Memorarum

di caleel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Diagon Alley ***
Capitolo 2: *** L'espresso per Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Il cappello parlante ***
Capitolo 4: *** La Tana di Tassorosso ***
Capitolo 5: *** Insonnia ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Diagon Alley ***


Capitolo 1) Ritorno a Diagon Alley

L’uomo si smaterializzò con un sonoro crak sull’androne piccolo e buio, barcollando leggermente.
‘E’ questo il posto?’ si chiese fra sè e sè, fissando la porta in legno.
Credo fosse questo il posto dove dovevi arrivare...’ gli rispose  la voce dentro la sua testa.
L’uomo afferrò la maniglia, ma questa non cedette. Spinse contro il legno, tastandolo con la mano, ma la porta non si mosse di un centimetro.
‘Ahh, dannazione, c’era una parola, ne sono sicuro...’ si disse mentre la bacchetta gli scivolava in mano. ‘...qualcosa con la a...’
Alohomora’, suggerì la voce quando la punta tocco la serratura, e questa scattò con un rumore secco.
L’uomo spinse la porta, che si aprì con un scricchiolio sinistro, rivelando un corridoio immerso nell’oscurità.
Avanzò lentamente, con un espressione confusa, e in un gesto automatico alzò la mano a tastare il muro. Trovò l’interruttore, e lo premette.
La luce si accese illuminando un piccolo corridoio stretto, e l’uomo quasi trasalì davanti a quella vista.
‘Dove sono?’si chiese avanzando con passi pesanti. ‘Che posto è questo?’
Passò davanti ad una credenza, e attraverso la vetrina scorse numerose foto di persone che gli erano sconosciute.
Qua ci abitavano dei babbani...’ rispose la voce dentro la sua testa, mentre la mano gli scivolava lungo il vetro.
‘E che fine hanno fatto?’
Non lo so...ma ora siamo soli’.
L’uomo si addentrò nella piccola abitazione, e scorgendo una porta socchiusa, si avvicinò ad essa.
Entrò nella stanza, e notò che era deserta, come il resto della casa.
Si sedette sulla sedia davanti alla scrivania, e si lasciò andare sullo schienale, emettendo un lungo sospiro di stanchezza.
-Chi sei?-, chiese ad alta voce, rivolgendosi a sè stesso.
Non lo so...non ne ho la più pallida idea...secondo te?’ gli rispose la voce per l’ennesima volta.
-Non sei...reale. Non sei un fantasma, non sei un infero. Sei nella mia testa...-, l’uomo abbassò il capo per un attimo, come riflettendo, poi lo risollevò di nuovo. -Tu esisti nella mia testa-.
‘Cosa ci è successo...cosa diavolo ci è successo? Chiese la voce, in tono esausto.
-Non...-, l’uomo cominciò a balbettare, mettendosi le mani fra i capelli. -Non riesco a ricorda nulla, niente!-.
Si alzò all’improvviso, come in preda ad un’attacco di rabbia.
-Non so neppure come mi chiamo!-, esclamò alzando le mani.
E’ ovvio, no? La nostra memoria è stata modificata, danneggiata...’
-
Danneggiata?!-, urlò l’uomo ad alta voce. -Non ho più una memoria! Non ho più un rimasuglio della mia vita, e come se fossi morto nella mia testa!-, gridò con quanto più fiato aveva in gola, e scagliando per terra i libri appoggiati alla scrivania.
Ci deve essere un motivo se smaterializzandoci siamo arrivati qui. Qualcosa ci ha guidato, ci ha guidato in questo posto!’
Ma l’uomo non stava più ascoltando; qualcosa per terra aveva catturato la sua attenzione.
Si chinò a raccogliere uno dei libri che aveva fatto cadere, un volume spesso rilegato in una copertina ricca di strani ghirigori.
Come guidato da un qualche istinto, si sedette alla scrivania e aprì il libro.
Una nota scritta a mano in una calligrafia frettolosa riempiva tutta la prima pagina.

Se stai leggendo questa pagina, vuol dire che qualcuno ha cancellato la mia memoria. Sono consapevole delle informazioni che la mia mente contiene, e sono consapevole del fatto che qualcuno un giorno potrebbe volerle, per questo lascio la mia eredità in questo diario. Spero con tutto il cuore che io sia riuscito a trovare un modo per tornare in questo posto, e che tu sia me.
Leggi con attenzione queste pagine, e riprenditi la tua vita, la nostra vita.
Ti chiami Nathan Zeller, sei nato l’11 agosto 1980, a Timworth, Cornovaglia, e sei un mago.

L’uomo fissò per un’eternità quelle parole, scritte da quella calligrafia frettolosa e irregolare, e per minuti non riusci a pensare a niente.
Infine, girò la pagina, e cominciò a leggere.

                                                                       -

Mi era sempre piaciuto prendere il treno. Non succedeva spesso, e quasi sempre significava una sola cosa: Londra.
Mentre osservavo le fredde colline della Cornovaglia scorrere fuori dal finestrino, non riuscivo a contere la mia eccitazione.
Quel giorno avevo aperto gli occhi ritrovandomi undicenne, e soprattutto con la consapevolezza che da lì a poche ore sarei stato nei negozi di Diagon Alley. E questa volta, finalmente avrei potuto comprare tutte quelle cose che per anni avevo desiderato.
Ero già stato a Diagon Alley in passato. E tutti gli anni era la stessa storia, i miei genitori dovevano trascinarmi via di peso da davanti alle vetrine; avrei passato anche ore a osservare gli animali esotici, a rovistare tra i libri, o a studiare le bacchette. Soprattutto quest'ultime avevano sempre avuto un certo fascino su di me. Essendo cresciuto in una famiglia di maghi, avevo sempre invidiato l'abilità dei miei genitori nel praticare la magia. Mi affascinava ogni singola cosa che implicasse l'uso di una bacchetta, dall'accendere un fuoco al ripulire l'orto dalle erbacce, e non vedevo l'ora di averne una tutta per me.
Mentre il treno si avvicinava alla periferia di Londra, io continuavo ad agitarmi sul sedile e a fare domande su Diagon Alley e Hogwarts.
Mio padre mi fulminò con lo sguardo e mi intimò di fare silenzio: stavo attirando l'attenzione di troppi babbani.
Mia madre, seduta accanto a lui, sbuffò per l'ennesima volta. Odiava il fatto di essere stata costretta a prendere il treno, a discapito della Metropolvere, più comoda e veloce. Ma dopo il casino scoppiato due anni prima, quando il baule di Tom si era perso finendo nel camino di una famiglia di Ottery St Catchpole, avevamo deciso che fosse meglio spostarsi in questo modo per situazione del genere.
Tom sedeva di fianco a me, silenzioso come sempre, immerso nella lettura di un libro sui lupi mannari. La passione per la lettura era una delle poche cose che io e mio fratello avevamo in comune, per il resto non potevamo essere più diversi.
Già dai primi sobborghi, Londra appariva come una città magnifica ai miei occhi. Essendo cresciuto nel piccolo villaggio di Tinworth, nella Cornovaglia, la grande città esercitava sempre un certo fascino su di me.
Arrivati a King Cross, scendendo dal vagone del treno, il mio sguardo si posò in maniera indiretta sul muro di mattoni tra il binario 9 e 10. In quell'afosa mattina d'agosto, la piattaforma era deserta. Non ebbi neanche il tempo di guardarla per più di qualche secondo che mia madre già mi trascinava verso l'uscita della stazione.
Il centro di Londra appariva caotico esattamente come lo ricordavo. I babbani si riversavano ovunque, in un frenetico via vai tra i marciapiedi e le scale. Sapevo che probabilmente era pieno di maghi e di streghe fra tutte quelle persone, ma era impossibile riconoscerli. Persino noi ci eravamo vestiti da babbani quel giorno, per non attirare troppo l'attenzione sul treno.
Il Paiolo Magico svettava in tutto il suo squallore tra una libreria e un negozio di strani dischi neri. Come al solito, i babbani passavano frettolosi davanti all'edificio ignorandone l'esistenza, ma molti maghi e streghe si riversavano dentro, spesso seguiti dai figli.
Il locale quel giorno era più pieno che mai. Numerose famiglie dovevano essere venute a Diagon Alley per le spese della scuola, e il Paiolo Magico risuonava del vociare dei ragazzi.
Non mancai di notare il solito manipolo di stregoni incappucciati che bisbigliavano tra di loro nell'oscurità, immersi nei loro loschi affari.
Mio padre si avvicinò al bancone e Tom il barista, notandolo, si lanciò in un'animata conversazione con lui, mentre mia madre mi guidava verso il retro del locale.
Non vedevo l'ora di assistere allo spettacolo dell'entrata che si allargava nel muro di mattoni, ma quel giorno rimasi deluso: c'era un tale via vai di maghi che avevano semplicemente deciso di lasciare il varco aperto, e ci toccò infilarci nella piccola coda che si era creata a partire dal corridoio.
Per mia sfortuna, davanti a noi avevano uno stregone particolarmente grosso, che con il lungo mantello violaceo copriva tutta la visuale impedendomi di vedere.
Dopo un paio di minuti che mi erano parsi un'eternità, finalmente superammo il varco, e Diagon Alley si presentò in tutto il suo splendore.
La lunga strada era completamente invasa da una folla rumoreggiante, chi negoziava con i venditori ambulanti, chi si spostava da una vetrina all'altra , chi trasportava borse e carrelli pieni di merci, chi urlava in cerca di amici o parenti. Ai lati si susseguivano vetrine di ogni tipo. Alcuni negozi vendevano abiti, altri telescopi e bizzarri strumenti d'argento che non non avevo mai visto prima; c'erano vetrine stipate di barili, contenenti milze di pipistrello e pupille di anguilla, pile traballanti di libri di incantesimi, penne d'oca e rotoli di pergamena, boccette di pozioni e globi lunari.
Mentre io mi guardavo intorno meravigliato, Tom era già corso in avanti a incontrare alcuni suoi compagni di scuola. Io ovviamente feci per seguirlo, ma mia madre mi prese per il colletto, dicendomi che quel giorno non mi sarei staccata da lei, e che anzi dovevamo sbrigarci data la quantità di negozi da visitare. Sbuffai indignato mentre lei mi trascinava facendosi spazio tra la folla, ma appena misi piede nel Ghirigoro dimenticai ogni rancore.
Avevo sempre adorato i libri. Era il metodo migliore che conoscevo per vivere grandi avventure senza spostarmi di un centimentro, che nella vita monotona di un bambino erano una vera e propria benedizione.
Mi avvicinai a una libreria, e cominciai ad esaminare i libri di storia della magia, quelli sull'alchimia, gli incantesimi, e infine la sezione di narrativa. Ero immerso nella lettura delle Fiabe di Beda il bardo, quanto sentii qualcuno poggiarmi una mano sulla spalla. Mi voltai, e mi ritrovai davanti John.
-Signor Zeller, i miei più sinceri auguri!-, disse lui con il suo solito tono sarcastico. Per scherzo, aveva preso da qualche mese l'abitudine di chiamarmi per cognome.
-John, anche tu qui?-, chiesi contento di vederlo.
John Lane era il mio migliore amico. Abitava a due case di distanza da me, a Timworth; i nostri genitori avevano frequentato Hogwarts negli stessi anni, e noi eravamo praticamente cresciuti insieme.
-Si, abbiamo incontrato Tom, che ci ha detto che eravate nella libreria-, rispose lui indicando dietro di lui, e sporgendomi vidi la signora Lane che discuteva animatamente con mia madre.
-Che diavolo hai fatto ai capelli?-, chiesi mentre riponevo le fiabe di Beda nella libreria.
-Ah, questi?-, disse indicandosi i cortissimi capelli biondi. -Mio padre si era rotto di vedermi con i capelli lunghi, dice che non mi si addice. Ma presto me li potrò far ricrescere da solo, guarda qui!-, e tutto eccitato mi mostrò una scatola rettangolare che non avevo notato prima.
Rimosse con incredibile delicatezza il coperchio, rivelando una bacchetta.
-Non ci posso credere, l'hai già presa?!-, esclamai pieno di stupore ed invidia.
-Proprio 5 minuti fa, guardala, non è fantastica?! Acero, Crine di Unicorno, 12 pollici, sorprendentemente rigida!-, elencò John, come se si trattasse di una filastrocca imparata a memoria. -Cosa curiosa, l'ho trovata subito, è stata letteralmente la prima bacchetta che ho provato. Olivander ha detto che è una cosa alquanto rara-, aggiunse con una punta di orgoglio.
-Beato te...-, sospirai io. -Non vedo l'ora di prendere anche io la mia, ma credo ci vorrà ancora un po'-.
-Hai aspettato 11, lunghissimi anni, qualche ora in più non farà la differenza-, rispose lui di nuovo sarcastico. -E a proposito, mancano poco più di 3 settimane!-
Ovviamente erano già mesi che entrambi contavamo i giorni che ci separavano dall'inizio della scuola. Restammo a fantasticare su Hogwarts e ad esaminare la sua bacchetta, fino a che mia madre non emerse dalla coda con un'alta pila di libri tra le braccia.
-Ciao John-, lo salutò lei poggiando con un tonfo i volumi su un tavolo. -Clarice mi ha detto che hai avuto particolare fortuna con la tua bacchetta-.
-Esatto, al primo tentativo! Il signor Olivander ha detto che è una cosa molto rara-, ripetè lui tutto orgoglioso, mentre mia madre infilava tutti i libri nella minuscola pochette che portava al braccio. La borsa sembrava inghiottirli come se fosse una gigantesca bocca.
-Salve signora Lane-, dissi io mentre la madre di John ci raggiungeva dal fondo del negozio.
-Nathan caro, buon compleanno!-, disse lei tutta contenta baciandomi su entrambe le guance. Io boffonchiai un 'grazie' arossendo, mentre John rideva sotto i baffi.
-Emilia, dovrei andare a Notturn Alley a far esaminare un vecchio bracciale che temo possa essere stato maledetto, ti dispiacerebbe prenderti cura di John per un po', preferirei non portarmelo dietro-, chiese rivolta a mia madre.
Tra le opposizioni di John, il quale per nulla al mondo avrebbe rifiutato una gita a Notturn Alley, mia madre disse che non c'era alcun problema. Così tutti e quattro uscimmo dal negozio, e dopo pochi metri la signora Lane ci salutò, svoltando in una buia stradina, molto meno affollata rispetto al resto di Diagon Alley.
John mi disse che erano arrivati di prima mattina con la metropolvere, e che aveva già comprato quasi tutto l'occorrente, quindi mi fece da guida mostrandomi le vetrine e i negozi più interessanti mentre ci facevamo strada nella folla.
Entrammo da 'Madama McClan: abiti per tutte le occasioni', e mia madre mi lasciò nelle mani di una strega tarchiata, sorridente e tutta vestita di color malva mentre lei andava a comprare gli ingredienti per le pozioni, dicendoci di aspettarla lì.
Madama McClan riconobbe John, che era stato lì poche ore prima, e lui mi presentò come il suo migliore amico. Era tipico di John fare amicizia con tutti, entrava subito in confidenza, e quando cominciava a parlare, non finiva più.
La sarta mi fece salire su uno sgabello, mi infilò una lunga veste dalla testa e cominciò ad appuntarmi per farla della giusta lunghezza.
Dopo neanche una decina di minuti, la mia veste per Hogwarts era già confezionata e imballata, quindi io e John uscimmo di nuovo in strada con un grosso fagotto sotto il braccio.
Dato che mia madre non era ancora tornata, ne approfittammo per fare un giro. John mi guidò verso il Serraglio Stregato, uno stretto e soffocante negozio di animali con le pareti ricoperte di gabbie piene di ogni tipo di creatura: enormi rospi viola, fiammagranchi, lumache velenose, gatti di ogni colore, corvi e ratti. In un angolo, 4 paia di occhi rosso ardente osservavano il tutto dall'oscurità. John voleva avicinarsi, ma la proprietaria, una strega di mezza età con pesanti occhiali neri, glielo sconsigliò fortemente.
Successivamente andammo a vedere il negozio di quidditch, dove la nuova Nimbus 2000 era esposta nella grande vetrina.
Una folla composta per lo più di giovani ragazzi si era radunata di fronte ad essa e discutevano animatamente, ma notai anche un'altra figura familiare che svettava sopra le altre.
-Guarda chi si vede-, indicai con un sorriso a John.
-Signor Zeller, temo che neanche su una nimbus 2000 riuscirebbe a battere mio padre-, urlò John da sopra alla folla.
Mio padre si girò di scatto, cercandoci tra la folla, e quando finalmente ci notò scoppio a ridere.
-Ti posso giurare che l'ultima volta mi ha fatto un incantesimo Confundus, non avrei mai sbagliato un tiro così semplice-, gli rispose lui.
-Mio padre dice il contrario-, ribattè John.
-Tuo padre è una persona orribile, e dopo quasi 30 anni, credo di saperlo meglio di te-, disse lui sorridendo.
Alan, il padre di John, era stato un grande cacciatore durante i suoi anni a Hogwarts. Tutti si aspettavano che continuasse la sua carriera entrando in una squadra professionista, invece aveva stupito tutti diventando un medico al San Mungo.
Lui e mio padre erano sempre stati grandi amanti del quidditch, per quanto mio padre non sia mai stato un astro.
-A proposito, che fine ha fatto Alan?-, chiese guardandosi intorno, aspettandosi di vederlo comparire da un momento all'altro.
-E' rimasto in ospedale, ha un brutto caso per le mani-, gli spiegò John.
Stavamo discutendo dell'ultima partita tenutasi tra i Cannoni di Chudley e i Pipistrelli di Ballycastle, quando una rondine argentata si posò sulla spalla di mio padre, sussurandogli qualcosa nell'orecchio. Riconobbi il patrono di mia madre, e infatti pochi attimi dopo mio padre fece roteare la sua bacchetta: un grande cinghiale d'argento eruppe dalla punta, e cominciò a correre attraversando la folla.
-Emilia si era preoccupata non trovandovi da Madama McClan, non vi aveva forse detto di aspettarla lì?-, chiese improvvisamente serio.
Io e John ci guardammo in silenzio con aria colpevole.
-Nathan, lo sai come è fatta tua madre, sai che si preoccupa per ogni cosa-, disse con tono di rimprovero.
-Scusa-, bisbigliammo sia io che John allo stesso tempo. Tecnicamente nessuno lo stava sgridando, ma il 90% delle volte che io finivo nei guai era per colpa sua, e lo sapeva.
Per fortuna mio padre non era mai stato troppo duro con me, e quindi lasciò perdere il tutto con un semplice 'stai attento a non farlo un'altra volta'. Poi si avviò verso la Gringott, e noi lo seguimmo .
Camminando, superammo un venditore ambulante che vendeva miniature di draghi, unicorni e altre creature, una strega che mostrava al pubblico l'ultimo modello di mantello dell'invisibilità, un gruppo di folletti che offrivano i loro servigi per riparare gioielli e altri gingilli, e un giovane ragazzo che faceva esibire il suo serpente in una serie di acrobazie e salti. Ovunque io posassi lo sguardo, c'era qualcosa di nuovo e incredibile da vedere.
A furia di camminare, non mi ero nemmeno accorto che eravamo arrivati davanti alla facciata di un negozio dall'interno molto buio, e che mio padre si era voltato verso di noi.
-Bene, io devo fare un salto alla Gringott a controllare un paio di cose, tu Nathan vai pure da Olivander, e non ti preoccupare, ti aiuterà lui-, disse posando 7 galeoni d'oro nella mia mano e dandomi una pacca sulla schiena, prima di girarsi e scomparire nella folla.
John mi guardò raggiante, e prima ancora che avessi modo anche solo di battere ciglio, mi stava già trascinando dentro il negozio.
L'interno era ancora più buio di quanto sembrasse da fuori. Dietro ad un bancone, si innalzavano numerose file di scaffali piene di piccole scatole rettangolari.
-Ci saranno almeno un migliaio di bacchette qui-, dissi guardandomi stupito attorno.
-E una di quelle mille presto sarà tua-, rispose John dandomi una pacca sulla schiena.
Notai solo allora che il negozio era praticamente deserto. Ma John non perse tempo, e sporgendosi dal bancone urlò: -Signor Olivander!-
Da dietro ad uno scafalle emerse un uomo, e avvicinandosi notai che era assai anziano, con due grandi occhi luminosi che sembravano due fari nell'oscurità.
-Ancora tu? Eppure ero molto sicuro che quella bacchetta fosse perfetta per te!-, disse Olivander vedendo John.
-Oh no, no, la mia bacchetta è a posto, è il mio amico qui che ne avrebbe bisogno di una-, disse John indicandomi.
Olivander sembrò notarmi solo allora. Si avvicinò a me sporgendosi dal bancone, guardandomi a lungo. Notai che non sbatteva mai le palpebre, sembrava fissarti per un'eternità con quei occhi argentati, e la cosa cominciò a farmi sentire a disagio.
Dopo quella che parve un'eternità, finalmente disse: -Il tuo volto mi è familiare, hai fratelli o sorelle?-
Io sobbalzai colto alla sprovvista, come risvengliandomi da un sogno. -Ehm, si-, balbettai -mio fratello, Tom Zeller, ha preso la sua bacchetta qui da lei-.
-Ahhh, si, certamente, ebano, corda di cuore di drago, 14 pollici, molto flessibile, un'ottima bacchetta. Tenda il braccio della bacchetta-, disse avvicinandosi a me e tirando fuori dalla tasca un lungo metro a nastro.
Io tesi il mio braccio destro, e lui cominciò a misurare i miei arti.
-E lei ha un nome, signor Zeller?-, chiese dirigendosi verso gli scaffali, mentre il nastro si accasciava a terra.
-Mi chiamo Nathan-, dissi io ad alta voce, quasi a dimostrare che non avessi paura di lui.
-Ansioso di andare a Hogwarts?-, chiese mentre rovistava tra le numerose scatole.
-Si, non vedo l'ora, io e John stiamo contando i giorni, ne mancano soltanto 19!-, risposi tutto contento.
-Bene, provi questa-, disse Olivander porgendomi una lunga bacchetta. -Noce, 15 pollici, crine di unicorno, rigida-.
Presi la bacchetta in mano, e guardai prima Olivander, poi John. Non avevo la più pallida idea di cosa dovessi fare.
John sembrò notarlo, perché mi urlò: -Non startene lì impalato, agitala un po'!-
Io sobbalzai e agitai la bacchetta mentre Olivander ridacchiava, ma non successe nulla. Con un rapido movimento, Olivander mi prese la bacchetta di mano, e dopo qualche decina di secondi tornò con un altra.
-Olmo, 12 pollici e mezzo, piuma di fenice, flessibile-, elencò di nuovo.
Io presi di nuovo in mano la bacchetta, ma non feci in tempo ad alzarla che Olivander me l'aveva già strappata di mano ed era corso a cercarne un'altra.
Ne provai una di cipresso, una di faggio, un'altra di olmo nero, ma niente, nessuna di quelle bacchette sembrava essere più di un banale pezzo di legno nelle mie mani.
Io stavo cominciando a preoccuparmi, ma Olivander era alquanto contento.
-Non si preoccupi signor Zeller, ho avuto clienti ben più ostinati di lei-, mi consolò Olivander notando la mia preoccupazione.
All'improvviso, per una ragione che credo che non sarò mai in grado di spiegare, gli gridai una cosa.
-Signor Olivander, ha provato a guardare nell'ultimo scaffale?-
-Nell'ultimo scaffale?-, ripetè lui sporgendo da una scala. -No, a dire il vero no-.
E scendendo di fretta i pioli, sparì dietro l'angolo. Tornò indietro con una scatola tra le mani, e un'espressione curiosa dipinta sul volto.
-Provi questa, signor Zeller. Legno di abete rosso, piuma di fenice, 13 pollici, sorprendentemente flessibile-, mi disse rimuovendo la bacchetta dalla sua custodia.
La impugnai saldamente, e un piacevole calore sembrò propagarsi attraverso le mie dita. Agitai la bacchetta, e con mio grande stupore, un getto d'acqua sprigionò dalla sua punta, finendo per inzuppare John. Questi imprecò, io gli chiesi scusa mortificato, ma Olivander scoppio a ridere pieno di entusiasmo.
-Fantastico, davvero fantastico! Non si preoccupi signor Lane, a tutto c'è un rimedio-, ed estraendo la sua bacchetta, la agitò per aria, riportando i vestiti di John ad essere asciutti.
-Credo che questa sia un ulteriore prova del fatto che è proprio vero che è la bacchetta a scegliere il mago, e non il contrario. Lei ha evidentemente sentito la chiamata della sua bacchetta, signor Zeller!-
Sorridendo raggiante, diedi la mia bacchetta ad Olivander, che la rimise nella sua custodia consegnandomela.
Mentre uscivamo, confessai a John che stavo cominciando a temere che non mi avrebbe mai trovato una bacchetta.
-Sei stato incredibile però!-, disse lui in tutta risposta. -La mia aveva solo fatto delle scintille, tu hai prodotto un incantesimo!-
Era vero, non ci avevo pensato. Fuori dal negozio incontrammo la madre di John, e le raccontammo dell'incontro con Olivander. Poco dopo anche i miei genitori e Tom ci raggiunsero, e tutti insieme tornammo al Paiolo Magico.
Da li, Clarice e John tornarono a casa con la metropolvere, mentre io e i miei ci indirizzammo verso la stazione di King's Cross.
Sul treno di ritorno, trovammo un vagone tutto per noi, ed ebbi modo di mostrare i miei aquisti agli altri. Raccontai a tutti di come avevo avuto paura che Olivander non sarebbe riuscito a trovare la mia bacchetta, e di come avevo sentito come per istinto dove trovarla. I miei genitori la osservarono con interesse, e persino Tom fece qualche commento di ammirazione. Approfittando della mancanza di babbani, cominciai a riempire tutti di domande su Hogwarts, sulle case, sulle materie, sugli insegnanti, e tutti furono molto contenti nel rispondermi. Credo che la mia eccitazione fosse palpabile. In fondo, da li a pochi giorni, sarei finalmente andato nel posto che avevo sognato per tutta la mia vita.
Mentre il treno strideva sulle rotaie, mi fermai per un attimo ad osservare la mia famiglia, e soprattutto i miei genitori. Era strano pensare che da li a poco me ne sarei andato di casa e sarei stato lontano da loro per mesi. La consapevolezza di quel pensiero mi colpì all'improvviso, e sentii il forte bisogno di immortalare quel momento nella mia memoria.
Ma fu questione di un attimo, perché ormai sapevo che mancavano 19 giorni.
19 giorni, e sarei stato sull’espresso per Hogwarts, diretto alla scuola di magia e stregoneria.

                                                                   -
Il primo capitolo del diario si concludeva così, e io alzai lo sguardo, come ritornando alla realtà.
-Tutta una vita...-, dissi a bassa voce. -...tutta una vita de recuperare-.
E adesso?’ chiese la voce nella mia testa.’Cosa si fa?’.
-Adesso?-, ripetei io, con un sorriso. -Adesso si va ad Hogwarts!-

 

 

 

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Capitolo 2
*** L'espresso per Hogwarts ***


Capitolo 2) L’espresso per Hogwarts

-E’ semplice Nathan, tu ci dici dov’è, e noi chiudiamo un occhio su tutta questa facenda- intimò una voce fredda e calcolata.
-Ve lo ripeto per l’ennesima volta: non ho idea di dove sia!-
-Dicci dove si nasconde- chiese l’altra persona, insistendo.
-No! Fermi! Non potere farlo, NON POTETE FARLO!-
-Memorarum!-, la voce riecchegiò a lungo, perdendosi nello spazio e nel tempo.

Nathan si svegliò di soprassalto, e afferrò la bacchetta in automatico, tenendola dritta nella mando e guardandosi attorno.
Ma la stanza era deserta, della voce non c’era alcuna traccia.
Era stato solo un sogno.
Ansimando, le mani tremanti, si lasciò andare in un sospiro di sollievo, appoggiando la testa sulla scrivania con fare esausto.
Rimase così per qualche istante, riflettendo.
Poi, aprì il suo diario, lo sfogliò fino a trovare la pagina giusta, e cominciò a leggere.


Svegliarsi quel primo settembre non fu certamente difficile.
Non erano neanche le 6 del mattino che già ero in piedi nella mia stanza, a rovistare nel baule per accertarmi che ci fosse tutto. I libri, il calderone, il set di provette in vetro, la bilancia d'ottone, i vestiti, mancavano soltanto il telescopio e la divisa scolastica: il primo era ancora montato davanti alla finestra, dato che avevo passato le sere delle ultime 3 settimane ad ammirare il cielo e i campi che circondavano Timworth. La seconda, la stavo indossando in quello stesso momento.
In piedi davanti al grande specchio della mia stanza, saltellai allegro facendo ondeggiare le vesti nere, la bacchetta in mano, agitandola e puntandola vero i mobili della stanza facendo finta di scagliare incantesimi.
Mi mossi verso la finestra, e aggiustando il telescopio, lo puntai verso la finestra della camera di John, due case più in la. Ma le imposte erano ancora serrate, John era solito dormire fino a tardi.
Passai le successive ore ad osservare il mondo mentre si svegliava, appollaiato alla mia finestra, il telescopio tra le mani.
Occupato com'ero a smontarlo, non mi resi neanche conto della porta che si apriva e di mia madre che entrava nella stanza.
-Nathan, ti avevo detto di mettere tutto a posto l'altra sera-, disse sbuffando. -E già che eri in piedi, avresti per lo meno potuto vestirti-.
La guardai per un attimo confuso. -Ma, sono vestito-, dissi indicandomi.
-Non essere sciocco, non possiamo arrivare a King's Cross vestiti da maghi, attireremmo troppo l'attenzione, e già in troppi lo fanno. Rimettiti i jeans e prendi una felpa, fa fresco stamattina-, e uscì chiudendo la porta.
La sentii mentre andava a svegliare Tom, poi scese le scale e sparì.
Con una smorfia, cominciai a cambiarmi, e rimisi la divisa a posto nel baule.
Feci per posarci dentro anche la bacchetta, ma all'ultimo cambiai idea e la infilai nella tasca dei pantaloni. Anche se non ero ancora capace di usarla, sentire quel peso premere contro la gamba mi dava un certo senso di sicurezza.
Scesi di corsa le scale ed entrai nella cucina illuminata dal sole del primo mattino.
Tom era già al tavolo intento ad imburrare una fetta di pane, mentre scrutava il retro della gazzetta del Profeta che mio padre reggeva penserioso tra le mani.
-Notizie dal Ministero?-, chiese mentre prendevo posto accanto a lui e afferravo la scatola dei cornflakes.
-Le solite, Caramell sta approvando un sacco di nuovi decreti legislativi-, rispose lui pensieroso girando pagina.
-Ed è un bene o un male?-, chiesi io. Non ne capivo molto di politica, ma cercavo sempre di partecipare ai discorsi tra mio padre e mio fratello.
-Beh, potrebbe essere entrambe le cose. E' un bene che Caramell si occupi di alcuni problemi nel sistema giudiziario e cerchi di sistemarli, ma se continua questa sua politica legislativa in futuro potrebbe arrivare ad avere troppo potere e ad emanare decreti come più gli pare e piace. Oh, no...Emilia...-, disse all'improvviso cupo, alzando lo sguardo verso di mia madre. -E' morto il signor Barnabey...-
-Oh cielo...-, mia madre si avvicinò e diede un'occhiata alla pagina del necrologio. -Infarto...almeno non ha sofferto-, disse mentre una lacrima le annebbiava gli occhi.
-Aveva 92 anni tesoro, prima o poi doveva andarsene-, mio padre le cinse la schiena con un braccio.
-Chi era il signor Barnabey?-, chiesi io lentamente, come temendo di disturbarli con la mia domanda.
-Era il nostro professore di incantesimi, quando frequentavamo Hogwarts, una persona davvero dedicata e gentile-, rispose mio padre sorseggiando il suo caffè.
-Una volta siamo rimasti svegli fino alle 4 del mattino affinché io imparassi l'incantesimo di appello. Continuavo a lamentarmi del fatto che era tutto inutile e che non ci sarei mai riuscito, ma lui non demordeva, dicendo che saremmo stati svegli anche fino all'alba se era necessario, ma che fino a che quel maledetto cuscino non sarebbe sfrecciato per la stanza, nessuno dei due avrebbe chiuso occhio-, raccontò allegro, e mia madre lo guardò sorridendo, probabilmente ricordando anche lei altri episodi. -Era sempre stato molto affezzionato ai suoi studenti, pochi insegnanti ad Hogwarts avevano la sua dedizione-.
Il resto della colazione fu tranquilla, i miei genitori continuarono a chiacchierare ricordando il professor Barnabey, mentre Tom spulciava il giornale.
Alle 10.30 eravamo tutti e quattro di fronte al camino del salotto, dove un allegro fuoco scoppiettava nonostante fosse ancora estate. Questa volta mia madre non aveva voluto sentire scuse, e aveva detto che avrebbe preferito correre il rischio di perdere i bagagli piuttosto che farsi di nuovo tutte quelle ore di viaggio in treno.
-Bene Emilia, andrai tu per prima con un baule, seguita da Tom e Nathan, e chiuderò io la fila portando il resto dei bagagli-, indicò mio padre.
Mia madre fece un cenno d'assenso con il capo, prese un pizzico di polvere scintillante, si avvicinò al fuoco e la gettò tra le fiamme. Una colonna di fuoco verde smeraldo s'innalzò all'istante, rischiarando tutta la stanza. Afferando il baule di Tom per la maniglia, saltò tra le fiamme gridando -Paiolo Magico- e scomparve.
Tom la seguì qualche istante dopo, e in un attimo era sparito anche lui.
-Ora, ricordati di tenere le braccia strette al corpo, e di parlare in maniera chiara, va bene?-, mi raccomandò mio padre porgendomi il vaso contentente la polvere.
Io ne presi una mano abbondante facendo di sì con il capo.
Con un attimo di esitazione, scagliai la polvere nelle fiamme, che diventarono di nuovo smeraldine. Saltai dentro, e urlai -Paiolo Magico!-.
Ebbi la sensazione di essere risucchiato in un enorme imbuto, e tutto intorno a me cominciò a vorticare velocemente. Vidi una serie di immagini confuse scorrermi rapide davanti agli occhi, e scrutando attraverso le fiamme mi resi conto che erano camini. Dopo quella che mi parve un'eternità, riconobbi finalmente l'interno del Paiolo Magico attraverso una delle centinaia di finestre. Mi sporsi in avanti, e all'improvviso mi sentii cadere verso il pavimento di pietra del locale. Chiusi gli occhi, aspettandomi l'impatto, ma invece qualcuno mi prese per le spalle fermandomi all'ultimo.
-Ottimo tuffo, signor Zeller. Ha un po' mancato sull'atterraggio, ma un 8.7 ci sta tutto-, disse una voce familiare.
Alzai lo sguardo, e mi ritrovai un John raggiante davanti agli occhi.
Alan e Clarice Lane, i genitori di John, mi salutarono allegramente, e mia madre mi corse incontrò per assicurarsi che stessi bene.
Qualche secondo dopo apparve anche mio padre con il mio baule, e Alan gli corse incontro per abbracciarlo come se non si vedessero da mesi.
Bauli alla mano, finalmente uscimmo tutti quanti dal paiolo magico e ci incamminammo verso la stazione di King's Cross.
Era una fresca mattina di Settembre, e Londra sembrava più viva e allegra che mai.
Decine di famiglie recanti grossi bauli sormontati da gabbie contenenti gufi, gatti o rospi passeggiavano per le strade, tutti diretti verso la grande stazione.
King's Cross era più affollata che mai. Ovunque sui binari uomini e donne indaffarate scorrevano veloci, trascinandosi i bagagli dietro, chi passeggiando tranquillo, chi correndo. Io avevo occhi solo per i grandi numeri disegnati sulle placche che scorrevano veloci sopra la nostra testa.
3, 4, ancora qualcuno, 5,6, una donna schiamazzava urlando qualcosa contro una delle guardie, 7,8 la fila di carrelli scorreva davanti ai miei occhi, i più lontani scomparendo improvvisamente nel nulla, 9,10, finalmente, eravamo arrivati.
La parete di mattoni rossi svettava immobile tra i binari 9 e 10.
Io e John ci guardammo sorridenti, fremendo dall’eccitazione, mentre gli altri da dietro ci raggiungevano spingendo i carrelli carichi di bagagli.
-Alan, andate prima voi?-, chiese mio padre guardando il signor Lane.
-Come preferisci, vecchio mio-, impugnò saldamente il carrello con entrambe le mani, diede una rapida occhiata attorno per accertarsi che nessun babbano stesse arrivando, e dopo una rapida corsa era già sparito oltre il muro.
-Andiamo John-, disse Clarice prendendo il figlio per mano.
-Ci vediamo dall’altra parte-, mi disse con un gesto della testa, e qualche secondo dopo erano entrambi spariti.
-Posso andare per primo, per favore?-, chiesi girandomi verso i miei genitori.
Per tutta risposta, Tom mi poggiò una mano sulla schiena, trascinandomi con lui verso il muro.
Mio fratello cominciò ad aumentare il passo, sempre senza mollare la sua presa su di me, e io feci lo stesso. Chiusi gli occhi mentre la barriera si avvicinava al mio volto, sempre più veloce, sempre più vicina, ma non ci fu nessun scontro.
Sentì il suono del mondo cambiare bruscamente nelle mie orecchie mentre attraversavo il muro, come quando si immerge la testa sott’acqua e per qualche istante sembra che ogni rumore venga risucchiato in un enorme imbuto.
Ma fu questione di un attimo, e subito il silenzio rumoreggiante della stazione di King’s Cross mutò in un caotico vociare di ragazzi, genitori, e animali.
Aprì gli occhi, e con un sentimento misto di gioia e timore, mi ritrovai davanti il grande espresso scarlatto. Sul suo muso torreggiava a grandi lettere dorate la scritta ‘Espresso per Hogwarts’, mentre un perlaceo filo di vapore usciva dal cunicolo centrale.
-E anche più grande di quanto mi ricordassi…-, dissi io assente.
-E anche più grande di quanto mi immaginassi-, rispose John a bocca aperta.
Mi ero scordato che John, non avendo fratelli, non era ancora mai stato sul binario 9 e 3/4, a differenza di me che ero venuto ogni anno ad assistere alla partenza di Tom.
-Vi consiglio di salire subito e cercarvi un compartimento, se non volete passare il viaggio in piedi-, disse Tom trascinando il suo baule verso una delle porte.
-Tuo fratello ha ragione Nathan, andate ad esplorare, ci occupiamo noi dei bagagli-, disse tranquillo mio padre.
Io e John non ce lo facemmo ripetere due volte e ci dirigemmo di corsa verso una delle porte dell’espresso.
Nonostante mancasse ancora un quarto d’ora alla partenza, il treno era già affollatissimo. Ragazzi e ragazze correvano ovunque. Molti erano ancora in vestiti babbani, ma c’era anche chi non aveva perso tempo e si era già cambiato nelle vesti da mago. Ovunque c’erano guizzi di luce colorata e piccole esplosioni, mentre gli studenti davano sfogo a tutti gli incantesimi repressi in quei due mesi lontani dal castello.
Come aveva previsto Tom, molti dei compartimenti erano già occupati. I gruppi di amici si stavano già riunendo, ognuno prendendo residenza nei vari compartimenti. Arrivammo davanti ad uno che a prima vista pareva vuoto, ma che ad un secondo sguardo rivelò un ragazzino del primo anno con i capelli disordinati e degli occhiali aggiustati con lo scotch sugli occhi.
Lo guardai per un attimo incuriosito: indossava dei vestiti babbani, i quali erano però ovviamente di qualche taglia più grossi, e sembravano ricadergli addosso come una strana coperta.
Stavo per entrare, quando John mi chiamò da qualche metro più avanti. Mi avvicinai e mi mostrò tutto soddisfatto un compartimento deserto.
Ci sedemmo entrambi di fianco alla finestra, uno di fronte all’altro, e ci guardammo soddisfatti.
Ci sporgemmo dalla finestra, osservando la frenesia che sembrava pervadere il binario.
Non avevo mai visto così tanti ragazzi insieme, ed era curioso pensare che da quel giorno li avrei visti quotidianamente, e perché no, ne avrei anche conosciuti alcuni.
I gufi si chiamavano l’un l’altro dalle gabbie appollaiate in cima ai carrelli, e la folla rumoreggiava del vociare di centinaia di persone.
-Dai, Lee, un’occhiata soltanto!-
Notai una piccola folla che circondava un ragazzo dai capelli ricci. Questi sollevò il coperchio di una scatola che teneva tra le braccia e qualcosa, da dentro, sporse una lunga zampa pelosa. Quegli che gli stavano attorno cominciarono a gridare.
-Tutto bene lassù?-, il padre di John si avvicinò a noi dal binario, seguito dal resto dei nostri genitori.
-Oh si, alla grande, ancora 5 minuti, e non dovrò più vedervi per qualche mese-, gli rispose John con un sorriso.
-Cercate di non cacciarvi in troppi casini voi due-, ci apostrofò mio padre. -Sopratutto tu, Nathan. Confido nel fatto che tu segua il buon esempio di tuo fratello-.
-Mhh, sì, certo-, bofonchiai io. Tom era sempre stato uno studente modello, adorato da tutti i professori e soprattutto dai miei genitori. Nessuno si era stupito quando quest’estate aveva ricevuto la spilla da Prefetto, e nessuno si sarebbe stupito se fosse diventato caposcuola fra qualche anno.
-Fate i bravi, e impegnatevi. A Hogwarts non ci sarà nessuno a preoccuparsi del fatto che voi facciate i compiti o meno, quindi per favore, cercate di essere responsabili-, ci ammonì mia madre seria.
-Tranquilla ma', tanto ci sarà sempre Tom a starci con il fiato sul collo. Sperò solo di non finire in Corvonero, non potrei sopportare altri 3 anni insieme a lui-, dissi io con una smorfia.
-Nathan!-, mia madre sembrava arrabbiata, ma mio padre ed Alan ridevano entrambi.
-Beh, qualunque cosa succeda, una cosa è certa: nessuno separerà voi due-, disse Alan sorridente.
-Se finiamo in Serpeverde, io risalgo sul treno e me ne torno dritto a casa, sappiatelo-, esclamò John serio.
-No, non lo farai. Non fatevi preconcetti sulle case, ragazzi, sono mondi che dovrete scoprire da voi, come imparerete nel tempo-, spiegò mio padre.
Stavo per ribattere, quando un lungo fischio annunciò l’imminente partenza del treno.
Sentimmo le porte sbattere con un tonfo sordo, e il vagone cominciò lentamente a vibrare.
Le nostre famiglie ci fecero le ultime raccomandazioni mentre il treno prendeva piano piano velocità. Sporgendo dalla finestra, salutammo agitando le mani entusiasti, finché l’espresso per Hogwarts non girò a destra, e il binario 9 e 3/4 scomparve dalla vista.
Chiudemmo il finestrino, e ci sedemmo uno di fronte all’altro.
-E così, finalmente, ci stiamo andando per davvero-, dissi io tutto sorridente.
-Hogwarts, è solo, cosa, tutta la mia vita che aspettavo questo giorno?-, rispose John sarcastico.
Scoppiammo entrambi a ridere, ma tutto ad un tratto John diventò serio.
-Cosa c’è che non va?-
-E se succede davvero?-, chiese lui pensieroso.
-Se succede cosa?-
-Se finiamo davvero a Serpeverde?-.
Lo guardai un po’ sorpreso, colto alla sprovvista da questa domanda. Ovviamente ci avevo pensato anche io, negli ultimi mesi, in che casa sarei finito.
-Sinceramente, mi sembra impossibile che tutti i Serpeverde siano cattivi. Credo sia solo uno stupido luogo comune-, spiegai io semplicemente.
-Beh, ma…-, John abbassò lo sguardo. -Tu-sai-chi era un Serpeverde-.
Sbuffai. -Ma sarebbe potuto anche essere un Tassorosso per quel che ne sappiamo, e sarebbe finito probabilmente nello stesso modo. E poi-, aggiunsi abassando la voce. -Non è che Azkaban sia popolata solo da Serpeverde eh, c’è luce ed oscurità in tutti noi-.
-Wow-, disse John divertito.-Se la carriera da mago ti va male, potresti sempre finire a dirigere la sezione delle poesie del Gazzeta del Profeta-.
-Oh, finiscila-, dissi facendogli un gestaccio con la mano.
All’improvviso la porta dello scompartimento si aprì, ed un ragazzino alto e magro dai  capelli neri apparve sull’uscio.
-Ehm, scusate-, disse imbarazzato.-Tutti gli altri vagoni sono pieni e mi chiedevo se…-
-Ma certo!-, disse John ancora prima che potesse finire la frase, indicandogli il posto accanto a se.-Accomodati pure-.
Il ragazzo sospirò sollevato e si lasciò cadere nel posto indicato.
-Piacere, sono Nathan Zeller, e questo è John Lane-, ci presentai io tendendogli la mano.
-Samuel Edge, ma tutti mi chiamano Sam-, si presentò lui a sua volta.
-Hai fratelli o sorelle ad Hogwarts, Sam?-, chiese John curioso.
-Oh no…-, Sam lo guardò per un attimo, sembrando quasi in imbarazzo. -A dire il vero, neanche sapevo dell’esistenza di Hogwarts fino a qualche mese fa-.
-Ohh-, esclamammo all’unisono sia io che John.
-Sei un nato babbano?-, chiese lui.
-Esatto, è stata un po’ una grande sorpresa per i miei quando abbiamo ricevuto la lettera. Mia madre stava per avere un colpo quando un gufo è calato dalla finestra nella cucina-, raccontò ridendo, e io e John lo ascoltammo divertiti. -Per me è stato un grande sollievo, avevo cominciato a fare cose strane che non riuscivo a spiegarvi e pensavo di star impazzendo. Una volta, ero seduto sul divano e non avevo voglia di alzarmi per prendere un libro, e questi si è alzato a mezz’aria ed è volato verso di me!-
-Un semplice incantesimo di appello-, commentò John con aria da saccente.
-E una volta, ho per sbaglio accesso un fuoco nel giardino. Quella volta mi ero spaventato davvero, temevo di essermi trasformato in un qualche mostro. Quindi è stato tranquilizzante ricevere la lettera che mi spiegava che ero un mago, mi ha fatto capire un po’ di cose-, disse sollevato.-Poi, c’è stata una volta quando…-
Ma la frase di Sam fu interrotta a metà dalla porta che si apriva e dall’entrare di un ragazzino basso dai capelli color sabbia.
-Grandioso, anche questo è occupato-, borbottò lui. -Scusate-, e fece per andarsene.
-Qui abbiamo abbastanza posto, siediti pure se vuoi-, dissi amichevole indicando il posto di fianco a me.
-Ohh, ti ringrazio-, disse lui richiudendosi la porta alle spalle. -Non avete IDEA di quanti vagoni ho già passato. Quelli più grandi snobbano completamente i piccoli, e ho provato a infilarmi in un gruppo del primo anno ma fra poco mi prendevano a pugni, un ragazzino pallido dai capelli biondi mi ha praticamente scagliato contro i suoi due amici che vi giuro, se esistessero dei troll umani, assomiglierebbero a quelli-.
-Cosa sono i troll?-, chiese Sam curioso.
-Come cosa sono i troll?-, il ragazzino dai capelli biondi lo guardò come se cercasse di capire se lo stesse prendendo in giro o meno.
-Sam è un nato babbano-, spiegò John. -Non conosce ancora bene il mondo magico-.
La bocca del ragazzo si raccolse in una perfetta O di stupore. -Mio padre mi aveva detto che esistevano maghi che provenivano da famiglie babbane, ma pensavo mi stesse prendendo in giro!-.
Sam abbassò lo sguardo, di nuovo in imbarazzo. Il ragazzo lo notò e si rese conto solo allora di come la sua frase era suonata.
-Ohh, perdonami, non era detto in modo negativo, e solo che non mi era mai capito prima d’ora di parlare con qualcuno che non fosse cresciuto in una famiglia di maghi. Ho sentito dire che hanno inventato un sacco di cose incredibili per rimediare all’assenza di magia, è vero?-.
-Si, la nostra tecnologia è molto più sviluppata, per esempio non ho visto niente di elettrico a Diagon Alley-, spiegò lui. Sembrava che parlare del mondo babbano lo facesse sentire più a suo agio.
-Cosa diamine è un ‘elettrico’?-, chiesi io confuso.
Sam ci parlò a lungo del mondo babbano, e di tutti i loro modi di fare e dire, e noi gli spiegammo lo stesso del mondo magico. Scoprimmo che il ragazzo biondo si chiamava Ernest Macmillan. Aveva dei modi un po’ pomposi e non ero ancora sicuro se mi piacesse o meno come persona, ma sapeva anche essere simpatico quindi per il momento non me ne preoccupai molto.
Mentre eravamo intenti a chiacchierare, dal corridoio sentimmo provenire un vociare confuso, e dopo qualche minuto una donna sorridente apparve alla porta.
-Desiderate qualcosa dal carrello, cari?-
Tutti e 4 scattammo in piedi e ci avvicinammo al carrello strapieno di dolci e dolcetti. Noi tre eravamo abituati a quelle cose, ma Sam guardava tutto con un misto di sorpresa e confusione. Io e John gli spiegammo cosa erano le varie cose, illustrandogli le gelatine tutti giusti+1, le cioccorane, le bacchette magiche alla liqurizia, le gomme bolle bollenti, i zuccotti di zucca, i ciococalderoni, e molte altre.
Alla fine lui comprò una grande confezione di gelatine e qualche cioccorana, e rimase decisamente colpito quando aprendole una di questa cominciò a saltellare per tutto il compartimento.
Eravamo intenti a mangiare quando la porta si aprì per l’ennesima volta ed un ragazzino dal volto rotondo entrò.
-Scusate, avete per caso visto un rospo?-.
-No, ma se vuoi qui ho una rana-, rispose Sam alzando la cioccorana.
-Oh…grazie comunque…-, ed uscì tetro.
-Voi avete portato degli animali?-, chiese Sam. -Io a casa avevo un pastore tedesco, ma la lettera non diceva che si potessero portare cani a Hogwarts-.
-Mhh io no, ma mio fratello Tom ha un gufo-, risposi io pensieroso. -In effetti un po’ mi pento di non averne chiesto uno anche io-.
-Tranquillo, se avrai bisogno di un gufo posso sempre prestarti Hesper-, disse John mordicchiando una bacchetta alla liqurizia. Hesper era la sua civetta.
-A cosa servono esattamente i gufi?-, chiese Sam.
-Beh, essenzialmente consegnano la tua posta-, spiegò Ernest.
-Ah, pensavo fosse una cosa che si faceva solo per le lettere di Hogwarts-, spiegò lui.
Il pomeriggio prosegui tranquillo, tra chiacchiere e risate. Ernest cominciò a vantarsi di come conoscesse già decine di incantesimi, ma quando gli chiedemmo di mostrarcene qualcuno, disse che aveva dimenticato la bacchetta nel suo baule.
Sam ci mostrò un album di fotografie ritraente la sua famiglia, dove le immagini stavano ferme anzichè muoversi come avrebbero dovuto fare.
La sera stava calando, e le montagne e le foreste si stagliavano contro il cielo arancione. Il treno stava lentamente rallentando.
Tutti e quattro ci togliemmo le giacche ed infilammo le tuniche nere, mentre una voce risuonò per tutto il treno: ‘Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici della scuola separatamente’.
Io e John ci guardammo emozionati, mentre il treno finalmente si fermava.
Ci accalcammo fuori nel corridoio insieme alla marea di studenti, che procedeva a spintoni verso gli sportelli, e poi sul marciapiede buio.
Rabbrividì nel freddo della notte e mi strinsi nella veste, quando all’improvviso una luce si accese sopra le nostre teste.
Una voce grossa tuonò -Primo anno! Primo anno da questa parte!-.
Un uomo enorme torreggiava sopra tutti loro, il faccione peloso che sorrideva in un groviglio disordinato di capelli e barba.
-Coraggio, seguitemi…C’è qualcun altro del primo anno? E ora attenti a dove mettete i piedi. Quelli del primo anno mi seguano!-
Scivolando e incespicando, seguimmo l’omone per quello che sembrava un sentiero stretto e ripido. Tutto attorno a noi il buio ci avvolgeva, e la lanterna dell’uomo era l’unica fonte di luce in quella oscurità.
-Fra un attimo: prima vista panoramica di Hogwarts!-, annunciò l’uomo parlando da sopra la spalla. -Ecco, dopo questa curva-.
Svoltammo l'angolo, e ci fu un coro di ‘oooooh’!
Lo stretto sentiero si era aperto all’improvviso dando sul bordo di un grande lago nero. In lontananza, appollaiato in cima ad una montagna, il castello di Hogwarts si stagliava contro il cielo puntellato da migliaia di stelle. Le numerose torre e torrette si innalzavano verso l’alto, e le finestre scintillavano dorate nel buio della notte.
John mi diede un colpo sul braccio mentre ammiravo a bocca aperta lo spettacolo.
-Ci siamo-, mi disse tutto sorridente.
-Ci siamo-, ripetei io altrettanto raggiante. -Siamo a Hogwarts-.

 

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Capitolo 3
*** Il cappello parlante ***


Capitolo 3) Il cappello parlante
-Incendio!-, alcune fiamme scaturirono dalla punta della bacchetta di Nathan, accendendo il fornello.
Riempì il pentolino d'acqua, e lo mise sul fuoco, mentre rovistava nella credenza. Finalmente trovò alcune vecchie bustine del tè.
Versò l'acqua bollente in una tazza, ci buttò dentro la bustina, e prese posto al tavolo, in attesa.
-Ho fatto un sogno. Uno bello, stavolta-.
'Un sogno? E cosa hai sognato?' rispose la voce dentro la sua testa.
-Una grande festa, un ballo per l'esattezza-.
'Hai sognato di andare ad un ballo?' chiese la voce, con tono sarcastico.
-No, a dire il vero, credo che ci fossi già stato. Ero più giovane, appena un ragazzo-.
'E cosa faceva il te più giovane?'
-
Ballava, su una pista di ghiaccio, ma non riesco a ricordare altro-.
'Forse era un ricordo'.
-
Forse era solo un sogno che...- le parole di Nathan furono interrotte da un improvviso suono secco.
-Cosa è stato?- mormorò sotto voce, alzando la bacchetta.
Si addentrò nel piccolo corridoio, in direzione della porta, da cui il suono era sembrato provenire.
-Non c'è nessuno...-, si disse fra sè e sè.
Ma qualcosa catturò la sua attenzione: distesa per terra davanti alla porta, era comparsa una lettera.
Nathan la raccolse, rigirandosela fra le mani. Sul fronte era disegnato uno strano simbolo, una mezzaluna attraversata da tre linee diagonali parallele. Aprì la busta, e ne trasse fuori una pergamena scritta a mano.
‘Nathan,
So che sei riuscito ad arrivare al tuo nascondiglio sano e salvo, e di questo ne sono grato.
Probabilmente lo avrai già trovato, ma se così non fosse, sappi che sulla scrivania c’è il tuo vecchio diario. Te ne sarai già accorto: la tua memoria è stata cancellata, ed è fondamentale che tu la riprenda, perciò leggi attentamente ogni singola pagina.
Non posso fornirti ulteriori informazioni per paura che questa lettera cada nelle mani sbagliate, ma sappi che cercherò di mettermi in contatto con te il prima possibile. Fino ad allora resta al sicuro, e non uscire di casa per alcuna ragione al mondo.
A presto,
                                    
                                                                                      il Lupo di Mezzanotte’

Nathan finì di leggere la lettera, e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
-Le nostre supposizioni erano corrette, qualcuno ci ha davvero cancellato la memoria. La vera domanda ora è; per quale motivo?-
L'uomo si avvicinò alla scrivania, e posò la lettera di fianco al libro.
Poi aprì il suo diario, e continuò a leggere.
                                                                          -


Eravamo tutti intenti ad ammirare il castello di Hogwarts, quando la voce di Hagrid ci riportò alla realtà.
-Non più di quattro per battello-,avvertì l’omone indicando una decina di barchette in legno arenate sulla riva del lago.
Io e John salimmo su una delle imbarcazioni vuote, e Sam e Justin ci seguirono occupando i due posti dietro di noi.
-Tutti a bordo?-, gridò Hagrid, e notai che sedeva in una barca grande il doppio rispetto a tutte le altre.-Bene...si parte!-
Le barchette si staccarono dalla riva come se qualcuno avesse dato loro una forte spinta, e cominciarono a scivolare ordinate sulla superficie nera del lago.
Nessuno parlava, eravamo tutti in silenzio, troppo occupati ad ammirare il grande castello che torreggiava su di noi da sopra la rupe su cui era arroccato. Le luci si facevano sempre più grandi e vicine man mano che ci avvicinavamo.
-Giù la testa!-, gridò Hagrid quando le barche della prima fila raggiunsero la scogliera. Tutti quanti abbassammo il capo, e i battelli attraversarono una cortina d’edera, che come una tenda nascondeva una grande apertura nella roccia.
Le barche scivolarono in silenzio attraverso un lungo tunnel immerso nell’oscurità, che terminò in una specie di piccolo porto sotterraneo.
Qui tutti cominciarono a scendere dalle barche, e ad arrampicarsi lungo un sentiero tra scogli e sassi. Attravversammo un lungo passaggio nella roccia, guidati da Hagrid e dalla sua grande lampada, e finalmente emergemmo su un prato ricoperto di erba umida, proprio sotto il grande castello.
Salimmo una grande scalinata di pietra, il rumore di decine di piccoli piedi che scalpitavano impazienti, e ci affollamo davanti al grande portone di quercia.
-Ci siamo tutti?-, chiese Hagrid guardandosi intorno. -E tu, ce l’hai ancora il tuo rospo?-, chiese al ragazzo dalla faccia tonda, che annui stringendo un grosso rospo fra le braccia.
Hagrid alzò il pugno gigantesco e bussò tre volte.
La porta si aprì all’istante, come se il nostro arrivo fosse stato programmato al millesimo di secondo.
Sull’uscio apparve una strega alta vestita di verde smeraldo. Aveva dei capelli corvini raccolti in uno stretto chignon, e un volto dall’espressione molto severa, sormontato da un paio di occhiali squadrati.
La guardai attentamente, e dall’aria seria capii subito che quella era una persona con cui era meglio non mettersi contro.
-Ecco qua gli allievi del primo anno, professoressa McGranitt-, disse Hagrid.
-Grazie, Hagrid. Da qui in avanti li accompagno io-.
La professoressa McGranitt si girò e spalancò la porta.
La sala d’ingresso era enorme, sembrava un grande giardino al chiuso, e il soffitto era talmente alto che si vedeva a malapena. Sulle pareti di pietra brillavano numerose torce, e il guizzo delle lore fiamme dava un senso di sicurezza e calore.
Di fronte a noi si allungava una ricca e decorata scalinata in marmo, che conduceva ai piani superiori.
Seguimmo la McGranitt attraverso la sala, e potevo udire il brusio di centinaia di voci provenire da una porta alla nostra destra. Immaginai che quella doveva essere la Sala Grande, e che gli altri studenti fossero già arrivati, ed ero già pronto ad entrare, ma la professoressa continuò dritta e ci guidò in una piccola stanza vuota. Ci stringemmo tutti dentro, un po’ scomodi, guardandoci intorno nervosi.
-Benvenuti ad Hogwarts-, disse la professoressa McGranitt non appena tutti fummo dentro. -Il banchetto per l'inizio dell'anno scolastico avrà luogo tra breve, ma prima di prendere posto nella Sala Grande, verrete smistati nelle vostre case. Lo Smistamento è una cerimonia molto importante, perché per tutto il tempo che passerete qui a Hogwarts, la vostra casa sarà un po' come la vostra famiglia. Frequenterete le lezioni con i vostri compagni di casa, dormirete nei locali destinati alla vostra casa e passerete il tempo libero nella sala di ritrovo della vostra casa. Le quattro case si chiamano Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde.-, ai nomi delle case io e John ci scambiammo un’occhiata silenziosa.
-Ciascuno ha la sua nobile storia e ciascuno ha sfornato maghi e streghe di prim'ordine. Per il tempo che resterete a Hogwarts, i trionfi che otterrete faranno vincere punti alla vostra casa, mentre ogni violazione delle regole gliene farà perdere. Alla fine dell'anno, la casa che avrà totalizzato più punti verrà premiata con una coppa, il che costituisce un grande onore. Spero che ognuno di voi darà lustro alla casa a cui verrà destinato. La Cerimonia dello Smistamento inizierà tra pochi minuti, davanti a tutti gli altri studenti. Nell'attesa, vi suggerisco di farvi belli più che potete. Tornerò non appena saremo pronti per la cerimonia-, concluse dirigendosi verso l’uscita, e tutti ci facemmo da parte per farla passare. -Vi prego di attendere in silenzio-.
Mi guardai attorno, e notai che molti avevano un’aria preoccupata, se non terrorizzata.
-Di preciso, in che modo ci smistano per casa?-, chiese il ragazzino dagli occhiali rotti e i capelli spettinati ad un altro studente alto e dai capelli rossi.
-Una specie di prova, credo. Fred ha detto che fa un sacco male, ma penso che stesse scherzando-, rispose il rosso, ma sembrava un po’ preoccupato anche lui.
-Non-non ci faranno fare nessuna prova, vero Nathan?-, mi chiese John tutto pallido.
-Non ne ho idea, Tom non mi voleva mai dire niente quando gli chiedevo dello smistamento-, risposi io ansioso. -Cavoli, non ho neanche la mia bacchetta con me!-
-Nemmeno io, l’ho lasciata nel baule-, deglutì John, e un attimo dopo sobbalzò, mentre molti ragazzi dietro di lui gridavano.
Io alzai lo sguardo, e per un attimo mi sentii mancare il fiato.
Una ventina di fantasmi erano appena entrati nella stanza attraverso la parete in fondo. Erano di un bianco perlaceo e leggermente trasparenti, si riusciva a vedere attraverso di loro, e scivolavano per la stanza a pochi centrimentri da terra, parlando allegri tra di loro senza degnarci di uno sguardo.
-Io dico che bisogna perdonare e dimenticare; dobbiamo dargli un'altra possibilità...-, stava dicendo il fantasma di quello che sembrava un piccolo monaco tondo e grasso.
-Mio caro Frate, non abbiamo forse dato a Pix tutte le possibilità che meritava? Non fa che gettare discredito sul nostro nome, e poi lo sai, non è neanche un vero e proprio fantasma...-, gli rispose un fantasma in calzamaglia e gorgiera, che ad un tratto sembrò notare noi studendi. - Ehi, dico, che cosa ci fate qui?-
Ma nessuno di noi rispose, eravamo troppo pietrificati per fare qualsiasi cosa.
-Nuovi studenti!-, disse il frate grasso correndo ad abbracciare alcuni ragazzi. I poveri malcapitati rabbrividirono quando le grosse braccia del monaco li attraversarono, ma erano troppo spaventati per dire qualcosa.-In attesa di essere smistati, suppongo-, aggiunse.
Alcuni fecero di sì con il capo, ma senza parlare.
-Spero di vedervi tutti a Tassorosso!-, disse il Frate sorridendo. -Sapete, è stata la mia casa-.
-E ora, sgombrare!-, ordinò una voce aspra e decisa all’improvviso. -Sta per cominciare la cerimonia dello smistamento!-.
La professoressa McGranitt era tornata, e uno a uno i fantasmi abbandonarono la stanza attraversando il muro di fronte.
-Mettetevi in fila e seguitemi-, ci ordinò, e io mi misi in fila dietro John e davanti ad una ragazza dai crespi capelli castani, che continuava a bisbigliare formule di incantesimi sottovoce come un’isterica.
Uscimmo dalla stanza in fila indiana, tornando nella sala d’ingresso. Passamo davanti a qualche paio di grosse porte, ed infine entrammo nella Sala Grande.
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, restammo di nuovo tutti a bocca aperta.
La Sala Grande era immensa, sembrava un’enorme cattedrale. I quattro tavoli delle case si allungavano tutto attorno a noi: erano apparecchiati con piatti e calici d’oro che scintillivano alla luce di migliaia di candele che volavano sospese a mezz’aria.
In fondo alla sala c’era un quinto tavolo, posto in orizzontale, attorno al quale erano seduti tutti i professori, ed era li che la professoressa McGranitt ci stava conducendo.
Tutto attorno a noi, centinaia di studenti ci osservavano incuriositi. Mi sentivo a disagio ad essere fissato in quella maniera, quindi per distogliere lo sguardo alzai la testa e fissai il soffitto. Sembrava un grande telo di velluto nero tempestato di tante stelle luminose.
-E’ per magia che somiglia al cielo di fuori! L’ho letto in storia di Hogwarts!-, sentii bisbigliare la ragazza dietro di me.
Guardai di nuovo in alto, ancora più meravigliato di prima. Sembrava semplicemente che
il soffitto non esistesse e che invece la sala si trovasse all’aperto, sotto il cielo stellato.
Nel frattempo eravamo arrivati in fondo alla sala, di fronte al tavolo degli insegnanti, e la professoressa McGranitt aveva collocato uno sgabello a quattro gambe davanti a noi.
Sopra lo sgabello mise un vecchio cappello da mago, logoro e pieno di toppe.
Cominciai a guardarmi intorno, chiedendomi cosa sarebbe successo, ma notai che tutti nella sala stavano fissando il cappello, e li imitai.
Per qualche secondo ci fu un silenzio assoluto, nessuno proferiva parola.
Poi il cappello ebbe come un sussulto, un strappo vicino al bordo si spalancò come una bocca, e lui cominciò a recitare.
‘Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
 Potete tenervi le vostre bombette
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c'è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltate
qual è la casa in cui rimanere.
Forse Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
 dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
 che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure
E mettetemi in capo all'istante
Con me sarete in mani sicure
Perché io sono un Cappello Parlante!’
No appena ebbe finito la filastrocca, tutta la sala scoppiò in un fragoroso applauso. Il cappello fece un breve inchino a ognuno dei quattro tavoli, e poi tornò immobile come prima.
-Oh, grazie al cielo dobbiamo solo provare il cappello. Temevo già che ci mettessero a combattere contro un gigante o roba del genere-, sospirò sollevato John da davanti a me.
La professoressa McGranitt si fece avanti, tenendo un lungo rotolo di pergamena tra le mani.
-Quando chiamerò il vostro nome, voi metterete il cappello in testa e vi siederete sullo sgabello per essere smistati-, spiegò brevemente. Poi lesse il primo nome in cima alla lista, e chiamò:-Abbot, Hannah!-
Dalla fila sbucò una ragazzina dalla faccia rosea e con i capelli biondi raccolti in due codini. Per l’emozione inciampò, poi si sedette sullo sgabello e indossò il cappello che le ricadde sopra gli occhi in maniera buffa.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la bocca del capello gridò: -TASSOROSSO!-
Il tavolo di Tassorosso, alla mia destra, fece un grido di gioia e cominciò a battere le mani mentre Hannah prendeva posto accanto a loro.
-Boot, Terry-
-Corvonero!-
Questa volta fu il secondo tavolo a sinistra a battere le mani e gioire, e molti Corvonero si alzarono per stringere la mano di Terry mentre questi prendeva posto.
Anche Brocklehurst Mandy finì a corvonero, ma poi Brown Lavanda  fu assegnata a Grifondoro, e il tavolo all’estrema sinistra esplose in un boato generale mentre le davano il bevenuto.
Bulstrode Millicent fu invece la prima Serpeverde. Notai che aveva un aspetto sgradevole, sembrava un piccolo troll con sembianze femminili. Come al solito, i peggiori finivano a Serpeverde, pensai tra me e me.
-Edge, Samuel!-
Sam uscì dalla fila, e sembrava sul punto di svenire, talmente era bianco in volto.
Si sedette sullo sgabello e si calò il cappello in testa.
Il cappello ci mise un po’, e riuscivo a vedere il sudore che imperlava la faccia di Sam, ma dopo un po’ urlò -TASSOROSSO-, e Sam con un sollievo si alzò e andò a sedersi tra gli studenti che lo accolsero con un fragore di gioia.
Essendo che lo smistamento proseguiva  in ordine alfabetico, mi resi conto che con un cognome come Zeller non potevo che essere fra gli ultimi, e imprecai mentalmente. L’attesa mi stava uccidendo.
Non stavo più prestando attenzione ai nomi, ma quando la voce chiamò Granger Hermione, la ragazzina dietro di me scattò in avanti urtandomi e quasi si mise a correre, afferando il cappello e calandoselo in testa.
Questi tuonò nuovamente -GRIFONDORO-, e successivamente la McGranitt chiamò.
-Lane, John-.
Diedi una pacca di incoraggiamento sulla schiena a John, mentre questi da davanti a me usciva dalla fila e si dirigeva verso il cappello.
Non saprei dire cosa provai esattamente quando il cappello gridò -CORVONERO!-.
John sembrava un po’ stupito, ma si alzò e andò a sedersi tra i suoi nuovi compagni di casa.
Io invece pensai che ora sarei dovuto finire nella stesa casa di mio fratello, e la cosa mi dava non poco fastidio. In realtà pensavo già che sarei finito in Corvonero, dato che molto spesso i fratelli finivano nella stessa casa, ma ora non potevo neanche sperare il contrario se volevo rimanere con John.
Quasi maledissi John tra me e me, avrebbero potuto scegliere qualsiasi altra casa, persino Serpeverde mi sarebbe andata bene!
Nel frattempo Paciock, Nevile era stato smistato a Grifondoro, e il ragazzo dalla faccia tonda era corso dallo sgabello con il cappello ancora in testa, ed era dovuto tornare indietro tra le risate generali per consegnarlo a Macdougal Morag.
Seguì un ragazzo biondo dall’aria tracotante che fu smistato in Serpeverde non appena il cappello ebbe toccato la sua testa.
Malfoy Draco corse tutto compiaciuto a sedersi al tavolo delle serpi.
Due gemelle, entrambe Patil, furono però smistate in case diverse, una in Corvonero e l’altra in Grifondoro, e per un attimo ebbi un attimo di speranza per il fatto che forse non sarei finito nella stessa casa di Tom.
Ma poi mi ricordai di John, e la speranza svanì.
-Potter, Harry!-, chiamò la voce della McGranitt, e io alzai lo sguardo ritrornando alla realtà.
Avevo sentito bene?
Il ragazzo dagli occhiali rotti e i capelli spettinati che avevo visto prima sul treno cominciò ad avanzare verso lo sgabello, e io cercai di guardare la sua fronte. Fu allora che la vidi, una cicatrice a forma di saetta. Ebbi un sussulto di sorpresa.
Notai che tutta la sala ad un tratto era stata percossa da numerosi sussurri. Tutti cercavano di allungare il collo per vedere meglio.
Harry Potter si sedette sullo sgabello e si calò il cappello in testa, e presto la sua cicatrice non fu più visibile.
Dopo un tempo sorprendemente lungo, il cappello parlante tuonò -GRIFONDORO-.
Tutta la sala scoppiò in un boato, che notai provenire principalmente dal tavolo dei Grifondoro, dove tutti si stavano accalcando sul nuovo arrivato per poterlo salutare, e per poterlo vedere meglio.
Poi la McGranitt chiamò, -Strong, Arianna!-.
Una ragazzina dai capelli biondo scuro si fece avanti.
Il cappello parlante indugiò per qualche attimo, e infine gridò -SERPEVERDE!-
La ragazzina si tolse il cappello e si diresse verso il tavolo delle serpi senza nessuna espressione particolare sul volto.
Erano rimaste ormai soltanto altre tre persone, oltre a me.
Turpin Lisa diventò una Corvonero, Weasley Ronald un Grifondoro, e Zabini Blaise un Serpeverde.
Alla fine, ero proprio l’ultimo della lista, pensai tra me e me mentre la McGranitt chiamava. -Zeller, Nathan-, e richiudeva il rotolo di pergamena.
Con il cuore in gola, mi avvicinai allo sgabello, conducendo una silenziosa lotta interiore su quanto volessi o meno finire in Corvonero.  Mi sedetti, infilai il cappello, e il mondo parve scomparire.
Fissai per qualche istante l’interno nero del cappello, poi una voce nella mia testa parlò.
-Mhhh, curioso, sembri essere combattuto. Hai paura di finire nella stessa casa di tuo fratello perché questo vorrebbe dire dover essere alla sua altezza e subire i suoi torti, ma d’altro canto, faresti di tutto pur di seguire il tuo amico-.
Credo che in quel momento annui interiormente, perché il cappello riprese. -Ahh, molto bene, il tuo è un comportamento molto nobile, un forte sentimento di amicizia direi. Ma il tuo amico si troverà bene anche da solo, vedrai. D’altro canto, ci sono molti che potrebbero trarre benefecio da un ottimo amico come te. Per questo, la scelta mi pare più che ovvia. TASSOROSSO!-

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Capitolo 4
*** La Tana di Tassorosso ***


Capitolo 4) La Tana di Tassorosso

Nathan dormiva.
Disteso sul grande letto, con una mano che penzolava dal bordo e oscillava lentamente, continuava a muoversi nel sonno.
Dentro la sua testa, una donna piangeva, singhiozzando come una forsennata.
'Chi sei?', chiese Nathan alla figura che non poteva vedere. 'P-perché stai piangendo?'
Ma in tutta risposta, la donna semplicemente continuò a piangere, senza rispondere.
'Perché...perché stai piangendo?' chiese nuovamente Nathan mentre un orologio, da qualche parte in lontananza, batteva la mezzanotte.
La donna singhiozzò più forte, in un lamento acuto, e Nathan si svegliò all'improvviso, alzandosi a sedere di colpo e ansimando spaventato.
'Di nuovo un sogno?' domandò la voce familiare dentro la sua testa.
-Non...non lo so...un sogno, un incubo...forse un ricordo- rispose Nathan con tono confuso. -Ho sentito qualcuno piangere...ho sentito un orologio, un grande orologio...dai rintocchi doveva essere mezzanotte-.
'Mezzanotte? Perché mai saresti dovuto essere in giro a mezzanotte?'
-
Non ne ho idea...ma perché qualcuno stava piangendo?- chiese Nathan scostando le coperte di lato e alzandosi. -Ma soprattutto, chi è che piangeva a mezzanotte?-                                                                                                            

                                                                                                               -

Tassorosso.
Il nome rimbombava ancora nelle mie orecchie quando mi alzai dallo sgabello.
La McGranitt dietro di me arrotolò la pergamena e si allontanò con il cappello parlante, mentre io mi dirigevo verso il tavolo dei tassorosso.
Non potei fare a meno di sorridere quando una miriade di facce sorridenti mi accolsero stringendomi la mano e dandomi il benvenuto nella famiglia.
Sam mi fece un cenno con la mano, indicandomi un posto libero sulla panca, e io andai a sedermi di fianco a lui.
-Oh, che fortuna essere capitati insieme!-, mi disse lui raggiante mentre si guardava intorno, ancora preda del fascino della Sala Grande.
Io annuii senza troppo entusiasmo, e alzai lo sguardo verso il tavolo dei Corvonero.
Incontrai gli occhi di John, il quale fece un sorriso triste e si strinse nelle spalle come per dire ‘E’ andata così, amico’.
Io annuii a mia volta, e gli feci un cenno d’assenso alzando i pollici, prima che lui si voltasse verso uno dei suoi nuovi compagni.
-Non ti preoccupare, avrai un sacco di occasioni per stare con il tuo amico, anche se siete in case diverse-, disse una voce calda alla mia destra.
Mi voltai di scatto, e mi ritrovai davanti un ragazzo del terzo, forse quarto anno.
-Come hai?...-, cominciai a chiedergli io, ma lui ma battè sul tempo.
-Ci sono passato anche io quando fui smistato, il mio migliore amico finì in Grifondoro. Avevo la tua stessa espressione, e probabilmente anche gli stessi pensieri. Ma non preoccuparti, la maggior parte delle ore di lezione si fanno sempre in coppia con un’altra casa, quindi avrete modo di vedervi-, mi disse tutto sorridente.
Rimasi per un attimo colpito dall’immediatezza della risposta, e non seppi cosa dire sul momento, ma per fortuna in quell’istante il preside si alzò in piedi e si rivolse alla sala.
-Benvenuti!-, disse. -Benvenuti al nuovo anno scolastico di Hogwarts! Prima di dare inizio al nostro banchetto, vorrei dire qualche parola. E cioè: pigna, pizzicotto, manicotto, tigre! Grazie!-, e detto ciò, torno a sedersi.
Io lo guardai confuso, ma attorno a me tutti battevano le mani e gridavano entusiasti.
-E’ qualche vostro strano rituale da maghi?-, mi chiese Sam sottovoce.
-Non ne ho la più pallida idea-, risposi semplicemente io.
Ma in un battibaleno, le parole di Silente furono dimenticate: di colpo, i piatti davanti a me si erano riempiti di pietanze: pollo arrosto, braciole di maiale e di agnello, roast beef, salsicce, bacon e bistecche, patate lesse, patate arrosto, patatine fritte, Yorkshire pudding, piselli, carote, ragù, salsa ketchup e una varietà di dolci che spazziavano dalle torte, ai pasticcini, ai gelati multigusto.
Ero intento a riempire il mio piatto con salsiccie e patate arrosto, quando il tavolo attorno a me esplose in un boato.
Mi guardai attorno cercando di capire il perché di tanta confusione, e notai che tutti fissavano l’estremità del nostro tavolo, dove il fantasma del Frate Grasso fluttuava a mezz’aria.
-Avanti Frate, fai vedere ai nuovi arrivati di cosa sei capace!-, urlò una voce,e il Frate accolse l’invito con un leggero inchino.
Si levò in alto, e con uno scatto improvviso si lanciò sul tavolo, scivolando velocissimo sul grande pancione  e ridendo come un matto. Arrivato all’altro capo, volò via dalla superficie di legno e si librò in aria con una leggere capriola.
Tutti i Tassorosso scoppiarono in uno scroscio di applausi e fischi di ammirazione, e anche io mi unii a loro divertito.
Il Frate tornò volteggiando verso di noi, e si sedette al centro del tavolo incrociando le gambe e infilando le mani nelle grandi maniche del suo saio.
-Passata un’estate tranquilla, Frate?-, chiese una ragazza prendendo una coscia di pollo attraverso la gamba del fantasma.
-Deliziosa Anette, davvero deliziosa. Io, Gulliver e Merwyn abbiamo messo su una piccola orchestra e ci siamo divertiti a dilettare gli altri fantasmi per tutto agosto. Molti hanno apprezzato, ma il Barone Sanguinario si è lamentato del fatto che eravamo ‘troppo allegri’. Ora stiamo cercando di convincere alcune suore malinconiche a unirsi come coro del gruppo, ma non stiamo avendo molti successi-, rispose lui un po’ cupo.
-Ma allora, dovete assolutamente venire a suonare alla prima festa nella Tana!-, scattò il ragazzo alla mia destra.
-Oh-oh, dice sul serio, mastro Cedric?-, chiese il frate, illuminandosi tutto d’un tratto.
-Ma assolutamente! Così per una volta non dovremo ascoltare quella robaccia di Radio Strega Network-, esclamò un ragazzo dai capelli rasati.
-Hey, se la mia non ti va bene, la prossima volta infiltrala te una radio nascondendola a Gazza. Voglio proprio vederti dove te la infili per non farti beccare-, rispose un altro, e tutto il tavolo scoppiò a ridere.
-Oh, farò di meglio, inviterò Gazza ad una romantica cena a lume di candela, con Celestina Warbeck che canta di sottofondo-, il ragazzo con i capelli rasati impugnò una coscia di pollo a mo di microfono.
-‘Vieni con me su un manico di scopa per guardare le stelle lassù
E io ti darò, caro, un calderone pieno di forte amor bollente’!-
Tutti scoppiarono nuovamente a ridere, mentre l’amico si univa in un duetto ed entrambi si alzavano in piedi cantando a squarciagola. Nel giro di un attimo, tutto il tavolo si era unito in un grande coro, e io stesso mi ritrovai a cantare con loro.
Notai che gli altri tavoli ci guardavano divertiti, come se episodi del genere fossero del tutto normale.
E con ‘ridammi, ti prego, il mio cuore innamorato’, la canzone si concluse in un’unica, lunga nota acuta, al termine del quale tutto il tavolo di Tassorosso scoppiò in un grande applauso a cui si unirono anche molti Grionfodoro e qualche Corvonero.
Sorridendo, non potei fare a meno di notare che per quanto anche agli altri tavoli aleggiasse un’atmosfera allegra, nessuno sembrava divertirsi come noi.
Incitato dagli altri, il Frate tirò fuori dal nulla una piccola chitarra a quattro corde. Iniziò ad intonare un motivetto in latino, di cui non capivo mezza parola, ma che però risuonava gradevole e allegro.
Notando gli altri fantasmi attorno ai tavoli, mi stupii di come il Frate risultasse incredibilmente allegro rispetto a loro. Mi girai verso il ragazzo alla mia destra, quello che mi aveva parlato del suo smistamento, e feci per chiederglielo, quando mi resi conto che non gli avevo nemmeno chiesto il nome.
-Ehmm, scusa, tu sei?...-chiesi un po’ in imbarazzo.
-Cedric, Cedric Diggory-, si presentò lui ufficialmente, tendendomi la mano.
-Nathan Zeller-, risposi stringendola, e in quel momento lui aggrottò la fronte.
-Allora non avevo sentito male. Sei per caso fratello di Tom Zeller?-.
-Ehm, sì-, risposi io, un po’ colpito dal suo improvviso cambio di tono.
-Perdonami se te lo dico, ma tuo fratello non mi sta particolarmente simpatico. Ha delle idee strane, ed è particolarmente testardo-, rispose infilzando una salsiccia.
-Oh, non dirlo a me, lo so bene. Mai fare l’errore di contraddirlo, secondo lui la sua parola è legge-, dissi io sbuffando.
-Sì, diciamo che ne so qualcosa. L’ultima volta che l’ho fatto, ne è uscito fuori un bel duello-, disse lui casualmente.
A me quasi andò di traverso il succo di zucca.
-Hai combattuto contro mio fratello?- chiesi io, non credendo alle mie orecchie.
-Si, l’anno scorso. Non te lo ha detto?-
-No, mio fratello non mi dice praticamente mai nulla di quello che fa-.
-Ahh, allora non credo stia a me informartene, forse è meglio così-, disse infine con un sorriso, tornando al suo piatto,e io non feci ulteriori domande. Morivo dalla voglia di sapere cosa fosse successo tra i due, ma mi rendevo conto che in fondo non erano affari miei. Non sapevo motlo su di Cedric, ma mi era sembrato un tipo a posto, e conoscendo il carattere di Tom, non era molto difficile supporre chi tra i due era dalla parte del torto. Ma chi lo sa, forse mi sbagliavo.
Ero immerso nei miei pensieri, quando anche gli ultimi dolci scomparvero, e il professor Silente si alzò nuovamente in piedi,e nella sala scese immediatamente il silenzio.
-Ehm... solo poche parole ancora, adesso che siamo tutti sazi di cibo e di bevande. Ho da darvi alcuni annunci di inizio anno. Gli studenti del primo anno devono ricordare che l'accesso alla foresta qui intorno è proibito a tutti gli alunni. E alcuni degli studenti più anziani farebbero bene a ricordarlo anche loro.-
Sam mi guardò con fare interrogativo, ma io gli feci cenno che gli avrei spiegato più tardi.
-
Inoltre, il signor Gazza, il guardiano, mi ha chiesto di ricordare a voi tutti che è vietato fare gare di magia tra classi nei corridoi-, il ragazzo con i capelli rasati e il suo compagno si guardarono con un ghigno divertito.
-Le prove di Quidditch si terranno durante la seconda settimana dell'anno scolastico. Chiunque sia interessato a giocare per la squadra del suo dormitorio è pregato di contattare Madama Bumb. E infine, devo avvertirvi che da quest'anno è vietato l'accesso al corridoio del terzo piano a destra, a meno che non desideriate fare una fine molto dolorosa-.
Di nuovo Sam mi guardò, ma questa volta anche io ero confuso. Nessuno mi aveva mai parlato di un corridoio proibito.
-
E ora, prima di andare a letto, intoniamo l'inno della scuola!’-, gridò Silente, e notai come in quel momento tutti gli insegnanti avessero assunto un’espressione particolarmente imbarazzata.
Il preside diede un colpo di bacchetta, e della punta fuoriuscì un grande nastro dorato che si sollevo per aria, cominciando a contorcersi e piegarsi assumendo la forma delle parole.
-Ognuna scelga il motivetto che preferisce-, disse silente. -Via!-.
Tutta la scuola intonò:
‘Hogwarts, Hogwarts del nostro cuore,
te ne preghiamo, insegnaci bene
giovani, vecchi, o del Pleistocene,
la nostra testa tu sola riempi
 con tante cose interessanti.
 Perché ora è vuota e piena di venti,
di mosche morte e idee deliranti.
Insegnaci dunque quel che è richiesto,
dalla memoria cancella l'oblio
fai del tuo meglio, a noi spetta il resto
finché al cervello daremo l'addio.’
Ognuno nella sala finì la canzone in tempi diversi, e verso la fine erano rimasti solo due gemelli di Grifondoro che stavano intonando una lenta marcia funebre.
Quando tutti ebbero finito, Silente applaudì fragorosamente.
-Ah, la musica!- disse asciugandosi gli occhi. -Una magia che supera tutte quelle che noi facciamo qui! E adesso, è ora di andare a letto. Via di corsa!-.
Ci fu un baccano incredibile quando le panche raschiarono contro il pavimento della sala, mentre gli studenti si alzavano e cominciavano a parlare tutti insieme.
-Andiamo ragazzi, vecchi e nuovi che voi siate!-, disse un Tassorosso dai lunghi capelli neri che portava al petto la spilla da Prefetto.
Si fece strada nella fiumana di gente, e noi lo seguimmo. Mentre passavamo notai Tom davanti a noi, intendo a sua volta a svolgere il suo ruolo da Prefetto scortando gli studenti di Corvonero. Tra di essi vidi anche John, e ci salutammo con un rapido cenno della testa.
Uscimmo dalla sala comune, e imboccammo la grande scalinata in marmo che avevo visto entrando. Sbucammo in una grande sala che si innalzava per molti piani, con decine di scale che collegavano i vari piani. Qui gli studendi di Grifondoro e Corvonero presero a salire verso le torri più alte, mentre noi e i Serpeverde imbucammo la scala che portava verso il basso. Le serpi svoltarono in un corriodio laterale, e sparirono subito dalla vista, mentre noi invece continuammo per un corridoio di pietra illuminato da decine di torce.
-A differenza dei sotterannei, il seminterrato ha meno spifferi, e molto più accogliente, ospiale quasi-, spiegò il nostro Prefetto, che avevo appreso si chiamasse Martin, indicando le molte torce appese ai muri,glii arazzi colorati e i dipinti disseminati qua e la. C’erano quadri di nature morte, un paesaggio di campagna, un ritratto di un vecchio mago, uno che rappresentava un cesto pieno di frutta e molti altri.
All’improvviso il gruppo si fermò, e notai che tutti stavano fissando dei barili enormi impilati contro il muro di pietra del corridoio.
Martin individuò la seconda botte dal basso, nel mezzo della seconda fila, e cominciò a colpirla seguendo un preciso ritmo.
Un’istante dopo, il grande coperchio del barile si aprì verso l’esterno come una grande porta rotonda, rivelando un altro piccolo corridoio che sembrava proseguire all’interno della botte.
Chi piegato, chi strinsciando carponi, entrammo uno ad uno dentro la botte, e quando anche l’ultimo di noi fu dentro, questa semplicemente si richiuse senza far alcun rumore.
-Perché, cosa succede se sbagliamo?-, chiese Samuel dietro di me con voce preoccupata.
-Oh, niente di che, il tappo del barile che avete colpito salterà in aria innondandovi di aceto-, rispose Martin da davanti. -E in quel caso, vi sconsiglio vivamente di entrare dentro prima di esservi tuffati nel Lago Nero-.
Qualcuno ridacchiò, e all’improvviso una luce si allargò davanti a me mentre emergevo dal tunnel.
-Vecchi e nuovi compagni, benvenuti e bentornarti, alla Tana di Tassorosso-, esclamò Martin allungando un braccio in segno di saluto.
Mi ritrovai in una grande e accogliente sala rotonda, dal soffitto basso, che ricordava vagamente la tana di un tasso. La stanza era decoranta nei toni allegri del nero e del giallo, enfatizzati ulteriormente dalle liscie superfici del legno color miele di cui erano fatti i tavoli e le porte rotonde che portavano ai dormitori. Un profumo colorato di piante e fiori aleggiava ovunque nell’aria, creando un’atmosfera particolarmente rilassante e allegra. Numerosi piccoli arbusti erano disposti ordinati sulle file degli scaffali a ridosso delle mura, che apparivano leggermente incurvati per adattarsi alla forma del muro, e salutavano gli studenti agitando i rami e le foglie al loro passaggio. Dal soffitto pendevano dei piccoli contenitori bronzei, da cui lunghi viticci di felci ed edere oscillavano tranquilli accarezzandoti la testa quando ci passavi sotto.
Sulla mensola lignea del camino era appeso un grande quadro, la cui cornice era stata finimente intagliata con tanti piccoli tassi danzanti. Al suo interno, una sorridente Tosca Tassorosso salutava gli studenti, brindando a loro innalzando una piccola coppa dorata a due manici.
Lungo le mura correvano una serie di piccole finestre rotonde, che davano sul livello del terreno e attraverso le quali si poteva scorgere il prato immerso nell’oscurità.
Rimasi per qualche minuto incantanto ad osservare ogni minuscolo dettaglio attorno a me, come rapito da ogni singola cosa.
Non potei fare a meno di pensare che quel luogo sembrasse un posto incredibilmente comodo.
Martin apparve all’improvviso di fianco al nostro gruppetto del primo anno, riportandomi alla realtà.
-Se i ragazzi del primo anno vorrano seguirmi, vi mostrerò il vostro dormitoio. Le ragazze possono seguire...oh dove diavolo è finita adesso?-, alzò il collo cercando qualcuno fra la folla. -Helga, avrete tutta la sera per raccontarvi l’estate, ora potresti adempiere ai tuoi doveri sociali? O devo entrare io, di nuovo, nel dormitorio femminile?-, chiese con un sorriso malizioso ad un gruppetto di ragazze più grandi.
-Oh, vorrei solo che ci provassi...-,  rispose alzandosi una ragazza bassa dai capelli corvini, e venendo verso di noi.
-E’ una sfida?-, chiese Martin, ergendosi in tutta la sua altezza e torreggiando su di lei.
Nonostante il ragazzo fosse di qualche spanna più alta di lei, Helga non battè ciglio e anzi, piccola come era, sembrava ancora più minacciosa.
-A tuo rischio, e, pericolo-, scandì lentamente tracciando una piccola X sul suo petto. -Andiamo ragazze, é arrivato il momento che voi vediate il posto che veramente merita qui dentro-, e accompagnata dal gruppetto delle ragazze, scomparvero attraverso una delle tante porte rotonde.
Martin la guardò sparire con il sorriso sulle labbra, mentre scuoteva il capo.
Poi si girò, e condusse anche noi attraverso un’altra delle porte rotonde, attraverso uno stretto corridoio.
-Bene ragazzi, troverete la vostra roba già al suo posto, fatevi comodi e quando volete tornate di la-, e con questo ci concedò sparendo.
Anche questa stanza, come tutte le altre, era circolare e dal soffitto basso. Disposti a cerchio attorno ad una piccola stufa, c’erano cinque letti in legno ricoperte da delle soffici coperte patchwork, ovviamente di colore giallo-nero, e tra ogni letto ed un altro c’era una piccola finestra.
I bauli con i nostri nomi erano già posizionati oguno di fianco ad un letto, e io mi dirissi subito verso il mio. Lo aprii, e tirando fuori qualche vestito che era d’intralcio, recuperai finalmente la mia bacchetta e la infilai nella tasca dei pantaloni.
Sentii un tonfo ovattato, seguito da un ‘ohhh’ di sollievo. Mi girai, e vidi Sam disteso a braccia e gambe divaricate sul suo letto.
-E tipo la cosa più comoda su cui io mi sia mai poggiato-, rispose con la faccia immersa nella coperta.
Mi sedetti anche io sul bordo del mio, e mi sentii affondare leggeremente in un soffice mare di piume.
Notai che tutti gli altri avevano fatto la stessa cosa, e che ora ci guardavamo tutti a vicenda.
Oltre a me e Sam, c’erano anche Ernie, che avevo già avuto modo di conoscere sul treno, un ragazzo dalla grossa mascella e dal viso rotondo, che da quel che ricordavo dallo smistamento mi pareva si chiamasse Justin, e infine un ragazzo basso e un paffuto che non avevo notato prima.
-Beh, facciamo un giro di nomi?-, chiese Ernie. -Io sono Ernest MacMillan, ma potete chiamarmi Ernie-.
-Nathan Zeller-.
-Samuel Edge-
-Justin
Flynn-fletcher-
-Herman Cronk-, concluse infine il ragazzo paffuto.
Per qualche istante nessuno aggiunse niente, poi Sam si alzò e propose di tornare nella sala comune.
Uscimmo in fila dalla stanza, e ritornammo nel salone principale, dove nel frattempo tutti si erano messi comodi.
Chi sedeva ai tavoli a giocare a gobbiglie, chi sulle grandi portone imbottite davanti al fuoco a chiacchierare, chi semplicemente per terra, distesi sul grande tappeto.
Sulla mensola del camino, una piccola radio magica sparava a tutto volume un brano delle Sorelle Stravagarie.
Due ragazzi del quarto anno si rincorrevano tra i tavoli, passandosi una sfera galleggiante di acqua con le bacchette, uno la lanciava in alto, l’altro correva e la catturava nel flusso della sua bacchetta.
Io e Sam prendemmo posto su un divanetto a lato della mensola, e guardammo estasiati quella tranquilla frenesia. Dopo un po’ Ernie si unì a noi e ci spostammo ad un tavolo per fare una partita di carte. Ci misi un po’ a spiegare le regole a Sam, che tra l’altro continuava a farsi distrarre dal mazzo che si mischiava da solo.
Eravamo nel corso della quarta partita, quando uno scoppio e un esplosione di luce violetta fece sobbalzare tutta la Tana.
Dal dormitorio delle ragazze emerse il prefetto Martin, con una lunga proboscide viola che gli penzolava dalla faccia arrivandogli al petto.
-Oooooh, molto maturo da parte tua Helga-, disse lui tra un barrito e l’altro, mentre tutti nella sala si piegavano dalle risate.
-Così la prossima volta ti risulterà più facile ficcare il naso dove non ti spetta, non trovi, mio caro?-, rispose Helga con il sorriso sulle labbra.
-Un applauso a Martin che è riuscito a guadagnarsi la prima visita da Madama Chips in cosa, neanche un’ora?-, chiese sarcastico il ragazzo pelato che aveva cantato al banchetto. -Credo sia un nuovo record!-.
-Oh, stai zitto Simon, o giuro che il prossimo anno ti faccio crescere un culo in fronte ancora prima di scendere dall’espresso per Hogwarts-, borbottò Martin.
-Non credo che cambierebbe molto!-, urlò una voce in sottofondo, e tutti scoppiarono di nuovo a ridere.
Alla fine Helga (che a quanto pare, era particolarmente portata per la trasfigurazione), decise che non era il caso di far uscire Martin di notte, e con un semplice colpo di bacchetta gli fece tornare il naso normale.
-Bene ragazzi, è tardino e siamo tutti stanchi, io consiglierei di filare a letto, avremo tutto il tempo domani per le cazzate-, disse il prefetto con un sonoro sbadiglio. -E Helga, stai certa che questa me la paghi-.
Io e gli altri ritornammo al nostro dormitorio, e mentre ci infilavamo i pigiami, chiacchierammo ancora un po’ di tutte le cose pazze che erano successe solo nel giro di una serata. Sam era molto curioso, e non la smetteva di fare domande su cose che a noi altri apparivano assolutamente normali.
-E poi voglio dire, i quadri si muovono! E le piante danzano! E quella cosa che facevano con le sfere d’acqua quei due, non vedo l’ora di poterlo fare anche io!-.
Capimmo che si era addormentato quando finalmente scese il silenzio.
Mi infilai a letto, e voltandomi da un lato, guardai il castello che si ergeva come un gigante silenzioso oltre la finestra del dormitorio.
Non vedevo l’ora che fosse mattina per poter iniziare le prime lezioni, e imparare i primi incantesimi, per poter fare anche io tutte quelle cose che avevo visto fare ai ragazzi più grandi. Pensando a quanto sembrasse surreale essere finalmente ad Hogwarts, mi addormentai dolcemente, sprofondando in un sogno che sarebbe continuato a mattina inoltrata.


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Capitolo 5
*** Insonnia ***


1

Nathan si spogliò.
Si tolse di dosso la maglia, fece scivolare via i pantaloni e le mutande, e tirando la tenda della doccia entrò nella piccola vasca da bagno.
Lo scroscio dell'acqua bollente sul suo corpo fu una piacevole sorpresa, come un vizio da lungo dimenticato.
Rimase per un po' di tempo così, a lasciare che l'acqua gli scivolasse di dosso in piccoli rivoli veloci.
Infine chiuse il rubinetto, e decise di uscire.
Si fermò per qualche istante a contemplarsi nello specchio sopra il lavandino.
Il suo riflesso gli restituiva uno sguardo cupo e dubbioso, e quasi non si riconosceva, con i capelli bagnati che gli ricadevano un po' ovunque sul volto, e gli occhi stropicciati per l'assenza degli occhiali.
Allungò un braccio per aprire l'armadietto a lato, quando qualcosa nello specchio gli catturò l'attenzione.
Per un attimo, gli era parso di vedere quella che sembrava una piccola ombra nera muoversi velocissima nel riflesso.
Si guardò intorno confuso, e stiracchiandosi di nuovo notò finalmente che quell'ombra era in realtà sulla sua schiena.
Non era un'ombra, bensì una sottospecie di simbolo, inciso sulla sua spalla sinistra.
Una mezzaluna, attraversata da tre tagli obliqui paralleli.
Rimase per un attimo a fissarlo, come cercando di ricorda dove l'avesse già visto.
Poi comprese.
Si vestì in fretta e furia e uscì dal bagno, ritornado alla scrivania, dove aveva lasciato la misteriosa lettera del Lupo di Mezzanotte.
E come aveva temuto, il marchio sulla sua schiena era lo stesso che compariva sulla lettera.
'E' questo dannato simbolo che continua a tornare' disse tra sè e sè.
'E se...' si fermò un attimo a riflterre. 'No, non può essere, non avrebbe senso' esclamò voltandosi.
Fissò per un attimo il vuoto, per poi pronunciare ad alta voce il dubbio che più di ogni altro lo tormentava: 'E se fossi io il Lupo di Mezzanotte?'

                                                                                                                                        -

Il mio primo giorno a Hogwarts, cominciò più in fretta di quanto mi aspettassi.
Mi svegliai nel morbido letto, avvolto dalle coperte, mentre i primi raggi del sole illuminavano il dormitorio circolare.
Mi alzai a sedere sbadigliando, e guardandomi intorno notai che tutti erano ancora immersi in un sonno profondo.
Il mio occhio corse all’orologio a pendolo appeso al muro: un tasso intagliato nel legno che teneva stretto tra le braccia un quadrante con le lancette, mentre la coda oscillava scandendo i secondi.
Erano da poco passate le 6, e da quanto ne sapevo io, la Sala Grande non sarebbe stata aperta per la colazione prima delle 7. Mi rigirai nel letto e provai ad addormentarmi, ma non servì a niente, quindi decisi semplicemente di alzarmi. Indossai la divisa, infilai la bacchetta in tasca, e uscii dal dormitorio il più silenziosamente possibile, richiudendomi la porta alle spalle.
Ovviamente, il corridoio era deserto, immerso nella penombra, ma una gran luce proveniva già dalla sala comune.
Fuori il sole era già sorto, e la Tana di Tassorosso splendeva già in quelle prime ore del mattino.
Osservando i rampicanti che si svegliavano sulle pareti, mi lasciai cadere su uno dei divani, e andai a urtare contro qualcosa.
-Hey, ma cosa diavolo...-, mugugnò una voce indignata.
-Ohh, scusa!-, esclamai rotolando giù per terra. -Non mi aspettavo che ci fosse già qualcuno sveglio a quest’ora-.
Alzai lo sguardo, e notai solo ora che una ragazza del primo anno era distesa sui cuscini. Aveva dei corti capelli ricciolini, di un rosso intenso, e numerose piccole lentigini tutto attorno al naso, il quale era piccolo e rotondo.
-Oh, figurati-, disse lei tranquilla, come se niente fosse successo, e mi tese una mano per alzarmi.
Presi posto anche io sul divano, rosso in faccia per la figuraccia che avevo appena fatto.
Ma la ragazza non sembrò badarci, e mi tese nuovamente la mano.
-Comunque io sono Gwen Wright, primo anno-.
-Nathan Zeller, anche io primo anno-, risposi stringendole la mano. Per una qualche strana ragione, il suo cognome mi suonava familiare, ma non riuscivo a capire il perché. Possibile che i suoi genitori fossero amici dei miei?
-Ah si, in effetti mi sembrava di averti visto sulle barche l’altra sera-, commentò lei.
Io annuii e non seppi più cosa aggiungere, e quindi scese il silenzio tra di noi.
-Beh, come mai sei già sveglio a quest’ora?-, chiese infine Gwen.
-Oh, beh, non riuscivo a dormire, non avevo molto sonno-, balbettai io. -Immagino nemmeno tu, a questo punto-.
-Oh no, semplicemente sono abituata a svegliarmi presto. A casa mi alzavo spesso alle prime ore del mattino per andare a vedere l’alba. Abito al limitare della foresta di Dean, ed è uno spettacolo bellissimo vedere i raggi del sole che passano attraverso gli alberi. Solo che, beh, qua non è che possa semplicemente prendere e uscire alle 5 del mattino, quindi si, eccomi qui-, disse stringendosi nelle spalle.
Dunque non poteva trattarsi di una famiglia che viveva nei nostri paragi, non avevo mai sentito parlare di nessuna foresta di Dean attorno a Timworth.
-Cosa fanno i tuoi genitori?-, chiesi io, per fare conversazione.
-Allora, mia madre è una babbana e gestisce una farmacia, che è tipo una bottega che vende medicinali per le persone ammalate, mentre mio padre invece si occupa di raccogliere i materiali per i nuclei delle bacchette-, spiegò lei tutta contenta.
-Wow!-, esclamai io stupito. -Quindi in pratica va a caccia di Unicorni e cose del genere?-
-No no, gli Unicorni li alleviamo nella nostra fattoria, ne abbiamo ben 7 adulti, più un puledro che è nato giusto il mese scorso. Dovresti vederlo, ha il pelo color oro e non ha ancora il corno, è qualcosa di bellissimo. Le Fenici invece, quelle sono belle rare. Mio padre a volte passa anche settimane intere lontano da casa, in cerca di un nido da cui prendere le piume, però sono piuttosto ricercate e Ollivander le paga una fortuna!-.
-Oh, la mia bacchetta contiene una piuma di fenice ed è stata fatta da Olivander!-, esclamai io all’improvviso, tirandola fuori dalla tasca dei pantaloni.-Magari è stata tuo padre a trovarla!-, dissi io con un sorriso.
-Potrebbe essere!-, rispose lei, tirando fuori la sua. - Acero, crine di unicorno, 12 pollici, rigida, e so per certo che il crine appartiene ad uno dei nostri unicorni perché me l’ha detto Olivander stesso!-.
-Fantastico, è come se foste nate e cresciute insieme-, dissi io con una risata.
-I tuoi genitori invece?-, mi chiese Gwen.
-Dunque, mia madre è una giornalista e scrive per la Gazzeta del Profeta, mentre mio padre, beh, non so esattamente cosa faccia-, risposi io con una smorfia.
Gwen agrottò la fronte, confusa.
-Nel senso, lavora per il Ministero della Magia, ma non so esattamente cosa faccia. So solo che lavora per un dipartimento chiamato ‘Ufficio Misteri’, e come puoi capire anche dal nome è una cosa molto segreta, non gli è permesso parlarne nemmeno con noi-, spiegai io.
Gwen sembrò molto colpita da questa rivelazione. Si avvicinò a me, e mi parlo a bassa voce, come se avesse paura di essere scoperta da un momento all’altro.
-Quindi tuo padre semplicemente sparisce la mattina e torna la sera come se niente fosse?-, chiese curiosa.
-Beh, all’incirca sì, se non fosse che spesso non torna proprio. Ed è una cosa che manda in paranoia mia madre, perché non può nemmeno chiedere al Ministero se sanno che fine abbia fatto. Semplicemente deve stare ferma ed aspettare, sperando che non gli sia successo nulla di grave-, risposi io con tono grave.
-E, beh, gli è mai successo qualcosa di grave?-, chiese quasi in un sussurro.
-Spesso torna a casa con qualche graffio, qualche strappo sui vestiti, ma nulla di che. Ma ogni tanto, ci capita di ricevere un gufo che ci informa di come sia stato trasportato al San Mungo d’urgenza per via di qualche ‘incidente’ che gli è capitato. Una volta non ci hanno nemmeno fatti entrare, dicendo che fosse per ragioni di sicurezza. Abbiamo dovuto aspettare per ore prima che ci fosse dato il permesso di entrare, e una volta dentro lo abbiamo trovato in perfette condizioni, come se niente fosse successo-.
-Per la Barba di Merlino, deve essere qualcosa di terribilmente stressante-, commentò Gwen a bassa voce.
-Beh, ogni tanto lo è, soprattutto per mia madre. Però mio padre non sembra avere problemi, anche se non ne parla mia, sembra che il suo lavoro gli piaccia parecchio. Lo vediamo quasi sempre di buonumore, quindi negli anni io e mio fratello abbiamo imparato a non preoccuparci più di tanto-, spiegai io stringendomi nelle spalle.
-Hai un fratello quindi-, disse lei.
-Si, Tom, è al quinto anno-, risposi io alzando gli occhi al cielo.
-Anche io ho una sorella maggiore, Tiffany, frequenta il sesto anno, ed è probabilmente la persona più odiosa che esista sulla faccia della terra-, sbuffo Gwen. -Indovina di che casa fa parte!-.
-Ehm, Serpeverde per caso?-, chiesi io ridendo.
-Oh wow, come hai fatto ad indovinare? Farai faville a divinazione!-, disse sarcastica.
-Beh, credo che l’unico motivo per cui mio fratello non sia finito in Serpeverde sia perché ha una testa più grande del suo ego, quindi diciamo che ti capisco-, aggiunsi io compassionevole, e lei scoppiò a ridere.
Continuammo a chiacchierare dei nostri fratelli per un bel po’, finché i primi Tassorosso non cominciarono a svegliarsi e la sala comune cominciò piano piano ad animarsi.
Dopo un po’ Gwen mi salutò e andò a cambiarsi, dato che era ancora in pigiama. Finalmente anche Sam apparve nella sala comune, ed insieme ci incamminammo a fare colazione.
Prendemmo posto al tavolo dei Tassorosso, e dopo un po’ anche Gwen entrò nella sala grande. Le feci un cenno con la mano, invitandola a sedersi vicino a me, e le presentai anche Sam.
Notai che la professoressa Sprite stava girando per i tavoli, e dopo un po’ arrivò anche da noi e ci consegnò i nostri orari.
Non feci nemmeno in tempo a guardare il mio, che sentii una pacca familiare sulla schiena.
-Grandioso, abbiamo lezione di Difesa contro le Arti Oscure insieme!-, disse John alle mie spalle.
Io diedi una rapida occhiata al foglio che avevo tra le mani e notai che effetivamente la prima lezione della giornata era insieme ai Corvonero.
-Hey, ma voi avete ancora del bacon, da me l’hanno finito tutto!- esclamò facendosi spazio di prepotenza e sedendosi tra me e Gwen.
Prese un piatto e ci rovesciò sopra un quintale di bacon, tra gli sguardi stupiti di Sam e Gwen.
-John, ti ricordi Sam...-, dissi indicandolo, e John fece un cenno distratto con la mano mentre era occuppato a riempirsi di carne.
-Mentre questa è Gwen Wright-, e indicai la ragazza accanto a lui.
John si volto di scatto verso di lei e si immobilizzò con la forchetta a mezz’aria.
-Per tutti i calderoni! Wright? Ma, Wright come...-
-Oh no, eccone un’altro-, mugugnò Gwen alzando gli occhi al cielo.
-Wright, come Bowman Wright, il leggendario fabbro inventore del boccino d’oro?!-, chiese John con occhi sognanti.
-Ecco perché il tuo cognome mi sembrava così familiare!-, esclamai a mia volta.
-Oh per la miseria, altri fanatici del Quidditch-, si lamentò Gwen portandosi una mano alla fronte.
-Ma tipo, avete il boccino originale a casa?-, chiese John avvicinandosi a Gwen.
-Cosa, no! Non so perché la gente si aspetta sempre che casa mia sia il museo internazionale del Quidditch, è solo capitato che quel, tizio, sia un mio lontano parente.-Roteò gli occhi al cielo. -Non è che la mia famiglia giri per casa vestita come dei palloni dorati, o roba del genere-.
John la fissò per un momento.
-Ma quindi avete tramando per generazioni la nobile arte dell’artigianato dei boccini?-
-Argh!-, esclamò Gwen alzandosi di colpo, e andandosi a sedere vicino ad un gruppo di ragazze più in giù sul tavolo.
-Heh, è simpatica!-, ridacchiò John tornando al suo bacon.
-Dovevi esagerare come sempre, non è vero?-, chiesi io sbuffando.
-Cosa? Non ho detto niente di male!-, si giustificò John senza alzare lo sguardo dal piatto.
-Ehm, scusate...-, disse Sam all’improvviso, che per tutta la durata della scena non aveva aperto bocca. -Ma, cosa sarebbe esattamente questo, Quidditch?-
A John andò di traverso il bacon.
Quando finalmente riuscì a smettere di tossire e sputacchiare, guardo Sam e gli disse: -Ragazzo mio, qua abbiamo del serio lavoro da fare-.
Mezz’ora dopo, tutti e tre stavamo salendo i gradini che portavano al terzo piano, insieme ad un gruppetto misto di Tassi e Corvi del primo anno che chiacchieravano eccitati in vista della prima lezione dell’anno.
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure era lunga e sottile, illuminata da una serie di grandi finestre ad arco che si aprivano nel muro di sinistra. Dall’alto soffitto pendeva un pesante candelabro in ferro, e curiosamente, anche lo scheletro di quello che intui essere un drago, date le larghe e scheletriche ali che si aprivano ad abbracciare la volta.
Anche a ridosso dei muri erano addossati gli scheletri di strane creature, non che quadri raffiguranti gli animali magici più disparati, e maghi intenti a combatterli con complicati incantesimi.
La prima cosa che però notai appena entrai nella stanza fu il fortissimo odore d’aglio che semprava pervadere ogni anfratto dell’aula. Non fui l’unico a notarlo, dato che l’entrata di ogni studente era accompagnata da uno sbuffo o un’imprecazione.
Feci sedere Sam di fianco a me, per non lasciarlo da solo, e John si sedette subito dietro di me, in un banco che era rimasto vuoto.
Il professore stranamente non era ancora arrivato, e quindi erano tutti intenti a parlare tra di loro, chi sfogliando il libro di testo, chi cercando di far uscire delle scintille dalla bacchetta.
All’improvviso la porta dell’aula si aprì con un tonfo, e tutti ci voltammo all’unisono aspettandoci di vedere l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, ma invece era solo Gwen, la ragazza di prima.
-Che fine avevi fatto?-, le chiesi mentre prendeva posto dietro di noi.
-Mi sono persa-, disse lei con il fiatone, mentre tirava fuori i libri dalla borsa. -O per meglio dire, mi hanno fatto perdere. Ho chiesto ad un fantasma dove fosse l’aula 3C, e mi ha mostrato una porta dicendo che mi avrebbe fatto arrivare subito al corridoio giusto, ma dopo averla attraversata mi sono ritrovata al piano sbagliato-.
-Ah, probabilmente ti sei imbattuta in Pix. Meglio stare alla larga da quello-, disse John alla sua sinistra.
Gwen si voltò di scatto, notando solo allora vicino a chi si era seduta.
-Ahh, l’idiota del Quidditch-, disse con un misto di noia e disgusto, facendo un cenno con la mano.
-Wow, neanche un’ora e sono già famoso! Dammi una settimana e il preside mi inviterà a prendere il tè nel suo ufficio!-, esclamò John dandomi una pacca sulla schiena, e io scoppiai a ridere.
Gwen sbuffò e fece per raccogliere la sua roba, quando John le fece notare che quello era l’unico posto libero rimasto.
I due stavano ancora discutendo, quando all’improvviso sentii una porta aprirsi di nuovo.
Feci per girarmi verso il fondo dell’aula, ma Sam mi diede un colpo con la mano indicandomi la cattedra. Notai solo adesso che di fianco alla lavagna c’era una piccola scala che saliva verso una balconata, e una porta che si apriva su quello che doveva essere l’ufficio dell’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure.
Un uomo alto e magro dal volto giovane era in piedi davanti alla porta, e guardava sorridente gli studenti. Indossava una lunga veste marroncina, e un enorme turbante viola che gli circondava tutta la testa, ricandendogli sul petto come in una lunga treccia.
-B-b-benvenuti a t-tutti, nella p-prima lezione di D-Difesa contro le Arti O-Oscure!-, disse infine l’uomo, e Sam soffocò una risata, ma non fu l’unico.
-Io, s-sono il p-p-rofessor Raptor, e nel c-corso dell’a-anno vi insegnerò a d-difendervi dalle f-forme più o-o-oscure di m-magia, nonchè dalle c-creature magiche più p-p-pericolose-, fece il giro della lavagna, e prese posto alla cattedra, aprendo il suo libro.
-D-direi di c-cominciare da qualcosa di s-semplice, o-ovvero gli G-G-Gnomi. Prendere p-p-er favore il v-vostro manuale a p-pagina 6-.
Non lo negherò, la mia prima lezione a Hogwarts fu un vero e proprio disastro. La lezione del professor Raptor si rivelò essere un po’ una farsa.
Era particolarmente difficile capire quello che diceva, dato il continuo balbettio, e spesso neanche lui semprava molto convinto di quello che stesse dicendo, dato che tremava e sobbalzava ogni due parole.
Quando una ragazza di Corvonero fece una domanda senza alzare la mano, quasi rovesciò la boccetta d’inchiostro che aveva sulla cattedra dallo spavento.
Dopo una decina di minuti quasi nessuno lo stava più ascoltando, e si stavano tutti limitando a leggere direttamente dal libro, dato che era molto più comprensibile.
L’unico momento interessante fu quando John, non riuscendo più a trattenere la curiosità, gli chiese dove avesse preso il turbante, dato che una sua zia sarebbe stata entusiasta di riceverne uno in regalo.
Raptor sembrò non notare le risate della classe, perché spiegò con una nota di orgoglio di averlo ricevuto in dono da un principe africano come ringraziamento per averlo liberato da una potente mummia.
-Se quello ha sconfitto una mummia, allora mia nonna ha vinto la maratona di Hogsmeade-, si lamentò John mentre scendevamo nella sala grande per il pranzo.
-Intendi quella che si è rotta un’anca combattendo contro un troll l’anno scorso?-, chiesi io casualmente, mentre Sam strabuzzava gli occhi.
-Si, nonna Mariene è una tosta-, si fermò all’improvviso. -In effetti,  pensandoci bene, ho usato un paragone sbagliato. Nonna Mariene potrebbe vincerla benissimo quella maratona, ma avete capito.
-E pensare che mia nonna si vanta di essere una campionessa a Bingo...-, bisbigliò Sam sottovoce, ma nessuno sembrò sentirlo.
-Piuttosto, dimmi, come è essere nei Corvonero? Vi hanno già dato quattro libri da leggere, ieri sera?-, chiesi io scherzando.
-No beh, è gente a posto, direi. Beh, la maggior parte almeno. Molti se ne stavano effetivamente isolati in un angolo a leggere, bah...-, John scosse la testa come per allontanare un brutto ricordo. -Tuo fratello è stato piuttosto annoiato mentre ci mostrava la sala comune e le nostre stanze, devo dire-.
-Ah, quindi, è semplicemente stato se stesso-, dissi io sbuffando.
-Esattamente. Mi stupisco che abbia degli amici. Ma a quanto pare loro sono piuttosto contenti di lui, quasi lo venerano-.
Lanciai una strana occhiata a John, aggrottando le sopraciglia. -Che intendi dire?-.
-Non so, erano tutti li attorno ad un tavolo che pendevano dalle labbra di Tom, mentre lui spiegava chissà quale cosa inutile sui, che ne so, calderoni o che cavolo-, spiegò lui.
-Cosa diavolo stai dicendo?-, gli chiesi io confuso.
-Ma non lo so, era un po’ difficile capire di cosa stessero parlando, sono molto riservati. Se provi ad avvicinarti ci manca solo che ti lancino una fattura addosso.
Sai, non sono tutti amichevoli come voi di Tassorosso-, aggiunse con fare casuale, mentre entravamo nella sala grande.
Ci salutammo e lui andò a Erbologia, mentre io e Sam ci dirigemmo verso la classe di Incantesimi.
Il professor Vitious era un ometto incredibilmente basso che doveva stare in equlibrio sopra una pila di libri per riuscire a vedere la classe, ma era molto simpatico ed allegro.
La sua lezione fu molto più interessante della precedente. Vitious probabilmente sapeva che quello che più aspettavamo era imparare un incantesimo, quindi senza perdere troppo tempo cominciò a spiegarci i movimenti e le parole necessarie a far levitare un oggetto.
Consegnò poi ad ognuno di noi una grande piuma e ci invitò a provare.
In un attimo, la classe si riempì di una miriade di voci che gridavano ‘wingardium leviosa’. Vitious si muoveva rapido tra i banchi, aggiustando la postura della mano, o correggendo la pronuncia.
I miei primi tentativi non ebbero molto successo, all’inizio la piuma non si mosse di mezzo centimentro, ma dopo un po’ questa cominciò a sobbalzare lievemente.
Sorprendemente, Sam fu uno dei primi a riuscirci, dopo pochi minuti la sua piuma volteggiava per aria seguendo le indicazioni della sua bacchetta, mentre lui stupito la faceva danzare per aria.
Mi fece notare che l’inclinazione del polso era sbagliata, e al tentativo seguente anche la mia piuma saettò per aria.
Entro la fine della lezione, tutti quanti avevamo appreso l’incantesimo.
Il professor Vitious ci congedò dicendoci di esercitarci su oggetti un po’ più pesanti, chiedendoci però di non provare ad alzarci a vicenda, e a questa frase ci fu un malcontento generale.
Mentre pranzavo, continuai  a pensare a quello che John aveva detto a proposito di Tom.
Non so perché, ma dal modo in cui l’aveva raccontato, la cosa mi sembrava sospetta. Ma dopo un po’ accantonai l’idea e la lasciai perdere, conoscevo bene mio fratello, e il fatto che snobbasse gli altri non era poi una così grande novità. Lo aveva fatto con me per così tanti anni, figuriamoci se non l’avrebbe fatto anche con i suoi nuovi compagni.
Dopo pranzo ci fu la prima lezione di Trasfigurazione insieme ai Grifondoro, e fu completamente diversa da quella di Raptor.
La professoressa McGranit era serissima, richiedeva un attenzione e un silenzio costante, che nessuno osava interrompere.
Severissima, fece un discorso non appena ci fummo seduti di fronte a lei.
-La Trasfigurazione è una delle forme più complesse  e pericolose di magia che imparerete ad Hogwarts. Chiunque provi a fare a qualche idiozia sarà allontanato dalla classe e non ci metterà più piede, siete stati avvertiti-.
Detto ciò diede una dimostrazione pratica, trasformando la lavagna in un orso e viceversa, tra le esclamazioni di stupore generali.
L’inizio era stato decisamente migliore della lezione con Raptor, e non vedevo l’ora di cominciare, ma scoprii presto che ci sarebbe voluto parecchio tempo perché io potessi trasformare i gli oggetti in animali.
La McGrannit cominciò a spiegare una serie complicata di istruzioni, mentre tutti nella classe cercavano di stare al passo prendendo appunti abbondanti.
Poi diede un colpo di bacchetta, e sul banco di ogni studente apparve un fiammifero che avremo dovuto trasformare in un ago.
Pensavo che se la McGranit era in grado di trasformare una lavagna enorme in un orso, la trasfigurazione di un fiammifero sarebbe stata cosa da niente . Ma la faccenda si rivelò molto più difficile del previsto.
Continuavo a rileggere i miei appunti e a colpire il fiammifero con la bacchetta recitando la formula, però questi continuava ad assotigliarsi o a cambiare colore, diventando argenteo, ma mai tutte e due le cose insieme.
Sam di fianco a me non stava avendo molta più fortuna. Continuava ad avere l’istinto di impugnare la bacchetta a due mani, assumendo un’espressione molto buffa. Era riuscito a far appuntire il suo fiammifero, ma questi continuava a restare di legno.
Un ragazzo di Grifondoro doveva aver sbagliato completamente formula, perché in qualche modo era riuscito a ingigantire la testa del fiammifero e a farla scoppiare in una fiammata che rischiò di incendiare il banco in legno, ma che fu prontamente salvato da un getto d’acqua uscito dalla bacchetta della McGranitt.
Alla fine della lezione, soltanto una persona ci era riuscita, una ragazza di Grifondoro dai folti capelli bruni e dai denti davanti piuttosto grandi.
La McGranitt mostrò il suo ago argentato alla classe, e addirittura le fece un breve sorriso.
Ci disse infine di tenere il fiammifero e di esercitarci per conto nostro, e che ci avrebbe messo alla prova nella lezione successiva.
Dopo lo stress e l’impegno dell’ora di Trasfigurazione, l’ora di Erbologia fu quasi una benedizione.
La professoressa Sprite era una donna paffuta e allegra, ma molto decisa e dal carattere forte. Era piuttosto gentile, ma non potei fare a meno di notare che si dimostrava molto più disponibile con noi Tassorosso che con i ragazzi di Serpeverde. Probabilmente il fatto che fosse la direttrice della nostra casa aiutava non poco.
Pensavo che Erbologia sarebbe stata una materia noiosa e semplice, ma non era per niente così. Come prima lezione, la Sprite ci fece indossare i guanti protettivi in pelle di drago, e ci insegnò a travasare dei cespugli spinosi.
La caratteristica dei cespugli spinosi, beh, sta nel fatto che sono ricoperti di spine che vengono espulse se si tocca la radice sbagliata.
-Fate molta attenzione e maneggiateli con cura ragazzi, a meno che non vogliate trasformarvi in un porcospino gigante-, ci mise in guardia mentre aiutava Gwen a rimuovere alcune spine dal suo braccio.
Infine, sporchi di terriccio e affamati, lasciammo finalmente la serra per dirigerci verso la sala grande per la cena.
Io e Sam ci sedemmo vicini come al solito, e dopo un po’ arrivo anche Gwen insieme ad un’altra ragazza di Tassorosso con la quale era in gruppo durante l’ora di erbologia, di nome Alice Jester.
Sam ed io ci presentammo, e dopo un po’ stavamo tutti chiacchierando dei professori, scherzando sulle balbuzie del professor Raptor e sulla rigidità della McGranitt.
Finita la cena ci alzammo tutti e quattro e ci dirigemmo verso la sala comune, ed ero sull’uscio della porta della sala grande quando sentii qualcuno chiamare il mio nome.
Mi girai aspettandomi di vedere John, ma invece mi ritrovai mio fratello davanti.
-Beh, come è andato il primo giorno ad Hogwarts, fratellino?-, chiese dandomi una pacca sulla schiena.
-Ehm, bene, tutto alla grande. Mi sono fatto un po’ di amici-, dissi io un po’ a caso, preso alla sprovvista da questo suo improvviso interesse.
-Bene, bene, ne sono conteto. Ora, senti un po’...-, mi prese da parte, e si avvicinò per parlarmi a bassa voce. -Sono sicuro che non sia il caso di dirtelo, ma sai, per sicurezza, uno lo fa. Ho passato quattro anni a farmi un buon nome in questa scuola, quindi vedi di tenere un profilo basso e non combinare qualche cazzata delle tue che possa infangarlo-, disse in un bisbiglio, stringendomi con più forza la spalla.
-Fai il bravo, segui le lezioni, e soprattutto non trasgredire le regole-, ordinò con gli occhi ridotti ad una fessura. -Altrimenti , la punizione che riceveresti da un professore sarebbe l’ultima delle tue preoccupazioni, intesi?
Io annui senza dire una parola, mentre un misto di rabbia e paura si impadronivano di me.
-Ottimo, cosi ti voglio, fratellino-, disse tornando normale, e arruffandomi i capelli.
Poi si girò, e senza aggiungere altro se ne tornò nella Sala Grande, lasciandomi solo nell’ingresso deserto.
Mi diressi verso le scale, e trovai gli altri ad aspettarmi in cima.
-Tutto bene? Cosa voleva tuo fratello?-, chiese Sam mentre scendevamo verso il seminterrato.
-Si, tranquillo, voleva solo sapere come stessi-, mentii io, toccandomi la spalla in un gesto involontario. Non aveva senso infastidire gli altri con l’idiozia di Tom.
Tornati nella Tana di Tassorosso, scoprimo che Alice aveva un set di gobbiglie, e passamo la serata a giocare insieme, io e Sam contro Alice e Gwen.
Verso le 11 ci salutammo e ritornammo nei rispettivi dormitori, troppo stanchi per fare altro.
 Ma nonostate la stanchezza, non riuscii a prendere sonno facilmente.
Continuavo a pensare a Tom, e al modo in cui mi aveva trattato.
Avevo sempre saputo che era una persona egocentrica a cui importava solo dell’immagine che gli altri avevano di lui, ma non pensavo a tal punto da arrivare a minacciarmi.
Doveva  seriamente darsi una calmata, pensai mentre mi rigiravo nel letto.
Dopo un’eternità, ancora non riuscivo a prendere sonno.
Fissai il soffitto per qualche minuto, poi mi scostai le coperte di dosso e scesi dal letto.
Mi aspettavo di trovare qualcuno nella sala comune, ma con mia sopresa questa era già deserta.
Le ultime braci morenti scoppiettavano ancora silenziose nel camino, mentre l’oscurità abbracciava piano piano il tutto.
Mi avvicinai ad una finestra, e mi persi ad osservare le stelle per un po’.
Individuai subito il carro maggiore, la stella polare, e un paio di altre costellazioni minori.
Ero tentato dal tornare in dormitorio a prendere il telescopio per montarlo, quando all’improvviso sentii qualcuno muoversi dietro di me.
Mi girai aspettandomi di vedere Gwen, o qualche altro Tasso, ma invece mi ritrovai davanti una donna.
Era alta ed esile, aveva un viso bellissimo, con un naso sottile e labbra perfette, e lunghi capelli che le arrivavano fino alle spalle. Risplendeva di una pallida aura. E piangeva.
Non ho idea di come avessi fatto a non sentirla, perché ora il suo pianto rimbombava in tutta la sala, i suoi singhiozzi erano strazzianti e mi incutevano una tristezza indescrivibile.
Notai dopo qualche istante che volteggiava a pochi centimetri da terra, e semplicemente stava al centro della sala, a guardarmi tra gli occhi colmi di pianto.
Non cercava neanche di coprirsi il volto, semplicemente lasciava che le lacrime le scendessero lungo le guance, e che andassero a perdersi nei lunghi capelli perlacei.
-Perché piangi?-, chiesi all’improvviso, quasi senza rendermene conto.
Ma la donna non rispose, semplicemente il suo pianto si fece più forte, tanto che ormai mi sembrava che provenisse dall’interno della mia testa.
E la cosa mi riempiva di tristezza e rammarico.
-Perché piangi?-, chiesi nuovamente, mentre sentivo che anche i miei occhi si annacquavano.
Mi avvicinai lentamente verso la bianca figura, come attratto da una forza invisibile.
-Hey, andrà tutto bene, non piangere-, cercai di consolarla, ma mentre dicevo queste parole, sentii una lacrima scivolarmi sul viso.
Allungai una mano, cercando di raggiungerla, e in quel momento, l’orologio sul muro batte la mezzanotte.
Mi fermai a pochi centimetri di distanza, con la mano ancora tesa, come immobilizzato, come spaventato dall’improvviso rimbombare dell’orologio.
La donna mi fissò per un attimo, poi, in un ultimo singhiozzo si tirò indietro, e sparì nel pavimento.
Con un gesto disperato, mi lanciai in avanti cercando di afferrarla, e andai a sbattere per terra contro il morbido tappeto.
Disteso per terra, le lacrime mi rigavano il volto, senza saperne davvero il motivo.
                                                                                                          -
Nathan alzò il volto dal diario, con un espressione angosciata.
‘Beh, almeno adesso sappiamo chi era che piangeva a mezzanotte’.

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