Walking on Sunshine

di _Corin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oh my Doctor ***
Capitolo 2: *** Lost in Lotus ***
Capitolo 3: *** Istant Coffee ***
Capitolo 4: *** Ice and Sugar ***
Capitolo 5: *** Sposerò Gustav Le Bon ***



Capitolo 1
*** Oh my Doctor ***


Oh My Doctor

 

 

NdA: Missing moment qualsiasi di un qualsiasi giorno in cui Will e Nico sono semplicemente tanto carini e felici (e il mondo non rischia di implodere da un momento all’altro, anche se Leo ci sta lavorando).

In cui Nico è ammalato e Will è il suo dottore (ma rischia di essere davvero poco professionale, quando si tratta di lui). Tanto fluff, tanto amore, tanti germi.

 

 

 

«Etciù!»

«Salute».

Will sfila il termometro dalla bocca imbronciata di Nico con un sorriso intenerito.

«Io non sono affatto ammalato» ribadisce ancora una volta il ragazzo, cercando di imprimere nelle sue parole quanta più convinzione riesce a racimolare. Peccato che esca qualcosa di molto simile a “io non sodo – etciù! - affaddo ammalado”.

«Be’, il termometro dice il contrario.»

Nico si alza di scatto dal lettino dell’infermeria, con l’espressione adorabilmente confusa. «Cosa? Non è vero!»

Riesce a dire prima che Will lo rispinga a sdraiarsi. «Voglio vedere! Non può assolutamente essere vero!»

«Giù, stai giù Nico; non le vuoi le pastiglie, dico bene?»

Nico ha una sensazione di dejà vu, e per un attimo è Bianca a tenerlo ancorato alle coperte, ferma e apprensiva. Poi è Maria di Angelo. Quando torna a essere quello di Will, il volto che lo guarda preoccupato, chiude gli occhi con un sospiro.

«Stai bene?» gli domanda il ragazzo, passandogli una mano sulla fronte e una sul polso, due carezze che hanno l’intento di sincerarsi della sua temperatura e del suo battito.

«Benissimo. Se controlli il termometro…»

«Sono piuttosto sicuro che tu non abbia una temperatura corporea di dodici gradi, ghiacciolino mio» Nico socchiude gli occhi quando Will gli passa le mani fra i capelli e lo fissa attraverso le ciglia. «E so anche che non sai di, uhm, tè al limone?»

Nico sa che dovrebbe essere imbarazzato, forse anche schifato, perché Will ha appena posato le labbra dove prima c’erano le sue, e anche perché Will conosce il suo sapore meglio di quello del tè al limone.

Invece dice solo: «Attento, potresti prenderti i miei germi».

Will gli rivolge un sorriso di quelli che fanno luce. «Ecco, lo sapevo, lo hai ammesso, sei malato. Come tuo dottore, prescrivo una settimana in infermeria sotto il mio vigile sguardo».

Nico sbuffa, il calore corporeo che sale di un altro po’ – forse è la febbre, forse l’imbarazzo, forse solo il sorriso di sole di Will.

«Come se cambiasse qualcosa dal solito» borbotta, ma in realtà è felice e basta – quando ha la testa che pesa il triplo del normale può ammetterlo, perlomeno a se stesso.

Will si sdraia accanto a lui con il sorriso ancora stampato sulle labbra. Will è bollente – la sua normale temperatura, come se il sole gli scorresse nelle vene – ma non come Nico – che fra l’altro si sente avvampare, ancora di più, e forse prenderà fuoco.

Il lettino è troppo piccolo per entrambi, ma non gli dispiace. In realtà, gli piace da impazzire.

Sbuffa – qualcosa tipo “dovrei riposare, io”, ma non ci crede nessuno dei due – e poi Will lo bacia.

«Non dovresti, davvero, ti passerò qualcosa».

Will sogghigna malandrino – Nico non lo può vedere, ma sente le labbra che si curvano contro le sue.

«Sono il tuo dottore. Lasciami fare».

 

Una settimana dopo, Nico è stato dimesso e Will si trova nella casa numero tredici, a fissare il soffitto di ossidiana, affondato fra le coltri color sangue di un letto inquietantemente morbido – è sicuro che potrebbe sprofondarci e sparire, ma forse sono solo i pensieri annebbiati.

«Io non sono assolutamente malato. Assolutamente. Devo andare in infermeria, Paolo si è slogato una caviglia».

«In realtà entrambe».

«Devo andare in infermeria».

Nico lo fissa un paio di secondi, prima di fargli cenno con la mano verso la porta. «Vai».

Will si mette in piedi con convinzione, ma la testa gli gira e in due secondi la sua faccia è nuovamente affondata nel cuscino di Nico.

«Okay, forse sto male».

Nico gli porge il termometro – quello che è misteriosamente scomparso dall’infermeria due giorni prima.

«Grazie al cielo ho gli anticorpi».

 

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Capitolo 2
*** Lost in Lotus ***


Lost in Lotus

 

What if…? In cui Nico e Bianca rimangono all'Hotel Lotus fino alla fine della guerra. Will è il fortunato prescelto per recuperarli (con tutto ciò che ne consegue).

 

Will si china ad aiutare il bambino con le sue carte. Quando gli porge un mazzo sottile, Nico gli rivolge uno stentato “grazie” che quasi suona stonato, nella sua bocca, perché l’ultima volta che ha parlato è stato forse un anno prima, un’imprecazione in italiano, quando quel tizio vestito da pirata ha barato a Mitomagia. Per quanto gli piacciano i pirati, gli piace di più vincere (e anche imprecare senza che sua madre lo minacci di pulirgli la bocca con il sapone).

Alza gli occhi verso il mazzo che il ragazzo gli sta porgendo e si ritrova di fronte ad Apollo, miniaturizzato ad una decina di centimetri e inglobato nel bordo d’oro lucente della carta. E poi c’è anche Apollo, ma a grandezza naturale – e con una maglia arancione stropicciata dove la carta lo raffigura mezzo nudo.

«Tu… tu sei…?» balbetta Nico mentre esamina attentamente il giovane davanti a lui, con gli occhi sbarrati.

«Nico di Angelo?» gli chiede il ragazzo. Nico chiude la bocca – non si era nemmeno accorto di averla lasciata aperta, e sente sua madre che lo rimprovera con un “chiudi la bocca che entrano le mosche”, anche se sua madre non c’è.

Si limita ad annuire, dopo un breve dubbio; sì, lui è Nico.

«Ti stavo cercando, sai?» chiede il ragazzo, e a Nico sembra che la carta di Apollo continui a fissarlo, sul palmo del ragazzo, in mezzo a loro. Inspiegabilmente, avvampa al pensiero che Apollo possa cercare proprio lui.

«Ti stiamo cercando tutti, da un bel pezzo. Sai dov’è-»

«Tu sei Apollo?» chiede Nico, senza riuscire a trattenersi.

Questa volta è il turno del ragazzo di rimanere sorpreso, con tanto di bocca aperta. Lo scruta un attimo, prima di fare un cenno di diniego. «No, non sono Apollo».

Nico contrae le labbra, deluso. «Però… ecco, lui è mio padre» si affretta a specificare il ragazzo. Ora che lo guarda attentamente, Nico può vedere che è più sottile di Apollo, più giovane, e persino nel minuscolo disegno il volto del Dio appare meno dolce. Decide che gli va bene lo stesso, anche se non è Apollo e non ha la mossa speciale.

«Tu lo sai chi è tuo padre?»

Nico aggrotta le sopracciglia, e per un secondo può vedere il volto di un uomo, con i capelli scuri e l’espressione seria, ma sparisce subito dopo. Non ha una risposta, ma sa che dovrebbe sapere chi è suo padre. Il ragazzo lo sa.

«Non dovrei parlare con gli sconosciuti» decide di dirgli, e Apollo scompare nella metà del mazzo. Si allontana di due passi prima che il ragazzo lo fermi.

«Lasciami stare, o chiamo la sicurezza»

«No, Nico, aspetta» inizia Will, ma quando Nico aspetta davvero, senza fare storie, non sa come finire la frase.

«Devi venire via da qui».

Nico inizia a scuotere la testa. Assolutamente no, ha una partita di Mitomagia in sospeso con un pirata, e sua sorella…

Il tocco di Will è caldo, oltre il tessuto leggero della camiciola in lino, e il suo sguardo sembra spaventato. «Devi venire via di qui. Tu e tua sorella, Bianca. Vostro padre vi sta cercando, Nico».

Will è consapevole di dire una bugia, sa che probabilmente al padre di Nico non importerà davvero granché di lui, e forse non è nemmeno un lato negativo, ma deve portarlo fuori di lì. L’importanza di uscire si riaccende viva, dopo un giorno nel Lotus.

La stessa scintilla sembra svegliarsi anche negli occhi neri di Nico, che si ritrova ad annuire senza sapere bene il perché.

«Comunque io sono Will Solace. Piacere di conoscerti, Nico di Angelo».

 

 

Non c’è molto da fare, al Campo Mezzosangue, da quando Bianca si è unita alle cacciatrici, ma Nico trova piuttosto piacevole guardare Will. Will che mangia con i suoi compagni, Will che medica Clarisse, Will che ride e che prova a parare un colpo con la spada (e fallisce, ma Nico non ci pensa mai davvero).

È consapevole del fatto che Will non lo guarderà come fa lui – e tu come lo guardi? Gli chiede una vocina maligna nella sua testa, ma Nico preferisce non rispondere – e sa che Will sorride a tutti, aiuta tutti, lui non è affatto più speciale di Sherman o di Lou Ellen. Lo stesso, però, non riesce impedire al suo cuore di battere un po’ più forte quando lo vede, quando gli sorride e da qualche parte sorge il sole – Will è il sole, Will è luce e calore e tutto ciò che Nico non è.

 

Will lo sta medicando. “Niente più viaggi nell’ombra, per te”, borbotta. “Se continui così ti farai male” e intanto gli passa una briciola d’ambrosia e un cubetto di cioccolato, quanto gli serve per rimettersi in forze.

Nico sa che è quello che fa, lavorare in infermeria e occuparsi delle persone, ma si sente un pochino importante, come se Will si stesse davvero preoccupando per lui, come se gli importasse.

Will è troppo grande, è troppo bello, è troppo buono. Nico non può guardarlo senza smettere di pensare che vorrebbe fiondarsi sulle sue labbra, e non può pensarci senza che si senta un po’ male e un po’ in colpa.

Le parole di Eros lo stuzzicano di continuo, sempre più fastidiose e vere.

Mentre l’ambrosia si scioglie sul suo palato con il sapore delle arance e dell’estate, Nico considera il pensiero. Quello che gli fa venire l’amaro in bocca e che lo pungola di notte, quando cerca di dormire. Ammissione di colpe, direbbe lui. Una figlia di Afrodite preferirebbe dichiarazione, probabilmente.

Dà un’occhiata a Will che sta risistemando l’ambrosia in un mobiletto, poi ingoia la cioccolata, per prendere coraggio.

«Will» dice, ma sembra più un pigolio.

Il ragazzo si gira verso di lui, gli occhi azzurri carichi di preoccupazione.

«Stai bene?»

Nico annuisce velocemente. Coraggio, su. Come gli eroi.

«Non è questo».

Will non fa un cenno per dargli fretta, alza gli occhi e aspetta. Nico ingoia il nulla. Coraggio.

«È che mi piaci, Will».

Will ci mette un paio di secondi prima di metabolizzare le sue parole, e apre la bocca in un’espressione stupita, come quando Nico gli ha detto il suo nome per la prima volta, come ha fatto Nico quando l’ha visto per la prima volta. Chiudila, o ci entreranno le mosche. Il pensiero di sua madre quasi lo fa scoppiare a ridere, quindi Nico si trattiene e prende un respiro profondo, per continuare a parlare.

«Non è che significhi che tu debba sentirti in qualche modo in dovere verso di me, lo so anche io che non va bene. Ma mi sembrava giusto che tu lo sapessi, ecco».

Nella mente di Nico si forma l’immagine di Will, una settimana prima, che si spoglia davanti a lui dopo un intenso quanto fallimentare tentativo di imparare a usare la spada. Avvampa.

Will continua a guardarlo, stupito, e Nico sa che probabilmente non gli parlerà mai più.

Si alza dal lettino dell’infermeria e ondeggia leggermente, prima di riuscire a stare in piedi senza svenire. Ottimo. «Grazie dell’aiuto, Will».

Non riesce a guardarlo negli occhi. Si affretta verso l’uscita, stringendosi nel tessuto sottile della maglietta nera come a cercarci un qualche conforto. Non lo trova.

La pelle di Will è calda, quando lo afferra, come una vita prima, e brucia attraverso il tessuto, in modo del tutto differente.

«No, Nico, aspetta».

E Nico si ferma.

«Aspetta. Non andartene. Va bene, ecco. Certo che va bene. Benissimo. Ero solo sorpreso».

Allo sguardo confuso di Nico continua. «Non pensavo che saresti stato tu a dirlo. Be’, io muoio dalla voglia di baciarti. Ora. In realtà tutto il tempo. Perciò ora ti bacio, e sarebbe meglio che tu non te ne andassi».

E lo bacia. Davvero.

L’ultimo pensiero sensato di Nico è che, d’ora in poi, la sua ambrosia avrà per sempre il sapore di Will Solace.

 

NdA: probabilmente Nico è OOC, lo so. Facciamo finta che sia una qualche conseguenza della trama e vi regalo un biscottino, ok? Azzurro.

 

 

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Capitolo 3
*** Istant Coffee ***


Istant coffee

 

Cosa piccola e sciocca in cui Nico vede demoni ovunque, Percy parla con le sirene del gabinetto, i loro amici sono degli impiccioni e il dirimpettaio ha degli ottimi gusti.

 

-Credo che il nostro dirimpettaio sia un demone.

Percy si volta verso Nico, che è appena entrato e ha sganciato il collare della signora O’Leary. Il cane gli corre incontro a slinguazzargli la faccia. Percy non si scompone. -Come lo era anche il venditore porta a porta?

Nico fa un cenno di diniego con la mano. Sono coinquilini e probabilmente a un coinquilino normale Nico non parlerebbe di demoni, anche perché in genere gli danno del pazzo quando lo fa – anche se poi lo pagano sempre, perché chieda ad una qualche defunta prozia dove ha nascosto l’oro. D’altra parte, Percy sostiene fermamente di avere delle accese discussioni con una sirena, ogni tanto, in bagno. Hanno imparato a non mostrare sorpresa, qualsiasi cosa l’altro dica – e Nico ha anche imparato a non usare il suo bagno di venerdì mattina.

-Oh, no, lui lo è davvero. Hai visto come sorride?

Percy corruga le sopracciglia, confuso. -Non credo che le persone che sorridono molto siano demoni, Nico. Forse dovresti considerare l’ipotesi che…

-Oh no, lui sorride decisamente troppo. E mi ha aperto la porta! C’è qualcosa che non va- gli dice mentre sparisce in cucina.

Un sorriso stupido si forma sulla faccia di Percy, che ringrazia ogni divinità conosciuta perché Nico non lo può vedere digitare la notizia sul gruppo di Whatsapp.

-Non potrebbe essere che…

-Dov’è il mio caffè, Percy?

-Oh, nel mobile, quello in alto… sì, beh, non è colpa mia se tu sei basso.

La faccia imbronciata di Nico si affaccia oltre la porta. -Questo non è caffè, Percy.

-Invece sì, ne sono sicuro. C’è scritto.

-No. È solubile- e la parola solubile suona come un insulto sulle sue labbra.

-È quello che vendono al supermercato.

-Eppure te l’ho detto, che quello solubile non va bene.

Percy non trova risposta più adatta che lo stringersi nelle spalle con aria vagamente ebete.

-Allora credo che in mancanza di altro mangerò uno di questi biscotti blu, o forse tutti… oh, no che schifo, sono dolcissimi.

Percy sospira, fintamente esausto. -Due minuti e vado a comprarlo.

Non gli dice che Annabeth lo ha appena raggiunto sotto casa, e non solo perché il principale argomento di conversazione sarà il dirimpettaio-demone. Piuttosto per gli argomenti che esulano la conversazione -  anche se Nico li ha sorpresi a pomiciare sul divano un infinito numero di volte.

Nico lo sorprende, mentre gli passa davanti e ha ancora il vecchissimo e consunto giaccone da aviatore addosso.

-Non ce n’è bisogno. Il dirimpettaio mi ha invitato a prendere un caffè insieme a lui, se mi andava.

-E a te va?

Nico non risponde di sì. Il fatto è che non risponde nemmeno di no con quella piega che le sue labbra assumono quando qualcosa non è di suo gradimento, e quando, dopo un attimo di confusione, si affretta a negare, è passato un attimo di troppo. Percy lo ha notato.

-Piper ne sarà felicissima, e credo che Connor mi debba venti dollari, a questo punto…

-Non dire sciocchezze, Percy. Voglio solo assicurarmi che non sia un demone.

 

Quando Nico rientra, alcune ore dopo, il soggiorno è molto più luminoso e affollato di come l’ha lasciato. La sua speranza di sgusciare via nel buio della sua camera è vanificata da Hazel, che gli si aggrappa ad un braccio prima che lui possa accorgersene.

-Allora, come è andata?

-Lo hai ucciso?

-Io l’ho visto, è quello con i ricci biondi, vero? È davvero carino!

-È un demone?

La folla lo attira sul sovraffollato divano, dove qualcuno ha messo in pausa Troy sulla faccia di Brad Pitt.

-Non è un demone- dice solo, e nessuno comprende bene quello che ha detto, tranne Percy, che sorride compiaciuto.

-Cosa?

-Non è affatto un demone. Siamo passati davanti a Starbucks e lui no, mi ha portato in un vero caffè, e ho bevuto del vero caffè. Non può essere un demone.

-Allora dobbiamo conoscerlo!

 

NdA: C’è troppo poco Will e potrebbe essere OOC, ma io voglio lo stesso tanto bene a questa cosetta.

 

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Capitolo 4
*** Ice and Sugar ***


Ice and sugar

 

 

Modern!AU non meglio specificata in cui sorprendentemente non ci sono morti o feriti o iceberg, solo molto zucchero.

Con la partecipazione speciale di Celine Dion.

 

 

 

È il telefono che squilla a svegliare Nico. Non sta davvero dormendo, perché quando dorme i pensieri lo pungolano con più insistenza e non riesce a scacciare il viso di Bianca. Fissa il soffitto dipinto di nero, semplicemente.

Per un secondo pensa di non rispondere, ma poi si rimprovera; l’ultima volta che qualcuno ha chiamato e lui non ha risposto, era l’ospedale che lo avvisava che sua sorella era stata ricoverata. Si allunga verso il cellulare e le ossa gli scricchiolano. Il numero sullo schermo non è quello di Hazel o di Percy, come si era aspettato. Sconosciuto.

Risponde.

-Buongiorno- saluta qualcuno dall’altra parte. È la voce di un ragazzo, sconosciuto e innaturalmente allegro. -Sono Will Solace.

Nico attende qualche secondo che il ragazzo continui. Non lo fa. -Quindi…

-Oh, spero di non disturbare. La disturbo?

Nico non sa cosa rispondere. Dire di sì sarebbe davvero troppo villano, anche per lui. Sentirebbe i rimproveri di Bianca a perforargli le orecchie per tutta la sera.

-No, non disturba. Perché ha chiamato?

Will sembra ridere. -Ho trovato il tuo numero scritto sul bancone di Chirone. Non lo conoscevo, e io conosco tutti qui al Campo, sai? E poi mi annoiavo un pochino.

Nico non sa cosa rispondere. Non si accorge nemmeno che Will ha abbandonato il lei. Sulle sue palpebre si staglia nitida l’immagine di Bianca che scrive il suo numero sul bancone con un pennarellone nero, nascondendo il gesto con una mano. Gli appaiono le dita lunghe che trafugano un sottobicchiere per coprire la scritta, e il suo sorriso. -Ecco,- aveva detto. -Così conoscerai qualcuno, musone.

Qualche tempo prima dell’incidente. Più di un anno prima.

Il silenzio si è fatto davvero troppo lungo, perché Will Solace si sente in dovere di riempirlo. -Troppo strano?

Nico fa un cenno di diniego, quando si accorge che Will non può vederlo. -No, va bene.

-Un po’ strano lo è, comunque. Tu chi sei?

-Troppo personale.

-Ma non vale, se devo conoscerti. Mi serve il tuo nome.

-Troppo personale.

-Okay, allora. Colore preferito?

Nico non ci mette neanche un secondo, per rispondere. -Nero.

Will ridacchia. -Dei, piuttosto scuro. Preferisco decisamente l’arancione.

-Sì, sei il tipo- conviene Nico.

-Probabilmente hai ragione. Vedi? Questa cosa funziona alla grande, ormai siamo praticamente amiconi. E tu che tipo sei?

-Troppo personale.

-Oh, è difficile così! Nero, okay. Emo, o forse Dark? Se usi l’eyeliner devi dirmelo subito, potrei prestarti a mia sorella così mi darebbe tregua come cavia dei suoi esperimenti… okay, no, aspetta, questo avrei dovuto aspettare almeno il secondo appuntamento per dirlo. Diciamo… topo d’appartamento? In lutto?

Nico vorrebbe dire Bingo!, ma è ancora bloccato a sorella, e d’altra parte non è il tipo. Non è neanche il tipo che chiacchiera con gli strani sconosciuti al telefono, a dirla tutta, quindi perché…

-Okay, okay. Sei un tipo silenzioso. E riservato. Molto riservato. Mi piace, conosco troppi impiccioni. Studi?

Nico contrae le labbra. -Mi sono preso un anno sabbatico.

-Tu?- continua prima che Will possa approfondire.

-Medicina. Devo iniziare l’università a settembre, ma penso già che potrei prendere un paio di specializzazioni diverse, sai, per variare.

Inizia a chiacchierare velocemente dei corsi in comune e esami che ha intenzione di dare. -Non chirurgia, sicuramente, non è il mio genere.

Nico annuisce. No, non è il suo genere, sicuramente. -Hai fratelli?- domanda, interrompendo la sua argomentazione sulla ricerca. Se ne pente un secondo dopo, ma è troppo tardi. Sorella, lo ha già detto, non c’è bisogno di approfondire.

-Oh, sì, decisamente troppi. Siamo in dodici, in famiglia. Mio padre non si ferma mai, e non è un grande fan delle precauzioni.

Improvvisamente, Nico ha una vaga idea di chi possa essere Will Solace. Il ragazzo con i rasta che suona il sassofono fuori dai locali, o forse il ragazzo basso con un pessimo carattere? Sono una famiglia troppo numerosa perché Nico non li abbia mai visti, e decisamente troppo rumorosa. Fanno luce, ovunque vadano.

-In realtà, siamo in dieci. Mi dimentico sempre. Lee… e anche Michel. Sono morti. Entrambi.

Nico comprende con qualche secondo di ritardo – e forse il motivo è anche la leggerezza con cui Will parla della morte sei suoi fratelli, lui non ne sarebbe capace. -Non lo sapevo. Non avrei dovuto chiedere.

-Non fa niente, Nico. Non lo sapevi. E poi, erano andati in guerra. Sono cose che capitano, immagino.

Nico si sente improvvisamente molto vicino alle lacrime. -Non mi hai chiesto se io ho fratelli.

-Non ne ho bisogno, Nico.

-Non mi hai chiesto neanche come mi chiamo. Come conosci il mio nome?

Improvvisamente nella sua testa si forma l’immagine di Percy, o Piper, che chiedono ad un povero sventurato di chiamarlo e spingerlo ad aprirsi. Magari ad uno studente di psicologia. Will ha detto qualcosa sulla psicologia, nella sfilza di specializzazioni? Forse Will non è nemmeno il suo vero nome. O forse…

-Era scritto qui. Vicino al numero. Nico. Sei di Angelo, non è vero?

Sì, è Di Angelo. Nico Di Angelo. Il fratello pazzo della ragazza morta, e al Campo lo conoscono proprio tutti. Forse la sua storia sarà leggenda, quando diventerà niente più che un vecchio che spaventerà i bambini che proveranno ad avventurarsi per il suo giardino.

Digrigna i denti, ma non ha davvero voglia di litigare o arrabbiarsi. Le forze gli sono andate via, non è niente più che un palloncino sgonfio. Vuole solo tornare a fissare il soffitto.

-Ecco, ora puoi dire di conoscere proprio tutti, al Campo. Spero di non averti annoiato.

-No, aspetta, Nic- ma la conversazione è chiusa prima che possa finire la frase.

Il silenzio, dopo, è insostenibile – neanche uno scricchiolio di ossa a ricordargli che è ancora vivo.

 

Il telefono squilla altre volte, nei giorni seguenti. Nico aspetta sempre il settimo squillo, l’ultimo, prima di rispondere, e ogni volta spera di riuscire a ignorarlo. Non ce la fa mai. Ogni volta preme il pulsante con il pensiero di Will fisso in testa – il che potrebbe essere un lato positivo, perché prima pensava a Bianca.

Bianca sa di dolore. Will, invece, sa di tante cose che Nico non riesce a riconoscere. Una è la speranza, ma a Nico non va di pensarci, perché è davvero penoso; quella con Will è stata la prima conversazione normale da più di un anno. In realtà, forse, di tutta la sua vita.

Non è mai Will, comunque. L’assistente dello psicologo di cui ha saltato l’appuntamento, Jason, Hazel, Reyna.

La speranza si attenua a poco a poco, annacquata da tutto quello che è la vita di Nico al momento: il nulla.

 

Quando succede, Nico non lo fa di proposito. È vittima degli eventi – come al solito – ma per una volta non gli dispiace, non davvero. Anche se non lo ammetterà mai.

Si risveglia fra le coperte sudate, aggrovigliato e mezzo per terra. Finisce completamente sul pavimento nel tempo che ci impiega ad aprire le palpebre. Le mattonelle sono piacevolmente fresche sotto di lui, perciò non si muove. Rimane lì per un tempo imprecisato.

Quando si rialza ha preso una decisione, ma non è davvero una sua decisione. Il suo cervello non c’entra nulla. È ogni cellula del suo corpo. Chiede pietà, un secondo di pausa fra un sogno e un altro, una boccata di aria fresca.

Non pensa, per tutto il tempo che gli ci vuole. Non pensa mentre si allaccia le scarpe, mentre cerca le chiavi che non usa da un bel pezzo e chissà dove sono finite, mentre il cielo del colore della carta da zucchero si affaccia oltre la soglia di casa sua e poi sulle strade che percorre e passo svelto ma con lo sguardo troppo lontano dal selciato, che è tutto ciò che in genere guarda mentre cammina. Respira più velocemente del solito, ma l’aria fresca non è abbastanza, non è quello che davvero cercava. Il cuore gli batte ovunque, contro le costole e nelle orecchie, ma non è ancora abbastanza perché si consideri vivo, non è abbastanza, vuole di più.

Will.

Se pensasse, le cose andrebbero in modo diverso. Si arrenderebbe ai nodi dei lacci e alla ricerca di un paio di pantaloni, alle chiavi e agli sguardi insistenti. Non supererebbe le coperte, i gradini, la porta. Si chiederebbe, forse, che ore sono, e considererebbe l’idea che Chirone possa essere chiuso, o che Will possa non passare lì tutta la sua vita, o che forse non abbia voglia di vederlo, e che quella volta possa davvero essere stata uno scherzo di cattivo gusto, come ha creduto la prima volta. Anche se in realtà non l’ha mai davvero del tutto creduto. Se pensasse, le cose non andrebbero.

Non pensa. Si ritrova davanti alla parete coperta di rampicanti senza la concezione della strada percorsa. Si avvicina alla porta e si rende conto che è aperto solo dopo aver spinto ed essere entrato. Nessun trillo ad annunciarlo; Nico è un’ombra, nel locale solitamente pieno e rumoroso. Ora, l’unico suono ad animarlo è un fischiettio rilassato. Nico vorrebbe pensare di potersene andare in qualsiasi momento, ma la realtà è che non può. Ha riconosciuto quella voce, anche senza il tono graffiante del telefono, anche se non l’ha mai sentito dal vivo, anche se non sta dicendo nulla, fischietta soltanto una canzone di Celine Dion. Nico pensa che le canzoni di Celine siano proprio adatte a se stesso, abbastanza depresse (forse troppo zuccherate, però).

Canticchiata da Will, poi, ha quasi un tono allegro. Nico lo prende come un presagio del fatto che questa storia non finirà con un grosso naufragio, ghiaccio e molta morte. Forse solo con troppo zucchero.

Il fischiettio si interrompe a mezza nota e Nico si rende conto che la porta è ancora aperta, alle sue spalle. Finora non ha visualizzato il locale, non davvero, si è limitato a concentrarsi sui suoi pensieri di zucchero e transatlantici, ma ora riconosce Will, piegato sul bancone con le cuffiette e le mani immerse in quello che potrebbe essere un lavabo o chissà cosa, non gli importa davvero. Visualizza rapidamente lo sguardo azzurro vagamente sgranato del ragazzo, i suoi capelli tirati indietro con un’orrida bandana femminile, la maglia arancione sdrucita del campeggio a cui partecipano tutti i ragazzi che studiano alla Strawberry tranne Nico. Nello stesso istante, lo riconosce come il bambino con cui una volta ha scambiato una figurina di Mitomagia, il ragazzino con il naso costantemente bruciato o spellato e la pelle graziosamente costellata di lentiggini, il ragazzo dal sorriso di un modello da pubblicità di dentifricio.

Si irrigidisce un po’, ma spera che Will non lo noti. Si sta già pentendo di essere andato lì, si rende nuovamente conto di quanto il Campo non sia il suo posto, del modo in cui lo vedono tutti, di come deve vederlo anche Will.

Prima che possa scappare, Will si lascia sfuggire un boccale. Fa un gran fracasso, ma non sembra che si sia rotto. Nico sobbalza, ma non lascia sfuggire la porta, che tiene ancora saldamente ferma, aperta, e uno spiffero gli punge la schiena. La porta rimane aperta comunque, come se dovesse fuggire da un momento all’altro.

Il silenzio si allarga per qualche secondo di stupore, poi Will si tira via la bandana e le cuffiette, e nella sala risuonano ovattate le parole di una canzone totalmente diversa da quella che Will stava fischiettando, qualcosa di jazz e sconosciuto. Non si preoccupa di fermare la canzone, e Nico nemmeno, occupato a osservare i riccioli che gli ricadono disordinati sulla fronte e a coprirgli gli occhi, troppo lunghi.

-Oh, ciao Nico.

Fa per passarsi una mano fra i capelli, poi si ricorda che è bagnata e coperta di schiuma e lascia perdere. Non fa caso alla mancata risposta di Nico. Fa caso al suo silenzio, però, alla rigidità e allo sguardo da animale selvaggio e spaventato.

-Vuoi sederti?- gli domanda, mentre supera il bancone e si avvicina a lui. È una domanda retorica, o meglio, non aspetta nemmeno di sentire una risposta. È un bene, comunque, perché Nico non gliel’avrebbe data.

-Certo che vuoi sederti, ti preparo qualcosa, che fuori si muore di freddo. Io odio il freddo, sai? Non l’inverno, in inverno ci sono delle giornate bellissime in cui fa freddo ma il sole è fortissimo ed è stupendo, ma oggi è tutto grigio… non che oggi non sia una bella giornata. Figurati. È una giornata meravigliosa, davvero. Proprio…

Meravigliosa termina Nico per lui. A mente, chiaramente, ma con qualcosa di piuttosto simile a un sorriso stampato in faccia, un lieve inclinarsi di labbra, il pensiero che anche per lui quella è una giornata meravigliosa. Anche se non c’è il sole. Anche se non userebbe mai l’aggettivo meravigliosa.

Will risponde con un’accecante dimostrazione della sua dentatura perfetta e delle rughette che gli si formano agli angoli degli occhi quando sorride. Perché sta sorridendo. Anche se Nico non è pronto a pensare che possa essere per lui, a lui, con lui. Si asciuga le mani sui jeans e lì rimangono le impronte di cinque dita e qualche rivolo di schiuma al limone.

Quando le mani di Will di posano sulla sua – sono fresche e ancora un po’ bagnate – quella di Nico si apre senza che lui l’abbai deciso. La porta si chiude con un tonfo alle sue spalle.

-Cioccolata. Hai decisamente bisogno di cioccolata calda.

Nico perde qualche passaggio intermedio, quello di cui avrebbe bisogno per dire che detesta la cioccolata calda, che ha proprio sbagliato, non dovrebbe trovarsi lì, per rendersi conto che ha seguito Will al bancone e si è seduto su uno sgabello.

Si ritrova con una tazza fumante e piena fino all’orlo, e di fianco a lui si siede Will. Non ha ancora smesso di sorridere, ma al contrario di quanto gli succede di solito, Nico non lo trova insopportabile.

-Era chiuso, vero? Voglio dire, qui non c’è nessuno…- riprende fiato. Cerca di ignorare il tono gracchiante e stonato con cui gli sono uscite quelle poche parole. Raccoglie le idee. – Era chiuso, non è così?

-Sì, apriamo fra due ore, anche se non ci sarà ancora nessuno per almeno due ore e mezza. È un po’ presto.

Nico non si azzarda a guardare l’orologio che ha individuato sul muro alla sua sinistra. Abbassa lo sguardo.

-Mi dispiace, non avrei dovuto.

-No, dai Nico, scherzi? Sono secoli che cerco di chiamarti, devi proprio assaggiare la mia cioccolata, e poi almeno mi fai compagnia.

Nico prende un respiro profondo e una lunga sorsata dalla sua tazza. È buona. Meglio di quanto si aspettasse. Lo calma subito, come se tutti i pensieri che affollavano la sua testa fino a un secondo prima non fossero mai esistiti. O forse è il sorriso luminoso di Will.

Alla fine, pensa, aveva ragione. Niente morti, nessun ferito e il suo iceberg si è sciolto almeno un po’, Celine Dion ha smesso di cantare e la canzone jazz ovattata dal telefono di Will è stata sostituita da un pezzo country (ok, a quanto pare ha anche dei difetti). Forse, alla fine, questa storia sarà solo un po’ troppo zuccherata, e magari gli piacerà anche.

 

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Capitolo 5
*** Sposerò Gustav Le Bon ***


Sposerò Gustav Le Bon

 

 

In cui Will fa una scommessa e vince tutto.

 

 

 

 

-Oh mio Dio! Tu sei Gaston La Beouf! Oh, io sono un tuo grandissimo fan!

Nico si guarda attorno, chiedendosi se il ragazzo esagitato ce l’abbia davvero con lui. È biondo, carino e inquietante. Proprio il suo tipo. -Oh, devi assolutamente farmi un autografo. Mia sorella impazzirà!

Sì, sembra di sì. Avanza con la pelle arrossata dal freddo e un sorriso inumanamente largo, e sembra dirigersi proprio verso di lui. Nico combatte contro la voglia di scappare e vince. -Ho tutti i tuoi dischi! Li ascolto ogni sera, sai, adoro la tua voce, e devo dire che dal vivo è molto meglio.

Nico arrossisce, anche se probabilmente il ragazzo sta mentendo – sicuramente, in realtà, non gli ha ancora detto mezza parola, quindi è innegabile. Arrossisce lo stesso, sotto l’espressione truce, e il sorriso dell’altro si allarga ancora un po’.

-No, credo che ci sia un errore, io non sono…

Il getto ustionante del caffè lo colpisce dritto al petto. Incredulo, gli ci vuole un secondo per vedere, in ordine, il bicchierone del caffè (vuoto, ormai), la faccia mortificata del ragazzo biondo (in realtà non lo è poi così tanto, sembra che stia per scoppiare a ridere) e la macchia gocciolante sul tessuto. Peccato, gli piaceva quella maglietta. Molto nera.

-Oh mio Dio, mi dispiace. Non posso davvero aver ustionato Gustav Le Bon, credo che potrei morire di imbarazzo… ti pagherò la tintoria. Certo, sì che lo farò, ne conosco una qui vicino. Vieni, Gaston, - posso chiamarti così, si? - ti accompagno – posso darti del tu?

Nico rimane per un secondo stordito dal chiacchiericcio del ragazzo, prima di accorgersi che dovrebbe rispondere – possibilmente prima che l’altro ricominci. -Non ce n’è bisogno, vado di fretta, devo andare, ho un appuntamento, addio. E poi io non sono…

-Oh, allora puoi darmi il tuo numero di telefono. Ci incontriamo e ti pago la lavanderia.

 

Quando Will viene loro incontro con un sorriso accecante e un bigliettino in mano, Connor incassa i soldi.

-Oh, non può essere.

-Sgancia, Trevis.

Il ragazzo allunga una seconda banconota anche a Will, accompagnata da un broncio.

-Con questi gli offrirò un caffè la prossima volta che lo vedrò.

-Certo, un altro caffè da lanciargli addosso. Fra l’altro, è un cliché abominevole- borbotta Trevis, ancora seccato per la perdita.

-Zitto, davero, tu non puoi nemmeno provare, a parlare. “Katie, mi presti una penna? L’ho dimenticata, che sbadato!”

-Ma era vero, avevo davvero dimenticato quella penna!

-Per quattro anni consecutivi?

-Lascia perdere, forse avrei dovuto fingere di credere che fosse Hillary Duff.

Will non risponde, fissa il bigliettino di carta sottile con un sorriso ebete. -Ragazzi, credo che le nostre scommesse possano avere fine.

-Perché?

-Ho trovato il mio Gustav.

-Scommetto che non durerà nemmeno una settimana.

 

Una settimana dopo, Trevis ha perso una scommessa. Di nuovo. E Will porta fuori Nico. Di nuovo.

 

 

 

NdA:

Non è il meglio che potessi produrre, già. È corta, piuttosto stupida e scritta in appena un’ora, in un periodo di noia profonda. Sono stata totalmente ispirata da altro, mi dispiace. Spero che possiate comunque apprezzarla, almeno un po’, perché mi dispiaceva non aggiornare per Natale. Quindi, auguri! (e per Capodanno scrivo qualcosa di meglio, prometto).

 

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