Pottermore

di Giuu13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Harry Potter è diventato famoso in tutto il mondo, la saga è letta in varie lingue.
Harry Potter è l’infanzia dei ragazzi degli anni 90, è i loro ricordi e fantasie; quanti bambini hanno sognato, desiderato, sperato di ricevere la lettera di ammissione? Quanti hanno sperato di andare in quel meraviglioso castello a studiare magia?
A undici anni si viene a scoprire che Hogwarts non esiste, non ci sono lettere di ammissione e la magia è finzione. Si mette via la speranza di ricevere quella tanto voluta lettera e si va avanti a leggere i libri della saga. In modo diverso forse. C’è chi si scontra dopo con la realtà: alcuni arrivano a conoscere la verità a dodici, tredici anni credendo in un ritardo dei gufi, in qualche errore.
Si va avanti comunque, non ci si può disperare per così poco. Non ci si può fossilizzare sul fatto che Hogwarts, la magia, gli incantesimi, il Quiddicht non esistano, bisogna andare avanti. E così tutti i bambini che hanno sperato di essere smistati in questa o in quella casa cominciano a scegliere se andare in questa o in quella scuola, mettono da parte i libri letti e i film visti; una cosa, però, non mettono da parte: il ricordo di quell’avventura vissuta tra le pagine di quei libri e sullo schermo.
Emma è una di quei bambini anni 90 che dopo essere sbattuta contro la realtà ha buttato via tutto, dai libri ai film. Da undicenne speranzosa qual era, si è trasformata in una bambina disincantata.
Dopo parecchio tempo l’apertura di Pottermore s’iscrive non credendo possibile l’esistenza di un sito del genere. Un sito fatto apposta per far rivivere le emozioni dei libri dal primo all’ultimo istante. Le iscrizioni sono a milioni da ogni parte della Terra, tutti vecchi fan della zia Jo.
I ragazzi anni 90 che hanno messo da parte i libri li riprendono, chi ha smesso di aspettare la lettera di ammissione è più che felice di trovarsene una lì davanti; certo, è un e-mail, ma è un e-mail di ammissione e questo basta. Chi ha sognato di avere una bacchetta e fare incantesimi ora ne ha la possibilità, chi ha  sempre voluto un gufo ora lo ha. E poi c’è la stazione. La famosa stazione di King’s Cross con il suo binario 9 ¾.
Prima di scoprire la verità, Emma avrebbe dato qualsiasi cosa pur di correre con le sue valigie contro il muro di quella stazione ed entrarne in un’altra, una più magica.
Tutte quelle emozioni messe via per essere dimenticate, tutte quelle avventure abbandonate, tutto quello che hanno provato con Harry è ora ripreso. La magia è tornata.
 
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C’è una leggera pioggia che rinfresca l’aria, in giro non c’è nessuno. Tutti in vacanza all’estero o a divertirsi in città, mentre Emma è in giro per queste stradine deserte, diretta verso la casa della sua migliore amica. Andavano a scuola insieme, ma l’anno prima Irma ha cambiato scuola. È andata in una lontana e da come ne parlano i suoi genitori, anche molto prestigiosa; parlano di lei e della nuova scuola in modo così orgoglioso e felice da far venire voglia di trasferirsi. Irma passa tutti i giorni a scuola, torna solo per Natale, pasqua e per le vacanze estive.
Non si vedevano da un sacco di tempo e oltretutto Irma ha deciso di passare l’estate alla nuova scuola. A scuola! Come si fa a scegliere di passare le vacanze estive a scuola?
« Ma nemmeno per sbaglio. » borbotta sempre Emma a quel pensiero.
È l’ultima settimana di vacanza e Irma si era decisa a tornare a casa – in realtà era stata obbligata dai genitori e da Emma – e si erano date appuntamento nella sua villa.
Non ha ancora suonato al campanello che il grande cancello si apre lentamente, cigolando un poco, su un enorme giardino. Cespugli a forma di animale sono sparsi intorno alla casa senza un ordine apparente, una grande fontana posta venti metri dall’entrata sputa fuori acqua nonostante la pioggia.
Una lunga strada ghiaiata la aspetta per arrivare alla porta di casa White che è già aperta. L’unico rumore che si può sentire, oltre alla pioggia che cade dolce sul terreno, è il leggero cigolio del cancello che si chiude dietro di lei.
Ogni volta che percorre quel sentiero, non riesce a non sorprendersi per l’imponenza di quella villa bianca ed enorme: ha due piani e a quella distanza si può vedere a un lato della villa l’enorme terrazza al piano di sopra, luogo di molte feste dei proprietari; la porta d’ingresso è preceduta da un porticato sostenuto da quattro colonne greche di un bianco accecante.
Dietro la casa si estende un bosco di loro proprietà. Non c’è bisogno di dire che la famiglia White non ha problemi economici.
Il maggiordomo la aspetta all’entrata con delle pantofole e un asciugamano nelle mani.
« La Signora ha appena fatto pulire. Per favore. » e glieli dà, sorridendo felice per la sua visita.
Fuori la casa è bianca e può sembrare fredda e sterile, ma dentro è tutta un’altra cosa: un enorme tappeto rosso copre tutto il pavimento marrone scuro, la carta da parati con un meraviglioso motivo intrecciato è coperta da quadri di paesaggi e ritratti degli antenati, da arazzi e da torce. La sala d’ingresso, la sala da pranzo e da ballo – sì, hanno una sala da ballo e sì, la usano spesso -, i corridoi sono illuminati da un gran numero di torce appese ai muri. Il fuoco che balla sulle pareti, sui vestiti e i volti degli ospiti, sui quadri, dà un senso di calore e gioia che le luci al neon non possono nemmeno sognare di dare.
Per andare al piano superiore ci sono due rampe di scale poste ai due lati della sala, Emma prende sempre quella di sinistra. La parete di sinistra è ricca di ritratti interessanti che sembrano usciti da un libro di Harry Potter; ogni volta che li guarda, sembrano cambiati: uno sguardo è rivolto a destra, mentre la volta precedente era più che sicura che fosse rivolto a sinistra, la mano di quella signora è poggiata al tavolo vicino a lei, mentre l’ultima volta aveva tra le mani un ventaglio; a volte Emma crede addirittura che alcuni personaggi si siano tolti la giacca a causa del calore della torcia vicino a loro. Ovviamente è solo suggestione, da bambina voleva così conoscere la magia, che adesso quel desiderio le si ritorce contro.
La camera di Irma è in fondo al corridoio, ha una vista completa del bosco.
È arrivata davanti alla porta, su cui si legge un “Bussare prima di entrare” scritto direttamente sul legno in una grafia grande e sinuosa. La apre di scatto urlando tanto forte da far tremare le pareti. Era pronta a vedersi un’Irma spaventata a morte, ma l’unica cosa che vede è la camera vuota.
Vede uscire la sua amica dal bagno in corridoio, « Devono averti sentito anche a Hogwarts. »
« Hogwarts non esiste. »
« Ah, già. » e ride.
 
In camera il letto ad acqua è di Irma, che ci si sdraia sopra facendo su e giù per un po’ di volte, mentre la sedia sospesa attaccata al soffitto è di Emma. Comincia a dondolarsi, poi Irma le ordina di smettere, perché se continua così, farà crollare l’intera casa. Parlare con Emma è come parlare a un muro, infatti lei continua a dondolarsi, solo più piano, forse.
« Finalmente ti sei decisa a tornare a casa. Come puoi decidere di passare le tue vacanze estive a scuola? A scuola! »
Le sembra ancora una cosa impossibile.
« Non è colpa mia se quella scuola è meravigliosa. Ci sono un sacco di ragazzi che rimangono lì, sai? »
« Tutti secchioni come te immagino. » da lì comincia una sanguinosa battaglia con i cuscini che si termina con la schiacciante vittoria di Emma.
« Ti prego alzati! Non respiro! Mi stai schiacciando, Emma! »
Emma torna al suo posto, sulla sedia volante, e comincia a dondolarsi contenta della vittoria.
Irma si era dimenticata delle lotte con Emma, lotte che perdeva sempre, ma che, si accorge ora, le erano mancate in quei mesi di lontananza. Le era mancata la sua migliore amica.
Le erano mancate le passeggiate nel bosco dietro casa e le fughe durante la notte per andare in qualche locale a divertirsi e le discussioni che aveva solitamente con lei sui libri, sui film, sulla loro diversa visione della vita; tutti quei discorsi sui loro sogni futuri, sulle loro speranze e ambizioni. Nonostante odiasse l’impulsività della sua amica, la sua arrabbiatura facile, le mancavano anche le risse che creava in giro.
Questo può solo far capire quanto le fosse mancata Emma.
Solo in quel momento, vedendola dondolare con lo sguardo perso chissà dove, con le ginocchia strette al petto, si rese conto di quanto fossero amiche, quanto spazio nel cuore le avesse occupato Emma.
« Perché diavolo stai piangendo? »
La sua insensibilità! Le era mancata anche questa! Il suo evitare gesti d’affetto e sentimentali, la sua incapacità cronica di dimostrare amore. Quanto le erano mancate tutte queste cose! Irma prende a piangere come una fontana. È piegata in due sul letto e si muove in preda ai singhiozzi che la scuotono da dentro. Emma ha smesso di dondolarsi e la guarda sbuffando senza sapere cosa fare. Non è brava in quel genere di cose. Si guarda intorno in cerca di qualcosa che la possa aiutare.
Prende un cuscino da terra e lo tira addosso all’amica che non si muove, ma che continua a piangere. Raccoglie il cuscino e glielo tira nuovamente.
« Cosa ti ha fatto quella scuola? Ti ha resa una frignona, cazzo! » è in piedi che sbatte il piede a terra per attirare la sua attenzione.
Irma smette di piangere all’improvviso, si tira su e la guarda con quegli occhi scuri da cerbiatta; ha gli occhi arrossati e le lunghe ciglia bagnate dalle lacrime. Pensa alla scuola e poi a Emma, pensa alla sua bellissima scuola e alla sua amica e poi ricomincia a piangere più forte che prima, se possibile.
« Scusa scusa scusa scusa scusa » continua a ripetere senza sosta.
« Fai bene a scusarti, io odio le frignone. »
Irma scuote la testa e continua con la sua litania. Emma si copre gli occhi con una mano e pensa a un modo per farla smettere di piangere quando sente Irma che le stringe le gambe. È strisciata giù dal letto ed è arrivata fino a lei senza fare il minimo rumore e ora le stringe le gambe in un abbraccio. La sta abbracciando e questo non la fa impazzire, ma almeno ha smesso di piangere.
« Sai, mi sono iscritta a Pottermore l’altro giorno. » pensa così di farla distrarre, anche se non è molto sicura.
Sente Irma irrigidirsi e per qualche momento non la sente più respirare contro la sua pancia.
« OMMIODDIO! Sul serio? Ommioddio! » si tira velocemente su e corre alla scrivania, accende il computer e si collega a internet.
L’ho davvero distratta con Pottermore?
La vede cercare il sito su internet e si convince ad avercela fatta. Si siede vicino a lei che le fa spazio per permetterle di effettuare il login.
« Non posso crederci. Ce n’è voluto di tempo! Pensavo non ti saresti mai iscritta, pensavo che Harry Potter fosse un capitolo chiuso della tua vita, ormai. Ma cosa sei? Io sono Grifondoro, ovviamente. Coraggiosa di cuore, audace, forte e leale, fiera di esser tale. » si mette a ridere nervosamente.
Irma non riesce a stare ferma, continua a muoversi; continua a picchiettare le dita e a muovere il mouse sulla superficie del tavolo. Ha un’aria stranamente concentrata e attenta, sembra quasi in attesa.
La pagina si carica in fretta e compare la schermata d’inizio. Irma è immobile a fissare lo schermo in silenzio; ha smesso di agitarsi sulla sedia, le dita sono strette forti al mouse, ora immobile, che sembra un topo morto.
« Sono una Serpe. Forte, vero? Ambiziosa, astuta e letale, orgogliosa di esser tale. » imita la filastrocca dell’amica adattandola a quello che è.
Irma sembra triste, quasi delusa; apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude subito.
« Non dirmi che sei triste perché io sono una Serpe e tu un Grifone. Voglio dire, è solo Pottermore. »
Irma si riscuote, torna a muoversi e a sorridere anche se ha cambiato luce negli occhi.
« Figurati. Non m’interessa se sei una lurida Serpe. Be’ forse solo un po’ dato che ti schiaccerò. Sei un esserino piccolo piccolo, non so se riuscirò a vederti. » era tornata quella di prima, pronta a ridere e a scherzare.
« Ma che esserino piccolo piccolo? Ti stritolo tra le mie spire, ti mordo, ti avveleno e poi ti mangio intera, ti digerisco e in qualche modo ti espello. » lo dice in modo così calmo e serio da far paura.
« Vedremo! » urla Irma che le salta addosso, buttandola giù dalla sedia. Ricomincia un’aspra lotta che continua per ben dieci minuti, dopo i quali Irma chiede implorante pietà alla lurida Serpe, che si diverte a umiliare il fiero Grifone.
 
« Ti va di mangiare e dormire qui? »
Irma è al computer per alcune ricerche su delle alghe che crescono in determinati laghi e l’amica rimbalza sul letto.
« Va bene, ma ci sono anche i tuoi? »
« Oui, non li vuoi? »
« Sì che li voglio. Sono molto più simpatici di te. »
Se non fosse per quella ricerca da finire a tutti i costi, Irma le sarebbe già addosso pronta a combattere ben sapendo chi poi avrebbe vinto. Non è una persona violenta o facile da far arrabbiare, anzi, è il contrario: pacifica, calma e paziente, una non rivoluzionaria, è contro la violenza; lotta solo con Emma, sperando che queste piccole battaglie funzionino come anti-stress per l’amica, che la aiutino a non dirigere la violenza e la rabbia verso persone esterne. Non ha mai funzionato, ma Irma – da brava Grifondoro qual è – non perde mai la speranza.
« Come avvisiamo i tuoi? »
« Che si arrangino. Non vogliono comprarsi nemmeno un telefono. Che si arrangino! Va bene che odino il mondo, ma un telefono possono anche comprarselo. »
I genitori di Emma sono conosciuti per la loro misantropia acuta, non escono da casa se non per andare da degli amici – che tra l’altro sono degli asociali misantropi anche loro. Tutta la gente che frequentano i signori Wood è asociale; lei non conosce gli amici di famiglia se non di vista, i suoi genitori non glielo hanno mai permesso. Irma, poi, chiede come mai Emma sia così scontrosa e acida e anti-persone, vedi un po’ con che gente è dovuta crescere!
A Emma le persone non sono mai piaciute molto, i suoi genitori l’hanno solo aiutata a sviluppare il suo non-amore per le persone: a furia di motti di famiglia come “Fidati solo di te stessa, mai degli altri”, “Una famiglia unita è l’unica cosa di cui c’è bisogno” e ancora “Il bosco è vita, niente è più importante” Emma è cresciuta esattamente come i genitori. Forse meno drastica dato che ha un’amica solare e socialmente integrata, cosa che manca ai suoi.
« Quindi non li avviserai? »
« No, tanto non fa differenza, dovrebbero uscire stasera. »
Irma si gira curiosa e chiede in un soffio, « Dai soliti amici? »
« Da, perché? »
Scuote velocemente le spalle e torna a occuparsi della sua ricerca.
 
La sala da pranzo è un enorme stanza con un gigantesco camino e una vetrata che dà sul giardino di casa; un lampadario di cristallo pende dal soffitto illuminando a giorno l’intera sala. Candelabri a tre braccia ornano la lunga tavola apparecchiata, insieme a dei vasi colmi di rose bianche, il simbolo della loro famiglia.
Lo stemma della famiglia White - inciso sul legno bianco della porta d’entrata – è composto da uno scudo scarlatto tagliato a metà da una fascia orata, su cui poggiano due rose bianche incrociate; lo scudo è, inoltre, incorniciato da spine acuminate.
Stanno mangiando, mentre della musica classica si diffonde nell’aria. I camerieri entrano ed escono dalla cucina e ogni tanto vengono fermati dai signori White per chiacchierare; sono estremamente cordiali con tutti, sono solari e affettuosi, pieni di premure. I camerieri nutrono grande stima e rispetto nei loro confronti, lo si può vedere riflesso nei loro occhi.
« Emma, la riconosci? » il signor White la guarda pieno di aspettative.
La ragazza si accorge che il pianoforte che prima si sentiva è stato sostituito con un violino. Impiega pochi secondi a riconoscerla, « Oh, è Paganini e questo è  il suo Capriccio numero due.»
Bastano poche parole per mandare su di giri il padre di Irma: qualche bella parola sulla musica, uno o due nomi di opere classiche e lui va in un brodo di giuggiole.
« Questa ragazza. Questa ragazza. » e scuote la testa sorridente, « Dopotutto i tuoi genitori hanno fatto un bel lavoro. »
I signori White e i genitori di Emma si detestano da tempo, ormai. Le figlie non sanno nemmeno il perché.
« Cosa che noi non siamo riusciti a fare con… quella. » la signora fa un cenno in direzione della figlia, praticamente sdraiata sul piatto intenta a mangiare voracemente quello che le viene servito, senza nemmeno guardare. Irma, sentendosi osservata, alza il viso dal piatto e vede tre paia di occhi puntati su di lei, « Cosa? » pezzi di pollo mezzi masticati finiscono sulla tavola, facendo scatenare le risate di tutti.
« Guarda Emma, vedi il portamento? È perfetto. Non ti chiedo questo perché so che è troppo, ma non potresti stare almeno dritta? »
Irma si tira su, ferita nell’orgoglio, lanciando un’occhiata furiosa verso l’amica che alza le spalle divertita.
 
« Ma se sembra che hai un palo in culo! »
Stanno tornando in camera quando Irma sbotta all’improvviso, « Insomma, sei lì tutta dritta e rigida da sembrare una statua. »
« Che cosa stai dicendo? Ho un portamento da regina, io! E poi non è colpa mia: sono stati i miei a farmi diventare così. Con tutte le loro lezioni… »
« Sì, la regina delle statue col palo in culo! » urlato questo Irma comincia a correre per il corridoio cercando di sfuggire alla rabbia di Emma.
 
« Pensavo di uscire ‘sta notte, ti va? »
Emma annuisce, chiude il libro che stava leggendo e si alza da sopra Irma, che era stata bloccata alla fine dell’ennesima lotta.
« La prossima volta pensa prima d’insultare una Serpe, però. »
Irma ride e si alza, si dirige alla cabina armadio in cerca di qualcosa da mettere per la serata.
A mezzanotte si calano dalla finestra, cercando di non schiantarsi di sotto o rompere la grondaia a cui sono appese.
Attraversano il giardino appiattendosi contro le recinzioni e nascondendosi dietro scoiattoli d’erba giganti. Abituate a quel tran tran, scavalcano velocemente e senza problemi l’alto cancello, si ritrovano in strada e si dirigono verso il centro.
Sulla strada non c’è un’anima, a parte qualche ragazzo che lascia cadere gli occhi su di loro. Irma riceve anche dei fischi, di cui nemmeno si accorge da quanto è presa a raccontare all’amica di alcuni suoi compagni di classe. In effetti Irma non può passare inosservata: due lunghe gambe escono da sotto il mini vestito blu che si è messa, i capelli castani sono sciolti e le cadono lisci a sfiorare le spalle e i grandi occhi marroni sono incorniciati da lunghe e nere ciglia. Cammina in modo sensuale senza nemmeno rendersene conto, cattura li sguardi senza volerlo. Emma sorride e l’amica continua a parlare senza sosta. Arrivano ad un locale, salutano un paio di visi familiari e si siedono ad un tavolino tondo, in un angolo.
« Tu cosa prendi? »
« No, perché? »
La musica è così alta che non riescono nemmeno a capirsi. Irma prende la lista degli alcolici e gliela sbatte sul naso.
« Ah! »
Prendono da bere dal bancone, un ragazzo si avvicina al loro tavolo e sussurra qualcosa di divertente a Irma che si mette a sghignazzare.
Sento puzza di qualcosa e non mi piace.
Quel tipo non è piaciuto a Emma nel momento stesso in cui ha scorto il suo viso tra la folla: troppo sorridente, troppo pulito e ordinato. Lei ha sempre diffidato della gente così, sono sempre i peggiori: si tirano a lucido solo per nascondere lo schifo che sono realmente.
Gli occhi! Quegli occhi azzurro puro che viaggiano nella scollatura di Irma che ride felice. Sono quelli che puzzano. Irma si tende verso di lei, « Vado a ballare, ha detto che ha un amico se ti può interessare. » urla forte. Il ragazzo fa un cenno con la testa verso la pista. Emma scuote lentamente la testa senza smettere di guardarlo; il tipo si sente a disagio a essere fissato da quegli occhi così assurdamente gialli, si guarda intorno strattonando il vestito di Irma.
« Sei sicura? »
Annuisce. I due si allontano verso la pista da ballo.
Emma porta alle labbra la sua bevanda che finisce subito, così prende quello che rimane di quella di Irma. Finita in un sorso. Quella sete di alcolici è insaziabile, e il fatto di reggere l’alcool alla perfezione non aiuta: potrebbe bere fino a scoppiare senza nessuna conseguenza.
Rimanendo al tavolino può controllare meglio le mosse del ragazzo. Un passo falso e l’avrebbe preso a pugni. Inspira profondamente, chiude gli occhi e sorride.
Da quanto tempo è che non faccio a botte? Deve essere passata un’eternità.
Sente i muscoli della schiena e delle braccia fremere. È brutto da dire, lo sa anche lei, ma adora fare a botte. Non le piace esattamente picchiare, le piace scaricare tutto quello che ha dentro nei pugni. Irma continua a dire che deve trovare un modo più sano e costruttivo di scaricare la rabbia, ma a lei va bene così, a lei piace così.
Apre gli occhi di scatto cercando l’amica nella folla a pochi metri da lei, la vede ballare insieme al ragazzo.
Non vuole alzarsi, ma sente di aver bisogno di altro da bere, magari un po’ di vodka liscia può ridurre la sete; va al bancone e torna con un bel bicchiere. Affonda nel divanetto rischiando di far cadere tutto il contenuto della bevanda. Un ragazzo si avvicina, ma Emma non gli lascia il tempo nemmeno di salutare, con una mano fa segno di andarsene. Deve restare vigile e presente per Irma, non può lasciarla sola: ingenua com’è, quella potrebbe accettare qualsiasi cosa da sconosciuti e andare con chiunque a “fare un giro”. Deve resistere alle tentazioni che questo ragazzo le accende.
Si volta verso la massa di gente che balla, ma di Irma nessuna traccia. Si maledice per essersi distratta, maledice quel tipo sexy ancora in piedi accanto a lei per averla distratta e maledice anche la vodka.
Si alza sbuffando, stanca di fare da baby-sitter ad una ragazza grande e vaccinata senza potersi svagare, allontana da sé quel tipo insistente e fastidioso – l’ha già stancata – e s’incammina, pronta per affrontare il blocco di corpi di fronte a lei. Odia la gente, anche se non la conosce. Basta vederli per odiarli.
Mi devi un sacco di cose, Irma.
Vede un vestitino blu uscire dalla calca, si muove veloce e traballando.
« …ndiamo. » Irma si è lasciata andare tra le sue braccia.
« Ma che schifo. Puzzi da far schifo e sei pure ubriaca. Hai bevuto ancora? »
Irma la spinge verso l’uscita, si guarda intorno e la spinge.
Fuori c’è una leggera brezza che le lava dall’odore del locale, di alcool e sudore. Inspirano rumorosamente entrambe e si mettono in strada per tornare a casa, chi con passo deciso e chi sbandando.
« Siamo state lì dentro due ore e mezza. È un record, non credi? Di solito, o per colpa delle mie zuffe, o per colpa tua che vomiti anche gli organi interni, usciamo dopo solo un’oretta. »
Emma le tiene un braccio per sicurezza; non sia mai che le si rompa un tacco, perché con l’equilibrio che ha ora volerebbe per terra.
« Quel tipo… »
« Ehi, aspetta! »
Entrambe si girano e vedono il ragazzo con gli occhi azzurri correre verso di loro. Irma emette un gridolino che Emma non sa come interpretare e le prende una manica della giacca, per trascinarla con sé.
Sembra che abbia riacquistato la lucidità tutta in un colpo, cammina spedita portandosi dietro anche Emma che la segue senza farsi troppe domande, quasi divertita.
Non si sente più nessun rumore dietro, Emma si gira per controllare dove sia andato il ragazzo, ma prima di poter fare qualsiasi cosa, si sente tirare per il collo della giacca e scaraventare per terra. Sbatte la testa contro l’asfalto e rimane lì, dolorante come un’idiota, senza capire cosa sia successo. Si guarda intorno, ma non vede nessuno, né un passante né un cane randagio. C’è solo la borsetta aperta dell’amica, che ha vomitato per strada tutto il suo contenuto.
Poi lo vede. Vede il ragazzo addosso a Irma, che è schiacciata contro un muro e che tenta di respingerlo, nonostante lui sia nettamente più forte. Le sue mani strisciano dappertutto e Irma sta ormai piangendo disperata e urla. Urla il suo nome, la sta chiamando.
Sente le mani prudere, bruciare di voglia di spaccare qualsiasi cosa. Si sente sempre così prima di picchiare qualcuno, sente di poter distruggere il mondo, farlo a pezzi.
Si alza e con un balzo è dietro al ragazzo, carica il pugno e glielo tira a un lato del collo, facendolo volare via. Irma, senza più la pressione del suo corpo addosso, cade per terra e con le mani a coprire la faccia, piange.
« Tirati su e torna al locale. » il tono di Emma è duro, come se ce l’avesse con lei.
Una mano le prende la spalla facendola girare e un pugno pesante come un macigno le arriva in faccia. Indietreggia, ma non cade. Sputa per terra sangue e saliva, si pulisce con una manica.
« Tutto qui? »
Il ragazzo, ancora stordito per la botta ricevuta, carica sferrando pugni alla cieca; Emma li scansa senza problemi, gli blocca una mano e poi l’altra. Il ragazzo le sputa in faccia e lei gli tira una testata. Si sente un rumore secco, cartilagine in frantumi, dolore, sangue. Il ragazzo si piega sulle ginocchia tenendosi il naso sanguinante tra le mai, gemendo. Emma ne approfitta per assestargli una gomitata sulla schiena, lui urla e cade al suolo senza emettere più un suono.
Le sanguina il labbro e sente il sapore ferroso del sangue in bocca. Tocca con il piede il corpo privo di sensi; si avvicina a Irma, ancora a terra, con la borsa stretta tra le braccia e gli occhi serrati.
Rimane davanti a lei, guardandola. Non avrebbe mai smesso di farle da baby-sitter, purtroppo. Sospira e dice semplicemente, « Andiamo. » e s’incammina.
L’amica apre gli occhi, si guarda intorno come se si fosse appena svegliata da un incubo. Si alza in piedi di scatto e si aggrappa a un lembo della giacca di Emma, come il cucciolo di elefante che si appende alla coda della mamma.
Tornano a casa in silenzio.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


La mattina è arrivata velocemente, i raggi del sole passano attraverso i vetri della finestra di cui si sono dimenticate di chiudere le persiane. Emma si gira brontolando, facendo muovere pericolosamente il letto ad acqua.
« Devi cambiare letto, credo di cominciare a soffrire il mal di mare. »
Irma non c’è, ma c’è un biglietto sul cuscino che dice “Sono uscita, sono al bosco, non sono riuscita ad addormentarmi. Scusami per ieri sera e grazie. Grazie. I.”
Si stiracchia lentamente, e sempre con calma si veste; esce da casa per andare da Irma, masticando una brioche trovata sulla tavola in cucina. Fa fatica a mangiare per via del labbro gonfio, che ogni tanto ricomincia a sanguinare.
Nel bosco c’è una capanna di legno, è lì che sta andando. Entra e trova Irma addormentata su una brandina, così esce e va a farsi un giro. Ripensa alla notte appena passata, al ragazzo svenuto in quella strada e all’ambulanza che alla fine ha chiamato su insistenza di Irma. Non cambierà mai, rimarrà sempre questa fragile, sentimentale e sensibile ragazzina che è. Se fosse stato per lei, avrebbe abbandonato quel ragazzo al suo destino, se l’era cercata, insomma! Ma no! Irma deve fare sempre le cose per bene, deve essere sempre gentile, anche con lui che ha provato a violentarla. Non si capiranno mai.
Passa il resto della mattinata seduta su un tronco vicino alla capanna, aspettando il risveglio dell’amica. Devono essere passate almeno due ore quando Emma spalanca la porta violentemente, urlando come una pazza. Irma scatta a sedere, urlando a sua volta.
« Sei impazzita?! Che cazzo stai facendo? »
« Sono qui fuori da ore ad aspettare che la Bella Addormentata si svegli! »
Irma si guarda intorno rendendosi conto di essere al capanno nel bosco, « E chi ti ha detto di restare lì fuori? Potevi dormire ancora. »
« Mi sono svegliata e non sono riuscita più ad addormentarmi, ok? Ma perché sei venuta a dormire qui? Va bene che è casa tua, ma è sempre un bosco e poi, tu non hai paura del buio? »
« Che c’entra e poi era già chiaro quando sono venuta qua. »
Cala un silenzio teso, pieno di domande e pensieri a cui nessuna delle due vuole dar voce. Irma rimane sdraiata, mentre Emma gira per la capanna guardandosi in giro, ci non un sacco di attrezzi per il giardinaggio, bombolette, due biciclette e un paio di pattini a rotelle, c’è anche una chitarra classica a cui mancano due o tre corde.
« Alla fine mi sono solo spaventata. Non mi sono fatta male né niente » Emma continua a guardare in giro, lasciandola parlare liberamente, « e questo solo grazie a te. Non mi è mai piaciuto il tuo modo violento e impulsivo di fare, lo sai, ma senza questo tuo essere, sarebbe andata molto peggio » ora con la coda dell’occhio guarda l’amica che si copre il viso con un braccio, « e per questo ti ringrazio. Grazie per quello che fai sempre per me, per esserci sempre. Per non esserti arrabbiata quando ti ho detto che avrei passato l’estate a scuola. »
Qua si sbaglia. Emma si è arrabbiata quando ha saputo della sua decisione di trascorrere le vacanze estive a scuola, ma non le ha detto niente perché voleva dimostrarsi superiore, voleva far vedere che lei non bada a questo genere di cose. C’è riuscita, più o meno.
Questi sono gli ultimi giorni che possono passare insieme, dopodiché ricomincia un altro anno di separazione. Se ne rendono conto nello stesso istante, si guardano e vanno verso casa per cambiarsi e uscire, cercando di passare almeno gli ultimi giorni in modo decente facendo qualcosa di significativo.
 
Sono sedute su una panchina al parco, ognuna immersa nei propri pensieri, guardando la gente passeggiare lì intorno. Il sole splende in cielo scaldando e facendo dimenticare la brutta giornata appena passata.
« Mi mancherai. »
« Non fare la ragazzina mielosa. »
« Dico sul serio. »
« Anch’io. »
Irma sbuffa infastidita da quel suo comportamento, ben sapendo che, una volta ricominciata la scuola, le sarebbe mancato. Incrocia le braccia, « Potresti cominciare a mostrarmi un po’ d’affetto, non credi? »
« Sta zitta. »
Emma si stiracchia, felice del calore che sente sulla pelle, « Se ti manco così tanto perché non torni a scuola qui? »
Irma scuote risoluta la testa, « Impossibile. »
Torna il silenzio e la loro attenzione si posa su un gruppetto di ragazzini che gioca lungo un viale.
« C’è un ragazzo. »
« Dove? » Emma si guarda intorno.
« No, qui. » si tocca il petto imbarazzata: le guance cominciano a colorarsi e inizia a ridacchiare come una bambina.
« E il tipo di ieri, scusa? Hai accettato la sua corte o no? »
Una delle “qualità” di Emma è di rovinare i momenti migliori, infatti, il bel sorriso di prima di Irma è sostituito da uno sguardo afflitto, « Non era importante: era un modo di dimenticarlo perché io non gli piaccio. »
« Te lo ha detto lui? »
« No, ma… »
« E allora niente “ma”. Se non lo sai per certo, non devi arrenderti, idiota. » le tira una pacca sul collo, « Come si chiama? »
« Piuk. » lo dice lentamente, gustando ogni sfumatura del suo nome.
« Ma che razza di nome è? » si mette a ridere e Irma comincia a picchiarla, offesa.
Le racconta di Piuk, che va alla sua stessa scuola senza essere in classe insieme, però. Fa un elenco completo di tutti i pregi che ha: è gentile, cordiale, premuroso, è sempre pronto ad aiutarti ed è anche molto semplice, sincero e un vero amico. Nel raccontare, Irma è palesemente presa e si lascia trascinare, anche se si trattiene su determinate cose, come se Emma non dovesse saperle; l’amica la lascia parlare facendo finta di niente.
Passano il pomeriggio in giro per la città, vanno al cinema e girano per le bancarelle allestite nella parte vecchia della città. Comprano diverse cose, anche piuttosto strane, come il cappello fatto di lattine di Coca-Cola.
La sera tornano a casa discutendo sul film visto e facendo programmi per il giorno dopo. Si separano davanti al fontanino, Irma va a destra verso Villa White ed Emma a sinistra; davanti casa è parcheggiata una macchina nera – una di quelle basse e strette, che dovrebbe stare in un museo.
Cosa piuttosto insolita, considerando la volontà dei genitori di tenerla lontana dalle loro amicizie.
Casa sua non ha niente in meno della villa dei signori White, se non l’accoglienza e il calore familiare: è un enorme maniero cupo e misterioso, con una torre leggermente storta, ricoperto per tre quarti dai rampicanti. È una casa che incute timore, soprattutto ai bambini che s’inventano storie dell’horror, ambientate lì dentro, con protagonisti i signori Wood.
Emma attraversa velocemente il giardino senza guardare i poveri cespugli rinsecchiti e l’erba di un colore poco sano.
Entra in casa e si trova davanti una scena che potrebbe essere considerata anche comica, se non fosse per l’atmosfera grave che si respira e per le espressioni serie e tirate: Cecil Wood punta una stecca nera contro il viso di uno sconosciuto, che sventola un bastoncino bianco, Kassandra Wood, invece è dietro al marito e assiste alla scena indifferente.
La porta si chiude rumorosamente attirando gli sguardi di tutti: c’è chi la guarda sorpreso e felice, chi furente e chi, invece senza emozione.
Lo sconosciuto è piuttosto felice di vederla, almeno sembra dall’ampio sorriso che gli attraversa il viso, scoprendo i denti bianchissimi; indossa una palandrana viola acceso sopra un completo verde, quell’accostamento fa girare la testa a Emma che distoglie lo sguardo, inorridita. L’uomo si avvicina stringendole la mano, « Ciao! Ciao! Sono il signor Banedi, ma puoi darmi pure del tu. »
« Banedi, se ne vada. » Cecil s’intromette, nascondendo la bacchetta nera dietro la schiena, « Non siamo interessati. »
« Chi ha mai voluto il vostro parere? Io sono qui per lei. »
Kassandra si avvicina al gruppetto, alza un dito a indicare il soffitto e in un soffio dice alla figlia, « Di sopra. Ora. » è ferma con il dito ancora alzato, stretta nel suo lungo abito nero funerale, con gli occhi chiari fissi in quelli gialli della figlia.
Emma si dirige verso le scale che portano alla torre, camera sua, « Mi segua, signor Banedi, che le faccio strada. »
L’ospite non se lo fa ripetere due volte, saltella per le scale seguendo la ragazza. I genitori rimangono in soggiorno, arresi e incapaci di muoversi.
La sua stanza è tonda, come il letto posto esattamente al centro, e all’unica finestra.
« Nessuno mai, disubbidisce ai Wood. Complimenti. »
« Anche lei non ha accettato il loro invito ad andarsene, se non sbaglio. » si siede sul letto invitandolo a fare lo stesso, ma lui resta in piedi a ridere, scuotendo la mano che stringe ancora il pezzo di legno bianco. L’uomo si accorge dell’interesse della ragazza, le scuote le mani davanti alla faccia, « Tu non sai cosa sia, vero? O meglio: lo sai, ma non lo vuoi dire. »
« Sembra una di quelle finte bacchette magiche usate nei film di Harry Potter. »
« Finta?! » sembra offeso, inorridito dalla sua affermazione, « Ti faccio vedere io quant’è finta! » finisce la frase con un verso stridulo, marcando l’ultima parola, facendole il verso.
Un piccolo movimento deciso, due parole appena sussurrate e il letto su cui è seduta inizia a volteggiare per la stanza. Emma si aggrappa alle lenzuola cercando di contenere lo stupore, senza riuscirci: « Che cazzo è?! »
Il letto si muove su e giù, compie piccoli cerchi per la stanza. Emma cerca i congegni che servono per realizzare quel trucco, ma non vede niente; Banedi ride di gusto, divertito dalla sorpresa della ragazza che, infastidita da quella presa in giro, si lancia dal letto atterrando di fronte all’uomo.
Lo prende per il bavero di quell’orrendo completo, « Che. Cazzo. È. » semplice e diretta.
Banedi continua a sorridere e il letto torna al suo posto, al centro della stanza.
« Lo so che lo sai. »
Nella testa di Emma cominciano ad affollarsi ricordi e visioni che non tirava fuori da quando aveva undici, dodici anni; ripensa a quello a cui ha appena assistito e alle parole sentite.
« Per sollevare il letto ha per caso detto… » non riesce nemmeno a completare la frase, per quanto si sente idiota.
« Puoi dirlo, non  avere paura. » non smette di sorridere, nemmeno quando sente la presa sul bavero farsi più forte: si era preparato a questo tipo di reazione, dopotutto è figlia dei suoi genitori.
« Mi sa tanto di una presa per il culo colossale. »
« Non oserei mai, ma se ancora non ci credi, ecco qua. » un altro movimento di bacchetta, altre parole appena percettibili, e il dizionario che prima era sulla scrivania, ora è ai loro piedi.
Emma lascia andare Banedi, che si liscia la giacca, per sedersi sul letto.
« Dimmi che ora sei convinta, perché se non lo sei, dovrò continuare a fare incantesimi fino a convincerti ed è vietato fare incantesimi qui. »
Dopo un lungo minuto di silenzio, appaiono Cecil e Kassandra vicino alla finestra.
« Lasciala stare. » Emma balza in piedi, non si era accorta della loro presenza. Come hanno fatto a entrare? Non sono passati per la porta, e allora come hanno fatto?
« Lasciala stare. » ripete il padre, prendendo il braccio di Banedi.
« Senti, perché non facciamo decidere a lei? »
« Va bene, » Kassandra si è avvicinata al gruppo e guarda il marito, lo sguardo indecifrabile come sempre.
« ma non oggi. Domani ne parleremo con calma, magari davanti a una buona tazza di caffè. Signor Banedi, se vuole assicurarsi che noi non ci muoveremo di qui, saremo lieti di ospitarla, per questa notte. » esce come è entrata: all’improvviso, facendo impazzire Emma che ha ormai perso le speranze di capire qualcosa.
« Bene, lei venga con me che le mostro la sua stanza, mentre tu » Cecil punta il dito contro la figlia, « resti qui. Chiaro? Vai a letto. » dopodiché, insieme al signor Banedi che saluta, esce chiudendo la porta a chiave.
Emma non è riuscita a dire nemmeno una parola su tutto l’argomento per quanto le cose si sono svolte velocemente, non sa più che pensare.
Sono appena le nove quando rimane sola in camera, segregata; non ha alcuna intenzione di andare a letto, men che meno di rimanere chiusa lì dentro, gli ordini non le sono mai piaciuti.
Cinque minuti dopo sta saltando dalla torre, sul tetto di casa, ma perde l’equilibrio: scivola fino alla grondaia, dove riesce ad aggrapparsi per pura fortuna, un salto di circa sette metri sarebbe stato abbastanza doloroso. Il labbro si è spaccato di nuovo, sente il sapore del sangue invaderle la bocca.
Si dondola per poi staccarsi, atterrare sul balcone poco sotto silenziosa come un gatto, e calarsi giù utilizzando le piante rampicanti come scale: cerca di essere il più veloce possibile, ma a due metri dal suolo, i rampicanti cedono e lei si ritrova a terra, sopra un cespuglio. Si alza strappandosi di dosso tutti i rami, che gli si sono infilati tra i vestiti. Corre per strada, togliendosi dai capelli gli ultimi rametti, pensando a come impostare il discorso con Irma, cercando d’immaginare la sua reazione a tutto quello che ha da dirle.
Il cancello si apre non appena Emma compare davanti casa White, si dirige a passo di marcia all’entrata.
La porta si apre e Sebastian è pronto a riceverla con le pantofole tra le mani, sorridendo affettuosamente: la ragazza fa parte di quella famiglia più di quanto non faccia parte della sua naturale.
Il maggiordomo l’accompagna fino alle scale, dopodiché scompare verso la cucina; lei corre al piano di sopra dando una veloce occhiata ai quadri che sembrano cambiati ancora.
« Senti un po’ che mi è successo. » si siede sul letto, « A casa c’era un tipo strano che i miei volevano scacciare. All’inizio pensavo fosse loro amico, ma i miei lo volevano proprio fuori di casa, ma dato che lui voleva parlare con me, l’ho portato in camera mia. Doveva spiegarmi qualcosa. »
Irma, che fino a quel momento era sdraiata sul tappeto, le corre incontro e strattonandola per le spalle chiede, « Come si chiamava? Come si chiamava? »
« Baneda. Banado. Bantendi. Comincia per “Ban”. »
« Banedi! Banedi! »
« Come fai a saperlo? »
« Lo conosco bene, è un prof! Il vice in realtà. Per la barba di Merlino, partiremo insieme! »
Emma non capisce più niente, « Partiremo per dove? Aspetta, hai detto “per la barba di Merlino”? »
Senza nemmeno ascoltarla, Irma le prende una mano e la trascina fuori dalla camera, giù per le scale fino in soggiorno, dove ci sono i suoi genitori. I loro discorsi sono interrotti da Irma che strilla felice.
« Banedi è andato da lei! »
Lasciandosi cadere su una poltrona, sospira felice guardando i genitori.
« Emma, partirai davvero con lei? » la signora White la osserva poco convinta.
« Ma per dove? Non riesco più a seguirvi: sono venuta qua solo perché i miei mi hanno chiusa in camera e per dire a Irma di questo Bantreda, che ha fatto svolazzare il mio letto per la camera e che ha fatto arrivare il mio dizionario di tedesco che era sulla scrivania, ai miei piedi. Non ho ancora capito il trucco, però. »
Irma chiede con un filo di voce, « Ma non hai detto che ti ha parlato? »
« No, io ho detto che doveva parlarmi. »
« I tuoi genitori che dicono? » Dione White si sistema meglio sul divano, per poterla vedere bene.
« All’inizio lo volevano fuori di casa, poi hanno deciso di farlo restare, o meglio: mia madre ha deciso. Così che domani mattina possa parlarmi. »
Irma dice un semplice e debole « Oh. »
Dione scuote la testa, « Quella donna. È una forza. » non lo dice come complimento.
« Siediti cara. Dobbiamo spiegarti alcune cose che i tuoi genitori non ti racconterebbero mai, nemmeno tra un milione di anni. Avevamo promesso di non farlo, ma sembra oramai inevitabile. » Francis White si sfila gli occhiali e indica la poltrona rosso-oro davanti a lui.
Emma si accomoda sprofondando nei morbidi cuscini. Francis rimane alcuni minuti in silenzio, come se stesse cercando il modo di introdurre l’argomento, poi annuisce a se stesso e comincia a parlare, « Adesso sentirai cose a cui non crederai, o che comunque faticherai a comprendere. Ti chiedo, quindi di non interrompere e lasciarmi terminare, alla fine saremo tutti qui per rispondere alle tue domande. »
Vedendo la ragazza ferma a osservarlo si convince che abbia capito, « Per prima cosa sappi che la magia esiste, i maghi, le streghe, i draghi esistono; tutto ciò che si trova in “Harry Potter” esiste: Hogwarts, l’espresso che parte da King’s Cross e il binario 9 ¾. Hogsmeade e Diagon Alley. 
Ci sono molti ragazzi magici che provengono dal mondo babbano. Tu sai cosa voglia dire “babbano”, no? Non sto a spiegartelo.
In “Harry Potter” i personaggi sono tutti fantastici, ma la guerra contro il Signore Oscuro – che si chiamava Luke Murden – c’è stata per davvero: la nostra generazione ha combattuto al fianco dei più grandi maghi del tempo, ricchi di esperienze ben più significative delle nostre. Abbiamo sconfitto il Signore Oscuro e il suo esercito di Mangiamorte quando andavamo ancora a scuola, ad Hogwarts, per la precisione.
J.K. Rowling è una babbana che conosce il nostro mondo perché ha sposato un mago, ed è stata lei a salvare il mondo magico, se proprio vogliamo dirlo. Ha scritto la saga di “Harry Potter” ispirandosi alla nostra storia, adattandola ai gusti dei babbani, che conosce bene essendo una di loro. La guerra aveva portato delle ripercussioni anche al mondo babbano, così il Ministero si mise in cerca di soluzioni per risolvere tutti i problemi. La signora Rowling ha pubblicato i suoi libri in barba ai divieti del Ministero della Magia, facendoli diventare un successo globale, sia del mondo babbano sia di quello magico. »
« Grazie a lei, » Dione aveva continuato al posto del marito, che chiedeva a Sebastian da bere, « adesso, se qualcuno qui parla di Hogwarts o d’incantesimi, se un Mangiamorte mostra il suo marchio – cosa assolutamente improbabile – sarà considerato solo un fan della saga, se qualche studente sbadato va in giro con la divisa scolastica della sua casa, sarà scambiato per un cosplayer. Capisci cosa è riuscita a fare? Ha salvato il mondo magico: il Ministero aveva considerato la possibilità di rivelarsi ai babbani, ma lei ci ha salvati! Le hanno anche offerto un posto al Ministero, ma lo ha rifiutato per continuare a vivere con la sua famiglia nel mondo babbano. Sarebbe stata la prima babbana a lavorare lì dentro.
Dopo la guerra, i Mangiamorte sono stati esiliati dal mondo magico, obbligati a vivere in mezzo alla gente che più disprezzano.
Molti maghi, invece si sono trasferiti di loro volontà nel mondo babbano, chi perché affascinato da questa gente, chi spaventato dall’ombra di una possibile nuova guerra: i Mangiamorte hanno giurato vendetta, promettendo di tornare per riavere il potere del mondo magico. »
Sebastian distribuisce da bere, ma Emma rifiuta con una scrollata del capo. A questo punto torna a raccontare Francis, che aveva lasciato finire alla moglie.
« È diventato sempre più difficile rintracciare i maghi nati in questo mondo, nel mondo babbano, e così la Rowling, insieme a un gruppo di esperti, ha creato Pottermore. Sai cos’è, no? Irma mi ha detto che ti sei iscritta. Comunque, attraverso questo sito, mezzo magico e mezzo non, i Cercatori di Individui Magici – i CIM – sono in grado di localizzare i ragazzi: ogni iscrizione trasmette dei dati al Raccoglitore Centrale, che si trova all’interno del Ministero, che sono analizzati; la positività e la negatività alla magia è data da quei dati. Nel caso il soggetto sia positivo, i CIM hanno l’autorizzazione a procedere con l’invio delle lettere d’ammissione. Ovviamente questo non è l’unico modo per trovare giovani maghi e streghe, è uno dei tanti, il più veloce forse e il più moderno.
Nei primi anni dopo la guerra, si era arrivati alla decisione drastica di proibire l’ingresso ad Hogwarts a tutti i figli di Mangiamorte e solo dieci anni fa si è deciso di annullare questa stupida regola e questo perché molti dei traditori, nel frattempo, avevano deciso di addestrare i loro figli per diventare Mangiamorte.
Ci sono diversi incantesimi che nascondono la presenza di questi ragazzi ai metodi antichi per la ricerca magica; molti Mangiamorte celano i loro figli ai CIM per poterli addestrare, ma sono sempre scoperti nel giro di qualche settimana.
Questo sta a indicare la potenza dei tuoi genitori, che ti hanno tenuta nascosta fino ad adesso, per un anno intero. Non per niente erano tra i Mangiamorte più forti e fedeli a Luke. »
« Francis! » Dione guarda il marito con aria di rimprovero, « Quello che voleva dire mio marito – senza il minimo uso di tatto, purtroppo – è che i tuoi genitori, durante la Grande Guerra, erano dalla parte dell’Oscuro. Mi dispiace che tu lo venga a sapere da noi e in questo modo. » si riferisce al marito che abbassa la testa mortificato.
« Questo non lo sapevo neanche io! Perché non me lo avete detto? » Irma si alza furiosa, « La mia migliore amica viveva con due Mangiamorte, forti e fedeli a quel coso oscuro, e voi non mi avvertite? Non credevo fossero così potenti. Perché non siete andati a prenderla, a salvarla? È per questo che non è venuta con me l’anno scorso a Hogwarts? Perché i suoi genitori la nascondevano ai CIM? »
« Irma, calmati. »
La voce dolce della madre non fa altro che aumentare il rossore sul viso della ragazza, « No! Potevano farle del male! Sono cattivi, sono dei Mangiamorte. Man-gia-mor-te! » scandisce bene, per far arrivare meglio il concetto ai genitori.
« Irma, smettila. Sono quel che sono, ma non le avrebbero mai fatto del male. Sono pur sempre i suoi genitori. »
Irma sembra valutare le parole della madre, si siede con la testa bassa, chiedendo scusa e con le guance ancora rosse per lo sfogo di poco prima. Si gira a guardare Emma che non ha ancora detto una parola. Anche i signori White aspettano una sua reazione che, però, non arriva.
Con la schiena appoggiata alla porta della cucina, Sebastian assiste alla scena, compatendo la povera ragazza che è messa davanti a una situazione incredibile. Lui conosce la storia, sa che è tutto vero perché vive con i White dall’inizio dei tempi, perché si è ormai abituato a tutto quello, ma Emma no: non è quello spirito leggero e facile che è Irma, quella dolce bambina poco cresciuta costantemente felice e sognatrice; Emma è tutt’altro, è figlia di persone dure e fredde, ha smesso di credere alle parole della gente da tanto tempo, sa difendersi dalle bugie e dalle persone, ha i piedi ancorati a terra, lei.
Nel momento in cui decide di tornare in cucina, per prendere qualcosa da mangiare per l’ospite, la vede alzarsi e girare i tacchi.
Non si sente niente se non il rumore dei suoi passi decisi che si allontanano, la porta che si apre, passi più veloci e incerti subito dopo: Irma l’ha seguita in giardino, vede la sua schiena lontana, i capelli lunghi e neri come il cielo di quella notte, coperto e senza stelle; la vede voltarsi, sente i suoi occhi addosso, due fari nella notte che la riempiono di vergogna, la fanno sentire sbagliata e nel torto. Irma sa esattamente come si sente l’amica, la conosce troppo bene: ridicola, presa in giro, tradita dalla sua migliore amica e dai suoi genitori che le hanno raccontato cretinate su cretinate. Ok, Irma così esagera, ma non è andata tanto lontano dalla verità: Emma si sente presa in giro, si sente un’idiota per essere stata ad ascoltarli tutto il tempo, ma più di tutto si odia per aver pensato, anche solo per un secondo, che tutto quello fosse vero, per avergli creduto per qualche istante.
Alza lo sguardo al cielo, non c’è nemmeno la luna. S’incammina in quella che considera la notte più buia di tutta l’estate, senza rendersi conto che anche la notte più cupa può trasformarsi nella più luminosa, basta che ci sia solo un po’ di vento a spostare le nuvole. 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


La mattina si sveglia di buona ora per poter parlare con Banedi senza la compagnia dei genitori, non vuole che siano presenti quando racconterà ciò che i White le hanno riferito sul loro conto, sul fatto che li credono Mangiamorte e tutto il resto. Non che lei ci creda, ma non è comunque un pensiero carino, insomma.
Trova un Banedi molto impegnato a divorare una brioche alla marmellata e bere il caffè in contemporanea. Una prova con tanto di cappello poiché non sembra strozzarsi; ha indosso un pigiama prestatogli dal signor Wood che gli va di due taglie più largo.
Emma prende dal bancone della cucina una brioche, ci sono un sacco di dolci caldi pronti per essere mangiati, tanti da poter sfamare un intero esercito.
«Buongiorno Emma!» il tono di voce è fastidiosamente alto.
Lei risponde con un cenno della testa, turbata dal suo buon umore mattutino, umore del tutto  sconosciuto in quella casa.
«Come hai trascorso la notte?»
Alza le spalle. Banedi capisce che la mattina non è il momento della giornata che preferisce.
«Non sei una persona mattiniera, eh?» la sua risata scuote la cucina vuota.
Emma non sa se deve essere lei a cominciare il discorso o aspettare lui, che sembra voler iniziare un’altra brioche più che altro.
Sente i passi dei genitori avvicinarsi, dovranno parlare tutti insieme. Che bello.
«Non credevamo ti saresti svegliata così presto.»
«Non sono riuscita a dormire, faceva troppo caldo.»
In realtà è stata la curiosità a logorarla, la voglia di sapere se è tutto vero oppure uno scherzo ben architettato.
«Facciamo in fretta così la lasciamo andare.»
«Cecil. » la moglie lo ammonisce . «Trattalo come si deve, è nostro ospite.»
«Sì, va bene, ma ora cominciamo.» guarda il signor Banedi che si ripulisce la barbetta dalle briciole.
Si va ad appoggiare allo stipite della porta con la terza brioche in mano, pronto a mangiarla; con sguardo serio guarda i presenti, «Adesso, cara Emma, ti racconterò cose a cui farai fatica a credere, quindi ascoltami bene e non interrompermi fino a che…»
«Eh no!» si alza facendo cadere a terra la sedia «No, mi lasci indovinare. Per prima cosa mi dirà che la magia, i draghi, le streghe eccetera esistono, che Hogwarts esiste e che “Harry Potter” è basato su una storia vera anche se molto romanzata; mi dirà che c’è stata seriamente una guerra contro il Signore Oscuro e il suo esercito di Mangiamorte e che Pottermore è un sito per la ricerca dei maghi.»
Non appena il suo sfogo finisce cala il silenzio. Banedi ha mezza brioche in bocca e la guarda allibito, il signor Wood, invece è arrabbiato. Anche Kassandra ha abbandonato la sua solita espressione neutra per una furiosa.
«E voi due avete da dirmi qualcosa? Che ne so? Magari che siete dei Mangiamorte esiliati?» li guarda divertita, è una situazione assurda senza un filo di logica.
Cecil è il primo a riprendersi, si lancia urlando addosso alla figlia che presa alla sprovvista non riesce a evitarlo.
«Come osi? Siamo i tuoi genitori! Chi ti ha detto tutte queste cose?»
Emma è schiacciata dal peso di suo padre, che cavalcioni su di lei continua a urlare «Sono stati i White, vero? Sei andata da loro ieri notte, quando sei scappata? Come hanno potuto permettersi?»
Un lampo di luce scaraventa Cecil lontano, permettendo a Emma di tornare a respirare; non è tanto sconvolta dalla reazione del padre, quella se l’aspettava, quanto quella della madre: lei incarnava la figura di totale imparzialità che divideva padre e figlia nei litigi, era il giudice che faceva abbassare controvoglia la testa a chi era nel torto. Quel suo non intervenire, restare a guardare la scena era un tacito schieramento dalla parte del marito.
Banedi corre in soccorso della ragazza, «Per fortuna che mi porto la bacchetta sempre dietro, se no avrei dovuto affrontarlo a mani nude» non ce l’avrebbe mai fatta a mani nude, piccolo ed esile com’è, contro Cecil Wood, alto, imponente e muscoloso.
Emma si tappa le orecchie per non sentire niente riguardo bacchette e magia.
«E lei» Banedi punta la bacchetta contro il signor Wood, «come ha potuto assalire sua figlia?»
«L’hai sentita, Dione? I White, i WHITE!» Cecil lo ignora completamente; la moglie lo raggiunge per lisciargli la camicia e affranta gli sussurra «Lo so, lo so» e poi aggiunge «Mi dispiace»
Non è rivolta a Emma per scusarsi del comportamento del padre e nemmeno a Banedi per averlo fatto assistere alla scena, sta parlando con il marito.
«Come si sono permessi di intromettersi nei nostri affari di famiglia? L’avevano promesso. Credevo che per loro l’onore fosse tutto, che le promesse fossero come patti di sangue, ma a quanto pare mi sbagliavo»
Dopo una pausa sputa acidamente, «Io li uccido. Li ammazzo uno a uno, insieme ai camerieri e a tutto il loro seguito babbano» La moglie finisce di sistemare i bottoni, «No, tu non ucciderai nessuno, non puoi permetterti di mandare all’aria tutti gli anni di buona condotta che abbiamo passato per riavere le bacchette in questo modo»
Sembrano dimentichi del mondo intorno a loro, di Emma senza espressione che ha ripreso a fare colazione o di Banedi che ancora li guarda sconcertato.
«Va bene, d’accordo» si alza e raggiunge Emma, «Tu vieni via con me, ti porto ad Hogwarts»
L’incantesimo che teneva prigionieri i coniugi Wood sembra sciogliersi, Cecil comincia a sbraitare e inseguire Banedi che si dirige con passo calmo verso la sua stanza.
Emma e la madre sono sole in cucina. Kassandra prende le tazze e inizia a strofinarle per renderle perfettamente lucide come piacciono a lei, ripensando ai bei momenti in cui era circondata da una miriade di camerieri.
Molti di più di quanti ne abbiano ora i White, pensa gongolante.
«Davvero mi lascerete partire per chissà dove con uno sconosciuto?»
«Non è uno sconosciuto, è il signor Banedi, vicepreside della tua nuova scuola»
«Quindi mi lasciate andare»
«Esatto. Vai a fare le valigie»
«Ma per dove?! Davvero credete di prendermi in giro dicendo che sto per partire per Hogwarts? Hogwarts! È più probabile che mi vendiate a lui per poi mettere i miei organi sul mercato nero»
Non vede nemmeno arrivare lo schiaffo; si sente un rumore secco e la guancia si arrossa subito. La ferita al labbro si riapre.
Lo sguardo di Kassandra si fa meno impenetrabile, si vede un’ombra di pentimento che scompare, però lasciando spazio a un’aria arrabbiata. Prende la figlia per il collo della maglia, come lei aveva fatto il giorno prima con Banedi, « Tutto ciò che quegli scarti dei White ti hanno detto, purtroppo è vero.  Noi siamo Mangiamorte, due dei più forti Mangiamorte che abbiano mai servito il Signore Oscuro, siamo rimasti con lui fino alla fine. Pur di non lasciarti nelle mani di quegli stolti e ignoranti di Hogwarts, abbiamo deciso di tenerti lontana dalla magia. Qualsiasi tipo di magia. E ci saremmo anche riusciti se non fosse stato che, due giorni fa, quegli esseri inutili dei CIM hanno eliso le nostre barriere: hanno inviato Banedi sapendo bene che avremmo bruciato ogni loro lettera. Adesso, devi metterti in testa tutto questo: la magia esiste e anche Hogwarts, noi siamo Mangiamorte e tu sei nostra figlia. Quest’ultimo punto ti darà qualche problema. »
Lascia andare la figlia per arrotolarsi fin sopra il gomito una manica del vestito. Scopre un tatuaggio formato da un teschio e un serpente: lo stesso tatuaggio che hanno i Mangiamorte nei film, con l’unica differenza che questo è più inquietante e spaventoso. Emma sfiora appena il marchio avendo paura che possa cominciare a muoversi, Kassandra sussulta impercettibilmente al contatto, ma non si ritira.
La ragazza si volta ed esce velocemente dalla stanza.
« Dove vai? »
« A fare le valigie. »
 
Cecil sta gesticolando in modo animato e quando entra la figlia si zittisce subito.
« Ti ha dato il permesso, vero? » sussurra.
Emma annuisce e il padre con un lungo passo esce dalla stanza.
« Tua madre è una persona ragionevole, non è come tuo padre! » Banedi indossa lo stesso completo con cui è arrivato, ha lo stesso effetto della prima volta a guardarlo.
« Senta, non è che c’è un modo magico per inviare messaggi? Non so se l’ha notato, ma in questa casa scarseggiano le apparecchiature elettroniche. »
L’uomo annuisce, l’ha notato: molti Mangiamorte si rifiutano di procurarsi oggetti babbani per le loro nuove case, alcuni nemmeno lavorano per non dover entrare a contatto con quella gente, prelevando i soldi dai loro ricchissimi conti alla Gringott.
« Ho già avvisato Irma, se è questo che volevi fare. Sarebbe dovuta partire anche lei oggi, passiamo a prenderla noi. »
« Ah. » Emma si guarda intorno, esce, « Ok. »
Non ha idea di che riempire la valigia: caccia dentro vestiti estivi e invernali alla rinfusa, senza pensarci, non sa nemmeno se c’è la divisa come nei libri. Prende i suoi inseparabili anfibi, divisa o no, quelli sarebbero stati le sue scarpe.
Guarda i libri di scuola ordinatamente posti sulle mensole, quelli non li userà mai più.
Rimane sdraiata a letto per mezz’ora, sente i suoi genitori discutere, ma sa già chi la spunterà. Sua madre ha sempre vinto, sia con Cecil sia con Emma.
Bussano alla porta, Banedi è arrivato a prenderla. Raccoglie la vecchia valigia rossa di suo padre e il suo borsone ed è pronta per salutare i suoi genitori che hanno entrambi un dono per lei.
Cecil le consegna un sacchetto, nel porgerglielo si sente un rumore metallico, « Sono cinquecento galeoni, tutto quello che ti serve per andare . » la saluta con una pacca sulla spalla. Kassandra le mette al collo una catenina d’argento nascondendola sotto la maglia, « Portala sempre con te. Sempre. E non mostrarla. »
Alla catenina è appeso un ciondolo che Emma non ha mai visto; una pietra di un verde brillante le pende sul petto, sembra emanare luce propria.
« Buon viaggio. »
« Ci vediamo a Natale. »
I signori Wood si scambiano un’occhiata, « Siamo da degli amici a Natale, dovrai passare le vacanze a scuola. »
Non è ancora partita che loro hanno già trovato come passare il loro tempo futuro.
« Allora ci vediamo e basta. »
In macchina, Banedi cerca di far dimenticare il poco piacevole commiato, ma Emma non sembra pensarci, « Passiamo da Irma e poi dritti a Hogwarts, giusto? »
« Voi andate a Hogwarts. Voglio dire: voi prendete l’espresso, ci vediamo lì. Irma mi ha detto che voleva farti vivere quest’esperienza, che ci tenevi. »
Ne avrebbe fatto anche a meno, ma se non si fa quello che vuole, Irma diventa insopportabile e quindi, « Vada per il treno. »
Per il viaggio verso la stazione, Irma si agita tutta sul sedile posteriore, vomita parole senza sosta, inondando tutto l’interno dell’auto.
« Era così anche l’anno scorso, il primo giorno di scuola. »
Emma comincia a sentire pulsare le tempie, un principio di mal di testa e non sono ancora partite.
Appena l’auto si ferma davanti all’entrata della stazione, Irma si fionda giù e butta fuori dal bagagliaio tutte le valigie, saluta calorosamente il professore e corre via.
« Dio santo, ma ha il pepe nel culo? »
« Be’, lei è a posto, un po’ esaltata forse. Tu, invece dovresti essere un po’ più… »
« No. » la secca risposta fa ridere il professore che le tira una pacca sulla spalla mentre scende facendola inciampare, per poco non cade. Si volta, ma la macchina è già partita.
Raccoglie i suoi bagagli e s’incammina per raggiungere l’amica scomparsa dietro le grandi porte della stazione. Vede Irma che scorrazza da una parte all’altra, fa zig zag tra i passanti; Emma fa fatica a starle dietro, l’ha quasi raggiunta quando la perde di nuovo.
È ferma con le sue valigie alla mano guardandosi intorno, Irma è diventata invisibile. Qualcuno le si ferma vicino e le chiede se si è persa, « Ti sembro una bambina di cinque anni? Ce la faccio anche da sola, cazzo! »
Quell’anima gentile che voleva aiutarla, ora le risponde a tono e si allontana inquietata da quegli occhi intensi. Alla fine scorge un ciuffo marroncino e un pezzo di stoffa familiare, così si lancia all’inseguimento. Un ragazzo sta correndo nella sua direzione, non lo vede e si scontrano cadendo a terra; la vecchia valigia di Emma vola sopra la testa dei babbani che non si accorgono di nulla, troppo impegnati a correre di qua e di là e a guardare i loro smartphone. Scivola qualche metro più in là, mezz’aperta. Alcuni indumenti sono sparsi per il sudicio pavimento, per lo più sono mutande e reggiseni. Oltre che per la rabbia di un simile disastro, la sua faccia s’infiamma per via dell’imbarazzo: alcuni sfigati si sono fermati a raccogliere i suoi indumenti intimi e a indossarli come cappelli. Non appena sentono la voce della proprietaria che li chiama scappano come topi, dimenticandosi di rimettere a posto quello che hanno tra le mani.
Furente, si volta verso il mal capitato che è ancora a terra, in fronte a lei.
« Hai visto che cazzo è successo? »
Lo strattona per la maglietta guardandolo con uno sguardo che ha sempre fatto paura, ma lui non la guarda nemmeno, continua a girare la testa indietro, i suoi occhi azzurri vagano per la stazione.
« Mi stai ascoltando? »
« Scusami, ma devo andare. » si stacca le mani della ragazza di dosso e si alza, pronto per correre via.
Emma, che non ha la minima intenzione di chiudere tutto lì, lo ferma trattenendolo per un braccio.
« Non hai capito proprio niente, se pensi che ti lasci andare. »
Il ragazzo continua a muoversi cercando di sciogliersi da quella presa, ma non c’è niente da fare. La ragazza è molto più forte di quello che sembra; non essendo molto alta e avendo un fisico snello e atletico che nasconde sotto i suoi vestiti larghi, non incute mai timore a primo impatto.
« Io devo… io devo proprio andare, non posso… » deve aver visto qualcosa di spaventoso dietro di lei perché smette di parlare e spalanca la bocca e gli occhi. Emette un piccolo gemito e s’immobilizza, non combatte più per essere liberato. Emma si volta e vede due ragazzi venire dalla loro parte. Possibile che questo qui abbia paura di loro? Eppure è alto e muscoloso, o meglio: un po’ muscoloso, si vede che fa moto e si mantiene in forma, ma non ha i muscoli di quei due; anche se avesse i muscoli non avrebbe la forza di picchiarli, si vede dagli occhi troppo buoni e dolci, dagli occhi di un azzurro puro da far star male. Si sente quasi in colpa per averlo trattenuto e non avergli permesso di scappare. Quasi. Gli avvicina il viso al suo, « Hai davvero paura di quelli? Stai scherzando? »
Il ragazzo non crede possibile che con un’occhiata lei abbia capito tutto quello che lo muove dentro. Scuote incerto il capo, guardandole gli occhi pensando di non averne mai visti di così.
« Ehi, hai rimorchiato? »
Uno dei due ragazzi, lentigginato, con i capelli rossicci e con due occhi di un comune marrone, parla trascinando le ultime lettere delle parole. A Emma, che non è esattamente di buon umore, questo dettaglio e la domanda la fanno imbestialire.
« E tu che cazzo vuoi? »
« Acida la ragazza, eh? » l’altro ha i capelli neri che gli arrivano alle spalle e due occhi chiari che, però, non hanno niente a che fare con l’azzurro di quelli del ragazzo.
« Anche tu? Avete per caso bisogno di qualcosa? »
« Sì. » indicano il morettino che è immobile, trattenuto ancora dalla ragazza.
« Cosa volete farne? » sa già che le loro intenzioni non sono buone, vuole solo esserne sicura.
« Cosa vogliamo farne? Hai sentito, Al? » il tipo con i capelli lunghi scoppia a ridere e l’amico lentigginato con lui.
« Vogliamo solo dargli una lezione, vero Ace? » Al batte un pugno contro il palmo dell’altra mano.
« Vero, Al. »
Ora ha le prove che quei due non faranno niente di buono.
« Perché? Che ha fatto? »
« Oh, nulla. È solo nato! » scoppiano a ridere, come se avessero sentito la cosa più divertente del mondo. Emma lascia andare il ragazzo, che non scappa, anzi, si avvicina ai due consapevole della sua fine.
Al lo prende sottobraccio, Ace va dall’altro lato, « Adesso andiamo in un posticino appartato e ci divertiamo, eh? »
« Al! Detto così può creare fraintendimenti. » scoppiano di nuovo a ridere.
Quel ragazzo le ricorda in qualche modo Irma, sente di doverlo proteggere, in fondo è colpa sua se non è riuscito a scappare.
Un corno colpa mia! Se non mi fosse venuto addosso a quest’ora lui sarebbe sano e salvo e io avrei trovato Irma!
Sta pensando di andare a riprendere la sua valigia, quando senza accorgersene ha già colpito con un pugno Al, che cade a terra.
« Non mi piacete. Preferisco stare dalla parte del morettino. »
Ace, ripreso dalla sorpresa di vedere il suo amico per terra, le tira un pugno nello stomaco. Emma si piega boccheggiando, quel pugno l’ha passata da parte a parte.
Pensa di aver probabilmente sottovalutato quei due, Al è già in piedi e le tira i capelli per vederla in faccia.
« Stronza. »
Ha il pugno alzato per colpirla, ma lei è più veloce e gli assesta un calcio negli stinchi, si libera dalla sua presa e si allontana di qualche passo. La gente comincia a fermarsi e a formare dei gruppetti, c’è chi incita alla lotta e chi dice di finirla, senza fare niente per far si che smetta. Vede il morettino fermo lì vicino, « Mettiti in mezzo e spacco la faccia anche a te. » sarebbe solo d’intralcio, troppo buono per picchiare qualcuno. Sembra aver capito i pensieri della ragazza perché si allontana di qualche metro.
Sente un urlo dietro di lei, fa in tempo ad evitare un altro pugno di Ace; presa dallo slancio gli tira un calcio dritto sulla schiena che lo sbilancia in avanti, facendolo cadere. Al corre verso di lei, Emma gli va incontro. Quando sono a tiro, entrambi tirano un pugno ed entrambi sono colpiti dal pugno dell’altro.
La ragazza è più veloce a riprendersi e gli tira un altro pugno, facendolo cadere a terra. Non sembra più intenzionato ad alzarsi; il ragazzo infila una mano sotto la giacca, Emma è pronta a vedere uscire una pistola, ma non fa in tempo perché Ace la solleva per aria stringendola tra le sue braccia che sembrano colonne di marmo. Scalcia nell’aria senza nessun risultato, se non quello di apparire come un animale in trappola.
« Voi tre! »
Un uomo della sicurezza corre loro incontro fischiando come un pazzo, « Fermatevi subito! »
Il ragazzo molla la presa su di lei e corre via con l’amico.
Emma sente una mano prenderla per un braccio e trascinarla via a forza. Si ritrova la sua valigia rossa chiusa tra le mani, un laccio di un reggiseno pende ancora fuori. Sta fuggendo a fianco del ragazzo dagli occhi azzurri che ha il suo borsone a tracolla; corrono per un po’, fino a quando non c’è più nessuno dietro di loro e si fermano a riprendere fiato contro un muro.
« Perché l’hai fatto? » tra un respiro e l’altro il ragazzo riesce a formulare una frase di senso compiuto.
« Non mi piaceva il modo di parlare di quello, Al. »
« Non piace nemmeno a me. » sorridono.
Poco più in là, vicino a un distributore automatico, Emma vede i capelli di Irma, vede la sua maglietta rossa risplendere in mezzo al grigiore dei completi della gente.
« Scusa, ma devo andare. Ciao. » si alza e, con un unico movimento, raccoglie i suoi bagagli.
Non sente nemmeno il ragazzo che la chiama, è troppo impegnata a mantenere lo sguardo fisso sull’amica, per non perderla di nuovo.
« Dove diavolo eri finita? » dice Irma arrabbiata, non appena la vede arrivare, « E che ti è successo? Per la miseria! Hai fatto a botte? Anche qui? »
« Perdono, ma ho dovuto difendere la vita di una nobile fanciulla. Stava per essere attaccata da due giganti della terra dell’ovest. »
« Non puoi scherzare su queste cose, Emma! » sembra davvero furiosa con lei.
« Va bene, va bene, ma ho davvero fatto a botte per una nobile causa. »
« Taci! Siamo in ritardo. E sappi che non ho alcuna intenzione di curarti. »
A passo di marcia, Irma si dirige verso il loro binario ed Emma la segue massaggiandosi le guance.
Ad un certo punto Irma si ferma e lei si scontra con la sua schiena, ma l’amica sembra accorgersene appena, sta fissando un punto su un muro davanti a sé con occhi sognanti. Devono essere arrivate.
Si gira a guardarla, « Pronta? »
Emma scuote la testa, « Una parte di me pensa bene di essere vittima di uno di quegli scherzi televisivi. »
« Vuoi che vada prima io? »
« No! Cioè, se questo è tutto vero - se e dico se - voglio che tu mi guidi e che, quindi… »
« Va bene, ho capito. Anche io ero agitata la prima volta. »
« Non sono agitata. »
« Puoi farlo credere al resto del mondo, ma io ti conosco. Ora vai. »
Emma si sistema il borsone, non crede ancora a quello che sta per fare.
« Ti muovi? Siamo in ritardo. »
« Va bene, va bene, ora vado, cazzo… »
Cammina dritto avanti a sé, aumenta la velocità a ogni passo. Vede la parete avvicinarsi, vede le scritte sul muro farsi più chiare, vede i graffi e infine vede le stelle; ha sbattuto violentemente contro la dura parete di mattoni, « Ma cazzo! Lo sapevo. »
I passanti si girano incuriositi dalle urla della ragazza.
« Porca puttana! Come ho fatto a credervi? Sono un’idiota, un’idiota. »
L’amica cerca di calmarla, ma lei continua a strepitare infuriata insultando tutti e non è un bello spettacolo, a meno di essere dei babbani annoiati in una stazione di Londra. In questo caso deve essere piuttosto divertente.
Un passante urla « Dove credevi di andare? Ad Hogwarts? »
Irma deve trattenere l’amica dall’andare a picchiare il pover’uomo che scappava via divertito.
« Stai calma, cazzo! » la situazione degenera, Irma non è il tipo da dire parolacce facilmente, « Hai fatto tutto bene? »
« Il mio naso si sta gonfiando! Cosa vuol dire “hai fatto tutto bene”? Adesso c’è anche un modo per andare addosso a un muro? » continua a tastarsi il naso preoccupata che inizi a sanguinare.
« Devi tenere tra le mani la Moneta del Passaggio e dire l’incantesimo giusto. L’hai fatto bene? »
Le urla cessano ed Emma la fissa stranamente calma, « Quale moneta? Quale incantesimo? Nessuno mi ha detto niente. »
« Devi dire “Alohomora”. Per passare devi avere in mano anche la Moneta di passaggio. Serve per nascondere la tua presenza ai babbani quando sei vicino al muro, sarebbe sospetto vedere gente sparire all’improvviso, no? Non te l’hanno data i tuoi? »
Scuote la testa sicura, prendendo il sacchetto datole dal padre, « Mi hanno dato una collana e questi cinquecento galeoni per… »
Nel mucchio scintillante risplende una moneta rossa. Piuttosto sospetto.
« È per caso una moneta rossa della grandezza di un galeone? »
« Idiota. »
Le arriva un pugno su un braccio, « Ora sai come fare, vai. »
« Te lo scordi. Prima tu. »
Irma, sfinita, prende dalla tasca la sua moneta e pronunciando l’incantesimo sparisce attraverso il muro.
« Porca vacca. »
Emma si rigira la moneta tra le mani indecisa.
Può funzionare, può essere tutto vero. Ma se per caso è uno stupido scherzo, li ammazzo tutti.
Si lancia contro il muro e pronuncia l’incantesimo prima di cambiare idea.
« Alohomora. »
Una sensazione di calore le invade tutto il corpo; un momento prima era a Londra circondata da uomini comuni, vestiti in modo triste e scuro, ora si trova faccia a faccia con uomo che avrà millecinquecento anni e che indossa vestiti colorati e sgargianti, con uno sguardo vivo negli occhi.
Si avvicina a Irma che è davanti a un treno che sbuffa e fischia annunciando la sua imminente partenza.
« Sali, veloce! Non abbiamo un secondo da perdere. »
Viene trascinata su per gli scalini, senza avere nemmeno il tempo di guardarsi intorno. Una parte non vuole ancora credere di essere sull’espresso per Hogwarts. Troppo assurdo.
Entrano in uno scompartimento vuoto verso il fondo del vagone. Sistemano le valigie e si siedono sui morbidi sedili imbottiti. Irma si prende cura delle ferite che Emma si è procurata in quella piccola rissa con Al e Ace.
« Non avevi detto che non ti saresti occupata di me? »
Irma preme sul naso gonfio facendo vedere le stelle all’amica.
« Se non mi occupassi io di te chi lo farebbe? Tu no di certo. »
Rimesse a posto le sue cose, Irma chiede con curiosità all’amica come ha trovato la stazione, « Magica, vero? »
Emma sta per dire di non essere riuscita a vedere niente perché è stata portata con forza sul treno, ma Irma non sembra aspettare una risposta, ha lo sguardo perso fuori dal finestrino.
Si aspettava di sentire un mucchio di storie, di sentirla parlare senza sosta per l’intera durata del viaggio, così si sdraia sul lungo sedile, approfittando della tranquillità dell’amica.
Irma non si accorge che Emma si è addormentata, è troppo impegnata a pensare a quando rivedrà Piuk, il solo pensiero la mette in agitazione. Pensa a come salutarlo e cosa dirgli come prima cosa, come presentarlo all’amica, se si piaceranno oppure no. Emma fa fatica a trovare qualcuno piacevole, è davvero una persona difficile.
Irma compra dal carrello dei dolci diverse cioccorane e un sacchetto di gelatine Tuttigusti +1, non vede l’ora di farli assaggiare all’amica. Dopo dieci minuti, Emma si sveglia sentendo odore di cioccolato: Irma sta divorando le cioccorane, ne è rimasta solo una.
« Quelle sono gelatine Tuttigusti +1? »
« Ho preso quella al cioccolato e cocco. » le tende il sacchetto ancora pieno.
« Speriamo di non prendere quelle al gusto di vomito. »
La gelatina non sa di vomito, ma di calzino sporco. Sputa la caramella ai suoi piedi, « Che razza di giornata di merda! Quando da piccola desideravo venire qui, non me lo aspettavo così. »
Si rifiuta categoricamente di assaggiarne un’altra, convinta che la sfortuna quel giorno non la lascerà andare facilmente; prende l’ultima cioccorana, la figurina contiene la foto di un mago famoso di cui lei non ha sentito parlare nemmeno nelle favole.
« È uno scrittore di libri d’incantesimi, è uno dei migliori. » le spiega l’amica.
Lascia cadere la figurina a terra non appena il mago sparisce.
« Senti, ma quand’è che si comincia ad andare a Hogwarts? A undici anni? »
« Sì, cioè no. Prima era così. Prima della guerra contro il Signore Oscuro, si veniva ammessi a undici anni. Dopo la guerra, con la grande emigrazione di maghi nel mondo babbano, si è deciso di lasciar frequentare ai bambini le scuole babbane, per integrarsi, credo. Per non provare l’odio che provano i Mangiamorte e i purosangue nei loro confronti. Adesso si viene ammessi a sedici anni. »
« Non mi sono persa niente, allora. Solo un anno. »
« Che recupererai quest’anno: ti faranno fare due anni in uno. Saremo in classe insieme! » sembra molto esaltata dal pensiero di frequentare le stesse lezioni.
Irma prende a parlare delle varie attività della scuola, delle materie e dei professori, soffermandosi molto sul Quidditch, l’unico sport che le piaccia: racconta di come sia bello vedere i giocatori della propria casa volare sopra il pubblico e l’emozione di vedere il boccino sfrecciare davanti ai loro nasi.
« Hai mai volato? »
« Sì, una volta sola, i miei non vogliono comprarmi un manico di scopa perché pensano sia pericoloso. Sai, la nostra scopa equivale al motorino babbano. »
« Devo imparare a volare. Devo diventare un Cercatore. »
« Non hai mai toccato un manico di scopa e vuoi diventare Cercatore? »
Emma annuisce, lo voleva fin da quando era bambina. Irma cerca di spiegarle che bisognerebbe andare per gradi, ma l’amica non l’ascolta neanche, pensa a quando volerà sulla sua scopa cercando di catturare il boccino. Pensa a quando chiuderà la partita facendo guadagnare centocinquanta punti alla sua casa. A proposito di casa: « Che cosa sei? »
Irma la guarda stranita, le stava spiegando alcune regole del Quidditch.
« In che casa sei? »
« Ah, Grifondoro. »
In corridoio c’è un gran via vai di gente che si saluta dopo mesi di vacanza; due ragazze ricce si fermano davanti al vetro della porta del loro scompartimento salutando con la mano.
Irma si affretta ad aprire alle due e le invita a sedersi con loro. Parlano quasi senza respirare, raccontandosi chissà quali novità, ma a Emma non interessano i loro pettegolezzi, infatti sta guardando fuori dal finestrino.
Ogni tanto lancia un occhiata alle ragazze, si assomigliano ed entrambe hanno una foresta di ricci in testa con un ciuffo rosso, solo che una è bionda e l’altra mora: la bionda, che è anche la più alta ha gli occhi azzurri, mentre l’altra, che deve essere sua sorella minore, ha gli occhi verdi.
Emma sospetta che quei ciuffi stiano ad indicare la loro casa.
« Piacere, io sono Magnolia Harvey e sono di Grifondoro. »
« E io sono Bee Harvey, anche io Grifondoro. »
Sospetto che si rivela esatto.
« Siamo sorelle, Magnolia è al secondo anno, mentre io sono al primo. Sono emozionatissima, tu? »
Le prende una mano e la stringe tra le sue.
« Così mi fai male. » la lascia andare scusandosi imbarazzata; Irma le lancia un occhiataccia di fuoco.
« Io sono Emma Wood e ho l’età di Irma, ma sono stata “trovata” solo quest’anno. »
Le sorelle diventano serie, si scambiano un occhiata con Irma che sorride, « Tranquille. »
« Quella Wood? Figlia di quei Wood? »
Irma si sente in dovere di difendere l’amica, « Sì, è lei, ma come vi ho detto, dovete stare tranquille. I suoi non le hanno insegnato nulla, l’hanno tenuta lontana dalla magia, lei è a posto. »
« Ecco perché non l’avevano ancora trovata, la tenevano nascosta. » Magnolia tira una gomitata alla sorella per farla zittire.
« Sei stata trovata con Pottermore, quindi. Hai sbloccato il capitolo sette: lo smistamento? »
« Sì, ho finito tutto il primo libro, sto aspettando il secondo. »
« Sì, ok. In che casa sei? »
« Serpeverde. »
Si volta verso Irma che ha mal trattenuto un sospiro di rassegnazione; le due sorelle se ne vanno dicendo di dover andare a salutare altri amici.
Emma riceve una rivista magica in testa.
« Ahi! Che ho fatto ‘sta volta? »
« Perché hai detto di essere stata smistata in Serpeverde? »
« Me lo hanno chiesto loro. »
« Sai mentire così bene, perché non lo hai fatto? »
« Ma che c’è di sbagliato? »
Irma la guarda sconcertata, « “Che c’è di sbagliato?” mi chiedi? Cosa? Tutto! Per prima cosa sei figlia dei tuoi genitori, due Mangiamorte di cui avevo solo sentito parlare e che non volevo associare in nessun modo a quei Wood; secondo, hai una faccia che fa spavento, si capisce lontano un miglio che hai fatto a botte e poi dici di essere in quella casa. »
Emma scuote la testa poco convinta, « Ancora non vedo il problema. »
« Santo cielo, Emma! » Irma cammina per il piccolo spazio tra i sedili dello scompartimento.
« Con tutte queste cose, vedendoti in questo stato e in Serpeverde, penseranno che sei destinata a diventare un Mangiamorte della nuova generazione. Ti temeranno, ti eviteranno. »
« Ma è stato Pottermore a mettermi in questa casa, non è detto che sia giusto. Si fanno ancora gli smistamenti a scuola? Esiste il Cappello Parlante, no? »
« Certo, certo che si fanno e che il cappello esiste, ma chi si iscrive a Pottermore ed è magico viene smistato in una determinata casa per via della magia che trasmette al Raccoglitore Centrale, è questo che ha il compito di smistare i giovani maghi, oggi. C’è sempre una percentuale d’errore, è per questo che si continua con la tradizione del cappello. È difficile, però, che le serpi vengano smistate in modo sbagliato, speriamo solo in uno dei rarissimi errori del sistema centrale. » Irma si siede vicino a lei sconsolata.
Il silenzio viene interrotto da un sussurro, « Faccio davvero paura con questa faccia? Si nota tanto la botta? »
« Se si nota? Sembra tu abbia fatto un frontale con un camion! »
Emma si copre il naso, « Le sorelle Harvey non hanno detto niente, però. Magari non l’hanno notato. »
« Oh, se l’hanno notato. Non l’hanno detto per educazione, non possono mica andare in giro a dire alla gente che ha una faccia simile a un incrocio tra un troll e un carlino. »
Emma picchia l’amica con tutte le riviste e giornali magici e non che si trova vicino, per poi chiudersi in un mutismo testardo; non servono a niente le preghiere di Irma. Emma sa essere estremamente testarda e orgogliosa, tratti ereditati da entrambi i genitori.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Manca poco all’arrivo a Hogsmeade  e tutti i ragazzi fanno avanti e indietro per il treno per cambiarsi e trovare gli ultimi amici. Sono tutti emozionati, anche i ragazzi dell’ultimo anno, dopo tutto è sempre il primo giorno e non in un posto qualunque, stiamo parlando di Hogwarts. Irma va a cambiarsi con le sorelle Harvey promettendo di tornare con la divisa per Emma. Quando torna ha tra le mani la divisa che consiste in un maglioncino scuro e una camicia bianca, una gonna e calze nere; Emma si rifiuta di prendere le scarpe dicendo che i suoi anfibi saranno perfetti. Dopo essersi cambiata torna di fretta da Irma per non farla preoccupare: ha impiegato cinque minuti per capire che ci si cambia in un vagone a capo dell’espresso riservato apposta per quello, altri cinque per trovare quello delle ragazze – è andata all’altro capo del treno trovandosi tra ragazzi in mutande e mezzi nudi – e dieci minuti per decidersi se mettere le calze o meno perché prudono. Entrata nello scompartimento pensava di trovare Irma arrabbiata per il suo ritardo, ma la trova a chiacchierare con un volto familiare. Il ragazzo dagli occhi azzurri della stazione! Anche lui la riconosce, infatti si alza appena la vede entrare.
Irma fa passare lo sguardo da Emma al ragazzo e poi di nuovo a Emma che se solo lei capisse che è lo sguardo “questo è il ragazzo di cui ti parlavo qualche giorno fa ti prego non farmi fare brutte figure mi piace tanto” ora non gli sarebbe addosso arrabbiata urlandogli in faccia, « Tu sei magico e ti sei pisciato addosso davanti a quei due? Lo sai che mi mancano due reggiseni e tre mutande? Me li compri tu?! »
Irma è spiazzata. Già si conoscono?
«Mi dispiace, scusa. Te li ricompro io, giuro. » il ragazzo si mette una mano sul cuore sorridendo.
«Mi prendi pure in giro?»
«No, no! Sono solo felice di poterti ringraziare, in stazione non ne ho avuto il tempo perché sei scappata via»
Emma lo lascia andare sedendosi vicino a un’Irma ancora sorpresa.
«Mi dispiace davvero, anche per la tua faccia»
Questo, che voleva essere un serio tentativo di scuse, viene inteso come una seria presa per il culo da Emma che gli si sarebbe lanciata addosso se non fosse stato per la veloce presa di Irma che riesce a fermarla a due spanne dalla faccia di lui.
«Lui è Piuk!»
L’amica è indecisa se picchiarlo nonostante sia il ragazzo di cui Irma è innamorata o lasciarlo in vita per lei.
Lascia perdere vedendo Piuk tenderle una mano, «Emma»
«Irma mi ha parlato molto di te»
«Mmm. Mi ha parlato molto anche di te»
«Davvero?» il ragazzo è visibilmente sorpreso.
Irma tira all’amica un pizzicotto arrossendo, Piuk non sa e non deve sapere che lui è il suo argomento di conversazione preferito.
«Certo, mi ha riempito la testa di te e di quanto tu sia gentile e…»
Irma la interrompe picchiandola ripetutamente con alcune riviste, Emma cerca di difendersi come può ridendo di gusto.
«Vuoi aiutarmi o continuare a goderti lo spettacolo?»
Piuk, che ha scambiato le giornalate sulla testa di Emma come segno di affetto da parte dell’amica, si avvicina a Irma prendendola per la vita e sollevandola in modo da allontanarla dalla povera Emma che tanto povera non è.
Sembra che il tempo si sia fermato. Irma è immobile tra le braccia di Piuk che la tiene sollevata nel piccolo scompartimento; entrambi rossi come pomodori con guance e orecchie che bruciano.
«Puoi metterla giù, se promette di non picchiarmi più»
Entrambi annuiscono e Irma viene posata a terra. Si siedono ai loro posti senza dire una parola, ancora rossi per il contatto.
Irma sente ancora le braccia di Piuk addosso, non erano mai stati così vicini e lei non aveva mai pensato potesse succedere, la sola presenza di Emma ha sconvolto le cose e a questo punto non sa cosa succederà in futuro.
Emma li trova così imbranati nella loro innocenza e ingenuità: entrambi si piacciono e si vede, ma nessuno dei due lo ha mai mostrato. Il silenzio si fa imbarazzante, così comincia a raccontare all’amica il suo incontro-scontro con Piuk in stazione.
«Ti volevano ancora picchiare?» preoccupata si gira verso il ragazzo, ma abbassa subito lo sguardo non appena vede i suoi occhi azzurri su di lei.
«Cosa vuol dire “ancora”?»
«Ace e Al sono due maghi di Serpeverde e ce l’hanno con lui perché è un… un Magonò»
«E cos’è?»
«Ma li hai letti i libri?» Irma è imbarazzata dal doverle spiegare certe cose.
«Puoi dirlo tranquillamente, Irma. Te l’ho detto che non mi da fastidio, davvero»
Vedendo che la ragazza non accenna nessuna spiegazione continua lui, «I Magonò sono persone nate senza magia da genitori di cui almeno uno è mago: mio padre è un mago, mia madre no e io sono un Magonò»
«E cosa ci fai sull’espresso per Hogwarts, allora?»
Irma le lancia un giornale sul naso, Emma si piega dal dolore.
«Ti sembra il modo?!»
«Tu me lo spaccherai prima di arrivare!»
Piuk trova il tutto molto divertente – tranne Emma dolorante – e molto intimo, sono molto amiche e sente di provare una punta di invidia. Il suo essere un Magonò in una scuola di magia, circondato da gente magica non aiuta di certo nella socializzazione. Non ha nemmeno un amico se si escludono le creature magiche del bosco.
Prima che la situazione degeneri con un’altra lotta, Piuk racconta la sua situazione. I genitori sono i custodi della scuola: mentre il padre lavora fuori dal castello, al campo di Quidditch e vicino al bosco, la madre gira per i locali interni per sorvegliare i corridoi e il comportamento dei ragazzi. Abitano in una casetta poco distante dal bosco.
Emma si ritrova a sussurrare «Hagrid»
Gli altri due ridono, «Sì, più o meno. Mio padre sarebbe Hagrid, si somigliano anche un po’»
Piuk spiega che si trovava a King’s Cross per un grosso ordine di suo padre che l’aveva affidato a lui, «Comincia a darmi lavori importanti ora, ha capito che non sono più un bambino» è orgoglioso mentre lo dice e Irma più di lui.
«Frequenti le lezioni a scuola?»
«No, purtroppo no. Studio sui libri che trovo in biblioteca e quelli che ho in casa»
Uno sguardo triste gli attraversa gli occhi e Irma aggiunge velocemente che è un ottimo autodidatta, «Conosce tutto quello che c’è da sapere sulla magia, la teoria la sa mille volte meglio della media dei maghi e conosce a memoria tutti gli ingredienti per le pozioni, i nomi e i diversi utilizzi delle piante e sa un gran numero di incantesimi di cui uno studente normale non conosce nemmeno l’esistenza. Se avrai una domanda o un problema la miglior cosa che tu possa fare è andare da lui, avrà già la risposta»
Piuk è molto lusingato, sorride con le guance leggermente rosse.
«Ed è un grande appassionato di Quidditch!»
«Sì, è vero. Vedere una partita mi fa stare sempre meglio. È la cosa più bella che abbiano mai inventato dopo il cioccolato»
Emma alza una mano e Piuk le batte il cinque.
Rimangono a parlare per tutta la fine del viaggio, ridendo e scherzando su tutto.
Emma si appisola nuovamente e gli altri due decidono di continuare il discorso in giro per il treno.
Quando si sveglia, Emma è in compagnia: un ragazzo dai capelli neri la sta fissando con due occhi verde smeraldo come lo stemma cucito sul suo gilet. Un Serpeverde.
«È una situazione piuttosto inquietante, lo sai?»
«Scusa, ma volevo conoscere la ragazza che ha pestato Ace e Al»
«Sono tuoi amici?»
Annuisce alzandosi, «Ti hanno riconosciuta quando sei entrata nel vagone dei ragazzi»
Le tende una mano che lei stringe, «Marcus Hunt, piacere»
«Emma Wood»
«Emma Wood, che onore. La figlia di Cecil e Kassandra Wood. Non vedo l’ora di vederti indosso i nostri colori»
«Come puoi sapere se sarò nella tua stessa casa?»
«Per favore. Sei nata per essere una di noi»
Esce ridendo lanciandole un’occhiata, più avanti s’imbatte in Piuk che ignora completamente.
Il ragazzo si siede vicino a Emma che chiede di Irma.
«È andata a ritirare la vostra lista dei libri»
«Quand’è che si va a fare shopping?»
«La scuola inizia l’uno, oggi è il ventisette, quindi avete quattro giorni»
«Come mai andiamo a scuola cinque giorni prima dell’inizio della scuola?»
«L’espresso parte il ventisette agosto e l’uno settembre. I nuovi devono prendere quello del ventisette, gli altri arrivano a scuola quando vogliono» alza le spalle senza aggiungere altro.
Sentono il treno rallentare e in quel momento arriva Irma sventolando le liste dei libri, «Preparatevi, siamo arrivati»
Scendono ad Hogsmeade, il villaggio è come nel libro dalla Rowling. Ci sono case dai tetti di paglia e alcune hanno già le luci accese.
I Prefetti chiamano a raccolta i ragazzi del primo anno che terrorizzati ed emozionati si avvicinano; Emma non si muove di un passo guardandoli andare verso il lago. Lì salgono su un enorme barca che li porterà al castello che sorge su un enorme isola al centro del lago.
«Perché non vai con loro, Emma?!»
Irma la spinge via.
«Non voglio mischiarmi a quei micetti tremanti»
I ragazzi sono saliti tutti sulla barca che si allontana dalla riva dirigendosi all’isola.
«Bene! E ora cosa fai?»
Emma scuote la testa.
E ora cosa faccio?
«Posso accompagnarti io. Devo sbrigare una faccenda per mio padre qua, ma poi posso portarti con la barca dei miei, tanto devo venirci anche io a scuola»
«Sei sicuro?» Irma lo guarda divertito, «Non è facile avere a che fare con lei. Non devi lasciarla mai da sola»
«La stai dipingendo come una che si mette sempre nei guai»
«Non solo si mette nei guai, ma ci trascina anche te»
Quando Irma si volta per andare sulla barca di Grifondoro Emma le fa la linguaccia.
«Andiamo»
Piuk le fa attraversare mezzo villaggio fino a raggiungere una casetta dal tetto di paglia colorata di rosso.
Il ragazzo chiama un certo Ton e un omone dai capelli rossi deve piegarsi per poter uscire dalla casa, tanto è alto.
«Ton!»
L’uomo si avvicina sovrastandoli con i suoi quasi due metri, ha una lunga barba rossa e delle folte sopracciglia dello stesso colore, «Piuk, come va?» ha un tono di voce alto e gli occhi grandi e amichevoli.
«Un’amica?» solleva Emma stritolandola in un abbraccio.
«Non respiro»
Ton la mette giù scompigliandole i capelli e mormorando un «Adorabile» che fa innervosire la ragazza che gli scosta la mano da sopra la sua testa.
L’uomo invita i due ragazzi ad entrare per poter parlare di affari con Piuk, ma Emma rifiuta, «Vorrei fare un giro per il villaggio»
Piuk annuisce felice di vedere la ragazza curiosa, dimenticandosi di una delle avvertenze di Irma: mai lasciare Emma da sola.
Ton e Piuk hanno quasi raggiunto un accordo quando Emma entra trafelata nella casetta, «Possiamo andare ora?»
«Abbiamo quasi finito, ancora cinque minuti»
Da fuori si sentono le urla di un vecchio e piccole esplosioni, «Dove sei andata? Vieni fuori piccola insolente!»
Emma si siede a tavola con loro, «Ti do altri dieci minuti»
«Non avrei dovuto lasciarti da sola, vero?»
«Già. Irma ti aveva avvertito»
Ton, non capito quello scambio di battute, riprende a parlare di affari ignorando il vecchio in strada.
Escono quindici minuti dopo guardinghi, attenti a non imbattersi nel vecchio armato di bacchetta.
«Qua la gente risolve i problemi con la magia e noi siamo entrambi senza bacchetta» borbotta Emma.
Al lago salgono su una modesta barchetta dei Dixon, i genitori di Piuk. Solcano le acque del lago lentamente senza vedere nessuna barca in giro. Ogni tanto ci sono dei movimenti in acqua, vicino a loro.
«Creature marine, innocue»
«Le sirene non mi sembrano innocue. O sono un invenzione?»
«Preciso: creature marine, innocue finché rimani sulla barca»
Si stanno avvicinando a una grande isola al centro del lago su cui sorge un enorme castello che quello dei film a confronto è una villetta. Quello che si staglia davanti agli occhi di Emma è molto più maestoso e spettacolare.
«Dall’altro lato c’è il campo di Quidditch»
Arrivati a riva lasciano la barca legata ad un palo e si dirigono al castello. Prendono un sentiero che attraversa una piccola porzione di bosco. Si sentono dei rumori strani, «Tranquilla, non siamo nella zona proibita. Quella è dall’altra parte, più o meno dove c’è casa mia, ovviamente…»
A una biforcazione Piuk dice di dover andare a casa e prendere quindi un’altra strada, spiega a Emma cosa fare: seguendo il sentiero raggiungerà direttamente la porta d’entrata della scuola. Lui arriverà più tardi.
Per arrivare alla Sala Grande basta farsi guidare dalle urla dei ragazzi.
«Un’ultima cosa, ti prego di non dire a Irma che ti ho lasciata sola»
Entrando nel castello, Emma può sentire i ragazzi urlare e  ridere. Cammina per i corridoi arredati con splendidi arazzi e quadri i cui soggetti salutano, ci sono fantasmi che le fanno un veloce inchino per poi scomparire attraverso un muro, s’imbatte anche in un’armatura che vaga senza elmo.
«Mi sono persa un anno intero di tutto questo. Adesso capisco perché Irma ha voluto trascorrere qua le sue vacanze»
Seguendo gli schiamazzi si ritrova davanti il portone della sala. Chiuso. Non pensava di arrivare così tardi.
«Che ci fai qui fuori, signorina?»
Una donna alta e magra dai capelli corti e bianchi le è comparsa vicino a lei creando una nube verde brillante.
«Si è per caso materializzata?»
«Non ho ancora applicato l’incantesimo anti-materializzazione, se è questo che intendi»
Si scrolla la lunga veste viola, «E poi sono io qui che faccio le domande»
«Mi sono persa, non trovavo più i miei compagni»
«Mai dividersi. Mai rimanere soli, bisogna stare sempre in gruppo»
«Senti un po’ da che pulpito. Mi sembra che la compagnia sia il tuo pensiero ultimo. Dimmi che ho ragione, faresti felice un vecchio babbione» una voce acuta e gracchiante sembra provenire dal cappello che indossa.
«Sta zitto tu»
La donna da un colpo al vecchio cappello che ha in testa.
«Seguimi» il portone si apre e loro fanno un ingresso che attira l’attenzione di tutti.
Il soffitto splende di luce propria, una luce così intensa da far lacrimare gli occhi se lo si guarda troppo a lungo; nella sala ci sono quattro grandi tavolate che ospitano le quattro case, in fondo alla stanza c’è una tavola più piccola dove siedono i professori. Emma scorge Banedi tra di loro con il caratteristico sorriso in volto.
I nuovi arrivati sono in piedi vicino al tavolo dei professori, sembrano tutti agitati, saltellano da un piede all’altro e parlano tra di loro cercando di alleviare la tensione; Emma si avvicina a una Bee che si dimena sul posto.
«In ansia?»
«Da morire» non le importa che a parlarle sia la Wood, potrebbe essere anche un vero Mangiamorte per quanto le importi, vuole solo qualcuno con cui sfogarsi e lei è l’unica con cui poterlo fare.
«Pottermore mi ha smistata in Grifondoro e così quest’estate mi sono fatta il ciuffo come mia sorella» si tocca i riccioli rossi, «E se il Cappello Parlante mi smista in qualche altra casa? Sai che figura! Oh cielo, e se mi smista in Serpeverde? Io muoio» guarda la tavola in questione, «Senza offesa»
«Ormai non mi offendo più»
La donna in viola che è entrata con lei si sistema al centro della sala alzando le braccia per attirare l’attenzione. Ha in mano la lista su cui sono scritti i nomi dei nuovi arrivati, «Io sono Athena Gamèn, la preside della scuola e insieme a tutto il corpo docenti vi do il benvenuto. Per alcuni sarà stato uno shock scoprire l’esistenza di questo luogo» guarda il gruppo dei ragazzi del primo anno ridere nervosamente.
«Vedo che quest’anno siete incredibilmente agitati. Lasceremo le presentazioni e le spiegazioni all’ultimo, allora»
Legge il primo nome sulla lista, un ragazzo mingherlino si avvicina a lei e si siede su un’alta sedia di legno.
Athena gli appoggia sulla testa il suo cappello che dopo aver salutato e canticchiato qualcosa urla un potente «TASSOROSSO!»
I Tassi urlano e applaudono, facendolo sedere tra loro.
«Si porta in giro il Cappello Parlante»
«Cosa?»
«Niente, Bee»
Emma, che non è agitata per niente, si annoia e sono solo al quindicesimo ragazzo, lei è una delle ultime.
Dietro la tavola dei professori c’è una piccola porta di legno da cui fa il suo silenzioso ingresso Piuk che si va a sedere tra un uomo alto e allampanato e una donnona dagli occhi grandi e dolci, devono essere i suoi genitori perché l’uomo ha i suoi stessi occhi.
Con la testa persa chissà dove Emma si accorge appena che Bee si sta dirigendo verso la preside, se ne accorge quando sente il cappello parlare, « Non devi essere agitata piccola Harvey. Tua sorella è un’ottima studentessa e tu sembri una leonessa. Buon sangue non mente e così dico io saggiamente: GRIFONDORO! »
Bee corre verso la sorella che si è alzata e le va incontro, si abbracciano e saltano felici circondate dall’atmosfera calda dei Grifoni. La divisa di Bee cambia colore: la cravatta diventa di un bel rosso fuoco come le calze, sul maglioncino appare lo stemma della sua nuova casa.
Emma viene chiamata quasi per ultima, seduta sull’alta sedia non ha alcun pensiero in particolare poiché sa già a chi appartiene ancor prima di sentire il cappello urlare « SERPEVERDE! »
Athena si mette davanti a lei per coprirla dagli sguardi degli altri alunni, il cappello sussurra con voce profonda, completamente diversa da quella di prima, «Sarai migliore, vero?»
Emma è stanca di tutti quei giudizi, di tutte quelle critiche sui genitori, così si alza e senza dire una parola si va a sedere alla sua tavola, mentre i suoi vestiti prendono una sfumatura verde brillante, tra le urla dei compagni di casa.
Emma vede Marcus, Ace e Al alzarsi dai loro posti e sedersi vicino a lei. Gli altri ragazzi gli fanno posto senza dire niente, le possibilità sono due: o sono molto rispettati o sono molto temuti. Le viene da pensare subito alla seconda.
«Come pensavo. Questi colori ti donano molto» Marcus le fa l’occhiolino.
La ragazza si guarda le gambe strette in lunghe calze verdi, indossare quei colori non la fa star male, anzi, prova quasi un senso di appartenenza, di orgoglio.
La tavola del Grifondoro è dietro la loro ed Emma può vedere Irma chiacchierare tranquillamente con le Harvey e alcuni ragazzi, non la nota nemmeno; cerca di decifrare il suo sguardo, ma viene interrotta dalla voce di Athena che fa voltare tutte le teste verso di lei. Ha rimesso il cappello che si muove sulla sua testa e parla degli smistati con grande trasporto, come se fossero figli suoi.
Irma lancia un’occhiata all’amica al tavolo vicino al suo, sembra ascoltare la preside, ma conoscendola non la starà minimamente calcolando, pensando a chissà che cosa. Emma è stata assegnata a Serpeverde, la casa nemica di Grifondoro, non sa che pensare. Vuole solo credere che le cose non cambieranno perché sa quanto lei sia facilmente suggestionabile, non come Emma che qualsiasi cosa le si dica se ne frega altamente.
La preside descrive minuziosamente tutte le attività della scuola soffermandosi in modo particolare sul Quidditch, «Per chi fosse interessato i provini per entrare nella squadra della propria casa sono aperti da domani. Chi vuole provare deve andare al campo di Quidditch dietro la scuola alle quattro del pomeriggio. I provini finiranno agli inizi di settembre»
«Athena era un Corvonero, infatti durante le partite di Quidditch la vedi sempre con la sciarpa della casa a tifare per i Corvi» Al ride nell’orecchio di Emma, lei si allontana.
Le presentazioni dei professori sono veloci, ma dettagliate, « E loro sono la famiglia Dixon, custodi della scuola. » indica Piuk e i suoi genitori, «Gall Dixon lavoro fuori dal castello, al campo da Quidditch e nel bosco, controlla anche che nessuno studente entri nella zona proibita senza permesso.» sofferma lo sguardo sulla tavola della Serpi dove alcuni ragazzi ridacchiano e si danno le gomitate. Emma pensa subito che qualcuno di loro deve aver fatto qualcosa negli anni passati.
«Kara Dixon lavora nei locali interni, controlla che nessuno gironzoli per il castello durante gli orari di lezione. Sarà come una seconda madre per voi, ve lo dico. È una mamma molto affettuosa, ma sa essere anche severa. Lui è Piuk Dixon» indica il ragazzo che guarda rosso il piatto, «Ottimo autodidatta, incredibilmente sveglio e intelligente e aiuta i genitori quanto può. Il ragazzo che tutte le madri vorrebbero come genero» si sentono diverse risate femminili nella sala, Piuk sembra bruciare per quanto ha le guance rosse.
«Incredibile come tu abbia potuto difendere quel Magonò» Al la guarda male giocando con una forchetta.
«Stai calmo, Al, ancora non lo sapeva, giusto?»
«Come dici tu, Marcus» Emma non lo sta ad ascoltare, cerca di leggere il labiale di Irma, ma non dice niente di importante.
La preside elenca un numero esorbitante di regole e divieti che Emma non ascolta preferendo invece sentire i discorsi delle ragazze vicino a lei.
Vedendo di aver perso l’attenzione dei ragazzi che chiacchierano e guardano i piatti vuoti, Athena augura buon appetito facendo comparire il cibo sulle tavole, poi si siede a fianco di Banedi sbuffando.
«Anche quest’anno la fame ha avuto la meglio»
I ragazzi si gettano sul cibo e si riempiono i bicchieri con tutte le bevande che hanno davanti, se prima il chiacchiericcio era diffuso, ora è così forte che Emma fatica a sentire quello che la ragazza a fianco a lei sta dicendo.
«Senti, Emma» Ace le sventola una mano davanti la faccia per attirare la sua attenzione, «La prassi imporrebbe di finire la nostra piccola battaglia, ma questo non succederà perché sei una di noi» più che convinto di ciò che dice sembra intimorito, quasi spaventato.
Finito il pranzo, Emma segue i due prefetti di Serpeverde che fanno da guida ai nuovi ragazzi per un giro della scuola, ad una svolta viene presa in disparte da Ace e Al e Marcus che le fanno fare il loro tour personale. Indicano velocemente le stanze per le lezioni e si fermano davanti a quelle a cui è vietato l’accesso.
«Le stanze proibite sono sempre le più emozionanti»
Marcus si guarda in giro, non vedendo nessuno apre la porta davanti a loro, su cui è appesa la targa “Vietato l’accesso”, con «Alohomora»
Emma sente la voce di Irma tuonarle nella testa, “Sei una Wood. Sei in Serpeverde. Fai a botte e ora con questi tipi palesemente poco raccomandabili entri in una stanza in cui tu non potresti nemmeno entrare? Emma!
La ragazza decide di ignorarla ed entrare, seguita da Ace che chiude subito la porta alle sue spalle.
La stanza è rischiarata da un’unica lamina di luce che passa attraverso un’asse di legno rotta fissata a una finestra, si sentono solo i loro respiri. Nel buio si riescono a distinguere i profili di alcuni scaffali, «Dove siamo?»
«Siamo in una stanza di rifornimento, qua ci sono un sacco di ingredienti rari. Lumus! » la punta della bacchetta di Marcus s’illumina rischiarando l’intera stanza: è piena di scaffali e armadi ricolmi di boccette e contenitori di varie forme e dimensioni, ci sono strani strumenti appoggiati ai muri e un grosso baule ricoperto da un lenzuolo bianco.
Marcus fa un cenno in direzione del baule ad Al che lo scopre, pronto ad aprirlo ad un comando.
«Ci sono molte cose divertenti che ci fanno conoscere solo in terza, vai Al»
Il ragazzo alza il coperchio con fatica, è incredibilmente pesante; una leggera foschia scura fuoriesce dal baule e invade la stanza, qualcos’altro sembra uscire fuori.
L’essere è di piccole dimensioni, ma cresce ad ogni secondo che passa fino a raggiungere quasi l’altezza dei ragazzi presenti. La foschia si dirada ed Emma si ritrova a fissare… un’altra Emma.
Questa qua, però indossa una lunga tunica  col cappuccio e in mano ha una maschera bianca e rossa.
«Va bene, chi di voi ha paura di Emma?»
Ace è sconvolto, sta tremando davanti alla Emma Mangiamorte che alza il braccio sinistro mostrando al ragazzo il marchio e puntandogli in faccia la sua bacchetta.
Emma – quella vera, la semplice Serpe – scoppia a ridere, «Non ho mai conosciuto nessuno che avesse così paura di me»
«Sta zitta!» Ace prende la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni e la sventola davanti alla Emma Mangiamorte, «Riddiculus!»
Il mantello scivola via rivelando un completo tradizionale bavarese e al posto della bacchetta, Emma ha in mano un boccalone di birra.
«Che fantasia, Ace» Marcus si avvicina ridendo all’amico che lo spinge via, mentre esce Ace dà una violenta spallata a Emma che ride ancora.
«È un tipo permaloso, ma gli passerà. Piuttosto, vuoi vedere la Sala Comune?»
«È nei sotterranei?»
«Sì, vediamo il fondale del lago. È una cosa fantastica, ma tu come fai a saperlo?»
«Lo dice la Rowling nei libri»
«Per la miseria, hai letto quelle cose?»
Emma guarda Marcus che le spiega tutto, «La scrittrice è una babbana e noi non leggiamo certe cose»
Scendendo nei sotterranei, Emma ripensa alle parole dei due ragazzi.
Quelle cose, dette in quel modo li fanno sembrare cattivi. Mi piace, i cattivi sono sempre i più sexy.
Con la coda dell’occhio osserva i due ragazzi.
Al non è il mio tipo, troppo stupido e cagnolino. Non parliamo di Ace che mi sta proprio sui coglioni e in più ha paura di me, ah! Ma Marcus. Eh Marcus, c’hai un bel culo.
«Mi stai guardando il culo?»
«No, sono i ragazzi che fanno questo genere di cose. Le ragazze sono pure e caste, sono esseri pieni di pudore» un sorrisetto sornione le nasce in viso. Marcus ne è compiaciuto, ma non dice niente dando anche lui una veloce occhiata alla ragazza. È il suo tipo, anche se di carattere sembra più complicata e difficile delle altre ragazze con cui è stato, ma non sembra il tipo da piagnucolare se scopre di essere solo una delle tante.
Un punto per Occhi di Gatto.
Poi ci sono quegli occhi gialli che gli sono piaciuti subito, non appena li ha visti sul treno, difficili da non notare. È più che felice di essere stato scelto per quella missione.
Davanti le porte della sala Al pronuncia la parola d’ordine, «Tieni d’occhio la bacheca, la parola cambia ogni cinque giorni»
«Rimarrò chiusa fuori»
«Ti verrò a salvare io»
«Che gesto da cavaliere, Marcus, degno di un Grifone» ridacchia Al.
«Non ci provare!» Marcus stritola l’amico.
«Io vado avanti, quando avete finito di giocare alla lotta chiamatemi»
Emma attraversa la porta e si ritrova in una sala grande e circolare con tre vetrate colorate da cui si può vedere il fondale del lago come aveva detto Al, c’è anche un camino a una parete la cui canna fumaria scompare nel soffitto andando chissà dove; diverse poltrone e divani e tavolini sono sparsi per la stanza a formare piccoli gruppetti, c’è un tappeto che ricopre quasi tutto il pavimento. Da un gruppo di ragazzi seduti vicino al camino si allontanano due figure, si avvicinano allo stesso passo, con lo stesso movimento d’anca.
«Ehi ragazzi! Abbiamo visto Ace andare in camera sua infuriato, che avete fatto?»
Le ragazze sono due gemelle, alte, magre con il viso spigoloso e cattivo.
Queste sono stronze, pensa Emma vedendole muoversi.
La gemella bionda si chiama Aline e porta la camicia slacciata mostrando le sue bambine.
«Abbiamo solo scoperto che ha il terrore di Emma» Al indica la ragazza che saluta con un cenno della testa.
«Ciao, io sono Aline e lei è mia sorella Laura. Sei del primo anno, vero?»
«No, sono solo bassa»
Aline si è bloccata, si guarda intorno in cerca d’aiuto, ma gli altri sono troppo impegnati a ridere.
La gemella mora, Laura, mette una mano sulla spalla della sorella, «Tranquilla, sta scherzando»
In realtà non scherza Emma, non scherza mai sulla sua altezza, ma fa finta di niente e sorride alle sorelle.
Aline si è ripresa e chiede ad Emma se ha una valigia rossa e un borsone scuro.
«Come fai a saperlo? A proposito delle mie valigie, non so nemmeno dove sono»
«Allora sei in stanza con noi. Le abbiamo trovate lì dopo pranzo. Che fortuna!»
«Già. Saremo compagne di stanza allora. C’è qualcun altro?»
«No, solo noi tre. Possiamo raccontarci un sacco di cose e parlare di ragazzi» sia Laura che Aline lanciano una lunga occhiata a Marcus che sorride malizioso.
Emma ha già capito come funziona: le due sorelle sono andate a letto entrambe con Marcus, Al deve avere qualche rapporto con Laura dato che non le ha ancora staccato gli occhi dosso, ma lei ha occhi solo per il tenebroso Marcus.
«Posso vedere la camera, così magari sistemo le mie cose?» ha intenzione di porre fine a quell’assurdo gioco di sguardi.
«Seguici»
Con una grande ancata le sorelle partono alla volta del dormitorio femminile, seguite da Emma con passo meno vistoso nei suoi anfibi, mal visti un po’ da tutti.
Attraversano un lungo corridoio e si fermano davanti una porta nera con un pomello d’oro, è appeso un cartello con scritto “Tanner Tanner”
«Dobbiamo aggiungere il tuo cognome, come ti chiami?»
«Wood»
Aline rimane con la bacchetta a mezz’aria, «Scusa?»
«Wood. Mi chiamo Emma Wood»
«Avevo capito bene allora»
Adesso il cartello dice “Tanner Tanner Wood”, «Non sei proprio un’imbecille se sei una Wood. Possiamo parlarti senza problemi, sai a volte dobbiamo trattenerci perché c’è un sacco di gente stupida qua dentro»
«Ma va?»
Laura annuisce, «Pensa, ci sono anche dei Mezzosangue qua dentro. Qua, in Serpeverde!»
Emma si copre la bocca con una mano e fingendosi sbigottita urla un «Nooo!» troppo alto.
Entrano in camera e le sorelle mostrano i tre letti posti sotto le tre finestre, i due armadi e il bagno; ai piedi di ogni letto c’è un baule, «Lì ci va tutta la tua roba, libri e tutto il resto»
Le sorelle litigano per decidere chi dovrà dividere l’armadio con la nuova arrivata ed Emma fa un giro per il bagno dove trova un’enorme vasca da bagno rotonda, «Dieci punti a Serpeverde»
Aline fa capolino in bagno dicendo che c’è una persona che la cerca, è in Sala Comune. Fa una smorfia strana ed Emma pensa subito a qualcuno di un’altra casa, Irma. Rimane un po’ delusa trovando ad aspettarla Piuk, ma si ammorbidisce vedendo il modo in cui è osservato dai suoi compagni di casa: due gruppetti hanno smesso di parlare e lo guardano come si guarderebbe una cacca di piccione e Al è il peggiore, tanto che sputa anche per terra. Marcus vedendo arrivare Emma carica di rabbia si sposta dall’amico che riceve un pugno dritto nello stomaco.
«Sputa ancora in sua presenza e prometto che il primo incantesimo che farò non appena avrò la bacchetta sarà una maledizione senza perdono» sussurra per non farsi sentire dagli altri.
Si rialza ed esce con Piuk che deve essere trascinato per non fargli prestare soccorso al ragazzo piegato in due.
«Sei un’idiota. È figlia di Mangiamorte, ma è vissuta tra i babbani. Non puoi pretendere che li tratti come facciamo noi»
«Questa me la paga»
Laura lo aiuta ad alzarsi e lo riempie di baci, Al ne sarebbe anche felice se non fosse per quel dolore allo stomaco.
«Non ti vendicherai, chiaro?»
«Ti piace?»
«A chi piace chi?!» le gemelle chiedono aspramente spiegazioni, ma Marcus scuote la testa.
«Nessuno a nessuno. Semplicemente è una Wood, dobbiamo tenercela vicino, capito? Non fate idiozie. Ora andiamo da quell’altro» si dirigono tutti al dormitorio maschile da Ace.
Piuk chiede il motivo di quel pugno, «Non mi piace ancora il modo in cui parla»
Irma li aspetta nel cortile interno, devono andare a Diagon Alley per far compere. Sarebbe andata lei a chiamare l’amica se fosse stata in una casa tollerante verso gli altri, ma è stata smistata tra le Serpi e lei non può farci nulla.
Vedere arrivare Piuk le migliora l’umore cupo che aveva avuto da dopo pranzo.
Le ragazze si salutano abbastanza freddamente, nessuna delle due vuole affrontare l’argomento “casa”.
Piuk spiega che useranno la Metropolvere per andare a Diagon Alley.
«Come quella del libro?»
«Sì, quindi vedi di dire bene la destinazione, non voglio doverti venire a cercare a Notturn Alley, ha una pessima reputazione quel posto»
«Siamo di cattivo umore oggi, Irma?»
Rientrano nel castello e raggiungono una sala gremita di alunni in fila davanti a tre grossi camini. I tre amici si mettono in coda. Sono quasi tutti primini desiderosi di comprarsi una bacchetta e un animale domestico; vicino ai camini ci sono alcuni prefetti che danno indicazioni precise su come usare correttamente la Metropolvere, «Prendetene una manciata, ecco così, e poi entrate nel camino. Occhio alla testa. Adesso devi lanciare la polvere e pronunciare “Diagon Alley”. Dall’altra parte ci sono altri Prefetti ad attendervi e darvi le ultime indicazioni» il ragazzo lancia la polvere e scompare in una nube asfissiante.
«Bene, il prossimo!»
Tocca a Emma, è davvero tentata di dire “Notturn Alley”, vuole far imbestialire Irma, ma è anche attratta da quel luogo. Alla fine pensa che avere una bacchetta sia la priorità e lancia la polvere, «Diagon Alley!»
Si ritrova in una stanza grande due volte quella da cui è partita, esce immediatamente sentendo di poter creare intralcio a Irma e Piuk che arrivano insieme subito dopo.
«Andiamo a prendere prima i libri, poi la tua bestia da compagnia e infine andiamo a prendere la bacchetta.»
Emma vuole comprarsi anche un manico di scopa per Quidditch, ma non dice niente annusando un possibile rifiuto dell’amica.
Al Ghirigoro comprano tutti i libri della lista; non è un negozio estremamente affascinante, forse i libri che ogni tanto svolacchiano da una parte all’altra della stanza sono divertenti, ma poi stufano.
Si dirigono poi, con due grosse borse piene di libri all’Emporio del Gufo.
«Tu hai un gufo?»
«Ho un gatto, Crisalide. Me lo ha tenuto Piuk quando sono tornata a casa»
«Un bel siamese» Piuk sistema meglio la borsa che ha in mano, rischia di rovesciare il contenuto da un momento all’altro.
«Ti va bene un gufo o preferisci altro?»
«Voglio un gufo di nome Franco»
Piuk e Irma la guardano in silenzio, pensano che non stia tanto a posto con la testa per chiamare un gufo Franco, ma non commentano o almeno non lo fanno ad alta voce.
Escono dal negozio con una gabbia e un gufo da granaio in più, Emma sembra soddisfatta della bestiola e alla fine si è fatta convincere a cambiare nome, Fran; i due ragazzi l’hanno convinta a togliere almeno due lettere, così da strappare il gufo a una tristissima vita da Franco.
 È il turno della bacchetta e Piuk sembra più agitato di Emma, «Ogni bacchetta è speciale, a seconda di ciò che la compone si può capire molto del mago che la possiede. È la prima volta che entro qua dentro, sono emozionato, non sei emozionata? Io sono molto emozionato»
«Tappati la bocca Piuk»
«Emma!»
«Ma non sta un attimo zitto!»
Il negozio ha un’insegna a forma di bacchetta che recita “Da Midro, le migliori bacchette del millennio.”
Emma scopre che Olivander in realtà è Midro e che invece di essere un vecchietto è un giovane biondo aitante sui trentacinque, con una grande passione per le bacchette e le donne.
Entrano in negozio e una melodia annuncia il loro ingresso.
Il negozio è luminoso, ma piuttosto piccolo, è composto da una stanza in cui vengono ricevuti i clienti e il retro dove si vedono pile e pile di scatole di bacchette. I tre ragazzi sono circondati da scaffali di lucide scatole colorate.
«Buon giorno ragazzi. Siete qui per comprare?»
Emma viene indicata da quattro mani.
«Scommetto che sei tu»
Emma sorride solo per sbrigare la cosa, vuole andare a comprare una scopa. Non vede l’ora di avere una bacchetta, sia chiaro, ma avere una scopa significa volare. Volare.
«Iniziamo»
Midro prende una scatola scura da sotto il bancone, «Inizio sempre da questa per orientarmi»
Emma prende in mano l’oggetto che inizia a spruzzare scintille, Midro lo mette al suo posto e comincia ad aggirarsi tra gli scaffali, «Vediamo un po’. Forse questa qui»
Prende una scatola verde scuro e tira fuori una bacchetta marrone.
«Melo. Non se ne fanno molte. È una bacchetta per animi nobili ed è difficile da piegare alla Magia Nera» recita Piuk osservandola.
«Ottimo, chi ti ha insegnato queste cose, ragazzo?»
«Autodidatta»
«Notevole»
La bacchetta si affloscia nelle mani di Emma, «E che cazzo»
Midro le consegna una scatola blu, «Questa cos’è?» dà la bacchetta alla ragazza ma fissa intensamente Piuk.
«Quercia, undici pollici. È una bacchetta leale che cerca un padrone forte e coraggioso»
La punta della bacchetta prende fuoco e Midro la strappa via dalla mani di Emma prima che bruci qualcosa, «Che cosa vuol dire? Che non sono forte e coraggiosa? Ti spezzo in due, sai?» minacciando la bacchetta la ragazza mostra di aver superato il suo già basso livello di sopportazione.
«Calmati, ti prego. Proviamo questa»
Le consegna una scatola rossa, tira fuori una bacchetta nero lucente. Midro guarda il ragazzo che studia la bacchetta dalle mani di Emma che la scuote cercando di far succedere qualcosa.
«Ebano, dodici pollici e mezzo, rigida. Una gran bella bacchetta, è ottima in qualsiasi campo, dalle battaglie alla Trasfigurazione. È la bacchetta degli anticonformisti, di chi è sé stesso ed è fuori dagli schemi, non è molto diffusa. È una bacchetta adatta anche alle Arti Oscure; degna di chi è saldo sui propri principi, convinzioni e non si lascia distogliere dagli obiettivi prefissati»
«Questa cosa non fa niente!»
«Allora è quella giusta. Le bacchette mostrano di aver trovato il loro proprietario donandosi a lui senza storie, senza scintille o altro. È lei, l’hai trovata. O meglio: ti ha trovata»
Piuk fissa Midro, «Vuoi sapere il cuore, vero?»
Piuk annuisce pronto per scavare nelle sue conoscenze.
«Drago»
«Le bacchette con corde di drago sono le più potenti, imparano in fretta e instaurano un legame stretto con il proprietario. È lunatica e facilmente convertibile alle Arti Oscure, ma solo se il proprietario vuole perché è una bacchetta molto fedele. Il cuore di drago permette di realizzare incantesimi spettacolari. Sei molto fortunata, Emma»
«È la bacchetta ad essere fortunata» Emma consegna la scatola a Midro e si sistema la bacchetta tra i passanti della gonna in modo da non perderla.
«Se mai avessi bisogno di un lavoretto, ragazzo, sappi che da Midro sei il benvenuto»
Piuk ringrazia felicissimo il negoziante, gli stringe la mano una, due, tre volte senza smettere di sorridere.
Fanno un giro per il paese, entrano in una locanda a mangiare un gelato e bere qualcosa, «Se fossi stato un mago, secchione come sei, saresti andato in Corvonero» i ragazzi ridono d’accordo.
Prima di andare nell’edificio dei camini passano davanti a una vetrina allestita con manici di scopa e divise da Quidditch; Emma si ferma a contemplare la merce con il naso sul vetro, appannandolo. Una scopa dal manico scuro e lucido attira la sua attenzione.
«Costeranno una fortuna» sia Piuk che Irma hanno anche loro il naso contro il vetro e lo stesso sguardo meravigliato.
La proprietaria del negozio, una donna dai lunghi capelli viola, li vede e li invita ad entrare. I tre non se lo fanno ripetere due volte, sono già dentro a sfiorare le varie scope e accessori.
«Volete comprare qualcosa?»
Emma indica la scopa di cui si è follemente innamorata, la vuole a tutti i costi; la donna torna con quella in mano, sul cartellino che pende dal manico c’è scritto il prezzo: trecentotrenta galeoni, alla ragazza ne sono rimasti solo duecentosettanta, «Sarà per un’altra volta»
Escono dal negozio delusi, speravano che Emma comprasse una scopa, «Credo di aver lasciato la mia anima là dentro» Piuk ed Emma annuiscono insieme.
Davanti a una gelateria incontrano Magnolia e un ragazzo vestito con i colori di Tassorosso; ha il colore della pelle e i tratti tipici hawaiani, si presenta con il nome di Rj.
«Sei Emma Wood, diamine! I tuoi genitori devono essere più ricchi di un re, avranno un conto aperto in banca.» dice Rj quando gli spiegano il perché di quei musi lunghi. Gli occhi dei tre ragazzi s’illuminano e loro corrono alla banca.
Il folletto all’entrata si rifiuta di farli accedere al conto dei Wood perché non ha una loro autorizzazione. I ragazzi si allontanano trascinando via Emma che scalpita urlando, «Sono Emma Wood, aspetta che mio padre lo venga a sapere!» non ha niente da dire a suo padre, semplicemente non è riuscita a trattenersi nel dire questa frase; Irma scoppia a ridere.
Tornate a scuola le ragazze si separano da Piuk che deve aiutare suo padre con i preparativi per i provini di Quidditch; si stanno per separare anche loro due quando Emma ferma l’amica trattenendola.
«Piuk sembra così annoiato a mangiare a quel tavolo. Perché non mangia con noi?»
«Non è in nessuna casa, dove dovrebbe mangiare?» Irma risponde con un brutto tono, quasi acido, perché sa già che Emma farà succedere qualcosa che cambierà l’equilibrio delle cose.
«I Grifondoro non sono di animo nobile, pronti ad aiutare chi è in difficoltà?»
Irma non risponde, si limita a guardare l’amica negli occhi sapendo che ha ragione.
«Non siete voi?»
«Sì, ma andrebbe contro le regole, penso»
«C’è una regola che vieta ai Magonò di pranzare con noi?»
«No, ma…»
«Non ha amici tra gli studenti?» Emma non vuole nemmeno sentire le deboli proteste dell’amica.
Dopo averci dovuto riflettere risponde, «Non ha molte occasioni per fare amicizia: lui lavora e noi studiamo, non ci sono punti di contatto. Io l’ho conosciuto perché mi è piaciuto da subito. Oltre a noi due non c’è nessun altro»
Emma rimane in silenzio pensando a una soluzione, Irma tace pronta a controbattere: non vuole essere lei ad andare contro un divieto della scuola, ci sono centinaia di divieti e ce ne sarà uno anche per quello.
«Se non vuoi fare niente tu lo inviterò io a mangiare al mio tavolo» con la coda dell’occhio scruta la reazione dell’amica. Sorpresa, come aveva pensato.
«No, non puoi, te lo proibisco. Lo massacreranno! I Serpeverde detestano i babbani perché non sono magici, figuriamoci i Magonò che dovrebbero avere la magia nel sangue»
«Allora invitalo tu, non vedi quanto vorrebbe stare con qualcuno della sua età come te? Oggi ha saltato il lavoro per venire a comprare dei libri con noi»
Irma arrossisce e gira i tacchi con un «Ci penserò»

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