Memorarum di caleel (/viewuser.php?uid=972515)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Diagon Alley ***
Capitolo 2: *** L'espresso per Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Il cappello parlante ***
Capitolo 4: *** La Tana di Tassorosso ***
Capitolo 5: *** Insonnia ***
Capitolo 1 *** Ritorno a Diagon Alley ***
Capitolo
1) Ritorno a Diagon Alley
L’uomo si
smaterializzò con un sonoro crak
sull’androne piccolo e buio, barcollando leggermente.
‘E’ questo il posto?’ si chiese fra
sè e sè, fissando la porta in legno.
‘Credo fosse questo il posto dove
dovevi
arrivare...’ gli rispose
la voce
dentro la sua testa.
L’uomo afferrò la maniglia, ma questa non cedette.
Spinse contro il legno,
tastandolo con la mano, ma la porta non si mosse di un centimetro.
‘Ahh, dannazione, c’era una parola, ne sono
sicuro...’ si disse mentre la
bacchetta gli scivolava in mano. ‘...qualcosa con la
a...’
‘Alohomora’, suggerì
la voce quando
la punta tocco la serratura, e questa scattò con un rumore
secco.
L’uomo spinse la porta, che si aprì con un
scricchiolio sinistro, rivelando un
corridoio immerso nell’oscurità.
Avanzò lentamente, con un espressione confusa, e in un gesto
automatico alzò la
mano a tastare il muro. Trovò l’interruttore, e lo
premette.
La luce si accese illuminando un piccolo corridoio stretto, e
l’uomo quasi
trasalì davanti a quella vista.
‘Dove sono?’si chiese avanzando con passi pesanti.
‘Che posto è questo?’
Passò davanti ad una credenza, e attraverso la vetrina
scorse numerose foto di
persone che gli erano sconosciute.
‘Qua ci abitavano dei
babbani...’
rispose la voce dentro la sua testa, mentre la mano gli scivolava lungo
il
vetro.
‘E che fine hanno fatto?’
‘Non lo so...ma ora siamo
soli’.
L’uomo si addentrò nella piccola
abitazione, e scorgendo una porta
socchiusa, si avvicinò ad essa.
Entrò nella stanza, e notò che era deserta, come
il resto della casa.
Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, e si lasciò
andare sullo
schienale, emettendo un lungo sospiro di stanchezza.
-Chi sei?-, chiese ad alta voce, rivolgendosi a sè stesso.
‘Non lo so...non ne ho la
più pallida
idea...secondo te?’ gli rispose la voce per
l’ennesima volta.
-Non sei...reale. Non sei un fantasma, non sei un infero. Sei nella mia
testa...-, l’uomo abbassò il capo per un attimo,
come riflettendo, poi lo
risollevò di nuovo. -Tu esisti nella mia testa-.
‘Cosa ci è
successo...cosa diavolo ci è
successo? Chiese la voce, in tono esausto.
-Non...-, l’uomo cominciò a balbettare, mettendosi
le mani fra i capelli. -Non
riesco a ricorda nulla, niente!-.
Si alzò all’improvviso, come in preda ad
un’attacco di rabbia.
-Non so neppure come mi chiamo!-, esclamò alzando le mani.
‘E’ ovvio, no? La nostra
memoria è stata
modificata, danneggiata...’
-Danneggiata?!-, urlò l’uomo ad alta
voce. -Non ho più una memoria! Non ho
più un rimasuglio della mia vita, e come se fossi morto
nella mia testa!-,
gridò con quanto più fiato aveva in gola, e
scagliando per terra i libri
appoggiati alla scrivania.
‘Ci deve essere un motivo se
smaterializzandoci siamo arrivati qui. Qualcosa ci ha guidato, ci ha
guidato in
questo posto!’
Ma l’uomo non stava più ascoltando;
qualcosa per terra aveva catturato la
sua attenzione.
Si chinò a raccogliere uno dei libri che aveva fatto cadere,
un volume spesso
rilegato in una copertina ricca di strani ghirigori.
Come guidato da un qualche istinto, si sedette alla scrivania e
aprì il libro.
Una nota scritta a mano in una calligrafia frettolosa riempiva tutta la
prima
pagina.
Se stai leggendo questa pagina,
vuol dire che
qualcuno ha cancellato la mia memoria. Sono consapevole delle
informazioni che
la mia mente contiene, e sono consapevole del fatto che qualcuno un
giorno
potrebbe volerle, per questo lascio la mia eredità in questo
diario. Spero con
tutto il cuore che io sia riuscito a trovare un modo per tornare in
questo
posto, e che tu sia me.
Leggi con attenzione queste pagine, e riprenditi la tua vita, la nostra
vita.
Ti chiami Nathan Zeller, sei nato l’11 agosto 1980, a
Timworth, Cornovaglia, e
sei un mago.
L’uomo fissò
per
un’eternità quelle parole, scritte da quella
calligrafia frettolosa e
irregolare, e per minuti non riusci a pensare a niente.
Infine, girò la pagina, e cominciò a leggere.
-
Mi
era sempre piaciuto prendere il treno. Non succedeva spesso, e quasi
sempre
significava una sola cosa: Londra.
Mentre osservavo le fredde colline della Cornovaglia scorrere fuori dal
finestrino, non riuscivo a contere la mia eccitazione.
Quel giorno avevo aperto gli occhi ritrovandomi undicenne, e
soprattutto con la
consapevolezza che da lì a poche ore sarei stato nei negozi
di Diagon Alley. E
questa volta, finalmente avrei potuto comprare tutte quelle cose che
per anni
avevo desiderato.
Ero già stato a Diagon Alley in passato. E tutti gli anni
era la stessa storia,
i miei genitori dovevano trascinarmi via di peso da davanti alle
vetrine; avrei
passato anche ore a osservare gli animali esotici, a rovistare tra i
libri, o a
studiare le bacchette. Soprattutto quest'ultime avevano sempre avuto un
certo
fascino su di me. Essendo cresciuto in una famiglia di maghi, avevo
sempre invidiato
l'abilità dei miei genitori nel praticare la magia. Mi
affascinava ogni singola
cosa che implicasse l'uso di una bacchetta, dall'accendere un fuoco al
ripulire
l'orto dalle erbacce, e non vedevo l'ora di averne una tutta per me.
Mentre il treno si avvicinava alla periferia di Londra, io continuavo
ad
agitarmi sul sedile e a fare domande su Diagon Alley e Hogwarts.
Mio padre mi fulminò con lo sguardo e mi intimò
di fare silenzio: stavo
attirando l'attenzione di troppi babbani.
Mia madre, seduta accanto a lui, sbuffò per l'ennesima
volta. Odiava il fatto
di essere stata costretta a prendere il treno, a discapito della
Metropolvere,
più comoda e veloce. Ma dopo il casino scoppiato due anni
prima, quando il
baule di Tom si era perso finendo nel camino di una famiglia di Ottery
St
Catchpole, avevamo deciso che fosse meglio spostarsi in questo modo per
situazione del genere.
Tom sedeva di fianco a me, silenzioso come sempre, immerso nella
lettura di un
libro sui lupi mannari. La passione per la lettura era una delle poche
cose che
io e mio fratello avevamo in comune, per il resto non potevamo essere
più
diversi.
Già dai primi sobborghi, Londra appariva come una
città magnifica ai miei
occhi. Essendo cresciuto nel piccolo villaggio di Tinworth, nella
Cornovaglia,
la grande città esercitava sempre un certo fascino su di me.
Arrivati a King Cross, scendendo dal vagone del treno, il mio sguardo
si posò
in maniera indiretta sul muro di mattoni tra il binario 9 e 10. In
quell'afosa
mattina d'agosto, la piattaforma era deserta. Non ebbi neanche il tempo
di
guardarla per più di qualche secondo che mia madre
già mi trascinava verso
l'uscita della stazione.
Il centro di Londra appariva caotico esattamente come lo ricordavo. I
babbani
si riversavano ovunque, in un frenetico via vai tra i marciapiedi e le
scale.
Sapevo che probabilmente era pieno di maghi e di streghe fra tutte
quelle
persone, ma era impossibile riconoscerli. Persino noi ci eravamo
vestiti da
babbani quel giorno, per non attirare troppo l'attenzione sul treno.
Il Paiolo Magico svettava in tutto il suo squallore tra una libreria e
un
negozio di strani dischi neri. Come al solito, i babbani passavano
frettolosi
davanti all'edificio ignorandone l'esistenza, ma molti maghi e streghe
si
riversavano dentro, spesso seguiti dai figli.
Il locale quel giorno era più pieno che mai. Numerose
famiglie dovevano essere
venute a Diagon Alley per le spese della scuola, e il Paiolo Magico
risuonava
del vociare dei ragazzi.
Non mancai di notare il solito manipolo di stregoni incappucciati che
bisbigliavano tra di loro nell'oscurità, immersi nei loro
loschi affari.
Mio padre si avvicinò al bancone e Tom il barista,
notandolo, si lanciò in
un'animata conversazione con lui, mentre mia madre mi guidava verso il
retro
del locale.
Non vedevo l'ora di assistere allo spettacolo dell'entrata che si
allargava nel
muro di mattoni, ma quel giorno rimasi deluso: c'era un tale via vai di
maghi
che avevano semplicemente deciso di lasciare il varco aperto, e ci
toccò
infilarci nella piccola coda che si era creata a partire dal corridoio.
Per mia sfortuna, davanti a noi avevano uno stregone particolarmente
grosso,
che con il lungo mantello violaceo copriva tutta la visuale impedendomi
di
vedere.
Dopo un paio di minuti che mi erano parsi un'eternità,
finalmente superammo il
varco, e Diagon Alley si presentò in tutto il suo splendore.
La lunga strada era completamente invasa da una folla rumoreggiante,
chi
negoziava con i venditori ambulanti, chi si spostava da una vetrina
all'altra ,
chi trasportava borse e carrelli pieni di merci, chi urlava in cerca di
amici o
parenti. Ai lati si susseguivano vetrine di ogni tipo. Alcuni negozi
vendevano
abiti, altri telescopi e bizzarri strumenti d'argento che non non avevo
mai
visto prima; c'erano vetrine stipate di barili, contenenti milze di
pipistrello
e pupille di anguilla, pile traballanti di libri di incantesimi, penne
d'oca e
rotoli di pergamena, boccette di pozioni e globi lunari.
Mentre io mi guardavo intorno meravigliato, Tom era già
corso in avanti a
incontrare alcuni suoi compagni di scuola. Io ovviamente feci per
seguirlo, ma
mia madre mi prese per il colletto, dicendomi che quel giorno non mi
sarei
staccata da lei, e che anzi dovevamo sbrigarci data la
quantità di negozi da
visitare. Sbuffai indignato mentre lei mi trascinava facendosi spazio
tra la
folla, ma appena misi piede nel Ghirigoro dimenticai ogni rancore.
Avevo sempre adorato i libri. Era il metodo migliore che conoscevo per
vivere
grandi avventure senza spostarmi di un centimentro, che nella vita
monotona di
un bambino erano una vera e propria benedizione.
Mi avvicinai a una libreria, e cominciai ad esaminare i libri di storia
della
magia, quelli sull'alchimia, gli incantesimi, e infine la sezione di
narrativa.
Ero immerso nella lettura delle Fiabe di Beda il bardo, quanto sentii
qualcuno
poggiarmi una mano sulla spalla. Mi voltai, e mi ritrovai davanti John.
-Signor Zeller, i miei più sinceri auguri!-, disse lui con
il suo solito tono
sarcastico. Per scherzo, aveva preso da qualche mese l'abitudine di
chiamarmi
per cognome.
-John, anche tu qui?-, chiesi contento di vederlo.
John Lane era il mio migliore amico. Abitava a due case di distanza da
me, a
Timworth; i nostri genitori avevano frequentato Hogwarts negli stessi
anni, e
noi eravamo praticamente cresciuti insieme.
-Si, abbiamo incontrato Tom, che ci ha detto che eravate nella
libreria-,
rispose lui indicando dietro di lui, e sporgendomi vidi la signora Lane
che
discuteva animatamente con mia madre.
-Che diavolo hai fatto ai capelli?-, chiesi mentre riponevo le fiabe di
Beda
nella libreria.
-Ah, questi?-, disse indicandosi i cortissimi capelli biondi. -Mio
padre si era
rotto di vedermi con i capelli lunghi, dice che non mi si addice. Ma
presto me
li potrò far ricrescere da solo, guarda qui!-, e tutto
eccitato mi mostrò una
scatola rettangolare che non avevo notato prima.
Rimosse con incredibile delicatezza il coperchio, rivelando una
bacchetta.
-Non ci posso credere, l'hai già presa?!-, esclamai pieno di
stupore ed
invidia.
-Proprio 5 minuti fa, guardala, non è fantastica?! Acero,
Crine di Unicorno, 12
pollici, sorprendentemente rigida!-, elencò John, come se si
trattasse di una
filastrocca imparata a memoria. -Cosa curiosa, l'ho trovata subito,
è stata
letteralmente la prima bacchetta che ho provato. Olivander ha detto che
è una
cosa alquanto rara-, aggiunse con una punta di orgoglio.
-Beato te...-, sospirai io. -Non vedo l'ora di prendere anche io la
mia, ma
credo ci vorrà ancora un po'-.
-Hai aspettato 11, lunghissimi anni, qualche ora in più non
farà la differenza-,
rispose lui di nuovo sarcastico. -E a proposito, mancano poco
più di 3
settimane!-
Ovviamente erano già mesi che entrambi contavamo i giorni
che ci separavano
dall'inizio della scuola. Restammo a fantasticare su Hogwarts e ad
esaminare la
sua bacchetta, fino a che mia madre non emerse dalla coda con un'alta
pila di
libri tra le braccia.
-Ciao John-, lo salutò lei poggiando con un tonfo i volumi
su un tavolo. -Clarice
mi ha detto che hai avuto particolare fortuna con la tua bacchetta-.
-Esatto, al primo tentativo! Il signor Olivander ha detto che
è una cosa molto
rara-, ripetè lui tutto orgoglioso, mentre mia madre
infilava tutti i libri
nella minuscola pochette che portava al braccio. La borsa sembrava
inghiottirli
come se fosse una gigantesca bocca.
-Salve signora Lane-, dissi io mentre la madre di John ci raggiungeva
dal fondo
del negozio.
-Nathan caro, buon compleanno!-, disse lei tutta contenta baciandomi su
entrambe le guance. Io boffonchiai un 'grazie' arossendo, mentre John
rideva
sotto i baffi.
-Emilia, dovrei andare a Notturn Alley a far esaminare un vecchio
bracciale che
temo possa essere stato maledetto, ti dispiacerebbe prenderti cura di
John per
un po', preferirei non portarmelo dietro-, chiese rivolta a mia madre.
Tra le opposizioni di John, il quale per nulla al mondo avrebbe
rifiutato una
gita a Notturn Alley, mia madre disse che non c'era alcun problema.
Così tutti
e quattro uscimmo dal negozio, e dopo pochi metri la signora Lane ci
salutò,
svoltando in una buia stradina, molto meno affollata rispetto al resto
di
Diagon Alley.
John mi disse che erano arrivati di prima mattina con la metropolvere,
e che
aveva già comprato quasi tutto l'occorrente, quindi mi fece
da guida
mostrandomi le vetrine e i negozi più interessanti mentre ci
facevamo strada
nella folla.
Entrammo da 'Madama McClan: abiti per tutte le occasioni', e mia madre
mi
lasciò nelle mani di una strega tarchiata, sorridente e
tutta vestita di color
malva mentre lei andava a comprare gli ingredienti per le pozioni,
dicendoci di
aspettarla lì.
Madama McClan riconobbe John, che era stato lì poche ore
prima, e lui mi
presentò come il suo migliore amico. Era tipico di John fare
amicizia con
tutti, entrava subito in confidenza, e quando cominciava a parlare, non
finiva
più.
La sarta mi fece salire su uno sgabello, mi infilò una lunga
veste dalla testa
e cominciò ad appuntarmi per farla della giusta lunghezza.
Dopo neanche una decina di minuti, la mia veste per Hogwarts era
già
confezionata e imballata, quindi io e John uscimmo di nuovo in strada
con un
grosso fagotto sotto il braccio.
Dato che mia madre non era ancora tornata, ne approfittammo per fare un
giro.
John mi guidò verso il Serraglio Stregato, uno stretto e
soffocante negozio di
animali con le pareti ricoperte di gabbie piene di ogni tipo di
creatura:
enormi rospi viola, fiammagranchi, lumache velenose, gatti di ogni
colore,
corvi e ratti. In un angolo, 4 paia di occhi rosso ardente osservavano
il tutto
dall'oscurità. John voleva avicinarsi, ma la proprietaria,
una strega di mezza
età con pesanti occhiali neri, glielo sconsigliò
fortemente.
Successivamente andammo a vedere il negozio di quidditch, dove la nuova
Nimbus
2000 era esposta nella grande vetrina.
Una folla composta per lo più di giovani ragazzi si era
radunata di fronte ad
essa e discutevano animatamente, ma notai anche un'altra figura
familiare che
svettava sopra le altre.
-Guarda chi si vede-, indicai con un sorriso a John.
-Signor Zeller, temo che neanche su una nimbus 2000 riuscirebbe a
battere mio
padre-, urlò John da sopra alla folla.
Mio padre si girò di scatto, cercandoci tra la folla, e
quando finalmente ci
notò scoppio a ridere.
-Ti posso giurare che l'ultima volta mi ha fatto un incantesimo
Confundus, non
avrei mai sbagliato un tiro così semplice-, gli rispose lui.
-Mio padre dice il contrario-, ribattè John.
-Tuo padre è una persona orribile, e dopo quasi 30 anni,
credo di saperlo
meglio di te-, disse lui sorridendo.
Alan, il padre di John, era stato un grande cacciatore durante i suoi
anni a
Hogwarts. Tutti si aspettavano che continuasse la sua carriera entrando
in una
squadra professionista, invece aveva stupito tutti diventando un medico
al San
Mungo.
Lui e mio padre erano sempre stati grandi amanti del quidditch, per
quanto mio
padre non sia mai stato un astro.
-A proposito, che fine ha fatto Alan?-, chiese guardandosi intorno,
aspettandosi di vederlo comparire da un momento all'altro.
-E' rimasto in ospedale, ha un brutto caso per le mani-, gli
spiegò John.
Stavamo discutendo dell'ultima partita tenutasi tra i Cannoni di
Chudley e i
Pipistrelli di Ballycastle, quando una rondine argentata si
posò sulla spalla
di mio padre, sussurandogli qualcosa nell'orecchio. Riconobbi il
patrono di mia
madre, e infatti pochi attimi dopo mio padre fece roteare la sua
bacchetta: un
grande cinghiale d'argento eruppe dalla punta, e cominciò a
correre
attraversando la folla.
-Emilia si era preoccupata non trovandovi da Madama McClan, non vi
aveva forse
detto di aspettarla lì?-, chiese improvvisamente serio.
Io e John ci guardammo in silenzio con aria colpevole.
-Nathan, lo sai come è fatta tua madre, sai che si preoccupa
per ogni cosa-,
disse con tono di rimprovero.
-Scusa-, bisbigliammo sia io che John allo stesso tempo. Tecnicamente
nessuno
lo stava sgridando, ma il 90% delle volte che io finivo nei guai era
per colpa
sua, e lo sapeva.
Per fortuna mio padre non era mai stato troppo duro con me, e quindi
lasciò
perdere il tutto con un semplice 'stai attento a non farlo un'altra
volta'. Poi
si avviò verso la Gringott, e noi lo seguimmo .
Camminando, superammo un venditore ambulante che vendeva miniature di
draghi,
unicorni e altre creature, una strega che mostrava al pubblico l'ultimo
modello
di mantello dell'invisibilità, un gruppo di folletti che
offrivano i loro
servigi per riparare gioielli e altri gingilli, e un giovane ragazzo
che faceva
esibire il suo serpente in una serie di acrobazie e salti. Ovunque io
posassi
lo sguardo, c'era qualcosa di nuovo e incredibile da vedere.
A furia di camminare, non mi ero nemmeno accorto che eravamo arrivati
davanti
alla facciata di un negozio dall'interno molto buio, e che mio padre si
era
voltato verso di noi.
-Bene, io devo fare un salto alla Gringott a controllare un paio di
cose, tu
Nathan vai pure da Olivander, e non ti preoccupare, ti
aiuterà lui-, disse
posando 7 galeoni d'oro nella mia mano e dandomi una pacca sulla
schiena, prima
di girarsi e scomparire nella folla.
John mi guardò raggiante, e prima ancora che avessi modo
anche solo di battere
ciglio, mi stava già trascinando dentro il negozio.
L'interno era ancora più buio di quanto sembrasse da fuori.
Dietro ad un
bancone, si innalzavano numerose file di scaffali piene di piccole
scatole rettangolari.
-Ci saranno almeno un migliaio di bacchette qui-, dissi guardandomi
stupito
attorno.
-E una di quelle mille presto sarà tua-, rispose John
dandomi una pacca sulla
schiena.
Notai solo allora che il negozio era praticamente deserto. Ma John non
perse
tempo, e sporgendosi dal bancone urlò: -Signor Olivander!-
Da dietro ad uno scafalle emerse un uomo, e avvicinandosi notai che era
assai
anziano, con due grandi occhi luminosi che sembravano due fari
nell'oscurità.
-Ancora tu? Eppure ero molto sicuro che quella bacchetta fosse perfetta
per te!-,
disse Olivander vedendo John.
-Oh no, no, la mia bacchetta è a posto, è il mio
amico qui che ne avrebbe
bisogno di una-, disse John indicandomi.
Olivander sembrò notarmi solo allora. Si avvicinò
a me sporgendosi dal bancone,
guardandomi a lungo. Notai che non sbatteva mai le palpebre, sembrava
fissarti
per un'eternità con quei occhi argentati, e la cosa
cominciò a farmi sentire a
disagio.
Dopo quella che parve un'eternità, finalmente disse: -Il tuo
volto mi è familiare,
hai fratelli o sorelle?-
Io sobbalzai colto alla sprovvista, come risvengliandomi da un sogno.
-Ehm, si-,
balbettai -mio fratello, Tom Zeller, ha preso la sua bacchetta qui da
lei-.
-Ahhh, si, certamente, ebano, corda di cuore di drago, 14 pollici,
molto
flessibile, un'ottima bacchetta. Tenda il braccio della bacchetta-,
disse
avvicinandosi a me e tirando fuori dalla tasca un lungo metro a nastro.
Io tesi il mio braccio destro, e lui cominciò a misurare i
miei arti.
-E lei ha un nome, signor Zeller?-, chiese dirigendosi verso gli
scaffali,
mentre il nastro si accasciava a terra.
-Mi chiamo Nathan-, dissi io ad alta voce, quasi a dimostrare che non
avessi
paura di lui.
-Ansioso di andare a Hogwarts?-, chiese mentre rovistava tra le
numerose
scatole.
-Si, non vedo l'ora, io e John stiamo contando i giorni, ne mancano
soltanto
19!-, risposi tutto contento.
-Bene, provi questa-, disse Olivander porgendomi una lunga bacchetta.
-Noce, 15
pollici, crine di unicorno, rigida-.
Presi la bacchetta in mano, e guardai prima Olivander, poi John. Non
avevo la
più pallida idea di cosa dovessi fare.
John sembrò notarlo, perché mi urlò:
-Non startene lì impalato, agitala un po'!-
Io sobbalzai e agitai la bacchetta mentre Olivander ridacchiava, ma non
successe nulla. Con un rapido movimento, Olivander mi prese la
bacchetta di
mano, e dopo qualche decina di secondi tornò con un altra.
-Olmo, 12 pollici e mezzo, piuma di fenice, flessibile-,
elencò di nuovo.
Io presi di nuovo in mano la bacchetta, ma non feci in tempo ad alzarla
che
Olivander me l'aveva già strappata di mano ed era corso a
cercarne un'altra.
Ne provai una di cipresso, una di faggio, un'altra di olmo nero, ma
niente,
nessuna di quelle bacchette sembrava essere più di un banale
pezzo di legno
nelle mie mani.
Io stavo cominciando a preoccuparmi, ma Olivander era alquanto contento.
-Non si preoccupi signor Zeller, ho avuto clienti ben più
ostinati di lei-, mi
consolò Olivander notando la mia preoccupazione.
All'improvviso, per una ragione che credo che non sarò mai
in grado di
spiegare, gli gridai una cosa.
-Signor Olivander, ha provato a guardare nell'ultimo scaffale?-
-Nell'ultimo scaffale?-, ripetè lui sporgendo da una scala.
-No, a dire il vero
no-.
E scendendo di fretta i pioli, sparì dietro l'angolo.
Tornò indietro con una
scatola tra le mani, e un'espressione curiosa dipinta sul volto.
-Provi questa, signor Zeller. Legno di abete rosso, piuma di fenice, 13
pollici, sorprendentemente flessibile-, mi disse rimuovendo la
bacchetta dalla
sua custodia.
La impugnai saldamente, e un piacevole calore sembrò
propagarsi attraverso le
mie dita. Agitai la bacchetta, e con mio grande stupore, un getto
d'acqua
sprigionò dalla sua punta, finendo per inzuppare John.
Questi imprecò, io gli
chiesi scusa mortificato, ma Olivander scoppio a ridere pieno di
entusiasmo.
-Fantastico, davvero fantastico! Non si preoccupi signor Lane, a tutto
c'è un
rimedio-, ed estraendo la sua bacchetta, la agitò per aria,
riportando i
vestiti di John ad essere asciutti.
-Credo che questa sia un ulteriore prova del fatto che è
proprio vero che è la
bacchetta a scegliere il mago, e non il contrario. Lei ha evidentemente
sentito
la chiamata della sua bacchetta, signor Zeller!-
Sorridendo raggiante, diedi la mia bacchetta ad Olivander, che la
rimise nella
sua custodia consegnandomela.
Mentre uscivamo, confessai a John che stavo cominciando a temere che
non mi
avrebbe mai trovato una bacchetta.
-Sei stato incredibile però!-, disse lui in tutta risposta.
-La mia aveva solo
fatto delle scintille, tu hai prodotto un incantesimo!-
Era vero, non ci avevo pensato. Fuori dal negozio incontrammo la madre
di John,
e le raccontammo dell'incontro con Olivander. Poco dopo anche i miei
genitori e
Tom ci raggiunsero, e tutti insieme tornammo al Paiolo Magico.
Da li, Clarice e John tornarono a casa con la metropolvere, mentre io e
i miei
ci indirizzammo verso la stazione di King's Cross.
Sul treno di ritorno, trovammo un vagone tutto per noi, ed ebbi modo di
mostrare i miei aquisti agli altri. Raccontai a tutti di come avevo
avuto paura
che Olivander non sarebbe riuscito a trovare la mia bacchetta, e di
come avevo
sentito come per istinto dove trovarla. I miei genitori la osservarono
con
interesse, e persino Tom fece qualche commento di ammirazione.
Approfittando
della mancanza di babbani, cominciai a riempire tutti di domande su
Hogwarts,
sulle case, sulle materie, sugli insegnanti, e tutti furono molto
contenti nel
rispondermi. Credo che la mia eccitazione fosse palpabile. In fondo, da
li a
pochi giorni, sarei finalmente andato nel posto che avevo sognato per
tutta la
mia vita.
Mentre il treno strideva sulle rotaie, mi fermai per un attimo ad
osservare la
mia famiglia, e soprattutto i miei genitori. Era strano pensare che da
li a
poco me ne sarei andato di casa e sarei stato lontano da loro per mesi.
La
consapevolezza di quel pensiero mi colpì all'improvviso, e
sentii il forte
bisogno di immortalare quel momento nella mia memoria.
Ma fu questione di un attimo, perché ormai sapevo che
mancavano 19 giorni.
19 giorni, e sarei stato sull’espresso per Hogwarts, diretto
alla scuola di
magia e stregoneria.
-
Il primo capitolo del diario si concludeva così, e io alzai
lo sguardo, come
ritornando alla realtà.
-Tutta una vita...-, dissi a bassa voce. -...tutta una vita de
recuperare-.
‘E adesso?’ chiese
la voce nella mia
testa.’Cosa si fa?’.
-Adesso?-, ripetei io, con un sorriso. -Adesso si va ad
Hogwarts!-
|
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Capitolo 2 *** L'espresso per Hogwarts ***
Capitolo 2) L’espresso
per Hogwarts
-E’ semplice Nathan, tu ci dici dov’è, e
noi chiudiamo un occhio su tutta
questa facenda- intimò una voce fredda e calcolata.
-Ve lo ripeto per l’ennesima volta: non ho idea di dove sia!-
-Dicci dove si nasconde- chiese l’altra persona, insistendo.
-No! Fermi! Non potere farlo, NON POTETE FARLO!-
-Memorarum!-, la voce riecchegiò a lungo, perdendosi nello
spazio e nel tempo.
Nathan
si svegliò di soprassalto, e afferrò la bacchetta
in automatico, tenendola dritta nella mando e guardandosi attorno.
Ma la stanza era deserta, della voce non c’era alcuna traccia.
Era stato solo un sogno.
Ansimando, le mani tremanti, si lasciò andare in un sospiro
di sollievo, appoggiando
la testa sulla scrivania con fare esausto.
Rimase così per qualche istante, riflettendo.
Poi, aprì il suo diario, lo sfogliò fino a
trovare la pagina giusta, e cominciò
a leggere.
Svegliarsi quel primo settembre non fu certamente difficile.
Non erano neanche le 6 del mattino che già ero in piedi
nella mia stanza, a
rovistare nel baule per accertarmi che ci fosse tutto. I libri, il
calderone,
il set di provette in vetro, la bilancia d'ottone, i vestiti, mancavano
soltanto il telescopio e la divisa scolastica: il primo era ancora
montato
davanti alla finestra, dato che avevo passato le sere delle ultime 3
settimane
ad ammirare il cielo e i campi che circondavano Timworth. La seconda,
la stavo
indossando in quello stesso momento.
In piedi davanti al grande specchio della mia stanza, saltellai allegro
facendo
ondeggiare le vesti nere, la bacchetta in mano, agitandola e puntandola
vero i
mobili della stanza facendo finta di scagliare incantesimi.
Mi mossi verso la finestra, e aggiustando il telescopio, lo puntai
verso la
finestra della camera di John, due case più in la. Ma le
imposte erano ancora
serrate, John era solito dormire fino a tardi.
Passai le successive ore ad osservare il mondo mentre si svegliava,
appollaiato
alla mia finestra, il telescopio tra le mani.
Occupato com'ero a smontarlo, non mi resi neanche conto della porta che
si
apriva e di mia madre che entrava nella stanza.
-Nathan, ti avevo detto di mettere tutto a posto l'altra sera-, disse
sbuffando. -E già che eri in piedi, avresti per lo meno
potuto vestirti-.
La guardai per un attimo confuso. -Ma, sono vestito-, dissi indicandomi.
-Non essere sciocco, non possiamo arrivare a King's Cross vestiti da
maghi,
attireremmo troppo l'attenzione, e già in troppi lo fanno.
Rimettiti i jeans e
prendi una felpa, fa fresco stamattina-, e uscì chiudendo la
porta.
La sentii mentre andava a svegliare Tom, poi scese le scale e
sparì.
Con una smorfia, cominciai a cambiarmi, e rimisi la divisa a posto nel
baule.
Feci per posarci dentro anche la bacchetta, ma all'ultimo cambiai idea
e la
infilai nella tasca dei pantaloni. Anche se non ero ancora capace di
usarla,
sentire quel peso premere contro la gamba mi dava un certo senso di
sicurezza.
Scesi di corsa le scale ed entrai nella cucina illuminata dal sole del
primo
mattino.
Tom era già al tavolo intento ad imburrare una fetta di
pane, mentre scrutava
il retro della gazzetta del Profeta che mio padre reggeva penserioso
tra le
mani.
-Notizie dal Ministero?-, chiese mentre prendevo posto accanto a lui e
afferravo la scatola dei cornflakes.
-Le solite, Caramell sta approvando un sacco di nuovi decreti
legislativi-,
rispose lui pensieroso girando pagina.
-Ed è un bene o un male?-, chiesi io. Non ne capivo molto di
politica, ma
cercavo sempre di partecipare ai discorsi tra mio padre e mio fratello.
-Beh, potrebbe essere entrambe le cose. E' un bene che Caramell si
occupi di
alcuni problemi nel sistema giudiziario e cerchi di sistemarli, ma se
continua
questa sua politica legislativa in futuro potrebbe arrivare ad avere
troppo
potere e ad emanare decreti come più gli pare e piace. Oh,
no...Emilia...-,
disse all'improvviso cupo, alzando lo sguardo verso di mia madre. -E'
morto il
signor Barnabey...-
-Oh cielo...-, mia madre si avvicinò e diede un'occhiata
alla pagina del
necrologio. -Infarto...almeno non ha sofferto-, disse mentre una
lacrima le
annebbiava gli occhi.
-Aveva 92 anni tesoro, prima o poi doveva andarsene-, mio padre le
cinse la
schiena con un braccio.
-Chi era il signor Barnabey?-, chiesi io lentamente, come temendo di
disturbarli con la mia domanda.
-Era il nostro professore di incantesimi, quando frequentavamo
Hogwarts, una
persona davvero dedicata e gentile-, rispose mio padre sorseggiando il
suo
caffè.
-Una volta siamo rimasti svegli fino alle 4 del mattino
affinché io imparassi
l'incantesimo di appello. Continuavo a lamentarmi del fatto che era
tutto
inutile e che non ci sarei mai riuscito, ma lui non demordeva, dicendo
che
saremmo stati svegli anche fino all'alba se era necessario, ma che fino
a che
quel maledetto cuscino non sarebbe sfrecciato per la stanza, nessuno
dei due
avrebbe chiuso occhio-, raccontò allegro, e mia madre lo
guardò sorridendo,
probabilmente ricordando anche lei altri episodi. -Era sempre stato
molto
affezzionato ai suoi studenti, pochi insegnanti ad Hogwarts avevano la
sua
dedizione-.
Il resto della colazione fu tranquilla, i miei genitori continuarono a
chiacchierare ricordando il professor Barnabey, mentre Tom spulciava il
giornale.
Alle 10.30 eravamo tutti e quattro di fronte al camino del salotto,
dove un
allegro fuoco scoppiettava nonostante fosse ancora estate. Questa volta
mia
madre non aveva voluto sentire scuse, e aveva detto che avrebbe
preferito
correre il rischio di perdere i bagagli piuttosto che farsi di nuovo
tutte
quelle ore di viaggio in treno.
-Bene Emilia, andrai tu per prima con un baule, seguita da Tom e
Nathan, e
chiuderò io la fila portando il resto dei bagagli-,
indicò mio padre.
Mia madre fece un cenno d'assenso con il capo, prese un pizzico di
polvere
scintillante, si avvicinò al fuoco e la gettò tra
le fiamme. Una colonna di
fuoco verde smeraldo s'innalzò all'istante, rischiarando
tutta la stanza.
Afferando il baule di Tom per la maniglia, saltò tra le
fiamme gridando -Paiolo
Magico- e scomparve.
Tom la seguì qualche istante dopo, e in un attimo era
sparito anche lui.
-Ora, ricordati di tenere le braccia strette al corpo, e di parlare in
maniera
chiara, va bene?-, mi raccomandò mio padre porgendomi il
vaso contentente la
polvere.
Io ne presi una mano abbondante facendo di sì con il capo.
Con un attimo di esitazione, scagliai la polvere nelle fiamme, che
diventarono
di nuovo smeraldine. Saltai dentro, e urlai -Paiolo Magico!-.
Ebbi la sensazione di essere risucchiato in un enorme imbuto, e tutto
intorno a
me cominciò a vorticare velocemente. Vidi una serie di
immagini confuse
scorrermi rapide davanti agli occhi, e scrutando attraverso le fiamme
mi resi
conto che erano camini. Dopo quella che mi parve
un'eternità, riconobbi
finalmente l'interno del Paiolo Magico attraverso una delle centinaia
di
finestre. Mi sporsi in avanti, e all'improvviso mi sentii cadere verso
il
pavimento di pietra del locale. Chiusi gli occhi, aspettandomi
l'impatto, ma
invece qualcuno mi prese per le spalle fermandomi all'ultimo.
-Ottimo tuffo, signor Zeller. Ha un po' mancato sull'atterraggio, ma un
8.7 ci
sta tutto-, disse una voce familiare.
Alzai lo sguardo, e mi ritrovai un John raggiante davanti agli occhi.
Alan e Clarice Lane, i genitori di John, mi salutarono allegramente, e
mia
madre mi corse incontrò per assicurarsi che stessi bene.
Qualche secondo dopo apparve anche mio padre con il mio baule, e Alan
gli corse
incontro per abbracciarlo come se non si vedessero da mesi.
Bauli alla mano, finalmente uscimmo tutti quanti dal paiolo magico e ci
incamminammo verso la stazione di King's Cross.
Era una fresca mattina di Settembre, e Londra sembrava più
viva e allegra che
mai.
Decine di famiglie recanti grossi bauli sormontati da gabbie contenenti
gufi,
gatti o rospi passeggiavano per le strade, tutti diretti verso la
grande
stazione.
King's Cross era più affollata che mai. Ovunque sui binari
uomini e donne
indaffarate scorrevano veloci, trascinandosi i bagagli dietro, chi
passeggiando
tranquillo, chi correndo. Io avevo occhi solo per i grandi numeri
disegnati
sulle placche che scorrevano veloci sopra la nostra testa.
3, 4, ancora qualcuno, 5,6, una donna schiamazzava urlando qualcosa
contro una
delle guardie, 7,8 la fila di carrelli scorreva davanti ai miei occhi,
i più
lontani scomparendo improvvisamente nel nulla, 9,10, finalmente,
eravamo
arrivati.
La parete di mattoni rossi svettava immobile tra i binari 9 e 10.
Io e John ci guardammo sorridenti, fremendo dall’eccitazione,
mentre gli altri
da dietro ci raggiungevano spingendo i carrelli carichi di bagagli.
-Alan, andate prima voi?-, chiese mio padre guardando il signor Lane.
-Come preferisci, vecchio mio-, impugnò saldamente il
carrello con entrambe le
mani, diede una rapida occhiata attorno per accertarsi che nessun
babbano
stesse arrivando, e dopo una rapida corsa era già sparito
oltre il muro.
-Andiamo John-, disse Clarice prendendo il figlio per mano.
-Ci vediamo dall’altra parte-, mi disse con un gesto della
testa, e qualche
secondo dopo erano entrambi spariti.
-Posso andare per primo, per favore?-, chiesi girandomi verso i miei
genitori.
Per tutta risposta, Tom mi poggiò una mano sulla schiena,
trascinandomi con lui
verso il muro.
Mio fratello cominciò ad aumentare il passo, sempre senza
mollare la sua presa
su di me, e io feci lo stesso. Chiusi gli occhi mentre la barriera si
avvicinava al mio volto, sempre più veloce, sempre
più vicina, ma non ci fu
nessun scontro.
Sentì il suono del mondo cambiare bruscamente nelle mie
orecchie mentre
attraversavo il muro, come quando si immerge la testa
sott’acqua e per qualche
istante sembra che ogni rumore venga risucchiato in un enorme imbuto.
Ma fu questione di un attimo, e subito il silenzio rumoreggiante della
stazione
di King’s Cross mutò in un caotico vociare di
ragazzi, genitori, e animali.
Aprì gli occhi, e con un sentimento misto di gioia e timore,
mi ritrovai
davanti il grande espresso scarlatto. Sul suo muso torreggiava a grandi
lettere
dorate la scritta ‘Espresso per Hogwarts’, mentre
un perlaceo filo di vapore
usciva dal cunicolo centrale.
-E anche più grande di quanto mi ricordassi…-,
dissi io assente.
-E anche più grande di quanto mi immaginassi-, rispose John
a bocca aperta.
Mi ero scordato che John, non avendo fratelli, non era ancora mai stato
sul
binario 9 e 3/4, a differenza di me che ero venuto ogni anno ad
assistere alla
partenza di Tom.
-Vi consiglio di salire subito e cercarvi un compartimento, se non
volete
passare il viaggio in piedi-, disse Tom trascinando il suo baule verso
una
delle porte.
-Tuo fratello ha ragione Nathan, andate ad esplorare, ci occupiamo noi
dei
bagagli-, disse tranquillo mio padre.
Io e John non ce lo facemmo ripetere due volte e ci dirigemmo di corsa
verso
una delle porte dell’espresso.
Nonostante mancasse ancora un quarto d’ora alla partenza, il
treno era già
affollatissimo. Ragazzi e ragazze correvano ovunque. Molti erano ancora
in
vestiti babbani, ma c’era anche chi non aveva perso tempo e
si era già cambiato
nelle vesti da mago. Ovunque c’erano guizzi di luce colorata
e piccole
esplosioni, mentre gli studenti davano sfogo a tutti gli incantesimi
repressi
in quei due mesi lontani dal castello.
Come aveva previsto Tom, molti dei compartimenti erano già
occupati. I gruppi
di amici si stavano già riunendo, ognuno prendendo residenza
nei vari
compartimenti. Arrivammo davanti ad uno che a prima vista pareva vuoto,
ma che
ad un secondo sguardo rivelò un ragazzino del primo anno con
i capelli
disordinati e degli occhiali aggiustati con lo scotch sugli occhi.
Lo guardai per un attimo incuriosito: indossava dei vestiti babbani, i
quali
erano però ovviamente di qualche taglia più
grossi, e sembravano ricadergli
addosso come una strana coperta.
Stavo per entrare, quando John mi chiamò da qualche metro
più avanti. Mi
avvicinai e mi mostrò tutto soddisfatto un compartimento
deserto.
Ci sedemmo entrambi di fianco alla finestra, uno di fronte
all’altro, e ci
guardammo soddisfatti.
Ci sporgemmo dalla finestra, osservando la frenesia che sembrava
pervadere il
binario.
Non avevo mai visto così tanti ragazzi insieme, ed era
curioso pensare che da
quel giorno li avrei visti quotidianamente, e perché no, ne
avrei anche
conosciuti alcuni.
I gufi si chiamavano l’un l’altro dalle gabbie
appollaiate in cima ai carrelli,
e la folla rumoreggiava del vociare di centinaia di persone.
-Dai, Lee, un’occhiata soltanto!-
Notai una piccola folla che circondava un ragazzo dai capelli ricci.
Questi
sollevò il coperchio di una scatola che teneva tra le
braccia e qualcosa, da
dentro, sporse una lunga zampa pelosa. Quegli che gli stavano attorno
cominciarono a gridare.
-Tutto bene lassù?-, il padre di John si avvicinò
a noi dal binario, seguito
dal resto dei nostri genitori.
-Oh si, alla grande, ancora 5 minuti, e non dovrò
più vedervi per qualche mese-,
gli rispose John con un sorriso.
-Cercate di non cacciarvi in troppi casini voi due-, ci
apostrofò mio padre. -Sopratutto
tu, Nathan. Confido nel fatto che tu segua il buon esempio di tuo
fratello-.
-Mhh, sì, certo-, bofonchiai io. Tom era sempre stato uno
studente modello,
adorato da tutti i professori e soprattutto dai miei genitori. Nessuno
si era
stupito quando quest’estate aveva ricevuto la spilla da
Prefetto, e nessuno si
sarebbe stupito se fosse diventato caposcuola fra qualche anno.
-Fate i bravi, e impegnatevi. A Hogwarts non ci sarà nessuno
a preoccuparsi del
fatto che voi facciate i compiti o meno, quindi per favore, cercate di
essere
responsabili-, ci ammonì mia madre seria.
-Tranquilla ma', tanto ci sarà sempre Tom a starci con il
fiato sul collo.
Sperò solo di non finire in Corvonero, non potrei sopportare
altri 3 anni
insieme a lui-, dissi io con una smorfia.
-Nathan!-, mia madre sembrava arrabbiata, ma mio padre ed Alan ridevano
entrambi.
-Beh, qualunque cosa succeda, una cosa è certa: nessuno
separerà voi due-,
disse Alan sorridente.
-Se finiamo in Serpeverde, io risalgo sul treno e me ne torno dritto a
casa,
sappiatelo-, esclamò John serio.
-No, non lo farai. Non fatevi preconcetti sulle case, ragazzi, sono
mondi che
dovrete scoprire da voi, come imparerete nel tempo-, spiegò
mio padre.
Stavo per ribattere, quando un lungo fischio annunciò
l’imminente partenza del
treno.
Sentimmo le porte sbattere con un tonfo sordo, e il vagone
cominciò lentamente
a vibrare.
Le nostre famiglie ci fecero le ultime raccomandazioni mentre il treno
prendeva
piano piano velocità. Sporgendo dalla finestra, salutammo
agitando le mani
entusiasti, finché l’espresso per Hogwarts non
girò a destra, e il binario 9 e
3/4 scomparve dalla vista.
Chiudemmo il finestrino, e ci sedemmo uno di fronte all’altro.
-E così, finalmente, ci stiamo andando per davvero-, dissi
io tutto sorridente.
-Hogwarts, è solo, cosa, tutta la mia vita che aspettavo
questo giorno?-,
rispose John sarcastico.
Scoppiammo entrambi a ridere, ma tutto ad un tratto John
diventò serio.
-Cosa c’è che non va?-
-E se succede davvero?-, chiese lui pensieroso.
-Se succede cosa?-
-Se finiamo davvero a Serpeverde?-.
Lo guardai un po’ sorpreso, colto alla sprovvista da questa
domanda. Ovviamente
ci avevo pensato anche io, negli ultimi mesi, in che casa sarei finito.
-Sinceramente, mi sembra impossibile che tutti i Serpeverde siano
cattivi.
Credo sia solo uno stupido luogo comune-, spiegai io semplicemente.
-Beh, ma…-, John abbassò lo sguardo. -Tu-sai-chi
era un Serpeverde-.
Sbuffai. -Ma sarebbe potuto anche essere un Tassorosso per quel che ne
sappiamo, e sarebbe finito probabilmente nello stesso modo. E poi-,
aggiunsi
abassando la voce. -Non è che Azkaban sia popolata solo da
Serpeverde eh, c’è
luce ed oscurità in tutti noi-.
-Wow-, disse John divertito.-Se la carriera da mago ti va male,
potresti sempre
finire a dirigere la sezione delle poesie del Gazzeta del Profeta-.
-Oh, finiscila-, dissi facendogli un gestaccio con la mano.
All’improvviso la porta dello scompartimento si
aprì, ed un ragazzino alto e
magro dai capelli
neri apparve
sull’uscio.
-Ehm, scusate-, disse imbarazzato.-Tutti gli altri vagoni sono pieni e
mi
chiedevo se…-
-Ma certo!-, disse John ancora prima che potesse finire la frase,
indicandogli
il posto accanto a se.-Accomodati pure-.
Il ragazzo sospirò sollevato e si lasciò cadere
nel posto indicato.
-Piacere, sono Nathan Zeller, e questo è John Lane-, ci
presentai io
tendendogli la mano.
-Samuel Edge, ma tutti mi chiamano Sam-, si presentò lui a
sua volta.
-Hai fratelli o sorelle ad Hogwarts, Sam?-, chiese John curioso.
-Oh no…-, Sam lo guardò per un attimo, sembrando
quasi in imbarazzo. -A dire il
vero, neanche sapevo dell’esistenza di Hogwarts fino a
qualche mese fa-.
-Ohh-, esclamammo all’unisono sia io che John.
-Sei un nato babbano?-, chiese lui.
-Esatto, è stata un po’ una grande sorpresa per i
miei quando abbiamo ricevuto
la lettera. Mia madre stava per avere un colpo quando un gufo
è calato dalla
finestra nella cucina-, raccontò ridendo, e io e John lo
ascoltammo divertiti. -Per
me è stato un grande sollievo, avevo cominciato a fare cose
strane che non
riuscivo a spiegarvi e pensavo di star impazzendo. Una volta, ero
seduto sul
divano e non avevo voglia di alzarmi per prendere un libro, e questi si
è
alzato a mezz’aria ed è volato verso di me!-
-Un semplice incantesimo di appello-, commentò John con aria
da saccente.
-E una volta, ho per sbaglio accesso un fuoco nel giardino. Quella
volta mi ero
spaventato davvero, temevo di essermi trasformato in un qualche mostro.
Quindi
è stato tranquilizzante ricevere la lettera che mi spiegava
che ero un mago, mi
ha fatto capire un po’ di cose-, disse sollevato.-Poi,
c’è stata una volta
quando…-
Ma la frase di Sam fu interrotta a metà dalla porta che si
apriva e
dall’entrare di un ragazzino basso dai capelli color sabbia.
-Grandioso, anche questo è occupato-, borbottò
lui. -Scusate-, e fece per
andarsene.
-Qui abbiamo abbastanza posto, siediti pure se vuoi-, dissi amichevole
indicando il posto di fianco a me.
-Ohh, ti ringrazio-, disse lui richiudendosi la porta alle spalle. -Non
avete
IDEA di quanti vagoni ho già passato. Quelli più
grandi snobbano completamente
i piccoli, e ho provato a infilarmi in un gruppo del primo anno ma fra
poco mi
prendevano a pugni, un ragazzino pallido dai capelli biondi mi ha
praticamente
scagliato contro i suoi due amici che vi giuro, se esistessero dei
troll umani,
assomiglierebbero a quelli-.
-Cosa sono i troll?-, chiese Sam curioso.
-Come cosa sono i troll?-, il ragazzino dai capelli biondi lo
guardò come se
cercasse di capire se lo stesse prendendo in giro o meno.
-Sam è un nato babbano-, spiegò John. -Non
conosce ancora bene il mondo magico-.
La bocca del ragazzo si raccolse in una perfetta O di stupore. -Mio
padre mi
aveva detto che esistevano maghi che provenivano da famiglie babbane,
ma
pensavo mi stesse prendendo in giro!-.
Sam abbassò lo sguardo, di nuovo in imbarazzo. Il ragazzo lo
notò e si rese
conto solo allora di come la sua frase era suonata.
-Ohh, perdonami, non era detto in modo negativo, e solo che non mi era
mai
capito prima d’ora di parlare con qualcuno che non fosse
cresciuto in una
famiglia di maghi. Ho sentito dire che hanno inventato un sacco di cose
incredibili per rimediare all’assenza di magia, è
vero?-.
-Si, la nostra tecnologia è molto più sviluppata,
per esempio non ho visto
niente di elettrico a Diagon Alley-, spiegò lui. Sembrava
che parlare del mondo
babbano lo facesse sentire più a suo agio.
-Cosa diamine è un ‘elettrico’?-, chiesi
io confuso.
Sam ci parlò a lungo del mondo babbano, e di tutti i loro
modi di fare e dire,
e noi gli spiegammo lo stesso del mondo magico. Scoprimmo che il
ragazzo biondo
si chiamava Ernest Macmillan. Aveva dei modi un po’ pomposi e
non ero ancora
sicuro se mi piacesse o meno come persona, ma sapeva anche essere
simpatico
quindi per il momento non me ne preoccupai molto.
Mentre eravamo intenti a chiacchierare, dal corridoio sentimmo
provenire un
vociare confuso, e dopo qualche minuto una donna sorridente apparve
alla porta.
-Desiderate qualcosa dal carrello, cari?-
Tutti e 4 scattammo in piedi e ci avvicinammo al carrello strapieno di
dolci e
dolcetti. Noi tre eravamo abituati a quelle cose, ma Sam guardava tutto
con un
misto di sorpresa e confusione. Io e John gli spiegammo cosa erano le
varie
cose, illustrandogli le gelatine tutti giusti+1, le cioccorane, le
bacchette
magiche alla liqurizia, le gomme bolle bollenti, i zuccotti di zucca, i
ciococalderoni, e molte altre.
Alla fine lui comprò una grande confezione di gelatine e
qualche cioccorana, e
rimase decisamente colpito quando aprendole una di questa
cominciò a saltellare
per tutto il compartimento.
Eravamo intenti a mangiare quando la porta si aprì per
l’ennesima volta ed un
ragazzino dal volto rotondo entrò.
-Scusate, avete per caso visto un rospo?-.
-No, ma se vuoi qui ho una rana-, rispose Sam alzando la cioccorana.
-Oh…grazie comunque…-, ed uscì tetro.
-Voi avete portato degli animali?-, chiese Sam. -Io a casa avevo un
pastore
tedesco, ma la lettera non diceva che si potessero portare cani a
Hogwarts-.
-Mhh io no, ma mio fratello Tom ha un gufo-, risposi io pensieroso. -In
effetti
un po’ mi pento di non averne chiesto uno anche io-.
-Tranquillo, se avrai bisogno di un gufo posso sempre prestarti
Hesper-, disse
John mordicchiando una bacchetta alla liqurizia. Hesper era la sua
civetta.
-A cosa servono esattamente i gufi?-, chiese Sam.
-Beh, essenzialmente consegnano la tua posta-, spiegò Ernest.
-Ah, pensavo fosse una cosa che si faceva solo per le lettere di
Hogwarts-,
spiegò lui.
Il pomeriggio prosegui tranquillo, tra chiacchiere e risate. Ernest
cominciò a
vantarsi di come conoscesse già decine di incantesimi, ma
quando gli chiedemmo
di mostrarcene qualcuno, disse che aveva dimenticato la bacchetta nel
suo
baule.
Sam ci mostrò un album di fotografie ritraente la sua
famiglia, dove le
immagini stavano ferme anzichè muoversi come avrebbero
dovuto fare.
La sera stava calando, e le montagne e le foreste si stagliavano contro
il
cielo arancione. Il treno stava lentamente rallentando.
Tutti e quattro ci togliemmo le giacche ed infilammo le tuniche nere,
mentre
una voce risuonò per tutto il treno: ‘Tra cinque
minuti arriveremo a Hogwarts.
Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà
portato negli edifici
della scuola separatamente’.
Io e John ci guardammo emozionati, mentre il treno finalmente si
fermava.
Ci accalcammo fuori nel corridoio insieme alla marea di studenti, che
procedeva
a spintoni verso gli sportelli, e poi sul marciapiede buio.
Rabbrividì nel freddo della notte e mi strinsi nella veste,
quando
all’improvviso una luce si accese sopra le nostre teste.
Una voce grossa tuonò -Primo anno! Primo anno da questa
parte!-.
Un uomo enorme torreggiava sopra tutti loro, il faccione peloso che
sorrideva
in un groviglio disordinato di capelli e barba.
-Coraggio, seguitemi…C’è qualcun altro
del primo anno? E ora attenti a dove
mettete i piedi. Quelli del primo anno mi seguano!-
Scivolando e incespicando, seguimmo l’omone per quello che
sembrava un sentiero
stretto e ripido. Tutto attorno a noi il buio ci avvolgeva, e la
lanterna
dell’uomo era l’unica fonte di luce in quella
oscurità.
-Fra un attimo: prima vista panoramica di Hogwarts!-,
annunciò l’uomo parlando
da sopra la spalla. -Ecco, dopo questa curva-.
Svoltammo l'angolo, e ci fu un coro di ‘oooooh’!
Lo stretto sentiero si era aperto all’improvviso dando sul
bordo di un grande
lago nero. In lontananza, appollaiato in cima ad una montagna, il
castello di
Hogwarts si stagliava contro il cielo puntellato da migliaia di stelle.
Le
numerose torre e torrette si innalzavano verso l’alto, e le
finestre
scintillavano dorate nel buio della notte.
John mi diede un colpo sul braccio mentre ammiravo a bocca aperta lo
spettacolo.
-Ci siamo-, mi disse tutto sorridente.
-Ci siamo-, ripetei io altrettanto raggiante. -Siamo a Hogwarts-.
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Capitolo 3 *** Il cappello parlante ***
Capitolo 3) Il cappello parlante
-Incendio!-, alcune fiamme scaturirono dalla punta della bacchetta di
Nathan,
accendendo il fornello.
Riempì il pentolino d'acqua, e lo mise sul fuoco, mentre
rovistava nella
credenza. Finalmente trovò alcune vecchie bustine del
tè.
Versò l'acqua bollente in una tazza, ci buttò
dentro la bustina, e prese posto
al tavolo, in attesa.
-Ho fatto un sogno. Uno bello, stavolta-.
'Un sogno? E cosa hai sognato?' rispose la voce
dentro la sua testa.
-Una grande festa, un ballo per l'esattezza-.
'Hai sognato di andare ad un ballo?' chiese la
voce, con tono
sarcastico.
-No, a dire il vero, credo che ci fossi già stato. Ero
più giovane, appena un
ragazzo-.
'E cosa faceva il te più giovane?'
-Ballava, su una pista di ghiaccio, ma non riesco a ricordare
altro-.
'Forse era un ricordo'.
-Forse era solo un sogno che...- le parole di Nathan furono
interrotte da
un improvviso suono secco.
-Cosa è stato?- mormorò sotto voce, alzando la
bacchetta.
Si addentrò nel piccolo corridoio, in direzione
della porta, da cui il
suono era sembrato provenire.
-Non c'è nessuno...-, si disse fra sè e
sè.
Ma qualcosa catturò la sua attenzione: distesa per terra
davanti alla porta,
era comparsa una lettera.
Nathan la raccolse, rigirandosela fra le mani. Sul fronte era disegnato
uno
strano simbolo, una mezzaluna attraversata da tre linee diagonali
parallele.
Aprì la busta, e ne trasse fuori una pergamena scritta a
mano.
‘Nathan,
So che sei riuscito ad arrivare al tuo nascondiglio sano e salvo, e di
questo
ne sono grato.
Probabilmente lo avrai già trovato, ma se così
non fosse, sappi che sulla
scrivania c’è il tuo vecchio diario. Te ne sarai
già accorto: la tua memoria è
stata cancellata, ed è fondamentale che tu la riprenda,
perciò leggi
attentamente ogni singola pagina.
Non posso fornirti ulteriori informazioni per paura che questa lettera
cada
nelle mani sbagliate, ma sappi che cercherò di mettermi in
contatto con te il
prima possibile. Fino ad allora resta al sicuro, e non uscire di casa
per
alcuna ragione al mondo.
A presto,
il Lupo di
Mezzanotte’
Nathan finì di leggere la lettera, e si
lasciò sfuggire
un sospiro di sollievo.
-Le nostre supposizioni erano corrette, qualcuno ci ha davvero
cancellato la
memoria. La vera domanda ora è; per quale motivo?-
L'uomo si avvicinò alla scrivania, e posò la
lettera di fianco al libro.
Poi aprì il suo diario, e continuò a leggere.
-
Eravamo tutti intenti ad ammirare il castello di Hogwarts, quando la
voce di
Hagrid ci riportò alla realtà.
-Non più di quattro per battello-,avvertì
l’omone indicando una decina di
barchette in legno arenate sulla riva del lago.
Io e John salimmo su una delle imbarcazioni vuote, e Sam e Justin ci
seguirono
occupando i due posti dietro di noi.
-Tutti a bordo?-, gridò Hagrid, e notai che sedeva in una
barca grande il
doppio rispetto a tutte le altre.-Bene...si parte!-
Le barchette si staccarono dalla riva come se qualcuno avesse dato loro
una
forte spinta, e cominciarono a scivolare ordinate sulla superficie nera
del
lago.
Nessuno parlava, eravamo tutti in silenzio, troppo occupati ad ammirare
il
grande castello che torreggiava su di noi da sopra la rupe su cui era
arroccato. Le luci si facevano sempre più grandi e vicine
man mano che ci
avvicinavamo.
-Giù la testa!-, gridò Hagrid quando le barche
della prima fila raggiunsero la
scogliera. Tutti quanti abbassammo il capo, e i battelli attraversarono
una
cortina d’edera, che come una tenda nascondeva una grande
apertura nella
roccia.
Le barche scivolarono in silenzio attraverso un lungo tunnel immerso
nell’oscurità, che terminò in una
specie di piccolo porto sotterraneo.
Qui tutti cominciarono a scendere dalle barche, e ad arrampicarsi lungo
un
sentiero tra scogli e sassi. Attravversammo un lungo passaggio nella
roccia,
guidati da Hagrid e dalla sua grande lampada, e finalmente emergemmo su
un
prato ricoperto di erba umida, proprio sotto il grande castello.
Salimmo una grande scalinata di pietra, il rumore di decine di piccoli
piedi
che scalpitavano impazienti, e ci affollamo davanti al grande portone
di
quercia.
-Ci siamo tutti?-, chiese Hagrid guardandosi intorno. -E tu, ce
l’hai ancora il
tuo rospo?-, chiese al ragazzo dalla faccia tonda, che annui stringendo
un
grosso rospo fra le braccia.
Hagrid alzò il pugno gigantesco e bussò tre volte.
La porta si aprì all’istante, come se il nostro
arrivo fosse stato programmato
al millesimo di secondo.
Sull’uscio apparve una strega alta vestita di verde smeraldo.
Aveva dei capelli
corvini raccolti in uno stretto chignon, e un volto
dall’espressione molto
severa, sormontato da un paio di occhiali squadrati.
La guardai attentamente, e dall’aria seria capii subito che
quella era una
persona con cui era meglio non mettersi contro.
-Ecco qua gli allievi del primo anno, professoressa McGranitt-, disse
Hagrid.
-Grazie, Hagrid. Da qui in avanti li accompagno io-.
La professoressa McGranitt si girò e spalancò la
porta.
La sala d’ingresso era enorme, sembrava un grande giardino al
chiuso, e il
soffitto era talmente alto che si vedeva a malapena. Sulle pareti di
pietra
brillavano numerose torce, e il guizzo delle lore fiamme dava un senso
di
sicurezza e calore.
Di fronte a noi si allungava una ricca e decorata scalinata in marmo,
che
conduceva ai piani superiori.
Seguimmo la McGranitt attraverso la sala, e potevo udire il brusio di
centinaia
di voci provenire da una porta alla nostra destra. Immaginai che quella
doveva
essere la Sala Grande, e che gli altri studenti fossero già
arrivati, ed ero
già pronto ad entrare, ma la professoressa
continuò dritta e ci guidò in una
piccola stanza vuota. Ci stringemmo tutti dentro, un po’
scomodi, guardandoci
intorno nervosi.
-Benvenuti ad Hogwarts-, disse la professoressa McGranitt non appena
tutti
fummo dentro. -Il banchetto per l'inizio dell'anno scolastico
avrà luogo tra
breve, ma prima di prendere posto nella Sala Grande, verrete smistati
nelle
vostre case. Lo Smistamento è una cerimonia molto
importante, perché per tutto
il tempo che passerete qui a Hogwarts, la vostra casa sarà
un po' come la
vostra famiglia. Frequenterete le lezioni con i vostri compagni di
casa,
dormirete nei locali destinati alla vostra casa e passerete il tempo
libero
nella sala di ritrovo della vostra casa. Le quattro case si chiamano
Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde.-, ai nomi delle case io
e John
ci scambiammo un’occhiata silenziosa.
-Ciascuno ha la sua nobile storia e ciascuno ha sfornato maghi e
streghe di
prim'ordine. Per il tempo che resterete a Hogwarts, i trionfi che
otterrete
faranno vincere punti alla vostra casa, mentre ogni violazione delle
regole gliene
farà perdere. Alla fine dell'anno, la casa che
avrà totalizzato più punti verrà
premiata con una coppa, il che costituisce un grande onore. Spero che
ognuno di
voi darà lustro alla casa a cui verrà destinato.
La Cerimonia dello Smistamento
inizierà tra pochi minuti, davanti a tutti gli altri
studenti. Nell'attesa, vi
suggerisco di farvi belli più che potete. Tornerò
non appena saremo pronti per
la cerimonia-, concluse dirigendosi verso l’uscita, e tutti
ci facemmo da parte
per farla passare. -Vi prego di attendere in silenzio-.
Mi guardai attorno, e notai che molti avevano un’aria
preoccupata, se non
terrorizzata.
-Di preciso, in che modo ci smistano per casa?-, chiese il ragazzino
dagli
occhiali rotti e i capelli spettinati ad un altro studente alto e dai
capelli
rossi.
-Una specie di prova, credo. Fred ha detto che fa un sacco male, ma
penso che
stesse scherzando-, rispose il rosso, ma sembrava un po’
preoccupato anche lui.
-Non-non ci faranno fare nessuna prova, vero Nathan?-, mi chiese John
tutto
pallido.
-Non ne ho idea, Tom non mi voleva mai dire niente quando gli chiedevo
dello
smistamento-, risposi io ansioso. -Cavoli, non ho neanche la mia
bacchetta con
me!-
-Nemmeno io, l’ho lasciata nel baule-, deglutì
John, e un attimo dopo sobbalzò,
mentre molti ragazzi dietro di lui gridavano.
Io alzai lo sguardo, e per un attimo mi sentii mancare il fiato.
Una ventina di fantasmi erano appena entrati nella stanza attraverso la
parete
in fondo. Erano di un bianco perlaceo e leggermente trasparenti, si
riusciva a
vedere attraverso di loro, e scivolavano per la stanza a pochi
centrimentri da
terra, parlando allegri tra di loro senza degnarci di uno sguardo.
-Io dico che bisogna perdonare e dimenticare; dobbiamo dargli un'altra
possibilità...-, stava dicendo il fantasma di quello che
sembrava un piccolo
monaco tondo e grasso.
-Mio caro Frate, non abbiamo forse dato a Pix tutte le
possibilità che
meritava? Non fa che gettare discredito sul nostro nome, e poi lo sai,
non è
neanche un vero e proprio fantasma...-, gli rispose un fantasma in
calzamaglia
e gorgiera, che ad un tratto sembrò notare noi studendi. -
Ehi, dico, che cosa
ci fate qui?-
Ma nessuno di noi rispose, eravamo troppo pietrificati per fare
qualsiasi cosa.
-Nuovi studenti!-, disse il frate grasso correndo ad abbracciare alcuni
ragazzi. I poveri malcapitati rabbrividirono quando le grosse braccia
del
monaco li attraversarono, ma erano troppo spaventati per dire
qualcosa.-In
attesa di essere smistati, suppongo-, aggiunse.
Alcuni fecero di sì con il capo, ma senza parlare.
-Spero di vedervi tutti a Tassorosso!-, disse il Frate sorridendo.
-Sapete, è
stata la mia casa-.
-E ora, sgombrare!-, ordinò una voce aspra e decisa
all’improvviso. -Sta per
cominciare la cerimonia dello smistamento!-.
La professoressa McGranitt era tornata, e uno a uno i fantasmi
abbandonarono la
stanza attraversando il muro di fronte.
-Mettetevi in fila e seguitemi-, ci ordinò, e io mi misi in
fila dietro John e
davanti ad una ragazza dai crespi capelli castani, che continuava a
bisbigliare
formule di incantesimi sottovoce come un’isterica.
Uscimmo dalla stanza in fila indiana, tornando nella sala
d’ingresso. Passamo
davanti a qualche paio di grosse porte, ed infine entrammo nella Sala
Grande.
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, restammo di nuovo tutti
a bocca
aperta.
La Sala Grande era immensa, sembrava un’enorme cattedrale. I
quattro tavoli
delle case si allungavano tutto attorno a noi: erano apparecchiati con
piatti e
calici d’oro che scintillivano alla luce di migliaia di
candele che volavano
sospese a mezz’aria.
In fondo alla sala c’era un quinto tavolo, posto in
orizzontale, attorno al
quale erano seduti tutti i professori, ed era li che la professoressa
McGranitt
ci stava conducendo.
Tutto attorno a noi, centinaia di studenti ci osservavano incuriositi.
Mi
sentivo a disagio ad essere fissato in quella maniera, quindi per
distogliere
lo sguardo alzai la testa e fissai il soffitto. Sembrava un grande telo
di
velluto nero tempestato di tante stelle luminose.
-E’ per magia che somiglia al cielo di fuori! L’ho
letto in storia di Hogwarts!-,
sentii bisbigliare la ragazza dietro di me.
Guardai di nuovo in alto, ancora più meravigliato di prima.
Sembrava
semplicemente che
il soffitto non esistesse e che invece la sala si trovasse
all’aperto, sotto il
cielo stellato.
Nel frattempo eravamo arrivati in fondo alla sala, di fronte al tavolo
degli
insegnanti, e la professoressa McGranitt aveva collocato uno sgabello a
quattro
gambe davanti a noi.
Sopra lo sgabello mise un vecchio cappello da mago, logoro e pieno di
toppe.
Cominciai a guardarmi intorno, chiedendomi cosa sarebbe successo, ma
notai che
tutti nella sala stavano fissando il cappello, e li imitai.
Per qualche secondo ci fu un silenzio assoluto, nessuno proferiva
parola.
Poi il cappello ebbe come un sussulto, un strappo vicino al bordo si
spalancò
come una bocca, e lui cominciò a recitare.
‘Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c'è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltate
qual è la casa in cui rimanere.
Forse Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure
E mettetemi in capo all'istante
Con me sarete in mani sicure
Perché io sono un Cappello Parlante!’
No appena ebbe finito la filastrocca, tutta la sala scoppiò
in un fragoroso
applauso. Il cappello fece un breve inchino a ognuno dei quattro
tavoli, e poi
tornò immobile come prima.
-Oh, grazie al cielo dobbiamo solo provare il cappello. Temevo
già che ci
mettessero a combattere contro un gigante o roba del genere-,
sospirò sollevato
John da davanti a me.
La professoressa McGranitt si fece avanti, tenendo un lungo rotolo di
pergamena
tra le mani.
-Quando chiamerò il vostro nome, voi metterete il cappello
in testa e vi siederete
sullo sgabello per essere smistati-, spiegò brevemente. Poi
lesse il primo nome
in cima alla lista, e chiamò:-Abbot, Hannah!-
Dalla fila sbucò una ragazzina dalla faccia rosea e con i
capelli biondi
raccolti in due codini. Per l’emozione inciampò,
poi si sedette sullo sgabello
e indossò il cappello che le ricadde sopra gli occhi in
maniera buffa.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la bocca del capello gridò:
-TASSOROSSO!-
Il tavolo di Tassorosso, alla mia destra, fece un grido di gioia e
cominciò a
battere le mani mentre Hannah prendeva posto accanto a loro.
-Boot, Terry-
-Corvonero!-
Questa volta fu il secondo tavolo a sinistra a battere le mani e
gioire, e
molti Corvonero si alzarono per stringere la mano di Terry mentre
questi
prendeva posto.
Anche Brocklehurst Mandy finì a corvonero, ma poi Brown
Lavanda fu
assegnata a Grifondoro, e il tavolo all’estrema sinistra
esplose in un boato
generale mentre le davano il bevenuto.
Bulstrode Millicent fu invece la prima Serpeverde. Notai che aveva un
aspetto
sgradevole, sembrava un piccolo troll con sembianze femminili. Come al
solito,
i peggiori finivano a Serpeverde, pensai tra me e me.
-Edge, Samuel!-
Sam uscì dalla fila, e sembrava sul punto di svenire,
talmente era bianco in
volto.
Si sedette sullo sgabello e si calò il cappello in testa.
Il cappello ci mise un po’, e riuscivo a vedere il sudore che
imperlava la
faccia di Sam, ma dopo un po’ urlò -TASSOROSSO-, e
Sam con un sollievo si alzò
e andò a sedersi tra gli studenti che lo accolsero con un
fragore di gioia.
Essendo che lo smistamento proseguiva in ordine alfabetico,
mi resi conto
che con un cognome come Zeller non potevo che essere fra gli ultimi, e
imprecai
mentalmente. L’attesa mi stava uccidendo.
Non stavo più prestando attenzione ai nomi, ma quando la
voce chiamò Granger
Hermione, la ragazzina dietro di me scattò in avanti
urtandomi e quasi si mise
a correre, afferando il cappello e calandoselo in testa.
Questi tuonò nuovamente -GRIFONDORO-, e successivamente la
McGranitt chiamò.
-Lane, John-.
Diedi una pacca di incoraggiamento sulla schiena a John, mentre questi
da
davanti a me usciva dalla fila e si dirigeva verso il cappello.
Non saprei dire cosa provai esattamente quando il cappello
gridò -CORVONERO!-.
John sembrava un po’ stupito, ma si alzò e
andò a sedersi tra i suoi nuovi
compagni di casa.
Io invece pensai che ora sarei dovuto finire nella stesa casa di mio
fratello,
e la cosa mi dava non poco fastidio. In realtà pensavo
già che sarei finito in
Corvonero, dato che molto spesso i fratelli finivano nella stessa casa,
ma ora
non potevo neanche sperare il contrario se volevo rimanere con John.
Quasi maledissi John tra me e me, avrebbero potuto scegliere qualsiasi
altra
casa, persino Serpeverde mi sarebbe andata bene!
Nel frattempo Paciock, Nevile era stato smistato a Grifondoro, e il
ragazzo
dalla faccia tonda era corso dallo sgabello con il cappello ancora in
testa, ed
era dovuto tornare indietro tra le risate generali per consegnarlo a
Macdougal
Morag.
Seguì un ragazzo biondo dall’aria tracotante che
fu smistato in Serpeverde non
appena il cappello ebbe toccato la sua testa.
Malfoy Draco corse tutto compiaciuto a sedersi al tavolo delle serpi.
Due gemelle, entrambe Patil, furono però smistate in case
diverse, una in
Corvonero e l’altra in Grifondoro, e per un attimo ebbi un
attimo di speranza
per il fatto che forse non sarei finito nella stessa casa di Tom.
Ma poi mi ricordai di John, e la speranza svanì.
-Potter, Harry!-, chiamò la voce della McGranitt, e io alzai
lo sguardo
ritrornando alla realtà.
Avevo sentito bene?
Il ragazzo dagli occhiali rotti e i capelli spettinati che avevo visto
prima
sul treno cominciò ad avanzare verso lo sgabello, e io
cercai di guardare la
sua fronte. Fu allora che la vidi, una cicatrice a forma di saetta.
Ebbi un
sussulto di sorpresa.
Notai che tutta la sala ad un tratto era stata percossa da numerosi
sussurri.
Tutti cercavano di allungare il collo per vedere meglio.
Harry Potter si sedette sullo sgabello e si calò il cappello
in testa, e presto
la sua cicatrice non fu più visibile.
Dopo un tempo sorprendemente lungo, il cappello parlante
tuonò -GRIFONDORO-.
Tutta la sala scoppiò in un boato, che notai provenire
principalmente dal
tavolo dei Grifondoro, dove tutti si stavano accalcando sul nuovo
arrivato per
poterlo salutare, e per poterlo vedere meglio.
Poi la McGranitt chiamò, -Strong, Arianna!-.
Una ragazzina dai capelli biondo scuro si fece avanti.
Il cappello parlante indugiò per qualche attimo, e infine
gridò -SERPEVERDE!-
La ragazzina si tolse il cappello e si diresse verso il tavolo delle
serpi
senza nessuna espressione particolare sul volto.
Erano rimaste ormai soltanto altre tre persone, oltre a me.
Turpin Lisa diventò una Corvonero, Weasley Ronald un
Grifondoro, e Zabini
Blaise un Serpeverde.
Alla fine, ero proprio l’ultimo della lista, pensai tra me e
me mentre la
McGranitt chiamava. -Zeller, Nathan-, e richiudeva il rotolo di
pergamena.
Con il cuore in gola, mi avvicinai allo sgabello, conducendo una
silenziosa
lotta interiore su quanto volessi o meno finire in Corvonero.
Mi sedetti,
infilai il cappello, e il mondo parve scomparire.
Fissai per qualche istante l’interno nero del cappello, poi
una voce nella mia
testa parlò.
-Mhhh, curioso, sembri essere combattuto. Hai paura di finire nella
stessa casa
di tuo fratello perché questo vorrebbe dire dover essere
alla sua altezza e
subire i suoi torti, ma d’altro canto, faresti di tutto pur
di seguire il tuo
amico-.
Credo che in quel momento annui interiormente, perché il
cappello riprese. -Ahh,
molto bene, il tuo è un comportamento molto nobile, un forte
sentimento di
amicizia direi. Ma il tuo amico si troverà bene anche da
solo, vedrai. D’altro
canto, ci sono molti che potrebbero trarre benefecio da un ottimo amico
come
te. Per questo, la scelta mi pare più che ovvia. TASSOROSSO!-
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Capitolo 4 *** La Tana di Tassorosso ***
Capitolo 4) La Tana di Tassorosso
Nathan dormiva.
Disteso sul grande letto, con una mano che penzolava dal bordo e
oscillava lentamente, continuava a muoversi nel sonno.
Dentro la sua testa, una donna piangeva, singhiozzando come una
forsennata.
'Chi sei?', chiese Nathan alla figura che non poteva vedere.
'P-perché stai piangendo?'
Ma in tutta risposta, la donna semplicemente continuò a
piangere, senza rispondere.
'Perché...perché stai piangendo?' chiese
nuovamente Nathan mentre un orologio, da qualche parte in lontananza,
batteva la mezzanotte.
La donna singhiozzò più forte, in un lamento
acuto, e Nathan si svegliò all'improvviso, alzandosi a
sedere di colpo e ansimando spaventato.
'Di nuovo un sogno?' domandò
la voce familiare dentro la sua testa.
-Non...non lo so...un sogno, un incubo...forse un ricordo- rispose
Nathan con tono confuso. -Ho sentito qualcuno piangere...ho sentito un
orologio, un grande orologio...dai rintocchi doveva essere mezzanotte-.
'Mezzanotte?
Perché mai saresti dovuto essere in giro a mezzanotte?'
-Non ne ho idea...ma perché qualcuno stava
piangendo?- chiese Nathan scostando le coperte di lato e alzandosi. -Ma
soprattutto, chi è che piangeva a mezzanotte?-
-
Tassorosso.
Il nome rimbombava ancora nelle mie orecchie quando mi alzai dallo
sgabello.
La McGranitt dietro di me arrotolò la pergamena e si
allontanò con il cappello
parlante, mentre io mi dirigevo verso il tavolo dei tassorosso.
Non potei fare a meno di sorridere quando una miriade di facce
sorridenti mi
accolsero stringendomi la mano e dandomi il benvenuto nella famiglia.
Sam mi fece un cenno con la mano, indicandomi un posto libero sulla
panca, e io
andai a sedermi di fianco a lui.
-Oh, che fortuna essere capitati insieme!-, mi disse lui raggiante
mentre si
guardava intorno, ancora preda del fascino della Sala Grande.
Io annuii senza troppo entusiasmo, e alzai lo sguardo verso il tavolo
dei
Corvonero.
Incontrai gli occhi di John, il quale fece un sorriso triste e si
strinse nelle
spalle come per dire ‘E’ andata così,
amico’.
Io annuii a mia volta, e gli feci un cenno d’assenso alzando
i pollici, prima
che lui si voltasse verso uno dei suoi nuovi compagni.
-Non ti preoccupare, avrai un sacco di occasioni per stare con il tuo
amico,
anche se siete in case diverse-, disse una voce calda alla mia destra.
Mi voltai di scatto, e mi ritrovai davanti un ragazzo del terzo, forse
quarto
anno.
-Come hai?...-, cominciai a chiedergli io, ma lui ma battè
sul tempo.
-Ci sono passato anche io quando fui smistato, il mio migliore amico
finì in
Grifondoro. Avevo la tua stessa espressione, e probabilmente anche gli
stessi
pensieri. Ma non preoccuparti, la maggior parte delle ore di lezione si
fanno
sempre in coppia con un’altra casa, quindi avrete modo di
vedervi-, mi disse
tutto sorridente.
Rimasi per un attimo colpito dall’immediatezza della
risposta, e non seppi cosa
dire sul momento, ma per fortuna in quell’istante il preside
si alzò in piedi e
si rivolse alla sala.
-Benvenuti!-, disse. -Benvenuti al nuovo anno scolastico di Hogwarts!
Prima di
dare inizio al nostro banchetto, vorrei dire qualche parola. E
cioè: pigna,
pizzicotto, manicotto, tigre! Grazie!-, e detto ciò, torno a
sedersi.
Io lo guardai confuso, ma attorno a me tutti battevano le mani e
gridavano
entusiasti.
-E’ qualche vostro strano rituale da maghi?-, mi chiese Sam
sottovoce.
-Non ne ho la più pallida idea-, risposi semplicemente io.
Ma in un battibaleno, le parole di Silente furono dimenticate: di
colpo, i
piatti davanti a me si erano riempiti di pietanze: pollo arrosto,
braciole di
maiale e di agnello, roast beef, salsicce, bacon e bistecche, patate
lesse,
patate arrosto, patatine fritte, Yorkshire pudding, piselli, carote,
ragù,
salsa ketchup e una varietà di dolci che spazziavano dalle
torte, ai
pasticcini, ai gelati multigusto.
Ero intento a riempire il mio piatto con salsiccie e patate arrosto,
quando il
tavolo attorno a me esplose in un boato.
Mi guardai attorno cercando di capire il perché di tanta
confusione, e notai
che tutti fissavano l’estremità del nostro tavolo,
dove il fantasma del Frate
Grasso fluttuava a mezz’aria.
-Avanti Frate, fai vedere ai nuovi arrivati di cosa sei capace!-,
urlò una
voce,e il Frate accolse l’invito con un leggero inchino.
Si levò in alto, e con uno scatto improvviso si
lanciò sul tavolo, scivolando
velocissimo sul grande pancione e
ridendo come un matto. Arrivato all’altro capo,
volò via dalla superficie di
legno e si librò in aria con una leggere capriola.
Tutti i Tassorosso scoppiarono in uno scroscio di applausi e fischi di
ammirazione, e anche io mi unii a loro divertito.
Il Frate tornò volteggiando verso di noi, e si sedette al
centro del tavolo
incrociando le gambe e infilando le mani nelle grandi maniche del suo
saio.
-Passata un’estate tranquilla, Frate?-, chiese una ragazza
prendendo una coscia
di pollo attraverso la gamba del fantasma.
-Deliziosa Anette, davvero deliziosa. Io, Gulliver e Merwyn abbiamo
messo su
una piccola orchestra e ci siamo divertiti a dilettare gli altri
fantasmi per
tutto agosto. Molti hanno apprezzato, ma il Barone Sanguinario si
è lamentato
del fatto che eravamo ‘troppo allegri’. Ora stiamo
cercando di convincere
alcune suore malinconiche a unirsi come coro del gruppo, ma non stiamo
avendo
molti successi-, rispose lui un po’ cupo.
-Ma allora, dovete assolutamente venire a suonare alla prima festa
nella Tana!-,
scattò il ragazzo alla mia destra.
-Oh-oh, dice sul serio, mastro Cedric?-, chiese il frate, illuminandosi
tutto
d’un tratto.
-Ma assolutamente! Così per una volta non dovremo ascoltare
quella robaccia di
Radio Strega Network-, esclamò un ragazzo dai capelli rasati.
-Hey, se la mia non ti va bene, la prossima volta infiltrala te una
radio
nascondendola a Gazza. Voglio proprio vederti dove te la infili per non
farti
beccare-, rispose un altro, e tutto il tavolo scoppiò a
ridere.
-Oh, farò di meglio, inviterò Gazza ad una
romantica cena a lume di candela,
con Celestina Warbeck che canta di sottofondo-, il ragazzo con i
capelli rasati
impugnò una coscia di pollo a mo di microfono.
-‘Vieni con me su un manico di scopa per
guardare le stelle lassù
E
io ti darò, caro, un
calderone pieno di forte amor bollente’!-
Tutti scoppiarono nuovamente a ridere, mentre
l’amico si univa in un duetto
ed entrambi si alzavano in piedi cantando a squarciagola. Nel giro di
un
attimo, tutto il tavolo si era unito in un grande coro, e io stesso mi
ritrovai
a cantare con loro.
Notai che gli altri tavoli ci guardavano divertiti, come se episodi del
genere
fossero del tutto normale.
E con ‘ridammi, ti prego, il mio cuore innamorato’,
la canzone si concluse in
un’unica, lunga nota acuta, al termine del quale tutto il
tavolo di Tassorosso
scoppiò in un grande applauso a cui si unirono anche molti
Grionfodoro e
qualche Corvonero.
Sorridendo, non potei fare a meno di notare che per quanto anche agli
altri
tavoli aleggiasse un’atmosfera allegra, nessuno sembrava
divertirsi come noi.
Incitato dagli altri, il Frate tirò fuori dal nulla una
piccola chitarra a
quattro corde. Iniziò ad intonare un motivetto in latino, di
cui non capivo
mezza parola, ma che però risuonava gradevole e allegro.
Notando gli altri fantasmi attorno ai tavoli, mi stupii di come il
Frate
risultasse incredibilmente allegro rispetto a loro. Mi girai verso il
ragazzo
alla mia destra, quello che mi aveva parlato del suo smistamento, e
feci per
chiederglielo, quando mi resi conto che non gli avevo nemmeno chiesto
il nome.
-Ehmm, scusa, tu sei?...-chiesi un po’ in imbarazzo.
-Cedric, Cedric Diggory-, si presentò lui ufficialmente,
tendendomi la mano.
-Nathan Zeller-, risposi stringendola, e in quel momento lui
aggrottò la
fronte.
-Allora non avevo sentito male. Sei per caso fratello di Tom Zeller?-.
-Ehm, sì-, risposi io, un po’ colpito dal suo
improvviso cambio di tono.
-Perdonami se te lo dico, ma tuo fratello non mi sta particolarmente
simpatico.
Ha delle idee strane, ed è particolarmente testardo-,
rispose infilzando una
salsiccia.
-Oh, non dirlo a me, lo so bene. Mai fare l’errore di
contraddirlo, secondo lui
la sua parola è legge-, dissi io sbuffando.
-Sì, diciamo che ne so qualcosa. L’ultima volta
che l’ho fatto, ne è uscito
fuori un bel duello-, disse lui casualmente.
A me quasi andò di traverso il succo di zucca.
-Hai combattuto contro mio fratello?- chiesi io, non credendo alle mie
orecchie.
-Si, l’anno scorso. Non te lo ha detto?-
-No, mio fratello non mi dice praticamente mai nulla di quello che fa-.
-Ahh, allora non credo stia a me informartene, forse è
meglio così-, disse
infine con un sorriso, tornando al suo piatto,e io non feci ulteriori
domande.
Morivo dalla voglia di sapere cosa fosse successo tra i due, ma mi
rendevo
conto che in fondo non erano affari miei. Non sapevo motlo su di
Cedric, ma mi
era sembrato un tipo a posto, e conoscendo il carattere di Tom, non era
molto
difficile supporre chi tra i due era dalla parte del torto. Ma chi lo
sa, forse
mi sbagliavo.
Ero immerso nei miei pensieri, quando anche gli ultimi dolci
scomparvero, e il
professor Silente si alzò nuovamente in piedi,e nella sala
scese immediatamente
il silenzio.
-Ehm... solo poche parole ancora, adesso che siamo tutti sazi di cibo e
di
bevande. Ho da darvi alcuni annunci di inizio anno. Gli studenti del
primo anno
devono ricordare che l'accesso alla foresta qui intorno è
proibito a tutti gli
alunni. E alcuni degli studenti più anziani farebbero bene a
ricordarlo anche
loro.-
Sam mi guardò con fare interrogativo, ma io gli feci cenno
che gli avrei
spiegato più tardi.
- Inoltre, il signor Gazza, il guardiano, mi ha
chiesto di
ricordare a voi tutti che è vietato fare gare di magia tra
classi nei corridoi-,
il ragazzo con i capelli rasati e il suo compagno si guardarono con un
ghigno
divertito.
-Le prove di Quidditch si terranno durante la seconda settimana
dell'anno
scolastico. Chiunque sia interessato a giocare per la squadra del suo
dormitorio è pregato di contattare Madama Bumb. E infine,
devo avvertirvi che
da quest'anno è vietato l'accesso al corridoio del terzo
piano a destra, a meno
che non desideriate fare una fine molto dolorosa-.
Di nuovo Sam mi guardò, ma questa volta anche io ero
confuso. Nessuno mi aveva
mai parlato di un corridoio proibito.
- E ora, prima di andare a letto, intoniamo l'inno
della scuola!’-,
gridò Silente, e notai come in quel momento tutti gli
insegnanti avessero
assunto un’espressione particolarmente imbarazzata.
Il preside diede un colpo di bacchetta, e della punta
fuoriuscì un grande
nastro dorato che si sollevo per aria, cominciando a contorcersi e
piegarsi
assumendo la forma delle parole.
-Ognuna scelga il motivetto che preferisce-, disse silente. -Via!-.
Tutta la scuola intonò:
‘Hogwarts, Hogwarts del nostro cuore,
te ne preghiamo, insegnaci bene
giovani, vecchi, o del Pleistocene,
la nostra testa tu sola riempi
con tante cose
interessanti.
Perché
ora è vuota e piena di venti,
di mosche morte e idee deliranti.
Insegnaci dunque quel che è richiesto,
dalla memoria cancella l'oblio
fai del tuo meglio, a noi spetta il resto
finché al cervello daremo l'addio.’
Ognuno nella sala finì la canzone in tempi diversi, e verso
la fine erano
rimasti solo due gemelli di Grifondoro che stavano intonando una lenta
marcia
funebre.
Quando tutti ebbero finito, Silente applaudì fragorosamente.
-Ah, la musica!- disse asciugandosi gli occhi. -Una magia che supera
tutte
quelle che noi facciamo qui! E adesso, è ora di andare a
letto. Via di corsa!-.
Ci fu un baccano incredibile quando le panche raschiarono contro il
pavimento
della sala, mentre gli studenti si alzavano e cominciavano a parlare
tutti
insieme.
-Andiamo ragazzi, vecchi e nuovi che voi siate!-, disse un Tassorosso
dai
lunghi capelli neri che portava al petto la spilla da Prefetto.
Si fece strada nella fiumana di gente, e noi lo seguimmo. Mentre
passavamo
notai Tom davanti a noi, intendo a sua volta a svolgere il suo ruolo da
Prefetto
scortando gli studenti di Corvonero. Tra di essi vidi anche John, e ci
salutammo con un rapido cenno della testa.
Uscimmo dalla sala comune, e imboccammo la grande scalinata in marmo
che avevo
visto entrando. Sbucammo in una grande sala che si innalzava per molti
piani,
con decine di scale che collegavano i vari piani. Qui gli studendi di
Grifondoro e Corvonero presero a salire verso le torri più
alte, mentre noi e i
Serpeverde imbucammo la scala che portava verso il basso. Le serpi
svoltarono
in un corriodio laterale, e sparirono subito dalla vista, mentre noi
invece
continuammo per un corridoio di pietra illuminato da decine di torce.
-A differenza dei sotterannei, il seminterrato ha meno spifferi, e
molto più
accogliente, ospiale quasi-, spiegò il nostro Prefetto, che
avevo appreso si
chiamasse Martin, indicando le molte torce appese ai muri,glii arazzi
colorati
e i dipinti disseminati qua e la. C’erano quadri di nature
morte, un paesaggio
di campagna, un ritratto di un vecchio mago, uno che rappresentava un
cesto
pieno di frutta e molti altri.
All’improvviso il gruppo si fermò, e notai che
tutti stavano fissando dei
barili enormi impilati contro il muro di pietra del corridoio.
Martin individuò la seconda botte dal basso, nel mezzo della
seconda fila, e
cominciò a colpirla seguendo un preciso ritmo.
Un’istante dopo, il grande coperchio del barile si
aprì verso l’esterno come
una grande porta rotonda, rivelando un altro piccolo corridoio che
sembrava
proseguire all’interno della botte.
Chi piegato, chi strinsciando carponi, entrammo uno ad uno dentro la
botte, e
quando anche l’ultimo di noi fu dentro, questa semplicemente
si richiuse senza
far alcun rumore.
-Perché, cosa succede se sbagliamo?-, chiese Samuel dietro
di me con voce
preoccupata.
-Oh, niente di che, il tappo del barile che avete colpito
salterà in aria innondandovi
di aceto-, rispose Martin da davanti. -E in quel caso, vi sconsiglio
vivamente
di entrare dentro prima di esservi tuffati nel Lago Nero-.
Qualcuno ridacchiò, e all’improvviso una luce si
allargò davanti a me mentre
emergevo dal tunnel.
-Vecchi e nuovi compagni, benvenuti e bentornarti, alla Tana di
Tassorosso-,
esclamò Martin allungando un braccio in segno di saluto.
Mi ritrovai in una grande e accogliente sala rotonda, dal soffitto
basso, che
ricordava vagamente la tana di un tasso. La stanza era decoranta nei
toni
allegri del nero e del giallo, enfatizzati ulteriormente dalle liscie
superfici
del legno color miele di cui erano fatti i tavoli e le porte rotonde
che
portavano ai dormitori. Un profumo colorato di piante e fiori aleggiava
ovunque
nell’aria, creando un’atmosfera particolarmente
rilassante e allegra. Numerosi
piccoli arbusti erano disposti ordinati sulle file degli scaffali a
ridosso
delle mura, che apparivano leggermente incurvati per adattarsi alla
forma del
muro, e salutavano gli studenti agitando i rami e le foglie al loro
passaggio.
Dal soffitto pendevano dei piccoli contenitori bronzei, da cui lunghi
viticci
di felci ed edere oscillavano tranquilli accarezzandoti la testa quando
ci
passavi sotto.
Sulla mensola lignea del camino era appeso un grande quadro, la cui
cornice era
stata finimente intagliata con tanti piccoli tassi danzanti. Al suo
interno,
una sorridente Tosca Tassorosso salutava gli studenti, brindando a loro
innalzando una piccola coppa dorata a due manici.
Lungo le mura correvano una serie di piccole finestre rotonde, che
davano sul
livello del terreno e attraverso le quali si poteva scorgere il prato
immerso
nell’oscurità.
Rimasi per qualche minuto incantanto ad osservare ogni minuscolo
dettaglio
attorno a me, come rapito da ogni singola cosa.
Non potei fare a meno di pensare che quel luogo sembrasse un posto
incredibilmente comodo.
Martin apparve all’improvviso di fianco al nostro gruppetto
del primo anno,
riportandomi alla realtà.
-Se i ragazzi del primo anno vorrano seguirmi, vi mostrerò
il vostro dormitoio.
Le ragazze possono seguire...oh dove diavolo è finita
adesso?-, alzò il collo
cercando qualcuno fra la folla. -Helga, avrete tutta la sera per
raccontarvi
l’estate, ora potresti adempiere ai tuoi doveri sociali? O
devo entrare io, di
nuovo, nel dormitorio femminile?-, chiese con un sorriso malizioso ad
un
gruppetto di ragazze più grandi.
-Oh, vorrei solo che ci provassi...-,
rispose alzandosi una ragazza bassa dai capelli corvini, e
venendo verso
di noi.
-E’ una sfida?-, chiese Martin, ergendosi in tutta la sua
altezza e
torreggiando su di lei.
Nonostante il ragazzo fosse di qualche spanna più alta di
lei, Helga non battè
ciglio e anzi, piccola come era, sembrava ancora più
minacciosa.
-A tuo rischio, e, pericolo-, scandì lentamente tracciando
una piccola X sul suo
petto. -Andiamo ragazze, é arrivato il momento che voi
vediate il posto che
veramente merita qui dentro-, e accompagnata dal gruppetto delle
ragazze,
scomparvero attraverso una delle tante porte rotonde.
Martin la guardò sparire con il sorriso sulle labbra, mentre
scuoteva il capo.
Poi si girò, e condusse anche noi attraverso
un’altra delle porte rotonde,
attraverso uno stretto corridoio.
-Bene ragazzi, troverete la vostra roba già al suo posto,
fatevi comodi e
quando volete tornate di la-, e con questo ci concedò
sparendo.
Anche questa stanza, come tutte le altre, era circolare e dal soffitto
basso.
Disposti a cerchio attorno ad una piccola stufa, c’erano
cinque letti in legno ricoperte
da delle soffici coperte patchwork, ovviamente di colore giallo-nero, e
tra
ogni letto ed un altro c’era una piccola finestra.
I bauli con i nostri nomi erano già posizionati oguno di
fianco ad un letto, e
io mi dirissi subito verso il mio. Lo aprii, e tirando fuori qualche
vestito
che era d’intralcio, recuperai finalmente la mia bacchetta e
la infilai nella
tasca dei pantaloni.
Sentii un tonfo ovattato, seguito da un ‘ohhh’ di
sollievo. Mi girai, e vidi
Sam disteso a braccia e gambe divaricate sul suo letto.
-E tipo la cosa più comoda su cui io mi sia mai poggiato-,
rispose con la
faccia immersa nella coperta.
Mi sedetti anche io sul bordo del mio, e mi sentii affondare
leggeremente in un
soffice mare di piume.
Notai che tutti gli altri avevano fatto la stessa cosa, e che ora ci
guardavamo
tutti a vicenda.
Oltre a me e Sam, c’erano anche Ernie, che avevo
già avuto modo di conoscere
sul treno, un ragazzo dalla grossa mascella e dal viso rotondo, che da
quel che
ricordavo dallo smistamento mi pareva si chiamasse Justin, e infine un
ragazzo
basso e un paffuto che non avevo notato prima.
-Beh, facciamo un giro di nomi?-, chiese Ernie. -Io sono Ernest
MacMillan, ma
potete chiamarmi Ernie-.
-Nathan Zeller-.
-Samuel Edge-
-Justin Flynn-fletcher-
-Herman Cronk-, concluse infine il ragazzo paffuto.
Per qualche istante nessuno aggiunse niente, poi Sam si alzò
e propose di
tornare nella sala comune.
Uscimmo in fila dalla stanza, e ritornammo nel salone principale, dove
nel
frattempo tutti si erano messi comodi.
Chi sedeva ai tavoli a giocare a gobbiglie, chi sulle grandi portone
imbottite
davanti al fuoco a chiacchierare, chi semplicemente per terra, distesi
sul
grande tappeto.
Sulla mensola del camino, una piccola radio magica sparava a tutto
volume un brano
delle Sorelle Stravagarie.
Due ragazzi del quarto anno si rincorrevano tra i tavoli, passandosi
una sfera
galleggiante di acqua con le bacchette, uno la lanciava in alto,
l’altro
correva e la catturava nel flusso della sua bacchetta.
Io e Sam prendemmo posto su un divanetto a lato della mensola, e
guardammo
estasiati quella tranquilla frenesia. Dopo un po’ Ernie si
unì a noi e ci
spostammo ad un tavolo per fare una partita di carte. Ci misi un
po’ a spiegare
le regole a Sam, che tra l’altro continuava a farsi distrarre
dal mazzo che si
mischiava da solo.
Eravamo nel corso della quarta partita, quando uno scoppio e un
esplosione di
luce violetta fece sobbalzare tutta la Tana.
Dal dormitorio delle ragazze emerse il prefetto Martin, con una lunga
proboscide viola che gli penzolava dalla faccia arrivandogli al petto.
-Oooooh, molto maturo da parte tua Helga-, disse lui tra un barrito e
l’altro,
mentre tutti nella sala si piegavano dalle risate.
-Così la prossima volta ti risulterà
più facile ficcare il naso dove non ti
spetta, non trovi, mio caro?-, rispose Helga con il sorriso sulle
labbra.
-Un applauso a Martin che è riuscito a guadagnarsi la prima
visita da Madama
Chips in cosa, neanche un’ora?-, chiese sarcastico il ragazzo
pelato che aveva
cantato al banchetto. -Credo sia un nuovo record!-.
-Oh, stai zitto Simon, o giuro che il prossimo anno ti faccio crescere
un culo
in fronte ancora prima di scendere dall’espresso per
Hogwarts-, borbottò
Martin.
-Non credo che cambierebbe molto!-, urlò una voce in
sottofondo, e tutti
scoppiarono di nuovo a ridere.
Alla fine Helga (che a quanto pare, era particolarmente portata per la
trasfigurazione), decise che non era il caso di far uscire Martin di
notte, e
con un semplice colpo di bacchetta gli fece tornare il naso normale.
-Bene ragazzi, è tardino e siamo tutti stanchi, io
consiglierei di filare a
letto, avremo tutto il tempo domani per le cazzate-, disse il prefetto
con un
sonoro sbadiglio. -E Helga, stai certa che questa me la paghi-.
Io e gli altri ritornammo al nostro dormitorio, e mentre ci infilavamo
i pigiami,
chiacchierammo ancora un po’ di tutte le cose pazze che erano
successe solo nel
giro di una serata. Sam era molto curioso, e non la smetteva di fare
domande su
cose che a noi altri apparivano assolutamente normali.
-E poi voglio dire, i quadri si muovono! E le piante danzano! E quella
cosa che
facevano con le sfere d’acqua quei due, non vedo
l’ora di poterlo fare anche
io!-.
Capimmo che si era addormentato quando finalmente scese il silenzio.
Mi infilai a letto, e voltandomi da un lato, guardai il castello che si
ergeva
come un gigante silenzioso oltre la finestra del dormitorio.
Non vedevo l’ora che fosse mattina per poter iniziare le
prime lezioni, e
imparare i primi incantesimi, per poter fare anche io tutte quelle cose
che
avevo visto fare ai ragazzi più grandi. Pensando a quanto
sembrasse surreale
essere finalmente ad Hogwarts, mi addormentai dolcemente, sprofondando
in un
sogno che sarebbe continuato a mattina inoltrata.
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Capitolo 5 *** Insonnia ***
1
Nathan
si spogliò.
Si tolse di dosso la maglia, fece scivolare via i pantaloni e le
mutande, e
tirando la tenda della doccia entrò nella piccola vasca da
bagno.
Lo scroscio dell'acqua bollente sul suo corpo fu una piacevole
sorpresa, come
un vizio da lungo dimenticato.
Rimase per un po' di tempo così, a lasciare che l'acqua gli
scivolasse di dosso
in piccoli rivoli veloci.
Infine chiuse il rubinetto, e decise di uscire.
Si fermò per qualche istante a contemplarsi nello specchio
sopra il lavandino.
Il suo riflesso gli restituiva uno sguardo cupo e dubbioso, e quasi non
si
riconosceva, con i capelli bagnati che gli ricadevano un po' ovunque
sul volto,
e gli occhi stropicciati per l'assenza degli occhiali.
Allungò un braccio per aprire l'armadietto a lato, quando
qualcosa nello
specchio gli catturò l'attenzione.
Per un attimo, gli era parso di vedere quella che sembrava una piccola
ombra
nera muoversi velocissima nel riflesso.
Si guardò intorno confuso, e stiracchiandosi di nuovo
notò finalmente che
quell'ombra era in realtà sulla sua schiena.
Non era un'ombra, bensì una sottospecie di simbolo, inciso
sulla sua spalla
sinistra.
Una mezzaluna, attraversata da tre tagli obliqui paralleli.
Rimase per un attimo a fissarlo, come cercando di ricorda dove l'avesse
già
visto.
Poi comprese.
Si vestì in fretta e furia e uscì dal bagno,
ritornado alla scrivania, dove
aveva lasciato la misteriosa lettera del Lupo di Mezzanotte.
E come aveva temuto, il marchio sulla sua schiena era lo stesso che
compariva
sulla lettera.
'E' questo dannato simbolo che continua a tornare' disse tra
sè e sè.
'E se...' si fermò un attimo a riflterre. 'No, non
può essere, non avrebbe
senso' esclamò voltandosi.
Fissò per un attimo il vuoto, per poi pronunciare ad alta
voce il dubbio che
più di ogni altro lo tormentava: 'E se fossi io il Lupo di
Mezzanotte?'
-
Il
mio primo giorno a Hogwarts,
cominciò più in fretta di quanto mi aspettassi.
Mi svegliai nel morbido letto, avvolto dalle coperte, mentre i primi
raggi del
sole illuminavano il dormitorio circolare.
Mi alzai a sedere sbadigliando, e guardandomi intorno notai che tutti
erano
ancora immersi in un sonno profondo.
Il mio occhio corse all’orologio a pendolo appeso al muro: un
tasso intagliato
nel legno che teneva stretto tra le braccia un quadrante con le
lancette,
mentre la coda oscillava scandendo i secondi.
Erano da poco passate le 6, e da quanto ne sapevo io, la Sala Grande
non
sarebbe stata aperta per la colazione prima delle 7. Mi rigirai nel
letto e
provai ad addormentarmi, ma non servì a niente, quindi
decisi semplicemente di
alzarmi. Indossai la divisa, infilai la bacchetta in tasca, e uscii dal
dormitorio il più silenziosamente possibile, richiudendomi
la porta alle
spalle.
Ovviamente, il corridoio era deserto, immerso nella penombra, ma una
gran luce
proveniva già dalla sala comune.
Fuori il sole era già sorto, e la Tana di Tassorosso
splendeva già in quelle
prime ore del mattino.
Osservando i rampicanti che si svegliavano sulle pareti, mi lasciai
cadere su
uno dei divani, e andai a urtare contro qualcosa.
-Hey, ma cosa diavolo...-, mugugnò una voce indignata.
-Ohh, scusa!-, esclamai rotolando giù per terra. -Non mi
aspettavo che ci fosse
già qualcuno sveglio a quest’ora-.
Alzai lo sguardo, e notai solo ora che una ragazza del primo anno era
distesa
sui cuscini. Aveva dei corti capelli ricciolini, di un rosso intenso, e
numerose piccole lentigini tutto attorno al naso, il quale era piccolo
e
rotondo.
-Oh, figurati-, disse lei tranquilla, come se niente fosse successo, e
mi tese
una mano per alzarmi.
Presi posto anche io sul divano, rosso in faccia per la figuraccia che
avevo
appena fatto.
Ma la ragazza non sembrò badarci, e mi tese nuovamente la
mano.
-Comunque io sono Gwen Wright, primo anno-.
-Nathan Zeller, anche io primo anno-, risposi stringendole la mano. Per
una
qualche strana ragione, il suo cognome mi suonava familiare, ma non
riuscivo a
capire il perché. Possibile che i suoi genitori fossero
amici dei miei?
-Ah si, in effetti mi sembrava di averti visto sulle barche
l’altra sera-,
commentò lei.
Io annuii e non seppi più cosa aggiungere, e quindi scese il
silenzio tra di
noi.
-Beh, come mai sei già sveglio a quest’ora?-,
chiese infine Gwen.
-Oh, beh, non riuscivo a dormire, non avevo molto sonno-, balbettai io.
-Immagino
nemmeno tu, a questo punto-.
-Oh no, semplicemente sono abituata a svegliarmi presto. A casa mi
alzavo
spesso alle prime ore del mattino per andare a vedere l’alba.
Abito al limitare
della foresta di Dean, ed è uno spettacolo bellissimo vedere
i raggi del sole
che passano attraverso gli alberi. Solo che, beh, qua non è
che possa
semplicemente prendere e uscire alle 5 del mattino, quindi si, eccomi
qui-,
disse stringendosi nelle spalle.
Dunque non poteva trattarsi di una famiglia che viveva nei nostri
paragi, non
avevo mai sentito parlare di nessuna foresta di Dean attorno a Timworth.
-Cosa fanno i tuoi genitori?-, chiesi io, per fare conversazione.
-Allora, mia madre è una babbana e gestisce una farmacia,
che è tipo una
bottega che vende medicinali per le persone ammalate, mentre mio padre
invece
si occupa di raccogliere i materiali per i nuclei delle bacchette-,
spiegò lei
tutta contenta.
-Wow!-, esclamai io stupito. -Quindi in pratica va a caccia di Unicorni
e cose
del genere?-
-No no, gli Unicorni li alleviamo nella nostra fattoria, ne abbiamo ben
7
adulti, più un puledro che è nato giusto il mese
scorso. Dovresti vederlo, ha
il pelo color oro e non ha ancora il corno, è qualcosa di
bellissimo. Le Fenici
invece, quelle sono belle rare. Mio padre a volte passa anche settimane
intere
lontano da casa, in cerca di un nido da cui prendere le piume,
però sono
piuttosto ricercate e Ollivander le paga una fortuna!-.
-Oh, la mia bacchetta contiene una piuma di fenice ed è
stata fatta da
Olivander!-, esclamai io all’improvviso, tirandola fuori
dalla tasca dei
pantaloni.-Magari è stata tuo padre a trovarla!-, dissi io
con un sorriso.
-Potrebbe
essere!-, rispose lei, tirando fuori la sua. - Acero, crine di
unicorno, 12
pollici, rigida, e so per certo che il crine appartiene ad uno dei
nostri
unicorni perché me l’ha detto Olivander stesso!-.
-Fantastico, è come se foste nate e cresciute insieme-,
dissi io con una
risata.
-I tuoi genitori invece?-, mi chiese Gwen.
-Dunque, mia madre è una giornalista e scrive per la Gazzeta
del Profeta,
mentre mio padre, beh, non so esattamente cosa faccia-, risposi io con
una
smorfia.
Gwen agrottò la fronte, confusa.
-Nel senso, lavora per il Ministero della Magia, ma non so esattamente
cosa
faccia. So solo che lavora per un dipartimento chiamato
‘Ufficio Misteri’, e
come puoi capire anche dal nome è una cosa molto segreta,
non gli è permesso
parlarne nemmeno con noi-, spiegai io.
Gwen sembrò molto colpita da questa rivelazione. Si
avvicinò a me, e mi parlo a
bassa voce, come se avesse paura di essere scoperta da un momento
all’altro.
-Quindi tuo padre semplicemente sparisce la mattina e torna la sera
come se
niente fosse?-, chiese curiosa.
-Beh, all’incirca sì, se non fosse che spesso non
torna proprio. Ed è una cosa
che manda in paranoia mia madre, perché non può
nemmeno chiedere al Ministero
se sanno che fine abbia fatto. Semplicemente deve stare ferma ed
aspettare,
sperando che non gli sia successo nulla di grave-, risposi io con tono
grave.
-E, beh, gli è mai successo qualcosa di grave?-, chiese
quasi in un sussurro.
-Spesso torna a casa con qualche graffio, qualche strappo sui vestiti,
ma nulla
di che. Ma ogni tanto, ci capita di ricevere un gufo che ci informa di
come sia
stato trasportato al San Mungo d’urgenza per via di qualche
‘incidente’ che gli
è capitato. Una volta non ci hanno nemmeno fatti entrare,
dicendo che fosse per
ragioni di sicurezza. Abbiamo dovuto aspettare per ore prima che ci
fosse dato
il permesso di entrare, e una volta dentro lo abbiamo trovato in
perfette
condizioni, come se niente fosse successo-.
-Per la Barba di Merlino, deve essere qualcosa di terribilmente
stressante-,
commentò Gwen a bassa voce.
-Beh, ogni tanto lo è, soprattutto per mia madre.
Però mio padre non sembra
avere problemi, anche se non ne parla mia, sembra che il suo lavoro gli
piaccia
parecchio. Lo vediamo quasi sempre di buonumore, quindi negli anni io e
mio
fratello abbiamo imparato a non preoccuparci più di tanto-,
spiegai io
stringendomi nelle spalle.
-Hai un fratello quindi-, disse lei.
-Si, Tom, è al quinto anno-, risposi io alzando gli occhi al
cielo.
-Anche io ho una sorella maggiore, Tiffany, frequenta il sesto anno, ed
è
probabilmente la persona più odiosa che esista sulla faccia
della terra-,
sbuffo Gwen. -Indovina di che casa fa parte!-.
-Ehm, Serpeverde per caso?-, chiesi io ridendo.
-Oh wow, come hai fatto ad indovinare? Farai faville a divinazione!-,
disse
sarcastica.
-Beh, credo che l’unico motivo per cui mio fratello non sia
finito in
Serpeverde sia perché ha una testa più grande del
suo ego, quindi diciamo che
ti capisco-, aggiunsi io compassionevole, e lei scoppiò a
ridere.
Continuammo a chiacchierare dei nostri fratelli per un bel
po’, finché i primi
Tassorosso non cominciarono a svegliarsi e la sala comune
cominciò piano piano
ad animarsi.
Dopo un po’ Gwen mi salutò e andò a
cambiarsi, dato che era ancora in pigiama.
Finalmente anche Sam apparve nella sala comune, ed insieme ci
incamminammo a
fare colazione.
Prendemmo posto al tavolo dei Tassorosso, e dopo un po’ anche
Gwen entrò nella
sala grande. Le feci un cenno con la mano, invitandola a sedersi vicino
a me, e
le presentai anche Sam.
Notai che la professoressa Sprite stava girando per i tavoli, e dopo un
po’
arrivò anche da noi e ci consegnò i nostri orari.
Non feci nemmeno in tempo a guardare il mio, che sentii una pacca
familiare
sulla schiena.
-Grandioso, abbiamo lezione di Difesa contro le Arti Oscure insieme!-,
disse
John alle mie spalle.
Io diedi una rapida occhiata al foglio che avevo tra le mani e notai
che
effetivamente la prima lezione della giornata era insieme ai Corvonero.
-Hey, ma voi avete ancora del bacon, da me l’hanno finito
tutto!- esclamò
facendosi spazio di prepotenza e sedendosi tra me e Gwen.
Prese un piatto e ci rovesciò sopra un quintale di bacon,
tra gli sguardi
stupiti di Sam e Gwen.
-John, ti ricordi Sam...-, dissi indicandolo, e John fece un cenno
distratto
con la mano mentre era occuppato a riempirsi di carne.
-Mentre questa è Gwen Wright-, e indicai la ragazza accanto
a lui.
John si volto di scatto verso di lei e si immobilizzò con la
forchetta a
mezz’aria.
-Per tutti i calderoni! Wright? Ma, Wright come...-
-Oh no, eccone un’altro-, mugugnò Gwen alzando gli
occhi al cielo.
-Wright, come Bowman Wright, il leggendario fabbro inventore del
boccino
d’oro?!-, chiese John con occhi sognanti.
-Ecco perché il tuo cognome mi sembrava così
familiare!-, esclamai a mia volta.
-Oh per la miseria, altri fanatici del Quidditch-, si
lamentò Gwen portandosi
una mano alla fronte.
-Ma tipo, avete il boccino originale a casa?-, chiese John
avvicinandosi a
Gwen.
-Cosa, no! Non so perché la gente si aspetta sempre che casa
mia sia il museo
internazionale del Quidditch, è solo capitato che quel,
tizio, sia un mio
lontano parente.-Roteò gli occhi al cielo. -Non è
che la mia famiglia giri per
casa vestita come dei palloni dorati, o roba del genere-.
John la fissò per un momento.
-Ma quindi avete tramando per generazioni la nobile arte
dell’artigianato dei
boccini?-
-Argh!-, esclamò Gwen alzandosi di colpo, e andandosi a
sedere vicino ad un
gruppo di ragazze più in giù sul tavolo.
-Heh, è simpatica!-, ridacchiò John tornando al
suo bacon.
-Dovevi esagerare come sempre, non è vero?-, chiesi io
sbuffando.
-Cosa? Non ho detto niente di male!-, si giustificò John
senza alzare lo
sguardo dal piatto.
-Ehm, scusate...-, disse Sam all’improvviso, che per tutta la
durata della
scena non aveva aperto bocca. -Ma, cosa sarebbe esattamente questo,
Quidditch?-
A John andò di traverso il bacon.
Quando finalmente riuscì a smettere di tossire e
sputacchiare, guardo Sam e gli
disse: -Ragazzo mio, qua abbiamo del serio lavoro da fare-.
Mezz’ora dopo, tutti e tre stavamo salendo i gradini che
portavano al terzo
piano, insieme ad un gruppetto misto di Tassi e Corvi del primo anno
che
chiacchieravano eccitati in vista della prima lezione
dell’anno.
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure era lunga e sottile,
illuminata da una
serie di grandi finestre ad arco che si aprivano nel muro di sinistra.
Dall’alto soffitto pendeva un pesante candelabro in ferro, e
curiosamente, anche
lo scheletro di quello che intui essere un drago, date le larghe e
scheletriche
ali che si aprivano ad abbracciare la volta.
Anche a ridosso dei muri erano addossati gli scheletri di strane
creature, non
che quadri raffiguranti gli animali magici più disparati, e
maghi intenti a
combatterli con complicati incantesimi.
La prima cosa che però notai appena entrai nella stanza fu
il fortissimo odore
d’aglio che semprava pervadere ogni anfratto
dell’aula. Non fui l’unico a
notarlo, dato che l’entrata di ogni studente era accompagnata
da uno sbuffo o
un’imprecazione.
Feci sedere Sam di fianco a me, per non lasciarlo da solo, e John si
sedette
subito dietro di me, in un banco che era rimasto vuoto.
Il professore stranamente non era ancora arrivato, e quindi erano tutti
intenti
a parlare tra di loro, chi sfogliando il libro di testo, chi cercando
di far
uscire delle scintille dalla bacchetta.
All’improvviso la porta dell’aula si
aprì con un tonfo, e tutti ci voltammo all’unisono
aspettandoci di vedere l’insegnante di Difesa contro le Arti
Oscure, ma invece
era solo Gwen, la ragazza di prima.
-Che fine avevi fatto?-, le chiesi mentre prendeva posto dietro di noi.
-Mi sono persa-, disse lei con il fiatone, mentre tirava fuori i libri
dalla
borsa. -O per meglio dire, mi hanno fatto perdere. Ho chiesto ad un
fantasma
dove fosse l’aula 3C, e mi ha mostrato una porta dicendo che
mi avrebbe fatto
arrivare subito al corridoio giusto, ma dopo averla attraversata mi
sono
ritrovata al piano sbagliato-.
-Ah, probabilmente ti sei imbattuta in Pix. Meglio stare alla larga da
quello-,
disse John alla sua sinistra.
Gwen si voltò di scatto, notando solo allora vicino a chi si
era seduta.
-Ahh, l’idiota del Quidditch-, disse con un misto di noia e
disgusto, facendo
un cenno con la mano.
-Wow, neanche un’ora e sono già famoso! Dammi una
settimana e il preside mi
inviterà a prendere il tè nel suo ufficio!-,
esclamò John dandomi una pacca
sulla schiena, e io scoppiai a ridere.
Gwen sbuffò e fece per raccogliere la sua roba, quando John
le fece notare che
quello era l’unico posto libero rimasto.
I due stavano ancora discutendo, quando all’improvviso sentii
una porta aprirsi
di nuovo.
Feci per girarmi verso il fondo dell’aula, ma Sam mi diede un
colpo con la mano
indicandomi la cattedra. Notai solo adesso che di fianco alla lavagna
c’era una
piccola scala che saliva verso una balconata, e una porta che si apriva
su
quello che doveva essere l’ufficio dell’insegnante
di Difesa contro le Arti Oscure.
Un uomo alto e magro dal volto giovane era in piedi davanti alla porta,
e
guardava sorridente gli studenti. Indossava una lunga veste marroncina,
e un
enorme turbante viola che gli circondava tutta la testa, ricandendogli
sul petto
come in una lunga treccia.
-B-b-benvenuti a t-tutti, nella p-prima lezione di D-Difesa contro le
Arti O-Oscure!-,
disse infine l’uomo, e Sam soffocò una risata, ma
non fu l’unico.
-Io, s-sono il p-p-rofessor Raptor, e nel c-corso dell’a-anno
vi insegnerò a
d-difendervi dalle f-forme più o-o-oscure di m-magia,
nonchè dalle c-creature
magiche più p-p-pericolose-, fece il giro della lavagna, e
prese posto alla
cattedra, aprendo il suo libro.
-D-direi di c-cominciare da qualcosa di s-semplice, o-ovvero gli
G-G-Gnomi.
Prendere p-p-er favore il v-vostro manuale a p-pagina 6-.
Non lo negherò, la mia prima lezione a Hogwarts fu un vero e
proprio disastro.
La lezione del professor Raptor si rivelò essere un
po’ una farsa.
Era particolarmente difficile capire quello che diceva, dato il
continuo
balbettio, e spesso neanche lui semprava molto convinto di quello che
stesse
dicendo, dato che tremava e sobbalzava ogni due parole.
Quando una ragazza di Corvonero fece una domanda senza alzare la mano,
quasi rovesciò
la boccetta d’inchiostro che aveva sulla cattedra dallo
spavento.
Dopo una decina di minuti quasi nessuno lo stava più
ascoltando, e si stavano
tutti limitando a leggere direttamente dal libro, dato che era molto
più
comprensibile.
L’unico momento interessante fu quando John, non riuscendo
più a trattenere la
curiosità, gli chiese dove avesse preso il turbante, dato
che una sua zia
sarebbe stata entusiasta di riceverne uno in regalo.
Raptor sembrò non notare le risate della classe,
perché spiegò con una nota di
orgoglio di averlo ricevuto in dono da un principe africano come
ringraziamento
per averlo liberato da una potente mummia.
-Se quello ha sconfitto una mummia, allora mia nonna ha vinto la
maratona di
Hogsmeade-, si lamentò John mentre scendevamo nella sala
grande per il pranzo.
-Intendi quella che si è rotta un’anca combattendo
contro un troll l’anno
scorso?-, chiesi io casualmente, mentre Sam strabuzzava gli occhi.
-Si, nonna Mariene è una tosta-, si fermò
all’improvviso. -In effetti,
pensandoci bene, ho usato un paragone
sbagliato. Nonna Mariene potrebbe vincerla benissimo quella maratona,
ma avete
capito.
-E pensare che mia nonna si vanta di essere una campionessa a
Bingo...-,
bisbigliò Sam sottovoce, ma nessuno sembrò
sentirlo.
-Piuttosto, dimmi, come è essere nei Corvonero? Vi hanno
già dato quattro libri
da leggere, ieri sera?-, chiesi io scherzando.
-No beh, è gente a posto, direi. Beh, la maggior parte
almeno. Molti se ne
stavano effetivamente isolati in un angolo a leggere, bah...-, John
scosse la
testa come per allontanare un brutto ricordo. -Tuo fratello
è stato piuttosto
annoiato mentre ci mostrava la sala comune e le nostre stanze, devo
dire-.
-Ah, quindi, è semplicemente stato se stesso-, dissi io
sbuffando.
-Esattamente. Mi stupisco che abbia degli amici. Ma a quanto pare loro
sono
piuttosto contenti di lui, quasi lo venerano-.
Lanciai una strana occhiata a John, aggrottando le sopraciglia. -Che
intendi
dire?-.
-Non so, erano tutti li attorno ad un tavolo che pendevano dalle labbra
di Tom,
mentre lui spiegava chissà quale cosa inutile sui, che ne
so, calderoni o che
cavolo-, spiegò lui.
-Cosa diavolo stai dicendo?-, gli chiesi io confuso.
-Ma non lo so, era un po’ difficile capire di cosa stessero
parlando, sono
molto riservati. Se provi ad avvicinarti ci manca solo che ti lancino
una
fattura addosso.
Sai, non sono tutti amichevoli come voi di Tassorosso-, aggiunse con
fare
casuale, mentre entravamo nella sala grande.
Ci salutammo e lui andò a Erbologia, mentre io e Sam ci
dirigemmo verso la
classe di Incantesimi.
Il professor Vitious era un ometto incredibilmente basso che doveva
stare in
equlibrio sopra una pila di libri per riuscire a vedere la classe, ma
era molto
simpatico ed allegro.
La sua lezione fu molto più interessante della precedente.
Vitious
probabilmente sapeva che quello che più aspettavamo era
imparare un
incantesimo, quindi senza perdere troppo tempo cominciò a
spiegarci i movimenti
e le parole necessarie a far levitare un oggetto.
Consegnò poi ad ognuno di noi una grande piuma e ci
invitò a provare.
In un attimo, la classe si riempì di una miriade di voci che
gridavano
‘wingardium leviosa’. Vitious si muoveva rapido tra
i banchi, aggiustando la
postura della mano, o correggendo la pronuncia.
I miei primi tentativi non ebbero molto successo, all’inizio
la piuma non si
mosse di mezzo centimentro, ma dopo un po’ questa
cominciò a sobbalzare
lievemente.
Sorprendemente, Sam fu uno dei primi a riuscirci, dopo pochi minuti la
sua
piuma volteggiava per aria seguendo le indicazioni della sua bacchetta,
mentre
lui stupito la faceva danzare per aria.
Mi fece notare che l’inclinazione del polso era sbagliata, e
al tentativo
seguente anche la mia piuma saettò per aria.
Entro la fine della lezione, tutti quanti avevamo appreso
l’incantesimo.
Il professor Vitious ci congedò dicendoci di esercitarci su
oggetti un po’ più
pesanti, chiedendoci però di non provare ad alzarci a
vicenda, e a questa frase
ci fu un malcontento generale.
Mentre pranzavo, continuai a
pensare a
quello che John aveva detto a proposito di Tom.
Non so perché, ma dal modo in cui l’aveva
raccontato, la cosa mi sembrava
sospetta. Ma dopo un po’ accantonai l’idea e la
lasciai perdere, conoscevo bene
mio fratello, e il fatto che snobbasse gli altri non era poi una
così grande
novità. Lo aveva fatto con me per così tanti
anni, figuriamoci se non l’avrebbe
fatto anche con i suoi nuovi compagni.
Dopo pranzo ci fu la prima lezione di Trasfigurazione insieme ai
Grifondoro, e
fu completamente diversa da quella di Raptor.
La professoressa McGranit era serissima, richiedeva un attenzione e un
silenzio
costante, che nessuno osava interrompere.
Severissima, fece un discorso non appena ci fummo seduti di fronte a
lei.
-La Trasfigurazione è una delle forme più
complesse e
pericolose di magia che imparerete ad
Hogwarts. Chiunque provi a fare a qualche idiozia sarà
allontanato dalla classe
e non ci metterà più piede, siete stati
avvertiti-.
Detto ciò diede una dimostrazione pratica, trasformando la
lavagna in un orso e
viceversa, tra le esclamazioni di stupore generali.
L’inizio era stato decisamente migliore della lezione con
Raptor, e non vedevo
l’ora di cominciare, ma scoprii presto che ci sarebbe voluto
parecchio tempo
perché io potessi trasformare i gli oggetti in animali.
La McGrannit cominciò a spiegare una serie complicata di
istruzioni, mentre
tutti nella classe cercavano di stare al passo prendendo appunti
abbondanti.
Poi diede un colpo di bacchetta, e sul banco di ogni studente apparve
un
fiammifero che avremo dovuto trasformare in un ago.
Pensavo che se la McGranit era in grado di trasformare una lavagna
enorme in un
orso, la trasfigurazione di un fiammifero sarebbe stata cosa da niente
. Ma la
faccenda si rivelò molto più difficile del
previsto.
Continuavo a rileggere i miei appunti e a colpire il fiammifero con la
bacchetta recitando la formula, però questi continuava ad
assotigliarsi o a
cambiare colore, diventando argenteo, ma mai tutte e due le cose
insieme.
Sam di fianco a me non stava avendo molta più fortuna.
Continuava ad avere
l’istinto di impugnare la bacchetta a due mani, assumendo
un’espressione molto
buffa. Era riuscito a far appuntire il suo fiammifero, ma questi
continuava a restare
di legno.
Un ragazzo di Grifondoro doveva aver sbagliato completamente formula,
perché in
qualche modo era riuscito a ingigantire la testa del fiammifero e a
farla
scoppiare in una fiammata che rischiò di incendiare il banco
in legno, ma che
fu prontamente salvato da un getto d’acqua uscito dalla
bacchetta della McGranitt.
Alla fine della lezione, soltanto una persona ci era riuscita, una
ragazza di Grifondoro
dai folti capelli bruni e dai denti davanti piuttosto grandi.
La McGranitt mostrò il suo ago argentato alla classe, e
addirittura le fece un
breve sorriso.
Ci disse infine di tenere il fiammifero e di esercitarci per conto
nostro, e
che ci avrebbe messo alla prova nella lezione successiva.
Dopo lo stress e l’impegno dell’ora di
Trasfigurazione, l’ora di Erbologia fu
quasi una benedizione.
La professoressa Sprite era una donna paffuta e allegra, ma molto
decisa e dal
carattere forte. Era piuttosto gentile, ma non potei fare a meno di
notare che
si dimostrava molto più disponibile con noi Tassorosso che
con i ragazzi di
Serpeverde. Probabilmente il fatto che fosse la direttrice della nostra
casa aiutava
non poco.
Pensavo che Erbologia sarebbe stata una materia noiosa e semplice, ma
non era
per niente così. Come prima lezione, la Sprite ci fece
indossare i guanti
protettivi in pelle di drago, e ci insegnò a travasare dei
cespugli spinosi.
La caratteristica dei cespugli spinosi, beh, sta nel fatto che sono
ricoperti
di spine che vengono espulse se si tocca la radice sbagliata.
-Fate molta attenzione e maneggiateli con cura ragazzi, a meno che non
vogliate
trasformarvi in un porcospino gigante-, ci mise in guardia mentre
aiutava Gwen
a rimuovere alcune spine dal suo braccio.
Infine, sporchi di terriccio e affamati, lasciammo finalmente la serra
per
dirigerci verso la sala grande per la cena.
Io e Sam ci sedemmo vicini come al solito, e dopo un po’
arrivo anche Gwen
insieme ad un’altra ragazza di Tassorosso con la quale era in
gruppo durante
l’ora di erbologia, di nome Alice Jester.
Sam ed io ci presentammo, e dopo un po’ stavamo tutti
chiacchierando dei
professori, scherzando sulle balbuzie del professor Raptor e sulla
rigidità
della McGranitt.
Finita la cena ci alzammo tutti e quattro e ci dirigemmo verso la sala
comune,
ed ero sull’uscio della porta della sala grande quando sentii
qualcuno chiamare
il mio nome.
Mi girai aspettandomi di vedere John, ma invece mi ritrovai mio
fratello
davanti.
-Beh, come è andato il primo giorno ad Hogwarts,
fratellino?-, chiese dandomi
una pacca sulla schiena.
-Ehm, bene, tutto alla grande. Mi sono fatto un po’ di
amici-, dissi io un po’
a caso, preso alla sprovvista da questo suo improvviso interesse.
-Bene, bene, ne sono conteto. Ora, senti un po’...-, mi prese
da parte, e si
avvicinò per parlarmi a bassa voce. -Sono sicuro che non sia
il caso di
dirtelo, ma sai, per sicurezza, uno lo fa. Ho passato quattro anni a
farmi un
buon nome in questa scuola, quindi vedi di tenere un profilo basso e
non
combinare qualche cazzata delle tue che possa infangarlo-, disse in un
bisbiglio, stringendomi con più forza la spalla.
-Fai il bravo, segui le lezioni, e soprattutto non trasgredire le
regole-, ordinò
con gli occhi ridotti ad una fessura. -Altrimenti , la punizione che
riceveresti da un professore sarebbe l’ultima delle tue
preoccupazioni, intesi?
Io annui senza dire una parola, mentre un misto di rabbia e paura si
impadronivano di me.
-Ottimo, cosi ti voglio, fratellino-, disse tornando normale, e
arruffandomi i
capelli.
Poi si girò, e senza aggiungere altro se ne tornò
nella Sala Grande,
lasciandomi solo nell’ingresso deserto.
Mi diressi verso le scale, e trovai gli altri ad aspettarmi in cima.
-Tutto bene? Cosa voleva tuo fratello?-, chiese Sam mentre scendevamo
verso il
seminterrato.
-Si, tranquillo, voleva solo sapere come stessi-, mentii io, toccandomi
la spalla
in un gesto involontario. Non aveva senso infastidire gli altri con
l’idiozia
di Tom.
Tornati nella Tana di Tassorosso, scoprimo che Alice aveva un set di
gobbiglie,
e passamo la serata a giocare insieme, io e Sam contro Alice e Gwen.
Verso le 11 ci salutammo e ritornammo nei rispettivi dormitori, troppo
stanchi
per fare altro.
Ma nonostate la
stanchezza, non riuscii
a prendere sonno facilmente.
Continuavo a pensare a Tom, e al modo in cui mi aveva trattato.
Avevo sempre saputo che era una persona egocentrica a cui importava
solo
dell’immagine che gli altri avevano di lui, ma non pensavo a
tal punto da
arrivare a minacciarmi.
Doveva seriamente
darsi una calmata,
pensai mentre mi rigiravo nel letto.
Dopo un’eternità, ancora non riuscivo a prendere
sonno.
Fissai il soffitto per qualche minuto, poi mi scostai le coperte di
dosso e
scesi dal letto.
Mi aspettavo di trovare qualcuno nella sala comune, ma con mia sopresa
questa
era già deserta.
Le ultime braci morenti scoppiettavano ancora silenziose nel camino,
mentre
l’oscurità abbracciava piano piano il tutto.
Mi avvicinai ad una finestra, e mi persi ad osservare le stelle per un
po’.
Individuai subito il carro maggiore, la stella polare, e un paio di
altre
costellazioni minori.
Ero tentato dal tornare in dormitorio a prendere il telescopio per
montarlo,
quando all’improvviso sentii qualcuno muoversi dietro di me.
Mi girai aspettandomi di vedere Gwen, o qualche altro Tasso, ma invece
mi
ritrovai davanti una donna.
Era alta ed esile, aveva un viso bellissimo, con un naso sottile e
labbra
perfette, e lunghi capelli che le arrivavano fino alle spalle.
Risplendeva di
una pallida aura. E piangeva.
Non ho idea di come avessi fatto a non sentirla, perché ora
il suo pianto
rimbombava in tutta la sala, i suoi singhiozzi erano strazzianti e mi
incutevano una tristezza indescrivibile.
Notai dopo qualche istante che volteggiava a pochi centimetri da terra,
e
semplicemente stava al centro della sala, a guardarmi tra gli occhi
colmi di
pianto.
Non cercava neanche di coprirsi il volto, semplicemente lasciava che le
lacrime
le scendessero lungo le guance, e che andassero a perdersi nei lunghi
capelli
perlacei.
-Perché piangi?-, chiesi all’improvviso, quasi
senza rendermene conto.
Ma la donna non rispose, semplicemente il suo pianto si fece
più forte, tanto
che ormai mi sembrava che provenisse dall’interno della mia
testa.
E la cosa mi riempiva di tristezza e rammarico.
-Perché piangi?-, chiesi nuovamente, mentre sentivo che
anche i miei occhi si
annacquavano.
Mi avvicinai lentamente verso la bianca figura, come attratto da una
forza
invisibile.
-Hey, andrà tutto bene, non piangere-, cercai di consolarla,
ma mentre dicevo
queste parole, sentii una lacrima scivolarmi sul viso.
Allungai una mano, cercando di raggiungerla, e in quel momento,
l’orologio sul
muro batte la mezzanotte.
Mi fermai a pochi centimetri di distanza, con la mano ancora tesa, come
immobilizzato,
come spaventato dall’improvviso rimbombare
dell’orologio.
La donna mi fissò per un attimo, poi, in un ultimo
singhiozzo si tirò indietro,
e sparì nel pavimento.
Con un gesto disperato, mi lanciai in avanti cercando di afferrarla, e
andai a
sbattere per terra contro il morbido tappeto.
Disteso per terra, le lacrime mi rigavano il volto, senza saperne
davvero il
motivo.
-
Nathan alzò il volto dal diario, con un espressione
angosciata.
‘Beh, almeno adesso sappiamo chi era che piangeva a
mezzanotte’.
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