In regards to love in A minor di J o k e r_ (/viewuser.php?uid=600380)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Allegro moderato ***
Capitolo 2: *** II. Andantino ***
Capitolo 3: *** III. Adagio ***
Capitolo 4: *** IV. Moderato ***
Capitolo 1 *** I. Allegro moderato ***
mmmm
I. Allegro moderato
Un sospiro sfuggì alle sue labbra.
Da più di un'ora si rigirava tra le coperte del letto,
cercando
di dormire, o almeno trovare la calma e la tranquillità
necessarie per farlo.
Tuttavia, una parte della sua mente continuava a ripensare a tutto
quello che era successo e lo metteva in agitazione, nonostante la
stanchezza.
Voleva disperatamente
dormire.
Sbuffò, improvvisamente accaldato; rigirò il
cuscino,
calciò le lenzuola coi piedi. Poi però
sentì
nuovamente freddo e si allungò verso le coperte per coprirsi.
Continuava a ripensare alla chiamata che aveva ricevuto, qualche giorno
prima, dal suo migliore amico, Pichit Chulanont. Persino ricordare il
tono euforico con cui l'aveva salutato dall'altro capo del telefono era
capace di agitarlo.
Avevano parlato per un'ora buona del più e del meno,
dopotutto
erano già passati due anni dall'ultima volta che si erano
visti,
e poi dal nulla era venuta fuori la fatidica domanda.
"Suoni ancora, vero?"
No, avrebbe
dovuto rispondergli, il
concerto dell'anno scorso è stato un tale disastro che ho
deciso
di abbandonare definitivamente la mia carriera da pianista, e
invece aveva asserito, dicendogli che sì, suonava ancora,
quando
in realtà non toccava da mesi il suo pianoforte.
Il padre di Pichit, che era il proprietario di un'importante catena di
ristoranti in Thailandia, era stato infatti contattato da un suo
collega francese, imprenditore, e che aveva organizzato una serata di
beneficenza, per cui aveva ingaggiato diversi musicisti.
Ovviamente il ragazzo non aveva minimamente esitato a chiedere al padre
se l'imprenditore stesse cercando anche un pianista, ed era stato
proprio così che il suo nome era venuto fuori. E Yuuri aveva
accettato: forse lo aveva convinto la paga, forse voleva tornare sotto
i riflettori di nuovo.
Ma in realtà gli mancava terribilmente suonare il piano.
Quale
occasione migliore di riprendere un po' di confidenza con quello
strumento?
Il pianoforte era la sua vita.
Aveva all'incirca dieci anni quando per la
prima volta mise le mani su una tastiera,
dodici quando partecipò al suo primo concerto - nulla di
particolare, semplicemente lo spettacolo di fine anno organizzato dalla
sua scuola -.
A diciotto anni si trasferì a Detroit, in America, sperando
di acquistare un po' di fama.
Fu in quell'occasione che i due si conobbero: Pichit cercava un
coinquilino per dividere l'affitto dell'appartamento che abitava,
mentre Yuuri cercava un alloggio.
Nacque da subito una bellissima amicizia tra di loro, il ragazzo
divenne uno degli amici più cari che il giapponese avesse.
Ed
era anche l'unico a sapere che Yuuri fosse gay.
Ricordò con un sorriso la sera in cui aveva fatto la
fatidica confessione. Pichit si era limitato a rispondergli "Uhm, okay"
e a sorridergli in modo complice, lasciandolo basito; notando la sua
perplessità, l'altro era scoppiato in una risata e aveva
aggiunto "Ma dai,
Yuuri, ti ho
presentato due ragazze e ti sei praticamente rifiutato di parlare con
entrambe, e poi ho trovato alcuni dei tuoi poster di Viktor..."
Viktor Nikiforov.
Semplicemente il più grande, strepitoso, talentuoso,
spettacolare
violinista degli ultimi cinquant'anni. La sua grande cotta
adolescenziale - non che le cose fossero tanto cambiate, lo adorava
ancora -.
L'aveva sentito suonare per la prima volta in tv, in occasione di un
evento sportivo: la cerimonia d'apertura era stata infatti affidata a
un'orchestra di ragazzini, e infine era stata lasciata una parte da
solista proprio a Viktor, che all'epoca aveva quattordici anni.
Era cominciato tutto con della semplice ammirazione, ma col passare
degli anni Viktor era cresciuto e anche molto bene. Raggiunti i
diciotto anni, il bel violinista russo era diventato un vero e
proprio sex symbol.
Aveva preso a seguire ogni suo concerto in streaming, qualora fosse
possibile, acquistato ogni suo cd, ascoltato ogni suo album.
E, nonostante lo imbarazzasse ammetterlo, la sua camera era tappezzata
di poster di Viktor.
Si rigirò di nuovo nel letto, sbuffò ancora.
Basta pensare, lui doveva dormire.
L'indomani lo attendeva una serata importante ed era più che
deciso ad esibirsi al meglio.
La chiamata di Pichit era stata così improvvisa che non
aveva
provato o composto nulla di particolare, per cui aveva portato con
sé una serie di spartiti. Per non parlare del fatto che
erano mesi
che non suonava.
Si arrese all'idea di assopirsi e abbandonò il letto.
Se prima aveva pensato che i brani che aveva scelto potessero andar
bene ora non ne era più
tanto sicuro, complice la mancata pratica in tutto quel tempo.
Avesse avuto una tastiera, anche piccina, con sé, avrebbe
potuto impiegare la serata a fare qualche prova.
Doveva sicuramente esserci un pianoforte, però, nel
ristorante
dell'albergo probabilmente, ma dubitava che la sala fosse ancora aperta
a quell'ora.
Magari poteva trovare un compromesso col portiere e... Ma chi voleva
prendere in giro? Non avrebbero mai aperto per lui il salone.
Fare un tentativo però non costava nulla, no?
Si spogliò del suo pigiama, e una volta rimasto in boxer
aprì il suo unico bagaglio per tirarne fuori qualche vestito
decente.
Non ci pensò neanche due volte a prendere gli spartiti e
lasciare la camera. Impiegò solo pochi minuti per percorrere
il
corridoio del piano,
scendere le scale e infine ritrovarsi nella hall.
Dietro il bancone, sembrava attenderlo un portiere dall'espressione
scocciata, apparentemente intento a guardare qualcosa sul suo cellulare.
Quando Yuuri gli si avvicinò, distolse lo sguardo dallo
schermo e rivolse a lui tutta la sua attenzione.
«Posso aiutarla?» gli domandò in
francese, ma
formulò nuovamente la domanda in inglese quando vide lo
sguardo
perplesso di Yuuri.
«Uh, in verità sì. Vede, sono uno dei
musicisti
chiamati per suonare domani e mi chiedevo
se fosse possibile... uhm... vedere il pianoforte.» gli
rispose.
Scrutò
il volto
dell'ometto per quella che gli sembrò un'infinità
di
tempo, cercando un qualche cenno che potesse aiutarlo a comprendere la
risposta che gli avrebbe dato.
«Temo di non poter fare nulla per aiutarla, sono spiacente.
È tardi, il ristorante è chiuso e non possiamo
assolutamente svegliare gli ospiti.»
Sospirò, rassegnato.
L'evento di domani sarebbe stato un disastro, o quantomeno la sua
esibizione.
«Capisco, grazie comunqu-»
«Il ragazzo sta con me, ho l'autorizzazione del proprietario
per utilizzare la sala per provare.»
Un inglese con un forte accento russo risuonò nella hall.
Yuuri si voltò istantaneamente verso il proprietario di
quella
voce. Sgranò gli occhi e si aggrappò al bancone
della
hall, improvvisamente insicuro che le sue ginocchia fossero ancora
capaci di reggerlo.
Un uomo alto, splendidi occhi azzurri e capelli del colore dell'argento
più puro: Viktor Nikiforov era dietro di lui, e nella mano
destra
teneva la custodia del suo violino.
Si sentì mancare l'aria, forse aveva addirittura smesso di
respirare.
No, no Yuuri, riprendi a
respirare, l'ossigeno ti serve. Non puoi morire, sei ancora troppo
giovane.
«Signor Nikiforov mi spiace ma, come ho già detto
al suo collega, il signor... Come si chiama?»
Ignorò completamente la domanda del custode.
Era troppo impegnato a realizzare la presenza di Viktor.
Lui e Viktor. A circa due metri di distanza. Un dio greco-russo che per
qualche strana ragione adesso si trovava con lui nella stessa stanza.
Inevitabilmente accarezzò con lo sguardo tutta la sua
figura,
cercando di memorizzare quanti più particolari possibili,
quasi
avesse paura che da un momento all'altro Viktor potesse sparire per
magia.
L'attillato maglioncino bordeaux che indossava metteva in risalto il
suo fisico slanciato, la curva perfetta dei pettorali e...
«Signore? Il suo nome?»
Giusto.
Il portiere. C'era anche lui.
«Uh, sì, Yuuri. Yuuri Katsuki.»
«Giapponese, eh?»
Viktor gli stava rivolgendo la parola. Gli stava parlando, addirittura
sorridendo.
Dio misericordioso.
«Dicevo, come ho già detto al signor Katsuki, la
sala ristorante è chiusa. Non posso aprirla.»
«E come le ho detto io, invece, ho il permesso del
proprietario, che
è un amico di vecchia data. Vuole chiamarlo per chiedergli
conferma? Non c'è problema! Mi dia un attimo, cerco il
numero...»
Il russo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni neri che
indossava il suo cellulare e cominciò a digitare qualcosa.
Se la stragrande maggioranza del suo cervello era impegnata ad ammirare
Viktor, un'altra parte, più piccola, si stava rimproverando
per
quel casino.
Tuttavia, la vista del bell'uomo che armeggiava col suo telefonino fu
abbastanza da convincere il povero receptionist a ritirare
immediatamente tutto quello che aveva detto.
Dopotutto non c'erano
camere vicino al ristorante, non li avrebbe sentiti nessuno e
soprattutto non era il
caso di disturbare il proprietario per una sciocchezza del genere.
Lasciò quindi il bancone per accompagnarli.
In ascensore, Yuuri cominciò ad agitarsi, sentendo su di
sé lo sguardo dell'altro musicista, e non riuscì
a fare a
meno di sentirsi ridicolo coi suoi jeans, le vecchie scarpe da
ginnastica, la maglia dei Queen che suo padre gli aveva comprato
quattro anni fa e la felpa lasciata aperta.
Doveva sembrargli uno stupido.
Arrossì, e forse Viktor doveva essersene accorto
perché, quando lo guardò di sfuggita, stava
sorridendo.
Il viaggio sembrava non terminare mai. Il suo cuore - che, solo in quel
momento se ne accorse, stava battendo
pericolosamente - si calmò solo quando il portiere
esordì
con un «Eccoci qui. Un'ora sola, non di
più», e poi fu questione di attimi prima che
rimanessero soli.
Un'ora sarebbe bastata.
Si prese un attimo solo per distogliere lo sguardo da Viktor e guardare
il ristorante: il pavimento di marmo nero e le pareti rosse conferivano
all'ambiente un'atmosfera
piuttosto accogliente, e ovunque ci si voltasse c'erano quadri d'ogni
grandezza e genere.
Ma la sua attenzione fu catturata ben presto solo da una cosa: proprio
là,
in fondo alla sala, il pavimento era rialzato a formare un piccolo
palco.
Là c'era il tanto agognato pianoforte.
Dimentico di tutto quello che lo circondava raggiunse lo strumento,
quindi si accomodò sullo sgabello.
Scoprì la tastiera con delicatezza sollevando
prima il telaio, poi la
striscia di velluto rosso che la ricopriva, e infine ammirò
la lucentezza dei tasti bianchi, le luci dei lampadari che
si riflettevano in quelli neri.
Senza pensarci troppo cominciò a suonare la prima cosa che
gli
venne in mente: il rondò alla turca di Mozart. Un pezzo
allegro
che gli piaceva molto, le sue dita si mossero sui tasti quasi
autonomamente.
Neanche si accorse del sorriso che si formò spontaneamente
sulle
sue labbra, tanto meno di quando il suono di un violino
iniziò ad
accompagnare la sua melodia.
Bastò quello a riportarlo alla realtà, si
fermò di
colpo: Viktor gli stava di fronte, poggiato al fianco del pianoforte.
Lo guardava, confuso.
«Perché ti sei fermato?»
«Ah...»
Restò a bocca aperta, senza sapere cosa rispondere.
Una piccola, piccolissima parte del suo cervello doveva ancora elaborare la
presenza di Viktor, troppo da processare in qualche istante.
«Forza, ricominciamo daccapo. Ti seguo.» lo
incoraggiò l'altro.
Stava ancora afferrando il significato di quelle poche parole, quella voce, ma le
sue mani furono più veloci.
Come chiesto da Viktor ricominciò a suonare, e stavolta il
violino lo accompagnò da subito.
Si perse totalmente nell'esibizione, lasciandosi trasportare dalla
melodia, a malapena si accorse di aver finito qualche minuto
più tardi.
E ora? Cosa fare? Sollevare
lo sguardo dai tasti avrebbe significato incontrare quello di Viktor, e
non era sicuro di riuscire a sostenerlo.
Il suo cuore ricominciò a pulsare, celere.
«Com'è che hai detto che ti chiami?»
Dannazione.
«Yuuri.»
Per l'ansia, cominciò a suonare qualche tasto con la mano
destra, ben deciso a non spostare gli occhi da lì.
«Sei bravo, sai?»
«G-Grazie. Anche tu sei, uhm, molto bravo.»
Non resistette e lo guardò.
Il sorriso che il violinista gli rivolse rischiò di mandarlo
in
tachicardia, ma Yuuri tenne duro e si aggrappò ai tasti del
pianoforte.
Nel farlo, gli sfuggì un accordo.
Gli occhi di Viktor si illuminarono per un istante, come se quelle note
gli avessero dato un'idea.
«Otlichno!
"Il fantasma dell'opera", uh?»
«Eh?»
Era confuso, ma quando il russo prese a suonare l'Overture lo
seguì immediatamente.
Conosceva le note e così anche il musical, che aveva avuto
modo
di
vedere un paio di anni prima, e la bellezza delle canzoni lo aveva da
subito colpito, per cui aveva imparato a suonarle tutte. Ma Viktor non
si fermò lì, nossignore. Terminata quella,
passò a
All I ask of you.
Ricordava quel brano: subito dopo l'ennesimo omicidio del Fantasma, il
visconte di Chagny la canta alla protagonista, Christine,
nel tentativo di rassicurarla, e subito dopo i due si scambiano il loro
primo bacio. Si tratta di una canzone d'amore, dopotutto.
E ancora proseguirono con The
point of no return,
un duetto tra il Fantasma e Christine: un pezzo molto più
sensuale, erotico, l'esatto opposto di quanto avevano suonato
prima.
Per tutta l'esecuzione, Viktor alternò sorrisi a espressioni
di pura estasi
e Dio, avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter ammirare ancora una volta i suoi occhi chiudersi, le sue labbra incurvarsi e vederlo
sospirare mentre suonava, completamente rapito dalla musica.
Quando finirono, l'altro sembrò davvero soddisfatto.
«Wow!» esordì, e Yuuri sentì le sue guance
tingersi di un leggero rosso.
Ancora non riusciva a crederci.
Suonare con un bravo violinista è spettacolare, ma suonare
con Viktor Nikiforov...
È tutta un'altra storia.
«Ho sempre voluto provare questi brani con un pianoforte ad
accompagnarmi, ma conosco pochi pianisti davvero bravi o interessati a
fare altro che non siano i soliti classici...»
Non rispose, non sapeva cosa dire. Era un complimento?
Viktor lasciò il violino, posandolo sul ponticello del
piano.
Gli si avvicinò lentamente, per poi stendersi appena sulla
cassa, fino a
trovarsi faccia a faccia con lui.
«Dimmi, Yuuri, da quant'è che suoni?»
Persino la sua voce sembrava essere musica.
«Tredici, quasi quattordici.»
«Interessante... conosco persone che suonano questo strumento
da
più tempo di te e non ci mettono la stessa
passione.»
Se possibile, divenne ancora più rosso.
Erano così vicini che poteva vedere le sue lunghe ciglia, le
sfumature di azzurro dei suoi occhi.
Bellissimo.
«Domani suonerai anche tu per la serata di
beneficenza?»
Sgranò gli occhi.
«Dannazione!»
Viktor mutò espressione, perplesso.
Improvvisamente colto dal panico, diede uno sguardo al suo orologio da
polso: segnava quasi la mezzanotte. A breve sarebbe sicuramente tornato
il
portiere per cacciarli e lui non aveva ancora provato nulla, per cui
cominciò a sfogliare gli spartiti nel disperato tentativo di
trovare qualcosa.
Li posò nuovamente: nulla di quello che aveva portato con
sé lo convinceva.
Tutto quel tempo, Viktor lo aveva osservato senza proferir parola, ma
fu anche il primo a parlare.
«Qualche problema?»
«Ecco, non ho pensato a nulla da suonare domani.»
ammise Yuuri, afflitto.
«Improvvisa, no?»
Il silenzio che seguì fece ridere il russo.
«Non dirmi che un pianista così bravo come te non
è capace di improvvisare qualcosa...»
«Per la verità sono passati mesi dall'ultima volta
che ho suonato.»
Ci fu un breve periodo di silenzio, prima che Yuuri tornasse a parlare.
«Ma tu perché sei qui? Non hai bisogno di provare,
insomma, tu sei...»
L'altro inarcò le sopracciglia, in attesa di cosa avrebbe
detto il giapponese.
«Sei Viktor Nikiforov. Sei perfetto.»
Si diede dello stupido per aver detto l'ultima frase ad alta voce.
«Già, tecnicamente non avrei bisogno di provare.
Chissà...»
A quel punto si allontanò dal pianoforte. Ripose con calma
il
violino e l'archetto nella custodia, quindi cominciò a farsi
strada tra le sedie.
«Forse volevo solo un po' di compagnia per la
notte.» disse, e nel farlo gli sorrise malizioso.
Il suo cuore mancò qualche battito.
Raccolse gli spartiti, richiuse il telaio e a malincuore
lasciò
il pianoforte e seguì Viktor in ascensore; l'avevano
già
preso insieme,
ma c'era stato anche il portiere con loro, e adesso che erano soli
Yuuri si sentiva
oltremodo teso.
Domani.
Domani avrebbe suonato davanti a chissà quante persone,
Viktor
l'avrebbe visto, e lui non aveva la più pallida idea di cosa
fare.
Erano quasi arrivati al piano terra quando il maggiore parlò.
«Qualunque cosa deciderai di suonare domani, sono certo che
saprai stupirmi, proprio come hai fatto stanotte.»
Yuuri si voltò nella sua direzione, incredulo. Aveva davvero
sentito quelle parole?
L'aveva stupito?
Neanche nei suoi sogni più remoti avrebbe immaginato di
poter udire davvero
da lui qualcosa di simile.
Mai.
Nel frattempo, l'ascensore si era fermato.
La mano di Viktor che si posò sulla sua spalla in una lieve,
lievissima carezza lo lasciò immobile, incapace di fare
qualsiasi cosa.
«Buonanotte, Yuuri.»
L'occhiolino ammiccante che gli rivolse prima di lasciare l'ascensore
fu il coup de grâce.
A stento riusciva a tenersi in piedi quando, ancora scioccato, premette
il pulsante segnato dal numero "due", il piano su cui alloggiava.
Sentiva le gambe molli mentre a passi lenti percorreva il corridoio,
cercava di aprire la porta della stanza. Le chiavi gli scapparono di
mano.
Una volta entrato sentì l'improvviso bisogno di stendersi
sul suo letto.
Aveva incontrato Viktor.
Aveva suonato con Viktor e la stessa cosa sarebbe successa anche il
giorno dopo.
Sarebbero stati sullo stesso palco, insieme, e come se non bastasse lui
l'aveva toccato.
Okay, sì, era stata una pacca sulla spalla e niente di
più, ma c'era pur sempre stata la mano di Viktor sulla sua
spalla.
Sospirò, frustrato da quella surreale situazione, e
afferrò il suo telefono, che per tutto quel tempo era
rimasto
sul comodino che affiancava il letto.
Sorrise appena quando trovò il contatto che cercava.
"Sei sveglio?"
Aveva ovviamente
contattato Pichit.
"Ohi! Sì,
sono ancora sveglio. Devi dirmi qualcosa?"
"Ho un sacco di cose da
raccontarti."
Note
autrice:
Ebbene, eccomi qua,
alla fine sono sbarcata anche in questo fandom.
Che
dire? Ho adorato Yuuri on Ice ed era da tempo che cercavo ispirazione
per una storia su Viktor e Cotoletto, e, anche se un po' tardi,
è
arrivata.
Cosa
porterà Yuuri alla serata di gala? Eh eh eh... sono aperte
le scommesse
♥ Quanto agli aggiornamenti, non penso di stabilire nessuna
cadenza
particolare, cercherò semplicemente di pubblicare quanto
prima...
Se qualcuno fosse curioso di sentire il duetto di Viktor e Yuuri, vi
lascio qui il link del video a cui mi sono ispirata :) Cliccate
qui!
Un
grazie a Canf e Nonna Biscotta che mi hanno fatto da Beta per questo
primo capitolo, e ringrazio anche tutte quelle che persone che sono
arrivate fin qui uwu
Lascerò
il rating giallo per il momento, ma non escludo che dopo qualche
capitolo possa cambiare e diventare rosso, quindi... niente. Non ho
altro da aggiungere, spero solo che questo primo capitolo abbia
attirato la vostra attenzione. Inoltre sto cercando di lasciare i
personaggi quanto più IC possibili, ma per sicurezza ho
preferito
mettere anche il tag OOC.
Fatemi
sapere cosa pensate della storia, in un messaggio privato o in una
breve recensione, sono aperta a consigli e/o critiche! ♥
Ci vediamo al prossimo
capitolo!
With love,
Your Joker.
P.S. : ho
preferito lasciare
la traslitterazione delle parole che Viktor dice in russo. In questo
caso, "otlichno" significa "grandioso, magnifico" o almeno
così mi ha
assicurato Google Translate.
|
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Capitolo 2 *** II. Andantino ***
II. Andantino
II.
Andantino
"Aspetta, cosa?"
"Ma sì! Non
ti avevo detto che
ci sarebbe stato anche Viktor? È anche per questo che ho
proposto te come pianista!"
"No Pichit, non mi hai
detto assolutamente nulla!"
Ringraziò il cielo che stessero parlando tramite messaggi,
perché era talmente agitato che, sicuramente, nel caso di
una
telefonata avrebbe urlato.
"Oh beh, errore mio! Di'
un po', lui com'è?"
Non rispose
subito, Yuuri, ma si prese del tempo per riflettere su quella domanda.
Com'è Viktor Nikiforov?
Indubbiamente attraente con i suoi occhi chiari, il fisico slanciato, e
quel ciuffo di capelli argentei che ricadeva sul lato sinistro del suo
volto.
Il viso dai lineamenti affilati ma comunque delicati.
Gli aveva dato l'impressione di essere un uomo sicuro di sé,
affabile, ma anche spudorato - ripensò al momento in cui
Viktor gli si
era avvicinato così tanto e le sue guance si tinsero di
rosso -.
E le sue mani? Chissà com'erano... Lisce o ruvide? Calde o
fredde?
La notifica sonora che lo avvisava che la batteria del suo cellulare
era arrivata al venti per cento lo riscosse dai suoi pensieri e lo
riportò alla realtà.
"Molto meglio dal vivo"
"Questo non lo mettevo in dubbio ;) È davvero
così bravo? Col violino intendo"
L'aggettivo "bravo" non bastava a descrivere l'abilità del
russo, no. Era troppo restrittivo.
"È fenomenale"
"Ahhhh, come ti invidio!
Pensa che
avevo addirittura chiesto a mio padre di convincere l'imprenditore a
farvi duettare, ma ha preferito evitare dal momento che non ti
conosceva mentre Viktor... beh, è Viktor."
Sbiancò quando lesse quel messaggio.
Pichit aveva provato a combinare un duetto? Era forse impazzito?
"Pichit
perché mi stai dicendo queste cose solo adesso?!"
"Pessima memoria? Scusa lol"
Gettò la faccia nel cuscino più
vicino e sbuffò pesantemente.
Ormai l'orologio nella stanza segnava l'una meno un quarto. Forse era
il caso
di spegnere tutto e provare per una buona volta ad assopirsi, ma ancora
il lieve suono di una nuova notifica lo costrinse a guardare lo schermo
del cellulare.
"Hai deciso cosa
suonare?"
Pichit aveva toccato una tasto dolente.
"Viktor ha detto che
vuole che lo sorprenda. Capisci? Come diavolo faccio?"
"Qualcuno dei brani che hai composto in passato?"
"Ho portato gli spartiti con me, ma nessuno mi convince
particolarmente..."
"Allora perché non provi ad arrangiare qualcosa di suo?"
Non aveva mai suonato nessun pezzo che non fosse pensato
per il pianoforte. Figurarsi arrangiarlo.
Però, il thailandese non aveva completamente torto, quella
di usare un pezzo composto da Viktor era una buona idea.
"Forse riesco a trovare
qualcosa di suo per piano online. Tu cosa suonerai?"
"La sonata di Debussy, sto con un violoncellista e un arpista.
È una delle tue preferite o sbaglio?"
No, ovviamente non sbagliava.
Pichit suonava il flauto da una decina d'anni e aveva più
volte
scherzato sul fatto che sarebbe riuscito, un giorno, a suonare a Yuuri
quella maledetta sonata.
"Non vedo l'ora di
sentirti!"
"Touché ;)"
"Ci becchiamo domattina, 'Chit, vado a cercare qualcuno dei vecchi
pezzi di Viktor"
"Notte!"
"Buonanotte anche a te"
Chiuse definitivamente l'applicazione di WhatsApp, poi
aprì YouTube.
Conosceva ogni singolo brano composto dal violinista, ma risentirne
qualcuno
lo avrebbe certamente aiutato a valutare quale dei tanti fosse il
più adatto da suonare.
Trascorse
almeno un'ora a scorrere il pollice sullo schermo del suo cellulare,
storcendo appena il naso quando guardava i video di qualche esibizione
che non lo convinceva oppure ascoltando la stessa più volte,
riflettendo, o ancora interrompendo la
sua ricerca per aggiustare gli occhiali sul
naso o sistemarsi meglio tra le lenzuola, alla ricerca di una posizione
più comoda.
E dire che quell'uomo così bello e aggraziato, mentre
suonava il violino in quei filmati, era lo stesso di qualche ora prima.
Lo stesso che aveva avuto ad appena qualche centimetro di distanza, con
cui aveva occasione di suonare.
Stava quasi per arrendersi quando la sua attenzione fu catturata da un
video in particolare, uno dei primissimi brani che Viktor aveva
composto: "In regards to love".
Più in particolare, il russo aveva creato due arrangiamenti
dello stesso componimento.
Agape,
l'amore incondizionato e disinteressato, fine solo a se stesso, e Eros, che ne
rappresentava invece il lato più sensuale e possessivo.
Li ascoltò entrambi senza pensarci due volte.
Il primo, oltre al violino, prevedeva l'accompagnamento di un organo e
un trombone, tuttavia Yuuri non era sicuro che sarebbe riuscito a
mantenere la melodia identica. Il secondo, invece, ricordava
più
un flamenco: riusciva chiaramente a distinguere il suono della
chitarra, delle nacchere, del violino e del violoncello.
Sarebbe stato complicato arrangiare entrambe.
Quale delle due avrebbe attirato più facilmente l'attenzione
del pubblico? L'attenzione di
Viktor.
E alla fine scelse Eros.
«Finiscila
di agitarti.
Stai mettendo in ansia persino me, che sono calmissimo.» lo
aveva
ammonito il suo migliore amico.
«Fai bene a parlare, tu ti sei già
esibito.»
ribatté, sistemandosi gli occhiali sul naso e passando una
mano
tra i capelli per assicurarsi che la sua acconciatura fosse ancora
intatta e il gel stesse facendo il suo lavoro.
L'altro scrollò le spalle, tornando a prestare attenzione al
suo filetto di salmone.
Sebbene il cibo fosse davvero buono, Yuuri si sentiva troppo nervoso
per poter mangiare qualsiasi cosa.
«Oh,
guarda un po' chi viene nella nostra direzione!»
Un uomo
alto, con i capelli
neri, uno smoking e un sorriso stampato in faccia gli si stava
avvicinando: buona parte dei musicisti aveva infatti deciso di prendere
una
pausa per cenare, per cui si erano tutti accomodati ai tavoli
più vicini al palco.
Ad accompagnare lo sconosciuto c'era una giovane donna dai capelli
corti, che indossava un lungo abito da sera rosso, attillato.
Yuuri non mancò di notare come lo sguardo di Pichit
indugiò anche un po' troppo sulla generosa scollatura del
suo vestito,
per cui, da sotto il tavolo, gli pestò un piede come monito.
Il misterioso straniero porse a entrambi la mano.
«È un piacere avervi qui entrambi,
davvero!»
iniziò, e nel suo inglese notò un flebile accento
francese. «Sono l'organizzatore della cerimonia di
beneficenza,
Jean-Jacques Leroy. Tu devi essere il figlio del signor Chulanont,
mentre tu il pianista di cui Pichit mi ha parlato tanto bene! Sono
spiacente per il duetto col signor Nikiforov ma-»
«Non è un problema.» lo interruppe il
giapponese. «Dico davvero.» concluse con un sorriso.
«Meglio così, allora!» gli rispose con
una risata.
«Se permettete, ho altri ospiti da salutare. Spero che il
cibo
sia di vostro gradimento!»
«Senz'altro!» intervenne Pichit.
Nessuno dei due riprese a parlare finché la coppia non si fu
allontanata, ma al loro posto fu qualcun altro ad avvicinarglisi.
Sentì l'improvviso bisogno di dileguarsi.
Viktor in quel momento era ancora più attraente del giorno
precedente: indossava una
camicia e dei pantaloni grigi
molto
attillati, e se solo in quel momento il russo si fosse voltato Yuuri
era più che certo che avrebbe avuto una bella visuale del
suo
lato b. Per non parlare di come il tessuto nero della camicia si
stringeva in modo impeccabile ai suoi fianchi.
Nella mano destra teneva sempre la custodia del violino.
«Buonasera, Yuuri! Vedo che sei in compagnia!»
«B-Buonasera, Viktor. Uh, sì, lui è
Pichit Chulanont, il mio migliore a-amico.»
Il thailandese si protese sul tavolo per stringere la mano del russo
con un sorriso.
«Piacere mio, signor Nikiforov.»
«Oh, dammi del tu, di cortesia. Ti ho sentito prima al
flauto,
con la sonata di Debussy. Sono rimasto molto colpito, un brano
eccezionale.»
«Grazie per i complimenti. Tu non hai ancora suonato, o
sbaglio?»
«No, ma lo farò a breve.»
«Qualcosa in particolare?»
Yuuri stava rigido contro lo schienale della sua sedia, incapace di
fare qualsiasi cosa, se non spostare lo sguardo tra il violinista e il
flautista.
Si ritrovò a chiedersi perché la presenza di
Viktor fosse capace di metterlo così
tanto in soggezione. Era un essere umano anche lui, dopotutto.
L'essere umano più sexy dell'anno corrente e la sua grande
cotta adolescenziale, capace, anche a ventitré anni suonati,
di sconvolgergli l'anima con un banalissimo sorriso.
Ma questi erano dettagli.
Non riusciva a fare a meno di essere geloso di come i due riuscissero a
parlare
così tranquillamente, mentre lui non era riuscito a dire
quattro
parole di fila senza balbettare.
«Il capriccio numero ventiquattro di
Paganini.»
«Cavolo, un pezzo impegnativo.»
«Conto di lasciarli a bocca aperta.» aggiunse con
un sorriso e un occhiolino rivolto a Yuuri.
Rimosse mentalmente la modestia dalla lista di qualità di
Viktor, che nel frattempo aveva preso una sedia e l'aveva avvicinata al
loro tavolo.
«E tu, Yuuri? Sono molto curioso di sapere cosa
suonerai.»
Pichit
rispose al suo posto prima che potesse
aprir bocca e farsi cogliere da un attacco di panico.
«È una sorpresa.»
Gli occhi del russo si illuminarono a quella risposta, la
curiosità cominciò a divorarlo.
«Mozart? Chopin? Schubert? O forse Liszt?»
«Nessuno di questi.» trovò il coraggio
di rispondergli il giapponese.
Aveva preso a torturarsi le mani nel tentativo di combattere la
tensione che stava distruggendo ogni singola particella del suo corpo.
«Una composizione originale?»
«... circa.»
«D'accordo, è una sorpresa, ho capito. Non devo
insistere.» disse, improvvisamente serio.
Si alzò e fece un paio di passi indietro per allontanarsi.
«Ora, se permettete, ho un'esibizione che mi
attende.»
Senza attendere oltre, si diresse verso il palco.
Yuuri non gli tolse gli occhi di dosso neppure per un istante.
Per l'intero ristorante risuonavano le voci dei numerosi commensali,
ma sarebbe riuscito comunque a dire il momento esatto in cui, d'un
tratto, calò il silenzio.
Viktor non aveva neanche iniziato a suonare, si era limitato a prendere
posto accanto al pianoforte, eppure tutti gli occhi erano
già
puntati su di lui.
No, pensò, a lui non serviva suonare per lasciare le persone
a bocca aperta. Bastava la sua sola presenza.
O, almeno, bastava a Yuuri.
Ripose sulla specchiera la custodia del violino, la aprì e
ne
tirò fuori lo strumento, per poi sistemarlo tra la spalla e
il
mento. Con una mano prese l'archetto.
Sembrava... calmo.
Lo invidiò per quella tranquillità. Come faceva a
restare
così pacato, con tutta l'attenzione della sala su di
sé?
Si diede dello sciocco: ovviamente Viktor aveva più
esperienza
di lui, che in tutta la sua vita aveva partecipato a tre concerti e uno
di questi era stato un fallimento totale.
Il russo posò l'archetto sulle corde, e poi fu magia.
Per cinque, indimenticabili minuti, Viktor stregò il
pubblico e oh, quant'era bello...
Sul suo viso comparve nuovamente quell'espressione di estasi che Yuuri
aveva visto anche la sera prima, quando avevano suonato assieme, una
visione semplicemente troppo magnetica per poter distogliere lo sguardo.
Tutto in lui era stupendo: il braccio che muoveva l'arco, ora
inclinandolo ora sollevandolo, la ciocca di capelli che gli ricadeva
sugli occhi, che invece erano fissi sulle sue dita.
Non aveva allontanato neanche per un secondo gli occhi da quelle dita,
che
con grazia indescrivibile si muovevano sulla tastiera del violino.
Realizzò che stava trattenendo il respiro solo quando, a un
certo punto, tossicchiò, un piccolo promemoria del suo corpo
per
ricordargli che ancora non poteva fare a meno dell'ossigeno.
Allo stesso modo, si rese conto che l'esibizione era terminata solo nel
momento in cui Pichit gli batté una mano sulla spalla,
abbastanza
forte da scuoterlo.
«Cazzo, avevi ragione. Ma hai idea quant'è
difficile il capriccio 24 di Paganini? L'ha eseguito magistralmente.
Sai, dovresti prestarmi qualcuno dei tuoi album, qualche
volta.»
gli disse all'orecchio, sicuro che Yuuri non sarebbe riuscito a
sentirlo, altrimenti.
Al religioso silenzio di prima erano seguiti un'infinità di
applausi e urla.
«Lo so. È bellissimo.»
Sussurrò appena l'ultima frase, ma Pichit riuscì
a udirla ugualmente bene.
«Sei proprio stracotto.» gli disse con un sorriso.
Nascose il viso tra le mani, conscio di quanto in realtà
l'amico avesse ragione.
Dannazione se era cotto.
Quando fu certo che il rossore sulle sue guance fosse scomparso,
qualche secondo più tardi, scoprì nuovamente la
faccia solo per scoprire che Viktor stava tornando al loro tavolo.
No, non al loro tavolo, alla
sedia vicino alla sua.
Non sapeva se sentirsi più a disagio per quello, o per il
fatto
che improvvisamente gli sguardi di tutta la sala fossero rivolti a loro.
Il russo si accomodò accanto a lui e non riuscì a
fare a meno di trattenere il fiato.
«È stata una magnifica esibizione,
Viktor.» ruppe il
ghiaccio Pichit, spostando la sua sedia quel tanto che bastava per
allontanarsi da Yuuri, che si frapponeva fra lui e il violinista.
«Ti ringrazio, è stato leggermente
impegnativo.»
mormorò, allungando il collo prima verso sinistra e poi
verso
destra per stiracchiarsi, non riuscendo a nascondere una smorfia di
dolore.
«E tu quando suonerai Yuuri? Sono così
curioso.»
Il disagio sembrava essere immediatamente scomparso dal suo viso,
lasciando il posto a parole melliflue e un sorriso a trentadue denti.
«Già, sei l'ultimo a doversi esibire prima del
gruppo
jazz. Dovresti avviarti, sai?» aggiunse Pichit, e, se non ci
fosse stato Viktor, era abbastanza sicuro che l'avrebbe picchiato sul
momento.
«Sì... forse è il caso.»
rispose sbrigativo mentre, con lentezza, si alzava.
«Ahhh,
non riesco a trattenere l'emozione!»
Bastò
il semplice stare in piedi a far contorcere il suo stomaco e a
velocizzare i battiti del suo cuore.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Sarebbe salito sul palco, avrebbe posato le mani sulla tastiera e poi
si sarebbe bloccato, incapace di procedere. Ne era certo.
Proprio com'era successo a quel dannatissimo concerto, un anno prima.
Certo,
in quell'occasione aveva anche scoperto esattamente due minuti prima
che il suo cane era morto, ma non era comunque riuscito ad affrontare
l'attacco di panico.
A detta di Pichit, era rimasto immobile e con gli occhi sgranati
davanti allo strumento per circa cinque minuti, per poi cominciare a
piangere e lasciare il teatro, senza proferire parola, sotto gli
sguardi scioccati di amici e parenti, e le prese in giro di sconosciuti.
Per un paio di mesi nel Kyushu non si parlò d'altro che di quel
disastroso evento.
E sarebbe successo ancora.
Avrebbero riso di lui, Viktor
avrebbe riso di lui.
Sentì le ginocchia venirgli meno.
In quello stesso istante Pichit si alzò, forse percependo la
sua
agitazione interiore, e gli posò una mano sulla spalla.
Sì, doveva essere così, perché quando
si
voltò nella sua direzione il thailandese gli stava
sorridendo,
apprensivo.
«Vengo con te, voglio vederti da vicino mentre
suoni.»
disse a mo' di scusa, e la sua idea sembrò piacere molto
anche
al russo, che li seguì eccitato.
Il loro tragitto insieme fu breve, perché non appena furono
più vicini al palco i due abbandonarono Yuuri per
appoggiarsi
alla parete di fronte al pianoforte.
Mentre attraversava quei pochi metri che lo separavano dal suo
obiettivo, poteva sentirli.
Gli sguardi delle persone, i loro respiri, i loro mormorii, le loro
aspettative.
Chi sarà mai?
Lo conosci?
Credo sia un pianista.
Ha una faccia conosciuta.
Non è quel tizio del concerto in Giappone?
Basta.
Si accomodò sullo sgabello e scoprì la tastiera,
coperta
da una striscia di velluto rosso. Spostò anche quella senza
troppe cerimonie.
I mormorii cessarono, e l'improvviso silenzio lo mise ancora
più in soggezione.
Posò le dita sui tasti, pronto a suonare.
Eros iniziava con una serie di note legate, nulla di difficile, poteva
farcela. Si trattava solo di incrociare le mani e spostare la destra al
momento giusto e-
Aveva suonato una nota sbagliata, stonando completamente.
Si bloccò per un istante, sentendo tutto quel silenzio
inghiottirlo.
Respira.
Respira.
Non è successo nulla.
Ricomincia.
Respira.
Eppure era ancora fermo.
Cominciarono a parlare, sentì un bambino ridere e sua madre
sgridarlo l'attimo successivo.
Zitti.
State zitti.
Non si accorse del momento in cui aveva premuto nuovamente
con forza i tasti, ricominciando il pezzo dall'inizio.
Silenzio. Stavolta non era così male, non c'era aspettativa.
Sapeva di averli lasciati a bocca aperta.
Altri mormorii.
Ma non è un
pezzo di Viktor Nikiforov?
Un arrangiamento?
È davvero bravo.
Uno dei miei brani preferiti!
Divino!
Chissà se ci era riuscito, se aveva stupito anche Viktor.
Non gli importava.
Era arrivato a circa metà brano quando chiuse gli occhi,
lasciandosi trasportare dalla melodia.
Non aveva bisogno di guardare la tastiera, perché se c'era
una
cosa che Yuuri conosceva meglio di se stesso era l'ordine dei tasti.
Gli bastava sentirli,
rigidi e lisci sotto le dita.
Furono le urla e gli applausi a fargli riaprire gli occhi, lasciandogli
intendere che aveva finito.
Ce l'aveva fatta.
Alzò lo sguardo davanti a sé e vide Pichit
applaudire con foga, come il resto delle persone presenti in sala.
Senza soffermarsi più di tanto sul suo migliore amico,
posò gli occhi su Viktor.
Batteva le mani con lentezza, un sopracciglio alzato e la bocca
semi-dischiusa e lo sguardo... cos'era quella negli occhi di Viktor?
Era troppo lontano per capirlo.
L'aveva sorpreso? Era annoiato? Gli era almeno piaciuto?
D'improvviso le attenzioni del pubblico non gli interessavano
più.
Voleva solo la sua,
di attenzione.
Si alzò dallo sgabello e congedò gli ospiti con
un breve
inchino, osservando di sfuggita un quartetto che da lì a
breve
lo avrebbe sostituito, quindi mosse dei brevi e rapidi passi in
direzione del violinista.
Dimmi qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Lo sguardo enigmatico scomparve dal volto del russo e lasciò
spazio a un falso sorriso.
E all'improvviso c'erano solo loro due: non contava più la
presenza di chissà quante altre decine di persone, per Yuuri
in
quel momento esisteva solo Viktor.
Delle lunghe dita si posarono sul polso, stringendolo con delicatezza
ma senza nascondere una certa urgenza.
Fredde, esili ma forti, lisce.
«Yuuri.»
Gli piaceva il suo nome detto da Viktor, aveva un suono diverso.
«S-Sì?»
«Posso parlarti in privato?»
Note autrice:
Salve a tutti!
Che dire? Non sono morta lol Chiedo venia per il tempo trascorso tra il
primo capitolo e questo, ma la mia vita una volta iniziato gennaio
è diventata un inferno e ho avuto poco tempo a disposizione
e, ahimè, le cose non sono ancora cambiate, complice la
scuola. Sia io che la mia beta siamo state parecchio indaffarate.
Non ho davvero idea di quando potrebbe uscire il prossimo capitolo, e
di questo mi scuso in anticipo.
Ma torniamo a noi!
Yuuri finalmente si è esibito! Yay! *sventola bandierina*
OVVIAMENTE la sua prima esibizione sarebbe stata su Eros, quindi chi di
voi lo immaginava ci ha visto giusto!
E che cosa vorrà dirgli Viktor? Che è
anche lui un sacco gay e vuole portarsi Yuuri a letto?
Sono aperte le scommesse anche su questo uwu
Non so cosa aggiungere, se non che ringrazio quelle splendide
personcine che già hanno aggiunto la storia ai preferiti e
che hanno lasciato un commento allo scorso capitolo ♥ Il
ringraziamento più grande però va a tutti voi che
avete iniziato la fic, siete tantissimi e non mi aspettavo riscontri
così positivi, vi voglio bene ;_;
Come al solito, una recensioncina o anche un messaggio privato per
farmi sapere cosa ne pensate sono sempre ben accetti ~
Io ora vi lascio e spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento
^^
With love, your Joker.
|
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Capitolo 3 *** III. Adagio ***
Terzo capitolo
III.
Adagio
Yuuri in quel momento stava provando troppe emozioni allo stesso tempo
per poter essere abbastanza lucido da protestare.
Posso parlarti in
privato?
Aveva annuito senza neanche pensarci due volte.
Le dita di Viktor si erano strette con appena più decisione
attorno al suo polso e l'aveva condotto via dalla sala, da quella folla
scalpitante; due minuti più tardi si era trovato su una
terrazza
di cui non sapeva neanche l'esistenza.
Ad essere onesti, non ricordava neppure la strada fatta per arrivare
lì.
C'era solo Viktor in quel momento, Viktor e quella dannatissima mano
che non aveva lasciato la sua neppure per un istante durante il
tragitto.
Fu la vista della città a riportarlo alla realtà:
si
trovavano abbastanza in alto da riuscire perfettamente a
vedere la
torre Eiffel.
Era bella Parigi; sembrava un'immensa distesa di luci e colori, sempre
in movimento, quasi non vi calasse mai la notte.
Mai nella sua vita, senza contare il suo attuale stato di
disoccupazione, si sarebbe potuto permettere una camera in un albergo
come quello dove si trovavano adesso.
Viktor parlò, spezzando il momento di trance
in cui il pianista era momentaneamente caduto.
«Finalmente
soli! Non potevo sopportare più quel vociare.»
«Già.» gli rispose, ancora rivolto al
panorama. «Volevi parlarmi?»
«Sì, in verità.»
Spostò lo sguardo su di lui e l'ansia tornò a
divorarlo.
«Vedi, Yuuri, sono ormai tre anni che suono con l'orchestra
di
San Pietroburgo, e ad agosto scadrà il contratto che mi lega a loro.
Vorrei riprendere a suonare da solista, e mi piacerebbe se ti unissi a
me come pianista
accompagnatore.»
Oh Dio.
Aveva sentito bene? Aveva davvero detto quelle parole?
Pianista accompagnatore.
Stava certamente sognando, perché Viktor Nikiforov in persona lo
voleva al suo fianco.
Strinse le dita sul parapetto dietro di lui, sicuro che le sue gambe
fossero diventate molli e incapaci di reggerlo a dovere.
«Ma... ma perché io?» chiese, ancora
sconvolto.
«Insomma, ci sono migliaia di pianisti con più
esperienza
di me che potresti-»
«No! No, Yuuri, tu non capisci.»
Il russo rise e gli si avvicinò con un paio di passi veloci
fino a trovarglisi di fronte, fece come per prendergli il viso tra le
mani, ma infine le posò sulle spalle, stringendole appena.
Yuuri si fermò a pensare che non fosse umanamente possibile
provare tante emozioni contemporaneamente: paura, ansia, eccitazione,
curiosità, insicurezza, speranza.
Fu quando Viktor gli sorrise che il suo cuore si sciolse completamente.
Poteva morire, lì ed ora.
Paziente n. 66: Yuuri
Katsuki.
Ora del decesso: 22:34
Causa: arresto cardiaco.
No, l'unica cosa assolutamente inumana lì in
mezzo era sicuramente il violinista.
«È... complicato. Vedi, Yuuri, io non ho mai
suonato con
gli altri...
Nel senso che mi vengono date solo parti da
solista, non suono mai con il coro di violini. So bene che il mio
è solo il
capriccio di un violinista anche troppo famoso ma... non mi
piace, lo detesto.
Io... mi piace fare di testa mia, cambiare il brano sul
momento, improvvisare, e con l'orchestra tutto questo non è
possibile. Odio far parte di quel maledetto coro.»
«Allora come mai ti sei unito a loro?»
«Mi serviva un posto fisso in attesa di comporre il nuovo
album,
ma è stata la decisione peggiore della mia vita.»
ammise
con un sospiro. «Mancano solo tre mesi, poi tutto
sarà
finito e potrò dedicarmi nuovamente alle mie composizioni, e
per
farlo vorrei te.»
«Scusa, Viktor, ma continuo a non capire: perché
proprio io?»
«Perché, ieri sera, Yuuri, è successo
qualcosa che non mi capitava da molto tempo: suonare con qualcuno. E
non intendo l'averti avuto fisicamente accanto, ma mi riferisco al
suono del pianoforte che si univa impeccabilmente a quello del mio
violino. Io ho dettato i ritmi e tu mi hai seguito immediatamente,
senza fiatare, e ancora prima, mentre tu suonavi da solo, unirmi a te
mi è sembrata semplicemente la cosa più semplice
da fare. Mi sono divertito.
Non mi capitava da molto, molto tempo ormai.»
Yuuri restò a bocca aperta per qualche istante, cercando di
analizzare mentalmente il significato di quelle parole.
«È per questo che non posso, non voglio scegliere
l'altro migliaio di pianisti. Voglio te.»
Non stava sognando, no, davvero. Viktor era serio, lo voleva davvero
con lui in Russia.
Si sentì improvvisamente l'uomo più fortunato
della terra: la sua cotta più grande gli aveva appena
esplicitamente detto di voler lavorare con lui.
Di voler suonare con
lui.
«E poi hai arrangiato uno dei miei pezzi
più famosi, insomma... mi sento onorato.»
scherzò «Era stupendo,
Yuuri. La tua versione di Eros era davvero
meravigliosa.»
Per una vita aveva osservato e ascoltato in religioso silenzio i
concerti del russo, sognando di prendere il posto di quei pianisti che
avevano avuto l'onore di accompagnare Viktor. Sognando che un giorno
quello sgabello e quello Steinway sarebbero stati suoi.
E ora aveva quell'opportunità proprio lì, davanti
a lui, e voleva rispondere che sì, voleva stare, suonare
con Viktor, seguirlo a San Pietroburgo, ma tutte le conseguenze e le
difficoltà che quella
risposta avrebbe comportato lo colpirono in petto come una cannonata.
Si sarebbe dovuto trasferire in Russia, un paese sconosciuto, senza
sapere come mantenersi, perché Yuuri era un adulto,
disoccupato, e assolutamente non intenzionato a chiedere aiuti
economici ai suoi genitori, che avevano fatto già tanto
pagando - in parte - la sua lunga permanenza a Detroit.
L'album avrebbe richiesto tempo e duro lavoro, e i profitti non
sarebbero giunti abbastanza velocemente da assicurargli in qualche modo
una certa stabilità economica.
Avrebbe potuto suonare nei locali, magari, come aveva fatto in America
del resto, ma, a differenza dell'inglese, Yuuri non conosceva per nulla
il russo.
«Allora, che ne dici?»
«Io...»
No.
Per una volta che la fortuna sembrava voler venirgli incontro, ecco che
anche quell'unica speranza si eclissava.
«Sarebbe troppo complicato, non avrei neanche un posto dove
alloggiare o lavorare...»
La fronte del russo si corrugò per un attimo, segno che
stava riflettendo, poi il suo viso si rilassò nuovamente.
«Puoi stare da me finché non trovi un altro posto,
e al teatro dove provo con
l'orchestra avranno sicuramente qualche occupazione per te!»
ribatté.
Avrebbe vissuto con Viktor.
Finché non trovi un altro posto.
In tal caso si sarebbe fatto bastare il breve periodo di
convivenza.
Le mani del violinista si strinsero attorno alle sue,
docilmente.
«Ti prego, Yuuri.»
Una piccola parte della sua coscienza cercava ancora di farsi
valere contro il suo istinto, e convincerlo a non accettare.
«Ci penserò.»
Viktor sospirò.
«Hai ragione, scusa, ti ho messo pressione. D'altronde, come
ho
detto prima, mancano ancora tre mesi. Magari potremmo scambiarci i
numeri di telefono?
Così puoi contattarmi non appena prenderai una decisione. Io
tornerò a San
Pietroburgo domattina e penso che tu farai lo stesso, per cui dubito ci
rivedremo nuovamente...» disse infine con un sorriso.
«Già...»
Il russo digitò qualcosa, la luce dello schermo illuminava
il suo volto.
«Ecco, tieni, inserisci il tuo numero.»
Prese dalle sue mani il cellulare e fece quanto richiesto,
riporgendoglielo qualche secondo più tardi. Yuuri non
esitò a fare lo stesso.
«Otlichno!
Detto ciò, credo sia il caso di tornare dagli altri, si
staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.»
«Sì, è vero.» rispose,
portando una mano dietro il collo per grattarsi svogliatamente la nuca.
Viktor gli diede le spalle e s'incamminò per primo, facendo
strada; sembrava conoscesse piuttosto bene l'albergo, e probabilmente
non era la
prima volta che alloggiava lì.
Nel ristorante, intanto, il quartetto jazz stava ancora suonando, e
l'attenzione dei commensali era totalmente rivolta al loro cibo,
più che alla musica.
Pichit, in un angolo, stava conversando con alcuni dei musicisti che
avevano suonato con lui, ma gli rivolse un'occhiata complice non appena
lo vide fare il suo ingresso in sala, al seguito di Viktor.
Gli aveva fatto l'occhiolino due volte: era il loro segnale per dire "devi raccontarmi tutto in ogni
singolo dettaglio".
Perlopiù, Pichit lo aveva utilizzato ogni volta
che Yuuri
si era presentato nel loro appartamento con qualche ragazzo, e prima di
lasciare la casa con qualche scusa per poter dare al giapponese un po'
di intimità quel muto segnale non era mai mancato.
Yuuri, dal canto suo, non lo aveva mai usato spesso. Non gli era mai
veramente interessato
conoscere le avventure sentimentali del suo migliore amico, che invece
era sinceramente preoccupato per le sue, di esperienze romantiche
(nonostante nessuna fosse mai andata a buon fine).
Rispose al cenno del thailandese e si rivolse a Viktor, dicendogli
brevemente che era stanco e voleva ritirarsi.
«Già a letto? Così presto?»
«È stata una giornata intensa.» si
giustificò.
Il violinista lo guardò in silenzio per qualche secondo.
«Beh, spero con tutto il cuore che penserai alla mia offerta,
Yuuri.»
Prese la mano destra del ragazzo tra le sue e, davvero, Yuuri voleva
solo sparire sei metri sotto terra in quell'istante.
«È stato un piacere fare la tua
conoscenza.»
«A-Altrettanto.»
Viktor lasciò la sua mano e quello segnò il loro
congedo.
Guardò in direzione di Pichit, poi fece ritorno nella sua
stanza.
_______________________________________
Il viaggio di
ritorno fu stancante, ma non quanto la partenza per Parigi.
Dormì un paio d'ore, ne trascorse altre due a leggere e per
il
resto del viaggio cercò di fare conversazione con l'anziana
signora che gli stava seduta accanto.
Si trattava di una donnina educata, minuta, dal forte accento francese,
che gli raccontò di come aveva programmato la sua permanenza
in
Giappone e di quanto fosse emozionata.
Ascoltò in silenzio quella vivace ottantenne, sorridendo
genuinamente nel sentirla parlare; del resto, non aveva di meglio da
fare.
Pensò a lungo a Viktor; un paio di volte, addirittura,
ricontrollò la sua rubrica telefonica per dirsi che
sì, aveva davvero avuto il suo contatto, e sì,
quello nella foto profilo di WhatsApp era proprio Viktor Nikiforov in
persona col suo cane.
Se avesse mantenuto il suo scetticismo fino alla fine e non avesse
accettato l'offerta di Pichit, la sua vita sarebbe probabilmente
diversa.
Sarebbe rimasto ad Hasetsu, con la sua famiglia, avrebbe
aiutato sua sorella a servire ai tavoli, suo padre con la manutenzione
delle terme, o forse avrebbe trovato lavoro in qualche locale piano bar.
Tornare a terra, respirare l'aria di casa sua fu un gesto semplice che
tuttavia lo tranquillizzò profondamente, e bastò
a
infondere un po' di calma nel suo animo turbato.
Quando finalmente uscì dall'aeroporto di Fukuoka, non
riuscì a
trattenere un sorriso nel vedere la sua insegnante di piano con un
ridicolo striscione rosa che gli faceva segno.
«Yuuri!»
«Minako-sensei!»
Minako Okukawa era una delle donne più brillanti che Yuuri
conoscesse.
Aveva iniziato a studiare pianoforte quando aveva appena
cinque
anni, e in men che non si dica era diventata una vera e propria
celebrità
internazionale, quasi al pari di Viktor. Nonostante il suo carattere un
po' severo e il suo problemino con l'alcool, Minako era una
delle persone a lui più care.
Un genio della musica la cui carriera era stata stroncata
prematuramente.
A soli ventidue anni la sua infiammazione al tunnel carpale nella mano
sinistra era gravemente peggiorata, e aveva dovuto lasciare la sua
carriera da musicista.
Fu qualche anno più tardi che la conobbe, quando era un
docile
bambino di dieci anni, ansioso di apprendere l'arte di quello
strumento tanto imponente quanto affascinante.
La donna fu più veloce di lui e lo stritolò in un
abbraccio non appena furono abbastanza vicini.
«Bentornato, Yuuri! Sei mancato molto a tutti!»
«Grazie, è un piacere vederla. C'è solo
lei?»
«Sì, l'onsen è piuttosto affollato e i
tuoi genitori hanno chiesto se potessi venire a prenderti io.»
«Sono spiacente per il disturbo.»
«Oh, figurati! E poi voglio sapere com'è andata a
Parigi. Raccontami tutto!»
Yuuri sorrise e la seguì fino al parcheggio, raccontandole
durante il tragitto di alcuni particolari sul viaggio e l'hotel in cui
aveva alloggiato.
Fu solo quando entrarono in auto e il motore partì che si
lasciò sfuggire un flebile:
«Ho incontrato Viktor Nikiforov.»
«Cosa?! Davvero?! Yuuri ma è fantastico! Non
è il tuo musicista preferito?»
«Già...»
Si torturò le mani, improvvisamente nervoso.
«Beh? Com'è?» chiese maliziosa.
Minako sapeva
che Yuuri era gay, anche se non gliel'aveva mai detto esplicitamente,
ma da anni ormai lo sospettava.
«Suona davvero bene.» rispose evasivo, ma la donna
non
mancò di notare il rossore che colorì le guance
del suo
allievo dopo quella domanda, e decise di non insistere ulteriormente,
sebbene volesse qualche dettaglio in più.
«È davvero l'uomo più sexy del 2016
come dicono i giornali?»
Yuuri sembrava andare a fuoco.
«È un bell'uomo.» assentì
brevemente.
L'insegnante gli lanciò un'occhiata di sfuggita e poi
tornò a concentrarsi sulla strada davanti a sé.
Per un periodo calò il silenzio nell'automobile,
finché Yuuri non parlò.
«Mi ha chiesto di andare a suonare con lui in
Russia.»
E per poco Minako non rischiò di scontrarsi con la macchina
davanti alla sua.
«Che cosa?!
Yuuri ma
è fantastico! Tu devi preparare i bagagli, è
l'occasione
di una vita! Diventerai famoso, lavorerai col tuo idolo! Certo la
Russia è un po' fredda ma puoi abituartici ne sono
cert-»
strillò euforica.
«Io non parlo un'acca
di russo, Minako!»
«A chi interessa se non parli russo, devi suonare, non
parlare, idiota!»
«E se non trovassi un lavoro?»
«Yuuri tu sei un pianista eccezionale, certo che troverai un
lavoro. E poi scommetto che i tuoi genitori saranno più che
disposti ad aiutarti economicamente nei primi tempi, no? I tuoi
genitori lo sanno, vero?»
«No, devo ancora parlargliene.» ammise il minore,
grattandosi la nuca. «E comunque non dovrei partire subito,
il
suo contratto con l'orchestra scade ad agosto, dovrei aver tempo fino
all'inizio di settembre.»
La donna lo ascoltò, meditabonda.
«Fino ad allora ti interessa racimolare qualche soldo
veloce?»
«Uhm?»
«Te ne avrei parlato non appena ti fossi sistemato meglio a
casa,
ma Yuuko mi ha fatto sapere che alla scuola di Hasetsu stanno cercando un
maestro di musica per dei corsi pomeridiani. Sia estivi che
curricolari. Certo, ti sarà ovviamente impossibile durante
l'anno, ma almeno impiegheresti questi tre mesi in qualcosa di
produttivo. Si tratta di tre lezioni da un'ora a settimana, e la scuola
è disposta a pagare di più se puoi tenere corsi
su
più strumenti. Sbaglio o sai suonare anche la
chitarra?»
Yuuri annuì.
«Ho imparato da un amico a Detroit, quando convivevo con
Pichit.
Non sono un professionista, ma non me la cavo tanto male.»
«Chitarra e pianoforte, ottimo no? Certo, non sarà
una
paga altissima, ma almeno puoi iniziare a mettere da parte
qualcosa.»
Riflettendoci, non era nulla di particolarmente complicato, insegnare
dei bambini a suonare non poteva essere di certo catastrofico.
«Parlerò con Yuuko della cosa, ti ringrazio per
avermelo detto.»
Minako non rispose, si limitò a sorridere.
Trascorse un altro quarto d'ora di silenzio, prima che lei esordisse
con un "Siamo arrivati". Aiutò il ragazzo con il suo unico
bagaglio - «Yuuri,
pesa quanto una montagna questa valigia, che diavolo ci hai messo
dentro?»
- e poi si accomodò nella sala da pranzo dell'onsen senza
troppe
cerimonie, chiedendo da subito una bottiglia di saké, mentre
il
suo povero allievo veniva invaso dalle domande dei suoi genitori e dei
pochi clienti presenti oltre a lei.
Dal suo canto, Yuuri si trovò intrappolato tra sua madre e
sua sorella.
La prima voleva sapere come fosse andato il viaggio, la seconda invece,
senza pietà, gli diede una lista di lavoretti e mansioni da
svolgere.
Si ritrovò a sbuffare nonostante avesse rimesso piede
all'onsen
da neanche cinque minuti, ma, come si dice, casa dolce casa.
Note dell'autrice:
Lo so, sono una disgraziata, nelle eventuali recensioni siete
autorizzati a prendermi a parole, tranquilli.
È stato un brutto periodo, sono stata spesso sotto stress e
questo capitolo non doveva fermarsi all'arrivo di Yuuri ad Hasetsu, ma
un po' per non farvi attendere oltre, un po' per restare in linea col
numero di parole dei precedenti capitoli, ho preferito postarlo
ugualmente.
Che dire? Stanno facendo piano pianino tutti quanti la loro comparsa.
In realtà non succede davvero molto, è un
capitolo di passaggio, e così sarà anche il
prossimo - che spero di pubblicare entro luglio, magari - ma vi
prometto che dal capitolo cinque le cose inizieranno a smuoversi,
soprattutto per i nostri dolci piccioncini ♥
Vi anticipo che sarà tutto molto lento, Yuuri e Viktor
soffriranno, ma poi staranno bene(?)
EEEE niente, non so cos'altro aggiungere.
Chiedo ancora scusa per l'immenso ritardo, e cercherò di
pubblicare quanto prima - se se, non mi crede più nessuno
ormai - il prossimo capitolo ;_;
Ringrazio tutto il pubblico che mi segue silenziosamente e quelle
splendide personcine che hanno commentato il capitolo precedente
♥
Leggere i vostri commenti mi ispira sempre un sacco ♥ Vi amo
ç_ç
Se volete farmi sapere cosa ne pensate della storia, se avete domande,
curiosità o altro potete scriverle in una recensione o un
messaggio privato ;)
Io vi saluto, gentaglia!
With love,
your Joker ♥
|
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Capitolo 4 *** IV. Moderato ***
IV. Moderato
IV. Moderato
Nella sua
vita, Yuuri si era
ritrovato davanti a tante situazioni difficili: la scuola, le prime
lezioni di piano, la sua cotta per Viktor, la realizzazione di essere
gay, il trasferimento a Detroit, il coming out con Pichit.
Tra queste, aveva appena deciso di contemplare anche l'insegnare il
pianoforte ai bambini.
Si trattava di una classe di poco più di dieci ragazzini,
tra
cui le tre figlie di Yuuko e Takeshi - era certo che fossero
lì
solo perché gli volevano bene, non perché
avessero la
benché minima intenzione di imparare effettivamente qualcosa
-,
ma il vero problema era proprio l'età dei suoi studenti.
Bambini, rumorosi e scoccianti.
Non che Yuuri da piccolo non fosse stato anche lui rumoroso e
scocciante - qualche volta -, però era abbastanza timido e
introverso da non dare mai troppi problemi.
Quella classe, diversamente, di problemi ne stava dando abbastanza.
La scuola gli aveva dato un pianoforte della Kawai piuttosto vecchio,
con alcuni tasti leggermente malfunzionanti, ma che poteva ancora andar
bene per delle lezioni di base, eppure in
appena cinque minuti uno dei bambini era già stato capace di
rendere inutilizzabile il fa diesis della prima ottava.
«No, no, non toccare, oppure si rompe.» disse
gentilmente a uno, mentre prendeva a rimproverarne un altro.
«Hishikori no! Il pianoforte non si suona così!
Okay, bambini, aspettate-»
Le sue parole sembravano avere un senso solo per le tre gemelline di
Yuuko, ma per i restanti sette erano a dir poco vane.
In un moto d'ira, batté la mano così forte contro
il
coperchio che il tonfo attirò l'attenzione di tutti,
riportando
improvvisamente il silenzio nella piccola aula.
«D'accordo, ora, se vi disponete tutti in cerchio accanto a
me,
vi faccio vedere come posizionare le dita, va bene?» chiese
gentilmente.
«Questo è il do centrale.»
spiegò, e
suonò il tasto. «Si chiama così
perché sta
più o meno al centro della tastiera. Conoscete il resto
delle
note? Sapete leggerle?»
I bambini annuirono tutti, ascoltando il prosieguo della lezione in
silenzio, fino alla fine, provando quanto Yuuri spiegava sulle loro
piccole diamoniche.
Ci vollero poche manciate di minuti perché i piccoli
smettessero
di distrarsi e cominciassero a prestare davvero attenzione alla
lezione, sinceramente interessati.
A fine giornata, i suoi alunni avevano imparato a suonare la scala di
do maggiore e aveva assegnato loro una serie di esercizi da svolgere
per la prossima volta.
Erano appena le sette di sera, quando rincasò.
Trovò Mari che spazzava ad attenderlo, e una Minako poco
sobria attaccata al televisore della sala da pranzo dell'onsen.
Si tolse il leggero cappotto con cui era uscito e si
avvicinò alla sorella.
«Da quant'è in questo stato?» le chiese,
senza attirare l'attenzione della sua insegnante.
«Un po'. Ma abbiamo smesso di darle altro alcool per non
peggiorare la situazione.» ammise la ragazza.
«Yuuriiiiii! Sei tornatoooo! Com'è andata la
lezione?»
La donna si intromise nella conversazione, e bastò quella
semplice domanda a mandare in panico il giovane: i suoi genitori non
sapevano ancora assolutamente nulla della proposta di Viktor.
«Lezione?» aggiunse Mari. «Di che sta
parlando?»
«È... complicato. Ti spiegherò tutto,
giuro.»
«Yuuri da lezioni di piano ai mocciosi per andare in Russia
da
Nikiforoooov! Però ora mi riaccompagna a casa, vero
Yuuri?»
«Sì, sì, ti riaccompagno a
casa!»
blaterò di sfuggita mentre prendeva di nuovo il cappotto,
pronto
a uscire di nuovo.
Afferrò Minako per un braccio e la aiutò ad
alzarsi.
La donna era già uscita di casa quando Yuuri, che stava per
seguirla fuori, venne fermato da una solida presa al braccio.
«Sarà meglio che quando torni tu mi racconti ogni singola cosa
di questa follia di andare in Russia. Chiaro?»
Affranto, il giapponese si limitò ad annuire.
S'incamminò con la sua insegnate per le desolate strade di
Hasetsu, meditando su quanto era successo.
Probabilmente, il suo sogno di lavorare con Viktor era terminato
nell'esatto momento in cui Minako aveva parlato, eppure non gliene dava
una colpa.
Tutto ciò che Yuuri provava per Minako erano riconoscenza e
compassione.
Se aveva avuto anche solo l'occasione di poter incontrare il suo idolo,
lo doveva unicamente a lei, e a anni di lezioni di pianoforte per le
quali la donna non aveva mai chiesto nulla in cambio, sebbene la sua
famiglia si fosse sempre sdebitata offrendole da bere.
Come si poteva restare indifferenti, poi, davanti a una visione come
quella a cui Yuuri stava assistendo?
Aveva davanti una delle più grandi pianiste degli ultimi
trent'anni quasi totalmente ubriaca, che aveva fatto della musica la
sua unica ragione di esistere, che a causa della stessa aveva
abbandonato la sua famiglia e quello che, se fosse rimasta a Tokyo,
sarebbe probabilmente diventato suo marito.
E la musica come l'aveva ripagata? Con due operazioni alla mano
sinistra e una carriera da pianista stroncata sul nascere.
Per non dimenticare l'alcolismo.
Yuuri non era un grande pianista, o, almeno, non si considerava tale, e
dopo il fiasco dello scorso anno scommetteva tutte le sue tastiere che
ad Hasetsu, eccetto la sua famiglia, nessuno lo considerasse un
fenomeno musicale.
Dopotutto, si stava comunque parlando di trasferirsi in Russia per un
periodo indeterminato, e ciò richiedeva una certa
quantità di denaro che Yuuri nel suo stato attuale non
possedeva.
Le lezioni di musica alla scuola non erano pagate poi tanto male, ma a
quanto sarebbero bastati quei soldi? Non poteva certo accamparsi in
casa di Viktor, e in breve tempo avrebbe dovuto trovare un alloggio o
quantomeno un coinquilino.
Un coinquilino russo, di un paese straniero, che parlava una lingua che
Yuuri assolutamente non capiva.
Sospirò, scosse brevemente la testa e riportò la
sua
attenzione su Minako, che camminava davanti a lui leggermente
barcollante.
«Perché quel muso lungo?» fece lei.
«Niente, sto pensando.»
«Tu hai un serio bisogno di ubriacarti, sai?»
«Lo terrò a mente.»
«Dai, sorridi.»
«No.»
«Yuuri non fare il ragazzino imbronciato e fammi un cazzo di
sorriso.» sbraitò.
Fortuna che la strada era vuota e non c'era nessuno ad assistere a quel
battibecco.
Il ragazzo fece un breve, sorriso forzato, ma non bastò a
soddisfare la sua insegnante.
«Non quel sorriso da scemo, uno sincero.»
«Non dovresti essere incapace di intendere e
volere?»
«Non sono così ubriaca.»
«Ah-ha.»
«Modera i termini, ragazzino, sono più grande di
te!»
Quel rimprovero fece ridere Yuuri e sorridere Minako.
«Ecco, ti costava tanto farti una risata?»
«No, in effetti.»
La donna fece qualche passo verso di lui, quel tanto che bastava per
allungare una mano e scompigliargli i capelli; dopo qualche attimo, si
fermò sul marciapiede.
«Va bene fin qui, Yuuri, grazie. Torna a casa.»
«Ma non siamo ancora arrivati al tuo appartamento, sei
sicura?»
Dal suo canto, lei si era già incamminata di nuovo da sola.
«Sì tesoro, stammi bene!»
urlò, ormai già a una decina di metri da lui.
Con una breve alzata di spalle, si decise a tornare indietro.
Il silenzio che lo accolse quando rientrò a casa era a dir
poco frustrante.
Mari lo attendeva seduta al tavolo della cucina con un'espressione
inequivoca, che poteva dire solo una cosa: "dobbiamo parlare".
Senza fare storie, si accomodò di fronte a lei.
«Allora? Cosa vuoi sapere?»
Con una calma terrificante, sua sorella posò i gomiti
incrociati
sul ripiano in legno e si fece leggermente in avanti, poi
fissò
gli occhi nei suoi.
«Prima cosa: mamma e papà lo sanno?»
«Dipende da a cosa ti riferisci.»
«Tutto. Le lezioni, e la Russia.»
«Sto dando lezioni di piano e chitarra ai bambini della
scuola di Hasetsu; questo mamma e papà lo sanno.»
«Okay. Su questo ci siamo chiariti. Ma ora mi spieghi
cos'è questa storia di Viktor Nikiforov.» disse.
«L'ho incontrato a Parigi e mi ha fatto un'offerta di
lavoro.»
«Che genere di offerta?»
«Fargli da pianista accompagnatore per l'album che
inciderà. Lascia l'orchestra in cui si trova e torna a
lavorare
da solo.»
A quelle parole, la ragazza si sistemò nuovamente contro la
sedia, poi fischiò, impressionata.
«L'offerta di Viktor include anche accompagnarlo in
attività che non riguardano l'album?»
Corrugò le sopracciglia, confuso.
«Spiegati meglio.»
«Concerti, serate, interviste. Se lavorerete insieme,
ovviamente dovranno presentarti al mondo, Yuuri.»
Il suo viso si distese a quella realizzazione.
Fissato com'era sull'apparente impossibilità di andare in
Russia
che non aveva pensato anche a questo aspetto: l'album andava
pubblicizzato, e ovviamente
avrebbero dovuto presenziare a qualche serata o evento importante per
suonare.
«Quando avevi intenzione di dircelo, Yuuri?»
«Sono tornato ieri...»
«Potevi parlarne benissimo a cena, oppure a pranzo, oggi. Se
non
fosse stato per Minako, probabilmente non avremmo saputo nulla.
È a questo che servono le lezioni? A pagarti il viaggio e la
sistemazione?» chiese, più mite.
Il minore assentì in silenzio.
«Non voglio chiedervi altri soldi.»
«Vuoi rinunciare a quella che potrebbe essere la tua unica
occasione per uscire da questo buco sperduto nel mondo che è
Hasetsu?»
«Non ho detto questo, ma-»
«Dammi retta, Yuuri.» lo fermò Mari,
alzandosi dal
suo posto. «Parlane con mamma e papà, sono seria.
E poi
ultimamente gli
affari non vanno tanto male, i soldi non mancano. A proposito, ci sono
le figlie di Yuuko e Takeshi. Il padre di Takeshi si è
sentito
di nuovo male e sono corsi all'ospedale, così mi hanno
chiesto
di guardare le gemelle per qualche ora. Fai tu loro un po' di
compagnia?»
Assentì, poi osservò in silenzio sua sorella che
lasciava la stanza, lasciandolo solo.
Passarono pochi secondi prima che si decidesse a seguirla nel salone
dove sua madre stava ancora servendo alcuni clienti.
In un angolo, le tre bambine stavano colorando un album di disegni,
bisticciando tra loro.
Non era una stanza grandissima, c'erano giusto un paio di tavoli da
tè e un grande kotatsu; da un lato c'era l'uscita, su quello
adiacente un grosso televisore che gli ospiti usavano
perlopiù
per guardare lo sport, mentre su quello opposto c'era l'angolo bar e
una cassa elettronica.
Ma il vero pezzo forte della stanza era il pianoforte da parete che i
suoi genitori gli avevano comprato qualche anno dopo le prime lezioni
di musica.
Ricordava di aver iniziato con una piccola tastiera, poi aveva iniziato
a usare il pianoforte di Minako, nel suo studio.
Qualche tempo dopo, però, la sua famiglia gliene aveva
comprato uno a sorpresa per il suo tredicesimo compleanno.
Si avvicinò a loro, sorridente.
«Ehy ragazze!»
«Zio Yuuri!» urlò Axel, prima di
gettarglisi addosso in un abbraccio. Le altre due la seguirono a ruota.
Non c'era davvero stato per tutta l'infanzia delle piccole, ma da
sempre Yuuko l'aveva chiamato zio
di fronte a loro, per cui ormai era un po' come se facesse parte della
loro famiglia.
«Sai che abbiamo fatto vedere a mamma cosa abbiamo imparato
al
corso di piano? Ha detto che sei davvero un bravo
insegnante!»
fece Lutz, tutta contenta.
«Sì! E io da sola ho anche imparato a suonare un
brano di
Mozart! Solo con la mano destra però...» si
aggiunse Loop.
«Vuoi farmi vedere?» chiese lui.
«No... non sono brava come te. Perché non suoni tu
qualcosa?»
«Sì! Suona tu! Suona tu!»
«Io voglio sentire qualcosa dei cartoni animati!»
«Sì! Anche io!»
«E io pure!»
«D'accordo, d'accordo, mi metto al pianoforte, ho
capito.» le calmò, alzando le mano in segno di
sconfitta.
Col sorriso sulle labbra si accomodò sullo sgabello, seguito
a
ruota dalle gemelle che gli si misero ai lati. Non mancò di
notare come anche i commensali ancora presenti avessero spostato la sua
attenzione su di lui, e ora aspettavano che la melodia cominciasse.
Non gli spiaceva tutto sommato suonare, aveva bisogno di schiarirsi le
idee e per qualche istante voleva smettere di pensare.
Posò le mani sui tasti, poi rifletté un attimo.
Quando il
cartone preferito delle gemelle gli venne alla mente, le dita si
mossero con naturalezza sui tasti neri.
Non si trattava di un brano particolarmente allegro, ma proprio per
questo era uno dei più belli e complessi del film.
Tutto iniziava con un si bemolle, un re e un fa diesis, una
semplicissima sequenza di tre note che continuava con una serie di
accordi che in passato, quando aveva imparato il brano, l'aveva fatto
spesso impazzire.
Il pezzo si concludeva con la stessa sequenza iniziale, solo due ottave
più avanti.
Quando ebbe terminato, le gemelle lo guardavano stupiti, e
così
anche i clienti dell'onsen: qualcuno applaudì, qualcuno si
complimentò e basta.
«Era così triste!»
«Invece a me è piaciuta un sacco! Era "Quando
viene dicembre", vero?»
«Come sapevi che "Anastasia" è il nostro film
preferito?»
«È un segreto.» rispose con un
occhiolino. «Volete qualcosa da mangiare?»
«No grazie.»
«Hai del succo di frutta?»
«Voglio anche io il succo!»
«Forza, seguitemi in cucina.»
Condusse le bambine lì, prese quanto chiesto e tornarono nel
salone.
Qualche ora più tardi, Yuuko venne a prendere Axel, Lutz e
Loop,
senza trattenere la gioia quando scoprì che Yuuri era
tornato.
Si salutarono velocemente, con la promessa che il ragazzo sarebbe
ripassato il giorno dopo alla loro pista di pattinaggio per parlare del
viaggio a Parigi.
Quando anche i clienti se ne andarono, Yuuri cenò
velocemente
con la sua famiglia, senza accennare alla trasferta in Russia.
Sua sorella lo guardò, inquisitoria, ma ignorò la
sua
occhiataccia e si allontanò con la scusa di volersi coricare.
Non voleva ancora parlarne, e in più era troppo stanco per
affrontare il discorso ora.
Nella sua stanza, si tolse velocemente la maglietta sporca, poi si
fermò davanti allo specchio.
Yuuri non era grasso.
Ma non era neppure magro.
Tuttavia, era cosciente di aver messo su diversi chili di troppo nel
corso dell'anno, e per questo Minako, il cui motto era "mens sana in
corpore sano", oltre a dargli consigli musicali lo obbligava anche a
frequentare la palestra di Hasetsu ogniqualvolta il ragazzo si trovava
lì.
Ripensò immediatamente al fisico slanciato di Viktor, alla
curva dei suoi fianchi e anche di
qualcos'altro.
Doveva decisamente mettersi a dieta.
Con la promessa mentale di dimagrire, finì di spogliarsi e
rimase con solo i boxer indosso.
Sbuffò, si gettò sul letto, e il sonno lo colse
immediatamente.
Non prima, però, di aver ripensato al suo incontro con
Viktor.
Note autrice:
Salve a tutti!
Questa volta ce l'ho fatta ad aggiornare in tempo, urrà xD
Che dire? Vi avevo già detto che questo sarebbe un capitolo
di passaggio, ma dal prossimo vi assicuro che le cose iniziando davvero
a movimentarsi.
Non ho molto da dire su questo quarto capitolo, più che
altro mi ha dato occasione di meglio caratterizzare Minako e introdurre
Yuuko.
Ancora una volta, non ho idea di quando potrebbe arrivare il prossimo
aggiornamento, sono spiacente ;_; Purtroppo non riuscirò mai
ad assicurare agli aggiornamenti una certa regolarità.
Nel frattempo QUI
trovate la bellissima cover al piano di Kyle Landry che mi ha
ispirato per quella suonata da Yuuri ♥ Se volete un'idea di
come abbia suonato, questa cover fa per voi, se non si conta che
è a dir poco meravigliosa.
Io vi lascio, e vi ringrazio come al solito per i commenti ricevuti e
tutte le visualizzazioni! (il primo capitolo è arrivato
quasi a 800, wow)
Se volete farmi sapere cosa ne pensate della storia, liberissimi di
farlo con una recensione o anche un banalissimo messaggio privato!
Ci vediamo (spero presto lol) al prossimo capitolo!
With love,
Your Joker.
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