Noi, Enapay - Noi, senza paura

di Sabaku No Konan Inuzuka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Noi, Enapay – Noi, senza paura

 
 
 
La giornata era iniziata come ogni altra al Campo Mezzosangue. Erano nel pieno dell’estate sotto il sole cocente di Luglio, il cielo di un intenso e brillante blu non aveva neanche una nuvola vacante. Il Campo era nel fiore delle sue attività pomeridiane e tra figli di Apollo al poligono, figli di Ares in arena e figli di Efesto alle fucine, nulla poteva risultare più tranquillo se non un sonoro bisticcio tra fidanzati.
<< Ma dai Sel, non è per niente affidabile! >> sbottò Austin, figlio di Apollo, storcendo il naso in una smorfia.
<< E tu che ne sai? Su Austin, non ti ho chiesto chissà cosa! >> ribatté Celestia Hoodlake, figlia di Eos, fissando con i suoi grandi occhi ametista un ragazzo poco più in là impegnato ad armeggiare con un orologio. << Io credo che Ruby abbia solo bisogno di un amico e… >>
<< Sel >> Austin richiamò a sé tutta la pazienza che possedeva e posò le mani sulle spalle della propria ragazza: << tu sei adorabile e davvero molto dolce, lo sai, ti amo per questo ma… Stiamo parlando Ruby Shawn, non so se ti rendi conto >>
Celestia sospirò. << Non è cattivo come sembra… >>
<< Giusto >> convenne Austin sorridendo. << è molto peggio >>
Lei mise su un broncio. << Che esagerazioni però… >>
Auistin strinse le labbra per trattenersi dal fare qualcosa di avventato, come avvinghiarsi al figlio di Efesto che più di tutti odiava solo per vedere la sua fidanzata sorridere, ma naturalmente non riuscì nell’impresa.
<< Va bene >> sibilò prima di darle la schiena e avvicinarsi rapidamente al figlio di Efesto, ancora tutto preso dall’orologio. << Ehi Shawn >> salutò pacatamente.
Ruby alzò gli occhi azzurri dal suo lavoro per piantarli in quelli color cioccolato di Austin. << Ehi raggio di sole, che ti serve? >>
Il figlio di Apollo si mordicchiò il labbro, memore di starlo facendo solo per Celestia, e contò lentamente fino a dieci prima di rispondere. << A me niente, a te invece un essere vivente tuo pari, a quanto sembra >>
L’altro aggrottò la fronte. << Di che stai parlando? >>
<< Un amico, Shawn, un amico >>
<< E vorresti essere tu? >>
<< Non per mia volontà >>
<< E chi ti ha costretto? >>
<< La mia ragazza >>
<< Che sarebbe? >>
<< Celestia Hoodlake >> Un sorrisetto storto increspò le labbra di Ruby, cosicché Austin si dovette immediatamente affrettare a precisare: << una ragazza così buona e gentile da riuscire a vedere del buon persino in uno come te >>
Il figlio di Efesto ridacchiò. << Sei proprio perso, amico >> ghignò. << ma grazie lo stesso, non sono un forever alone come crede la tua ragazza >>
Austin inarcò un sopracciglio. << Ne dubito, ad ogni modo… Beh come vuoi, sei tu a rimetterci, chiunque vorrebbe la mia magnifica persona >> constatò convinto.
Per poco Ruby non gli scoppiò a ridere in faccia. << Raggio di sole, è il contrario semmai, continua a sognare e tornatene dal tuo fiocco di neve, sono certo farete della pioggia bellissima insieme >>
Il figlio di Apollo roteò gli occhi. << Scelta tua, addio, Shawn >>
<< Speriamo >>
Quando Austin tornò da Celestia con un’espressione abbattuta palesemente finta, si strinse nelle spalle e scosse la testa: << Mi dispiace Sel, nada. E se ha rifiutato me sta pur certa che non è sano >>
Celestia roteò gli occhi ma non poté nascondere un sorriso, e gli lasciò un tenero bacio sulla guancia. << Beh, almeno ci hai provato >>
 
 
 
.


E questo cos’è?
Un’introduzione, ovvio :3 Chi mi conosce sa che sono solita mettere il prologo alla fine ma… Ho cambiato idea ^.^ Allora… Ci ho già provato in passato con questa fiction, solo che mi sono messa in condizioni impossibili e i personaggi che ho ricevuto non era certo d’aiuto, quindi ci riprovo ma partiamo con le regole:
 
  1. Un OC a persona, gemelli e fratelli non fanno eccezione
  2. Mi servono dieci personaggi, di cui 6 maschi e 4 femmine, dato che io ho un favoreggiamento per i boys
  3. Un dio a OC, ergo: Eos non è disponibile ma, seppur con riluttanza, accetterò un/una figlio/a di Efesto.
  4. Scheda via messaggio privato
  5. Potete fare anche semidei romani
  6. Avete tre giorni di tempo per inviarmi la scheda o siete fuori
Non voglio essere cattiva ma nell’ultima ho aspettato quasi un mese :( Se proprio avete dei problemi siete pregati di informarmi prima. Poi ringrazio pubblicamente _little_sweet_things_ per aver permesso l’utilizzo nel prologo del suo personaggio, Celestia Hoodlake :3 E in fine… Beh spero partecipiate in tanti ^.^ Ecco la scheda:
 
 

 
  • Nome:
  • Secondo nome*:
  • Soprannome*:
  • Cognome:
  • Età e data di nascita:
  • Genitore divino e rapporto con esso:
  • Genitore mortale e rapporto con esso:
  • Aspetto fisico:
  • Aspetto caratteriale:
  • Arma/i*:
  • Breve storia*:
  • Età di arrivo al Campo Mezzosangue/Campo Giove*:
  • Amicizie/Rapporti/Relazioni sentimentali*: (Ambientazione post-Gea, OC e personaggi del libro a patto che non sfascino il canon, Solangelo è inclusa nel canon, almeno per me u.u)
  • Curiosità*:
 
*=Facoltativo
 
Vi aspetto in tanti!
 
 
 
Baci
Konan

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Arthur

 
<< Guarda che è apposto >>
<< Non lo è se segna ancora le due del mattino alle cinque di pomeriggio >>
Arthur Aidan Jennings, figlio di Ecate, quasi rise vedendolo tutto preso ad armeggiare con quel dannatissimo orologio. << Da quant’è che stai su quel coso? >>
Ruby arricciò il naso e gli gettò un’occhiata infastidita, per poi sbuffare imbronciato: << Quasi mezz’ora. Proprio non capisco. Com’è che con il mio genio non riesco ad aggiustare uno stupidissimo orologio? >>
<< Hai due ipostesi >> esordì il figlio di Ecate << La prima: tu non sei affatto un genio, e ti dai solo troppe arie… La seconda: Ho stregato l’orologio in modo da farti impazzire, oppure non ha mai funzionato >>
Il figlio di Efesto smise di armeggiare per poter guardare dall’alto in basso il suo amico inglese, nonostante lui fosse seduto a terra contro un albero e l’altro fosse in piedi, e gli porse l’orologio. << Visto che la prima ipotesi non è affatto plausibile, dico che tu lo hai sicuramente stregato, perché non ha senso debba scervellarmi solo per il tuo orologio >>
<< Io neanche li porto gli orologi! >>
<< E neanche gli occhiali, vedo >>
Arthur schioccò le dita. << Ecco che cosa mi mancava… >>
<< Insieme al quarto di cervello dici? >>
L’altro ridacchiò e si lasciò cadere al fianco di Ruby, passandosi una mano tra i capelli rossicci e scompigliati. Si poggiò volontariamente di peso al figlio di Efesto. << Allora, Shawn, che mi racconti? >> piegò le labbra in quel allegro sorriso che tanto lo caratterizzava.
Strano a dirsi, ma gli piaceva passare il tempo con Ruby. Non contando che si era prefisso di aggiustare un orologio che era finito nel suo cassetto per sbaglio, la sfilza di soprannomi che gli aveva affibbiato, e chi più ne ha più ne metta, non era tanto male. I suoi stessi pensieri lo colsero di sorpresa, mentre con fare accigliato prendeva a scrutare il Campo alla ricerca di stimoli.
<< Niente che tu non sappia già, Re Artù, e tu che mi racconti? Dove hai lasciato Merlino? >>
Arthur sorrise: << E’ a Camelot, sai sto avendo problemi con Ginevra ultimamente… >>
<< Tu con lei o lei con te? >>
<< Ambedue >>
Ruby lo guardò con un sopracciglio inarcato, ma non dovette importargli granché perché si strinse nelle spalle a temporeggiare. Arthur ridacchiò. Passarono una manciata di minuti di silenzio in cui Arthur prese a perlustrare il Campo con i suoi brillanti occhi blu ma, com’era prevedibile, la pace non durò a lungo, poiché chiedere ad Arthur Jennings di stare zitto e fermo era come chiedere a Nico Di Angelo di fare una battuta. C’erano tentativi, ma ne uscivano risultati non molto incoraggianti. Si alzò da terra stiracchiandosi e guardò Ruby in un muto invito a fare lo stesso. Il figlio di Efesto lo riguardò, quasi a dire “E ora vorresti che io mi alzassi?”, Arthur si strinse nelle spalle.
<< Okay, come vuoi. Vado a farmi un giro >>
<< Meglio così >>
<< Tu prova a farti qualche amico nel frattempo >> gli fece l’occhiolino vedendo la sua occhiataccia e prese la strada per la Cabina 14.
Ad Arthur piaceva stare al Campo Mezzosangue, era sicuramente molto più accogliente di Withby, in Inghilterra, senza contare poi che lì non c’era suo padre a limitarlo. Certo, in compenso c’era sua sorella Lou che alle volte sembrava un militare, ma decisamente era meglio di suo padre. Perso com’era nei suoi pensieri, quasi non si accorse che Rachel Elizabeth Dare gli stava venendo addosso con le braccia ricolme di materiale da disegno che si reggeva appena: Carte, colori, pennelli, gomme, matite e altro. Solo la riccia chioma rossa che sbucava da dietro al cumulo assieme ai jeans macchiati suggerivano ad Arthur la sua presenza. Il figlio di Ecate si scansò velocemente di lato ma le diede, per errore, una spallata e tutto il cumulo già in precario equilibrio cadde rovinosamente a terra.
<< Oh, scusa >> iniziò Arthur. << Io… >>
Ma non finì mai la frase perché Rachel gli afferrò il braccio con una stretta ferrea, troppo forte per una ragazza dal corpo esile come il suo, tanto che Arthur ne rimase stupito. I vispi occhi verdi guadavano avanti a sé come assorti, come se vedesse più di quel niente che aveva davanti. La bocca schiusa e un’espressione persa, neanche quel simpatico spruzzo di lentiggini tranquillizzò Arthur. Essendo Rachel l’Oracolo si aspettava di lì a poco una profezia, che i suoi occhi si illuminassero di verde e che la sua voce si triplicasse, che Delfi fosse tornato a sfornare profezie per loro, ma questo non accadde, cosicché Arthur fu costretto a sfiorarle leggermente il braccio.
<< Rachel… >> sussurrò preoccupato. L’Oracolo trasalì e batté le palpebre, vide la sua mano stringere il braccio del figlio di Ecate e solo allora sembrò rendersi conto della situazione. << tutto okay? Stai bene? >> domandò ancora Arthur.
Rachel ritirò la mano e lo guardò un po’ spaesata per diversi minuti, prima di rispondere: << Io… sì, tutto bene >> Ma continuò a fissarlo.
Il rosso abbozzò un sorriso: << Rachel, so di essere bellissimo, ma se continui a fissarmi così finirai per sciuparmi >>
Anche quella volta, fu come se Rachel si risvegliasse. Scosse la testa e si chinò a raccogliere la roba, Arthur la aiutò. << Scusa io ho avuto… una sensazione >>
<< Che sensazione? >>
<< Nulla di che. Lo vedrai, forse >> Arthur la guardò in cerca di spiegazioni, ma lei aveva già radunato il materiale, rubandogli il foglio di disegno dalle mani, e si era alzata sorridendo allegramente << ora devo andare, ciao >>
<< Ciao… >> rispose Arthur un po’ spaesato vendendola andare via con la sua pila traballante di attrezzi da pittura come se nulla fosse, come se non fosse accaduto assolutamente niente di strano. Accidenti, se era strana quella ragazza.

 
 

 Johnny

 
John Greenwood, figlio di Afrodite, stava lentamente realizzando di essere stato appena spinto. Un figlio di Ares, Sherman, gli era passato vicino in arena e, con un braccio, gli aveva dato una potente spinta tanto da sbatterlo al muro. Un lieve dolore alla spalla implose e per un momento John pensò persino di essersela rotta. Cosa alquanto impossibile, dato che Sherman gli aveva dato appena una spintarella. Gemette e si portò una mano alla spalla, mentre accanto a lui Theodor Smith, figlio di Chione, borbottava un sommesso “Ci risiamo”.
<< Ma sei impazzito? >> sbottò John rivolto al figlio di Ares. << Mi hai fatto un male! Potevo rompermela! >>
Sherman rise mentre Ted già aveva messo mano alla spada. << Oh giusto, scusa Greenwood, mi ero dimenticato di quanto fosse delicata una signorina come te >>
John fece una smorfia guardandosi la spalla: << Sono serio! Dai, pensa se- >>
<< Oh ma per favore Greenwood, caccia un po’ di attribu- >>
<< C’è qualche problema? >> Ted intervenne, brandendo la spada e osservando con occhiate gelide il figlio di Ares.
John fu abbastanza sveglio da capire come sarebbe finita, lasciò perdere il lancinante dolore alla spalla e mise una mano sulla cerea spalla del figlio di Chione. << Lascia stare Ted >> disse. << non ci guadagni niente contro quel gorilla >>
<< Come mi hai chiamato? >> sibilò Sherman.
L’occhiata che Ted gli rifilò era così eloquente che per un solo, unico, squallido e schifosissimo secondo, John prese davvero in considerazione l’idea di prendere qualche lezione di tatto. O, semplicemente, di imparare a tacere certi pensieri compromettenti come quelli.
<< Gorilla >> rimarcò Ted, ormai il danno era fatto. << essere di intelligenza allo stato primitivo che usa la forza bruta come soluzione a qualsiasi problema. Per una definizione migliore guardare sul dizionario sotto la voce “Sherman”, per un’eventuale immagine invece basta che ti guardi allo specchio >>
Sherman strinse forte l’elsa della spada, gli tremavano le mani; dire che era sul punto di spaccare la lama sulla testa del figlio di Chione era un eufemismo. Per un momento John temette sul serio per l’amico, era lì lì per richiamare nuovamente Ted, quando qualcosa accadde. Non seppe bene come, ma di punto in bianco al posto di Sherman si ritrovarono davanti maiale, appena uscito dall’intensa coltre di fumo violaceo. Cadde un breve silenzio. Il quale fu rotto naturalmente da John:
<< Oh >> disse. << ma guarda Ted, ci siamo sbagliati, non era un gorilla >> Il figlio di Chione lo folgorò con un’occhiataccia. << è un maiale >> precisò ancora il figlio di Afrodite, in attesa di una qualsiasi reazione del moro, che invece non arrivò. << rosa, con un grugno, la codina a ricciolo… >>
<< Lo so come è fatto un maiale >> sibilò Ted. << piuttosto mi sfugge come sia fatto il tuo cervello. >>
<< Beh, è sempre rosa, ha tanti- >>
<< Chi lo ha trasformato in un maiale? >> lo interruppe l’altro, incurante.
<< Uhm, volevo provare a fare un gorilla >> Arthur sbucò alle loro spalle, poggiando i gomiti su una spalla a ciascuno dei due. << però non ricordavo qual’era la pallina giusta. Quindi ho provato maiale. Non mi aspettavo che funzionasse però, di solito è Lou quella brava con queste cose >> Il maiale grugnì con rabbia inveendo contro le gambe del figlio di Ecate. << Solo… >> continuò questo con nonchalance. << non ricordo come si annulla… >>
John era sicuro di non aver mai visto un maiale arrabbiato, neanche Peppa Pig, ma Sherman sembrava davvero fuori di sé dalla rabbia. Non osò immaginare le sorti del figlio di Ecate non appena sarebbe tornato normale. Sempre ammesso che si sarebbe tornato. Sinceramente, John sperava sarebbe rimasto un maiale tutta la vita. Almeno avrebbe potuto prenderlo in giro senza temere le conseguenze: “Ehi guarda che bel cielo c’è oggi! Ehm.” (*), oppure “Sherman sei un porco! Ah già, lo sei davvero…”. Ridacchiò tra sé e sé, e si rivolse invece ad Arthur.
<< In teoria non dovremmo portarlo in infermeria? >>
<< In teoria sì >> acconsentì Arthur. << ma in pratica ora non ha due gambe, ma quattro zampe, quindi ci può arrivare benissimo da solo… >>
Ted si fece indietro, lasciando il figlio di Ecate senza appoggio. << Non stavi amoreggiando con Shawn? >> domandò brusco.
Arthur sospirò. << Mi ha tradito… con un orologio da polso. E temo anche sia mio >> portò una mano alla fronte con fare melodrammatico.
John sembrò sorpreso: << No! Ma dai… Fossi in te lo avrei mollato all’istante >> scosse la testa con decisione.
Il figlio di Ecate rise e poi, quasi con un gesto incurante, scompigliò i capelli castano scuro del figlio di Afrodite. Mai avrebbe dovuto fare un’azione del genere e, se ci avesse pensato bene prima di agire, lo avrebbe sicuramente evitato. Ma Arthur non l’aveva fatto apposta, Johnny era più basso e più mingherlino di lui - che era sempre stato un po’ più alto della media -, e aveva anche un anno in meno; gli era venuto naturale. Però, se persino Ted Smith in quel momento aveva girato i tacchi roteando gli occhi al cielo, pronto per evitare la scenata, Arhtur avrebbe decisamente dovuto imparare a riflettere prima di agire. Mai, mai, mai osare torcere anche un solo capello a John Greenwood. Quattro parole:
Scandalo.
Da.
Cronaca.
Nera.
Fu così che Arthur Jennings si ritrovò a subire la peggiore sfuriata che avesse mai ricevuto da quando, a quattro anni, suo padre si era infuriato perché gli era caduto il barattolo di Nutella dopo averne rigorosamente ripulito metà con le sole mani. Probabilmente fu anche la scenata più drammatica alla quale avesse mai assistito, peggio persino di quando era stato costretto a seguire dodici puntate di Beautifull tutte di fila (lunga storia). Dal canto suo John non poteva tollerale un simile affronto. I suoi capelli erano sempre pettinati a regola d’arte, che diritto poteva avere un figlio di Ecate qualunque di rovinare tutta la sua opera? Era stato un affronto così grande che John quasi si scordò del lancinante dolore alla spalla, e persino del maiale-Sherman. Quasi. Non fu certo un caso quando, a fine giornata, divenne un problema dei figli di Apollo.
 

 

 Rey

 
Rey Parker non si capacitava di come un tipo come quello potesse essere il suo fratello preferito. Per inciso, con “tipo come quello” si intende un figlio di Efesto, tale Leo Valdez, capace di manometterti la sveglia in modo da farti svegliare sulle note della colonna sonora di Pshyco. Aveva quasi avuto un infarto quella mattina quando era suonata la sveglia, e fare la doccia con le ginocchia traballanti non è affatto piacevole. Aveva fatto colazione come al solito da solo, ed era arrivato in Arena che per poco un maiale non le fece inciampare. Ma poi, cosa accidenti ci faceva un maiale nell’arena del Campo Mezzosangue?
<< Non chiedere, è meglio >> Percy Jackson gli passò appena accanto commentando, ma neanche lo guardò.
Rey non sapeva bene che dire ma si limitò ad annuire mentre lo guardava uscire dall’arena. Poco dopo una Annabeth Chase non molto contenta seguì il suo ragazzo. Rey fece una smorfia, non la conosceva molto bene ma di una cosa era certo: non avrebbe augurato mai a nessuno Annabeth arrabbiata. Già il fatto di essere timido con le ragazze senza una ragione apparente un po’ lo intimoriva, figuriamoci contro soggetti come Annabeth o Clarisse La Rue. Dire che lo scoraggiavano era un eufemismo. Sospirò ed estrasse Belle dal fodero. La lama in bronzo celeste rifletteva la luce del sole in modo quasi fastidioso, il che non lo sorprese. L’aveva forgiata lui stesso proprio quando seppe della morte della sua gatta, Belle per l’appunto. Si avvicinò al manichino ma non fece in tempo neanche a menare un fendente che un’allegra voce alle sue spalle, con tanto di effetto sorpresa, lo fece sobbalzare.
<< Ehi Rey! >> canticchiò Felicity Skywalker, figlia di Dioniso.
La spada sfuggì dalla presa del figlio di Efesto, che si ritrovò faccia a faccia con il manichino. Questo, senza occhi né bocca, sembrava quasi sbeffeggiarlo: “Non sia neanche colpire un manichino? Davvero? Che ce l’hai a fare quella spada?”, scosse la testa e si disse che probabilmente la sveglia di quella mattina gli stava facendo male, e si chinò a raccogliere la spada ignorando l’impulso di appiccare fuoco a quel dannatissimo pupazzzo.
<< Felicity, mi hai fatto venire un colpo >> esclamò rivolto alla figlia di Dioniso, tuttavia sorrideva.
Lei sorrise a sua volta. << Scusa, e che ti ho visto qui da solo e… Senti hai visto il maiale di prima? >>
Rey abbozzò un sorriso. << Beh, uhm, sì… E’ un po’ difficile da non notare >>
Nonostante lui e Felicity fossero amici da anni, Rey ancora non era riuscito a sterminare del tutto quella timidezza tipica che aveva nei confronti delle ragazze. Lo era molto meno con Felicity adesso, ma ciò non significava fosse sempre a suo agio con la figlia di Dioniso. Oltretutto aveva capito ormai che lei aveva una cerchia ristretta di amicizie e, nonostante Rey fosse sempre stato un tipo solitario, si sentiva onorato ma allo stesso tempo temeva di fare qualche tipo di sciocchezza e perdere l’elité di quella cerchia.
<< Ecco, ho sentito dire che quello è Sherman, un figlio di Ares, e che Arthur Jennings, un figlio di Ecate, lo ha maledetto e non potrà tornare umano finché non riceverà il bacio del vero amore… >> puntò i suoi grandi occhi da cerbiatta color cioccolato in quelli nocciola del più grande.
Nonostante in quel momento sembrasse una bambina, Rey sapeva che in realtà Felicity non era affatto ingenua. Ciò non gli impedì comunque di accennare ad un sorriso timido e divertito allo stesso tempo. La figlia di Dioniso aveva il brutto vizio di credere praticamente a qualunque cosa le venisse detta. Rey dubitava seriamente della frase, anzi non provava neanche a crederci. Anche perché era abbastanza certo che nessuno avrebbe trovato in Sherman il vero amore. Sospirò e tastò la spalla del manichino.
<< Non credo sia vero Felicity… >>
<< E se invece fosse così? Voglio dire, noi non siamo figli di Ecate, non possiamo sapere le magie- >> si bloccò d’improvviso. << Ehm… Rey? >>
Il figlio di Efesto aggrottò le sopracciglia: << Cosa? >>
<< Il manichino va fuoco… >>
Rey subito scattò lontano dal manichino imprecando in greco antico. Subito diversi semidei accorsero per spegnare le fiamme, di cui una dai capelli biondi rimase indietro a osservare la scena con un vago sorrisino divertito. Si rivolse a Rey:
<< Ow, Rey, non sapevo tu e il manichino foste così focosi >> ridacchiò seguita da un paio di altre persone.
Altrettante invece la guardarono scocciati. Rey arrossì balbettando cose incomprensibili a quella che riconobbe come Amethyst Cotton, una stravagante figlia di Eros.
<< Piantala Cotton >>  sibilò Spencer Parrish, una figlia di Ares, per poi indicare Rey. << e tu invece vedi di darti una controllata, piccolo fiammiferaio >>
Amethyst roteò gli occhi, Rey abbassò lo sguardo. Decisamente quella non era la sua giornata, prima la sveglia, poi la spada, il manichino e su tre ragazze che aveva incontrato due lo avevano decisamente buttato giù di morale. Si chiese che fine avesse fatto la sua buona stella, o meglio se fosse mai esistita. Rey era nato con il dono del fuoco ma non aveva mai imparato a controllarlo, e questo era sempre stato un gran problema e allo stesso tempo un vantaggio nelle fucine. Nico Di Angelo si avvicinò a lui, osservando il manichino ormai spento fumare.
<< A che stavi pensando? >> chiese cauto, senza distogliere lo sguardo dalla scia grigiastra.
Rey fu sorpreso dalla domanda così diretta, o anche dal semplice intervento di Nico. In genere aveva buoni rapporti con lui, ma non se lo aspettava. Altra cosa abbastanza inaspettata era la presenza di Nico non al Campo, bensì nell’arena. Lo vedeva e parlavano più spesso da quando stava con Will Solace, certo sembrava ancora abbastanza strano vedere quei due insieme – Will praticamente un surfista e Nico un emo-punk -, ma a Rey dopotutto non causava problemi. Sperava solo che tra tutte queste belle coppie magari un giorno qualcuna sarebbe arrivata anche per lui. Quasi per dispetto una fiammella si accese sulla sua mano, e si affrettò ad estinguerla mentre ancora pensava a una risposta da dargli. Rey era un tipo solitario, e in quanto tale aveva molto tempo per pensare, e non era raro che in un qualunque momento della conversazione i suoi pensieri vagassero a cose piacevoli e non. E in quel momento il suo filo di pensieri non era proprio su una frequenza piacevole. Sospirò e si passò una mano tra i capelli scuri, stringendosi nelle spalle:
<< A cose… frustranti… >>
Nico inarcò con sarcasmo un sopraciglio al suo indirizzo: << … Avevo una mezza idea… >>

 
 

 Celestia

 
Celestia si chiese cosa mai potesse rendere certe persone così chiuse ed introverse quando in realtà erano talmente dolci e simpatiche. Dopo essere riuscita a sbloccare Katarzyna McGallin, figlia di Ade, Celestia era fermamente convinta che tutti in realtà avessero un lato dolce o perlomeno buono. Persino in Allistor Loganach, il figlio di Nemesi, Celestia era riuscito a scorgerlo. Non a tirarlo fuori, certo, ma lo aveva vagamente avvistato. Per questo, a rigor di ragione, la figlia di Eos si diceva convinta e aveva fatto di ciò la sua missione e vocazione. Forse per questo motivo non riusciva proprio a togliersi dalla testa l’idea di poterlo cacciare anche da Ruby Shawn. Aveva visto in Ruby la generosità, ma Austin l’aveva bruscamente smontata “Non lo fa per fare favori, semplicemente gli si crea e fa quel che gli pare. Rinuncia Sel, puoi cercarlo in chi vuoi il lato buono ma non in Ruby, quel tizio è odioso.”, dure parole che Celestia non aveva affatto apprezzato. Infatti non gli aveva rivolto la parola per tutto il pomeriggio, nel lontano giorno in cui lo aveva detto. Non aveva la minima intenzione di rinunciare, avesse dovuto passarci tutta la vita.
Sbuffò contrariata di fronte allo specchio nella Cabina di Eos, mentre cercava di dare un aspetto perlomeno accettabile ai suoi capelli, dato che questi erano ciò che più saltava agli occhi della gente. In seconda posizione invece c’erano gli occhi e solo infine l’altezza, una volta scoperta l’età. Sì perché Sel non era molto nella norma a prima vista; tanto per cominciare aveva i capelli bianchi, color neve per l’esattezza, lunghi e lisci. All’apparenza chiunque avrebbe detto fossero tinti, date le sopracciglia scure e marcate, e invece erano naturali. I grandi occhi erano color ametista, e non fu per questo raro che Amethyst Cotton la elogiasse apposta per questo. In sintesi non era molto normale; Eos, dea dell’aurora, sembrava essersi molto divertita plasmandole l’aspetto. Ciononostante ormai al Campo Mezzosangue era consuetudine considerare normale ciò che non lo era, per questo Celestia in una giornata riceveva al massimo una o due occhiate curiose, ma appunto per questo non poteva certo permettersi di andarsene con i capelli rovinati.
Già, rovinati perché a quanto pare quel genio del suo ragazzo aveva avuto la brillante idea di rovesciarle la vernice addosso, capelli compresi. Certo, non l’aveva fatto a posta, ma comunque ciò non biasimava la sua reazione.
 
<< Ehi bello, mi fai un favore? >> Connor Stoll sbucò sorridente tra loro, rivolgendosi ad Austin.
Lui lo guardò accigliato. << Uhm… Okay ma… perché io? >>
Connor si strinse nelle spalle: << Mh. Sei il primo che mi è capitato a tiro. Niente di che, Raggio di Sole, devi solo reggere questo >>
Gli porse un barattolo di vernice blu che il figlio di Apollo afferrò con discrezione, fissando sospettoso il figlio di Hermes. << Oookay… solo reggere, giusto? >>
Connor annuì << Solo reggere >> confermò.
Austin si scambiò un’occhiata con Sel, poi annuì, << Va bene >> e prese a ispezionare con cura il barattolo.
Connor però, dopo qualche passo lontano da loro, fece subito retromarcia: << Ah, dimenticavo, non agi- >>
Ma non fece in tempo a finire la frase perché Austin, intelligentemente, lo stava già agitando e il barattolo esplose seminando vernice ovunque, sul prato (con grande disappunto dei figli di Demetra), sui vestiti e, sfortunatamente, sui capelli di Celestia. Persino Connor Stoll, seppur abbastanza lontano, era imbrattato di blu. Si tolse la vernice dalla palpebra: << -tarlo, o esploderà >> completò, come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se capitasse ogni singolo giorno.
Austin sorrise a Celestia, con un ché di nervoso nel sorriso: << Ehi… lo sai che il blu ti sta benissimo? >>
 
A causa sua la figlia di Eos aveva passato quasi tutto il pomeriggio sotto la doccia a togliersi la vernice. Ce l’aveva con Austin per aver agitato un oggetto datogli da un figlio di Hermes, uno dei fratelli Stoll, per l’esattezza, e ce l’aveva con Connor per non averli informati subito, o anche solo per essere venuto loro vicino; e quando Celestia Hoodlake portava rancore, l’unica certezza era che ce ne sarebbe voluto di tempo, eccome, se ce ne sarebbe voluto, per farsi perdonare. Bastava ricordare la prima volta in cui conobbe Austin.
Con l’ennesimo sbuffò lasciò ricadere i capelli sulla spalla destra, e fece una smorfia vedendo le punte bluastre. E ora come le avrebbe tolte? Qualcuno bussò alla porta.
<< Chi è? >> chiese Celestia senza staccare gli occhi dallo specchio. Nessuna risposta. Riprovò: << Chi è? >> Ancora nessuna risposta.
Sospirò e andò ad aprire, e allora capì perché nessuno rispondesse. Era Austin, i capelli castani leggermente bluastri, così come il naso, una porzione del collo e una dello zigomo. Stava mordendosi furiosamente il labbro e giocava con le dita, come se non sapesse bene cosa dire. Celestia incrociò le braccia:
<< Ebbene? >>
Austin fece un’espressione ironica, come a dire “Già, ebbene?”, prese un respiro: << Ebbene… Scusa. >>
<< Credi che basti? >>
Il figlio di Apollo non la guardò in viso, spostò il peso da una gamba all’altra << Lo spero. >> Celestia stava per richiudere la porta, ma Austin la bloccò, << Sel dai! Non l’ho fatta apposta! >>
<< Come la freccia intendi? >>
<< Quella è un’altra storia! Eddai Sel, non puoi davvero credere che questo sia colpa mia! >>
<< E di chi allora? >>
<< Connor Stoll! >>
Lei roteò gli occhi. Fece nuovamente per sbattergli in faccia la porta ma Austin mise il piedi dinanzi allo stipite per impedirlo, e naturalmente la smorfia di dolore non mancò, ma il panico parlò per lui prima del dolore:
<< Okay okay, facciamo una cosa: se io provo a farmi amico Shwan, provo per davvero, mi perdoni? >>
Celestia fu sorpresa dalla proposta, davvero era disposto a tanto solo per lei? Solo per quella sciocca lite? Sapeva quando in realtà il suo ragazzo odiasse quel figlio di Efesto, e fu appunto per questo che i suoi occhi brillarono: << Davvero? >> chiese eccitata.
Austin, che si stava massaggiando il piede per l’impatto, sembrò rendersi conto solo allora di ciò che aveva appena proposto. Boccheggiò più volte, alla ricerca di una possibile scappatoia ma non ne trovò, fu allora che si strinse nelle spalle, arrendevole al suo tipico parlar troppo: << Beh… Ho sentito la mia voce che lo diceva, quindi… sì? >>

 
 

 Felicity

 
Felicity Skywalker si chiedeva spesso se la capacità di attirare l’attenzione altrui ce l’avesse solo lei o anche gli altri. Aveva la pressante sensazione che, dopo l’incidente di Rey con il manichino, tutti la stessero sparlando. Li vedeva mormorare tra di loro e, casualmente, gettare occhiate a lei che passava e ne aveva la certezza: stavano parlando di lei. Male, sicuramente. Come potevano parlarne in positivo? Non aveva molti pregi e una ragazza che si reca nelle cucine del Campo puntualmente almeno una volta al giorno per assumere la dose giornaliera di Nutella non poteva che attirare prese in giro. Non era bella, non era né alta né bassa, non aveva forme, non era del tutto magra, aveva le lentiggini e dei banalissimi occhi castani che stavano sicuramente meglio ad Alice nel Paese delle Meraviglie o a Bambi. L’unica cosa di sé che Felicity ritenesse accettabile erano i capelli: castani, ramati, lunghi e mossi. Peccato che reputasse il taglio scalato banale. Micheal, il figlio di Zeus, glielo diceva spesso, che era troppo autocritica al limite della noia. Chiaramente la figlia di Dioniso non ascoltava molto la parte che ne seguiva “capisco che non sei come me, ma datti un contegno”.
Tuttavia ciò non toglieva la paranoia di Felicity dell’essere costantemente sotto gli occhi di tutti. Sentiva le gambe pesanti e faticava a camminare normalmente, i sorrisi divertiti degli altri la agitavano. Era di lei che ridevano? Per un istante pensò di non farcela a sfilare in mezzo a tutta quella gente per arrivare da Rachel Elizabeth Dare, ma si ricredette subito. Era stupido pensarlo, troppo esagerato, e lei non doveva assolutamente preoccuparsi per una semplice camminata, era davvero troppo paranoica. E a lei in più le prese in giro non importavano, e lo avrebbe dimostrato. Non sapeva a chi, ma lo avrebbe dimostrato. Rey stava a sguardo basso accanto a lei, distrattamente, come se i suoi piedi contenessero più di quel che sembrava. Felicity non disse niente, era difficile iniziasse lei a parlare. Quella mattina era stato un caso abbastanza raro. Non appena entrò nella piccola capanna dell’Oracolo, non si stupì di vedere Rachel dipingere. Era quasi routine andare da lei dopo pranzo, sotto sua richiesta era diventato praticamente un appuntamento da quanto, un paio di mesi fa ormai, era tornata da Nuova Roma. Rachel era così disinvolta e sicura che era impossibile non farsela piacere, Felicity le era molto affezionata.
<< Rachel? >> chiamò Rey.
Rachel si voltò a guardarli e i suoi occhi verdi scintillarono. Mollò il pennello e si avvicinò a loro agitata: << Ragazzi! Oggi è successa una cosa strana… >>
Ciao anche a te, avrebbe voluto rispondere Felicity. << Cioè? >> chiese invece.
Rachel si portò una ciocca rossa dietro l’orecchio. << Ho toccato il braccio di Arthur Jennings – avete presente no? Un figlio di Ecate – e ho sentito come una strana… sensazione >>
<< Sensazione? >> ripeté Rey.
<< Sì… è… strano, da descrivere. Era come se sapessi già che deve fare qualcosa ma… non so cosa >>
Felicity aggrottò le sopracciglia. << Non capisco, spiegati >> la invitò.
Rachel indicò il disegno: << Forse questo può farlo meglio di me >>
Felicity e Rey si avvicinarono. Il dipinto di Rachel sembrava quasi un quadro, racchiudeva così tante cose che era difficile identificarle, ma Felicity fece un sforzo:
Un cerchio di fiamme sembrava circondare uno spiazzale di un azzurro così intenso e grigiastro che Felicity pensò fosse ghiaccio. Un martello rovente giaceva congelato al centro. Quattro porte a est, nord, sud e ovest si stagliavano tra le fiamme. Una colomba volava attorno al cerchio, e Felicity notò solo in un secondo momento dell’enorme ombra scura che intercettava il volo con le sue enormi braccia. In una mano brandiva un arco, nell’altra una torcia rovesciata e sembrava essere un’ombra così indistinta e realistica che la figlia di Dioniso dovette guardare alle proprie spalle per assicurarsi non ci fosse davvero. Non sembrava avere buone intenzioni. Un’aurora boreale strisciava nello sfondo scuro della notte stellata, nonostante ciò era tempestata di fulmini minacciosi. All’angolo del quadro, in basso, una tigre faceva da guardia ad un cinghiale ferito e sporco di sangue. Nell’altro angolo in alto, proprio davanti ad un fulmine calato, un’altra figura alata con arco e faretra in spalla sosteneva i pezzi di una ruota. Una sagoma umana con un lungo bastone poggiato a terra sembrava quasi cieca, e regnava tra le fiamme come se nulla fosse. Una civetta vegliava la situazione trasportando tra gli artigli quello che sembrava un timone particolarmente cupo, trasmise i brividi persino a Felicity a vista. Le stelle formavano un vago volto maschile e barbuto che, così come avrebbe potuto essere Zeus, avrebbe anche potuto essere Ade. O Gesù. O Odino persino, non si sa mai, le profezie erano abbastanza imprevedibili, il che rendeva ironico il loro nome. Infine una serie di note come uno spartito zampillava tra le fiamme. La cosa strana è che erano tutte note basse.
<< Io… penso che Delfi sia tornato >> mormorò Rachel. << penso che il dono della profezia sia tornato ad essere stabile come decise da Apollo tempo fa >>
Felicity non seppe trovare altre spiegazioni. Insomma, quello non era certo un dipinto che si fa ogni giorno per un colpo di ispirazione improvvisa, ed in più era così pieno di simbolica da far rabbrividire. A pensarci bene non sapeva quale fosse il simbolo di Dioniso, uva forse? Non vedeva uva nel disegno e per questo ne fu grata, ma non poté comunque sospirare di sollievo. Non si sa mai che magari sarebbe stato proprio quel sospiro a spedirla in una missione mortale. Guardò Rey, e solo in quel momento vide la preoccupazione sul suo volto. Felicity non lo biasimò. Dopotutto c’erano sia fuoco che un martello rovente nel dipinto, forse più di un figlio di Efesto sarebbe finito in quella strana storia. Sempre detto che fosse una Profezia, ma Felicity non vedeva scappatoie. Non sapeva bene cosa dire, così fu Rey a parlare:
<< Perché non le suoniamo? >> chiese assorto.
La figlia di Dioniso aggrottò le sopracciglia. << Cosa? >>
<< Perché non le suoniamo? >> ripeté, ora un po’ più presente. << Le note dico. Sembrano essere tutte basse ma io non suono nessuno strumento, non ne sono certo >>
<< Sì >> acconsentì Rachel. << magari potrebbe essere utile, potrei persino avere una profezia! E’ da quando mi sono scontrata con Arthur che ho questa strana sensazione… Andiamo da Chirone >>
<< Da Chirone? >> domandò Felicity esitante. << Ma non è ancora nulla di certo Rachel, non so se possiamo dirlo già da ora… >>
<< Se c’è qualcuno che può aiutarci a capire >> disse la rossa. << quello è Chirone. Stasera al falò lo facciamo suonare ai figli di Apollo >>
Rey annuì. << Sì, io… credo che sarebbe meglio >>
Felicity si morse il labbro. Quante possibilità c’erano che lei c’entrasse qualcosa? Beh, non erano molte. Era l’unica figlia di Dioniso in tutto il Campo, l’unico altro compagno di stanza che aveva era Polluce e nessuno dei due era adatto per una missione suicida; di questo ne era abbastanza sicura ma… mai dire mai, Felicity lo avrebbe presto capito.

 
 

 Theodor

 
Theodor Smith ancora non capiva come avesse potuto, tra tante persone al Campo, scegliere proprio lui, John Greenwood. Lui, classico figlio di Chione acido e freddo, tra tante persone aveva deciso di fare amicizia proprio con quello strambo figlio di Afrodite. E dire strambo era un complimento. Tempo prima, per un piccolo taglietto al dito che si era fatto sembrava quasi stesse morendo dissanguato. Aveva portato Ted all’esasperazione con la sua insistenza, tanto che alla fine aveva ceduto e aveva accettato di accompagnarlo in infermeria. Quando furono arrivati, a Ted prudevano le mani per gli sguardi che i figli di Apollo gli riservarono. Ma non alzò un dito perché dopotutto aveva ragione: era una sciocchezza. Inutile dire che quello fu il momento più imbarazzante della sua vita e le bestemmie verso la sua adorata mammina Chione si erano sprecate. Tuttavia John non si era mosso finché il dito non fu completamente guarito, e forse questo fu la più grande tortura. Ted non sapeva spiegarselo… Forse era solo masochista, quanti altri motivi c’erano? Non c’era ragione e più guardava John più lo capiva. Forse perché, infondo, qualcosa in comune l’avevano… Scosse forte la testa per scacciare il pensiero, mentre sedette attorno al fuoco per l’usuale falò. Lui non era il tipo da falò, ma già che non c’era nulla da fare… Arthur e John presto lo raggiunsero. Accanto a John sedette un ragazzo dai capelli castani  e spettinati e gli occhi di due diversi colori. Ted lo identificò come Micheal Tall, quello strambo figlio di Zeus forse persino più fuori di testa di John. Stavano parlando fittamente e Ted, seppur prestando attenzione solo a John, si disse che probabilmente una coppia del genere avrebbe distrutto il mondo, ma non ci pensò su troppo, non gli interessava granché dopotutto. Arthur gli diede una pacca sulla spalla:
<< Allora, Re dei Ghiaccioli, come va? >> sorrise al suo indirizzo, ma l’intenso blu dei suoi occhi pochi secondi dopo prese subito a ispezionare il falò, ad un evidente ricerca di qualcosa.
<< Tu che dici? >> sbuffò. << Al solito, come vuoi che vada. >>
<< Allegria… >> borbottò Arthur continuando a guardarsi intorno.
<< Già, scusami se non sono un pagliaccio da quattro soldi con accento inglese >> sibilò Ted.
Arthur lo guardò apparentemente perplesso. << Dovrei sentirmi in qualche modo offeso da quello che hai detto? Sai, mi sento un po’ chiamato in causa >>
<< Ma non mi dire… >>
<< Ah okay, ora ho capito. Non sapevo John avesse l’accento inglese >> osservò Arthur.
Ted scosse le testa, passandosi una mano tra i capelli color pece. << Certo, John… A chi hai ceduto il cervello ultimamente? >>
<< Sherman. Ne aveva un gran bisogno >>
<< Almeno su questo mi trovi d’accordo. La mia ciabatta è più intelligente >>
Arthur ridacchiò. << E poi, ammettiamolo, almeno da maiale fa la sua porca figura >>
Ted fu tentato di ritirare l’indiretto complimento che rendeva il figlio di Ecate più intelligente di quello di Ares. Tuttavia non disse nulla, si limitò a scuotere la testa e a guardarsi intorno, finché i suoi occhi limpidi e azzurri non caddero sulla figura di Chirone che si avvicinava – o meglio trottava – pensieroso. Studiava attentamente un foglio che aveva in mano carezzando la barba incolta. Al suo fianco Rachel Elizabeth Dare, Rey Parker e Felicity Skywalker. Quest’ultima sembrava particolarmente agitata, come se non sapesse cosa aspettarsi. Il Centauro si avvicinò, inaspettatamente, ai figli di Apollo che intonavano i loro soliti noiosissimi canti da boy scout per alimentare la fiamma del falò, più brillante del solito.
<< Che cosa stanno facendo? >> sussurrò John al suo indirizzo.
<< E io che ne so, ti sembro telepatico? >> borbottò Ted in risposta.
Will Solace afferrò il foglio studiandolo confuso poi, come se non avesse nulla da perdere, si strinse nelle spalle e lo passò ai fratelli che suonavano. Chitarre, flauti, sax e chi più ne ha più ne metta (Ted si chiedeva spesso il perché la presenza di quegli strumenti ad un semplice falò) iniziarono a suonare una melodia cupa e inquietante, John al suo fianco rabbrividì. Un’armonia di note così tristi e terrificante che per un momento persino Ted ebbe una brutta sensazione. Più che altro non capiva il perché Chirone avesse dato quello spartito da suonare ai figli di Apollo quando poi, come per segnale divino, la risposta arrivò.
Rachel ebbe uno scatto, i suoi occhi assunsero una cupa luce verde ed del fumo verdastro gli uscì dalla bocca: una Profezia. Parlò, e quando lo fece sembrò che cento Rachel stessero parlando nello stesso momento dal fondo di un pozzo:
 
Il segreto degli déi è stato portato alla luce
da colui che scomparve ed ebbe il destino più truce.
Odiò Febo Apollo e la sua costante ascesa,
e non si arrenderà finché non avrà la sua resa.
La rosa più oscura è scomparsa e sta perdendo tutto il suo splendore,
mentre la morte infierisce furiosa per il perduto amore.
Le piante appassiscono su questo mondo ormai morente,
a salvarlo saranno la Foschia, il ghiaccio e il martello rovente.
Sfuggente è il segreto inseguito persino dalla sua stessa vendetta,
il fuoco, la folgore e l’amore dovran insorgere sulla grande vetta.
Le figlie degli inferi, dell’ebrezza, dell’aurora, della guerra e dell’amore che fa male
 futuro e presente dovranno salvare.
La notte li aiuterà e una progenie della saggezza una mano darà;
ma duri saranno i nemici: l’armonia della sofferenza verrà suonata,
amore e morte avranno un’anima, sola e dannata.
E fino a che il cieco non vedrà l’alba della sua morte,
ciò che sarà più in pericolo è la nostra sorte.
A non più di dodici è concesso partire,
e nel viaggio qualcuno è destinato a perire.
 
 
Il corpo di Rachel si afflosciò e crollò, prontamente ripreso da due ragazzi prima di toccar terra. Un silenzio di tomba cadde in tutto il Campo, il falò si affievolì e nessun figlio di Apollo osò suonare una nota di più di quell’oscura melodia. Per la prima volta Ted ebbe i brividi, e non gli piacquero affatto. Una tremenda sensazione gli calò sulle spalle come un’ombra, e per un istante si sentì osservato. Annabeth Chase si schiarì la voce:
<< Un’altra Profezia… >> constatò.
<< Ma dai >> grugnì Ted. << non me n’ero accorto >>

 
 
 
 
 
 
 
 
 ▓▓▓▓

 
<< E’ stata annunciata >> una voce femminile e autoritaria risuonò all’interno della stanza buia.
<< E tu come lo sai? >> grugnì la voce brusca di un ragazzo in risposta.
La luce si accese, permettendo alla lampadina di illuminare la stanza vecchia e rovinata. La carta da parati era stracciata in più punti, cupe macchie di sangue bagnavano il pavimento, lampade e mobili erano sottosopra, i quadri rotti, l’armadio sventrato, il computer spaccato… Sembrava esserci passato un vero uragano. Sul letto sfatto infondo alla stanza un ragazzo pallido era sdraiato ad occhi chiusi, come se stesse meditando.
<< Ho le mie fonti >> disse la ragazza, semplicemente.
Il ragazzo fece un sorriso, un sorriso da brividi e decisamente poco affidabile. << Non voglio sapere quali, Dayleen. >>
<< Tranquillo, River, non te lo avrei detto comunque >> obbiettò lei, secca.
River si mise a sedere sul letto e, con un gesto pigro, spinse la porta in legno della finestra, permettendo ai raggi di sole di raggiungerlo e schiaffeggiarlo in faccia. Strizzò gli occhi scuri e, con un gesto altrettanto pigro, la richiuse. La sua pelle pallida spiccava alla luce fioca della lampadina neon.
<< Bene, è mezzogiorno. Diglielo >> Dayleen alzò un sopracciglio, River sbuffò: << è di sotto >> precisò con ben poca cortesia.
Lei annuì, gli voltò le spalle e se andò, come se nulla fosse, senza degnarsi neanche di spegnere la luce. Il rumore dei tacchi che battevano a terra risuonavano secchi sul pavimento vecchio e poco stabile, non aveva fatto una piega dinanzi allo stato della stanza. River ascoltò il suono dei suoi passi affievolirsi lentamente finché non scomparve. Quella ragazza non aveva nessun accidenti di percorso da seguire, ne aveva due dannatamente opposti di morte e amore, e lui non riusciva proprio a identificarla. Per questo era suo dovere tenerla d’occhio, se non aveva un percorso da seguire, sicuramente non aveva neanche problemi a fare retromarcia, a farsi scrupoli, e lui non aveva voglia di farsi fregare da quella rossa svitata. Scosse la testa pensieroso e si chinò sul pavimento, sfiorando la macchia di sangue più densa presente; un folle sorriso gli increspò le labbra, uno di quei sorrisi che si possono vedere solo su un serial killer, questa era la sua unica consolazione: quella macchia di sangue non era sola, presto ne sarebbe stato versato altro, e lui era più che felice di sporcasi le mani.

 



*= Uhm…. Pessima, lo so è che non avevo idee… Il fatto è che i maiali fisicamente non possono minimamente guardare il cielo. Ovunque come si mettano, a meno che non li afferriate e li puntiate al cielo, loro proprio non possono guardarlo, porini <3

 
Angolo Autrice
Ehi :3
Sì lo so: sono in tremendo ritardo e il capitolo fa schifo.
Scusate, scusate davvero ma agli ultimi di scuola proprio non hai voglia di fare niente di niente.
Per il captiolo... E che dire, non è del mio meglio >.<
Se i personaggi sono OC preveniamo i danni: ditemelo subito.
Ho bisogno di voi.
Poi, se ci sono errori (Se? Ahahah, ma chi prendo in giro?), sappiate che non sono riuscita a farmi betare >.<
Scuste ancora.
Poi... Due avvisi, il primo: Gli aggiornamenti saranno lenti, ma ci saranno.
Scusatemi se non vi ho avverito prima... Se volete ritirarvi basta che me lo dite.
Secondo: Il rating salirà ad arancione.
Se questo è un problema ditemelo, potrei apportare più modifiche anche ai generi andando avanti.
Si sa, non si sa mai con le interattive.
Scusate, stasera non sono molto pimpante ^^"
Eh... I primi capitoli sono strettamente introduttivi, per questo POV alternati e sono lunghi.
E per abbreviare i tempi.
Passiamo al capitolo, qui abbiamo conosciuto:
  1. Arthur Aidan Jennings, figlio di Ecate di Pendragon
  2. John Greenwood, figlio di Afrodite di Luthien Felagund
  3. Rey Parker, figlio di Efesto di BettyLovegood
  4. Celestia Hoodlake, che abbiamo già conosciuto prima, figlia di Eos di _little_sweet_things_
  5. Felicity Skywalker, figlia di Dioniso di  K L I O ( la quale è stata così gentile da non cagarmi quando la chiamavo)
  6. Theodor "Ted" Smith, figlio di Chione di Artemiss
Cariiini, vero? :3 Intento abbiamo avuto qualche cameo di OC che conoscerte :3
Per quanto riguarda gli ultimi due...
  • River, di AliNicoKITE
  • Dayleen, di DarkDemon
Non dico altro :3
So che non è il massimo ma ehi, ho aggiornato!
La profezia è un cacchetta, lo so, ma è difficile ç.ç
Però intanto ci tengo a dirlo:
Questa fiction è fortunata.
Già, mi avete riempito di personaggi meravigliosi.
Sono seria. Sono bellissimi, tutti e ho ispirazione nonstop.
Mi dispiace solo non essere così frequente e, soprattutto, mi dispiace non scrivere all'altezza di certi bei personaggi.
Davvero. Quindi... GRAZIE, a tutto :')
Alla prossima!




Baci
Konan

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

Ad Angy, che mi ha betato il capitolo ed è stata tanto paziente,
grazie ancora;
e ad Holly, perché sì.






Micheal

Micheal Tall, figlio di Zeus, era abbastanza certo di essere diventato cieco. E no, non scherzava. I suoi occhi erano aperti ma quello che vedeva non aveva senso, era come se ci fosse qualcosa tra lui e i suoi occhi che gli impediva di vedere. Era tutto sfocato e, anche sforzando la vista, era impossibile ridefinire contorni. Vedeva solo colori sfocati e non poteva fidarsi neanche di quelli. L’unica cosa che era riuscito ad identificare erano le macchie sfocate biancastre che gli appannavano gli occhi come se stesse guardando da un finestrino macchiato. Si accorse di essere sdraiato per terra solo quando provò ad alzarsi. Con un rantolo, si girò su un fianco ma si pentì subito, perché fu lì che lo strano sogno divenne un terribile incubo:
Un dolore lancinante partendo dal ventre si diffuse in tutto il corpo e lui gridò, mentre una serie di macchioline appena definibili gli danzavano davanti agli occhi. Micheal si sentì morire, letteralmente. Per un istante fu come se stesse morendo, come se stesse per ascendere all’Ade e poi… 
Pof. Era tutto sparito, un brusco ritorno nel mondo dei vivi, quasi come se qualcuno lo avesse ritirato sulla terra. Solo in quel momento si accorse di non avere fiato; dalla posizione fetale in cui si era rannicchiato si sdraiò nuovamente supino e prese ad ansimare, alla disperata ricerca dell’aria che quel grido gli aveva sottratto. Per un momento udì solo il suo respiro riecheggiare nella stanza con una forte eco. Intuì a orecchio fosse una stanza dalle mura strette e quadrate. Continuava a non vedere, a tatto il pavimento sembrava essere una superficie liscia e scivolosa, di quelle eleganti che si possono trovare solo sulla pista da ballo.
<< Terribile, vero? >> domandò una voce roca, facendolo sobbalzare.
Micheal scattò a sedere come una molla, e prese disperatamente a cercare di mettere a fuoco il suo interlocutore. Inghiottì il groppo alla gola e si fece coraggio: << Chi sei? >> chiese a sua volta, forse un po’ troppo precipitosamente.
Un silenzio tranquillo regnò nelle orecchie di Micheal prima che la risposta giungesse: << Quello che hai appena vissuto >> esordì La Voce, strisciate e tremante, << io lo vissi più di tremila anni fa. O forse di più? Non ricordo… Millennio in più, millennio in meno… >>
<< Chi sei? >> ripeté Micheal, ora con voce più ferma e convinta. << Perché non vedo e dove siamo? >>
Una risata arcigna fece scattare in nervi di Micheal a fior di pelle, per un momento pensò di folgorare alla cieca quel tizio ma si contenne in caso non fossero soli. << Non vedi perché l’ho deciso io, e in quanto a dove siamo… Beh, posso solo dirti che tu sei ancora nel tuo letto, Micheal Tall. Per quanto riguarda a chi sono io… Forse questo potrà aiutarti a capirlo >>
Un suono secco, come di qualcuno che schiocca le dita… 
e poi l’Inferno.
Un dolore acuto, un dolore bruciante esplose nei suoi occhi, come se vi avessero infilzato con la forza due aghi ardenti. Micheal si contorse a terra cadendo su un fianco e gridò dal dolore, raschiando il pavimento liscio con le dita alla ricerca di sollievo nel lieve dolore che erano le sue unghie spezzate e sanguinanti.
<< Fa male, vero? >> grugnì cupa La Voce. << Per me quello fu un sollievo, a confronto a ciò che stavo vivendo dentro >>
L’eco delle sue urla di dolore si disperdeva più rapidamente dei suoi respiri, moriva velocemente e non importa quanto numerose e forti fossero; i suoi respiri di sollievo, di assestamento, sembravano molto più rari a confronto di quelle grida. Micheal ci fece caso, quando il dolore smise di offuscargli la mente e gli permise – orribilmente – di riflettere. Micheal non le vedeva, ma aveva la certezza da quell'eco che le mura di quella stanza fossero impregnate di urla di dolore, di dolore in sé, di sangue, di lacrime, di preghiere. E i respiri di sollievo erano attimi, attimi di paradiso prima di ricadere nelle atrocità. Quei sospiri di sollievo e di assestamento di cui quelle mura erano così avide da farle circolare tra di loro per lunghissimi secondi prima di perdere, con grande loro rammarico, il suono. D’un tratto, Micheal non voleva più sapere dove si trovasse, era quasi felice di non vedere.
<< Già >> continuò La Voce, come se avesse ascoltato i suoi pensieri. << strano, vero? Questa stanza è vita, Micheal Tall. E’ la vita. Dolore, dolore, dolore e solo dolore. Queste mura hanno visto tanto di quel dolore… Ma di sollievo, come quando poca fa hai preso a respirare forte, sollevato di poterlo fare ancora… Quello lo vedono – o sentono – raramente. Per questo lo cercano, lo custodiscono gelosamente, lo imbrogliano nella loro mente e si drogano di quel suono >> Micheal dubitava stesse ancora parlando delle mura. << Perciò ti ripeto, Micheal Tall: questa stanza è vita. E, come la vita, ha visto tanto dolore e pochi, rari, attimi di felicità. E ciò che cercano disperatamente, come voi uomini, come i semidei. Cercate la felicità in mezzo a tutto questo dolore che è la vita, ma non vi accorgete che è come cercare un ago in un pagliaio, e allora ve la create da soli – una felicità finta, superficiale, frivola – e siete così disperati da crederci persino voi. >> Udì un sospiro, << La felicità non esiste Micheal Tall. Esiste l’euforia, e il sollievo. Ma non la felicità, quella è come la perfezione: un mito, un’illusione, una bugia. Tu prima di tutti dovresti saperlo bene. Questa stanza… E’ raro che un essere così vicino ai mortali possa entrarci, questo è un grande onore. Se non l’hai capito da solo, io non posso dirti dove sei, Michael Tall, posso solo augurarti di non finirci ancora come feci io, ma non penso proprio lo farò… So che non sei tu il mio obbiettivo, sei solo un mezzo, uno strumento per salvare quel pigro fondoschiena che gli dei tengono sempre gelosamente incollato ai loro rispettivi troni, ma sei comunque un ostacolo e vai eliminato. >> si fermò per una manciata di secondi, come per riflettere, << Tuttavia… non ho voglia di scomodarmi, e tu sei un semidio audace, mi dispiacerebbe eliminarti. Onde evitare questo, ti sto avvertendo, Micheal Tall. Tutto questo non è un sogno, è un avvertimento per te e i tuoi compagni, questa sarà la vostra vera fine se vi opporrete. Diglielo, a Chirone e ai suoi… 
eroi >> scandì la parola con disprezzo, quasi come se covasse un profondo odio. << e anche a Lupa. Che non mi mettano i bastoni tra le ruote, altrimenti… >>
Di nuovo il dolore irruppe prepotente e più acuto di prima, ma stavolta si era abituato. Piangeva Micheal, piangeva e non riusciva a fermarsi. Lacrime calde, lacrime amare gli solcavano il viso e- no. Non erano lacrime. Troppo denso il liquido che gli bagnava le guance, troppo lento nello scendere. Il dolore si affievolì con esasperante lentezza e lui porto una mano tremante al viso, e trovò persino la forza di aprire gli occhi, seppur continuasse a non vedere. Accarezzò la scia liquida sulla sua guancia con il dorso dell’indice, attento a alle unghie insanguinate, e lasciò la sentenza al gusto. Un sapore metallico gli danzò sulla lingua e gli invase la bocca, un sapore familiare e che aveva già sentito più di una volta.
Sangue.
Fiumiciattoli di sangue gli sgorgavano dagli occhi come lacrime, e per un momento il panico lo invase, panico che fu presto sostituito da rabbia. Una scintilla gli danzò sul palmo e ben presto fili spezzati di elettricità ruotarono attorno alle mani insanguinate, strisciando occasionalmente sulle sue spalle, attorno alla vita, sulle braccia.
<< Attento a te, figlio di Zeus. Non ti uccido ora a causa di tuo padre. Se sei ancora vivo, è grazie a lui, un proble- >>
Ma La Voce non finì mai la frase. Micheal aveva acuito i sensi e, senza troppi preamboli, aveva individuato quella che immaginava fosse la posizione del suo interlocutore, e scaricò uno dei suoi lampi più potenti- solo Zeus sa quanti volt. Tanto potente a stremante che il boato lo spedì direttamente fuori dal sogno.



Si risvegliò rantolante su un pavimento ben diverso, quello della Cabina di Zeus. Le dita gli bruciavano, dolore era tutto ciò che sentiva e udiva, indistintamente, la voce di Jason urlare qualcosa. Era sudato e il cuore batteva a mille... Ma c’era di peggio, dannatamente peggio: << I-io… N-Non ci vedo! >>



 

Katty

L’avvento della Profezia non sembrava aver particolarmente turbato Katarzyna McGallin, figlia di Ade. Come tutti in un primo momento era rimasta stupita quando Rachel l’aveva annunciata, ma la cosa finiva lì. Una manciata di minuti prima di tornare a chiudersi nella sua timida facciata tenebrosa. Aveva cercato con tutta se stessa di rimanere impassibile di fronte a quella cupa melodia, aveva cercato di nasconderlo, ma la verità era un’altra: le aveva trasmesso brividi e reso le ginocchia molli. La cerimonia tipica del falò si era conclusa più presto del solito, quella sera. Dopo la Profezia Chirone aveva annunciato il consiglio di guerra l’indomani mattina, e naturalmente non erano mancate le protesta di Annabeth Chase o Clarisse La Rue, ma il Centauro sembrava deciso. A Will Solace invece l’idea non sembrava essere dispiaciuta, aveva spronato i fratelli a tornare a suonare ma il falò era rimasto fiacco per tutto il resto della serata. O almeno, così credeva lei. Katty non ne era certa, dopo che Austin aveva suonato la prima nota della chitarra si era alzata e se n’era andata. Un po’ per riprendersi dalla sorpresa, un po’ per prendersi del tempo con se stessa. La profezia non la preoccupava granché, le possibilità che lei fosse coinvolta erano minime e, se proprio ci voleva un figlio di Ade, ci sarebbe andato suo fratello Nico. O pure la sorellastra romana, Hazel Levesque, non certo lei. Si cambiò in fretta e legò i suoi lunghi capelli castani in una coda alta, non esattamente il suo tipo, e scivolò nel letto. Non appena toccò il cuscino, nonostante lo scombussolante evento, si addormentò subito. E Morfeo la accolse tra le sue invitanti braccia in un sonno calmo, tranquillo, senza sogni.

Il risveglio invece, non fu altrettanto dolce. Un ronzare nelle orecchie la costrinse a uno spasmo tra le lenzuola, e poi avvenne una cosa strana, mai provata in vita sua: Un turbamento, si sentì tremare e non riusciva a smettere, a parlare, a urlare e faticava a respirare. Le unghie smaltate di nero strinsero il lembo della coperta e poi, si sentì vuota. Come se stesse cadendo, o come se, con un gesto secco, le avessero strappato via l’anima e la tenessero legata al suo corpo con un filo, sottile e doloroso. Dannatamente doloroso. Come se fosse sospesa, come se fosse un limbo. Inarcò la schiena con aria sofferente, ma non aveva male fisicamente. Si sentiva male dentro, fredda, vuota, violata. E poi, con la stessa rapidità con cui era iniziato, quello strano fenomeno finì, di colpo. Era quasi come se avessero preso la sua anima, l’avessero tirata con la forza affidandosi a quel filo sottile che la teneva legata a corpo, per poi lasciarla e tornare bruscamente nella sua tana. Come un elastico. Deglutì e il suo corpo ebbe un brivido generale, mentre nelle orecchie continuava il ronzio. Quando riacquistò libertà di movimento, scattò a sedere e ansimò, ancora nel suo letto. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata e rimbombargli prepotentemente nelle orecchie, aveva sudato freddo ed era del tutto stravolta. Ma a Katarzyna non dava fastidio quel battito, anzi era felice di avere ancora un cuore. Deglutì, ancora ansimando, e fece vagare lo sguardo nella stanza e solo allora si accorse di Nico. Era seduto sul letto e annaspava in cerca d’aria come lei, aveva il viso stravolto, i capelli erano una massa disordinata e Katty era certa di non essere più carina di lui. Nico la guardò, deglutì.
<< Katty… Stai bene? >>
Katarzyna strinse le lenzuola mordicchiandosi il labbro; si guardò intorno: erano nella loro stanza, al sicuro, sul letto, stavano bene. Annuì impercettibilmente e, con le ginocchia tremanti, provò ad alzarsi ma ricadde seduta: lo spavento era troppo.
<< Che cosa… che cosa è successo? >> boccheggiò all’indirizzo del fratello.
Nico scosse la testa, ansimando: << Non lo so… Non mi è mai capitato prima d’ora, lo hai sentito anche tu? >>
Katarzyna annuì in silenzio, e tentò di regolarizzare il respiro. << Sì… era come se… stessero giocando a tennis con la mia anima >> si complimentò con se stessa per la pessima metafora.
Nico non disse niente, non ce ne fu bisogno. Passarono diversi minuti per recuperare il fiato che, a quanto pare, mancava a entrambi, quando la mente di Katarzyna viaggiò a quel ronzare che aveva sentito all’inizio, e subito scattò, un solo nome sulla labbra: << Micheal Tall! >>
Il suo corpo agì prima della sua testa, caracollò giù dal letto – per poco non cadde – e uscì dalla Cabina di Ade veloce come il vento. Si accorse di essere scalza solo quando avvertì l’erba morbida del Campo Mezzosangue solleticarle teneramente i piedi nudi, non si fermò. Aveva il cuore in gola e l’ansia le cresceva rapida nel petto, la stessa ansia che la costrinse a rallentare la sua corsa quando vide tre figli di Apollo trasportare una barella che, notò con orrore Katarzyna, stava lasciando la Cabina 1. Ignorò i richiami di Nico e si avvicinò rapidamente nella loro direzione, mentre una lieve brezza le accarezzava la pelle cerea. Mosse passi tremanti verso la barella, con la coda nell’occhio vide anche Jason Grace con il suo pigiama pseudo carbonizzato e fumante, e sbirciò oltre la spalla di uno dei due: si pentì subito di averlo fatto. Micheal Tall stava sdraiato su di essa ed era ricoperto di sangue. Il pigiama tappezzato di chiazze rosse, le unghie annerite, sanguinanti e spezzate, lungo il collo due scie umide di sangue ricadevano sporcando il colletto, le guance rigate da fiumi rossi, il naso spaccato, ma la parte peggiore erano gli occhi. Li teneva ben chiusi ma quando aveva udito il suo flebile “Micheal” li aveva aperti, e la figlia di Ade perse trent’anni di vita. Si ritrovò con le mani unite avanti al viso senza sapere come. Gli occhi di Micheal erano sfregiati, forati. Al centro di entrambi un profondo foro ribollente di sangue, come se vi ci avessero infilzato un ago, l’iride era sporca di viscide macchioline bianche, le vene erano iniettate di sangue, gonfie, sporgenti, e rosse, mentre altre violacee erano affiorate sotto pelle attorno all’incavo. Il sistema immunitario pompava forte per rigettare il sangue sporco, dando l’impressione come se Micheal piangesse sangue, troppo sangue. Cupi rantolii di dolore erano gli unici suoni che il figlio di Zeus riusciva ad emettere. Katarzyna deglutì in silenzio mentre nuovamente la brezza le accarezzò le spalle nude… odorava di fiori appassiti e foglie secche, foglie morte. Natura morta, e per un momento il soffiare candido le sembrò trasportare una voce, un sussurro. Poni le mani sul suo viso, sembrava dirle, se vuoi salvarlo donagli la vista. Guardò Micheal, sporco di sangue e dolorante, e le lacrime le pizzicarono gli occhi. Salvalo, ripeté il vento, poni le mani sul suo viso. Deglutì nuovamente, dopo tutto che aveva da perdere? Provò, allungando le braccia pallide e tremanti, ma Will Solace la bloccò prendendola per il polso. Katty lo guardò, ed era certa di non averlo mai visto così serio in vita sua: << Che stai facendo? >>
Una lacrima ribelle sfuggì al controllo, scosse la testa non sapendo che dire. << Io… io non lo so, il vento… il vento dice che devo posargli le mani sul viso… >> la sua voce era rotta, e Katarzyna si stava odiando per questo atto di debolezza.
<< Il vento? >> ripeté Will confuso, allentando la presa sul suo polso.
Katty annuì: << Sì… non so, è come un sussurro… Mi dice che se voglio salvarlo devo porgli le mani sul viso… >>
Will voltò la testa verso Jason Grace, Katty lo imitò. Il penetrante sguardo del figlio di Giove stava mettendo Katarzyna in soggezione. E adesso si metteva anche ad obbedire alla voce del vento? Tuttavia fu colta di sorpresa quando Jason annuì autoritario.
<< Non abbiamo nulla da perdere >> esordì, << prova, spero solo che riesca… >> e qui addolcì il tono, preoccupato, mentre diversi semidei cominciarono ad uscire dalle loro Cabine. 
La guardò con fare rassicurante, e la figlia di Ade gliene fu grata. Will le lasciò il polso, seppur riluttante, e spronò con un gesto della mano Austin ad avvicinare a lei la barella. Katarzyna prese un profondo sospiro e – seguendo il consiglio di Austin di non toccargli gli occhi – posò le mani ai lati del volto di Micheal, non curandosi di quando fosse sporco. Il figlio di Zeus emise un rantolio confuso, il cuore di Katty prese a battere lentamente, alimentando la sua ansia. Chiudi gli occhi, figlia di Ade… Obbedì. Escluse il resto del mondo al di fuori delle sue palpebre, mentre sentiva il vento soffiarle addosso quasi gentile, un vento rinvigorente che percorse morbidamente tutta la linea delle braccia fino a giungere alle dita. Fu un attimo, un attimo prima che un violento strattone all’intestino ad opera di un gancio invisibile le folgorò le viscere tirandola indietro, un attimo prima di sentirsi leggera, perdere i sensi e svenire, prontamente ripresa dal tempestivo arrivo di Nico che, almeno per una volta, era stato provvidenziale.


 

Spencer

Verso le sei di mattina, quasi tutto il Campo era già sveglio (eccezion fatta, naturalmente, per i figli di Hypnos), in pieno fermento e nel più totale caos. Semidei per metà in pigiama, per metà in armatura o semplicemente in mutande giravano da una parte all’altra mormorando tra loro, come per avere conferma di ciò che avevano visto. Spencer Parrish, figlia di Ares, sinceramente, davvero non ne vedeva il motivo. Erano ciechi per caso? Avevano visto benissimo: Katarzyna McGallin aka Vogliadiviveresaltamiaddosso aveva guarito la vista dello svitato figlio di Zeus, Micheal Tall, su consiglio del vento, poi era svenuta. Tutto nella norma, no? Affatto. Questo era fuori standard persino per il Campo Mezzosangue, persino per gli déi. Com’è che da mitologia greco-romana erano diventati un passo della Bibbia? (*) Scosse la testa accarezzandosi i lunghi capelli scuri e si mangiucchiò il labbro con fare irritato. Questa era nuova, dannatamente nuova. E poi come aveva fatto Micheal a diventare cieco? Incrociò le braccia al seno, sbuffando. Chirone avrebbe fatto bene ad avere una spiegazione anche per quello, al consiglio. Peccato che il riferito sarebbe uscito dalle labbra meno esplicative della sua sorellastra da parte divina, Clarisse La Rue. Per amore degli déi, Clarisse era sua sorella, le voleva bene ed era una delle poche persone con cui aveva davvero legato da quando era al Campo, ma raramente spiegava le cose per filo e per segno, come invece piacevano a lei, così da potervi riflettere.
<< Spencer? >> la voce flebile di Emily la strappò via dai suoi pensieri.
<< Sì? >> addolcì inaspettatamente il tono, troppo per lei e qualsiasi altra figlia di Ares, mentre si voltava verso sua sorella minore.
Lei ed Emily vivevano da sole da tanto tempo ormai, da quando Spencer aveva sette anni, per l’esattezza. Suo padre, la matrigna e il fratello maggiore erano morti in un incidente stradale. E dopo sei anni all’orfanotrofio senza neanche una richiesta d’adozione a causa della loro iperattività, avevano finalmente trovato una casa al Campo Mezzosangue. Era indubbio che ormai fosse affezionata se non protettiva verso sua sorella, l’unica che aveva il permesso di udire il suo tono dolce; se l’avesse fatto con chiunque altro dei suoi fratellastri sarebbe diventata lo zimbello della Cabina di Ares, e gli déi solo sanno quanto è difficile vivere con loro.
<< Cosa è successo? >>
Spencer sospirò, scuotendo la testa. << Magari lo sapessi Em, magari… proprio una bella domanda… >>
Se c’era una cosa per cui lei spiccava in mezzo ai suoi fratelli, e per la quale riusciva sempre a farsi rispettare nonostante il suo fisico magro che decisamente stonava tra tutti i massicci muscoli dei parenti semidivini, quella era la sua riflessività. Spencer era una di quelle rare persone al mondo che davvero si potevano autodefinire riflessive, e forse era proprio questo ad allontanare gli altri, a Spencer non andava molto a genio essere disturbata.
<< Quindi… che si fa? >> domandò ancora Emily.
La più grande si passò distrattamente una mano tra i capelli: << Chirone ha convocato il consiglio di guerra. Quando Clarisse tornerà vedremo cosa ha deciso… >>
<< E intanto noi che facciamo? >>
Spencer ci pensò su, << Mh… andiamo in arena, che ne dici? >>




A quanto pare non era stata l’unica a pensarlo. Evidentemente sotto stress moltissimi semidei avevano deciso di sfogarsi su un paio di manichini, così che Spencer si dovette limitare ad esercitarsi con Emily. Impugnò la spada saldamente e indietreggiò lentamente, lasciando che lei fosse la prima ad attaccare. Emily si fiondò verso di lei a velocità impressionate, reggendo un affondo temibile, ma Spencer lo schivò con facilità e con un colpo d’elsa fece cadere la spada; la colpì sul petto con il piatto della lama e lei cadde a terra. Fu solo allora che si rese conto che il colpo era stato più violento di quanto avesse premeditato.
<< Oh! Scusami Em, non volevo, stai bene? Io- >> fece per avvicinarsi, ma Emily la fermò con la mano.
Scosse la testa e si rimise in piedi; Spencer sorrise: era forte, sua sorella. Ripresero ad esercitarsi e nel frattempo lei pensava… Era stata una strana sensazione, la sera prima al falò, quando i figli di Apollo avevano suonato quella terrificante melodia. Era solo musica, eppure i brividi avevano comunque continuato inesorabili il loro percorso lungo la colonna vertebrale di Spencer. Si era sentita quasi… osservata. Ma immaginava fosse una cosa comune quando… successe. Una forte folata di vento le scompigliò i capelli, spedendoli dritti davanti agli occhi infastidendole non poco, e lo udì.
E’ il tuo momento, Spencer Parrish, non era una voce. Era come un sibilo portato dal vento, e nel frattempo l’aria si faceva via via più fredda, come se fosse portata direttamente da un congelatore. Questa è la tua occasione, continuò. Spencer si bloccò, ignorando Emily che la fissava confusa: Non poteva essere una coincidenza. Il vento continuò a soffiarle nell’orecchio, sempre più gelido: Salvami, dimostra a tuo padre quanto vali, dimostra al mondo quanto vali. Aiutami e sarai ricompensata, dimostra al nostro nemico le conseguenze nell’infrangere le regole, dimostragli che si sbaglia. Per un momento Spencer pensò si trattasse di Chione, era a conoscenza della capacità della dea, ma non si sentiva in alcun modo plagiata da quella flebile voce. Anzi, le faceva quasi pena. Era debole e fragile, rotta, delicata, implorante… Aiutami, Spencer Parrish. Da te dipende tutto. La figlia di Ares deglutì:
<< Dove sei? >> chiese, ad alta voce. Emily la guardò confusa, ma Spencer non vi badò. Sfuggente è il segreto inseguito persino dalla sua stessa vendetta, recitò la brezza, sempre più fredda, il fuoco, la folgore e l’amore dovrà insorgere sulla grande vetta. E poi, d’un tratto, il vento cessò. Il panico le attanagliò le viscere: << No! Aspetta! Non hai finito! Dov’è questa grande vetta? Chi sei? Chi è questo nemico? >>
Non si era resa conto di urlare finché non si accorse che tutti la stavano guardando, li ignorò con la frustrazione crescente nello stomaco. Ascoltò, tesa come una corda di violino… niente. Neanche uno stupido spiraglio d’aria! Un moto di rabbia la invase, ringhiò e pestò furiosa il piede a terra, mentre scaglia via con rabbia la spada. Aveva sempre avuto problemi nella gestione della rabbia. La gente attorno a lei cominciò a mormorare, e questo non fece altro che irritarla ancor di più: << Si può sapere che diamine volete? Tornatevene a ribadire l’ovvio voi, è quello che sapete fare meglio >> urlò, rivolta a tutti.
<< Spencer… >> Emily la richiamò con un sussurro.
Spencer la guardò. << Tu l’hai sentito? >>
<< Sentito cosa? >>
La più grande scosse la testa, mentre una profonda voglia di prendere a pugni qualcuno si fece prepotente in lei: Come diamine pretendeva quella stupida voce di essere salvata se non le dava le giuste informazioni? Era la stessa che aveva sentito Katarzyna McGallin? Da chi la doveva salvare e soprattutto chi era? Troppe domande senza una risposta. Si morse il labbro e, senza aggiungere altro, girò sui tacchi e se ne andò, ignorando chiunque senza la minima vergogna. Non fece in tempo a uscire dall’arena che udì qualcuno mormorare: << Quella è pazza… >> non lo guardò neanche in faccia, prima di sferrargli un pugno che lo stese atterra, e uscì perlomeno un po’ soddisfatta.



 

Allistor

La riunione era sin troppo familiare per sembrare un caso di vera emergenza, o almeno così sembrava ad Allistor Loganach, figlio di Nemesi. Fece ruotare svogliatamente la bevanda nel bicchiere, e per un momento desiderò ardentemente ci fosse qualche genere di alcolico al suo posto. Ma, ovviamente, non era un’impresa plausibile dato che, ovviamente, Dioniso aveva dovuto provarci con una Ninfa che piaceva a Zeus qualche millennio prima e ora non poteva bere alcool, che quindi non poteva apparire nei bicchieri liberamente. Chiuse gli occhi verde smeraldo per un momento, dando libero sfogo nella sua fantasia a tutte le maledizioni che avrebbe voluto sputare contro il dio a causa di questo, per poi riaprirli come se niente fosse. Era già un privilegio si fosse trattenuto, in genere non era da lui farlo, né misurare le parole, ma a tu per tu con un dio alle volte era meglio tacere. Avrebbe dovuto regnare il silenzio nell’attesa ma no, dovevano necessariamente sentirsi i chiacchiericci di Annabeth Chase, gli sbuffi di Percy Jackson, le battutine di Leo Valdez, le frecciatine di Amethyst Cotton, le risatine di Lou Ellen, i mormorii di Piper McLean destinati a tranquillizzare l’animo inquieto di Jason Grace, che mormorava continuamente di Micheal Tall con fare pensieroso, e i rimproveri di Katie Gardner. Ah, e come dimenticare i ringhi di Clarisse La Rue diretti a quei due rompiballe dei fratelli Stoll che, inutile dirlo, se la ridevano, e tanto anche. Gli unici soggetti che stavano in silenzio, e che Allistor stava già ammirando, erano Nico Di Angelo, seppur questo ascoltasse partecipe la conversazione di Piper e Jason, e – da ammirare – Theodor Smith. Gli unici. Persino Celestia Hoodlake se la vedeva con Rachel Elizabeth, con in mano un quadro, in fitti mormorii nell’inutile speranza di non essere sentita. Dioniso, inutile anche solo dirlo, se ne stava seduto in un angolo a sfogliare svogliatamente una rivista e bere Diet Cocke. Al vederlo Allistor sbuffò frustrato e si passò con rabbia una mano tra i capelli rosso fuoco, quanto accidenti ci metteva Chirone? Quasi come risposta, in quel momento Will Solace entrò seguito da Chirone sulla sedia a rotelle e sedette accanto a Nico Di Angelo. Con la coda dell’occhio Allistor vide il suo braccio, per metà sotto al tavolo, avvicinarsi al figlio di Ade e non ci mise molto a capire gli stesse tenendo la mano. Chirone guidò la sedia fino a capotavola.
<< Allora >> esordì con fare stanco, accarezzandosi la barba incolta come era solito fare. << deduco che tutti voi ormai siate a conoscenza degli eventi di stamattina… >> ci fu chi annuì, chi fece una smorfia ironica e chi, come Allistor e Theodor Smith, si limitò a roteare gli occhi. Come non notarlo? << bene, alla luce di ciò io e Will abbiamo passato del tempo in infermeria e abbiamo analizzato per bene la situazione, vuoi spiegare tu, Will? >>
Il figlio di Apollo annuì e, con quel suo fare disinvolto che Allistor non sapeva mai interpretare, prese la parola: << Bene, prima di tutto: Katarzyna e Micheal stanno bene. Lei è semplicemente svenuta, più o meno, Micheal invece ha solo qualche unghia rotta o bruciacchiata, né più né meno >> Jason e Nico trattennero i loro respiri di sollievo, ma entrambi sembravano notevolmente più tranquilli ora, << gli occhi di Micheal sono tornati normalissimi, uno azzurro pallido e l’altro marro- scusate, volevo dire color cioccolato al latte >> precisò Will, imitando una delle solite frasi di Micheal, che era affetto da eterocromia. << solo che ha perso molto sangue, sta riposando ora… comunque, i graffi precedenti sono completamente svaniti – anzi è come se non ci fossero mai stati, ed è questo il problema… neanche la giusta quantità di ambrosia, se avesse potuto assumerla, l’avrebbe curato così bene, sarebbe diventato cieco… >> 
<< Okay, abbiamo capito, la McGallin ha compiuto un miracolo >> lo interruppe Allistor. << ma ciò che vogliamo sapere è come è successo, e soprattutto cosa >>
Lo aveva detto con un tono più brusco di quanto volesse, ma non ci diede peso: aveva espresso il pensiero di tutti a quel tavolo. Will annuì apprensivo, ma sembrava particolarmente stanco.
<< Va bene, hai ragione… ma un tono più gentile non ti avrebbe certo ucciso >> lo rimproverò Will.
<< Non farci caso >> rispose Travis Stoll. << è in fase premestruale >> Connor annuì solenne.
<< Stoll, lo vedi questo? >> ringhiò Allistor sollevando la mano chiusa a pugno.
Travis e Connor strinsero gli occhi. << Uhm… Io no, e tu Connor? >> domandò Travis.
<< Ma dove? >> fece invece Connor, fingendosi spaesato.
<< Non lo vedete? Volete che ve lo avvicini? >> il figlio di Nemesi si alzò dal tavolo in contemporanea con Clarisse La Rue.
<< Datti una calmata Loganach, se non vuoi vedertela con me >> minacciò la figlia di Ares.
<< Uhhh! Che paura! >> intervenne sarcastica Amethyst.
<< Dicevo >> Will riprese il discorso alzando la voce, appena in tempo che Allistor stava mettendo mano alla spada, Percy, Annabeth e Jason si stavano alzando, Piper stava per usare la lingua ammaliatrice e – peggio del peggio – Leo stava per parlare. Chirone si limitò a sospirare nuovamente. << ho parlato con Micheal e Katarzyna, ed entrambi ci hanno riferito cose abbastanza… bizzarre >>
<< Bizzare? >> ripeté Percy aggrottando le sopracciglia.
<< Tipo? >> incoraggiò Nico.
<< Tipo la famosa voce che ha sentito Katarzyna spingendola a ridare la vista a Micheal. Una voce, a quanto pare portata dal vento e che profumava di fiori morti, secchi… >>
<< Per la McGallin non è tutto un po’… beh, come dire, morto? >> osservò pungente Amethyst in modo improprio, Allistor le rifilò un’occhiataccia intimandole di stare zitta.
<< Uhm. Dubito che c’entri molto con Katty… Comunque, questa è solo la prima cosa strana. Ancora non avete sentito il sogno di Micheal >>
Jason annuì. << Sì, non mi dispiacerebbe sapere perché ha fatto cadere un fulmine nella Cabina 1… >>
<< Guarda il lato positivo amico, almeno adesso puoi vedere le stelle! >> esclamò Leo Valdez, prontamente ignorato.
Will raccontò loro del sogno di Micheal, della voce, degli avvertimenti e delle torture continue che aveva dovuto affrontare e del posto in cui pensava di essere. Allistor ascoltò con attenzione. Quando ebbe finito di parlare, solo un nome sulle labbra di Chirone, ovvero lo stesso a cui aveva pensato Allistor: << Edipo >>
Annabeth scosse la testa: << Impossibile! Edipo era un eroe- >>
<< Che ebbe una fine orribile >> la interruppe Allistor, secco. << e anche parecchio ambigua e incerta. Non vedo perché non dovrebbe odiare gli dei, dopo ciò che è successo. Dedalo è fuggito dalla morte per anni, chi dice che non l’abbia fatto anche Edipo? >>
Annabeth lo fissò scettica per un momento, poi, quando fece per parlare, Percy la anticipò: << Aspettate un momento! Edipo è… quel tizio che ha spostato la madre e ucciso il padre? >>
<< Sì >> rispose flebile Piper, lisciandosi la piuma tra i capelli. << e quando lo scoprì, capì che la profezia pronunciata alla sua nascita e tutti che avevano cercato di evitare si era avverata… sua madre si suicidò, mentre lui… lui si trafisse gli occhi con una spilla >>
Il silenzio cadde lungo il tavolo, ma Allistor questa volta non lo apprezzò. Fu quasi grato ad Annabeth quando questa, con un mormorio, recitò un verso della Profezia: << Odiò Febo Apollo e la sua costante ascesa… >>
Altro silenzio. Questa volta fu Rachel a parlare: << L’uomo tra le fiamme del mio dipinto batte a terra con un bastone, come i non-vedenti… >>
Chirone si passò una mano sul viso, con un’aria così stanca che persino Allistor lo compatì: << Se davvero è Edipo l’uomo con cui abbiamo a che fare, allora avremmo bisogno di tutta la fortuna per vincere… Era un eroe astuto, e come nemico lo sarà altrettanto .>>
Pochi secondi di silenzio, prima che Leo Valdez rovinasse tutto: << Scusate… ma non è cieco? >>



 
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Rachel posò il quadro al centro del tavolo, tutti i Capocabina si chinarono a studiarlo perplessi, mentre Chirone lo osservava da lontano, nella sua solita calma cupa e stanca. Neanche un anno dalla sconfitta di Gea che già un nuovo il male sorgeva all’orizzonte.
<< Okay… ricapitoliamo. Qual era il primo verso della profezia? >> domandò Leo strofinandosi le mani.
<< Il segreto degli dei è stato portato alla luce, da colui che scomparve ed ebbe il destino più truce >> recitò Piper.
<< E abbiamo già appurato si tratti di Edipo >> intervenne Percy. << Ma questo segreto? >>
<< Se è un segreto, significa che nessuno lo sa, no? >> borbottò Ted acido. << Qual è il prossimo verso? >>
<< Odiò Febo Apollo e la sua costante ascesa, e non si arrenderà finché non avrà la sua resa >> ricordò Annabeth. << E qui torna nuovamente Edipo. Il verso seguente è: La rosa più oscura è scomparsa e sta perdendo tutto il suo splendore, mentre la morte infierisce furiosa per il perduto amore. Crede che si tratti di… >>
<< Ade e Persefone >> rispose Nico con tono lapidario.
<< Ma se davvero Persefone è scomparsa non dovremmo saperlo? >> domandò Annabeth.
<< Quando fu rapita Era nessuno lo seppe fino a che tu non lo sognasti >> ribatté Jason.
<< E in più il numero di Furie e notevolmente aumentato e tutte le anime sono abbastanza agitate giù nel Tartaro >> li informò Nico, pensieroso. << ma non mi aspettavo una situazione del genere… Più tardi chiederò conferma >>
Percy e Jason si scambiarono uno sguardo preoccupato, fu il figlio di Poseidone a prender parola: << Nico… sei sicuro? >> entrambi erano abbastanza certi che non fosse una buona idea andare da un Ade su tutte le furie per la scomparsa di Persefone, chissà cosa gli avrebbe fatto.
Nico li fulminò, scattando subito sulla difensiva. << Sì, è mio padre. So gestirlo. Qual è il prossimo verso? >>
Nessuno sembrava particolarmente felice nel lasciar cadere l’argomento, ma a quanto pare Allistor dovette trovarla una buona idea: << Le piante appassiscono su questo mondo ormai morente, a salvarlo saranno la Foschia, il ghiaccio e il martello rovente. >>
<< Le piante appassiscono, parla di Demetra, ne sono sicura. Vi ricordate cosa fece quando Persefone fu rapita da Ade? Fece appassire tutte le piante sulla terra per il dolore >> spiegò Katie Gardner.
<< Questo non lascia scampo, >> intervenne Jason. << Persefone è stata rapita, non occorre alcuna conferma negli Inferi, lo si nota anche dalle Ninfe e i Satiri… sono molto impegnati ultimamente o sbaglio? >>
<< Vedremo >> mormorò Nico, folgorandolo.
<< Ma il verso dopo? E’ un chiaro riferimento a tre semidei… La Foschia è un figlio di Ecate, quindi andrò io; il ghiaccio è un figlio di Chione e il Martello rovente un figlio di- >> Lou Ellen iniziò la sua riflessione per essere interrotta da Ted.
<< Efesto. Io sono l’unico figlio di Chione del Campo, quindi andrò io. >>
<< Come figlio di Ecate deve andare Arthur >> Rachel intervenne all’improvviso, sorprendendo tutti.
Lou aggrottò la fronte: << Arthur? E perché? >>
Rachel si passò una mano tra i capelli. << Perché con lui ho avuto il primo sentore della Profezia. Ieri mattina mi sono scontrata con lui e ho avuto una strana sensazione. Dopodiché sono corsa a dipingere questo, e subito dopo sono arrivati Felicity e Rey che hanno suggerito di suonare le note che hanno scatenato la Profezia. Per questa impresa, so per certo che deve andare Arthur >>
Lou non sembrava molto contenta, ma annuì. << Arthur è forte e coraggioso, dopotutto… E’ degno, glielo chiederò. >>
Molti si chiesero il perché di tale passività, ma semplicemente Lou sapeva che con gli Oracoli non c’era da discutere. Dopotutto il mito di Edipo, per l’appunto, era basato sull’impossibilità di ingannare il destino. In un modo o nell’altro, se davvero Arthur era destinato, ci sarebbe andato comunque.
<< Ehm, e il figlio di Efesto? >> domandò Leo.
<< Non è l’unico >> rispose Rachel. << Ai figli di Efesto penseremo dopo, intanto andiamo avanti. Come continua? >>
Annabeth sembrava essere d’accordo: << Sfuggente è il segreto inseguito persino dalla sua stessa vendetta, il fuoco, la folgore e l’amore dovran insorgere sulla grande vetta >>
<< E ancora con questo segreto… >> borbottò Percy.
<< Fuoco. Parla di me, dai! >> obbiettò Leo.
<< Anche Parker ha il dono del fuco >> grugnì Clarisse.
Leo lì per lì sembrò ricordarlo solo in quel momento, sbarrò gli occhi e si gratto la nuca pensieroso: << Rey dici? La Profezia parla di Rey? >>
<< Ha suggerito lui di suonare >> osservò Rachel.
<< Sì ma… non so se vorrebbe… >>
<< Ai figli di Efesto penseremo dopo, come ha detto Rachel >> si intromise la figlia di Atena. << concentriamoci su altro: La folgore, chiaramente si riferisce a un figlio di Zeus, cioè Micheal >>
<< Ma potrei andare io >> propose Jason. Non era ansioso di gettarsi a capo fitto in un’altra impresa. In realtà, voleva solo un po’ di pace e riposare, ma Micheal… << cioè, lui… lui è ancora- >>
<< Jason, io capisco cosa provi ma… credo proprio che spetti a Micheal dopo ciò che gli ha detto Edipo >> il interruppe Will con fare calmo. << Dategli mezza giornata e tornerà come nuovo >>
<< E l’amore? >> domandò Piper, torturando ora la piuma tra i capelli.
<< Ehm, ecco… su questo avrei qualcosa da dire… >> Il figlio di Apollo si grattò la nuca, passandosi la lingua tra i denti; sembrava in qualche modo non sapere che dire: << Uhm, io credo che per l’impresa dovrebbe andare anche… J-John Greenwood… >> trasformò il nome del figlio di Afrodite in un sussurro sommesso, appena udibile, come se avesse paura di proporlo.
Ma tutti al tavolo lo sentirono benissimo, ed ebbero esattamente la reazione che si aspettava:
<< John? >> Ted, Piper, Lou, Katie, Annabeth e Jason avevano un tono scettico, incredulo, se non addirittura, nel caso di Ted, quasi disgustato.
Tutto ciò detto contemporanea con il << Greenwood? >> di Clarisse, Percy, Polluce, Mitchell, Nico, Travis, Connor, Leo e Amethyst. Chi incredulo e scettico, come i figli di Poseidone, Ade, Efesto e Dioniso; chi rabbioso come Clarisse e Mitchell. O ancora chi estremamente divertito come i fratelli Stoll e Amethyst, i quali scoppiarono a ridere subito dopo.
<< Non ci credo! >> esclamò Amethyst ridendo, ignorando la spintarella che le diede Lou.
Katie, Celestia e Allistor invece si erano limitati a star in silenzio, l’ultimo sollevando un sopracciglio. Non avevano idea di chi John fosse. La sincronia era impressionante, quasi surreale, da cartone animato avrebbe osato dire; ma Will sapeva il perché. Insomma, anche lui si sentiva ridicolo a proporlo ma…
<< Will >> Piper richiamò a sé tutta la pazienza che possedeva e lo guardò dritto negli occhi: << non per offendere Johnny, non sia mai, è un mio fratello dopotutto… Ma andiamo! Tu sei un figlio di Apollo! Tu prima di tutti dovresti saperlo com’è- >>
<< Piper >> Chirone era rimasto in silenzio fino ad allora ad ascoltare e pensare per conto suo, un po’ come Dioniso che però non prestava interesse per la situazione. Come al solito il tono stanco, abbastanza da zittire la figlia di Afrodite. << John ha avuto un sogno premonitore… di Micheal in infermeria. Ha anche udito in sogno la voce di Edipo che ci ha nuovamente chiesto di non metterci in mezzo… >>
<< Cerchiamo di chiudere presto, andrà John okay, ci penserò io a lui >> Ted non sembrava entusiasta, ma annuì comunque e voleva chiudere in fretta quella situazione.
<< Le figlie degli inferi, dell’ebrezza, dell’aurora, della guerra e dell’amore che fa male futuro e presente dovranno salvare >>
<< Okay, quindi Katarzyna, Felicity, Celestia, io e Clarisse >> intervenne Amethyst eccitata con semplicità.
Naturalmente c’è chi fece per protestare, ma in quell’esatto istante Spencer Parrish fece bruscamente irruzione nella stanza: << La divina Persefone è stata rapita ed è intrappolata a Mont McKinley, in Alaska, il monte più alto d’America >> Il tono di voce era forte, autoritario e sicuro, era indubbio che la figlia di Ares ci avesse riflettuto a lungo.
Percy sbuffò accasciandosi sulla sedia: << Io odio l’Alaska… >>

 















 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ehi! :3
Sono stata rapida stavolta, eh?
Ecco, questo capitolo è uscito parecchio lungo a causa dell’analisi della porfezia…
Quindi ho dovuto tagliarlo.
Mi mancano due pezzi da scrivere per il prossimo e lo pubblico.
Quindi tra oggi e domani, o anche dopodomani forse, pubblico il terzo :3
Ho voluto essere veloce nell’analisi, troppa logica, troppo spazio, troppo tempo.
E io ho poca pazienza e tanti, terribili progetti per questa fic, che rischiano di fare puf in qualsiasi momento.
Quindi: Il rating è salito ad Arancione, e…beh ho fatto modofiche, ditemi se avete problemi…
Ehh… abbiamo scoperto il fantomatico nemico: Edipo.
Al prossimo scriverò la leggendo sopra per chi non la sa :3
O comunque troverò un modo.
Intanto in questp capitolo abbiamo conosciuto…
  • Micheal Lucas Tall, figlio di Zeus di _Littles_
  • Katarzyna Sofia “Katty” McGallin, figlia di Ade di iris_1998
  • Spancer Parrish con sua sorella Emily, figlia di Ares di sister_of_Percy
  • Allistor Ian Loganach, figlio di Nemesi di Saroyan
  • Amethyst Candice “Amy” Cotton, la figlia di Eros di Gallifreyansss che avrà un POV nel prossimo :3
Che ne dite? Vi piacciono tanto quanto piacciono a me?
Sappiate che ho tanti progetti malefici e tante torture per loro :3
Ne vedrete nelle belle, sono particolarmente sadica in questa fic.
Colgo a tal proposito l’occasione per ringraziare ancora una volta little_sweet_tinghs,
che ha betato. Grazie panda :3
Fatemi sapere e aspetto recensioni!
Baci
Konan

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

Capitolo 3



 
A Sofia, che ha avuto il coraggio e i nervi saldi da betarmi il capitolo,
ad Agry, as usual,
e ancora a Sofia perché ha campiuto un miracolo.
 E a voi, che state leggendo :)







 




Ruby

La riunione andava avanti da ore, e più o meno tutto il Campo era in attesa dell’impresa. A Ruby, però non interessava. Durante tutta la vita aveva già viaggiato abbastanza, stava benissimo lì dov’era: per la prima volta senza problemi da ben due anni, un record per uno come lui. Seduto a gambe incrociate sul letto, era impegnato a maneggiare un aggeggio vecchio e arrugginito grande quanto un pugno. Stringeva bulloni, scrostava sporcizia, inseriva pulsanti. Era un piccolo automa di un paio d’anni prima che qualcuno dei suoi fratelli, brutalmente, aveva abbandonato sotto al letto per anni. Lo aveva trovato per caso, cadendo un paio di mesi prima, e da allora non se ne era più separato. La verità era che era curioso, voleva assolutamente sapere la funzione di quel robottino e cercava di aggiustarlo nel massimo delle proprie possibilità, tentando comunque di non danneggiare o variare la sua natura cambiandone la funzione. Mordicchiava il labbro inferiore per l’irritazione, non si capacitava di non riuscire a sbloccare quell’affare di metallo, insomma, modestia a parte, lui era geniale! Non poteva farsi mettere in ginocchio da quell’arnese. Jake Mason entrò nella cabina e sedette nel letto fronte al suo, sporco d’olio e sudato: evidentemente era tornato dalle fucine o dal Bunker 9. Spostò distrattamente lo sguardo alle sue mani e si bloccò nel bel mezzo dell’azione di togliersi le scarpe:
<< … Ruby >> chiamò, incerto.
<< Mh? >> mugugnò lui in risposta, senza alzare gli occhi dal suo lavoro.
<< … Dove lo hai trovato? >>
<< Sotto ad un letto. E’ tuo? >>
<< No… Veramente quello era di… di Beckendorf >>
Ruby si fermò bruscamente fissando le sue mani, lasciò cadere il giravite e rigirò il piccolo automa fra le dita quasi con riverenza, prestandogli grande attenzioni. << Beckendorf… >> ripeté piano, << Davvero? Sai a cosa serve? >>
Ruby non aveva mai conosciuto Charles Beckendorf, ma ne aveva sentito parlare abbastanza da diventare un tipo da ammirare. Naturalmente però questo non poteva darlo a vedere ai fratelli, dimostrarsi debole non era cosa a cui era abituato. Solo una persona in tutto il Campo ne era consapevole oltre a lui, ed era già difficile accettare per il figlio di Efesto che questa fosse proprio un ginger, Arhtur Jennings per la precisione. Evitò di guardare Jake.
<< In realtà no, non ce lo ha mai detto, in effetti… Però doveva essere una vera forza, sembrava sempre particolarmente felice quando ci armeggiava… >>
Non ne dubito, pensò Ruby assorto rigirandosi tra le mani l’oggetto ancora una volta. In effetti era parecchio intricato e interessante per essere così piccolo. Una volta, manomettendo giusto un po’ il sistema, avrebbe giurato di averlo visto lampeggiare un SOS. Una ancora un pezzo di metallo era diventato così ardente da lasciargli il segno della bruciatura, tutt’ora evidente sul dorso del suo dito indice. Strinse le labbra con irritazione: ora che sapeva di chi era decisamente non poteva permettersi di manometterlo più tanto, doveva stare molto più attento. A quanto pare ogni mossa sbagliata avrebbe potuto ammazzare qualcuno, dubitava si trattasse solo di una lucetta e un termosifone. Se in più aveva un sistema di sicurezza così immediato, seppur arrugginito, di certo era qualcosa di importante.
<< Mh. Chiaro… >>
E non aggiunse altro, si alzò e uscì dalla Cabina di Efesto infilandosi l’aggeggio in tasca. Parlare con Jake di Beckendorf era l’ultima cosa che voleva fare, a maggior ragione se lui non sapeva niente dell’oggetto. Accelerò il passo alla ricerca dell’albero sotto il quale era abituato a sedersi, quando qualcuno lo spinse di lato con una potente spallata, riacchiappandolo poi passandogli un braccio attorno alle spalle.
<< Shawn! Che mi dici? >>
Roteò gli occhi azzurri che si ritrovava e si liberò dalla stretta di Arthur. << Niente. Tu, invece? Che pensi di questa roba che è successa a quello svitato? >>
<< Michael Tall, dici? Beh... doloroso. E sanguinoso. Tanto. In più volevo aggiungere che stavo andando a gettargli un occhio in infermeria, vieni? >>
Il sopracciglio del figlio di Efesto scattò in su: << Scherzi, vero? >>
<< No >> Arthur gli passò nuovamente il braccio attorno alle spalle, passandogli nel mentre una mano tra gli scompigliati capelli corvini. << Dai su saranno cinque minuti e non credo sia tanto bisognoso di rapporti umani… non quanto te almeno. >>
<< Neanche per idea. >>
<< Dai… >>
<< No. >>
<< Su… >>
<< Weasley, cosa non hai capito della parola no? >>


A quanto pare non era nel vocabolario del figlio di Ecate. Ruby ce la stava mettendo davvero tutta a capire come avesse fatto a convincerlo, e con tutto quel ben di Dio che aveva in testa quel tutto non era poco, eppure questo gli sfuggiva. Ammetteva a se stesso – ma a nessun altro – che magari, ma proprio magari, forse aveva un debole per le preghiere del figlio di Ecate. E magari, ma proprio magari, anche per i suoi occhi dolci. Insomma, come aveva fatto a resistere per ben due minuti a quei due grandi occhi blu che lo guardavano speranzosi, rigorosamente messi in risalto dai capelli rossi, non gli era ancora chiaro. In sintesi, forse, era per quello che aveva ceduto. Ma forse eh, niente di certo. Il punto era però un altro: Michael Tall. Il tipo era sul letto e sembrava semimorto. Arthur aveva fatto per bussare quando la sua mano si era fermata a mezz’aria, e Ruby alzò gli occhi:
<< Weasley, è una tenda, non si bussa >>
<< L’ho capito, Malfoy >>
Aprì lentamente la tenda da cui poco prima Arthur aveva dato una sbirciatina (<< Siamo in infermeria, Shawn. Potremmo capitare in situazioni imbarazzanti. Che ne sai che gli rimuovono il catetere >>) e l'altro infilò sorridente il viso:
<< Ehilà, cinquanta sfumature di Micheal! >> salutò allegro.
Micheal aprì gli occhi eterocromatici da cui derivava il soprannome: << Ah, ciao Arthur. Quello è l’ultimo soprannome che vorrei sentire, in verità… >>
<< In effetti >> osservò acutamente Ruby sbuffando. << un soprannome sugli occhi ad un ex cieco. Ottimo lavoro, Sherlock >>
<< Va bene, Micheal. Come va? >> Arthur ignorò bellamente.
Micheal lo guardò. << Arthur… per favore, usa quel tuo piccolo cervello. Sono consapevole di sembrare figo anche così, ma… sono diventato cieco. Capiscimi >>
Un sorrisetto affiorò sulle labbra del figlio di Efesto: forse Tall non era così svitato come sembrava. Fece vagare lo sguardo che si fermò sulla sagoma dormiente di Katarzyna McGallin. Austin stava analizzando diverse parti del corpo con attenzione. Ruby sapeva che era meglio non impicciarsi, dopotutto Austin non gli stava neanche simpatico – come più o meno la maggior parte del Campo, del resto – ma la curiosità fu più forte di lui e, facendo cenno ad Arthur di stare zitto, si avvicinò al figlio di Apollo.
<< Ehi, Raggio di Sole >> chiamò.
Austin si voltò a guardarlo, reprimendo uno sbuffo subito dopo: << Ciao, Shawn. Serve qualcosa? >>
<< Stai ancora cercando di fare amicizia con me? Forse dovrei chiamarti Teletubbies, sei irritante anche al loro stesso modo. >>
Austin strinse le labbra, cosa che era solito fare molto spesso in sue presenza. << Senti, l’ho promesso a Sel. Ora dimmi che sei venuto a fare e finiamola subito, vuoi sapere d Katarzyna? >> Ruby annuì, e il figlio di Apollo sospirò richiamando a sé la pazienza, ancora, il che divertì non poco il moro. << Non… non ha niente. È svenuta apparentemente senza motivo ma sembra particolarmente migliorata con la prestanza fisica- >>
<< Fermo là! >> Arthur alzò la mano, bloccandolo. << Teletubbies, hai detto migliorare le prestanze fisiche? >>
<< Che fitness >> intervenne Ruby.
<< Che culo >> corresse Micheal. << quasi quasi la prossima volta svengo anch’io, sembra più sana della palestra >>
<< Non è un gioco >> sbuffò Austin. << non intendo fisicamente… intendo tutte le imperfezioni che aveva in corpo… e come se fosse divenuta del tutto sana d’un tratto. >>
Ruby aggrottò le sopracciglia, incuriosito. << Tipo… io soffro d’asma, sarebbe guarito? >>
<< Sì… credo. >>
<< Bene >> esordì Arthur << ho trovato la soluzione per i miei occhiali >>
Ruby lo guardò. << Ginger, sul serio… Pig-Sherman fa più bella figura di te… >> poi si rivolse ad Austin. << capito… ed esattamente, a Micheal che è successo? >>



 

Amethyst

Generalmente da un figlio di Eros ci si aspetterebbe l’amore sia preso seriamente, che sia il proprio elemento, costante motivo per cui combattere, una cosa addirittura quasi vitale… Ma non per Amethyst Cotton. Lei era l’eccezione. La bisessualità latente le donava sì una visione a trecentosessanta gradi dell’amore, l’amore cieco per l’esattezza, ma dimostrava anche quanto per lei esso fosse una cosa leggera, un giochetto. Amethyst non aveva mai preso sul serio l’amore, lo minimizzava spesso e questo sorprendeva spessissimo chi le stava intorno, tanto quanto li irritava. Perché sì, sebbene la figlia di Eros fosse quella presenza costantemente allegra con la battutina pronta tra le labbra, era comunque la stessa ragazza capace in tempo record di far saltare i nervi alle gente con le sue osservazioni sarcastiche e la sua malizia costante. Aveva pregi e difetti, come qualsiasi essere umano che si rispetti… e forse fu proprio grazie a questi che era riuscita a conquistare Lou Ellen, la figlia di Ecate più spigliata e vendicativa di sempre. La figlia di Eros le stava tenendo la mano sotto al tavolo, accarezzandole dolcemente le nocche col pollice, quando Spencer Parrish fece irruzione. Una rapida spiegazione dell’accaduto da parte della figlia di Ares aveva convinto più o meno tutti che il momento di agire era arrivato molto più rapidamente di quel che si pensava. Annabeth stava per esporre la sua teoria, quando Allistor Loganach parlò, senza staccare gli occhi dal dipinto di Rachel.
<< Andrò anche io >> disse.
<< E su quale base? >> domandò Amethyst anticipando il silenzio che si stava andando a creare.
Allistor le gettò un’occhiataccia, e la figlia di Eros gli sorrise sorniona: sapeva di non essergli affatto simpatica. << Sulla base secondo cui ci servono dodici semidei. Tu, Felicity, i due figli di Efesto, Jennings, Tall, Greenwood, Smith, Celestia, la Parrish e la McGallin. Che sono undici. La notte e la progenie della saggezza servono solo come aiuti supplementari. Sfuggente è il segreto inseguito persino dalla sua stessa vendetta, Nemesi è la dea della vendetta, cioè mia madre, e nel dipinto c’è il suo simbolo, una ruota spezzata sorretta da una figura alata con faretra in spalla, cioè tu, una figlia di Eros. >>
<< Quindi io dovrei sorreggerti? >> Amethyst ridacchiò. << Ma davvero? Immagino non sarà molto bello per te- >>
Fu interrotta dalla gomitata di Lou. Si voltò a guardarla in cerca di spiegazioni, Lou scosse la testa guardandola con aria di rimprovero mentre le stritolava la mano, Amethyst si limitò a sorridergli e fargli un occhiolino, giusto per farla arrossire un po’. Guidò lentamente le loro mani unite sul ginocchio della figlia di Ecate, e non poté che godere nel vedere la sua espressione imbarazzata, stava disperatamente cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere. Nel frattempo tutti avevano ripreso l’analisi. A quanto pare combaciava tutto perfettamente: la simbolica del quadro diceva tutto, mentre si notava quanto fossero in bassorilievo la civetta e la notte come se fossero supplementari, un aiuto, abbastanza da zittire Annabeth. Quando finalmente la riunione si concluse, la figlia di Eros trascinò fuori Lou respirando a pieni polmoni.
<< Oh! Aria fresca! >> allargò le braccia dalla pelle olivastra mentre il vento le scompigliava i mossi capelli biondo cenere e si lasciò cadere all’indietro addosso a Lou, mentre le guidava le mani sui suoi fianchi: << Sto volando Jack! Sto volando!* >>
Risero entrambe subito dopo, e Amethyst approfittò per stamparle un bacio sulla guancia. Non era mai stata molto romantica forse, ma dopotutto che si sarebbe fidanzata a fare se non avesse fatto per lei neanche un gesto di tenerezza?
Accompagnò Lou alla Cabina di Ecate mentre il sole batteva forte sul prato verde e rigoglioso. Si guardò distrattamente attorno, soffermandosi sulla Cabina 1. Fumava ancora leggermente, il soffitto annerito e un grosso buco in cima. Quella notte aveva quasi preso un infarto quando fulmine era caduto e aveva rombato, il suo primo pensiero era stato un assalto aereo, sebbene non reggesse, ma dopotutto quando si ha sonno tutto sembra credibile. Si fermò piantando i piedi a terra, fermando così Lou che le teneva la mano.
<< Guardiamo la Cabina di Zeus? >> domandò, i suoi grandi occhi castani luccicarono.
Lou esitò. << Non è mica uno spettacolo da ammirare… >>
<< Ci mancherebbe. Sono sicura che un figlio di Hermes dopo pranzo arriva e ci fa pagare, meglio anticipare. Ti va? >> La figlia di Ecate sospirò, e allora Amethyst le elargì un sorrisetto malizioso. << E poi… pensaci, una sola cabina, vuota, deserta, senza nessuno a disturbarci, solo per noi. Noi due sole >>
Lou arrossì e le diede una leggera spallata. << Piantala Amy, non è divertente. >>
<< Però so che ti piace l’idea >> ridacchiò lei.
<< Hai finito? >>
<< Ma ci andiamo? >>
<< Ho altra scelta? >>
La figlia di Eros sorrise e le diede un rapido bacio sulla fronte, prima di trascinarla con sé verso la Cabina 1, a quanto pare per il momento deserta.
Non appena entrarono un forte odore di bruciato punse le narici di Amethyst, che arricciò di conseguenza il naso all’insù. Il punto del pavimento dove era caduto il fulmine era spaccato e divideva a metà il letto semi bruciato. L’elettricità era ancora palpabile nell’aria, macchie nerastre disegnavano ampi semicerchi di cenere per terra, diversi pezzi di intonaco e frammenti di tetto erano per terra. Ma ciò che più attirò l’attenzione della figlia di Eros furono le dense e numerose macchie di sangue scuro per terra, assieme alle lenzuola del letto completamente sporche di rosso. Tutto quel sangue era di Micheal. Compatì il figlio di Zeus dentro di sé e si avvicinò piano a sfiorare le lenzuola con le dita affusolate.
<< Attenta Amy >> Lou la richiamò distrattamente, troppo impegnata a guardarsi intorno. << chissà perché le arpie non sono ancora passate… >>
<< A volte dubito persino esistano le arpie >> osservò Amethyst rimirando le dita umide di sangue. << Povero Micheal… >> aggiunse.
<< Già… andiamo? >> La figlia di Ecate non sembrava ansiosa di passare ancora del tempo là.


Qualche ora più tardi Amethyst stava preparando il tutto per partire nell'impresa. Al consiglio si era deciso che i semidei sarebbero partiti l'indomani per dare il tempo a Leo e gli altri figli di Efesto di decidere. Aveva appena finito di chiudere la borsa quando si accorse di qualcosa che non quadrava. Era Giugno inoltrato eppure la cabina era fredda, il silenzio non era il solito dei posti abitati vuoti, dato che al momento c'era soltanto lei... Era più carico di tensione, tanto che per un momento alla figlia di Eros sembrò trovarsi in un film horror. D'un tratto si irrigidì, leggermente ansiosa. L'immagine della Cabina 1 bruciata e insanguinata le balenò prepotente in mente e per un momento temette che le sarebbe capitato qualcosa di simile a ciò che era successo a Michael Tall. Era tesa come una corda di violino quando... un improvviso bussare le fece perdere un battito, la voce esitante di Rey Parker arrivò subito dopo:
<< Amethyst... posso entrare? >>
La figlia di Eros lasciò andare il respiro che solo allora si era accorta di aver trattenuto. le tremarono le ginocchia e nella sua mente lanciò a Rey le peggior maledizioni che conoscesse per averle fatto prendere un tale spavento. Si sedette sul letto prese a respirare.
<< Certo, entra >>
I primi passi del figlio di Efesto furono timidi e impacciati, tanto che Amethyst non poté trattenere un ghignetto irritante, poi tentò di farsi un po' di coraggio e si avvicinò alla figlia di Eros.
<< Ehi >> fu la prima cosa che disse, arrossendo leggermente.
<< Ehi >> canticchiò Amethyst ridacchiando, tanto per metterlo un po' più in ansia. << problemi con il manichino? >>
Rey arrossì nuovamente e rispose con un borbottio: << Non esattamente... Io volevo farti una domanda... >>
La figlia di Eros si raddrizzò subito battendo le mani allegramente: << Uh! Sì! Allora: quando un uomo e una donna si amano tanto... >>
<< Non questo! >> la interruppe Rey, se possibile ancor più rosso e vagamente irritato. Ah beh, era questo il vero potere della figlia di Eros: far saltare i nervi alla gente. << Io... mi riferivo all'impresa... >>
<< Ovvero? >>
<< Tu... o Allistor, avete avuto qualche tipo di... segnale? >>
La bionda lo guardò perplessa: << Segnali? Tipo quelli di Parrish, McGallin e Michael? Uhm, no... come mai? >> il cipiglio di Amethyst divenne subito sospettoso.
Rey scosse la testa guardando per terra. << N-niente.. nulla. Devo andare, cia- >> stava già avviandosi verso la porta quando Amethyst si alzò di scatto.
<< No! Ehi, fermo! Tu non ti muovi da qua finché non mi dici perché me lo hai chiesto! >> era decisa nel tono. Più di un figlio di Efesto sarebbe andato e se era Rey non aveva intenzione di lasciarlo indietro: in un modo o nell'altro ci sarebbe finito, funzionavano così le profezie.
Il più piccolo sembrava sorpreso dalla presa di posizione della bionda, ma comunque si limitò a borbottare timidamente: << Curiosità... >>
Amethyst inarcò un sopracciglio con sarcasmo: << Curiosità? Davvero? Tu? Rey, io non sono brava a capire quando una persona mente... e credimi, con te non è necessario nemmeno esserlo. Cosa c'è che non va? >>
Rey esitò, spostando il peso da un piede all'altro ma, quando aprì la bocca per rispondergli, un grido da fuori lo interruppe. Subito seguirono dei bassi vociferi piuttosto sospetti; Amehtyst e Rey si scambiarono uno sguardo e corsero fuori a vedere. il ragazo si avvicinò a Felicity:
<< Ehi, che cosa è successo? >>
La figlia di Dioniso, pallida come un lenzuolo, lo guardò terrorizzata: << Una ragazza del Campo... di non so quale cabina è stata... è stata... >> non riusciva a trovare le parole, tanto era lo spavento. Amethyst si chiese come avesse reagito quando aveva saputo dell'impresa.
<< Rapita >> concluse freddo Theodor Smith di fianco a loro, fissando una cabina lontana: << a quanto pare hanno trovato sangue e disordine nella Cabina 19... Questa faccenda è più seria di quel che sembra, dobbiamo darci una mossa... >>
Amethyst annuì flebilmente: decisamente sì, non potevano starsene con le mani in mano... Qualsiasi cosa fosse successa alla ragazza non potevano permettere che accadesse ancora... Guardò Rey che, con Felicity stretta al suo braccio, scrutava distrattamente un punto non precisato e si chiese se lui ne sapesse qualcosa.
<< Fantastico... davvero fantastico. La fortuna è cieca ma neanche Edipo scherza... >>



 
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Paura.
Quasi nessuno apprezzava quella parola, trasmetteva un senso di vulnerabilità, di debolezza, di codardia. Ma a River invece piaceva, piaceva eccome. La paura dimostrava la giusta via di un essere, se egli era codardo sarebbe scappato, se no avrebbe combattuto. Era questa che faceva un uomo o una donna: quello che facevi in un momento di terrore ti segnava a vita. Nel momento stesso in cui River aveva avuto paura aveva scelto la sua strada, via dal Campo, via dal quel mondo falso. Quel mondo libero che in realtà si era schiavizzato da solo, dove la solidarietà era scomparsa ed era solo una parola per prendere in giro, un gioco, perché questo era diventato. Le persone avevano così paura della libertà che avevano da calpestare tutto in suo onore, inventando cose come potere per sottomettersi o per sottomettere. Cercavano la libertà che loro stessi stavano brutalmente ammazzando e per governare essa, per raggiungere una cosa che in apparenza non era ma somigliava alla libertà, erano disposti a qualsiasi cosa. Arrivando persino a privare gli altri della loro, e non solo di quella. Alle volte, persino della vita. River lo aveva visto. Nella sua mente, senza permesso ovviamente, passò rapido un ricordo. Il rimbombo lontano di uno sparo che, nonostante gli anni, era rimasto terribilmente vivido; un proiettile troppo veloce per i suoi occhi, e due secondi dopo un buco rosso scuro sulla camicia costosa e la cravatta elegante dell’uomo a cui era indirizzato. Si morse il labbro cercando di sopprimere il ricordo: doveva dimenticarsene. Aprì gli occhi castano scuro come se nulla fosse successo e si alzò dal divanetto. Una ragazza stava legata stretta alla sedia. Numerose contusioni lungo tutto il corpo, i capelli rossi davanti al volto che non nascondevano adeguatamente il ritmico singhiozzare che la costringeva a spasmi col petto e la testa.
<< Come hai detto di chiamarti? >> chiese River girandole intorno.
I suoi passi sul vecchio pavimento di legno rendevano la situazione più cupa di quanto avrebbe dovuto. Scricchiolavano lenti e rumorosi, rendendo perfettamente giustizia al terrore che faceva sobbalzare la ragazza ogni volta. Ella pianse più forte, stringendo le gambe entro cui passavano numerosi e profondi solchi rossi e sanguinanti. River sorrise notandolo, mise la mano sulla testa della ragazza e la costrinse ad alzare il volto tirandole i capelli. Le lacrime le solcavano le guance, il naso era spaccato e sanguinante, il labbro gonfio e un brutto graffio sulla fronte le sporcava il viso di rosso.
<< Ti ho fatto la domanda >> sussurrò. Il tono era gentile, ma il modo in cui strinse la radice lo smentì subito.
<< S-Sheila >> singhiozzò lei con voce rotta.
River annuì. << Sheila… un nome normalissimo, per una ragazza normalissima. O sbaglio? Figlia di? >>
<< … Tyche >>
River scoppiò a ridere di cuore, eppure la sua risata sembrava tutto meno che allegra. << Davvero? Una figlia di Tyche? La dea della fortuna? Beh, non mi sembri particolarmente fortunata adesso… >>
Sheila gemette e sobbalzò quando la porta si aprì nuovamente con un freddo scricchiolio, stavolta per mostrare una ragazza alta e magra dai lunghi capelli rossi più scuri dei suoi. Si diede un’occhiata intorno con fare distaccato, poi la squadrò con un’espressione indecifrabile. I suoi occhi erano neri come le tenebre, screziati di un rosso che le ricordava vagamente il sangue che le sporcava il viso. Più quei freddi occhi autoritari la guardavano più la paura di Sheila aumentava. Ricominciò a piangere flebilmente lasciandosi sfuggire qualche lacrima. Le corde che la stringevano allo schienale erano sempre più strette e dolorose mano a mano che i suoi singhiozzi aumentavano.
<< Allora? >> domandò con voce fredda, stava guardando lei ma la figlia di Tyche era certa che stesse parlando con River. << Che ti ha detto? >>
<< Poco >> grugnì River. << ma a quanto pare la Profezia non ha minimamente menzionato la sconfitta di Edipo >>
Dayleen inarcò un sopracciglio. << E allora mi spieghi cosa stai facendo? >>
Lui si strinse nelle spalle, ma lo sguardo che riservava alla figlia di Thanatos era di puro odio. << Mi diverto >>
<< Piantala di giocare, quella ragazza ci serve >>
Dayleen estrasse il pugnale d’oro imperiale e con passo svelto si avvicino alla semidea, sollevandole dolcemente il mento e tracciandovi dolcemente una linea lungo il collo. Un sottile graffio si fece largo, Sheila gemette reprimendo un forte singhiozzo, deglutì.
<< Adesso tu mi dirai cosa sai dei semidei che ti sto per elencare >> sibilò fredda al suo orecchio. << o ti assicuro che rimpiangerai amaramente qualsiasi cosa ti abbia fatto River >>
Sheila pianse ancora e scosse forte la testa. << Io non so niente >> pregò con voce rotta. << vi prego io- >>
Ma venne interrotta dal suo stesso grido di dolore. Persino Dayleen fu colta alla sprovvista, ma non si scompose e si limitò a gettare un’occhiataccia a River che, alla destra di Sheila, stava incidendo con un pugnale una frase sul braccio della figlia di Tyche. Preciso come sempre nonostante il suo aspetto fisico, si premurò di scrivere per bene la parola. Non c’era un segno più profondo dell’altro, lettere della stessa grandezza e riga precisa: ἀθανασία. Un sorriso folle gli increspò le labbra non appena ebbe finito, stonando decisamente con il suo volto armonico nonostante la stravagante pettinatura. Dayleen si chinò appena a leggere le lettere sanguinanti e rosse che rischiavano di affogare nella loro stessa forma.
<< Athanasia… >> lesse in un sussurro. Guardò River per un momento, poi torno a premere la lama contro il collo di Sheila, che gemette nuovamente piangendo sempre più forte. << Cominciamo: cosa sai di Micheal Tall? >>
La sua domanda di origine era un’altra, ben diversa riguardante un altro semidio… ma non si sarebbe mai dimostrata così debole dinanzi a River, non si sarebbe mai affidata a quel ragazzo. Una terza voce irruppe con allegria nella stanza, con un allegria che decisamente non andava bene.
<< Ehi, posso giocare? >>
River guardò con astio verso la porta: << Sparisci >> grugnì. E per una volta, Dayleen fu d’accordo.
Il ragazzo biondo sulla soglia aggrottò le sopracciglia, le lentiggini sul viso gli conferivano un aspetto poco più giovane di quello che aveva. << Oh, eddai. Anche io voglio giocare! >>
<< Qui non stiamo giocando >> il tono di voce di Dayleen era gelido. << e faresti bene a capirlo subito >>
<< Oh, ma dai >> sbuffò l’altro. << volete divertivi così da soli? >>
<< McCoy >> River lo richiamò, mentre sottolineava lentamente la parola che aveva scritto con il pugnale. << togliti di mezzo e lascia lavorare chi ne è capace >>
<< Rory >> corresse con nonchalance il figlio di Apollo, avvicinandosi. << e poi, io ne sono più che capace… sennò perché sarei qui? >> afferrò senza permesso la spada in bronzo celeste dalla cintura di Dayleen e, con un gesto rapido quanto inaspettato, affondò la punta nella spalla di Sheila, strappandole un urlo, la smosse velocemente e la estrasse con lentezza, lasciandola poi ricadere a terra e sorridendo cordialmente alla figlia di Tyche. << Allora… Micheal Tall? >>



 








Angolo Autrice
Ehilà!
Allora, sì: Il capitolo è arrivato in ritardo ma comunque presto rispetto ai miei standard.
Scusate, fosse per me sarebbe arrivato prima ma...
il computer fa le bizze, ed è già un miracolo che sia riuscita ad aggironare da questo PC ospite.
Non l'ho riletto, non ho avuto né il tempo né l'occasione e una parte l'ho trascritta su questo computer dai minitasti...
Dovreste vederlo.
Il mio solito è un Titano mentre questo è...
Bes, il dio nano, per chi non sa chi è.
E' stata una faticaccia... Quindi, se trovate errori è colpa mia:
Pendragon è stata l'anima buona che stavolta ha betato e,
sebbe sia brava, i miracoli ancora non li può compiere, anche se spesso dimostra il contrario xD
Grazie Sofi, ancora, sei  l'aMMore :'3
e poi... Sì, la parte dei "cattivi" fa abbastanza schifo ma...
E' più difficile di quello che sembra u.u
Voi che dite: ce lo inserisco violenza?
Sinceramente non mi sento all'altezza di queste descrizioni...
ma imparerò sul campo, si spera.
Allora... Qui avete coniscuto anche Rory McCoy,
il mio irlandese figlio di Apollo abbastanza bad :3
... okay sì lo ammetto, non era implicato ma...
Ew, gente non mi avete dato nemmeno un figlio di Apollo!
E io stramo i figli di Apollo ç_ç
E anche per i figli di Hermes ma per quello c'è il mio Connor :3
ho provato a redimervi (perché sì, questa è colpa vostra) con Austin...
Ma era di zio Rick e soprattutto non c'entrava una minchia nell'impresa...
Poi ho costruito la trama (sì, l'ho quasi finita a grandi linee, il problema è solo scriverlo) con Rory...
E quando sono riuscita a inserire Austin non potevo togliere il mio irlandese, o sarebbe crollata tutta la trama...
Era un tassello ormai :/
E sempre qui avete consciuto il mio odioso pargolo,
nonché unico figlio di Efesto: Ruby.
Che ve ne pare? :3
E' gay, per chi non l'avesse capito
E poi, boh... per adesso credo che basti xD
E non credo ci rivedremo presto, ho problemucci con il PC in calore
(AHAHA, se lo sapeste capireste la pessima battute e mi lapidereste <3)
Quindi boh... ci vediamo quando ci vediamo.
Questo computer è ancora in fase... qualcosa.
Ma non posso ancora utilizzarlo bene.
Quindi boh.
Recensite numerosi, fatemi sapere :3

 
Baci
Konan

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


A me, che ho fatto tremila viaggi da PC, telefoni e ancora altri PC per scrivere questa robetta.
Alla Nutella, perché esiste.
E a Zeus, perché qui tuona un casino e io spero che si calmi.
Ho perso tanti punti di QI ultimamente... capitemi.
E a voi, perché voi recensirete. Vero?

 




Ruby

 
Il Campo era agitato, un vociare continuo si diffondeva come una malattia e nessuno accennava a voler mettere a tacere la propria preoccupazione. Ruby non li biasimava: era sparita una ragazza. Sheila Cox, se ben ricordava, figlia di Tyche. Tuttavia, ciò che più preoccupava erano le macchie di sangue e segni di graffi trovati sul pavimento. Una sua sorella era scoppiata a piangere nel bel mezzo del Campo, e tutti la accerchiavano a debita distanza. Stava accovacciata per terra mentre Chirone cercava di tranquillizzarla e zittire, se non allontanare, la vasta cerchia di semidei che si era radunata. Mise una mano sulla spalla della ragazza:
<< Emma, dobbiamo sapere come sono andate le cose esattamente >> mormorò con tono dolce e cauto.
Emma cercò di smettere di piangere per un momento, tirò su col naso e prese a raccontare:
<< Stavamo andando in arena quando a un certo punto, verso metà strada, mi ha detto che andava un attimo in Cabina a prendere le cuffie... la musica l'ha sempre aiutata a concentrarsi... >> tirò nuovamente su col naso e deglutì. << poi non è più tornata... e io ho pensato che si fosse fermata a parlare ma quando sono tornata ho visto il sangue e... e >> non finì mai la frase. Scoppiò a piangere prima di aver concluso.
Chirone annuì cupo e fece cenno ad alcuni figli di Apollo di aiutare Emma, poi si avvicinò a Spencer Parrish mormorandole qualcosa. Ella annuì e corse via. Chirone batté lo zoccolo a terra richiamando l'attenzione.
<< Eroi! >> esordì << so che la situazione sembra critica ma vi prego di mantenere la calma. Domani mattina dodici semidei partiranno per mettere fine a questa situazione, nel mentre, tornate nelle vostre Cabine dove i Capocabina vi spiegheranno tutto. Restate uniti e non girate mai da soli se non siete armati. Fate attenzione >> e con queste parole, Chirone fece un cenno e la folla prese a disperdersi mormorando.
Ma Ruby non si mosse. La sua mente lavorava a mille e c'erano troppe cose non chiare che doveva comprendere. Avevano un nemico, e questo era chiaro, ma chi era? Cosa voleva? Nel Campo Mezzosangue non era concesso l'ingresso ai mostri dalla barriera, così come ai mortali: questo significava che aveva semidei o addirittura déi dalla sua parte? Troppi interrogativi senza una risposta, e solo Leo poteva dargliela. Il Campo ormai era la sua casa, e Ruby non voleva vivere nel terrore anche lì, non di nuovo... Non seppe quanto tempo rimase incantato a guardare Chirone, con la testa da tutt'altra pare, ma si decise a smettere solo quando la mano di Arthur gli si posò sulla spalla.
<< Ehi, sei apposto? >> domandò cauto, vedendolo così assorto.
Ruby lo guardò per un momento, poi annuì ma il suo sguardo rimase perso chissà dove. << Sì... sono solo un po'... spaesato. >>
Arthur annuì, comprensivo. << Ti capisco... è normale. Io... credo che andrò >>
Sclang.
Quello fu il colpo di grazia. All'improvviso fu come se un peso da trenta chili gli fosse piombato sul cuore, spedendolo nello stomaco con il sonoro splash dei succhi gastrici. Perché?
<< ... cosa? >>
<< Credo che andrò > ripeté con nonchalance. << domani, dico. Per l'impresa >>
Poteva un essere vivente essere così idiota?
Ruby non ci aveva mai creduto, nell'idiozia. Credeva fosse solo un modo per difendersi, ma poi aveva incontrato Arthur, e tutte le sue certezze erano crollate. E non solo a tal proposito.
<< Come... come mai? >>
Cercò con tutto se stesso di non far trasparire il tono preoccupato nella voce. La verità era che l'ansia lo stava già divorando: Dopo ciò che era successo a Sheila e Micheal, stava seriamente temendo per Arthur. Lui era l'unica persona in tutto il Campo che poteva definire suo amico. Era grazie a lui se aveva altri rapporti, e perlopiù era il primo amico vero che aveva non intenzionato ad ammazzare qualcuno o che non aveva precedenti di carcere. Aveva paura, ma non lo avrebbe mai ammesso. Non direttamente almeno.
<< Qualcosa a proposito di Rachel... in effetti, è successa una cosa strana con lei l'altra mattina >> prese a raccontare del suo scontro con la rossa ma Ruby non lo ascoltò nemmeno. Il suo occhio era caduto proprio su Amethyst Cotton che teneva un esitante Rey stretto per la manica parlando animatamente con Chirone.
<< Ah, chiaro... >> mormorò Ruby. << Bene, stai... stai attento >>
Arthur sorrise appena: << Stai attento? Sul serio? >>
Ruby arrossì un po' e gli rifilò un'occhiataccia. << Cosa vuoi che ti dica? >>
<< Ah, non saprei. “Vedi di tornare vivo”, “Non morire durante il viaggio o ti resuscito per ucciderti ancora”, “Non smetterò di pensarti durante tutto il tempo che starai via”, “Ti scrivo uno striscione” o cose del genere… non stai attento >> rimarcò con ironia l’ultima frase. << sono raccomandazioni che fa una madre al figlio che va alle elementari… >>
Ruby inarcò un sopracciglio. << Aw, che caro che sei ginger, pensi davvero di avere una testa diversa da un bambino delle elementari. >>
<< Sei la dolcezza fatta persona, Shawn. Ridere un po’ di più non ti farebbe male, sai? >>
Il figlio di Efesto roteò gli occhi e si avviò verso la sua Cabina con uno sbuffo ironico: << Io non rido con i traditori del loro sangue, Weasley. Ora scusami, ma vado a fare lo striscione. >>
<< Mi raccomando, verde eh! >> gli gridò dietro il figlio di Ecate.
<< Contaci >>
<< Con le faccine sorridenti! >>
<< Certo. >>
<< E il punto esclamativo >>
A quel punto, Ruby si voltò ormai a un passo dalla sua cabina e allargò le braccia. << Come dimenticarli? >> gridò, sarcastico.
Arthur fece cenno d’assenso con la mano: << Grazie, mamma! >>
<< Vaffanculo, Jennings. >>
 
 

La spiegazione di Leo era stata piena di ironia e battutine, parecchio distratta e poco chiara ma Ruby era riuscito comunque a capirci qualcosa. A quanto era riuscito a comprendere il ragionamento di Spencer Parrish era stato il seguente: la voce di Persefone era stata portata al suo orecchio direttamente dai venti gelidi del Monte McKinley, il monte più alto d’America, in Alaska, ovvero la famosa grande vetta della Profezia. Okay, e fin qui poteva andare. Era senz’altro meglio che andare alla cieca, almeno avevano una traccia. Sapere che Arthur aveva almeno un percorso un po’ lo tranquillizzava.
Leo aveva espressamente richiesto l’ausilio di un altro figlio di Efesto oltre a Rey che, a quanto pare, aveva ricevuto una spiacevole visitina in sogno.
<< Non è stato nulla di che… era semplicemente una voce… ero poggiato a un pavimento ma non vedevo niente. Poi la voce di un vecchio mi ha detto che dovevo convincere Chirone a lasciare gli eroi fuori da questa situazione… >> spiegò brevemente.
<< Bene, benissimo. >> borbottò Ruby, sarcastico. << non poteva andarci meglio. Non può andare qualcuno che sappia interagire con l’altro sesso, magari? O anche che sappia semplicemente interagire e basta? >>
Rey lo guardò, in silenzio e con la testa china. Non fu difficile per lui ignorarlo, ci era abituato ormai, Rey non era mai stato il suo fratello preferito. Troppo debole e non aveva niente da spartire con lui se non la discendenza divina.
<< Di certo non potremmo mandare te al suo posto, Ruby. Almeno Rey ce l’ha qualche amico >> lo rimproverò Shane, già sulla difensiva.
<< Infatti non mi riferivo a me >> grugnì Ruby.
Non ci volle molto prima che iniziassero una serie di proteste e liti, frecciatine, idee prontamente smentite da Nyssa e Jack Mason, perché Leo non riusciva a farsi ascoltare. Alla fine giunsero verso sera che si era deciso che sarebbero partiti Rey e un riluttante Leo. Il falò non si tenne ma, verso le dieci di sera, Ruby uscì comunque, stanco delle occhiatacce che gli gettavano i fratelli di tanto in tanto.
La Luna si stagliava alta nel cielo sgombro puntellato di stelle. L’aria fresca accarezzava lenta i capelli e finalmente poté respirare.
Era perfettamente consapevole di essere perlopiù sopportato da gran parte dei suoi fratelli, e la cosa sinceramente parlando non lo toccava granché, ma dopo un po’ che stavi nella stessa stanza con persone che ti guardavano male avevi bisogno di un po’ d’aria buona.
Sospirò e guardò storto la Luna, come fosse la causa di tutti i suoi problemi. Girò un po’ a vuoto fino a che non intravide una sagoma nelle parti delle braci spente del falò. Gli bastò assottigliare un po’ lo sguardo per capire chi era, ma dopotutto se lo aspettava: non era la prima volta che finivano lì in contemporanea. Neanche si dessero appuntamento. Si avvicinò e sedette sul tronco.
<< Non dovresti dormire? Domani hai da fare. >> cominciò.
<< Ciao anche te >> rispose Arthur.
<< Dai >> insistette lui, sperando che lo capisse.
Arthur picchiettò le dita contro il tronco mordicchiandosi il labbro, gesto che era solito fare quando era nervoso. << Io... Ho capito che sei preoccupato. >> buttò lì.
La verità? Lo voleva semplicemente incontrare prima di partire. E non solo lui, più o meno tutto il Campo. Il Campo Mezzosangue era la sua casa ormai, il pensiero di lasciarla l’indomani e forse di non vederla più – ottimismo portami via – lo rammaricava. Ma anche il fatto di sapere Ruby là da solo un gli dava un po’ di rogne. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si era affezionato ormai all’odioso semidio moro. Sapeva inoltre di essere il suo unico vero amico in tutto il Campo, e non era mai uscito senza portarselo dietro, quindi immaginarlo da solo gli metteva addosso una depressione come poche. A volte si chiedeva perché Ruby dovesse comportarsi così male con gli altri. A riportarlo con i piedi per terra fu lo sbuffo scettico del figlio di Efesto.
<< Ma dai, dimmelo tu. Stai andando in un’impresa sucida e sei il mio unico amico qui! >> sbottò, acido.
Arthur quasi non colse il tono cui lo aveva detto. << Davvero? Quindi neanche lo neghi? >> ecco una cosa che non si aspettava. Ruby negava sempre l’evidenza, e quando diceva sempre intendeva sempre.
Lui fu lieto che il buio nascondesse il rossore. Dopotutto ammettere certe verità era esternare un suo particolare punto debole. Aprì la bocca per rispondere, pungente e sarcastico come sempre, ma la voce gli morì in gola e tutto ciò che riuscì ad emettere fu un urlo strozzato di dolore. A un tratto un forte dolore lo avevo preso tra la prima e la seconda costola. Come se vi avessero infilato un coltello, Arthur lo guardava confuso e sorpreso, posandogli una mano sulla schiena.
<< Shawn, che hai? >>
Ruby gemette, portandosi la mano al punto incriminato e accasciando la testa sulla spalla del figlio di Ecate. Qualcosa gli ostruì la gola e fu obbligato a chinare il capo e tossire: tossì sangue. Sentì la mano di Arthur irrigidirsi sulla schiena e solo allora si accorse della posizione. Scattò via dal figlio di Ecate, allontanandolo come fosse un lebbroso. Si chinò istintivamente in avanti e tossì altro sangue, quando tolse la mano per guardare la ferita la riscoprì sporca di sangue. Com'era successo? Tossì ancora ma stavolta non si accontentò della mano, dovette sputare il sangue per terra perché sennò la provvidenza non stava bene. Perché lo doveva mettere necessariamente in cattiva luce, oppure non si sarebbe chiamato Ruby Shawn.
Il pomo d’Adamo di Arthur fece su e giù, vedendolo tossire con più frequenza e chinarsi sempre più in avanti. << Ruby, sta calmo okay? Risolviamo tutto, risolviamo tutto... >> ma lo stava dicendo più a se stesso che a lui. Era agitato, e si vedeva da come si guardava intorno allarmato. Ruby non poté biasimarlo, dopotutto un tuo amico che comincia a sputare sangue senza motivo agitava un po’ tutti. Gli passò una mano attorno al fianco.
<< Ti porto in infermeria >> mormorò.
Ma Ruby gemette e scosse la testa, lo spinse via bruscamente e, nonostante la vista appannata dal dolore, distinse chiaramente lo sguardo stupito di Arthur. Tentò di alzarsi sulle sue gambe, fortemente spinto dall’orgoglio, ma il dolore gli stava succhiando via tutte le forze. Le sue ginocchia cedettero e Arthur lo riprese appena in tempo prima che cadesse.
<< Cosa fai, Ruby, non puoi camminare da solo! >> era la prima volta che percepiva quel tono di panico in Arthur, ma Ruby era deciso e lo spinse via nuovamente, per poi ricadere a terra.
Patetico, avrebbe detto Dylan.
E solo in quel momento si accorse delle lacrime di dolore che gli rigavano le guance, e quel pensiero lo fece solo stare peggio. Serrò le palpebre e non si sognò di aprirle neanche per un istante. E adesso piango pure, fantastico.
Si rannicchiò in posizione fetale e percepì Arthur spostargli lentamente la mano dalla ferita, che ormai aveva impregnato la maglietta di sangue. Mormorò delle parole in greco antico che Ruby udì, ma sul momento non seppe comprendere, capì però che era un incantesimo: Arthur cercava di curarlo.
<< Non funziona >> decretò infine, con tono cupo. << dobbiamo andare dai figli di Apollo >> fece nuovamente per aiutarlo ad alzarsi, ma Ruby lo spinse via ancora una volta, e lì Arthur sbottò, per la prima volta furioso da quanto Ruby aveva memoria. << Per amor degli déi, Ruby, non puoi fare da solo! Come pensi di arrivarci se non ci vedi nemmeno? Non riesci neanche a stare in piedi! Non fare cazzate e fatti aiutare! >> al nuovo tentativo prontamente respinto dal figlio di Efesto, sospirò rabbioso e lo sentì appoggiarsi con la fronte alla sua, esasperato. << Razza d’idiota >> sibilò, Ruby sentiva il suo fiato caldo sul volto e un brivido gli percorse la schiena. << Sto solo cercando di aiutarti, perché devi essere così asociale? >> Ruby mugugnò, e lo sentì ridacchiare arrendevole. << Okay, ho capito, se non vuoi dare una mano, mi costringi a portarti di peso >>
A quel fare aprì gli occhi di scatto ma non fece in tempo a dire qualcosa che Arthur, con un po’ di fatica, lo aveva già sollevato. In realtà lo aveva preso imbraccio, ma Ruby preferiva la versione in cui lo sollevava e basta, senza specificare come. Era molto più rispettoso per il suo orgoglio.
Il dolore era forte, ma la testa di Ruby lo era sempre stata altrettanto. << L-lasciami, cretino… >> sibilò tra i denti.
<< Neanche per idea, tu non mi molli così >> Arthur era perentorio.
Lui sospirò e poi gemette, ormai arrendevole, e fece riposare la testa contro il petto del rosso. E questo era il gesto che allo stesso tempo più desiderava fare in preda al male, ma che non avrebbe voluto compiere per niente al mondo. Con che orgoglio qualcuno si poteva definire forte appoggiando la testa contro il petto di un altro?
Non avrebbe dovuto farsi sostenere, era cresciuto così e farsi aiutare era sinonimo di debolezza, lo avrebbero picchiato a sangue con i mazzi di chiavi se avesse chiesto aiuto in una simile situazione da dove veniva lui. Avrebbe persino strisciato fino all’infermeria pur di non farsi portare. E, se proprio voleva, Arthur poteva anche fare il tifo, ma avrebbe voluto arrivarci da solo. Ed era ancora in tempo. La cosa che più desiderava in quel momento era che l’altro lo lasciasse andare, poter provare da sé ad arrivarci, o morire provandoci, come gli avrebbe detto Dylan.
Ma Arthur non era Dylan, Arthur non era nessuno della banda di Dylan, lui non sapeva e aveva tutt'altre idee in testa; idee da deboli, eppure sembrava così forte anche senza quei principi... Nonostante la sua testa fosse la tipica della gente che lui era abituato a classificare debole e senza i cosiddetti, con Arthur non c’era mai riuscito. Perché nonostante tutto Arthur era forte, dannazione. Era un’inclinazione naturale, e un’inclinazione naturale non si può combattere né contestare. Si odiò per tutto l'affidamento che stava facendo su Arthur, che forse era anche di più di semplice affidamento. Non poteva permettersi di indebolirsi, non ora... doveva allontanarsi dal quel rosso, questo era sicuro.
<< Resisti ancora un po'... >> sentì la voce di Arthur arrivargli flebile ai timpani, al contrario del cuore che sbatacchiava all'impazzata dentro al suo petto, che Ruby avrebbe udito benissimo anche senza averci un orecchio posato sopra. Si stava mostrando calmo per lui, era forte per lui. Questo non poteva accettarlo. << ci siamo quasi, andrà tutto bene, sta calmo… se poi tu muori, dopo chi prendo in giro? >>
Ottimismo Arthur, sempre, avrebbe voluto dire, ma non ne aveva la forza. Così grugnì, giusto per far intendere che aveva accolto il tentativo inutile di farlo sorridere, e fece pressione sulla ferita ancora sanguinante. Proprio non capiva: da dove veniva? Come si era formata? Non riusciva a spiegarselo… ma ne sapeva perfettamente il significato: Era la stessa di Tristan. Era semplicemente karma, e se si concentrava sul dolore poteva sentire ancora il suo urlo strozzato, e un mormorio: Adesso tocca a te, è il tuo turno ora… Non ci mise molto a capire chi fosse. Voleva solo piangere e cedere, in quel momento. Avrebbe venduto l’anima pur di far cessare tutto, o magari ancora meglio cessare di esistere lui stesso e non avere, o causare, problemi. Ma non l’avrebbe mai detto ad alta voce. Neanche sotto tortura. Era debolezza, e lui non poteva permetterselo. Ma, soprattutto, se avesse ceduto ora, sarebbe morto tra le braccia di Arthur, e questo decisamente non poteva permetterselo, ma proprio no.

 
 
 

Micheal

 
C’era un silenzio surreale nell’infermeria, il figlio di Apollo che faceva il turno di notte quella sera era Austin, che avrebbe ricevuto il cambio solo a mezzanotte. Nonostante l’orario però, il semidio era già crollato a ronfare sulla sedia in modo decisamente poco grazioso. Si chiese come facesse ad essere così vanitoso un tipo che dormiva a bocca aperta. Tuttavia Micheal lo invidiò: lui almeno poteva addormentarsi tranquillamente senza temere di essere accecato da un eroe rancoroso del passato. Ma comunque non era ansioso di tornare a dormire, Micheal, stava benissimo da sveglio, soprattutto dopo l’ultima esperienza. Ad esser sinceri non aveva neanche sonno, ma era certo che nessuno di quelli che l’indomani sarebbero partiti per l’impresa avrebbe chiuso occhio, quella notte. Troppa paura, troppa ansia, troppo rischioso. E poi di questi, lui chi conosceva?
Aveva sentito parlare di Leo Valdez, ma ci aveva a malapena scambiato qualche parola. Ma di una cosa era certo: era un tipo da fulminare, letteralmente. E Micheal aveva già il sentore che avrebbe dovuto trattenere a nervi saldi questo suo poco sano istinto che gli suggeriva di friggere a diecimila volt chiunque gli facesse saltare i nervi.
C’era Arthur Jennings, che era suo amico di vecchia data… sì, tra lui e Leo sarebbe sicuramente esploso.
C’erano Katarzyna McGallin, Spencer Parrish, Allistor Loganach e Amethyst Cotton. Quei quattro non li conosceva, e questo gli dava sinceramente fastidio. Certo non voleva sapere i loro più oscuri segreti, ma almeno voleva sapere se doveva trattenersi anche con loro.
C’era Theodor Smith, lui… lui non gli diceva granché. Certo era irritante con le sue uscite acide, ma era certo che gli avrebbe tenuto testa. Con lui doveva ancora decidere…
C’erano Felicity, Rey e Celestia. Quei tre gli sembravano finiti lì di mezzo quasi per sbaglio. Gli facevano un po’ pena, sinceramente parlando. Troppo deboli per una missione del genere, che avrebbero fatto? Bruciato Edipo per sbaglio? Ucciso mostri a colpi di barattoli di Nutella? O magari strapazzarli di coccole finché non cedevano? Una smorfia gli si dipinse sul viso al pensiero. Sembravano più orsetti gommosi che semidei.
E poi c’era lui, c’era John… lui era spacciato. Micheal stava già pensando a come dire al padre che suo figlio era morto nel tentativo di fare fuori un cieco, chiedendosi talvolta se i figli di Afrodite gli avrebbero concesso di bruciare lui stesso il drappo commemorativo.
Insomma, lui ci teneva a Johnny, davvero ma… stiamo parlando dello stesso ragazzo che è capace di insinuare d’essersi rotto un dito del piede inciampando in un rametto! Se gli andava bene sarebbe caduto scendendo dal furgoncino del Campo e sarebbe scivolato in un tombino. Se gli andava bene. Se gli andava peggio, finiva cieco, zoppo e pazzo se non morto.
Per questo fu felice che venisse Ted. Almeno qualcuno avrebbe provato a proteggerlo. Oltre a lui, ma solo in casi straordinari.
Sbuffò sonoramente e si rivoltò ancora una volta nel letto: non riusciva a dormire e non poteva né uscire né alzarsi, come sarebbe potuta andare peggio? Fu questione di secondi prima che giungesse la riposta.
<< Ehi, datemi una mano! >> la voce velatamente nervosa di Arthur spezzò la quiete dell’infermeria.
Austin si svegliò di soprassalto sulla sedia, spaesato, mentre Micheal scattò a sedere e inforcò gli occhiali improvvisamente sull’attenti. Arthur scansò la tenda per entrare nell’infermeria appena prima che le sue braccia cedettero al peso di Ruby, che sarebbe crollato a terra se il figlio Ecate non lo avesse sorretto. Austin e Micheal scattarono in piedi e il figlio di Apollo aiutò Arthur ad accasciare Ruby su un letto, facendo un brusco cenno con la mano a Micheal:
<< Tu torna a letto, devi riposare >>
<< Cos’ha? >> chiese invece il figlio di Zeus, ignorando prontamente l’ammonimento di Austin.
Micheal guardò Ruby con le sopracciglia aggrottate: il figlio di Efesto stringeva rannicchiato le lenzuola e teneva gli occhi serrati, lacrime di dolore gli rigavano il volto e la maglietta scura era impregnata di sangue.
<< Non ne ho idea >> Arthur era sbiancato, e Micheal non poté biasimarlo. << stavamo parlando e a un tratto… non lo so, è apparso dal nulla! >>
Austin dovette lottare contro Ruby per vedere la ferita. << A occhio sembrerebbe una coltellata >>
<< Non c’era neanche una spilla nelle vicinanze >> sbottò Arthur passandosi con fare nervoso una mano tra i capelli. << figuriamoci un coltello! >>
<< Ho capito… >> mormorò Austin, si avvicinò al volto di Ruby e gli afferrò i lembi della maglietta. << Okay Shawn, ascoltami ora: so che fai fatica a parlare ma dimmi, esattamente com’è cominciato? >>
Dovette lottare nuovamente contro il figlio di Efesto per sollevargli la maglietta. Tra la prima e la seconda costola stava un grande buco sanguinante che non si era limitato alla forma sottile del coltello, era una ferita allungata come se l’intenzione iniziale fosse di tagliargli il busto ma fosse fallita miseramente.
<< Altro che coltellata… >> mormorò a sé.
Ruby trattenne il fiato quando Austin fece pressione sulla ferita. << I-io non lo so… stavo- stavo parlando con A-Arthur >> gemette quando Austin spalmò un liquido non identificato sulla ferita e si morse il labbro talmente forte che cominciò a sanguinare. << e-e l’ho sentito all’improvviso… si è scavato da- da solo e >> si fermò un attimo per riprendere a respirare. << il dolore di una pugnalata era que-quello… ma senza il pugnale… ed è come se ce lo avessi ancora, sembra mi stiano infilzando a ripetizione >>
Austin annuì e si rivolse a Micheal. << Nella dispensa infondo all’infermeria ci sono nettare e ambrosia, portameli qui, e tu, Arthur, corri a chiamare Chiro- >> Ma quando si voltò il figlio di Ecate era già sparito. Rimase interdetto per un secondo, poi guardò nuovamente il figlio di Zeus. << Secondo me scoperanno prima o poi >> decretò, come se avesse avuto la conferma dei suoi sospetti.
Ruby grugnì di frustrazione. Micheal inarcò un sopracciglio: << Sinceramente? Non lo so, e vivo meglio senza chiedermelo. >>
Corse a recuperare nettare e ambrosia, e quando tornò vide Chirone entrare in tenda nella sua imponente forma equina. Si diresse subito verso Ruby ed Austin, ancora impegnati nella dura lotta per togliere la maglietta, vinta infine dal figlio di Apollo e li appoggiò al comodino fianco al letto.
<< Cosa è successo? >> domandò il centauro con espressione indecifrabile.
<< Non l’ho capito >> ribatté Austin mentre tentava di infilare a forza il blocchetto d’ambrosia nella bocca di Ruby. << il segno- o meglio, la ferita di una coltellata gli è apparsa addosso da sola… così, senza preavviso, senza ragione… una coltellata piuttosto violenta e profonda, aggiungerei >>
Chirone non rispose, si limitò a restare in silenzio carezzandosi la barba, lo sguardo era perso nel vuoto e assunse un’espressione meditabonda. Micheal colse l’occasione per avvicinarsi, Ruby aveva già mandato giù – o meglio, era stato obbligato a mandar giù – due blocchetti d’ambrosia e un bicchiere di nettare, eppure sembrava del tutto immune agli effetti. Adesso oltre che stare attenti mentre nel sonno dovevano riguardarsi anche da pienamente svegli. Questo sì che era gioco sleale. Ma così non aveva senso, qualcosa non tornava per i suoi gusti.
<< Dov’è Arthur? >> chiese.
<< L’ho mandato a chiamare Leo Valdez >> mormorò Chirone, stava per aggiungere altro quando qualcosa catturo il suo sguardo.
Micheal seguiva la traiettoria e si bloccò: la ferita di Ruby ribolliva, e quest’ultimo sembrava soffrire più ora che prima. Il figlio di Zeus si fece ancora più vicino e si chinò sulla ferita:
<< Sta… sta guarendo >> mormorò. E difatti poteva vedere persino ad occhi nudi le molecole rigenerarsi in fretta, producendo un rumore sfrigolante come di olio che bolle.
<< Sì >> mormorò Austin. << anche troppo in fretta per aver preso solo due blocchi d’ambrosia… >>
<< Ruby, hai mai tentato di accoltellare qualcuno? >> domandò Chirone a bruciapelo, spezzando bruscamente la sottile linea di stupore che regnava fino a poco prima.
Un silenzio pressante cadde nella stanza. Perché quella domanda? Un sospetto in Micheal scattò sull’attenti.
<< Co-cosa? >> Ruby aprì appena gli occhi, lucidi dal dolore.
<< Hai mai provato ad infliggere una coltellata a qualcuno? >> ripeté Chirone. << E’ importante che tu me lo dica >>
Micheal ebbe un tuffo al cuore. Per caso contava qualcosa aver ferito o addirittura ucciso qualcuno? Aveva simili risvolti? Edipo avrebbe potuto usarlo in qualche maniera?
Lui esitò. << Ehm… s-sì. Per difendermi. Voleva farmi del male e io ero piccolo e… avevo solo un coltello. >>
Qualcosa brillò nei millenari occhi di Chirone, che annuì. << E questa persona faceva parte della tua famiglia? >>
Ruby esitò, ancora una volta: << Non… non esattamente. Non era una famiglia… ma era tutto ciò che avevo… e lui c’era in mezzo. >>
Il centauro annuì nuovamente, come se avesse detto proprio ciò che si aspettava di sentire. << Ricordi dove lo hai accoltellato? >>
Il figlio di Efesto fece una smorfia sofferente arricciando il naso e sospirò amaro, portandosi una mano a sfiorare la ferita. << Qui… esattamente dove ora ce l’ho io. L’ho fatto di slancio e quindi si è allargato… proprio come questa. >> aveva concluso il tutto con tono acido, come se facesse fatica a digerire la notizia.
<< E sai se è sopravvissuto? >>
<< Non l’ho visto, ma mi hanno detto di no. >>
Quella conversazione sembrava troppo pesante da sopportare fisicamente per Ruby, ansimava più di prima e si rannicchiò su se stesso con aria stanca, tutti capirono il segnale: non chiede altro, non ce la faccio a continuare. Così Micheal intervenne:
<< Cosa significa? >> domandò guardando Chirone dritto negli occhi.
<< Edipo uccise involontariamente suo padre >> disse. << e anche questo gli è stato motivo di sofferenza. Sua madre si uccise dopo averlo scoperto suo figlio. Vuole far ricadere i sensi di colpa anche su di voi… >> lo guardò, con i suoi occhi millenari, e per un istante Micheal sentì il peso di tutti gli anni di vita che Chirone aveva affrontato sulle spalle. Non sapeva quanti semidei aveva visto andare e non tornare più, quanti ne fossero morti dinanzi ai suoi occhi, quanti fossero invecchiati e poi deceduti secondo l’ordine naturale delle cose. Non lo sapeva, e non voleva saperlo. << anche tu hai ucciso qualcuno a cui tenevi, Micheal? >>
Il figlio di Zeus pensò a Nick, il bambino che aveva folgorato per una lunga serie di ragioni quando aveva sette anni, e al giudice senza nome che aveva fatto la stessa fine. Ripensandoci oggi, un po’ si sentiva in colpa per Nick, era un bambino, accidenti. Era normale che avesse agito così. Ma ormai non poteva tornare indietro, e in più sette anni o meno Nick lo aveva tradito. Aveva avuto ciò che si meritava. Forse. Dopotutto era sempre stato un tipo parecchio vendicativo, e Nick lo sapeva benissimo. Annuì solamente, ma non disse nient’altro. Non voleva rendere gli altri partecipi delle sue esperienze. Quindi era a causa di quei due omicidi passati che oggi si era ritrovato ad affrontare tutto questo? Non ebbe tempo di interrogarsi oltre, perché Leo e Arthur giunsero in infermeria.
<< Che è successo? >> domandò Leo subito avanzando verso Ruby.
Quello sbuffò, Micheal sospirò e sedette sul bordo del suo letto: << Cambio di programma, Valdez. Verrà Shawn domani nell’impresa >>
<< Sono pronto a scommettere che per domattina questa ferita sarà sparita >> disse flebile Ruby, a fatica.
Austin annuì. << Se continua di questo passo per domani sarai come nuovo >> si strinse nelle spalle. << mi spiace >>
Almeno non è fulminare, si disse con ottimismo Micheal, come se fosse lui ad aver bisogno di consolazione.
<< Oh… >> si limitò a dire Leo accigliato, come se infondo non ci avesse capito granché. Micheal fu felice di non averlo nell’impresa.
<< Come ci difendiamo da un nemico che ci può attaccare senza neanche toccarci? >> Decise di mettere da parte i pensieri sui suoi compagni d’impresa e decise di concentrarsi sulle cose più importanti.
<< Vero ma, soprattutto… Edipo era un eroe normalissimo. Non era neanche un semidio, come ci è riuscito? >> diede man forte Arthur mentre sedeva sul letto fianco al figlio di Efesto.
Chirone prese la strada per andare fuori dall’infermeria. << Non ne sono sicuro >> mormorò. << ma se è quello che penso, non sarà facile… dormite eroi, domani vi aspetta un duro lavoro. >> e, così detto, se ne andò. Senza aggiungere altro.
Cadde il silenzio nell’infermeria, nessuno spiccicò parola, fino a che Leo non si decise a stuzzicare nuovamente la vena sadica di Micheal. << Okay, ma perché non ce lo ha detto? >>
<< Perché gli déi non glielo permettono, forse? >> borbottò ironico il figlio di Zeus, sollevando un sopracciglio al suo indirizzo.
<< Non è una giustificazione >> concordò Austin.
<< Ragazzi >> chiamò Arthur, attirando su di sé l’attenzione di tutti mentre posava una mano sulla spalla di Ruby. << siamo tra déi, profezie e creature mitologiche >> ricordò loro. << è normale che non lo dicano. Deve essere tutto ambiguo, sennò non c’è gusto. Dobbiamo fingerci investigatori da film gialli o gli déi non stanno bene. Non abbiamo un dio dei detective >>
<< Elementare, Watson >> sputò Ruby a bassa voce, come a confermare ciò che aveva detto l’altro.
Micheal roteò gli occhi: << Sì, ma che scocciatura… >>
<< Non dirlo a me >> concordò il figlio di Ecate. Passò distrattamente una mano tra i capelli corvini di Ruby, giusto per dargli un po’ fastidio. << però guardate il lato positivo: almeno vi liberate di questo odioso nano da giardino per un po’ >> sorrise al figlio di Efesto.
Ruby lo guardò, con una smorfia dipinta in viso: << Arthur >> chiamò flebile, come se dire quel nome gli fosse costata tutta l’energia che aveva. << va a dormire >> ordinò secco, e gli diede le spalle rannicchiandosi sul materasso.
Il rosso aggrottò le sopracciglia. << Ma non ho sonno >>
Micheal incrociò le braccia: << A te la scelta: fulmine o letto? >>
<< Buonanotte! >>

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo Autrice
Semplicemente: Zesu oggi è incazzato e se la prende con me ç_ç
Se mi rovina i pantaloni nuovi lo faccio a pezzi e lo getto nel Tartaro #Cronostyle
Stasera sono impegnata ergo aggiorno adesso.
Contenti?
Ora... chiariamoci: risponderò alle recensioni dellos corso domani...
scusate avrei dovuto farlo prima ma pensavo di avere la mattinata libera, e invece...
Vi avverto che tutto il POV di Micheal è superficialmente corretto...
perché mi stanno uscendo gli occhi dalle orbite e non ce la facevo, rimedierò.
Allora abbiamo i primi schemi di POV:
Ruby e Micheal.
Ruby perché chiaramente è un mio OC ed è più facile da impersonare...
Connor: E perché ti eri dimenticata di inserirlo nell'impresa...
Shh.
E anche perché era l'unico che mancava, quindi...
Micheal perché, povero cristo, ha solo sofferto e avuto pochi ruoli.
Ma presto arriveranno anche gli atrli, non temete!
Ci saranno un po' tutti al prossimo, i cuoi pov sono di... *rullo di tamburi*
Spencer e Katty!
Ma come vi h detto, ci saranno tutti. chi più e chi meno...
So per certo che recensirete in pochi perché ci sono solo Ruby e Mich...
Ma spero comunque in recensioni!
Se non risposndo non vuol dire che non le apprezzi, anzi! *--*
Ah... ci tengo a precisare che Ruby doveva essere più insopportabile di così...
Quindi date la colpa a Luthien Felagund e ai suoi pucciosi OC per questo u.u
Ora scappo che qua sembra venire giù l'inferno dal cielo...
Al prossimo, fatemi sapere :3


Baci
Konan

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


A voi che nonostante tutto, state ancora seguendo
cercherò di non deludervi.
Grazie, davvero, a te che stai leggendo.

 

 










Spencer

 
Spencer decisamente non aveva dormito quella notte. Gli era giunta quasi in tempo record la notizia che Ruby Shawn avrebbe preso il posto di Leo Valdez nell’impresa, e non ce l’aveva fatta a chiudere occhio nemmeno forzatamente. A volte aveva l’impressione che il Campo Mezzosangue fosse più bravo a spettegolare che combattere, ma subito metteva a tacere il pensiero: era la sua unica casa, e tutto ciò che era rimasto della sua famiglia era lì. Guardò Emily, che dormiva beatamente nel letto e si chiese cosa sarebbe successo se non fosse tornata. Certo, lei ne era sicura, sarebbe tornata, non poteva permettersi di cedere, ma nel remoto caso in cui non ci fosse riuscita?
Sospirò con fare stanco, strofinandosi i palmi sul viso e si scostò un ciuffo di capelli scuri via dall’occhio, quella faccenda stava già diventando uno stress, e pensare che era appena cominciata non faceva altro che farla innervosire. Non smetteva di rifletterci su mentre si rigirava più volte nel letto e, quando finalmente vide i primi raggi di luce farsi spazio quasi con timore attraverso le finestre sporche e piccole della Cabina di Ares, si sentì finalmente libera di alzarsi.
Non appena poggiò i piedi nudi sul pavimento si sentì subito meglio, una piacevole scossa fresca le attraverso il corpo magro, forse un po’ troppo rispetto agli standard delle sue sorelle. Scivolò silenziosamente nel bagno per farsi una doccia, e quella forse fu la cosa peggiore. Normalmente a Spencer piaceva farsi la doccia, la rilassava sentire l’acqua scivolarle addosso come niente mentre la mente virava sui pensieri più vasti e disparati, in genere quasi sempre piacevoli. Quella volta però l’acqua non lavò via quel dannatissimo chiodo fisso che ormai quella faccenda era diventato. Ancora migliaia di interrogativi le affollavano la mente, e nessuno aveva una risposta adatta, e Chirone si rifiutava di dirglielo.
Sapeva che il Centauro non poteva parlarne per volontà degli déi, sapeva che era non gli era concesso e difatti non era con lui che ce l’aveva, ma con gli déi. Quelli già non facevano niente dalla mattina alla sera, e adesso si mettevano pure a rendere loro la situazione più complicata di quanto avrebbe dovuto essere! Le salivano i nervi a fior di pelle al pensiero, non si era accorta di star mordendo furiosamente il suo stesso labbro finché non si ritrovò a stringere la bocca ed ad esalare un sospiro pesante per riprendere la calma. E magari anche per evitare qualche bestemmia che avrebbe potuto costarle molto caro, gli déi erano anche permalosetti. E dovevano, i signorini, sennò non erano contenti!
Per una misera frazione di secondo pensò persino che, forse, l’idea di liberarsi degli déi non era poi così male. Lei stessa non aveva mai parlato con Ares, non facevano assolutamente niente se non sfornare figli e copulare come conigli, e perlopiù non facevano che peggiorare tutte le situazioni in cui si ritrovavano coinvolti. Ma no, forse era meglio così. Almeno per adesso poteva garantire per Emily così, con Edipo chissà. Dopotutto non era molto intelligente la mossa di affidare a un rancoroso eroe cieco e millenario la cui ex-moglie era sua madre il controllo dell’umanità.
Bloccò il flusso d’acqua piacevolmente tiepida riluttante, e uscì dalla doccia avvolgendosi un asciugamano attorno al corpo. Si asciugò velocemente i capelli scuri e li legò in una coda alta, mentre batteva  le palpebre per districare le lunghe ciglia dei suoi occhi scuri, intrecciate dall’acqua. Finita la complicata azione, si vestì rapidamente e uscì dal bagno. Afferrò lo zaino e si soffermò per un momento davanti al letto di Emily.
Dormiva beata, i capelli lunghi più chiari dei suoi sparsi sul cuscino, l’espressione rilassata, la bocca schiusa e i respiri regolari che muovevano dolcemente le lenzuola, nonostante fosse caldo e non ce ne fosse bisogno.  Le accarezzò dolcemente la testa, mentre si chinava a darle un bacio sulla fronte. Si era mostrata preoccupata quando aveva saputo che sua sorella maggiore avrebbe preso parte al’impresa, ma da brava figlia di Ares qual’era aveva ostentato una forza che non aveva. E Spencer la capiva, dopo aver perso la loro madre adottiva, il padre e Caleb vedere anche lei andare via era dura, ma non aveva fare niente per impedirlo. Si era limitata a degli “Stai attenta”, “Vedi di tornare viva” e, prima di andare via, le aveva persino strappato un “Mi mancherai”. Sorrise vedendola fare una smorfia del sonno, le labbra di Spencer erano state così delicate nel posarsi che non se ne era neanche accorta.
<< Ti voglio bene >> mormorò appena, poi uscì, senza voltarsi indietro.
 
Erano le sei del mattino spaccate, aveva passato sotto la doccia più tempo di quanto pensasse. Il padiglione della mensa era praticamente deserto, eccezion fatta per i semidei che sarebbero stati i suoi compagni d’impresa. Non appena partì spedita a sedersi al tavolo della Cabina di Ares, tutti gli sguardi si posarono su di lei. Sedette incurante e si accorse solo allora di essere praticamente l’ultima. Probabilmente la doccia le aveva portato via più tempo di quanto immaginasse. Ignorò, e prese invece a trangugiare la colazione, sbirciando con la coda dell’occhio i suoi compagni.
Seduta solitaria al tavolo di Ade, Katarzyna McGallin punzecchiava svogliatamente l’uovo fritto che aveva nel piatto, con la testa bassa e i capelli che le nascondevano il volto. Era vestita completamente di nero, al solito, e Spencer si chiese mentalmente che bisogno c’era di esternare i proprio malumori attraverso il vestito. La guardò scettica per un momento, lei alzò lo sguardo non appena si rese conto di essere osservata e puntò i suoi occhi color pece in quelli poco più chiari di Spencer. Si fissarono per attimi che alla figlia di Ares sembrarono infiniti, mentre la sfidava con lo sguardo a dire qualsiasi cosa, ma la figlia di Ade riportò lo sguardo sul suo piatto a fissare l’uovo fritto. Spencer roteò gli occhi, tentando di non far caso allo snervante fare timido dell’altra.
Spostò poi la sua attenzione su un Ted Smith al quale la situazione non sembrava piacere neanche un po’, con quell’espressione ancor più inacidita del solito e il sopracciglio ironico che scattò in alto non appena si rese conto del suo sguardo.
<< Vuoi scattarmi anche una foto, già che ci sei? >> sbuffò al suo indirizzo.
Negli occhi azzurri e limpidi di Theodor non c’era la più pallida traccia del divertimento che avrebbe potuto portarla a pensare fosse una presa in giro, solo un muro di ghiaccio acido quanto i succhi gastrici. Represse un ringhio e strinse la forchetta che aveva in mano.
<< Non finché sei così brutto, romperesti la macchinetta >> sibilò.
Ted non sembrò essere particolarmente colpito dall’insulto, si limitò a roteare gli occhi annoiato e la liquidò con un’occhiata gelida, di quelle che si rifilano ai bambini quando dicono qualcosa di inappropriato.
<< Vi pare il momento di litigare? >> soffiò invece Allistor che, al tavolo di Nemesi, aveva appena fatto fuori il suo piatto. << Non stiamo giocando quindi vedete di crescere un po’ >>
<< Litigare >> ripeté Ted, scettico. << certo, ma infatti ero proprio io quello che fino a poco fa bestemmiava di gran carriera solo perché Amethyst gli è venuta a sbattere contro >>
<< Stima per il ghiacciolo mestruato >> intervenne Amethyst, china su un budino, puntando il cucchiaino in alto con aria saccente.
<< E chi è che non è mestruato qui? >> ridacchiò Arthur, prendendo un sorso di succo d’arancia.
<< Tu, per ora >> borbottò Ruby accanto a Rey, al tavolo d’Efesto, mentre entrambi lasciavano perdere le rispettiva colazioni.
<< E la parte migliore è che nessuno di loro è donna >>continuò imperterrito il figlio di Ecate, incurante del commento di Shawn.
Amethyst scoppiò a ridere, Spencer sbuffò: erano quelli i suoi compagni d’impresa? Davvero? E cosa avrebbe combinato con loro? Avrebbe spinto Edipo al suicidio a suon di sciocchezze? Ma andiamo! Si appuntò mentalmente di trovare dei compagni decenti appena possibile se ne avesse avuto l’occasione. Si stava giusto chiedendo sulla propria moralità quando Arthur trafugò ogni suo dubbio:
<< Aspetta un attimo… in che senso “per ora”? >> Guardò accigliato nella direzione di Ruby, che inarcò un sopracciglio portando lo sguardo al soffitto.
<< Nel senso che se non sanguinerai da solo ti costringeremo noi a forza >> sputò Allistor. Spencer lo valutò tra le persone irritanti ma utili.
<< Ma perché litigate? >> intervenne Celestia Hoodlake, fino ad allora rimasta in silenzio, mentre mordicchiava un cupcake distrattamente. << Dobbiamo andare d’accordo per vincere e lavorare insieme, rimandiamo i dispiaceri a dopo, dai >> insistette con un dolce sorriso.
Spencer non sapeva se sbattere la testa sul tavolo o scoppiare a ridere. Ma in che favola credeva di vivere? Già il fatto in sé che la figlia di Eos fosse dotata di capelli bianchi – bianchi! Neanche stessero in un cartone animato! – rendeva abbastanza difficile prenderle sul serio, se poi si metteva anche a fare discorsi da Dalai Lama non faceva altro che peggiorare la situazione! Più ridicola di così non poteva essere almeno, giusto? Si guardò scettica intorno, alla ricerca di sostegno per questa assurda situazione, e lo trovò nel viso assurdamente scettico di Michael Tall, il quale guardava la tredicenne come se fosse appena scesa da un unicorno. Ringraziò mentalmente il cielo per quel minimo di comprensione da parte del figlio di Zeus, poi decise di darci un taglio:
<< Sei già guarito? >> chiese, rivolta a Ruby.
Il figlio di Efesto sospirò, guardandola con sufficienza. << Sono qui, tu che dici? Piuttosto, sei sicura si tratti proprio del Mont McKinley? >>
<< E’ la montagna più alta degli USA >> ribatté Spencer, punta sul vivo. << ovvio che sono convinta >>
<< Se invece si trattasse del Mont Whitney? >> domandò Allistor. << magari l’Alaska non è inclusa >>
<< E perché non dovrebbe? >> domandò Spencer, scettica. << Credo che con “grande vetta” intendesse un po’ ovunque >>
<< Se intendesse un po’ ovunque >> esordì timidamente Felicity, mentre spalmava la Nutella su un pezzo di pane. << allora dovremmo considerare la montagna più alta della terra in generale >>
<< E vorreste andare sull’Everest? In Asia? >> Spencer rimarcò molto sulle ultime parole, come a sottolineare l’assurdità della cosa, e come darle torto?
<< Ma soprattutto, ci rendiamo conto che stiamo prendendo in considerazione l’idea di scalare l’Everest? >> Diede man forte Ted.
<< Tutto è possibile >> rispose Allistor. << dopotutto I Sette sono andati in Grecia. >>
<< Ma la Grecia è un altro discorso! E’ lì che sono nati i nostri genitori >> replicò Celestia.
<< Ma cosa c’è che non va? Dai, è forte andare da qualcuno e dirgli che sei stato sull’Everest. Tipo “Ehi, ieri ho fatto trekking e sono esausto!” e allora io “Oh, come ti capisco. Io sono stata sull’Everest, pensa un po’, a stento sono riuscita a tornare a casa!” >> Amethyst partì in quarta mentre addentava distrattamente la mela, dando sfogo alla sua naturale parlantina e ignorò bellamente le occhiatacce che Spencer e Allistor le rivolsero.
Arthur sembrò essere d’accordo. << Appunto, me teniamola come ultima risorsa. Sì che abbiamo la stufa umana >> e qui indicò Rey. << ma una cosa per volta >>
<< Io non ho bisogno di una stufa, tanto meno è un problema se rimaniamo con il Mont McKinley >> intervenne Ted. << In Alaska mi sarebbe anche più comodo >>
Arthur inarcò un sopracciglio: << Perché la cosa non mi sorprende? >>
John mugolò la sua disapprovazione strofinandosi le mani. << Ma se invece la grande vetta fosse soltanto una collinetta a caso da quattro soldi senza neve e tutta erba che non superi i mille metri dal mare? >> tentò speranzoso, rabbrividendo alla sola idea di tutto quel freddo, le rocce appuntite e spigolose se non di peggio. Tipo voragini. Spencer si prese la nota mentale di spingerlo dentro una a caso e fingere sia stato un incidente.
<< No >> ribatté Ted, secco.
<< Wow, ti ha freddato! >> esclamò pungente Amehtyst, ridacchiando neanche tanto velatamente.
<< Beh John, se proprio vuoi dell’erba ho qualche amico… >> iniziò Arthur, ma venne bruscamente interrotto dallo sbuffò impaziente di Spencer.
<< Okay okay, abbiamo capito. Forse potremmo dividerci e analizzar- >>
<< Quindi vorresti mandare alcuni di noi in Asia? >> domandò Micheal, inarcando un sopracciglio. << Io non sono una cima in geografia, ma non è un poco troppo lontanuccia per i nostri standard? >>
Allistor sbuffò. << Non vedo dove sia il problema. Sei figlio di Zeus, hai il paparino che è il Re degli déi, non dovrebbe essere difficile per uno come te >>
Micheal lo guardò incredulo. << Ma cosa diamine dici? >>
<< Un mucchio di cazzate >> tagliò corto Spencer, liquidando con un’occhiataccia il figlio di Nemesi.
<< Secondo me dovremmo organizzarci meglio >> intervenne Rey, incerto. << mentre noi parliamo Demetra sta facendo appassire il mondo, la furia di Ade aumenta e Persefone rischia sempre di più. Quindi dobbiamo essere veloci e non abbiamo tempo per analizzarli tutti, né tantomeno possiamo dividerci perché la profezia altrimenti non ci sarebbe >>
<< E’ la profezia stesse a dividerci >> ribatté Amethyst.
<< Non in quel modo però >> disse Celestia. << Secondo la profezia ci saranno un figlio di Efesto, uno di Ecate e uno di Chione che impediranno a Demetra di far appassire il mondo, quindi… >>
<< Probabilmente Arthur, Ted e Rey dovranno convincere Demetra a smetterla >> propose Micheal. << Mentre io, John, Ruby e Allistor dovremmo salvare Prsefone sul Monte Whitney >>
<< Mont McKinley >> corresse Katarzyna.
Il figlio di Zeus agitò la mano con noncuranza. << Sì, quello. >>
<< Secondo me dovrebbe essere Ruby a venire con noi e Rey con voi >> rifletté Arthur.
<< Artie, apprezziamo i tuoi tentativi di flirt verso Shawn che, come figlia di Eros, apprezzo molto anche in momenti critici come questo, ma ora come ora devi pensare con la testa e non con l’amichetto che hai in mezzo alle gambe >> replicò Amethyst, sorridendo all’espressione indignata del figlio di Ecate.
<< Per tua informazione, anche il mio amichetto lì ha un cervello, e forse è anche più intelligente di me >> esordì lui, punto sul vivo, ovviamente ignorando il commento di Ruby (<< Spiegami cosa non è più intelligente di te >>). << ma non era quello che intendevo. Rey ha il dono del fuoco e su una montagna come Mont McKinley mi pare cento volte più utile di Ruby, senza contare che nella prima parte nomina il martello rovente e nella seconda il fuoco in sé e a meno che non mi sfugga qualcosa, Shawn non ha il dono del fuoco.>>
Ruby annuì stancamente. << Sì, presumo abbia ragione. Almeno chi va a monte ha una stufa >> e indicò Rey con il pollice.
<< M-ma io non so controllare… >> esordì Ruby, ma fu interrotto da Spencer.
<< Parker, noi non staremo a correre dietro alle tua stupide insicurezze adolescenziali, chiaro? Imparerai sul campo. >> Spencer aveva usato un tono molto più brusco di quanto volesse, e lo capì da come Rey abbassò lo sguardo, ma non si abbandonò troppo ai dispiaceri, si limitò a darsi un contengo più ragionevole: dopotutto Sel da una parte aveva ragione, almeno per gli inizi di quell’impresa dovevano andare d’accordo. << Fidati, non c’è modo migliore che fare pratica per imparare. Sul serio. >>
Rey annuì, poco convinto. Spencer pensò fosse solo questione di tempo: non poteva certo rimanere così incapace per sempre. Si mordicchiò il labbro, pensierosa. Doveva seriamente pensare a come trasformare quei patetici cocci in un bel vaso o non avrebbero mai avuto successo, e lei non ci stava proprio a farcela per un misero pelo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 



 

Katty

 
 
Katarzyna non se l’era proprio sentita di spiccicar parola durante tutto il discorso. Si era limitata ad annuire ogni tanto, ma se non correggere Micheal Tall non aveva detto nulla. Le sue ipotesi non erano tanto diverse dalle loro, qualsiasi cosa volesse dire gli altri si erano già espressi al suo posto, quindi perché sforzarsi? Era sempre stata abbastanza taciturna, quindi nessuno si era particolarmente stupito del suo silenzio.
Ma la verità era che non smetteva di pensare a quella strana sensazione che non riusciva a scrollarsi di dosso sin da quando si era svegliata nell’infermeria. In un primo momento aveva attribuito tutto al malessere o a una strana influenza esercitata da Edipo o Persefone, ma troppo tardi si era resa conto che quelle sensazione era una sorta di attrazione. Non avrebbe saputo spiegarlo a parole nemmeno volendo, ma era come se una parte di lei fosse strettamente richiamata da una presenza invisibile. Non sapeva bene dove, o come, da chi o da cosa, ma aveva questa voglia, questa smania che le faceva contorcere lo stomaco ogni volta che sapeva di non poter accontentare l’istinto, quel senso d’angoscia e quel blocco d’ansia… e lei odiava sentirsi così, ma non poteva farci proprio niente: sebbene volesse accontentarsi non sapeva proprio come fare. Non aveva idea di dove andare o di cosa fare, e il suo istinto non era affatto d’aiuto. Tuttavia aveva il presentimento non fosse una buona cosa, né un giochetto.
Non era riuscita a mandare giù neanche un boccone a colazione, le si era chiuso lo stomaco e anche il solo pensare di mangiare con quel pressante blocco al petto era impensabile: le faceva venire la nausea. Aveva notato l’occhiata di Spencer poco prima, e a dire il vero non aveva proprio voglia di fissare gli occhi scuri dell’altra. Sapeva che Spencer era una ragazza intelligente, e non voleva correre il rischio di farle intendere che nascondesse qualcosa perché sì, non aveva la minima intenzione di parlare a qualcuno di quella sensazione. La fiducia non era una sua gran virtù, non si era mai fidata tanto della gente, abituata com’era a ritagliarsi uno spazio di solitudine forse più presente di quanto volesse ammettere.
Per questo forse, non si accorse che, persa com’era nei suoi pensieri, Celestia Hoodlake le si era avvicinata.
<< Buongiorno! >> esclamò allegra la più piccola, facendola sobbalzare.
Katty la guardò, sorpresa, ma riuscì comunque a ricambiare il saluto: << Ehi… >>
La figlia di Eos non si lasciò scoraggiare dal saluto abbastanza piatto, al contrario sorrise dolcemente a Katarzyna che, da parte sua, non poté evitare di lasciarsi sfuggire una stirata di labbra a sua volta. Celestia le era sempre piaciuta, era appena una ragazzina ma sapeva bene come farsi amare. Con quei capelli color neve le dava quasi l’idea dell’immagine stessa della purezza, e quasi le pareva strano che avesse un fidanzato come Austin, ma sinceramente non la sorprendeva: con quel sorriso che si ritrovava, Katty era certa che tra qualche anno avrebbe fatto strage di ragazzi.
<< Come va? >> domandò piano la figlia di Eos, fissandola con quei suoi grandi e particolari occhi.
Male. Malissimo. Ho la nausea, non so cosa fare ma so che devo fare qualcosa, non riesco a mangiare e ho ridato la vista a un semicieco. Ma a parte questo, sono solo un po’ stanca, tu?
Katty si morse il labbro, rifiutandosi categoricamente di rivelare tutto ciò alla tredicenne, e sforzò un sorriso raggiante, di quelli che solo la figlia di Eos e qualcun altro avevano visto sul suo visto.
<< Bene. Anche se potrebbe andare meglio, ma credo sia solo un po’ d’ansia, sai, stiamo partendo per un’impresa >>
Il suo sorriso dapprima finto, prese una piega decisamente più naturale quando Celestia ridacchiò e le si avvicinò nel percorso che portava al furgone del Campo, lasciando sfiorare le loro spalle.
<< Potrebbe andare meglio >> concordò, annuendo. << però, sai, mi fa piacere tu stia bene. Mi sono preoccupata quando ho sentito quello che è successo… >>
E alla figlia di Ade in quel momento dispiacque terribilmente per lei: era una ragazzina così dolce, come ci era finita là in mezzo? Era una delle poche persone che Katty poteva dire davvero di conoscere e dalla quale si era lasciata esplorare nei lati più reconditi del suo carattere. Una delle poche che davvero aveva avuto il privilegio di vedere la sua parte più solare e reattiva, una delle poche che poteva dire di conoscere davvero Katarzyna McGallin, la ragazza spensierata che era stata stroncata dalla morta prematura della madre.
Le si strinse il cuore al pensiero: Krystyna era decisamente troppo giovane per morire, eppure un incidente d’auto se l’era portata via indifferente alla sua storia, a ciò che aveva passato, al fatto che lasciava alle sue spalle una figlia troppo piccola per rimanere da sola. La morte. Proprio il suo elemento, proprio ciò con cui suo padre era più affine, gli aveva portato via la sua infanzia, il suo sorriso, la vera lei. Gli aveva portato via tutto, senza che lei potesse protestare, lasciandola da sola e in balia di un orfanotrofio. La morte l’aveva tradita, suo padre l’aveva tradita, sua madre l’aveva abbandonata, la vita delusa. E Katty sapeva che non era giusto dare la colpa ad Ade di tutto ciò… ma non poteva proprio farne a meno. Aveva sedotto sua madre, l’aveva abbandonata, le aveva rovinato la vita e, infine, se l’era portata via nel peggiore dei modi… e se non si poteva fidare di un uomo che avrebbe dovuto essere suo padre – un padre che non aveva mai incontrato, con cui non aveva mai parlato e da cui a stento era stata riconosciuta – di chi altri poteva fidarsi davvero? Se lo chiedeva, spesso. E si dava sempre la stessa risposta:
Nessuno.
Non poteva fidarsi di nessuno. Lei, che era sempre stata quella bambina spensierata, giocosa e solare con un bel futuro roseo davanti a sé, adesso altro non era che la dark di turno. L’unica cosa che ci si poteva aspettare da una figlia di Ade, eppure non le importava davvero di questo.  Semmai avesse avuto l’occasione di liberarsi dei ricordi, di liberarsi di quell’aura oscura che le alleggiava intorno, l’avrebbe fatto. Davvero. Ma se ciò comportava dimenticarsi di sua madre allora preferiva rimanere la tenebrosa dark che vedevano tutti. Era la difesa migliore che conoscesse, l’unica maniera che le impedisse di ferire ed essere ferita a sua volta, l’unica finestra per poter respirare aria buona senza soccombere all’odore di sangue che avrebbe sprigionato il suo cuore ad ogni tradimento. Se fidarsi significava semplicemente questo, allora preferiva rimanere sola.
Meglio soli che mal accompagnati.
Aveva pensato, all’inizio. Eppure quando un raggio di sole – o meglio, una vera e propria aurora boreale – si era scontrata con il suo mondo di tenebre aveva iniziato a dubitarne. Ha solo tredici anni, si diceva, crescerà. E quando lo farà ti ferirà anche lei, eppure le sembrava così dannatamente… difficile. Celestia era l’emblema dell’innocenza, le pareva quasi impossibile la sola idea che potesse far del male a qualcuno… ma le persone cambiano. Spesso in modo radicale, come lei.
Tuttavia alla fin fine, si sa, dopo aver assaggiato un po’ di luce si cade in dipendenza, e figuriamoci se era un’aurora. Ancora peggio. E almeno per questo, Katarzyna aveva deciso di rischiare. Aveva deciso di riporre una parte di lei nelle mani di una ragazzina e non ne aveva nemmeno paura. Quando  sarebbe cresciuta al punto da non essere più così… Sel, se ne sarebbe riappropriata. Per ora però si era concessa il lusso – che stava a poco a poco prendendo le sembianze di vizio – di affidarsi a lei. Dopotutto era per metà umana, per la miseria!
Tra un pensiero e l’altro erano arrivati al minibus del Campo Mezzosangue. Sel e Katarzyna furono le ultime ad arrivare, trovando ad accoglierle un silenzio piuttosto insolito.
<< Che succede? >> domandò Sel, rivolta a Felicity.
La figlia di Dioniso prese a torturarsi una ciocca di capelli distrattamente e fece una smorfia: << Qualcuno deve guidare >> disse, come se quello spiegasse tutto.
Accanto a lei, Rey annuì, e fu quel gesto che scoppiò il caso perché Amethyst sembrò accorgersi di lui solo in quel momento, e gli puntò il dito contro, determinata.
<< Rey! >> esclamò, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. << E’ vero che preferiresti che guidassi io piuttosto che il nostro Ginger Snaps* qui accanto? >>
Rey arrossì di botto e abbassò deciso il capo, borbottando cose non bene identificabili per poi sfociare solo nella frase << Per me è la stessa cosa… >>
<< E’ un sì! >> trillò la figlia di Eros, incurante.
<< Cotton, lui non ha detto assolutamente niente, e adesso togliti di mezzo, guido io. >> Allistor sembrava davvero sul punto di perdere una volta per tutte la pazienza, dato come stringeva convulsamente la mano attorno all’elsa della spada.
Amethyst però sembrava tutt’altro che intimorita, al contrario sorrise. << No. Non sei certo l’unico ad avere diciotto anni Al, cosa credi? >>
<< Non chiamarmi Al >> sputò il figlio di Nemesi, minaccioso. << Potresti anche essere un pilota di formula uno ma non ho la minima intenzione di entrare in macchina con te alla guida. >>
La bionda mise su un cipiglio severo e portò le mani sui fianchi: << Sei un bambino cattivo, Al, non si dicono queste- >>
<< Guida Loganach >>
Una voce decisamente irritata interrupe la lite che sicuramente sarebbe sfociata nel finire nei peggiori dei modi, e tutti si voltarono verso Ted, che si stava stringendo la radice del naso tra le dita.
<< E perché lui? >> Ma la figlia di Eors ovviamente non si decise a demordere.
Ted le rifilò un’occhiata piena di stizza, irritazione, esasperazione: << Perché sì. Adesso, di grazie, porta il tuo culo sul furgone e dà le chiavi a Loganach. >>
<< Altrimenti? >>
<< Altrimenti vi mando a letto senza cena >> sbottò il figlio di Chione, sarcastico. << Basta! Avete rotto, salite e stop, non me ne frega niente di chi guida perché se crepo la prima cosa di cui mi pentirò sarà aver assistito a questa scena al posto di salvarmi il culo da solo. >>
Katarzyna in quel momento fu certa che nonostante tutto quello che dicevano di lei, nonostante il fatto che l’immagine che gli restituiva lo specchio era quella di una emo a cui non fregava più nulla di niente e di nessuno, nonostante tutto, fu sicura che lei e Ted non sarebbero mai potuti essere amici. Nel suo tono c’era così tanto veleno che persino lei aveva sentito un sapore acido in bocca. Sel non sembrò averlo notato, sorrise dolcemente e la invito con un cenno della testa a salire. Beata lei che aveva mille altri pensieri in testa.
<< Dai ragazzi non fate quelle facce lunghe >> esclamò Arthur allegro. << infondo è solo un viaggio in macchina, che può succedere? >>
 
 
 
Mezz’ora di macchina dopo, il minibus era fuori strada, incastrato in un fosso e pericolosamente incrinato. Se la testa di Katty non si era spaccata sul cruscotto nell’impatto, lo doveva solo al corpo di una ringhiante Spencer che aveva attutito la caduta.
<< Dicevi, Jennings? >> chiese retorico Micheal, ancora appeso al sedile per la cintura.
<< La prossima volta non dire niente, Arthur, per favore >> borbottò Felicity, strisciando fuori aiutata da Rey, che per metà era già fuori e le teneva la mano. Come ci fosse arrivato Katty non lo aveva visto, forse era caracollato giù quando si era aperto il portellone.
Arthur ridacchiò nervosamente, ignorando gli sguardi omicidi di molti dei presenti e si limitò a cercare una via d’uscita. Sfortunatamente, o forse no, l’unica via era passare sopra a Ruby, incastrato tra il finestrino, Sel e Allistor ammucchiati. Quest’ultimo teneva lo sguardo basso, Katarzyna pensò che stesse solo cercando di controllare la rabbia, cosa non biasimabile, soprattutto per un tipo come lui; e il calcio che Arthur gli aveva quasi tirato non sembrò aiutarlo, dato che inspirò forte dal naso. Nel mentre il figlio di Ecate, incurante, strisciò letteralmente addosso a Ruby e tentò di uscire dal finestrino, il minibus si piegò pericolosamente in avanti e Ruby imprecò in greco antico.
<< Sta attento, genio! Non lo vedi che stiamo pendendo? >>
<< No >> rispose Arthur con fare ovvio, Ruby aveva il suo bacino praticamente in faccia. << da questa posizione proprio no. Tu che vedi? >>
La faccia di Ruby assunse un'espressione funerea, mentre gettava un'occhiata rassegnata alla braghetta dei jeans del rosso. << Mezzo centimetro >> rispose lapidario.
Amethyst scoppiò a ridere, scatenando una volta per tutte l’irritazione di Allistor. << Basta con questi giochetti scemi e uscite! Lentamente >> sibilò.
All’improvviso, Katty sentì una voce di sottofondo costante che non accennava a smettere, agitata, impaurita e ripetitiva come una preghiera, come un mantra, che ripeteva le stesse cose all’infinito. Aggrottò le sopracciglia, cercando di identificare il rumore.
<< Sta zitto Greenwood! >> sbottò allora Michael, impegnato in una lita con la cintura.
La figlia di Ade allora lo riconobbe: John continuava a cantilenare parole che identificò come: << Moriemotuttimoriremotuttimoriremotuttimoriremotutti >> e ciò non era neanche lontanamente rassicurante, non come avrebbe voluto.
Francamente, Katarzyna avrebbe ardentemente preferito che tacesse, per fortuna c’era Ted, che lo afferrò per il collo della maglia, tentando si seguire Felicity fuori dal portello.
<< Chiudi la bocca, non potremmo morire neanche per sbaglio con una caduta del genere >> sospirò, non sortendo l’effetto voluto su John, che continuava a mormorare fissando amareggiato il ginocchio sbuffato. Certo che i figli di Afrodite erano dei veri pezzi di cristallo…
<< McGallin, potresti gentilmente toglierti di dosso? >>
Il grugnito sarcastico di Spencer, ancora schiacciata tra lei e il cruscotto, la riportò alla realtà, ma la sua mente non ci mise molto a riperdersi in un bicchier d’acqua andando alla deriva con ben altri pensieri, diversi dal fatto che la sua scarpa era incastrata sotto il sedile.
<< Usciamo e lasciamo qua il minibus? >>
Spencer fece una smorfia. << Non abbiamo molta scelta >> sospirò. << hai idee migliori? >>
Katarzyna la fissò pensierosa per diversi secondi, poi annuì. Si sistemo meglio in equilibrio e, scostandosi una ciocca di capelli, prese a concentrarsi escludendo tutti i rumori esterni. Una forte fitta le stava artigliando lo stomaco, un crampo doloroso ma sopportabile, si concentrò sulla terra. Pensò a suo padre, pensò a sua madre, pensò a quanti ci erano rimasti in situazioni peggiori della loro, pensò alla morte. Avvertiva il sudore renderle la schiena appiccicaticcia e la fatica prendere a gravarle addosso, ma non demorse.
Lentamente, molto lentamente, il furgone si mosse e tutti si zittirono. Sel si affacciò al finestrino e sbarrò gli occhi, Allistor la imitò, ma invece si voltò a guardarla. Rey e Felicity, ormai fuori, indietreggiarono mentre i restanti rimasero semplicemente immobili, in attesa. Una forte scossa li percorse, poi il minibus prese a risalire fino ad esser del tutto fuori dalla fossa, quanto bastava ad Allistor per fare manovra.
Cadaveri putrefatti privi d’occhi attorniavano il furgone, erano qualcosa come una decina, se non di più. Erano sporchi di terra e portavano vesti rinascimentali, si chiese se fosse stato scomodo per loro riaffiorare dal terreno per uno stupido incidente stradale.
Lasciarono cadere con dolcezza il furgone e presero a radunarsi fronte alla macchina con una velocità sorprendente, per essere zombie. Con un inchino formale a Katarzyna, si allontanarono e vennero inghiottiti dalla terra con rapidità impressionante, come se non fossero mai esistiti. Unica testimonianza i segni di pneumatici sul terreno.
Tutti si voltarono a fissarla, Felicity e Rey addirittura tornarono dentro per assicurarsi fosse tutto okay, cadde il silenzio generale. Katarzyna avrebbe voluto dicessero qualcosa, qualsiasi cosa. Non voleva avessero paura di lei, si voltò agitata verso Sel, e fu felice di vedere in lei non paura, ma meraviglia. Difatti, fu lai a rompere l’atmosfera battendo le mani entusiasta:
<< E’ stato fantastico Katty, sul serio! Abbiamo iniziato il viaggio da nemmeno mezz’ora e ci hai già salvati tutti! >>
Accennò ad un sorriso, lei non era come gli altri. Sel era diversa, Sel era sua amica. Poi, vinta dalla stanchezza, cadde e perse i sensi.

 
 
 












*= Ginger Snaps, conosciuti in Italia come biscotti allo zenzero. Il perché Amy soprannomina Allistor in quel modo nasce dal termine inglese ginger per definire i ragazzi dai capelli rossi, e beh… Allistor ha i capelli rossi.











 
Angolo Autrice
Ehilà! Sì, forse voi non ci credevate più, ma invece eccomi qua!
Chiedo venia, ma tra dipendenze, scuola, problemi familiari, scuola,
famiglia in generale, scuola, malattia e scuola Enapay è letteralmente scesa livello rasoterra :/
Ma come vedete non vi ho abbandonato, ed ecco qua un altro capitolo!
lo so, il finale fa alquanto cagare ma lo scritto tuttto oggi ^^"
Spero di aver approfondito almeno un po' queisti due OC :3
Quello di Katty è più narrativo, e soprattutto questo capitolo è molto... frastornato.
Niente di inquietnate o misterioso... solo un inizio.
Una scenata a dir poco ridicola, lo so...
Ma ha un suo perché, ve lo assicuro.
E' un capitolo più o meno di transazione,
dal prossimo cominceremo ad approfondire i pensieri,
e forse se riesco pure un po' d'azione...
Ma per ora è una camomillata... I'm sorry per avervi presentato questo cagata.
Spero comunque abbiate apprezzato lo sforzo, l'ho fatto un po' più lungo apposta per questo.
Mi scuso poi per gli errori perché il capitolo non è stato betato, causa pigrizia ^^"
e, ultima scusa e poi vi lascio in pace, giuro: scusate se non ho risposto alle recensioni.
Vi assicuro che alle prossime risponderò :3
Se ci saranno, obv. Spero di sì ^^"
Okay, ora vi libero dalla mia insistente presenza e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate :3
I prossimi POV saranno di.... *rullo di tamburi*
Arthur Allistor!
Due dei personaggi più influenti insomma :3
Fatemi sapere, alla prossima, che purtroppo non sarà tra breve.
Grazie ancora per il sostegno e per non avermi abbandonata <3



 
Baci
Konan

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

A Sofia, che mi ha betato il capitolo
sprecando tempo prezioso.
A chi mi segue ancora e a Google Maps,
per essere stato utile e snervante come un essere umano.
Grazie davvero, Sodio.







Arthur

 

Arthur non si sapeva spiegare bene come fossero finiti in una fossa. Semplicemente era entrata un’ape – una grande circa un palmo della sua mano – e tutti si erano agitati. Nell’ansia qualcuno, Arthur sospettava Amethyst, era caduto addosso ad Allistor, il quale aveva perso il controllo della vettura e… beh, il resto si sa. Partendo dal fatto relativo che l’inizio di quell’impresa era stato uno dei peggiori e più ridicoli, il figlio di Ecate francamente non si aspettava molto. Sperava in una vittoria stentata, ma l’ansia c’era comunque. Eccezion fatta per Amethyst, Rey e Felicity, nessuno sembrava davvero in vena di parlare. Non che fosse una novità per alcuni: Allistor, già di per sé ostinatamente silenzioso, era impegnato a guidare; Ted stava lì, zitto, a sorbirsi le ansia di un John; Ruby, al suo fianco, si era inaspettatamente addormentato, cosa alquanto insolita per lui in un posto così concentrato, e così avevano fatto Celestia e Katarzyna. Quest’ultima era crollata subito dopo aver chiamato la squadra di soccorso di tremila anni fa circa per tirarli fuori da quella situazione più che imbarazzante. Spencer, seduta davanti, accanto ad Allistor, guardava pensierosa la strada scorrere sotto i suoi occhi in religioso silenzio, e poi c’era Micheal, che cercava di dormire ma non stava avendo molto successo, dato che continuava ad agitarsi nel sedile e litigare con la cintura. Arthur tirò leggermente la suddetta cintura, attirando l’attenzione di Micheal, il quale aprì di scatto i suoi occhi destabilizzanti.

<< Avete litigato? >> chiese il figlio di Ecate, ironico e a voce non troppo alta per non disturbare gli altri.

Micheal adocchiò con fastidio la cintura. << Diciamo di sì. Non voglio vedere mai più una cintura per il resto della mia vita, mi limita >>

<< Oh, e scommetto che tu sei uno spirito libero > ridacchiò l’altro.

<< Beh, io sì, a confronto di altre persone >> Fece un cenno della testa verso Allistor e Spencer.

<< Già, hanno decisamente una scopa infilata su per il culo… >>

<< Anche il tuo fidanzato. >>

Un angolo della bocca di Arthur si sollevò automaticamente. << Non è il mio fidanzato, ma sì, ce l’ha anche lui >>

Micheal lo fissò con un’espressione tra lo scettico e l’esitante per qualche secondo, poi scosse la testa sconfitto, mettendosi seduto a gambe incrociate sul sedile.

<< Cosa? >> insistette Arthur, vedendo la sua reazione. Non aveva mai davvero capito che tipo fosse Micheal, non era una compagnia rose e fiori, certo, ma non era neanche così malaccio come a volte dava l’impressione di essere.

<< Parli di spiriti liberi, quando poi ti prostri praticamente ai suoi piedi >> mormorò stizzito e divertito, indicando Ruby con un cenno della testa.

Arthur si accigliò. << Scusa? Guarda che non mi prostro ai suoi piedi! >>

<< Non ancora. Ti piace, è evidente. E quando ti piace qualcuno mandi a puttane una parte della tua libertà, non sei più uno spirito libero, scommetto che daresti anche la vita per lui, e non solo lui. Tu sei troppo amichevole, non vivi per te, ma per gli altri. Non sei libero quando ti fai limitare da loro. >>

<< Vuoi dire che tu non daresti mai un po’ di pane a un uomo che non mangia da giorni se ti strisciasse davanti? Vuoi dire che tu non salveresti nessuno se ne avessi la possibilità? >>

Arthur era mortalmente serio, tanto che persino Micheal perse la sua aria rilassata per guardarlo piacevolmente sorpreso.

<< Non ho detto questo >> spiegò infatti. << solo che se dovessero star per uccidere un mio compagno, non direi mai cose come “prendi me”, perché io voglio vivere. >>

<< Io invece lo farei, con chiunque se lo meriti >> ribatté il figlio di Ecate, gli occhi che scintillavano d’onore e orgoglio. << E lo farei perché è questo che mi fa stare bene. A me piace aiutare la gente tanto quanto mi piace vivere, e sono libero proprio perché posso farlo, proprio perché ho qualcosa da offrire ed è mia scelta offrirlo. Il piacere è libertà, dicono. Io mi sento libero perché posso farlo, magari è rinchiuso solo chi non lo fa per paura. Poi tu puoi pensarla come vuoi, ognuno vede la libertà diversamente. >>

Micheal annuì, scettico. Era un discorso stranamente profondo per uno come il rosso. << Come dici tu, Jennings. >>

Passarono diversi minuti di silenzio carico di tensione, prima che Arthur cedette ai suoi istinti e diede voce al suo pensiero costante.

<< Come troveremo Persefone? >>

Micheal si accigliò: << Non ne ho idea. Avrete un radar forse… >>

Arthur arricciò il naso. << Neanche a dire che è come se avessimo un figlio di Demetra o Ade qui con noi… >> borbottò, afflitto.

Micheal non rispose, semplicemente continuò a litigare con la cintura fissando la strada. Il figlio di Ecate non impiegò molto a capire che per lui la conversazione era finita. Sperò solo che non se la fosse davvero presa, dopotutto a lui ciò che aveva detto sembrava più che giusto. Dov’è che aveva sbagliato? Se non essere egoista era un reato, allora lui avrebbe dovuto essere condannato a morte, o anche fatto martire per ciò che faceva con John, Ruby, Ted e Micheal. No, davvero, non poteva trovarsi degli amici simpatici? Aveva qualche istinto sadico in sé che lo portava a prediligere persone acide e seriose?

<< Jennings, è il periodo più lungo in cui non ho sentito la tua voce oggi >> Lo punzecchiò Amethyst. << sicuro di essere ancora vivo? >>

<< L’ultima volta che ho controllato lo ero >> rispose lui, accennando ad un sorrisetto, << poi non lo so se la situazione è cambiata >>

<< Se lo è, vedi di resuscitare, e in fretta. Questo mortorio non lo reggo, ecco perché volevo stare io al volante! >> E qui alzò volutamente la voce per far in modo che anche Allistor la sentisse.

Il figlio di Nemesi sbuffò. << Per l’ultima volta: non ho intenzione di accendere la radio >>

<< Ma perché no? >>

<< Perché basti tu come sottofondo irritante. E poi siamo praticamente arrivati >>

Tra una cosa e l’altra, Arthur non si era accorto del cambio di paesaggio dalla strada ai grandi grattacieli newyorkesi. Non si era neanche reso conto che fosse passato così tanto tempo dall’inizio del viaggio, forse quel sonnellino di prima gli aveva rubato più ore di quanto credesse. O forse era stato il ribaltamento del camion. Beh, poco importa: Finalmente si entrava in azione! Non sopportava più di dover star seduto su uno stupido sedile. Ma ovviamente Spencer dovette spegnere la sua euforia.

<< E una volta lì che facciamo? >>

Appunto.

Era come chiedere da che parte cominciare a cercare e, come già detto, Arthur non ne aveva idea. Sperava che qualche idea brillante venisse proprio a lei. Si voltò verso Ted guardandolo speranzoso, il ragazzo in questione inarcò un sopracciglio come a chiedergli cosa volesse. Evidentemente, l’espressione del figlio di Ecate doveva valere più di mille parole, perché Ted roteò gli occhi proprio come faceva quando parlava.

<< Io non ne ho idea. >>

<< Neanche una piccola piccola? >> mormorò Arthur speranzoso.

<< Ti ho già detto di no >> Lo freddò lui. << però troveremo un modo. >>

<< Ovvero? >> sbottò John. << E se trovate quello sbagliato? E se- >>

<< John non cominciare >> ringhiò Micheal.

<< In ogni caso io non credo che ci lascino senza indicazioni >> intervenne Felicity. << Sicuramente troveremo qualcosa >>

<< Spero vivamente che tu abbia ragione >> sospirò Arthur, il labbro stretto tra i denti e le dita che tamburellavano sul ginocchio.

In poco tempo erano già arrivati, tuttavia il traffico newyorkese li rallentò notevolmente. Per Arthur la parte più difficile fu svegliare Ruby e Celestia, per Allistor invece fu affrontare il traffico senza far sbiancare le nocche sul volante. Dopo quasi sedici minuti bloccati lì, ad un certo punto il figlio di Nemesi sbottò: sterzò violentemente con il volante parcheggiando in un divieto di sosta a caso lì vicino, spense la macchina e uscì senza dire niente a nessuno, il volto scuro e scontroso. Tutti rimasero in religioso silenzio davanti a quella relazione, fino a che Amethyst non lo seguì aprendo il portellone e tessendo lodi alla sindrome premestruale maschile.

Arthur non si fece troppi problemi a seguirla subito dopo, e così fecero gli altri. Non era la prima volta che veniva a New York, ci era già stato quando era arrivato dall’Inghilterra, ormai tre anni fa. Ma se all’epoca era stato accolto da una grandezza devastante, vetrine luccicanti, edifici vertiginosi mai visti e un miscuglio ambiguo di smog e vari odori, adesso invece a dargli il benvenuto c’erano solo un barbone di passaggio, escrementi di cane e una cacofonia di clacson assordante che sapeva rivolta a loro. La manovra poco prudente di Allistor non era passata inosservata, ma dopotutto la multa finiva intestata ad Argo o Chirone, quindi non era un grosso problema. Il punto però rimaneva che, se all’epoca era stato incantato dalla Grande Mela, adesso le cose erano ben diverse. Certo, era ancora stupenda, una città che cercava di confondersi con il cielo, i passanti impegnati, i negozi e tutto… Solo che adesso ne vedeva anche i lati negativi. Una metropoli di quelle dimensioni e con così tanti abitanti era difficile da tenere pulita, crescere in quell’ambiente risultava alquanto stressante. E poi le pubblicità, non c’era nulla che Arthur odiasse di più e, a giudicare dalle facce di Rey e Ruby, neanche loro dovevano apprezzare.

<< Bella New York, eh? >> fece loro Arthur, ironico.

Ruby prese a camminare al seguito di Allistor, lanciando un’ultima disgustata occhiata verso l’escremento di cane. << Sì, splendida. >>

<< E a te non piace? >> chiese poi, rivolto a Rey.

Rey lo guardò, e non sembrava schifato, bensì spaesato. << Sembra… da una parte bellissima. Dall’altra l’accoglienza non è poi così bella >>

<< Non ci sei mai stato? >>

<< No… In realtà io neanche sono nato qui. Vengo dall’Italia, e quando io e mia madre ci siamo trasferiti qui negli USA siamo andati da parenti al sud. Non abbiamo preso in considerazione New York neanche per sbaglio >> ammise.

Arthur annuì. << Deve essere destabilizzante >>

Rey annuì, ma poi Arthur si rese conto che non era l’unico a non aver mai visto la Grande Mela. Sapeva che Amethyst era di Washington, perciò non si stupì molto di vederla mentre si guardava attorno con curiosità; Felicity invece si guardava intorno spaesata, un po’ come Rey, e Arthur doveva aspettarselo: la figlia di Dioniso aveva un accento marcato del sud, cosa che aveva notato subito pur essendo inglese. Dopotutto cambiavano alcuni termini ed inflessioni dal nord al sud degli USA. A detta di Ted e Ruby era una parlata del Texas, che si trovava per l’appunto in estremo sud; non riusciva ad identificare gli accenti di John, Katarzyna e Celestia, ma i loro sguardi erano pari a quelli di Rey e Felicity e non ci voleva certo un genio per capire che neanche loro conoscevano New York. E infine, nonostante cercassero di stare in testa al gruppo e di guidarli per arrivare davanti all’Empire State Building, era comunque chiaro che neanche Allistor e Spencer erano mai stati lì. Mentre lei fissava e studiava ogni singolo cartello stradale concentrata, Allistor esitava ogni due per tre ed aveva un accento scozzese così palese che gli veniva quasi da ridere.

Da parte sua, Arthur li ignorava e si limitava a seguire Ted e Micheal, gli unici che sembravano avere una vaga idea di dove dirigersi. Sapeva che Ted era di New York, ma non sapeva lo fosse anche Micheal. Quel pensiero lo portò a realizzare in pochi secondi quello a cui fin ora non aveva pensato: lui, proveniente da una piccola città inglese agli estremi margini del Regno Unito, si stava per avventurare in una caccia alla dea negli States, senza sapere un bel niente, né della dea, né degli States.

<< Shawn, Ted >> chiamò.

I due sopracitati si voltarono, e assunsero la stessa espressione seccata che decisamente non aumentò la voglia di partire di Arthur. << Ve la cavate in geografia? >>

Ruby lo guardò come se fosse un po’ scemo. << Ho viaggiato da Carefree a Long Island in autobus, treni e taxi. Non sono un cartografo, ma qualcosa sugli USA credo di saperla. >>

<< Io sì >> Liquidò Ted. << ma ti pare il momento di pensare alla geografia ora? >>

<< Potrebbe perdersi, che ne sai >> ribatté John che, se non altro, sembrava essersi calmato.

<< Caso mai sei tu che rischi di perderti… >> borbottò Ted.

Non avevano parcheggiato molto lontano, e infatti non ci misero troppo a giungere davanti all’Empire State Building. Ora, in estrema sincerità non si aspettava aerei pronti al decollo o un autista privato, anche se non gli sarebbe dispiaciuto, ma almeno qualcuno che desse loro qualche aiuto. Davanti all’edificio non c’era nessuno.

<< Splendido >> esordì Micheal. << ovviamente non c’è nessuno. Ma certo. >>

<< Perché non fai uno squillo al tuo paparino? >> Consigliò Allistor, guardando la cima dell’edificio.

<< Mi spiace, ho perso il numero >> replicò acido Micheal, aggiustandosi gli occhiali.

<< Quante storie fate >> Amethyst sospirò e, afferrando Felicity e Rey per il braccio si precipitò dentro a passo spedito.

Arthur, ansioso com’era di seguirla, fece la stessa cosa con Ruby ma all’entrata, invece di un normale discorso con la receptionist, si ritrovò di fronte alla concitata spiegazione di una ragazza dai capelli castani vestita con una giacca argentata e pantaloni mimetici che molto mimetici non erano, dato che anche questi erano argentati. Dai capelli ornati e intrecciati, Arthur non impiegò molto a capire che si trattava di Cacciatrice di Artemide ma…

<< Che ci fa una Cacciatrice di Artemide qui? >> chiese Ruby, dando voce ai suoi pensieri.

La Cacciatrice dovette averlo sentito, perché lo folgorò con un’occhiataccia lasciando perdere la sua non-molto-amichevole chiacchierata con Amethyst.

<< Sono qui per conto della mia Signora >> disse, sguardo fiero, testa alta.

<< Sì, grazie, questo era ovvio >> osservò Ruby.

Micheal arrivò accanto al figlio di Efesto proprio in quel momento, con John alle calcagna. << E la tua Signora sa qualcosa su quello che dobbiamo fare? >> aggiunse.

<< Non schernite >> avvertì lei.

<< Non abbiamo tempo per questo >> sbottò Spencer, ed Arthur sobbalzò, perché non si era reso conto che lei, Allistor e Ted erano entrati. << Cosa vuole fare Artemide? >>

<< E soprattutto >> aggiunse Arthur. << tu chi sei? >>

Non sapeva cosa avesse fatto di male, ma lo sguardo fulminante che ricevette in risposta gli fece pentire di averlo fatto. Qualunque cosa fosse.

<< Irene Silverwood >> rispose. << e mi è stata assegnata una missione dalla divina Artemide stessa. Porto un messaggio per voi: là dove il nostro peggior nemico stava. E’ lì che dovete andare. >>

<< Fantastico! >> sbottò Micheal. << un altro enigma! E’ così difficile dirci le cose chiaramente, una volta ogni tanto? >>

<< Non è un enigma, idiota >> Lo fermò Allistor. << è anche fin troppo chiaro in verità. E dovremmo arrivare in Grecia solo per Artemide? >>

Irene sembrava indignata. << Non parlare così di Artemide. E ad ogni modo, non è certo Gea il nemico più potente degli déi. >>

<< E allora chi, Urano? >> sospirò Spencer. << Mi fare fosse stato fatto a pezzi, quello lì >>

La Cacciatrice roteò gli occhi. << Non lui >>

<< E allora chi? >> domandò Felicity.

L’espressione di Irene si addolcì un po’, ma rimase grave mentre mormorava il nome che Arthur non avrebbe mai voluto sentire: << Tifone. >>

Poco ci mancò che a furia di stringere John spezzasse il braccio di Micheal.











 

Allistor


Allistor avrebbe preferito cento volte essere preso a pugni piuttosto che ricevere quella notizia. Come se Edipo, Persefone e Demetra non fossero già abbastanza, adesso dovevano pensare pure a Tifone. E come si combatteva un nemico di quel calibro? Come combattere non Tifone ma un tifone? Si era perso la parte in cui I Sette avevano passato a loro il testimone. Per fortuna c’era Ted per esprimere a parole quello che lui voleva fare con la spada.

<< Tifone? >> ripeté. << Spero tu stia scherzando. Siamo una massa di idioti e persecutori di Nutella andati a male, come puoi pretendere che ci liberiamo di Tifone? >>

<< Ma… Tifone non era finito nel Tartaro? >> chiese Felicity, confusa.

Irene sorrise a Felicity, intenerita. Evidentemente provava per la figlia di Dioniso una naturale simpatia. Ma ad Allistor non importava: finché aveva donne con lui, le Cacciatrici non erano un problema.

<< E infatti hai ragione >> disse lei. << Tifone non è ancora risorto. Ma evidentemente qualcuno usa la sua vecchia prigione, Mont S. Helen, per tenerci qualcosa, forse Persefone, e Artemide al momento è impossibilitata ad andarci. >>

Conosceva quella ragazza da due minuti e già aveva voglia di prenderla a schiaffi. Non c’era una frase che avesse reso chiara fin ora, tra lei e gli déi c’era ben poca differenza. Ma c’era altro ad aver messo la pulce nell’orecchio al figlio di Nemesi.

<< Hai detto che hai una missione >> iniziò. << di che si tratta? Ha a che vedere con noi? >>

<< Non con voi >> fece la Cacciatrice. << ma con lei >>

E qui indicò Katarzyna, la quale indietreggiò, presa alla sprovvista. E Allistor avrebbe voluto sbattere la testa al muro. Katarzyna, anche se era figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi, era forse il membro più utile della squadra, e parlava anche poco, non era irritante. Davvero volevano portare via la loro migliore risorsa? Nossignore, non senza una ragione convincente.

<< E perché dovrebbe? >> chiese, avanzando un passo minaccioso verso di lei.

Spencer lo fulminò, Allistor la ignorò. Amethyst, invece, comincio a fare il tifo. Inutile dire che tifava per Irene.

<< A te non devo nessuna spiegazione. >>

Allistor avrebbe pure risposto, se Spencer non lo avesse fermato alzando un braccio e, riflettendoci, aveva senso. Per quanto Spencer non fosse esattamente la quinta essenza della simpatia, era una donna.

<< Quello che il mio amico intendeva dire >> iniziò a spiegare la figlia di Ares, con tono misurato, << è che Katarzyna è un membro utile alla squadra. Ha dei poteri che potrebbero aiutarci moltissimo. >>

<< Proprio perché è utile ho bisogno che venga con me >> ribatté Irene. << la mia missione è segreta, non posso dirvela, ma sappiate solo che è inerente alla vostra. >>

<< Inerente? >> ripeté Micheal, scettico. << E credi che ci basti “inerente” ? >>

<< Ripeto: a voi non devo nulla, è a lei che spetta decidere. >>

E allora tutti si volarono verso la figlia di Ade, la quale, sentendosi al centro dell’attenzione, deglutì e si guardò attorno. Sinceramente, Allistor aveva dato per scontato che Katarzyna fosse d’accordo con loro. Solo in quel momento si era reso conto del suo religioso silenzio nella situazione che la riguardava a pieno titolo.

<< Io… >> Esitò, e questo fu abbastanza per Allistor. Lei aveva già deciso.

Fortunatamente, anche Celestia lo capì, perché posò delicatamente una mano sul braccio di Katarzyna: << Devi fare quello che senti di dover fare >> mormorò.

<< O anche quello che è logico >> borbottò Ted, sarcastico. << a te la scelta, insomma >>

<< Aspetta, aspetta: fermi tutti! >> Amethyst fermò le mani a mezz’aria, nonostante non si stesse muovendo nessuno. Allistor roteò gli occhi istintivamente, mentre lei puntò il dito contro la figlia di Ade: << Tu voi andare con lei >> E qui indicò Irene. << senza sapere nulla su chi è o cosa dovresti fare? >>

<< Sintesi migliore non poteva starci. Grazie per esserci, Amy >> sorrise Arthur, che fu ricompensato con un inchino teatrale da parte della figlia di Eros.

<< Fammi indovinare >> provò Ruby. << Te l’ha detto la voce portata dal vento >>

Katarzyna sembrò quasi offesa per un attimo, ma non si perse d’animo. << Io… no. Solo… è una sensazione. Ma devo parlare con Irene in privato, datemi solo un attimo… >>

Ma certo, tutto il tempo che vuoi.

Prima il van che si ribaltava, l’esistenza di Amethyst, il traffico, l’esistenza di Amethyst, poi una Cacciatrice mestruata, l’esistenza di Amethyst, e come colpo di grazia, Katarzyna voleva tempo. Cosa di cui erano già a corto. Ovviamente, perché no? Senza contare che la sua prima visita a New York era stata orrenda. Tutti la descrivevano come stupenda, eppure Allistor di stupendo non ci aveva visto un bel niente. Le pubblicità erano talmente onnipresenti che ormai non riusciva più a scrollarsi dalla testa la canzone di sottofondo alla pubblicità della Coca Cola. Gli edifici li sovrastavano ovunque andassero, era quasi soffocante, per non parlare del fatto che era un oltraggio alla natura. Se c’era una cosa a cui il figlio di Nemesi teneva, quella era proprio la natura, e quella città aveva fatto piazza pulita. Central Park a confronto di ciò che c’era stato era una barzelletta, ed era un miracolo ci fossero serre ancora vive. I suoi polmoni soffrivano, lo smog era talmente denso che faceva fatica a respirare, l’odore delle fogne era sconcertante, i suoi timpani rimbombavano del suono dei clacson. Era un vero attentato all’ecosistema, e questo non faceva che metterlo di cattivo umore. Il fatto, poi, che ormai Katarzyna era fuori da ben cinque minuti con Irene, e che Rey, John più Arthur nel mentre cercavano in ogni modo di convincere quella cocciuta segretaria di essere semidei greci, non aiutavano di certo. Avrebbe voluto bestemmiare in sette lingue diverse, peccato ne conoscesse solo due. E sapete qual era la parte peggiore di tutto questo? Ovviamente, l’esistenza di Amethyst.

<< Chi va al Mount S. Helen? >> La domanda di Spencer gli arrivò all’improvviso praticamente in un orecchio.

Se non fosse stato irritato, si sarebbe pure spaventato. Ma siccome lo era, si limitò a guardarla come se avesse chiesto la cosa più stupida del mondo. << Jennings, Smith e Shawn. Pensavo fosse ovvio. >>

Lei inarcò un sopracciglio: << Sei sicuro? >>

<< La profezia, per una volta da quando i Pezzi Grossi hanno fatto il patto, è chiara: a loro Persefone, a voi Demetra e a noi Edipo. Non c’è molto da contestare. >>

<< Era compresa anche la McGallin, eppure adesso prende e parte. >>

<< E’ una profezia, Parrish. In un modo o nell’altro e indipendentemente da come la mettete, finirà in una e una sola maniera, e sarà quella prevista. >>

Spencer non rispose, si limitò a sospirare e a distogliere lo sguardo, riflessiva. Allistor non ci aveva impiegato molto a capire che probabilmente lui era l’unico che la figlia di Ares ritenesse all’altezza di prendere le redini della situazione, ma francamente poco gli importava. Spencer era molto selettiva, e se ciò significava che avrebbe dovuto sentirsi onorato… beh, non era così. Si alzò dal pavimento lucido su cui era seduto, pareva alquanto strano che non ci fosse nessuno, ma dopotutto non erano neanche le sette. Forse avrebbe dovuto aspettarselo.

Finalmente Katarzyna e Irene li degnarono del loro ritorno, e l’espressione della figlia di Ade, fin ora incerta, adesso era risoluta e decisa. Come aveva sospettato, Katarzyna aveva già fatto la sua scelta.

<< Vediamo se lo so! >> esclamò Micheal, scattando subito in piedi e indicandole: << Parti >>

Lei annuì. << Sento che è giusto così, mi ha spiegato come stanno le cose e ho questa sensazione, questo presentimento… >>

<< Ovviamente >> Ruby roteò gli occhi. << allora buona fortuna, Medium, tanto nella Bibbia i santi vincono sempre, giusto? >>

L’unica davvero ben disposta verso di lei sembrava Celestia. La figlia di Eos infatti, dopo i primi secondi di esitazione, si avvicinò a passo moderato alla figlia di Ade. Era, ovviamente, preoccupata di lasciar andare via la sua amica con una sconosciuta. Dopotutto erano ancora nel bel mezzo di una missione sucida, ed erano tutti semidei. Artemide o meno, Allistor dubitava che quelle due avrebbero avuto le guardie del corpo, e i limiti di lupi bianchi erano facilmente superabili.

<< Buona fortuna >> esordì la più piccola, sorridendole; poi le donò una dracma d’oro, e con essa un fermaglio color arcobaleno. << Il fermaglio è il mio porta fortuna, ti aiuterà. E’ un regalo di mio padre, non me ne sono mai separata ed è andata bene. Spero che con te valga la stessa cosa. E per quel che riguarda la dracma… beh, chiamami ogni tanto, okay? E vedi di tornare viva, altrimenti me la prendo. E sai come sono quando me la prendo. Ma a parte tutto… Io sono con te, sempre. Lo sai. >>

Katarzyna per un istante la guardò stupita e poi, contro ogni suo principio da sono-dark-e-non-ho-voglia-di-vivere abbracciò di slancio la figlia di Eos. << Grazie… >> mormorò. << significa molto per me. Mi mancherai. >>

Allistor roteò gli occhi, non ci poteva essere scena più melensa di quella. Neanche dovessero partire per la guerra. Non ci voleva molto a capire che quello della McGallin era stato un momento di vulnerabilità improvviso, ma adesso non era un po’ troppo? O, almeno a lui, pareva comunque esagerato. Poi se Katarzyna era solita a questi slanci di affetto allora buon per lei. Ma avrebbe preferito evitassero davanti a lui.

Inaspettatamente, il momentaneo silenzio fu riempito dallo squittio di Amethyst, che riempì la sala. << Lo vede?! Lo vede che avevo ragione?! C’è sempre stato. Quello è lì per noi, e sono certa che c’è da un bel pezzo, non possiamo certo perdere tempo a chiacchierare! Abbiamo un mondo da salvare, noi. Non come lei che neanche sa ricevere un pacco per gli déi! >>

Ora, Allistor non aveva idea di cosa stesse parlando, ma di certo sapeva che non aveva intenzione di sentire la voce della figlia di Eros per un secondo di più. Si voltò per andare a prendere il famoso pacco, solo per scoprire che lo stava aprendo Rey. Non era neanche un pacco, era una scatola, di medie dimensioni. Si avvicinò proprio nel momento in cui veniva aperta, coprendo la visuale di John per sbirciarne il contenuto: c’erano quattro biglietti aerei, due cartine, contanti mortali, nettare, ambrosia, qualche attrezzatura medica e…

<< Una spiga di grano? >> domandò accigliata Felicity, prendendola in mano. << E che ci dovremmo fare, con una spiga di grano? >>

<< Magari una bussola? >> propose John, sbucando al fianco di Allistor.

<< Non ne ho idea >> La voce di Spencer era piatta, evidentemente non era contenta dell’aiutino degli déi. << ma deve avere una funzione. >>

<< Dici? >> fece sarcastica Amethyst. << Ma grazie, non ci sarei mai arrivata da sola! Fortuna che abbiamo l’unica con un cervello qui tra noi! >>

<< Non è adesso il momento >> Intervenne Ted, poi afferrò i biglietti e li lesse: << Sono per Lone Pine, il volo parte alle otto e dieci >> Li porse a Rey, lì accanto. << credo che questi siano per voi. >>

<< Lone Pine è vicino al Mount Whitney, ai confini della California >> disse Ruby. << quindi direi che possiamo escludere l’Alaska, almeno per il momento. >>

<< E noi che ci combiniamo con una spiga di grano? >> ripeté Felicity.

<< Questo sta a voi >> esclamò Micheal pratico, rubando i biglietti dalle mani del figlio di Efesto. << noi intanto abbiamo già la nostra strada. >>

<< A meno che non moriamo durante il viaggio… magari l’aereo precipita, o c’è un attentato e… >> mormorò John.

<< Non possiamo morire >> rispose Allistor. << abbiamo il figlio del boss, qui >> E indicò Micheal con il pollice.

Il figlio di Zeus fece cenno a un saluto militare distrattamente, mentre studiava i biglietti come se cercasse di scoprire la fregatura. << Sì. Volo sicuro garantito e, in caso vada male, io so volare. >>

<< Ma io no! >> piagnucolò il figlio di Afrodite.

Allistor solo in quel momento realizzò che John sarebbe venuto con loro. John Greenwood. E Rey. E Micheal. Quest’ultimo, forse perché figlio di Zeus, gli stava più antipatico, ma sapeva che era certamente un soggetto migliore rispetto agli altri due: insomma, uno era un figlio di Efesto che non sapeva come controllare due fiammelle, e l’altro… beh, era John. E la parte peggiore era che Ted, l’unico che avrebbe voluto con fervore, non sarebbe venuto, e quindi il figlio di Afrodite era completamente vulnerabile ed esposto. Era come viaggiare con una Barbie di cristallo parlante e lamentosa. Già prometteva molto, ma molto male.

<< E noi come ci dovremmo arrivare a Mount. S. Helen? Con polvere di fata e pensieri felici? >> sospirò Ted.

<< E’ un’idea >> propose Arthur, venendo ignorato.

<< Almeno tu lo sai dove devi arrivare >> borbottò Spencer, aprendo una cartina. Vedendola però, aggrottò la fronte e la consegnò a Ted. << credo che questa sia vostra. Ovviamente a noi niente che una spiga di grano, rimanendo in tema di giustizia divina. >>

Ad Allistor, sinceramente, non pareva logica questa suddivisione di sessi. Perché le ragazze da un lato e i ragazzi da un altro? Perché le ragazze facevano numero e i ragazzi erano divisi in due gruppi? A che pro? E, soprattutto, perché le cose sembravano così stupidamente facili? Mentre I Sette avevano scoperto i luoghi in cui fermarsi a poco a poco, loro avevano le mete già cristalline. Era troppo facile, sebbene definire “facile” l’avventurarsi sul Mount Whitney non fosse la cosa migliore. Tuttavia, per un semidio, sì, le cose erano decisamente troppo facili. Quasi si aspettava una trappola da un momento all’altro.

Dopotutto le uniche a dover fare una ricerca erano le ragazze. A Ted, Arthur e Ruby sarebbe bastato dare un’occhiata alla tabella dell’autobus, o dei treni o ancora degli aerei; anche se nelle condizioni in cui si trovava Ted, per via del suo genitore divino, forse era meglio rimanere con i piedi per terra. Tutto questo non gli piaceva neanche un po’, e non sembrava essere l’unico a pensarla così. Che le cose gli piacessero o no, però, non aveva importanza. Dovevano risolvere questa cosa, e dovevano farlo subito. Adesso che erano in forma era il momento migliore.

<< Che ore sono? >>

<< Le sette e un quarto >> rispose Celestia.

Si voltò verso Micheal, che sembrava conoscere bene New York. << Qual è l’aeroporto più vicino? >>

<< JFK. >>

<< Quanto ci vuole da qui? >>

<< Uhm… approssimativamente? Direi una mezz’ora. Forse. Non saprei, sono stato all’aeroporto solo una volta, e non avevo l’orologio. >>

<< E se prendiamo l’autobus? >> propose Rey.

Micheal scosse la testa. << Con il traffico che c’è a New York ci metteremmo solo più tempo. >>

<< Vi conviene la metro, la linea E >> aggiunse Ted. << solo che dovrete fare un po’ di soste. Ci metterete in tutto almeno una ventina di minuti in totale, forse più. Dipende dal ritardo. Arrivate a Jamaica Station, poi dovete prendere l’AirTrain, il resto ve la vedete da soli >>

Allistor annuì, arraffò un po’ di roba dalla scatola infilandola dentro uno zaino, e Rey, Micheal più un’esitante John lo imitavano. Spencer però non sembrava contenta.

<< Volete partire adesso? Ma noi- >>

<< Voi avete un ruolo, noi un altro. >> La freddò lui.

<< Ma- >>

A rispondere, stavolta, fu Micheal: << Senti, le metro qui fanno quasi sempre ritardo e non possiamo perdere il volo. Tra le altre cose, siete persone intelligenti. Sono certo che ci arriverete, non servono certo dodici teste per fare una semplice addizione, giusto? >>

E Allistor fu piuttosto stupito nel vedere la sua decisione in quel discorso alquanto inaspettato. Fece cenno di saluto agli altri.

<< Dobbiamo tenerci in contatto >> disse.

<< Sì papà! >> Lo prese in giro Amethyst. << ora sparisci! Ti terremo informato! >>

Lui roteò gli occhi e seguì Micheal fuori dall’edificio. Fu così che tutto ebbe inizio.


















 
Angolo Autrice
Ehilà! Eccomi qui. I'm back. So di esservi mancata u.u
Scusate il ritardo ma, sapete. fa chrame (?).
No sul serio, mi spiace.. sto facendo il possibile.
E vi giuro che mi impegnerò di più u.u
Ah e, ancora, scusatemi davvero, con il cuore in mano,
se non ho risposto alle recensioni, ma non ho il tempo materiale c_c
Specie di lavorare con i computer.
Ma sappiate che le ho lette tutte e non posso che ringraziarvi.
Spero solo che non abbandoniate.
Ora, parliamo del capitolo:
non è granché, lo so. Anzi, fa schifo. Ma almeno c'è ^^"
Avevo promesso azione e niente, ma le cose si sono rallentate.
Posso però dirvi con certezza che non sarà una storia lunghissima.
Dubito che andrà oltre, uhm. I trenta, forse? Ma è  comunque approssimativo.
Siamo partiti: Allistor, Micheal , Rey e John stanno già andando,
Ted, Arthur e Ruby devono solo organizzarsi e le ragazze... beh, non hanno che da capire.
Ho descritto gli impatti con New York per rendere un'idea maggiore degli OC,
ah e, per quel che riguarda i tempi, sono andanta in modo molto approssiamtivo.
Non sono mai stata a New York, ma ho internet!
E Google Maps, che è uno stronzo, è diventato il mio nuovo collaboratore.
Quindi siamo in due a scrivere!
Adesso vi lascio, spero che recensiate, cercherò di rispondere!
Al prossimo capitolo con Amethyst e *********.
Scusate, ma sarà una sorpresina :3
Adieu



Baci
Konan
▒ 

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