezzò la pancia che incominciava a gonfiarsi in maniera visibile.

“Da quando sei così tenerone?”

“Hanji, provochi?”

“Per favore, non cominciate come al solito.”

“Sì, Yukari.”

Risposero tutti e due in coro: adoravano stuzzicarsi e darsi fastidio a vicenda, ma quando la donna li richiamava all'ordine, obbedivano senza fiatare.

Nel frattempo, arrivò anche la barella del Principe, con Yayoi al suo fianco e Ken a chiudere la fila. La donna passò in silenzio tra i falò, quasi come un fantasma, guidando gli uomini che reggevano sua Maestà in una delle due piccole capanne di legno a livello del terreno, riservate a chi non era in grado di raggiungere le abitazioni vere e proprie.

Queste ultime, infatti, erano situate sugli imponenti Alberi di Kira, il leggendario guerriero che, stando ai racconti dei cantastorie, avrebbe guidato le schiere degli umani nello scontro con i demoni di Gamo. Vi si accedeva con delle scale di corda e pioli, che la notte venivano ritirate, mentre una fitta rete di passatoie e ponti sospesi collegava le varie capanne, dando l'idea che il villaggio fosse sospeso nell'aria. Un ottimo sistema di difesa sia contro gli animali selvatici, sia nel caso qualcuno riuscisse a raggiungere la valle.

Al passaggio del piccolo corteo Maki rivolse uno sguardo interrogativo a Kojiro.

“Abbiamo preso prigioniero il Principe, è stato così stupido da entrare nella foresta accompagnato solo da un ragazzetto.”

Si trattenne dallo sputare solo per la presenza della donna.

“Non l'avrete stordito per portarlo qui, spero. Capisco la segretezza...”

“No, è quasi schiattato da solo. Almeno così dice la Strega.”

Maki sapeva riconoscere i cambi di umore dell'uomo e i suoi toni di voce: non aveva usato il tono beffardo che utilizzava con gli avversari, ma uno più secco, rivolto più a sé stesso, perciò gli appoggiò una mano sull'avambraccio cercando di addolcire i suoi consueti modi irruenti.

“Che è successo?”

Il ribelle deglutì prima di rispondere:

“Avrei potuto ucciderlo e non in combattimento. Sai bene che un conto è uccidere qualcuno combattendo, un altro è fare del male a qualcuno di inerme. Quando il Principe ha perso la sua spada, ero pronto per un altro fendente e l'avrei fatto se non fosse svenuto.”

“Sono sicura che lui fosse intenzionato a resisterti fino alle fine. Avrebbe lottato anche a mani nude, per questo eri pronto a colpire.”

“Già...” Non ne era molto convinto, prese un pezzo di carne dal fuoco e lo addentò nervosamente.

“Se non ci fosse stata Yayoi, probabilmente l'avrei ucciso portandolo qui, senza accorgermene.”

“Kojiro – Maki lo guardò negli occhi – non puoi pretendere che nessuno si faccia male nella vita che ci siamo scelti. Sapevi che la ribellione avrebbe comportato situazioni difficili, ma la Dea non ti ha abbandonato, ha messo sulla tua strada una delle sue devote. La Dea è stata presente anche oggi.”

Silenzioso come sempre Ken, liberatosi del mantello, si era avvicinato ai due:

“Sapete, l'ultima volta che sono stato in città, avevo sentito delle voci circa una strana malattia del Principe, ma non credevo fossero così fondate.”

Kojiro sospirò, quasi sollevato:

“Quindi è da un po' che non sta bene, non sono stato io.”

Le fiamme ondeggiavano, creando strani giochi di luci ed ombre sul volto dei tre fuorilegge, rendendo imperscrutabili sia le loro espressioni che i loro pensieri.

Più in là, Ryo Ishizaki e Hanji Urabe si punzecchiavano come loro solito.

“Ti sei fatto disarmare dal servo del Principe, sei proprio un pappamolle”

“Parli tu che sei finito a gambe all'aria prima ancora di cominciare!”

“Non ero pronto.”

“Appunto!”

Yukari alzò gli occhi al cielo, a metà tra il disperato e il divertito: tra qualche mese avrebbe dovuto badare non a uno, ma a due bambini.

Fu l'arrivo di Takeshi col cavallo a sbloccare la situazione, dando a tutti un nuovo argomento di conversazione: chi apprezzava l'animale, chi pensava di usarlo per qualche loro azione, chi voleva venderlo per ricavare soldi con cui aiutare le proprie famiglie.

“Come mai ci hai messo tanto?”

Gli chiese Kojiro, quando venne raggiunto accanto al fuoco.

“Il livello della palude si è alzato, ho fatto fatica a trovare il sentiero sicuro.”

“Solitamente di questa stagione l'acqua aumenta sempre un po'.”

Aggiunse Ken, terminando il suo ultimo spiedo e passandone un altro al nuovo venuto. Si spostò su un grosso masso e da una borsa estrasse il suo flauto dolce: una vivace melodia si diffuse per la valle.

Ben presto tutti i banditi abbandonarono le loro postazioni, iniziando a ballare seguendo il ritmo della musica. Ryo ed Hanji si unirono a Wakashimazu accompagnandolo con rudimentali percussioni: un tamburo di pelle e una pentola capovolta.

Lo stesso Kojiro venne trascinato riluttante nella mischia da Maki, la cui gonna vorticava velocissima.

“È divertente!”

“Solo perché sei tu!”

Sbuffò l'uomo, lasciandosi poi vincere del ritmo che diventava sempre più frenetico, abbandonando le sue inibizioni e sorridendo finalmente.

 

 

 

Più tardi Maki entrò nella capanna e trovò il Principe disteso su un rudimentale giaciglio di paglia, una coperta di lana lo copriva fin poco sopra la cintura. Yayoi era inginocchiata accanto a lui e gli teneva una mano fra le sue. Al rumore si voltò verso l'ingresso, lasciando intravedere la stanchezza sul suo volto.

“Sei tu!”

“Come sta?”

“Meglio, la circolazione sta riprendendo e le mani cominciano a scaldarsi, il respiro è meno difficoltoso. - Lasciò andare la sua mano, appoggiandogli la propria sul petto – Sono riuscita a far rallentare il cuore abbastanza da non fargli correre pericoli, ma è ancora accelerato. Ci vorrà tempo prima che si ristabilisca.”

Si scostò e prese il mortaio, in cui aveva preparato del nuovo impasto che delicatamente applicò sempre nello stesso punto.

“Questo dovrebbe aiutarlo.”

Terminate le sue operazioni, restò per un po' a guardarlo, reprimendo la tentazione di accarezzargli i capelli. Il profilo del volto era regolare e lo faceva sembrare più giovane di quanto non fosse. L'espressione era calma, come se stesse solo dormendo, ormai era da poco dopo l'arrivo al villaggio che non mostrava più segni di fitte di dolore.

C'era anche qualcosa, ma Yayoi non riusciva a capire cosa, che l'attirava, che le impediva di alzarsi e allontanarsi da lui e non era solo la devozione verso un malato: ne aveva già curati parecchi e nessuno le aveva fatto quell'effetto.

“Maki, ora che lo vedi, ti sembra possibile che sia malvagio?”

La domanda spiazzò l'altra donna, era l'ultima cosa che si sarebbe immaginata di sentirsi chiedere, era come mettere in discussione tutta la loro causa.

“Visto così no, ma certi suoi ordini parlano per lui: l'incendio del mio villaggio, per dirne uno.”

“Eppure, a me non sembra un uomo in grado di comandare certe atrocità. Io l'ho visto combattere nella foresta Maki: devi credermi, non mirava ad uccidere, cercava solo di disarmare.”

Questa volta non riuscì a dominare l'impulso e fece scorrere il dorso della mano su una guancia dell'uomo.

Akamine osservò turbata l'amica, non l'aveva mai vista comportarsi a quella maniera con gli sconosciuti, soprattutto con gli sconosciuti: benché spesso le sue abilità di Strega Bianca comportassero l'essere a stretto contatto fisico con chi aiutava, una carezza era un gesto quanto mai insolito.

Solo quando la vide ondeggiare si ricordò il motivo della sua visita:

“Dovresti mangiare qualcosa. - le disse – E' da stamattina che non tocchi cibo, tieni.”

Le porse una ciotola piena di zuppa e un cucchiaio.

“Ormai si sarà raffreddata, avrei dovuto dartela subito.”

Yayoi si girò completamente verso la Ribelle, esitando però ad afferrare la zuppa.

“Non l'ho fatta io, giuro! L'ha preparata Yukari.”

La Strega si rilassò visibilmente e, per la prima volta, sorrise:

“Grazie. A proposito di Yukari, ho preso delle erbe per le sue nausee, domani le preparerò il decotto.”

Mangiò avidamente, cercando di chiacchierare del più e del meno, ma il suo sguardo tornava spesso a controllare che il Principe stesse bene.

“Buonissima, davvero. Per fortuna abbiamo ottime cuoche come Yukari, altrimenti ci toccherebbe mangiare crudo.”

“Adesso non ti espandere troppo, Yayoi! Se non erro nemmeno tu sei un fenomeno in fatto di cibo. I tuoi intrugli saranno miracolosi per certi versi, ma in quanto a sapore, lasciamo perdere.”

Le mise una mano sulla testa schiacciandogliela e scompigliandole i lunghi capelli rossi. Entrambe scoppiarono a ridere divertite: per quanto avessero caratteri e temperamenti a volte diametralmente opposti, nel tempo avevano creato un forte legame fino a diventare l'una la confidente dell'altra. Kojiro stesso a volte invidiava il rapporto che c'era tra la sua donna e la Strega.

Un gemito attirò la loro attenzione: sua Maestà aveva aperto gli occhi e cercava faticosamente di sollevarsi.

“Do... do.. dove... sono?” Ansimò, il fiato corto.

Yayoi fu subito accanto a lui, cercando di convincerlo a restare disteso.

“Siete al sicuro, per ora. E' meglio se non vi alzate, siete ancora debole.”

“Che... che... è successo?”

“Shh, aspettate.”

Si alzò per recuperare qualcosa, ma venne trattenuta per un polso.

“Chi... Chi sei?”

Per un istante i loro sguardi si incrociarono.

“Yayoi.”

Delicatamente riuscì a liberarsi della presa, l'uomo era ancora molto debole, e velocemente raggiunse un ripiano, dove in un rozzo bicchiere di legno era contenuta una pozione soporifera, preparata in precedenza.

“Bevete questo, vi aiuterà.”

Lentamente fece inghiottire al Principe tutto il liquido azzurrognolo. Questi cominciò a sentire le palpebre farsi sempre più pesanti, la testa ciondolare, finché non cadde di nuovo nel sonno. Yayoi lo adagiò sulla paglia, tirandogli la coperta fino al mento.

“Dormite, vi farà bene.” Sussurrò.

Maki, che fino al quel momento era rimasta in silenzio, esordì:

“Sai che Kojiro voleva interrogarlo non appena si fosse svegliato?”

Yayoi sospirò, tirandosi indietro i capelli:

“Lo so, ma non aveva abbastanza forze, l'hai visto anche tu.”

“Ma...”

“Non permetterò a nessuno di fargli domande fino a che non sarà in grado di sopportarlo. Ora come ora è un malato come tutti gli altri, sono io a decidere per lui. Kojiro se ne farà una ragione.”

Akamine annuì, sapeva che l'amica aveva ragione, non avrebbe avuto senso interrogare il prigioniero in quelle condizioni e al villaggio tutti si fidavano dei suoi giudizi, aveva rimesso in sesto troppi di loro per non starla a sentire.

La porta della capanna si aprì e lasciò intravedere la figura di Ken Wakashimazu stagliarsi contro la notte, ormai fonda. Salutò con un cenno del capo ed entrò, ispezionando rapidamente la piccola stanza.

“Ragazze, è tardi. Stiamo spegnendo tutti i fuochi, è ora di salire alle capanne sugli alberi.”

“Voi andate, io resto: lui ha bisogno.” Rispose Yayoi, rivolgendo al Principe uno sguardo preoccupato, ancora una volta più profondo di quello che avrebbe rivolto a un qualsiasi altro paziente.

“Allora io rimango con te! - esclamò il Ribelle – Non è prudente restare a terra tutta la notte.”

“Ken, non è ancora stagione per il passaggio dei branchi di lupi. Questa capanna è molto robusta, chiudere la porta sarà sufficiente.”

Wakashimazu non volle sentire ragioni, non avrebbe lasciato per nulla al mondo la donna da sola, facendole correre dei pericoli. Soprattutto non l'avrebbe lasciata con un uomo di cui non si fidava, che avrebbe potuto farle del male.

Alla fine Yayoi fu costretta a cedere e consentire a Ken di restare di guardia, mentre Maki raggiungeva la sua abitazione.

Restarono in silenzio per molto tempo.

La Strega si strinse le braccia intorno al corpo, facendo scorrere le mani, nel tentativo di scaldarsi.

“Hai freddo? Tieni, usa questo.”

Ken si tolse il mantello e lo avvolse con gentilezza attorno alle spalle di Yayoi.

“E tu come farai?”

“Sto bene anche così, l'importante è che tu sia a posto.”

Il Ribelle, le orecchie in allerta pronte a captare il minimo rumore esterno, la osservò vegliare il Principe fino al punto da crollare addormentata per terra, domandandosi cosa avesse quell'uomo in più rispetto a lui, da guadagnarsi a quel modo le attenzioni della donna.

 

 

 

Al castello era notte fonda, la Fortezza era silenziosa e buia, solo la stanza del Principe, in cima alla Torre Centrale, era illuminata dalla fioca luce della torcia alla parete del letto. Il cadavere di Sanada era stato ripulito e rivestito con il migliore abito da cerimonia di sua Maestà e sistemato sul letto da Soda.

Il Sicario era particolarmente compiaciuto del suo lavoro.

Kumi, che indossava un abito marrone, più confacente a una dama rispetto al precedente, e il Sovrintendente, a poca distanza, si accordavano sugli ultimi dettagli del loro piano.

“Sicura di farcela?”

“Certamente, mi prendi per una novellina? Il Priore non si è mai accorto di nulla e anche stavolta sarà così. - La sua apparente sicurezza era tradita dal continuo arrotolarsi e srotolarsi di una sottile catenella attorno alle mani. - Tu, piuttosto, vedi di far restare in disparte il tuo uomo, non vorrei facesse danni.”

Kanda fece uno dei suoi soliti sorrisi sghembi, annuendo:

“Makoto non è un tipo molto diplomatico.”

“Decisamente.”

Cominciò a passeggiare nervosamente per la stanza, fermandosi di tanto in tanto a sistemarsi le maniche o la cintura o gli stivali. Mantello e spada li aveva lasciati nell'altra torre: doveva pur sempre dare l'impressione di essere accorso di fretta.

E in fretta arrivò Katagiri, solo, la lunga tunica leggermente sollevata per non inciampare nei gradini e i capelli scompigliati, perfino il monocolo non era al suo posto. Trafelato domandò:

“Cosa e successo?”

Fu Kumi ad andargli incontro, bloccandogli la vista dell'interno della stanza.

“Il Principe sta di nuovo male. Ora, a me gli occhi!”

Distese la catenina davanti al viso del Priore, lasciando finalmente vedere il pendente posto alla fine: una mezza luna nera, con la gobba posta in alto, simbolo di tutte le Streghe Nere. Lentamente cominciò a farla ondeggiare, costringendo gli occhi di Katagiri a seguirla, e insieme sussurrò:

“Nel nome del potente Gamo

io ti chiamo,

perdi i tuoi sensi,

vedi ciò che io ti comando,

la mia sarà

la tua sola verità.”

Un poco alla volta gli occhi del Priore divennero spenti e vuoti, era completamente ipnotizzato e in balìa dell'incantesimo della Strega. Questa si sollevò sulle punte e gli parlò all'orecchio, poi schioccò le dita.

L'uomo sembrò risvegliarsi dallo stato catatonico, ma i suoi occhi rimasero spenti sul fondo. Riprendendo il discorso come se non ci fosse stata alcune interruzione, comandò di essere condotto subito da sua Maestà.

Per Kanda, Kumi e il loro progetto quello era il momento più difficile: se l'incantesimo della Strega Nera avesse fallito, sarebbero stati immediatamente smascherati.

Katagiri si avvicinò meccanicamente al letto e cominciò a visitare Sanada, non accorgendosi nemmeno per un istante di non avere di fronte il Principe. Tastò il polso, ascoltò il petto, compì delle strane manovre e da ultimo, estremo tentativo, cercò di risoffiare attraverso la bocca lo spirito vitale in quel corpo. Fu tutto inutile.

“Mio Signore, mia Lady, sua Altezza è morto, il suo cuore si è fermato. Possa Machiko accoglierlo tra le sue braccia.”

Annunciò solennemente, cercando di mantenere un contegno.

La donna si portò le mani alla bocca e cercò il sostegno del Sovrintendente. Kanda le mise un braccio attorno alla vita e l'attirò verso di sé cercando di infonderle coraggio.

“Vi abbiamo chiamato non appena ci siamo accorti che c'era qualcosa che non andava. Quando è rientrato dalla cavalcata il Principe era un po' stanco, ma stava bene. Ha voluto subito andare a dormire. Kumi è passata per controllare che avesse bevuto il tonico serale e l'ha trovato riverso sul pavimento che respirava a fatica.”

“Se fossi passata prima avremmo potuto salvarlo, è tutta colpa mia.”

Il Priore parlò gravemente:

“Non fatevene una colpa. Come ho detto stamattina al Sovrintendente, il cuore di sua Altezza era ormai indebolito a tal punto che anche un piccolo attacco gli sarebbe potuto essere fatale.”

“E ora, che faremo?”

“Sarebbe saggio che nessuno vedesse sua Maestà in questo stato. Suggerisco di chiuderlo subito nella bara e di anticipare il più possibile il rito funebre.”

“Come ritenete opportuno. Makoto – Kanda fece un cenno al sicario, che si avvicinò – accompagna giù il Priore, poi occupati di questa situazione.”

“Come desiderate.”

I due uomini, dopo essersi inchinati, lasciarono la stanza. Strega e Sovrintendente poterono così godersi il loro successo:

“Quella della bara è stata una tua idea?”

Kumi si allontanò da lui sorridendo soddisfatta.

“Immagino che molta gente vorrà rendere omaggio al Principe prima della cerimonia, a cominciare da Wakabayashi, non posso ipnotizzarli tutti. Per quanto i poteri donatimi dal potente Gamo siano molto potenti, sarebbe molto stancante.”

“Così renderanno omaggio a una cassa chiusa, ben fatto. Sei la mia alleata più preziosa.”

“Ora sta a te gestire Wakabayashi.”

“Non ti preoccupare, è un uomo troppo leale per mettere in discussione gli ordini del Principe dal letto di morte, non infrangerà mai i suoi giuramenti.”

Si riavvicinò alla donna e brutalmente le afferrò il viso, baciandola con ferocia.

All'esterno il cielo impallidiva lentamente, l'alba era vicina, il sole sarebbe sorto su un nuovo regno.

 

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Capitolo 4
*** Stanza IV ***


La cerimonia funebre si svolse in una giornata uggiosa, la nebbia e l'umidità circondavano ogni cosa ed entravano fin nelle ossa di tutti i presenti. Sembrava quasi che la primavera avesse ceduto il posto all'autunno.

Data l'importanza della persona, il rito non si svolse all'interno del Tempio di Machiko, ma nella piazza principale della Cittadella, debitamente sistemata. Al centro la pira funebre e la bara del Principe si ergevano imponenti e quasi minacciose. Una pedana rialzata, all'estremità sinistra, era stata costruita e fornita di sedili per ospitare le autorità: il Sovrintendente, Lady Sugimoto, il Capitano della Guardia Reale Genzo Wakabayashi, il Priore Katagiri, più qualche nobile della Cittadella o residente nelle campagne più vicine, tra cui la vedova Sorimachi. Tutti erano abbigliati in maniera solenne, gli uomini coi mantelli scuri e le donne coi veli neri.

A destra invece era stata posizionata un'altra pedana, riservata al Sacerdote e ai suoi assistenti, per essere ben visibile durante tutta la cerimonia.

Tutti gli altri occupavano la piazza, dapprima in maniera ordinata, poi sempre più caotica mano a mano che la gente aumentava: all'interno della Cittadella il Principe era molto amato.

Al momento stabilito Hikaru Matsuyama, visibilmente commosso, fece il suo ingresso sulla sua pedana, seguito dal coro delle Ancelle di Machiko: giovani ragazze nubili di buona famiglia che nel tempo libero venivano mandate a studiare musica e canto presso il tempio. Si disposero a semicerchio dietro il Sacerdote e iniziarono a cantare il primo degli inni funebri, con cui chiedevano alla Dea di rivolgere il suo sguardo verso coloro che si apprestavano a consegnarle l'anima del defunto.

Era un canto semplice, lineare e omoritmico1 in cui il coro era diviso in due parti: non era difficile riconoscere le due diverse melodie poiché avevano due registri praticamente opposti. Il tutto era accompagnato da alcuni rintocchi su uno strumento metallico. Solitamente il Sacerdote ne avrebbe apprezzato l'esecuzione e soprattutto riconosciuto tra le altre una voce limpida e sottile, ma non quel giorno: la cerimonia lo coinvolgeva anche sul piano personale. Aveva conosciuto molto bene il Principe, spesso si ritrovavano a discutere di questioni teologiche, non che sua Maestà fosse un uomo di poca fede, ma desiderava capire a fondo ogni cosa.

Quando la musica si interruppe, nell’aria rimase solo un silenzio innaturale che opprimeva più ancora della cappa di umidità.

Matsuyama avanzò e allargò le braccia:

“Oggi siamo qui per dare inizio al cammino del nostro amato Principe verso la casa eterna della Divina Machiko, per liberarlo dalle sue spoglie mortali e permettere che la sua anima raggiunga la Dea e venga posta al riparo dai demoni di Gamo. Non ho dubbi al riguardo: egli merita la pace. L’unico nostro rammarico è l’avere perso così giovane il nostro signore, portato via da una malattia che lentamente l’ha indebolito fino a spegnerlo. Ma nonostante questo, Sua Altezza era sempre presente ai riti in onore della Dea e ora a Lei affidiamo la sua anima.”

Finì il discorso appena in tempo, per evitare che il groppo in gola gli bloccasse le parole.

Un assistente gli porse l’olio e lentamente il Sacerdote lo cosparse sulla pira, girandole intorno. In sottofondo una voce solista cantillava2 le parole della preghiera rituale, una delle più antiche e scritta ancora nella vecchia lingua. Questa volta Hikaru non ebbe nemmeno bisogno di ascoltare per sapere chi fosse: solo la voce di Yoshiko aveva il potere di smuovere gli animi come in quel momento, benché fosse ferma su un’unica nota.

Sulla pedana delle autorità Genzo Wakabayashi stringeva i pugni combattendo contro il suo senso del dovere: proteggere il Principe era il suo primo dovere e il fatto che fosse morto di malattia per lui non era una giustificazione sufficiente del suo fallimento, soprattutto date certe situazioni poco chiare. Sentì una mano calda appoggiarsi sulla sua e lentamente sciolse il pugno, sussurrando un grazie a fior di labbra. Lady Sorimachi, dietro di lui, annuì impercettibilmente.

Kumi, invece, teneva lo sguardo basso cercando di prestare il meno possibile attenzione alle parole della cerimonia, inutile dal suo punto di vista: aveva già imposto al corpo il sigillo di Gamo, la discesa verso gli inferi era assicurata. Tuttavia la sua posizione sociale le imponeva di partecipare, una sua assenza sarebbe stata troppo sospetta.

Alzò per un istante lo sguardo, in tempo per vedere Matsuyama aprire il contenitore del fuoco sacro e mostrarne la fiamma all'assemblea. Per un attimo sentì l'aria mancarle nei polmoni e il respiro farsi impossibile: si era dimenticata l'effetto che poteva avere su di lei la fiamma consacrata, era un'emanazione della stessa Machiko, sua nemica mortale.

Col braciere il Sacerdote accese la catasta di legna della pira e poi lo richiuse. Kumi improvvisamente poté riprendere a respirare: sollevata e tremante si appoggiò a Kanda, che rapido la sostenne. Chi era vicino pensò che la Lady avesse avuto un piccolo mancamento dovuto all'emozione del rito.

Velocemente il fuoco si espanse, avvolgendo completamente la bara e iniziando la sua opera di purificazione e distruzione dei vincoli terreni.

Il coro cantò nuovamente, ma in maniera molto diversa dalle precedenti: si potevano distinguere almeno tre, se non quattro voci, che si rincorrevano e rispondevano senza sosta, con continui passaggi tra il forte e il piano. Era quasi una rappresentazione sonora del movimento delle fiamme.

Tutti, eccetto Kumi, ancora sostenuta dal Sovrintendente, osservavano e ascoltavano rapiti, perfino Kanda dovette ammettere che il rito aveva un suo fascino.

Dopo che le fiamme ebbero divorato ogni cosa e si furono spente, il canto venne sostituito dal grido straziante di Furano, l’aquila ammaestrata del tempio della Cittadella. Si dice che la Divina Machiko, tra tutte le creature, avesse una predilezione per questo volatile.

Ormai la cerimonia era conclusa, ma il Sacerdote, alzatosi in piedi, con un ampio gesto richiamò la folla all’ordine:

“Come tutti sapete, sua Altezza Jun era Principe Reggente durante l’assenza del Principe Legittimo. Essendo venuto a mancare è necessario che avvenga la nomina di qualcuno che guidi il regno in questa situazione.”

Ci fu una breve pausa, per dare tempo al popolo di assimilare la situazione.

“Fortunatamente il Principe è stato previdente e prima di lasciarci ha nominato un Reggente. Da questo momento il nostro Sovrintendente eserciterà questa funzione.”

Fece un cenno a Kanda, invitandolo a raggiungerlo sulla pedana di destra. Questo si mosse con solennità, dissimulando alla perfezione il suo trionfo.

Giunto davanti a Matsuyama s’inginocchiò, permettendo al Sacerdote di imporre le mani sul suo capo:

“Che la benevolenza e la saggezza di Machiko ti siano guida durante l’adempimento dei tuoi doveri.”

“Che la Dea mi ispiri.”

“Va e compi il tuo dovere! Noi pregheremo affinché la Dea ti sostenga e affinché sua Altezza Tsubasa possa aver concluso il suo viaggio e possa ritornare al più presto in patria.”

Il Reggente si alzò, ignorando deliberatamente l’ultima parte del discorso del Sacerdote, e di malavoglia congedò tutti: avrebbe preferito una cerimonia più sontuosa per ricevere il suo incarico, ma Kumi l’aveva persuaso, con i suoi mezzi più convincenti, a comportarsi sobriamente.

La gente lentamente iniziò ad allontanarsi e tornare alle proprie occupazioni, aiutata da vari membri della Guardia Reale.

Nessuno si accorse di un’ombra furtiva che scendeva da un tetto e spariva nell’ombra dei vicoli, diretta ad un’uscita segreta tra le mura.

 

 

 

 

 

La pioggia cadeva battente, era cominciata poco dopo la fine “dell’incoronazione”. Yoshiko, coprendosi la testa con il velo, evitò agilmente una grossa pozzanghera, proseguendo la sua strada e sperando di non venire fermata per l’ennesima volta da qualcuno che voleva complimentarsi per la sua voce.

L’aveva visto così triste durante la cerimonia e voleva assicurarsi al più presto che stesse bene. Entrò nel tempio, fermandosi un istante sulla soglia per riordinarsi ed essere rispettosa del luogo sacro.

Lo trovò sul fondo del tempio, vicino all’altare, intento a pregare davanti alla statua della Dea.

Come ogni volta, Yoshiko la osservò ammirata: il marmo bianco trasmetteva la sensazione di solennità e imponenza, mitigata dalle morbide pieghe con cui erano scolpiti il vestito e le onde dei capelli, mentre la bocca era socchiusa in un sorriso benevolo. Sulla spalla della divinità era collocata un’aquila reale, che scrutava l’orizzonte.

Hikaru si sollevò e voltandosi si trovò davanti gli occhi della giovane:

“Yoshiko! Dovresti essere a casa! Tuo padre sa che sei qui?”

La ragazza annuì.

“Come stai? Non ti ho mai visto così coinvolto da un funerale.”

“Fino ad ora non ho mai dovuto svolgere la cerimonia per qualcuno che conoscessi bene. Quando morirono i miei genitori, io non avevo ancora preso i voti.”

“Gli zii sarebbero fieri di te in questo momento.”

Restarono per un attimo in silenzio, poi Hikaru le fece segno di seguirlo e iniziarono a camminare lentamente.

“Lo conoscevi davvero così bene?”

“Sì, spesso parlavamo e non solo di questioni legate ai nostri rispettivi compiti istituzionali. Il Principe era molto sensibile, sapeva cogliere le sfumature delle cose. Sarebbe stato un ottimo regnante, se la malattia non lo avesse colpito. A volte i progetti della Dea sono così imperscrutabili anche per noi uomini di fede.”

“Non credi che il Sovrintendente sarà all’altezza del suo nuovo compito?”

“Anche troppo, dal suo punto di vista.”

Il Sacerdote si fermò per raccogliere dei petali caduti a terra.

“Per la prossima cerimonia ci servono delle corone di fiori nuove. Potete occuparvene voi ragazze?”

Yoshiko annuì, cercando poi di riprendere il discorso interrotto:

“Non ti piace il Sovrintendente?”

L'uomo sospirò.

“È difficile da spiegare, ma nemmeno sua Altezza Jun si fidava completamente di lui. Una volta mi ha confidato che avrebbe preferito qualcuno come Wakabayashi in quella posizione, ma Kanda era stata una scelta di suo fratello e come tale doveva rispettarla. Poi...”

Il suo volto si adombrò e assunse l'espressione tipica di quando avrebbe voluto porre fine a una conversazione. La curiosità di Yoshiko era stata stuzzicata, strinse le mani raccogliendo il coraggio per ignorare il segnale e domandare:

“Poi?”

La voce del Sacerdote fu un sussurro appena udibile.

“Una strana sensazione, un campanello d'allarme, come se il male fosse alle porte.”

Un tuono squarciò l'aria e li fece sussultare entrambi, dando a Hikaru l'occasione di cambiare argomento.

“Un temporale di questa stagione è insolito. Hai cantato bene oggi.”

La ragazza arrossì leggermente, era abituata a ricevere complimenti, ma i suoi avevano un sapore particolare. Era molto legata a lui, non solo perché erano parenti, le piaceva passare il tempo in sua compagnia, chiacchierando o aiutandolo al Tempio. Aveva iniziato a cantare con le Ancelle di Machiko per poter passare più tempo con lui, senza però disturbarlo. Solo in seguito aveva scoperto di amare la disciplina e di avere un dono nella sua voce. Ricordava ancora con chiarezza il giorno in cui il maestro le aveva assegnato il suo primo assolo, chiedendole di eseguirlo davanti a Matsuyama, per ricevere la sua approvazione. All'iniziale sorpresa, sul viso del giovane Sacerdote si era a poco a poco sostituito l'orgoglio per quel talento.

“Grazie. Il maestro ora sta componendo una nuova armonizzazione per la preghiera di inizio estate, spera di riuscire a terminarla e farcela cantare per quest'anno.”

“Sono sicuro che ce la farete, è appena iniziata la primavera.”

“Non sotto i migliori auspici.”

Restarono qualche istante in silenzio, continuando la perlustrazione del tempio: vicino all'ingresso altre corone avevano perso petali, alcune erano quasi completamente spoglie, sarebbe stato il caso di toglierle.

“Vuoi che ti aiuti con quelle?”

“Mi piacerebbe, ma rischi di fare tardi.”

“Se sarà troppo buio papà verrà di certo a prendermi.”

Matsuyama posizionò uno sgabello alla base della colonna e ci salì, staccando la decorazione dal suo sostegno e passandola a Yoshiko che se la rigirò tra le mani.

“In due faremmo prima.”

Il Sacerdote sorrise e fece la sua proposta:

“Perché non resti per cena? Ti riaccompagno io a casa dopo.”

“Volentieri. - Rispose entusiasta. - E mio padre?”

“Gli farò recapitare un messaggio da Furano. Le piace volare sotto la pioggia.”

 

 

 

 

 

“Izawa! Izawa! Dove ti sei cacciato?”

Appena rientrato dalla cerimonia funebre, Genzo sbraitò per tutta la Caserma chiamando il suo vice, ma non ottenne nessuna risposta. Passò in rassegna con lo sguardo il grande salone centrale, dove solitamente si riunivano gli uomini durante i pasti e quando non erano di pattuglia per le strade della Cittadella, o nella campagna appena limitrofa. Era quasi deserta, tranne per la presenza di Taki e Kisugi che giocavano a dama al fondo di una delle tavolate. Indossavano solo la casacca da addestramento, priva di armatura e mantello.

“Voi due! – li apostrofò il Capitano – Avete visto Izawa?”

“No, Signore.”

“Deve essere ancora fuori.”

“Va bene. Quando arriva mandatelo nel mio studio.”

Imboccò il corridoio sul lato sud, che conduceva ai suoi quartieri privati. Quello del lato nord, invece, portava ai dormitori di tutti gli altri membri della Guardia. I suoi passi spediti riecheggiavano sul pavimento di lucido marmo nero, voluto da uno dei precedenti Capitani con manie di grandezza, mentre dalle pareti lo osservavano tutti con i loro sguardi severi. Si soffermò per qualche istante sul ritratto più recente, quello del suo mentore Tatsuo Mikami e suo immediato predecessore.

Ora il vecchio Capitano si godeva la pensione, nella sua casa di campagna, anche se ogni tanto trovava del tempo per andare a visitare il suo ex allievo, rivedere la Caserma e dispensare qualcuno dei suoi consigli, o, molto più semplicemente, ricordargli quanto sua figlia fosse una ragazza graziosa.

Wakabayashi scostò una pesante porta di rovere ed entrò nella stanza circolare che fungeva da suo studio personale. In quell’ambiente dominavano le linee curve, dalla scrivania alle finestre, alla scala a chiocciola che conduceva al suo dormitorio.

Si tolse il pesante mantello nero, gocciolante di pioggia, rimanendo con la splendida divisa bianca profilata di rosso, colore del suo grado di Capitano.

Si accomodò su una sedia e cominciò a studiare qualche scartoffia, ma non riuscì a concentrarsi per molto: la sua mente tornava continuamente alla cerimonia del mattino e, ancora più indietro, agli avvenimenti degli ultimi giorni, c'era qualcosa che non gli tornava.

Tutti avevano visto il Principe uscire dalla Cittadella insieme all'Attendente, mentre solo questo era stato visto rientrare e in maniera piuttosto evidente: molti si erano lamentati sia coi ragazzi di pattuglia, sia con le Guardie della Porta. Che sua Maestà fosse rientrato per uno degli accessi segreti nelle mura, come sosteneva il Sovrintendente, era plausibile, ma non lo convinceva pienamente. Era un comportamento più consono a Tsubasa dimenticarsi di avvisare dei suoi cambi di programma chi doveva proteggerlo.

Suonò nervosamente un campanello e subito accorse un giovane ragazzo.

“Morisaki, portami qualcosa di caldo e forte.”

“Come il Capitano comanda.” Schizzò fuori dalla stanza quasi avesse avuto il fuoco ai piedi.

La pioggia batteva sempre più insistentemente sul vetro e come un tarlo erodeva sempre più in profondità i dubbi di Wakabayashi.

Morisaki tornò con una tazza fumante di Shutetsu, uno degli alcolici prediletti dai soldati della Guardia, soprattutto al rientro dalle ispezioni notturne. Dietro di lui venne un altro uomo, avvolto in un mantello azzurro e i capelli nerissimi raccolti in un codino.

“Hajime e Teppei mi hanno detto che mi cercava Capitano.”

Genzo annuì in maniera appena percettibile, congedando poi con un gesto il ragazzo più giovane.

“Allora, Izawa, aspetto il tuo rapporto.”

Mamoru Izawa, Vice Capitano della Guardia Reale, avanzò fino a pochi passi dalla scrivania che lo separava dal superiore.

“Finito il rito funebre la folla si è allontanata in maniera abbastanza ordinata. Quasi tutti sono rientrati tranquillamente alle loro dimore o sono usciti dalla Cittadella senza alcun problema. A quanto pare nessuno ha approfittato della confusione per fare danni. Per sicurezza un paio di ragazzi stanno ultimando il giro nei quartieri più periferici.”

“Bene. - Rispose con voce atona, in quel momento aveva interessi più urgenti dell'ordinaria amministrazione – Per quanto riguarda l'altra questione?”

Mamoru esitò un istante, abbassando lo sguardo verso la pozzanghera che si stava formando ai suoi piedi.

“Izawa! Non mi risulta che le cattive notizie migliorino non comunicandole.”

Il soldato irrigidì la schiena e si sollevò:

“Ho cercato ovunque, nelle taverne, nelle locande e perfino nei bordelli. Ho parlato con tutte le cameriere della Fortezza che conosco. Nessuno ha più visto l'Attendente Sanada dalla sera in cui sua Maestà è deceduto.”

Wakabayashi prese qualche sorso del suo liquore, lasciando che il calore si espandesse dalla bocca attraverso tutto il torace fino allo stomaco.

“Non che mi aspettassi qualcosa di meglio. La faccenda è decisamente sospetta. Puoi andare, se avrò ancora bisogno ti manderò a chiamare.”

“Sì, Capitano.”

Mamoru salutò col tipico gesto militare e si voltò. Stava per aprire la porta che venne richiamato:

“Izawa, quando ti deciderai a farti tagliare quei benedetti capelli?”

Rimasto solo Genzo tornò ad ascoltare il temporale e a perdersi nei ricordi.

 

Era stato svegliato poco prima dell'alba dalla piccola Yamaoka, una delle servette della Fortezza, che lo informava di essere richiesto dal Sovrintendente. Di malavoglia era sceso dal letto e si era fatto aiutare dalla ragazzina a indossare gli abiti adatti alla convocazione.

Si era domandato più volte perché fosse il Sovrintendente a farlo chiamare e non il Principe, in fondo lui prendeva ordini direttamente dalla casa reale, senza la necessità di intermediari.

Aveva attraversato i vicoli della Cittadella, aiutato dalla luce che si faceva sempre più intensa, gettando uno sguardo distratto agli ultimi clienti dei bordelli che si allontanavano furtivi per rincasare, mentre dalle botteghe dei fornai già si sentivano gli effluvi delle prime sfornate.

Finalmente giunto nella sala del trono, si era trovato davanti Koshi Kanda ed era seguito il dialogo più surreale a cui avesse mai preso parte.

“Capitano, mi dispiace avervi fatto svegliare in questo modo. - Aveva esordito l'uomo – Ho solo pensato che fosse giusto che voi foste il primo a saperlo.”

“Che è successo?”

Aveva chiesto, scocciato da quel preambolo: amava essere diretto e andare subito al punto delle questioni. Il burocratese e le frasi di cortesia le lasciava volentieri agli altri.

“Il nostro amato Principe Jun ci ha lasciati. È spirato un'ora fa.”

Quelle poche parole ebbero il potere di risvegliargli del tutto la mente e di farlo esclamare quasi rabbioso:

“Come? E, soprattutto, perché non sono stato avvisato prima?”

Probabilmente avendo previsto la reazione il Sovrintendente gli aveva risposto celermente, fin troppo:

“Il cuore. Abbiamo chiamato il Priore, in questo caso era l'unico che avrebbe potuto fare qualcosa, ma nemmeno lui è riuscito a salvarlo: non ha potuto fare altro che constatare l'inevitabile.”

“Voglio vederlo!”

“Il Priore?”

“Il Principe, razza di deficiente!”

Per una attimo gli era parso che Kanda volesse ucciderlo all'istante per quell'imprecazione, ma poi si era trattenuto, dandogli l'impressione di essere sul punto di assaporare una vittoria più grande.

“Non è possibile, per il momento. Il Priore l'ha vietato.”

“Come?” Per la seconda volta aveva posto la domanda.

“Dubitate della parola di Katagiri?”

Genzo aveva dovuto ammettere a sé stesso di non poter controbattere a una decisione del Priore ed aveva fatto un passo indietro.

“A questo punto, credo che la mia presenza non sia più richiesta.”

Aveva percorso metà della sala, quando Kanda lo aveva richiamato.

“Aspettate.”

Si era voltato ed aveva visto il Sovrintendente prendere posto sulla pedana rialzata, accanto al trono.

“Immagino che vi stiate domandando chi assumerà il potere, dato che nessun membro della Casa Reale è rimasto alla Fortezza.”

Sì, se l'era chiesto e la prima cosa che gli era venuta in mente era stato trovare un modo per far tornare Tsubasa dal suo viaggio.

Un brivido era sceso lungo la sua schiena, insieme a un'intuizione, facendogli sospettare che la domanda non fosse stata posta a caso.

“Sua Maestà avrà sicuramente lasciato istruzioni in merito, era molto giudizioso e responsabile.”

Un leggero sorriso aveva increspato le labbra del suo interlocutore.

“Vedo che siete perspicace come si dice. - Prese un rotolo di pergamena dal trono e lo aprì – Sua Altezza mi ha conferito il titolo di Reggente.”

Il silenzio era calato nella sala, un raggio di sole era entrato attraverso le vetrate, abbagliandolo per un istante.

Si era avvicinato al trono, aveva afferrato la pergamena e l'aveva studiata attentamente: la firma di Jun era chiara e leggibile, come un marchio. Infine l'aveva depositata nuovamente dove aveva visto Kanda raccoglierla.

“Ora, l'annuncio ufficiale verrà fatto tra qualche giorno: lasciamo al popolo il tempo di elaborare il lutto. Nonostante ciò, da voi ho bisogno di assoluta lealtà fin da subito, devo essere sicuro di poter contare su di voi.”

Aveva risposto meccanicamente:

“Se il Principe vi ha scelto, non ho motivi per non esservi fedele.”

Lentamente aveva estratto dal fodero la spada istoriata, che era appartenuta alla sua famiglia da generazioni, passando di mano da padre a figlio, tenendola su entrambi i palmi parallela al terreno, si era inginocchiato e aveva pronunciato le parole del giuramento, legandosi fino alla morte al suo nuovo signore.

 

Con un sospiro Genzo tornò al presente e si alzò, avvicinandosi alla finestra: il temporale non aveva intenzione di farsi meno intenso, probabilmente avrebbe piovuto fino a sera e forse per tutta la notte. Mentalmente prese l'appunto di mandare un gruppo di uomini a controllare gli argini del fiume che attraversava la parte più bassa della Cittadella.

Bevve qualche altro sorso di Shutetsu, accorgendosi che si era raffreddato. Con una smorfia appoggiò la tazza al davanzale, solo caldo era piacevole al palato.

La scomparsa di Sanada, perché ormai di scomparsa si trattava, era il tassello più strano di quella vicenda: Kanda sosteneva che, non appena saputo della morte del Principe, l'Attendente aveva rassegnato le dimissioni ed era partito per tornare dalla sua famiglia.

A lui era sembrato piuttosto affezionato a Sua Maestà, perché mai si era allontanato senza nemmeno aspettare la cerimonia funebre? Temeva forse ritorsioni per la morte? Ma cosa avrebbe potuto fare, in fin dei conti era un semplice Attendente, a differenza sua.

Poi, poi c'era quella donna, Lady Sugimoto: non sapeva perché, ma non gli piaceva, non si fidava per nulla di lei. Era l'istinto a suggerirgli di stare in guardia e raramente il suo istinto sbagliava.

Diede un ultimo sguardo all'esterno, prima di indossare il mantello rosso e andare a dare disposizioni agli uomini.

 

 

 

 

 

 

1 L'omoritmia è una tecnica compositiva in cui tutte le varie voci si muovono con lo stesso andamento ritmico, mentre le melodie sono indipendenti. In questo modo la comprensione del testo risulta molto chiara, poiché tutte le voci intonano le stesse sillabe nello stesso momento e con le stesse durate.

 

2 La cantillazione è la pratica di declamare un testo intonandolo sulla stessa nota ribattuta, chiamata corda di recita. È usata nella liturgia cristiana, ma anche in quella ebraica, solitamente durante le letture.

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Capitolo 5
*** Stanza V ***


Il sonno del Principe non era tranquillo: sentiva delle voci, arrancava, cercava di uscire dal buio, ma poi ripiombava nelle tenebre finché tutto non ricominciava da capo.

Ricordava gli ultimi istanti dello scontro, la faccia del suo avversario, la sua espressione un attimo prima di crollare. Lo riviveva interamente rallentato, riesaminando ogni singolo movimento suo e del Ribelle, oppure era tutto talmente veloce e talmente confuso che non appena estraevano le spade, in un battito di ciglio si ritrovava a terra. Poi quella voce.

“Non si può svegliare, è caduto perché sta male!”

“Il cuore gli scoppierà se continua così!”

“Siete al sicuro.”

“Dormite, vi farà bene.”

“Yayoi.”

“Non è pronto.”

“Yayoi. Yayoi.”

Quel nome ritornava martellante più volte, associato a un colore, il rosso: ogni volta che lo vedeva, gli sembrava di essere sul punto di riuscire a lasciare il baratro, invece veniva colto dall'oblio, come se finisse in un altro mondo, dolce, ovattato, un po' meno buio e più caldo. Ma di nuovo ricominciava tutto dall'inizio: il duello, il buio, la voce, il colore, il caldo, di nuovo il duello, il buio, la voce, il colore, era un cerchio senza fine in cui si sentiva impotente, incapace di spezzarlo.

L'unica nota positiva era data dal fatto che, ad ogni passaggio, il dolore lancinante al petto si faceva via via più leggero, fino a sparire del tutto, lasciandogli addosso la stessa spossatezza che seguiva i suoi malori alla Fortezza.

“Non lo so ancora Kojiro, forse potrebbe essere oggi. Sono passati due giorni, abbi un po’ di pazienza!”

Di nuovo quella voce. Questa volta era deciso a spezzare il circolo.

A fatica Jun aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Era piccolo e non molto luminoso, ma rispetto al buio in cui si trovava prima era decisamente un passo avanti. Si mosse e tentò di sollevarsi.

Una donna gli fu accanto.

“Aspettate, fatevi aiutare.”

Riconobbe la voce.

“Yayoi?” Chiese in un sussurro.

La donna sorrise, aiutandolo a mettersi seduto, con la schiena appoggiata alla parete, muovendolo lentamente e facendo molta attenzione.

“Ecco, restate così, non spostatevi. Non avete ancora molta forza.”

Gli disse, sistemandogli la coperta.

L’uomo annuì, studiando la situazione: la prima cosa che lo colpì furono i capelli della donna, lunghi e rossi, abbaglianti quasi come fuoco.

Spostò lo sguardo lungo le pareti: a quanto pareva si trovava in una capanna di legno. Non indossava i suoi vestiti, ma una tunica scura e le sue armi erano sparite. Ricordava che i Ribelli erano intenzionati a farlo prigioniero, probabilmente ora si trovava in uno dei loro rifugi. Quindi anche la donna…

“Sei con i Ribelli?”

“Sì. Non vi agitate, siete stato molto male.”

“E tu… tu mi hai curato. Perché?”

Yayoi esitò un istante.

“Dovere.”

Forse era stato dovere all’inizio, appena l’aveva scorto svenuto a terra, o ancora quando aveva capito che il problema poteva dipendere da fattori magici, ma poi era diventato qualcosa di diverso, meno imposto dalle sue abilità di Strega Bianca, ma allo stesso tempo più vincolante. Non sapeva ancora spiegarselo: sapeva solo che quell’uomo aveva su di lei uno strano potere.

Al suo sguardo interrogativo si affrettò ad aggiungere:

“La Dea mi ha dato il dono di poter essere utile a chi ne ha bisogno. Vi basti sapere questo per ora.”

Jun rimase pensieroso per un istante, prima di rivelare uno dei suoi timori.

“C'è stato un momento, durante lo scontro con uno di voi, in cui ho creduto di morire. Se non ci fossi stata tu sarebbe successo, vero?”

Domandò, ricordando alcune delle parole che aveva captato.

“Probabilmente sì.”

Calò il silenzio.

Per spezzare quel momentaneo imbarazzo la donna gli afferrò il polso e lo studiò: il battito cardiaco si era stabilizzato, ma lo sforzo prolungato l'aveva molto indebolito.

“Al momento il vostro cuore è molto debole. Fossi in voi non tenterei di scappare, probabilmente sverreste appena fuori dalla porta. - aggiunse, quasi avesse letto nei suoi pensieri - Se posso chiedervi, era la prima volta che avete avuto questo problema?”

Il Principe alzò lo sguardo fino a fissarlo negli occhi scuri di lei, valutando quanto scoprirsi con la risposta, fornire troppe informazioni ai nemici non era una strategia vincente. Non vi vide secondi fini e decise di potersi fidare, almeno per il momento.

“No. È da quasi un anno che il cuore ha cominciato a giocarmi brutti scherzi. Inizialmente si limitava a episodi in cui batteva molto velocemente, come se avessi appena fatto una corsa, senza alcun motivo apparente. Poi è cominciato il dolore, sempre più intenso ad ogni attacco, fino a farmi perdere i sensi in alcuni casi. Il Priore Katagiri ha tentato in tutti i modi di trovare una soluzione. - abbassò lo sguardo e strinse la coperta con entrambi i pugni – Anche se non lo dice apertamente, credo che la situazione sia destinata a peggiorare sempre più. L'ultimo attacco, quello da cui mi hai salvato, è stato sicuramente il più brutto. A volte mi sembra che il Tonico invece di aiutarmi mi renda più stanco.” Sospirò.

“Tonico?”

“Quello che mi porta Lady Sugimoto, una delle dame alla Fortezza.”

Gli ingranaggi del cervello di Yayoi erano già al lavoro, alcuni particolari di quella vicenda confermavano le sue supposizioni.

“Vi ricordate com'era questo tonico?”

Jun cercò di fare mente locale, non aveva mai prestato molta attenzione agli intrugli che gli somministravano.

“Di colore era scuro, mi pare, e denso, sì, molto denso.”

La Strega annuì, non poteva certo dire di conoscere tutte le pozioni possibili, ma una cosa era certa: lei non avrebbe mai usato un composto di quel tipo per un problema del genere. Solitamente erano i prodotti delle Streghe Nere ad avere quelle caratteristiche.

“Prima di un anno fà, non avete mai avuto sentore di nulla?”

“Niente di cui mi sia accorto.”

Un altro punto a suo favore. Poteva permettersi di sbilanciarsi un po', ricordando che la decisione ultima spettava a Kojiro. Si sistemò, mettendosi più comoda.

“Se mi sarà concesso, io vi posso aiutare. Vedrete, starete di nuovo bene Altezza.”

Jun la guardò incredulo.

“Come? Nemmeno il Priore...”

“Al contrario di quello che loro pensano, in certi casi le capacità curative dei Priori sono davvero limitate. Ci vorrà tempo, ma guarirete. Ora basta chiacchiere per un po'. - Si alzò, passando le mani sulla gonna e sul grembiule. - Cercate di riprendere un po' di forze mentre sono fuori: devo avvertire Kojiro che siete in grado di rispondere alle sue domande, non posso più temporeggiare. Cercherò di fare in modo che non sia troppo brutale con voi.”

Uscì dalla porta.

Il Principe restò a guardare quella lunga chioma rossa sparire nella pioggia.

Gli aveva dato una speranza, ma faticava a crederci, per due motivi: i Priori erano la massima autorità del regno in fatto di medicina, se, dopo molti anni di studio, loro non riuscivano a curarlo come poteva sperare di farlo una donna così giovane? Soprattutto, come poteva fidarsi di una Ribelle? Certo, gli aveva già salvato la vita una volta, ma non era stupido al punto da non capire che per i Ribelli stessi lui valeva molto più da vivo che da morto.

Ripensò a Sanada, ormai doveva aver avvertito Wakabayashi. Probabilmente tutta la Guardia Reale era impegnata nelle sue ricerche, prima o poi l'avrebbero trovato, la testardaggine del Capitano era tale che non si sarebbe fermato finché tutta la foresta non fosse stata battuta palmo a palmo. Ma quanto tempo era passato dall'imboscata?

 

 

 

 

La donna non dovette cercare a lungo per trovare il capo dei Ribelli: questo stava passeggiando nervosamente avanti e indietro al centro della radura, dove solitamente accendevano i fuochi, incurante della pioggia che cadeva.

Aveva spedito Ken in avanscoperta alla Cittadella, per capire come si stessero organizzando contro di loro. Di sicuro avrebbero mandato tutta la Guardia Reale a perlustrare l'intera la foresta.

Loro avevano scorte a sufficienza per resistere a lungo e nessuno sarebbe uscito dal villaggio senza un suo ordine preciso.

Tuttavia doveva assolutamente interrogare il prigioniero e magari cominciare a fargli scontare qualcuno dei suoi errori. Se entro sera la Strega non gli avesse ancora concesso il suo benestare, avrebbe fatto in modo di allontanarla.

Con stupore se la trovò davanti.

“Ho il tuo permesso?”

Le chiese soltanto, immaginando che lei avrebbe capito a cosa si riferiva.

La donna annuì.

Kojiro partì verso la capanna, non ascoltando nemmeno le ultime raccomandazioni di Yayoi sul non stancare troppo il Principe.

La Strega alzò la testa verso l'alto e, portandosi una mano davanti agli occhi, riuscì a vedere Maki su uno dei passaggi sospesi che sorvegliava la situazione. Con un cenno le fece capire che Kojiro stava andando a interrogare il prigioniero.

Agilmente la Ribelle scese dalla scala di corda, senza badare a che il vento le sollevasse troppo la gonna, anzi, nei giorni di pioggia il suo abbigliamento corto le era ancora più comodo, non facendo cadere l'orlo del vestito nelle pozzanghere e nel fango.

"Allora, è il momento?"

"Sì – rispose la Strega – Vieni anche tu?"

"Voglio togliermi dei dubbi e sì, – Aggiunse notando l'implicita domanda nello sguardo dell'altra donna – cercherò di fare in modo che Kojiro non si comporti troppo da animale."

Yayoi sorrise grata:

"Grazie, sai che generalmente ascolta più te che me."

Si avviarono ed entrarono nella capanna, dove trovarono Kojiro già in posizione, che osservava il Principe con uno dei suoi sguardi più battaglieri. Per parte sua Jun non era da meno, disposto a non dimostrarsi debole e a tenere testa all'avversario. Maki prese posto accanto al suo uomo, mentre Yayoi si avvicinò alla mensola dove teneva ormai da due giorni le erbe e il pugnale.

L'atmosfera era elettrica, il tuono che si sentì in lontananza rappresentò l'inizio del nuovo duello.

"Allora caro il mio Principe, come ci si sente ad essere prigioniero e dover subire?"

"Per ora non male, anche se credo che il bello debba ancora cominciare. Potrei sapere con chi ho l'onore di discutere?"

Chiese Jun, cercando di mantenere un tono quanto meno neutro, sapeva che in certi casi la diplomazia poteva essere un'arma utile al pari di una spada, per lo meno finché non avesse capito com'era esattamente la situazione, ma soprattutto poteva dargli tempo: si rendeva perfettamente conto che nelle sue condizioni un eventuale scontro fisico si sarebbe risolto inevitabilmente con una sua sconfitta.

"Qui le domande le faccio io, chiaro?"

Ribatté aspro il Ribelle, aggiungendo poi con un ghigno:

"Comunque credo che una piccola presentazione non sia male, non vorrei che andassi in giro a raccontare che i Ribelli sono dei maleducati! Io sono Kojiro Hyuga, il capo del gruppo e questa è Maki Akanime. Immagino che invece Yayoi tu la conosca già."

La indicò con un cenno del capo.

Il prigioniero annuì.

"Bada bene, - continuò Kojiro – il solo fatto che lei si sia presa cura di te non ti autorizza a prenderti delle confidenze."

"Lo immaginavo." Rispose secco.

"Veniamo a noi ora. - Si avvicinò al Principe, sovrastandolo con tutta la sua massa, cosa che gli riusciva senza problemi: se anche fossero stati entrambi in piedi, Kojiro era comunque più alto del sovrano di una spanna – Noi Ribelli, ma anche tanta altra buona gente delle campagne, vorremmo sapere cosa abbiamo fatto di male da meritare certi 'trattamenti di favore' da parte della Famiglia Reale.”

Jun lo guardò scettico, incredulo sul fatto che gli venisse posta una domanda simile:

"Se infrangete la legge e vi ribellate all'ordine prestabilito, mi pare ovvio che la Guardia Reale debba occuparsi di voi. Se permettessimo a tutti i Ribelli di commettere le loro scorrerie senza intervenire, cosa direbbe la popolazione innocente?"

Hyuga, provocato, scattò feroce e, dimenticandosi qualsiasi buon proposito di restare calmo, afferrò saldamente il prigioniero per la tunica, strattonandolo:

"Scorrerie? Non siamo stati certo noi a cominciare! Sono stati i tuoi uomini a iniziare ad agire contro quella che tu chiami la popolazione innocente. Siamo noi che la difendiamo, da te e dalla tua sete di potere! Per quanto nemmeno tuo fratello fosse il mio sovrano ideale, per lo meno lui aveva a cuore la giustizia!”

“Kojiro!”

Strillò Yayoi, preoccupata per la reazione del Principe agli strattoni: era impallidito e dava segni di respirare a fatica.

“Lascialo andare, Kojiro. Così non risolverai nulla.”

Anche Maki si era avvicinata e aveva appoggiato una mano sulla spalla del capo dei Ribelli, cercando di riportarlo alla calma.

Spinto dalle due donne Hyuga mollò la presa, ma continuò a lanciare al prigioniero uno sguardo iroso e disgustato.

Jun tornò ad appoggiare la schiena alla parete, prendendo dei profondi respiri a occhi chiusi. Quando li riaprì trovò Yayoi accanto a sé.

“Va meglio?”

“Sì, grazie.”

Cerco di sorriderle, quella donna sembrava essere la sua unica alleata.

Rinfrancata, la Strega tornò alla sua posizione, non voleva indisporre troppo Kojiro col suo comportamento: quando era teso bastava un evento minimo a farlo scattare come poco prima.

Il Principe prese fiato un'ultima volta prima di tornare a rivolgersi ai suoi due interlocutori:

“Credete che a me non interessi la giustizia? Come potete dire una cosa simile?”

Fu Maki a rispondere, incrociando le braccia.

“A me non sembra giustizia quello che avete ordinato per Okinawa!”

“Okinawa? - Jun si sforzò di ricordare – Il villaggio vicino al lago, dove c'è l'allevamento di salmoni?”

“Esatto. Sei mesi fa vi avevamo informato che non avremmo potuto consegnare sufficiente pesce alla Cittadella, a causa di un'epidemia per cui molti esemplari sono risultati non commestibili.”

“Ricordo, avevo dato delle disposizioni precise. Il Sovrintendente avrebbe dovuto mandare qualcuno.”

“Oh sì – ribatté la donna ironica, guardandolo come se avesse voluto incenerirlo – una decina di uomini che hanno dato fuoco a tutte le case, portato via il poco pesce sano rimasto, riducendoci alla fame. Un bel modo di amministrare la giustizia!”

“Non è vero!”

Fu il turno del Principe di perdere la calma, sorprendendo tutti e sollevandosi in piedi di colpo. Subito sentì la testa cominciare a girare e la vista annebbiarsi. Le gambe stavano per cedere, si sentì cadere, ma, più veloce di lui, Yayoi l'aveva raggiunto nuovamente ed era riuscita ad afferrarlo in tempo, rimettendolo seduto.

“Cosa vi ho detto prima? Non siete in grado di compiere certi sforzi. Dovete mantenere la calma anche voi, soprattutto voi.”

Gli appoggiò una mano sul petto e sentì il cuore battere in maniera leggermente irregolare.

“Hai ragione, ma...” Ansimò.

“Niente ma, se non siete in grado di controllarvi non posso far continuare l'interrogatorio.”

“Yayoi, non te lo permetterò!”

Sbraitò Kojiro, serrando i pugni: erano due giorni che aspettava e ora che cominciavano a entrare in argomento, non avrebbe aspettato ancora.

“No. - Intervenne il Principe – Voglio continuare anch'io, mi interessa la questione.”

Rivolse uno sguardo a Yayoi:

“Starò buono, lo prometto.”

La donna annuì leggermente e si inginocchiò accanto a lui, cercando di convincere anche gli altri a sedersi. Non molto convinta da quella mossa, Maki sedette a sua volta, consapevole che fosse l'unico modo per convincere anche Kojiro.

Quando tutti furono accomodati, Jun, che aveva approfittato della pausa per riprendersi, domandò ad Akamine:

“Perché non avete avvisato che eravate stati attaccati?”

La donna alzò lo sguardo al cielo, domandandosi se il Principe la prendesse per stupida.

“Perché erano stati i vostri uomini!”

“La Guardia Reale?”

Non poteva credere che Wakabayashi avesse fatto una cosa simile.

“No, però portavano il vostro stemma. Il loro capo era un tizio alto, coi capelli scuri e uno strano accento, mi pare del nord.”

“Del nord? - Jun spalancò gli occhi – Soda? Non può essere. Io avevo ordinato al Sovrintendente di mandare degli uomini a recuperare del pesce malato, per farlo studiare ai Priori affinché trovassero un antidoto per aiutarvi.”

Maki rimase molto pensierosa: si era aspettata che il Principe si sarebbe difeso dalle accuse, ma non avrebbe immaginato in questo modo. Oltre tutto la sua sorpresa sembrava sincera. Forse Yayoi aveva avuto ragione, forse nella sua semplicità, nel suo guardarlo solo come uomo malato, aveva visto l'innocenza del Principe.

“Dite sul serio?”

“Credetemi.”

“Fosse stato solo questo! - Riprese Kojiro, non disposto a farsi raggirare dalla parlantina del prigioniero – È da quasi un anno che in ogni villaggio o cittadina delle campagne in difficoltà, uomini col vessillo reale arrivano, razziano, feriscono e, in alcuni casi uccidono, riducendo la gente in ginocchio, ancora più in difficoltà. Se questa è la tua idea di giustizia, tientela pure! Noi ci siamo arrangiati diversamente.”

Si girò e sputò, meritandosi un'occhiataccia dalla sua donna.

“Hai detto quasi un anno?”

Domandò la Strega, con voce flebile.

“Sì, da poco dopo che è salito al potere.” Con questa affermazione Kojiro intendeva mostrare come non ci fossero dubbi sulla colpevolezza del Principe.

“Da poco dopo che ha iniziato a stare male.” Ribatté Yayoi quasi con un sussurro e fissando lo sguardo in un punto indefinito, come se stesse parlando da sola.

“Che vuoi dire?”

Chiesero all'unisono Kojiro e Jun, restando per un attimo sorpresi. Se la situazione non fosse stata spinosa, Maki si sarebbe senz'altro messa a ridere.

Yayoi si destò dal suo stato, alzandosi in piedi e cominciando a camminare in circolo.

“Così tutto tornerebbe. Io sospetto che il Principe sia vittima di un avvelenamento e ora credo che il responsabile abbia già cominciato a trarre vantaggio dalla situazione. - Si rivolse direttamente a Jun – Avete detto che i vostri malori erano sempre più forti e debilitanti. Spesso vi hanno costretto a delegare il vostro lavoro?”

“Sì, molte volte subito dopo ero costretto a letto e mi limitavo solo a dare le disposizioni al Sovrintendente, lasciando a lui il compito di assicurarsi che tutto si svolgesse secondo i miei ordini. - all'improvviso il Principe comprese – Tu credi?”

“È probabile, ma non da solo, avrà avuto una complice di sicuro.”

Jun urlò e strinse i pugni:

“Maledetto! Non mi fidavo del tutto di Kanda, ma non avrei mai immaginato che arrivasse a tanto!”

Si ritrovò nuovamente ad ansimare, piegandosi su sé stesso.

La Strega stava per intervenire, voleva convincere tutti a proseguire più tardi, quando la porta si spalancò ed entrò Ken Wakashimazu, richiamando l'attenzione dei presenti.

“Kojiro, non ti ho trovato sugli alberi, immaginavo fossi qui. Lo stai interrogando?”

Esordì, rivolgendosi poi verso il Principe e venendo colto da un moto di fastidio nel vedere Yayoi tutta prodiga nei confronti del prigioniero.

Il capo dei Ribelli si alzò, accogliendo calorosamente l'amico.

“Sì, ma credo che la situazione sia più complicata del previsto.”

“Aspetta di sentire quello che ho da dirti, prima di parlare.”

Avanzò nella stanza, togliendosi il mantello bagnato di pioggia e abbandonandolo sul pavimento. Nel farlo si lasciò sfuggire un'esclamazione:

“Ah!”

“Che hai fatto?”

La Strega lo raggiunse subito, afferrandogli la mano destra e notando un taglio sul palmo.

“Mi sono fatto male scendendo da un tetto, non è niente di serio.”

“Bisogna disinfettarlo. Vieni.”

Lo condusse alla mensola e afferrò una boccetta con uno strano liquido trasparente, che versò sulla ferita.

Il Principe osservava a metà tra l'incuriosito e lo spiazzato.

“È fatta così. L'istinto di curare è più forte di lei.” Gli sussurrò Maki, notando il suo sconcerto.

“Com'è andata alla Cittadella, Ken? Si stanno organizzando per il loro signore?”

“Non immagineresti mai in che modo. - Rispose con un mezzo sorriso, osservando l'intruglio sulla sua mano reagire formando della schiuma. - Sua Maestà è morto, gli hanno fatto il funerale ed è stato nominato un nuovo Reggente.”

“Starai scherzando, spero!”

Esclamò Hyuga, incredulo.

“Affatto. Ho assistito personalmente alla cerimonia nella piazza, molto toccante devo dire.” Scoccò un altro sguardo in direzione del Principe.

Nella stanza calò il silenzio, sembrava che tutto si fosse paralizzato, perfino la pioggia aveva smesso di cadere.

“Quindi – Maki fu la prima a riscuotersi – la teoria del complotto pare essere confermata.”

“Complotto?” Fu la volta di Ken di stupirsi.

“Già – Yayoi cominciò ad avvolgergli una benda intorno alla mano, per non far infettare di nuovo il taglio – per eliminare il Principe. A quanto pare hanno approfittato del rapimento a loro vantaggio.”

“Chi è stato nominato Reggente?”

Il Principe parlò per la prima volta da quando aveva saputo della sua 'morte'.

Ken lo guardò, mentre la Strega fissava il bendaggio.

“Il Sovrintendente. Ha detto che prima di morire lo avete nominato voi personalmente.”

Jun strinse la coperta nei pugni, respirando velocemente:

“Se lo avessi tra le mani... Alto tradimento è questo!”

“Stai calmo principino. – Kojiro lo redarguì sprezzante – Che vuoi fare? Non ti reggi nemmeno in piedi! Se ti presentassi a reclamare ciò che è tuo, ti infilzerebbero senza pensarci.”

Il Principe abbassò lo sguardo, per quanto poco gli piacesse la cosa doveva ammettere che il Ribelle aveva ragione: se avevano ordito un complotto ai suoi danni, ripresentarsi non avrebbe risolto la situazione.

“Un'altra cosa, forse può essere utile a te. - Ken guardò dritto negli occhi Yayoi – Vicino al Sovrintendente c'era una donna, piuttosto in confidenza con lui. Attorno aveva un Aurea nera, sicuramente è malvagia.”

“Aurea?”

Domandò Jun.

“È una specie di alone dato dalla magia posseduta da alcuni individui. - la Strega si appoggiò con la schiena contro la mensola – Ken ha una sensibilità particolare e riesce a percepirla, quasi nessuno ne è in grado. Quindi abbiamo anche la Strega Nera, è stata lei ad avvelenarvi.”

Il Principe sgranò gli occhi:

“Esistono ancora Streghe Nere? Pensavo ormai fossero una leggenda, come le Streghe Bianche. Lady Sugimoto una di esse?”

“Esistono eccome! Ma basta parlare di queste faccende, vi siete stancato anche troppo. Ora avete bisogno di riposare.”

Si avvicinò a lui e lo aiutò a mettersi disteso, senza incontrare resistenza: Jun stesso si rendeva conto di essere molto stanco.

Maki però non aveva terminato:

“Ancora una questione: di lui che facciamo? Ormai è chiaro che dalla Cittadella non cercheranno di riaverlo ed è anche plausibile che non sia lui il nostro vero nemico.”

Istintivamente tutti gli altri si volsero verso Kojiro, era a lui che spettava la decisione.

“Maledizione, abbiamo fatto tanta fatica per nulla. Tuttavia, ora che è stato al villaggio non possiamo lasciarlo andare tanto facilmente. Resterà qui, sarà un semi prigioniero: non sarà tenuto legato o obbligato in un posto chiuso, potrà muoversi nella radura, ma non riavrà le sue armi, le custodirò personalmente. - Raggiunse il mucchio di paglia su cui era adagiato il Principe – Non mi fido ancora di te, ti tengo d'occhio e se farai qualcosa di male o tenterai di fuggire, farai i conti con me. Intesi?”

Jun annuì debolmente, al momento era l'opzione migliore che aveva.

“Bene, noi rientriamo. Non ti lascio nessuno di guardia stanotte. - Dopo quello che aveva visto, era sicuro che non sarebbe riuscito a fuggire nemmeno se avesse voluto. - Nemmeno tu Yayoi.”

Aggiunse in risposta allo sguardo che questa gli aveva lanciato.

“Kojiro ha ragione – intervenne Ken – ormai il prigioniero è in grado di cavarsela la notte e tu hai bisogno di dormire in casa tua. Coraggio.”

Wakashimazu iniziò a spingerla verso l'uscita, irritandola.

“So camminare da sola, Ken. Lasciami fermare un attimo, devo riprendere il mio pugnale, non vorrai che glielo lasci?”

Si divincolò e tornò alla mensola, dove era appoggiata anche la piccola lama che solitamente portava alla cintura.

Gli uomini uscirono discutendo tra loro.

Dalla porta Maki annunciò:

“Vostra altezza, appena sarà pronta la cena vi farò portare qualcosa di caldo.”

Con discrezione se ne andò, permettendo all'amica di restare un ultimo istante sola col Principe, sapeva che lo desiderava.

“Yayoi.”

Jun la chiamò piano. La donna si chinò verso di lui, arrivando a sfiorargli il viso coi lunghi capelli.

“Ditemi.”

“Hai detto che avresti potuto aiutarmi a guarire.”

“Lo farò, ma da domani. Ora riposate finché non arriverà la cena.”

Delicatamente gli rimboccò le coperte.

“Grazie. Io devo riprendermi per sistemare tutto.”

“Shh, ci penserete un altro giorno.”

Dopo che anche Yayoi se ne fu andata, Jun non impiegò molto ad addormentarsi, troppo provato per rimuginare sulla situazione. Non sognò più di duelli, buio e oscurità, ma sognò di luce e fiamme rosse che brillavano e di un nome a cui finalmente poteva dare un volto.

 

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Capitolo 6
*** Stanza VI ***


Al Toho il sole filtrava tra le fronde degli alberi, illuminando il prato della radura e le gocce d'acqua che imperlavano i fili d'erba. Del temporale del giorno prima non c'era alcuna traccia, il cielo era limpido e una leggera brezza muoveva le foglie. Presto sarebbe iniziata la fioritura dei grandi alberi di Kira e le case dei Ribelli sarebbero state circondate da un tripudio di blu e giallo.

Yayoi, davanti alla sua capanna, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, attraversando velocemente uno dei ponti sospesi e riaprendoli solo una volta giunta sulla pedana dall'altro lato. Aveva chiesto parecchie volte di poter avere una scala direttamente sul suo albero, invece di dover raggiungere quello di fronte: non le piaceva per niente camminare su quei passaggi.

Messi i piedi a terra, si avviò con passo molto più deciso.

Era mattina inoltrata e le attività al villaggio erano in fermento: Maki e un gruppo di uomini erano usciti a caccia, mentre le donne, cariche di cesti, erano pronte a partire per andare a lavare i panni dove il letto del fiume si allargava, creando quasi un piccolo laghetto. Bisognava camminare un po', ma rimanevano comunque nel territorio protetto dal Passaggio, senza il rischio di incontrare qualcuno di indesiderato.

“Yayoi!”

La strega si voltò al richiamo:

“Yukari! Come stai oggi?”

“Benissimo, il tuo decotto è miracoloso, non ho più nausea da quando l'hai fatto.”

Le rispose grata e allegra come sempre.

“Prima o poi le nausee spariranno da sole. Vai con le altre al fiume? Non prendere un cesto troppo pesante.”

La donna si rabbuiò un istante:

“Non comincerai anche tu come Ryo, spero. Non sono invalida.”

“Lo so bene, solo devi stare un po' più attenta rispetto al solito. - Le prese le mani fra le sue, con fare incoraggiante – Tutto qui. Poi, conosci tuo marito, quando si tratta di te.”

Yukari annuì: lo conosceva praticamente da tutta la vita e, nonostante tutto, non si era ancora abituata a certi suoi modi.

“Ieri sera, quando Maki mi ha chiesto di portare qualcosa al prigioniero, mi ha fatto una scenata.”

Yayoi sospirò.

“Non si fidano di lui, ma non è pericoloso.”

“Ora che non ha le forze, ma quando si riprenderà? Yayoi – guardò l'amica direttamente negli occhi – ora sono io che ti dico di stare attenta, stai correndo troppi rischi. So quello che vuoi fare con lui e so che cerchi sempre il buono nelle persone, ma è pericoloso entrare troppo in confidenza con i prigionieri.”

La strega ritrasse le mani velocemente, quasi irritata.

“Se non mi prendessi cura di lui, verrei meno ai miei doveri e alla mia fedeltà alla Dea. Ora devo andare.”

Si voltò e riprese la sua strada, cercando di ricacciare indietro le lacrime: nessuno capiva, nessuno nel villaggio si fidava del Principe, ma soprattutto non si fidavano del suo giudizio. Durante il consiglio tenutosi la sera prima nella capanna centrale, aveva dovuto lottare con tutte le sue forze per convincere Kojiro a lasciarla tentare di guarire il prigioniero. Solo l'intervento di Maki le aveva permesso di spuntarla: anche lei era sospettosa nei confronti di sua Maestà, ma pareva disposta quantomeno a dargli una possibilità. Tutti gli altri, Ken in particolare, sembravano mal accettare l'idea che, una volta ripresosi, il Principe potesse girare indisturbato per il villaggio. Tuttavia l'autorità di Kojiro era tale che alla fine nessuno si oppose.

Arrivata alla piccola capanna, Yayoi si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi un istante e sospirando. Vide il Principe ancora addormentato e ne approfittò per iniziare a preparare il filtro: aveva pensato per quasi tutta la notte a quali erbe usare, le foglie di Machiko erano state utili per far rallentare il cuore, ma ora le serviva un effetto diverso, doveva fargli recuperare forza. Alla fine aveva optato per un composto di varie foglie fresche con l'aggiunta dei fiori di Sapporo, una pianticella sempre fiorita che prendeva il nome dalla città celeste da cui alcuni semi sarebbero caduti sulla terra. La donna ne aveva una nella sua abitazione e, prima di scendere, aveva raccolto in un fazzoletto una manciata dei piccoli fiori rosa.

Col coltello tagliò il fogliame, lasciandolo cadere in una tazza a cui aggiunse poca acqua e un pizzico della polvere già usata per il precedente rimedio.

“Divina Machiko, ascolta la preghiera della tua devota: dammi la forza per curare questo bisognoso, per riportare in lui l'Armonia.”

Una luce bianca e chiarissima si formò tra le mani della Strega, che la diresse verso la tazza. La capanna venne interamente illuminata per un brevissimo istante e l'infuso di foglie fu trasformato in un liquido limpido e dorato.

Il Principe, disturbato dalla luce, aprì gli occhi e girò la testa, notando la figura della donna nella stanza.

“Yayoi.” Chiamò.

La donna si voltò, sorridendogli, in modo che Jun riuscì a vederla per intero: indossava un semplice vestito azzurro ghiaccio, le maniche tirate indietro fino ai gomiti, un grembiule più scuro, i capelli di fiamma raccolti in una coda bassa.

“Buongiorno, Altezza.” Yayoi fece un leggero inchino, poi si avvicinò.

“Lascia perdere le formalità, ormai non ho più un titolo.”

“Siete nato Principe, dentro di voi lo sarete sempre.”

“Forse, ma ora sono solo Jun.” Constatò questo amaramente, cercando di sollevarsi.

La Strega si inginocchiò accanto a lui, parlando gentilmente:

“Restate un attimo disteso, ho bisogno di capire quanti fiori usare.”

Appoggiò una mano sul petto, chiudendo gli occhi e cercando di sentire sotto le dita il battito debole del cuore del Principe.

“Ci sono. Volete mettervi seduto?”

Jun annuì e con l'aiuto della donna si accomodò.

Yayoi si spostò per terminare il filtro: a ogni fiore aggiunto, il liquido emanava un piccolo bagliore e il suo colore dorato diventava sempre più intenso.

Il bagliore non sfuggì al Principe, memore anche di ciò che lo aveva svegliato:

“Cos'è quella luce?”

“Non capisco cosa intendete.”

Rispose elusiva: nonostante non ritenesse l'uomo pericoloso, era consapevole che svelare la sua vera natura a un estraneo non era l'idea migliore che potesse avere, molti restavano spaventati quando scoprivano la verità.

Jun si accorse dell'atteggiamento difensivo e cambiò argomento:

“Sei libera di non dirmelo. Posso almeno sapere come una donna così gentile si trova insieme ai Ribelli?”

La Strega si passò una mano tra i capelli, mentre ricordava.

“La Dea ci ha messo sulla stessa strada, un po' come con voi. Io avevo bisogno di aiuto – abbassò gli occhi quasi vergognandosi – e uno di loro è venuto in mio soccorso.”

Aveva ancora ben in mente di come si fosse intestardita a voler salvare un cerbiatto intrappolato su una parete ripida. Stava per tentare la scalata, ma l'arrivo di Ken Wakashimazu, che non esitò un istante a sostituirsi a lei per aiutare l'animale, le risparmiò il rischio. Purtroppo fu il Ribelle a rimanere ferito ad una gamba. Allora lei l'aveva curato e in pochi giorni era stato nuovamente in piedi. Per riconoscenza, Kojiro le aveva offerto un tetto al Toho, assicurandosi così la presenza di qualcuno in grado di prendersi cura di loro in caso di necessità.

Scosse la testa, allontanando il ricordo e focalizzandosi sul presente.

“Voi volete guarire?”

“Certamente, devo risolvere tutti i problemi che ho scoperto esserci nel regno.”

Il suo sguardo era fermo e deciso, lo sguardo di chi aveva preso una risoluzione importante.

“Bene, ma dovete fare esattamente come dico io. Non vi prometto di guarirvi in un istante, ma se mi ascolterete sarà più facile: questa medicina da sola non basta, occorre che voi non commettiate imprudenze che possano annullarne gli effetti.”

Jun sentì la gola farsi secca, voleva rispondere nuovamente, ma riuscì solo ad annuire.

“Berrete questo due volte al giorno, ve lo preparerò personalmente. Per i primi tempi dovrete restare a letto, a poco a poco potrete cominciare ad alzarvi e fare piccoli sforzi. Sentirete la forza ritornarvi. Tra qualche giorno sarete abbastanza forte da poter essere trasferito sugli alberi: è più sicuro stare sollevati da terra la notte.”

Gli porse la tazza. Il Principe l'afferrò con entrambe le mani, notando subito la diversità con l'intruglio che gli somministrava Lady Sugimoto.

“Farò come dici, ma anch'io devo porre una condizione: per favore, smettila di usare l'etichetta con me. Mi hai salvato la vita, hai tutti i diritti di rivolgerti a me come a un tuo pari. Chiamami Jun.”

Yayoi sentì per un brevissimo istante mancarle il fiato, mentre i suoi occhi incrociavano quelli dell'uomo davanti a lei.

“Come... come volete. Ora bevete, cioè, bevi.”

Jun svuotò la tazza in un solo sorso, aiutato anche dal sapore non del tutto sgradevole, sentendo subito dentro di sé svilupparsi una sorta di calore, dallo stomaco fino alla punta delle mani e dei piedi. Durò pochissimi istanti, ma già gli sembrava di stare meglio, anche se non si azzardò a tentare di alzarsi: non voleva ripetere l'esperienza della sera precedente.

“Grazie.”

“Dovere. Comunque, i Ribelli non sono cattivi, in fondo combattono per le loro famiglie. Anche Kojiro, è solo un po', come dire...”

“Irruento? Me ne sono accorto.”

Istintivamente si portò una mano dove era stato strattonato dal fuorilegge.

“Già, ma in fondo è un uomo buono, ha praticamente dovuto aiutare fin da piccolo sua madre a crescere i tre fratellini.”

Il Principe abbassò lo sguardo, sospirando:

“Alla fine della storia, sono io quello cattivo.”

“Non dirlo nemmeno per scherzo! – la Strega gli afferrò le mani, senza pensarci troppo – Non è colpa tua, ti hanno ingannato e stregato.”

“Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.”

“Shh”

La donna strinse più forte la presa, quasi cercando di trasmettergli un po' di quell'ottimismo che lei possedeva di natura, ma si rendeva perfettamente conto di come quel momento fosse difficile per il Principe: da Kojiro aveva imparato che un buon leader si preoccupa e si sente responsabile degli altri prima che di sé stesso.

“Non appena comincerai a stare meglio tutto ti sembrerà meno terribile.”

“Sarà... Parlami della vita al villaggio, puoi?”

Yayoi sorrise e cominciò a soddisfare la sua curiosità, raccontandogli gli aneddoti più divertenti che riuscisse a ricordare.

Senza che se accorgessero, passò buona parte della mattina, finché arrivò Ken. Quando questo aprì la porta, si trovò davanti una scena che non gli piacque per niente: Yayoi e il prigioniero stavano ridendo amabilmente.

“Sai, Maki mi ricorda Lady Sorimachi, anche lei era un maschiaccio a tal punto che suo fratello le ha insegnato a combattere per disperazione.”

“Yayoi, puoi venire? C'è bisogno di te.” Wakashimazu la richiamò stizzito.

La Strega si alzò velocemente, fin troppo velocemente, come se si sentisse colta in fallo.

“Eccomi, che c'è?”

“Takeshi ha avuto un incontro ravvicinato con un cinghiale.”

Yayoi scosse il capo e uscì dalla capanna, non senza aver rivolto un gesto di saluto al Principe. Ken, invece, si fermò più a lungo, lanciandogli uno sguardo eloquente.

Jun avvertì chiaramente l'astio del Ribelle nei suoi confronti e fu sicuro che non riguardasse solo la causa per cui lottava: quell'uomo lo considerava un rivale nei confronti di Yayoi. Eppure lui non si riteneva tale: era grato alla donna per quello che aveva fatto e faceva per aiutarlo, ma nulla di più.

 

 

 

 

Poco prima del tramonto il cortile della Caserma risuonava del cozzare di lame le une contro le altre: i membri della Guardia Reale erano impegnati nell'addestramento quotidiano, sotto la severa sorveglianza del Capitano, che si aggirava tra i vari duellanti.

“Morisaki, devi essere più rapido! Ringrazia che la spada del tuo avversario è spuntata.”

“Sì, Capitano!”

“Ottimo lavoro Kisugi!”

“Grazie, Capitano.”

Teppei Kisugi, un giovane soldato dalla capigliatura riccia, era appena riuscito a costringere spalle al muro il compagno di allenamento Hajime Taki, ma questo, cogliendo al volo la distrazione del ragazzo nel ricevere i complimenti, con una mossa a sorpresa riuscì a disarmarlo.

“Non dovresti abbassare così la guardia, se fossi stato un nemico non mi sarei limitato a toglierti la spada di mano.” Lo redarguì Taki.

L'altro sorrise bonario.

“Ci stiamo solo allenando.”

“Peccato che il Capitano prenda molto sul serio gli allenamenti.”

Incrociarono un'altra volta le lame e ricominciarono a battersi con più attenzione.

“Capitano Wakabayashi!”

Genzo si voltò in direzione della porta del blocco centrale della costruzione, scorgendo una figura affacciata e decidendo di raggiungerla.

“Reggente. – si inchinò – A cosa devo l'onore della vostra visita?”

“Dobbiamo discutere alcune questioni inerenti il buon funzionamento della Guardia Reale. Ultimamente le cose non si sono svolte nel migliore dei modi.”

Il Capitano dovette fare ricorso a tutta la sua volontà per reprimere uno scatto di rabbia, quando veniva toccato sul suo lavoro era particolarmente sensibile.

“Che intendete dire?”

“Mi sembra chiaro. – rispose Kanda, con fare arrogante – I Ribelli minacciano il regno da parecchio ormai e non un solo progresso è stato fatto per fermarli: nessuno di loro è stato eliminato e non è stata scoperta nemmeno la loro base.”

“Stiamo facendo del nostro meglio. Gli uomini sono sempre impegnati, si stanno allenando anche in questo preciso momento, come potete vedere.”

Con un gesto del braccio gli indicò il cortile. Il Reggente osservò per alcuni istanti lo spiazzo di terra battuta e le coppie che si battevano: c'erano tutti, dai cadetti ai soldati più esperti, con le divise bianche e sporche, in base a quante volte fossero caduti nella polvere.

“Tuttavia i risultati non sono quelli sperati.”

“Se lo ritenete opportuno, potrei lasciare la Cittadella sguarnita del suo servizio d'ordine e della protezione, per dare la caccia a tempo pieno ai Ribelli.”

Ribatté Genzo in tono di sfida. Solo la Dea sapeva quanto gli bruciasse non essere ancora riuscito a fare passi avanti decisivi per fermare i fuori legge, alla stregua di come non sopportava il sentirsi impotente di fronte alla morte del Principe, tuttavia il compito della Guardia non si limitava solo a quello, aveva anche molti altri doveri.

Sul volto di Kanda apparve uno dei suoi soliti ghigni di compiacimento.

“Se aveste più uomini a disposizione, il problema non si porrebbe.”

“Non ho tempo di addestrare nuove reclute.”

Il Reggente allargò le braccia.

“Ma io parlo di uomini già di esperienza: Makoto ha inviato un messaggio ai suoi vecchi compagni d'armi e tra pochi giorni saranno alla Cittadella, pronti a prendere servizio.”

Un brivido gelato corse sulla schiena di Wakabayashi. Si mormorava che Soda fosse originario di Azumachi e tutti sapevano che tipo di guerrieri venissero formati su quei monti: sicari, mercenari, assassini senza alcuna moralità o codice d'onore, disposti a servire chi pagava di più o semplicemente loro stessi. Piuttosto che accettare l'aiuto di una simile feccia avrebbe preferito essere dato in pasto a un branco di lupi affamati.

“Se non erro, decidere se degli uomini sono idonei al servizio nella Guardia spetta a me, la Casa Reale si è sempre fidata del giudizio dei suoi Capitani.”

“Una volta era così, ora sono io che governo e ho ricevuto l'incarico direttamente dal Principe Jun, che la sua anima riposi in pace. Non rinnegherete i vostri giuramenti?”

I due uomini si fissarono negli occhi, in una sfida silenziosa: erano entrambi orgogliosi, Genzo però si trovava in posizione subalterna in partenza. Fu costretto a chinare il capo.

“Come il mio Signore ordina. Quali sono esattamente i vostri disegni?”

“I nuovi uomini formeranno un Gruppo Speciale, per dare la caccia ai Ribelli. Makoto sarà con loro e li comanderà.”

“Quando non sarò io stesso a farlo. - Genzo ebbe un nuovo moto d'orgoglio – Sono pur sempre il Capitano, è mio dovere condurre la Guardia Reale in azione. Dell'ordinaria amministrazione si può occupare anche il mio vice, o volete togliermi pure questa mansione?”

Kanda comprese che per il momento non poteva tirare la corda più di quanto non avesse già fatto, quindi annuì leggermente.

“E sia. Ora non voglio impedirvi di continuare gli addestramenti, vi lascio ai vostri doveri. Buona serata.”

Così come era arrivato il Reggente se ne andò, senza dare modo a nessuno di accompagnarlo o a Genzo di controbattere un'ultima volta.

Quest'ultimo, sentì montare la rabbia e si diresse a rapide falcate al centro dello spiazzo, togliendosi il mantello rosso e sfoderando la spada.

“Izawa! - urlò – Vieni a duellare con me!”

Mamoru lasciò il suo avversario, orgoglioso per essere stato scelto.

“Eccomi Capitano!”

“Izawa, prendi una vera arma, non ho intenzione di battermi con una lama smussata.”

Il vice Capitano si voltò e vide Yuzo, il più vicino all'armeria, farglisi incontro con una lama appena affilata da Mastro Takasugi, armaiolo della Guardia. Era sorprendentemente leggera e maneggevole in mano, probabilmente uno dei modelli di nuova concezione arrivati in prova l'anno prima.

“Pronto Izawa?”

“Sì.”

“In guardia!”

Tutti avevano abbassato le loro armi e si erano fermati per osservare la sfida: Genzo Wakabayashi era un ottimo spadaccino e vederlo combattere anche solo pochi istanti equivaleva a parecchie lezioni di scherma.

Già dal primo colpo Mamoru si rese conto che non sarebbe stato un incontro semplice: il fendente del Capitano era forte e preciso. Genzo mirava ai punti più scoperti, obbligando l'avversario a manovre difensive, senza lasciargli la possibilità di tentare un attacco.

Il Vice Capitano fu costretto ad indietreggiare di alcuni passi, per non venire infilzato.

“Izawa! Non limitarti a difenderti, attacca!”

“Fosse facile.”

Pensò Mamoru, abbassandosi ed evitando per un pelo un colpo quasi all'altezza del viso, per poi rialzarsi fulmineo tentando di colpire il braccio armato di Wakabayashi, ancora intento a terminare la precedente mossa.

Andò a segno, lacerando la manica della casacca e tagliando la carne. Subito del sangue macchiò il tessuto bianco, ma Genzo non vi fece molto caso, le ferite superficiali non lo preoccupavano.

“Capitano io...”

“Continua a combattere! Non scusarti mai per un colpo ben piazzato, i tuoi avversari rideranno di te.”

Izawa ingoiò il rimprovero, muovendosi rapido sui piedi, spostandosi a sinistra.

Genzo intuì le sue intenzioni e parò l'attacco laterale, tentando poi un affondo sul fianco opposto, ma all'ultimo istante il suo avversario riuscì a deviare la spada, riportando la situazione in parità.

Wakabayashi allora decise di concedere l'iniziativa al vice. Questi non si fece sfuggire l'occasione ed iniziò una serie colpi sempre più frequenti, al punto che per un attimo credette di aver messo in difficoltà il Capitano.

Genzo, invece, colse l'esatto istante, una frazione di secondo tra un fendente e l'altro, per scattare in avanti e piazzare il suo colpo, sorprendendolo e sbilanciandolo.

Mamoru perse la presa sulla spada e rotolò per terra, ingoiando della polvere, completamente sconfitto.

“Izawa, dal mio Vice mi aspetto molto di più! Devo forse sostituirti?”

“No, Signore. - rispose, ricacciando indietro insieme alla saliva anche l'orgoglio – Farò delle ore di addestramento supplementari.”

“Me lo auguro. E voi tutti che fate immobili? Riprendete ad allenarvi!” Sbraitò.

“Ma il sole sta per calare!”

“E allora sfruttate la luce finché potete.”

Rinfoderò la spada e sparì all'interno della Caserma, mentre il rumore di metallo che cozzava si espandeva di nuovo nel cortile.

Mamoru, che nel frattempo si era rialzato, sfogò la sua rabbia su una piccola pietra, calciandola con tutta la sua forza.

“Dannazione!”

“Su Mamoru, non fare così. Il Capitano non ha ancora digerito la morte del Principe.”

Teppei gli mise una mano sulla spalla sinistra, mentre Hajime proseguì:

“Ti ricordi, è stato così nervoso anche quando c'è stato l'incidente di Kazuchi. Lui si sente responsabile per tutti.”

Izawa sospirò scuotendo la testa.

“Lo so bene. A volte credo che non mi riterrà mai all'altezza dell'ex Vice Capitano Sorimachi.”

“Non dire sciocchezze! - Questa volta fu Morisaki a intervenire, in tono fermo e duro, così diverso dal suo abituale, stupendo il terzetto – Sei un ottimo soldato, il Capitano non ti avrebbe mai scelto se non apprezzasse le tue qualità. La questione con Sorimachi è diversa: per lui Kazuchi non era un semplice sottoposto, era pur sempre il marito di sua sorella.”

“Yuzo ha ragione, con Kazuchi c'era anche un legame affettivo.”

“E sentiamo Teppei, che dovrei fare, sposare anch'io la sorella del Capitano?”

“Bravo, così forse la smetterai di frequentare bordelli!”

“Hajime, io ti...”

Si fermò a metà frase, notando i compagni sorridere divertiti, come ai vecchi tempi: quando era un semplice soldato come loro, stuzzicarlo era il loro passatempo preferito. Da quando era passato di grado c'erano state meno occasioni di scherzare insieme, dovendo spesso mantenere il necessario distacco. Decise di stare al gioco e cominciò a sua volta a punzecchiare gli amici, in fondo a quel modo erano riusciti a fargli dimenticare i suoi problemi.

 

 

 

 

 

Il tramonto era passato da poco, ma la Fortezza era già silenziosa: Kumi si era sempre stupita di come, all'interno del castello, con l'arrivo del buio il via vai di servitori diminuisse drasticamente. Solo in occasioni delle feste si potevano sentire musica, risate e chiacchiere fino a notte inoltrata, ma anche quelle ultimamente erano rare. Solitamente era la madre dei Principi ad organizzarle, anche allo scopo di trovargli delle mogli. Fortunatamente aveva fallito in questo.

Certo, Kumi non dimenticava che in fondo doveva ringraziare quella donna se ora si trovava praticamente a governare il regno: se non l'avesse scelta come Dama di Compagnia, l'unico modo per infiltrarsi a corte sarebbe stato quello di entrare come sguattera e poi, grazie alle sue arti magiche, avanzare nella gerarchia.

Seduta sul trono, nella sala immersa nel buio, la donna fece una smorfia disgustata: una Strega Nera costretta a fare la cameriera non si era mai sentita. Tuttavia aveva svolto il suo compito con talmente tanto zelo, da guadagnarsi un posto fisso a corte anche dopo la morte della Signora.

Quando aveva incontrato Koshi Kanda, aveva notato subito l'affinità tra le loro anime malvagie e l'aveva scelto come suo alleato e oggetto di piacere. Avevano iniziato a cospirare per ottenere il potere e, con un piccolo aiuto del destino, nella persona di un vagabondo, c'erano finalmente riusciti.

Sospirò di soddisfazione: il suo signore Gamo, il suo unico padrone, sarebbe stato fiero di lei. Sentì una vampata di calore nella parte bassa della schiena, lì dove c'era il simbolo del suo legame al padrone.

La porta della Sala del Trono si aprì ed entrò il Reggente.

“Sei qui. Ti cercavo.”

“Ora mi hai trovata.” Gli sorrise.

“Che fai sul mio trono?”

“Godevo del nostro – calcò sulla parola – trionfo.”

La Strega si alzò e gli girò intorno: nel movimento un lembo della vestaglia di seta blu notte che indossava si spostò, lasciandogli intravedere la curva del seno e rivelandogli il fatto che non portasse ulteriori indumenti al di sotto di quella. Conoscendola, Kanda pensò l'avesse fatto apposta per provocarlo.

“Tu piuttosto, sei stato dal Capitano?”

L'uomo annuì, non togliendole per un istante gli occhi di dosso, fissando la scollatura.

“Non era molto entusiasta di accettare dei nuovi uomini nella Guardia.”

“Tu lo saresti stato al suo posto?”

Il Reggente ghignò:

“Certo che no! Ma è ora che i compagni di Makoto ricevano un riconoscimento ufficiale, dopo tutto quello che hanno fatto per noi in questi mesi, occupandosi dei villaggi.”

“È chiaro.”

All'ennesimo passaggio della donna davanti a lui, Kanda la afferrò per un braccio e la spinse contro di sé, facendo aderire i loro corpi.

“Ti diverti a farmi perdere il controllo?”

Premette la sua bocca su quella della donna, infilando anche la lingua.

“La verità e che lo vuoi anche tu, non negarlo.”

Gli rispose la donna, respirandogli sul viso. Dopo qualche istante indietreggiò, mantenendo però lo sguardo fisso nei suoi occhi. Le piaceva farsi desiderare, l'avrebbe reso più caldo.

Invece il Reggente parve averne avuto abbastanza, almeno per il momento. Si sedette a sua volta sul trono osservando la Sala da quella prospettiva nuova. L'indomani avrebbe avuto la prima udienza popolare come Reggente del regno: molto probabilmente i partecipanti si sarebbero limitati a rendergli omaggio, conservando i loro problemi per l'udienza successiva, tuttavia un dubbio lo colse.

“Kumi! – la chiamò a gran voce – Sei sicura che il Principe è morto? Non vorrei trovarmelo davanti domani.”

“Hai sentito che ha detto Sanada? Quando l'ha lasciato stava male. Dubito che i Ribelli abbiano saputo come curarlo e se avessero avuto intenzione di chiedere comunque un riscatto sul corpo, si sarebbero già fatti avanti.”

Kanda annuì rinfrancato, non voleva che il suo piano venisse rovinato nel momento del trionfo.

“Koshi, che ne dici di pensare a cose più gradevoli ora?”

Con un sorriso malizioso Kumi afferrò la cintura della vestaglia e ne sciolse il nodo, poi con un gesto fluido si liberò dell'indumento, restando completamente nuda. Si avvicinò a passi lenti al trono.

Non appena vide la seta abbandonare le sue spalle e scivolare per terra, quasi al rallentatore, Kanda deglutì a vuoto, sentendo il desiderio aumentare ad ogni passo della Strega: era ai piedi della pedana, saliva il primo gradino, il secondo, il terzo, gli era davanti, gli salì in braccio, poteva sentire il suo profumo.

Mentre lei lo baciava le sue mani si mossero da sole, accarezzandole la pelle, la schiena, scendendo lungo i fianchi e risalendo dal ventre, fino ai seni sodi: gli erano sempre piaciuti particolarmente, lo doveva ammettere, erano ciò che nella donna gli piaceva di più.

Lentamente si staccò dalla bocca e prese a baciarla lungo il collo, mentre le mani ancora agivano sulle sue rotondità.

Kumi godeva di ogni singolo istante e allo stesso tempo voleva sempre di più, era la sua natura. Velocemente gli infilò una mano nei pantaloni e lo sentì quasi pronto. Cercò di levarglieli, assecondata dall'uomo, che si sollevò leggermente, afferrandola per la vita.

Tornato seduto, la spinse ancora di più contro di sé e infine le entrò dentro, mentre lei rovesciava indietro la testa.

Il loro fiatone fu ben presto sostituito dai gemiti di piacere, che si mescolavano e si sperdevano in tutta la Sala del Trono.

Il tatuaggio della mezzaluna rivolta verso il basso, simbolo delle Streghe Nere, pulsava bollente appena sopra il bacino della donna.







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Se per il Principe le cose sembrano cominciare a filare per il verso giusto, alla Cittadella invece le cose si complicano per la Guardia Reale e Kanda e Kumi sono sempre più sicuri del loro successo. Intanto abbiamo fatto la conoscenza di altri membri della Guardia Reale: i vecchi componenti della Shutetshu, la prima squadra in cui ha militato il nostro Wakabayashi.

 

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Capitolo 7
*** Stanza VII ***


Erano passati due mesi dall'insediamento sul trono di Kanda e la situazione per i Ribelli e la popolazione non era mutata rispetto al regno di Jun, anzi, era pure peggiorata: il nuovo Reggente aveva impugnato saldamente le redini del potere, imponendo da subito nuove tasse ai villaggi mediamente distanti dalla Cittadella. Una piccola parte di Maki aveva sperato che con una persona diversa a governare si sarebbero risolti i guai, ponendo fine alla loro condizione di fuorilegge, ma del resto cosa si poteva sperare da un uomo che aveva fatto credere a tutti che il suo signore fosse morto, invece di tentare di trarlo in salvo dalla prigionia? Come se non bastasse, dal giorno del funerale non era caduta una sola goccia di pioggia: buona parte della semina era già compromessa e con Kanda che reclamava per sé la maggior parte dei raccolti, ai piccoli contadini non restava che patire la fame. La foresta Meiwa aveva le sue riserve di cibo e per questo i Ribelli avevano preso l'abitudine di consegnare qualcosa ai villaggi più in difficoltà.

Quel giorno era il turno di un piccolo centro abitato poco distante dal limitare della foresta. Maki guidava la delegazione, insieme a Kojiro, mentre Ken si occupava della retroguardia: secondo le ultime informazioni che aveva raccolto alla Cittadella, dei nuovi soldati erano stati ingaggiati col compito specifico di badare a loro.

“Ryo, smettila di starmi così vicino, mi dai fastidio!”

“Hanji, non essere così indisponente, è una giornata stupenda, non rovinarmela!”

“Adesso sarei io quello che da fastidio?”

Kojiro sbuffò, seccato da quei continui battibecchi tra i due, un giorno o l'altro li avrebbe abbandonati in qualche luogo sperduto per non averli più tra i piedi. Invece Takeshi, dietro la coppia, rideva divertito insieme a Shimada, con cui trasportava un grosso cervo.

L'abitato che raggiunsero era veramente molto piccolo: la maggior parte delle case, tutte in legno e dai tetti di paglia, si trovavano lungo la via principale. Le strade laterali erano poche. Il centro esatto del villaggio era segnato da un altare della Dea su cui era posta una piccola statua lignea, grezzamente intagliata.

“Buona giornata signor Furuoya.” Maki salutò l'anziano capo villaggio.

“Che la Dea vi benedica, le nostre provviste stavano terminando. - i Ribelli depositarono i loro carichi - Alcuni dei bambini si sono addirittura ammalati in settimana.”

“Davvero? Sono sicura che appena glielo riferiremo Yayoi verrà a vedere.” La donna si avvicinò all'altare e offrì un piccolo mazzo di fiori di campo alla Dea.

“Siete troppo buoni. In questo periodo di buio siete la nostra luce.”

Maki avrebbe voluto ribattere, a volte quell'uomo era troppo cerimonioso per i suoi gusti, ma non ne ebbe il tempo: dalla parte opposta del villaggio entrarono tre cavalieri al galoppo, seguiti da almeno una ventina di uomini a piedi, che subito si disposero a circondare il piccolo gruppo di Ribelli e contadini.

“Che succede?” Il vecchio Furuoya era sbiancato di botto.

Una voce tonante si levò sicura:

“Ribelli, in nome del Reggente sua Signoria Kanda, vi dichiaro in arresto per tradimento!”

Kojiro batté le mani lentamente in segno di scherno:

“Bravo, bel discorso. Suppongo che adesso dovremmo lasciarci catturare?”

Genzo lo squadrò da capo a piedi, quasi quasi avrebbe voluto sorridere: dal capo dei Ribelli non si aspettava una reazione diversa.

"Vi verremo a prendere, qui e in capo al mondo!" Sfoderò la spada e diede un leggero colpo con i talloni al cavallo, facendolo partire all'attacco.

I fuorilegge organizzarono subito una difesa: Maki, la più vicina, si preparò ad affrontare il Capitano. Quando questi le passò a fianco intercettò la lama con la sua, sorprendendolo: non si aspettava che una donna lo sfidasse. Tirò le briglie e fece girare l'animale, per tornare sui suoi passi.

Caricò vari fendenti, ma la donna era agilissima e riusciva ad evitare tutti i suoi affondi. Compiva brevi e rapidi spostamenti improvvisi, a cui il cavallo non riusciva a reagire per tempo, riducendo di fatto lo svantaggio dell'essere appiedata. Maki sapeva di avere tra le mani una spada micidiale: la sua katana, forgiata a più strati, anche se non era molto affilata era in grado di sprofondare nella carne. Veloce come il lampo fece una rapida giravolta su sé stessa e colpì di taglio la gola del cavallo, con tutta la forza che aveva, recidendo di netto la gola e la carotide. Genzo si rese conto della situazione e lanciando un'imprecazione saltò di sella, prima di cadere nella polvere, atterrando e bilanciandosi con le ginocchia per avere la spinta per una nuova ripartenza. La sfida corpo a corpo iniziò.

Gli altri due cavalieri proseguirono alla ricerca di un avversario. Makoto Soda scelse per sé Kojiro, deciso a ricoprirsi di gloria per aver sconfitto quello che sembrava essere il capo dei loro nemici, convinto di poterlo eliminare in un solo colpo.

Kojiro, invece di aspettarlo, iniziò a correre verso di lui tentando di sfruttare totalmente la sua muscolatura: puntò direttamente all'uomo con la sua grossa spada. Soda ridacchiò:

"Stai cercando di suicidarti?"

"Lo vedremo!"

Kojiro si abbassò per evitare il colpo, risollevandosi subito e spedendo la sua lama e tutto il braccio contro l'armatura di Makoto, con un urto talmente violento da buttarlo giù di sella. I due rotolarono nella polvere uno sull'altro, perdendo le armi.

“Bastardo! Questo è per tutti i villaggi che hai distrutto!”

Hyuga, in posizione dominante, sferrò un pugno nello stomaco di Soda, poi iniziò a colpirlo al volto, ma il Sicario non era disposto a demordere: con una ginocchiata ben assestata costrinse il fuorilegge a mollare la presa. Questo rotolò su un fianco, in preda al dolore. Aprì gli occhi appena in tempo per vedere una spada calare su di lui. Riuscì ad afferrare la lama con entrambe le mani e a fermarne la discesa, mentre sentì il sangue uscire da uno dei palmi. Un ragazzo venne in suo soccorso e con un calcio negli stinchi fece perdere l'equilibrio a Soda, permettendo a Kojiro di rialzarsi, recuperare la sua arma e tornare all'attacco.

Il terzo uomo, un soldato biondo dai tratti stranieri, si lanciò verso un gruppetto di tre Ribelli, ribaltando al suo passaggio tutti i cesti di cibo. Takeshi estrasse la sua piccola spada, consapevole di essere quello meglio armato: nel gruppo erano in pochi a possedere vere armi, gli altri si accontentavano di bastoni o qualcosa di improvvisato. All'ultimo momento però ebbe paura, non si era mai trovato a fronteggiare un simile avversario da solo, e si gettò in terra di lato. Il suo avversario lo superò senza preoccuparsi e di netto infilzò al petto Shimada, che era rimasto senza copertura. Il Ribelle non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di ciò che era successo che crollò a terra, mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui.

Takeshi urlò.

All'improvviso Ken, arrampicatosi su un tetto, dall'alto saltò sul soldato, costringendolo a cadere di sella. Nel finire a terra l'uomo atterrò con un ginocchio sul polso destro del Ribelle che, nonostante tutto, non mollò la presa sulla spada, non poteva permetterselo, non dopo quello che aveva appena visto fare a quell'individuo. Si alzò e si mise in guardia, il biondo lo stava aspettando con un sorrisetto sghembo. Incrociarono un paio di volte le lame, ma i colpi di Wakashimazu perdevano progressivamente potenza, mentre le fitte alla mano aumentavano.

“Guardati, vuoi combattere e non sei nemmeno in grado di reggere la spada! È troppo pesante per te?” Lo schernì lo straniero, notando l'arma tremare vistosamente.

“Ride bene chi ride ultimo!”

Tutti gli altri erano impegnati a combattere con i soldati appiedati, ma erano in evidente svantaggio, sia numerico, sia di mezzi che di abilità, non erano addestrati.

Genzo e Maki duellavano già da un po', senza che nessuno dei due prendesse realmente il sopravvento sull'altro.

"Tutto qui quello che sa fare il Capitano della Guardia Reale?"

Genzo ringhiò per la provocazione, ma si rendeva conto che il combattere contro una donna lo rendeva molto più legato nei suoi movimenti: l'educazione che aveva ricevuto gli aveva sempre imposto di trattare con rispetto le donne ed il fatto che la sua avversaria fosse una nemica del Regno pericolosa ed armata non riusciva comunque a mettere a tacere gli anni di applicazione del suo codice d'onore. I suoi colpi erano violenti e decisi, ma non così direzionati come al solito.

Maki dall'altra parte riusciva a difendersi senza troppi problemi e in più sapeva giocare sporco. Non le piaceva, ma quando c'era di mezzo la vita ogni mossa era lecita per tornare a casa in salvo. Aveva visto con la coda dell'occhio Shimada cadere e si era resa conto che la sua priorità era quella di fare in modo che i compagni raggiungessero il Toho il più possibile incolumi.

“Dea, perdonami quello che sto per fare.” Pensò prima di spedire Genzo, con un calcio ben assestato, sull'altare, facendoglielo travolgere e

“Kojiro, dobbiamo ripiegare! Torniamo nella foresta.”

Iniziò a correre verso gli alberi, cercando di sfondare la linea dei soldati. Un uomo della Guardia tentò di sbarrarle il passo per impedirle la fuga, ma Akanime dopo aver parato il suo fendente gli conficcò la spada nella coscia costringendolo con molta probabilità a zoppicare da lì alla fine dei suoi giorni.

“No! Io non mollo!” Il Capo dei Ribelli era troppo orgoglioso per lasciare il campo di battaglia sconfitto, nonostante l'impugnatura della sua stessa arma fosse diventata appiccicaticcia per il sangue che continuava a colare dalle sue mani.

“Non fare il cretino Kojiro, ci massacreranno! Dobbiamo ritirarci!” Urlò Ken, il cui polso non era più in grado di reggere gli assalti dell'avversario. Con la sinistra raccolse della polvere e gliela gettò negli occhi, approfittandone per scappare.

Controvoglia Hyuga fece la stessa mossa con Makoto, gridandogli però in corsa:

“Ci rivedremo, abbiamo un conto aperto! Parola di Kojiro Hyuga!”

“Voi cinque, inseguite i Ribelli!” Ordinò Genzo a un gruppo di uomini, ben sapendo che sarebbe stato inutile: una volta entrati nella foresta sarebbero spariti facilmente, i loro abiti sembravano essere fatti apposta per confonderli con gli alberi e l'ambiente circostante.

“Dannatissimi fuorilegge! - Soda imprecò, avvicinandosi al soldato che aveva duellato con Ken – allora Louis, che te ne pare?”

“Che quella feccia oggi ha avuto fortuna, la prossima volta non avranno scampo. Intanto uno è eliminato.” Rise malignamente, rigirando il cadavere di Shimada con un piede.

Soda si rivolse a tutto il gruppo:

“Ora completiamo il lavoro: accendete le torce e bruciate il villaggio!”

Genzo si avvicinò furioso, quasi urlando contro l'uomo di fiducia del Sovrintendente:

“Che cosa significa questo? Sono io che do gli ordini!”

“Già, dimenticavo. - Gli rispose con fare indisponente, infilando una mano sotto la casacca ed estraendone un documento – Queste sono le nuove disposizioni di sua Signoria il Reggente: tutti i villaggi o chiunque verrà trovato in combutta con i Ribelli dovrà venire eliminato. È chiaro che questa gente preferisce i Ribelli al legittimo sovrano, li stavano aspettando.”

Louis rincarò la dose, con crudeltà inaudita:

“Dovrebbero ringraziarci che bruciamo solo le case: un lavoro eseguito bene comporterebbe l'uccisione di tutti.”

Impotente, Wakabayashi non poté fare altro che restare a guardare quelli che avrebbero dovuto essere suoi uomini distruggere un intero villaggio di gente pacifica: nessuno di loro aveva preso le armi in mano quando era scoppiato il combattimento, si erano limitati a cercare un riparo.

Strinse i pugni con rabbia. Per la prima volta nella sua vita si ritrovò a domandarsi dove fossero finiti gli ideali e i valori che l'avevano spinto a diventare un membro della Guardia Reale, un garante della giustizia del Principe.

 

 

 

 

Jun camminava per la radura del Toho, aiutandosi con un bastone che Yayoi gli aveva procurato: fare delle passeggiate era diventata la sua attività preferita da quando aveva cominciato ad avere abbastanza forze da lasciare il villaggio. Del resto non aveva molte alternative, a parte la donna tutti gli altri Ribelli non lo consideravano, oppure gli lanciavano sguardi ostili, se non furiosi, quando lo vedevano. Di conseguenza, per non restare sempre chiuso in casa, aveva preferito passeggiare nella foresta, per evitare problemi a tutti. Soprattutto Ken sembrava aver sviluppato una particolare indisposizione nei suoi confronti e credeva di conoscerne il motivo: si vedeva a occhio nudo come Yayoi gli piacesse, ma lei sembrava non capirlo.

Superò alcuni cespugli e si inoltrò tra gli alberi, seguendo un sentiero che aveva di recente scoperto. Si sentiva in forma, recuperava energia a vista d'occhio, poteva fare sempre qualcosa in più. Ricordava come i primi giorni, se appoggiava una mano sul petto, faceva fatica a percepire il battito del cuore, talmente era debole, mentre ora lo sentiva chiaro e distinto senza difficoltà. Addirittura Yayoi gli aveva ridotto la dose di pozione, ora la prendeva solo al mattino.

Quella donna era eccezionale: gli aveva promesso di curarlo e l'aveva fatto, il Priore Katagiri avrebbe dovuto prendere qualche lezione da lei. Stare in sua compagnia era così piacevole. La mattina, appena sveglio, aspettava con impazienza il suo arrivo con la medicina, sperando che si fermasse con lui a chiacchierare. A volte aveva la sensazione di conoscerla da sempre, eppure non sapeva quasi nulla di lei, le poche informazioni che le carpiva, non rivelavano molto. Anzi, era sicuro che gli nascondesse qualcosa, che ci fosse qualcosa, legato a quei bagliori, che non voleva dirgli e la cosa gli dava fastidio, un tremendo fastidio. A quel punto interveniva la sua razionalità a ricordargli che alla fine lui era comunque un estraneo e un prigioniero, a parti inverse si sarebbe comportato nella medesima maniera.

Improvvisamente Jun si accorse di essersi spinto più lontano dal villaggio di quanto avesse mai fatto. Tuttavia il rumore di acqua che scorreva lo attirava in avanti: pensò di raggiungere il fiume per rinfrescarsi prima di tornare al Toho.

Camminò ancora per qualche tempo poi, attraverso le fronde cadenti di un albero, vide lo specchio d'acqua, ma non era vuoto: una figura nuotava tra la corrente, immergendosi ed emergendo più volte. Anche se non riusciva scorgere il volto, Jun non poteva sbagliare su chi fosse: il colore dei capelli era inconfondibile.

Yayoi si avvicinò alla riva e uscì dal fiume. Indossava solo la sottoveste bianca, senza maniche e lunga fino al ginocchio, ma era talmente bagnata che aderiva al corpo come una seconda pelle e sembrava quasi trasparente, non lasciando molto spazio all'immaginazione. Il Principe rimase paralizzato, con la gola secca, non riusciva a muoversi, a staccarle gli occhi di dosso e, al tempo stesso, si sentiva a disagio per essere nascosto a guardarla. La donna si voltò nuovamente verso l'acqua, raccogliendola con le mani a coppa e passandosela sul viso.

In quel modo Jun riuscì a notare qualcosa sulla bassa schiena di Yayoi: attraverso la leggera stoffa fradicia, era chiaramente visibile una mezza luna rivolta verso l'alto. Ricordò alcune conversazioni avute con Matsuyama, confermando i suoi sospetti. Per esserne completamente sicuro si allungò in avanti, ma quello spostamento lo fece sbilanciare e, nel tentativo di non cadere, mise il piede su un ramoscello caduto a terra, spezzandolo.

Al rumore la Strega si drizzò di colpo, cercando il pugnale per difendersi.

“Chi è là?” Chiese titubante, la mano che reggeva la lama tremava vistosamente: aveva paura di qualche animale selvatico.

“Sono io. - Jun non ebbe altra scelta che uscire dal nascondiglio – Non volevo spaventarti.”

“Jun! Dea misericordiosa, non farlo mai più!” Lasciò cadere il pugnale, che si conficcò nel terreno, e si passò una mano davanti agli occhi, cercando di far passare lo spavento.

“Cosa fai qui?” Chiese all'uomo, che nel frattempo le si era avvicinato.

“Io stavo... – rendendosi conto della situazione in cui si trovavano, si bloccò e abbassò di colpo lo sguardo, a rimirarsi i piedi. - Non ti stavo spiando.”

Solo a quell'affermazione, Yayoi ricordò di essere quasi nuda e sentì le guance andare in fiamme. Raccolse i vestiti abbandonati su un sasso e cercò di coprirsi in qualche modo.

“Sono... sono... - balbettò – Aspettami qui.”

Sparì dietro un albero. Si appoggiò al tronco, lasciando scivolare via le vesti e respirando profondamente, mentre il cuore tentava di uscirle dal petto. Non si era mai vergognata tanto in vita sua: avrebbe voluto venire assorbita dalla corteccia e dal legno.

Un campanello suonò nella sua testa: e se il Principe avesse visto anche quello?

Il panico l'assalì ancora di più, ma si costrinse a controllarsi. Lentamente strizzò la sottoveste e si rimise il vestito, cercando di rendersi presentabile. Prese un profondo respiro e tornò al fiume.

Jun era rimasto nella stessa identica posizione in cui l'aveva lasciato, in piedi con il bastone stretto nella mano destra.

“Eccomi.”

“Scusami ancora: stavo facendo una passeggiata e non sapevo ci fosse qualcuno nel fiume.”

“Sei venuto da solo così lontano dal Toho?”

“Non me ne sono reso conto.”

La donna scosse la testa, lo prese per una mano e lo condusse verso un grosso sasso piuttosto piatto sulla faccia superiore, facendolo sedere.

“Mettiti qui e riposa un po'. Sai che non dovresti allontanarti troppo da solo.”

Nel tono della sua voce il Principe colse un rimprovero dettato dalla preoccupazione.

“Mi sento bene.”

“Ora, ma c'è tutta la strada del ritorno da fare. - inginocchiata accanto a lui, gli aveva afferrato il polso già da qualche momento. Sospirò – Piccoli segnali di affaticamento, una volta al villaggio sarà peggio.”

L'occhiata che gli lanciò fece sentire Jun in colpa: sapeva che avrebbe dovuto stare più attento, invece di rimuginare nei suoi pensieri e perdere la nozione del tempo e dello spazio. Quasi per scusarsi l'aiutò a rialzarsi e la invitò a sedere sul masso accanto a lui. Nervosamente si passò una mano nei capelli.

“È che...”

“So perché cerchi la solitudine: vedo come gli altri trattano. È sempre così con l'ultimo arrivato, anche per me non è stato facile farmi accettare subito. Dagli tempo.”

Gli sorrise incoraggiante.

“Dubito che in te abbiano mai visto la causa dei loro problemi.”

“No, però per qualcuno non è stato facile fidarsi.”

Yayoi voltò la testa, seguendo il volo di una farfalla, perfettamente consapevole del fatto che non tutti fossero in grado di comprendere la sua condizione senza dubbi.

Jun, invece, capì che se voleva avere conferma dalla donna di ciò che aveva intuito, doveva parlarle in quel momento: era scoperta, forse sarebbe riuscito nel suo intento. Le appoggiò una mano sulla spalla.

“Yayoi. C'è una cosa che devo dirti: ho visto il tatuaggio. - la sentì sussultare – Sei una Strega Bianca?”

La donna chiuse gli occhi, i suoi timori si erano avverati: era riuscito a vedere e capire. Prese un profondo respiro ed esalò:

“Sì. Ora puoi anche inorridire.”

Con uno strattone si liberò della sua presa e si allontanò di qualche passo, portandosi una mano sulla bocca e sforzandosi di non piangere: in passato era stata considerata pericolosa da qualcuno, spaventato dalla magia e non in grado di cogliere la differenza tra quella buona e quella cattiva, ma non riusciva a sopportare che fosse proprio lui a vederla in quel modo.

“Perché dovrei?” Senza pensarci l'aveva seguita, le era subito dietro.

“Sono una Strega!”

“Non si dice forse che le Streghe Bianche siano figlie della Dea? - ringraziò mentalmente Matsuyama di averlo istruito in proposito – Che il loro compito sia quello di recare aiuto a chi ne è bisognoso? E poi, mi hai salvato la vita,se non ci fossi stata tu non sarei qui ora.”

Yayoi si voltò e lo fissò: nel suo sguardo non c'era menzogna, ma soprattutto non c'era traccia di orrore, ribrezzo o altro.

“Sono una stupida.” Abbassò la testa, chiedendo implicitamente perdono per aver dubitato di lui.

L'uomo sorrise intenerito: rendersi conto che anche quella donna, nonostante i poteri di cui disponeva, avesse dei momenti di debolezza gli fece nascere l'istinto di proteggerla.

“Sei solo prudente.”

“Ken non sarebbe dello stesso parere. - alzò lo sguardo rinfrancata, cercando di alleggerire il momento – Comunque, le leggende si riferiscono solo alle prime Streghe Bianche: mia madre era mortale come te e me, e una grande Strega, molto potente.”

“Anche tua madre?”

“E probabilmente anche mia figlia, se mai ne avrò una.” Aggiunse l'ultima parte velocemente, mentre estraeva il coltello dal terreno e lo fissava alla cintura.

“È meglio rientrare. Spero ti sia riposato abbastanza.”

Jun annuì e riprese il bastone, avviandosi dietro la Strega. Procedevano non troppo spediti, chiacchierando: ora che Yayoi aveva rivelato il suo segreto era molto più propensa a raccontare del suo passato.

“Quando manifestai per la prima volta i miei poteri, mio padre era così orgoglioso, ma anche preoccupato: immagino avrebbe preferito una vita più normale per me.”

L'uomo non faticò ad immaginare la scena: a volte anche suo padre aveva lasciato trasparire quanto avrebbe voluto poter passare a Tsubasa e a lui il titolo di Principe senza gli oneri che questo comportava, non sempre era un privilegio. Si accorse di appoggiarsi al suo sostegno ad ogni passo più pesantemente. Quando la donna si fermò per raccogliere delle erbe ne approfittò per adagiarsi contro il tronco di un albero. La vide reciderle con dei movimenti secchi, scegliendo solo le più grandi e verdi, lasciando i piccoli germogli al loro posto, permettendo in quel modo alla piantina di ricrescere.

“Queste dovrebbero bastare. - Sfregò le mani tra loro per pulirle – Ripartiamo?”

Lentamente Jun si staccò dall'albero, stringendo con entrambe le mani il bastone, usandolo come perno: forse non era stata una buona idea quella sosta, la stanchezza gli era calata addosso di colpo.

Yayoi era già quasi sparita oltre i cespugli. Si voltò per riprendere la conversazione e si accorse che l'uomo non la seguiva, perciò decise di ritornare sui suoi passi.

“Jun, è tutto a posto?”

Il Principe annuì:

“Sono solo stanco.”

“Aspetta! - Yayoi lo raggiunse e passò il braccio sinistro di lui attorno alle proprie spalle – Reggiti a me.”

“Grazie. Avevi ragione tu, non avrei dovuto allontanarmi così dal Toho.”

Ricominciarono a camminare molto piano, la Strega cercava il percorso più piano e meno accidentato possibile, ma anche il più veloce: conosceva un paio di scorciatoie non troppo impegnative.

“Senti dolore?”

“No. Da quando prendo la tua pozione, non ne ho più sentito. Anche adesso, è diverso dai malori che avevo prima, non so come spiegarti.”

“Vuol dire che stai guarendo: non puoi ancora fare tutto, ma presto sarai come nuovo.”

Jun strinse più forte la donna: guarire per lui significava poter cominciare a fare qualcosa di concreto per fermare Kanda e riprendersi il regno. Non l'avrebbe lasciato in mano a un simile traditore per nulla al mondo. C'era sempre la possibilità che suo fratello ritornasse, ma a quanto pareva Kanda aveva acquistato abbastanza potere da permettersi di poter sfidare apertamente il Principe Legittimo. Inoltre Jun non voleva aspettare che fosse Tsubasa a risolvere la situazione: era Principe anche lui, sapeva come bisognasse prendersi cura di un regno.

Arrivarono al villaggio e vi trovarono una strana agitazione: le donne freneticamente si muovevano da un punto all'altro, accendendo fuochi e portando panni e bende. Molti degli uomini erano feriti e ammaccati.

“Ma cosa?”

“Yayoi! Finalmente! - Kojiro le si parò davanti, con aria minacciosa – Abbiamo bisogno di te è tu sparisci chi sa dove nella foresta? Con questo qui per giunta!”

Tirò un calcio ad alcune pentole, sparpagliandole per il prato. Raramente il capo dei Ribelli era così furioso, come se volesse distruggere tutto.

Jun si staccò da lei e scivolò in terra fino a sedersi. Era pallido e aveva bisogno di riprendere fiato.

“Vai dagli altri, hanno più bisogno loro.”

La Strega raggiunse il centro della radura, dove i feriti aspettavano le cure. Rapidamente fece scorrere lo sguardo su quello che le altre donne avevano già fatto e diede le istruzioni: fece mettere dell'acqua a bollire per disinfettare le bende, mandò qualcuno nella sua capanna a prendere erbe e fiale di medicamenti già pronti.

Hanji Urabe, tra tutti i presenti era quello con il problema più grave: una freccia l'aveva colpito in un fianco, ma nel tentativo di estrarla una parte della punta era rimasta conficcata nella ferita.

“Abbiamo preferito non fare nulla e mostrarlo prima a te.”

Maki informò Yayoi.

“Va bene così. Hanji, mastica questa, ti farà da anestetico.”

Gli porse una delle foglie che aveva raccolto da poco nella foresta, poi afferrò il pugnale, avvicinandolo allo squarcio della pelle.

“È meglio se ti volti.”

Infilò la lama nella carne e la spinse fino a farle toccare la scheggia di metallo, cercando di avvicinarla alla superficie. Nonostante la foglia Urabe non riusciva a trattenere alcuni gemiti di dolore. Ishizaki, lì accanto, assisteva mangiandosi le unghie di entrambe le mani e piagnucolando:

“È colpa mia, è tutta colpa mia!”

“Ryo, smettila, così non mi aiuti! Ah!”

“Quella freccia era indirizzata a me, perché ti sei messo in mezzo?”

“Non crederai che avrei lasciato diventare tuo figlio orfano prima ancora di nascere!”

Una fitta più forte gli spezzò il fiato e per istinto si mosse, cercando di allontanarsi dalla fonte del dolore.

“Fermo, ci sono quasi.” Lo ammonì Yayoi, mentre Maki, che già lo teneva per le spalle, strinse la presa.

Il frammento era ad un'altezza tale che la Strega poteva riuscire a prenderlo con le mani: delicatamente, con due dita lo afferrò e lo estrasse, ritirando anche il coltello. Il sangue iniziò a sgorgare più abbondantemente dalla ferita. Subito gli versò la posizione trasparente disinfettante che produsse la consueta schiuma, segno che stava svolgendo il suo lavoro, bruciando anche eventuali tracce di veleno. Hanji perse i sensi.

“Che ha?” Domandò Ryo preoccupato.

“Niente, è solo svenuto. Meglio, almeno non sentirà questo. - con ago e filo Yayoi ricucì i lembi di pelle – Tenetelo disteso. Una volta sveglio non deve fare movimenti bruschi. Se dovesse avere la febbre chiamatemi.”

Si ripulì le mani in una bacinella che le era stata portata, prima di occuparsi degli altri.

“Ma cosa è successo?”

Maki sospirò, massaggiandosi un gomito su cui cominciava a mostrarsi il livido di una botta.

“Un'imboscata. - Disse senza giri di parole – La Guardia Reale ci aspettava al villaggio dove siamo andati.”

“Sembrava quasi che avessero avuto una soffiata. Erano sicuri di trovarci là.”

Commentò Ken, depositando della legna per il fuoco che aveva appena raccolto: negli scontri aveva riportato solo qualche graffio, mentre il dolore al polso sembrava essersi calmato, e per tanto si era attivato per aiutare.

Il rumore di qualcosa che si ribaltava li fece voltare tutti di colpo, la mano di Maki corse rapida all'elsa della sua katana, temendo il peggio. Fortunatamente si trattava solo di Kojiro che, in preda all'ennesimo scatto d'ira, aveva rovesciato altri tegami.

“Non vedo Shimada, non era con voi?”

Wakashimazu si morsicò la lingua e scandì secco, senza tergiversare:

“È caduto. Erano troppi, ci hanno sopraffatto.”

“Noi siamo riusciti a tornare perché, grazie alla Dea, solo in tre erano a cavallo. - proseguì Maki – Qualcuno degli altri a piedi ha tentato di inseguirci, ma nella foresta li abbiamo seminati.”

“Invece avremmo dovuto rimanere! - sbraitò Kojiro – Abbiamo abbandonato il corpo di un compagno e abbiamo permesso a quei maledetti di incendiare il villaggio.” Nella loro fuga avevano visto dalla foresta le fiamme sollevarsi alte e ne avevano intuito la causa senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

“E così avrebbero ucciso anche noi! Kojiro ragiona, non potevamo fare niente!”

“Maki, tu sei una donna, non puoi capire certe cose!”

“Davvero?!”

Per un istante regnò il silenzio nella radura, tutto sembrò arrestarsi: erano tutti voltati verso il capo e la compagna, fermi a metà di quello che stavano facendo. La tensione era quasi palpabile, i due avanzarono uno verso l'altro, pronti a sfidarsi.

La prima a riaversi fu Yukari e subito riprese i due Ribelli come fossero dei bambini:

“Smettetela! Se cominciamo a litigare tra noi, che ne sarà della causa per cui lottiamo? Credete che Shimada sarebbe felice di vederci così?”

Altro lungo momento di silenzio.

“Devo dire che la gravidanza ti sta rendendo saggia.”

Il commentò di Ken riuscì a sciogliere un po' del nervosismo che si era creato: in fondo per i Ribelli era la prima volta che perdevano un uomo da quando avevano cominciato a combattere.

“Scusa Maki. Eppure, in tutta questa storia, qualcosa non mi convince.”

Kojiro tirò un pugno contro un albero, dimenticandosi che le sue ferite avevano smesso da poco di sanguinare, lasciando un segno impresso nella corteccia.

“Se mi è concesso parlare – la voce del Principe giunse dalle sue spalle, da dove era sempre stato seduto – prima o poi una cosa del genere sarebbe successa.”

Hyuga fu da lui in due rapide falcate e lo afferrò per la tunica:

“Tu cosa ne sai? Non avrai trovato il modo di comunicare con l'esterno?”

“No. – sostenne con fermezza lo sguardo del Ribelle, costringendolo a lasciarlo andare – Da quando sono qui, vi ho visto andare ai villaggi sempre negli stessi giorni e alle stesse ore. Nella Guardia Reale non sono stupidi: se volete evitare che si ripetano situazioni del genere dovete raggiungere i villaggi sempre in giorni ed in orari diversi, mai andare due volte nello stesso posto alla stessa ora.”

“La gente è ormai abituata a ricevere cibo in determinati momenti!” Ribatté Ken, sempre pronto a controbattere a qualsiasi azione del Principe.

“Certo, il popolo perderà la certezza dei rifornimenti, ma così sarà molto più sicuro anche per loro. - sospirò – Ad ogni modo il mio è solo un consiglio, ora me ne ritorno alla mia capanna.”

Jun si alzò a fatica e si avviò verso la scala più vicina, aveva recuperato abbastanza forza per arrampicarsi fino alla piattaforma sull'albero.

“Vengo con te! Devo recuperare altre cose nella mia capanna.”

Yayoi lo seguì, passando accanto a Kojiro e lanciandogli un'occhiata come a chiedergli se fosse stato necessario trattare sua Maestà a quella maniera. Salita in cima alla scala trovò il Principe con un leggero fiatone e una mano appoggiata al petto.

“Non c'era bisogno che mi seguissi, vado solo a stendermi un po'.”

“Ti farà bene.”

Nel frattempo si era alzato il vento e le passerelle sospese oscillavano in maniera inquietante per la donna: arrivare dall'altra parte le avrebbe richiesto un autocontrollo non indifferente. Deglutì. Fu Jun a venire in suo soccorso:

“Passa con me: in due saremo più pesanti e l'aria farà più fatica a far ballare il ponte.” Senza darle modo di replicare la prese per mano e la portò con sé.

Il vento sferzò più forte e Yayoi si bloccò istintivamente, aggrappandosi al suo accompagnatore, chiudendo gli occhi. Tuttavia si accorse che la passerella era più stabile del previsto. L'uomo sorrise e proseguirono.

“Eccoci arrivati in salvo.” Erano davanti alla capanna di Jun, sulla base di legno fissa.

“Non mi starai prendendo in giro? - la Strega si separò da lui controvoglia, come ogni volta che doveva lasciarlo – Grazie.”

Il Principe scosse la testa:

“Sono io che ringrazio te. - Allungò un braccio e staccò da un ramo dell'albero di Kira uno dei fiori blu col centro giallo e glielo porse. - Per tutto quello che fai per me. So che non è molto, spero di poterti offrire di più un giorno.”

La donna rimase sola col suo fiore in mano, mentre il mondo cominciava a vorticarle intorno: al posto dello stomaco aveva un pozzo di cui non avvertiva il fondo e il cuore le martellava il petto così forte che quasi temeva lo si potesse sentire. Si mosse senza nemmeno accorgersene, come se fosse posseduta da una forza esterna, mentre la sua testa le mandava alla rinfusa ricordi di quegli ultimi due mesi.

Era al centro del ponte, una folata la sbilanciò, facendole cadere il fiore e precipitandolo nel vuoto. Improvvisamente si riscosse e capì dove si trovava, strinse convulsamente le corde che reggevano la struttura, raggomitolandosi, incapace di andare avanti o indietro, in balìa del dondolio

“Yayoi! Dea misericordiosa!”

Maki le fu accanto, la sollevò e la riportò dall'altro lato su una piattaforma aperta, l'albero su cui era posizionata era troppo piccolo per ospitare un'abitazione.

“Si può sapere che ci facevi là in mezzo?”

“Oh Maki! - balbettò l'altra donna, respirando affannosamente – Credo di essere ammalata.”

Akamine la osservò, notando il rossore del viso. Le passò una mano sulla guancia.

“Effettivamente sei un po' calda.”

“Non è solo quello: ho lo stomaco sottosopra, le gambe mi tremano, la testa vuota e il cuore, o Dea, è così veloce! Ti assicuro che le vertigini non c'entrano nulla.”

“Però c'entra lui. - La Ribelle lanciò uno sguardo alla capanna del Principe, da dove Yayoi proveniva – Per certi versi sei ancora una bambina: nessuno dei tuoi intrugli ti aiuterà questa volta. Ti sei messa in un bel guaio.” Si coprì con una mano la bocca, cercando di trattenere le risate.

L'altra restò spiazzata, poi spalancò gli occhi, comprendendo:

“Tu pensi che io sia...”

“Innamorata? Senza dubbio.”

La Strega si appoggiò col fianco destro a un ramo, sorridendo: ora capiva finalmente cosa l'aveva legata a Jun fin dal primo istante in cui l'aveva visto, quale forza misteriosa le faceva cercare la sua compagnia e le rendeva difficile il distacco, la stessa forza che le rendeva possibile l'utilizzo dei suoi poteri, il primo grande insegnamento della Dea: l'Amore. Senza rendersene conto era sempre stata innamorata del Principe, ma lui, avrebbe mai potuto ricambiare? Il fiore che le aveva regalato era caduto nel vuoto, anche il suo amore era destinato a quella fine?







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I Ribelli hanno avuto il loro primo scontro diretto con il Gruppo Speciale e per la prima volta vengono colpiti da una perdita all'interno del gruppo: la faccenda sta diventando veramente molto seria.
Onore al povero Shimada che qui compare giusto il tempo di venire ammazzato: del resto anche nel manga si è trattato di un pg meteora che è apparso solo per poche tavole nei primissimi numeri, uno dei compagni di squadra di Genzo prima che avvenisse la selezione per formare la Nankatsu che avrebbe partecipato al campionato regionale e nazionale poi.

 

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Capitolo 8
*** Stanza VIII ***


Mamoru Izawa si riteneva un buon soldato e un discreto Vice Capitano: era alto, robusto, forte, intelligente e coraggioso, ma come tutti aveva delle debolezze. La sua erano le belle donne.

Da quando era arrivato alla Cittadella, era sempre stato un affezionato cliente del Sakura, nonostante il Capitano Wakabayashi non ritenesse onorevole per un soldato frequentare quel genere di locali, ma finché ciò avveniva al di fuori dei turni di servizio non poteva opporsi. Ultimamente Mamoru vi si recava con maggiore assiduità, per tentare di dimenticare almeno per qualche istante i problemi della Caserma e ciò che la Guardia stava diventando sotto la guida del nuovo sovrano. Anche se non aveva partecipato alla missione del giorno precedente, i nuovi elementi del Gruppo Speciale, non avevano lesinato nel vantarsi delle proprie gesta, facendogli venire il voltastomaco e attirandosi sempre più l'antipatia di coloro che erano diventati soldati perché credevano nella missione.

Almeno di notte il Vice Capitano voleva essere sereno e il modo migliore che conosceva era quello di cogliere i fiori del noto locale, nella parte media della Cittadella. Il suo preferito in assoluto si chiamava Natsumi: una donna dai lunghi capelli biondi e ondulati, il volto angelico e due occhi di un blu profondo, per non parlare delle curve, tutte al loro posto.

Quella sera era riuscito ad averla per sé: in una stanza al secondo piano, le loro risate e i loro sospiri si rincorrevano, mentre i loro corpi si strusciavano tra le lenzuola.

Mamoru rotolò sulla schiena:

“Natsumi, sei fantastica.”

“Tutto quello che il mio signore desidera.”

La prostituta gli sorrise e, facendo perno su un gomito, cominciò a giocherellare con i suoi capelli corvini, attorcigliandoseli intorno alle dita.

“Adulatrice!” Sbuffò l'uomo, ben consapevole di quale reale valore potessero avere le parole della ragazza. Tuttavia affondò una mano nella chioma color oro, constatandone la morbidezza.

“E tu sei un gran ruffiano, ma è per questo che sei il mio cliente preferito. - Ridacchiò – Anche se nell'ultimo periodo è arrivato qualcuno che potrebbe batterti.”

Punto sul vivo, con uno scatto Izawa ribaltò le posizioni, trovandosi sopra Natsumi e guardandola maliziosamente negli occhi:

“Dici sul serio? Vedremo se dopo stanotte la penserai ancora così.”

Cominciò a baciarla ardentemente sulla bocca, sul viso, sul collo, sulla fronte, su ogni centimetro di pelle che trovava libero e la prostituta lo assecondava accarezzandolo lievemente sulle braccia, provocandogli dei piccoli brividi.

Improvvisamente Mamoru sentì della confusione provenire dalla strada e si fermò in ascolto: riconobbe la voce di Rika Ozawa, meglio nota come Milady, la proprietaria del bordello.

“Mi dispiace, ma per stasera le ragazze sono già tutte impegnate. Forse più tardi le troverete libere: se volete aspettare potete rifocillarvi a piano terra, abbiamo dell'ottimo stufato.”

“Non hai capito, donna! Io voglio subito una ragazza!”

Anche la voce dell'uomo sembrava famigliare, spiacevolmente famigliare: il Vice Capitano si alzò e si avvicinò alla finestra, sporgendosi quel poco che bastava per avere una buona visuale.

“Non è possibile.” Replicò Rika, appoggiando le mani sui fianchi.

“Mamoru, che succede?” Chiese Natsumi, sollevandosi.

“Shh.” Le fece segno di fare silenzio e tornò a concentrarsi su quanto avveniva.

“Allora sarai direttamente tu a soddisfarmi!”

Così dicendo Louis Napleon si avventò sulla donna, tentando di ottenere un bacio a forza. Milady si dimenò, cercando di liberarsi dalla presa dell'uomo e gridando con voce fiera:

“Levami le mani di dosso, animale! - riuscì a liberare una mano e a tirargli uno schiaffò al volto, con tutta la potenza che fu in grado usare – Vattene! Le mie ragazze non sono per gente come te!”

Fu come gettare olio sul fuoco. Napoleon scattò furioso, immobilizzandola e cominciando a strapparle il vestito, partendo dalle maniche e scoprendole una spalla.

Mamoru aveva visto fin troppo: frettolosamente cercò pantaloni, camicia e spada, sparsi per la stanza, per poi fiondarsi verso la porta, lasciando la prostituta che era con lui a bocca aperta.

In strada lo straniero aveva quasi completato la sua opera di svestimento: solo un misero brandello di sottoveste copriva ancora Rika, la quale non aveva smesso per un istante di tentare di opporre resistenza, gridando e scalciando, ma l'uomo era troppo forte e robusto per lei, e nessuno sembrava intenzionato a venire in suo soccorso, finché una voce risuonò nell'oscurità:

“Lasciala stare, o dovrai vedertela con me!”

Stupito per l'interruzione, Louis mollò la presa e si voltò in direzione del nuovo venuto: si trattava di un uomo di una certa età, piuttosto distinto, quasi di sicuro un nobile della parte alta della città.

“E tu chi saresti, bell'imbusto?” Domandò sprezzante.

“Impara a portare rispetto, ragazzo, soprattutto alle donne.”

L'uomo indicò Milady, che nel frattempo si era portata vicino all'uscio e osservava raggomitolata a terra.

“Non hai risposto alla mia domanda, vecchio! E poi non ho bisogno che nessuno mi dica quello che devo fare.” Si passò una mano nel ciuffo biondo.

“Sono Lord Fujisawa e sta pur sicuro che domani il Capitano della Guardia riceverà un esposto da parte mia.”

Il soldato sputò ai piedi del nobile, con sommo disprezzo.

“Io me ne frego dei tuoi esposti e del Capitano. Ora lasciami riprendere quello che hai interrotto.”

Così dicendo si voltò e si preparò ad avventarsi nuovamente su Rika.

“Allora non ci siamo capiti. – il Lord aveva sfoderato la spada – Lascia stare quella donna!”

Napoleon si voltò di scatto, afferrando la sua arma e incrociandola con Fujisawa in duello: entrambi sapevano combattere bene, ma il nobile era svantaggiato dalla mancanza di allenamento e dall'età.

Milady aveva gli occhi sbarrati per il terrore e quando sentì dei passi dietro di sé sussultò. Fortunatamente si trattava di Mamoru, arrivato trafelato e mezzo svestito.

“Milady, state bene?”

“Non sono ferita, se è questo che intendete.”

Il Vice Capitano l'aiutò ad alzarsi, poi si tolse la camicia e gliela mise sulle spalle, facendola rientrare nella sala del Sakura: aveva lanciato un rapido sguardo al combattimento e per il momento il Lord se la cavava bene. Avrebbe lasciato al sicuro la donna e poi l'avrebbe raggiunto.

Tornò in strada e si trovò davanti uno spettacolo molto diverso da quello che si era aspettato: Napoleon era stato raggiunto da Soda e in due avevano atterrato senza problemi Lord Fujisawa ed ora lo stavano prendendo a calci come fosse un sacco di patate.

“Questo è per esserti messo in mezzo, vecchio!” Imprecò Louis.

“Siete... solo... due... pezzenti... attaccare... un... uomo... alle... spalle...” Fu tutto ciò che il nobile riuscì a dire, prima di perdere i sensi. I due Sicari risero sprezzanti e continuarono la loro opera.

Mamoru non ci vide più dalla rabbia, avrebbe voluto fracassare la testa a entrambi, ma si costrinse a mantenere un minimo di lucidità: era sempre il Vice Capitano della Guardia.

“Fermatevi! - Urlò – Lasciate stare quell'uomo!”

Makoto si fermò ad osservarlo, con un sopracciglio inarcato, per poi scoppiare a ridere:

“Ma chi abbiamo qui? Il prode Izawa! Vuoi immischiarti anche tu in affari che non ti riguardano?”

“Ti ricordo che sono un tuo superiore!”

“Io prendo ordini solo dal Reggente, saputello!”

Si scambiarono un'occhiata di sfida e di puro odio, mentre Mamoru ribatteva:

“Non penso che Kanda approvi che i suoi uomini picchino uno dei più influenti membri della nobiltà.”

“Hey – intervenne Napoleon – è stato lui ad aggredire noi!”

“Balle! Ho visto tutta la scena, so come è andata. Il Capitano e il Sovrintendente saranno informati.”

Mamoru sorrise compiaciuto, convinto di aver incastrato i due.

“Coraggio, vai pure a lamentarti da chi è più grande di te. - lo canzonò Soda – E comunque sia questo qua ora viene con noi in prigione.”

Makoto sollevò il corpo privo di sensi del Lord e se lo caricò in spalla, seguito da Napoleon che salutò sprezzante il loro interlocutore:

“Ci vediamo in Caserma, Vice Capitano.” Sottolineò ironicamente il titolo di Izawa, come a dimostrare quanto poco contasse per loro: i due Sicari avevano un solo padrone e a lui soltanto avrebbero obbedito.

Mamoru era talmente furioso da avviarsi verso la Caserma, dimenticandosi di recuperare il resto del suo abbigliamento, procedendo per i vicoli a piedi nudi, indossando solo i pantaloni.

 

 

 

 

Era prima mattina e Kanda si aggirava nervoso per la Sala del Trono: poteva scommettere tutto quello che aveva che presto Wakabayashi sarebbe venuto a fargli rapporto su quanto avvenuto quella notte, sicuramente quell'Izawa l'aveva informato dei fatti al Sakura. Era mai possibile che Makoto non riuscisse a divertirsi senza scatenare una rissa? Non che la cosa gli dispiacesse, anzi, e ora che aveva il potere assoluto poteva porre rimedio alle bravate del Sicario molto più facilmente, ma queste lo distoglievano dal suo obiettivo principale.

Un servitore annunciò l'arrivo del Capitano e il Reggente si preparò alla battaglia: già da come lo vide entrare fu sicuro che Wakabayashi non avrebbe ceduto troppo facilmente in quest'occasione.

“Capitano.” Lo salutò.

“Reggente.” Genzo si inchinò, rispettando le formalità e aspettando il permesso per rialzarsi.

“Immagino vogliate parlare degli incresciosi fatti si stanotte.”

“Vedo che siete già stato informato.” Ribatté il Capitano, avvicinandosi e scrutandolo, per capire quale fosse la presa di posizione del Reggente e quali effettivamente fossero le informazioni in suo possesso: Soda e Napoleon avrebbero sicuramente raccontato una versione a loro favorevole.

“Purtroppo è una cosa disdicevole, su cui non posso assolutamente soprassedere, la punizione sarà esemplare.”

Genzo restò per un istante stupito: forse il suo giudizio su Kanda era stato affrettato?

“Non si è mai sentito che un nobile attaccasse due uomini, per di più due membri della Guardia Reale, senza motivo. È una cosa gravissima, per questo ho deciso che Lord Fujisawa sia giustiziato al tramonto.”

Wakabayashi restò senza fiato, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco: nemmeno nei suoi presentimenti più terribili si sarebbe mai immaginato che il Reggente volesse risolvere la situazione con un'esecuzione.

“Veramente le mie informazioni sono diverse. - riuscì infine a dire – Il mio Vice era presente e mi ha detto che il Lord è intervenuto per difendere una donna aggredita da Napoleon.”

Kanda, che si era aspettato una simile obiezione, era pronto a ribattere. Lentamente si avvicinò al trono intarsiato e si sedette.

“Ditemi: voi vi fidereste di più di due soldati leali, che mi hanno più volte dimostrato fedeltà, o di un uomo che frequenta bordelli e di una prostituta. Io non avrei dubbi in proposito.”

Genzo arretrò di un passo: non riteneva onorevole per un uomo ottenere 'l'amore' di una donna col denaro, il suo stesso codice morale gli impediva di difendere a spada tratta l'operato di Mamoru.

“Sono d'accordo con voi sul fatto che Izawa potrebbe procurarsi altri passatempi, tuttavia è sempre stato un servitore fedele della famiglia Reale, con uno stato di servizio ineccepibile. Io mi fido di lui.”

“E io mi fido di Soda e Napoleon – Kanda iniziava a scaldarsi e a muoversi inquieto, come se il sedile del trono scottasse – È la parola di due uomini contro uno, mi pare che la maggioranza vinca.”

“Si potrebbe metterli tutti e tre a confronto.”

Il Reggente agitò una mano, con fare scocciato.

“Sarebbe una perdita di tempo. La mia decisione è già stata presa e un messo si è già recato dalla famiglia di Lord Fujisawa a comunicarla: ormai è irrevocabile.”

Genzo si rese conto di non avere molte speranze, tentò di giocare l'ultimo argomento che aveva a disposizione:

“Decidere della morte di un uomo è una grossa responsabilità, che andrebbe presa con più calma. Siete il Sovrano, potete disporre di tutto il tempo che riterrete opportuno.”

“Dite bene: io sono il Sovrano e se dico che ho riflettuto a sufficienza così è.”

“Ma potreste pentirvene domani!” Con foga si avvicinò ai gradini alla base del trono.

“Basta! - Kanda si alzò in piedi, furente – Non un'altra parola Wakabayashi o sarò costretto a pensare che vi riteniate migliore di me nel mio ruolo e questo sarebbe tradimento!”

Il Capitano dovette trattenersi dal ribattere: per la piega che aveva preso la situazione una parola in più avrebbe potuto fare in modo che quella sera venisse giustiziato pure lui. Con somma riluttanza si inchinò e proferì le sue scuse:

“Perdonatemi, non so cosa mi sia preso.”

Il Reggente sospirò.

“Per questa volta chiuderò un occhio, ma sappiate che vi terrò sotto controllo Wakabayashi. Ora andate.”

Rimasto solo si risedette scompostamente, portandosi le mani alle tempie e massaggiandosele, ma la tranquillità durò poco: Matsuyama chiedeva udienza. Kanda imprecò sottovoce: sembrava che nessuno fosse intenzionato ad avvallare la sua decisione, Kumi stessa gli aveva detto che la riteneva una mossa azzardata, ma a lui piaceva rischiare, era stato fin troppo prudente fino ad ora.

Il Sacerdote venne introdotto alla sua presenza dallo stesso servitore che aveva accompagnato il Capitano.

"Mio signore. - Hikaru si inchinò - Che la pace della Dea sia con voi."

Il Reggente si alzò infastidito:

"Risparmiatemi i convenevoli Matsuyama, so perché siete qui. Non ho intenzione di mutare avviso: Lord Fujisawa sarà condannato a morte."

"Non è mia presunzione avere il potere di farvi cambiare idea. - rispose il Sacerdote. Aveva incontrato Wakabayashi mentre saliva alla Fortezza ed era conscio che se nemmeno il Capitano della Guardia Reale aveva avuto successo, lui non aveva speranze. - Ho solo una piccola grazia da chiedervi."

Kanda si fermò stupito, non si era aspettato che Matsuyama non si opponesse alla condanna a morte dello zio.

"Parlate." Lo invitò curioso.

"Vorrei solo poter avere la possibilità di parlare un'ultima volta con mio zio, prima che la sua sentenza venga eseguita. - deglutì, pensando anche a Yoshiko e a quanto stesse soffrendo in quel momento - Per capire perché ha compiuto ciò di cui è accusato." Si inchinò sempre più profondamente, fino quasi a toccare le ricche lastre decorate del pavimento.

A Hikaru gli istanti di silenzio che seguirono sembrarono eterni.

"Sapete che non è possibile: per legge i condannati a morte sono rinchiusi in isolamento. È troppo pericoloso fargli incontrare qualcuno."

"Lo so, ma vi supplico. Sono un uomo di fede, non un uomo d'azione, non potrei mai aiutare un prigioniero a fuggire."

"Nemmeno se questo è un vostro parente?"

Il Sacerdote dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non cadere nella trappola tesagli dall'uomo dinnanzi a lui.

"Ve lo chiedo come favore personale."

"E sarete accontentato. - Lady Sugimoto apparve da una porta nascosta dietro al trono, che consentiva l'accesso a una piccola stanza segreta: uno dei tanti rifugi che la Fortezza possedeva come sua difesa – Koshi non può negare a voi questo favore. Credo di sapere quanto un uomo devoto e pio come voi abbia bisogno di capire come una persona così vicina a sé abbia potuto commettere un simile crimine."

La donna si avvicinò al Reggente, cingendolo per la vita, mentre questo la guardava dubbioso, senza parole per la seconda volta nel giro di poco. Alla fine cedette al suo sguardo penetrante:

“E sia. - si sciolse da Kumi e si spostò al tavolo, scrivendo un permesso speciale e completandolo con la sua firma e il suo sigillo – Consegnatelo a Jito quando arriverete alle segrete, darò ordine che vi accompagnino.”

Con un gesto lo congedò. Hikaru afferrò la pergamena e si inchinò nuovamente.

“Miei signori, grazie di tutto.” Si voltò e uscì dalla sala, rimettendosi il cappuccio.

Quando fu sicuro di essere rimasti soli, Kanda sbottò:

“Si può sapere perché hai voluto che gli concedessi il permesso, per Gamo?”

Lady Sugimoto lo raggiunse e, sollevandosi sulle punte, gli depositò un bacio sulla nuca.

“È molto semplice: non eri tenuto dalla tua carica a esaudirlo, ma in questo modo il Sacerdote ora è in debito con te, se mai avrai bisogno tu di un favore da lui, non potrà negartelo.”

Continuò a baciarlo, spostandosi nell'incavo del collo. L'uomo si voltò e l'afferrò per la vita.

“Kumi Sugimoto, sei la degna seguace del Signore del Caos.”

“Avevi qualche dubbio?” Sorrise maliziosa

“Ora, se i disturbatori hanno finito di accorrere, direi che potremmo ritirarci nella mia stanza. Ho bisogno di una distrazione: gestire Wakabayashi diventa ogni giorno più difficile.”

 

 

 

 

Hikaru fu condotto nei sotterranei della Fortezza, dove erano situate le segrete in cui alloggiavano i prigionieri per breve tempo, in attesa che venisse stabilito il loro destino: il trasferimento alla prigione Hirado oppure la condanna alla pena capitale. Per questo motivo erano spesso deserte, solitamente dopo una notte si procedeva al trasferimento, mentre le condanne a morte, sotto il regno degli Ozora, erano assai scarse.

I corridoi erano bui e non troppo larghi, con la pietra della muratura lasciata a vista e non livellata, né sulle pareti né sul pavimento, per rendere difficoltoso qualsiasi tentativo di fuga, obbligando chiunque li percorresse alla massima cautela.

“Altolà!” La voce di Jito, custode delle segrete e giustiziere reale, tuonò possente. “L'accesso alle celle è vietato a chiunque non sia il Reggente.”

Matsuyama avanzò, porgendo la pergamena col sigillo.

“Il nostro signore mi ha concesso di far visita al prigioniero.”

Il custode, riconoscendolo, diede solo una distratta occhiata al permesso.

“Sacerdote Matsuyama, prego, da questa parte. - lo condusse alla seconda cella alla sua sinistra, ma prima di farlo entrare ebbe una piccola esitazione – Mi dispiace per vostro zio, ritengo che la sua condanna sia troppo pesante e ingiusta. Io non vorrei dover...”

Con un gesto della mano Hikaru lo interruppe:

“Voi eseguite gli ordini e compite il vostro dovere.” Dire quella frase gli costò uno sforzo sovrumano, tuttavia sapeva che il carceriere era l'ultimo responsabile di quello che era successo, in fondo era solo il braccio al servizio di Kanda.

Jito annuì.

“Ecco, avete tutto il tempo che volete. Quando avrete terminato, battete sulla porta e vi aprirò.”

Così dicendo, richiuse la pesante porta di legno di quercia alle spalle di Matsuyama. Questo, spostò la torcia, cercando con lo sguardo il parente e tentando al contempo di abituarsi all'oscurità ancora più profonda.

La cella era il posto più umido che il Sacerdote avesse mai visitato, forse perché era costruita proprio sopra una falda acquifera, mentre le piccole feritoie scavate nel legno dell'ingresso offrivano un ricambio d'aria appena sufficiente: era chiaro quanto quegli ambienti non fossero progettati per un lungo soggiorno.

Lord Fujisawa era rintanato in un angolo, avvolto in una coperta sporca. Quando sentì entrare qualcuno alzò il volto, stupito, rivelando un grosso livido sulla guancia destra e un taglio sotto l'occhio sinistro: Soda e Napoleon non si erano trattenuti.

“Hikaru, cosa ci fai qui?”

“Zio! Come stai?”

L'uomo fece una smorfia:

“Come vuoi che stia? Sarai anche un grande oratore durante i tuoi discorsi nei riti, ma a volte ti perdi in un nulla.”

Il Sacerdote arrossì leggermente, togliendosi il cappuccio.

“Sono riuscito a ottenere un permesso per vederti, di più non sono riuscito a fare. Nemmeno il Capitano Wakabayashi ha potuto convincere il Reggente a rivedere la sua posizione.”

“E cosa ti aspettavi? Guarda fino a che punto è caduto in basso questo Regno! - La voce del prigioniero era carica di amarezza – Nella Guardia Reale vengono assunti uomini volgari senza alcun rispetto per le donne o altro, e la loro parola vale molto più di quella di chi ha servito per anni fedelmente la Famiglia Reale.”

Lord Fujisawa aveva lavorato per anni come contabile alla Fortezza, guadagnandosi la stima del vecchio Principe, finché non aveva deciso ritirarsi per dedicarsi alla sua famiglia. Impotente aveva assistito alla dipartita degli anziani sovrani, all'ascesa al trono del Principe Tsubasa, alla scelta di Kanda come suo uomo di fiducia e tutti i fatti dell'ultimo anno. La corte si riempiva sempre più persone malevole, ma i Principi, per diversi motivi, parevano non accorgersene: uno era partito per le terre oltre confine e l'altro era stato troppo occupato, secondo i pettegolezzi delle cameriere, da una misteriosa malattia, quella che poi l'aveva ucciso.

“Zio, mi dispiace, ma forse non avresti dovuto esporti a tal punto...”

“E lasciare che quel Napoleon mettesse le mani addosso a una donna? Giammai! Pensa se ci fosse stata Yoshiko al suo posto!”

Un brivido corse lungo tutta la schiena di Hikaru: non avrebbe potuto sopportare che qualcuno facesse del male a sua cugina, perfino lui in quel caso sarebbe venuto meno ai suoi voti di non violenza.

“A proposito di mia figlia, come sta?”

“La verità? Distrutta. Da quando abbiamo ricevuto la notizia non ha smesso di piangere. Per questo zio, tu devi salvarti!”

“E come?”

“Sostituisciti a me, indossa le mie vesti ed esci al mio posto, così...”

“No!”

Il Lord balzò in piedi deciso, sfruttando tutta l'energia che gli rimaneva dopo il pestaggio e la nottata di prigionia senza cibo.

“Non potrei mai permettere che mio nipote si sacrifichi al mio posto. Poi, una volta fuori non potrei fare altro che nascondermi, vivere braccato. In questo modo Yoshiko perderebbe le due persone più importanti per lei.”

Il Sacerdote abbassò il capo, non aveva pensato bene a tutti i dettagli, aveva agito d'impulso, spinto dalla volontà di salvare il parente, senza riflettere sulle conseguenze. Lo zio gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi:

“Hikaru, devi promettermi una cosa molto importante: prenditi cura di Yoshiko, assicurati che abbia tutto ciò di cui necessita e che possa tornare a essere felice un giorno.”

“È naturale che lo farò, è la mia famiglia!”

“Non di sangue.”

Matsuyama restò sorpreso, sgranò gli occhi e scosse il capo:

“Non capisco...”

Lord Fujisawa sospirò, cercando le parole adatte per spiegare la situazione al nipote:

“Yoshiko non è figlia mia e di tua zia, noi l'abbiamo trovata abbandonata e l'abbiamo cresciuta come se fosse nostra. Lei per ora non sa nulla: Kyoko ed io eravamo d'accordo di rivelarle tutto quando avesse compiuto vent'anni.”

Yoshiko ne aveva diciannove, presto sarebbe venuta a conoscenza di tutto, ma sarebbe dovuto essere Hikaru a spiegarle. Questo era rimasto di sasso, immobile, muto, così il prigioniero poté continuare:

“Vai a casa mia, attento a non farti seguire dai soldati, anche se credo l'abbiano già messa a soqquadro. Sotto la cenere del camino è nascosta l'apertura di un piccolo vano segreto. All'interno c'è una scatola, in cui è custodita una mia lettera per Yoshiko: l'ho scritta dopo la morte di tua zia, per essere sicuro di poterle dire la verità nel caso fossi morto anch'io. Quando verrà il momento gliela farai leggere.”

L'uomo si accasciò a terra, esausto.

“Hikaru, ti prego, promettimi che farai tutto questo.”

Il cervello di Matsuyama lavorava febbrilmente, nonostante lo shock della notizia: Yoshiko non era sua parente e questo cambiava decisamente il loro rapporto. Con lei era sempre stato molto complice, adducendo come motivazione il fatto che fosse il loro legame di sangue a renderli così uniti, eppure adesso sapeva che non ne avevano. Aveva paura che quella notizia avrebbe potuto cambiare i loro rapporti, fargli perdere la loro confidenza: con un'estranea avrebbe dovuto mostrarsi molto più distaccato, certi atteggiamenti tra loro gli erano permessi in quanto cugini. Avrebbe dovuto trattarla come una qualsiasi altra ragazza, ma allo stesso tempo, dovendo mantenere il segreto ancora per un po', non doveva darlo troppo a vedere.

Finalmente rispose allo zio:

“Io te lo giuro, chiamo la Dea a testimone: Yoshiko sarà al sicuro con me e quando compirà vent'anni saprà la verità.”

“Ora posso morire in pace.”

I due uomini si abbracciarono, commossi entrambi, consapevoli che non si sarebbero più rivisti come mortali, un giorno forse nella casa eterna di Machiko si sarebbero rincontrati.

Prima di andarsene il Sacerdote impose sulla fronte di Lord Fujisawa la benedizione della Dea: per quanto avesse aggredito un membro della Guardia Reale, il suo gesto era stato compiuto per difendere una donna e sarebbe stato sicuramente perdonato dalla divinità.

 

 

 

 

 

Genzo se ne stava pensieroso nel suo studio, alla scrivania rotonda, con le mani intrecciate e il mento appoggiato sopra.

Davanti a sé aveva una pergamena in cui aveva tracciato con la sua calligrafia decisa e leggermente spigolosa le sue dimissioni: dopo il trattamento ricevuto da Kanda nell'ultima visita a palazzo, aveva perso completamente l'interesse per il suo lavoro, ormai gli sembrava di subire un'umiliazione continua da parte del Reggente. Poco gli importava se il suo posto fosse stato dato a quel cafone di Soda, che qualunque cosa facesse aveva sempre e comunque l'approvazione di Kanda, quasi fosse stato lui il Capitano!

Gli dispiaceva solo lasciare i ragazzi fedeli, che come lui appartenevano alla Guardia per senso d'onore e non per la passione per le carneficine. Anche sua sorella lo appoggiava: con poche e semplici parole gli aveva detto che se dimettersi era quello che veramente voleva, avrebbe dovuto farlo senza esitazioni. Ma era veramente ciò che desiderava?

Qualcuno bussò alla porta, facendolo scattare spazientito:

“Che c'è?”

Yuzo Morisaki fece capolino lentamente, parlando sommessamente:

“Chiedo scusa signore, ma il Cavaliere Mikami desidera parlarvi.”

“Va bene, fallo entrare.”

Wakabayashi si alzò, per accogliere il suo vecchio maestro e predecessore: Cavaliere era il titolo che spettava ai Capitani dopo aver lasciato con onore il loro posto nella Guardia. Anche se ormai era una tradizione, quando un Capitano si dimetteva, Genzo si rese amaramente conto che non sarebbe stato il suo caso.

“Genzo! Ragazzo mio!”

“Cavaliere, Accomodatevi. Gradite qualcosa da bere?”

“Mi piacerebbe un po' del caro e vecchio Shutetsu.”

“Morisaki.” Con un gesto il Capitano diede l'ordine al giovane.

I due uomini si sedettero, uno di fronte all'altro, separati dalla scrivania e dai mucchi di rapporti pronti per essere letti da Genzo.

“Cavaliere, a cosa devo l'onore della vostra visita?”

Mikami rispose diretto, senza giri di parole, come quando addestrava i futuri soldati.

“Volevo vedere come te la stai cavando: passare da un sovrano all'altro non è mai facile.”

Wakabayashi sospirò, pensando però che l'uomo potesse essere l'unico in grado di dargli un consiglio.

“Effettivamente ci sono delle difficoltà con il Reggente: i Principi mi lasciavano molta libertà di agire e rispettavano le loro competenze in rapporto alle mie, ma Kanda no.”

Il suo interlocutore sorrise comprensivo:

“Ogni uomo che sale al governo ha una personalità diversa, un buon Capitano deve capire questo per instaurare un buon clima di collaborazione.”

“Con l'attuale sovrano è impossibile!” Genzo incrociò le braccia la petto, allontanandosi anche dalla superficie del tavolo, come a rifiutare di trattare su quel punto.

Il Cavaliere scosse la testa, quasi ridacchiando, ricordando come il suo pupillo fosse sempre stato cocciuto e in certi casi poco diplomatico.

Yuzo entrò nuovamente e silenziosamente depositò due calici fumanti di liquore, per poi lasciarli soli.

Nell'afferrare la sua bevanda, Mikami gettò un occhio sulla pergamena con le dimissioni di Genzo.

“E queste cosa sarebbero?” Tuonò sbattendo un pugno sulla superficie di rovere.

“Esattamente quello che sono. - Rispose di rimando Wakabayashi, alzando la voce – Non intendo farmi umiliare un istante in più dal Reggente.”

“Devo ricordarti che gli hai giurato fedeltà? - l'uomo si era alzato e guardava il suo ex-allievo con disprezzo – Genzo Wakabayashi, sei forse un bambino che al primo sgarbo si ritira in un angolo a frignare?”

Il Capitano si sentì punto sul vivo, colpito nell'orgoglio, ancora peggio di quando era costretto a sottostare ai dispotici comandi di Kanda. Si alzò di scatto per ribattere all'accusa:

“Tu non sai come il Sovrano si comporta: non ha la minima fiducia nei miei giudizi e costringe la Guardia a eseguire ordini orribili. Sai che ha condannato a morte Lord Fujisawa? Il Lord è forse l'uomo più onorevole della Cittadella, non merita un simile trattamento.”

“Non è tuo compito giudicare il tuo signore: un Capitano esegue gli ordini che gli vengono impartiti, per quanto gli possano sembrare sbagliati, il Sovrano potrebbe avere in mente un piano più grande, una visione d'insieme che non è tenuto a comunicare. Per quanto riguarda la fiducia, devi guadagnartela sul campo! Se hai questa considerazione di lui, non stento a credere che Kanda non si fidi di te.”

Genzo ricadde sulla sedia, sconfitto. Aveva ancora della forza per replicare, ma sapeva che il vecchio maestro avrebbe facilmente smontato ogni suo argomento.

“Il mio compito è vegliare sul Sovrano e proteggere la popolazione.”

“Vale lo stesso anche per il Reggente. Comunque, se vuoi ritirarti la scelta è tua, sappi però che mi hai molto deluso. O forse sono io a essere stato deludente, mi sembra di non averti insegnato nulla. Buona giornata.”

Così dicendo voltò le spalle e se ne andò, sparendo nel corridoio.

Genzo ascoltò il rumore dei suoi passi sul marmo farsi sempre più attutito, finché non sparì del tutto. Si prese la testa tra le mani: ma che stava facendo? Si stava davvero comportando come un bambino? O forse quello era proprio lo scopo di Kanda, umiliarlo a tal punto da fargli decidere di andarsene di sua spontanea volontà, senza un motivo apparente se non i loro dissidi, coprendosi così di disonore. Se quello era il suo gioco, non gliel'avrebbe data vinta e, soprattutto, non poteva permettere che quella feccia degli ultimi arrivati si comportasse come più gli pareva in qualsiasi momento, erano pur sempre membri della Guardia, sotto la sua autorità e vincolati al regolamento interno.

Afferrò la pergamena e la strappò in pezzi più piccoli possibile, gettandoli sul pavimento: Genzo Wakabayashi era e sarebbe rimasto Capitano della Guardia Reale, fedele ai suoi giuramenti.


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Ed ecco che Kanda ed i suoi uomini continuano a comportarsi come gli pare e piace.
Ora assistiamo anche ad un colpo di scena per quanto riguarda Hikaru e Yoshiko. Ciò mi ha portato anche a riflettere sul fatto che, siccome ho cambiato le età dei vari personaggi in funzione della trama, forse è meglio che vi fornisca uno schema riassuntivo sulle età, per i pg principli ;)

Più o meno la base è pensata per far avere ai nostri eroi attorno ai 24/26 anni, con qualche variazione:
Tsubasa 26
Jun 25
Kojiro 25
Yayoi 24
Genzo 29 (è in un ruolo di comando importante, raggiunto tramite addestramento e valore dimostrato sul campo, deve essere    più maturo degli altr)
Mamoru 25 (è uno dei Vice Capitani più giovani che la Guardia abbia avuto. Spesso quando i Capitani sono stati eletti molto giovani hanno avuto dei Vice più anziani di loro che fungevano anche da consiglieri)
Hikaru 28 (discorso simile a Genzo, è la guida spirituale della Cittadella, non può avere 20 anni)
Yoshiko 19 (lei ho dovuto ringiovanirla molto)
Kanda 31
Kumi la sua età non è conosciuta, le Streghe Nere, grazie alla loro magia oscura, sono in grado di celare la loro vera età.
Gli altri Ribelli tutti intorno ai 23/25 anni.


Ps: chiedo scusa se non ho ancora risposto alle recensioni al capitolo precedente, lo farò appena possibile. ;)
 

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Capitolo 9
*** Stanza IX ***


La primavera più secca che le Cronache dei Priori avessero mai ricordato stava cedendo il passo all'estate, che si preannunciava altrettanto povera di pioggia. La luce calava sempre più tardi e le serate si facevano meno fredde, tanto che sempre più spesso i Ribelli sostavano nella radura a lungo dopo aver consumato la cena, senza rientrare subito alle capanne.

L'attacco subito dalla Guardia Reale in cui Shimada aveva perso la vita, dopo l'iniziale sconcerto e timore, aveva reso i fuorilegge ancora più determinati nella loro battaglia: anche se non apertamente Kojiro aveva deciso di sfruttare il suggerimento del Principe, cambiando per quella settimana la loro tabella di marcia rispetto ai villaggi da visitare. Al contempo molti avevano aumentato la loro intolleranza nei confronti di Jun, ritenendolo direttamente responsabile di quanto accaduto al compagno.

L'uomo se ne rendeva perfettamente conto e cercava di limitare il più possibile i momenti in cui si potessero generare inconvenienti, trattenendosi dal rispondere o reagire in qualsiasi altro modo alle provocazioni che i più audaci osavano lanciargli.

Passò una mano tra la criniera del suo cavallo, districandogli un nodo: da quando stava nella foresta si era inselvatichito. Per l'ennesima volta si domandò come fosse possibile che nessuno nelle scuderie reali avesse notato l'assenza dell'animale, tra l'alto facilmente identificabile per il suo mantello completamente candido. Probabilmente avevano altro a cui pensare: le ultime notizie portate da Ken Wakashimazu dalla sua incursione alla Cittadella erano tutt'altro che rassicuranti. Lo stomaco gli si contrasse al pensiero dell'esecuzione di Lord Fujisawa e alle conseguenze che questa potesse avere su Matsuyama. Doveva trovare il modo di togliere il potere a Kanda, ormai era quasi completamente guarito, doveva tentare.

Sospirò e rivolse uno sguardo al gruppo di Ribelli che danzava al ritmo del flauto di Ken e delle percussioni di Ryo: se non aveva capito male quella sera era il compleanno di Takeshi, il più piccolo del gruppo, ed era stata organizzata una festa in suo onore.

Kojiro era stato trascinato, come al solito, nella mischia da Maki:

“Io vorrei sapere come riesci sempre ad averla vinta tu.” Sbuffò, facendola piroettare così veloce che la sua gonna si sollevò ben oltre le ginocchia.

“È un segreto. - rispose la donna, con aria furba, attirandolo più vicino – Semplicemente non puoi negarmi nulla.”

“Certe volte credo che pure tu sia una Strega!” Ribatté prima di baciarla con passione in mezzo a tutti gli altri, che parvero non accorgersene, talmente erano impegnati nei balli.

Alla vista della scena Jun fece un mezzo sorriso: chi avrebbe mai detto che un uomo così scontroso come il capo dei Ribelli avesse un legame sentimentale. Sicuramente Maki era una donna tosta, l'aveva vista allenarsi con la katana una volta, e non aveva dubbi sul fatto che sarebbe stata in grado di tenere testa a buona parte dei membri della Guardia Reale.

Un lupo ululò in lontananza.

Gli occhi del Principe cercarono tra i visi quello di un'altra donna, con cui aveva passato molto tempo, ma che nell'ultima settimana era diventata più sfuggente: era con lui, eppure aveva la sensazione che non fosse veramente presente. Spesso la vedeva abbassare gli occhi e in un primo tempo aveva pensato che tra loro si fosse creato dell'imbarazzo dopo quanto successo al fiume, ma più ci pensava più non gli sembrava ragionevole.

La vide insieme a Takeshi, con i lunghissimi capelli rossi sciolti e stranamente senza grembiule. Si muoveva leggera, i piedi nudi sembravano sfiorare appena i fili d'erba, e sorrideva. In quel momento era una visione talmente affascinante, che Jun si diede dello stupido per non aver capito subito che Yayoi possedeva in sé qualcosa di soprannaturale.

Il cavallo di Jun si agitò inquieto, raschiando il terreno con le zampe anteriori.

“Cos'hai bello? Sei al sicuro qui, i lupi sono lontani.” Lo accarezzò lentamente sul collo e sul muso, offrendogli anche una mela. Improvvisamente si sentì chiudere gli occhi con le mani da qualcuno e una fragranza di fiori freschi gli invase le narici. Non ebbe dubbi su chi fosse:

“Yayoi.”

“Che fai qui tutto solo? C'è una festa, vieni a ballare!”

“Non credo sia il caso.”

“Dai!”

Il Principe la guardò: aveva le guance arrossate, i capelli un po' scompigliati e gli occhi le brillavano. Non avrebbe saputo dirle di no nemmeno se l'avesse voluto con tutta la sua forza e non era questo il caso. Sorridendo si lasciò prendere per mano e guidare tra i Ribelli.

Iniziarono a danzare attorno al falò.

Ken non distoglieva un istante lo sguardo dalla coppia, continuando però a suonare: bruscamente passò da una melodia lenta e dolce ad una mossa con velocità crescente, quasi che la musica esprimesse la sua gelosia nei confronti dell'uomo. Quando vide il Principe sussurrare qualcosa all'orecchio della Strega e questa mettersi a ridere di gusto, mentre le guance le avvampavano, mancò un paio di note.

Molti degli altri Ribelli intorno a loro si allontanavano, non volendo spartire il loro spazio col Principe.

Così, alla fine della melodia, Jun si ritrovò nei pressi di Maki e del compagno, dando la schiena a quest'ultimo.

Un secondo ululato riempì l'aria.

"Kojiro – chiamò Jun, togliendo le mani dai fianchi di Yayoi – non è un po' troppo vicino?"

Il Ribelle si voltò, mentre un altro ululato rispondeva al precedente:

"Decisamente. Tutti sugli alberi!" Esclamò, cercando di sovrastare il rumore di flauto più percussioni.

Tra i cespugli brillavano diverse paia di occhi, pronte ad avventarsi sugli uomini.

Dopo l'ordine, mentre il gruppo cercava di disperdersi, il Principe raggiunse di corsa una figura seduta vicino ad un altro piccolo fuoco.

"Yukari! Vieni presto!"

"Che vuoi da me?"

"Stanno arrivando i lupi. Devi salire sull'albero." A forza la fece alzare e, sostenendola, la condusse alla piattaforma con la carrucola, solitamente usata per issare sugli alberi il cibo e le vettovaglie.

La donna strinse forte le corde, con una fitta di paura per sé, per il suo bambino e per Ryo, che non riusciva a vedere, mentre Jun dall'altra parte iniziava a tirare per sollevarla, lentamente: se qualcuno l'avesse aiutato avrebbe impiegato meno tempo, ma nessuno parve accorgersi di loro.

Gli animali fecero irruzione nella radura, feroci e affamati.

Il panico dilagò tra i Ribelli: tutti cercavano di raggiungere il più velocemente possibile le scale di corda e portarsi al sicuro. Maki tentava invano di smistarli verso alberi diversi, ma ognuno pensava per sé, incurante di travolgere oggetti o persone al suo passaggio, Akamine stessa per poco non si scontrò con un'altra donna che fuggiva.

Un lupo, balzò sulla grossa pietra dove si trovava Ken, ma il Ribelle lo allontanò con un calcio rotante, spostandosi poi i capelli dagli occhi e scendendo con Ryo.

Con un ultimo sforzo il Principe riuscì a portare alla giusta altezza la piattaforma, fissando la corda con un nodo e permettendo a Yukari di scendere. Quest'ultima si voltò verso la radura e urlò di terrore, attirando l'attenzione di Jun: l'uomo seguì il suo sguardo e ciò che vide gli fece mancare un battito al cuore, mentre scattava in avanti.

Yayoi correva, tenendo sollevata la gonna, verso una pianta, quando un animale le sbarrò la strada qualche metro avanti a lei. Si voltò cercando un altro rifugio, ma l'animale era più veloce, stava riducendo la distanza tra loro, se lo sentiva. Non sarebbe mai arrivata in tempo in salvo. Distratta da questi pensieri inciampò in un sasso e si ritrovò distesa a terra, il piede destro che pulsava di dolore. Si girò su un fianco per vedere gli occhi gialli del lupo. Una mano si portò alla cintura, in un disperato tentativo di afferrare il pugnale. Quando realizzò di averlo lasciato nella capanna, il terrore la invase a tal punto che non sarebbe stata in grado di evocare nemmeno un blando incantesimo di barriera: alcune delle sue magie richiedevano una sicurezza che in quel momento non possedeva. Si portò le mani sulla testa e si raggomitolò, in un'inutile illusione di ultima difesa, aspettando che l'animale si avventasse su di lei.

Il lupo si piegò sulle zampe, pronto a balzare sulla sua preda. La Strega lo vide spiccare il salto e farsi sempre più vicino, ma all'ultimo una macchia scura si gettò sull'animale, deviando la traiettoria del balzo.

Yayoi sbatté le palpebre e vide l'ultima cosa che si sarebbe aspettata: il Principe e il lupo rotolavano accanto a lei, cercando di prevalere uno sull'altro. Gridò:

“Jun!”

“Vai via!” Le urlò di rimando lui.

Con un braccio riuscì a riparare all'ultimo istante il volto da una zampata. Le unghie gli strapparono la manica e una parte della pelle, che bruciò intensamente. Usò entrambi i piedi per allontanare da sé l'animale. Parve funzionare e riuscì ad alzarsi, ma il lupo non demorse.

“Attento!” Strillò nuovamente Yayoi, ancora nei paraggi: era riuscita a malapena a mettersi in ginocchio.

Jun venne atterrato dal fianco sinistro e la sua lotta ricominciò, ma stavolta era in una posizione più svantaggiosa: aveva buona parte del peso dell'animale sullo stomaco e sulla gabbia toracica. Con la coda dell'occhio riuscì a scorgere una figura alta avvicinarsi.

“Ken... porta... - aveva poco fiato per parlare – portala... via!”

Il Ribelle non se lo fece ripetere: afferrò la donna per la vita e la prese in braccio, portandola lontano, mentre questa protestava debolmente, non voleva abbandonare il Principe.

Jun stava soccombendo sotto la forza del lupo. Con entrambe le mani gli teneva le fauci impedendogli di affondarle nella sua carne, ma il muso dell'animale si avvicinava sempre più al suo collo: se avesse ceduto un solo istante i denti aguzzi del lupo l'avrebbero trafitto a morte.

“Dea, aiutami tu.” Pregò, non sapendo che altro fare per salvarsi.

Fu un istante: una lama sferzò l'aria, staccando di netto il muso dell'animale dal resto del corpo, che cadde a peso morto su Jun. Questo se lo scrollò di dosso, riprendendo a respirare normalmente, voltandosi poi verso il suo salvatore: Kojiro era in piedi, con la grossa lama gocciolante di sangue. In quanto Capo dei Ribelli non si separava mai dalla sua arma, nemmeno nei momenti di festa.

“Grazie – disse il Principe, accettando la mano che l'altro uomo gli offriva per alzarsi – Ti devo un favore.”

“Non è il momento. Non siamo ancora al sicuro.”

Con la sua solita rudezza il Hyuga liquidò la faccenda, facendogli segno di raggiungere la scala di corda più vicina.

Una volta in cima la ritirarono, per sicurezza: erano gli ultimi rimasti a terra, nessuno avrebbe dovuto salire dopo di loro. La radura era ormai alla mercé del branco. Alcuni animali si avventarono sul cavallo bianco di Jun, che, legato ad una radice, non aveva potuto fuggire, e si nutrirono con la sua carne.

“Vieni nella capanna centrale.” Kojiro distolse il Principe dallo spettacolo raccapricciante.

“Non credo di essere ben accetto.”

“Non mi importa di quello che pensano gli altri, i miei ordini non si discutono.”

I due uomini si incamminarono sui passaggi sospesi, fino a raggiungere la capanna più grande, quella dove solitamente si riunivano tutti i Ribelli nelle giornate di pioggia o quando dovevano essere prese decisioni importanti.

Kojiro venne accolto da Maki che lo informò che tutti stavano bene, erano solo un po' spaventati dall'improvviso attacco dei lupi.

“È strano che il branco si sia spinto nella radura in questa stagione.” Constatò la donna.

“A quanto pare la siccità sta cominciando a farsi sentire anche nella Foresta.” Hyuga scrollò le spalle e afferrò uno straccio per ripulire la sua lama, prima di riporla nel fodero.

Appena lo vide entrare, Yayoi abbandonò Ken e si gettò in lacrime tra le braccia del Principe:

“Oh, Jun! Ho avuto tanta paura!”

L'uomo la strinse forte a sé, accarezzandole la schiena e i capelli, cercando di calmarla.

“Shh, è tutto finito.”

“Non avresti dovuto farlo, avresti potuto morire.” Tremava talmente forte, che Jun la sentì fragile e delicata come i petali di un fiore di Sapporo.

“Tu hai salvato me, non avrei potuto lasciarti da sola.” Le rispose, tentando di non farle capire quanta paura avesse provato lui: quando l'aveva vista cadere, solo il suo addestramento gli aveva permesso di mantenere quel minimo di sangue freddo da potersi muovere e correre in suo soccorso. Non osava immaginare cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo. Per reazione la strinse ancora più forte.

Wakashimazu aveva osservato tutta la scena in un angolo, con gli occhi ridotti a fessure, mentre la gelosia gli ribolliva nello stomaco, come un veleno, e gli rendeva la bocca amara. Gli altri Ribelli scuotevano il capo contrariati e sussurravano il loro disappunto, stupendosi di come Kojiro non intervenisse per riportare il prigioniero al suo posto.

I singhiozzi della Strega lentamente stavano diminuendo: l'abbraccio del Principe la faceva sentire così protetta e al sicuro che avrebbe potuto passare tutta la vita contro il suo petto. Come avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quell'istante.

“Ascolta, - Jun le parlò con dolcezza – siamo tutti un po' sottosopra per lo spavento di stasera, non hai qualche tisana o qualche rimedio che ci potrebbe aiutare a calmare?”

Yayoi pensò per qualche istante:

“Dovrei avere qualcosa a casa mia che funziona anche sciolto nell'acqua fredda, non è il caso di accendere un fuoco qui sopra. - si asciugò le lacrime nelle maniche – Maki, mi accompagneresti?”

La Ribelle annuì e uscì con l'amica.

Appena fu sicuro che le due donne fossero fuori dalla portata della voce Ken esplose:

“Hai una bella faccia tosta! Hai visto in che condizioni è Yayoi, è distrutta, e tu la mandi a farti preparare la tisana? Dovrebbe prenderla lei, non tu.”

Per una volta Jun decise di non restarsene in silenzio e di ribattere:

“Proprio per questo le ho chiesto di farla per tutti. Tu dovresti conoscerla meglio degli altri e sapere quanto lei si preoccupi prima di voi che di sé stessa. Forse, avendola preparata per voi, riusciremo a farne bere un bicchiere anche a lei.”

Wakashimazu fece un mezzo passò all'indietro, punto sul vivo, ma non intenzionato a cedere.

“Certo, vuoi farmi credere...”

“Adesso basta! - sbraitò Kojiro – Per questa sera ne ho avuto abbastanza di casini. Se c'è qualcun'altro che intende fare polemiche è pregato di tornarsene alla sua capanna!”

Ken strinse i pugni furioso, non era mai stato zittito in quella maniera da Kojiro. Voltò le spalle e uscì dalla porta sul lato opposto rispetto a quella da cui era entrato Hyuga, seguito da altri Ribelli. Ma il più stupito di tutti era Jun: non solo prima Kojiro gli aveva salvato la vita con il lupo, ma ora aveva preso quasi apertamente le sue difese. Non sapeva più che pensare.

Yukari si alzò e si avvicinò a lui, con lo sguardo basso:

“Principe, forse è meglio se vi lasciate pulire quella ferita.”

Jun sollevò il braccio destro, ricordandosi solo in quell'istante di essere stato colpito e tornando a percepire il bruciore.

“Sono solo dei graffi, non ce n'è bisogno.”

“La prudenza non è mai troppa, potrebbe fare infezione. Io non sono brava come Yayoi, ma sono in grado di sciacquarvi e bendarvi.”

La donna afferrò una bacinella, in cui versò il contenuto di un otre, strappò un lembo della sua gonna per usarlo come pezza e lo immerse nell'acqua.

“Yukari, ma che stai facendo?” Strillò Ryo.

“Se non fosse stato per lui, a quest'ora probabilmente non avresti una moglie. È stato l'unico a ricordarsi che in questo stato non sono in grado di salire dalle scale.” Rispose in un tono che non ammetteva repliche, spostando nel frattempo i rimasugli della manica della casacca del Principe e iniziando a pulire il sangue raffermo.

La fasciatura fu pronta per il ritorno di Yayoi e Maki.

“Grazie.” Il Principe sussurrò a Yukari e questa si allontanò con un inchino, andando a sedersi vicino a Ryo, sfiorandosi il ventre voluminoso.

Le donne avevano portato una grossa caraffa in cui la tisana fredda era già pronta. La distribuirono a tutti con qualche bicchiere di legno. Il piano di Jun riuscì alla perfezione: l'ultimo bicchiere infatti toccò alla Strega, che, solo dopo averlo bevuto, smise completamente di tremare.

A poco a poco la capanna cominciò a svuotarsi: i Ribelli raggiungevano le loro abitazioni per dormire.

“Credo che passerò da Hanji a vedere come procede la guarigione della sua ferita.” Annunciò Yayoi, alzandosi e sfiorando una mano a Jun per salutarlo.

L'uomo sentì un brivido corrergli lungo la schiena e restò un attimo imbambolato a osservare il punto dove la donna l'aveva toccato.

“Principino! - Kojiro lo chiamò – Vieni con me.”

Jun annuì e, insieme a Maki, seguì l'uomo lungo i passaggi sospesi, verso una zona del villaggio in cui non era mai stato, dove risiedevano il Capo dei Ribelli e gli uomini a lui più vicini. Si domandava che potesse volere Kojiro da lui. Ormai era quasi rassegnato a considerare quella come la nottata delle sorprese.

Hyuga gli fece cenno di fermarsi davanti a una capanna che aveva l'aria di essere una delle più vecchie del Toho.

“Buona notte.”

“A te.” Maki salutò il compagno con un rapido bacio sulla guancia e sparì su un altro ponte, lasciando Jun, ancora più perplesso, a osservare la scena con gli occhi leggermente spalancati.

Kojiro se ne accorse:

“Che hai?”

Il Principe scosse la testa, leggermente imbarazzato: non era molto educato impicciarsi della vita privata dei suoi carcerieri.

“Niente. Solo... pensavo che lei vivesse con te.” Rivelò alla fine.

“Maki è la mia donna, ma non siamo sposati e io non sono uomo da disonorarla.” Ribatté secco, convinto della sua posizione: solo dopo essere stati benedetti da un Sacerdote avrebbe passato la notte con Akamine.

Jun commentò con un mezzo sorriso:

“Per essere un fuorilegge, hai un codice etico che perfino molti nobili della Cittadella hanno dimenticato.” Lui stesso aveva avuto un paio di esperienze e avventure, se così si potevano definire.

“Non mi sono ribellato alle leggi del regno, bensì a chi usa il potere che la legge gli conferisce per fare del male agli innocenti!”

“Lo so. - alzò le mani in segno di resa – Ho imparato a conoscervi in questi mesi. A volte non riesco a perdonarmi per quello che è successo, è anche colpa mia.” Concluse quasi in un sussurro, come se stesse parlando per sé.

Hyuga lo scrutò per qualche istante, come se stesse vedendo la conferma di aver preso la giusta decisione, poi entrò nell'abitazione, senza dire una parola. Ne uscì dopo qualche minuto, reggendo una spada lunga e sottile, avvolta in un vecchio straccio da cui spuntava solo l'impugnatura riccamente decorata. Il Principe non ebbe bisogno che venisse estratta per riconoscerla: era stata la sua inseparabile compagna in molti duelli, un dono di suo padre quando aveva vinto il suo primo torneo. Un groppo di nostalgia gli salì in gola.

Fu Kojiro a parlare:

“Questa sera hai dimostrato di essere anche tu un uomo d'onore: hai rischiato la tua vita per quella di Yayoi.”

“Ho fatto quello che avrebbero fatto in molti al mio posto.”

“Non credo. Quanti prigionieri conosci che, nell'accorgersi di un pericolo, invece di sfruttarlo a loro vantaggio avrebbero avvisato i loro custodi? Per di più hai subito pensato a Yukari, che tra di noi era la più debole. Se fossi fuggito stanotte, nessuno se ne sarebbe accorto per molto tempo.”

“Se lo dici tu.” Jun abbassò il capo, non si riteneva degno di tanti complimenti, non dopo che per più di un anno non si era reso conto dei malefici piani di Kanda e Lady Sugimoto.

Kojiro non si diede per vinto:

“Prima hai detto che hai imparato a conoscerci, allo stesso modo io ora ti vedo in maniera diversa da come ti vedevo quando sei arrivato. Per questo ti restituisco la tua spada e la tua libertà, perché dopo quello che hai fatto oggi, ho deciso di potermi fidare di te: un uomo che rischia la sua vita per una donna è degno di fiducia e non può essere malvagio.”

Il Principe rimase bloccato, incerto sul da farsi e incapace di stendere le mani per afferrare l'arma che il Ribelle gli porgeva. Prese due profondi respiri.

“Non hai paura che possa sgozzarvi nel sonno?”

“Non lo farai, so riconoscere il valore di un uomo. - Si avvicinò di un passo, continuando a porgergli la spada – Il fodero non c'è, è andato distrutto durante il nostro primo scontro.”

Finalmente Jun la riprese e la strinse saldamente: quell'accessorio prezioso faceva uno strano contrasto con la casacca semplice che portava, rimediata tra gli scarti dei Ribelli.

“Grazie.”

Si avviò lungo il passaggio, per tornare alla sua capanna, convinto che la conversazione fosse giunta al termine.

“Ora che sei libero, te ne andrai?”

Jun si fermò e si voltò verso il Ribelle:

“Se sapessi dove poter andare: volente o nolente per ora il Toho è l'unico posto che posso chiamare casa, o quanto meno dove ho un tetto sopra la testa.”

Si appoggiò con gli avambracci alle corde del ponte, mentre una leggera brezza gli scompigliava i capelli e un ululato risuonava poco distante: a quanto pareva i lupi stavano lasciando la radura.

Hyuga lo raggiunse e lo affiancò, scrutando tra le fronde degli alberi.

“Se vuoi restare, non ti caccerò, ma dovrai renderti utile.”

“Kojiro, sei davvero intenzionato a combattere Kanda fino a riportare la giustizia nel Principato?”

“Mi sembra ovvio! – il Ribelle rispose col suo consueto tono aspro, il tempo delle cortesie era finito – Credi che abbiamo deciso di vivere nella foresta per passatempo?”

Il Principe alzò lo sguardo verso il cielo stellato, cercando le parole giuste per avanzare la sua richiesta: era azzardata, ma più aspettava più i danni provocati dal Sovrintendente sarebbero stati gravi e irreparabili e le persone che avrebbero sofferto sarebbero state innumerevoli.

“Concedimi di addestrare i tuoi uomini.”

“Cosa?” Kojiro si girò di scatto.

“Vi ho osservati, ancora ai tempi del nostro duello, prima che mi catturassi. - Jun fece una smorfia, come ogni volta che ricordava quell'episodio – Tu e Ken tutto sommato sapete combattere bene, ve la cavate, e credo anche Maki, ma gli altri fanno quello che possono con bastoni e pietre. Se volete essere in grado di fronteggiare la Guardia Reale dovete essere più che preparati: i soldati compiono anni di addestramento.”

“Stai cercando di dire che vuoi usare i miei uomini per riprendere il tuo regno?” Hyuga calcò volontariamente sugli aggettivi possessivi, a stabilire le gerarchie, mentre Jun sospirava.

“Non nego di averci pensato: Kanda sta infiltrando suoi seguaci tra le file della Guardia e nei posti di prestigio, quindi da solo non posso fare nulla. So anche che se in questo momento tu decidessi di sfidare apertamente il Sovrintendente subiresti una brutta sconfitta perché i tuoi uomini non sono pronti. Mettiamola così: se insegno a combattere ai Ribelli, sarete quanto meno in grado di difendervi dalle imboscate come quella di settimana scorsa. Se e quando lo riterrai opportuno si potrà parlare di passare al contrattacco.”

“In questi termini sembra ragionevole.”

“Lo è.”

Trascorsero lunghi istanti di silenzio, in cui Kojiro rifletteva sulla proposta: avere uomini ben addestrati lo allettava, tuttavia lasciare il comando ad un'altra persona, per giunta una che fino a poche ore prima era un prigioniero, non lo soddisfaceva. Tuttavia si rendeva conto che i loro obiettivi erano gli stessi: riportare la pace, la giustizia e la prosperità a Yomiuri Land e quindi un'alleanza era la soluzione più logica.

Da parte sua il Principe attendeva con impazienza la risposta del Ribelle, si rendeva conto che da essa poteva dipendere il destino dell'intero regno. Era in gioco l'unica possibilità di sconfiggere Kanda.

“Senti un po'! - esordì Hyuga – Sei sicuro di essere in grado di insegnare agli uomini?”

“Per chi mi hai preso? Per disposizione di colui che fu il primo Principe di Yomiuri Land, tutti i componenti maschili della famiglia reale devono essere addestrati al combattimento da un maestro. Io non ho fatto eccezione e mi sono distinto in più di un torneo.” Gonfiò il petto in un moto d'orgoglio.

“Hai sconfitto gli avversari con la tua parlantina? Perché sei bravo in questo.”

“Come...” Improvvisamente Jun si rese conto che l'uomo davanti a lui si stava divertendo a provocarlo e significava che aveva preso la sua decisione. Infatti...

“Addestrerai i Ribelli al combattimento e in qualsiasi altra cosa possa essere utile, come la strategia, ma non ti montare la testa, il Capo resto sempre io, se non mi dovesse andare bene quello che fai ti toglierò di nuovo la spada.”

“D'accordo!”

Jun tese la mano e Kojiro la strinse con forza: il primo passo verso la salvezza del regno e dei suoi abitanti era stato compiuto. In quella notte di inizio estate, contro ogni previsione, il Principe e il Ribelle avevano formato un'alleanza.

“Per il futuro di Yomiuri Land!” Promisero all'unisono, le stelle a testimoni.




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Ecco che nel rapporto tra il Principe e i Ribelli comincia a cambiare qualcosa, complice un attacco di lupi. Tra parentesi tra i lupi cattivi de La bella e la bestia e quelli de L'isola della piccola Flo sono stata traumatizzata da questi animali, anche se in realtà non sono così aggressivi. :'(
Ma, tutti i Ribelli accetteranno davvero senza fiatare  la decisione del loro leader?

PS: ATTENZIONE, per chi aveva iniziato a seguire questa storia nella sua pubblicazione incompiuta su un altro sito: nel prossimo capitolo ci saranno SOSTANZIALI modifiche, che ho ritenuto necessarie per svariati motivi, rispetto a quanto pubblicato qulache anno fa. Quindi il prossimo capitolo sarà per metà tutto nuovo.

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Capitolo 10
*** Stanza X ***


Al mattino, quando i Ribelli scesero dagli alberi, poco dopo l'alba, poterono rendersi conto della devastazione causata dal passaggio dei lupi: pentole e vettovaglie erano sparse per la radura, ogni traccia del cibo abbandonato a terra nella fretta era sparita e i cadaveri del cavallo e di alcuni lupi giacevano abbandonati e sventrati.

“Voi! - sbraitò Kojiro ad un gruppo di uomini – Occupatevi di quelle carcasse, vedete di sbarazzarvene prima che attirino altre bestie.”

Le donne, invece, avevano cominciato a raccogliere gli utensili.

“Accidenti! Queste le avevamo appena lavate, ci toccherà tornare al fiume oggi.” Disse una, sistemando in un cesto delle tele bianche ricoperte di impronte.

Yayoi stava trasportando un paio di secchi vuoti, quando sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla. Sussultò leggermente.

“Come stai?” La voce amichevole di Jun la raggiunse, facendola voltare.

“Meglio, anche se... dovrei essere io a chiederlo a te. Hai preso la pozione?”

“Io sto bene, non devi più preoccuparti per me. - il Principe sorrise, ma si accorse che la Strega era reticente – Qualcosa non va?”

La donna sospirò.

“Mi sento, come dire, sconfitta. Avrei dovuto essere in grado di difendermi da sola, avrei dovuto essere più forte.”

“Cosa avresti potuto fare da sola contro un lupo?”

Yayoi scosse la testa, sapeva che se avesse mantenuto la calma sarebbe riuscita a usare i suoi poteri di Strega Bianca. Purtroppo per certi incantesimi aveva sempre avuto bisogno di molta concentrazione, a differenza di altre Streghe, in grado di evocare magie difensive quasi istintivamente, una volta che le avessero apprese. In più c'era il fatto che sua madre era tuttora considerata una delle Streghe Bianche più potenti degli ultimi anni.

“Credo che andrò al fiume, a riflettere. Da sola.”

A quella precisazione il Principe sentì una vampata di calore salirgli sul volto al ricordo di ciò che era avvenuto l'ultima volta al fiume.

Per tutta la mattinata ci fu un via vai di gente indaffarata: chi cercava di sistemare la radura e riportarla al suo aspetto originario, chi uscì a procurarsi nuovi viveri, nonostante la maggior parte delle provviste fosse ancora al sicuro nel magazzino su un albero. Ken fu inviato sulle tracce del branco, per capire se si fosse allontanato a sufficienza.

Dopo il pranzo frugale Kojiro convocò tutti gli uomini dei Ribelli nel prato, mentre la maggior parte delle donne era al fiume, poiché aveva un importante annuncio da fare. I compagni erano molto sorpresi, pensavano che avrebbero dovuto raggiungere un villaggio piuttosto lontano quel pomeriggio, il cambio di programma giungeva inaspettato: forse Hyuga voleva aumentare le misure di sicurezza nei confronti degli animali selvatici dopo quanto accaduto la sera precedente.

Il Capo dei Ribelli si alzò e subito il chiacchiericcio si mutò in silenzio.

“Questa notte ho preso un'importante decisione: dobbiamo migliorare le nostre abilità di combattimento. Quando ci siamo trovati a dover affrontare la Guardia Reale, siamo stati in netta difficoltà. Temo che sempre più spesso avremo a che fare con i soldati, perciò dobbiamo essere pronti.”

“Hai ragione, ma chi ci aiuterà in questo?” Chiese Takeshi, ancora colpito dalla perdita dell'amico Shimada.

Kojiro sorrise quasi beffardamente:

“Qualcuno che non immaginereste mai.” Con la mano fece cenno al Principe di avvicinarsi.

Questo apparve, con la spada fissata in vita, cosa che non sfuggì a Wakashimazu, e lo sguardo fermo e deciso:

“Io vi insegnerò a combattere, in modo da potervi, in un primo tempo, difendere dalla Guardia e successivamente poter sfidare apertamente Kanda.”

Molti Ribelli si guardarono attorno spaesati, scambiandosi occhiate perplesse, non potendo credere alle loro orecchie e ai loro occhi.

“È uno scherzo?” Esclamò Ken, balzando in piedi di scatto.

“Assolutamente no. - rispose Kojiro, incrociando le braccia la petto – Tutti voi ascolterete i suggerimenti del Principe: ha avuto un addestramento simile a quello dei soldati e quindi può insegnarvi cose utili. È un ordine.” Aggiunse in tono che non ammetteva repliche.

Tuttavia ci fu qualcuno che osò rivolgere un'obiezione:

“Il Principe è un nostro nemico, perché dovremmo ascoltarlo?”

“Il vero nemico, nostro e di tutto il Regno di Yomiuri Land, è Koshi Kanda: è lui che dobbiamo combattere.” Kojiro cominciava a spazientirsi, quando intervenne Jun, calmo e pacato, come se fosse ad un'udienza popolare alla Fortezza Musashi e un contadino avesse chiesto aiuto per risolvere un problema:

“So che per voi è difficile fidarvi di me e so anche di avere delle colpe in ciò che tutti voi avete sofferto: era mio compito vigilare anche sull'operato del Sovrintendente. Per questo vi chiedo scusa, ma allo stesso tempo vi chiedo di combattere insieme per un obiettivo comune: riportare la giustizia nel Regno.”

La dichiarazione d'intenti del Principe scatenò nuovamente il brusìo tra i Ribelli che si divisero in fazioni: chi era assolutamente contrario alla decisione del Capo e chi tentennava, pur non essendo particolarmente entusiasta.

“Io ci sto! - La voce di Ryo Ishizaki si levò da uno dei posti più in fondo al gruppo – Quest'uomo ha salvato mia moglie la scorsa notte, dimostrargli un minimo di fiducia mi sembra la prima cosa per ringraziarlo di ciò che ha fatto.”

Spinti dall'esempio di Ishizaki, anche gli altri fuorilegge accettarono di venire addestrati da Jun, sotto lo sguardo incredulo di Maki: chi l'avrebbe detto che sarebbe stato quello sconsiderato di Ryo a far ragionare i compagni. Dal canto suo la donna non aveva dubbi, avrebbe certamente accettato l'aiuto del Principe anche se fosse stata l'unica, da una parte perché si fidava del giudizio di Kojiro, dall'altra perché aveva avuto modo di conoscere meglio Jun in quei mesi di prigionia.

Solo Wakashimazu restava fermo sulla sua posizione: non era assolutamente intenzionato ad accettare la situazione, si sentiva tradito da Kojiro, forse il suo migliore amico.

“Io non prenderò lezioni da te, Principe dei miei stivali!” Esordì aggressivo.

Hyuga voleva intervenire per riportare all'ordine il suo sottoposto, ma un gesto di Jun lo bloccò:

“Se risolvessimo la questione da uomini?”

“Un duello?”

Il Principe annuì, sicuro.

“Vinco io, accetterai che insegni ai tuoi compagni a combattere, vinci tu e io resterò buono nella mia capanna tutto il tempo.”

La posta in gioco era alta, ma Jun sapeva che se voleva guadagnare quantomeno il rispetto del Ribelle, doveva rischiare. Sotto sotto sapeva anche che l'addestramento non era l'unica cosa per cui si sarebbero sfidati.

“Takeshi, porta due bastoni.” Ordinò Kojiro, incrociando le braccia non del tutto convinto.

“Aspetta! - ribatté Ken – Abbiamo entrambi un'arma vera, io non ho paura di usarla. Tu?”

“Come preferisci. Facciamo al primo sangue?”

“Al primo sangue sia.”

I duellanti sfoderarono le spade e si misero in posizione, con Maki che fungeva da arbitro: in un duello al primo sangue il primo che fosse rimasto ferito, che avesse perso sangue, anche in maniera lieve, era dichiarato sconfitto.

La donna diede il segnale e le lame si incrociarono. I primi colpi furono per entrambi di studio: non eccessivamente veloci o violenti, mirati ad individuare i punti deboli dell'avversario, dove questo tendesse a scoprirsi più facilmente, dopotutto bastava un solo affondo ben piazzato per vincere.

Si muovevano in circolo, leggeri sull'erba e guardinghi.

Fu Ken a prendere l'iniziativa ed aprire seriamente le ostilità, puntando alla gamba sinistra del Principe, ma questo intuì la mossa e parò la lama senza troppi problemi, indietreggiando di un passo. Fu la sua volta di proporre l'attacco, cercò di raggiungere la spalla con la punta della spada, ma fu lui a venire respinto.

I colpi si fecero più frequenti, i due contendenti si spostavano attraverso la radura, incuranti di radici, utensili e quant'altro ci fosse sul terreno, riuscivano sempre ad evitarli in maniera elegante.

Kojiro stesso rimase colpito dallo spettacolo, mentre Takeshi ne era addirittura affascinato.

“Non male per un Principino viziato!” esclamò Ken.

“Non male per un fuorilegge!” Replicò Jun, approfittando dello scambio di battute per riprendere fiato. Si rendeva conto di essere fuori allenamento: doveva trovare il modo di chiudere il duello in fretta o sarebbe stato quasi certamente sconfitto, fisicamente Wakashimazu era molto più in forma di lui.

Il Ribelle sembrò leggergli nel pensiero e aumentò ulteriormente la frequenza dei suoi fendenti, colpendo quasi rabbiosamente. Era così convinto di aver messo alle strette il Principe, che cominciò a prestare meno attenzione a coprirsi nei punti di vulnerabilità, preso dalla foga degli attacchi.

E Jun ne approfittò: finse di sbilanciarsi per far scoprire ulteriormente l'avversario e poi affondò la spada, arrivando a segno esattamente dove aveva stabilito.

Ken cadde a terra e un rivolo di sangue zampillò dal suo braccio sinistro, decretando la vittoria del Principe.

Per un istante tutto si fece immobile, il tempo sembrò fermarsi, mentre i Ribelli trattenevano il fiato, aspettando la reazione del loro compagno. Jun si avvicinò lentamente, riponemdo la spada nel fodero improvvisato che era riuscito a rimediare quella mattina, e tese la mano all'avversario, per aiutarlo a rialzarsi. Il Ribelle la allontanò con un gesto secco, rimettendosi in piedi e voltando le spalle a tutti fece per allontanarsi: il suo orgoglio ferito bruciava come una fiamma nel petto.

“Aspetta!” Il Principe lo chiamò.

“Che vuoi, principino, gongolare della tua vittoria?”

Jun scosse la testa, guardandolo fisso, ma senza nessun segno di derisione o ostilità:

“Wakashimazu, giusto? Sei il figlio di Katsumoto, il vecchio Maestro d'Armi di mio padre?”

Ken restò muto per un istante, non si aspettava che il Principe nominasse il genitore: la sua famiglia aveva lasciato l'impiego alla Fortezza e la Cittadella molto tempo prima, quando lui era ancora un bambino.

“E con ciò?” Chiese girandosi verso l'interlocutore.

“Le tue conoscenze del combattimento potrebbero essere utili ai tuoi compagni. Sei bravo, anzi, credo che come arciere tu sia migliore di me. Addestrali anche tu, addestriamoli insieme e i Ribelli saranno veramente in grado di fronteggiare la Guardia Reale!”

Wakashimazu scrutò attentamente il Principe, spostando il peso da un piede all'altro, non sapendo che fare: si sentiva sconfitto totalmente e non solo sul piano tecnico, tuttavia nonostante questo decise di credere a Jun. Si avvicinò tendendogli la mano.

“Ci sto!”

“Bene! Kojiro, tu hai qualcosa da dire?” Il Principe si rivolse al Capo dei Ribelli, dato che nel loro accordo era incluso che la decisione finale spettasse sempre a lui.

“A me sta bene. - Rispose l'uomo – A patto che Ken non abbandoni il suo ruolo di spia nella Cittadella, nessuno sa intrufolarsi come lui dentro e fuori da quel posto senza essere scoperto. E ora tutti al lavoro! Abbiamo perso fin troppo tempo!”

 

 

 

 

Yayoi sentiva il vociare delle altre donne impegnate a fare il bucato provenire da poco più a valle. In mattinata le cose da sistemare al villaggio erano state parecchie e solo in quel momento era riuscita a trovare degli attimi per sé stessa, per cercare di capire meglio cosa non avesse funzionato la notte appena passata. Era al fiume perché lo scorrere dell'acqua l'aiutava a rilassarsi e meditare, ma non voleva la compagnia delle altre, aveva bisogno di stare sola.

Seduta sulla riva, immerse la punta dei piedi nell'acqua e cominciò a pensare a quando da bambina, a 9 anni, aveva mostrato per la prima volta le sue capacità magiche. Sua madre aveva subito capito che il suo destino sarebbe stato quello di ripercorrere le sue tracce come Strega Bianca ed aveva cominciato a fornirle i primi rudimentali insegnamenti.

Ma le cose non erano andate esattamente nella maniera più corretta: Akiko Aoba era una Strega Bianca molto potente eppure la bambina sembrava aver ereditato solo una piccola parte del potere della madre. La cosa non aveva turbato Akiko, poiché l'inizio del vero addestramento come Strega sarebbe avvenuto solo qualche anno più tardi e ogni Strega aveva tempi di maturazione diversi della propria energia.

Yayoi sospirò e i suoi ricordi si spostarono nel tempo, a quando aveva quattordici anni e con i suoi genitori aveva finalmente intrapreso il viaggio verso l'isola segreta di Shikoku, dove sarebbe stata immersa nella Fonte ed avrebbe ottenuto il suo tatuaggio, segno della sua iniziazione vera e propria all'utilizzo della magia. Tutte le Streghe Bianche dovevano bagnarsi in quelle acque per venire riconosciute come tali dal gruppo. Suo padre le aveva accompagnate fino all'imbarcazione, poi le aveva dovute lasciare: l'accesso all'isola era consentito solo a coloro che avevano magia nel sangue o agli Scrutatori, coloro che potevano percepire la magia racchiusa negli altri esseri umani.

Sull'isola risiedevano le Streghe anziane, coloro che avevano esaurito la loro missione nel mondo e preferivano trascorrere gli ultimi anni di vecchiaia nella quiete e nella speranza di vedere crescere nuove giovani Streghe. Una volta anche il loro gruppo era più numeroso e sull'isola esisteva una vera e propria scuola per educare le giovani, ma con la drastica diminuzione del numero delle Streghe Bianche ormai il sapere veniva trasmesso direttamente da madre a figlia e molti dei Grigi purtroppo restavano senza istruzione, poiché non riuscivano più ad essere individuati.

Al loro arrivo lei e la madre erano state accolte con grandissimo entusiasmo, poiché era molto tempo che sull'isola non giungeva una giovane da iniziare, per di più trattandosi della figlia di Akiko sarebbe sicuramente diventata una delle Streghe in grado di cambiare più di un destino, c'era grandissima aspettativa su di lei, da parte di tutte. Fu organizzata una cerimonia di tutto rispetto: alla giovane fu fatto indossare solo un corto abito di seta bianca finissima e le furono decorati i capelli con numerosi fiori, dopo di che fu scortata fino alla Fonte da un corteo di torce. La cascata d'acqua aveva un aspetto così imponente anche al buio ed il gorgogliare delle acque era così forte che Yayoi aveva sentito il cuore fermarsi per un istante, ad aggiungersi al pesante macigno che le chiudeva lo stomaco per la paura di deludere tutti. Invitata dalle anziane era entrata nell'acqua, dirigendosi con passo titubante verso la Fonte ed era accaduto l'inimmaginabile: la Fonte l'aveva respinta, le aveva negato l'accesso alle sue profondità, non ritenendo la sua magia abbastanza potente o pura.

Yayoi non aveva mai visto negli occhi di sua madre tanta tristezza come in quel momento ed il ricordo le fece salire le lacrime agli occhi e le fece pensare che forse la Fonte aveva avuto ragione quella notte, del resto anche la notte precedente, durante l'attacco dei lupi, aveva fallito nell'usare la sua magia.

I ricordi però non si fermarono a quel punto, ma la condussero ai pochi giorni successivi all'accaduto mentre si trovava ancora a Shikoku. Sua madre le rivolgeva a stento la parola, mentre aveva sentito le anziane che bisbigliavano alle sue spalle. Solo una di esse si era dimostrata solidale con lei, cercando di consolarla. Una notte in cui non riusciva a dormire aveva sentito una voce chiamarla ed invitarla ad uscire. Inizialmente spaventata, si era alzata ed aveva seguito il richiamo quasi meccanicamente, acquistando sicurezza ad ogni passo. Quale fu il suo stupore quando si accorse che era arrivata alla cascata e che era la Fonte stessa a chiamarla. Carica di nuova determinazione aveva deciso di arrivare fino in fondo ed in più nessuno era presente ad assistere ad un suo ulteriore fallimento. Aveva proseguito e la Fonte l'aveva accettata, permettendole di bagnarsi in essa, avvolgendola tutta d'acqua, di luce e di calore: la sua prova era iniziata.

Non ricordava molto di quello che era accaduto in seguito, solo che le anziane l'avevano trovata la mattina successiva svenuta e febbricitante sul bordo della Fonte. Solo quando l'avevano spogliata per metterle degli abiti asciutti avevano visto che aveva ricevuto il tatuaggio della mezza luna sulla schiena, segno che era stata considerata una Strega Bianca a tutti gli effetti.

Anche se alla fine era riuscita nel suo intento e a mantenere le aspettative di tutti, Yayoi aveva sentito che quell'episodio aveva creato una frattura nel rapporto tra lei e sua madre.

Con un gesto secco Yayoi si asciugò le lacrime, dandosi della stupida per avere ancora quel genere di reazioni dopo dieci anni. Eppure sapeva che ciò che era successo alla Fonte era solo uno dei momenti in cui non si era rivelata all'altezza, in cui la magia non era stata sufficiente in lei. Le sue conoscenze mediche erano complete, tanto che in quel campo non avrebbe avuto problemi a zittire anche un Priore, ed era diventata un'abile pozionista, i composti che realizzava accompagnati dai suoi incantesimi avevano sempre ottenuto il risultato sperato, ma al suo livello di esperienza avrebbe anche dovuto essere già in grado di curare determinate ferite emanando la magia direttamente dalle mani, senza bisogno di troppi intrugli, mentre con gli incantesimi difensivi aveva ancora problemi nelle forti situazioni di stress.

“Yayoi!”

Sollevò di scattò la testa a quel richiamo, pensando che fosse una delle donne che si era spostata più a monte, ma non vide nessuno.

“Yayoi!”

Voltò la testa a destra e sinistra e ancora nessuno, sembrava il fiume a chiamarla. Pensò di essere suggestionata dal ricordo della Fonte, quelle acque erano magiche, ma davanti a lei ora c'era un semplice corso d'acqua.

“Yayoi!”

Al terzo richiamo la donna non poté più avere dubbi: la voce veniva dal fiume. Come dieci anni prima, nonostante la paura seppe istintivamente cosa fare. Si sollevò in piedi e tolse il vestito, restando solo con la sottoveste bianca, come era accaduto qualche tempo prima con Jun. Il pensiero del Principe stranamente le diede ulteriore determinazione. Entrò nell'acqua ed avanzò fino al centro del letto del fiume.

“Yayoi, ti sto aspettando.”

La voce si fece quasi impaziente e la donna si immerse completamente, sentendo il tocco della corrente e la sua freschezza raggiungere ogni fibra del suo corpo, era come una piacevole carezza.

“Finalmente sei qui, tesoro.”

La voce parlò nuovamente e Yayoi spalancò gli occhi, venendo però quasi accecata dalla luce in cui si stagliava una figura maestosa, le cui ampie vesti candide fluttuavano leggere e quasi impalpabili. Era impossibile per lei non riconoscerla.

“Madre? Sei proprio tu?”

“Sono io piccola.” Rispose Akiko Aoba annuendo, poi guardò la figlia e una profonda tristezza apparve nei suoi occhi.

Per un istante Yayoi avrebbe voluto andarsene, uscire da quella visione in cui era entrata involontariamente, sentendo ancora una volta che sua madre non riusciva a guardarla senza provare la delusione per quella notte neppure in quel luogo fuori dal tempo. Furono le parole di Akiko, le ultime che avrebbe pensato potessero uscire dalle sue labbra, a trattenerla.

“Perdonami, piccola, perdonami per quello che è accaduto alla Fonte.”

Yayoi sgranò gli occhi, confusa:

“Madre, sono io che ho fallito, sono io che dovrei essere perdonata.”

“No! - Replicò ferma Akiko – Sono stata io ad impedire che la Fonte ti accettasse la prima volta. Io e tutte le altre. Ti abbiamo caricata di una responsabilità tale che ha schiacciato il tuo vero essere, ha schiacciato la tua magia. La Fonte ha sentito tutto ciò e non ha voluto accoglierti per questo motivo.”

“Non riesco a comprendere.”

“Tesoro, la Fonte ha voluto che foste solo tu e la tua magia a entrare nelle sue acque, senza interferenze esterne, per questo ti ha chiamato a lei quando nessun altro sarebbe stato presente.”

Yayoi scosse la testa, sentendo le lacrime salirle agli occhi.

“Ma tutte avete sempre detto che era impossibile che la Fonte mi avesse chiamato, non dopo avermi respinta. E le anziane hanno sempre sostenuto che il fatto che mi abbiate trovate svenuta e che non ricordi nulla di ciò che è accaduto durante la prova significa che non avrei dovuto farlo. E credo che abbiano ragione.”

Lo sguardo di Akiko si indurì:

“Non pensarlo nemmeno per un istante: essere una Strega Bianca è il tuo destino. Le anziane non hanno capito nulla di ciò che è accaduto in quei giorni, e hanno dato la spiegazione per loro più razionale. Io stessa ho impiegato molto tempo a capire il mio errore, il mio orgoglio mi ha impedito di analizzare lucidamente i fatti e ti chiedo di perdonarmi per questo. Se avessi compreso prima non avrei permesso che ti portassi dietro per tutti questi anni l'insicurezza che hai dentro. Ti chiedo un'altra volta perdono.”

Ora dagli occhi di Akiko le lacrime sgorgavano abbondanti e Yayoi si accorse di avere anch'essa le guance rigate. Di slancio si avvicinò alla madre e si rifugiò nel suo abbraccio.

“Mamma! Mi sei mancata.”

“Lo so tesoro, lo so.”

Restarono a lungo abbracciate. Per Yayoi il momento era quasi perfetto, aveva finalmente la certezza che sua madre le volesse bene come sempre ed il suo abbraccio era caldo e rassicurante.

“Mamma, vorrei poter essere una Strega forte come te.”

La donna la allontanò un poco da sé, dolcemente, per poterla guardare negli occhi:

“No Yayoi, tu non puoi essere come me o come chiunque altro. Tu sei e sarai completamente padrona della tua magia solo quando sarai te stessa, solo quando ti libererai della paura del giudizio degli altri su di essa. Sei ancora troppo legata a questo.”

Yayoi tentò debolmente di replicare:

“Ma mamma, ieri sera non ho potuto evocare un incantesimo di protezione.”

“Ieri sera è passato, lasciatelo alle spalle e concentrati su di te. Non pensare, affidati agli insegnamenti della Dea, affidati all'amore. Solo l'amore può farti riuscire.”

“Io... ci proverò.”

“E ricorda anche un'altra cosa fondamentale: tu sei più forte di quanto immagini.”

Akiko si staccò definitivamente dalla figlia, cominciando lentamente a retrocedere. La sua figura si faceva sempre meno definita, sempre più evanescente.

“Mamma! Non andartene! Resta ancora!”

“Ricorda!” Fu un sussurro appena percepibile.

“Mamma!”

Yayoi lo gridò in un ultimo disperato tentativo di trattenerla, allungando anche le braccia in avanti, ma si trovò a riemergere dal fiume, quasi a corto di fiato.

Si guardò intorno, dubitando di aver avuto solo un'allucinazione.

Il chiacchiericcio delle donne del villaggio era scomparso, segno che dovevano essersi avviate per rientrare. Il sole era decisamente calato rispetto al momento in cui era entrata in acqua. Portandosi una mano alla fronte improvvisamente la Strega realizzò di essere restata sott'acqua per delle ore, senza poter respirare ed era sopravvissuta: non era un tipo di magia che tutte le Streghe erano in grado di effettuare,era molto rara, e lei l'aveva fatta senza rendersene conto. In lei lentamente si fece strada la consapevolezza che la sua magia era realmente più potente di quanto avesse immaginato fino a quel momento.

Un brivido di freddo la scosse. Si alzò e si diresse a recuperare i suoi vestiti, forte e determinata come non lo era mai stata finora.


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Allora, inizialmente tutta la seconda parte su Yayoi non era prevista, c'era una parte che ho ritenuto meglio incorporare al capitolo successivo per conferire maggiore unità a ciò che accadrà di là. Inoltre credo  che questo squarcio sulla psicologia di Yayoi ci aiuti a capire perché durante l'attacco dei lupi non sia riuscita a difendersi, mentre alle sue prime apparizioni sembrava molto più forte e decisa. E' uno step che credo sia stato utile mostrae nel percorso di evoluzione del personaggio.
Inoltre a me personalmente ha permesso di approfondire lo "studio" della mitologia di questo mondo. *__*

Qui, come si è già avuto modo di capire abbiamo avuto la conferma che le Streghe Bianche principalmente si trasmettono  i loro poteri da madre a figlia. Me esistono altri modi per ottenerei poteri: uno molto raro è quello di ricevere una grazia direttamente dalla Dea Machiko in un momento di particolare necessità. Oppure ci sono i Grigi che sono tutte coloro che nascono possedendo della magia di cui non sono a conoscenza e che non ha ancorauna "direzione": sarà il tipo di istruzione ricevuta e l'inclinazione personale a portare lamagia a definirsi come Bianca o Nera. Senza istruizioni i Grigi possono anche restare ignoranti per tutta la vita sulle loro potenziali capicità magiche.
Qui entrano in gioco gli Scrutatori, coloro che possono vedere le aure prodotte dalla magia posseduta, quindi vedere alono bianchi, neri, o grigi. E sì, Ken è uno Scrutatore, non avevo dimenticato il suo potere! ;) Gli scrutatori nascono neutrali, sono le loro scelte personali a decidere se farli alleare con le Streghe Bianche o Nere e quindi quale delle due fazioni aiutare a reperire i Grigi.
In questo mondo la magia funziona a "fasi": ci sono periodi in cui sono presenti moltissime persone in gardo di padroneggiarla ed altri in cui ce ne sono poche. La nostra storia si colloca in questo secondo caso, ma non è detto che in futuro le Streghe aumentino nuovamentei loro ranghi.

Spero di non avervi annoiato con la pappardella! ;)

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Capitolo 11
*** Stanza XI ***


Mastro Takasugi impugnava saldamente le redini della coppia di cavalli che trascinava il carro con le nuove armi per la Guardia Reale, fischiettando allegramente un motivetto goliardico. Il viaggio fino a Naniwa era stato lungo e stancante per via del caldo, ma l'accoglienza e, soprattutto, la cucina della moglie del suo vecchio amico Taichi, artigiano del legno, erano stati la giusta ricompensa. Davanti ad un bell'arrosto ed un boccale traboccante di birra del sud, i chilometri percorsi erano diventati irrilevanti. Purtroppo però, quello era un viaggio ufficiale e non una vacanza: due giorni dopo era dovuto ripartire per riportare alla Cittadella il prezioso carico di spade e scudi di nuova concezione.

L'Armaiolo interruppe il suo svago quando sentì il rumore di cavalli sulla strada, facendosi attento: da quando si era svegliato per coprire l'ultima tappa del suo viaggio, aveva la strana sensazione che sarebbe successo qualcosa. Tese le orecchie: il suono degli zoccoli era ritmico e veloce, le cavalcature procedevano al galoppo e si avvicinavano, come se gli venissero incontro. Shingo fermò il carro e fece scivolare una mano sull'elsa della sua spada, riposta accanto a sé e pronta per ogni evenienza. Si trovava in una posizione svantaggiosa, era nel mezzo della salita sulla collina e non poteva vedere l'altro versante e chi percorreva il sentiero. Per giunta era contro sole.

Ogni muscolo dell'uomo era teso a fronteggiare l'eventuale nemico che sarebbe sbucato dalla sommità della collina. Due sagome apparvero e si fermarono a loro volta.

Takasugi strinse le dita attorno all'arma, pronto a levarla.

"Shingo! Finalmente ti abbiamo trovato!"

"Temevamo ti fossi fermato a Naniwa a rimpinzarti con Nakanishi!"

Nel riconoscere le voci l'Armaiolo tirò un sospiro di sollievo, sciogliendo le spalle.

"Taki! Kisugi! Dannati voi, mi avete fatto prendere un colpo!"

I due compagni lo raggiunsero e lo affiancarono, ridacchiando.

"Visto che Wakabayashi aveva ragione a mandarci incontro al carico di armi: il vecchio Shingo sta perdendo colpi se si spaventa per così poco."

Hajime scosse la testa, lanciando una mezza occhiata di rimprovero all'amico.

“Ridi pure Teppei! – ribatté Takasugi, approfittando della breve fermata per prepararsi la pipa – Vedremo se sarai ancora di buon umore quando attraverseremo la Gola.”

Il soldato perse di colpo la sua allegria.

La Gola era il punto in cui il sentiero si snodava accanto alla parete est di un piccolo sistema montuoso, che sorgeva quasi al limitare della Foresta Meiwa. Era la via più veloce per raggiungere la Cittadella per chi proveniva da Sud, in passato molto usata dalle carovane di mercanti, ma, da quando la Foresta era diventata la sede dei Ribelli, i viaggiatori preferivano un percorso più lungo, all'aperto nelle campagne. Se qualcuno avesse voluto attaccare il carico d'armi quello era il punto ideale.

Taki spostò con una mano il ciuffo dagli occhi, pensieroso, mentre riprendevano la marcia:

“Ci siamo passati da poco e sembrava tutto tranquillo. Del resto il Capitano ci ha mandato apposta per aiutarti in caso di bisogno. Ultimamente i Ribelli si sono fatti più sfrontati, e decisamente più organizzati, anche se dubito che sappiano del rifornimento di armi.”

Teppei annuì vigorosamente:

“Dovrebbero avere una spia all'interno della Guardia.”

Shingo esalò una boccata di fumo:

“Per come la vedo io quel Napoleon potrebbe benissimo fare il doppio gioco per altri suoi amichetti di Azumachi. Ingaggiare dei Sicari nella Guardia, al Reggente ha dato di volta il cervello!”

“Shingo, stai attento, potresti essere considerato un traditore per queste affermazioni!” Lo ammonì Hajime, cercando di evitare all'Armaiolo di cacciarsi nei guai. Questo si strinse nelle spalle.

“Chi vuoi mi possa sentire qui? Anzi, ti dirò di più: piuttosto che queste armi vengano usate da quella feccia arrivata da Azumachi, preferirei perderle da qualche parte.”

“Magari perché non le diamo direttamente ai Ribelli?” La voce di Kisugi aveva un accento sarcastico fortissimo.

“Teppei, tu sei ancora giovane e impulsivo, ma se ti fermassi a osservare meglio, noteresti che, per quanto siano dei fuorilegge, i Ribelli hanno un codice d'onore più elevato dei nostri nuovi compagni. Anche se non ci vuole molto per essere migliori di loro.” Aggiunse con una punta di cattiveria.

Sia Hajime che Teppei avrebbero voluto ribattere all'affermazione del più anziano Takasugi, ma l'ingresso della Gola si spalancò davanti al gruppetto, ponendo una temporanea sospensione al discorso. Alla loro sinistra si stagliava la ripida parete della montagna, di roccia nuda, mentre a destra c'erano gli alberi della foresta Meiwa.

Si inoltrarono cautamente lungo lo stretto sentiero, Hajime davanti al carro e Teppei in retroguardia.

“Sembra quasi che la foresta ci stia osservando.” Sussurrò quest'ultimo.

“Adesso chi è quello che perde i colpi?” Sentenziò Takasugi, riportandosi poi la pipa alle labbra.

Proseguirono senza intoppi fino ad un mucchio di massi caduti a lato della strada in seguito ad una frana, quando un uomo ricurvo su un bastone si fece loro incontro.

“Fermatevi! Aiutatemi!”

“Che succede?” Domandò Hajime, spostando lo sguardo a destra e a sinistra nel tentativo di scorgere qualcosa in più.

“Io e il mio compagno di viaggio, siamo stati attaccati da un paio di banditi, poco più avanti. Ci stanno derubando di tutte le nostre poche merci. Con questa siccità sono la nostra unica speranza di sopravvivenza!” Disse lo sconosciuto, tutto d'un fiato, le gambe che tremavano vistosamente.

Taki si voltò verso i compagni e decise:

“Vado io a vedere di che si tratta, voi restate qua al sicuro. Un paio di banditi non dovrebbero essere un problema anche se sarò solo. Tornerò presto.”

Partì al galoppo e dopo pochi istanti sparì dietro una curva del sentiero, anche il rumore degli zoccoli dei cavalli si affievolì a poco a poco.

“Posso... Posso sedermi un attimo sul carro?” Chiese l'uomo, sempre esitante.

Shingo era molto dubbioso, qualcosa nel suo istinto gli diceva di non fidarsi, nonostante non notasse pericoli apparenti. Annuì lentamente e si spostò per fargli spazio.

“Grazie, grazie molte. - Lo sconosciuto si accomodò – Che bella pipa avete.”

“Uh, sì, è un vecchio cimelio di famiglia, apparten..” Mastro Takasugi non riuscì a finire la frase, si trovò un corto pugnale puntato alla gola e lo sconosciuto che ora parlava con tono molto più fermo.

“Vedi di fare quello che ti diciamo noi e non ti succederà nulla!”

“Noi?”

“Shingo!” Teppei estrasse la spada dal fodero per gettarsi in soccorso dell'amico, ma una freccia lo colpì precisamente alla mano che impugnava l'arma, costringendolo a mollare la presa. Il suo cavallo si imbizzarrì e lo scaraventò a terra, fuggendo poi nella stessa direzione verso cui si era allontanato Hajime.

Improvvisamente uomini apparvero dagli alberi e da dietro le rocce, circondando i due soldati.

“Ribelli!” Esclamò Takasugi.

“Occupatevi del carico, all'uomo a terra penso io!” Disse uno dei Ribelli, alto e con dei lunghi capelli.

Kisugi cercò di raggiungere la sua spada, dopo aver estratto a fatica la freccia dalla mano in cui si era conficcata, ma l'uomo che aveva parlato la allontanò con un calcio. Il soldato si alzò e si preparò ad affrontare il nemico a mani nude: non si sarebbe arreso tanto facilmente, era pur sempre un componente della Guardia Reale.

I due uomini iniziarono a tirarsi calci e pugni, tuttavia il Ribelle sembrava avere un addestramento dello stesso livello, se non superiore rispetto al soldato, con il risultato che ben presto Teppei si ritrovò pieno di lividi.

Intanto Mastro Takasugi era costretto ad osservare i fuori legge svuotare il carro di tutto il suo preziosissimo carico. Ogni volta che cercava di reagire o di tentare di fare qualcosa divincolandosi si ritrovava il pugnale del suo aguzzino sempre più vicino alla gola, finché un rivolo di sangue cominciò a scorrergli lungo il collo.

“Hanji, ti serve aiuto con quello?”

“No, ce la faccio da solo! Dopo il suo ultimo tentativo di liberarsi credo che se ne starà buono. Pensa al tuo compito Ryo!”

Presto il carro fu vuoto e i Ribelli sparirono nella foresta con la refurtiva. Rimanevano solo quello di nome Hanji e quello che stava combattendo con Teppei.

“Urabe, credo che i nostri compagni abbiano fatto abbastanza strada, andiamocene anche noi!”

“D'accordo Ken!”

Hanji diede uno spintone all'Armaiolo e saltò velocemente giù dal carro, infilandosi tra gli alberi.

Con un moto di orgoglio Shingo si rialzò e tentò di inseguire i due uomini, ma la foresta era troppo fitta e sconosciuta per lui: dovette desistere e tornare indietro.

Si avvicinò a Kisugi, ancora accasciato a terra:

“Teppei, come stai?”

“Sono stato meglio! - Ribatté il soldato – Qualche ammaccatura, niente di più, e la ferita alla mano. Tu, piuttosto, che hai fatto alla gola?”

Shingo si portò istintivamente una mano al collo.

“Solo un taglietto superficiale. Vieni sul carro e andiamo a cercare Hajime, scommetto tutto quello che vuoi che anche lui è caduto in una trappola.”

Teppei annuì, issandosi vicino al posto di guida, preoccupato per l'amico.

Trovarono Taki poco più avanti, legato e imbavagliato, ma per il resto incolume.

“I Ribelli ci hanno proprio fregati alla grande!” Commentò quest'ultimo, una volta salito sul carro.

“Già, avevano un piano ben congegnato!” Teppei strinse nervosamente il pezzo di tessuto con cui stava cercando di tamponare la mano.

“Soprattutto sembravano essere bene informati sul carico e sui tempi di trasporto.”

“L'unica cosa che non capisco è perché non ci abbiano uccisi, ne avrebbero avuto tutte le opportunità, erano in superiorità numerica schiacciante ed erano pure riusciti a separarci.”

Shingo sospirò e si rivolse ai due compagni più giovani, spezzando il silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento:

“È esattamente quello che intendevo dire prima a proposito del senso dell'onore: i Ribelli avrebbero benissimo potuto eliminarci o conciarci molto peggio di così, ma non era il loro obiettivo. Puntavano alle armi e noi eravamo solo un ostacolo, si sono limitati a tenerci a bada in modo che non interferissimo. Questo è un codice d'onore, non far male se non necessario! I nostri nuovi compagni invece non avrebbero esitato ad ucciderci. E ora muoviamoci.”

L'Armaiolo diede uno scossone alle redini e fece rimettere in marcia i due cavalli.

“Il Capitano non sarà per niente contento di questa faccenda, per non parlare del Reggente.” Commentò Hajime con amarezza.

“Sapete – aggiunse Teppei – non sono proprio convinto che i Ribelli ci abbiano fatto un favore a non ucciderci.”

 

 

 

 

 

 

Il Capitano della Guardia Reale serrò i pugni e li sbatté violentemente sulla scrivania circolare, in un misto di emozioni tra l'incredulità e il furioso:

“State scherzando, spero per voi!”

“Purtroppo no, signore.”

I tre soldati di fronte a lui abbassarono la testa, mentre il Vice Capitano, leggermente scostato rispetto a loro, li osservava a braccia incrociate scuotendo il capo con disappunto.

“Volete dirmi che il mio Armaiolo e due dei miei Soldati Scelti, inviati appositamente per proteggere il carico d'armi, se lo sono fatto fregare sotto il naso come una banda di reclute al primo giorno d'addestramento?”

Wakabayashi era fuori di sé dalla rabbia e i tre uomini sotto accusa si facevano ad ogni momento più piccoli, avrebbero voluto che una voragine si aprisse nel pavimento dello studio e li facesse sprofondare, lontano da quella vergogna. Teppei per un momento si ritrovò a pensare che la diserzione forse sarebbe stata un disonore minore e poteva scommettere che i pensieri di Hajime non fossero così diversi dai suoi. Nonostante ciò, fu proprio Taki a rompere il silenzio che si stava dilatando in maniera opprimente:

“È stata un'imboscata!”

“E molto ben congegnata. – Prese coraggio Mastro Takasugi – Prima ci hanno divisi senza destare sospetti e poi hanno agito prontamente.”

Mamoru sbuffò spazientito:

“Ma voi avreste dovuto sospettare qualcosa! Chi di questi tempi attraversa la Gola senza un'adeguata protezione?”

“Qualcuno disperato dalla fame! - Ribatté Hajime che cominciava ad accalorarsi – Non sai come con questa siccità molti dei villaggi stiano soffrendo? Molti raccolti sono stati persi o compromessi e non mi pare che la politica del Reggente stia aiutando a ris...”

“Adesso basta! Ho sentito a sufficienza!” Tuonò Genzo, alzandosi in piedi con impeto e zittendo la discussione. Fece alcuni passi verso il centro della stanza, fermandosi alcuni istanti davanti a ripiano dove era posizionato il suo elmo da parata e notando come la piuma rossa si stesse scolorendo e avesse bisogno di essere sostituita.

“Allora, - esordì appoggiando le mani sui fianchi – i Ribelli hanno colpito con troppa sicurezza e organizzazione per essersi trovati per caso sulla vostra strada. Se non vi conoscessi e non vi avessi addestrati personalmente, sospetterei qualcuno di voi di tradimento, soprattutto tu Taki!” Il Capitano puntò un indice accusatore contro il soldato.

“Dopo queste ultime tue affermazioni sul nostro Signore, qualcuno potrebbe avere dubbi sulla tua lealtà!”

“Ma... ma... Io...” Hajime riuscì solo a balbettare qualche parola confusa in risposta.

“Non è nostro compito giudicare l'operato del Reggente, né nel bene, né nel male.” Mentre pronunciava queste parole sentiva una morsa attanagliargli lo stomaco nel suo ormai consueto tormento interiore tra l'obbedienza e l'onore di uomo prima che di soldato.

“Io sono disposto a credervi e, per me, l'umiliazione che vi leggo in faccia è una punizione più che sufficiente, ma non sarà così per tutti. Il Reggente ha una linea di condotta molto ferrea ed intransigente, sicuramente esigerà per voi un castigo esemplare.”

Mamoru si fece avanti, quasi dimenticandosi della sua posizione di subalterno rispetto a Genzo:

“Ma Capitano, non è giusto, io...”

Wakabayashi lo zittì con un gesto risoluto della mano.

“Izawa, preferiresti che fosse il Reggente in persona ad occuparsene? Magari assistito da Soda o qualche altro membro del Gruppo Speciale?”

“Certo che no!” Abbassò la testa.

“Sto cercando di fare in modo di trattare questa punizione nella maniera più indolore possibile.”

Tutti e quattro i soldati annuirono, consapevoli che riporre la loro fiducia nelle mani del Capitano fosse la scelta migliore: per quanto potesse essere un insegnante severo durante l'addestramento, Wakabayashi non aveva mai agito contro il benessere dei suoi uomini.

“Dunque, – riprese – tutte le spade della nuova fornitura da Naniwa sono state sottratte...”

“Non proprio.” Intervenne Mastro Takasugi, ricordandosi solo ora del particolare e guadagnandosi le occhiate stupite dei presenti, in particolare di Teppei che aveva assistito impotente allo spettacolo dei Ribelli che svuotavano il carro del suo contenuto. Al solo pensiero la mano destra tornò a bruciargli, là dove si era conficcata la freccia del bandito.

Il Vice Capitano fece un passo avanti:

“Shingo, che vuoi dire?”

“Sapete tutti che Mastro Nakanishi, il famoso artigiano del legno, è un mio carissimo amico? Prima di lasciare la città e intraprendere la via del ritorno gli ho fatto apportare una modifica speciale al mio carro. - Takasugi spostò il peso da un piede all'altro prima di continuare il suo racconto. - Gli ho fatto costruire un vano segreto sotto il mio posto di guida in cui ho collocato le tre migliori spade che avevo ricevuto.”

“Sei un genio!” Esplose Teppei, quasi saltando addosso al commilitone più anziano.

“Kisugi! Frena il tuo entusiasmo, siamo sempre in caserma!” Lo redarguì Wakabayashi, che nel frattempo aveva riconquistato la sua seggiola dietro la scrivania, non senza aver ammorbidito il tono di voce. In un'altra occasione avrebbe sicuramente sorriso dell'entusiasmo del giovane sottoposto.

“Mastro Takasugi, questa è stata un'ottima idea, ma il problema del furto permane.”

Il cervello del Capitano era già in moto per capire come usare a discolpa dei suoi uomini questo piccolo fatto.

Dopo qualche minuto di silenzio, allungò una mano verso il campanello d'argento e lo agitò con forza, facendolo suonare. Subito il suo Attendente, a cui aveva dato ordine di fermarsi appena fuori dallo studio, per assicurarsi che nessuno lo disturbasse, socchiuse la porta:

“Avete chiamato Capitano?”

“Morisaki, ho bisogno che tu scenda nella cella seminterrata, recuperi una frusta e me la faccia trovare pronta all'uso tra mezz'ora, nel cortile degli addestramenti. Ecco la chiave.” Da un cassetto aveva estratto una lunga e vecchia chiave con un principio di arrugginimento.

“Sì, signore.”

Il giovane si affrettò ad eseguire il suo compito, cercando di nascondere il pallore che lo aveva colto: la cella seminterrata non veniva aperta da anni e conteneva tutti gli strumenti di tortura usati nel passato per interrogare e costringere a parlare nemici e prigionieri. Tuttavia gli ultimi Principi Ozora avevano ritenuto opportuno abolire questo tipo di pratiche e, sia il vecchio Capitano Mikami, che l'attuale non amavano quel genere di punizione per mantenere la disciplina nella Guardia. Ora, invece, Wakabayashi aveva espressamente richiesto uno degli strumenti in dotazione in quella stanza. Yuzo non poté impedire a un brivido di corrergli lungo la schiena al pensiero che quasi certamente i suoi amici Hajime e Teppei si trovavano nei guai col Capitano.

 

Mezz'ora più tardi, tutta la Guardia Reale era schierata nel polveroso cortile della Caserma, per assistere alla punizione che il Capitano Wakabayashi aveva deciso di infliggere a coloro che si erano lasciati sfuggire il prezioso rifornimento di armi nuove, indispensabili per la caccia ai Ribelli.

Genzo arrivò con passo deciso, seguito da Mamoru che scortava i tre colpevoli. Chiudeva il piccolo drappello Yuzo, reggendo tra le mani una vecchia frusta.

Giunti al centro dello spiazzo, il Capitano si fermò e si rivolse a tutti i sottoposti:

“Il Mastro Armaiolo Shingo Takasugi, il Soldato Scelto Teppei Kisugi e il Soldato Scelto Hajime Taki non hanno compiuto appieno il loro dovere e per questo verranno puniti. Ognuno di loro riceverà una frustata per ogni spada o scudo che è stato sottratto dal carico che dovevano proteggere e consegnare alla nostra caserma. La punizione avverrà qui e servirà da monito a tutti voi per impegnarvi di più.”

Tra i soldati cominciarono a correre dei mormorii di dissenso, qualcuno addirittura pensava che il Capitano avesse bevuto troppo Shutetsu per essere arrivato a prendere una decisione del genere. Solo i membri del Gruppo Speciale, soprattutto Napoleon, si prepararono ad assistere a quello che giudicavano uno spettacolo divertente.

Izawa alzò un braccio e gli astanti si ridussero al silenzio. Procedette poi a togliere le casacche ai tre compagni, sussurrando ad ognuno di loro un “mi dispiace”.

“Non dispiacetevi, – rispose di rimando Shingo – sapete anche voi che è meglio così.”

Morisaki si avvicinò esitante e porse al Capitano la frusta. Questi l'afferrò con decisione, mascherando abilmente il disgusto che provava per quello che stava per fare. Decise che avrebbe iniziato da Hajime, poi avrebbe proseguito con Teppei e per ultimo avrebbe colpito l'Armaiolo.

Quando sollevò il braccio per sferrare il primo colpo, il cortile era avvolto da un silenzio così irreale e pesante da ferirgli le orecchie più di quanto avrebbe mai fatto il crollo delle mura di cinta della Cittadella. La frusta cadde secca sulla schiena di Taki e l'impatto tra pelle e corda sgretolò quello strano incantesimo del silenzio.

Wakabayashi cercava di colpire senza usare completamente tutta la forza che aveva a disposizione, ma allo stesso tempo non poteva permettersi che qualcuno sospettasse qualcosa. E nonostante questo, percepiva ogni colpo ancora più forte sulla sua stessa schiena: avrebbe voluto ridurre a pezzi quella frusta maledetta, con cui stava colpendo tre fedeli Soldati. Sentiva di stare tradendo quei compagni per cui avrebbe dovuto essere una guida.

Genzo era talmente impegnato a dissimulare la sua battaglia interiore da non accorgersi dell'ingresso del Reggente dalla porta dell'edificio centrale.

Se Kanda rimase sorpreso nel vedere il Capitano frustrare i suoi uomini, non lo diede a vedere. Aveva interrotto un'udienza popolare quando Soda l'aveva avvisato del furto e si era recato alla Caserma col fermo proposito di farla pagare a quegli incapaci senza nemmeno cambiarsi: indossava ancora la tunica ufficiale, che arrivava fin quasi al ginocchio, con gli orli dorati e i morbidi pantaloni in pelle di camoscio, mentre sul petto era ricamato lo stemma della sua famiglia. Intorno alla fronte portava un sottile cerchio, anch'esso d'oro. Si avvicinò a Wakabayashi, ma non lo interruppe.

Fu solo quando ebbe terminato con Mastro Takasugi e riconsegnato a Yuzo la frusta che Genzo si sentì un sorvegliato speciale. Si girò di scatto e trovò il Reggente davanti a sé a braccia conserte.

“Reggente – si inchinò – perdonate lo stato in cui mi trovate, anche se immagino siate a conoscenza degli ultimi fatti e quindi comprenderete.” Con un gesto richiamò Morisaki per farsi porgere un panno con cui asciugare la fronte madida di sudore.

“Soda mi ha informato. Quindi avete già provveduto a punire i responsabili di questo sciagurato avvenimento.”

“Come potete vedere.” Indicò con un braccio.

Taki, Kisugi e Takasugi stavano raccogliendo le loro casacche, rivoli di sangue gli scorrevano sulla schiena: i segni delle frustate erano evidenti.

“Tuttavia io non credo sia sufficiente!”

Genzo se l'era aspettato e aveva serbato un piccolo asso nella manica.

“Non qui, che ne dice di incamminarsi sotto il porticato? Godremo di una leggera ombra.”

Kanda fece un cenno di assenso col capo.

“Voi tutti! - urlò Wakabayashi – Tornate alle vostre occupazioni. Izawa! Organizza i gruppi per la ronda di stanotte!”

Dopo che queste disposizioni furono date i due uomini si diressero all'estremità est, dove colonne dall'aspetto esile, ma in realtà robusto, sostenevano il portico antistante le Scuderie e l'Armeria.

“Cosa volevate dirmi?” Domandò Genzo.

“Capitano, apprezzo il fatto che abbiate subito provveduto ad una punizione per quei soldati – sull'ultima parola usò un accento sprezzante – ma ritengo opportuno usare delle misure ancora più severe.”

“Non ritenete abbastanza la punizione corporale e l'umiliazione subita davanti a tutti i commilitoni? Una ferita nell'orgoglio può fare molto più male di ferite fisiche.”

Kanda si sfiorò il cerchio d'oro alla tempia.

“Concordo, e qual è la peggior umiliazione per un membro della Guardia Reale se non quella di venire congedato con disonore?”

Wakabayashi si bloccò di colpo.

“Congedo con disonore? Mi sembra eccessivo, soprattutto in questo momento in cui ogni singolo uomo è prezioso. Oltretutto rimarremmo senza Mastro Armaiolo.”

“Senza armi da curare, non serve a molto!” Ribatté il Reggente acido.

“Abbiamo pur sempre quelle vecchie. Venite, vi mostro una cosa.”

Il Capitano aprì la porta dell'Armeria e cedette il passo a Kanda.

“Non tutte le armi sono andate perdute: Mastro Takasugi aveva uno scomparto segreto sul carro, in cui ha celato alcune spade, compresa quella appositamente forgiata per voi.”

Così dicendo sollevò una coperta dal tavolo e mostrò tre spade chiuse in altrettanti foderi. Quella centrale era la più lunga e il fodero il più riccamente decorato. L'impugnatura in bronzo svelava al posto del pomolo una mano chiusa a pugno, bagnata nell'argento.

Koshi si avvicinò e l'impugnò, sfoderandola e osservando con un ghigno compiaciuto il perfetto equilibrio e l'affilatura della lama in Nankatsu, il più resistente, letale e costoso dei metalli.

Wakabayashi capì che quello era il momento buono per tentare di ammorbidire il Reggente:

“Converrete con me che quella di Takasugi sia stata una mossa saggia e molto azzeccata.”

“Sì, sì.” Replicò Kanda, senza in realtà aver prestato troppa attenzione alle parole del Capitano, ancora estasiato dal suo nuovo giocattolo.

“Quindi è un ottimo elemento che non credo sia il caso di allontanare dalla Guardia.”

“Certamente.”

“Anche Kisugi e Taki.”

“Di sic.. Un momento Wakabayashi! - Il Reggente si riscosse improvvisamente e cercò di recuperare le redini del discorso che stava sfuggendogli – State cercando di abbindolarmi? Passi per l'Armaiolo, ma i due Soldati avrebbero dovuto comportarsi meglio!”

“Sono d'accordo, ma sapete, la giovane età...” Genzo cercò di rabbonire l'interlocutore, temendo di essersi spinto troppo oltre.

“Non è una scusa! Se proprio non volete allontanarli stabilmente, rimuoveteli quanto meno dal servizio attivo e fateli occupare di qualcosa di utile alla Cittadella.”

“Per esempio?”

“La pulizia delle latrine sarebbe un'ottima cosa! Ora, Capitano, buona giornata.”

Kanda superò un attonito Wakabayashi, uscì dall'Armeria e si avviò a lasciare la Caserma da dove era venuto, continuando a rimirare la preziosa spada.

 

 

 

 

 

Al Toho, le attività procedevano apparentemente come al solito in quella giornata di fine estate: Jun seguiva i progressi di un piccolo gruppo che si esercitava nel corpo a corpo, ormai erano sufficientemente in grado di cavarsela almeno con buona parte dei componenti della Guardia Reale, tuttavia coi i migliori di essi sarebbe stato ancora parecchio difficile.

“Sposta i piedi più velocemente! Ricorda, il gioco di gambe è importante quanto quello di braccia.” Consigliò ad uno dei ragazzi.

Dal suo posto Kojiro, impegnato a sgranocchiare gli avanzi della cena della sera precedente, sbuffò sonoramente, attirando l'attenzione del Principe.

“Siamo nervosi?”

“Tu non lo sei?”

“Un po' – ribatté Jun – ma mi tengo impegnato con loro. Qualche tiro con la spada farebbe bene anche a te.”

“E sorbirmi di nuovo un'altra delle tue lezioni sulla tremillesima posizione di difesa? No grazie!”

Il Principe scosse la testa: il tono duro e a volte sgarbato di Kojiro non sarebbe mai cambiato, ma nonostante questo era un ottimo leader per i Ribelli e un compagno fedele, una volta conquistata la sua fiducia e il suo rispetto.

Come se avesse sentito questi pensieri, il Ribelle allungò un coscia di piccione al Principe.

“Ne vuoi un pezzo?”

Jun annuì e si sedette accanto a lui, addentando la carne.

“Credi che succederà oggi?” Chiese ad un certo punto Kojiro.

“Penso di sì. Dalle informazioni raccolte da Ken alla Cittadella, Kisugi dovrebbe aver raggiunto Naniwa quattro giorni fa. Conoscendolo non si fermerà a lungo e viaggerà con regolarità. Secondo i miei calcoli potrebbe essere nella Gola in questo momento.” Con la mano sinistra distese una piega della tunica marrone.

“Sempre che non abbia deciso di cambiare strada all'ultimo.”

“Quello sarebbe veramente un problema: sono tre giorni che i nostri sorvegliano la Gola.”

Un chiacchiericcio proveniente dalla boscaglia gli fece alzare la testa all'unisono. Poco dopo comparvero Ken e gli altri, carichi di spade e scudi. Si alzarono e andarono incontro ai compagni, seguiti da chi prima si stava addestrando.

“Com'è andata?” Si informò il capo, non appena Wakashimazu ebbe appoggiato il suo fardello.

“Molto bene. È andato tutto come previsto da Jun, anche l'arrivo dei rinforzi dalla Cittadella.”

“Wakabayashi ha mandato molti uomini?”

“Un paio. - Ken agitò una mano a indicare che si era trattato di una sciocchezza. - Li abbiamo separati come avevamo stabilito, la tua trappola era perfetta. L'unica difficoltà l'abbiamo avuta nell'affrontare il Passaggio così carichi.”

Jun annuì e si allontanò solitario, sospirando.

“Hey, Principino. Che ti succede? Pensavo fossi contento dei successi raggiunti anche grazie a te!” Gli urlò dietro Kojiro, certe volte non riusciva proprio a capirlo!

“Certo che sì! Ma....” Strinse i pugni con forza, al punto che le nocche diventarono bianche.

“Avresti voluto essere con noi. - Si intromise Ken – Sai che non è possibile, è troppo pericoloso!”

Il Principe si voltò di scatto, uno strano lampo di rabbia negli occhi:

“Conosco i rischi! Li ho calcolati, ma non ce la faccio più ad aspettare. Non riesco a restarmene in disparte a guardare mentre qualcun'altro combatte quella che dovrebbe essere la mia guerra!”

Per un attimo regnò il silenzio, poi Kojiro lo raggiunse.

“Questa non è solo la tua guerra, è la guerra di tutti quelli che credono nella giustizia e nella possibilità di un regno migliore!”

Wakashimazu annuì vigorosamente, unendosi agli altri due:

“Lo sai che non è ancora il momento giusto per svelarti e nessuno di noi ti biasima, arriverà l'occasione ed allora mostrerai tutto il tuo valore.”

Jun abbassò la testa, vergognandosi di quello scatto d'impazienza nei confronti di quegli uomini che da nemici si erano trasformati in amici pronti a sostenerlo in qualsiasi momento.

“Grazie! Kojiro, toglimi una curiosità, da quando sei diventato così saggio?”

“Jun ha ragione capo, certe perle di saggezza non sono da te!”

Hyuga incrociò le braccia al petto, contrariato:

“Smettetela di fare i cretini voi due!”

Nonostante il tono burbero, scoppiarono tutti e tre a ridere, venendo però interrotti dalla voce di Ryo Ishizaki che aveva notato qualcosa di strano:

“Ma le donne dove sono? Non saranno sparite tutte?”

“Oh, no. - Rispose Kojiro, con non noncuranza – Alcune sono andate al fiume, le altre sono tutte rinchiuse nella capanna centrale: Yukari ha avuto le doglie.”

“E glielo dici così?” Jun guardò il Ribelle alzando gli occhi al cielo.

“COSA???”

Ishizaki, appena appresa la notizia, si mise a correre come un forsennato per tutta la radura, in preda al panico più totale.

“Cosa faccio? Che cosa faccio? Non sono pronto! Non sarò mai pronto! Cosa faccio?” Poco mancava che cominciasse a strapparsi i capelli.

Le risate si sparsero per un momento tra tutti i Ribelli, ma quando divenne chiaro che Ryo non aveva intenzione di calmarsi, cominciarono a comparire delle occhiate preoccupate.

“Qualcuno lo fermi, per amore della Dea!” Esclamò Ken!

Urabe non se lo fece ripetere due volte e si parò davanti a Ishizaki.

“Ryo fermati! Stai calmo! - Gli appoggiò le due mani sulle spalle – Cosa credi di fare? Così non sei utile ne a te ne a nessun altro, anzi, farai venire un esaurimento nervoso a tutti.”

L'uomo si fermò con il fiatone e guardò negli occhi l'amico:

“Hai ragione! Io... devo andare da Yukari.”

“Se fossi in te non lo farei – suggerì Kojiro – Sai come sono le donne, non vogliono uomini intorno in questi momenti. Ti cacceranno fuori non appena metterai la punta del naso in quella capanna.”

“E tu che ne sai?” Chiese Ken curioso.

“Niente, solo sentito dire.” Hyuga sollevò le spalle.

Ryo ancora si dibatteva tentando di liberarsi dalla presa di Hanji.

“E se Yukari avesse bisogno di qualcosa?”

Il Principe ridacchiò.

“Con tutte le donne che ci sono con lei sarà più servita e riverita di me quando abitavo alla Fortezza! E non dimenticare che c'è anche Yayoi.”

Annuirono e Wakashimazu aggiunse, con l'aria di chi la sa lunga:

“Non è certo il primo bambino che Yayoi fa nascere.”

Fu il turno di Kojiro di stuzzicare il compagno, tirandogli anche una gomitata non proprio leggera nello stomaco.

“Adesso chi è che ne sa più di quello che dovrebbe?”

Una risata generale accompagnò il gruppetto a sedersi, con Ryo sempre nervoso, ma per lo meno senza più la voglia di correre per la radura o addirittura per tutta la valle. Si tormentava senza sosta la corda alla vita che usava come cintura e ogni volta che credeva di sentire un rumore insolito saltava in piedi di scatto, salvo ritornare a sedere subito dopo, rendendosi conto che si era trattato solo di qualche uccello o di qualche amico che aveva rovesciato un barattolo.

“Ho la gola secca, c'è dell'acqua?” Chiese ad un certo punto.

Hyuga scosse la testa:

“Devi aspettare che le altre donne ne riportino qualche caraffa dal fiume. Maledetta siccità!”

“Io ho perso il conto dall'ultima volta che ha piovuto.” Fece notare Jun.

Ken si passò una mano nei lunghi capelli.

“È stato il giorno del tuo funerale. Una cerimonia davvero commovente.” Finse di asciugarsi le lacrime agli occhi.

“Non mi ricordare che dovrei essere un morto!”

La piccola battuta fece spuntare un sorriso anche sul volto teso di Ryo, distratto da una nuova domanda di Urabe:

“Avete deciso che nome darete al piccolo?”

“Ecco... io... non so...”

“Non avrai intenzione di chiamarlo Bambino o Bambina per tutta la vita?”

“Certo che no Hanji! Solo non mi aspettavo che sarebbe nato così presto!”

All'improvviso un urlo fortissimo squarciò l'aria, seguito da un pianto torrenziale altrettanto intenso. Tutti scattarono in piedi e corsero sotto il grande albero su cui era costruita la capanna più grande del villaggio, interpretando benissimo il segnale: il piccolo Ishizaki aveva fatto il suo ingresso nel mondo.





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E dopo due capitoli dedicati interamente ai Ribelli torniamo ad occuparci anche della Guardia Reale e del GENZODRAMA, povero il nostro Wakabayashi e per lui le prove difficili non sono ancora terminate.

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Capitolo 12
*** Stanza XII ***


La strada più veloce che dalla Cittadella conduceva a Saitama non era certo quella che poteva definirsi una strada ben tenuta: negli ultimi chilometri pietre, sassi ed erbacce rendevano difficoltoso il transito a qualsiasi carro, motivo per cui negli ultimi anni le attività commerciali della città, erano andate sempre più scemando. O forse col diminuire dei traffici gli interventi di manutenzione si erano ridotti in conseguenza, in un continuo circolo vizioso, al punto che quella che una volta era una delle città più fiorenti del Principato si era ridotta alle dimensioni di un villaggio che a stento riusciva a mantenere tutti i suoi abitanti.

Koshi Kanda sapeva bene tutto questo e sapeva anche che quell'ormai sparuto gruppo di case era trattato con particolare riguardo dai Ribelli, motivo per cui quella mattina aveva deciso di inviare il Gruppo Speciale sul luogo per una “ricognizione preliminare”. E aveva anche trovato la scusa per tenere Wakabayashi impegnato alla Cittadella, assicurandosi che non ficcasse troppo il naso in quell'affare.

“Makoto, spero proprio che sia valsa la pena di scomodarci a fare tanta strada fino qui!” Esclamò Louis, a cui le continue correzioni all'andatura del cavallo, dovute alla strada malmessa, stavano cominciando a innervosire.

“Non preoccuparti, le missioni che ci affida Kanda si rivelano sempre fruttuose e divertenti.” Rispose il compagno, con una smorfia che voleva essere un sorriso.

“Forse un tempo, ma da quando è diventato signore e ci ha fatto entrare nella Guardia Reale le nostre scorribande si sono ridotte.”

“Ma capisci, ora abbiamo una facciata da mantenere, ciò non toglie che possiamo ancora divertirci.” L'espressione del Sicario divenne diabolica al ricordo dell'ultima notte nei quartieri bassi della cittadella, ma Napoleon lo guardò con un certo grado di disappunto:

“Ti sei rammollito vecchio mio, il massimo a cui aspiri in questo momento è una rissa in qualche bettola di periferia e sgozzare un paio di ubriachi. Forse dovremmo ritornare sui monti ad Azumachi.”

Soda sbuffò: era affezionato al luogo dove era cresciuto e dove aveva ricevuto tutti gli insegnamenti per diventare un Sicario, non poteva negarlo, ma la città fantasma gli era sempre stata un poco stretta, arroccata sulla montagna all'estremo Nord e priva di quelle comodità, quali un letto caldo, che col tempo aveva imparato a considerare normali. Solitamente i Sicari lasciavano Azumachi per brevi missioni sotto lauto compenso o alla ricerca di qualcuno da trasformare in nuovi spietati guerrieri, ma poi vi facevano subito ritorno, sparendo dalla circolazione come fantasmi, rapidi e precisi nelle loro mansioni. La città era quasi inaccessibile agli estranei, ma si diceva che chi avesse realmente avuto bisogno di uno o più uomini di quella pasta per sistemare i suoi affari, avrebbe trovato la via per giungere alla meta. Makoto Soda era stato il primo ad allontanarsi dalla città per un incarico di lunga durata: inizialmente quando era stato assoldato da Kanda si trattava di un unico lavoretto veloce, di eliminare un Vice Comandante, o qualcosa del genere, che stava ficcando il naso in affari che non lo riguardavano, ma l'allora Sovrintendente era rimasto talmente soddisfatto del suo operato da avergli proposto di diventare il suo uomo di fiducia per incarichi “speciali”. Inizialmente titubante, Makoto aveva scoperto che la vita in una cittadina normale offriva occasioni, e tentazioni, che ad Azumachi non ci si sognava nemmeno, o forse chi aveva fondato la città e la setta dei Sicari le aveva volutamente escluse dal loro mondo per addestrare individui duri e rozzi, senza alcuna pietà. Un Sicario non era abituato a domandare, prendeva quello che desiderava e lo faceva suo se riteneva che fosse un suo diritto, anche a scapito di un compagno di setta. Mano a mano che gli incarichi e le richieste di Kanda divenivano più grandi, Soda aveva deciso di coinvolgere i vecchi compagni nelle sue scorribande autorizzate.

“Louis – Makoto rispose a tono, seccato per i dubbi dell'amico – quando ti deciderai a capire che il mondo e la vita sono molto più vasti di Azumachi? Rintanarci in mezzo ai ghiacci perenni dopo ogni missione non fa di noi dei Sicari migliori.”

“C'è un motivo se i fondatori della setta hanno deciso così e dopo centinaia di anni ancora nessuno è riuscito a debellarci.”

“In centinaia di anni le cose possono anche cambiare, è tempo che si apra una nuova era per i Sicari!”

I due si stavano velocemente scaldando e innervosendo, tanto che per poco il destriero di Napoleon, privo della sua guida, rischiò di azzopparsi su di una pietra sporgente e di disarcionare il cavaliere.

Alle loro spalle la voce possente di Shunko Sho li ricondusse all'ordine:

“Insomma voi due, la smettete di battibeccare? Siamo quasi alla meta, volete che tutta Saitama ci senta arrivare, facendoci perdere metà del divertimento della razzia? Le questioni filosofiche lasciatele per dopo.”

I due abbassarono il capo per un istante, di tutti i Sicari più o meno loro coetanei, Sho era l'unico che poteva permettersi di contraddire entrambi allo stesso tempo ed uscire vincitore dalla probabilissima zuffa che ne sarebbe seguita.

Come annunciato da Sho le prime case apparvero davanti ai loro occhi, facendo aumentare lo stato di malumore di Louis:

“Tutto qui? Kanda ci ha fatto fare tutta questa strada per queste quattro misere baracche?”

Makoto gli lanciò un'occhiataccia, non disposto a tollerare altre lamentele: era pur sempre il leader del Gruppo Speciale e non intendeva perdere la sua autorità:

“Saranno anche solo delle baracche semi abbandonate, ma questa cittadina è un punto di riferimento per i Ribelli, troveremo di sicuro qualcosa di interessante e dell'ottimo svago con gli altri.”

Superarono delle abitazioni abbandonate da chissà quanto tempo: con la riduzione dei commerci e della popolazione, gli abitanti avevano lasciato le case di periferia e si erano tutti spostasti il più possibile verso il centro, per essere tutti più vicini e non lasciare nessuno isolato. Il gruppo impiegò un certo tempo a raggiungere quella che una volta era la piazza principale, a dimostrazione del fatto che nel suo periodo di gloria Saitama era una vera e propria città anche più grande e popolosa della stessa Cittadella e se la Casa Reale non aveva spostato lì la sua sede era quasi esclusivamente per la tradizione che la teneva legata alla Fortezza Musashi. Anche molti nobili in passato avevano risieduto nella città.

Al passaggio nelle strade del drappello, alcuni degli abitanti, i più ingenui, avevano mostrato una curiosità stupita, a parte per le visite dei Ribelli, erano anni che non giungevano gruppi di persone così numerosi, ma la maggior parte avevano intuito le reali intenzioni del gruppo ed avevano cercato riparo all'interno delle abitazioni o cercando di continuare con noncuranza a svolgere le proprie attività.

Soda ghignò al vedere tutte quelle inutili precauzioni:

“È ora di dare inizio allo spettacolo: Shunko, a te l'onore.”

Il Sicario non se lo fece ripetere e schiarì la voce raspando in gola:

“Per ordine di sua Signoria il Reggente Koshi Kanda, siamo qui per raccogliere informazioni sui Ribelli. Siete tutti inviati a raggiungere questa piazza e collaborare. Chi si mostrerà ostile e non risponderà con le necessarie accuratezza ed onestà alle nostre domande ne pagherà le conseguenze. Tutti ne pagheranno le conseguenze.”

Per un istante tutto si fermò, chi era sulla piazza smise di compiere le sue attività, mentre chi era in casa ed aveva udito cercava di fare il meno rumore possibile, nella speranza di venire ignorato. Tutto divenne silenzioso, ma pesante, come la calma che precede la tempesta. L'aria si fece gravida di attesa. Un qualsiasi suono, un qualsiasi movimento avrebbe potuto spezzare quel momento di sospensione.

Napoleon sputò per terra con disprezzo e il tempo ricominciò a scorrere:

“Allora cani, volete uscire dalle vostre tane e rispondere, o avete bisogno di un incoraggiamento?”

Detto questo si voltò e puntò verso una donna di mezza età che all'arrivo del gruppo era alla fontana e non aveva potuto trovare riparo altrove. Il Sicario fece impennare il cavallo e con le zampe anteriori colpì la donna violentemente, facendola cadere a terra in mezzo alla polvere.

“Questo è solo un assaggio di quello che vi potrà capitare se non risponderete. Anzi, cominciamo proprio da te: donna parla!”

La donna, sempre a terra, si voltò e lo guardò negli occhi fiera, non intenzionata a farsi intimidire da un bruto. Aveva visto troppe cose orribili a questo mondo per rintanarsi a piangere: aveva perso il marito da molti anni, il maggiore dei suoi figli se ne era andato per combattere la sua battaglia contro quegli uomini malvagi, mentre gli altri tre figli erano ancora con lei, doveva resistere anche per dar loro l'esempio da seguire.

“Non ho niente da dire a voi!”

“Non ti è bastato essere gettata a terra?” Louis fece impennare nuovamente l'animale per colpire quell'insolente, quando il grido di una giovane giunse strozzato da una porta appena spalancata.

“Mamma, noooo!!!!”

“Naoko, torna subito dentro, obbedisci!” Ordinò la donna in tono che non ammetteva repliche.

Ma la ragazza non ascoltò e si lanciò nella piazza per andare a soccorrere la madre: solo le braccia forti di un giovane uomo giunto dietro di lei la trattennero.

“Non fare sciocchezze.”

Naoko si divincolò.

“Takeru, lasciami, lasciami! Mamma è in pericolo.”

Napoleon rise divertito a quell'inaspettato dramma familiare che gli si era parato davanti, facendo posare gli zoccoli del cavallo al suolo e smontando per farsi più vicino alla madre.

“Suvvia donna, ti do un'altra possibilità, non vorrai far disperare tua figlia dalla paura che ti accada qualcosa di male.”

La donna lo guardò dritto negli occhi senza celare il suo disprezzo:

“Ho già detto che non ho nulla da dire.”

Quella volta l'uomo non si fermò, carico la mano destra e con tutta la sua forza diede un ceffone al volto della donna, per poi alzarsi e dirigersi verso i due giovani.

“Forse ho sbagliato tattica – disse con un sogghigno – magari potrebbe essere più utile picchiare tua figlia invece di te.”

“Sta lontano da mia sorella!”

Con un rapido movimento Takeru spostò Naoko dietro la propria schiena, tentando di darle riparo e preparandosi ad affrontare il Sicario.

“Oh! Abbiamo l'eroe della giornata, sto tremando di paura!” L'uomo si sistemò il ciuffo biondo, mentre continuava ad avanzare imperterrito.

Qualcun altro sulla piazza si mosse, un uomo che aveva deciso di non restare più in disparte, di non lasciare sola la moglie di un vecchio amico :

“Aspettate! Quello che ha detto la signora è vero: non abbiamo nulla da dire.”

Makoto cominciava a spazientirsi per quella faccenda che si stava trascinando per le lunghe, e si mosse irrequieto sulla sella, prima di controbattere ironico:

“Come no, vecchio! Vuoi dirmi che i Ribelli frequentano questo inutile ammasso di case senza che voi ve ne accorgiate? Capisco che non siate dei geni, ma mi sembra impossibile anche per voi non notare una cosa del genere.”

L'uomo deglutì, invocando l'aiuto della dea Machiko per non reagire in maniera sbagliata alla provocazione dell'inviato del Reggente.

“Certo che vediamo i Ribelli venire qui e portarci aiuti necessari, gli aiuti che ci vengono negati dalla Casa Reale, ma non sappiamo quando verranno la prossima volta, ne tanto meno dove sia il loro covo, per cui anche volendo nessuno di noi potrebbe dirvi nulla. Non possiamo inventarci le cose solo per fare contento il vostro signore.”

“Piccolo idiota! - Makoto sbraitò – Vedrai cosa succede a chi cerca di prenderci per fessi! Hai firmato la condanna di questo posto!”

Con un gesto il Sicario richiamò l'attenzione di tutti gli uomini del Gruppo Speciale, fermi in attesa di potersi finalmente divertire e sfogare, tenendo alta la nomea dei Sicari di Azumachi.

“Ragazzi, fate quanti più danni possibili, se trovate qualcosa di vostro gradimento potete portarvelo a casa. In quanto a te Louis, sei libero di procedere come più ti aggrada con le tue vittime.” Così dicendo Soda spronò il suo destriero per investire l'uomo che aveva osato prendersi gioco della sua autorità e del suo potere.

Napoleon si scrocchiò le nocche delle mani, pronto a sfidare il suo oppositore, non senza aver fatto sapere la sua all'amico:

“Makoto, non ho certo bisogno che tu mi dica cosa posso o non posso fare!” e cominciò a prendere a pugni Takeru, che tentava inutilmente di resistere contro un avversario più forte ed addestrato di lui. Si era gettato tra la sorella ed il Sicario per istinto, per cercare di evitare le botte a lei ed adempiere al suo compito di fratello maggiore, ma non era veramente preparato a combattere, lui era solo un contadino, dall'indole pacifica, quello che sapeva usare le armi, quello che aveva un carattere più infiammabile, in famiglia, era un altro. Sperava che Naoko avesse avuto il buon senso di allontanarsi e cercare un riparo, invece la giovane era ancora dietro di lui, pietrificata per lo spavento.

“Tutto qui quello che sai fare, pivello? - Napoleon assestò un ultimo colpo violento allo stomaco di Takeru, facendolo cadere quasi esanime al suolo – E ora veniamo a noi fanciulla. Sai che sei proprio carina? Sei sprecata in un posto del genere, il tuo posto ideale sarebbe in uno dei bordelli della Cittadella!”

All'udire quelle parole Naoko sentì il sangue gelare, intuendo quale trattamento l'uomo avesse intenzione di riservarle.

“Pezzente.” Riuscì a sibilare Takeru a mezza voce, ma sufficiente ad essere udito dell'uomo del nord che prontamente gli assestò un calcio.

“Nessuno ha chiesto la tua opinione.”

Nel frattempo tutta città era messa a soqquadro dall'intero Gruppo Speciale: porte e finestre venivano sfondate, le abitazioni spogliate dei pochi beni rimasti agli abitanti. Chi cercava di opporre una minima resistenza riceveva in cambio botte e pure chi tentava di farsi da parte, ormai rassegnato, spesso veniva spintonato o travolto dai cavalli dei Sicari che nella loro foga non prestavano troppa attenzione a dove dirigevano gli animali. Soda aveva appena passato da parte a parte un paio di cani che si erano lanciati nell'estrema difesa della famiglia dei loro padroni, mentre Sho aveva abbattuto quasi a mani nude un porticato in legno. L'unica cosa che i Sicari non avevano fatto era tentare di appiccare il fuoco: essendo stata in passato una delle città più importanti, a differenza di molti villaggi in cui avevano fatto razzia, le case del centro di Saitama, anche se variamente malmesse, erano pressoché tutte in muratura, per cui un incendio avrebbe causato danni relativi ed avrebbe avuto una diffusione più lenta di quanto avrebbe fatto in un abitato di capanne di legno.

Un gruppo di ragazzini che si era allontanato dalla città all'insaputa degli adulti per cercare un paio di ore di svago poco distante, fece ritorno e si trovò nel mezzo della devastazione: solo il grido di uno di loro e i riflessi allenati grazie alla giovane età e alle continua attuazione di marachelle gli permisero di disperdersi ed evitare di venire travolti anch'essi.

Dopo essere rotolato in mezzo alla polvere, il più piccolo si rialzò ed osservò meglio la terribile scena: nel caos riuscì ad identificare sua madre con gli abiti logori presso la fontana, suo fratello a terra sanguinante e sua sorella che stava per essere aggredita da un uomo. Si chinò, raccolse una pietra e caricò la piccola fionda che portava sempre con sé, colpendo il Sicario biondo ad una spalla, costringendolo a voltarsi nella sua direzione.

“Abbiamo un'altra pulce che tenta di fare l'eroe?”

“Non faccio l'eroe, difendo solo la mia famiglia.” Ribatté il ragazzino orgoglioso.

“Oh, devo dire che spuntate come funghi infestanti. Ma guardati bene intorno, cosa pensi di fare da solo contro tutto questo.” Napoleon si mise a ridere sguaiatamente, mentre alle sue spalle Makoto lo raggiungeva per unirsi anche a lui al momento ironico.

“Forse io da solo non potrò fare molto, ma appena mio fratello Kojiro verrà a sapere quello che avete fatto a Saitama ve la farà pagare coi suoi uomini.”

Takeru, che aveva assistito a tutta la scena, emise un rantolo:

“Masaru, stai zitto.”

Ma era troppo tardi, Soda aveva inteso il nome odiato:

“Nanerottolo, intendi dire che tu sei fratello del capo di quella feccia dei Ribelli? Questo cambia tutto! - con un rapido gesto l'uomo girò il cavallo e sbraitò il suo ordine – Catturateli subito tutti e tre, il nanerottolo, l'eroe e la ragazza. Li porteremo al cospetto di Kanda e lui deciderà cosa farne. La madre potete lasciarla qui a piangere e a disperarsi di aver perso tutti i suoi preziosi figli in un colpo solo.”

In men che non si dica tutti i Sicari furono addosso ai tre giovani Hyuga, che non poterono opporre alcun tipo di resistenza e vennero catturati. Solo Louis guardava sconcertato l'amico:

“Ti sei decisamente rammollito, una volta non ti saresti accontentato di farli prigionieri per aspettare che sia un altro uomo a dirti cosa fare, avresti fatto quello che serviva all'istante e da solo.”

 

 

 

 

 

 

 

Koshi Kanda sedeva presso il piccolo tavolo della sua stanza, esaminando distrattamente le scartoffie consegnategli dal contabile, annoiato da tutta quella burocrazia. Normalmente avrebbe lasciato nello studio al piano inferiore quell'ammasso di carta e numeri, ma mentre rientrava alla Torre del Sovrintendente coi documenti aveva incontrato una distrazione, a causa della quale era salito direttamente all'ultimo piano. Strinse la cintura della vestaglia di seta leggera che indossava e si voltò a guardare verso il letto: la massa scompigliata di capelli castani e la bianca schiena di Kumi emergevano dai cuscini e dalle lenzuola color mattone. Come d'abitudine, avevano soddisfatto i loro appetiti molto voracemente ed ora Lady Sugimoto dormiva, o almeno così pareva, con quella Strega non si poteva mai sapere.

Il Reggente si versò del vino rosso in una coppa, la vendemmia di due anni prima a Kobe era stata ottima, forse la migliore annata dell'ultimo decennio, mentre invece quell'autunno i grappoli sarebbero stati pessimi, a causa della siccità che aveva colpito l'intero Principato. Sorseggiando lentamente, l'uomo si alzò e si avvicinò alla finestra, rimirando con uno sguardo smanioso la Torre Centrale, dove si sarebbe già trasferito da un po' se non fosse stato per Kumi che l'aveva convinto a mantenere ancora per poco tempo una parvenza di rispetto per la Casa Reale, almeno finché non fosse trascorso un periodo ragionevole dal momento in cui avevano finto di inviare un uomo sulle tracce di Tsubasa per convincerlo a rientrare, e far credere a tutti che il Principe Legittimo risulti disperso. Solo allora Kanda avrebbe potuto rimuovere gli stemmi della famiglia Ozora ed innalzare il suo vessillo sulla Fortezza e su tutta la Cittadella. Di scattò strinse la mano sinistra a pugno: odiava quello stato di limbo e di inattività, voleva proclamarsi subito sovrano assoluto e indiscusso del Principato, ormai avrebbe dovuto poterselo permettere, ma Kumi gli ricordava di continuo come ci fossero ancora troppe persone fedeli agli Ozora in posizioni di potere strategiche, a cominciare da quel parassita di un Capitano della Guardia Reale. Forse avrebbe dovuto usare contro di lui qualcuna delle scorribande di Makoto e compagni, farle passare come suoi ordini ed avere una scusa plausibile agli occhi di tutti per sbarazzarsene, magari poteva già sfruttare l'uscita a Saitama del Gruppo Speciale quel giorno stesso. Ormai il tramonto era prossimo e gli uomini non dovevano essere molto distanti.

Un borbottio proveniente dal letto lo fece voltare e gli permise di constatare che la Lady si era svegliata e lo stava osservando, puntellata su un gomito:

“Fammi indovinare – disse la donna – stai pensando a come eliminare Wakabayashi?”

“Adesso leggi anche nel pensiero?”

“Può darsi, i miei poteri sono più di quelli che pensi. Ora ho la gola secca!” Lo disse quasi come un ordine, con la sua solita impertinenza: Kanda a volte pensava che avrebbe dovuto liberarsi anche di lei e restare il solo signore incontrastato del regno invece di dividere il potere, tuttavia si avvicinò alla donna e si sedette sul bordo del letto, offrendole la sua stessa coppa. La Strega bevve avidamente un lungo sorso.

“Buono. Kobe?”

“Certamente, solo il meglio per noi.” Le sorrise riprendendosi la coppa e svuotandola.

Kumi si stiracchiò, per poi protendersi in avanti e baciarlo sulla bocca, in un ultimo residuo di desiderio.

L'uomo non si scompose più di tanto e ribatté:

“Pensavo che per oggi avessi già dato tutto. Ora dimmi – fissò il suo sguardo indagatore su di lei – sapresti darmi qualche particolare in più sull'incidente avuto questa mattina da Lady Honma?”

La donna si strinse nelle spalle:

“Cosa vuoi che ti dica, quella bisbetica è caduta dalla scalinata.”

“La stessa cosa che hanno detto le altre dame di corte che erano presso di lei, eppure la Lady asserisce di avere sentito come una forza spingerla.”

La Strega, che nel frattempo si era alzata, sbuffò raccogliendo la sottoveste nera:

“Se non fosse andata in giro a spettegolare con le sue compagne galline di presunti rapporti indecorosi ed inopportuni tra noi due, non le sarebbe successo nulla.” Infilò la sottoveste ed andò alla ricerca delle restanti parti del suo abbigliamento.

“Quindi sei stata tu!” Kanda sorrise compiaciuto.

“Una cosa da nulla, mi è bastato schioccare le dita e se si azzarderà a dire ancora qualcosa che non mi garba, non mi limiterò a farla ruzzolare dalle scale.”

L'uomo si alzò in piedi, ridendo di gusto per la prima volta in quel giorno:

“Lady Kumi Sugimoto, la paladina contro le male lingue!”

La donna si voltò di scatto, le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso, con gli occhi fiammeggianti di rabbia magica.

“Koshi, se non la smetti di fare il cretino potrei usare i miei poteri contro di te.”

“Non ti scaldare! – alzò le mani in segno di resa – Però devi ammettere che queste voci hanno un loro fondamento. Certo, se ti decidessi ad accettare di diventare ufficialmente la mia compagna e moglie il problema si risolverebbe.”

“Non vedo cosa ci guadagnerei, se non il dover diventare prigioniera dell'etichetta!”

“Ragiona! Potremmo regnare insieme apertamente e prima o poi avrò bisogno di un erede – mentre parlava le si era avvicinato e ora l'aveva afferrata per i fianchi sottili – o hai paura che una gravidanza ti rovini il fisico?”

“Idiota! - sibilò lei di rimando, liberandosi dalla presa e recuperando finalmente il proprio vestito – Io non ti darò mai un figlio, ficcatelo bene in testa, il mio grembo è sterile!”

Il Reggente era rimasto di sasso a quella rivelazione, o forse era più il modo in cui lei lo aveva detto, come se non si curasse per nulla della cosa, anzi, quasi la considerasse un privilegio.

“Ma... ma...”

Kumi si guardava nello specchio e si acconciava i lunghi capelli:

“Davvero non avrai creduto che una Strega Nera, votata al Signore del Caos potesse contribuire alla presenza di una nuova vita nel mondo? Quanto sei ingenuo! Noi siamo portatrici di morte.”

E con queste parola la donna considerò chiuso l'argomento, facendo calare nella stanza un silenzio gelido, a dispetto del calore estivo ancora presente.

Furono i colpi alla porta a riscuotere Kanda, che si affrettò a stringere il nodo allentato della cintura della vestaglia.

“Chi è?” Chiese con tono burbero, sperando non fosse nulla di importante: dopo la discussione appena avuta non voleva che si potessero alimentare i pettegolezzi sul suo rapporto con la Lady trovandola nella sua stanza privata.

“Soda, mio signore.”

Il Reggente parve sollevato e concesse al Sicario il permesso di entrare. Questi aprì la porta e si inchinò al cospetto del padrone:

“Mio signore, Lady Sugimoto – aggiunse poi notando la presenza della donna – l'uscita del Gruppo Speciale a Saitama si è conclusa con una piacevole scoperta e tre piccoli regali per voi.”

“Vieni al sodo, Makoto. Non ho tempo da perdere con qualche stupido giochetto!” Kanda, notoriamente un uomo poco paziente, quando era già innervosito da altre questioni abbassava il suo livello di tolleranza quasi a raggiungere lo zero.

“Abbiamo portato tre prigionieri.”

Koshi sbatté violentemente un pugno sul tavolo:

“Per Gamo, cosa vi è saltato in mente? Mi pare di essere stato fin troppo chiaro nei miei ordini: non voglio che ritorniate dalle vostre scorribande con dei prigionieri al seguito, è troppo pericoloso. Insomma, siete Sicari, non penso che abbiate bisogno di lezioni su come trattare individui indesiderati!”

Il Reggente schiumava di rabbia, ci mancava solo quella grana da sistemare e per giunta quegli idioti non gli avevano portato un prigioniero, ma ben tre persone che potevano mettersi a raccontare in giro del trattamento ricevuto dalla loro città senza alcun apparente motivo. Doveva sbrigarsi ad eliminare Wakabayashi e far diventare il proprio potere assoluto.

Soda parve sorpreso dalla reazione eccessivamente violenta del padrone, ma quale Sicario non era disposto a farsi intimidire.

“Signore, aspettate almeno di sapere chi vi abbiamo condotto e per quale motivo.”

Kanda stava per replicare con ancora più rabbia, quando una mano si posò sulla sua spalla, invitandolo a calmarsi:

“Koshi, lascia che Soda spieghi il suo modo avventato di agire, magari ha qualche ragione – Kumi usò il suo tono più dolce e persuasivo e per completare la frase si alzò sulle punte dei piedi e gli sussurrò nell'orecchio – se questa non ti soddisferà, sarà più divertente punirlo.”

Kanda si girò a guardare la Strega e vide un lampo di perfidia e complicità balenare nei suoi occhi, sufficiente a farlo calmare un poco.

“Bene, illuminami Makoto!”

Annunciò ironicamente, versandosi dell'altro vino nella coppa.

“Nella nostra azione abbiamo scoperto che Saitama è la città dove risiede la famiglia di colui che abbiamo individuato come il capo di quella feccia che sono i Ribelli.”

Il Reggente abbassò di scatto la coppa, concedendo la sua piena attenzione al Sicario.

“Signore, oggi vi abbiamo portato i tre fratelli minori di Kojiro Hyuga. Se lo desiderate posso farveli conoscere.” Soda terminò il discorso con un ghigno malefico.

Alla notizia l'umore di Kanda virò decisamente verso la soddisfazione: finalmente aveva tra le mani qualcosa per spingere allo scoperto quel ratto di Hyuga.

“Portali alla mia presenza, immediatamente.”

Lo stesso lampo di perfidia che era passato negli occhi di Lady Sugimoto ora brillava in quelli dell'uomo, la cui mente stava già elaborando un piano per raggiungere il suo scopo, dimenticandosi di essere in vestaglia. Anche la Strega pareva incuriosita da quell'inaspettata evoluzione della vicenda.

Il Sicario aprì la porta e fece cenno al compagno Louis di entrare insieme ai tre ragazzi Hyuga. Napoleon spinse brutalmente i prigionieri all'interno della camera, accomodandosi poi su una vecchia sedia, senza aspettare di aver ottenuto il permesso del signore, guadagnandosi in quel modo un'occhiataccia dalla Lady.

Kanda squadrò i nuovi arrivati: un giovane uomo dall'aspetto non troppo minaccioso, una ragazza di qualche anno più giovane e tutto sommato dotata di una certa grazia, per concludere con uno scontroso ragazzino imbronciato.

“E così questi sarebbero i fratelli del prode Kojiro Hyuga? - esordì senza celare tutto il disprezzo che nutriva per il Ribelle - Non sembrate per nulla una minaccia come quel cane che guida quella banda di miserabili fuorilegge.”

Il più piccolo del gruppo scattò punto nell'orgoglio:

“Nostro fratello non è un cane, è un grande uomo che aiuta le persone in difficoltà e lotta contro le ingiustizie!”

“Che ingenuo – Kanda rispose pacato con una smorfia – credi davvero a tutte le favole che ti raccontano? Se tuo fratello fosse davvero questo uomo perfetto, perché i soldati di tutto il Regno gli darebbero la caccia? Perché sarebbe costretto a vivere nascosto chissà dove nella foresta?”

“Perché in realtà i cattivi siete voi e il vostro padrone il Principe!”

L'uomo dovette trattenersi dalla voglia di mollare un ceffone al ragazzino, non tanto per essere stato definito cattivo, ma per essere stato apostrofato come servo di qualcuno.

“Risposta sbagliata! Tanto per chiarire il vero signore del Principato sono io e nessun altro, ma non credo che ormai per voi farà molta differenza: la vostra sorte e decisa.”

Così dicendo fece qualche passo nella stanza, avvicinandosi anche agli altri due: la ragazza tremava come una foglia e si stringeva al fratello maggiore, il quale osservava tutto in silenzio, ma con sguardo deciso.

“È venuto il momento di costringere quel topo di latrina di Hyuga ad uscire allo scoperto e cosa c'è di meglio che mettere in palio la vita dei suoi preziosissimi fratelli? Napoleon, conducili alle celle sotto il castello e assicurati che abbiano la più fredda ed umida, poi fai venire Hito al mio cospetto per domani mattina. Soda, invece tu convocherai Wakabayashi, sempre domani in mattinata: entrambi verranno informati che tra tre giorni avrà luogo un'esecuzione nella piazza principale della Cittadella. Quasi dimenticavo, come premio per i servigi tu potrai giustiziare il nostro amichetto dalla lingua lunga. E ora andate entrambi!”

Solo a quel punto il più grande dei fratelli Hyuga sembrò uscire dal suo mutismo:

“Maledetto! Maledetto! La Dea non ti perdonerà mai questo affronto!”

“Ma fatelo tacere!” Così dicendo il Reggente voltò le spalle alla porta, mentre i due Sicari partivano per eseguire i loro compiti e le proteste dei giovani Hyuga si perdevano nei corridoi vuoti della torre.

Rimasti da soli Kanda e Kumi scoppiarono a ridere pieni di malvagità.

“Devo dire che mi hai sorpresa – esordì la donna – non ti credevo capace di raggiungere una simile vetta di crudeltà!”

“E aspetta di vedere il ruolo che ho riservato al nostro prode Wakabayashi in tutta questa vicenda!”

Kanda rise nuovamente, mentre la sera calava su quella giornata per lui quasi perfetta: aveva per le mani la chiave per schiacciare definitivamente i Ribelli, probabilmente sbarazzarsi del Capitano della Guardia e rendere ancora più solida la sua posizione sul trono.



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E Kanda ha fatto la prima mossa per scuotere in maniera decisa gli equilibri che si erano creati. Come reagirà Kojiro quado verrà a sapere dei piani del Reggente? E Wakabayashi?

Nonostante io abbia giocato un po' con le età dei nostri protagoisti, per i fratelli di Kojiro ho deciso di mantenere gli stessi rapporti d'età esistenti nel manga, per cui il più piccolo dovrebbe avere circa nove anni in meno di Kojiro.

Qui inoltre veniamo a conoscenza di un'altra grande differenza tra le Streghe Bianche e Nere: se la maggior parte delle prime ereditano i loro poteri dalle madri, le seconde non possono procreare, nel momento in cui giurano fedeltà a Gamo diventano sterili. Quindi Streghe Nere non si nasce, si diventa: la maggior parte di esse sono Grigi che hanno scelto la via del male, ma esiste anche una piccola parte di Streghe Bianche che hanno abbandonato la Dea dell'Armonia e sono state corrotte dal signore del Caos. (Il contrario è quasi impossibile, non tanto per l'impossibilità di un malvagio di redimersi, anche se in una Strega Nera il male è completamente radicato, quanto più che altro per il fatto che il caro Gamo non si faccia molti problemi ad eliminare una Strega che tenta di rinnegare i suoi giuramenti.)

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Capitolo 13
*** Stanza XIII ***


Al Toho l'atmosfera era pesante, l'aria era quasi irrespirabile e soffocante. Anche se la calura estiva era ancora intensa, quella morsa che stringeva tutti gli abitanti del villaggio nascosto era di ben altra natura. Takeshi Sawada osservava con attenzione il non più giovane Jinnosuke Matilda che si rifocillava con alcune delle loro provviste e ripensava al loro incontro di quella mattina.

Era uscito insieme a Ken dalla zona protetta dal Passaggio allo spuntare del sole, per una piccola caccia mattutina, sperando di sorprendere qualche animale che approfittava delle ultime ore fresche per abbeverarsi: la siccità stava cominciando a creare problemi nel reperire cibo anche all'interno della foresta. All'improvviso avevano sentito un rumore e si erano appostati tra i cespugli, pensando di aver finalmente individuato una preda, ma ciò che era spuntato loro davanti dalla boscaglia non se l'erano mai aspettato: un vecchio ronzino malmesso su cui si teneva in sella a fatica un uomo quasi stremato. Ad una prima occhiata pareva che avesse vagato per la foresta per tuttala notte. Ken aveva fatto un gesto al compagno per indicargli di restare nascosto e lasciare proseguire l'uomo per evitare qualsiasi tipo di imprevisto. Fu solo quando il vecchio fu sfilato presso il cespuglio dove era posizionato che Takeshi lo aveva riconosciuto ed era uscito istintivamente allo scoperto per farsi riconoscere a sua volta.

“Maestro Matilda!”

Lo sconosciuto, al richiamo, aveva tirato le redini del ronzino e si era voltato, ma non era riuscito a capire chi fosse il giovane che gli aveva parlato.

“Maestro, sono io, Takeshi Sawada!”

Un sospiro di sollievo era uscito dalle labbra dello stanco Jinnosuke.

“Takeshi, ragazzo mio. Finalmente sono riuscito a trovare qualcuno!”

Jinnosuke Matilda era uno dei vecchi insegnanti della scuola di Saitama: quando la città era al culmine del suo splendore possedeva una struttura dove i ragazzi di tutte le famiglie, ovviamente divisi tra nobili e popolari, maschi e femmine, potevano apprendere le basi della scrittura, dei calcoli ed altre discipline. I bambini dei ceti meno abbienti ricevevano un'istruzione di base almeno fino a che non raggiungevano l'età per poter contribuire al sostentamento della famiglia col lavoro nei campi o altre attività. I figli dei nobili potevano proseguire i loro studi ed i più promettenti potevano raggiungere un livello tale da essere ammessi agli studi avanzati dell'Accademia dei Priori alla Cittadella, per diventare membri dell'ordine. Il sistema scolastico di Saitama era di gran lunga il più avanzato del regno, poiché permetteva a tutti indistintamente di accedere ai rudimenti dell'alfabetizzazione. Nel Principato purtroppo non esisteva una legge che regolamentasse in modo uniforme l'insegnamento per cui ogni città e zona prendeva le sue misure: in alcune zone erano i Sacerdoti a gestire tutto, in altre era il Priore locale a selezionare gli insegnanti, in altri casi ancora le due figure collaboravano; molti nobili invece preferivano dei precettori privati. Jinnosuke Matilda aveva insegnato per tantissimi anni nelle classi dei bambini popolari e, nonostante la sua esperienza gli avrebbe permesso di occuparsi anche delle classi dei figli dei mercanti o dei nobili, aveva sempre ritenuto giusto che tutti potessero avere gli strumenti per leggere e fare di conto. Con la decadenza di Saitama, anche la scuola era stata abbandonata, ma Jinnosuke aveva continuato a riunire attorno a sé tutti i pochi bambini e ragazzi rimasti, ma desiderosi di apprendere. Tra i suoi allievi più recenti c'erano alcuni degli attuali membri dei Ribelli, tra cui lo stesso Kojiro Hyuga.

Sawada gli si era avvicinato in tempo per sorreggerlo e impedirgli di cadere dalla cavalcatura, mentre anche Ken aveva abbandonato il suo nascondiglio.

“Maestro, cosa ci fate qui?”

“Ragazzo mio – aveva risposto l'uomo con profondo dolore - è successa una cosa terribile in città.”

Tutto d'un fiato aveva raccontato dell'irruzione della Guardia Reale del giorno prima, dell'aggressione alla madre di Kojiro e del rapimento dei suoi fratelli, aggiungendo che dopo il fatto nessuno dei pochi uomini adulti di Saitama aveva osato fare nulla per impedire l'accaduto o per cercare di porvi rimedio, così era toccato a lui mettersi in sella di quel vecchio e malandato ronzino per raggiungere la foresta Meiwa e sperare di avere la fortuna di imbattersi in qualcuno dei Ribelli per portare la notizia a Hyuga. Era in viaggio dal pomeriggio precedente ed era stremato.

Non appena appreso cosa fosse capitato, Ken non aveva esitato ed era subito partito alla volta della Cittadella per cercare di carpire qualche notizia sui piani del Reggente riguardo ai fratelli di Kojiro, sperando che non avesse già compiuto l'irreparabile, ed aveva ordinando a Takeshi di condurre l'uomo al villaggio perché potesse riferire di persona anche al capo ciò che aveva già raccontato a loro.

Sawada l'aveva condotto al Toho attraverso l'accesso secondario, dove la palude era quasi completamente prosciugata, cosa che aveva portato i Ribelli a fare delle riflessioni sulla possibilità di installare delle sentinelle a quel punto di ingresso alla radura, per evitare di ricevere ospiti sgraditi al villaggio.

Takeshi si riscosse dai suoi pensieri e tornò a concentrarsi sul presente, al villaggio, sull'atmosfera pesante e sul silenzio teso, spezzato ogni tanto solo dai vagiti del piccolo Hiroya, chiamato così da Ryo e Yukari in onore di Shimada, loro compagno caduto.

Si voltò in direzione di Kojiro: il Capo dei Ribelli si muoveva in circolo per tutta la radura, come un animale in gabbia, incapace di stare fermo. Dopo l'iniziale piacere mostrato nel trovare il suo vecchio maestro, Hyuga era diventato furioso nell'apprendere della sorte dei suoi fratelli ed aveva cominciato a sbraitare ordini a tutti ed in tutte le direzioni e sarebbe partito di corsa per la Cittadella se il Principe non lo avesse fermato. Takeshi aveva i brividi al ricordo del loro diverbio, non aveva mai visto Kojiro in preda ad una rabbia così cieca, che gli impediva di ragionare, una versione moltiplicata rispetto al giorno in cui avevano perso Shimada.

“Fermati! Così andrai solo a farti ammazzare!” Gli aveva gridato il Principe e per questa sua intromissione si era meritato un'occhiata che avrebbe fatto desistere chiunque.

“Non mi interessa! Io devo andare dai miei fratelli! Non li lascerò nelle mani di quello un istante di più.”

Il Principe però non si era scoraggiato e in un istante aveva raggiunto l'altro:

“Kojiro, ragiona! Non puoi entrare alla Cittadella da solo e senza un piano. Non aiuterai i tuoi fratelli in questo modo!”

“Stai zitto! - il Capo dei Ribelli aveva spinto violentemente a terra l'interlocutore – Non parlare di cose che non puoi capire!”

“Kojiro!” Maki l'aveva richiamato per tentare di farlo calmare, ma Takeshi aveva pensato che non sarebbe mai stato possibile.

Sollevandosi dalla polvere in era caduto, Jun aveva replicato in tono duro:

“Hai ragione, non posso capire come ci si senta ad avere tre fratelli prigionieri di un tiranno, ma ho un fratello anch'io, in viaggio non si sa dove che potrebbe benissimo essere morto mentre noi parliamo, e ho la responsabilità di proteggere tutto il Regno dal tiranno. So che non è facile attendere senza fare nulla, ma almeno aspetta che Ken rientri con delle informazioni. Ne abbiamo bisogno per riuscire a salvare i tuoi fratelli.”

“Ha ragione lui, aspettiamo Ken.” Anche Maki si era schierata con il Principe.

Contrariamente alle proprie previsioni, Takeshi aveva visto Kojiro calmarsi ed acconsentire a quell'attesa.

Ora però Hyuga si era nuovamente inquietato, Wakashimazu tardava a rientrare, il mezzogiorno era passato già da qualche ora. Sawada si voltò in direzione del Principe e notò come anche questo stesse cominciando a perdere la calma, forse temeva che il ritardo di Ken significasse che alla Cittadella la questione fosse più grave di quanto pensasse.

Il rumore di un cavallo al galoppo fece scattare tutti in piedi ed impugnare le armi a chi le aveva vicine, temendo che la Guardia Reale avesse scoperto il loro rifugio. Gli archi si tesero e la presa sulle spade si fece più salda.

Ken Wakashimazu, appena raggiunse la radura e i compagni tirò le redini e fece arrestare la propria cavalcatura, scendendo poi al volo.

“Ken, grazie alla Dea sei tu! - Esclamò Maki, mentre una parte della tensione si dissolveva – ma dove hai preso l'animale?”

L'uomo scrollò le spalle con noncuranza:

“L'ho rubato poco fuori dalla Cittadella, per rientrare più in fretta e sono passato dalla ormai quasi ex palude. Non so neppure a chi apparteneva, spero a qualche tirapiedi di Kanda.”

Ken non era solito commettere furti di quel tipo, ma data l'urgenza della situazione si era sentito giustificato e sicuro che nessuno l'avrebbe biasimato.

“Hai rubato un cavallo?” Gli chiese Jun stupito.

Subito Kojiro lo raggiunse, ansioso e furioso allo stesso tempo: fremeva per avere notizie dei fratelli e per scagliarsi contro il suo nemico, ora che la questione era diventata personale.

“Allora, ce ne hai messo di tempo! Cosa hai scoperto?”

“Nulla di buono. – Wakashimazu prese una pausa per togliersi il mantello sudato – Kanda vuole giustiziare i tuoi fratelli nella piazza principale della Cittadella tra due giorni, a metà pomeriggio. ”

“Maledetto bastardo! Lo ucciderò prima che possa anche solo fargli scorgere da lontano il patibolo!” Comprensibilmente, Kojiro schiumava di rabbia, anche se aveva immaginato già da un pezzo quali fossero le intenzioni di Kanda, quel verme non aveva risparmiato villaggi ed innocenti, perché avrebbe dovuto fare un'eccezione per i suoi fratelli?

Pian piano tutti si erano avvicinati a Ken per ascoltare il suo racconto.

“Dove sono tenuti ora i ragazzi?” Lo spirito pratico di Jun gli aveva subito fatto porre una delle questioni fondamentali.

“Nelle segrete sotto la Fortezza.”

“Praticamente inespugnabili.” Il Principe scosse la testa, conosceva bene la struttura di quelle celle e sapeva che non avrebbero avuto nessuna possibilità di far evadere i tre fratelli prima dell'esecuzione.

“E con questo? - sbraitò Kojiro – Io li tirerò fuori da lì e li salverò, a costo di morire!”

Maki gli appoggiò una mano sulla spalla, per offrirgli completamente il sostegno della sua presenza:

“Certo che li salverai e io verrò con te.”

Jun esitò un istante, soppesando le parole, non volendo far irritare ancora di più Hyuga o rischiare di venire frainteso, tuttavia doveva avvertirlo:

“Kojiro, ti rendi conto che è tutta una trappola del Sovrintendente per attirarti alla Cittadella? Perché aspettare tre giorni dal momento della cattura per eseguire la condanna?”

Kojiro strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e Ken aggiunse:

“Ha ragione lui: Kanda sta inviando i suoi scagnozzi a spargere l'annuncio dell'esecuzione per tutta la Cittadella e le campagne limitrofe, sembra voglia essere certo che ti giunga la notizia.”

“E cosa dovrei fare secondo voi? Restarmene rintanato?”

Jun scosse la testa e si avvicinò di un passo, guardandolo dritto negli occhi:

“No, ma come ti ho detto prima hai bisogno di un piano. Non possiamo andare là e improvvisare.”

“Possiamo?” Hyuga alzò le sopracciglia interrogativamente ed il Principe rispose sicuro:

“Esatto: possiamo. È giunto il momento di affrontare apertamente Kanda, gli uomini sono pronti e la posta in gioco è diventata troppo alta. E credo che nessuno dei Ribelli ti lascerebbe tentare la missione da solo. Dobbiamo porre fine alla tirannia di Kanda e della sua Strega.” Concluse.

Tutti gli uomini dei Ribelli annuirono e lanciarono grida di approvazione ed incitamento. Solo Wakashimazu restò perplesso:

“Vi faccio notare che non possiamo entrare tutti nella Cittadella per il passaggio segreto, solo due o tre persone potrebbero farcela.”

“Ma per sconfiggere Kanda abbiamo bisogno di più uomini possibile, lui avrà tutta la Guardia Reale dalla sua.” Obiettò Maki.

Il Principe scosse la testa:

“Di sicuro la sorveglianza agli accessi della Cittadella sarà strettissima. Abbiamo bisogno di un aiuto dall'interno per entrare.”

Kojiro incrociò le braccia e sbuffò ironico:

“E di grazia, a chi stai pensando di chiedere? Al Capitano della Guardia?”

“No, però... Lady Sorimachi! Lei potrebbe aiutarci. È abbastanza vicina agli ambienti militari e della corte per avere una visione chiara della situazione. Ho bisogno di parlare con lei stanotte.”

Jun lanciò uno sguardo a Ken, chiedendogli silenziosamente aiuto.

“Se credi che sia l'unica soluzione, posso portarti al passaggio segreto. Abbiamo il cavallo, dovremmo farcela a raggiungere le mura per il tramonto. Sempre che Kojiro sia d'accordo.”

I due si voltarono all'indirizzo del Capo dei Ribelli, attendendo la sua risposta.

“Vi siete finalmente ricordati che il Capo sono io qui! - esordì questo in tono burbero – Vedete di combinare qualcosa di utile laggiù! - poi addolcì la voce – In questi mesi i tuoi piani hanno portato sempre i frutti sperati, non deludermi proprio stavolta.”

Il Principe annuì, rendendosi conto che per Kojiro rinunciare ad entrare in azione all'istante e per di più mandare qualcun altro in esplorazione mentre i suoi fratelli erano prigionieri costasse parecchio sforzo. Fece un cenno a Ken, che nel frattempo aveva raggiunto qualcosa da mangiare per recuperare un poco di energia.

“Andiamo, prima troviamo Lady Sorimachi, meglio sarà per tutti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna attraversava in fretta le strade buie della Cittadella, quasi incurante dei pericoli che, nonostante la sua dimora si trovasse nella parte più nobile dell'abitato, si potevano nascondere dietro gli angoli.

Davanti alla porta si fermò e armeggiò con la chiave.

“Lady Sorimachi?”

Fulminea si girò verso il suo interlocutore, brandendo una lunga lama argentata. Era alto ed aveva il volto nascosto da un cappuccio.

“Cosa volete? Badate, non sarà facile mettermi fuori combattimento.”

Un secondo uomo spuntò dall'oscurità, avvicinandosi ai due e cercando di riportare la situazione alla calma: se per caso fosse passata la ronda della Guardia Reale in quel momento, tutti i loro piani sarebbero falliti miseramente.

“Yasu, ascolta!”

Al suono di quella voce la mano con cui la donna reggeva il coltello tremò per lo stupore. Per un istante pensò di essersi sbagliata, che la sua mente le avesse giocato un brutto scherzo, ma quando lo sconosciuto aprì nuovamente la bocca non seppe che pensare.

“Vogliamo solo parlarti.”

“Ma... ma... voi... dovreste...” Riuscì solo a balbettare, in preda all'incredulità.

Fu il primo uomo, quello che l'aveva interpellata, a fermarla:

“Non qui. È pericoloso, la segretezza per noi è importante.”

Lady Sorimachi annuì e spalancò la porta, facendo entrare entrambi in casa, dimenticandosi di tutte le precauzioni per la sua incolumità. Se in quel momento l'avesse vista sua fratello, non si sarebbe limitato a disapprovare. Eppure l'istinto le diceva che poteva fidarsi.

Si avvicinò al camino, cercando l'occorrente per accendere delle candele e illuminare la stanza: era molto semplice, con le pietre a vista, fornita di tutto l'essenziale e con poche decorazioni, nonostante la padrona di casa avesse potuto benissimo permettersele.

Yasu si voltò, reggendo con la mano sinistra una candela e con la destra il coltello: l'uomo più basso aveva sollevato il cappuccio, permettendole di riconoscerlo. La donna dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non gridare o far cadere qualcosa.

“Dea misericordiosa! Jun! Come...”

La voce le morì in gola, ma nei suoi occhi si leggeva la domanda che voleva porgli.

“Kanda ha raccontato a tutti un sacco di menzogne: io sono stato, diciamo trattenuto, nella foresta dai Ribelli e lui ne ha approfittato per inscenare la mia morte, con tanto di funerale solenne, a quanto mi è stato riferito.”

Lady Sorimachi si avvicinò al tavolo, si liberò di ciò che teneva in mano e corse ad abbracciare di slancio il Principe.

“Jun! Questa è la notizia migliore da un sacco di tempo!”

“Già.” Sussurrò appena Jun.

Dopo qualche istante, Yasu si separò da lui piuttosto imbarazzata.

“Chiedo scusa per il mio comportamento! - Afferrò la propria gonna e fece una riverenza – Vostra Altezza.”

Il Principe le sorrise e le offrì una mano, per aiutarla a risollevarsi:

“Dai Yasu! Non essere così formale, in fondo ci conosciamo fin da bambini.”

“E i nostri genitori hanno persino tentato di combinarci un matrimonio, nonostante la differenza di età.”

Entrambi repressero una risata al ricordo, con una fitta di nostalgia: era passato il tempo in cui la loro unica preoccupazione era evitare un matrimonio in cui ci sarebbe stata stima e affetto tra gli sposi, ma non amore. Nonostante fossero ottimi amici e trovassero piacevole il tempo trascorso insieme, quell'unione sarebbe stata voluta solo dall'alto e, soprattutto, sarebbe stata più politica che altro, imparentando una delle più nobili casate con la famiglia reale.

“Yasu, ti presento il mio compagno: Ken Wakashimazu.”

Il secondo uomo, che fino a quel momento si era mantenuto in disparte, assistendo in silenzio alla scena, avanzò verso la donna. Per un attimo, quando i loro sguardi si incrociarono, restarono bloccati sul posto, poi Wakazhimazu si esibì in un inchino e tentò un goffo baciamano.

“È un vero piacere conoscerla, Lady.”

“Il piacere è mio. Ora, lasciatemi essere una buona padrona di casa: immagino siate affamati se avete aspettato che facesse buio per entrare nella Cittadella.”

I due uomini annuirono e Yasu raggiunse la dispensa, da dove estrasse un cestino pieno di focacce.

“Non sono tutte fresche di stamattina, spero che vi vadano bene ugualmente.”

“Vanno benissimo, sul serio.”

Le rispose Jun con un sorriso, accomodandosi su una sedia e afferrandone una, facendo segno a Ken di servirsi pure.

Lady Sorimachi nel frattempo cercava bicchieri e una caraffa d'acqua.

Il Principe la osservava muoversi con sicurezza in quell'ambiente domestico, facendo fluttuare la gonna del vestito scuro. Esitò un istante, prima di rivolgersi nuovamente a lei.

“Yasu, posso farti una domanda personale?”

“Dimmi.”

“Porti ancora il lutto per tuo marito?”

La donna sospirò e si sedette, incerta sulla risposta da dare.

“Sì e no. Solo la Dea sa quanto io e Kazuki ci amassimo e quanto sia stato felice il nostro matrimonio, seppur breve. Il tempo del lutto è ormai passato, ma con Kanda che spadroneggia nel regno è meglio tenere un basso profilo e con quella feccia degli uomini che ha fatto arrivare nella Cittadella, comportarsi da vedova addolorata è molto più sicuro.”

Jun annuì, certe voci erano giunte fino nella foresta, e non poté biasimare l'amica se cercava di tenersi fuori dai guai, oltretutto era la sorella del Capitano della Guardia.

Calò un silenzio imbarazzato. Fu la donna a romperlo:

“Allora, per quale motivo mi volevate vedere?”

Ken silenziosamente si alzò e si portò vicino a una finestra, per tenere d'occhio la strada, mentre il Principe non fece giri di parole e arrivò subito al punto:

“Ci serve il tuo aiuto, a me e ai Ribelli. Vogliamo porre fine al dispotico regno di Kanda e io voglio riprendermi ciò che è mio di diritto.”

Quelle parole fecero scattare Yasu:

“Perché adesso? Perché hai aspettato che Kanda riducesse allo stremo metà della popolazione del Principato, che bruciasse villaggi, che commettesse assassinii? Perché non sei tornato prima?!”

“Perché prima non potevo! - Jun strinse nervosamente i pugni, rivivere quella parte di storia gli faceva sempre male. - Non avrei potuto fare nulla, ero troppo debole. Il Sovrintendente e Kumi mi stavano avvelenando a morte e per poco non ci sono riusciti. Se avessi rivendicato subito il trono, Kanda mi avrebbe eliminato muovendo un solo dito. Ho dovuto aspettare di recuperare le forze e che gli uomini fossero sufficientemente addestrati per fronteggiare la Guardia.”

“Intendi usare la forza?”

“È l'unico modo. Sai cosa ha in mente di fare tra due giorni il nostro amato Sovrintendente?”

“Purtroppo sì, quei poveri ragazzi...” La donna si portò le mani al petto.

“Noi dobbiamo impedirglielo, a tutti i costi! Soprattutto Kojiro non si perdonerebbe mai se succedesse qualcosa ai suoi fratelli.” Il Principe strinse ancora più forte i pugni, arrivando ad affondare le unghie nella carne.

“E io che posso fare?”

“Dobbiamo riuscire a entrare in città armati senza dare nell'occhio. L'accesso principale è escluso, i Guardiani della Porta sono insuperabili, così come il passaggio segreto, siamo in troppi perché nessuno se ne accorga. Alla porta secondaria solitamente è posto qualcuno della Guardia Reale, sotto il diretto controllo di tuo fratello...”

“Non dire altro. - Yasu lo bloccò, aveva capito cosa avrebbe dovuto fare. - Cercherò di fare in modo che Genzo lasci la porta incustodita o al più che metta qualcuno dei ragazzi che conosco in modo da poterli distrarre al momento opportuno, ma non ti assicuro nulla.”

Jun la ringraziò con un sorriso e si versò dell'acqua nel bicchiere, bevendo avidamente.

Lady Sorimachi stava per chiedere maggiori dettagli sul piano dei Ribelli, ma Ken la interruppe:

“Arriva qualcuno! Aspettavate visite?”

La donna fece un cenno di diniego.

“A quest'ora solo Genzo potrebbe venire.”

Sentirono bussare alla porta, dei colpi secchi e decisi.

“Chiunque sia, non deve trovarci qui.” Le sussurrò Jun.

“Il vano delle scale, nascondetevi lì! Nemmeno mio fratello sale di sopra senza il mio permesso.”

La Lady aspettò che gli uomini fossero ben nascosti, riprese il suo coltello e si avvicinò all'ingresso.

“Chi è?”

“Sono io, Genzo.”

Riconobbe la voce e spostò il chiavistello per aprire e lasciarlo entrare.

“Come mai la lama in mano?”

“Sai, a quest'ora non si sa mai chi può essere.”

Rispose, facendo poi sparire l'arma in una delle ampie maniche, dove solitamente lo teneva. Era stato proprio il fratello ad insegnarle quel trucco, quando ancora erano ragazzini, così avrebbe potuto avere sempre con sé un'arma per difendersi da sola, data la sua avversione ad essere protetta.

Wakabayashi entrò e, come sua abitudine, ispezionò con un'occhiata tutta la stanza, fino ad arrivare al tavolo, dove notò i tre bicchieri.

Yasu seguì il suo sguardo e si morse un labbro, elaborando il più velocemente possibile una scusa.

“Ho interrotto qualcosa? Avevi ospiti?”

“No. - agitò una mano davanti al viso – Oggi pomeriggio sono passate alcune amiche, poi siamo uscite senza che avessi il tempo di rimettere in ordine. Stavo sistemando adesso.”

“Davvero?”

“Non ti fidi di me?”

Genzo la fissò negli occhi, in quegli occhi identici ai suoi, e stabilì che poteva crederle. Si lasciò cadere su una sedia.

“Sì, scusami. Solo che in questi giorni è un incubo dietro l'altro.”

Si prese la testa tra le mani, scuotendola sconsolato e disperato: in tanti anni mai aveva odiato il suo compito di Capitano come in quel momento.

La sorella si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

“Che è successo ancora?”

Wakabayashi deglutì.

“Dopodomani, alle esecuzioni, il Reggente ha ordinato che sia io a occuparmi della ragazzina. - Sollevò il volto. - Yasu, non posso farlo! Ho giurato di essere fedele a Kanda di obbedire ai suoi ordini, ma non l'ho fatto per essere usato come assassino. Lui lo sa, sa che per me è impossibile uccidere una ragazza a sangue freddo, anche se è la sorella del Capo dei Ribelli, per questo ha scelto me, vuole una prova della mia fedeltà. Se rifiuto di farlo mi farà arrestare e giustiziare per tradimento, lo sento. ”

Yasu gli afferrò la testa e la portò vicino al suo petto, per consolarlo, come faceva la loro madre quando erano piccoli e combinavano qualche marachella.

“Shhh. Se ti fidi di me non dovrai farlo. Potrai mantenere fede ai tuoi princìpi senza perdere il tuo onore.”

Genzo sbuffò poco convinto.

“Hai forse il potere di far mutare d'avviso il Reggente?”

“No, però conosce le persone giuste!”

Jun, che aveva origliato la conversazione, decise di uscire allo scoperto: come aveva sempre saputo, Genzo Wakabayashi era un uomo di cui potersi fidare e, ancora una volta, si pentiva che non fosse stato offerto a lui il ruolo di Sovrintendente.

Wakabayashi si voltò di scatto e rimase interdetto. Cadde in ginocchio.

“A... Altezza! Questo è un miracolo della Dea!”

“Più o meno.” Jun ripensò al suo incontro con Yayoi e a tutto quello che questa era riuscita a fare per lui.

“Wakabayashi, abbiamo bisogno del tuo aiuto.”

L'uomo si rialzò, orgoglioso e stupito allo stesso tempo.

“Voi e chi?”

“I Ribelli.”

Ken uscì dal suo nascondiglio e si portò in mezzo alla stanza, in modo da essere ben visibile e poter fronteggiare in Capitano.

“Cosa?! - Esclamò Genzo, estraendo la spada dal fodero – Un Ribelle in casa di mia sorella? È inaudito! Dovrei arrestarvi entrambi!”

Sia Yasu che Jun si misero in mezzo, per evitare che la situazione degenerasse.

“Genzo, non è come sembra!”

“Zitta tu! Stavi tramando alle mie spalle!”

“Wakabayashi, i Ribelli sono miei alleati, anzi, in un certo senso io sono uno di loro. È una storia lunga.”

Alle parole del Principe, il Capitano abbassò la spada, ma rimase ancora diffidente.

“Ci serve il tuo aiuto per rovesciare il regime di Kanda e fare in modo che io possa tornare sul trono.”

“Io ho giurato fedeltà al Reggente, dovrei rimangiarmi la mia parola!”

“Ma il giuramento non è più valido! - intervenne Yasu accalorata – Hai giurato di servire Koshi Kanda in quanto sostituto del Principe, convinto che avesse ricevuto l'incarico direttamente da sua Maestà, ma ora che sua Altezza è tornato, la tua lealtà va a lui prima che a chiunque altro.”

Genzo restò fermo, soppesando la validità del ragionamento della sorella,incredulo che potesse esistere una via d'uscita così semplice da quella situazione.

“Wakabayashi – lo chiamò il Principe – in tutta questa storia il vero traditore è Kanda: lui mi ha avvelenato, lui ha inscenato la mia morte, lui ha portato la miseria nei villaggi. Ora che hai scoperto la verità, continuare a servire lui invece della famiglia reale farà anche di te un traditore.”

Alla fine, mosso da quelle parole, il Capitano rinfoderò la spada.

“Ha senso. Sono ai vostri ordini Altezza.” E nuovamente si inginocchiò.

I tre uomini e la donna si riunirono attorno al tavolo discutendo per parecchio il piano che avrebbe dovuto prendere forma da lì a meno di due giorni ormai.

“Purtroppo la Guardia non potrà fornirvi molto appoggio – rivelò Genzo – il Reggente ha ordinato che quasi tutti i miei uomini siano inviati a Saitama, per prevenire eventuali tentavi degli abitanti della città di interferire. Mi resteranno solo pochi fedeli e le reclute. Più il gruppo speciale, che però è fedele a Kanda.”

Jun replicò:

“Gli uomini devono partire, annullare l'ordine servirà solo a fare insospettire Kanda. Ci arrangremo, i Ribelli sono bene addestrati.”

La discussione proseguì ancora a lungo.

Al momento di andarsene, sulla soglia della casa di Lady Sorimachi, con i cappucci già calati, il Principe fece un'ultima raccomandazione:

“So che sarà difficile, Kanda ama dare spettacolo, ma cercate di fare in modo che in piazza non ci sia troppa gente, onde evitare problemi alla popolazione. Ci sarà una battaglia feroce.”

“Faremo il possibile, Maestà.”

“Se ci saranno cambi di programma chiedete a Matsuyama di poter inviare un messaggio tramite la sua aquila: Furano è molto intelligente e riuscirà a trovarci nella foresta.”

Genzo salutò con un cenno, mentre Ken si trattenne un istante con la Lady.

“Grazie dell'ospitalità.”

“Di nulla. Abbiate cura di voi.”

Un'altra volta i loro sguardi si incrociarono e un'altra volta esitarono. Infine Ken voltò le spalle e raggiunse il compagno.

Insieme si diressero furtivi e silenziosi verso il passaggio segreto.

Quando la Cittadella fu abbastanza lontana alle loro spalle, Jun si rivolse a Wakashimazu:

“Ti consiglio di stare attento: Yasu non ha un carattere facile.”

Ken si fermò di botto, lieto che il buio e il cappuccio nascondessero il suo leggero rossore.

“Cosa?”

“Dai, ho visto come la guardavi.” Ridacchiò.

Fu la volta del Ribelle di mettere a segno il colpo:

“E io ho visto come tu guardi Yayoi. - Riprese a camminare e superò il compagno velocemente – La renderai felice.”

“Mi stai dando la tua benedizione?” Chiese Jun perplesso.

Ken sospirò:

“Evidentemente io non sono il tipo giusto per lei, da quando sei arrivato tu è stato chiaro. Attento però: Principe o non Principe, con o senza trono, se la farai soffrire, ti verrò a cercare.”

Il Principe si passò nervosamente una mano sotto il cappuccio.

“Credo che questi discorsi siano da rimandare: una volta portati in salvo i fratelli di Kojiro e, se la Dea vuole, posto fine a questa storia, se ne potrà discutere. Ora è meglio se acceleriamo, dobbiamo arrivare al limitare della foresta prima che cominci a fare chiaro.”

“Certo faremmo prima se tu non mi avessi costretto ad abbandonare il cavallo una volta giunti presso le mura della Cittadella.”

“Lo avevi rubato! Andava restituito.”

Ken sollevò gli occhi al cielo ed aumentò il suo passo: a volte il Principe era decisamente puntiglioso.

 

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Forse dopo quanto successo nel capitolo precedente vi aspettavate qualcosa con più azione, ma anche qui abbiamo avuto qualche colpo di scena.

Ora sono doverosi un paio di credits:

-Per quanto riguarda il nome di Shimada dato al piccolo di Ryo e Yukari, beh, il personaggio appare nel manga davvero per pochissime vignette e viene sempre chiamato per cognome. Quindiiiiiiiiii *rullo di tamburi* mi sono permessa di scegliere lo stesso nome che aveva scelto Melanto, la prima ad usare questo pg, nella sua bellissima "Barabba! Barabba!". Se non l'avete letta, fatelo!
- Il personaggio di Yasu Wakabayashi, sorella gemella di Genzo, è stato creato da berlinene, che mi ha gentilmente concesso di utilizzarla in questa storia. Spero di averla mantenuta IC rispetto a quanto pensato da lei. Inoltre la ringrazio per la sua calorosa partecipazione nei primi momenti di pianificazione della storia. :)

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Capitolo 14
*** Stanza XIV ***


Nella capanna centrale del Toho la maggior parte dei Ribelli, tutti gli uomini e buona parte delle donne, erano riuniti ad elaborare il piano per salvare i fratelli di Kojiro dall'esecuzione fissata per il giorno seguente. Era pomeriggio inoltrato, tutti avevano atteso Jun e Ken, rientrati di prima mattina dalla loro missione notturna: dopo aver velocemente informato il Capo di aver avuto successo erano andati a riposare, per recuperare energie.

Ora la discussione si faceva sempre più intensa e concitata.

“Siete sicuri che possiamo fidarci?” Chiese Kojiro diffidente.

Il Principe annuì deciso:

“Wakabayashi è passato dalla nostra parte, ci ha assicurato il passo libero all'accesso secondario.”

Anche Ken confermò:

“Non appena il Capitano ha riconosciuto il Principe e scoperto il tradimento di Kanda, si è messo al servizio del suo legittimo signore.”

Un mormorio di assenso si sparse per tutta la capanna, finché Maki pose un ulteriore quesito:

“Ammesso che siano disposti a lasciarci passare, non si insospettiranno quando ci vedranno arrivare in gruppo ed armati?”

Jun sorrise, aveva già previsto anche quello: in realtà in mattinata aveva riposato solo qualche ora, passando il resto del tempo a perfezionare i dettagli della sua strategia, anche in seguito agli accordi presi con Wakabayashi.

“È per questo che indosseremo dei mantelli per celare le armi e, per alcuni di noi, anche le nostre identità, ed entreremo nella Cittadella a piccoli gruppi.”

“Ovviamente – continuò Ken – Wakabayashi ci ha garantito solo l'accesso, riuscire a muoversi all'interno della Cittadella sarà più complicato, con gli uomini fedeli a Kanda in giro per le strade.”

Il Capo dei Ribelli sbatté violentemente un pugno:

“Bell'affare! Così non arriveremo mai alla piazza principale! Questo piano non ci porterà a nulla! Meglio assaltare in gruppo la Cittadella.”

Jun comprendeva l'impazienza di Hyuga, la voglia di gettarsi a salvare i fratelli, erano gli stessi sentimenti che provava quando vedeva gli altri uscire in missione e lui era costretto a restarsene al Toho in attesa.

“Aspetta di sentire il resto. Lady Sorimachi ci ha concesso ospitalità a casa sua. Il primo gruppo che entrerà in città si dirigerà da lei ed attenderà lì il momento di agire. In questo modo non sarà costretto a restare in strada per troppo tempo. Un altro gruppo potrebbe aspettare al Tempio di Machiko: è sulla piazza e Matsuyama non è molto curioso nei confronti dei fedeli.”

“E sicuramente non sarà frequentato dai Sicari, non credo proprio siano molto pii.” Chiosò Maki, ottenendo l'approvazione di tutti.

Il Principe continuò:

“Questo per quanto riguarda principalmente voi. Nonostante la prudenza e gli accordi con Wakabayashi, Kanda potrebbe decidere all'ultimo di mettere qualcuno dei suoi di guardia all'accesso secondario e noi abbiamo bisogno di essere certi che almeno qualcuno entri nella Cittadella. Per questo Ken, Kojiro ed io non verremo con voi, ma entreremo per il passaggio segreto.”

Questa volta Hyuga non aveva niente da replicare, anzi, gli piaceva molto quella variante, ed annuì.

Jun e Ken si scambiarono uno sguardo incerto: sapevano che era giunto il momento di toccare un argomento delicato per il Capo dei Ribelli e cercavano di spartirsi senza parlarsi il compito di introdurre la questione. Alla fine, per la vicinanza da sempre avuta con Kojiro, fu Ken a prendere l'iniziativa:

“Nella nostra incursione abbiamo anche scoperto chi sarà incaricato di giustiziare i tuoi fratelli.”

Hyuga strinse i pugni.

“Avanti Ken, parla.”

“Allora ci sarà ovviamente Jito, più quella feccia di Soda per Masaru e il Capitano della Guardia Reale per Naoko.”

“Il caro Reggente non si abbassa a sporcarsi le mani in prima persona.” Commentò acida Maki.

“Già – annuì il Principe – ma il fatto che abbia designato Wakabayashi gioca a nostro favore: non appena ci sveleremo il Capitano, grazie alla sua vicinanza, provvederà a mettere in sicurezza i ragazzi. Anche nel remoto caso che nessuno di noi arrivi in tempo, impedirà che venga fatto loro del male.”

Kojiro fremeva, non gli piaceva nemmeno un po' dover lasciare nelle mani di altri il destino dei suoi fratelli.

“Ripeto ancora una volta: possiamo fidarci di lui?”

Jun rispose senza esitazioni:

“Assolutamente. Pochi uomini hanno un senso dell'onore maggiore di quello di Wakabayashi. Farà ciò che ha promesso.”

Ancora non del tutto convinto il Capo dei Ribelli stabilì la composizione dei vari gruppi, l'equipaggiamento e con quale ordine sarebbero entrati nella Cittadella, definendo le mosse di ognuno. Si decise anche chi sarebbe rimasto al villaggio, come ultima difesa per le donne nel caso le cose fossero irrimediabilmente precipitate.

Quando l'intero piano fu messo a punto era già buio. Maki congedò tutti:

“Mangiate qualcosa e poi andate a dormire, domani mattina dovremo alzarci presto ed essere ben riposati.”

I Ribelli cominciarono a lasciare la capanna centrale e Kojiro, Ken e Jun discutevano tra loro gli ultimi dettagli, quando Yayoi gli si avvicinò:

“In che gruppo sarò io?”

I tre sollevarono gli sguardi stupiti verso la donna.

“Non avrai intenzione di venire anche tu?” Domandò Ken incerto.

La Strega ribatté ferma:

“Certo! Vi potrei essere utile.”

“Dopo che la battaglia si sarà conclusa. – Puntualizzò Kojiro – Non puoi metterti a curare feriti nel mezzo dei combattimenti.”

Yayoi prese un profondo respiro, aveva immaginato che non avrebbero subito compreso.

“Non è solo per quello. Sicuramente ci sarà anche la Strega Nera e per lei avrete bisogno di...”

“No! - la voce di Jun risuonò secca e decisa – Tu resterai al Toho.”

“Non potete farcela da soli contro...”

“Non voglio che tu sia là!” Il Principe quasi gridò.

“Invece io ci sarò!” Sibilò Yayoi prima di voltarsi ed uscire di corsa dalla capanna, lasciando di stucco gli altri due ed i Ribelli ancora presenti.

Jun sospirò:

“Vado io.” Ed uscì dalla stanza sulle tracce della Strega.

Dalla passerella sospesa, grazie alla luce della luna piena, la vide nella radura. Scese la scala per raggiungerla.

Yayoi si sentiva ferita, non si aspettava che tra tutti fosse proprio Jun a darle contro, che fosse lui a non avere fiducia in lei. Doveva essere là, era l'unica in grado di contrastare la Strega Nera: si era esercitata segretamente coi suoi poteri proprio per quello.

Una mano le venne appoggiata sulla spalla.

“Yayoi.”

La Strega cercò di sfuggire.

“Cosa vuoi? Io domani sarò alla Cittadella, con o senza il tuo permesso!”

“Suppongo di non potertelo impedire, ma sarà pericoloso. Questa è una guerra!”

“Ne sono consapevole – rispose la donna, voltandosi verso di lui – ma solo perché non ho una spada, non vuol dire che non vi possa essere utile.”

Jun esitò un istante di fronte alla sua determinazione, ma poi si avvicinò, accarezzandole una guancia con la mano destra:

“Se ti succedesse qualcosa io non potrei mai perdonarmelo.”

“Lo so. Nemmeno io potrei mai perdonarmi se succedesse qualcosa a te.”

Restarono a guardarsi negli occhi per qualche istante, indecisi se proseguire o meno sul sentiero che avevano appena imboccato, sentendo entrambi l'aspettativa crescere dentro di loro.

Il Principe ritrasse la mano:

“Ora non posso. Domani, se tutto andrà bene.”

Si voltò e silenziosamente si allontanò, per tornare ad arrampicarsi sulla scala che portava alla sua capanna, lasciando Yayoi da sola al centro della radura, completamente in subbuglio.

 

 

 

 

Maki girò il volto controllando a destra e a sinistra guardinga, prima di uscire dal vicolo e dirigersi verso la porta dell'abitazione insieme al suo piccolo gruppo. Fino a quel momento tutto era andato secondo i piani ed erano entrati indenni nella Cittadella, senza che alla porta li fermassero o che incontrassero membri della Guardia Reale. Forse avevano ragione Wakashimazu e il Principe: la Cittadella era stata svuotata di buona parte dei soldati, lasciando solo i fedeli a Kanda, che, a quanto pareva, non avevano molto interesse nei pattugliamenti ordinari, nonostante quella giornata di ordinario non avesse nulla. Tuttavia Maki riteneva un azzardo andare a bussare a quella porta, l'esperienza maturata nel periodo da fuorilegge la portava a non fidarsi troppo di colui che era pur sempre il Capitano della Guardia e nominalmente fedele al Sovrintendente. Quella poteva essere solo una trappola per neutralizzare anticipatamente una parte di loro. Se fosse stato così, il Capitano avrebbe mentito davanti al suo sovrano legittimo, ma se era un uomo fedele a Kanda avrebbe riconosciuto solo quest'ultimo come suo legittimo signore.

La donna non sapeva più che pensare, ma sapeva che aveva deciso di prendere parte al piano per salvare i fratelli di Kojiro e per quanto le potesse sembrare un suicidio, doveva restare fedele ad esso. Prese un profondo respiro, cercando di mettere a tacere tutti i dubbi che la assillavano, e diede un paio di colpi alla porta.

“Chi è?” Domandò dall'interno una voce di donna piuttosto decisa.

“Siamo amici di Ken Wakashimazu!” Rispose Akamine, altrettanto decisamente.

La porta si socchiuse, un paio di occhi scuri scrutarono i visitatori per qualche momento, poi, avendo la donna evidentemente deciso di fidarsi, il passaggio si aprì completamente e permise loro di entrare.

“Svelti, non è prudente che restiate allo scoperto troppo a lungo.”

Quando tutto il piccolo gruppo fu entrato la porta venne richiusa ed assicurata con un asse di traverso. Maki si guardò intorno, cercando di capire se la piccola dimora era davvero un luogo amico, cercando di scovare eventuali pericoli nascosti. La donna dovette ammettere con sé stessa che l'abitazione non offriva praticamente nessun angolo in cui far appostare qualcuno per tendere degli agguati, ad eccezione del vano delle scale per il piano superiore, su cui puntò la vista per alcuni istanti, finché non venne interrotta.

“Di sopra ci sono solo le mie stanze private. - Le disse una voce secca – Nessuno sale lassù, tranne me. E se avessi voluto tendervi una trappola avreste già incontrato il comitato d'accoglienza.”

Akamine distolse lo sguardo, colta in fallo, ma senza vergognarsi minimamente di aver mostrato apertamente i suoi dubbi. Si concentrò sulla figura della loro ospite, impegnata a chiudere le tende di una finestra che dava sulla strada.

“Meglio tenere tutto chiuso – spiegò – anche se quei pezzenti finora non hanno osato venire a ficcare i loro nasi qua dentro.”

Parlava esattamente con la stessa inflessione del Capitano Wakabayashi e non ci volevano certamente capacità divinatorie per indovinare la loro parentela: era la sua versione femminile, alta, slanciata, i capelli scurissimi e quello sguardo tagliente e determinato che non prometteva nulla di buono a colui che si fosse rivelato un nemico.

Lady Sorimachi continuava ad affaccendarsi per la stanza, estraendo dalla dispensa cibo e bevande in quantità così abbondanti da far temere a Maki che la dama avesse trafugato nottetempo metà delle provvigioni della Caserma comandata dal fratello. Quel pensiero la fece involontariamente sorridere e la portò a rilassarsi. Sentì la padrona di casa terminare il suo discorso:

“Ho pensato che aveste bisogno di rifocillarvi dopo la camminata dalla Foresta Meiwa fino qua e prima della vostra missione.”

“Molte grazie davvero, Lady, non dovevate disturbarvi, avevamo solo bisogno di un riparo. - riuscì a rispondere Akamine – Anzi, mi dispiace se vi siamo sembrati poco educati e diffidenti, Lady.”

Lady Sorimachi fece segno che non importava:

“Probabilmente a parti inverse sarei stata diffidente anch'io, fino a qualche giorno fa eravamo nemici.”

La Ribelle annuì, decidendo finalmente di sedersi ed accettare una parte del cibo che le veniva offerto.

“Io sono Maki, Lady, e questi sono alcuni dei miei compagni.” Li presentò uno a uno.

Lady Sorimachi rispose:

“Molto onorata, ma basta con le formalità, chiamatemi semplicemente Yasu. Immagino che voi siate la donna contro cui mio fratello si è trovato a combattere qualche tempo fa.”

Fu la volta di Maki di annuire, sentendosi addosso tutta la curiosità della nobildonna: doveva essere strano per lei incontrare una donna guerriera.

“Da quel giorno ho sempre desiderato poter conoscere colei che lo aveva battuto.”

Akamine sorrise leggermente:

“Non è stata una vera e propria vittoria, ho dovuto usare qualche trucchetto per cercare di salvare i miei, ma non è stato possibile con tutti. Quel giorno abbiamo perso uno dei nostri uomini.” Il ricordo di Shimada era ancora vivo in tutti i Ribelli.

“Ho saputo anche quello. So come vi sentite – Yasu strinse convulsamente la gonna dell'abito scuro tra le mani – ho perso mio marito in combattimento, nella notte più orribile della mia vita. Se prima credevo a ciò che tutti avevano sempre detto, che eravate voi Ribelli i responsabili di ciò, ora credo che in realtà ci sia stato di mezzo qualche scagnozzo di Kanda.”

Una lacrima scivolò lungo la guancia della Lady, dando prova a tutti di come quell'argomento toccasse una ferita ancora aperta.

Maki parlò decisamente:

“Lady, cioè, Yasu, ti posso giurare che nessuno di noi ha mai ucciso un abitante del Regno fino ad ora. Ci siamo limitati alla rapina e al bracconaggio, questo sì, ma mai con lo scopo di uccidere qualcuno.”

“Lo credo, altrimenti sua Altezza non si fiderebbe di voi ed io non vi avrei mai permesso di entrare tra queste mura. Ora pensiamo a ciò che accadrà questo pomeriggio nella piazza.”

 

 

 

 

 

Taki e Kisugi erano incaricati di sorvegliare l'accesso secondario della Cittadella, o meglio, di verificare che l'ingresso alla zona abitata avvenisse tranquillamente, limitandosi ad intervenire solo in caso di particolari tumulti tra coloro che accedevano all'interno delle mura fortificate.

“Hajime – Kisugi si rivolse al compagno seduto distrattamente al lato destro del portone – non ti pare strano che il Capitano ci abbia ordinato di non controllare nessuno e di lasciare passare chiunque voglia assistere alle esecuzioni?”

L'altro soldato sbuffò prima di rispondere, spostandosi in questo modo i capelli dagli occhi.

“Stranissimo, ma ho imparato a non discutere gli ordini di Wakabayashi e, sinceramente, farei qualsiasi cosa piuttosto che tornare a pulire le latrine.”

“Non me lo ricordare, mi sogno ancora di notte certi profumi.”

Teppei si turò istintivamente il naso con una mano, mentre agitava l'altra davanti a sé, come se dovesse ancora allontanare qualche odore molesto.

Improvvisamente Hajime fece cenno all'amico di interrompere la sua pantomima:

“Guarda, arriva un altro gruppetto di quelli strani.”

Davanti a loro sfilarono cinque persone avvolte in mantelli, alcuni dei quali con il cappuccio sulla testa a celare i visi, nonostante la calura estiva. Non era il primo gruppo di quel genere che passava, ma in questo era presente anche una donna: da sotto il suo lungo mantello scuro si intravedeva una veste candida.

“Mi sembra così strano non chiedergli nemmeno di abbassare i cappucci per identificarli – sbottò Teppei – per quanto ne sappiamo potrebbero esserci i Ribelli lì sotto!”

“Sono d'accordo con te, ma non possiamo disobbedire al Capitano!”

“Sì, ma...”

Come se li avesse sentiti discutere, la donna si avvicinò a loro, levando il cappuccio, rivelando dei lineamenti dolci e una folta massa di capelli rossi.

“Che la Dea benedica tutti i componenti della Guardia Reale che così coraggiosamente ci proteggono dai fuorilegge, rischiando perfino la loro vita. Grazie per tutto quello che fate per noi.”

“Si... si.... figuri, ehm, Lady” balbettò Kisugi, colto anche da un leggero rossore, non aspettandosi una simile confidenza dalla donna.

Questa fece un grazioso inchino e raggiunse quelli che presumibilmente erano i suoi compagni di viaggio, per proseguire verso il centro della Cittadella, sparendo nelle curve dei vicoli dei quartieri bassi.

Dopo qualche istante Taki richiamò spazientito il compagno che non sembrava intenzionato a riscuotersi dall'incontro appena avuto:

“Allora, Teppei! Vuoi smetterla di fissare il punto dove quella ragazza è scomparsa. Manco avessi visto la Dea Machiko in persona!”

Il soldato si voltò verso l'amico, scrutandolo attentamente per poi scoppiare a ridere:

“In nome della Dea, Hajime, so che sei un tipo piuttosto geloso, ma non pensavo mai potessi esserlo nei confronti di una donna!”

“Non so di cosa tu stia parlando. - ribatté Taki, punto nel vivo – Rimettiamoci al lavoro.”

 

 

 

 

 

 

Genzo si sentiva nervoso, come non lo era dalla cerimonia in cui aveva prestato giuramento come neo Capitano della Guardia Reale. La differenza stava nel fatto che allora sapeva esattamente tutto quello che sarebbe accaduto, mentre in quel momento c'erano troppe incognite, troppe cose che potevano andare storte. A cominciare dal suo fare affidamento sull'integrità dei principi morali di Jito, dato che non aveva potuto parlargli in privato: il carceriere aveva avuto per tutto il tempo la compagnia di Soda, una presenza troppo ingombrante per rischiare anche solo di sussurrare a proposito di un'azione sovversiva per impedire l'imminente esecuzione pubblica.

All'alba aveva ordinato a Mastro Takasugi di coordinarsi col falegname di corte per approntare le modifiche necessarie alla solita pedana da installare al centro della piazza, in modo che fosse abbastanza grande da ospitare i tre ceppi per i tre condannati. Kanda desiderava che le esecuzioni avvenissero in perfetto sincronismo e desiderava assistervi personalmente, celebrarle come un grande evento, la sua definitiva affermazione quale Signore del Principato, per cui doveva essere approntata anche una seconda pedana in posizione dominante, ma protetta. Gli uomini avevano fatto un ottimo lavoro ed il Reggente avrebbe potuto godere dello spettacolo in prima fila.

La gente cominciava a riempire la piazza. Nonostante gli sforzi di Genzo e Yasu per far girare clandestinamente la voce che fosse meglio restarsene chiusi in casa, la curiosità aveva avuto il sopravvento su tutti. Wakabayashi notò che molti degli spettatori appartenevano ai ceti benestanti ed anche qualche nobile, sicuramente di quelli disposti a soprassedere a qualsiasi principio morale pur di entrare nelle grazie di chi deteneva il potere, si era spinto fino al patibolo. Forse, dopotutto era meglio che la zona fosse abbastanza affollata, almeno fino all'entrata inscena dei Ribelli, in modo da permettergli di passare più facilmente inosservati.

Gli uomini del Gruppo Speciale pattugliavano la piazza, ma per il momento non avevano ancora individuato nessun sospetto. Nemmeno Genzo, dalla sua posizione sopraelevata sulla pedana, era riuscito a riconoscere qualcuno. Sperava che il Principe fosse riuscito a trovare un nascondiglio adeguato fino al momento opportuno. Perlustrando ancora una volta, vide Matsuyama, visibilmente contrariato per tutta la faccenda, uscire dal Tempio e cercare di convincere qualcuno a tornarsene alle proprie occupazioni. Il Sacerdote gli aveva promesso che se la situazione nella piazza fosse degenerata il Tempio sarebbe stato un rifugio sicuro per i cittadini. Il Capitano aveva dovuto lasciare intendere, nella loro ultima conversazione, che il Reggente pensava di usare le esecuzioni per attirare i Ribelli in una trappola, in modo da giustificare agli occhi di Matsuyama la richiesta di occuparsi dell'incolumità degli estranei al combattimento. Data la sua indole pacifica il Sacerdote non aveva posto obiezioni per quanto riguardava il bene della popolazione, ma deplorava completamente la scelta di condannare a morte dei ragazzi così giovani.

Voltandosi verso destra il Capitano intravide anche la sorella farsi largo tra la folla: quella testarda non aveva voluto sentire ragioni per restarsene in disparte, intendeva fornire tutto l'aiuto che poteva alla causa del Principe. Per Genzo la sua partecipazione era un'enorme seccatura, una cosa in più di cui preoccuparsi durante la concitazione dell'intervento dei Ribelli. Accanto a lei stava un giovane che non aveva mai visto, ma che tuttavia aveva un'aria familiare, assomigliava tanto alla donna che si accompagnava spesso ai Ribelli, quella che aveva azzoppato il suo cavallo. Guardò meglio e si accorse che non si trattava di somiglianza, era proprio la donna, Akamine o come si chiamava.

Improvvisamente Shunko Sho apparve sulla pedana riservata al Reggente, attirando l'attenzione della folla e provocando il progressivo scemare del brusio delle chiacchiere.

“Rendete omaggio a sua Grazia il Reggente Koshi Kanda e a Lady Sugimoto!”

Kanda prese posto, riccamente vestito, come se stesse concedendo udienza nella Fortezza, con un ampio mantello color porpora sopra alle vesti argento. Sul farsetto era ricamato il pugno nero della famiglia Kanda, mentre sulle tempie il Reggente indossava l'ormai consueto cerchietto d'oro. Non c'era alcuna traccia né nel suo abbigliamento, né sulla piazza, dello stemma degli Ozora, casata di cui formalmente era ancora al servizio. Al suo braccio si reggeva la Lady, fasciata da un abito scuro che le lasciava le braccia completamente scoperte, e con i capelli retti da una complicata acconciatura.

Era una vera e propria ostentazione del proprio potere personale da parte dei due ed a Wakabayashi provocò il voltastomaco. Tuttavia strinse i denti, non poteva permettersi di tradirsi in quel momento. Avanzò verso il Reggente e gli si inginocchiò davanti.

“Mio Signore, la mia spada è al vostro servizio, ora e sempre.”

Kanda lo degnò appena di uno sguardo e si rivolse direttamente alla piazza:

“Questo pomeriggio siamo qui affinché la giustizia trionfi. Oggi daremo una lezione esemplare ai Ribelli ed a tutti coloro che turbano la pace di questo regno. Il povero Principe Jun non ha potuto vedere la fine di questa battaglia, rivelatasi troppo impegnativa per la sua debole salute, ma ora io riporterò finalmente l'ordine e la prosperità. Sotto il mio comando i Ribelli saranno annientati.”

La folla esplose in un boato di approvazione ed occorsero alcuni istanti perché l'ordine si ristabilisse.

“Capitano Wakabayashi! Conducete qui i prigionieri.”

“Come comandate.”

Genzo si alzò e partì per recuperare i tre giovani Hyuga, consapevole che quello fosse l'ultimo ordine che riceveva dal traditore Kanda.

 

 

 

 

 

Kojiro, Ken e Jun erano riusciti a trovare un buon punto per appostarsi, al riparo dagli sguardi indiscreti, con un'ottima visuale rispetto alla pedana delle esecuzioni ed un rapido accesso ad essa, senza dover attraversare la calca della folla accorsa per l'evento. L'unico problema era la scarsa visibilità rispetto al punto dove avrebbe dovuto situarsi Kanda.

“Che sfortuna!” - sentenziò Ken dopo che il Sovrintendente ebbe fatto la sua comparsa sulla piattaforma laterale - “Kanda e la sua compagna sono completamente fuori dalla linea di tiro del mio arco! Avremmo potuto chiudere la faccenda con un solo colpo ben piazzato.”

“Allora cercati un altro posto!” Gli sbraitò Kojiro, sempre più impaziente mano a mano si avvicinava il momento dell'esecuzione.

“È troppo tardi per spostarsi – sussurrò Jun – non mancherà molto e... Schifoso traditore pieno di boria! La mia debole salute!”

Le parole appena pronunciate dal Reggente avevano innervosito il Principe: anche lui non vedeva l'ora di porre fine a quella storia, temendo di aver indugiato troppo una volta guarito ed ottenuta da Kojiro la libertà di lasciare il Toho, forse se non avesse aspettato che i Ribelli fossero pronti a combattere, la situazione non sarebbe degenerata fino a quel punto e Kanda sarebbe stato un lontano ricordo già da un pezzo. Forse avrebbe dovuto subito tentare di contattare Wakabayashi, lui l'avrebbe sostenuto ed avrebbe portato la Guardia dalla sua parte.

Ken lo richiamò:

“Cerca di stare calmo anche tu. Abbiamo bisogno che resti lucido ed è inutile pensare che avresti potuto agire più prontamente, prima non sapevi chi realmente avrebbe potuto esserti fedele alla Cittadella.”

“Adesso mi leggi nel pensiero, Wakashimazu?” Replicò Jun, cercando di farsi sentire dal compagno nonostante il clamore della folla.

“No, ma ti conosco ormai. - Ken si grattò il mento – A proposito di abilità soprannaturali, invece, l'Aurea della Strega Nera è parecchio potente.”

“Starà godendo di questo atto vergognoso che stanno per compiere lei ed il suo compare!” Commentò Kojiro, ma Ken scosse la testa:

“Può essere, ma mi preoccupa di più non sapere cosa passa per la testa di Yayoi, dato che anche la sua Aurea è intensissima oggi, come non l'ho mai percepita.”

“E cosa aspettavi a dirlo? Non avremmo dovuto permetterle di venire!”

Fu la volta di Kojiro di richiamare i compagni all'attenzione:

“Insomma, volete smetterla voi due di parlare d'altro? Stanno uscendo!”

Infatti Wakabayashi aveva spalancato la porta della vecchia Casa di Transito, dove da sempre all'alba del giorno dell'esecuzione venivano alloggiati i condannati a morte, in attesa dell'ora in cui si sarebbe compiuto il loro destino, permettendo a Soda e Jito di scortare i tre fratelli Hyuga sulla pedana principale. Indossavano ancora gli abiti di quando erano stati catturati, ma erano talmente luridi e strappati da essere quasi irriconoscibili. La piccola Naoko tremava come una foglia, Masaru e Takeru portavano entrambi i segni dei pestaggi ricevuti e Kojiro dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non scattare di corsa ad infilzare Soda e mandare all'aria tutto il piano.

“Ricordate: lasciate Kanda a me, con gli altri fate ciò che volete.” Sussurrò Jun.

Il capo dei Ribelli vide Wakabayashi avvicinarsi alla sorella per prenderla in custodia ed accompagnarla al ceppo centrale, facendola inginocchiare quasi delicatamente. Takeru, piuttosto rassegnato, era accompagnato da Jito alla postazione più vicina a Kanda, mentre Masaru cercava di divincolarsi in tutti i modi dalla stretta di Soda, provocando il divertimento del Sicario. Quando quest'ultimo riuscì a farlo inginocchiare e gli premette la testa contro il tronco di legno, il ragazzino ebbe un ultimo guizzo di ribellione, rivolgendosi direttamente a Kanda:

“Maledetto tiranno! Mio fratello te la farà pagare!”

L'insolenza gli costò un ceffone da parte di Soda.

Il Reggente si limitò a sorridere e ad ordinare:

“Procedete!”

Kojiro e Jun trattennero il respiro mentre Ken lentamente incoccava una freccia e tendeva l'arco pronto a colpire, aspettava solo l'istante perfetto.

 

 

 

 

 

 

Mamoru tirò le redini del suo cavallo e sollevando la mano destra fece fermare tutta la colonna di uomini che lo seguiva. Erano giunti alla piazza principale di Saitama e durante l'attraversamento della città le poche persone che avevano incontrato gli avevano lanciato sguardi truci. Izawa non se la sentiva di biasimarli: l'ultima volta che la Guardia era stata lì aveva arrestato tre ragazzi e li aveva fatti condannare a morte solo per essere imparentati con quell'Hyuga.

“Vice Capitano – l'Attendente Morisaki gli rivolse la parola – Non credete che sia il momento?”

Mamoru annuì ed estrasse la lettera sigillata che il Capitano gli aveva consegnato prima di partire per quella missione, con l'ordine di aprirla solamente quando fossero giunti a Saitama.

Ruppe il sigillo e lesse:

Izawa ti chiedo di avere fiducia in me: sai che solitamente ti rivelo le mie intenzioni, ma oggi non è possibile. Fai in modo di bloccare a Saitama i due membri del Gruppo Speciale che sono con voi e poi torna subito alla Cittadella con tutto il resto degli uomini. Ci sarà una battaglia, il Gruppo Speciale deve essere abbattuto. Non fate del male ai Ribelli. Fidati di me, sul mio onore ti prometto che una volta che tutto sarà concluso ti spiegherò. G.W.

Il Vice Capitano sollevò lentamente lo sguardo, cercando di celare la sua sorpresa.

“Guardia Reale – ordinò – neutralizzate ed immobilizzate i due componenti del Gruppo Speciale! La Cittadella ha bisogno di noi!”

 

 



__________________________________________________

Finalmente aggiorno questa storia!
Vi chiedo scusa per la lunga pausa, ma questa zona del racconto è stata più dura del previsto da gestire e nonostante ciò si è espansa più di quanto avessi preventivato. Una volta superato lo scoglio ho comunque preferito attendere, prima di aggiornare, di essere giunta quasi al traguardo, in modo da non dovervi più lasciare per un tempo indefinito senza aggiornamenti. Mi mancano da scrivere solo le utlime cose del finale, perciò dovremmo arrivare in fondo senza ulteriori arresti.
Venendo a questo capitolo, in origine già qui avrebbero dovuto esserci le botte XD, ma il materiale alla fine è risultato così tanto da dividerlo in più capitoli, per rispettare all'incirca la media rispetto agli altri.
Anche se qui siamo ancora ai preliminari del grande scontro, la tensione sta crescendo. ;)

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Capitolo 15
*** Stanza XV ***


Kanda si stava godendo a pieno il suo momento di trionfo e nemmeno le parole di quello stupido ragazzino potevano rovinare l'estasi, anzi, al contrario: davvero credeva che essere definito tiranno lo avrebbe offeso? Quell'appellativo lo rendeva ancora più tronfio. Poco importava se alla fine quel codardo di Hyuga non si sarebbe presentato, lui avrebbe comunque riscosso il suo premio prendendosi le vite di quei tre ragazzi e Kumi avrebbe completato l'opera spedendo le loro anime direttamente tra le braccia di Gamo. In più Wakabayashi avrebbe macchiato il suo preziosissimo ed immacolato onore facendo calare la sua spada sulla ragazzina. Koshi poteva sentire la Strega accanto a sé provare la sua medesima eccitazione per tutta la vicenda.

I condannati furono spinti ad appoggiare le teste sui tre ceppi, i giustizieri sguainarono le armi all'unisono e le sollevarono in attesa del suo ordine.

La folla urlava ormai inferocita:

“A morte i Ribelli! A morte i traditori!”

Tutto era perfetto.

Una freccia sibilò ed attraversò il patibolo passando a pochi centimetri dal volto di Soda e piantandosi sulla porta della Casa di Transito.

“Ma che diamine, per Gamo!” Esclamò il Sicario, abbassando anche la spada per lo stupore.

Sul volto di Kanda comparve un sorrisetto compiaciuto, la sua previsione si era avverata:

“Allora ci siete! Venite fuori feccia!”

“Eccoci!” Urlò il Capo dei Ribelli, sbucando quasi dal nulla e saltando sulla piattaforma in compagnia di un altro uomo, che aveva un arco pronto per far scoccare una nuova freccia.

“Ferma questa follia Kanda, o il tuo Sicario questa volta si ritroverà con a gola infilzata!” Osò ordinargli quest'ultimo.

Il Reggente scoppiò a ridere a quella minaccia.

“Follia? I folli siete voi due se sperate di fare qualunque cosa da soli!”

“Loro non sono soli!”

Un terzo uomo col volto coperto si posizionò tra gli altri due, mentre nella piazza mantelli venivano gettati a terra e armi venivano sfoderate.

“I miei uomini sono ovunque Kanda!” Tuonò Hyuga.

“Se per questo anche i miei: verrete annientati!”

L'uomo col cappuccio parlò di nuovo e la sua voce suonava sinistramente familiare:

“Io non ne sarei così certo, traditore!”

Si tolse il mantello e rivelò a tutti la sua identità, catalizzando su di sé l'attenzione dell'intera piazza.

Il Reggente sbiancò di colpo, come alla vista di un fantasma:

“Tu! Tu dovresti essere morto!”

“Ti piacerebbe vero? Purtroppo per te i veleni della tua Strega hanno fallito – dichiarò il Principe Jun – Preparati a subire la sorte dei traditori.”

Il Principe impugnò la spada ed andò incontro al Sovrintendente, verso la sua pedana. Quest'ultimo, passato il momentaneo momento di stupore, si liberò del mantello ricamato ed estrasse a sua volta la propria arma, intimando con un gesto a Sho ed a Soda di lasciare che sbrigasse da solo la faccenda.

“Bravo Kanda! Questo è proprio quello che volevo. Un duello solo te e me!”

L'incrocio delle due lame scatenò nella piazza il finimondo: chi iniziò a combattere e chi cominciò a correre in ogni direzione cercando un riparo.

 

 

 

Non appena il Principe ed il Reggente ebbero iniziato il loro duello la prima preoccupazione del Capitano Wakabayashi fu di mettere al sicuro i tre ragazzi: alla sua destra, Soda, ripresosi dallo shock, aveva nuovamente sollevato la propria spada pronto a colpire Masaru. Rapidamente Genzo parò il suo fendente e lo spinse brutalmente di lato:

“Sta lontano da lui, essere ignobile!”

“Oh! Il Capitano tradisce il suo signore!” Lo schernì il Sicario, ma Wakabayashi non prestò attenzione alle sue provocazioni, impegnato a sollevare di forza il sempre riluttante ragazzino:

“Sta buono. Sono dalla tua parte. Jito! – chiamò a gran voce – prendi gli altri due e portali alla Casa di Transito, lì saranno al sicuro.”

Il carceriere non si fece ripetere l'ordine due volte, avendo compreso che qualcosa di importante stava accadendo, ed avvicinati a sé sia Takeru che Naoko, cercò di condurli verso il luogo designato, anche grazie alla sua mole.

Soda non era intenzionato a lasciar passare il capitano tanto facilmente, approfittando anche del fatto che il suo protetto non pareva essere intenzionato a farsi salvare. Tentò di colpirlo alle spalle, ma un nuovo ostacolo si frappose tra lui ed il bersaglio: la spada di Kojiro.

“Non azzardarti mai più anche solo a rivolgere lo sguardo verso uno dei miei fratelli! - gli urlò contro il Ribelle – Prima dovrai passare sul mio cadavere.”

“Hyuga, non vedevo l'ora di poter affondare la mia lama nelle tue carni e porre per sempre fine alla tua miserabile esistenza!” Ribatté il Sicario, sputando in faccia all'avversario.

Grazie all'intervento di Kojiro, Genzo poté finalmente raggiungere Jito davanti alla Casa ed entrarvi. Depositò a terra il ragazzino, che si ribellò:

“Lasciateci andare! Nostro fratello è venuto a portarci via!”

“Voi resterete qui dentro al sicuro. - Tagliò corto Wakabayashi – Di questa faccenda si occuperanno gli adulti. Jito si prenderà cura di voi e farà in modo che non vi accada nulla.”

Takeru, che fino ad allora era rimasto in silenzio, prese la parola:

“Io sono adulto e voglio combattere! Non mi fido di voi due!”

Il carceriere si erse in tutta la sua imponente statura davanti al giovane uomo:

“Questo non è un gioco per i principianti ragazzo! La fuori qualcuno morirà, stanne certo. Se non vuoi che tuo fratello sia arrivato fin qui inutilmente, pensa a tenere al sicuro la tua pelle.”

“Ma...” Il giovane Hyuga tentò di ribattere, ma era a corto di argomenti.

Genzo si voltò per dare un'ultima occhiata alla stanza prima di ritornare alla battaglia:

“Takeru, guarda tua sorella, non vedi come sta tremando? Se vuoi essere utile, prenditi cura di lei.”

Uscì senza aggiungere altro, raggiungendo la piazza dove ormai la battaglia imperversava furiosamente: Hyuga e Soda nella loro accanita lotta erano ruzzolati giù dalla pedana, lasciando questa sgombra per il duello del Principe col traditore Kanda. Louis Napoleon era impegnato a combattere con Ken Wakashimazu, che aveva abbandonato arco e frecce, in una rivincita dello scontro avvenuto mesi prima in uno dei villaggi dove i Ribelli erano stati sorpresi dalla Guardia. In ogni angolo c'erano Ribelli e membri del Gruppo Speciale che si battevano tra loro, non sempre in modo leale. Matsuyama tentava di spingere più gente possibile all'interno del Tempio di Machiko, per evitare inutili ferimenti. Il Priore Katagiri, presente alle esecuzioni, durante fuga era inciampato nella sua lunga veste verde ed ora si trovava sormontato da Chana Konsawatt, armato di un lungo pugnale con tutta l'intenzione di conficcarglielo nella schiena. Uno stridio acuto riempì l'aria e Furano, l'aquila del Tempio, volò in picchiata direttamente sulla mano del Sicario che reggeva l'arma, costringendolo a gettarla a terra.

“Maledetto animale! Vieni qua.”

L'uomo estrasse il suo secondo pugnale e lo lanciò contro Furano, colpendola in pieno petto. L'aquila stramazzò al suolo emettendo un grido ancora più acuto del consueto. Nel frattempo il Priore veniva aiutato ad alzarsi da una donna in abiti maschili.

“State bene?”

“Sì, grazie.”

“Presto, andate al Tempio!”

“Hey dolcezza, cos'è tutta questa fretta? – intervenne Konsawatt – Non vorrai portarmi via il mio divertimento?”

“Certo che no! - Maki Akamine lo guardò sprezzante, con la katana saldamente in pugno – Anzi, divertiti con me.” Sferrò un fendente diretto al collo del Sicario, che evitò di venire colpito per un pelo.

 

Sulla pedana il duello tra il Principe e Kanda era molto intenso, entrambi erano ottimi spadaccini: se Jun aveva vinto tutti i più prestigiosi tornei tra i migliori combattenti dei Regni circostanti in età molto giovane, per contro Koshi in gioventù aveva fatto parte del gruppo di volontari che il vecchio Principe Ozora aveva inviato in supporto al Regno di un alleato durante gli scontri bellici, aveva imparato così l'arte della guerra sul campo.

Jun parò un pericolosissimo colpo ad altezza della vita, affondando nella guardia dell'avversario e venendo a sua volta bloccato.

Kanda tentò una mossa inaspettata per distrarre il Principe:

“Principino! Non mi aspettavo che fossi così in forma, dopo tutti i tuoi problemi di salute!”

“Problemi che tu mi hai creato, traditore!” Tuttavia lo stesso Jun era sorpreso di quanto il suo corpo stesse reagendo bene alla fatica di quello scontro, non avendo avuto la possibilità di misurarsi in un reale combattimento così pesante nei mesi precedenti. Yayoi aveva veramente compiuto un miracolo.

“Piano con le parole! Cosa direbbe Tsubasa se ti sentisse parlare così del suo uomo di fiducia?”

“Ho detto più di una volta a mio fratello che non mi fidavo di te, ora quando tornerà dovrà darmi ascolto!” Tentò un ulteriore affondo alla spalla, evitato da Kanda, con agilità inaspettata, saltando su uno dei ceppi dei condannati.

“Non mi è riuscito di ucciderti col veleno, prima o poi ti infilzerò come una bestia. Un ottimo modo per inaugurare la mia nuova spada speciale. Il potere nel Regno ormai è in mano mia.” Sfruttando la posizione sopraelevata, si scagliò con tutta la forza contro il Principe, arrivando a segno al braccio sinistro.

 

Più in basso Kojiro e Makoto avevano abbandonato le spade per darsi alla lotta corpo a corpo, terreno che entrambi prediligevano e dove potevano dar sfogo alla loro forza bruta. Il Sicario era molto abile nel tirare calci bassi, mentre le grossi mani del Ribelle erano un'arma micidiale al pari della sua lama. Tutti e due erano coperti da molti lividi, non avevano risparmiato un colpo.

“Questo è per i miei fratelli! - Kojiro colpì Soda sulla guancia sinistra, facendogli sputare del sangue – Quest'altro è per mia madre, mi hanno raccontato quello che gli avete fatto.”

Il Sicario tossicchiò e ribatté:

“Sarebbe stato molto divertente cavalcarle addosso, peccato per quei due moscerini che si sono intromessi, volevano fare gli eroi. Bah.” Tirò un calcio nello stinco sinistro di Kojiro, facendogli perdere l'equilibrio, ma nella caduta questo gli si aggrappò, trascinandolo a terra con sé.

La mischia proseguì nella polvere, calci e pugni andavano alternativamente a segno sul nemico o nello sterrato della Piazza. Si sormontavano a turni.

Ad un tratto Hyuga sembrò avere la meglio, aveva quasi reso inoffensivo il Sicario, tuttavia inaspettatamente questi mollò una ginocchiata in mezzo alle gambe del Ribelle, facendolo piegare su sé stesso, preda di fitte di dolore mai provate prima in vita sua. Soda ritenne che fosse giunto il momento di giocare del tutto in maniera sporca, estraendo il coltello che si era tenuto dopo aver consumato il pasto nella Casa, insieme ai condannati. Lo puntò alla gola di Kojiro, là dove un'arteria pulsava velocemente.

 

Più spostato, Genzo aveva trovato un valido avversario in Shunko Sho: di tutti i membri del Gruppo Speciale era colui che possedeva la tecnica migliore. Il Capitano l'aveva visto spesso allenarsi e sospettava che prima di diventare un Sicario avesse ricevuto gli insegnamenti di base da un buon maestro di duelli.

“Sho – gli chiese – com'è che uno con la tua tecnica è finito a fare un mestiere del genere?”

“La vita. Non tutti hanno la fortuna di nascere col culo al caldo come voi, Capitano dei miei stivali!”

I suoi colpi erano incredibilmente potenti, ma anche molto precisi, riuscivano spesso a metterlo in difficoltà. Wakabayashi però non demorse, c'era un motivo se era stato scelto come Capitano della Guardia, non solo perché era il pupillo di Mikami. Decise, contrariamente al suo solito, di utilizzare scopertamente una strategia parecchio aggressiva, variando lo schema dei suoi attacchi in maniera sempre più rapida e repentina, impartendo una brusca accelerazione alla sfida in corso. Solo il più abile degli spadaccini sarebbe stato in grado di resistere a lungo ad un simile carico di fendenti.

Difatti in breve tempo Sho si trovò spiazzato ed i suoi colpi persero la loro pericolosità, finendo spesso a vuoto, dato che Genzo stava già attaccando in un punto diverso. Spostata l'inerzia a suo favore per il Capitano fu abbastanza semplice disarmare Shunko ed assicurarsi che rimanesse inoffensivo, legandolo con delle robuste corde, che aveva fatto precedentemente posizionare a Mastro Takasugi nei pressi delle piattaforme. Non credeva che nessuno dei suoi compagni avrebbe avuto il tempo di liberarlo: i Sicari erano tendenzialmente egoisti ed avrebbero pensato prima alla propria pelle o al proprio divertimento, che a qualsiasi altra cosa.

Wakabayashi proseguì verso una zona più esterna e si imbatté in uno dei Konsawatt, Faran, il più terribile dei tre.

 

Ken stava affrontando Louis Napoleon dando prova di tutta la sua grande agilità: evitava qualsiasi ostacolo e saltava su ogni superficie possibile, dai bassi sassi paracarri posti agli angoli delle case, ai davanzali delle finestre, senza per altro ribaltare le fioriere. Si muoveva fluido ed elegante, in contrasto con la rozzezza dei movimenti del contendente.

“Ma sta un po' fermo, sottospecie di ballerino – Napoleon era sul punto di perdere del tutto la pazienza – Hai paura che ti disintegri un'altra volta il polso?”

“Al contrario, temo sia tu ad aver paura di non riuscire a battermi se prima non mi infortuni in qualche modo!”

Il Sicario prese l'ultima affermazione come un affronto mortale e venne accecato dalla rabbia, agendo senza ragionare, scagliandosi con tutta la sua forza verso Wakashimazu, costringendolo ad indietreggiare e quasi intrappolandolo contro un muro. Ken, accortosi in tempo della pericolosità della situazione, usò la parete a proprio vantaggio, saltando contro di essa ed usandola come punto di spinta per superare Louis in volo, atterrandogli alle spalle. Tuttavia il Ribelle aveva ricevuto una ferrea istruzione dal padre, Maestro d'armi, che gli imponeva di rispettare tutte le regole di un duello leale ed esitò prima di inferire un colpo, che avrebbe potuto essere decisivo, in mezzo alle scapole dell'avversario. Così Napoleon ebbe il tempo di tornare frontale rispetto a Wakashimazu e di spingerlo ulteriormente ad indietreggiare, questa volta verso altra gente che combatteva.

Lady Sorimachi, camminando rasente ai muri, era riuscita a raggiungere la zona di Ken e Louis. La furia incontrollata del Sicario le riportò alla mente i ricordi dell'orribile notte in cui aveva perso Kazuki, in un secondo rivide immagini che credeva di aver rimosso per sempre dalla sua memoria: la stessa corporatura, gli stessi movimenti, l'identico ghigno malefico e lo sguardo assassino che le tenebre non erano riuscite a celare. Riconobbe in Louis Napolen uno degli assassini del marito, colui che l'aveva ferito a morte. Se già prima non era intenzionata a restarsene in disparte, ora sapeva esattamente quello che doveva fare.

Napoleon aveva spinto Wakashimazu contro un barile e gli aveva fatto incredibilmente perdere l'equilibrio. Era pronto ad affondare la sua lama nel ventre del Ribelle.

Yasu non avrebbe permesso che succedesse di nuovo. Estrasse fulmineamente il suo pugnale dalla manica dell'abito e si strappò la gonna sopra le ginocchia, per essere più libera di muoversi. Si mise a correre e si gettò su Louis, gridando:

“Assassino!”

Lo colpì con precisione, tra una costola e l'altra del fianco destro, un colpo fortunato da principiante. Il Sicario sentì l'aria fuggire da uno dei suoi polmoni e rovinò al suolo, con la Lady ancora sopra di lui.

Yasu estrasse il pugnale e si rialzò, osservando la chiazza di sangue denso che si allargava sul terreno. Sentì la sua mano farsi appiccicosa e scoprì che anch'essa era sporca della medesima sostanza. La assalì un moto di ribrezzo, ma non era pentita di ciò che aveva fatto, aveva vendicato la morte del marito. Kazuki sarebbe stata fiera di lei ed avrebbe finalmente potuto riposare in pace.

Wakashimazu si era rialzato e le si era affiancato, piuttosto imbarazzato:

“Lady, grazie. Non avreste dovuto rischiare a questo modo.”

La donna rispose duramente:

“Dovevo farlo, non solo per voi, anche per me stessa.”

Mentre parlavano non si accorsero che in un ultimo disperato anelito di vita Napoleon era riuscito a mettersi supino: afferrò Lady Sorimachi per le gambe e se la trascinò addosso, stringendole poi con tutte le forze che gli restavano le braccia attorno al collo.

“Se io morirò tu verrai con me, puttana!”

Ken agì in un lampo, strappando senza troppe difficoltà Yasu dalla stretta mortale.

“Ti avrei lasciato qui a dissanguarti e morire da solo, ma vedo che non è sicuro. Addio!” Così dicendo Wakashimazu afferrò la sua spada con entrambe le mani e calandola in verticale la conficcò nel collo del Sicario a recidere tutto quanto, finché la sua punta non raggiunse l'osso.

Ken e Yasu restarono per un secondo vicini, in silenzio, contemplando l'orrido spettacolo. La lady si toccava nervosamente la gola con la mano sporca di sangue.

“Adesso sono io a dirti grazie.”

 

Hanji Urabe aveva trovato sulla sua strada Ryoma Hino, una sua vecchia conoscenza:

“Ryoma, ti credevamo tutti morto! Tuo padre non si è mai dato pace dopo che hanno trovato incendiata la carrozza su cui viaggiavi con tua madre.”

Hino guardò il Ribelle come si guarda un insetto disgustoso:

“In un certo senso è come se lo fossi. I Sicari mi hanno donato una nuova esistenza.”

Aveva una spada corta, poco più lunga di un coltello da caccia, ma affilatissima, con la quale riusciva a tenere a bada una delle perfette spade rubate a Takasugi durante l'imboscata nella Gola.

“Facendoti il lavaggio del cervello e trasformandoti in un assassino? Bella vita!” Urabe vomitò il suo disprezzo in faccia al vecchio amico.

“Tu che sei diventato un ladro non puoi farmi la morale!”

“Se sono diventato così è per colpa di quelli come te!”

Con entrambe le mani Urabe affondò un colpo verso il fianco dell'avversario. Questo lo respinse senza troppa fatica:

“Sei solo un moscerino Hanji. Hai un arma più potente della mia e non riesci nemmeno a mettere a segno una buona stoccata. Non vi insegnano proprio nulla in questa parte di mondo.”

Usando il piede sinistro come perno, Hino ruotò e piantò il pugnale nella coscia del Ribelle, che urlò di dolore. Colpì una seconda ed una terza volta, sempre alla gamba.

Hanji cadde a terra, esausto in attesa del colpo di grazia:

“Ryoma, davvero mi uccideresti così? Uccideresti come bestiame un tuo vecchio amico?”

“È quello che sono stato addestrato a fare, amico o no, fosse anche mio padre, se mi viene chiesto di uccidere, io eseguo.”

Urabe era disperato, non riusciva a capacitarsi di come una persona potesse cambiare tanto:

“Non posso credere che tu stia davvero dicendo questo! Dov'è finito il mio compagno di giochi da bambino?”

“Non esiste più.” Lo sguardo di Hino era duro, completamente insensibile a qualsiasi supplica.

“Lo vedo. Allora che aspetti, fai ciò che devi. Non credo proprio che i rimorsi ti tormenteranno, visto che non hai una coscienza. Coraggio.”

Per la prima volta in vita sua, o forse solamente dopo molti anni, il Sicario esitò ad agire. Le parole dell'amico d'infanzia avevano scavato un piccolo solco nella sua dura corazza.

Dopo qualche istante di riflessione, lo sollevò e lo lasciò in un vicolo.

“Non ti ucciderò. Vedremo se sarai abbastanza fortunato da trovare qualcuno che ti salvi.” Se ne andò senza voltarsi indietro, deciso a non permettere che mai più il suo passato potesse interferire con le sue attività.

Urabe tentò di richiamarlo, come poteva sperare che qualcuno lo trovasse, in quel vicolo seminascosto? Le sue ferite erano troppo gravi e profonde per potersi muovere e tentare di ritornare strisciando alla piazza quasi certamente avrebbe peggiorato la cosa. Si sentiva condannato a una morte lenta e dolorosa.

 

Nella piazza c’era ancora qualche persona che non era riuscita subito a fuggire dalla furia dei combattimenti, poiché si era ritrovata nel mezzo di questi prima di rendersene conto: sia i Ribelli che i membri del Gruppo Speciale erano riusciti ad infiltrarsi su tutta la superficie ed a rendere coperto dalla loro presenza pressoché ogni angolo. Molti degli spettatori erano comunque riusciti a lasciare la zona e ad infilarsi nei vicoli limitrofi per scendere verso la periferia. Qualcuno aveva avuto l’idea di recarsi fino alle mura per tentare di chiedere aiuto ai due Guardiani della Porta. Qualcun altro aveva pensato di recarsi alla Caserma della Guardia, scoprendo con disappunto che solo l’Armaiolo ed i più giovani cadetti erano rimasti nell’edificio, tutti gli altri erano stati inviati a Saitama in missione. Tantissimi vennero accolti da Matsuyama e dalla giovane Fujisawa nel Tempio della Divina Machiko. L’indole del Sacerdote non era quella del guerriero ed i suoi voti gli impedivano di prendere parte attiva agli scontri dei mortali, tuttavia nulla gli vietava di occuparsi dell’incolumità di coloro che erano estranei ai combattimenti. Inoltre suo compito era proteggere il luogo sacro di cui era designato custode: non avrebbe permesso alla violenza di varcare le soglie del Tempio.

Un paio di ragazzini stavano ancora fuggendo alla ricerca di un riparo, inseguiti dall'ultimo dei fratelli Konsawatt, Sakun.

“Venite qui, da questa parte!” Li chiamò Hikaru dal portale del Tempio.

I due accelerarono e sparirono dietro il Sacerdote, all'interno della struttura. Il Sicario non sembrava intenzionato ad arrestarsi e Matsuyama tuonò:

“Fermati. Questo è un luogo sacro. Ti proibisco di entrare.”

“Io me ne sbatto dei tuoi divieti!”

Konsawatt stava per superarlo, ma Hikaru era deciso a non permettere che il suo Tempio venisse profanato. Aveva portato con sé uno dei pesanti candelabri argentati dell'altare, solo per fare un po' di scena.

“Che la Dea mi perdoni!”

Con buona parte della propria forza lo sbatté sulla testa del Sicario, facendolo stramazzare a terra svenuto.

Yoshiko, che era accorsa quando lo aveva sentito gridare, ora lo osservava con gli occhi sbarrati, non credeva che sarebbe mai stato in grado di fare una cosa del genere.

 

Chana Konsawatt, non era un avversario dei più semplici, Maki doveva ammettere di venire impegnata più di quanto aveva preventivato in partenza: affrontare con una katana letale come la sua, un solo fendente della quale era bastato a sbudellare il cavallo di Wakabayashi, un uomo dotato solo di un pugnale le era parso assolutamente non proibitivo. Certamente sapeva che i Sicari di Azumachi subivano una vita di addestramenti continui per divenire letali. Ringraziò mentalmente Jun di avere speso parecchio tempo anche con lei, aiutandola a migliorare in precisione e freddezza.

Lo scontro si stava prolungando più del dovuto, quando finalmente la donna trovò la chiave per sfruttare il vantaggio della sua arma: si ricordò di una mossa particolarmente elaborata, consistente in prima in una finta e poi nell'attacco vero e proprio, che aveva visto eseguire un paio di volte al Principe. Questo, pazientemente, le aveva spiegato il meccanismo, ma non aveva mai avuto occasione di provarlo all'atto pratico. Eseguirlo così, ora, poteva essere un azzardo, ma era anche l'unico modo per uscire da quello stallo.

Maki prese un profondo respiro e fece il movimento, fintando prima alla sua destra e poi colpendo a sinistra, riuscendo a disarmare Konsawatt. Chana non si arrese e si scagliò a mani nude contro di lei. Akamine lo evitò per un soffio e lo colpì sulla schiena con l'impugnatura della katana, atterrandolo. Gli piazzò l'arma incollata al collo:

“Se ti azzardi a fare anche solo un movimento sei un uomo morto.”

“Io non prendo ordini da una donna!”

“Oh, lo farai se ci tieni alla tua vita.”

 

Il sangue zampillava e bruciava sul braccio del Principe. Con una rapida occhiata giudicò il taglio non propriamente superficiale, ma non tale da impedirgli di proseguire, Yayoi l'avrebbe sicuramente guarito più tardi. Inoltre era alla Cittadella per riprendersi ciò che era suo e ridare la libertà al Principato, non si sarebbe mai fermato. Era stato fortunato: un simile colpo sferrato da una lama in Nankatsu, aveva riconosciuto subito il metallo, avrebbe potuto benissimo procurargli una ferita molto più grave. Si impose di prestare maggiore attenzione, a cominciare da subito.

Valutando la sua ferita aveva perso l'attimo di vantaggio che poteva procurargli l'assestamento di Kanda dopo l'atterraggio. Si voltò e lo trovò già pronto con la guardia alzata.

“Principino, cosa c'è, il sangue ti impressiona?” Lo schernì ancora una volta il Reggente, cercando in tutti i modi possibili di provocarlo.

“Taci! Vedo invece che tu non ti sei risparmiato a farti forgiare una nuova spada col metallo più costoso in circolazione. – mentre parlava Jun partì all'attacco – La siccità imperversa e tu sprechi denaro per te stesso, invece di aiutare il popolo.”

Kanda parò i due fendenti del Principe in rapida successione e contrattaccò con un colpo molto basso, che Jun deviò con molta abilità.

“I granai reali sono pieni, il resto non ha importanza!”

Jun sbuffò nel sentire quel ragionamento assurdo. Il Reggente interpretò quel verso come un segnale di stanchezza e cercò di cogliere il momento buono, intensificando i suoi colpi, diventando però molto più imprudente. Il Principe notò il cambiamento di stile e riuscì ad infilare la propria lama nella guardia di Kanda, ferendolo a sua volta.

Lady Sugimoto osservava il duello dalla pedana riservata alle autorità, con gli occhi ridotti a fessure. Dentro di lei la rabbia ribolliva come lava incandescente pronta a tracimare. La comparsa del Principe era stato un duro colpo in pieno petto per lei: era sicura di averlo annientato, che nessuno avrebbe potuto salvarlo dalla condizione in cui l'aveva messo. Invece era apparso vivo e vegeto, determinato e, soprattutto, forte. In un primo momento aveva avvertito una sottile presenza di Magia Bianca in lui, poi si era convinta di essersi autosuggestionata: solo la magia avrebbe potuto fare qualcosa per lui, purtroppo nessuna Strega viveva nei paraggi, a parte lei, e tanto meno viveva nella foresta dei Ribelli.

Quando Kanda venne ferito la sua rabbia raggiunse l'apice: non poteva permettere che, oltre ad essere tornato dal regno dei morti, il Principe li sconfiggesse. Caricò un potente incantesimo nelle sue mani: una palla di luce nera che avrebbe disintegrato Jun non appena l'avesse sfiorato. Era così impegnato con Kanda che non si sarebbe reso conto di nulla. La scagliò verso di lui.

Stava per colpirlo, ma una luce bianca si frappose come uno scudo, disperdendo l'energia malefica.

Lo scontro delle due forze provocò una piccola esplosione che fece voltare Principe e Reggente verso la Strega Nera, per capire cosa fosse successo. Kumi aveva sul volto un'espressione indecifrabile:

“Cosa?”

“Forse dovresti usare i tuo sporchi sortilegi contro qualcun altro.”

Gridò una donna, comparendo sulla pedana in fronte alla Lady. Jun la riconobbe immediatamente, avrebbe voluto urlarle di andarsene da lì, ma la voce gli morì in gola.

Yayoi lasciò scivolare via il mantello, rivelando il semplice abito bianco senza maniche che indossava, così chiaro che quasi abbagliava lo sguardo, come se risplendesse di luce propria.

Kumi boccheggiò per un istante, ma riacquistò prontamente la sua cattiveria:

“Guarda, guarda. Allora non siete tutte morte, dopotutto.”

“Potrei dire la stessa cosa di voi!”

La voce della Strega Bianca era decisa, i suoi occhi, il suo atteggiamento, tutto in lei trasmetteva determinazione: dopo quanto accaduto al fiume le sue paure erano cessate, lasciando il posto ad un aumento dei suoi poteri, o semplicemente era il suo nuovo atteggiamento a rendere più salda la sua magia. Il fatto che la posta in gioco fosse alta non era più un ostacolo, ma uno sprone ulteriore, unito ai sentimenti che provava per Jun.

“Hai scelto il momento sbagliato per palesarti, ragazzina. Ora vedrai cosa vuol dire sfidare il potere di Gamo!”

Subito Kumi richiamò a sé un'altra sfera di energia nera, indirizzandola verso l'avversaria. Yayoi distese le braccia in avanti, con i palmi ben sollevati e creò una barriera di luce bianca, contro cui l'incantesimo di Lady Sugimoto si infranse per la seconda volta.

Lo scontro tra le due Streghe era iniziato.

Sulla pedana principale anche il Principe ed il Reggente avevano ripreso il loro duello.

 

Faran Konsawatt dava le spalle al Capitano della Guardia Reale, poiché era impegnato con un altro avversario, un giovane ragazzo. Genzo lo osservò un po' prima di capire chi fosse: era il Ribelle che aveva urlato quando nello scontro di qualche mese prima la Guardia aveva ucciso uno di loro. Gli sembrò che si chiamasse Sawada, o qualcosa del genere. Si vedeva chiaramente che era inesperto, non avrebbe retto a lungo il confronto con Konsawatt. I Ribelli non avrebbero dovuto portarlo con loro, o forse, senza di lui non avrebbero avuto abbastanza uomini: alla Guardia non erano mai riusciti esattamente a calcolare quale fosse il loro numero.

Wakabayashi si fece avanti, per attirare su di sé l'attenzione di Faran, obbligandolo ad affrontare un avversario alla sua altezza, ma si mosse troppo tardi: il Sicario colpì a morte Takeshi e poi rise, rise a più non posso, preparandosi ad infierire ulteriormente sul malcapitato.

Genzo venne percorso da un moto di collera per il trattamento privo di pietà e rispetto per l'avversario perpetrato da tutti i Sicari, mandò a Gamo tutte le sue riserve e colpì Konsawatt nella schiena, all'altezza dei reni: se quelli volevano il gioco sporco, l'avrebbero ricevuto. Una volta caduto a terra, lo allontanò da sé con un calcio ed accorse da Takeshi, che ormai boccheggiava.

“Coraggio ragazzo, non mollare! Un priore! Un dannatissimo Priore!”

Sawada parlò al Capitano, con lo sguardo già distante:

“È troppo tardi. Raggiungerò Shimada.”

Genzo gli prese la testa tra le mani e restò con lui fino alla fine, rimpiangendo di non essersi mosso in anticipo: avrebbe potuto impedire che succedesse. Si sentiva come se fosse uno dei suoi uomini a cadere.

 

Kojiro sentì la lama fredda contro il collo sudato e realizzò che quello scontro avrebbe potuto concludersi solo con la morte di uno dei due. Soda non gli avrebbe mai permesso di sopravvivere, uccidere era la sua natura, non lo avrebbe mai lasciato andare finché non lo avesse messo fuori gioco, definitivamente.

La sua posizione era delicatissima, un movimento sbagliato ed il coltello del Sicario gli avrebbe reciso la gola. Makoto lo sapeva benissimo:

“Bene, topo di fogna! Forse ora ti darai una calmata, poi penserò ai tuoi fratelli, non temere, ti raggiungeranno presto.”

Hyuga chiuse gli occhi, cercando di allontanare il dolore che ancora pulsava violento all'inguine, raccogliendo forze e concentrazione: Soda credeva di fare il furbo a giocare sporco, ma non sapeva che anche lui ne era altrettanto capace. Repentinamente si gettò dal lato opposto al coltello ed iniziò a tirare calci alla cieca, sperando di prendere in qualche maniera il contendente. Riuscì a colpirlo con un calcio al volto, spedendolo all'indietro e rompendogli un paio di denti: se le mani di Hyga erano potenti, i suoi calci erano letali.

Kojiro si rialzò e corse verso Makoto, schiacciandogli al suolo, col piede destro, il polso che reggeva il coltello, di modo che la mano del Sicario dovette allentare la presa. Il Ribelle allontanò col piede sinistro la piccola arma, dopodiché si gettò sul nemico, colpendolo con tutta la sua forza al volto, ripetutamente.

Soda svenne dopo qualche pugno e sarebbe quasi certamente rimasto ammazzato dalle botte se non fosse sopraggiunta Maki, che aveva sbrigato la faccenda Konsawatt:

“Kojiro, fermati!”

“No – l'uomo era accecato dalla rabbia – non avrò pietà per lui che non ne avrebbe avuta coi miei fratelli.”

“Calmati, non è la vendetta che cerchiamo, ma la giustizia. Lascia che la giustizia segua il suo corso. Ti prego – lo supplicò – tu non sei un assassino.”

Le parole della donna riuscirono a calmare Kojiro, smise di tirare pugni. La sua violenza era stata talmente tanta che anche le sue nocche bruciavano e perdevano sangue.

 

Dopo aver eliminato Napoleon, Ken e Yasu si erano gettati nella mischia ed ora si ritrovavano a combattere schiena contro schiena con tre Sicari contemporaneamente. Yasu aveva paura: con Louis aveva agito d'impulso, ma sapeva bene che non era addestrata per lunghi combattimenti, suo fratello le aveva fornito solo i rudimenti di base per l'autodifesa.

“Wakashimazu, se non ci inventiamo qualcosa ci sopraffaranno.”

“Credete che non lo sappia, Lady?” Le rispose ironico il Ribelle, respingendo al contempo un attacco del più basso dei tre.

Ken aveva visto già alcuni di loro cadere sotto i fendenti dei membri del Gruppo Speciale: per quanto il Principe avesse davvero insegnato molto a tutti e fornito consapevolezza sulle loro potenzialità, la maggior parte di essi restava comunque contadini, o mercanti, o artigiani, o allevatori, gente fondamentalmente pacifica, catapultata a combattere contro professionisti delle uccisioni. Se la Dea non avesse inviato loro soccorso, quella giornata si sarebbe conclusa con una carneficina.

Improvvisamente un forte rumore provenne dalla zona dei Guardiani della Porta, facendosi sempre più vicino.

“Arriva la cavalleria?” Domandò Lady Sorimachi.

Voleva essere solo una battuta, tuttavia si rivelò essere la verità: dalla parte bassa della Cittadella sbucò il Vice Capitano Izawa alla testa della Guardia Reale al completo.

“Ricordate – ordinò agli uomini – il vostro obiettivo sono i Membri del Gruppo speciale, non torcete un solo capello ai Ribelli. E adesso, carica!”

L'esercito partì a spron battuto, in un turbine di bianco e mantelli azzurri. Sfruttando il vantaggio dato dalle cavalcature e dal numero superiore, si riversarono su tutta la piazza ed in poco tempo circondarono e neutralizzarono tutti i Sicari. I Ribelli non riuscivano a credere che i loro nemici giurati, la Guardia Reale, li avessero salvati.

Mamoru riuscì ad individuare Genzo e gli si accostò, senza smontare da cavallo.

“Capitano.”

Wakabayashi fece un cenno di saluto, i suoi occhi brillavano di orgoglio dato che il suo Vice aveva dimostrato una cieca fiducia in lui.

“Izawa, manda il mio Attendente alla residenza dei Priori a dirgli di accorrere tutti. Ci sono parecchi feriti a cui prestare soccorso e caduti di cui occuparsi.”

Mamoru annuì:

“Morisaki, hai sentito? Va più veloce che puoi.”

Yuzo partì senza bisogno che l'ordine gli venisse ripetuto una seconda volta.

Il Vice Capitano smontò da cavallo, poi il suo sguardo si diresse sulla piattaforma, dove ancora si duellava e rimase interdetto:

“Ma.... ma... quello.... è..... è....”

“Sì, Izawa – gli rispose Genzo – Ora vado ad aiutarlo.”

Con la coda dell'occhio il Principe vide il suo Capitano avvicinarsi e lo bloccò:

“Capitano Wakabayashi, occupatevi di altro. Sistemare questo traditore è compito mio.”

 

Anche lo scontro tra le due Streghe era ancora in corso, nessuna delle due era disposta a cedere, ma Kumi aveva il vantaggio di poter attaccare: la magia di Yayoi, nella sua stessa natura, era solamente difensiva, non poteva essere usata per fare del male ad alcuna creatura. Se Yayoi l'avesse usata per ferire Lady Sugimoto, si sarebbe irrimediabilmente corrotta e lei stessa si sarebbe trovata pericolosamente sul baratro della Magia Nera e Gamo avrebbe potuto conquistarla a sé. Di contro Lady Sugimoto stava perdendo sempre più la calma, dato che tutti i suoi colpi venivano respinti dall'altra Strega, non riusciva a far breccia nelle sue difese.

L'ennesima sfera nera che lanciò si infranse contro il bianco scudo di Yayoi. Era ora di smetterla di essere cauti ed usare tutto il proprio potenziale.

“Vuoi il gioco duro, pulce? Ebbene l'avrai!”

Lady Sugimoto generò un altro incantesimo in direzione della Strega Bianca, ma questa volta il getto di magia fu continuo, non era più una sfera, ma un vero e proprio fascio di energia distruttiva che premeva sulla barriera bianca.

Yayoi avvertì l'impatto più forte dei precedenti, tanto che per un istante le tremarono i polsi. Avvertiva la rabbia e la cattiveria della Strega Nera piombarle addosso, come se volesse fagocitarla. La magia usata da Kumi era veramente potente ed il fatto che non si interrompesse mai rendeva tutto più difficile. Anche se l'energia nera non perforava la barriera che aveva eretto, le sue braccia iniziavano a cedere ed a piegarsi sotto il peso dell'attacco costante, non avrebbe potuto reggere ancora per molto. Fu costretta a fare un mezzo passo indietro per non ritrovarsi il suo stesso scudo addosso.

“Divina Machiko, se ami questa tua figlia, dalle la forza per riuscire a contrastare questo grande male.”

Donando le sue ultime energie all'incantesimo, la Strega Bianca riuscì a stabilizzare la sua barriera e ad allontanare da sé la minaccia incombente, distendendo nuovamente le braccia, accompagnata da un'intensa luce.

 

“Uh, principino, abbiamo deciso di giocare a fare l'eroe?” Kanda ironizzò, dopo aver sentito Jun impedire a Wakabayashi di dargli man forte. Era decisamente stupido se rifiutava un aiuto del genere, tanto meglio per lui. Kumi avrebbe sistemato per sempre la sua piccola amichetta streghetta e lui avrebbe infilzato il Principe, così non avrebbero più avuto impedimenti.

“Se fossi in te io non sarei così felice, Kanda! Non vedi che tutti i tuoi uomini sono stati sconfitti? Se anche tu mi uccidessi, la Guardia Reale non ti permetterebbe mai di regnare!”

Il Reggente si sentì gelare a quelle parole e si voltò a guardare: il Principe aveva detto il vero, i Sicari erano legati ed imbavagliati o giacevano a terra morti, sorvegliati dall'intera Guardia a cavallo. I Ribelli erano vittoriosi, i ragazzi Hyuga parevano essersi volatilizzati. Tutti i suoi piani ed intrighi avevano fallito, non sarebbe stato più un sovrano.

“Maledetto! Che Gamo ti maledica e ti annienti!”

Così dicendo si scagliò contro il Principe, cercando di portare a termine quanto meno l'impresa di ucciderlo, infischiandosene delle conseguenze per sé stesso. Se poi Kumi si fosse liberata dell'altra Strega, avrebbe pensato lei a vendicarlo. La mossa gli fu fatale: Jun lo disarmò agilmente e lo costrinse a terra, puntandogli la propria spada al petto, ad altezza del cuore.

“Che cosa stai aspettando? - provocò un'ultima volta il Reggente – Avanti, uccidimi! O non hai abbastanza spina dorsale per farlo?”

Jun lo guardò, gli occhi pieni di odio per tutto quello che aveva fatto al suo popolo e a lui in prima persona. Se avesse voluto, avrebbe potuto finirlo in un istante, affondando la punta della spada là dove Kanda aveva tentato inizialmente di ucciderlo: in una sorta di contrappasso, gli avrebbe spezzato il cuore. Tuttavia il Principe abbassò l'arma, sciogliendo la tensione al braccio e sul volto.

“Io non sono come te.”

Quelle parole giunsero dritte in pieno volto al Reggente, più acuminate di qualsiasi coltello.

“Wakabayshi e Izawa, prendete questo traditore ed allontanatelo da me. Che Jito lo sbatta in cella.”

I due soldati salirono sulla piattaforma, prendendo Kanda in consegna.

All'improvviso, là dove le due Streghe si davano battaglia, un'esplosione fortissima squarciò l'aria. Una fitta nube di fumo e polvere si sollevò, impedendo a chiunque la vista.





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E le mazzate sono arrivate! Anche un filo più splatter di quello che avevo prventivato in alcuni punti.
L'arrivo di Mamoru e della Guardia stile esercito dei morti nell'ultimo film de Il signore degli anelli, l'ho immaginato proprio così XD, ha portato una bella svolta.
Però non si può dire che tutto sia concluso, c'è ancora qualche problemino.
Se invece vi state chiedendo dove sia finito Ishizaki, è stato lasciato al Toho come difesa per le donne: data la sua recente paternità, né Kojiro né Jun si sono sentiti di chiedergli di andare a rischiare di farzi ammazzare.
 

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Capitolo 16
*** Stanza XVI ***


L'esplosione era stata talmente forte da far scappare i tre fratelli Hyuga dalla Casa di Transito, inseguiti da un preoccupatissimo Jito: chiusi al sicuro non avevano la minima idea di come stesse evolvendo la situazione sulla piazza, per quanto ne sapevano i combattimenti potevano essere ancora in corso.

“Kojiro!!!” Chiamò Naoko, mentre cercava disperatamente il fratello, attraverso la polvere ed il fumo che avvolgevano quasi ogni cosa.

“Naoko! Masaru! Takeru! State bene?!” Kojiro corse loro incontro e li abbracciò forte tutti e tre insieme, con il Carceriere arrivava dietro di loro, riprendendoli con la sua voce potente:

“Ragazzini, vi sembra il modo di fare? Scappare fuori a quella maniera dopo un'esplosione!”

Hyuga lo guardò torvo e pronto ad affrontare anche quell'ostacolo, ma capì che il rimprovero dell'uomo era dovuto alla sincera preoccupazione per l'incolumità dei tre fratelli, più che dal desiderio di riportarli in prigione. Rudemente si rivolse a Jito:

“Grazie per averli protetti durante gli scontri.”

“Dovere. Tuttavia finché sua Altezza non si pronuncerà io non li posso abbandonare, resterò qui con tutti voi.”

Il Capo dei Ribelli annuì, tutt'altro che entusiasta.

La polvere ed il fumo lentamente si diradarono, rivelando che il piccolo muro al lato nord della piazza era quasi completamente distrutto. Su uno dei mucchi di pietre divelte giaceva il corpo immobile di Yayoi Aoba.

Nel rendersi conto di ciò che era accaduto, il Principe sentì una morsa stringergli il cuore, come nei giorni della sua malattia. Si precipitò accanto alla Strega.

“Yayoi! - la chiamò scuotendola leggermente – Yayoi, per amor della Dea, apri gli occhi!”

Si ritrovò a pregare, come mai aveva fatto in tutta la sua vita, affinché la donna fosse ancora viva. Non avrebbe mai saputo darsi pace se così non fosse stato.

“Yayoi, torna qui.”

Anche Maki, da sotto la pedana, non appena riuscì a mettere a fuoco la scena, sentì un nodo allo stomaco al vedere l'amica che non dava segni di vita.

Dopo quella che a Jun parve un'eternità, la Strega aprì lentamente gli occhi:

“Jun...”

“Yayoi! Sei... sei...”

La donna, a fatica, gli appoggiò una mano sulle labbra.

“Sono tanto stanca, ho dovuto usare tutta me stessa per respingere gli incantesimi della Strega Nera.”

Il Principe, al colmo della felicità, incurante che tutti i presenti nella piazza, a cominciare dalla Guardia Reale, stessero guardando nella loro direzione, si chinò sulla Strega e la baciò con passione, assaporando ogni istante. Yayoi rispose con la stessa passione ed il desiderio accumulato durante le ultime settimane.

Lentamente si separarono e lo sguardo della donna cadde sul braccio sinistro del Principe, dove la ferita inferta da Kanda non aveva cessato di sanguinare:

“Jun, sei ferito!”

“È solo un graffio.” Minimizzò l'uomo.

“Dovresti in ogni caso farlo disinfettare.” Insisté Yayoi.

“Più tardi, te lo prometto. Ora ce la fai ad alzarti?”

La Strega annuì:

“Solo se tu mi permetti di appoggiarmi a te.”

Delicatamente il Principe l'aiutò a mettersi in piedi, cingendole la vita con un braccio ed aiutandola a camminare. Si guardarono attorno e videro la desolazione che le poche ore di battaglia avevano portato all'interno della Cittadella. I feriti erano parecchi, in entrambi gli schieramenti e tra i cittadini che non erano riusciti a trovare un riparo per tempo. I Priori si muovevano rapidi a cercare di alleviare le sofferenze di tutti. Matsuyama stava impartendo la benedizione ad alcuni cadaveri deposti in prossimità del tempio: appartenevano quasi tutti ai Ribelli più giovani ed inesperti, ma che avevano comunque voluto partecipare all'azione. Pochi erano i membri del Gruppo Speciale ad aver trovato la morte. Eppure un corpo mancava all'appello: da nessuna parte si riusciva a trovare qualche traccia della presenza di Lady Sugimoto, sembrava si fosse dissolta nell'aria.

Jun sussurrò a Yayoi:

“Credi che sia scappata?”

“Credo sia stata colpita dal suo stesso incantesimo, dopo che è rimbalzato contro il mio scudo. Temevo mi avrebbe annientata, invece all'ultimo istante le si è come rivoltato contro. So che era abbastanza potente da distruggere qualcuno, ma con le serve di Gamo non si può mai dire nulla, soprattutto in assenza di un corpo.”

Il tramonto stava scendendo velocemente sulla Cittadella e presto sarebbe stato difficile lavorare all'aperto.

Il Principe fece ancora qualche passo, scendendo dalla piattaforma, sempre sostenendo Yayoi. Wakabayashi e gli altri erano in attesa dei suoi ordini.

“Jito!”

Il Carceriere si inchinò:

“Comandate mio signore.”

“Prendi in consegna Kanda, lascia pure andare i tre ragazzi.”

“Sì, Altezza.”

Il Principe si rivolse ora ai fratelli Hyuga:

“Kojiro, nei prossimi giorni vorrei sentire da loro il racconto di come si sono svolti i fatti a Saitama, prima di dichiararli completamente liberi, anche se non ho dubbi che sarà dimostrata la loro innocenza contro qualsiasi accusa gli abbia mosso il traditore. Nel frattempo, questa notte tutti i Ribelli potranno alloggiare nella Sala dei Ricevimenti alla Fortezza, sarete miei ospiti.”

Il Capo dei Ribelli annuì, fissandolo negli occhi.

“Hai mantenuto la tua promessa, hai salvato i miei fratelli e hai sconfitto il tiranno.”

I due uomini si strinsero, in segno di stima reciproca ed affetto, la mano per un istante, per poi lasciarsi andare ad un più fraterno abbraccio: quei mesi condivisi li avevano uniti nel profondo. Il Capitano ed il Vice rimasero a bocca aperta per la familiarità con cui il Ribelle si rivolgeva al loro Principe.

“Abbiamo sconfitto il nemico, insieme. Vorrei potervi offrire di più di un tetto sopra la testa. – proseguì il sovrano, sciogliendo l'abbraccio – Domani darò ordine che vi vengano preparate le stanze degli ospiti.”

Akamine, che aveva prontamente afferrato Yayoi quando Jun aveva manifestato il suo affetto a Kojiro, si intromise nel discorso:

“Hai già fatto molto anche così, non ci aspettavamo di essere ricevuti alla Fortezza. Anche se...”

“Prosegui, Maki.” La invitò il Principe.

“Vorrei poter portare la notizia al Toho, in modo che non si preoccupino.”

Jun sembrò soppesare la cosa, era giusto far sapere al villaggio che gli scontri si erano conclusi, però avrebbe voluto egli stesso portare la notizia e annunciare personalmente i nomi dei caduti. Alla fine si pronunciò:

“E sia. Vice Capitano Izawa, farete in modo che domani mattina, appena si leverà l'alba, sia fornito a questa donna il cavallo più veloce della guarnigione. Maki tu porterai la notizia e ordinerai a tutti di venire alla Cittadella, li voglio presenti quando indirò il Concilio.”

La donna si inchinò rispettosamente, rendendosi conto che non era più il loro compagno di avventure nelle foresta a parlare, ma il Principe che aveva ripreso a pieno il suo ruolo.

“Capitano Wakabayashi!”

Genzo fece un passo avanti, inginocchiandosi.

“Affido a voi la gestione dei feriti e dei prigionieri. Mi fido delle vostre scelte e confido che agirete nel rispetto dei miei desideri.”

“Potete starne certo, Altezza!”

Il Capitano si rialzò ed iniziò a dare ordini ai suoi uomini ed ai Priori.

Il Principe si spostò verso il Tempio con Yayoi, voleva condurla al più presto al riparo, dove potesse riposare: nonostante avesse appena dato prova di possedere grande forza, la sentiva così fragile tra le proprie braccia.

Lungo la strada vennero bloccati dal Priore Katagiri, quasi in stato confusionale:

“Vostra Maestà! Vostra Maestà! - sembrava sull'orlo di una crisi isterica – Voi dovreste essere morto. Io vi ho visto morto! Eravate morto! E ora...”

“Ora sono vivo Katagiri. E non certo grazie a voi!” Jun tentò di toglierselo di torno, con più bruschezza di quanto effettivamente avrebbe voluto, ma non riusciva a dimenticare il fatto che colui che si reputava la massima autorità medica del Regno non avesse riconosciuto in lui i sintomi dell'avvelenamento.

“Un qualche maleficio, senz'altro! - Ribatté l'uomo, cercando di darsi un contegno, afferrando al volo il monocolo prima che cadesse rovinosamente sulla strada. - Ora lasciate che vi visiti per assicurarci che Vostra Maestà stia davvero bene! Siete anche ferito!”

“Priore, ci sono feriti più gravi di me di cui occuparsi!”

“Ah!” Yayoi lanciò un grido e si staccò dal Principe, cadendo in ginocchio, troppo debole per reggersi in piedi da sola. Proseguì carponi fino al vicolo, da dove provenivano strani lamenti.

“Hanji!”

Urabe era per terra in una pozza di sangue, pallido e debole.

“Presto, un aiuto, ha perso molto sangue!” Gridò la Strega, tentando di arrestare l'emorragia delle ferite alla gamba con la propria gonna. Sfortunatamente non aveva nessuna delle sue erbe a portata di mano.

Il Principe, che l'aveva seguita, chiamò:

“Katagiri, se volete fare qualcosa di utile, occupatevi di lui!”

Senza attendere sollevò Yayoi in braccio e la allontanò dal vicolo. La Strega protestò:

“Jun, io devo aiutare Hanji!”

“C'è un Priore con lui, tu ora hai bisogno di riposare. Mi hai insegnato tu a non strafare.”

Arrivò alla porta del tempio dove trovò la giovane Yoshiko Fujisawa, impegnata a sciacquare i graffi di alcuni ragazzini, e, poco più in là, Matsuyama. Lì chiamò:

“Fujisawa, Matsuyama, posso affidarvi lei? Ha bisogno di un posto tranquillo.”

Il Sacerdote corse incontro al Principe e subito riconobbe che colei che portava in braccio non era una donna qualsiasi.

“Altezza, la casa della Dea Machiko è sempre aperta per le sue devote. La prendo io.”

Delicatamente Matsuyama prese la Strega in consegna nelle proprie braccia.

“Io ho solo bisogno di riposare, non voglio arrecare disturbo.” Sussurrò Yayoi, ormai quasi allo stremo.

Il Sacerdote la guardò intenerito:

“Voi non disturbate, potrete riposarvi quanto vorrete.”

Jun le si avvicinò fino a che le loro fronti si toccarono:

“Non fare stupidaggini, ti amo.”

“Ti amo anch'io.”

Prima di allontanarsi, il Principe si rivolse un'ultima volta al Sacerdote:

“Matsuyama, un favore personale: tenete i Priori lontani da lei, non capirebbero.” Jun sapeva che non appena i Priori avessero realizzato dove e chi Yayoi fosse, avrebbero dato il via ad una sorta di caccia alla Strega e, finché non si fosse ristabilita, non voleva che si trovasse ad affrontare anche quel problema. Inoltre, dopo quanto accaduto con lui, non si fidava totalmente dell'ordine di studiosi.

 

 

 

 

 

Genzo perlustrava la piazza e le vie circostanti, vigilando affinché a tutti venisse fornito l'aiuto necessario. Aveva già provveduto a far avvisare alla Fortezza dell'arrivo dei Ribelli ed iniziato a far trasferire i più in forma, mentre i suoi uomini conducevano nelle celle i Sicari ed il traditore Kanda. Aveva anche mandato un gruppo della Guardia Reale a tenere a bada tutti i curiosi che avevano avuto notizia del ritorno dal regno dei morti del Principe e che una volta cessato il pericolo volevano curiosare in quella faccenda.

Soprattutto, però, voleva ritrovare la sorella, assicurarsi che stesse bene. L'aveva vista poco prima dell'inizio del combattimento, poi, nella foga, l'aveva persa. Conoscendola, non si era messa al riparo, quasi certamente era invece andata alla ricerca di un'occasione per gettarsi essa stessa mischia, accidenti a lei.

Improvvisamente si ritrovò col fiato mozzato, non poteva credere a ciò che vedeva davanti ai suoi occhi: la morigerata vedova Sorimachi era seduta su una botte, con la gonna lacerata a lasciarle le gambe completamente scoperte fino al ginocchio, sporca di sangue su ciò che restava dell'abito, ed un uomo sconosciuto le stava appoggiando le mani sulle spalle. La donna sembrava pure gradire quelle attenzioni, tanto che aveva adagiato il capo contro le braccia dell'uomo.

Il Capitano si tolse di fretta il mantello e si avvicinò a rapide falcate.

“So che resterà comunque un ricordo traumatico per voi – stava dicendo il Ribelle, sicuramente di uno di loro si trattava – uccidere un uomo non è mai semplice, ma se può consolarvi avete salvato un'altra vita.”

Lady Sorimachi annuì impercettibilmente, fissando con sguardo vacuo le proprie mani ancora insanguinate.

“Yasu – tuonò Genzo – Cosa fai lì mezza svestita?!”

Senza attendere repliche le gettò addosso il mantello, coprendola, e lanciò un'occhiata tagliente al Ribelle che aveva osato sfiorarla. Riconobbe l'uomo che aveva accompagnato il Principe alla Cittadella qualche sera prima. Quest'ultimo, al sentire la voce, era sobbalzato all'indietro, allontanandosi di qualche passo, come colto in fallo.

“Capitano, vi posso assicurare che non ho fatto caso al succinto abbigliamento di vostra sorella.” Ken tentò una pezza giustificativa e Yasu sbottò:

“Mi fa piacere, fratellino, che il mio decoro sia la cosa che preme più di tutte, perfino della mia stessa incolumità.”

“Yasu...” Volle ribattere Genzo, ma la sorella gli tappò la bocca.

“E poi chi vuoi che si sia messo a badare ai miei vestiti mentre combattevo?”

Wakabayashi chinò la testa, sospirando:

“Ti stavo per chiedere: sei ferita?”

“No. - rispose secca, fin troppo – Io l'ho fatto fuori, il bastardo che ha ucciso Kazuki, con queste mani.” Rivolse le palme al fratello, poi, inaspettatamente scoppiò a piangere.

“Credevo che mi avrebbe fatto stare meglio, invece mi sento svuotata.”

Genzo le si avvicinò e l'abbracciò forte, cercando di calmarla e sussurrando:

“Ci sono passato anch'io.”

Ken, silenziosamente, si allontanò, lasciando quel momento all'intimità dei gemelli.

 

 

 

 

 

 

Quella mattina la sala del Trono era gremita: non appena tutti i feriti della Battaglia della Cittadella, com'era già stata battezzata, si furono ripresi e si furono svolte le esequie dei caduti, Jun aveva convocato il primo Concilio della sua nuova Reggenza, per rendere note alcune sue decisioni. Il potere della famiglia reale era assoluto, ciò non toglieva che i sovrani potessero avvalersi, oltre che della collaborazione del Sovrintendente, del consiglio della nobiltà e dei rappresentanti delle varie istituzioni del regno in alcune situazioni spinose. Nei giorni precedenti il Principe aveva fatto svolgere molte indagini, interrogato molte persone, tra cui Kanda ed i suoi scagnozzi, condannandoli al trasferimento alla prigione Hirado. Era anche riuscito a risalire alla sorte del suo Attendente personale, Sanada, bruciato al suo posto nel suo falso funerale. Da ultimo aveva infine dovuto cedere alle insistenze dei Priori e farsi esaminare attentamente da Katagiri, finché questo non si fu convinto del suo stato si salute ebbe ammesso che il suo cuore era perfettamente funzionante.

Il trono rialzato sulla pedana era ancora vuoto, ma sulle panche collocate lungo la parete alla destra di chi vi avrebbe preso posto già sedeva l'intero Collegio dei Priori, con Katagiri in testa. Dal lato opposto erano disposti i nobili, il Capitano della Guardia Reale e il sacerdote Matsuyama. Sul fondo della sala erano collocati i Ribelli, adeguatamente ripuliti e forniti di abiti un poco più consoni all'occasione rispetto al loro consueto abbigliamento.

Nell'esatto momento in cui il sole faceva capolino nella grande finestra rotonda istoriata, il Principe fece il suo ingresso nella stanza da una porta laterale, seguito da un nuovo Attendente. Sulle spalle portava il mantello giallo decorato con una spada blu ed uno scudo rosso ricamati ed al fianco aveva la spada.

Tutti nella sala si alzarono in piedi per accoglierlo, chinando il capo in segno di rispettoso saluto.

Giunto davanti al trono il Principe sollevò la mano destra:

“Potete accomodarvi. Vi ho convocato qui perché dopo i fatti dell'ultimo periodo è necessario operare dei cambiamenti. Innanzitutto verranno aperti i granai e le riserve reali: parte del loro contenuto verrà distribuito agli abitanti dei villaggi maggiormente colpiti dalle conseguenze negative della siccità o distrutti dagli uomini assoldati da Kanda.”

Un mormorio di assenso provenne dalle file dei Ribelli, mentre qualcuno dei nobili si scambiava occhiate perplesse.

“A questo proposito – proseguì Jun – qualcuno dei Priori dovrebbe recarsi ad Hokinawa e dintorni a studiare l'epidemia dei salmoni.”

Sistemata la questione più urgente della popolazione, il Principe bevve una coppa d'acqua prima di dedicarsi a situazioni più specifiche:

“Dopo attente indagini e valutazioni è mia ferma intenzione riabilitare il nome di Lord Fujisawa, ingiustamente accusato e condannato a morte e porgere le mie più sentite scuse alla sua famiglia.”

Si alzò, scese i gradini e raggiunse il Sacerdote Matsuyama e la cugina:

“Lady Fujisawa, so che questo non vi restituirà vostro padre, ma sappiate che ha sacrificato la vita per difendere una donna da una brutale aggressione. Potete essere fiera di lui.”

Yoshiko annuì grata, mentre calde lacrime le rigavano le guance: la verità sulla morte del padre avrebbe lentamente lenito una ferita ancora aperta.

Il Principe tornò al trono, proseguendo sul suo programma:

“Capitano Wakabayashi! Venite al centro della sala.”

Genzo ubbidì, non troppo sorpreso per quella chiamata, avanzando fiero col lungo mantello rosso rappresentante il suo grado, e si inginocchiò ai piedi del trono:

“Vostra Altezza, comandate.”

“Alzatevi pure, Capitano. Come certamente ricorderete non è mia abitudine intromettermi troppo negli affari della Guardia Reale, tuttavia ritengo doveroso un mio intervento in questo momento.”

“Capisco.”

A Genzo non andava molto a genio che il Principe si intromettesse negli affari della Guardia, come del resto aveva sempre mal sopportato le ingerenze di Kanda, ma era consapevole che, dopo il ritorno sul trono, Sua Maestà aveva intenzione di fare parecchi cambiamenti, anche per evitare che in futuro accadessero nuovamente situazioni incresciose come le ultime.

“Innanzitutto voglio porgere un plauso a tutti i soldati che sono intervenuti nella Battaglia della Cittadella, dimostrando ancora una volta il valore di questo corpo militare: senza il loro tempestivo intervento le sorti dello scontro sarebbero state diverse.”

“Vostra Altezza è troppo buono. - rispose Wakabayashi – i miei uomini hanno solo svolto il loro dovere, scegliendo di indirizzare la loro fedeltà al vero Sovrano.”

“Oltre alla Guardia Reale, anche coloro che sono stati definiti Ribelli, in realtà miei alleati – il Principe calcò volutamente sulla parola alleati, prevenendo una qualsiasi contestazione – hanno combattuto con valore, perciò offro a tutti coloro che tra di essi lo desiderano, la possibilità di entrare a far parte della Guardia.”

Un brusio si levo nella sala, un misto di eccitazione, da parte dei Ribelli, e di mal contento, di cui Genzo si fece interprete:

“Vostra Altezza, io comprendo che questi uomini vi siano stati fedeli, ma siete sicuro che siano in grado di far parte del corpo militare?”

Jun sorrise tranquillamente:

“Ovviamente, Capitano, a voi spetterà il compito di valutarli e di stabilire se ci sarà chi potrà già ricoprire il servizio attivo o se dovranno tutti svolgere il normale periodo da Cadetti. Lo standard della Guardia Reale rimarrà invariato. Tuttavia su un nome ho da porre una richiesta particolare: Wakashimazu, avanzate anche voi.”

Se il Capitano della Guardia non era stato sorpreso di venire convocato pubblicamente, per il Ribelle la situazione era esattamente all'opposto, non aveva la più pallida idea del perché dovesse recarsi in mezzo al salone. Con circospezione si alzò e si accostò a Wakabayashi, esibendosi in un inchino stiracchiato: non era molto avvezzo al cerimoniale di corte.

“Vostra Altezza.”

“Capitano, Lord e Lady, questo è Ken Wakashimazu, figlio di Katsumoto Wakashimazu, che sono sicuro tutti ricorderete come validissimo Maestro d'armi di mio padre. Ken ha ricevuto un addestramento completo ed è mio desiderio che si occupi di formare all'interno della Guardia Reale un gruppo di arcieri specializzati. Capitano, concorderete con me che il tiro con l'arco può essere considerato il punto debole della Guardia.”

A malincuore, Wakabayashi dovette ammettere che il Principe aveva ragione: di tutte le specialità marziali quella era la più trascurata nella formazione dei soldati.

“Naturalmente, Capitano, se Ken accetterà l'incarico, resterà sempre sotto il vostro comando diretto e non usurperà neppure i gradi del Vice Capitano Izawa. A voi la scelta, Wakashimazu.”

I due si fissarono per un lungo istante: Wakabayashi non poteva dimenticare di aver visto il Ribelle piuttosto intimo con Yasu, anche se poi lei gli aveva spiegato che si erano trovati a combattere fianco a fianco ed a salvarsi reciprocamente la vita. Gli era indubbiamente grato per ciò che aveva fatto, ma non lo voleva troppo vicino alla sorella, aveva una strana sensazione al riguardo. Wakashimazu nutriva all'incirca le medesime perplessità, aveva intuito quanto il Capitano fosse protettivo nei confronti della sorella ed era innegabile che l'esperienza dei giorni precedenti lo avesse fatto avvicinare alla Lady. Voleva avere la possibilità di rivederla.

Fu Ken il primo a fornire una risposta:

“Per me sarebbe un grande onore poter servire in questo modo il Regno e credo che anche mio padre ne sarebbe fiero.”

Il Capitano si sfiorò il mento ed espresse il suo parere:

“Se la mia autorità sulla Guardia Reale resterà inalterata, non vedo perché dovrei oppormi alla possibilità di aumentarne le abilità. Inoltre tutti conosciamo il nome di Katsumoto Wakashimazu e non ci potrebbe essere migliore garanzia di questo.”

I due uomini si strinsero le mani e tornarono ad accomodarsi sui rispettivi sedili.

Jun ne approfittò per bere nuovamente, prima di affrontare il successivo argomento, che certamente gli avrebbe procurato più obiezioni.

“In questi giorni ho appreso molte notizie a riguardo dello stato di decadimento in cui versa la città di Saitama. Come forse molti di voi sapranno, un tempo era la più prestigiosa città del Regno. È mio desiderio che tale città venga riportata in vita, non pretendo fino ai livelli del suo massimo splendore, ma voglio che ritorni ad essere un punto di riferimento nel Regno. Beninteso, la capitale resterà alla Cittadella ed i Principi continueranno a risiedere alla Fortezza Musashi.”

Molti dei nobili parvero turbati a quell'iniziativa:

“Maestà, vi rendete conto dello stato di degrado in cui versa quel posto?”

“Molto più di voi, Lord Honma. Tuttavia buona parte delle abitazioni in muratura mi risultano essere in piedi, e perfino la scuola è ancora funzionante. Non nego ci sarà molto lavoro da fare, ma stare qui a discutere non cambierà le cose.”

“Altezza – intervenne un altro nobile – con la strada in quelle condizioni non si riuscirà a convincere nemmeno il più disperato venditore ambulante a mettere piede a Saitama. Come pensate di fare?”

Jun rispose deciso:

“Infatti inizierò proprio dalla strada. Sono d'accordo con voi, senza vie di comunicazioni adeguate, un insediamento urbano è destinato a rimanere isolato. Ora prego Kojiro Hyuga di avanzare al centro della sala.”

Kojiro si irrigidì all'istante, non gli piaceva essere al centro dell'attenzione di una simile assemblea, tra politicanti e gente avvezza alle chiacchiere. Era un uomo pratico e il lungo periodo di latitanza nella foresta aveva contribuito a rendere i suoi modi più grezzi di quanto già non fossero. Scambiò un'occhiata indecisa con Maki, che gli rispose con un sorriso incoraggiante.

“Eccomi, vostra Altezza.” Si piazzò dove gli era stato richiesto, ma evitò di inchinarsi, cosa che non passò inosservata a nobili e Priori.

“Hyuga, ho una proposta interessante per voi, ma prima rispondete a questa domanda: è vero che la vostra famiglia è originaria di Saitama?”

“Sì, Principe.”

“Quindi immagino che il progetto di rinascita della città vi possa interessare particolarmente.”

“Ovviamente sì.” Rispose il capo dei Ribelli, con una punta di impertinenza: cominciava a stancarsi di quello strano giochetto.

“Benissimo. Io vorrei nominarvi Maestro di Saitama, sarete i miei occhi ed il mio rappresentante in città, per tutto il tempo che sarà necessario a far ritornare Saitama una città vitale. Nulla potrà essere fatto laggiù senza la vostra esplicita approvazione. Periodicamente ci incontreremo per valutare insieme i progressi e le azioni da intraprendere.”

Hyuga era rimasto senza parole, non si aspettava una proposta del genere. Jun gli aveva accennato che avrebbe fatto in modo di ricompensare i Ribelli, già la possibilità di entrare nella Guardia Reale era molto, addirittura diventare il responsabile della rinascita della sua città era qualcosa che andava oltre i suoi sogni.

“Io... Io ne sarei molto onorato, Principe.” Si inchinò con tutta l'eleganza che poté.

Alla risposta, i nobili, già irrequieti, esplosero affannandosi a gridare ognuno il suo parere. Anche i Priori mostravano segni di un certo disagio.

Il Principe alzò una mano, per far tacere l'assemblea.

“Parlate uno alla volta! Prego Lord Honma, fatti portavoce per gli altri nobili.”

“Maestà, è una follia! Quest'uomo ha guidato apertamente una ribellione contro il Principato e la corona ed invece di punirlo gli affidate un compito ed una carica così prestigiosi? Ci sono un sacco di altri uomini”

“Quest'uomo – Jun lo interruppe bruscamente, scattando in piedi e parlando freddo e deciso – è stato il primo ad accorgersi del marcio che c'era nel Regno, è stato il primo a tentare di fare concretamente qualcosa per aiutare il popolo vessato. Forse avrà sbagliato il modo, ma vi chiedo, Lord Honma, cosa avreste fatto voi, se aveste visto la vostra casa distrutta da coloro che avevano il compito di proteggervi? E non mi pare che nessuno di voi nobili abbia fatto qualcosa per aiutare il popolo. Quindi non accetto rimostranze da voi, che eravate pronti ad appoggiare un sovrano che voleva giustiziare tre ragazzini. Certo, avrei dovuto accorgermi io stesso dei tradimenti perpetrati sotto il mio tetto, ma ora sono qui per rimediare e Kojiro Hyuga è la persona più adatta ad occuparsi di Saitama. Io mi fido di lui, gli affiderei la mia stessa vita.”

Terminata l'arringa il Principe si sedette, mentre la fazione dei Ribelli esplodeva in un fragoroso applauso all'indirizzo del sovrano. Nobili e Priori non osarono più obiettare nulla.

Dopo qualche istante, il Principe parlò di nuovo:

“Risolta la faccenda, vi annuncio che per ora non ho intenzione di procedere alla nomina di un nuovo Sovrintendente, voglio prendere del tempo per scegliere qualcuno di cui mi fossa fidare ciecamente. Quando Tsubasa tornerà, se vorrà procedere diversamente, allora farà come desidera. Ora, prima di concludere, qualcuno ha delle ulteriori questioni da sottoporre al Concilio?”

I Priori si guardarono, era il momento che più avevano atteso durante la lunga mattinata. Katagiri, in qualità di rappresentante del gruppo, avanzò e si rivolse al Principe:

“Vostra Maestà, noi del Priorato vorremmo esporre un pensiero, condiviso anche da molti nobili.”

A Lady Sorimachi la premessa non piacque per niente, a cominciare dal fatto che per trovare i 'molti nobili' sostenitori della mozione, lei non era stata interpellata e nemmeno lontanamente informata sul contenuto della stessa. Guardò sospettosa il fratello, il quale non poté far altro che stringersi nelle spalle, ignaro quanto lei di ciò che stava per avvenire.

“I Priori avranno deciso di accamparsi in pianta stabile alla Fortezza per scongiurare nuovi avvelenamenti.” Ironizzò.

Tuttavia Jun sembrava disposto ad ascoltare:

“Parlate pure, Priore Katagiri.”

“Grazie Altezza. Noi abbiamo pensato che, a seguito degli eventi dell'ultimo anno e considerando anche che ormai è molto tempo che il Principe Tsubasa manca dal Regno, sia il caso che vostra Altezza, ehm, fornisca un erede, onde assicurare la continuità dinastica.”

Il Principe continuò a sorridere, per nulla disturbato dall'impudenza con cui gli era stata posta la questione, lanciando però uno sguardo a Yayoi dalla parte opposta della sala:

“Mi sembra un parere condivisibile e sono certo che se colei che desidero diventasse mia moglie accettasse, voi sarete i primi a saperlo.”

Il Priore sentì farsi la gola secca, dato che non aveva ancora terminato il suo discorso:

“Maestà, siete consapevole che nella vostra posizione non potete scegliere una donna qualsiasi?”

“Io non ho nessuna intenzione di scegliere una donna qualsiasi.” Jun ora spostò lo sguardo dritto verso Katagiri. Chiunque altro al suo posto sarebbe indietreggiato di fronte a quella determinazione.

Sistemandosi nervosamente la lunga veste verde, l'uomo proseguì:

“Intendo dire che noi abbiamo designato la sposa ideale per Vostra Maestà, anche in accordo con i desideri dei defunti Principi. In fondo è compito del Collegio dei Priori assicurarsi che la candidata a Principessa sia idonea.”

A quelle parole Yasu sentì un campanello d'allarme scattarle nella testa e si ritrovò a maledire mentalmente di aver scelto proprio quel giorno per rinunciare agli abiti del lutto.

“Prima di occuparvi della eventuale moglie di un Principe, dovreste preoccuparvi di mantenerlo in vita! – Jun non intendeva tollerare altro e senza rendersene conto aveva scagliato una vera e propria freccia avvelenata – Katagiri, venite al dunque e poniamo fine a questa scena patetica.”

“Noi riteniamo che dovreste sposare al più presto Lady Sorimachi, come era desiderio anche di vostra madre.”

Nella Sala del Trono il silenzio cadde pesante per alcuni istanti, finché la voce di Yasu non lo ruppe:

“Io mi rifiuto! - Annunciò, spostandosi per fronteggiare Katagiri, evitando agilmente i tentativi del Capitano Wakabayashi di trattenerla – Priore, vi ricordo che sono vedova e che non potete obbligarmi a risposarmi!”

“Se si tratta del bene del Regno, possiamo. Inoltre mi sembra che il tempo consono sia trascorso.”

“Priore! - Il Principe tornò ad esprimersi – Io non intendo prendere in moglie una donna che non lo desidera. Inoltre, per quanto Lady Sorimachi sia un'ottima dama, non potrà mai avere il mio amore, è un'altra colei che io desidero.”

Messo alle strette, Katagiri non trovò nulla di meglio da fare che mettersi ad urlare:

“Non vi riferirete forse a quella Strega che sta laggiù?” Con un indice accusatore indicò Yayoi, che se ne stava in silenzio con la testa bassa. La donna non riusciva a sopportare che Jun le venisse strappato a quella maniera.

“Quella donna mi ha salvato la vita. Dovreste esserle grato, invece di accusarla.”

“Non permetteremo mai che una Strega sieda sul trono di Yomiuri Land!”

Il Principe strinse i pugni e li sbatté violentemente sui braccioli del trono:

“Prendetevelo pure voi Priori, il trono, se ci tenete tanto.”

Katagiri, che non si aspettava una tale risoluzione da parte del Principe, fece un passo indietro. Sentì che le sue stesse armi gli si stavano rivoltando contro: se sua Altezza lasciava il trono, il Regno sarebbe piombato nel caos, molte famiglie nobili avrebbero accampato diritti sul trono, scatenando una guerra civile.

A sciogliere il momento di stallo, intervenne il Sacerdote Matsuyama, che aveva assistito in silenzio fino a quell'istante:

“Scusate se mi permetto di intromettermi, ma vorrei ricordare a tutti i presenti alcuni degli insegnamenti fondamentali della Divina Machiko. Anche voi Priori dovreste ricordarli. - Guardò direttamente gli uomini di scienza, pronto ad intavolare uno dei suoi sermoni – Innanzitutto, le Streghe Bianche come la qui presente sono state benedette dalla Dea col potere di aiutare i bisognosi. Vi assicuro che non vi sono dubbi sul fatto che Yayoi Aoba sia una di queste: ha trascorso gli ultimi giorni alloggiata da me presso il tempio e il favore della Dea verso questa donna era chiaramente percepibile a chi, come me, ha dedicato la sua vita a servirla. Inoltre, non è forse l'amore il dono e l'insegnamento principale della Dea? È così chiaro, al punto da essere ciechi per non vederlo, che questi due giovani si amano del più puro sentimento e che sono stati messi sulle reciproche strade dalla Dea. Chi siamo noi mortali per interferire con i disegni della Divina Machiko? Io sarei orgoglioso di avere una Principessa benedetta dalla Dea e, viceversa, un Principe che sceglie di sposarsi per amore e non per convenienza politica. Lasciate che l'amore viva, lasciate che l'amore trionfi, lasciate che Machiko ci guidi.”




_____________________________________
E finalmente la lunga battaglia contro Kanda ed i suoi si è conclusa, ma un nuovo ostacolo si è messo sul cammino di Jun.
Riuscirà il discorso di Hikaru a far breccia tra i Priori ed i nobili decisi ad obbligare il Principe ad un matrimonio forzato?
Un grazie molto particolare a berlinene, suggeritrice di questo imprevisto tra Jun e Yasu. :)

Ma soprattutto: Genzo, dovresti rivedere le tue priorità! XD
 

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Capitolo 17
*** Stanza XVII ***


Dopo un paio di giorni in cui la pioggia era finalmente tornata a dare sollievo ai territori del Principato di Yomiuri Land, il sole si era levato caldo e intenso, regalando una stupenda giornata di fine estate. La Cittadella era un tripudio di fiori e colori: tutte le porte e le finestre delle abitazioni erano decorate o con fiori recisi o con fiori di tessuto o con veli multicolori. Le strade erano state pulite, le piazze sgombrate, il cortile della Fortezza rimesso a lustro, pronto ad ospitare fiumi di gente. L'attività era febbrile in ogni angolo: tutti gli abitanti erano in trepidazione per le nozze reali a cui ormai mancava veramente poco.

Il Tempio di Machiko splendeva quasi come uno specchio, le sue colonne erano cariche di corone di fiori e la statua della Dea sembrava sorridere più benevola del solito. Hikaru Matsuyama indossava già la ricca veste color ciclamino, riservata alle celebrazioni nuziali, e passava in rassegna il Tempio, per assicurarsi che tutto fosse perfetto. Stringeva tra le mani un piccolo aquilotto che aveva trovato sul davanzale della sua finestra il giorno dopo la Battaglia della Cittadella, dove la sua Furano era caduta. Sembrava proprio che la Dea avesse deciso di mostrargli la sua benevolenza, inviandogli un altro degli animali a lei prediletti.

Un grido acuto del piccolo lo fece voltare verso l'ingresso: il Principe era arrivato, in anticipo, come sua abitudine. Il Sacerdote gli andò incontro:

“Vostra Maestà, è un piacere avervi qui.”

Jun sorrise felice:

“Credetemi, Matsuyama, il piacere è tutto mio oggi.” Indossava un abito celeste, accompagnato da un mantello di una tonalità leggermente più scura. Nessuno stemma campeggiava sui tessuti, solo il colore del cielo era previsto per gli sposi, di qualunque estrazione sociale essi fossero. Al fianco portava la spada, solo per completare l'insieme, che per una reale necessità. Le sarte reali avevano compiuto un mezzo miracolo a confezionare il tutto in così pochi giorni: dopo il Concilio e dopo che Yayoi aveva accettato di diventare sua moglie, aveva voluto che la cerimonia avvenisse il più presto possibile.

“Venite Altezza, direi che possiamo procedere con l'unzione visto che siete qui. La vostra futura sposa l'ha già ricevuta all'alba.”

Il Principe annuì ed andò ad inginocchiarsi ai piedi della statua della Dea, raccogliendosi un istante in preghiera. Silenziosamente Hikaru lo accostò per pronunciare le parole rituali:

“Vostra Maestà, siete qui oggi obbedendo al desiderio del vostro cuore e libero da qualsiasi altra costrizione?”

“Sì, lo sono.”

“Che la Dea possa esservi testimone.” Così dicendo, con due dita bagnate del profumato olio sacro, il Sacerdote unse la fronte del Principe.

Terminato il piccolo rituale preparatorio, i due uomini si avviarono tra le colonne del Tempio, godendo della serenità del luogo sacro.

“Matsuyama – esordì Jun – volevo ringraziarvi per il vostro intervento al Concilio, senza le vostre parole non so se tutto questo avrebbe mai potuto esserci.”

Il Sacerdote scosse la testa:

“Ho detto solo ciò che pensavo. Sono convinto che la Dea vi voglia uniti e, se non in questo modo, avreste trovato un altro sistema.”

“La vostra fede è ammirevole.”

Hikaru si arrestò, sistemando una manica dell'ampia veste.

“In questo ultimo anno mi è stata molto di conforto.”

Restarono per qualche attimo in silenzio.

“Come sta vostra cugina?”

“Un po' meglio, il fatto che abbiate fatto luce sui reali accadimenti relativi alla morte del padre ha contribuito a farle trovare più stabilità. In questi giorni, col matrimonio di mezzo a cui pensare l'ho rivista sorridere quasi come un tempo. - Sospirò profondamente – Se penso che tra poco dovrò metterla al corrente di qualcosa che potrebbe destabilizzarla ancora.”

“Credo di sapere a cosa vi riferite. State parlando della sua nascita?”

Matsuyama restò completamente spiazzato:

“Voi sapete?”

Il Principe si passò una mano tra i capelli:

“Lord Fujisawa lavorava alla Fortezza, ricordate? Io e Tsubasa, da bambini, abbiamo visto nostro padre rientrare da una battuta di caccia con vostro zio, ma invece delle prede avevano un fagotto che piangeva. Noi, ehm, abbiamo origliato la conversazione. - Chinò il capo, vergognandosi per quella piccola marachella infantile – Quando papà ci scoprì, ci fece promettere sul nostro onore di Principi di non raccontare nulla a nessuno.”

Hikaru non riuscì a trattenere una piccola risatina all'immaginare i due principini colti sul fatto.

“Direi che fino ad ora avete mantenuto la promessa, ma per contro mio zio mi ha pregato di rivelare la verità a Yoshiko quando avrà vent'anni e tra poco sarà il suo compleanno.”

“Se vorrete potremmo parlarle insieme.” Jun non ebbe remore ad impegnarsi col Sacerdote, aveva sempre sentito una certa affinità con l'uomo che, per certi versi, era stato suo confidente, confrontandosi spesso su argomenti dottrinali.

Matsuyama annuì grato della disponibilità del Principe nei suoi confronti.

“Venite ora: meglio prendere posto, la gente sta cominciando ad arrivare.”

Infatti poco a poco il Tempio stava iniziando a popolarsi, buona parte della nobiltà del Regno era accorsa, anche dalle campagne e dalle città entro un raggio di tre giorni di viaggio. Sicuramente chi stava più lontano avrebbe trovato altri modi per porgere i propri omaggi alla nuova coppia reale. Gli uomini portavano i loro mantelli migliori e le dame facevano a gara a chi avesse l'abito più bello, in una moltitudine di colori e gioielli, per certi versi fuori luogo data la semplicità nell'abbigliamento prevista per gli sposi dal rito.

Il Principe aveva fatto riservare in buona posizione una parte dei posti ai Ribelli: sia lui che Yayoi li desideravano presenti alla cerimonia, incuranti dell'opinione delle famiglie dei nobili.

Il Capitano Wakabayashi portava con orgoglio rinnovato la bianca divisa della Guardia Reale, in versione da cerimonia, corredata di ampio mantello rosso e cappello piumato del medesimo colore. Prima di raggiungere il proprio posto, si inchinò al cospetto del Principe presso l'altare, ricevendo in risposta un cenno del capo. Voleva rilassarsi in quella giornata ed aveva concesso carta bianca al Vice Capitano Izawa per quanto riguardava la sicurezza alla Cittadella, si era pienamente guadagnato la sua fiducia. Aveva anche finalmente chiarito tutte le incomprensioni col Cavaliere Mikami, suo vecchio mentore, tornando a godere della sua benevolenza, ma anche delle sue ingerenze nella propria vita privata, dato che l'uomo lo considerava tuttora un buon partito per la figlia. Li aveva intravisti entrambi qualche fila più indietro, al termine della cerimonia avrebbe dovuto certamente andare a salutarli.

Presto non vi fu più un solo posto libero e molti del popolo si accontentarono di restare in piedi ai lati ed in fondo, vicino all'ingresso.

All'ora stabilita il corteo delle Ancelle di Machiko, guidato da Yoshiko in qualità di solista, entrò dal portone principale, precedendo la sposa lungo la navata. La giovane Fujisawa intonava con la sua voce cristallina i versi che narravano la storia d'amore della giovane Hoshi col cavaliere Mitsuo,1 che la Dea innalzò a costellazioni, rendendoli simboli imperituri di amore. Tra una strofa e l'altra il coro delle fanciulle intonava un piccolo refrain di lode a Machiko.

Qualche passo dietro il gruppo avanzava Yayoi, sorridente. Se Jun aveva avuto a disposizione tutte le sarte reali per il suo abito, la Strega aveva dovuto ricorrere all'abilità con ago e filo di Yukari ed alla grande generosità di Lady Sorimachi. Impossibilitate a confezionare qualcosa di nuovo in così breve tempo, quest'ultima aveva ceduto il proprio abito da sposa, affinché fosse modificato e riadattato. Le differenti corporature delle due donne avevano dato modo a Yukari di dimostrare tutta la sua perizia nell'adattare alle diverse forme di Yayoi il nuovo modello. Aveva eliminato le maniche e le decorazioni sul corpetto, che la stessa Yasu non amava troppo, ma che avevano fatto tanto piacere alla madre all'epoca, cambiata la scollatura e accorciata la gonna, per evitare che l'amica ne inciampasse, eliminando anche buona parte del tulle della sottoveste che aumentava il volume: Yayoi aveva preferito una linea più semplice, che cadesse quasi dritta. Unico vezzo, Yukari e Yasu avevano trovato al mercato qualche metro di un tessuto velato quasi trasparente della stessa tonalità di azzurro dell'abito, che avevano deciso di cucire come strato supplementare sopra la gonna, a dare l'idea di un illusione. Lady Sorimachi aveva definito l'effetto finale quasi magico, perciò adatto alla Strega. Col parecchio tessuto eliminato dall'abito originale Yayoi aveva ricavato un nastro da legare al collo, in sostituzione dei gioielli, caldamente sconsigliati alle spose secondo il rito più ortodosso. Era anche risaputo che Matsuyama non amasse spose troppo sfarzose. Altri nastri furono dati da legare al polso alle sue damigelle. Completavano l'insieme fiori bianchi freschi intrecciati nelle lunghe chiome rosse della futura sposa ed un piccolo mazzolino che essa reggeva in mano.

Jun, al culmine dell'emozione, la vide spuntare dietro al coro, che si era diviso per salire i gradini dell'altare e ricomporsi alle spalle del Sacerdote, rimanendo estasiato da quella bellezza e perfezione. Si sentiva l'uomo più fortunato del Regno dopo che quella creatura aveva acconsentito a diventare sua moglie.

Dietro di lei chiudevano il corteo le tre damigelle scelte dalla sposa: Maki, Yasu e Yukari, ognuna con abiti in tonalità chiare.

Raggiunto l'altare, Jun le andò incontro, accogliendola con un bacio sulla fronte e Matsuyama impartì un primo segno di benedizione alla coppia.

Il canto delle Ancelle di Machiko si interruppe ed il Sacerdote prese la parola:

“Oggi siamo tutti qui per celebrare l'amore e vivere un momento di gioia. Tuttavia è desiderio degli sposi di non dimenticarsi dei caduti dei giorni scorsi: essi hanno espresso il desiderio di ricordarli con una preghiera prima di procedere al rito nuziale vero e proprio.”

Tutti i presenti si raccolsero silenziosamente per qualche istante, facendo correre ancora una volta i loro pensieri alla Battaglia della Cittadella.

Matsuyama si recò all'urna dove la fiamma consacrata a Machiko ardeva imperitura e da essa accese un bastoncino di legno che posizionò in un piccolo bacile metallico, dove prese ad ardere vivacemente. Si avvicinò alla sposa e glielo porse. Questa vi gettò il suo mazzo di fiori, affinché vi vi venisse bruciato. Lentamente iniziò a spargersi per il tempio un dolce profumo, considerato segno della benevolenza della Dea alle nozze: era credenza che fosse segno di malaugurio che i fiori offerti dalla sposa alla fiamma non sprigionassero alcuna fragranza nell'aria.

“Come l'essenza scaturita da questa fiamma, attraverso l'aria giunge ad ognuno di noi, penetrando nei nostri animi e donandoci gioia, così il vostro amore, giovani sposi, trabocchi dai vostri cuori e giunga ad accarezzare l'anima dell'altro. Prendetevi ora per mano.”

La coppia si voltò in modo da potersi guardare. Il Principe afferrò tra le proprie le mani che Yayoi gli porgeva, sentendole un poco rovinate, ma allo stesso tempo delicate: erano mani che avevano curato molte ferite. Si accorse che tremavano. La Strega abbandonò le proprie mani in quelle grandi e gentili di Jun, rendendosi conto che erano meno salde di quanto si aspettasse: tradivano l'emozione dell'uomo.

“Se siete pronti, è il tempo delle promesse. Vostra Altezza.”

Il Principe si schiarì la voce e recitò la formula tradizionale:

“Io, Jun, prometto che il mio amore per voi, Yayoi, sarà per me più puro dell'acqua, più forte della roccia, più ardente del fuoco e più vitale dell'aria. Sarò il vostro porto sicuro e le vostre ali per volare nella vita.”

“Io, Yayoi, prometto che il mio amore per voi, Jun, sarà per me più puro dell'acqua, più forte della roccia, più ardente del fuoco e più vitale dell'aria. Sarò il vostro porto sicuro e le vostre ali per volare nella vita.”

Lady Sorimachi sentì un nodo in gola, ricordando il momento in cui aveva scambiato le sue promesse con Kazuki, ma sentì che faceva meno male del solito.

Matsuyama sollevò entrambe le braccia:

“Davanti a Machiko avete compiuto un sacro giuramento. La Dea accetta i vostri impegni e veglierà su di voi nel cammino che da questo momento percorrerete insieme.”

Il Coro delle Ancelle di Machiko intonò un canto costituito da due moduli di cinque note sovrapposti che si ripetevano continuamente, creando un effetto ipnotico.

Guidati dalla musica, Yayoi e Jun entrarono in una specie di stato alterato, perdendo contatto con la realtà fisica che li circondava. Nelle orecchie sentivano il rimbombare vorticoso dei loro cuori secondo due ritmi nettamente distinti. Improvvisamente, questi si arrestarono un lungo momento. Poi ripresero a battere all'unisono, come un unico alito di vita.

La voce del Sacerdote li riportò nel presente:

“Con la benedizione di Machiko, potete baciarvi.”

Fu un bacio intenso e vero, non propriamente il casto bacio simbolico prescritto dal cerimoniale, ma Matsuyama non ebbe nulla da obiettare, anzi, sorrise compiaciuto, due giovani che si amano non dovrebbero essere frenati nelle reciproche manifestazioni d'affetto.

Il Principe si voltò verso i fedeli accorsi al Tempio ed annunciò:

“Abitanti della Cittadella, amici accorsi da lontano e fedeli sudditi, ecco la vostra nuova Principessa!”

Gli applausi scrosciarono, molto più calorosi tra i Ribelli, la Guardia ed il popolo che tra i nobili, non ancora del tutto convinti della scelta del Sovrano.

Yayoi, incoraggiata da uno sguardo del marito, pronunciò le sue prime parole come Principessa:

“Il Principe ed io saremmo molto lieti di avervi tutti come ospiti al banchetto ed alle danze preparate nel cortile della Fortezza.”

Solitamente i Principi aprivano il banchetto di nozze in una sala della Fortezza solo ai parenti ed alle più importanti famiglie nobili, ma Yayoi e Jun avevano deciso che tutti fossero presenti per festeggiare non solo le nozze, ma anche la liberazione del Principato dal tiranno.

Tenendosi ancora per mano i due sposi scesero le scale dell'altare e percorsero tutta la navata verso l'uscita, seguiti dal Coro delle Ancelle di Machiko che intonava un inno di lode alla Dea. Al passaggio della coppia Reale tutti gettarono ai loro piedi foglie verdi provenienti dagli imponenti alberi di Kira situati nella Foresta Meiwa, come augurio di fertilità.

I Principi raggiunsero una piccola carrozza scoperta che li attendeva e partirono alla volta della Fortezza.

 

 

 

 

 

Il sole stava iniziando a calare, il tramonto era prossimo. L'uomo si arrestò poco lontano dalla Cittadella avvolto nel mantello da viaggio. Osservò le mura perfette e le torri della Fortezza Musashi ergersi maestose a dominare l'abitato. La vista famigliare gli riscaldò il cuore, era stato lontano decisamente troppo a lungo. Aveva inseguito un sogno ed un ideale, scoprendo nuovi territori ed usanze, ma ora era tempo di tornare a casa.

Spronò il suo destriero per raggiungere al trotto l'accesso principale della Cittadella. Poco prima di essere troppo vicino ai Guardiani della Porta decise che forse era meglio entrare in maniera più discreta e deviò il suo percorso verso il passaggio segreto, che gli avrebbe anche consentito di arrivare ai quartieri più elevati, non lontano dalla Fortezza.

Sbucato all'interno della cinta muraria, fu subito colpito dall'aria di festa che si respirava, a cominciare da tutte le decorazioni sulle abitazioni: sicuramente si festeggiava qualcosa di importante, ma non gli sembrava di ricordare ci fossero ricorrenze particolari in quel periodo. Più si avvicinava alla Fortezza, più il vociare e la musica invadevano le sue orecchie.

Giunto davanti al portone, lo trovò aperto, sorvegliato distrattamente da uno dei servitori mentre una coppia di giovani usciva tenendosi per mano e ridendo felice. Pareva proprio che il cuore dei festeggiamenti fosse all'interno del cortile.

La sua curiosità aumentò. Smontò e legò il cavallo allo steccato del viale d'accesso, avrebbe pensato più tardi a portarlo nelle stalle.

Approfittando del fatto che l'uomo all'ingresso fosse impegnato a ricevere un rifornimento alimentare, entrò senza dare troppo nell'occhio.

Da un lato era posizionata una lunga tavola imbandita dei resti di un lauto banchetto. Alcuni uomini della Guardia Reale vi si aggiravano intorno, forniti di boccali di birra. Al centro del cortile vi era lo spazio riservato alle danze, dove la maggior parte della gente era accalcata. Cercò di farsi strada per vedere meglio, facendo anche scivolare via il cappuccio. I musicisti reali stavano suonando una danza tradizionale, con l'aggiunta di un flauto suonato da un uomo con i capelli lunghi che indossava la divisa della Guardia. Non lo riconobbe.

Soli a danzare, con i palmi delle mani destre che combaciavano a metà strada tra loro e le braccia sinistre dietro le rispettive schiene, c'erano solamente il Principe, in abiti nuziali, e quella che doveva essere la sua sposa. Per poco non gli venne un colpo: Jun si era sposato e lui se l'era perso.

Si soffermò sulla neo principessa: i tratti del viso e l'espressione erano molto dolci, a prima vista sembrava adatta al Principe, mentre per quanto riguardava lui, era parecchio tempo che non lo vedeva sorridere a quella maniera.

La musica terminò e decise che era arrivato il momento di palesarsi:

“Posso avere l'onore di un ballo con la sposa?”

Tutti si voltarono verso di lui e rimasero a bocca aperta.

“Tsubasa!” Esclamò Jun, tra stupore e gioia, inchinandosi poi al fratello maggiore, imitato da Yayoi.

Il Principe Legittimo sorrise ed avanzò di qualche passo per offrire la sua mano al Principe Reggente:

“Fratello mio! Non c'è bisogno di queste cerimonie tra di noi, alzati. Anche tu sorella. - Aiutò entrambi ad alzarsi e li abbracciò – Sono contento di essere a casa.”

Si voltò e notò che tutti gli invitati al matrimonio si erano genuflessi in suo onore. Guardò il fratello e si grattò la nuca:

“Jun, io non volevo rovinare la tua festa. Alzatevi tutti e che la musica ricominci. Allora danzerete con me Principessa...?”

“Yayoi, vostra Altezza. Ne sarei onorata.”

La Strega venne trascinata in una danza rapida da Tsubasa, seguita presto da molti degli invitati. Durante il ballo fu riempita di domande da parte del Principe Legittimo.

Jun, invece, si allontanò un poco ed incrociò Lady Sorimachi, che commentò sarcastica:

“Già che c'era poteva starsene via un altro paio di giorni. Perfino al tuo matrimonio riesce a concentrare tutta l'attenzione su di sé.”

Il Principe Reggente sollevò leggermente le spalle.

“Che ci vuoi fare, è fatto così.” In qualità di fratello minore era abituato a farsi rubare la scena da Tsubasa e, anche se a volte aveva provato del fastidio, quel giorno nulla poteva distoglierlo dalla felicità raggiunta. O dal dare una spintarella ad altri sulla via per ottenerla.

“Yasu, dovresti invitare Wakashimazu a ballare, sareste una bella coppia.”

Lady Sorimachi arrossì leggermente, ma non perse il suo spirito battagliero:

“Per farmi uccidere da Genzo? Un'altra volta magari. Poi ora Ken è impegnato a suonare. Con permesso.”

Si allontanò con passo veloce verso il tavolo del banchetto, dove recuperò un boccale di birra.

Jun si ritrovò a ridacchiare.

Poco dopo Tsubasa ricomparve con Yayoi, per ricondurla a lui.

“Jun, tua moglie è davvero adorabile. Credo di essermi perso un sacco di cose stando via, non avrei mai immaginato di tornare e trovarti sposato.” Ammise colpevole il maggiore dei Principi.

Jun annuì, poi spalancò gli occhi, come colto da un pensiero improvviso:

“Tsubasa, noi... non ti aspettavamo per oggi. Da quando sei partito io occupo gli alloggi nella Torre Centrale, che sarebbero tuoi. Sono stati preparati per noi stasera e... Se avessi saputo li avrei fatti preparare per te e io sarei tornato nell'altra torre.”

Tsubasa posò una mano sul braccio al fratello per arrestare quel fiume di parole:

“Jun, non ho alcuna intenzione di sfrattarti la tua notte di nozze. Ci sarà un posto negli alloggi degli ospiti. Domani sistemeremo tutto e mi aggiornerai su molte cose. A proposito, come mai non vedo Koshi?”

Yayoi e Jun si scambiarono un'occhiata preoccupata, che non passò inosservata al Principe Legittimo: aveva toccato l'unico argomento che avrebbe potuto intaccare la gioia di quel giorno. Il Principe Reggente rispose:

“È una lunga storia, ne riparleremo.”

Per il momento Tsubasa sembrò accontentarsi e lasciò la coppia per andare ad intrattenersi con i vari ospiti.

I festeggiamenti continuarono anche quando fu necessario riempire i cortili di fiaccole e candele. La nuova coppia reale ballò e scambiò parole cortesi con tutti, nobili e non, amici o semplici conoscenti.

Al momento opportuno, Genzo chiese la parola:

“Come molti di voi sapranno, è tradizione in occasione dei matrimoni reali che il Capitano della Guardia offra un piccolo dono agli sposi prima che si ritirino a rendere completa la loro unione: una coppa di Shutetsu da dividersi.” Batté le mani ed il suo Attendente Morisaki presentò il vassoio con la coppa colma del liquore tipico dei soldati ancora fumante.

Il Capitano proseguì:

“Prima la Principessa.”

Jun riuscì a sussurrare all'orecchio di Yayoi, prima che bevesse:

“Solo un sorso, quella roba è parecchio forte.”

Yayoi bevve, sentendo il liquido caldo scenderle fino in fondo allo stomaco e da lì irradiarle una piacevole in tutto il corpo fino alla punta delle dita, poi passò la coppa al marito, che la terminò, tra gli applausi dei presenti e qualche coretto goliardico.

“Credo sia giunto il momento che io e mia moglie ci ritiriamo nelle nostre stanze.”

Prese dolcemente la Strega per mano ed insieme si diressero verso la scalinata che conduceva alla Torre Centrale, sparendo in breve oltre la pesante porta d'ingresso, su per le scale, fino al talamo nuziale.

Nei cortili si proseguì a cantare, a ballare, a brindare alla nuova coppia, al ritorno di Tsubasa e alla ritrovata pace nel Principato, sotto le stelle che splendevano alte nel cielo.


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1Secondo il sito che ho consultato, letteralmente Hoshi significa stella e Mitsuo uomo scintillante.


Ebbene, eccoci giunti al termine di questa storia. In questo finale i Ribelli sono restati decisamente sullo sfondo, ma il loro lieto fine l'avevano avuto durante il Concilio, quando avevano visto ufficialmente riconosciuti e ripagati i loro sforzi e sacrifici. Qui è stato tutto dedicato alla coppia reale, con un matrimonioa metà strada tra la cerimonia religosa ed il rituale magico, ed al tanto sospirato ritorno di Tsubasa-Re Riccardo. Tra i due Principi ci sarà molto da chiarire e discutere, ma mi sembrava giusto chiudere così, col giubilo generale. Devo dire che sono rimaste aperte delle porticine per eventuali seguiti o spin-off, e la cosa non mi dispiace, ma per un po' sento la necessità di staccare con questo "mondo". è dal 2012 che mi sto portando appresso questa storia, aiuto!
Nella mente ci sono già altre idee e progetti, devo vedere a quale dare la precedenza. Comunque mi impegno a non pubblicare finché non avrò abbastanza materiale per non lasciare la storia in sospeso per mesi (a meno che non si tratti di raccolte di one-shot).

Veniamo all'angolino ringraziamenti: ringrazio tutti coloro che hanno seguito e dato una possibilità a questa storia, chi l'ha letta silenziosamente, chi ha recensito, chi l'ha inserita in una delle varie liste. Grazie a tutti.
Un grazie particolare va nuovamente a berline, per avermi concesso di utilizzare il suo personaggio originale Yasuko Wakabayashi, che doveva solo essere una guest star del capitolo 13, ma che è diventata un personaggio ricorrente negli ultimi capitoli. Grazie ancora. ;)

Per finire un piccolo regalo per chi avrà la pazienza e la voglia di approfondire il mondo sonoro della Ballata, visto che siamo anche sotto Natale. XD Questo è un Sanctus da una messa di Giovanni Pierluigi da Palestrina, un compositore operante nelle maggiori basiliche di Roma nella seconda metà del 1500. E' un esempio di come io immagino le atmosfere create dal Coro delle Ancelle di Machiko.
https://www.youtube.com/watch?v=F0YcwzjG_sY

Invece qui ci spostiamo in Irlanda, con il compositore Turlough O'Carolan per avere un'idea delle danze durante la festa di matrimonio di Jun e Yayoi.
https://www.youtube.com/watch?v=HLna7v3lH6A
 

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