Cronache di un inverno a Lullaby

di cecchino_2028
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chi erano Daniel e Samuel Epstein? ***
Capitolo 3: *** La pista di Lullaby ***
Capitolo 4: *** Chi era Elizabeth Holden? ***
Capitolo 5: *** La festa di Ellis ***
Capitolo 6: *** Come tutto è iniziato, o forse finito ***
Capitolo 7: *** La dura vita di Drew Sanders ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




L'aria nella stanza era tesa, tutto era fermo, nessuno aveva il coraggio di aprir bocca, nessuno osava muovere un muscolo, come se un qualsiasi suono od un movimento potessero sconvolgere la situazione e far esplodere quella bomba ad orologeria sospesa tra gli sguardi di fuoco che si stavano lanciando Daniel ed Elizabeth. Nonostante non ci fosse realmente una bomba tra loro, tutti i presenti sembravano avvertirne il ticchettio, alcuni di loro, forse, riuscivano addirittura a vederne il display con il countdown, quel conto alla rovescia che porterà alla distruzione.
D'un tratto un colpo.
Non la detonazione della bomba, ormai dimenticata, ma lo sbattere secco della porta contro l'intonaco del muro, e l'attenzione di tutti venne catalizzata dal nuovo arrivato: Tom, che si stagliava con la sua figura massiccia contro il bagliore dei fulmini, aveva lo sguardo perso chissà in quali tetre fantasie, ma quello che attirò l'attenzione di tutti i presenti, compresi Daniel ed Elizabeth che avevano già dimenticato il loro litigio,furono i vestiti dell'amico, coperti di sangue.

 

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Capitolo 2
*** Chi erano Daniel e Samuel Epstein? ***




Ishak Epstein era nato nel 1924 a Berlino; il padre, Abraham, figlio di ebrei impiantati da secoli in Germania, era un rampante ventisettenne con un notevole fiuto per gli affari, la passione per la buona musica e le belle donne.
Fu proprio grazie a questi suoi interessi che conobbe Lena, una giovane e talentuosa pianista che aveva un promettente futuro nei più grandi teatri di Germania, si infatuò di lei e la volle in sposa ad ogni costo; Lena che credeva nell'amore fece di tutto per convincere suo padre, che invece la voleva sposata ad un tedesco come lei.
Günther, il severo padre di Lena, alla fine cedette e concesse la mano della figlia a quell'ebreo ricco, bello e testardo.
Lena ed Abraham vissero felici i primi anni del loro matrimonio, benedetti anche dall'arrivo di due figli: Ishak e Levi.
Quando Hitler decretò l'espulsione degli ebrei, nonostante la ricchezza della famiglia Epstein, Abraham ed i suoi due giovani figli, furono deportati nei campi di concentramento; il padre fu spedito ad Auschwitz e morì in un freddo giorno d'inverno all'interno di una camera a gas, mentre Ishak e Levi finirono a Birkenau, dove il più giovane dei due venne fucilato davanti agli occhi dell'altro.
Due giorni dopo i cancelli del campo vennero aperti ed Ishak riscoprì il sapore dolceamaro della libertà, dietro quel cipiglio felice, gli occhi erano sempre adombrati dal ricordo della pallottola nel cranio di Levi.
Ishak tentò per un lunghissimo anno di ritrovare la madre, che in virtù della sua pura discendenza tedesca, era stata salvata dalla deportazione, ma ogni ricerca si rivelò vana e ben poco di quello che Ishak ricordava della sua Berlino era rimasto dopo lo scempio della guerra.
Ben presto quindi si ritrovò con in mano un biglietto per l'America e la speranza di ritrovare quella spensieratezza ormai perduta tra i fumi grigi dei campi di concentramento.
L'America, come promesso, donò ad Ishak se non la felicità, quantomeno la speranza, era figlio di una generazione che non avrebbe mai più ritrovato quella pace di un tempo, ma avrebbe potuto tentare di donarla ai propri figli, se mai ne avesse avuti. Per questo motivo accettò un lavoro come contabile in una fabbrica di automobili, era uno spreco per il suo talento innato negli affari, ma ormai sembrava aver lasciato la sua vecchia vita alle spalle, almeno finché non conobbe la bella Rebecca.
Rebecca Fisher aveva un lavoro da segretaria nella stessa fabbrica per cui lavorava anche Ishak, proveniva da una famiglia di ebrei italiani emigrati in America dopo le leggi razziali fasciste e riportò negli occhi dell'uomo quella scintilla di viva speranza che si era persa tra la terra di Birkenau ed il sangue del fratello. Rebecca aveva dovuto tirar fuori da Ishak tutti i demoni che aveva nascosto per bene sotto la corazza, li aveva presi per mano ed allontanati da quell'uomo tanto bello, quanto sfortunato, poi l'aveva convinto a sposarla, perché aveva ottenuto il dono più grande del mondo a differenza del padre e del fratello: una seconda chance con la vita.
Ben presto Rebecca ed Ishak riuscirono a mettere via un gruzzoletto per permettersi un ranch in campagna, dove entrambi desideravano crescere i figli che nel frattempo avevano dato alla luce: Lena, Ester, Levi e David.
Lena, la maggiore dei figli, fu il vero spirito libero della famiglia, un po' come la donna da cui aveva preso il nome, s'intestardì finché non convinse il padre a farle sposare Jack Leed, un americano cattolico, dal quale ebbe due figli: Ishak e Moses.
Ester, invece, si rivelò più tranquilla della sorella maggiore, tanto che sposò Ephraim Bauer, un ebreo che suo padre adorava, con il quale ebbe una sola figlia: Sarah.
Levi, il primo maschio, fu la vera fonte di gioia di Ishak, a lui diede il nome del fratello nella speranza che quel ragazzo che era morto di fronte ai suoi occhi quasi vent'anni prima, avesse una seconda possibilità di essere felice. Levi prese in moglie Rut Caleff, una giovane donna israeliana che doveva soggiornare negli Stati Uniti il tempo di laurearsi, ma che poi ne aveva ottenuto la cittadinanza grazie al matrimonio con Levi, matrimonio dal quale nacquero due figli: Noah e Daniel.
Quattro anni dopo la nascita di Levi, per la felicità di Ishak, Rebecca diede alla luce un altro maschio, che chiamarono David.
L'ultimogenito fu una testa calda tanto quanto Lena, anche lui si intestardì sulla donna che voleva sposare, al padre non disse poi molto, solo che era una giovane donna americana, omettendo volutamente che era anche ebrea, tanto che Ishak non trovò pace finché non scoprì che la promessa sposa di suo figlio era Salomè Goldstein, la primogenita del rabbino. Da lei, David ebbe tre figli: Samuel, Rachel e Benjamin.

 

Daniel Epstein era, quindi, figlio della sofferenza e della rabbia, ma anche della speranza e del sogno americano che persegue la felicità.
Daniel aveva i capelli neri come tutti in famiglia, gli occhi erano dello stesso colore del caramello fuso, quando era felice sul suo volto si formava un sorriso che gli illuminava gli occhi e gli scopriva i denti, aveva le spalle larghe, le braccia forti e le mani callose di chi lavora la terra, perché Daniel aveva ereditato quell'amore forte e cieco per gli animali e l'agricoltura da suo padre, mentre tutta la buona volontà di studiare della madre era finita a suo fratello Noah.
Daniel aveva la stessa età di suo cugino Samuel, con lui condivideva anche l'amore per la terra e gli amici, sempre gli stessi da anni ormai.
Il più giovane tra i figli di Levi non aveva mai nascosto nulla al cugino, suo primo, vero ed unico confidente.
Samuel aveva i capelli neri come Daniel, ma la sfumatura dei suoi occhi era verde come i campi d'erba a primavera, aveva le stesse braccia forti del cugino, allenate negli stessi acri di terra, ma i suoi fianchi erano più stretti e le sue gambe più lunghe, era più slanciato rispetto a Daniel, tanto che a differenza del fisico massiccio del cugino, Samuel presentava un fisico più longilineo.
Anche gli occhi di Samuel si illuminavano quando sorrideva, ma invece che scoprire i denti, gli si formavano delle fossette sulle guance, in cui veniva spontaneo infilare il polpastrello.
Non potevano esistere al mondo due persone più simili e più diverse, più lontane e più affiatate, dei cugini Epstein.

 

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Capitolo 3
*** La pista di Lullaby ***





4 dicembre 2009

La contea di Lullaby era una tra le più piccole del Texas, contava poco più di sette mila abitanti sparsi tra i vari ettari di campi sterminati che caratterizzavano la zona. La città principale, che dava il nome alla contea, era Lullaby, ed era anche l'unico agglomerato urbano degno di questo nome, non era molto grande, ma poteva contare su un ottimo liceo ed una clinica medica all'avanguardia, una chiesa evangelica, il palazzo di Giustizia, l'ufficio dello Sceriffo e la sede dei Vigili del Fuoco. Non troppo distante dalle case c'era un boschetto ben curato e nel verde delle sue fronde un circuito automobilistico, che altro non era se non la riproduzione in scala del "Texas Motor Speedway" utilizzato dalla NASCAR.
La pioggia rendeva scivoloso l'asfalto, l'auto girava sulla pista sempre più veloce, i tergicristalli si muovevano in fretta sul parabrezza spazzando via più acqua possibile, mentre un piede spingeva sull'acceleratore, aumentando i giri del motore e, quindi, la velocità dell'auto. Fu con un denso fumo grigio ed uno stridio di freni che l'auto si fermò, dopo aver girato su se stessa con le ruote posteriori bloccate dal freno a mano. Dall'auto nera scese una donna con una tuta ignifuga azzurra che le accarezzava il corpo, ed un casco che sfilò dalla testa solo quando un uomo le si avvicinò nonostante stesse piovendo senza sosta.
I due parlarono veloce, si scambiarono un botta e risposta concitato, mentre l'uomo sventolava un cronometro di fronte agli occhi della ragazza, che urlava e si dimenava, tanto da afferrare il casco e gettarlo a terra, abbandonandolo in balia della pioggia mentre si allontanava dal circuito a grandi passi, senza neanche rendersi conto della presenza di Daniel.

Elizabeth indossava solo una t-shirt bianca ed un paio di mutandine di pizzo nero, quando Daniel fece irruzione negli spogliatoi, facendola sussultare. La giovane si prese un minuto di tempo per osservare l'amico, fece scivolare lo sguardo dalle spalle larghe fasciate in una camicia di flanella a quadri, scese sulle cosce chiuse dentro un paio di jeans chiari e strappati e concluse con gli immancabili anfibi neri ai piedi. Solo quando il suo sguardo tornò sul sorriso caldo dell'altro domandò «Cosa faresti tu qui?». Il sorriso di Daniel, se possibile, si allargò ancora un po', e con la mano libera dal giubbino zuppo che stava sgocciolando sul pavimento, fece dondolare le chiavi della sua jeep di fronte agli occhi dell'amica, esclamando «Sono venuto a prenderti!».
«Non avresti dovuto Dan» affermò, Elizabeth, cercando tutto il necessario per la doccia.
«Lo sapevi» aggiunse. «Avevo voglia di vederti correre e lo sai, Ellis da in escandescenze se non arriviamo alle sue feste in orario» spiegò il ragazzo.
«Ho fatto schifo oggi in pista!» tagliò corto l'altra.
«Beth» tentò, Daniel, ma l'amica era scomparsa nella doccia calda al di là del muro, ed il ragazzo si trovò a pregare i suoi antenati di dargli la forza per non sbirciare, neanche un po'.

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Capitolo 4
*** Chi era Elizabeth Holden? ***





Vincent non era ancora nato quando John, suo padre, scavando nelle terre di famiglia, aveva scovato un giacimento di petrolio, che era - così - diventato la fonte di ricchezza di famiglia.
John Holden, divenuto ricco rampollo, aveva deciso di riscattare il suo passato di semplice e rozzo contadino, sposando una donna di buona famiglia, che gli conferisse l'accesso all'alta società, per questo dopo settimane di ricerche la sua scelta era ricaduta sulla giovane ragazza dai capelli rossi e gli occhi azzurri che passeggiava per i prati della sua tenuta con sua sorella Mary.
La ragazza non era altro che lady Elizabeth Cavendish del Devonshire, una duchessa della Corona Inglese letteralmente spedita dal padre in America per sfuggire alla guerra; tutti, lady Elizabeth in primis, sapevano che lord Cavendish stava semplicemente tentando, con ogni metodo a sua disposizione, di tenere lontana la figlia dall'eredità.
Lady Elizabeth, comunque, non si era disperata nello scoprire la verità sui sotterfugi di suo padre, e dopo mesi di corte serrata aveva accettato di sposare John, non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto rifiutare un tale pretendente, era bello, ricco e passionale, non le avrebbe fatto mancare nulla.
Accettando di sposare John, la ragazza si era ritrovata a dover rinunciare ai titoli che le spettavano in patria, ma la cosa l'aveva scalfita il giusto, tanto che aveva comunque deciso di comunicare la decisione a suo padre, ed il duca Henry, felice che la figlia si fosse arresa con tanta facilità all'idea di essere stata estromessa dall'eredità, le aveva concesso di mantenere il titolo di lady e le aveva inviato gioielli e soldi per coprire il valore della sua dote.
Quando lord Henry Cavendish venne a mancare, diversi anni dopo il matrimonio di Elizabeth e John, la figlia non si stupì che l'intero patrimonio del duca, composto da castelli, terre, opere d'arte ed un cospicuo conto in banca, finì nelle mani di Charles, il figlio bastardo di suo padre.
Lady Elizabeth diede alla luce due bellissimi bambini: Vincent e Camille.
Vincent essendo il primogenito, ed anche l'unico figlio maschio, aveva imparato dal padre la sottile arte degli affari, riuscendo così a triplicare le ricchezze di famiglia. Grazie a lui gli ettari di terra si erano moltiplicati e, ben presto, anche i pozzi erano aumentati e la famiglia Holden si era ritrovata ad essere una delle più grandi produttrici di petrolio della nazione. Nonostante la fama e la ricchezza, Vincent aveva deciso di sposare una ragazza qualunque, figlia di un contadino di Lullaby, del quale era innamorato fin dal liceo, tanto che quando Stephanie aveva accettato di diventare sua moglie, Vincent aveva creduto di non poter essere più felice. In realtà dovette ricredersi molto presto, perché la vera felicità la scoprì nel momento in cui Stephanie diede alla luce il loro primo figlio, un maschio: William.
Tre anni dopo la sua nascita, Stephanie e Vincent erano stati benedetti dall'arrivo di una bambina: Elizabeth, chiamata così in onore della nonna.
Camille, la sorella di Vincent, aveva deciso di fuggire in città, sapendo che suo padre le avrebbe riservato lo stesso destino occorso alla madre, ovvero la privazione di gran parte dell'eredità. In realtà John, come il suocero mai conosciuto, aveva deciso di fornire alla figlia il sostegno economico necessario a vivere nella grande Dallas, ma Camille aveva ben presto fatto la conoscenza di Jacob Groff, un magnate dell'industria spaziale, e diventando ufficialmente la signora Groff aveva rinunciato a tutta l'eredità che le spettava.
A differenza della madre, però, decise di mantenere vivo il rapporto con i genitori, tanto che al primo figlio diede anche il nome di suo padre, oltre quello di suo suocero, tanto che il bambino venne battezzato come Tyler John, anche se tutti lo chiamano T.J..

 

Elizabeth discendeva, quindi, dalla nobiltà inglese, da cui aveva preso gli occhi azzurri, quasi di ghiaccio, e la pelle diafana, quasi trasparente; mentre i lunghi capelli nocciola erano frutto della sua discendenza del tutto americana, così come i suoi modi spicci ed il suo intercalare, che poco si addiceva alla classe dell'alta aristocrazia inglese.
Elizabeth era alta ed aveva una forza fisica invidiabile, frutto delle ore passate in palestra ad allenare braccia e gambe, alle lunghe sessioni di corsa mattutina tra i campi, gli stessi in cui sua nonna passeggiava da giovane, per spezzare il fiato e resistere agli sfiancanti giri di pista sulla sua auto da corsa nera, il suo unico vero amore.

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Capitolo 5
*** La festa di Ellis ***





La jeep di Daniel percorreva il viale di ghiaia, man mano che superavano le macchine parcheggiate sotto gli alberi si resero conto che gli unici a mancare erano loro, ma data la quantità di invitati, forse, la loro assenza era passata inosservata. Daniel passò con destrezza sull'erba del prato dietro la villa, la musica proveniente dal fienile si faceva più alta man mano che si avvicinavano alla costruzione.
Il giovane Epstein fece scivolare la mano sulla coscia candida di Elizabeth, lasciata scoperta dal vestito nero che indossava, la ragazza gli strinse con forza il polso, ruotandolo quel tanto che bastava per allontanare quella maledetta mano dalla sua pelle. «Dan, quante volte te lo devo dire?» domandò, facendo scivolare uno sguardo di disappunto sull'amico. Solo quando la jeep si fermò in uno spiazzo libero non troppo lontano dal fienile, Daniel si voltò verso Elizabeth e replicò «non ti capisco davvero Beth, perché non riesci a lasciarti andare con me? Ti farei felice, lo sai». La ragazza scosse la testa, lasciando che i capelli le sfiorassero le spalle, coperte solo da una giacca di pelle, poi scese dall'auto in fretta, senza neanche rispondere all'amico. «Almeno lascia che ti copra con il mio ombrello» le urlò dietro Daniel, ma la ragazza era già arrivata al fienile.

 

Il fienile era diviso in due piani, sopra c'erano due camere ed un bagno, ed al piano terra un grande open space in cui quasi un centinaio di corpi sudati stavano ballando al ritmo della musica che Christopher stava mixando.
Christopher DiSebastiano era uno degli amici di Daniel ed Elizabeth, aveva i ricci biondo-cenere schiacciati dalle grandi cuffie bianche che aveva alle orecchie, gli occhi azzurri saettavano dal computer al mixer, senza mai soffermarsi sulla folla, perché l'unica cosa che interessava a Chris era la musica, veniva prima di ogni altra cosa, anche degli amici, perfino dell'amore.
Beth fece correre lo sguardo sulla folla dalla sua posizione privilegiata, l'entrata comprendeva tre scalini che scendevano verso il parquet della stanza, e da quell'altezza riusciva a vedere Valerie e Lyndon che ballavano avvinghiati l'uno all'altra.
Valerie Lloyd era entrata a far partedi quel gruppo sgangherato nell'esatto istante in cui aveva ceduto alla corte serrata di Lyndon, portando una ventata di novità tra quei ragazzi che si conoscevano da tutta una vita; era la figlia del pastore evangelico di Lullaby, ma tanto quanto il padre era credente, lei era lontana dalla religione. I lunghi capelli neri le ricadevano in ciocche lisce sulla schiena, lasciata scoperta da un vestito argentato, gli occhi nocciola erano cerchiati di nero e non si staccavano neanche un attimo da quelli del fidanzato.
Lyndon Reed era il più piccolo del gruppo, teneva le mani sui fianchi della fidanzata, i capelli castani tenuti immobili dalla gelatina ed un rivolo di sudore gli accarezzava la tempia, passando per gli occhi scuri, che si chiusero per un attimo, infrangendo il percorso della goccia, che si abbatté sulla maglia bianca, che recava la stupida stampa di un cartone giapponese.
Daniel quasi si scontrò con Elizabeth sulla porta, ne approfittò per farle scivolare le mani sui fianchi in una carezza leggera, che la ragazza quasi non sentì, perché altre mani, altre braccia, la strinsero. Samuel sorrise all'amica e, poi, al cugino, che si limitò a scoccargli uno sguardo di fuoco per aver interrotto quella carezza. Beth si lasciò afferrare da Sam, che la trascinò verso l'angolo opposto della stanza, vicino alla porta finestra socchiusa, verso Paz e Pablo.
Paz e Pablo Mendoza erano gemelli, avevano entrambi i capelli neri, che lei portava lunghi ed arricciati in morbide ciocche, e lui corti, quasi rasati, ogni singola curva del loro viso era identica, anche gli occhi, due pozzi neri, resi lucidi dall'alcool. Paz abbracciò l'amica non appena la raggiunse, mentre Pablo le mise in mano un bicchiere colmo di birra, che Beth accolse con un sorriso smagliante.
Dan si era perso nel tragitto, aveva abbandonato l'amica ed il cugino solo per virare verso il tavolo degli alcolici, dove rubò una lattina di birra, con tanto di sorriso accondiscendente di Ellis.
Ellis Johnson era la padrona di casa, arrossì nel vedere Dan rivolgerle quel suo sorriso caldo e tutto denti, e fu costretta a scuotere la testa per coprirsi con i capelli biondi, così da nascondere il rossore che le aveva imporporato le gote; quando si decise a rialzare gli occhi bronzei, Dan era già scomparso tra la folla.

 

L'attenzione di tutti i ragazzi era attirata dalla scena più assurda del mondo, Tom e Rob che ballavano a poca distanza dalla consolle, anche Chris che non aveva mai alzato lo sguardo sulla stanza, fu costretto ad alzare gli occhi per guardarli. I due stavano ballando in modo sensuale, l'uno contro l'altro, muovendosi sinuosi. Tom teneva le mani sui fianchi stretti di Rob, che ballava appoggiandosi completamente al petto dell'altro.
Thomas Dillion era, almeno in via teorica, lo sciupafemmine del gruppo, anche vista la scena a cui stavano assistendo nessuno lo avrebbe mai detto, lui che aveva sempre i capelli biondi in ordine, lasciò che Rob ci passasse in mezzo le dita, scompigliandoli, mentre i suoi occhi grigi correvano su quel corpo magro e sinuoso che ballava contro il suo.
Robert Altmann, invece, dovrebbe essere quello più riservato della compagnia, un tipo sempre sulle sue, che era riuscito ad aprirsi e confidarsi solo con pochi eletti, per questo fu tanto strano vederlo ballare e scatenarsi a ritmo della musica, soprattutto perché quegli occhi verdi, sempre coperti da una zazzera di capelli neri, stavano sfidando l'intera sala a dirgli qualcosa, a provare a parlare di lui, come se quel guscio in cui si era sempre rinchiuso, per quella sera, si fosse rotto.

 

D'un tratto, in sincrono, i loro cellulari vibrarono per la ricezione di un messaggio, e tutto ciò che avevano attorno scomparve.

 

 

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Capitolo 6
*** Come tutto è iniziato, o forse finito ***







N.d.A. Il capitolo che state per leggere comprende l'uso di alcune parole forti, o per essere più precisi, insulti nei confronti di una donna e diverse imprecazioni, e racconta, senza scendere troppo nel particolare, l'uso di sostanze stupefacenti.

 

 

 

 

Il primo che estrasse il cellulare per leggere il messaggio fu Pablo, che sorrise nel leggere il mittente: Ellis. Erano poche parole per dar loro appuntamento nella sua stanza, ed i fratelli Mendoza scattarono verso le scale, per raggiungere la camera di Ellis al piano superiore. Nel tragitto verso il piano superiore, riuscirono a rubare due bottiglie di vodka alla fragola, che strinsero possessivi, mentre correvano su quei dieci scalini che culminavano nel ballatoio del secondo piano. La stanza di Ellis era grande, al centro campeggiava un enorme letto, sul quale Paz si lasciò cadere, tanto che la gonna le si alzò scoprendo l'ennesima porzione di cosce nude. Pablo, con un sorriso, si stese accanto alla sorella e svitò il tappo dalla vodka, per berne un sorso generoso direttamente dalla bottiglia. Un attimo dopo la porta si aprì e Christopher fece la sua entrata in scena. Aveva lasciato andare in loop un mix che aveva preparato diversi mesi prima, ed anche con la porta chiusa riuscì a sentire il frutto del suo lavoro, la musica techno rimbombava nel suo petto, nonostante fosse lontano dalla consolle. Chris si lasciò cadere sulla sedia della grande scrivania di ciliegio, le inseparabili cuffie bianche lasciate a ciondolare sul collo, sorrise a Paz e Pablo, per poi rubar loro una bottiglia di vodka e prendere il primo sorso di alcool della serata.

Elizabeth aveva bevuto fin troppo, tanto che Sam fu costretto a sorreggerla mentre saliva le scale, lei si lasciò sfuggire una risatina e si accasciò sulla spalla dell'amico, che la strinse un po' più a sé, beccandosi uno sguardo di rimprovero da Dan, che li seguiva insieme ad Ellis. Quando entrarono in camera il sorriso di Pablo si allargò, il suo sguardo corse sulla padrona di casa, che afferrò per il polso magro e si trascinò addosso, facendola cadere sul suo petto, che vibrò in una risata calda. Dan andò a sedersi sulla cassapanca ai piedi del letto, seguito da Beth che si accasciò sulla moquette azzurra ed appoggiò la schiena alle gambe dell'amico, nonostante la rabbia, Daniel non riuscì a non infilarle una mano tra i capelli profumati, e Beth –profondamente egoista – accettò quelle carezze. Sam rubò la bottiglia di vodka dalle mani di Chris con una risata ubriaca e del tutto insensata, lasciò che il liquido rosa scendesse nella gola e gli infiammasse la trachea, poi si gettò a terra, al fianco di Beth, che tornò ad appoggiare la testa sulla sua spalla, senza che, però, Dan smettesse di accarezzarla.
Valerie e Lyndon entrarono in camera quando la prima bottiglia di vodka era già finita, nel silenzio più completo, nessuno di loro aveva detto una parola, si erano limitati a bere e sorridersi, godendosi la pace ed il silenzio. La coppia aveva portato altre bottiglie di vodka ripescate dal tavolo al piano terra, mentre una vuota rotolava sulla moquette.
Gli ultimi a raggiungere la camera furono Tom e Rob, sudati, eccitati ed ubriachi, entrarono nella stanza, trovando due bottiglie di vodka vuote accanto al comodino, e sorrisero chiudendosi la porta alle spalle. «Allora, vi ho chiesto di venire qui, perché» ruppe il silenzio Ellis, per poi estrarre dalla tasca dei jeans una bustina colma di polvere bianca, che risvegliò l'interesse di tutti gli altri, e non furono necessarie altre parole.

Tom aveva strappato la bustina di mano ad Ellis e ne aveva vuotato il contenuto sulla scrivania, per poi dividerla in undici strisce perfettamente uguali. Fu Ellis ad arrotolare una banconota da dieci dollari e calarsi sulla scrivania per prima, perché era la padrona di casa, seguita a ruota da Tom, e poi da Rob, che lanciò un pacchetto di sigarette contro il petto dell'amico. Tom sorrise ed afferrò il pacchetto, per poi spingere Rob fuori dalla stanza. Chris, senza chiedere, si abbassò sulla sua striscia, ed uno ad uno come in una strana processione religiosa, i ragazzi si appropriarono della loro parte. L'ultima fu Elizabeth, che si trascinò con fatica verso la scrivania, per poi ricadere sulla moquette. Dan la fissò con occhi dolci, completamente perso nelle sue fantasie su di lei, ed in un primo attimo non si accorse che Sam si era calato su di lei per stamparle un bacio sulle labbra. Se ne rese conto solo quando Beth allacciò le braccia dietro il collo di suo cugino e lo tirò contro di sé, buttandoselo addosso, tra le sue gambe, aperte per lui.
La prima reazione fu quella di massacrare il cugino, prenderlo per il colletto del maglione e scaraventarlo dall'altra parte della stanza, allontanarlo il più possibile da lei, per poi prenderlo a calci e pugni, per godere del rumore delle sue ossa che si spezzavano.
Il secondo pensiero fu di lanciare contro di loro la bottiglia che aveva in mano, inondarli prima di appiccicosa vodka alla fragola, e poi dei pezzi di vetro, e di nuovo prendere a calci il cugino, magari proprio su quella bocca che si muoveva sinuosa su quella di Beth.
Non riuscì a capire cosa dovesse o volesse fare, seppe solo che la mano di Pablo si serrò sulla sua spalla, bloccandolo, tenendolo seduto a terra, a due passi di distanza da quei due che non sembrano avere intenzione di staccarsi. E se non poteva ferire con i pugni perché Pablo lo teneva, decise che poteva farlo con le parole, per questo dalle sue labbra sfuggì un «troia».

L'insulto sembrò rimbombare nella stanza, nonostante la musica che proveniva da sotto, il chiacchiericcio tranquillo di Ellis e Paz, ed il rumore umido dei baci di quei due sdraiati sulla moquette. Raggiunse prima le orecchie di Sam, che si staccò e voltò la testa verso il cugino, scrutandolo con sguardo di fuoco, poi a quelle di Beth che lo fissò delusa.
Dan si rese conto che Pablo, per lo stupore, lo aveva lasciato andare, ed approfittò della situazione, con un scatto felino che non credeva possibile, si avventò sul cugino, ed i due rotolarono sul pavimento, azzuffandosi, colpendo ogni porzione di corpo che riuscivano a raggiungere. Ben presto, però, Dan ebbe la meglio, era più massiccio e riuscì a bloccare il cugino sotto di sé, per poi tempestarlo di pugni, prima sullo sterno, togliendogli il fiato, poi sul naso, fratturandolo. Il primo a buttarsi su Daniel fu Chris, il più vicino ai cugini, lo afferrò per le ascelle e lo trascinò via dal corpo sanguinante di Sam, che si stava contorcendo sulla moquette per il dolore. Lyndon e Pablo si chinarono su di lui tentando di bloccarlo per evitargli di farsi ancora più male. Ellis e Paz avevano smesso di parlottare e fissavano scioccate Dan che si contorceva tra le braccia di Chris, e Sam steso a terra. Valerie dovette sedersi sui cuscini della finestra a bovindo per non svenire alla vista del sangue. Nessuno si rese conto, però, di Beth, che aveva stretto gli occhi in una fessura assassina e si era alzata da terra e stava puntando un dito verso Dan. «Che cazzo ti passa per quella testa?» urlò.
«Ma mi prendi per il culo?» replicò Dan. «Sono mesi che provo in ogni modo ad avvicinarmi a te! E basta una mezza serata da ubriaca per concederti così a lui? È mio cugino, cazzo!».
D'un tratto tutti i presenti nella stanza si resero conto di non essere più ubriachi, la loro concentrazione era dedicata del tutto a quei due che si stavano affrontando, anche Sam aveva smesso di mugolare e contorcersi dal dolore per assistere a quella sfuriata.
«Stai zitto! Non voglio neanche sentire cosa hai da dire!» continuò ad urlare Beth, per poi avviarsi verso la porta della camera.
«Brava, scappa, come fai sempre!» esclamò Dan «La verità è che hai paura di guardarmi negli occhi e vedere che ho ragione!».
«E, di grazia, a proposito di cosa avresti ragione?» ribatté la ragazza, la mano bloccata sulla maniglia.
«Che sei solo una puttana!».

L'aria nella stanza era tesa, tutto era fermo, nessuno aveva ilcoraggio di aprir bocca, nessuno osava muovere un muscolo, come se unqualsiasi suono od un movimento potessero sconvolgere la situazione efar esplodere quella bomba ad orologeria sospesa tra gli sguardi difuoco che si stavano lanciando Daniel ed Elizabeth. Nonostante non cifosse realmente una bomba tra loro, tutti i presenti sembravanoavvertirne il ticchettio, alcuni di loro, forse, riuscivanoaddirittura a vederne il display con il countdown, quel conto allarovescia che porterà alla distruzione.
D'un tratto un colpo.
Nonla detonazione della bomba, ormai dimenticata, ma lo sbattere seccodella porta contro l'intonaco del muro, e l'attenzione di tutti vennecatalizzata dal nuovo arrivato: Tom, che si stagliava con la suafigura massiccia contro il bagliore dei fulmini, aveva lo sguardoperso chissà in quali tetre fantasie, ma quello che attiròl'attenzione di tutti i presenti, compresi Daniel ed Elizabeth cheavevano già dimenticato il loro litigio,furono i vestiti dell'amico,coperti di sangue.

Sembravano aver tutti paura di parlare, al piano sotto la musica continuava a far ballare, ma in quella stanza il tempo sembrava essersi fermato, ibernando i presenti nell'esatto istante in cui Tom aveva aperto la porta e si era presentato a loro sporco di sangue.
Poi, finalmente, Paz aprì la bocca, provocando il disgelo, e pose le due domande che stavano arrovellando il cervello di tutti i presenti: «Di chi cazzo è tutto quel sangue?» e «Dove cazzo è Robert?».

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Capitolo 7
*** La dura vita di Drew Sanders ***







Drew capì che la sua giornata avrebbe preso una brutta piega nell'esatto istante in cui il suo cellulare squillò cinque minuti prima della sveglia. Avrebbe voluto ignorare quel trillo insistente, ma il suo senso del dovere era troppo forte, troppo radicato nel suo essere, quindi nonostante avesse ancora gli occhi chiusi, rotolò fino al comodino ed afferrò quell'aggeggio infernale che non aveva intenzione di smettere di squillare. «Agente Sanders» si limitò a biascicare. Per il resto rimase in ascolto del suo interlocutore, il suo cervello non era ancora partito e capì ben poco di quello che stava dicendo l'altro, qualche parola smozzicata qua e là nel discorso, tre cose gli rimaserò, però, ben impresse nella mente: "Lullaby", "ragazzo scomparso" e "caso delicato". Se avevano scomodato il Grande Capo praticamente all'alba per un ragazzo scomparso, in pentola bolliva qualcosa di veramente grosso e lui si ritrovò sveglio in men che non si dica. Drew aveva una sicurezza: Lullaby voleva dire ricchezza, ed un ragazzo scomparso in quella contea significava che una ricca famiglia, della cosidetta nobiltà americana, aveva perso un figlio. Risolvere quel caso avrebbe comportato di sicuro un aumento, e – forse – un avanzamento di grado.

 

L'Agente Sanders si lasciò alle spalle la città di Dallas che non era ancora sorto del tutto il sole, un caffé nero in una mano e lo sguardo verde affogato nei colori pastello delle prime ore del giorno. Gli avevano assicurato che a Lullaby avrebbe trovato tutto l'aiuto di cui aveva bisogno, ma che comunque avrebbe dovuto svolgere le indagini in solitaria, e – soprattutto – con discrezione.

 

Raggiunse la città di Lullaby a metà mattinata, ad accoglierlo fu lo sceriffo, un uomo alto e piazzato, con la camicia ocra tirata sulla pancia gonfia, un cappello ben piantato sulla testa quasi del tutto calva. «Sceriffo Johnson» si presentò «benvenuto a Lullaby, prego venga con me, così avrò modo di spiegarle tutto» e si avviò all'interno di un grande palazzo.
Ben presto Drew si rese conto che quell'edificio non ospitava solo l'ufficio dello sceriffo, ma tutto il grande complesso del tribunale, d'altronde Lullaby non era altro che una piccola cittadina che si era ritrovata a fare da punto di riferimento ad una contea molto vasta. L'ufficio dello sceriffo era in fondo ad un corridoio costellato di scrivanie, a dividerlo dal resto dei poliziotti unicamente una porta in mogano con una targa dorata con su inciso "Peter Johnson, sceriffo". Drew fu costretto a constatare che la stanza non era molto più grande dell'ufficio che lui condivideva con la sua collega a Dallas, pochi metri quadrati in cui erano stipati una scrivania in legno chiaro, ricoperta di scartoffie, un alto schedario di metallo ed una bacheca di sughero sulla quale campeggiava la foto di un ragazzo dal sorriso dolce. Lo sceriffo si gettò sulla sua poltrona nera dietro la scrivania e gli fece cenno di accomodarsi su una della due poltroncine dall'altro lato, invito che Drew accettò immediatamente. Gli indicò la foto sulla bacheca e gli spiegò che quello era Robert Altmann, il ragazzo scomparso, poi prese a raccontare ciò che era accaduto la sera prima alla festa, omettendo che il tutto era accaduto in casa sua, nel suo fienile, alla festa organizzata da sua figlia. Drew bevve ogni singola parola che uscì da quelle labbra nel quarto d'ora successivo, iniziando a delineare delle ipotesi nella sua mente, poi una domanda sfuggì alla sua bocca «non si dovrebbero aspettare almeno ventiquattro ore per reputarlo scomparso?». Lo sceriffo sospirò e si tolse il cappello, per poi passarsi una mano sul volto stanco, tentando di riordinare le idee e chiarire del tutto la situazione a quell'agente venuto dalla città.
«Il ragazzo è ancora minorenne, ha solo diciassette anni ed è il figlio di un importante membro della comunità, il capo dei vigili del fuoco di Lullaby».
Fu in quell'esatto istante, quando assimilò quelle parole, che Drew capì che non avrebbe avuto vita facile, che quello era un caso complicato, in cui serviva la massima prudenza, che un solo passo falso lo avrebbe gettato nel baratro.
Lo stavano mettendo alla prova, e lui non aveva alcuna intenzione diperdere.

 

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