Darkness Wins On Everything But The Brightest Stars

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come morning light ***
Capitolo 2: *** A dreamer is one who can only find his way by monlight ***
Capitolo 3: *** The real tragedy of life is when men are afraid of light ***
Capitolo 4: *** It is during our darkest moments that we must focus to see the light ***



Capitolo 1
*** Come morning light ***


Premessa dell’Autrice poco seria.
Titolo alternativo: Lo Star Wars-AU di cui nessuno aveva bisogno, Episodio I (il mio file sul tablet è veramente salvato così!)
Salve!
Sì...
Abbiate paziente sto cercando le parole per giustificare questa cosa ma, essenzialmente, non ho nessuna buona ragione dalla mia parte, quindi mi limiterò a raccontare la storia (della storia) fin dall’inizio! Ovvero, di quando avevo circa cinque o sei anni e piantai un capriccio infinito perché volevo a tutti costi vedere il film di E.T. (sì, il capolavoro di Spielberg!) ma mio padre, non possedendone la cassetta (sì, ho memoria dell’era delle cassette!) pensò bene di fregarmi con uno degli episodi della trilogia di Guerre Stellari (al tempo, si traduceva!) sperando che con qualche robottino, un po’ casino e qualche bestiola strana mi quietassi.
Morale della favola: non ci cascai nemmeno per cinque minuti di film ma mi guardai tutta la saga zitta a muta. Nel 1999 pretesi che mi portassero a vedere il prequel e, a Natale, ovviamente, sarò al cinema a fare la nerd!
E questa è sola la premessa, gente.
Lo ammetto spudoratamente, questa idea ha meno di una settimana di vita. Avevo altri progetti per questo fandom ma non questo!
Eppure, eccomi qui, caduta in tentazione per ragioni assai banali ed abbastanza imbarazzanti ma che voglio illustrare perché io so che qualcuno di voi capirà! Per cominciare, noi tutti sappiamo che qualcuno ha deciso che Oikawa Tooru ha tre priorità nella vita: 1, la pallavolo; 2, Iwa-chan! 3, gli alieni e la fantascienza (e, occhio, il 2 ed il 3 non sono certa che vengano in quest’ordine!).
Da qui è bastato che uscisse il trailer dell’Episodio VII di Star Wars ed allora è stato tutto un rotolare verso il Lato Oscuro. Il fandom di HQ (non io, quindi, me innocente!) ha cominciato a fantasticare su questi AU fantascientifici con Iwa-chan nelle vesti del Jedi senza macchia e senza paura e Oikawa in quello del Jedi caduto (rotolando al Lato Oscuro) divenuto Signore dei Sith!
Ed ora, gentile pubblico, una povera fanwriter dall’anima debole alle tentazioni come sono io, cosa poteva fare? Sono cominciate a saltar fuori fan art ispiranti a dir poco, storie di fanwriter da far venire le lacrime agli occhi e... Avrei potuto lasciar correre il treno, sì, ma... Rimpiangere di non aver contribuito questa meravigliosa follia di gruppo con la mia versione? Non potevo!
Quindi, ora iniziano le note serie di comprensione.
Prima di tutto, questa intende essere una storia “breve”, di circa 5-7 capitoli piuttosto corposi ma che potrebbe (condizionale) fare parte di una serie. Vediamo come andrà! Traduzione: il mio cervello ha riscritto il Signore degli Anelli ma devo darmi un contegno quindi procederò per gradi.
Ora, questo è uno Star Wars-AU che prende in prestisto essenzialmente il contesto di Star Wars ma è una storia completamente indipendente in qualunque altro senso. Nessuno interpreta il ruolo di nessuno e la trama non ha nulla a che fare con i film. Per fare un esempio, ci sono elementi che si potrebbero riportare al personaggio di Anakin Skywalker in ben 3 personaggi qui dentro, quindi tutto ciò che serve a questa fic è la cultura popolare che si ha della saga e nulla di più!
Venendo alla storia vera e propria.
Confesso immediatamente di aver trapiantato qui alcuni giochetti (terribilmente angst) che ho deciso di non inserire in A Tale Of Crows And Demons, quindi alcune delle mie fisse faranno capolino anche qui! Ciò non toglie che la storia sia completamente diversa (e decisamente più oscura...).
Per quanto riguarda i personaggi, ho indicato solo tre coppie (una coppia ed un triangolo per essere precisi) tra le principali per questioni pratiche. Quelle sono le relazioni più influenti all’interno della trama ma tendo a creare trame pressapoco corali quindi prevedo il coinvolgimento altre coppie classiche del fandom lungo la storia...
Un’ultima cosa per chi è nerd come me! Lo so... George Lucas è stato molto chiaro nel dipingere i Jedi in un modo, i Sith in un altro con pace interiore e costruttività da una parte e passione ed ambizione dall’altra... Qui rimango il più possibile fedele ai personaggi di HQ! E questo significa un’emotività sfrenata! Era giusto per fingere di sapere quello che faccio.
Piccolo glossario da primo capitolo: per ora limitiamoci a dividere gli schieramente in Jedi (i “buoni”) e i Sith (i “cattivi”) al resto penserà la trama. Un paio di paroline un po’ meno comuni: Padawan (un allievo Jedi non ancora Cavaliere) e Midichlorian (un micro-organismo presente nel sangue dei Jedi che permette loro di entrare in simbiosi con la forza. Più se ne hanno più un Jedi può diventare potente ma non determinano le capacità effettive). Un appunto sugli articoli, siccome dire lo Jedi a me urta! Qui siamo devo all’articolo il (che, oltreutto, nei film moderni mi par di aver sentito!)
Per qualunque chiarimento sentitevi liberi di pormi domande!
Che la forza sia con voi, miei cari lettori! (Inserire qui l’Opening Theme di Star Wars)

 
1
Come morning light
 

Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana...
 
 
 
 
”Just close your eyes...”
C’erano delle dita gentili tra i suoi capelli, sul suo viso...
“The sun is going now... You’ll be alright, no one can hurt you now...”
Era avvolto in un caldo abbraccio, due labbra morbide contro la sua guancia.
“Come morning light, you and I’ll be...”
Gli occhi scuri che lo guardavano brillavano più di tutte le stelle nel cielo.
“Safe and sound...”

 
 
“Tobio...”
Fu la mano che stringeva la sua spalla a svegliarlo, non la voce che lo chiamava.
Sbatté le palpebre un paio di volte, poi sollevò la testa storcendo la bocca in una smorfia: si era addormentato sul tavolo della sala delle armi, circondato da spade e fucili incompleti e pezzi di ricambio. Si era addormentato senza rendersene conto.
“Tobio...”
La mano sulla sua spalla era ancora lì e non scomparve nemmeno quando gli occhi blu si sollevarono sul Cavaliere accanto a lui. “Mae...”
“Non sono più il tuo Maestro,” gli ricordò Hajime, gli occhi verdi erano freddi mentre lo guardavano. Tobio conosceva quell’espressione e strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile, poi abbassò lo sguardo, recuperò la sua spada laser e l'agganciò alla cintura alzandosi in piedi. “Ha subito dei danni durante l'ultima missione,” spiegò riferendosi all'arma. “Volevo aggiustarla prima dell'allenamento del mattino. Mi sono addormentato.”
Hajime non si fece sfuggire il modo in cui il più giovane continuava ad evitare i suoi occhi. “Hai saltato l'allenamento del mattino,” gli disse ma non era per quello che lo rimproverava con lo sguardo.
“Mi spiace,” replicò Tobio. Non lo pensava davvero. “Con permesso...”
Hajime lo afferrò per un braccio. “Non fare un passò di più e torna seduto.”
Tobio fece una smorfia seccata ma non avrebbe mai mancato di rispetto a Hajime, così prese un respiro profondo e tornò al suo posto. Gli occhi blu si fissarono in quelli verdi senza esitazione questa volta. “Ho compiuto il mio dovere: la missione è stata un successo.”
“Non dal nostro punto di vista,” replicò Hajime.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Il nemico è stato annientato e non ci sono perdite tra di noi. Che altro avrei dovuto fare?”
Hajime prese un respiro profondo. “Tobio, non ti abbiamo mandato lì per un atto di forza,” gli disse. “Ti abbiamo mandato perché guidassi i Padawan in un’azione di gruppo. Sì, hai sconfitto il nemico ma la prova a cui ti abbiamo sottoposto l'hai fallita completamente!”
“C'è rabbia nella tua voce...”
“Non sono arrabbiato,” replicò Hajime con tono fermo. “Sono deluso, molto deluso. Tutti noi lo siamo.”
“Il sentimento è ricambiato,” disse Tobio freddamente.
Hajime reclinò la testa da un lato. “Con che autorità sostieni una cosa simile?”
“Si presumeva che dovessi guidare degli uomini, giusto?” C’era arroganza nella voce di Tobio. “Quelli sotto i miei ordini erano mocciosi che pretendevano li tenessi per mano.”
“Attento a ciò che dici, Tobio,” gli disse Hajime facendo un passo avanti. “Questo tuo atteggiamento non mi piace affatto. Ti abbiamo messo nelle mani quei ragazzi perché sono cresciuti insieme a te. Avete la stessa età, dovrebbe essere più facile per voi trovare un equilibrio.”
“Potremmo avere la stessa età ma non siamo allo stesso livello.”
“Tobio!”
“Come si presume che possa diventare più forte se mi lasciate con i più deboli?”
Hajime batte una mano sul tavolo e Tobio si fece immediatamente rigido. Passarono alcuni istanti di totale silenzio, poi il primo sospirò e recuperò il controllo di sé immediatamente. “Non si tratta di essere i più forti, Tobio,” gli disse con voce notevolmente più calma. “Mi pareva di avertelo insegnato.”
Il giovane abbassò lo sguardo dispiaciuto. “Non volevo suonare irrispettoso, mi spiace.”
“Questo non devi dirlo a me,” replicò Hajime. “Dovresti dirlo ai ragazzi che hai abbandonato a loro stessi nell'ultima missione.”
“Sono vivi...”
“Non grazie a te.”
Gli occhi blu si sollevarono di nuovo. “È questo il mio errore? Guardare avanti, verso la vittoria e non curarmi di chi è alle mie spalle?”
“Devi avere fiducia in chi è alle tue spalle, Tobio ma vale anche al contrario... Altrimenti, potresti concedere al nemico una possibilità di colpirti di sorpresa senza neanche rendertene conto.”
Tobio annuì, un po' troppo distrattamente perché Hajime potesse credere che lo aveva ascoltato fino in fondo ma non era nulla di nuovo: quel ragazzo non ascoltava mai prima di essere inciampato nei suoi stessi errori e il più grande timore del suo Maestro era che, un giorno, una di quelle cadute gli sarebbe stata fatale.
Scosse la testa: pensare negativo avrebbe solo oscurato la sua capacità di giudizio e con un Cavaliere Jedi di soli quattordici anni tra le mani, doveva rimanere lucido e attento.
“Hai degli ordini per me?” Domandò Tobio.
Sì, effettivamente Hajime aveva dei nuovi ordini per lui. In primo luogo, lo aveva cercato per assicurarsi che stesse bene, poi Yuutaro gli aveva fatto direttamente rapporto riguardo alla missione da cui erano rientrati durante la notte ed allora i motivi della sua visita si erano fatti più complicati. Tobio era già grande sotto punti di vista che intimorivano anche i più anziani ma doveva crescere ancora un po’ perché potesse lasciarlo andare.
“Attenderanno...” Rispose.
Tobio inarcò un sopracciglio.
“Voglio che aggiusti quelle armi,” ordinò Hajime.
Tobio si voltò verso il cumulo di ferraglia alle sue spalle e sgranò gli occhi. “Tutte quante?!”
“Una per una, Tobio.”
“È un lavoro che dovrebbe spettare ai Padawan!”
“Oh, bene!” Esclamò Hajime con una punta di sarcasmo. “Per te non dovrebbe essere che un gioco da ragazzi, allora!”
“Maestro!”
Hajime gli lanciò un'ultima occhiata esasperata, eppure sorrideva. “Non sono più il tuo Maestro, Tobio,” replicò. “Ciò però non toglie che tu sei ancora un bambino. Non farti vedere di sopra prima che tutto qui dentro sia in ordine.”
 
 
 
Tobio era nato per essere un Cavaliere Jedi.
Altra risposta per spiegarsi il prodigio vivente che era non esisteva.
Era venuto alla luce all’interno del Tempio Jedi del pianeta di Seijou in un giorno d’inverno forse più freddo degli altri ma di cui nessuno aveva memoria. Delle sue origini o dei genitori che lo avevano messo al mondo nessuno sembrava sapere nulla e, ben presto, molti si erano risposti che Tobio doveva essere il risultato di qualche relazione contro le regole che l’Ordine aveva adeguatamente insabbiato.
Non sarebbe stato né il primo, né l’ultimo e non era un mistero che lo stesso Maestro Ukai avesse un evento del genere alle spalle. Tra tutte le storie non raccontate, però, quella di Tobio doveva essere speciale.
Come lui, del resto...
 
 
 
La storia che venne scritta a partire da quel giorno di primavera, però, fu tutta un’altra cosa.
 
 
 
Quel giorno, fu come se l’incarnazione della Forza stessa avesse varcato le porte del Tempio Jedi di Seijou e chiunque fosse nelle vicinanze al momento, Padawan o Cavaliere, non poté non cessare di fare qualsiasi cosa stesse facendo per sollevare gli occhi alla ricerca della fonte di tanto potere senza trovarla.
Anche Hajime si era sentito così nelle prime ore della mattina, poi Yuutaro era venuto da lui per raccontargli dello svolgimento della missione appena terminata ed ogni suo pensiero era andato a Tobio isolandolo completamente da tutto il resto. Era il suo peggior difetto da quasi quindici anni ma aveva perso da tempo l’ambizione di definirsi un Cavaliere Jedi degno di questo nome e c’erano giorni in cui non poteva evitare di pensare che l’Ordine lo tenesse per le sue effettive capacità sul campo e la sua indubbia lealtà, piuttosto che per la sua alquanto scarsa devozione al Codice.
Col tempo, si era stufato anche di nasconderla ma, a differenza di chi aveva saputo mentire meglio di lui, non aveva ancora tradito nessuno, tantomeno se stesso.
Daichi lo aspettava sulla grande balconata che dava sui giardini e Hajime si accorse immediatamente della confusione nei suoi occhi nel vederlo da solo. “Dov’è Tobio?”
“In punizione...”
L’altro inarcò un sopracciglio, l’angolo della sua bocca si sollevò in una smorfia divertita. “Hai messo il nostro Cavaliere più potente in punizione?”
“Potrebbe essere anche a capo del Consiglio per quel che mi riguarda,” replicò Hajime. “Ha quattordici anni e se commette degli errori deve pagarne le conseguenze.”
“Non sei più il suo Maestro, Hajime,” gli ricordò Daichi appoggiando un braccio al parapetto di marmo.
“Nessuno di noi lo è più,” replicò l’altro. “Eppure, continuiamo ad educarlo...”
“È un Cavaliere ma deve crescere.”
“Appunto, deve crescere.”
“Proprio per questo volevo che lo portassi con te.”
Fu il turno di Hajime di guardarlo confuso e Daichi continuò a sorridergli gentilmente, poi indicò i giardini sottostanti con un gesto del capo. Hajime appoggiò entrambe le mani sul parapetto e guardò di sotto. I ragazzi si erano tutti ritirati per i loro doveri del giorno con l’esclusione dei Padawan che avevano partecipato all’ultima missione guidata da Tobio ed il Jedi vide solo due persone ancora impegnate ad allenarsi. Uno lo conosceva bene: era Koushi, erano stati Padawan insieme e compagni di missioni innumerevoli volte, come Daichi. Era il ragazzino che aveva di fronte la vera novità.
Hajime non credeva di averlo mai visto: era minuto, troppo rispetto agli adolescenti che camminavano lungo i corridoi del Tempio Jedi; i capelli erano corti, ribelli e dello stesso colore del tramonto. Koushi gli parlava col sorriso gentile con cui era solito rivolgersi a tutti, mentre il piccoletto muoveva le labbra velocemente e con espressione costernata, come se si stesse scusando a ripetizione per qualcosa.
“Lui è Shouyou,” disse Daichi.
Hajime annuì una volta. “E ha attirato la nostra attenzione perché?”
Daichi lo guardò come se stesse mancando di vedere qualcosa che gli era stato sbattuto bellamente in faccia. “Non ha un padre...”
“Non è il primo e non sarà l’ultimo in questa galassia.”
“Nemmeno per sua madre ce n’è mai stato uno,” aggiunse Daichi con voce notevolmente più seria. Hajime non rispose. Gli occhi verdi si fissarono sulla figura minuta del ragazzino e strinse appena le palpebre mentre cercava di capire qualcosa che, evidentemente, andava al di là della sua capacità di comprensione.
Da quanto tempo non percepiva più la Forza in quel modo?
“Notevole, vero?” Domandò Daichi. “Davvero non te ne eri accorto? È praticamente impossibile non sentirla...”
“Quando si tratta di Tobio non sento più nulla, lo sai bene,” replicò Hajime, gli occhi ancora fissi sul ragazzino che gesticolava nervosamente davanti a Koushi. “Chi lo ha trovato?”
“Io e Koushi,” confessò Daichi. “Per puro caso, a dire il vero... Era in un pianeta praticamente isolato da qualsiasi controllo della Repubblica. Ci servivano rifornimenti e Shouyou era lì.”
“Shouyou?”
“Sì, è il suo nome.”
“Quanti anni ha?” Domandò Hajime trovandosi incapace di determinarlo da solo.
“Quattordici,” rispose Daichi. “Quindici all’inizio dell’estate. Ha la stessa età di Tobio.”
Hajime fece una smorfia. “Assurdo, è troppo grande...” Si allontanò dal parapetto. “Non può funzionare.”
Daichi gli andò dietro. “Perché, no?”
L’altro Jedi gli lanciò un’occhiata. “Prima di tutto, il Consiglio non lo permetterà mai anche solo per la sua età...”
“Il Maestro Ukai ha già dato la sua approvazione,” rispose immediatamente Daichi.
Hajime si bloccò e lo guardò esterrefatto. “Keishin Ukai?”
“No,” l’altro scosse la testa. “Ikkei Ukai.” Sorrise soddisfatto. “Vedo che non hai più così tanta fretta di andartene.”
Hajime era rimasto a bocca aperta, completamente senza parole. Ikkei Ukai non era il genere di Anziano del Consiglio devoto al Codice fino ad essere un bigotto ma dopo tutto quello che era successo prima e dopo la nascita di Tobio, tutti si erano convinti che l’era dei casi speciali e delle eccezioni fosse definitivamente finita in favore di una condotta più rigida da parte di tutti.
“Vieni,” lo invitò Daichi muovendo un passo in direzione dell’ascensore per accedere ai giardini. “Te lo presento.”
“Che cosa ha a che fare Tobio con tutto questo?” Domandò Hajime con evidente urgenza, non era certo che il coinvolgimento del suo ex allievo in tutta quella storia gli facesse piacere: quel ragazzino... Quel Shouyou emanava una Forza che non aveva mai percepito prima, nemmeno in...
“Il Maestro Ukai ha un progetto,” spiegò Daichi. “Vorrebbe che Tobio prendesse Shouyou come suo Padawan.”
Hajime sgranò gli occhi verdi. Se prima era rimasto senza parole, ora non sapeva proprio come sentirsi. “Che assurdità è mai questa?”
Daichi scrollò le spalle e gli sorrise paziente. “Tecnicamente, Tobio è un Cavaliere Jedi e può avere un allievo, se lo desidera...”
“Appunto, se lo desidera,” lo interruppe Hajime. “Tobio non si cura nemmeno dei ragazzi che sono cresciuti insieme a lui, che sono stati addestrati fin dai primi passi! Mettere quel ragazzino nelle sue mani è pura follia!”
“Proprio per questo il Maestro Ukai pensa che sia una buona idea,” disse Daichi.
“Spiegati...”
“Tobio è senza precedenti, Hajime,” cercò di spiegarsi Daichi gentilmente. “Shouyou non ha alcuna preparazione per essere uno Jedi ma ha più potenziale di quanto chiunque in questo Tempio abbia. Dagli il tempo d’imparare ad impugnare una spada e ci supererà tutti in pochi mesi ed allora a chi lo affideremo?”
“A chi lo ha già fatto prima di lui,” concluse Hajime con voce atona.
Daichi annuì. “Tobio imparerà ad essere responsabile della vita di qualcuno, imparerà a capire cosa vuol dire avere un compagno e Shouyou... Beh, imparerà tutto il resto dall’unico Jedi in grado di tenergli testa che abbiamo.”
“A quanto ammontano i Midichlorian?” Domandò Hajime.
Daichi aprì la bocca, poi la richiuse ed abbassò lo sguardo.
“Daichi...” Insistette l’altro.
“Superano la scala,” fu la risposta.
Hajime sentì il respiro venirgli meno per un istante. “Superano la scala...” Non era una domanda, aveva capito benissimo la prima volta.
Daichi alzò le spalle un’altra volta. “Dovremmo essere abituati a simili grandi eventi!” Forzò un sorriso. “Dopotutto, anche per Tobio è lo stesso.”
“Ma Tobio non è stato il primo...” Disse Hajime fissando un punto nel vuoto. “Un bambino nato senza padre e con un livello di Midichlorian nel sangue che supera la scala di valutazione.”
Il sorriso sul viso di Daichi morì di colpo come quegli occhi verdi lo guardarono glaciali.
“Il Maestro Ukai vuole mettere un mostro simile nelle mani Tobio?”
Si voltò di colpo e prese a camminare a passo di marcia verso l’interno del Tempio. Daichi lo fissò confuso mentre si allontanava. “Dove vai, ora?”
“Dal Maestro Ukai,” rispose Hajime senza voltarsi.
Daichi sgranò gli occhi, fece un passo in avanti e spalancò la bocca.
L’altro Cavaliere Jedi si fermò e lo guardò da sopra la propria spalla con un’espressione che avrebbe congelato chiunque. “Non provare a fermarmi!”
 
 
***
 
 
Il Maestro Ikkei Ukai era in riunione con Il Maestro Takeda e con suo nipote, il Maestro Keishin, quando Hajime irruppe nella sala del Consiglio senza bussare, né tantomeno farsi annunciare.
Il vecchio non sembrò particolarmente sorpreso di vederlo e così nemmeno gli altri due, in piedi davanti a lui. Ikkei sospirò profondamente come se stesse facendo appello a tutta la sua pazienza per affrontare la discussione che stava per svolgersi all’interno di quella stanza circolare dalle pareti di vetro. “Hajime, sie...”
“No, grazie, resto in piedi,” lo interruppe il Jedi facendosi avanti a testa alta. “Esattamente quand’è che ha preso forma questa follia che vede Tobio come Maestro di un ragazzino sicuro quanto una bomba spaziale sul punto di esplodere?”
Takeda fu il primo ad intervenire, un sorriso cordiale stampato in volto. Era uno di quei Jedi che avevano preferito la riflessione, lo studio e la conoscenza alle scene d’azione del campo di battaglia. Per Hajime e per tutti gli altri era sempre stato quello a cui fare domande perché sembrava possedere il prodigioso dono di conoscere tutte le risposte e le concedeva ad ognuno con pazienza invidiabile. Probabilmente, era tra i pochi che più si avvicinavano all’immagine del Jedi perfetto illustrata dall’Antico Codice.
“Hajime, t’invito a riflettere sulla questione non appena le tue emozioni si saranno quietate abbastanza perché la ragione faccia la sua parte.”
Al suo fianco, Keishin alzò gli occhi al cielo. “In poche parole, stai zitto e ascolta.”
Takeda lo guardò un poco basito ma Ikkei sembrava non aver tempo da perdere con nessuno dei due. “Andate,” ordinò. “Non è una questione che si possa risolvere in democrazia ed usando la ragione.”
Hajime continuò a tenere gli occhi fissi sul viso del vecchio e non si curò dei due che si lanciavano occhiate un poco preoccupate ma ubbidivano comunque all’ordine e lo superavano senza aggiungere altra parola. Il rumore della porta che si richiudeva fu ciò che diede al Cavaliere Jedi il permesso di parlare. “Sarò breve,” disse. “Il tuo progetto è un fallimento ancor prima che divenga realtà. Vuoi quel ragazzino tra le nostre file? Non posso impedirtelo ma tieni Tobio lontano da lui, è già abbastanza instabile senza la compagnia di una mina vagante.”
Ikkei aspettò che avesse finto, il mento appoggiato ad un pugno chiuso. “Mi limiterò a dirti che non hai alcun potere riguardo a questa questione. Tobio non è più il tuo Padawan... Non è più il Padawan di nessuno di quelli che l’ha cresciuto con te. Le questioni che lo riguardano appartengono solo a lui, ora.”
“La sua risposta è no prima ancora che tu glielo chieda,” disse Hajime con un mezzo sorriso. “Risparmiati una perdita di tempo e passa oltre...”
“Nemmeno Tobio ha un simile potere.”
“Oh, siamo passati dalla libertà di scelta alla schiavitù, ora?”
“Non essere irrispettoso nei confronti del nostro Ordine,” lo avvertì Ikkei.
Hajime fece una smorfia. “Mi sembra un po’ troppo tardi per questa lezione, Maestro,” replicò. “Arriva con un ritardo di almeno quindici anni.”
Il viso di Ikkei si rabbuiò un poco. “No, la verità è che non hai mai voluto impararla... Né tu, né tutti quelli della tua generazione.” Fece una pausa. “E la prole sembra seguire il buon esempio...”
“Tobio è incontrollabile,” Hajime annuì. “Per questo non gli può affidare un Padawan con un potenziale come quello e senza le basi per essere un Jedi! Nel migliore dei casi, si ammazzeranno a vicenda prima di mettere piede su di un campo di battaglia reale.”
“La guerra non durerà per sempre.”
“Ma noi ne staremo ancora combattendo una tra centinaia e centinaia di anni,” replicò il Jedi con una nota di sarcasmo. “Evitami la storia dei protettori della pace o delle profezie. Di colui che porterà equilibrio nella Forza o illusioni simili! Non ci credo più! Siamo i soldati d’élite della Repubblica ed impediamo ai Sith di prendere il potere, né più, né meno! La vecchia filosofia è morta e la mia generazione le ha solo dato il colpo di grazia!”
Ikkei sbuffò annoiato. “Certo che sprechi un sacco di parole per una battaglia verbale che non puoi vincere.”
“Tobio non si avvicinerà a quel ragazzino.”
“Ci hai parlato?” Domandò il Maestro. “Con Shouyou, intendo...”
“No...”
“Dovresti. Ti sorprenderà quanto il tuo giudizio cambierà allora!”
Hajime fece una smorfia. “Ho passato tutta la vita accanto ad una persona solo per rendermi conto che non la conoscevo affatto e dovrei cambiare parere su un giovane sconosciuto dopo averci fatto una chiacchierata?”
Ikkei gli rivolse un sorrisetto e il Jedi comprese troppo tardi di avergli concesso lo spiraglio che contava di trovare e che sarebbe andato di sicuro a suo discapito. “È questo che rende la Forza in te così turbolenta, dunque,” concluse come se lo avesse saputo fin dal principio. “Un bambino senza padre ed un livello di Midichlorian nel sangue che può far pensare che sia stato concepito da questi... O, meglio, possiamo pensarlo ora che abbiamo almeno un precedente.”
Hajime strinse le labbra: non sarebbe mai caduto nelle provocazioni del vecchio!
Ikkei ridacchiò con se stesso. “Koushi mi ha raccontato che non appena hanno cominciato a parlare di Jedi, il piccoletto si è fatto subito tutto euforico e con occhi brillanti ha affermato che è sempre stato il suo sogno diventarne uno!”
“Le storie che sentono i bambini su di noi non riflettono la realtà delle cose,” replicò Hajime. “Questo mondo... Il nostro mondo lo si può comprendere soltanto vivendolo. Quel ragazzino ha vissuto quattordici anni in una realtà le cui regole non sussistono per un Jedi. Con che superbia pensiamo di cambiare una cosa simile?”
“Non c’era nulla nel suo mondo per cui valesse la pena rimanere,” aggiunse Ikkei. “Non credo faticherà poi così tanto a venire a patti con il Codice, come dici tu. Non che tu ci sia mai riuscito, dopotutto.”
“Neanche tu...” Replicò Hajime e Ikkei rimase in silenzio per un lungo minuto dopo quella frecciatina non poi così tra le righe. Keishin Ukai era suo nipote e questo era sufficiente a far capire quanto avesse disubbidito al Codice a sua volta in gioventù.
“Sconfitto con un colpo, Cavaliere Jedi,” disse il Maestro con un sorriso soddisfatto. “Non hai parlato molto da ragazzino ma quelle volte che lo facevi...” Scosse la testa. “Se è una rassicurazione di cui hai bisogno, sappi che non sono dell’idea che quello che è successo a te possa accadere anche a Tobio con Shouyou.”
“Non puoi darmi la certezza, però. Io pretendo quella.”
Ikkei lo fissò duramente. “Hajime, mandi Tobio a rischiar la vita da quando aveva tredici anni.”
“Non mi è piaciuto neanche quello ma ero lì quando succedeva.”
“Non puoi esserci sempre.”
“Lo so...”
“Come c’eri sempre anche con lui ma nel momento in cui ha alzato gli occhi verso di te e non ti ha trovato, non ha esitato ad afferrare la mano del Lato Oscuro.”
Hajime strinse i pugni con rabbia. “Non è così!” Esclamò. “E tu lo sai bene, come lo sa bene chiunque ci fosse, quindi smettila di fare leva su di lui per ottenere la mia approvazione. Tobio non sarà il Maestro di Shouyou e non ho intenzione di aspettare che quel ragazzino torni morto dopo la sua prima missione per potervi dire ve l’avevo detto!”
“Vedo che non comprendi la reale importanza di questo progetto, Hajime,” disse Ikkei. “Non era mia intenzione dirlo così apertamente ma mi trovo costretto.”
“Di che cosa stai parlando?”
“Dei ragazzi che Tobio ha quasi fatto uccidere ieri notte,” rispose il Maestro. “Del fatto che gli abbiamo dato una missione con un ruolo di comando dimostrando la nostra fiducia e l’ha tradita completamente giustificandosi con l’inadeguatezza degli stessi Padawan che sono cresciuti con lui. Non ha mai messo in discussione se stesso, nemmeno per un istante.”
Hajime sapeva che era la verità e non c’era nulla che potesse dire a discolpa del suo ex allievo.
“È il Cavaliere Jedi più forte della sua generazione e, probabilmente, di molte che lo hanno preceduto ma in questo preciso momento quello che l’Ordine realmente teme non è Shouyou, è lui.”
Hajime si fece rigido e non parlò.
Ikkei se ne accorse e si alzò in piedi. “Quella di Tobio è la condotta di un Sith. Parla di potere, di vittoria, di essere più forte. Sono parole che conosciamo bene entrambi e sappiamo a cosa portano simili pensieri con un potere come quello che scorre nel suo sangue.”
“Tobio non è passionale,” si sforzò di dire Hajime. “Non vuole essere altro che un Cavaliere Jedi, non ha altro desiderio che possa pericolosamente distogliere la sua attenzione da quella strada.”
“Non lo è semplicemente perché la passione non l’ha mai conosciuta,” replicò Ikkei. “È diverso dall’averla domata. Quanto tempo pensi che passerà prima che un Sith se ne approfitti e lo tenti?”
Hajime si lasciò sfuggire una risata. “Tobio è talmente perso nel suo mondo per simili cose. È ancora un bambino, come posso mettergliene nelle mani un altro?”
“Non è un bambino. È un Cavaliere Jedi che deve dimostrarci qualcosa, prima che divenga ufficialmente pericoloso per tutti noi.”
Il Cavaliere sollevò lo sguardo atterrito sul Maestro. “Perché dovrebbe correre un simile pericolo se non tradisce?”
Ikkei sospirò. “Lasciare i propri compagni a morire per dissetare una personale sete di gloria non è poi così diverso da un tradimento, Hajime.”
Il Cavaliere Jedi gelò e non poter ribattere alle parole del Maestro non fece che aumentare il suo senso d’impotenza. “Shouyou è l’ultima speranza di Tobio. È questo che tutti state cercando di dirmi?”
“Tobio doveva essere l’ultima speranza di tutti noi,” replicò Ikkei. “Come doveva esserlo lui. Non posso permettere che anche Tobio si trasformi in una minaccia.”
Hajime prese un respiro profondo, timoroso. “Se Tobio diviene il Maestro di Shouyou... Se dimostra di essere degno del titolo di Cavaliere Jedi...”
“Allora la speranza tornerà a brillare,” concluse Ikkei. “E se quel piccoletto si dimostra degno del potere che gli scorre nel sangue, Tobio non sarà più costretto a portare un simile fardello sulle spalle completamente da solo.”

 
***
 
 
Shouyou non era nato in un pianeta protetto dalla Repubblica.
Non aveva mai saputo cosa fosse la pace, nel suo mondo la gente moriva per strada anche per una semplice rissa. Non aveva mai saputo cosa fosse la libertà, per il bene di entrambi sua madre aveva dovuto rinunciarvi per trovare un padrone che potesse garantire loro protezione in cambio di lavoro. Il sole era molto caldo durante il giorno e le notti erano troppo fredde e pericolose perché Shouyou potesse uscire all’esterno per guardare le stelle. Non c’erano finestre nella sua camera. Non c’era nulla nella sua vita che lo spingesse ad avere speranza.
Eppure, Shouyou non aveva mai smesso di sognare.
Quando scendeva la notte e tutto si faceva silenzioso, non gli bastava che chiudere gli occhi per vedere tutto quello che non gli sarebbe mai appartenuto. Sentiva in sé vibrazioni che andavano oltre il suo corpo, percepiva pensieri che non erano generati dalla sua mente o emozioni che non provenivano dal suo cuore.
Shouyou chiudeva gli occhi ed era come sentire la vita dell’Universo intero battere nel suo petto e quella era una libertà, una speranza che non avrebbe mai potuto togliergli nessuno.
Per questo, Shouyou non aveva mai smesso di sorridere, di arrabbiarsi, di essere se stesso sempre e comunque. La galassia poteva anche essere troppo grande per accorgersi di lui ma Shouyou la sentiva e tanto bastava per non farlo sentire perduto.
Fino al giorno in cui aveva incrociato quei due Jedi sul suo cammino.
“È stata la Forza a portarci da te,” aveva detto gentilmente Koushi stringendogli entrambe le mani. “Non devi temere nulla, Shouyou. Ci prenderemo cura di te.”
Era stato Daichi a parlare con sua madre.
Shouyou non aveva capito molto della loro discussione ma si era accorto che la mamma piangeva, nonostante il Jedi le stesse parlando con calma e molto gentilmente. Solo dopo aveva compreso e tutta l’euforia di fronte alla prospettiva di divenire Cavaliere Jedi si era frantumata contro la cruda realtà: il cammino che stava per percorrere era suo e non della mamma.
Alla fine, lei aveva trovato il coraggio di spingerlo ad andare, ad affacciarsi su di un futuro migliore di quello che lei potesse offrirgli e Shouyou aveva trovato quello di non voltarsi mentre Koushi gli stringeva la spalla e Daichi li guidava verso la nave spaziale.
Aveva pianto, Shouyou.
Aveva pianto al punto che Koushi era dovuto restare accanto a lui per tutto il viaggio, coprendolo con una coperta per farlo smettere di tremare.
La mamma non c’era più e Shouyou sentiva l’universo come mai lo aveva sentito prima.
E così, tra le lacrime ed il freddo dello spazio, Shouyou aveva fatto il suo primo passo sulla strada che lo avrebbe reso un Cavaliere Jedi.
Quello che non gli era stato detto era che quel cammino non lo avrebbe compiuto da solo.
 
 
 
Il pianeta di Seijou era bellissimo. Non era caldo e polveroso come il mondo da cui veniva Shouyou. Il Tempio Jedi era circondato da immensi giardini pieni di alti alberi, fiumiciattoli e fiori che il ragazzino si ritrovava spesso a fissare incantato perdendo il filo del discorso.
Koushi rise. “Quella è una farfalla,” disse pazientemente e Shouyou allontanò immediatamente l’attenzione da quella strana creatura variopinta che l’aveva rapita. “Oh, mi dispiace!”
Koushi scosse la testa. “Non fa niente,” rispose. “Deve essere tutto completamente nuovo per te.”
“Eccome!” Esclamò Shouyou con un gran sorriso continuando a guardarsi intorno come se da ogni angolo potesse venir fuori qualcosa di sconosciuto e meraviglioso. Erano seduti sull’erba, in riva ad un fiumiciattolo dalle acque cristalline. Shouyou non aveva mai visto acqua tanto pulita in tutta la sua vita e l’idea di berla gli sembrava quasi un crimine. “Perciò, io diventerò il Padawan tuo e di Daichi, giusto?” Domandò con un sorriso speranzoso.
Il sorriso di Koushi divenne esitante per un istante. “No, Shouyou, mi dispiace... Il Consiglio ha altri progetti per te.”
Gli occhi d’ambra si fecero enormi. “Il Consiglio non vuole che mi addestriate? Ma il vecchio sembrava soddisfatto dopo avermi messo alla prova!”
Koushi si morse l’intero guancia per non ridere del modo in cui il Maestro Ikkei era stato nominato e si limitò a scuotere la testa. “Non si tratta di questo. Il Consiglio ha semplicemente scelto un Maestro per te che non sia né io né Daichi.”
Shouyou annuì ma parve comunque molto dispiaciuto. “Tu e Daichi mi piacevate.”
“Ne sono lusingato,” disse Koushi. “Ma io non sono Cavaliere, mi occupo della conoscenza della Forza ma non la uso in combattimento. Non sono molto abile con la spada.”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “Esistono Jedi che non sono abili con la spada?”
“Quelli che preferiscono i libri, gli studi e la riflessione, per esempio.” Koushi rise della faccia inorridita che il ragazzino fece a quel punto. “Tranquillo, nessuno pretende cose del genere da te. Sarai affidato al migliore Cavaliere Jedi attivo sul campo che abbiamo in questa generazione.”
Gli occhi d’ambra si accesero nuovamente. “Davvero?” Tornò serio di colpo. “Ma un tipo burbero come il vecchio?” Domandò timoroso.
Koushi scrollò le spalle. “Ho avuto il mio ruolo nella sua educazione e non posso dire che sia un ragazzo solare, però...”
“È un ragazzo?” Shouyou reclinò la testa confuso. “Cioè è giovane? Non è uno di quei vecchi che combattono da secoli e secoli?”
“Nessuno combatte da secoli e secoli, Shouyou. Siamo Jedi ma non siamo immortali!” Rispose Koushi divertito. “Ad essere precisi, comunque, è sei mesi più giovane di te.”
Shouyou fece una smorfia. “Cosa? Ma io mi aspettavo un grande Maestro, tipo quelli delle storie che si sentono in giro...”
“Credimi,” disse Koushi in totale sincerità. “È giovane ma ha tutte le carte in regola per diventare uno dei grandi Jedi di quelle storie.”
 
 
***
 
 
Quado Hajime era uscito da quella porta costringendo Tobio a starsene confinato nella sala delle armi per il resto della giornata, il ragazzo si era ripetuto più volte, un’arma aggiustata dopo l’altra, che avrebbe volentieri compiuto qualsiasi altro dovere, piuttosto che starsene seduto a fare il lavoro di un Padawan comune.
Meno di un’ora dopo, Hajime era tornato e lo aveva fatto con una missione tra le mani che gli era stata assegnata dal Maestro Ikkei Ukai in persona. C’era voluta una buona mezz’ora perché il suo mentore gli spiegasse tutta la faccenda, si soffermasse sui dettagli ed arrivasse alla conclusione.
In breve: a Tobio era stato assegnato un Padawan della sua stessa età senza nessuna preparazione preliminare alla vita Jedi ma che i vecchi dell’ultimo piano si aspettavano diventasse una sorta di prodigio se messo nelle mani giuste.
Hajime aveva fissato Tobio.
Tobio aveva fissato Hajime.
Alla fine, il più giovane si era voltato verso la ferraglia sparsa di fronte a lui sul tavolo ed aveva ripreso ad aggiustare la spada-laser che aveva tra le mani come se non gli fosse stata appena offerta una via di fuga da quell’ingrato compito.
Un colpo alla nuca fu ciò che gli impedì di continuare ad ignorare Il fatto.
“Rispondimi quando ti parlo,” sibilò Hajime e gli occhi blu si sollevarono immediatamente sui suoi e l’ex Maestro vi lesse dentro tutta la discussione polemica che stava per seguire.
“Cosa si aspettano che faccia?” Domandò Tobio irritato. “Che compia un miracolo?”
Sì, esattamente, Hajime lo pensò ma non lo disse.
“Se a quattordici anni non ha mai tenuto tra le mani una spada laser, come pensano che potrà mai diventare un Cavaliere efficiente? Sarò vecchio prima che riesca e non farsela cadere sui piedi... Attiva!”
Hajime prese un respiro profondo: lo sapeva... Oh, sì, l’aveva saputo fin dal principio che sarebbe stata una discussione lunga ed infruttuosa ma era stato educato per essere un Cavaliere Jedi, poco importava se lungo la strada si era perso quasi in via definitiva, questo gli imponeva di mantenere una certa calma e compostezza e provare a fare appello alla ragione di Tobio, prima di passare alle maniere forti e prenderlo a calci da lì ai giardini.
“Tobio, la tua condotta è stata aspramente giudicata.”
Gli occhi blu si fecero indignati. “Ho appena riportato una vittoria contro i Sith!”
“Al Consiglio non piacciono i tuoi metodi di ottenerla. Non quando sei evidentemente troppo preso da te stesso svantaggiando i tuoi compagni Jedi.”
“Quei Padawan non erano adeguati!”
Hajime strinse le labbra. Proprio come aveva detto Ukai: non un pentimento, non un segno di autocritica. Tobio era tornato vittorioso e tanto gli bastava, le vite che quasi aveva sacrificato non avevano alcuna importanza per lui.
“La tua vittoria per il Consiglio è terribilmente simile ad un tradimento all’Ordine, Tobio.”
A quel punto, gli occhi blu si fecero grandi, pieni d’incomprensione. “Per quale ragione? Combatto per loro, non mi sognerei mai di...”
“Lo so,” lo interruppe Hajime. “Ma abbiamo delle regole... Regole che non tutti siamo portati a rispettare alla letterale ma ce ne sono alcune che nessun Maestro dovrebbe sentirsi in obbligo di spiegare a voce: rispetto per chi combatte al tuo fianco, lucidità quando ti trovi ad affrontare una situazione pericolosa ed umiltà. Nessuno è invincibile da solo, Tobio.”
Aveva perso il conto delle volte che glielo aveva ripetuto e solo il cielo sapeva quanto Hajime si fosse sforzato perché Tobio facesse suo quel concetto. Non sei da solo! Non combatti da solo!
Il ragazzo strinse i pugni. “Questa è una punizione, quindi?”
“No,” Hajime scosse la testa. “È una possibilità per porre rimedio ai tuoi errori, per guadagnarti di nuovo la stima del Consiglio e dei tuoi compagni. Una seconda possibilità per dimostrarti un grande Cavaliere Jedi.”
Tobio scattò in piedi. “Io sono un grande Cavaliere Jedi!”
Hajime lo guardò duramente. “Non ancora, Tobio,” disse scuotendo appena la testa. “Plasma quel ragazzino in un Cavaliere Jedi ed allora sarai degno di essere chiamato Maestro.”
“Non si diventa Jedi in un giorno!” Esclamò Tobio esasperato. “Chiunque sia questo moccioso, non potrà mai diventare quello che il Consiglio vuole in poco tempo!” Tornò a sedersi con un sospiro scocciato e riprese a suddividere pezzi di ricambio a seconda dell’arma a cui corrispondevano.
Hajime si umettò le labbra. “Il livello di Midichlorian nel suo sangue supera la scala di valutazione,” disse con voce atona e molto lentamente, così che l’altro potesse udire chiaramente ogni sua parola.
Tobio si fece immobile e, lentamente, quegli occhi blu si fissarono in quelli verdi del Maestro.
Hajime sorrise soddisfatto. “Adesso sì che stai ponendo attenzione...”
 
 
***
 
 
Il primo incontro tra Tobio e Shouyou avvenne nella sala del Consiglio al cospetto di sei Jedi di ben tre generazioni diverse.
“Shouyou,” disse Koushi posando entrambe le mani sulle spalle del ragazzino. “Lui è Tobio e sarà il tuo Maestro da oggi in avanti. Avete la stessa età, non hai ragione di sentirti intimorito.”
Sembra più grande, però, pensò Shouyou e non gli piacque molto il modo in cui doveva alzare lo sguardo per guardare il suo così detto Maestro in faccia. Era alto, molto alto. Decisamente più alto di lui, comunque ed aveva le spalle larghe e l’espressione di seria di uomo già adulto. Tuttavia, Shouyou non poteva fare a meno di guardare i suoi occhi. Non c’era colore sul Pianeta di Seijou che non lo avesse incantato ma non aveva mai visto un blu simile nelle iridi di una persona.
Tobio fece un passo in avanti e, intimorito, Shouyou si ritrasse fino quasi a nascondersi dietro a Koushi. Il Cavaliere Jedi fece una smorfia scocciata e si voltò in direzione del giovane uomo alle sue spalle che, però, lo fulminò con uno sguardo e Shouyou ebbe quelle iridi blu su di sé ancora una volta. Non ci voleva certo un genio per capire che non era molto felice di essere lì. “Qual è il tuo nome?”
Shouyou si fece coraggio e mosse un passo avanti. “Shouyou, Maestro...” Rispose timoroso.
“Chiamami per nome,” replicò Tobio. “Maestro è un titolo per i vecchi, non lo sai?”
Il giovane alle sue spalle si diede una manata in faccia. Il vecchio Maestro borbottò qualcosa lungo la linea del “vecchio a chi?”. Tutti gli altri tentarono di essere inflessibili di fronte a tanta arroganza e Shouyou non seppe come reagire. Era normale che un Jedi così giovane si prendesse gioco tanto liberamente dei suoi superiori? Koushi gli aveva detto che era il più forte della sua generazione, tuttavia...
“Posso chiamarti Tobio?”
“È il mio nome, stupido,” rispose l’altro come se la risposta fosse ovvia ed il Cavaliere alle sue spalle non mancò di lanciargli un’occhiata decisamente irritata. Shouyou stesso sentì che quel comportamento sgarbato completamente gratuito cominciava a dargli seriamente sui nervi. “Dato che ti comporti come tale, potrei riservarti lo stesso rispetto e chiamare stupido anche te!” Esclamò mettendo su il broncio.
 
 
 
Ci vollero quattro Cavalieri Jedi per tenere fermo Tobio e, quando Shouyou cominciò a rispondere agli insulti, il Maestro Ikkei stesso fu costretto ad intervenire per ristabilire la pace.
 
 
***
 
 
 
Una volta che Tobio fu tornato nella sua stanza e Hajime cominciò a parlare, il più giovane fu certo che non sarebbe vissuto abbastanza per sentire la fine. Non disse nulla. Rimase seduto sul suo letto artigliando i pantaloni con entrambe le mani e fissando il pavimento sotto i suoi piedi senza vederlo.
“Che ti è saltato in mente?” Domandò il suo ex Maestro per l’ennesima volta camminando avanti ed indietro nervosamente.
Tobio si decise ad alzare gli occhi e a tentare di far valere le sue ragioni. “Quello non è un Padawan, è un piccolo idiota arrogante!”
Hajime gli puntò un dito contro. “Non osare dire nulla sull’arroganza, Tobio! Non tu!”
“Avrà anche un livello di Midichlonian incalcolabile ma questo non compensa per tutto il resto. minuto, non è cresciuto con i nostri insegnamenti e...”
“Oh, tu ci sei cresciuto eccome e non ho raccolto molti frutti in tal senso, non usare scusanti che non valgono nemmeno con te!”
Tobio mise su il broncio ma si guardò bene dal replicare: si era messo nei guai già abbastanza.
Hajime sospirò. “Ciò non cambia quello che è stato deciso...”
“Il vecchio si è bevuto il cervello! Non è possibile tirare fuori un Jedi da quel microbo!”
“Tobio, non avere l’arroganza di credere di saperne di più dei tuoi Maestri!”
“Dico solo la verità!”
“Mettilo alla prova! Dimostra davanti a tutti che hai ragione, se ci tieni tanto! Urlare non è modo adeguato per mostrarla questa tua verità!”
Tobio sbuffò esasperato. “Quello stupido è morto prima ancora che attivi la spada-laser!”
Hajime si passò una mano tra i capelli e s’impose di rimanere calmo. “Domani assisterò al vostro addestramento, va bene?” Propose. “Io e Koushi o Daichi. Giudicheremo le effettive capacità di Shouyou come Padawan e di te come Maestro ed allora rivaluteremo la decisione del Consiglio con nuovi elementi da prendere in considerazione.”
Tobio prese un respiro profondo. “Ti ringrazio...”
“Non farmene pentire,” disse Hajime premendo il pulsante per aprire la porta della sua camera. “Ora, dormi. Buonanotte, Tobio.”
“Buonanotte, Maestro.”
Hajime si fermò a guardarlo ma non perse tempo a correggerlo: certe abitudine erano, semplicemente, dure a morire e non doveva per forza essere un difetto.
“Cerca di dormire, Tobio...”
 
***
 
 
Il soffitto di Tobio era un’enorme vetrata che dava sull’immensa volta celeste.
Non aveva mai dovuto dormire nelle camerate insieme agli altri bambini ma non si era mai interrogato sul motivo di un simile privilegio. La sua educazione ed il suo addestramento erano stati diversi da quelli di tutti gli altri e, forse, si trattava solo di un’eccezione come tante messa in pratica nei suoi confronti.
Non che gli fosse mai dispiaciuto. La solitudine ed il silenzio erano sempre stati suoi alleati e non aveva mai pensato di sostituirli con qualcuno dei bambini che era stato addestrato al suo fianco da quando aveva memoria. C’erano ragazzi, come quelli che si erano dimostrati degli inetti nell’ultima missione che aveva guidato, che facevano parte della sua vita da quando aveva memoria e Tobio poteva tranquillamente affermare che non si sentiva legato a nessuno di loro.
Non avrebbe mai perso il sonno per averli messi in pericolo: erano apprendisti Jedi e conoscevano i rischi.
Tuttavia, i nervi che gli aveva messo quel nanerottolo e l’aspettativa di vederlo anche l’indomani erano abbastanza per impedirgli di rilassarsi. Non si era nemmeno scomodato a togliersi i vestiti, era rimasto steso sopra le coperte ed aveva contato e perso il conto delle stelle sopra di lui almeno tre volte quando si rese conto che avrebbero dovuto prenderlo a colpi in testa per fargli perdere i sensi.
“Maledizione...” Imprecò a bassa voce coprendosi gli occhi con un braccio.
Ci mancava solo che si presentasse al primo giorno di addestramento del nanerottolo barcollando per il sonno mancato. Eppure, da bambino, guardare le stelle era sempre stato sufficiente per farlo rilassare. Quei soli lontani erano state la sua silenziosa ninna-nanna per tutta la sua infanzia.
”Just close your eyes...”
O, almeno da quando aveva memoria.
“The sun is going down,” si ritrovò a canticchiare senza rendersene conto.
”You’ll be alright, no one can hurt you now...” Cantò la voce nei suoi sogni nella sua testa.
“Come morning light...” mormorò Tobio chiudendo gli occhi lentamente.
”You and I’ll be safe and...”
“Oh, eccoti!”
Tobio si ritrovò a fissare le stelle sopra di lui con gli occhi sbarrati.
“Lo sapevo che eri tu!” Esclamò quella voce irritante. “Ti ho sentito.”
Tobio sentì il materasso sotto di lui abbassarsi e voltò molto lentamente il viso per identificare lo sconosciuto che aveva osato irrompere nella sua stanza senza permesso. Come se quella voce da bambino petulante non fosse stata sufficiente!
Shouyou si era inginocchiato sul suo letto e si guardava intorno incantato. “Quindi, è questa la stanza di un Cavaliere Jedi!”
Tobio sentì le dita prudergli terribilmente e se non fosse stato tanto intontito da non ricordare dove fosse la sua spada-laser, probabilmente, ci sarebbe già stata una testa dai capelli dal colore impossibile a rotolare sul pavimento della sua camera.
“Bruttina,” commentò Shouyou con una smorfia. “Sa di apatico, pensavo me...” Qualsiasi consa pensasse, Tobio non la seppe mai perché come quegli occhi ambrati si sollevarono sul soffitto di vetro, Shouyou non sembrò più in grado di pronunciare alcuna parola.
Tobio ebbe appena il tempo di rallegrarsi per questo che, di colpo, si rese conto che il silenzio aveva cominciato a farsi pesante. “Ehi...” Chiamò sollevandosi sui gomiti. “Ti è andato in blocco il cervello per caso?”
Shouyou non gli rispose. Era come se lui non fosse più nemmeno nella stanza.
Tobio cominciò ad inquietarsi. Si mise a sedere e toccò il petto del ragazzino con la punta dell’indice. “Ehi, coso...” Nessuna risposta. “Shouyou?” Tentò di nuovo.
Gli occhi d’ambra, finalmente, si abbassarono su quelli blu ma la sorpresa mista a smarrimento che li animava era ancora lì, al suo posto. “Che ti prende, stupido?” Domandò Tobio inarcando un sopracciglio.
Shouyou nemmeno si offese, prese e torcersi le mani nervosamente e diede ancora un’occhiata veloce al cielo stellato. “Non le avevo mai viste,” confessò con un filo di voce.
Anche Tobio si ritrovò a sollevare lo sguardo senza motivo. “Cosa?”
“Le stelle...” Fu strano il modo in cui Shouyou pronunciò quella parola. Era pregna d’incanto la sua voce, come se quello che Tobio aveva avuto davanti agli occhi per tutta la vita fosse la cosa più prezioso dell’intero Universo.
“Non hai mai visto le stelle?” Ripeté completamente basito.
Le guance di Shouyou si colorarono appena, come se fosse imbarazzato e mise su il broncio. “Non è colpa mia se nel mio mondo non mi era possibile uscire e vederle.”
“Non ti ho accusato di nulla, idiota,” replicò Tobio irritato. “Perché non potevi uscire a vederle?” Chiese un istante più tardi.
Shouyou aveva sollevato lo sguardo ancora una volta. “Le persone muoiono per strada di continuo da dove vengo io. Di notte non è sicuro...”
Tobio sentì la gola farsi secca di colpo.
“E non c’erano finestre nella nostra casa, solo una porta d’ingresso ed un impianto di areazione che, spesso, buttava dentro cattivo odore,” scrollò le spalle e fece una smorfia disgustata. “Capitava che qualche ratto ci morisse dentro e allora... Bleah!”
Tobio non ebbe il tempo di sentirsi schifato, era già troppo occupato a registrare quelle informazioni e Shouyou gliele stava dando come se fossero episodi di vita quotidiana completamente normali.
“È la prima volta che le vedo,” concluse Shouyou con un sorriso incantato. “Sono bellissime...” La sua voce suonava quasi spezzata e Tobio non se lo fece sfuggire. “Stai per piangere, adesso?”
Shouyou tirò su col naso e lo guardò irritato. “Niente affatto!”
Tobio sospirò annoiato e decise di lasciar cadere la questione: avrebbe avuto tutto il tempo di vederlo piangere una volta sorto il sole. “Come mi hai trovato?”
“Oh, mi hanno dato una stanzetta in fondo al corridoio,” spiegò Shouyou con un sorriso. “Lì c’è una finestra ma è tanto piccola che per affacciarmi mi devo arrampicare ed una volta che ci arrivo riesco solo a vedere il muro dell’edificio di fronte. Koushi si è scusato tanto, dice che è una soluzione temporanea.”
“Sì, ma come hai trovato me?” Insistette Tobio. “Hai aperto tutte le porte del piano a casaccio?”
“No, te l’ho detto,” disse Shouyou. “Ti ho sentito...”
“Cantare?” Tobio lo sbuffò. “Canticchiavo appena, come puoi avermi sentito?”
Shouyou arricciò il naso e scosse la testa. “No!” Esclamò. “Sentito... Sentito!” Si premette entrambe le mani contro il petto come se questo potesse chiarire qualsiasi confusione. In un certo senso, dopo un primo istante di titubanza, Tobio credette di avere la soluzione. “La Forza?” Domandò dubbioso. “Hai percepito la Forza in me?”
Shouyou sorrise ed annuì. “Esatto!” Poi reclinò la testa da un lato. “Se si dice così quando si sente il potere vitale di qualcosa...?”
Era la peggiore definizione che Tobio avesse mai sentito in vita sua ma decise di non polemizzare ed annuì con una smorfia. “Sì, il potere vitale...”
“Il tuo è il più forte che ho mai sentito,” commentò Shouyou con emozione. “È come il mio. Tu mi hai sentito, vero? Sei rimasto sorpreso, vero?”
“No,” rispose Tobio. “Mi avevano detto che avevi un livello di Midichlonian assurdo, ero preparato.”
Shouyou sospirò con un broncio. “Sei bello che antipatico, lo sai?”
Il Jedi lo fissò furente. “Perché non pensi a quanto sei irritante tu?”
Per tutta risposta, Shouyou si lasciò cadere sul suo letto senza permesso e prese a fissare la volta celeste con un sorriso incantato. “Deve essere bellissimo addormentarsi ogni notte così!”
“Ehi, sei sul mio letto!”
“Resto ancora un po’ e me ne vado, promesso!”
Tobio era troppo stanco per mettersi a discutere, così si lasciò cadere sulla parte del materasso rimasta libera e tornò a fissare le stelle solo per tenere la mente impegnata con qualcosa.
“Mi piaceva...” Commentò Shouyou dal nulla.
Tobio si voltò e si accorse che lo guardava. “Che cosa?”
“Quella canzone...”
“Allora mi hai sentito!”
“Non ti arrabbiare! Hai una bella voce per essere così antipatico!” Era sincero e Tobio si ritrovò ad arrossire senza motivo.
“Ma stai zitto...” Sibilò.
“Chi la cantava?”
“Eh?”
“Quella canzone,” disse Shouyou. “Suonava come una ninna-nanna. Chi te le cantava?”
Tobio ci pensò e per l’ennesima volta cercò di rimettere insieme le visioni frammentarie che vedeva dei suoi sogni. Non ci riuscì. “Non lo so...” Ammise e l’immagini di due occhi scuri brillanti più del firmamento sopra di loro lo costrinse a tirarsi a sedere.
“Che succede?” Domandò Shouyou confuso.
Tobio si alzò e recuperò la spada-laser dal tavolo su cui l’aveva lasciata. “Alzati, abbiamo da fare.”
“Che cosa?”
“Sei stupido? Nessuno dei due andrà a dormire questa notte e non abbiamo tempo da perdere! Cominciamo l’addestramento stanotte. Giuro, se crolli ti lascio a terra!”
Shouyou saltò giù dal letto con entusiasmo. “Ricevuto, Maestro!”
“E non chiamarmi Maestro!”
 
 
 
 
L’indomani, i Padawan del primo addestramento del mattino li trovarono nei giardini del Tempio che si lanciavano insulti tra un colpo di spada-laser e l’altro. Quando Koushi e Hajime scesero a controllare la situazione, era ormai chiaro che il loro intervento fosse completamente superfluo e si scambiarono un sorriso d’intesa.
 
 
 
 
Fu all’alba di quel giorno che ebbe inizio il cammino di Shouyou e Tobio.
 
 
***
 
 
 
Il Signore dei Sith se ne stava seduto a gambe incrociate sul ponte principale della nave spaziale, il mento appoggiato ad un pugno chiuso e gli occhi persi nell’infinità della galassia di fronte ai suoi occhi. Aveva il cappuccio nero tirato sul capo e l’atteggiamento rilassato di un ragazzino in un momento di noia.
Qualcuno lo raggiunse.
Non si voltò per controllare chi fosse, lo sapeva già.
“Non li ho puniti,” disse il suo Maestro con voce monocorde. “Esattamente come mi hai detto.”
Il Signore dei Sith sorrise. “Un Maestro che segue i consigli dell’allievo, eh?”
“È sempre stato così tra di noi...”
“Potrebbe diventare pericoloso,” commentò il giovane incappucciato voltando un poco il viso ed il Maestro riuscì a scorgere appena un bagliore di quegli occhi dorati sotto la stoffa nera guardarlo con sensualità. Una tentazione vivente, tanto che spesso dubitava di averlo portato lui al Lato Oscuro. C’erano giorni in cui si chiedeva se non avesse varcato davvero quella soglia solo dopo che il suo così detto allievo aveva afferrato la sua mano. “Per te, intendo... L’assenza di differenza di età tra noi potrebbe trasformarsi da un vantaggio ad una condanna in un battito di ciglia.” Aggiunse il Signore dei Sith.
L’espressione marmorea del Maestro non cambiò di una sfumatura. “Perché non hai voluto che li punissi? Hanno fallito e hanno regalato una vittoria al nemico.”
L’altro si alzò in piedi con un sospiro. “Molti sono morti sul campo di battaglia,” replicò. “Dovrei punire i miei uomini per essere stati più fortunati?”
“Sono stati deboli.”
Il Signore dei Sith sorrise ancora e scosse la testa. “Non è colpa loro,” disse quasi amorevolmente. “Non avevano nessuna possibilità di farcela.”
Il Maestro inarcò un sopracciglio. “Sembri soddisfatto della nostra sconfitta...”
“No,” replicò l’altro. “Sono soddisfatto della mia eredità.”
Si guardarono per alcuni istanti di completo silenzio, poi il Maestro si voltò. “Non farmi attendere per troppo tempo...”
L’altro rise. “Potrei farti attendere tutta la notte e tu saresti comunque lì, ad aspettarmi.”
Il Maestro non replicò e, non appena fu scomparso, il Signore dei Sith tornò a volarsi verso il mare infinito di stelle in cui la loro nave spaziale navigava.
“E tu quanto mi farai aspettare? Mi raccomando, non metterci troppo...” Mormorò toccando il vetro con la punta delle dita ed il riflesso di due occhi dorati sotto una frangia di capelli castani ricambiò il suo sguardo carico di aspettativa. “A presto, Tobio-chan...”




 

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Capitolo 2
*** A dreamer is one who can only find his way by monlight ***


2
A dreamer is one who can only find his way by moonlight
 
 
 
Delle risate.
Delle risate serene, allegre.
“Hai scelto il nome?” Una domanda dolce, appena sussurrata.
“Lo sceglieremo insieme quando lo conosceremo.”
“Ma io lo conosco già,” una risata leggera. “E lui conosce noi. Può sentirci, lo sai?”
“Lui? Credevo non volessi saperlo...”
“Non volevo saperlo perché già lo so.”
“E come lo sai?”
“Lo so e basta...”
Una pausa. Altre risate. Aveva gli occhi chiusi ma non voleva aprirli, stava caldo, si sentiva al sicuro. “Vuoi dirgli qualcosa?” Domandò la prima voce. “Se gli parli spesso riconoscerà la tua voce, quando arriverà. Già lo fa un poco, credo...”
“Come lo sai?”
“È tranquillo solo in due momenti: quando canto la ninna nanna e quando ci sei tu.”
Una carezza ma non era una vera carezza. Gli piaceva, però.
“Ho pensato ad un nome, in verità...”

 
 
“Tobio!”
Gli occhi blu si aprirono di colpo e si ritrovarono a fissare il cielo azzurro del mattino al di là della vetrata sul soffitto della sua camera. Qualcosa salì sul suo letto rimbalzando e facendolo rimbalzare a sua volta. “Tobio!” Lo chiamò ancora una voce petulante mentre due grandi occhi color ambra comparivano nel suo campo visivo, insieme ad una matassa di capelli ribelli dal colore impossibile.
Ci fu un lungo, riflessivo momento in cui Tobio pensò di dargli una testata sul naso con la speranza che sanguinasse abbondantemente ma, dopo, avrebbe sporcato le sue lenzuola e avrebbe dovuto spiegare perché il suo Padawan se ne andava in giro piagnucolando e seminando gocce di sangue ovunque e non avrebbe vissuto abbastanza per sentire la fine dei rimproveri che sarebbero seguiti.
Quindi, in una di quelle rare occasioni in cui la cosa gli tornava utile, Tobio fece appello a principi molto Jedi come la calma e la pazienza.
“Tobio! Hai gli occhi aperti! Lo so che sei sveglio, non ignorarmi! Dobbiamo allenar...!”
Un colpo alla testa fece cadere Shouyou giù dal letto con la stessa velocità con cui ci era salito.
Al diavolo i principi!
 
 
***
 
 
Wakatoshi non aveva un colore preferito e, a dispetto del lato della Forza di cui faceva parte, non era particolarmente affezionato al nero. Troppo cupo. Troppo morto e, sebbene non fosse quello che lasciava passare attraverso i suoi gesti, Wakatoshi era un uomo fatto d’impulsi e passioni come un degno Signore Supremo dei Sith.
Gli occhi dorati che lo guardavano, invece, erano vibranti di vita e di una passione tanto grande che nemmeno l’universo stesso avrebbe potuto contenerla. “Sembri soddisfatto,” disse il suo amante con un sorriso dalle sfumature diaboliche chinandosi su di lui per concedergli un bacio caldo, umido. “Posso ritenermi il responsabile di tanta soddisfazione?” Appoggiò entrambe le mani sul suo petto e vi fece leva per sollevarsi di nuovo e guardarlo dall’alto. I capelli castani gli ricaddero sul viso coprendogli uno di quegli occhi meravigliosi, più splendenti di qualsiasi stella nell’universo.
Wakatoshi gli accarezzò i fianchi. Non lo aveva lasciato più andare da quando lo aveva raggiunto a letto, gli sarebbe stato impossibile. “Sarebbe più opportuno dire che non ti potrei mai guardare con delusione.”
Non era oggettivamente possibile, non quando quel giovane uomo rappresentava il suo capolavoro per eccellenza.
Il suo amante mosse appena i fianchi e tanto bastò per farlo impazzire di desiderio come se non lo avessero appena consumato tra quelle lenzuola. “Io, invece, non sono ancora sazio,” disse con voce sensuale. “E tu, mio Maestro?”
Wakatoshi gli sorrise appena, poi aumentò la presa sui suoi fianchi e ribaltò le loro posizioni. Il suo capolavoro rise, le gambe ancora intorno alla sua vita. “Lo devo prendere come un sì?” Domandò.
Wakatoshi gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli castani dalle punte arricciate all’insù dagli occhi. Voleva guardarli per tutto il tempo. “Non sono più il tuo Maestro da tanto tempo.”
L’altro rise alzando una mano e passandogliela tra i capelli. “Facevamo l’amore anche allora...”
Wakatoshi strinse le dita fino a sentire la curva delle ossa del bacino contro i palmi delle mani. Si mosse in avanti. Fu un movimento secco, veloce. Il suo capolavoro inarcò la schiena, chiuse gli occhi e lasciò andare un gemito caldo, sincero. Almeno in quelle occasioni, Wakatoshi era certo che lo fosse. Non poteva giurarlo il resto del tempo.
Certe volte, non era certo nemmeno che fosse con lui.
Quando alzava quegli occhi meravigliosi verso le stelle, era come se ci fosse un’intera galassia di distanza tra loro ed al suo capolavoro piaceva molto guardare le stelle. Lo aveva tentato lui verso il Lato Oscuro, questo era vero ma il suo allievo lo aveva abbracciato in un modo che a Wakatoshi non era dato comprendere a pieno.
“Ehi...” Il suo capolavoro gli passò una mano sul viso. “Sei con me?”
E tu dove sei quando sei qui ma mi sembra di non riuscire nemmeno a sfiorarti? Pensò. Coprì quella mano con la sua. “Dove altro potrei essere?”
Il giovane uomo sotto di lui sorrise, gli occhi si accesero come stelle. Wakatoshi lo baciò come se da questo dipendesse la sua stessa vita.
 
 
***
 
 
 
“Non ci alleniamo con gli altri ragazzi?” Domandò Shouyou guardando fuori dalla finestra dell’enorme salone in cui Tobio lo aveva portato. Si vedevano i giardini da lì e varie coppie di giovani erano impegnati a duellare amichevolmente tra di loro senza la supervisione di un superiore.
“Sei lontano anni luce dalla preparazione di quei ragazzi,” disse Tobio con voce neutrale, come se si limitasse ad affermare un fatto reale e non volesse offendere l’altro in alcun modo. Shouyou lo guardò storto comunque. “Che stai facendo?” Domandò
Tobio aveva tra le mani un piccolo droide rotondo e continuava a premere un pulsante dietro l’altro provocando una serie infinita di bip che Shouyou cominciava a trovare noiosa. “Questo è un droide d’addestramento,” spiegò Tobio e guardò il suo Padawan per un istante con una smorfia sarcastica. “Lo usano per i bambini.”
Questa volta l’offesa era chiara e voluta e Shouyou lo guardò con aria di sfida. “Potrei sorprenderti!”
Tobio rise senza gioia. “Ne dubito...” Lasciò andare il droide e questo rimase sospeso a mezz’aria, poi Shouyou se lo vide arrivare vicino e sparare contro di lui. Riuscì a schivare il colpo che creò un’evidente bruciatura sul muro ma sentì il cuore arrivargli in gola. “Che diavolo...?”
Tobio aggrottò la fronte: aveva appena visto quel piccolo idiota schivare un colpo che un normale essere umano non avrebbe nemmeno visto arrivare? Doveva essere la fortuna del principiante. In ogni caso, non si stava comportando diversamente dalle sue previsioni. “La spada, idiota,” disse con una smorfia. “Sei armato di spada.”
Shouyou sgranò gli occhi ed annuì, come se lo avesse ricordato solo in quel momento e prese la spada laser con entrambe le mani nello stesso momento in cui il droide gli colpì una gamba. L’arma gli cadde di mano e premette il palmo sul punto leso. “Brucia!” Esclamò arrabbiato.
Con chi, Tobio non sapeva proprio dirlo. Sospirò annoiato, poi disattivò il droide con il controllore remoto che aveva tra le mani. Questo cadde a terra, privo di vita. Shouyou lo fissò, poi alzò lo sguardo sugli occhi blu del suo Maestro. “Perché lo hai fermato?”
“Perché quel coso non può ucciderti ma se ti colpisce in un occhio non è piacevole!” Esclamò Tobio scocciato, poi si avvicinò alla spada rotolata sul pavimento. La porse al Padawan e lo guardò dall’alto al basso con sguardo tagliente. “Non lasciarla mai andare,” gli disse. “È la prima regola che devi imparare. Qualsiasi cosa ti succeda, qualsiasi cosa il tuo corpo ti comandi di fare con le tue mani, non lasciare mai andare la spada. Qui il massimo che può succederti è che ti cada a terra ma in un campo di battaglia è un attimo prima che tu la perda di vista e disarmato contro un Sith sei più morto di una formica sotto la suola del tuo stivale.”
Shouyou riprese la sua spada ed annuì. “Ho capito...”
“Devi fare in modo che il tuo nemico si senta costretto a tagliarti un arto pur di disarmarti,” continuò Tobio.
Gli occhi d’ambra si fecero enormi, spaventati. “Tagliare un arto...”
Tobio ghignò. “Non temere. Se andrai in missione così, punteranno alla testa e non sentirai nulla.”
Shouyou strinse le labbra e la sua espressione si fece dura. “Non sono venuto qui per farmi sconfiggere!”
“Dimostramelo!” Esclamò Tobio facendo tre passi indietro e riattivando il droide. “Ancora una volta!”
 
 
***
 
 
 
Quando si risvegliò, Wakatoshi trovò il suo amante ancora accanto a lui e la cosa lo sorprese piacevolmente: non era il tipo da fare pause, il suo capolavoro e non era raro che si alzasse una volta consumata la passione per andarsi ad allenare con qualcun altro dei Sith.
Quei giorni, però, erano speciali.
Wakatoshi lo aveva capito dal modo in cui sorrideva, dal modo in cui faceva l’amore con lui, dal modo in cui dava di spada con qualcuno dei loro compagni. Qualcosa si era risvegliato. Non poteva dire di non averlo percepito, c’erano riusciti tutti ma per il suo allievo era stato come qualcosa di personale e Wakatoshi sapeva quanto il ruolo di quel giovane Cavaliere Jedi che aveva sbaragliato i loro uomini avesse importanza in quella storia.
Il suo capolavoro gli dava le spalle, steso su un fianco, il lenzuolo tirato appena fino alla vita. Era sveglio, lo sentiva. Fissava le stelle fuori dalla vetrata della nave spaziale e Wakatoshi decise che era tempo che lasciasse perdere quelle costellazioni ed ovunque lo portassero per tornare lì, a quel momento, con lui. Gli passò un braccio intorno alla vita e gli baciò una spalla. Il suo amante s’irrigidì appena per la sorpresa, poi sospirò. “Sei sveglio...”
Wakatoshi avvertì il suo sorriso nella sua voce. “Mi fa piacere trovarti ancora a letto.”
“Mi sono incantato a guardare le stelle.”
Lo sapeva ma non glielo disse. “È quel ragazzo che ti tiene sveglio?”
L’altro sospirò di nuovo. “Non dovrei essere così facile da leggere...”
“Non lo sei,” confermò Wakatoshi. “Non di solito, comunque. Sei diverso, in questi giorni.”
Quegli occhi dorati si voltarono finalmente a guadarlo. “Abbiamo sentito tutti quel risveglio. Lo abbiamo sentito la notte stessa in cui i nostri uomini sono stati sconfitti così facilmente, come se fosse una cosa inevitabile.”
Wakatoshi annuì. “Sì, l’ho sentito ma non ho saputo capire a quale lato appartenesse.”
Il suo capolavoro tornò a guardare le stelle. “Esatto... Tobio è ancora una crisalide, non appartiene a nessun lato della Forza in particolare e non è detto che, crescendo, segua la strada su cui lo hanno spinto fin da bambino.”
“E tu vuoi spingerlo dalla nostra parte?”
Ci fu qualche istante di silenzio, prima di che il suo allievo parlasse di nuovo. “Voglio dargli quello che il suo Maestro non deve mai avergli dato,” disse, “una possibilità di scelta.”
Rise.
“Solo dopo averlo sconfitto come si deve, ovviamente,” aggiunse. “Già lo additano come il prodigio della sua generazione, non vogliamo che il moccioso si monti la testa, vero?”
“Nessuno lo ha paragonato a te,” gli fece notare Wakatoshi.
“Perché nessuno di quei Cavalieri riesce a pronunciare il mio nome,” il suo amante rise ancora. “È il mio erede, che io lo voglia o no... Che loro lo vogliano o no...”
Wakatoshi si distese sulla schiena e sospirò. “Lo stai sopravvalutando...”
Il suo capolavoro rivolse gli occhi dorati alle stelle ancora una volta. “Lascia giudicare me,” replicò. “È ormai giunta l’ora...”
 
 
***
 
 
 
Se Tobio fosse stato onesto (e non lo sarebbe mai stato per nessuna ragione nell’intero universo), avrebbe ammesso che Shouyou lo aveva sorpreso.
Da quante ore stavano andando avanti? Il cielo si era fatto scuro, quindi parecchie. Shouyou era ancora in piedi ed aveva più bruciature addosso di quante un novellino potesse sopportare ma non demordeva. “Ancora!” Esclamava ogni volta che Tobio disattivava il droide per fargli riprendere fiato. Minacce a parte, se avesse perso un occhio durante il suo primo giorno d’addestramento non sarebbe stato compromesso solo il suo futuro e, per quanto a Tobio non andasse giù, ogni passo in avanti che Shouyou avrebbe fatto non sarebbe stato solo per lui.
“Ancora!” Esclamò Shouyou ma le gambe cedettero e si ritrovò seduto a terra con gli occhi d’ambra sgranati. Si era spinto fino al suo limite e non se ne era neanche accorto. Tobio sospirò e scosse la testa. “Basta così per oggi,” proclamò.
“Non sono ancora stanco!” Replicò Shouyou con convinzione, la spada ancora in mano ma non accennò ad alzarsi dal pavimento. “Devo... Devo solo riprendere fiato...”
Tobio incrociò le braccia contro il petto. “Affrettare le cose non ti renderà più forte.”
“Ma devo farlo, no?” C’era rabbia nella voce di Shouyou. “Hai detto che questi sono esercizi per bambini! Tu hai la mia età e sei un Cavaliere e quanti altri lo sono come te?”
“Io sono un’eccezione,” disse Tobio ma non gli faceva piacere ammetterlo. “E tu come me ma nel senso completamente opposto.”
“Io voglio diventare un Cavaliere!”
“E lo diventerai ma alle mie condizioni!” Il giovane Maestro si voltò e fece per andarsene, poi sbuffò borbottando contro se stesso, tornò sui suoi passi per offrire una mano al suo Padawan. “Avanti...”
Shouyou lo guardò storto. “Faccio da solo...”
“Devo portarti in infermeria e fare qualcosa per quelle bruciature... Non provare a contraddirmi!” Aggiunse Tobio nel vedere l’altro cercare di protestare. “Regola numero due, il tuo corpo è la prima arma che possiedi. Danneggialo irreparabilmente e nemmeno la forza della tua mente servirà a compensare.”
Shouyou annuì, sebbene non lo stesse nemmeno guardando negli occhi.
Tobio aspettò e lasciò che si alzasse in piedi da solo.
 
 
Tobio si muoveva in quell’immenso Tempio come Shouyou soleva muoversi nella sua casetta di appena tre stanze. Lo invidiava. Aveva fatto parte di quel mondo fin dalla nascita e ne respirava l’aria come se fosse un suo diritto. Shouyou ancora si guardava intorno con occhi incantati ed attirava lo sguardo di chiunque li incrociasse camminare lungo i corridoi. La maggior parte delle volte, si ritrovava ad abbassare il viso intimorito, poi si convinceva che, ormai, era uno di loro e non aveva ragione di sentirsi un pesce fuor d’acqua.
Non riusciva a convincersene.
“Togliti i vestiti e siediti sul tavolo,” ordinò Tobio con aria casuale prendendo a trafficare con alcuni strumenti a cui Shouyou non prestò particolare attenzione. Erano state le sue parole a lasciarlo di sasso. “Cosa?”
Tobio lo fissò come se fosse un idiota. “Hai bruciature ovunque! Devi toglierti i vestiti se vuoi che faccia un lavoro decente...”
Shouyou annuì, esitante. Si avvicinò al tavolo al centro della stanza e si portò le mani alla cintura della casacca ma non fece altro. Rimase a fissare un punto nel vuoto di fronte a sè, il labbro inferiore serrato tra i denti, alla disperata ricerca di un modo per togliersi da quella situazione.
“Sei ancora vestito?” Tuonò Tobio scocciato alle sue spalle.
Shouyou sobbalzò, ingoiò aria e, senza pensarci un secondo di più, si slacciò la cintura, si libero della casacca e della tunica leggera che portava sotto. Li ripiegò alla male e peggio in fondo al tavolo e poi si sedette sul bordo, gli occhi d’ambra ben lontani dal viso di Tobio.
L’altro fece il giro del tavolo e cominciò a disinfettargli le bruciature sulla schiena. Shouyou sentì il cotone umido di disinfettante su di lui ed un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Il bruciore era lieve ma strinse le labbra comunque per evitare versi che poi si sarebbe pentito di aver fatto.
Tobio era silenzioso e Shouyou sentì la necessità d’interrompere quel silenzio anche con la questione più stupida che aveva a portata di mano. “Non sanguinano,” commentò fissando alcuni segni rossi sulle sue braccia.
“Certo che no, stupido!” Rispose Tobio. “Sono ferite da laser... Questo genere di danni sanguinano poco o niente. Una spada laser può amputare una mano senza versare una goccia di sangue, se il colpo è preciso. Il calore cauterizza i tessuti...”
Shouyou annuì registrando quelle informazioni come meglio poteva. “Hai detto che sei un’eccezione e che io sono come te...”
“In senso opposto,” si sentì in dovere di sottolineare Tobio.
Shouyou fece una smorfia. “Anche il tuo livello di Midichlorian è oltre la scala, vero?” Non sentì il cotone umido toccargli la pelle per alcuni istanti, poi Tobio riprese a medicarlo. “Sì...” Fu la sua risposta mentre faceva il giro del tavolo e gli arrivava davanti. Shouyou sentì il bisogno d’incrociare le braccia contro il petto, come per nascondersi.
Tobio se ne accorse ed inarcò le sopracciglia. “Pensi di avere qualcosa che io non abbia?”
Shouyou sentì un calore che conosceva bene salirgli alle guance e rilassò di nuovo le braccia lungo i fianchi lentamente. “Mi sento a disagio ad essere guardato così,” cercò di giustificarsi.
Tobio fece una smorfia scocciata. “Ma chi ti guarda? Tieni...” Gli porse le pinze alla cui estremità vi era il cotone umido di disinfettante. “Finisci da solo.”
Shouyou non se lo fece ripetere due volte. “Su quanti pianeti sei stato?” Domandò per non far tornare il silenzio. Tobio sembrò pensarci, poi scrollò le spalle. “Viaggio da quando avevo cinque anni, non credo di ricordarli nitidamente nemmeno tutti.”
Gli occhi d’ambra si fecero grandi, sorpresi. “Credevo che i bambini restassero al Tempio durante l’addestramento base.”
“Ho finito l’addestramento base a cinque anni,” rispose Tobio.
“Ah...” Shouyou si riprese velocemente dalla sorpresa. “Giusto, eccezione...”
“Evita di ripeterlo spesso, stupido...”
Il Padawan fissò il proprio Maestro confuso. “Ti da fastidio?” Domandò come se fosse una cosa che non aveva senso.
“Essere il migliore?” Tobio scosse la testa. “No, ho sempre voluto esserlo e ho fatto di tutto per diventarlo ma, evidentemente, non era questa la lezione che i miei Maestri volevano che imparassi.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Maestri?”
“Sono passato per diverse mani,” raccontò Tobio. “Anzi, diciamo che parecchi si sono presi cura di me contemporaneamente. A dieci anni, il Maestro Hajime mi ha preso con sé in linea definitiva.”
Shouyou sorrise. “Deve essere stato bello...”
“Cosa?”
“In molti si sono presi cura di te, devi avere una grande famiglia...”
Tobio imbronciò la bocca come se stesse seriamente riflettendo su quelle parole. “Non lo so. Non ho mai conosciuto altro...”
Shouyou ridacchiò ma non fu un suono allegro. “Capisco quel che vuoi dire,” disse. “Nemmeno io ho conosciuto altro, oltre alla casetta che ci ha concesso il padrone e la mia mamma.”
“Padrone?”
Il Padawan tornò serio di colpo. “Non ti hanno detto nulla di me?”
“Non ho chiesto,” ammise Tobio. “Non m’interessava...”
Shouyou annuì. “Bene,” rispose. “Non è importante, comunque..”
“No,” il giovane Maestro annuì. “Qualsiasi cosa tu avessi là fuori, è rimasta là fuori. Non so come fosse la tua vita ma ti assicuro che sul cammino che hai deciso di seguire non troverai nulla del mondo a cui sei stato abituato ad appartenere.”
Shouyou gli rivolse una smorfia un po’ indisponente. “Credimi, mi è bastata salire sulla nave spaziale che mi ha portato qui per capirlo.”
“Bene...”
Shouyou finì di medicarsi l’ultima bruciatura, poi riconsegnò le pinze a Tobio e recuperò i suoi vestiti velocemente, come se non vedesse l’ora di rivestirsi. Tobio si accorse anche di questo ma non disse nulla in proposito. “Farò portare nella tua camerata dei vestiti nuovi,” disse. “In quale numero ti hanno messo?”
“Non sono in una camerata,” rispose Shouyou scendendo dal tavolo. “Sono ancora nella stanzetta accanto alla tua.”
Tobio lo guardò e rimase in silenzio per un po’. “Dirò a Koushi di trovarti una sistemazione migliore.”
“Dicono che è meglio che non stia con gli altri ragazzi.”
Tobio gettò via il cotone usato e rimise le pinze al loro posto. Shouyou non comprese la sorpresa nel suo sguardo quando lo guardò di nuovo. “Hai degli incubi?” Domandò.
Il Padawan scosse la testa. “No,” rispose. “Non che ne sia consapevole, comunque. Perché me lo chiedi?”
Tobio lo fissò per qualche istante, poi scrollò le spalle. “Nulla...”
Shouyou rimase a fissare la sua schiena per qualche istante, aspettando che l’altro rimettesse tutto ciò che aveva usato al suo posto. “Posso farti una domanda?” Chiese di colpo.
“Uhm...” Fu tutto ciò che gli concesse Tobio continuando a fare quello che stava facendo.
Shouyou si umettò le labbra. “Per caso tu...?”
La porta dell’infermeria si aprì di colpo ed un gruppo di ragazzi entrò parlando allegramente per poi zittirsi di colpo non appena si resero conto di non essere soli. Shouyou li osservò uno ad uno, approfittando del fatto che stessero fissando Tobio e non lui per una volta. Quello in testa al gruppo era piuttosto alto, ancor più alto del suo Maestro ma i capelli a punta che aveva rendevano il suo aspetto tutto meno che minaccioso. Il ragazzino accanto a lui era più minuto, dall’espressione smorta, mentre il terzo aveva l’aria di un ragazzo completamente comune, con le guance ricoperte di lentiggini. Quando Shouyou passò gli occhi sul quarto, si ritrovò a fare un passo indietro involontariamente. Era l’unico del gruppo che lo fissava e lo faceva in modo piuttosto intenso, nonostante l’espressione di sufficienza che gli rivolgeva. Portava gli occhiali, aveva i capelli biondi ed i suoi occhi avevano qualcosa di simile a quelli glaciali di Tobio ma non sapeva dire cosa.
“Non eri all’addestramento, oggi,” disse il primo, quello con la testa a punta, rivolgendosi a Tobio come se lo stesse accusando di qualcosa. “Sua maestà non può nemmeno svegliarsi presto come i comuni mortali, adesso?”
Shouyou inarcò un sopracciglio e guardò Tobio. Sua maestà?
“Ancora in piedi, Yuutaro,” fu il commento glaciale di Tobio. “Sorprendente...”
L’altro strinse i pugni e lo guardò con rabbia. “Non grazie a te, comunque!”
Il tipo dall’aria smorta gli mise una mano sulla spalla. “Yuutaro lascia stare. È una battaglia persa in partenza e lo sai.”
“Lui chi è?” Domandò il ragazzo dai capelli biondi.
Gli occhi di tutti furono immediatamente su Shouyou, come se non fosse stato lì per tutto il tempo e fosse spuntato dal nulla all’improvviso. Il Padawan sentì le guance andargli a fuoco e le gambe farsi di nuovo tremolanti. Strinse le labbra e resse la pressione come poteva.
“Il mio Padawan,” rispose Tobio immediatamente, con voce neutrale.
Solo allora, il ragazzo dai capelli biondi spostò la sua attenzione dal viso di Shouyou a quello del Cavaliere. “Avrà al massimo un paio d’anni meno di noi...”
Shouyou drizzò immediatamente la schiena come se quella fosse la peggiore delle offese. “Ho quattordici anni, esattamente come lui!” Indicò Tobio con l’indice senza il minimo rispetto.
Il ragazzo con le lentiggini rise. “Sembri più piccolo!” Commentò. “Vieni dal Tempio di un altro pianeta? Come ti chiami?”
Il ragazzo dai capelli biondi sospirò annoiato. “Stai zitto, Tadashi.”
“Scusami, Kei...”
Kei, il ragazzo biondo. Tadashi, quello con le lentiggini. Shouyou cercò di memorizzarli velocemente, poi vide Tobio pararsi di fronte a lui come se volesse nasconderlo da occhi indiscreti. “Fammi passare,” si era rivolto a Kei.
Shouyou non se ne sorprese. Dei quattro era l’unico ad avere un’aria minacciosa.
Kei sorrise. Un sorriso sarcastico, piuttosto insopportabile. “Ti affidano i ragazzini per tenerti lontano dalle missioni, maestà?” Domandò con sarcasmo.
“Ti ho detto di farmi passare,” Tobio non colse la provocazione e Shouyou non se lo aspettò: sarebbe stato più dal suo Maestro dargli una testata sul naso. Lui ne sapeva qualcosa.
“Un Maestro ed un Padawan della stessa età,” proseguì Kei. “Pensavamo fosse proibito...”
“Appunto!” Esclamò di colpo il ragazzo con la testa a punta. Yuutaro, se Shouyou aveva capito bene.
“Il Consiglio ha deciso diversamente questa volta,” replicò Tobio.
“Il Consiglio decide sempre diversamente con te,” intervenne il ragazzino con l’espressione smorta ma Shouyou si accorse che lo fece a bassa voce e senza guardare il diretto interessato negli occhi.
Tobio, invece, non si fece scrupoli a fissarlo storto. “Non sono io che ho fallito la prova da Jedi, Akira,” gli disse. “Tutti voi vi siete fatti prendere la mano dopo la mia nomina. Tutti voi avete fallito miseramente. Se volete biasimare qualcosa, biasimate la vostra debolezza.”
Il sorriso di Kei si fece ancora più insopportabile. “Quanta superbia ed arroganza in una sola frase. Degno di un Signore dei Sith.”
Shouyou sgranò gli occhi d’ambra ed il respiro gli morì in gola a quell’affermazione. Tobio non riuscì a mantenere la calma. Si portò in avanti ed afferrò il colletto della casacca di Kei con fare minaccioso. Gli altri tre si agitarono subito, Shouyou rimase immobile.
“Che fai?” Domandò Tadashi allarmato. “Lascialo stare!”
Yuutaro afferrò un polso di Tobio. “Ha esagerato ma non fare altro, non ti conviene.”
Tobio avrebbe volentieri spaccato la faccia a tutti e tre, specialmente a Kei, che continuava a rivolgergli quel sorriso soddisfatto impossibile da sopportare. Lasciò la presa e fece un passo indietro. Kei si spostò di sua spontanea volontà e Tobio uscì dalla stanza a testa alta.
Shouyou seguì il suo Maestro senza dire una parola.
 
 
***
 
 
 
”Come morning light...”
Due occhi verdi ed un paio scuri lo guardavano ma era solo uno dei due a cantare. Due sorrisi identici su due visi completamente diversi.
“You and I’ll be safe and sound...”
C’erano delle dita tra i suoi capelli. Gli piaceva. Un tepore confortante lo avvolgeva e lo faceva sentire al sicuro. Un sospiro stanco. La ninna nanna era finita ma non le carezze e sentiva gli occhi pesanti, la mente leggera.
“La mia ninna nanna e le tue braccia sono la soluzione a tutto.”
Una risata.
“Sarebbe bello se lo fossero per sempre...”
“Lo saranno per quanto basta, fino a che non sarà capace di addormentarsi da solo.”
Ancora risate ma non vedeva più nulla... Aveva gli occhi chiusi...
Le risate sparirono di colpo e così anche il calore che lo proteggeva. La luce non era più dolce, confortevole ma fredda ed intensa... Artificiale...
C’erano mani... Mani chiuse a pugno che battevano contro una spessa lastra di vetro sporcandola di sangue. Dal lato opposto, un palmo era premuto contro la superficie trasparente... Tremava appena...
Il giovane a cui appartenevano le mani chiuse a pugno si scagliò contro il vetro con tutto il peso del corpo. C’era sangue sui suoi vestiti. C’erano lacrime nei suoi occhi verdi e c’era tanta disperazione in qualsiasi suo gesto, mentre lottava contro altre mani che cercavano di trascinarlo via. Il ragazzo dalla parte opposta del vetro, invece, piangeva ma le belle labbra erano graziate da un sorriso dolce e triste al contempo.
Dicevano addio quegli occhi scuri.
Un addio che il giovane dagli occhi verdi non poteva accettare.
“Tooru!” Chiamava disperatamente cercando di sfondare quel vetro a mani nude e finendo solo per farsi altro male. “Tooru! Tooru! No! Tooru!”
Si fermò, i suoi occhi fissarono quelli scuri del ragazzo. La sua mano smise di colpire il vetro che li divideva e fece aderire il palmo della mano sopra quello dell’altro. Si guardarono come se si stessero effettivamente toccando, come se quella fosse l’ultima volta in cui potessero farlo.
Un rumore fece voltare il ragazzo dagli occhi scuri. Altre voci, i passi di decine e decine di piedi. Le mani tornarono a cercar di trascinare via il giovane dagli occhi verdi e riuscirono a staccarlo dal vetro. “No! Lasciatemi!” Urlò disperatamente. “Tooru! Tooru!”
Il ragazzo dagli occhi scuri si voltò ancora una volta. Quelle belle labbra si mossero e pronunciarono tre parole, poi i portelloni si chiusero e quegli occhi scuri sparirono.
“Tooru!”

 
 
 
“Tobio!”
Gli occhi blu si aprirono di colpo e si ritrovarono a fissare il cielo stellato al di là del vetro che faceva da soffitto alla sua camera.
Tobio aveva il fiato corto ed il viso madido di sudore.
“Tobio?” Qualcuno gli sfiorò timidamente una spalla. Tobio saltò come se lo avessero toccato con un ferro rovente. Si ritrovò in piedi, le dita della mano destra avvolte intorno alla spada laser. Non l’attivò. Riconobbe gli occhi d’ambra che lo guardavano spaventati dal proprio letto, prima di farlo.
Tobio prese un respiro profondo e si allontanò dall’arma. “Che cosa ci fai qui?” Domandò con espressione adirata. Shouyou era inginocchiato sul bordo del suo letto e lo fissava con fare smarrito. “Sembravi star male, così...”
“Non hai il permesso di entrare nella mia stanza come più ti pare e piace!”
“Lo so ma... Stavi avendo un incubo e così...”
“I Jedi non hanno incubi!”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Sei una persona, Tobio. È normale avere degli incubi!”
“Non ho avuto nessun incubo!” Insistette Tobio con rabbia. “Ora, vattene...”
Shouyou non si mosse. “Ti ho sentito...” Mormorò. “Ti ho sentito chiaramente e mi hai svegliato. Pensavo fossi in pericolo o stessi male. Non era per niente bello quello che ho percepito, così sono corso a controllare.”
Tobio rilassò le dita delle mani ma non ricordava quando le aveva chiuse a pugno. “Hai visto qualcosa?” Domandò seriamente. “Nella tua mente, hai visto immagini che potrebbero non appartenerle?”
Shouyou scosse la testa immediatamente. “Ho semplicemente sentito la tua sofferenza...”
“Non stavo soffrendo,” mentì il Cavaliere
Quegli occhi d’ambra continuarono a guardarlo. “Piangevi...”
Tobio si fece rigido, poi si portò il dorso della mano al viso e si rese conto che non c’era solo sudore ad inumidirgli le guance. Si guardò intorno allarmato ma tutti gli oggetti della stanza sembravano essere esattamente dove li aveva lasciati. “È successo qualcosa?” Domandò.
“Che cosa sarebbe dovuto succedere?”
“Si è rotto qualcosa nella tua stanza?” Chiarì Tobio. “Qualcosa ha tremato?”
Gli occhi di Shouyou si accesero d’interesse. “Capita anche a te?”
Il giovane Maestro smise di agitarsi per un istante. Shouyou si sentì un poco schiacciare dallo sguardo insistente di quegli occhi blu, così abbassò lo sguardo e si umettò le labbra. “Di solito, non combino guai. Faccio levitare cose e qualche volta mi capita di romperle.”
Tobio decise di sedersi sul letto, appoggiò la schiena ai cuscini e piegò le ginocchia. “Non ho fatto alcun danno, quindi?”
Shouyou scosse la testa. “Non credo che nessuno si sia accorto di nulla, tranne me.”
“Bene...”
“Sono così disastrosi i tuoi non incubi?”
Tobio lo guardò storto ma rispose comunque. “Non ho mai potuto dormire in una camerata con gli altri bambini per questo. C’era rischio che facessi del male a chi era accanto a me.”
Shouyou inarcò un sopracciglio e si fece più vicino. “È così brutto quello che vedi nei tuoi sogni?”
“Vedo molte cose nei miei sogni, Shouyou,” ammise Tobio. “La maggior parte delle quali non hanno senso e quelle che ce l’hanno non sono particolarmente piacevoli. Alle volte, è come se, non appena metto a riposo la mia mente, tutta l’oscurità dell’universo vi si riversi dentro e l’inondi. Chiudo gli occhi e sento sulla mia pelle dolori che non mi appartengono, sento nelle mie orecchie urla di voci che non conosco e, dopo, di colpo, il silenzio.”
C’era sincero dispiacere negli occhi di Shouyou e Tobio guardò altrove perché della sua pietà non sapeva che farne.
“Perché la Forza ti fa una cosa del genere?” Domandò Shouyou più a sé stesso che all’altro.
“A te non capita?” Domandò Tobio senza guardarlo.
“Quello che sentivo dentro quando chiudevo gli occhi nella mia stanza era quanto di più bello avessi,” ammise Shouyou e quegli occhi blu furono su di lui immediatamente. “Te l’ho già detto, non c’erano finestre nella mia camera ma quando chiudevo gli occhi era come se potessi toccare ogni angolo dell’universo senza muovermi. Lo sentivo qui,” si appoggiò entrambe le mani contro il petto, “e sapevo che lui sentiva me. Era vivo e lo ero anche io. Ho sentito te nello stesso modo, poco fa. Non mi era mai capitato con un’altra persona... Almeno non così...”
“Mi spiace...” La voce di Tobio era atona ma erano sincere le sue parole. “Gli incubi non dovrebbero appartenere ad altri che a chi li fa. Ho vissuto spesso in quelli degli altri e so quanto può essere spiacevole.”
“Non ti capita mai di sentire qualcosa di bello?” Domandò Shouyou. “Qualcosa come quello che ti ho appena descritto. Tipo... Non lo so... Come se tutta la vita del cosmo battesse nel tuo petto e ti sentissi come se ti appartenesse ma non come... Come un padrone... Come se ne facessi parte e ti rendesse completo.”
Tobio lo ascoltava con attenzione. Shouyou lo capiva dal modo in cui brillavano i suoi occhi, nonostante la sua espressione non fosse cambiata di una virgola. “Non senti tutta la luce che c’è nella Forza?” Domandò, infine.
Tobio si portò le ginocchia contro il petto ed abbassò lo sguardo. “Tutto ciò che sento nella Forza, è oscurità, dolore, paura, rabbia... Tutto ciò che hanno cercato d’insegnarmi a non provare.”
Shouyou fece una smorfia quasi divertita. “Non è possibile non provare queste cose.”
Tobio lo fissò indignato. “Lezioni numero tre, non si provano certe emozioni.”
“Non dovremmo essere umani per non farlo.”
“Non siamo esseri umani, siamo Jedi,” replicò Tobio. “O, meglio, io lo sono e ci sono remote possibilità, con l’aiuto di un improbabile miracolo, che lo diventi anche tu.”
Shouyou gonfiò le guance offeso. “Prego per essermi preoccupato per te!” Esclamò scendendo dal letto, fece due passi, poi si voltò. “Chi è Tooru?”
Tobio si fece rigido, il respiro gli mancò per alcuni istanti. “Chi?” Davvero, non aveva mai sentito quel nome, eppure il cuore aveva ripreso a battergli forte, come se stesse sognando ancora. Shouyou tornò ad accomodarsi sul bordo del letto. “Lo ripetevi piangendo,” spiegò. “Prima che ti svegliassi...”
Tobio cercò di ricordare. Erano sfocate le immagini di quell’incubo. Ricordava di aver udito la ninna nanna che lo tormentava fin da bambino e poi due giovani disperati divisi da un vetro. Uno dei due urlava un nome...
“Tooru...” Mormorò. “È strano, non ha alcun significato per me.”
Shouyou scrollò le spalle. “A proposito di nomi...” Cominciò. “Volevo chiederti una cosa oggi in infermeria, prima che arrivassero quegli altri ragazzi.”
“Ti ascolto,” gli concesse Tobio.
Shouyou accennò un sorriso. “Si tratta del tuo nome, in realtà,” disse. “Da dove vengo si raccontano un sacco di storie. È un porto spaziale e c’è gente che va e viene da ogni angolo della galassia. Come luogo in cui vivere, generalmente, fa schifo ma è il posto migliore per sentire tante storie diverse.”
“Arriva al punto, Shouyou.”
“Ecco... Da quando ci hanno presentati, mi chiedevo se il tuo nome avesse nulla a che fare con la Tobio Starship, la leggendaria nave Jedi che è praticamente la protagonista indiscussa di ogni storia della scorsa generazione!”
Tobio non sembrò particolarmente sorpreso dalla domanda. “Penso di sì...” Ammise come se fosse una cosa su cui non aveva mai riflettuto particolarmente. “Non l’ho mai chiesto a chi ha scelto il mio nome ma credo di sì.”
Shouyou sbatté le palpebre confuso. “Non lo hanno scelto i tuoi genitori?” Domandò. “Voglio dire... So che i Cavalieri Jedi vengono portati al Tempio da piccolissimi e che non ricordano nulla della loro famiglia ma... Credevo avessero i nomi che sono stati dati loro da chi li ha messi al mondo...”
Tobio appoggiò la nuca alla parete. “Non ci sono stati genitori per me,” spiegò senza nessuna intonazione particolare. “Chi mi ha cresciuto e mi ha addestrato è stato anche chi ha scelto il mio nome. Per la cronaca, uno dei costruttori di quell’astronave ed il suo pilota ufficiale era Hajime, il mio Maestro. Koushi e Daichi facevano parte della squadra che vi viaggiava insieme ad altri e molti di loro hanno avuto ruolo nella mia educazione, quindi credo abbia senso che il mio nome venga da lì.”
Shouyou lo guardava a bocca aperta ed occhi sgranati. “Sono stato trovato da due Jedi della Tobio Starship?”
“Non ti mettere a piangere per l’emozione ora, stupido!”
“Ma come faccio a non essere emozionato?” Domandò Shouyou fuori di sé dall’euforia. “Hai idea di chi ti ha addestrato? Praticamente, sono gli eroi delle storie con cui sono cresciuto da bambino!”
“Sono Maestri, non sono personaggi di una favola. Porta rispetto, idiota!”
“Sono leggende viventi! Si sono scontrati con il Supremo Signore dei Sith in più di una battaglia! Devono averti raccontato storie che nessuno sa!”
“No...”
“Eh?”
“Non mi hanno mai raccontato quelle storie,” disse Tobio. “Mi sono state riferite alcune cose, nel corso degli anni e ne ho chieste molte altre crescendo ma ogni volta che cercavo di sapere di più, gli occhi di tutti loro si riempivano di tristezza e trovavano una qualsiasi buona ragione per non andare avanti. Le storie di quelle battaglie non sono epiche per loro. Sono ricordi intrisi di sangue, fatti di morte e distruzione.”
Shouyou sentì l’entusiasmo lasciarlo andare di colpo: quella era una parte delle storie della sua infanzia a cui non aveva mai pensato. Tobio aveva ragione: non erano favole, erano reali. Una morte onorevole all’interno di quei racconti, corrispondeva alla perdita di un amico, di un compagno... Di qualcuno che si era amato.
Di colpo, tutto ciò che era riuscito a far sorridere Shouyou nella sua infanzia lo riempì di tristezza.
“Ti sta bene,” commentò dopo un po’.
Tobio lo guardò confuso.
“Il tuo nome,” chiarì Shouyou scendendo dal letto. “Il suo significato ha qualcosa a che fare con il volare, giusto? Anche il mio... Almeno, così mi ha detto mia mamma. È un bel significato da mettere in un nome. Sa di libertà, vero?”
Tobio scrollò le spalle. “Non ci ho mai pensato?”
“Una cosa è certa: chiunque abbia scelto questo nome per te, l’ha fatto con un significato... Doveva volerti molto bene.”
 
 
Fuori dalla porta, Koushi si concesse un sorriso. “Sembra funzionare,” commentò.
Daichi incrociò le braccia contro il petto soddisfatto. “Shouyou è quasi da pochi giorni e sembra gestire gli incubi di Tobio meglio di quanto abbiamo fatto noi in tutti questi anni.”
Entrambi si voltarono verso il Cavaliere Jedi appoggiato alla parete opposta del corridoio ma non c’era nessun sorriso sul viso di Hajime. Gli occhi verdi fissavano la porta chiusa della camera di Tobio come se all’interno si stesse verificando un evento dalla natura ambigua.
“Hajime...” Chiamò Koushi gentilmente e l’altro, alla fine, lo guardò. “Shouyou è il primo che sembra riuscirsi ad avvicinare a Tobio senza lasciarsi intimorire dal suo carattere difficile. È una cosa buona.”
Hajime sospirò. “È una cosa pericolosa...”
“Sii un po’ ottimista,” disse Daichi esaurendo la distanza tra loro e posandogli una mano sulla spalla. “Potremmo aver trovato la persona giusta per rendere Tobio l’uomo che abbiamo sperato diventasse.”
Hajime riportò gli occhi sulla porta chiusa della camera di Tobio e non disse altro.
 
 
***
 
 
 
Gli avevano attaccati nel cuore della notte.
Avevano eluso i loro radar e li avevano colpiti alle spalle, sorprendendoli disarmati.
Lo scontro era stato terribilmente breve e la resa era stata l’unica possibilità oltre al massacro certo.
“Tu sai che se, al mio posto, qui ci fosse stato il Signore Supremo, non ci sarebbe stato tempo per la diplomazia, vero?”
Kiyoko era inginocchiata a terra ma guardava il Sith di fronte a lei con lo sguardo alto e l’espressione ferma di chi non teme nulla. “Soltanto tu attaccheresti questo pianeta,” replicò. “Non lo lasceresti fare ad altri. Nemmeno a Wakatoshi.”
Il Sith sorrise. “Questo pianeta non è Seijou, Kiyoko.”
“No, hai ragione,” Kiyoko annuì. “Karasuno rappresenta per te qualcosa di molto più importante...”
Il Sith si fece serio. Kiyoko non poté evitare di trasalire come il laser rosso comparve davanti a lui, a pochi centimetri dal suo viso. “Non farmi rimangiare la mia parola,” disse il giovane uomo vestito di nero. “Io non sono Wakatoshi ma sai che sono capace di fare ben di peggio ai miei nemici che decapitarli con un solo colpo.”
Kiyoko strinse gli occhi ed abbassò lo sguardo. “Ci sono dei bambini qui...”
“Allora, comportati bene ed ascolta attentamente quello che ho da dirti...”
 
 
***
 
 
Tobio giurò a se stesso che, se Shouyou si fosse fatto colpire di nuovo, lo avrebbe sollevato di peso e scaraventato fuori dalla finestra.
“Ahi!” Esclamò il Padawan un istante più tardi ed il giovane Maestro disattivò il droide con tanta violenza che il controllore remoto emise uno spiacevole crack. Shouyou lo guardò subito malamente. “Perché lo hai fermato? Ancora!”
Tobio gli lanciò addosso il controllore e lo colpì in testa.
“Sei impazzito?” Domandò Shouyou massaggiandosi la parte colpita, sebbene non gli facesse nemmeno male. Tobio esaurì la distanza tra loro e lo fissò dall’alto al basso con fare minaccioso. Gli occhi d’ambra si fecero grandi e spaventati.
“Quante volte ti devo dire di non guardare il drone?” Domandò il Maestro quasi sibilando.
“E che cosa dovrei guardare?” Domandò Shouyou irritato. “Devo cercare di capire dove mi colpirà!”
“Non devi capirlo!” Tuonò Tobio. “Sentilo!”
“Smettila di urlarmi contro!”
“No!” Tuonò Tobio ed il Padawan fece un passo indietro. “Hai la velocità, la coordinazione, la prontezza di riflessi e non li sai usare! Mi dai sui nervi!”
“Sei tu il Maestro, insegnami!”
Tobio sbuffò, recuperò il droide da terra e poi si avvicinò alla parete ricoperta di strumenti per l’addestramento. Shouyou inarcò un sopracciglio quando lo vide tornare indietro con un casco.
“Indossalo!” Ordinò il Cavaliere sbattendogli l’oggetto contro il petto.
Shouyou ubbidì ma fece appena in tempo ad allacciare la cinghia che Tobio abbassò il para laser di colpo oscurando completamente il suo campo visivo. “Vuoi farmi uccidere?” Domandò esasperato.
“Questi droni non ti possono uccidere, idiota.”
“Ma non vedo niente così!”
“Non devi vedere!” Esclamò Tobio battendo il pugno sulla cima del casco. “Devi sentire!”
Shouyou rimase immobile, la spada laser stretta tra le dita. Sentì Tobio allontanarsi per poi avvicinarsi di nuovo, udì il rumore appena percettibile del drone che veniva appoggiato a terra, a poco più di un metro da lui.
“Devi sentire, Shouyou,” ripeté Tobio con voce più gentile. “Chiudi gli occhi, non pensare a nulla... Senti e basta.”
Shouyou fece come gli era stato detto. Le palpebre si abbassarono sugli occhi d’ambra ed anche la poca luce che filtrava attraverso il para laser scomparve. Era solo, al buio. Non udì il droide venir attivato ancora una volta. Non ci fu alcun rumore che potesse suggerirgli la sua posizione.
Semplicemente, Shouyou sollevò la spada in posizione d’attacco quando seppe che era il momento giusto per farlo. Poi, nell’oscurità della sua mente, la luce...
Si mosse ed il rumore che spezzò il silenzio gli suggerì che aveva colpito qualcosa.
Spalancò gli occhi per la sorpresa.
“Non ti deconcentrare, idiota!” Tuonò Tobio da qualche parte nella stanza.
Shouyou serrò gli occhi immediatamente. Ancora buio e poi...
Un altro colpo schivato.
“Più veloce!” Ordinò Tobio.
Seguirono altri tre attacchi di seguito e Shouyou li schivò uno ad uno come se lo colpissero a rallentatore.
“Ancora!”
Cinque colpi. Era ancora in piedi. L’oscurità nella sua mente si diradò completamente. Di colpo, Shouyou vedeva il suo bersaglio, sapeva quello che doveva fare e come farlo. Lo fece.
Attaccò.
Al suono di due laser che si scontravano seguì un gemito di dolore e poi un tonfo metallico.
Shouyou si rigido, immobile. Disattivò la spada e si liberò del casco per tonare a vedere la stanza con i suoi occhi. La luce del sole lo accecò per un istante, poi vide Tobio che si massaggiava con insistenza la mano destra, la sua spada laser giaceva a terra, dietro di lui.
Da principio, Shouyou non comprese. Dopo, abbassò lo sguardo e si rese conto che il drone era ancora a terra e non si era mai mosso da lì. Un calore improvviso gli salì alle guance come realizzò quello che aveva fatto. Gli occhi d’ambra si fecero grandi, luminosi.
“Ti ho disarma...!”
Il suo entusiasmo venne messo a tacere dal pugno che Tobio diede sulla testa.
“Non ti ho ordinato di attaccare!” Tuonò il giovane Maestro.
Shouyou si portò entrambe le mani tra i capelli massaggiandosi la zona colpita. Questa volta, faceva dannatamente male.
 
 
 
“Non me la ricordo nemmeno l’ultima volta che ti ho medicato una ferita del genere,” commentò Koushi con un dolce sorriso.
Tobio s’imbronciò ed arrossì appena.
“L’ho disarmato, Koushi!” Esclamò Shouyou seduto al contrario su di una sedia accanto al lettino dell’infermeria, un impacco di ghiaccio premuto tra i capelli dal colore impossibile. “L’ho disarmato e ad occhi chiusi!”
Tobio lo guardò storto. “Piantala, idiota...”
“Tobio,” lo rimproverò bonariamente il Jedi più grande con un sorriso. “Ti sei dimenticato com’era emozionato la prima volta che hai avuto la meglio su Hajime in un duello?”
Tobio si fece ancora più rosso e posò lo sguardo su qualsiasi cosa che non fosse il viso degli altri due.
“Quanti anni aveva?” Domandò Shouyou curioso.
“Dieci e compiuti da poco,” rispose Koushi. “Ricordo che c’era ancora la neve e Hajime fece esattamente quello che lui ha fatto con te, oggi. Gli mise un casco con il para-laser abbassato e duellò con lui senza che Tobio se ne accorgesse,” gli occhi gentili si posarono sul viso del giovane imbarazzato. “Gli farà piacere sapere che hai usato i suoi metodi. Vai da lui, più tardi, penso che gli manchi la tua compagnia.”
Tobio tornò serio di colpo ed annuì una volta soltanto.
Come se lo avessero chiamato, la porta dell’infermeria si aprì e Hajime entrò nella stanza con urgenza. Si bloccò non appena vide che c’era Tobio seduto sul lettino. “Che cosa è successo?” Domandò.
“L’ho disarmato!” Esclamò Shouyou con aria trionfante ed il giovane Maestro assestò un calcio al retrò della sua sedia facendolo quasi cadere a terra.
“Nulla di grave,” intervenne Koushi con un sorriso. “Una bruciatura superficiale. Sarà fastidiosa per i prossimi giorni, poi sparirà senza lasciare segni.”
Hajime guardò Tobio ed annuì, poi portò gli occhi su Shouyou e fissò l’impacco di ghiaccio incuriosito. “A lui che è successo?”
Shouyou puntò immediatamente l’indice contro Tobio “Mi ha picchiato!”
“Te lo sei meritato per essere stato un idiota!” Replicò Tobio con forza.
Hajime fece appello a tutta la sua pazienza. “Non importa,” disse, poi li guardò tutti e tre molto seriamente. “Siete convocati nella sala del consiglio di guerra.”
Shouyou e Tobio si lanciarono un’occhiata e Koushi si fece serio di colpo. “È successo qualcosa?” Domandò preoccupato.
Hajime lo fissò con aria grave. “Si tratta di Karasuno...”
 
 
 
Shouyou si accorse di non essere l’unico Padawan nella stanza circolare. Riconobbe i quattro che aveva incontrato pochi giorni prima: Kei e Tadashi erano vicini e, poco più in là, vi erano Yuutaro ed Akira. Avevano tutti dei visi molto tesi, anche Tobio.
Shouyou non lo poteva vedere in viso ma lo sentiva.
Tobio non lo aveva guardato negli occhi da quando avevano ricevuto la notizia ed ora se ne stava accanto al suo Maestro osservando con attenzione qualsiasi ologramma fosse proiettato dal tavolo per i piani di guerra. Erano praticamente alti uguali, Tobio e Hajime e questo rendeva impossibile a Shouyou vedere alcunché ma comprese che quella non era la situazione migliore per lamentarsi.
Cercò di restare con le orecchie ben aperte e di memorizzare qualsiasi parola venisse detta.
“La Principessa di Karasuno richiede il nostro aiuto,” disse il vecchio Ukai con aria grave. “Non ci è chiara la situazione ma siamo praticamente certi che si tratti di un attacco da parte dell’Ordine dei Sith.”
Shouyou sentì Koushi farsi teso accanto a lui. Sollevò appena gli occhi e si accorse di come le sue dita si erano intrecciate a quelle di Daichi nascoste dalle lunghe maniche delle loro tuniche, lontano da occhi indiscreti. Decise di fingere di non aver visto nulla.
“Non abbiamo un quadro preciso di come stiano andando le cose su quel pianeta,” proseguì il vecchio Ukai. “E non ci è giunta alcuna risposta da i Jedi che risiedono lì per proteggere la Principessa e la sua gente, quindi è così che procederemo: intendo mandare pochi uomini, quelli che conoscono il pianeta molto bene e sanno come muoversi in caso di emergenza. Koushi, Daichi...”
Shouyou vide quelle mani dividersi ed i loro proprietari fare un passo in avanti.
“Partirete domani,” ordinò il vecchio Ukai. “A voi il compito di comprendere la situazione e di farci avere delle informazioni certe e precise il prima possibile.”
Daichi e Koushi annuirono. Shouyou vide Tobio voltarsi e parlare col suo Maestro ma Hajime gli strinse immediatamente il braccio come a dirgli di tacere e continuò a fissare il Jedi anziano come se il più giovane non avesse affatto parlato.
Il primo consiglio di guerra di Shouyou finì velocemente come era iniziato.
 
 
Quella sera, Tobio scese nell’hangar dopo che tutti si furono ritirati nelle loro stanze secondo le regole. Non sarebbe riuscito a prendere sonno, comunque e non era come se non vedesse l’ora di dormire e lasciare che la Forza usasse la sua mente come meglio credeva. Aveva bisogno di silenzio, di pace ed i luoghi della sua infanzia gliene ispiravano sempre moltissima.
Non ricordava l’ultima volta che era sceso fin laggiù di nascosto ma lo fece come se non avesse mai smesso. Camminò tra le navi spaziali di nuova generazione e le superò senza dar loro troppa importanza. Quella che cercava era nell’angolo più remoto dell’intero hangar, niente di più di un ammasso di rottami abbandonato a se stesso ma dei giovani Jedi avevano conosciuto lo spazio a bordo di quella nave e fino a che qualcuno di quella generazione fosse rimasto in vita per ricordarla, nessuno avrebbe proposto di gettarla o di smembrarla per recuperare qualche pezzo ancora buono. Tobio si ritrovò a chiedersi come l’avrebbe presa Shouyou se avesse visto la nave spaziale delle grandi storie della sua infanzia ridotta così, poi realizzò che, probabilmente, se si era disturbato a scendere lì sotto dopo tanto tempo era proprio perché il suo Padawan gliela aveva ricordata.
L’aveva dimenticata, Tobio ed era stato un errore di cui, intimamente, si vergognava.
La guardò ed un’ondata di nostalgia lo travolse come un fiume in piena. Se quella nave era stata come una casa per Hajime, Koushi, Daichi e tutti i loro compagni, per Tobio non era stata da meno nei primi anni della sua infanzia, quando si prendevano cura di lui in gruppo e tutto quello che voleva era poterla pilotare come il suo Maestro faceva.
“Non lo facevi da anni,” commentò una voce alle sue spalle.
Tobio trasalì e si voltò: Hajime lo fissava con un sorriso appena accennato ed una spalla appoggiata alla parete esterna dell’astronave. “Che cosa ti porta qui dopo tanto tempo, Tobio?”
Il giovane Cavaliere non rispose subito. “Qualcuno me l’ha fatta ricordare...”
Hajime esaurì lentamente la distanza tra loro. “Hai l’aria stanca,” commentò gentilmente.
“È stata una lunga giornata,” rispose Tobio chiudendo a pugno la mano che si era ferito durante l’addestramento con Shouyou.
“Allora perché non sei a letto?”
Il giovane Jedi non rispose.
Hajime sospirò. “C’è qualcosa che tormenta i tuoi sogni, Tobio?”
Il ragazzo si fece rigido, strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile e poi scosse la testa. “No...”
Il Maestro fece una smorfia. “Stai mentendo,” concluse.
Le guance di Tobio si tinsero appena. “No...”
“Tobio,” Hajime gli strinse una spalla con fermezza ma senza essere aggressivo. “Smettila di chiuderti dietro a questo muro di silenzio. Lo fai fin da bambino...”
“Non è niente di cui preoccuparsi,” Tobio mise tutto se stesso nel cercare di essere convincente ma non aveva ancora scoperto un modo efficace per mentire a chi l’aveva cresciuto. “Solo... C’è una domanda che devo porti.”
Hajime annuì. “Ti ascolto...”
Tobio si umettò le labbra.
”Come morning light... You and I’ll be safe and sound...”
“Chi è Tooru?”
Il cambiamento che subì il viso di Hajime fu niente in confronto a quello che Tobio sentì. Fu come uno dei suoi incubi, fu come essere travolto completamente dal dolore di qualcun altro come se fosse il suo. Solo, non sarebbe passato semplicemente svegliandosi.
Tobio fece un passo all’indietro sottraendosi dal tocco di quella mano che conosceva fin da bambino come se gli stesse facendo del male. Hajime se ne accorse e guardò le proprie dita come se non gli appartenessero, poi strinse il pugno, prese un respiro profondo e rilassò il braccio lungo il fianco mentre cercava gli occhi blu del ragazzo. “Che cosa vedi nei tuoi sogni, Tobio?” Domandò con voce gentile, nonostante il cuore martellante.
“Non lo so,” rispose il ragazzo velocemente, troppo velocemente.
“Tobio!”
“Non lo so!” Esclamò Tobio con una nota rabbiosa e tutte le navicelle nell’hangar si mossero come se fossero state investite da un colpo di vento improvviso. Hajime si fece rigido e dallo sguardo terrorizzato sul viso del ragazzo, comprese che la cosa più saggia da fare era mantenere la calma ed assecondarlo. “Domina le tue emozioni,” disse gentilmente il Maestro. “Non lasciare che siano loro a dominare te.”
Il ragazzo chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e poi sollevò di nuovo le palpebre. “Quel nome è l’unica cosa che abbia senso,” spiegò con voce notevolmente più tranquilla, sebbene non fosse tutta la verità.
Hajime annuì, il viso teso. “Capisco...”
“Ha qualche significato per te?” Domandò Tobio. Non si fece sfuggire il modo in cui il suo Maestro aprì la bocca e la richiuse, prima di dargli un’effettiva risposta. “Sì...” disse Hajime. “Ricordi quando ti dissi che anche un ragazzo della mia generazione aveva ottenuto la nomina a Cavaliere prima del tempo, proprio come te?”
Tobio annuì.
“Tooru era il suo nome,” spiegò Hajime. “Ti cantava una ninna nanna per farti addormentare quando eri piccolo,” gli occhi verdi si abbassarono e le labbra si piegarono appena in un sorriso nostalgico. “Io ti tenevo in braccio per cullarti e lui cantava... Funzionava...”
“Dov’è adesso?” Domandò Tobio.
Il suo Maestro lo guardò di nuovo negli occhi. “Morto...” Rispose. “È stato ucciso da un Sith quando avevi tre anni... Probabilmente, è per questo che lo vedi nei tuoi sogni ma non riesci a ricordarti di lui.”
“Lo conoscevi bene?”
Hajime forzò una risata. “Sei in vena di domande, ragazzino?”
“Solo questa e poi nessun’altra...”
Hajime annuì. “Sì...”
Tobio vide di nuovo quel sorriso nostalgico.
“Sì, lo conoscevo bene. Era il mio Maestro.”
 
 
***
 
 
Le notti erano fredde sul pianeta di Karasuno.
Il suo territorio era prevalentemente montuoso ed il Tempio era collocalo piuttosto in alto, dove la neve si scioglieva solo con l’arrivo della stagione calda. Il Sith lo sapeva bene. Conosceva quel pienate almeno quanto quello in cui era nato e cresciuto. Ricordava i pomeriggi di sole passati a giocare con la neve con i suoi amici d’infanzia quando i loro Maestri non li tenevano sotto controllo.
Ricordava i raffreddori che seguivano nei giorni seguenti e quanto il Maestro Keishin Ukai si arrabbiasse mentre il Maestro Ittetsu cercava di farli tornare in forze nel più breve tempo possibile.
Era stata una generazione di ribelli la sua.
Quella che, probabilmente, più di ogni altra aveva annientato l’antico Codice.
Peccato che lui fosse stato l’unico in grado di lasciarselo alle spalle definitivamente per essere libero.
Uscì sulla balconata ed alzò gli occhi dorati sulle stelle che brillavano nel cielo scuro. Aveva sempre avuto l’impressione che nei cieli di Karasuno fossero più brillanti che in qualunque altro luogo. O, forse, erano le notti che aveva passato lì ad essere le più belle di cui avesse memoria.
Lasciò che un sorriso nostalgico gli addolcisse il volto.
Prese a canticchiare senza rendersene conto. Un motivetto dolce, un po’ malinconico... Tutto ciò che gli rimaneva di una madre troppo giovane, che lo aveva cresciuto come una sorella.
“La ricordi ancora...”
Il Sith si voltò. Kiyoko se ne stava appoggiata ad una delle colonne coperte di rampicanti del Tempio. Karasuno differiva in questo rispetto a tutti gli altri pianeti che conosceva: la natura aveva la meglio sulla mano dell’uomo e la pietra, non il metallo, era ciò con cui erano costruite le abitazioni dei suoi abitanti. Se la sua vecchia casa era stata un paradiso fatto di equilibrio, quel pianeta era selvaggio in un modo insolitamente poetico.
“Sembri sorpresa,” disse il Sith con un sorriso. “Pensavi davvero che me ne fossi dimenticato?”
Kiyoko incrociò le braccia contro il petto. “Pensavamo tante cose, una volta,” rispose. “Anche che fossi la luce della speranza che ci avrebbe guidato fuori da questa guerra oscura.”
“Oh, Principessa...” Disse il Sith come se lo avesse ferito. “Mi portate rancore dopo tutti questi anni?”
“Passeranno secoli ed ancora le ferite che hai inferto non si saranno rimarginate.”
“E pensare che a quei tempi mi preoccupavo che tu non mi concedessi nemmeno un briciolo della tua attenzione,” il Sith le si avvicinò ma Kiyoko non smise di guardarlo dritto negli occhi. “Se avessi saputo che sarebbe arrivato il giorno in cui avresti avuto occhi solo per me...”
“Tu hai avuto occhi solo per le stelle fin da bambino,” lo interruppe Kiyoko. “Per le stelle e per qualcun altro... Mi fa piacere sapere che almeno la prima parte non è cambiata.”
Il Sith si era fatto serio.
“Lo sai come ti chiamano nella galassia?” Domandò la Principessa. “Il Re dei Sith. Dicono che sei vicino al Signore Supremo come nessun altro e pensare che un tempo eri disposto a distruggere te stesso nel tentativo di sconfiggerlo.”
“Non parlare come se mi conoscessi, Principessa,” le disse il giovane uomo vestito di nero sollevando una mano per aggiustarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli corvini. “Nei giorni in cui credevi di farlo, ho deciso di non essere più la vostra luce... Lo hai detto tu.”
“Non ti sei mai guardato indietro?” Domandò Kiyoko sorpresa. “Mai?”
Il Sith la fissò con freddezza. “Torna nella tua stanza, Principessa. Non pretendo che abbassi la testa di fronte a me mi farebbe piacere che ricordassi di essere un ostaggio in un Tempio Jedi assediato.”
Kiyoko non si fece impressionare in alcun modo. “Ti somiglia,” disse con malinconia. “Assomiglia al ragazzo che eri ma non abbastanza perché diventi quello che tu vorresti. Non c’è la tua stessa disperazione nei suoi occhi.”
Gli occhi del Sith si accesero di rabbia. “Torna nella tua stanza, Principessa...” Non si sforzò di essere gentile nell’ordinarlo, questa volta.
 
 
***
 
 
“Come previsto,” disse Koushi con un sorriso liberando la mano di Tobio dalla fasciatura. “Non è rimasto un segno.”
Tobio aprì e chiuse le dita per assicurarsi di non sentire alcun fastidio. “Non dovevi disturbarti,” disse. “Stai per partire e...”
“Volevo farlo,” lo rassicurò Koushi e rivolse un sorriso anche a Shouyou. “Volevo vedervi tutti e due, prima di partire.”
Gli occhi d’ambra del Padawan si fecero grandi “Abbiamo fatto qualcosa di male?”
Tobio gli rivolse una smorfia, come a dire che se c’era qualcuno che aveva fatto qualcosa di male quello non era di sicuro lui. Koushi passò una mano tra i capelli ribelli del ragazzino con gentilezza. “No, volevo solo vedervi insieme, tutto qui...”
Shouyou guardò Tobio ma il suo Maestro era confuso quanto lui.
Koushi ridacchiò. “Cose da grandi, lo capirete quando avrete dei ragazzini di cui prendervi cura...”
“Io ho già un ragazzino di cui prendermi cura,” disse Tobio con espressione annoiata. Shouyou lo guardò storto ma non disse nulla: che gli piacesse o no essere nelle mani di quell’antipatico musone, era la verità.
Koushi gli rivolse un sorriso intimo, un po’ nostalgico. “È bello vederti condividere il tuo tempo con qualcuno della tua età. Non ci speravamo più...”
Tobio scrollò le spalle. “Me lo hanno ordinato...”
Shouyou continuò a guardarlo storto perché davvero non poteva farne a meno.
“Abbiate cura l’uno dell’altro,” disse Koushi passando lo sguardo dagli occhi a quelli d’ambra. “È il modo più semplice per diventare invincibile.”
La porta dell’infermeria si aprì e, come se stessero vivendo una replica della sera prima, Hajime entrò nella stanza ma non fu affatto sorpreso di trovarvi Tobio e Shouyou questa volta. “Andate ragazzi,” disse come se fosse un suggerimento ma, in realtà, non lo era, “devo scambiare alcune parole con Koushi, prima che parta.”
Sia Tobio che Shouyou annuirono. Gli occhi blu del primo incontrarono per un istante quelli verdi del suo vecchio Maestro ma il piccoletto al suo fianco prese a tirargli il braccio un istante dopo, attirando la sua attenzione. “Quella lezione non me l’hai ancora insegnata,” si lamentò Shouyou a bassa voce.
“Di che parli, stupido?”
“Del fatto che insieme siamo invincibili!”
“Non ha detto nulla del genere, hai capito male!”
“Ho capito benissimo! Sei tu ad essere idiota!”
Koushi e Hajime non seppero mai il seguito di quel battibecco: la porta si richiuse e restarono da soli. “Che cosa volevi dirmi?” Domandò il primo gettando le bende che avevano avvolto la mano di Tobio e facendo il giro del lettino per arrivare di fronte al Cavaliere. “Hai l’aria preoccupata...”
Hajime non ci girò intorno. “Tobio fa dei sogni su di lui.”
Il sorriso gentile di Koushi sparì immediatamente. “Quando te lo ha detto?”
“Ieri mi ha domandato se il nome Tooru avesse qualche significato. Mi ha detto che fa degli strani sogni e che tutto quello che ricorda al risveglio è quel nome.”
Koushi si umettò le labbra. “Che cosa gli hai risposto?”
“Gli ho detto parte della verità,” disse Hajime. “Gli ho detto che il ragazzo a cui apparteneva quel nome era uno di noi e che è stato ucciso da un Sith quando era ancora piccolo.”
“Solo questo?”
“Gli ho raccontato che soleva cantargli una ninnananna per farlo addormentare e che, probabilmente, quei sogni non sono altro che ricordi di cui non è consapevole lucidamente.”
Koushi strinse le labbra ed annuì. “A Daichi lo hai raccontato?”
“Non ho abbastanza tempo per parlare con entrambi,” rispose Hajime, “e avevo bisogno di confrontarmi con te.”
Koushi lanciò un’occhiata alla porta chiusa. “Tobio era sereno se è questo che ti preoccupa,” accennò un sorriso. “È completamente preso da Shouyou e dal suo addestramento, non credo verrà a farti altre domande in merito.”
“E se i sogni continuassero?” Domandò Hajime. “Se scoprisse di più?”
Koushi sospirò. “Hajime...” Mormorò con aria grave. “L’abbiamo sempre saputo che non potevamo mentirgli in eterno. Il Maestro Ikkei ci disse cosa fare e l’abbiamo fatto perché, in quel momento, ciò che contava era che Tobio restasse con noi ma non possiamo seppellire la verità per sempre.”
Hajime si morse il labbro inferiore. “Tobio è... Le sue emozioni sono tumultuose. Il suo animo è come un mare in tempesta! So che ha il diritto di sapere la verità ma ho sempre immaginato che sarebbe stato più grande, che io avrei avuto più tempo, che...”
“Hajime...” Koushi gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle. “Tobio non è più un bambino, anche se per primo faccio fatica a crederlo. È arrivato quel momento in cui possiamo solo credere in lui ed io voglio farlo,” accennò un sorriso. “Gli hai dato tutto quello che potevi dargli, lo abbiamo fatto tutti e lo stiamo ancora facendo. Smettila di rimproverarti...”
Hajime sorrise tristemente. “Avrei dovuto dare tutto me stesso a Tooru...”
Koushi gli appoggiò una mano sul viso. “Non te lo avrebbero mai permesso e lo sai.”
Hajime fece un passo indietro e si voltò. “Sono stanco di nascondermi dietro questa scusa.”
 
 
***
 
 
 
Shouyou era felice della sua nuova vita.
Alle volte, quando era chiuso nella sua stanzetta con la finestrella troppo vicina al soffitto, piangeva ancora per la mamma lontana che non avrebbe rivisto mai più ma, non appena cominciava la giornata, Tobio era così bravo a farlo arrabbiare che non aveva tempo di pensare ad altro se non a come lasciarlo senza parole almeno per una frazione di secondo.
C’erano però due occasioni in cui Tobio se ne andava e lo lasciava completamente da solo con sé stesso ad affrontare quel nuovo mondo in cui ancora si sentiva un pesce fuor d’acqua: gli orari dei pasti.
I Padawan mangiavano tutti insieme in un grande salone che dava sui giardini del Tempio. Il cibo era uguale per tutti loro e molti se ne lamentavano ad alta voce, per Shouyou era quanto di più buono avesse mangiato in vita sua e non si faceva scrupoli ad ingurgitarlo come se qualcuno potesse rubare dal suo piatto in ogni secondo. Attirava gli sguardi di molti e provocava le risate di altri. Shouyou ne guardava alcuni storto e con altri, quelli più grossi, si limitava ad abbassare lo sguardo ed arrossire un po’.
Un paio di volte, aveva anche provato a parlare con qualcuno, con quelli più minuti e meno spaventosi ma tutti non facevano che tirare fuori qualche parola con dei sorrisi imbarazzati e nessuno si era spinto al punto di rivolgergli un saluto il giorno dopo o, addirittura, invitarlo a sedersi vicino a loro per mangiare.
A Shouyou non importava, se la cavava... Si sentiva solo ma se la cavava...
“Ciao...”
Ma, quel giorno, il ragazzo con le lentiggini lo soprese con la bocca piena e lo guardò con un sorriso. “Posso sedermi davanti a te?”
Shouyou fece anche per rispondere, poi si ricordò di dover prima ingoiare e, per poco, non soffocò nel processo. Il ragazzo con le lentiggini gli verso un bicchiere d’acqua. “Prendi...” Glielo porse e si sedette dalla parte opposta del tavolo, davanti a lui.
Shouyou prese un respiro profondo. “Grazie...” Riuscì a dire alla fine. “Tu sei Tadashi, vero?”
Il ragazzo annuì. “E tu sei Shouyou.”
“Possiamo unirci anche noi?”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quell’altissimo ragazzo dalla testa a punta che ricordava chiamarsi Yuutaro. Gli sorrideva e si ritrovò a ricambiare timidamente l’espressione. Dietro di lui, c’era quel ragazzo dal viso apatico... Akira, forse, ma non ne era certo.
Yuutaro si sedette accanto a lui, gli porse la mano destra e si presentò. Shouyou la strinse per alcuni istanti e sorrise ancor di più. “Anche voi siete Padawan, giusto?”
“Non per molto,” rispose Yuutaro cominciando a mangiare. “Daremo di nuovo la prova finale alla fine della prossima estate.”
“In che cosa consiste?” Domandò Shouyou curioso.
“Lo scoprirai quando sarà il tuo turno,” rispose Akira tenendo lo sguardo basso sul suo cibo.
“Ah, non essere antipatico,” disse Yuutaro con un sorriso. “È solo curioso...”
“Per che cosa il piccoletto è curioso?”
Shouyou sollevò lo sguardo ancora una volta ma smise di sorridere nel momento in cui incrociò gli occhi vuoti di Kei. Anche questa volta, lo fissavano con sufficienza. Si sedette accanto a Tadashi ma non prese a mangiare. “Vuoi già dare prova di essere un Jedi, piccoletto?”
Shouyou mise su il broncio. “Potrei riuscirci.”
Il gruppetto rise, con l’eccezione di Akira, che, però, si degnò di sollevare lo sguardo per qualche secondo. “Sei nelle mani di sua maestà,” disse Kei con un sorriso sarcastico. “Non diverrai un Cavaliere nemmeno se terrai una spada laser in mano per il doppio degli anni che abbiamo passato noi ad addestrarci.”
Shouyou lo guardò confuso. “Tobio è il Cavaliere migliore che c’è qui.”
Yuutaro fece una smorfia. “Come no! Il miglior tiranno bastardo della galassia!”
Akira gli diede una gomitata. “Abbassa la voce...”
“Come ti tratta?” Domandò Tadashi. “Hai ancora tutti i pezzi al loro posto, non devi essere così male con la spada...”
“Stai zitto, Tadashi,” disse Kei prendendo un sorso d’acqua.
“Scusa, Kei...”
“Se Tobio è un tiranno, tu non sei da meno,” commentò Shouyou guardando Kei dritto negli occhi. Un silenzio pensate cadde su di loro, qualcuno smise anche di masticare pur avendo la bocca piena. Kei non smise di sorridere in quel modo insopportabile e Shouyou resse magnificamente il suo sguardo. “Da dove vieni?” Domandò il Padawan dai capelli biondi prendendo un altro sorso d’acqua.
“Da molto lontano,” rispose Shouyou cercando di simulare un’aria misteriosa che non gli riusciva proprio.
“Ti sei scordato il nome del tuo pianeta, piccoletto?”
Tadashi rise. Yuutaro decise d’ingoiare ed Akira rimase in silenzio.
“Il mio pianeta ha un numero di classificazione, non un nome,” rispose Shouyou con aria da dure che, se possibile, lo faceva sembrava un bambino più di quanto non fosse. Kei, però, si fece serio, come se avesse detto qualcosa che non avrebbe mai dovuto dire.
“Vieni da un pianeta fuori dalla Repubblica?”
Shouyou annuì, un poco intimorito.
Kei fece una smorfia. “Grandioso! Un cucciolo randagio ed il Re dei Jedi... Che coppia vincente che ha messo insieme il Consiglio...”
Shouyou sorvolò sull’insulto rivolto a lui ed inarcò le sopracciglia. “Re dei Jedi?”
L’altro tornò a sorridere in quel modo insopportabile. “È così che chiamano il tuo Maestro,” rispose. “Lo fanno per il piccolo vizio che ha di mettere se stesso al centro di ogni azione rendendo i propri compagni delle mere pedine sacrificabili. Qualcuno qui è quasi morto a causa sua...”
Shouyou guardò Yuutaro ed Akira. Il primo arrossì ed il secondo fece finta di nulla.
“Tobio non può essere la guida di nessuno,” proseguì Kei. “È rabbioso, arrogante e pieno d’insicurezze che copre con una facciata tirannica. Sicuramente, gli hanno affidato te per tenerlo lontano dal campo di battaglia...”
Shouyou si sporse in avanti. “Che cosa vuoi dire?”
Kei scrollò le spalle. “I Cavalieri come Tobio sono particolarmente inclini a cadere e, prima o poi, arriverà un Sith che se ne renderà conto e che sarà abbastanza forte da metterlo in ginocchio abbastanza da convincerlo a cambiare strada...”
“Non credo dovresti dire cose del genere, Kei,” disse Tadashi a bassa voce. Kei lo ignorò completamente.
“Parli di Tobio come di un pupazzo,” gli fece notare Shouyou.
“Non un pupazzo,” chiarì Kei. “Un’arma. Oggi è l’arma più grande di cui l’Ordine Jedi dispone. Domani, chi lo sa?”
“Kei...” Lo rimproverò Yuutaro a bassa voce. Il Padawan dai capelli biondi guardò con sufficienza anche lui e riprese a mangiare come se non avesse detto nulla, come se non avesse affermato di fronte a Shouyou che il suo Maestro era condannato a cedere al Lato Oscuro solo perché, per sua immensa sfortuna, aveva il carattere peggiore con cui avesse mai avuto a che fare.
Tobio era antipatico. Tobio era una somma di difetti che non si potevano elencare e sembrava aver fatto un voto con se stesso per rendergli le giornate impossibili. A Tobio non piaceva e a Shouyou non piaceva lui ma... Ci stava provando. Nonostante non volesse essere il suo Maestro e non mancasse di ripeterglielo regolarmente, era rimasto.
Era stato una guida per lui quando gli aveva messo quel casco sopra la testa e lo aveva coinvolto in un duello che, coscientemente, non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare. Da quel giorno, Shouyou doveva ammettere di non aver più così tanta paura di combattere. Non era pronto, non era ancora educato per il campo di battaglia ma poteva.
Questo gli aveva fatto capire Tobio quel giorno, sebbene a modo suo. Shouyou poteva ed era la sicurezza più grande che avesse mai avuto in tutta la sua vita.
Si alzò in piedi e guardò Kei dall’alto. “Sei migliore di lui?” Domandò. “Non basta essere bravi con la spada, giusto? Per superare la prova e divenire Cavalieri bisogna affrontare anche prove mentali, vero? Il Maestro Koushi mi ha detto qualcosa sull’essere capaci di affrontare se stessi.”
Non aspettò che qualcuno rispondesse.
“Tobio c’è riuscito, voi no,” concluse Shouyou. “Può anche avere un carattere orribile, può essere incapace di essere una guida ma non è un debole. Non accetto che si parli così del mio Maestro in mia presenza.”
Se ne andò senza finire di mangiare.
Gli era passata la fame.
 
 
***
 
 
 
Satori camminava avanti ed indietro da un bel po’ e cominciava seriamente a perdere la pazienza.
Non c’era un solo angolo di quel Tempio che non avesse controllato e del loro fantomatico Re dei Sith nemmeno l’ombra. C’erano bambini in ogni dove e belle fanciulle che li tranquillizzavano al loro passaggio. Alcuni, però, più che spaventati, sembravano non vedere l’ora di attaccare briga e aveva perso il conto di quelli che lo avevano guardato storto come se non se ne andasse in giro vestito di nero e gli avevano fatto la linguaccia come se non avesse una spada laser alla mano.
Mocciosi della nuova generazione... Ai suoi tempi si temeva anche di guardare negli occhi i Maestri per troppo a lungo. Ora, sembravano nascere con una predisposizione genetica all’arroganza. Erano insopportabili ma doveva ammettere che gli piacevano.
La porta delle stanze della Principessa era socchiusa e Satori la spalancò senza permesso. Kiyoko se ne stava seduta su di una comoda poltrona vicino alla balconata e c’erano alcune bambine sedute per terra, sul tappeto o accanto a lei. C’era un libro aperto sulle sue gambe ma smise di leggerlo non appena vide il Sith sulla porta che la guardava con un sorriso sarcastico. “Che razza di Tempio è mia questo?” Domandò con sincera curiosità. “Non c’è neanche l’ombra di un uomo ed ha una Principessa della Repubblica al comando.”
“Esistono donne Jedi di gran lunga più abili degli uomini,” replicò Kiyoko accarezzando distrattamente i capelli di una bambina che gli si era accoccolata a fianco spaventata. “Karasuno è piccolo, pacifico... I bambini crescono sereni qui.”
“Lo vedo...” Rispose Satori con sarcasmo pensando a tutte le piccole pesti che lo avevano apertamente sfidato. “Parlando dell’abilità delle donne, di cui, per la cronaca, non ho mai dubitato... Hai ucciso il mio superiore?”
Kiyoko sospirò annoiata e riaprì il libro che stava leggendo ai bambini. “Esci sulla balconata, scendi le scale che portano al lago...”
Satori la guardò più annoiato di prima ma la Principessa riprese a leggere la sua favola ed il Sith sospirò, fece appello a tutta la sua traballante pazienza e fece come gli era stato detto. C’era una stretta scalinata a lato della balconata. Scese i gradini lentamente per non scivolare, l’acqua del lago rispecchiava la luce del sole sullo sfondo.
C’era un altro ambiente di sotto. Una stanza a semi-cerchio le cui pareti esterne erano caratterizzate da alte vetrate ridotte in frantumi. Entrò all’interno schiacciando alcuni frammenti di vetro nel processo. C’erano foglie secche sul pavimento: nessuno doveva scendere lì sotto da un bel po’. C’era una sedia a dondolo a terra, alcuni vecchi giocattoli sparsi sul pavimento. Doveva essere una stanza ricreativa per i bambini più piccoli o qualcosa del genere.
La luce all’esterno era la sola fonte di luce e la figura scura di un giovane uomo vestito di nero di fronte ad una delle finestre in frantumi era un contrasto quasi doloroso per gli occhi. Satori sospirò scocciato. “Ehi...”
Due occhi dorati lo trafissero immediatamente.
“Che stai facendo?” Domandò. “Gli uomini si cominciano a chiedere che cosa facciamo qui e tu ti fai prendere dai ricordi. Pensavo fossi nato e cresciuto su Seijou...”
“È così...” confermò il suo superiore voltandosi a guardarlo.
Satori inarcò un sopracciglio confuso, poi un’intuizione gli diede la risposta che stava cercando. “Oh...” Annuì. “Ora che mi ci fai pensare, questo è il pianeta da cui ti abbiamo recuperato, vero?”
L’altro non rispose.
“Quindi, qui è dove è successo... Qualunque cosa ti sia successa...”
Il suo superiore gli rivolse un sorriso sarcastico. “Intuizione geniale, Satori, degna di te!”
“Non fare il simpatico, ora... Toglimi una curiosità, però,” disse Satori facendosi più vicino. “Karasuno non ha una grande importanza politica. Il suo Tempio Jedi è poco più di un asilo gestito da balie... Balie molto pericolose, certo ma... Perché siamo qui?”
“Stai discutendo gli ordini di un tuo superiore?”
“Vostra maestà, volevo solo portarvi rispetto e provare a domandarlo direttamente a voi, piuttosto che scavalcarvi direttamente ed andare a chiare al Signore Supremo... Vi ricordo che, a dispetto che non vi piaccia, posso farlo...”
L’altro Sith fece una smorfia. “Stiamo aspettando l’arrivo del vero obbiettivo.”
“Quanto mi piacerebbe saperne di più a riguardo.”
“Sai quanto basta,” tagliò corto il Re dei Sith.
Satori sbuffò. “Per la cronaca, una navicella è atterrata poco lontano da qui questa mattina.”
L’espressione dell’altro Sith si fece immediatamente attenta. “Che genere di navicella?”
“Piccola...” Commentò Satori. “Abbastanza perché i nostri radar non la notassero prima che fosse troppo tardi per abbatterla.”
“È giunto il momento di fare il prossimo passo...”
“Dove, vostra grazia?”
“C’è solo un luogo poco lontano da qui in cui valga la pena andare in una situazione di emergenza.”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Non conosco questo pianeta come te, cerca di essere più chiaro.”
“La Capitale,” rispose il Re dei Sith. “All’alba, marceremo sulla Capitale...”
 
 
 
***
 
 
 
 
“Perché ti chiamano il Re dei Jedi?”
Shouyou si pentì di averlo domandando nell’istante in cui quegli occhi blu si voltarono a guardarlo con più freddezza del solito. Erano soli, in una prateria fuori dai confini del Tempio, sulla riva di un lago tanto grande che per Shouyou sarebbe anche potuto essere il mare se il suo Maestro non lo avesse bruscamente informato differentemente. Shouyou era seduto sull’erba con le gambe incrociate, Tobio lo guardava dall’alto. Le casacche di entrambi giacevano a terra: le temperature si erano alzate negli ultimi giorni, la stagione calda si faceva sempre più vicina.
Ad un mese dal suo arrivo al Tempio di Seijou, Shouyou era abbastanza bravo con la spada da essersi lasciato alle spalle le lezioni basilari per passare ai veri duelli d’allenamento. Non era più riuscito a disarmare il suo Maestro ma le volte che si ritrovava a terra stavano diminuendo di giorno in giorno.
“Chi te lo ha detto?” Domandò Tobio. C’era rabbia sia nella sua voce che nella sua espressione e Shouyou lo aveva visto arrabbiarsi tante volte con lui ma mai così. “Ti da fastidio...” Concluse.
Tobio appoggiò un ginocchio a terra e lo guardò dritto negli occhi. “Chi te lo ha detto?”
Shouyou si fece rigido ed ingoiò a vuoto. “Kei...” Rispose e Tobio non sembrò sorpreso. “C’erano anche Tadashi, Yuutaro e Akira ma Kei era quello che...”
“Bastardo...” Sibilò Tobio alzandosi di nuovo in piedi. “Sei loro amico?”
Shouyou scosse la testa frustrato. “No...” Disse con aria un poco malinconica. “Ah! Non so nemmeno perché l’ho fatto! Come se ti meritassi qualcosa da me per il modo in cui mi tratti!”
Tobio lo guardò storto. “Di che cosa mi stai accusando, idiota?”
“Quei ragazzi!” Esclamò Shouyou. “Loro si sono avvicinati a me! Volevano fare amicizia ma poi quel Kei antipatico si è messo di mezzo, ha cominciato a parlar male di te ed io mi sono sentito in dovere di difenderti perché sei il mio Maestro! Conclusione: mangio di nuovo da solo e ho come la netta sensazione che adesso ci sia anche qualcuno che mi fissa per tutto il tempo!”
L’espressione di Tobio cambiò ma Shouyou non seppe decidere se in meglio o in peggio. Se avesse dovuto descriverla a parole sue, avrebbe detto che era indeciso su cosa fare con la sua faccia. “Sei... Sei un idiota, per caso?”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “Io ti difendo e come ringraziamento mi prendo un insulto?” Domandò indignato. “Comunque perché ti chiamano il Re dei Jedi? Perché tutti ce l’hanno tanto con te?”
“Quel bastardo di Kei non ti ha spiegato niente?”
Shouyou annuì immediatamente. “Mi ha detto che hai una personalità tirannica e che questo rende impossibile lavorare in squadra con te, per farla breve. Quello che voglio dire... È chiaro che tu abbia un carattere schifoso ma io non mi sognerei mai di darti del Re, quindi... Che c’è? No! Adesso non ti arrabbiare!”
Tobio lo afferrò per il colletto della maglietta e lo tirò in piedi. “Non mi chiamare in quel modo,” disse a voce bassa ma minacciosa. “Non ti è permesso in nessun caso di rivolgerti a te in quel modo.”
Shouyou s’imbronciò e gli afferrò il polso. “Ti ho appena detto che non mi sognerei mai di farlo!”
“Bene!” Tobio lo lasciò andare e, per poco, il Padawan non perse l’equilibrio.
Shouyou accantonò l’argomento ed afferrò la sua spada appoggiata sull’erba. “Un altro duello?” Domandò con gli occhi brillanti. “Questa volta, ti sconfiggerò, stanne certo!”
“Piantala...” Disse Tobio senza guardarlo e, senza il minimo preavviso, si liberò della maglietta. “Mi faccio una nuotata.”
Shouyou ghignò. “Il mio grande Maestro non riesce a stare al passo! Ha bisogno di una pausa!”
“Dalla tua faccia di certo!” Replicò Tobio sfilandosi gli stivali. “Sei tu che dovresti imparare a regolare le forze. Non è un addestramento costruttivo se ne esci distrutto. L’esercizio deve essere continuato, non intensivo! Se ti fai del male in qualche modo, dovrai restare a riposo giorni ed allora il lavoro degli ultimi giorni sarà stato inutile!”
Shouyou mise su il broncio e fece per replicare quando Tobio si liberò dei pantaloni come se fosse la cosa più normale del mondo e si diresse verso il centro del lago con solo l’intimo addosso. Il suo Maestro era giovane, di sei mesi più giovane di lui ma era alto, molto alto... Solitamente, questo non sorprendeva particolarmente Shouyou: sua madre era una donna piccolina e non aveva idea di chi fosse suo padre. Il fatto di essere minuto a sua volta lo aveva sempre distinto dagli altri anche da bambino. Quello che, però, colpì la sua attenzione in quel momento fu tutt’altro tipo di differenze: Tobio non era solo più alto di lui... Tobio aveva poco più di quattordici anni ed era un uomo, Shouyou non sembrava nemmeno un’adolescente se guardato nel modo sbagliato.
Tobio aveva le spalle larghe, i muscoli ben delineati ma non troppo. Non era come quei tipi che davano spettacolo di loro nei luridi locali del suo pianeta per vincere qualche scommessa a braccio di ferro. Shouyou soleva guardarli indeciso se avessero la testa troppo piccola o il corpo troppo grosso. Tobio non alimentava lo stesso dilemma, al contrario, sembrava essere talmente perfetto che Shouyou si sentì in dovere di sbirciare dentro il colletto della maglietta per assicurarsi che il suo corpo non fosse pietoso come lo ricordava in confronto a quello dell’altro.
Dopo una breve analisi, sospirò frustrato e vide Tobio scomparire sott’acqua per poi ricomparire qualche istante dopo. Si passò una mano tra i capelli neri tirandoli all’indietro. Shouyou lo vide prendere un respiro profondo, poi gli occhi blu si voltarono nella sua direzione e sentì uno strano calore salirgli alle guance senza nessuna ragione.
Shouyou sbuffò e si lasciò cadere sulla schiena, le braccia incrociate dietro la testa. Il cielo era azzurro con qualche nuvola bianca a renderlo ancora più bello.
Gli piaceva stare così.
Gli piaceva poter guardare il cielo senza doverlo fare di nascosto, prima che qualcuno gli desse un ceffone dietro la testa e gli ordinasse di tornare al lavoro. Non seppe per quanto tempo restò così. Le palpebre cominciarono a farsi pesanti ma Shouyou non aveva alcuna intenzione di darla vinta a Tobio e dimostrargli che era davvero distrutto come diceva.
Cercò di distrarsi con qualcosa. Voltò lo sguardo verso destra e trovò la spada laser di Tobio appoggiata sulla casacca lasciata sull’erba. Allungò il braccio fin quanto poteva, la sfiorò ma non era abbastanza vicino per poterla impugnare. Shouyou sbuffò, piegò di nuovo il braccio dietro la testa e tornò a fissare il cielo. Per un po’, sentì il rumore dell’acqua provocato dai movimenti di Tobio, poi sentì le palpebre farsi di nuovo pesanti.
Si portò un braccio sopra il viso per coprirsi dalla luce del sole.
”Non possiamo.”
“Allora respingimi...”
“Non farmi questo, ti prego.”
“Non dirlo come se fossi tu quello ad essere ferito.”
Il cuore di Shouyou saltò un battito ma non riuscì a muovere un muscolo.
”Dimmi che è stato un errore! Dimmi che non mi ami! Dimmelo!”
“Stai zitto...”
“Dimmelo guardandomi negli occhi, questa volta!”
“Stai zitto!”
Sentì una grande sofferenza comprimergli il petto ma non sapeva a chi appartenesse.
”Che cosa c’è di così orribile nell’amare? Nel provare? Nel vivere a pieno le nostre emozioni?”
“Abbiamo fatto un giuramento...”
“Io ti ho dato il mio cuore, questo giuramento non ha alcun valore per te?”
Sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi ma sapeva che non erano realmente sue.
”Non hai alcuna colpa.”
“Perché non fate altro che ripetermelo?”
“Perché è la sola verità che conta e l’unica di cui non riesci a convincerti.”
“Perché non è la verità... La verità è che ho sempre avuto il potere salvarlo e non l’ho voluto usare.”

“Shouyou!”
Shouyou sollevò le palpebre di colpo ma non ricordava quando le aveva chiuse. Qualcosa era sopra di lui... Qualcosa di caldo, bagnato. Ci mise un po’ per capire che Tobio gli era sopra, il corpo bagnato aderente al suo. Shouyou trattenne il respiro e fu incapace di chiedere qualsiasi cosa.
Tobio si sollevò un istante più tardi e si mise in ginocchio di fronte a lui. Shouyou si tirò a sedere e sgranò gli occhi quando vide quello che il suo giovane Maestro stringeva nel pugno: un piccolo serpente si agitava tra le sue dita cercando disperatamente di liberarsi. Tobio la gettò lontano, nell’erba. Shouyou seguì il movimento a bocca aperta e non parlò per alcuni istanti. “Non l’ho sentita arrivare.”
“L’ho fatto io per te...” Rispose Tobio con un sospiro.
Gli occhi d’ambra cercarono quelli blu dell’altro e si fecero enormi quando videro il sangue sulla mano del giovane Maestro. “Ti ha morso!” Esclamò Shouyou afferrando il polso di Tobio e facendosi più vicino per dare un’occhiata. “Era un serpente velenoso?”
Tobio lo guardò storto. “Pensi che mi sarei disturbato a salvarti se non lo fosse stato, idiota?”
Shouyou non perse tempo ad offendersi e si alzò in piedi, non sentiva nemmeno la stoffa bagnata dei suoi vestiti contro la pelle. “Dobbiamo tornare indietro!” Esclamò in panico, infilò la sua casacca e fece per recuperare i vestiti di Shouyou ma la sua mano si fermò a pochi centimetri dalla spada laser che aveva sfiorato prima di addormentarsi. Ricordò tutto il dolore che lo aveva soffocato e si bloccò.
“Spostati...” Disse Tobio spingendolo da una parte con poca grazia ed infilandosi i vestiti sebbene avesse ancora la pelle umida. “Non è il primo serpente da cui vengo morso. So cosa fare ed andare in panico non servirà a nulla, stupido! Sono perfettamente capace di...”
Collassò a terra prima che potesse finire di parlare.
 
 
 
***
 
 
 
La Capitale di Karasuno sorgeva in un’ampia vallata circondata da montagna e percorsa da grandi fiumi che le permettevano di collegarsi velocemente con le altre città importanti del pianeta. Non era un mondo di alta tecnologia, non era una minaccia per nessuno né un obbiettivo politico che avrebbe fatto la differenza nella guerra ma la sua Principessa era una forte personalità della Repubblica e non c’era da indagare sulle ragioni che avevano dovuto spingere i Sith a prenderla come ostaggio in un Tempio pieno di bambini destinati a divenire Jedi.
Koushi, tuttavia, non riusciva a convincersi che le cose fossero così facili come apparivano. L’arrivo suo e di Daichi era stato fin troppo tranquillo. La Capitale ed il resto del pianeta continuava ad andare avanti come se nulla stesse succedendo e solo all’interno del palazzo si poteva respirare in parte lo stato di emergenza in cui Karasuno versava.
I Sith erano soldati, non banditi, non prendevano ostaggi politici aspettando che qualcuno regalasse loro qualcosa di comodo per il loro rilascio. Ottenevano con la forza quello che volevano. Non permettevano contatti e non concedevano vie di fuga.
Eppure, non c’era dubbio sul fatto che vi fossero dei Sith al Tempio Jedi.
Daichi aveva condotto di persona una missione di ricognizione con Asahi e Ryuu, insieme ad alcuni soldati reali ed erano tornati solo in tre...
Koushi sospirò appoggiando i gomiti sul parapetto della balconata e guardando la Capitale sotto di loro. Il Palazzo sorgeva sul versante di una delle montagne che la circondavano ed era possibile vederla in tutta la sua estensione da lassù. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancata casa prima di tornarci.
“È come te la ricordavi?”
Due labbra calde gli sfiorarono il retro del collo e sorrise malinconicamente. “No,” rispose. “È più bella...”
Daichi infilò il naso tra i capelli chiari sulla sua nuca ed inspirò il suo profumo a pieni polmoni. “Possiamo passare la notte insieme...”
Koushi sospirò rigirandosi nell’abbraccio del suo amante per poterlo guardare negli occhi. “Daichi...”
“Solo un’altra notte...”
“Ed un’altra notte ancora...” aggiunse Koushi con malinconia. “Se fossimo stati coerenti con noi stessi, la nostra ultima notte sarebbe dovuta coincidere con la prima.”
“Non dobbiamo nasconderci qui,” cercò di giustificarsi Daichi. “Siamo a casa, questa è la nostra famiglia...”
Koushi gli accarezzò il viso con dolcezza. “Quel che rimane...” Portò la mano sulla fasciatura che stringeva il braccio destro del compagno. “Fa ancora male?”
“No,” Daichi appoggiò la fronte sulla sua. “Le tue mani sono prodigiose quando si tratta di curare qualcuno.”
Koushi arrossì appena e sorrise. “Non riconoscermi talenti inesistenti per distrarmi dalla mia inutilità.”
“Devo ricordarti tutte le volte che Tobio si faceva male e urlava piangendo che non si sarebbe fatto medicare da nessuno all’infuori di te?”
“Tobio è un bambino, Daichi.”
“Era un bambino,” lo corresse Daichi. “Tu e Hajime dovreste imparare ad accettarlo.”
Koushi abbassò lo sguardo per un istante. “Ha quattordici anni...”
“È un Jedi,” gli ricordò Daichi. “È più alto di me e di te, per la cronaca.”
Koushi rise appena. “Ha appena cominciato a crescere e già mi chiedo che uomo diventerà.”
“Ce lo chiediamo da quando è nato. Forse, dovremmo smettere di farlo con timore...”
“E come? Ha un carattere così difficile!” Koushi si voltò a guardare la Capitale ancora una volta. “Sogna di lui.”
Alle sue spalle, Daichi si fece serio. “Come lo sai?”
“Lo ha detto a Hajime e lui lo ha confidato a me.”
Daichi non disse nulla per alcuni istanti. “Che genere di sogni?”
Koushi fece una smorfia. “Tobio sostiene di ricordare solo il suo nome quando si sveglia.”
“E tu non gli credi.”
“Se sono sogni vividi come gli incubi che svegliano anche noi per quanto turbano la Forza, no, non gli credo!” Koushi alzò gli occhi verso il cielo. “E penso che quest’attacco non sia casuale in tempi come questi.”
Daichi corrugò la fronte. “Che vuoi dire?”
Koushi si voltò a guardarlo di nuovo. “Hai detto di non aver visto nessun Sith quando avete cercato di avvicinarsi al Tempio e siete stati attaccati.”
“Sì, erano soldati ben addestrati ma... Ho ordinato la ritirata prima di attaccare davvero. Erano troppi, Koushi e non sapevo che cosa ci sarebbe aspettato andando avanti. Non potevo spingere Asahi e Ryuu oltre.”
Koushi annuì. “Capisco... Ma non ti sembra strano?”
“Che non ci abbiano attaccato dei Sith?”
“Che se ne stiano al Tempio senza fare nulla. Il Signore Supremo non agisce così. Fa terra bruciata intorno a sé, mette in ginocchio i suoi nemici assicurandosi che non abbiamo possibilità di alzarsi. Chiunque sia a capo di questa missione, sta aspettando qualcosa...”
Daichi lo guardò con interesse. “Che cosa? Vai avanti...” Si fidava del consiglio di Koushi e le sue intuizioni difficilmente erano sbagliate.
Il compagno lo fissò intensamente. “Daichi, io penso che si tratti di... Non sarebbe la prima volta che fa qualcosa solo per attirare la nostra attenzione!”
Daichi si fece rigido. “Devo avvertire il vecchio Ukai.”
Koushi gli afferrò le braccia prima che potesse fare un passo. “Ti prego, non farlo.”
“Se hai ragione, siamo in grave pericolo!”
“Se ho ragione, Hajime correrà qui con gli altri al seguito e Tobio rimarrà a Seijou completamente da solo! Lo so che è grande, lo so che è un Jedi ma la sua situazione è instabile e Shouyou è solo un ragazzino!”
Daichi strinse le labbra. “Se gli mentiamo, Hajime non ci perdonerà mai.”
“E se gli diciamo la verità, gli concediamo un’altra occasione per perdersi!” Replicò Koushi con forza. “Il vecchio Ukai avrebbe potuto cacciarlo anni fa per la sua insubordinazione al Codice.”
“E non sarebbe stato il solo...” Aggiunse Daichi con una smorfia.
“Non possiamo permetterci di perdere nessuno, non ora!” Concluse Koushi con fermezza. “E se Hajime viene qui, le possibilità di perderlo sono alte... Se lui è qui, non è un caso. Karasuno ha molti significati per tutti noi, i nostri più grandi segreti hanno preso vita qui, su questo pianeta. Uno in particolare... Temo che si quello che lui sta aspettando.”
 
 
***
 
 
”Guarda quanto è bella la nostra stella...”
Una carezza. Un bacio caldo.
“È perennemente imbronciato, però! Gli verranno le rughe d’espressione prima che impari a sorridere.”
“Se fossi stato costretto a stare mesi con te, sarei imbronciato anche io!”
“Rude! Tu, comunque, sei stato anni attaccato a me!”
“E guarda che bell’effetto ha avuto sul mio umore!”
Un altro bacio ma non per lui, questa volta.
“Almeno, ogni volta che ti guarderai allo specchio e vedrai tutte le rughe d’espressione precoci che ti sono venute, so che penserai a me.”
“Stupido...”
Un bacio ancora. Era una bella sensazione. Anche se nemmeno quel bacio era per lui, sembrava che l’amore lo fosse.
Di colpo, sentì freddo.
“Tooru...”
Quella voce la conosceva, era spaventata.
“Tooru, fermati! Puoi ancora farlo! Fermati!”
Un giovane uomo dai capelli chiari indietreggiava, gli occhi pieni di paura. Un altro vestito di nero dai esauriva lentamente la distanza tra loro, una spada dal laser rosso stretta tra le dita. Gli occhi erano grandi, dorati e splendenti come due stelle ma dalla luce decisamente inquietante. I capelli erano castani, arricciolati sulle punte. L’aveva già visto ma non ricordava dove...
Era notte, era freddo e c’era paura nell’aria. Tanta paura e disperazione. Sentiva il respiro bloccato in gola, come se dovesse urlare ma non riuscisse a farlo.
“No...” Provò a dire ma nessuno sembrò udirlo. “No!” Provò a ripetere ad alta voce ma l’uomo vestito di nero avanzava, mentre quello dai capelli chiari si ritrovava con le spalle al muro ed il laser rosso puntato contro il petto.
“Di tutti noi sei sempre stato quello più speranzoso, Koushi e questo nonostante non vi sia mai stata nessuna speranza per te di essere quello che tanto desideravi diventare...”
“No! No!” Urlava ma nessuno lo ascoltava. Non potevano udirlo.
L’uomo vestito di nero sollevò la spada. “È troppo tardi da troppo tempo...”
 
 
 
“No! No!”
“Tobio! Tobio, svegliati!”
Si dimenò contro le braccia che lo tenevano fermo ma non ci fu niente da fare.
“Tobio! Apri gli occhi! Svegliati! Sei al sicuro, svegliati!”
Qualcosa gli colpì il viso con violenza. Si fece immobile per il dolore e ci mancò poco che rischiasse di perdere i sensi di nuovo. Si portò una mano alla parte lesa lamentandosi, poi aprì gli occhi lentamente, lasciando che si aggiustassero alla luce artificiale che illuminava l’ambiente accecandolo. Quando riuscì a mettere a fuoco l’immagine di fronte a sé, il primo viso che riconobbe fu quello spaventato di Shouyou. Che cosa avesse spaventato il piccolo stupido non ne aveva idea ma non aveva neanche la voglia di approfondire la questione, quindi lasciò che il suo sguardo andasse oltre, incontrò gli occhi preoccupati del Maestro Ittetsu e quelli frustrati del Maestro Keishin.
“Tobio...”
Qualcuno gli strinse una spalla e solo allora gli occhi blu di Tobio incrociarono quelli verdi del suo vecchio Maestro. “Hajime...” Mormorò con voce impastata dal sonno. “Che cosa...?”
“Ti sei fatto mordere una vipera come quando eri un bambino!” Esclamò Keishin Ukai scocciato. “Ittetsu qui ha quasi avuto una crisi di panico, come se non ci fossimo abituati!”
“Ho sempre un tuffo al cuore quando vedo uno dei ragazzi privi di sensi,” si giustificò il Maestro Ittetsu con un sorriso, poi appoggiò una mano sulla spalla del ragazzino al suo fianco. “Anche Shouyou era molto preoccupato e si è rifiutato di andarsene fino a che non avessi ripreso i sensi.”
Shouyou fece per dire qualcosa a proposito ma Tobio riportò subito gli occhi sul viso di Hajime. “Mandate qualcuno a Karasuno...” Non lo disse incisivamente come avrebbe voluto, gli girava troppo la testa, Hajime, però, sembrò comprendere l’urgenza di quel messaggio.
“Abbiamo notizie da Karasuno?” Domandò a Keishin.
Il giovane Ukai incrociò le braccia contro il petto. “Il Tempio è sotto il controllo dei Sith ma non sono riusciti ad identificare chi...”
“Alto, vestito di nero,” lo interruppe Tobio mettendosi a sedere ed inutile fu la mano di Hajime sulla sua spalla che stava cercando di tenerlo fermo.
Ittetsu sospirò e sorrise gentilmente. “Hai descritto un Sith qualunque, Tobio. Probabilmente, era solo un incubo che...”
“Capelli castani... Ricci ma non proprio ricci, tipo,” aggiunse Tobio con fermezza, sebbene la testa gli girasse da morire. “Occhi dorati... Sorrideva. Ha chiamato il Maestro Koushi per nome, quindi lo conosce! Koushi lo temeva! Ho sentito la sua paura!” Sentì la stretta sulla sua spalla farsi più forte, sollevò lo sguardo e si accorse che qualcosa era cambiato negli occhi verdi di Hajime. “Lo conosci anche tu, Maestro?”
Keishin fece un passo in avanti. “Non saltiamo alle conclusioni, Hajime,” disse col tono di chi vuole dare un avvertimento.
“Ci ha fornito una descrizione!” Replicò Hajime con forza. “Dite al vecchio Ukai di contattare Karasuno. Assicuriamoci che Koushi e Daichi stiano bene, che non siano in una situazione di emergenza in cui sono impossibilitati a chiedere aiuto!”
“Lo si può verificare con poco, Keishin,” intervenne Ittetsu. “Possiamo occuparcene immediatamente e tranquillizzare Tobio sulla questione.”
“Non era un incubo e basta!” Insistette il ragazzo guardando il Maestro Keishin negli occhi. Questi sospirò. “Va bene!” Esclamò esasperato. “Hajime, tu non ti muovi di qui e ti assicuri che questi ragazzini non commettano altri guai per oggi!”
Shouyou s’imbronciò. “Io non ho fatto niente!”
Tobio lo guardò storto. “Potevi rimanere concentrato ed evitare quella vipera!”
“Non ti ho chiesto io di farti mordere per me!”
“E poi uno si chiede perché non ascolto più i vecchi decrepiti del Consiglio!” Sbottò Keishin Ukai annoiato. “Prima, le relazioni tra Maestro e Padawan con poca differenza di età sono proibite! Ora, il vecchio da deciso di creare una coppia di mocciosi perché, in un momento di pura follia, ha pensato fosse una grande idea!”
Uscì dall’infermeria borbottando tra sé e sé, sotto gli occhi sconvolti di Tobio e Shouyou.
Ittetsu forzò un sorriso. “Non preoccupatevi per lui. Le mie scuse.” Se ne andò a sua volta.
Tobio guardò Shouyou.
Shouyou guardò Tobio.
Entrambi aprirono bocca nello stesso momento.
Hajime simulò un colpo di tosse e sia gli occhi d’ambra che quelli blu si voltarono nella sua direzione. “Una sola parola in più e vi pentirete di non aver taciuto quando ne avevate l’occasione,” disse il Maestro con espressione decisamente minacciosa.
Entrambi i ragazzi ingoiarono a vuoto intimoriti ed annuirono in completo, religioso silenzio.
 
 
***
 
 
Daichi si era addormentato sopra le coperte con solo i pantaloni addosso.
Koushi restò a guardarli per diversi minuti con un sorriso innamorato, passando di tanto in tanto la mano tra quei capelli corvini che poteva accarezzare solo così, alla luce della luna ed in segreto, lontano da occhi indiscreti. Se il vecchio Maestro Ukai si era mai accorto di loro non aveva mai detto nulla in proposito. Forse, dopo quello che era successo con Hajime, aveva cominciato a chiudere un occhio più di quanto il suo ruolo gli permettesse ma Koushi era grato di questo. Nessuno dei due avrebbe mai tradito l’Ordine per nessuna ragione al mondo ed il loro giuramento come Jedi sarebbe venuto prima di qualsiasi sentimento personale li legasse.
Questo si erano ripetuti Koushi e Daichi quando era stato chiaro ad entrambi che non potevano semplicemente essere amici, compagni sul campo di battaglia. Questa era divenuta la promessa che avevano fatto a loro stessi, quando avevano deciso di concedersi un po’ di egoistica felicità e dimenticare in parte quello che era stato insegnato loro fin da bambini.
Daichi non aveva mai messo in discussione quella decisione.
Koushi, alle volte, si chiedeva quanto avrebbe resistito ancora. Per quanto tempo sarebbe riuscito a guardarlo andar via indossando una maschera per celare i suoi sentimenti?
Sospirò, concesse all’amante un’ultima carezza e poi si alzò in piedi: non sarebbe riuscito a dormire quella notte, non con il dubbio che un loro vecchio compagno potesse essere dietro quelle montagne con Kiyoko tra le mani e tutti i bambini sotto la sua custodia. Karasuno non era una colonna portante della Repubblica, nonostante la sua Principessa fosse una personalità carismatica che si rifiutava di cedere a qualsiasi compromesso quando si trattava del bene della sua gente, la sua conquista o distruzione non avrebbe cambiato in alcun modo le sorti della guerra ma aveva un valore inestimabile per tutti loro.
Si strinse nelle braccia per combattere l’aria fredda della notte e scese nei giardini del palazzo: aveva bisogno di schiarirsi le idee, di trovare un equilibrio nelle emozioni tumultuose che lo animavano. Sollevò lo sguardo: il cielo di Karasuno era un trionfo di stelle e, per un momento, trovò la pace nel pensiero che era tornato finalmente a casa.
Il lieve rumore di un laser che vibrava gli spezzò il fiato.
Qualcuno si mosse alle sue spalle ma Koushi non si voltò. “Tooru...”
“Hai paura,” commentò il Sith arrivandogli di fianco.
La prima cosa che Koushi vide fu il laser rosso della spada che l’altro stringeva nel pugno e solo in un secondo momento sollevò lo sguardo su quegli occhi dorati che, suo malgrado, aveva imparato a conoscere.
“No,” Koushi ingoiò a vuoto per combattere il nodo che aveva cominciato a stringergli la gola. “Provo tristezza.”
Il Re dei Sith gli sorrise quasi gentilmente. “Non sei felice di vedermi, amico mio?”
“Non così...”
“Non sono più schiavo di nessuno, dovresti essere felice per me.”
“Sei schiavo di te stesso!” Replicò Koushi con forza. “Del tuo rancore e delle tue paure!”
Il Re dei Sith sbuffò. “Non impartirmi anche tu la solita, vecchia e noiosa lezione,” gli disse scocciato.
“Tooru...” Koushi fece un passo in avanti, verso di lui ma l’altro sollevò immediatamente la spada laser per invitarlo a stare al suo posto.
“Ci siete solo tu e Daichi qui,” non era una domanda quella di Tooru. “Oltre ai due idioti e al gigante fifone, ovvio.”
Koushi si guardò intorno ma non vide nessuno, eppure percepiva decide di presenze intorno a sé. Passò appena un istante, poi le luci si accesero e voci che conosceva bene cominciarono ad urlare seguite dai rumori di un combattimento in corso. Koushi sollevò lo sguardo verso le balconate del palazzo e fece per correre all’interno ma la spada laser rossa gli bloccò la strada ancora una volta.
“Risparmiati una fatica inutile,” gli consigliò il Sith. “Hanno l’ordine di non uccidere nessuno. Mi servite vivi, tutti quanti.”
“Hajime non verrà qui!” Esclamò Koushi con le lacrime agli occhi. “Il vecchio Ukai capirà che si tratta di te e non gli permetterà mai d’intervenire!”
Tooru rise. “Come se i desideri dei vecchi del Consiglio abbiano mai fatto differenza per lui o per me.”
“Ha una missione più importante da compiere,” lo informò Koushi. “Una missione che vale più di qualunque cosa lo tenga ancora legato a te.”
“Una missione?” Domandò Tooru come se sapesse già perfettamente di cosa stava parlando. “Chiamalo per nome. Lo abbiamo scelto perché avesse un significato per tutti noi, sarebbe uno spreco non usarlo, non credi?”
Koushi strinse le labbra e non disse nulla.
Tooru abbassò di un poco la spada laser. “Ha distrutto una delle nostre squadra e liberato un pianeta praticamente da solo,” ghignò. “È un prodigio, come me...”
Koushi scosse la testa. “Può essere un prodigio ma non sarà mai come te!”
“Mi ripeti il giuramento di Hajime, ora?” Era di nuovo scocciata l’espressione del Sith.
Il Jedi prese un respiro profondo e scosse appena la testa. “Tooru, fermati...” Lo pregò. “Puoi ancora farlo! Fermati!”
Ci fu un momento in cui l’espressione di Tooru si riempì di dolce malinconia e Koushi credette di avere davanti il ragazzo che era cresciuto con lui, che aveva distrutto il suo futuro per un amore contro le regole. No, non era giusto raccontare quella storia così, non era giusto coinvolgere i sentimenti di Hajime in tutta quella oscurità. L’amore poteva aver lesionato l’innocenza di Tooru per primo ma Koushi si rifiutava di credere che fosse la causa della sua caduta.
Perché se così fosse stato, erano tutti spacciati.
“Sei sempre stato quello più speranzoso, Koushi,” disse Tooru, “e questo nonostante non vi fosse alcuna possibilità per te di essere ciò che desideravi diventare.”
Koushi si morse il labbro inferiore e cercò di trattenere le lacrime. “Tooru, ti prego... Se lo ami... Se lo hai mai amato... Fermati...”
L’espressione del Sith era indefinibile ma erano vuoti quegli occhi dorati mentre guardava il Jedi che era stato suo compagno ma, soprattutto, suo amico. “È troppo tardi da troppo tempo, Koushi.”
 



 

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Capitolo 3
*** The real tragedy of life is when men are afraid of light ***


3
The real tragedy of life is when men are afraid of light
 
 
Aveva paura.
Aveva tanta paura.
Eppure, gli avevano insegnato a non provarne.
“Smettila di combattere. È tutto inutile...”
Non vedeva nulla di fronte a sé. Aveva gli occhi chiusi. “N-No... N-No...”
“Avanti arrenditi...”
La testa gli doleva terribilmente, come se qualcuno stesse cercando di aprirla a mani nude. Rivide sua sorella. La vide come se fosse ancora davanti a lui e potesse toccarla semplicemente allungando un braccio.
“No! No!”
“È semplice, devi solo lasciarti andare... Al resto penso io.”
“No!”
Rabbia. Rabbia cieca. Il dolore sparì e riuscì a riprendere fiato ma fu solo per un istante...
La morsa tornò più forte di prima e prese ad urlare con quanto fiato aveva in gola.
“Non puoi combattere per sempre, Tooru!”
Urlò.
Urlò e basta.

 
 
 
“Shouyou!”
Gli occhi d’ambra si aprirono di colpo, terrorizzati. Il fiato era bloccato in gola e non c’era nulla che Shouyou potesse fare per combattere il nodo che la legava. Aprì e chiuse le labbra velocemente, come un pesce fuor d’acqua. Gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, spaventati. “Ehi! Stupido, respira!” Quasi urlò, poi afferrò il ragazzino per le spalle e lo costrinse a sedersi.
Shouyou prese a tossire con violenza, si aggrappò alla casacca di Tobio come un naufrago in mezzo ad un mare in tempesta.
“Calmo,” disse Tobio appoggiando una mano sul petto del suo Padawan e cercando di non farsi prendere dal panico a sua volta. “Concentrati sulla mia mano,” mormorò contro l’orecchio di Shouyou. “Respira ed inspira, avanti...”
Gli occhi d’ambra si chiusero. Le dita di Shouyou lasciarono andare la stoffa della casacca del giovane Maestro per afferrargli il polso. Era calda la pelle di Tobio ma Shouyou sentiva così freddo. “Respira,” continuò a mormorare il suo Maestro. “Respira...”
Tobio lo lasciò andare e si allontanò solo quando Shouyou prese un respiro profondo e smise di tremare. “Sei gelido,” commentò con voce aspra, poi si tolse la casacca e gliela posò sulle spalle. Shouyou si riscosse un poco e lo guardò. “Non è necessario...”
Era vero. Erano all’inizio dell’estate ed il sole era caldo sulle rive del lago poco lontano dal Tempio ma la pelle di Shouyou era fredda ed era una cosa che a Tobio non piaceva affatto. “Che cosa hai visto?” Domandò.
Shouyou strinse le ginocchia contro il petto, i grandi occhi persi nel vuoto. Si stavano allenando con la spada come ogni pomeriggio. Tobio gli aveva concesso una pausa ed avevano discusso perché Shouyou non si sentiva affatto stanco ma il suo Maestro continuava a sostenere che con tanta insistenza avrebbe finito solo per farsi del male.
Si era addormentato sull’erba, sotto il sole e Tobio lo aveva lasciato fare.
Poi, erano cominciate le immagini buie...
Si nascose il viso tra le mani e Tobio si spostò di fronte a lui. “Shouyou, che cosa hai visto?”
Gli occhi d’ambra si sollevarono un poco. “Mi è capitato di sentire cose brutte, come la notte in cui ho percepito i tuoi incubi ma...” Shouyou abbassò lo sguardo e si accorse che la spada di Tobio era scivolata sull’erba fino al suo piede. Si sollevò di scatto e la casacca di Tobio cadde a terra.
“Che cosa ti prende?” Domandò il giovane Maestro alzandosi a sua volta.
Shouyou passò gli occhi dalla spada laser a terra al viso dell’altro. “A chi apparteneva quella spada?” Domandò senza pensarci.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Non stai rispondendo alla mia domanda...”
“Ho visto i ricordi di qualcuno!” Esclamò Shouyou, infine. “O, almeno, così credo...” Aggiunse titubante. “Mi è successo anche l’altro giorno, quando il serpente ti ha morso... Ho sfiorato la tua spada, mi sono addormentato e...”
Tobio lo guardò con astio e Shouyou si zittì immediatamente. Il giovane Maestro si chinò, recuperò l’arma e l’assicurò alla sua cintura. “Non provare mai più a toccare questa spada. Non ti appartiene...”
“Questo lo so, volevo solo...”
“Apparteneva al mio Maestro,” spiegò Tobio con sguardo gelido. “Le visioni che ti provoca non ti riguardano. Quindi, non la toccare!” Recuperò la propria casacca da terra, se la mise in spalla e si voltò. Shouyou fissò la sua schiena per alcuni istanti. “Come puoi sopportarlo?” Domandò istintivamente.
Tobio gli lanciò un’occhiata raggelante da sopra la spalla. “Che cosa stai dicendo, idiota?”
“Io... Io ho sfiorato quella spada e... Non ho mai sentito un’anima soffrire tanto in vita mia. Tu la tieni tra le dita continuamente. Come fai a sopportarlo?”
Tobio si voltò e Shouyou vide sincera confusione sul suo volto. “Gli unici momenti in cui sento di venire completamente a patti con la Forza è quando stringo questa spada,” disse ed era sincero. “Non so nulla della sofferenza di cui stai parlando.”
        
 
***
 
 
Tooru si svegliò di scatto, il viso sudato ed il cuore galoppante nel petto.
Si era addormentato sopra le coperte, con i vestiti ancora addosso. Il sole era sorto su Karasuno e, a giudicare dalla luce, doveva essere alto da diverse ore. Si sollevò a sedere lentamente, come se avesse paura che la consistenza del letto sotto di lui potesse dissolversi di colpo, lasciandolo cadere nel vuoto più buio. Premette una mano contro il petto, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo cercando di recuperare il controllo delle proprie emozioni.
Non era mai stato bravo a farlo ma aveva imparato a fingere quando era necessario. Si alzò dal letto e si diresse verso la balconata. In principio, non si accorse delle colonne di fumo che attraversavano il cielo azzurro ma, non appena si affacciò, comprese perché nessuno era venuto a cercarlo nelle ultime ore.
La Capitale non era stata rasa al suolo. Non dovevano aver opposto eccessiva resistenza, quindi non era stato necessario usare più forza del dovuto ma non avevano avuto pietà sugli obbiettivi prestabiliti. I porti spaziali ai lati della Capitale bruciavano ancora e si alzava fumo da alcuni palazzi al centro della città.
“Ti sei svegliato...”
Due braccia calde circondarono la vita di Tooru ed il Re dei Sith trattenne il fiato per alcuni istanti, poi reclinò la testa da un lato permettendo a Wakatoshi di posargli un bacio sul collo. “Sei gelido...” Commentò.
“Non ho dormito bene,” rispose Tooru.
Wakatoshi lo fece voltare. “Ancora quegli incubi?”
Tooru gli rivolse un sorriso senza gioia. Wakatoshi aveva i capelli umidi e la pelle del petto nudo era calda per il bagno appena fatto. Doveva averlo trovato già trovato addormentato e non lo aveva disturbato. “Gli incubi non se ne andranno mai,” rispose Tooru passando distrattamente le dita tra i capelli del Signore Supremo. “Ti avevo detto che potevo farlo da solo...”
“Non mi piace lasciarti da solo,” rispose Wakatoshi appoggiando la fronte sulla sua.
“No...” Tooru tenne gli occhi dorati fissi sui suoi. “Non ti piace l’idea che presto potrei non esserlo più.”
Il Signore Supremo strinse le labbra e si allontanò. “Ho colpito solo gli obbiettivi che avrebbero potuto minacciarci. Non ci sono vittime civili, te lo posso assicurare.” Rientrò nella camera da letto e Tooru lo guardò indossare una maglietta nera a maniche corte, poi lo raggiunse.
“Wakatoshi...” Lo chiamò con tono più dolce. “Non ho mai smesso di desiderare di sconfiggerti.”
Wakatoshi si passò una mano tra i capelli umidi liberando gli occhi. “Ne sono perfettamente consapevole,” disse. “Me lo ricordi ogni volta che facciamo l’amore...”
Tooru sorrise malizioso. “In che modo?” Domandò curioso.
Wakatoshi lo guardò con quella che sarebbe potuta essere un’espressione malinconia ma era difficile interpretare le emozioni su quel viso dai tratti scolpiti. “Non mi lasci entrare...”
Tooru si fece serio di colpo. “E sai che mai lo farò.”
“Lo so...” Wakatoshi annuì. “Pensavo che dopo più di un decennio le cose fossero cambiate, tutto qui. È stata una mia ingenuità, non un tuo errore.”
Tooru esaurì la distanza tra loro e prese tra le mani il viso dell’altro con una dolcezza che stonava con le sue parole. “Io non ce l’ho più un cuore da donarti, Wakatoshi. Quello che siamo è ciò che è risorto dalle nostre ceneri. Le nostre anime sono corrotte, spezzate. Abbiamo toccato l’oscurità e lei ci ha toccato a sua volta e nessun altro nell’intero universo potrà mai comprenderci come facciamo l’uno con l’altro... È il prezzo che abbiamo dovuto pagare per la nostra libertà. Sì, siamo liberi ma, te lo ripeto, gli incubi non se ne andranno mai.”
Lo lasciò andare e si voltò.
Wakatoshi non fece nulla per fermarlo.
 
 
 
Koushi non era stato accompagnato nelle prigioni del palazzo.
Tooru aveva fatto bene i suoi calcoli e sapeva che lui, Daichi e gli altri sarebbero stati più forti insieme, anche se dentro ad una cella costantemente sorvegliata. Lontani gli uni dagli altri, dubbiosi sulle condizioni in cui versavano gli altri compagni, erano controllabili molto più facilmente.
Quando il Re dei Sith varcò la soglia della sua stanza e fece ritirare gli uomini di guardia, Koushi non ne fu affatto sorpreso. Era seduto sul bordo del letto che avrebbe dovuto condividere con Daichi, se i Sith non lo avessero portato via nel cuore della notte. Tooru gli sorrise e Koushi abbassò lo sguardo: guardare quegli occhi dorati gli era ancor più insopportabile alla luce del giorno.
“Non hai riposato neanche un po’?” Domandò Tooru sarcastico.
Koushi rimase in silenzio.
“Non ho fatto del male a Daichi o ai tre idioti, te l’ho già detto.”
“Sono lontani i giorni in cui mi fidavo di te al punto che ti avrei affidato la mia vita,” replicò Koushi artigliando la stoffa dei suoi pantaloni. Tooru sbuffò. “Anche Kiyoko fa simili discorsi nostalgici. Smettiamola di parlare di quei giorni come se appartenessero ad un’altra epoca! Siamo ancora giovani!”
Nel sentir nominare la Principessa, Koushi fu costretto a sollevare lo sguardo sul viso del Sith. “Kiyoko sta bene?”
“Lei sì,” rispose Tooru incrociando le braccia contro il petto e vagando per la camera da letto senza una meta precisa. “Non posso garantire per il povero Satori.”
“L’hai lasciata con Satori?”
“È insopportabile ma è l’unico che stimi abbastanza per dargli un po’ di fiducia. Si faranno buona compagnia.”
Koushi si umettò le labbra. “Perché hai attaccato il Tempio di questo pianeta?”
Tooru rise e gli lanciò un’occhiata veloce. “Se devi farmi delle domande, almeno chiedimi qualcosa di cui non sai già la risposta da te.”
“Ci sono solo bambini a quel Tempio e la maggior parte di loro sono molto piccoli!”
Il Re dei Sith lo guardò scocciato. “Non ho fatto una strage d’innocenti come il vecchio Signore Supremo, Koushi. Non sono un essere tanto schifoso.”
Koushi non replicò. Quella era una delle tante storie che non sarebbe mai riuscito a capire: il Signore Supremo prima di Wakatoshi era stato, probabilmente, il mostro più terribile che avesse mai navigato nei cieli della galassia. La loro generazione lo aveva combattuto con ogni mezzo e al caro prezzo di molte giovani vite. Wakatoshi e Tooru erano stati le sue ultime vittime e, per qualche assurdo gioco del destino, ne erano divenuti gli eredi.
“Lo so,” ammise il Jedi con voce notevolmente più gentile. “Non faresti mai del male a dei bambini...” C’era molto di più in quelle parole di quello che Koushi disse. Tooru se ne accorse e si bloccò per guardarlo negli occhi. “Qualcosa si è risvegliato...” Mormorò con espressione seria.
Koushi accennò un sorriso. “Hai sentito te stesso in quel risveglio?”
Tooru fissò il cielo oltre le colonne del balcone: il fumo era sparito ed era tornato dell’azzurro più terso. “Non proprio,” rispose ed una strana emozione gli strinse il cuore. “È stato come... Come...” Le parole rimasero congelate in gola, mentre le immagini si susseguivano di fronte ai suoi occhi come in un sogno, sebbene fossero aperti. In effetti, c’era stato qualcosa di onirico in quelle notti passati svegli sotto le stelle e l’illusione di essere solo in due nell’intero universo... Fino a che non erano divenuti tre.
“Tooru?”
Il Re dei Sith si voltò. Koushi non si era mosso da dove lo aveva lasciato. “Come è stato?” Domandò.
Tooru strinse i pugni. “Come molte altre volte. Nulla di speciale,” mentì.
La porta si aprì di colpo, Koushi scattò in piedi ma i soldati che entrarono rivolsero tutta la loro attenzione a Tooru. “Che cosa volete?” Domandò freddamente il Re dei Sith.
“La sorella della Principessa,” disse una delle guardie con urgenza.
Koushi si portò una mano al petto. “Hitoka...” Mormorò in pena. Tooru gli lanciò un’occhiata storta. “Cos’è successo alla ragazzina?”
“È fuggita dal pianeta, signore.”
 
 
***
 
 
“Non abbiamo notizie da quattro giorni,” disse il Maestro Takeda con espressione seria. “Abbiamo tentato di comunicare con Karasuno con tutti i mezzi a nostra disposizione, anche per le vie di comunicazione secondarie ma a qualunque nostro messaggio è solo seguito il silenzio. È come se sul pianeta non ci sia più nessuno e Koushi e Daichi non ci hanno fornito nessuna informazione dopo quelle immediatamente successive al loro arrivo.”
Hajime vide il vecchio Ukai ed il Maestro Irihata lanciarsi un’occhiata silenziosa. Non dissero nulla ed il Cavaliere vide sul viso di Keishin il riflesso della sua stessa preoccupazione. Loro erano Maestri ma erano ancora abbastanza giovani da potersi permettere di compiere degli errori di giudizio anche con la Forza. Quando, però, gli anziani tacevano, era segno che le cose si stavano mettendo veramente male per loro.
Hajime si guardò intorno. Erano stati radunati la maggior parte dei Jedi della sua generazione, molti dei quali erano cresciuti insieme a lui. Issei e Takahiro tenevano lo sguardo basso. Kentaro fissava i due Maestri anziani con l’arroganza che lo contraddistingueva, mentre Shinji e Shigeru se ne stavano quasi vicino al muro.
Il vecchio Ukai sollevò lo sguardo nella sua direzione e Hajime drizzò le spalle. “Tu senti nulla, ragazzo?” Domandò ma non era a lui che si era riferito.
Hajime strinse le labbra e voltò gli occhi verdi verso il ragazzino dai cappelli corvini al suo fianco. Tobio non si sorprese di essere chiamato in causa. “Non ora, signore,” rispose. “Ho tentato di comunicare personalmente con il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi ma ho fallito. Le uniche informazioni che posso darvi, sono le immagini dei miei incubi.”
Hajime si fece rigido e dovette mordersi l’interno guancia per evitare di dire qualcosa a sproposito.
“Parla, ragazzo,” gli concesse il Maestro Irihata.
Tobio abbassò lo sguardo. “C’è qualcosa di potente a Karasuno. È come se la fonte stessa della Forza fosse improvvisamente comparsa sul pianeta.”
Hajime dovette allontanare lo sguardo dal viso di Tobio e portarlo su qualsiasi cosa non fossero gli occhi dei Maestri o dei suoi vecchi compagni.
“Che genere di Forza percepisci, Tobio?” Domandò il vecchio Ukai.
“Familiare...” Rispose Tobio senza esitare.
Hajime sentì il respiro venire meno per un istante.
La stanza si fece improvvisamente silenziosa.
“Familiare...” Ripeté il Maestro Ittetsu. “Puoi spiegarlo?” Domandò gentilmente.
Tobio guardò tutti i suoi superiori, poi scosse la testa. “No...” Cercò lo sguardo del suo Maestro ma Hajime era deciso a non voler incrociare i suoi occhi in quel momento. “È l’unico modo in cui riesco a descriverlo, mi spiace...”
Keishin simulò un colpo di tosse. “Racconta agli anziani quello che hai visto nella tua mente il giorno in cui abbiamo perso i contatti con Karasuno.”
Tobio annuì. “Era un Sith... Un Sith molto potente.”
“Il Signore Supremo?” Domandò Irihata.
“No, non credo,” Tobio provò a riflettere. “Era giovane... Ha detto di tutti noi sei sempre stato quello più speranzoso,” disse, infine, e gli occhi di tutta la sala furono su di lui, compresi quelli verdi del suo Maestro. “Ha detto di tutti noi rivolgendosi al Maestro Koushi...Penso che sia un Jedi caduto.”
Hajime fece un passo in avanti. “Fate preparare una navicella, partirò al tramonto.”
Il vecchio Ukai lo guardò storto. “Non così in fretta, Hajime.”
“Non abbiamo bisogno di un nome,” replicò il Cavaliere Jedi. “Abbiamo i nostri uomini, una Principessa della Repubblica appartenente al nostro ordine e un Tempio pieno di bambini nelle mani dei Sith e dovrei rimanere al mio posto?”
“La situazione è più delicata di così e lo sai bene,” disse il Maestro Irihata ma i suoi occhi non erano rivolti a lui.
Hajime guardò il ragazzo al suo fianco come se si fosse ricordato della sua presenza solo in quel momento. “Fuori di qui, Tobio,” ordinò e fu molto attento a non incrociare il suo sguardo.
Gli occhi blu furono immediatamente su di lui e Hajime percepì la protesta prima ancora che il suo ex Padawan riuscisse ad aprire bocca.
“Ascolta le parole del tuo Maestro, Tobio,” disse Keishin.
Tobio lo guardò, poi cercò di nuovo gli occhi del suo Maestro ma Hajime fissava con insistenza di fronte a sé, i pugni chiusi. Il giovane Cavaliere strinse le labbra con rabbia e si voltò senza aggiungere un’altra parola.
 
 
 
 
Tobio era stato di cattivo umore fin dall’inizio della giornata ma per Shouyou non era una gran novità, così non si fece domande e si comportò come soleva sempre fare.
“Ma perché dobbiamo sempre fare un viaggio di mezza giornata, prima di allenarci?” Si lagnò discendendo la collina che portava alla riva del grande lago. “Abbiamo un giardino grande la metà di questo pianeta al Tempio!”
Tobio lo guardò come se fosse un perfetto idiota. “Non ne copre nemmeno un millesimo della superficie.”
Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Era un modo di dire!” Esclamò frustrato. Come poteva il suo Maestro essere un prodigio tra i Jedi e completamente stupido per questioni tanto elementari?
“In ogni caso, nei giardini del Tempio girano troppi idioti. Non voglio i loro occhi su di noi,” concluse Tobio superandolo.
Shouyou sbuffò. “Non andrai molto lontano con questo atteggiamento, lo sai?”
Il giovane Maestro lo guardò con un ghigno perfido. “Se ti senti più a tuo agio ad allenarti sotto gli occhi di Cavaliere esperti e Padawan molto più preparati di te che se la ridono ad ogni passo falso che fai, possiamo anche tornare indietro.”
Shouyou sgranò gli occhi, le guance rosse. Gli era venuto il mal di pancia al solo pensiero. “No, no, no. Il lago va benissimo! È a solo mezz’ora di cammino e passeggiare fa bene!”
Tobio sbuffò e riprese a camminare. “Hai più parlato con nessuno del tuo addestramento?” Domandò curioso. Il Padawan sospirò malinconico. “Non ho più parlato con nessuno e basta.”
Arrivati sulla riva del lago, Tobio si fermò e lo guardò. “Ti da fastidio stare da solo?”
Shouyou scrollò le spalle. “Sto tutto il giorno con te, immagino mi possa accontentare.”
Tobio fece una smorfia a quella risposta: aveva la netta sensazione di essere stato insultato ma non direttamente. “Comunque, se Kei dovesse venire di nuovo ad importunarti...”
“Gli caverò gli occhi!” Esclamò Shouyou con sicurezza. “Ho la netta sensazione che senza occhiali sia cieco come una talpa! A quel punto, dovrebbe essere facile... Ahi!” Il Maestro gli aveva dato un pugno in testa.
“Non puoi metterti a fare risse con gli altri Padawan, stupido!” Esclamò Tobio. “Non farmi vergognare. Ci sono delle regole qui e devi rispettarle.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Ho come la sensazione che tu non sia la persona più adatta a dirmi cose del genere...”
Tobio cercò di colpirlo di nuovo ma Shouyou fu più veloce e lo schivò. “Dannato nanerottolo!” Sibilò il Cavaliere Jedi attivando la spada laser. Il Padawan fissò la luce blu con gli occhi sbarrati e fece appena in tempo a stringere in pugno la propria arma per parare il colpo. Si fecero immobili. “Che cosa ti prende?” Domandò Shouyou con rabbia. “Hai appena detto che le risse sono vietate!”
“Questa non è una rissa,” rispose Tobio affondando un colpo basso che Shouyou parò meravigliosamente pur senza smettere di guardarlo negli occhi. “Questo sono io che, in quanto Maestro, rimetto al suo posto il mio Padawan dalla lingua troppo lunga!”
Un attacco dall’alto e Shouyou si difese egregiamente anche da quello e fece un salto indietro. “Questo è abuso di potere!” Esclamò. “Tiranno!” Si pentì di averlo chiamato così, se ne pentì nel momento in cui Tobio si bloccò ed i suoi occhi blu si accesero di una luce oscura, pericolosa.
“Tobio, mi disp...”
“Se pensi di essere migliore di me, allora prova a superarmi!”
Per poco non lo colpì.
“Aspetta! Tobio, aspetta!”
“È facile incolpare me della vostra debolezza, vero? Codardi!”
Un altro affondo, più violento degli altri e Shouyou riuscì ad evitarlo solo scansandosi. “Non volevo, scus... Ah!” Si strinse la mano destra contro il petto coprendola con la mancina. Bruciava. Bruciava terribilmente e non aveva il coraggio di abbassare gli occhi per valutare il danno. Sollevò gli occhi pieni di lacrime e vide il terrore in quelli blu di Tobio. Il laser blu scomparve ed il giovane Maestro esaurì velocemente la distanza tra sé ed il suo allievo. “Fammi vedere...”
Shouyou si ritrasse spaventato. “Non mi toccare,” le lacrime cominciarono a rigargli le guance. “Stammi lontano...”
Tobio sbuffò. “Shouyou, mi dispiace, vieni qui...”
Shouyou scosse la testa, indietreggiò ancora ed inciampò sui suoi stessi piedi. “Hanno ragione loro!” Urlò. “Hanno ragione a chiamarti tiranno! Sei bravo a guardare di fronte a te per ottenere l’obbiettivo che ti sei prefissato ma non ti volti a vedere a che prezzo, vero? Non riesci nemmeno a guardarti dentro...”
Tobio strinse le labbra: non era per Shouyou la rabbia che provava, il ragazzino aveva solo avuto la sfortuna di essergli davanti nel momento meno propizio. Era bastato che il suo Padawan gli mancasse di rispetto come era solito fare per fargli perdere il controllo. Sollevò il palmo della mano destra di fronte al suo viso e lo esaminò come se avesse qualcosa che non andava: la rabbia gli aveva dato tanto alla testa che le sue dita tremavano.
Strinse il pugno, affondò i denti nel labbro inferiore e diede un calcio al terreno.
Shouyou non singhiozzava più ma si guardò bene dal muoversi.
“Perdonami,” disse Tobio a mezza voce dandogli le spalle. “Quella rabbia non era per te e non avrei dovuto rigettartela contro.”
Shouyou tirò su col naso. “Lo avevo capito...”
Tobio si voltò, poggiò un ginocchio a terra e gli porse una mano. “Fammi vedere.”
Shouyou portò in avanti le dita ferite guardandole col timore di trovare qualche pezzo mancante. Tutto, però, sembrava al suo posto e nemmeno la bruciatura sulle sue nocche sembrava essere così grave. “Torniamo a casa, ti medico io,” disse Tobio.
“Non è così urgente...” Replicò Shouyou con orgoglio sottraendo la mano all’analisi di quegli occhi blu.
“Piangevi come una femminuccia, poco fa,” gli fece notare Tobio irritato.
“Pensavo mi avessi amputato le dita!” Esclamò Shouyou con rabbia.
Tobio gli rivolse una smorfia maligna. “Quando voglio amputare qualcosa, punto al braccio.”
Shouyou ingoiò a vuoto e cercò di cambiare argomento. “È successo qualcosa nella stanza del Consiglio, questa mattina?” Domandò con sincera curiosità.
“Perché me lo chiedi?” Tobio vide la spada laser del Padawan giacere sull’erba a poco meno di un metro di distanza da loro. Si sporse in avanti, la raccolse e la consegnò al legittimo proprietario.
“Eri di cattivo umore quando sei uscito di lì,” rispose Shouyou agganciando l’arma alla sua cintura. “Voglio dire... Sei perennemente di cattivo umore e continuerai ad esserlo fino a che sorgerà il sole...”
“Ehi...”
“Ma non mi hai mai trattato così,” concluse Shouyou mettendosi a sedere a gambe incrociate sull’erba. “C’è qualcosa che non va?”
“T’interessa?” Domandò Tobio scocciato sedendosi in modo da avere di fronte il lago.
“No,” ammise l’altro con un broncio. “Per il modo in cui mi tratti, non ti meriteresti una parola gentile nemmeno se scoppiassi in lacrime davanti a me.”
“Come se fossi tanto idiota da umiliarmi in un modo simile!” Replicò Tobio con orgoglio.
“Ma sei tutto quello che ho,” aggiunse Shouyou con tono notevolmente più gentile.
Gli occhi blu esitarono sulla superficie quasi immobile del lago per un istante di troppo, come se Tobio non lo avesse udito affatto, poi incrociarono quelli d’ambra del ragazzino al suo fianco. Chiedevano una spiegazione quegli occhi dello stesso colore della notte e Shouyou si ritrovò ad umettarsi le labbra in difficoltà. “Non ho amici qui...”
“Ti sembro un tuo amico?”
“No, se il mio Maestro.”
Tobio annuì. “Bene, cominciano a comprendere i confini della nostra relazione...”
“Ma sei il solo che conosco in questo mondo,” continuò Shouyou. “Koushi e Daichi se ne sono andati e, per quanto la loro presenza fosse di gran lunga più gradevole della tua, mi hanno messo nelle tue mani. Io non so niente di questa storia del tiranno, del Re dei Jedi, del perché ti odino tutti o della ragione per cui il consiglio non ti ritiene degno del titolo che porti...”
Tobio fece una smorfia e sentì un familiare prurito alle mani. “Che riassunto illuminante...” Commentò con sarcasmo.
“Tuttavia, non posso che fidarmi di te,” disse Shouyou con una solennità che Tobio cercò di sminuire ma non ci riuscì. “Solo tu puoi rendermi un Jedi... Sì, te lo hanno obbligato ma... Nessuno si sarebbe presentato volontariamente per la mia causa, quindi... Immagino che siamo in questo in due ed è sempre meglio di niente.”
Tobio non rispose, rimase a fissare quello strano ragazzino dai riflessi paurosi e la determinazione quasi disumana chiedendosi se, effettivamente, Midichlorian o meno, potesse essere in qualche modo differente rispetto ai ragazzi che erano cresciuti con lui ma a cui non riusciva a dare alcun valore oltre a quello mediocre che dimostravano sul campo di battaglia. Fece per dire qualcosa...
“D’altra parte, io sono tutto ciò che hai!” Esclamò Shouyou con un’espressione saputa che chiedeva di essere cancellata a suon di schiaffi. “Se non ti dimostri capace di farmi da Maestro, il Consiglio ti etichetterà come indegno a vita. Della tua situazione sociale è meglio non parlare e dove lo trovi un altro che non ti abbandona a te stesso dopo la prima giornata storta? E, con te, tutte le giornate lo sono, inoltre...”
Tobio sollevò il pugno e fu sul punto di farlo atterrare su quella boccuccia troppo abituata a parlare, quando qualcosa di grosso fendette l’aria con tata violenza da far ricadere Shouyou sulla schiena e lui sopra. Tobio non ebbe il tempo di sollevarsi sulle braccia che ad un enorme tonfo seguì un boato, la terra tremò ed una gran quantità d’acqua piovve sulle loro teste.
Shouyou era rimasto immobile sotto di lui, le piccole mani artigliate alla sua casacca. Tossì a causa dell’acqua che aveva bevuto involontariamente. “Che cosa è stato?”
“Non lo so...” Mormorò Tobio distrattamente tirandosi in piedi, gli occhi fissi sul centro del lago. Impiegò qualche istante per riconoscere la sagoma di una navicella spaziale nel bel mezzo dell’acqua: stava per affondare.
Shouyou scattò in piedi. “Ci sarà qualcuno a bordo?”
“Certo, idiota, non volava mica da sola!” Sbottò Tobio fissando la navicella che affondava lentamente cercando d’indovinarne la forma, il peso. Storse la bocca: avrebbe agito d’istinto. Sollevò una mano, poi qualcosa lo colpì in viso oscurandogli la vista. Se ne liberò e la guardò con astio: era la casacca del piccolo idiota. Lo cercò con lo sguardo e si accorse che si stava liberando di tutti i vestiti. “Che diavolo fai?” Domandò Tobio con un cipiglio.
“Vado a salvarli prima che anneghino!” Esclamò Shouyou liberandosi degli stivali.
Tobio alzò gli occhi al cielo, gli tirò la casacca e lo fece cadere nell’acqua bassa.
“Sei impazzito?” Urlò Shouyou. “Stanno morendo delle persone...” Sollevò l’indice per indicare la navicella ma rimase con il braccio sospeso a mezz’aria e gli occhi sgranati rivolti al centro del lago. La sagoma della navicella riemerse dall’acqua lentamente, come sollevata da enorme braccio invisibile. Shouyou cercò lo sguardo di Tobio e lo trovò rivolto al mezzo spaziale, la mano destra sollevata di fronte al suo viso, il palmo aperto.
Shouyou dischiuse le labbra ma non riuscì a dire nulla.
Tutto quello che riuscì a fare fu restare a guardare mentre la navicella restava sospesa sull’acqua per alcuni istanti, per poi levitare fino alla terra ferma, a pochi metri da loro.
Shouyou si rivestì, s’infilò gli stivali e si avvicinò al suo Maestro lentamente. Tobio rilassò il braccio lungo il fianco e prese un respiro, come dopo una lunga corsa.
“Non è possibile,” commentò Shouyou fissano la navicella spaziale come se fosse una creatura sconosciuta.
Tobio lo guardò divertito. “Già, dicono tutti così...”
 
 
***
 
 
Yui non apparteneva all’ordine dei Jedi come Kiyoko e non era erede di una famiglia della nobiltà di Karasuno. No, Yui era semplicemente una figlia di domestici che aveva avuto la fortuna di crescere accanto alla primogenita dei signori, divenuta poi una personalità di spicco nella Repubblica.
Yui era divenuta la dama di compagnia della Principessa e, in assenza di Kiyoko, si prendeva cura della Principessa minore, la piccola Hitoka. Non era una ragazza con particolari talenti o dalla personalità brillante. Tooru a stento si ricordava di lei quando ripensava alla sua infanzia ma Yui sembrava ricordarsi molto bene di lui. “Puoi farmi quello che vuoi. Non ti dirò niente,” era determinata, sebbene piangesse.
Tooru rise. “Yui, sei comodamente seduta in uno dei salotti del palazzo. Ci siamo limitati a chiuderti a chiave nella tua stanza e nemmeno troppo bene, a giudicare dalla fuga della ragazzina. Evita di fare scenate come se ti avessimo torturata per tutta la notte.”
Yui si umettò le labbra. “Che cosa hai fatto a Daichi e agli altri?”
Il Re dei Sith reclinò la testa da un lato con un sorriso divertito. “Daichi e gli altri, eh?” Rise di nuovo. “Daichi... È ancora il più importante per te, vero?”
Le guance di Yui si colorarono appena ed abbassò lo sguardo.
“Lascia perdere, non ti amerà mai...”
Gli occhi scuri si sollevarono di nuovo sul viso del Sith ma Tooru non aveva pronunciato parola.
”È inutile mentire, Yui, posso vedere nella tua testa con la stessa naturalezza con cui ti guardo negli occhi.”
Le lacrime scesero più copiose sul viso di lei. “Non ti dirò niente,” disse con fermezza. “Assolutamente niente...”
Tooru smise di sorridere e la fissò con sguardo penetrante, come se potesse vedere attraverso la sua pelle. Yui girò il viso di lato cercando di sfuggire a quegli occhi dorati ma il lieve dolore che avvertiva alla testa le suggerì che non doveva riuscirle molto bene.
”Deve essere una tortura, vero? Guardare negli occhi dell’uomo che ami e sapere che lui non ti vedrà mai perché il suo cuore appartiene già a qualcun altro.”
Yui strinse gli occhi. “Smettila, non otterrai nulla da me!”
”Quante notti sei rimasta sveglia a pensare a lui, a come passava le ore che precedevano il mattino... Vuoi che ti risponda, Yui? Io lo so...”
“No!” Singhiozzò lei. “Basta! Basta! Non ti dirò mai dove si trova Hitoka!”
Tooru fece un passo indietro e Yui sentì il male alla testa sparire di colpo.
“Lo hai già fatto,” la informò il Re dei Sith.
La giovane dama lo guardò terrorizzata, confusa dalle sue parole.
“Lascia che ti ringrazi,” disse Tooru con un sorriso quasi gentile. “Non per la tua confessione, non sei responsabile di quella, non temere... Grazie per aver mandato la piccola Principessa a Seijou. Sono certo che i vecchi del Consiglio non tarderanno a mandare i loro Cavalieri Jedi migliore per venirvi a salvare, ora.”
 
 
***
 
 
Quando il Maestro Keishin Ukai vide quei due ragazzini correre nella sua direzione sbracciando e sbraitando, la prima cosa che gli venne da fare fu alzare gli occhi al cielo, gettare l’ultima sigaretta della sua scorta a terra ed interrogare la Forza sul perché di tanta sfortuna prima dell’ora di pranzo.
Solo dopo, quando si accorse di quello che il giovane Tobio stringeva tra le braccia, si fece serio.
“Ittetsu!”
 
 
 
Shouyou si era spostato in un angolo della camera non appena Tobio aveva depositato la fanciulla sul grande letto al centro della stanza. Vide Hajime appoggiargli una mano sulla spalla e rivolgergli poche parole a bassa voce. Tobio annuì e poi lo raggiunse. Shouyou lo guardò ma il suo Maestro continuò a tenere lo sguardo incollato alla piccola figura sul letto.
“Hitoka...”
Shouyou riportò gli occhi d’ambra sulla fanciulla a sua volta. Non aveva mai perso i sensi ma non era riuscita a pronunciar parola. Ora, i membri del Consiglio ed alcuni Cavalieri, si erano stretti intorno alla ragazzina dall’aspetto terribilmente gracile. Il Maestro Ittetsu le stringeva la mano e le parlava lentamente, con un sorriso. “Hitoka...” Ripeté.
La conoscevano, eppure Tobio non aveva avuto la minima idea di chi fosse.
Gli occhi scuri della fanciulla si spostarono sul viso dell’uomo al suo fianco ed il Maestro Ittetsu continuò. “Siamo lieti di sapere che sei sana e salva,” le disse. “So che sei stanca, mia Principessa...”
Shouyou sgranò gli occhi e guardò Tobio ma il suo Maestro lo guardò storto. Fece una smorfia e rimase in silenzio.
“Ma abbiamo bisogno che tu ci dia delle informazioni.”
Shouyou vide il Maestro Keishin avvicinarsi al letto: aiutò la fanciulla a sollevare la testa e bere un po’ d’acqua da un bicchiere. Lei la finì quasi tutta, poi si fece forza e si sedette contro i cuscini del grande letto. “Avete notizie di mia sorella?” Domandò con voce tremante e gli occhi pieni di lacrime.
Shouyou si dispiaceva per lei, per dover subire un interrogatorio dopo aver passato sicuramente qualcosa di brutto ma, da quel che aveva capito, doveva provenire dallo stesso pianeta in cui erano stati mandati Koushi e Daichi prima di scomparire e doveva ammettere che lui stesso aveva una certa urgenza di sapere cosa fosse successo lì.
Vide Hajime voltarsi verso Tobio ma Shouyou si accorse che il suo giovane Maestro non aveva nemmeno cambiato espressione.
“Non è stata Kiyoko a farti fuggire?” Domandò Ittetsu.
Hitoka scosse la testa. “Di mia sorella so che è prigioniera al Tempio Jedi insieme ai bambini. È stata la sua dama di compagnia a trovare il modo di allontanarmi da Karasuno.”
Il vecchio Ukai fece un passo in avanti. “Chi ha attaccato Karasuno, Principessa?”
Gli occhi verdi di Hajime erano ancora su Tobio.
Hitoka artigliò la stoffa dell’abitino che indossava, abbassò gli occhi e lasciò andare un singhiozzo.
Ittetsu le portò una mano al viso. “Non devi raccontarci nessun dettaglio,” la rassicurò. “Ci basta un nome, se ne hai uno.”
Hitoka ingoiò a vuoto, poi sollevò gli occhi sul vecchio Ukai, sebbene qualche lacrima fosse già fuggita al suo controllo. “Il Re...” Mormorò spaventata. “Il Re dei Sith.” Scoppiò a piangere ed Ittetsu si sedette sul letto per prenderla tra le braccia e consolarla.
Shouyou vide Hajime sgranare gli occhi e stringere i pugni, poi si allontanò di colpo dal gruppo. Lo sguardo del vecchio Ukai fu immediatamente su di lui ma non pronunciò una parola. “Maestro...” Mormorò Tobio come l’altro Cavaliere gli passò accanto. Hajime non lo degnò di uno sguardo ed uscì dalla camera. Shouyou guardò Tobio allontanarsi da lui per seguirlo.
Lanciò un’altra occhiata al letto: nessuno sembrava aver dato conto alla sua presenza fin dal principio. Uscì dalla stanza a sua volta.
 
 
***
 
 
 
”Questa è la mia ultima lezione per te, Tooru.”
Tremava da capo a piedi, eppure aveva freddo.
“Avanti, sai quello che devi fare...”
No, non lo sapeva. Non sapeva perché aveva tanta paura, non sapeva perché le lacrime gli rigavano le guance e non sapeva perché l’ultima persona che avrebbe mai voluto veder soffrire fosse in ginocchio davanti a lui, alla portata della sua spada.
“Avanti... Pensavo volessi essere il più forte.”
Addosso aveva i segni di chi era stato torturato per ore. Li conosceva bene perché li aveva portati sulla sua stessa pelle ma vedere l’altro ridotto in quello stato era ancor peggio di tutto quello che aveva già subito.
“No... No...” Mormorò tremante. “È sbagliato. È tutto sbagliato.”
“Dubiti del tuo Maestro, Tooru?”
“Non si può trattare di lui!”
Ma la cosa peggiore erano quegli occhi verdi.
“Che cosa stai aspettando? Uccidilo! Uccidilo, Tooru!”

 
 
Il Re dei Sith si svegliò di soprassalto, gli occhi sgranati, il cuore in gola. Il suo corpo era completamente avvolto nel calore e si rese conto di essersi addormentato nella vasca da bagno.
“Tooru...” Chiamò una voce calda, sebbene monocorde, accanto al suo orecchio. Tooru sbattè le palpebre un paio di volte e cercò di schiarire la mente. L’incubo era finito, erano su Karasuno e tutto andava bene. Wakatoshi gli aveva preparato un bagno caldo e Tooru lo aveva invitato a dividerlo con lui con un sorriso tentatore. Tutte i suoi intenti maliziosi, però, si erano infranti contro il muro della sua stanchezza ed il Signore Supremo lo aveva lasciato riposare vegliando il suo sonno.
L’acqua era ancora calda, quindi non doveva essere passato molto tempo.
“Va tutto bene?” Domandò Wakatoshi baciandogli una spalla. “Un altro incubo?”
Tooru prese un respiro profondo e si rilassò contro il suo petto. “Non è niente.”
“Quello che ho sentito non era niente,” insistette Wakatoshi sebbene non ci fosse pressione nella sua voce. Tooru rivolse gli occhi dorati alle finestre e, oltre, verso il cielo stellato. “Ho sognato del giorno in cui ho disubbidito al Maestro.”
Non percepì neanche un poco di turbamento nel giovane uomo alle sue spalle. “Perché continui a pensarci?”
“Non ho mai compreso perché mi ha dato quell’ordine,” ammise Tooru. “Continuo a credere che per essere il più potente dovrei sconfiggere te,” sollevò gli occhi dorati sul suo amante ma non c’era rancore nel suo sguardo.
Wakatoshi gli passò una mano tra i capelli e Tooru si rilassò completamente contro di lui. “Era il suo ultimo esame,” disse. “La tua iniziazione al Lato Oscuro.”
“Lato Oscuro...” Tooru ridacchiò. “Siamo i suoi eredi e non siamo nemmeno il riflesso di quello che era lui.”
“Ai Jedi non importa...”
“E dovrebbe importargli, invece!” Esclamò Tooru con rabbia. “Se fossimo come era lui, tutti i bambini a quel tempio sarebbero già morti massacrati.”
Wakatoshi lo allontanò un poco da sé e quando tornò a toccarlo fu per insaponargli i capelli. “Ti chiamano Re, Tooru. È un titolo che parla più di quanto credi.”
“Io voglio solo che tutto questo dolore finisca,” replicò Tooru chiudendo gli occhi e lasciandosi andare tra quelle mani calde. “L’universo grida e non era il nostro Maestro ad esserne la sola causa.”
“Lo so, la Repubblica ne è responsabile allo stesso modo.”
“La Repubblica, i Jedi... Proteggono solo i loro interessi. Non c’è nessuna perfezione, nessun equilibrio. Io e te eravamo soltanto due armi più potenti delle altre nelle loro mani contro un male che abbiamo sconfitto ma, non avendolo fatto in nome loro, siamo stati immediatamente additati come il nuovo nemico.”
“Hai fatto quello che potevi, Tooru.”
“Non volevo un’altra guerra...”
Wakatoshi lo spinse a reclinare la testa all’indietro e lavò via il sapone dai suoi capelli stando attento a non farglielo finire negli occhi. “Lato Oscuro...” Mormorò di nuovo Tooru appoggiando la nuca contro la spalla del Signore Supremo. “Che luce c’è nel vivere negando a se stessi ogni emozione?”
 
 
 
***
 
 
Shouyou non aveva avuto problemi a stare al passo di Tobio. L’altro, probabilmente, non si era nemmeno accorto di essere seguito mentre correva dietro al proprio Maestro. Il giovane Cavaliere aveva invocato il suo nome più volte ma non c’era stato niente da fare, Hajime non si era fermato. Shouyou aveva fermato la sua marcia non appena lo aveva visto entrare nel salone dei duelli dove era cominciato il suo addestramento preliminare. Tobio entrò a sua volta senza chiedere il permesso e, per diversi minuti, tutto quello che il Padawan riuscì ad udire fu il più completo silenzio.
Quando la porta si riaprì, Shouyou sobbalzò.
Tobio riemerse dalla stanza lentamente, le spalle curve, lo sguardo basso.
Il giovane Padawan udì chiaramente dall’interno il rumore dei droidi d’addestramento che sparavano colpi a raffica ed il lieve vibrare di una spada laser che li evitava. “Che cosa è successo?” Domandò spontaneamente.
“Non sono affari tuoi,” rispose Tobio con tono gelido superandolo.
Shouyou gli fu dietro immediatamente. “Chi è questo Re dei Sith? Perché spaventa tutti così tanto?”
Tobio lo guardò con rabbia cocente. “Ti ho detto che non sono affari tuoi!” Tuonò.
Bene, pensò il giovane Maestro, aveva agito di nuovo d’impulso. Aveva esternato il peggio di sé e lo aveva fatto con la persona che avrebbe dovuto provare al Consiglio che era degno di essere un Cavaliere Jedi. Inoltre, come se non bastasse, lo aveva fatto per ben due volte nella stessa giornata rischiando anche di amputargli una mano nel processo.
Il viso di Tobio si fece di pietra ma era inutile chiedere scusa, era inutile fingere che avesse imparato dai suoi errori. Non che avesse molto da perdere, ormai. Hajime soffriva ma non lo riteneva degno di condividere quel dolore con lui. Koushi e Daichi e molte altre persone a cui doveva tutta la sua vita erano nelle mani del Signore dei Sith più pericoloso della galassia, forse più del Signore Supremo stesso e lui, pur avendo il potere e le capacità di fare qualcosa per loro, veniva messo da parte perché non ritenuto un Jedi all’altezza del suo nome.
Nessuno gli diceva niente. Nessuno aveva più fiducia in lui.
Che Shouyou si voltasse e andasse da qualche superiore ad etichettarlo come tiranno... Non sarebbe stato il primo, nè l’ultimo.
Shouyou, però, non si mosse. Lo guardò con rabbia, sì. Lo guardò come se avesse voluto prenderlo a pugni ma il buon senso gli impedisse di farlo. “È per questo che sei arrabbiato, quindi,” concluse. “Anche questa mattina lo eri. Hai paura, non è vero?”
Tobio inarcò le sopracciglia fino a quanto gli fu fisicamente possibile. “Che hai detto, idiota?”
“Hai paura perché le persone a cui tieni o soffrono o sono in pericolo e sei arrabbiato con te stesso perché non hai idea di come fare per rimediare a tutto questo... E anche se l’avessi, te lo impedirebbero.”
Tobio si avvicinò e lo guardò dall’alto al basso con fare minaccioso. Shouyou si fece piccolo piccolo ma non abbassò comunque lo sguardo.
“Mi stai leggendo nella mente, per caso?” Domandò il giovane Maestro.
Shouyou lo guardò come se avesse detto la più grande assurdità della storia, poi i suoi occhi divennero e grandi e brillanti di aspettativa. “I Jedi possono leggere nella mente?” Domandò emozionatissimo. “Insegnami! Insegnami!”
Tobio fece una smorfia scocciata, poi lo mandò al diavolo con un gesto della mano. “Idiota...” Sibilò riprendendo a camminare lungo il corridoio.
“E come funziona?” Continuò imperterrito Shouyou affiancandolo. “È a comando o, è come quando sentiamo la Forza, succede e basta ad un certo punto? Oh... Ma in caso sarebbe terribilmente scomodo! Avrei i pensieri di tutti in testa!”
“Almeno la useresti...” Borbottò Tobio.
“Parla per te, stupido!”
“Non insultare un tuo superiore, idiota!” Tobio tentò di colpirlo in testa, Shouyou fu più veloce e lo evitò, poi prese a correre lungo il corridoio. “Chi arriva ultimo al fiumiciattolo nei giardini è un perdente irrecuperabile!”
“Non vale, sei partito in vantaggio!” Sbottò Tobio ma gli corse dietro comunque.
Non diedero peso a dove si trovavano. Rischiarono d’investire qualcuno almeno una dozzina di volte lungo la strada e qualcuno urlò loro dietro di camminare in modo civile. Shouyou e Tobio, però, erano sordi a qualsiasi cosa che non fosse il rumore dei passi dell’altro.
Non correvano guardando avanti a loro ma fissandosi in cagnesco.
Furono all’esterno prima ancora che potessero rendersene conto e si buttarono in mezzo ad un gruppo di Padawan in pieno allenamento. Decine e decine di occhi li fissarono confusi, allibiti o derisori. Non si curarono nemmeno di quello.
Ad un certo punto, Tobio credette di udire un’esclamazione scandalizzata di Yuutaro seguita da un commento sarcastico e derisorio di Kei. Non si voltò per controllare e per mettere entrambi gli idioti al loro posto con un’occhiata delle sue: non poteva permettersi di perdere terreno, non quando quel piccolo stupido sembrava essere l’incarnazione della velocità stessa. Maledetto!
Doveva vincere! Doveva vincere! Doveva vincere!
I polmoni gli esplodevano, le gambe andavano da sole e, se un albero fosse finito sulla sua strada, vi si sarebbe schiantato addosso ma non poteva staccare gli occhi da quelli di Shouyou. Non poteva ritirarsi da quella gara di sguardi che sembrava essere più intensa della corsa che stava spezzando il respiro ad entrambi.
Fu un attimo.
Ad un certo punto, Shouyou scomparve dal suo campo visivo improvvisamente e Tobio non ebbe il tempo di fermarsi e controllare che cosa gli fosse successo che sentì gli stivali bagnarsi. Si bloccò di colpo ed abbassò gli occhi blu sull’acqua cristallina del ruscello che Shouyou aveva scelto come loro traguardo. Respirava tanto velocemente che non era certo che il cuore gli sarebbe stato dietro ma non gli importò. Una soddisfazione dalla natura infantile ma totalizzante fece sollevare gli angoli della sua bocca.
Si voltò. Shouyou era inciampato ad un paio di metri di distanza e si stava mettendo a sedere sull’erba massaggiandosi il naso.
Gli occhi d’ambra incrociarono quelli blu ed il sorriso di Tobio si fece più grande. “Ho vinto!” Esclamò come se fosse un trionfo di proporzioni epiche. “Ho vinto io!”
Shouyou, però, non gli concesse la soddisfazione di un’espressione frustrata. Al contrario, rise.
Rise e Tobio restò a fissarlo come se fosse del tutto folle.
“Beh...” Shouyou scrollò le spalle. “Almeno hai sorriso!”
E, di colpo, il Cavaliere Jedi non si sentì più tanto vittorioso.
Si passò una mano tra i capelli corvini sudati per la lunga corsa, poi si liberò della casacca e la gettò addosso al Padawan. “In piedi! Duelliamo e se questa volta non ti difendi come si deve ti amputo una mano per davvero!”
Non si fermò a riflettere su quanto il suo cuore fosse improvvisamente più leggero.
 
 
***
 
 
Yuu era insolitamente silenzioso.
“Non posso credere che ci siamo fatti mettere in gabbia!” Continuava ad esclamare Ryuu vagando per la cella come se fosse troppo stretta per tutti e due. “Noi siamo le più grandi leggende viventi della galassia! Siamo stati i Jedi della Tobio-Starship, per la miseria!”
Yuu se ne stava con lo sguardo basso, una spalla appoggiata al muro come se fosse l’unica cosa in grado di sorreggerlo.
“Per non parlare di Kiyoko!” Ryuu cadde in ginocchio. Erano sempre stati bravi a mettere insieme scene melodrammatiche lui e Yuu ma questa volta non c’era niente di esagerato nei loro gesti. Era reale la frustrazione sul viso di Ryuu.
Yuu lo guardò dispiaciuto ma non disse nulla, doveva ancora convincere se stesso che sarebbe andato tutto bene e poi, forse, sarebbe riuscito a riaccendere un po’ di sicurezza anche nel suo migliore amico. Erano sempre stati un due irriducibili del gruppo, loro due.
Daichi, alle volte, li rimproverava per essere troppo vivaci, al punto da sembrare sciocchi agli occhi degli altri ma, in verità, non faceva mai piacere a nessuno quando erano seri. Se nemmeno loro riuscivano a trovare la forza di essere ottimisti in una situazione difficile, allora c’era davvero da preoccuparsi.
Non sapevano cosa fosse successo al Tempio. Non sapevano se Kiyoko stesse bene, non sapevano cosa volevano farne dei bambini. Se la Principessa era ancora con loro, sicuramente sarebbe stata pronta a sacrificare se stessa per proteggergli e questo pensiero bastava a bloccarli per la disperazione. Erano sconfitti, impotenti.
La notte in cui li avevano sorpresi, li avevano rassicurati che non avevano l’ordine di ucciderli.
Daichi non aveva ascoltato, ovviamente ed Asahi gli era andato dietro per concedere a tutti loro la possibilità di mettersi in salvo. Ci sarebbero riusciti se avessero avuto a che fare solo con dei comuni soldati ma, dopo, avvolti nei loro vestiti neri come il lato della Forza a cui appartenevano, erano comparsi i Sith e non c’era stato nulla da fare.
Daichi era caduto a terra per primo e Yuu si era sentito morire quando Asahi era andato incontro allo stesso destino. Aveva urlato, aveva chiamato il suo nome ma non era servito a niente. Avevano dovuto colpirlo alla testa per farlo stare fermo.
Quando si era risvegliato, lui e Ryuu erano già all’interno di quella cella e nessuno sembrava preoccuparsi di dar loro notizie su quello che stava succedendo. Davano loro cibo, li tenevano in vita e si assicuravano che non provassero a fare qualcosa di stupido ma non rispondevano a nessuna delle loro domande.
L’unica speranza che Yuu era riuscito a trovare in quella situazione era stata la Forza a concedergliela.
“Yuu...”
Yuu tornò a guardare il suo migliore amico ma non allontanò la tempia dal muro freddo.
“Che cosa stai facendo?” Domandò Ryuu col tono più demoralizzato che gli avesse mai sentito usare.
Yuu accennò una smorfia simile ad un sorriso. “Sto ascoltando...”
 
 
 
Nella cella accanto, al di là del muro da cui Yuu non sembrava volersi allontanare per nessuna ragione al mondo, Asahi sedeva a terra e percepiva la Forza del suo compagno esattamente come lui faceva con la sua. Era l’unico modo in cui potessero toccarsi, rassicurandosi l’un l’altro che stavano bene, che potevano ancora combattere.
“È Yuu?”
Asahi sollevò gli occhi. Daichi era seduto nella sua stessa identica posizione dal lato opposto della cella. “Sì...” Rispose accennando un sorriso.
Daichi accennò un sorriso. “Anche io cerco di sentire Koushi continuamente, credo che versi in una situazione migliore della nostra...”
“Ne sono lieto,” Asahi lo fissò preoccupato. “Come va la ferita?”
L’altro continuò a sorridere ed abbassò lo sguardo sulla fasciatura visibile attraverso la scollatura della casacca. “Hanno fatto un buon lavoro nel medicarla...”
“Tooru era rabbioso quando ha scoperto che ti avevano colpito al petto,” disse Asahi. “Ero ferito, mi hanno medicato ma non ho mai perso i sensi.”
Daichi fece una smorfia. “Tooru va altro le mie capacità di comprensione, Asahi,” confessò. “Koushi è più bravo di me in questo ma parlare con lui o con Hajime di un simile argomento non è saggio.”
“Ci pensa ancora, vero?” Domandò Asahi. “Hajime, intendo...”
Daichi sospirò profondamente. “Non posso biasimarlo...”
“No, certo.”
“Credo che parli con Koushi più di quanto parli con me ma penso che tutte le volte che le loro strade si sono incrociate nel corso dell’ultimo decennio, abbiano continuato a ferirsi l’un l’altro in un modo per cui una spada laser non è necessaria.”
Asahi abbassò lo sguardo. “Io non so se ce la farei...”
“A fare cosa?” Domandò Daichi.
“Ad essere abbastanza forte per continuare a sopportare tutto questo, nonostante...” Asahi scrollò le spalle. “Non lo so nemmeno io, Daichi. Ho sempre avuto come la netta sensazione che la storia di Tooru e Hajime abbia creato una frattura in tutti noi.”
Daichi strinse le labbra. “Non saremmo mai potuto essere gli stessi dopo quello che era successo. Non avremmo mai potuto semplicemente accettare che avevamo perso Tooru e continuare a guardare con fierezza agli obbiettivi che ci eravamo prestabiliti...” Il suo sguardo s’illuminò di una luce tristissima. “Vuoi sapere come la penso veramente, Asahi?”
Il compagno gli concesse tutta la sua attenzione.
“Come ti ho già detto,” continuò Daichi. “Io credo di sapere nemmeno la metà dei dettagli di cui Koushi è a conoscenza ma, fino a prova contraria, ciò che distingue Tooru e Hajime da noi è solo la più cieca fortuna. Siamo tutti cresciuti insieme. Qualunque sentimento ci abbiano proibito di provare, abbiamo cominciato a provarlo insieme. La nostra fortuna è stata nel non essere nati con i poteri di Tooru... Tutto qui...”
Fece una pausa.
“Nessuno di noi ha mai avuto la minima idea di quello che sentisse e che conseguenze questo avesse sulle sue emozioni. Hajime è stato l’unico a provarci e credo che alla fine ci sia riuscito. A quel punto, penso che lasciarlo andare per lui fosse impossibile. Poi hanno scoperto tutto e... È successo quel che è successo.”
“A nessuno di noi sarebbe mai potuto succedere quello che è accaduto a Tooru, Daichi,” replicò Asahi.
Daichi annuì. “Sì, chiunque di noi al posto suo, sarebbe sicuramente morto.”
 
 
***
 
 
Issei e Takahiro andarono a cercare Hajime che il cielo era già scuro.
Tobio era rientrato con il suo Padawan e del suo Maestro non c’era stata traccia in giro fin dalla fine del consiglio di guerra.
Non fu una lunga ricerca: la cosa positiva dell’essere cresciuti insieme, era di conoscersi a vicenda abbastanza bene da avere un buon margine di previsione gli uni sui comportamenti degli altri. Non furono particolarmente sorpresi di vedere tutto quel caos nella sala dei duelli quando varcarono la porta. Tutti i droidi per l’addestramento giacevano a terra completamente in pezzi e la spada laser di Hajime era a terra tra i rottami come se lo fosse a sua volta.
Il Cavaliere Jedi se ne stava appoggiato al davanzale di una delle grandi finestre, lo sguardo rivolto verso l’esterno.
Issei e Takahiro si guardarono. Quest’ultimo fece un passo in avanti. “Hajime...”
L’altro si voltò e la calma sul suo viso fu peggio di ciò che rimaneva sul pavimento dell’attacco di rabbia che doveva aver sfogato. “Che cosa c’è?” Domandò con tono freddo, un poco minaccioso.
Issei incrociò le braccia contro il petto. “Il vecchio Ukai ha deciso: manderemo i soccorsi su Karasuno con l’obbiettivo di liberare il pianeta.”
Hajime strinse le labbra ed annuì. “Partiamo domani?”
“Tu non parti,” chiarì Issei.
Gli occhi verdi si fecero più taglienti di quanto già non fossero. “Come?”
“Il vecchio Ukai ha deciso così,” disse Takahiro. “Non hai ragione di essere così sorpreso, avanti...”
Hajime non replicò, si staccò dalla finestra e fece per superarli ma entrambi i compagni lo fermarono. “Non sei in grado di affrontare nessuna discussione, ora,” gli disse Issei.
“Finirai solo per cacciarti nei guai e, vista la situazione di Tobio, non puoi permettertelo.”
Hajime fece per reagire con rabbia ma quelle parole gli gelarono il sangue nelle vene. Fece un passo indietro. “Vogliono mandare Tobio?”
Entrambi i compagni aprirono bocca per poi abbassare lo sguardo.
“Non possono mandare Tobio,” replicò Hajime scuotendo appena la testa. “Lo hanno sospeso dalle missioni per il suo comportamento inappropriato.”
“Causa di forza maggiore,” disse Takahiro con sguardo grave.
“Conoscono il nemico e sanno che nessuno di noi è in grado di sconfiggerlo,” aggiunse Issei.
“Non possono mandare Tobio!” Sbottò Hajime. “Non posso permetterlo...” Raccolse la sua spada laser da terra e prese la via della porta.
“Hajime...” Tentarono di fermarlo i suoi amici ma fu del tutto inutile.
 
 
 
Il vecchio Ukai non fu affatto sorpreso di vederlo quando irruppe nella sala del Consiglio sbattendo la porta. Non c’era quasi più nessuno lì, con l’eccezione di Keishin ed Ittetsu.
Gli occhi di Hajime, però, erano puntati solo sul viso del vecchio. “Devi essere completamente pazzo...”
Keishin rivolse al nonno una smorfia. “Non posso dargli torto, vecchio.”
“Taci, moccioso,” disse Ikkei Ukai alzandosi in piedi con un sospiro stanco. “Questo tuo vizio di darmi del pazzo sta cominciando a stufarmi, Hajime.” Disse evidentemente irritato.
Hajime non si fece intimidire neanche un po’. “In che altro modo dovrei definirti, sentiamo?” Domandò con aria di sfida. “Passi che Tobio ha un carattere orribile e che non sia in grado di guidare una squadra di Padawan. Passi che tu abbia deciso di dargli un allievo per spingerlo ad essere responsabile e curarsi dei suoi sottoposti, anche se si tratta di un ragazzino che sembra essere la copia in miniatura del più grande fallimento dell’intero Ordine Jedi! Però, non puoi... Non puoi per nessuna ragione lasciare che Tobio vada a combattere questa battaglia!”
Ittetsu fece per dire qualcosa. Probabilmente, voleva portare il Cavaliere Jedi a ragionare sul perché scegliere Tobio fosse una decisione razionale dal punto di vista strategico ma, esaurito questo... Fu abbastanza umano da rimanere in silenzio.
“Conosci il nemico, Hajime,” disse Ikkei.
“Per questo dico che Tobio deve rimanere lontano da Karasuno!”
“Tobio è l’unico Jedi vivente che abbia un potere pari al suo.”
“Tobio non è un’arma, maledizione!”
“Permettigli di andare,” intervenne Keishin. “Permetti loro di andare insieme. La spada di Hajime ci ha già salvato in passato, non puoi mettere in discussione il suo potenziale.”
Hajime ci pensò. Sì, non era una soluzione ottimale ma, se non poteva tenere Tobio fuori da quella missione, poteva almeno intromettersi tra lui e quel nemico che volevano sconfiggesse.
Tooru e Tobio non dovevano incontrarsi.
Hajime non poteva permettere che accadesse una cosa del genere, non ancora.
Era troppo presto. Per Tobio, per lui, per tutti loro...
“Non ho mai dubitato della spada di Hajime,” replicò Ikkei fissandolo negli occhi come se stesse cercando di leggergli dentro. “Ma non posso fidarmi del suo cuore.”
Hajime strinse i pugni. “Che cos’altro vuoi da me, vecchio?” Domandò con rabbia. “Che altra prova vuoi che superi, maledetto?”
“Nessuna,” ammise il vecchio Ukai. “Tuttavia, non posso dimenticare come ti sei pentito immediatamente di aver superato l’ultima a cui ti abbiamo sottoposto. Come ancora continui a pentirtene...”
Hajime strinse i denti come se stesse sopportando un enorme dolore. “Vuoi che ammetta qui davanti a te che, sì, accetto di buon grado tutto ciò che c’è successo e che, se potessi tornare indietro, farei esattamente tutto quello che ho già fatto nello stesso modo e senza dubitare?” Gli occhi verdi del Jedi ardevano d’ira.
“A che servirebbe?” Domandò Ikkei. “Non sarebbe la verità...”
“Già...” Hajime annuì. “Vuoi sapere quale sarebbe la verità, Ikkei? Non c’è notte... Non c’è una singola notte in cui non mi svegli per guardare le stelle e pensare che, se fossi stato abbastanza uomo da rimettere in discussione tutto per il mio cuore, ora potrei guardarle con la mia famiglia!”
Per un attimo, un’espressione colpevole comparve sul volto del vecchio Ukai ma strinse le labbra e fu ferma la sua voce quando parlò di nuovo. “Tu resterai qui,” disse col tono di chi impartisce un ordine. “Tobio partirà non appena avremo messo insieme una strategia. Domani sarai tu ad informarlo.”
“Cosa?” Domandò Hajime incredulo.
“Il suo Padawan non è in grado di combattere, ancora,” spiegò Ikkei. “Koushi non è qui per prendersene cura e qualcuno dovrà assicurarsi che non si cacci nei guai, mentre il suo Maestro è via.”
“Mi lasciate qui per fare da balia a Shouyou?”
“Quel ragazzino è materia complicata e tu sei bravo con questo genere di cose, hai saputo dimostrarlo molto bene.”
Hajime fece un passo indietro, s’impose di essere rispettoso e, non avendo altre possibilità, tentò di nuovo con la proposta di Keishin. “Lasciatemi partire con Tobio...”
Ikkei inarcò un sopracciglio. “Non mi hai ascoltato fino ad ora, ragazzino?”
“Tobio è l’unico che possa sconfiggere il Re dei Sith, lo so,” ammise Hajime, sebbene non gli piacesse farlo. “Il suo coinvolgimento in questa missione continua a rimanere folle per me ma posso comprenderne le ragioni strategiche ma permettimi di andare con lui,” era ad un passo dall’implorare. “Tobio non può affrontare questa prova da solo!”
Ikkei, però, non si piegò nemmeno un poco. “Se non ci riuscisse,” disse. “Sarebbe solo la prova definitiva che, nonostante il suo potere, non può essere un Cavaliere Jedi.”
Hajime sgranò gli occhi, trattenne il fiato per un istante. “Volete condannarlo...”
Il vecchio Ukai non rispose.
“Maestro,” il tono del Cavaliere era cambiato drasticamente. “Ti supplico...”
Sia Ittetsu che Keishin guardarono il vecchio Ukai, il primo con espressione sinceramente dispiaciuta, il secondo come a sfidarlo a dire qualcosa di più. Ikkei non concesse attenzione a nessuno dei due. Strinse le labbra ed abbassò lo sguardo. “Domani, informa Tobio di quanto è stato deciso.”
Hajime strinse i pugni fino a ferirsi i palmi. Abbassò lo sguardo e cercò di contenere la rabbia abbastanza da impedirsi di commettere qualche sciocchezza. Si voltò lentamente ed uscì dalla stanza del Consiglio col passo di un uomo appena condannato a morte.
 
 
***
 
 
Koushi guardava le stelle del cielo di Karasuno e si chiedeva se anche Tobio stesse facendo lo stesso. Seijou era abbastanza vicina perché potessero entrambi vedere le stesse costellazioni e Koushi decise di aggrapparsi a questo per impedire alla morsa della tristezza e della solitudine di riempirgli il cuore di disperazione. Sorrise tristemente appoggiando la schiena ad una delle colonne della camera.
Quello di guardare le stelle era un gioco che Hajime aveva cominciato a fare con Tooru ma li aveva coinvolti tutti non appena Tobio era divenuto abbastanza grande da obbiettare quando qualcuno di loro veniva spedito lontano da casa per conto del Consiglio o della Repubblica stessa.
Avevano detto a Tobio che, se avesse guardato le stelle tutte le notti prima di addormentarsi, loro lo avrebbero fatto a loro volta ed allora non sarebbero più stati poi così lontani.
Tobio stava guardando le stelle come lui in quel momento?
Questo bastava a farlo sentire meno solo?
“Mi dispiace...” Koushi asciugò con le dita due lacrime sfuggite al suo controllo. “Avrei dovuto inventare una storia migliore per te...”
“Non credo se ne sia mai lamentato.”
Koushi sobbalzò, si voltò di scatto e trattenne il fiato per un istante. Le lacrime scomparvero dai suoi occhi come tutto il calore gentile del suo sguardo.
Wakatoshi lo guardava con la sua solita espressione neutrale. Sembrava ancor più alto completamente vestito di nero ma, a parte quello, era esattamente come Koushi se lo ricordava.
“Non provi rabbia neanche ora,” commentò Wakatoshi.
“No,” Koushi scosse appena la testa. “L’ho detto anche a Tooru, non provo alcuna rabbia quando vi guardo... Solo la più profonda tristezza.”
“Sei sempre stato il più gentile,” disse il Signore Supremo con la voce neutra di chi esprime un dato di fatto e nulla di più. “Eri l’orgoglio del Consiglio.”
Koushi accennò un sorriso malinconico e sarcastico al contempo. “Hanno erroneamente interpretato la mia personalità quieta come l’immagine di quell’equilibrio che dovrebbe regnare nell’animo di ogni Cavaliere Jedi.” Abbassò lo sguardo. “Ero il più insicuro ed instabile di tutti noi. Alla fine di ogni battaglia, quando disattivavo la spada laser, non potevo fare altro che piangere... Non ero quell’icona di perfezione che i nostri Maestri vedevano in me.”
L’aveva dimostrato in modo eclatante ma, a differenza di Tooru, l’aveva fatto in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse, a parte chi c’era...
“Tutti noi lo abbiamo fatto in un modo o nell’altro,” replicò Wakatoshi. “È il prezzo che pagano i Maestri che tentano di disumanizzare i propri allievi.”
Koushi non replicò. Tutti loro avevano pagato a caro prezzo la loro umanità ma due in particolare. “Tu e Tooru avete pagato molto più degli altri...”
“Se potessimo evitare di far pagare ancora lo faremmo,” disse Wakatoshi.
Koushi assottigliò appena gli occhi. “È per questo che sei venuto da me? Stai cercando di convincermi a fare qualcosa facendomi credere che sia per un bene superiore?”
“Sei sempre stato un buon ambasciatore, Koushi, non puoi negarlo questo,” disse Wakatoshi. “Sei paziente, sei un buon oratore e sai fare appello alla razionalità quando serve. Il Maestro Takeda aveva ragione ad avere molta fiducia in te.”
“Non parlerò mai in nome dei Sith,” disse Koushi con calma, quasi gentilezza, come se stesse rifiutando un’offerta educata.
“Se lo facessi, la guerra potrebbe finire,” gli fece notare Wakatoshi. “La Repubblica non rappresenta quel potere giusto e pacifico capace di portare l’equilibrio nella Forza per mezzo dei Jedi. Questa è solo un’illusione con cui siamo cresciuti e a cui il Consiglio si ostina a credere.”
“E quale potere è giusto, Wakatoshi?” Domandò Koushi. “Quello del Signore Supremo che ti ha preceduto lo era?” Strinse le labbra e ricacciò indietro le lacrime insieme alle immagini di un orrore che aveva passato anni a cercare di dimenticare. “Quanti bambini sono morti per mano sua?”
“Non mi sono mai definito suo erede,” puntualizzò l’altro. “È stata solo una vostra conclusione...”
“E cosa avremmo dovuto concludere da tutta la rabbia, la sete di potere, il bisogno di conquista?”
“Non siamo conquistatori,” replicò Wakatoshi. “Non colpiamo i civili. I nostri bersagli sono le colonne portanti della Repubblica.”
Koushi lo guardò dritto negli occhi per qualche istante di pesante silenzio. “Che cosa ci fate qui, allora?” Domandò come chi già conosce la risposta alla propria domanda. “Karasuno è un pianeta piccolo, pacifico. Kiyoko è una personalità dominante all’interno del Senato ma il suo potere effettivo non vale un intervento da parte del Re dei Sith, tantomeno del Signore Supremo in persona.”
“Sai benissimo perché siamo qui,” disse Wakatoshi come se fosse un’ovvietà. Lo era ma non tutti sapevano quanto il Signore Supremo fosse poco pratico nel comprendere i messaggi tra le righe, alle volte. Era quel genere d’ingenuità che aveva fatto dubitare i suoi vecchi compagni che potesse divenire, un giorno, il loro peggior nemico.
“Sì,” Koushi annuì. “So perché Tooru è qui e so che tu ci sei per lui.”
“E non parleresti in nome mio nemmeno per il bene di quel ragazzino?”
“Tobio non verrà mai qui. Hajime non lo permetterà.”
“Non importa cosa vuole Hajime,” disse il Signore Supremo. “Il Consiglio cerca sempre una via pratica per portare a termine i propri compiti, non si perde in riflessioni emotive. Solo uno dei vostri può sconfiggere il Re dei Sith e non si faranno perdere questa occasione ora che il loro prescelto è stato fatto Cavaliere Jedi.”
“È questo che pensa Tooru?”
“È quello che accadrà...”
“Digli che si sbaglia!” Esclamò Koushi. “Digli di rinunciare se spera che il Consiglio gli metterà tra le mani quello che desidera così facilmente! Lo conoscono, Hajime lo conosce e possono prevedere i suoi disegni!”
“È proprio questo il punto, Koushi,” disse Wakatoshi con la solita voce monocorde. “Lo sanno ma commetteranno lo stesso errore di nuovo...”
Koushi scosse la testa. “Tobio non è un’arma... Nessuno di noi lo è!”
“Hajime ci crede ancora?” Domandò Wakatoshi a bruciapelo. “Riusciresti a rivolgere a lui le stesse parole che hai appena detto a me con la stessa convinzione?”
Koushi sgranò gli occhi e non rispose. Non poteva rispondere.
Aveva poca importanza: sia che avesse negato l’evidenza, sia che fosse rimasto in silenzio, Wakatoshi aveva vinto quella battaglia verbale comunque. Abbassò lo sguardo sconfitto ed il Sith si avvicinò di un paio di passi. Koushi si fece rigido ma si costrinse a guardarlo in faccia ancora una volta.
“Non siete voi il nostro nemico,” concluse il Signore Supremo. “Combattete solo dalla parte sbagliata. So che penserai a quello che ti ho detto.”
Non attese una risposta da parte di Koushi.
Si voltò e se ne andò.
 
 
***
 
 
Una volta che quella porta si fu richiusa, Hajime non pensò ad una direzione da prendere. Furono i suoi piedi a guidarlo lungo i corridoi, giù per le scale, fino all’hangar spaziale completamente deserto. I portelloni erano stati chiusi al calar del sole come era di regola e le poche luci di servizio erano la sola cosa che gli illuminasse la strada ma Hajime non aveva bisogno che la luce lo guidasse.
La nave spaziale che cercava era nell’angolo più remoto dell’hangar, quasi dimenticata dalla nuova generazione, sebbene fosse cresciuta ascoltando le storie di cui era la protagonista. Hajime la guardò con la tristezza con cui si osserva ciò che rimane della stagione più bella della propria vita. Sollevò la mano e ne toccò la fiancata metallica. L’accarezzò con la punta delle dita, fino a premere il palmo sulla scritta che rendeva quella nave unica nel suo genere.
Tutti la conoscevano come la Tobio-Starship ma il suo nome non era scritto a caratteri cubitali in modo che tutti potessero leggerlo. Al contrario, Hajime lo aveva scritto a mano ed il risultato finale non era nulla che saltasse all’occhio per dimensioni o ottima fattura ma era qualcosa di speciale nel modo in cui solo le cose intimi possono esserlo.
Il portellone principale era rimasto aperto: non erano rari i giovani curiosi che scendevano fino a lì per vedere con i loro occhi la leggenda e camminare nelle stanze dove i loro Maestri si erano trasformati da ragazzi a uomini. Hajime, in un primo momento, ne era stato geloso: aveva costruito quella nave con le sue mani e con l’aiuto degli amici che amava come se fossero dei fratelli, l’aveva vista che era solo un progetto abbozzato su carta e, sotto i suoi occhi, aveva preso forma. Col tempo, mentre Tobio crescere occupando l’attenzione di tutti loro più che mai, aveva smesso di pensarci ma non aveva dimenticato.
Hajime non poteva dimenticare, nemmeno se avesse vissuto fino alla morte di tutte le stelle nella galassia. Si guardò intorno con un sorriso nostalgico, come se fosse tornato a casa dopo una lunghissima assenza. La stanza sua e del suo giovane Maestro era quella più vicina alla cabina di pilotaggio. Hajime l’aveva scelta per praticità e perché quella posizione gli aveva permesso di progettarla con una vetrata accanto al letto da cui si potessero vedere le lontane luci della galassia durante la navigazione.
L’aveva costruita con un significato, con un motivo...
Hajime appoggiò la fronte su quel vetro e chiuse gli occhi lasciando andare un respiro stanco. Tutto quello che poteva vedere da lì, ora, era solo la parete metallica dell’hangar. Era come se tutte quelle notti passate sveglio a contemplare l’universo e la sua immensità non fossero mai esistite.
“Pensavo ti piacesse guardare le stelle...”
“È così.”

Hajime udì nelle sue orecchie quella risata leggera come se fossero ancora lì, a quella notte.
”I tuoi occhi hanno attenzione solo per me, però!”
“È così...”

Ricordava nei dettagli l’espressione che Tooru aveva fatto allora: gli occhi scuri erano divenuti grandi, le gote si erano colorate e, per un attimo, aveva semplicemente dimostrato i suoi anni. Poi lo aveva guardato frustrato con lui e con se stesso per essere rimasto senza parole.
Hajime sollevò le palpebre. Il nodo alla gola si era fatto insopportabile, sentiva le lacrime pungere agli angoli degli occhi. Si voltò, appoggiò la schiena al vetro e vi scivolò contro, fino a ritrovarsi seduto a terra.
Pensò a Tobio.
Tobio, che aveva quattordici anni e sembrava nascondere una tempesta perenne nel cuore.
”Riesci a sentirlo?”
Hajime sentì il respiro venire meno.
”Ascolta... Non come se cercassi di udire un rumore. Prova a sentirlo... Eccolo! Lo senti?”
Le lacrime gli rigarono le guance.
”È lui... È la sua Forza che chiama la nostra...”
 
 
***
 
 
Non aveva sentito dolore quando la spada laser lo aveva trapassato.
“Tooru! Tooru, guardami!”
Avrebbe voluto farlo. Sì, non poteva negargli nulla quando chiamava il suo nome con tanta disperazione, nemmeno per orgoglio.
“Tooru, ti prego, guardami!”
Era strano sentire nella sua voce tanto dolore quando quello morente era lui.
“Resta con me,” erano ruvide quelle labbra sulla sua pelle, però erano calde. “Tooru... La vuoi smettere di morire per me, idiota! Non osare lasciarmi qui!”
Avrebbe voluto davvero rispondergli. Avrebbe voluto dirgli che lo amava, almeno un’ultima volta.
“Tooru!”
Ma era sopraggiunta prima la morte.

 
 
Il richiamo della Forza si fece assordante e lo svegliò.
Tooru si portò di colpo una mano al petto e cercò d’ingoiare aria ma un nodo gli stringeva la gola. Chiuse gli occhi e cercò di recuperare il controllo del suo cuore impazzito ma era come se fosse appena esplosa una stella dentro di lui ed un caos di emozioni gli compresse il petto fino a fargli salire le lacrime agli occhi. Appoggiò entrambi i piedi e tentò di sollevarsi, le gambe non lo ressero.
Non finì a terra.
“Tooru!” Wakatoshi lo fece sedere sul bordo del materasso sorreggendolo con entrambe le mani. “Tooru, cos’hai sentito?”
Gli occhi dorati del Re del Sith, però, erano persi nel vuoto. Wakatoshi gli afferrò il viso e lo costrinse a guardarlo. “Tooru?”
Tooru sbatté le palpebre un paio di volte, poi sospirò profondamente ed appoggiò la fronte contro la spalla del Signore Supremo. “Wakatoshi...” Mormorò.
“Che cosa ti è successo?” Domandò, sebbene non fosse la prima volta che assisteva a piccoli eventi simili. “Che cosa hai sentito?”
Tooru sollevò la testa, si guardò intorno spaesato, poi riportò lo sguardo sul viso dell’altro. “Devo andare...” Disse con un filo di voce, senza riflettere affatto sulle sue parole. Wakatoshi lo fissò e basta. “Che cosa vuoi dire?”
Tooru afferrò le mani che lo stringevano e le allontanò da sé gentilmente per potersi alzarsi. Fece di tutto per evitare che i loro sguardi s’incrociassero. “Devo andare,” ripeté con più convinzione recuperando la casacca nera e gli stivali. Wakatoshi rimase a guardarlo fino a che non ebbe finito di riallacciarsi la cintura con la spada laser alla vita.
“Tooru...” Lo richiamò pazientemente. “Ho bisogno che mi spieghi le tue intenzioni.”
Il Re dei Sith si fermò, si portò una mano al petto e strinse la casacca all’altezza del cuore. “Sta soffrendo... Sta soffrendo terribilmente, posso sentirlo.”
Wakatoshi strinse le labbra. “E dove pensi di andare?”
Tooru fece per rispondere ma si bloccò: era un’assurdità quella che avrebbe voluto fare... Questo non gli aveva impedito di farlo altre volte ma ora era una situazione completamente diversa. “Da nessuna parte...” Rispose abbassando lo sguardo. “Immagino che sia io la causa di quella sofferenza, dopotutto.”
Wakatoshi si fece più vicino. “Forse, dovresti andare a parlare con Koushi.”
Tooru lo guardò confuso. “Per quale ragione?”
“Perché hai bisogno di parlare con qualcuno e so di non esserti di alcun aiuto in queste situazioni.”
C’era solo sincerità nelle parole del Signore Supremo. Tooru strinse le labbra e gli occhi dorati si accesero un poco di rabbia. “Non mi serve la tua pietà...”
“Sono il tuo amante pur sapendo che ami un altro,” gli fece notare Wakatoshi. “Pensi che sia nella posizione di poter provare pietà per chiunque?”
Gli occhi di Tooru si fecero grandi ed abbassò lo sguardo. “Perdonami...” Disse, sebbene l’orgoglio gli dolesse. Lo superò senza guardarlo in faccia. “Wakatoshi...” Si fermò per un istante ma non si voltò. Sapeva che l’altro lo stava ascoltando. “Non ho più un cuore che tu possa conquistare o che io possa donarti ma non definirci amanti in quel modo...”
“Che modo?” Domandò Wakatoshi.
“Come se fosse qualcosa di sporco,” rispose Tooru guardandolo da sopra la sua spalla. “Siamo compagni in questa oscurità, non dimenticarlo...”
 
 
***
 
 
“È nato... Va tutto bene, è nato...”
“Tobio...”
Aveva tanto freddo, al punto da tremare.
C’era troppa luce e le voci intorno a lui sembravano urlare, sebbene sussurrassero.
“Lo senti?”
La gola ed i polmoni gli bruciavano, come se fosse l’aria stessa a ferirlo. Faceva male come cercare di respirare sott’acqua, eppure non stava annegando. Si sentì avvolgere in qualcosa di caldo. C’erano delle mani che lo toccavano. Mani gentili ma che non erano in grado di consolarlo, fino a che...
“Ciao...” Si sentì avvolgere da altro calore. “Ciao, Tobio...”
Un bacio che sapeva di benvenuto. Non c’era più nulla che lo spaventasse.
Aprì gli occhi. Non fu facile come credeva ma ci riuscì. Due iridi scure furono la prima cosa che vide, la prima immagine di quel nuovo mondo così grande e sconosciuto. Quegli occhi, però, non lo erano. Li guardava e si sentiva al sicuro, a casa...
Il giovane a cui appartenevano era bellissimo, qualcosa di molto simile alla perfezione. Gli sorrise, un sorriso brillante d’amore. “Hai il cielo negli occhi...”

 
 
Alla fine del sogno, Tobio aprì gli occhi lentamente.
Non c’era nessun nodo a stringergli la gola ed il cuore batteva regolarmente nel suo petto. Le stelle sopra di lui erano quiete, immobili, così come lo erano i suoi pensieri. Non ricordava l’ultima volta che non si era svegliato a causa di un incubo. Sentiva una tale pace dentro di sé che fu quasi sul punto di riaddormentarsi ma percepì qualcosa nella Forza, qualcosa di molto vicino a lui.
Si alzò in piedi ed uscì dalla sua camera. Lasciò che i piedi andassero da soli e lo portarono di fronte alla piccola porta accanto alla sua. Quella stanzetta era stata vuota per anni ma Tobio sapeva bene chi l’aveva occupata nelle ultime settimane. Rimase in silenzio a fissare la superficie di metallo come se potesse dare una spiegazione a quello che sentiva nel petto.
Strinse le labbra e fece un passo indietro per tornare a letto.
Non andò oltre.
Gli occhi blu tornarono sulla porta chiusa.
Decise di non bussare: lo stupido non si disturbava mai a chiedere il permesso quando irrompeva nella sua camera, dopotutto.
Come Tobio aprì la porta, la luce del corridoio illuminò il piccolo letto in quella stanza fin troppo stretta e dalle finestre troppo vicine al soffitto. Shouyou scattò a sedere, come se avesse paura che potesse fargli del male. Gli occhi d’ambra erano spalancati, terrorizzati e pieni di lacrime.
“Sono io,” si sentì in dovere di dire Tobio perché il suo Padawan lo guardava come se fosse ancora all’interno di un incubo.
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte ed una luce tenue illuminò il suo viso come le piccole spalle si rilassarono. “Tobio...”
“Che cosa ti succede?” Il Cavaliere Jedi fece un passo all’interno della camera e si richiuse la porta alle spalle.
Shouyou si sedette contro i cuscini stringendosi le lenzuola al petto. “Un brutto sogno,” rispose scrollando le spalle. “Nulla di strano...”
“Non c’è mai nulla di comune nei sogni di un Jedi,” replicò Tobio come se gli stesse impartendo un’altra lezione. Si sedette sul bordo del letto e guardò il Padawan dritto negli occhi. “Se pensi di aver sognato qualcosa che possa avere un significato per te, ho bisogno di saperlo.”
Shouyou si umettò le labbra. “So che dicono che ad un Jedi non appartiene nulla, meno la spada che si è costruito per combattere ma... Non sono nostri neanche i nostri sogni?”
“Ci possono essere molte cose nei sogni di un Jedi,” spiegò Tobio. “Cose che, alle volte, chi le sogna non è in grado d’interpretare e comprendere come si deve.”
“Come tu hai sognato del Maestro Koushi? Come i sogni che fai quando dici di sentire dentro di te tutta la sofferenza dell’universo?”
Il giovane Maestro annuì.
Shouyou si strinse le ginocchia al petto e prese un respiro profondo. “Stavo piangendo... Nel sogno dico, non vedevo bene davanti a me.”
“Perché piangevi?”
“Non lo so,” ammise Shouyou scuotendo appena la testa. “Provavo paura ma non sapevo dargli un nome. Qualcuno mi parlava dolcemente ma il suo dolore mi trafiggeva come cento spade laser tutte insieme.”
Tobio annuì e continuò ad ascoltare.
“Quella voce non faceva che ripetermi quanto mi amava e mi prometteva che sarebbe andato tutto bene, che sarei stato felice. Eppure, chi parlava soffriva terribilmente. Mi ha pregato di non dimenticare... Non so a cosa si riferisse. Ho pianto ancor di più quando mi ha lasciato andare e mi sono svegliato in lacrime.” Concluse Shouyou. Tobio non commentò immediatamente il suo racconto: era abituato a visioni del genere fin da bambino e c’erano voluti anni perché le sue emozioni non perdessero il controllo mentre dormiva mettendo a soqquadro l’intero Tempio.
Shouyou non aveva avuto una reazione tanto violenta, sebbene fosse chiaro che non era abituato a quel genere di esperienze mentali. Probabilmente, la distruzione non era nella naturale del suo Padawan quanto nella sua. Non gli fece piacere ammetterlo, sebbene solo con se stesso.
“Stai bene?” Domandò.
“Sì,” rispose Shouyou. “Perché sei così premuroso?”
Tobio scrollò le spalle. “Sei una mia responsabilità e se perdessi il controllo nel sonno non sarebbe divertente. Certo, dovresti essere forte per fare danni e fai ancora piuttosto schifo.”
Shouyou lo guardò indignato. “Non ho chiesto il tuo aiuto, in primo luogo.”
“Te l’ho detto,” ripeté Tobio alzandosi in piedi. “Dovere...”
Shouyou si fece piccolo piccolo contro i cuscini del suo letto. “Te ne vai?”
Il Maestro si voltò a guardarlo. “Stai bene, non hai combinato guai ed il tuo incubo non sembra contenere immagini che possano esserci utili o risultino pericolose. Probabilmente, è solo un ricordo della tua infanzia riportato alla luce a causa della tua prolungata assenza da casa. Ad alcuni dei bambini capita: dicono di vedere le loro madri in sogno, sebbene non le abbiano mai conosciute davvero.”
Shouyou abbassò lo sguardo per un istante. “È molto triste...”
“È il destino di un Jedi.”
“E nessuno chiede mai della sua famiglia?” Domandò Shouyou.
“Non lo so,” ammise Tobio: non aveva mai avuto abbastanza rapporto con gli altri Padawan per poter indovinare i loro desideri. “Io non ho mai avuto ragione di chiedermelo...” Si voltò ma non fece neanche un passo.
“Aspetta...”
Tobio si fece rigido come cinque piccole dita afferrarono il suo polso. Erano gelide le mani di Shouyou ma erano colorate le sue guance quando tornò a guardarlo. “Puoi restare un po’ qui?”
Tobio lo guardò con sufficienza. “Vuoi che ti tenga la mano fino a che non ti addormenti?” Domandò sarcastico. “I tuoi sogni non andranno migliorando, è qualcosa con cui devi imparare a convivere.”
Shouyou esitò, dischiuse le labbra ma non uscì neanche un suono dalla sua bocca. Le sue dita lasciarono andare lentamente il polso del giovane Maestro ma non abbassò lo sguardo neanche per un istante. “Mi dispiace per averti disturbato...”
Tobio imbronciò la bocca di fronte a tanta quieta educazione ma non gli dispiaceva così si voltò e tornò in camera sua senza battere ciglio. Distesosi sul suo letto incrociò le braccia dietro la testa osservando le stelle visibili dal soffitto della sua camera. Gli avevano tenuto compagni fin dalla sua infanzia e gli erano di gran conforto nelle notti in cui gli incubi non lo lasciavano in pace ma non c’era nessuno a cui chiedere aiuto.
”Non c’è nulla di male nell’aver paura, Tobio.”
Hajime glielo aveva ripetuto innumerevoli volte durante la sua infanzia, quando lui e gli altri correvano nella sua camera spaventati dopo che un suo incubo lo aveva spinto a provocare qualche danno attraverso forze non comandate dalla sua volontà.
”Non c’è nulla di debole nell’essere spaventati.”
Hajime e Koushi avevano dormito in quello stesso letto accanto a lui innumerevoli notti quando l’oscurità che percepiva nella Forza era troppo grande perché potesse distinguere gli incubi dalla realtà. Si erano presi cura di lui anche se questo voleva dire andare contro le regole.
”Vuoi sapere una cosa, Tobio? Le stelle sono sempre le stesse in qualunque cielo...”
Non era tecnicamente vero ma Koushi era stato molto convincente nel raccontargli quella storia mentre gli passava una mano tra i capelli dolcemente ed il calore del suo corpicino da bambino si confondeva con quello dell’altro sotto le coperte. Tobio aveva sempre pensato che poter avere Koushi in quel modo fosse un po' come avere una mamma ma non era mai riuscito a spiegarsi il perché.
”Quando non siamo con te... Quando l’universo ci tiene lontani, guarda le stelle e pensa che lo stiamo facendo anche noi pensando a te... Guarda le stelle e saremo insieme pur non essendo vicini...”
Chissà se Koushi stava guardando le stelle anche quella notte in cui erano lontani come non lo erano mai stati?
Tobio strinse le labbra e chiuse gli occhi. “Idiota...” Mormorò alzandosi dal letto.
 
 
***
 
 
Quando la porta della sua camera si aprì e Koushi incontrò gli occhi dorati di Tooru, il suo cuore saltò un battito. “Che cosa succede?” Domandò spaventato, come se quello che aveva davanti non fosse un nemico da cui difendersi ma il ragazzino con cui aveva condiviso i suoi segreti più grandi.
Tooru strinse le labbra e scosse la testa. “Nulla...”
“Sei terrorizzato,” commentò Koushi con una premura che non avrebbe voluto esternare.
Il Re dei Sith scrollò le spalle e si sedette accanto al Jedi sul bordo del letto, lo sguardo rivolto al pavimento. “Non riesci a dormire?” Domandò.
Koushi guardò il cielo stellato fuori dalle alte finestre. “Guardavo le stelle...” Rispose. “Quando era bambino, abbiamo provato ad usare con Tobio quella storia che avevamo creato per noi riguardo alle stelle che sono visibili in tutti i cieli...”
Tooru accennò un sorriso nostalgico ed annuì.
“Volevo vedere se funzionava ancora,” concluse Koushi.
“Wakatoshi mi ha detto di venire da te,” confessò Tooru di colpo.
Koushi trattenne il respiro per un istante ma, per sua fortuna, l’altro non se ne accorse.
“Ha sempre avuto particolare fiducia nella tua gentilezza,” aggiunse il Sith. “Come me, del resto...”
Il Jedi scosse la testa. “La mia gentilezza era solo una maschera per nascondere l’invidia, per darmi un valore che non avevo.”
“Hai ancora questo vecchio vizio di sminuirti in qualsiasi situazione eh, Koushi?” Tooru si alzò, incrociò le braccia contro il petto ed appoggiò la spalla ad una delle alte colonne che sorreggevano il soffitto. “Le stelle...” Sussurrò ma l’altro lo udì chiaramente. “Nelle notti in cui i miei incubi non mi lasciano andare, le guardo anche io...”
Koushi si sollevò in piedi a sua volta. “Il figlio della Forza subisce ancora la sua oscurità?”
Tooru rise senza gioia. “Io non sono figlio della Forza, sono nato da quell’oscurità... Come essa stessa continua a ripetermi.”
Koushi gli andò vicino. “Senti ancora quella voce nella tua testa?”
Tooru scosse la testa. “No... Sono forte abbastanza perché quella voce non possa più raggiungermi. Dovrebbe essere la Forza, luce o ombra che sia, ad inginocchiarsi al mio cospetto e non il contrario.”
“Questa è blasfemia, Tooru...”
Tooru lo guardò dritto negli occhi. “Ci hanno tolto ciò che abbiamo messo al mondo, Koushi,” gli disse freddamente. “Esiste atto più blasfemo di questo.”
Il cuore di Koushi saltò un battito ed abbassò lo sguardo per impedire al Sith di vedere le lacrime che velocemente gli salirono agli occhi. “Non voglio parlare di questo,” disse con tono imperativo. “È accaduto anni fa, l’ho dimenticato.”
“Bugiardo...”
“Tooru,” non c’era alcuna gentilezza sul viso di Koushi quando lo guardò. “Non so perché Wakatoshi ti abbia mandato da me ma se sei venuto per dimenticare il tuo dolore alimentando il mio, ti ricordo che ho il potere di fare lo stesso.”
Tooru non si sentì minacciato in alcun modo. Sembrava triste, piuttosto. “Non ne hai mai parlato con nessuno in tutti questi anni, vero?”
Koushi scosse la testa. “No...” Inspirò profondamente. “E tu non hai mai tradito il mio segreto, nonostante tutto...”
“Sarebbe stata una crudeltà inutile.”
Il Jedi annuì. “Di che cosa volevi parlare? Che cosa hai sentito da spaventarti tanto?”
Tooru tornò a guardare le stelle sopra di loro. “Hajime...” Rispose. “Ho sentito il suo dolore come mio.” Non gli disse che aveva anche desiderato poter correre da lui, prima che la ragione gli imponesse di ricordarsi della situazione in cui si trovavano.
“Ti capita ancora?” Domandò Koushi.
Tooru rise. “Koushi, lo so che sei un amico devoto e che sei bravo a mantenere i segreti ma non devi fingere di non sapere anche questo...”
L’altro abbassò lo sguardo. “Hajime non ne ha mai parlato con nessuno, in verità.”
“Hajime è sempre stato incapace di nascondere le sue emozioni.”
“Ogni volta che correva da te in segreto, ci terrorizzava la possibilità che non sarebbe tornato.”
Tooru rise di nuovo e fu un suono straziante da udire. “Non c’è mai stato questo pericolo, Koushi,” lo rassicurarono. “Mai... Anche se ci concedevamo di cadere nelle nostre stesse debolezze ancora e ancora e ancora... C’era troppo orgoglio, troppa rabbia e c’eravate voi. Hajime sarebbe sempre tornato a casa, indipendentemente da quello che desiderava il suo cuore.”
Koushi non rispose. Il legame tra Tooru e Hajime era qualcosa che non si sarebbe mai permesso di giudicare. Negli anni, si era limitato a fare quello che era in suo potere perché i suoi amici non soffrissero ma, dopo, era stato impossibile evitarlo. Tutto quello che aveva potuto fare dopo che Tooru aveva tradito loro e Hajime aveva tradito il suo stesso cuore, era stato prendersi cura di Tobio. No, forse non era stato un atto di gentilezza nemmeno quello. Forse, aveva stretto quel bambino a sé solo per cercare di riempire un vuoto che non sarebbe mai sparito.
“Parlami di lui,” tremò la voce di Tooru nel pronunciare quelle parole.
“Non hai il diritto di chiedermelo ed io non ho il dovere di rispondere,” replicò Koushi. I loro cuore potevano sfiorarsi ancora ma ciò non cambiava tutto il resto: Tooru lo aveva reso un prigioniero, aveva portato Daichi lontano da lui e non sapeva in che condizioni versassero i loro amici.
Tutto questo per Hajime. Tutto questo per Tobio.
Non sapeva a chi si riferisse Tooru in quel momento ma Koushi sapeva che non gli avrebbe consegnato nessuno dei due nemmeno con le immagini di una vita che, probabilmente, il Re dei Sith rimpiangeva ma non gli apparteneva.
Tooru se ne andò senza aggiungere altra parola.
 
 
 
***
 
 
Shouyou teneva gli occhi fissi sull’oscurità che dominava la sua piccola camera come se qualcosa potesse spuntare fuori dal nulla e fargli del male. I veri mostri, però, non erano lì, intorno a lui... Erano nella sua testa e sapeva perfettamente che se avesse chiuso gli occhi lo avrebbero attaccato tutti insieme, divorandolo.
Era talmente teso che gli scappò un urletto quando la porta scorrevole si aprì di colpo e vide un’alta figura scura sulla soglia. “Ho sognato la mia nascita...”
Quella frase detta dal nulla fu talmente idiota che Shouyou si sentì improvvisamente rassicurato e comprese che si trattava di Tobio ancor prima che questi si richiudesse la porta alle spalle ed accendesse la luce. Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Sai di non essere molto normale, vero?”
Tobio lo guardò immediatamente in cagnesco. “Stupido io che sono tornato per distrarti da qualsiasi incubo del cazzo tu abbia fatto!” Esclamò voltandosi.
“Aspetta!” Esclamò Shouyou ma rideva. “Aspetta, dai!”
Tobio si fermò, strinse i pugni ma non lo guardò.
“Te lo sei inventato o è successo davvero?” Domandò Shouyou.
Il giovane Maestro lo guardò storto da sopra la propria spalla. “È successo davvero, idiota...”
Shouyou si sedette contro i cuscini. “Come fai a sapere di aver sognato la tua nascita? Poteva essere un sogno come un altro.”
“Non lo era,” concluse Tobio sedendosi sul bordo del piccolo letto senza permesso. “Lo so che non lo era.”
Per Shouyou, quel discorso non aveva alcun senso ma, alle volte, comprendere il suo Maestro era un’impresa ancor più complicata del batterlo in un duello. “E com’è?”
Tobio lo guardò. “Com’è cosa?”
“Com’è nascere?” Domandò Shouyou come se fosse ovvio. “Hai detto di aver sognato la tua nascita. Se i tuoi sogni sono nitidi quando i tuoi incubi e quanto i miei, dovresti aver sentito nitidamente qualcosa.”
Tobio storse la bocca e prese a pensarci. “È... È come nascere,” concluse.
Shouyou sbuffò. “Che risposta idiota.”
“Questo non accetto di sentirlo dire da te, stupido!”
“Hai visto tua madre?”
“Eh?”
Shouyou scrollò le spalle. “Hai sognato la tua nascita. Tua madre avrebbe dovuto essere lì, a meno che tu non sia nato in qualche modo strano e non lo escludo. Forse, sei...”
“Ti proibisco di dire ad alta voce qualsiasi stronzata ti sia passata per la testa in questo momento,” lo bloccò Tobio con tono glaciale. “In ogni caso, sì, ho visto qualcosa...”
Gli occhi di Shouyou si fecero lucenti di curiosità. “E com’era?”
“Uhm?”
Il piccoletto sbuffò esasperato. “Stai ancora dormendo, Tobio? Ti ho chiesto com’era tua madre!”
Tobio puntò gli occhi blu a terra. Riuscì ad afferrare l’eco di quella sensazione spaventosa seguita dal calore rassicurante del corpo di qualcun altro. Ricordava un sorriso. Ricordava l’amore in quel sorriso.
”Hai il cielo negli occhi...”
“Aveva gli occhi grandi... Scuri...” Disse Tobio senza pensare, poi sentì male alla testa e smise si sforzarsi di ricordare. “Non ho visto altro...”
“Occhi grandi e scuri,” ripeté Shouyou guardandolo. “Almeno, ora sai che hai gli occhi di tuo padre.”
Tobio inarcò un sopracciglio scuro. “Come puoi dirlo?”
Shouyou reclinò la testa da una parte e lo fissò con un’aria saccente che quasi spinse il Maestro a prenderlo a pugni in faccia. “Lo dico perché vedo i tuoi. Tu hai il cielo negli occhi, non li hai scuri.”
La risposta acida che Tobio si era preparato in modo quasi meccanico restò congelata nella sua bocca. “Che cosa hai detto?” Domandò.
Shouyou lo guardò confuso. “Che hai il cielo negli occhi,” ripeté. “Cosa c’è? Non lo sai. Hai un aspetto spaventoso ma ti sarai anche guardato allo specchio qualche volta, no?”
Tobio tentò di afferrarlo ma Shouyou si scostò appena in tempo. Rimasero immobili per un istante e si fissarono, poi il Cavaliere Jedi tentò di nuovo ed il giovane Padawan lo evitò ancora ancora una volta. Tobio si infuriò. “E fatti prendere, piccolo idiota!” Si spostò completamente sopra il letto afferrando le braccia di Shouyou per tenerlo fermo ma il piccoletto gli assestò una ginocchiata nello stomaco. Tobio si sentì mancare il fiato e collassò di lato, finendo giù dal letto.
Shouyou ebbe appena il tempo di fare un sorriso vittorioso, poi si rese conto che la stretta delle mani di Tobio sulle sue braccia non si era fatta allentata.
Caddero entrambi a terra, Tobio sulla schiena e Shouyou sopra di lui.
Il Cavaliere Jedi strinse gli occhi ed imprecò ad alta voce, l’altro si concesse un istante per rendersi conto che non si era fatto male in nessun modo particolare, poi si fece leva sul petto del ragazzo sotto di lui e lo guardò dall’alto al basso con un sorriso luminoso. “Questa volta sei finito a terra tu,” gli fece notare. “Siamo pari!”
Tobio lo guardò in cagnesco, poi ghignò con fare diabolico. “Significa che mi devi una rivincita!” Esclamò, poi lo sollevò di peso e lo gettò di nuovo sul letto. “Nessuno dei due vince fino a che l’altro non si arrende!”
Suo malgrado, Shouyou rideva.
 
 
 
“Mi racconti questa storia del Re dei Sith?” Domandò Shouyou steso sul ramo su cui si era arrampicato. Cominciava a divenire impossibile allenarsi quando il sole raggiungeva il punto più alto nel cielo e Tobio aveva concesso ad entrambi una lunga pausa all’ombra di uno dei grandi alberi del parco. “Pensavo fossi cresciuto ascoltando storie da tutti gli angoli della galassia,” rispose il giovane Maestro sedendosi su una delle enormi radici che fuoriuscivano dal terreno. Aprì il suo zaino e ne tirò fuori due male: si era organizzato affinché non fossero costretti a tornare al Tempio a metà giornata, economia di tempo.
Afferrò il piede che Shouyou lasciava ciondolare oltre il ramo dell’albero ed il Padawan si sporse per vedere che cosa volesse. Tobio gli lanciò la sua mela e l’altro l’afferrò senza fatica.
“Grazie!” Disse con un sorriso, poi tornò a stendersi e a guardare il cielo. “Per la cronaca, ho sentito parlare dei Signore Supremo ma mai del Re dei Sith. Non sapevo esistesse nemmeno un titolo del genere nella loro gerarchia... Voglio dire, che senso ha avere un Re quando si ha un Signore Supremo?”
“Non è un titolo,” chiarò Tobio addentando la sua mela. “È una sorta di soprannome.”
Shouyou ridacchiò e si sollevò sui gomiti. “Come il tuo è Re dei Jedi!” Esclamò con la bocca piena. Lo sguardo gelido che Tobio gli lanciò a quell’affermazione per poco non lo fece strozzare.
“Comunque,” aggiunse dopo qualche colpo di tosse. “Chi è?”
Tobio scrollò le spalle. “Non conosco il suo nome,” ammise. “Non l’ho mai incontrato sul campo di battaglia ma so che era un Cavaliere della generazione dei miei Maestri, come il Signore Supremo.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Pensavo che il Signore Supremo fosse un uomo tanto vecchio d’aver visto la nascita della galassia!”
Tobio alzò gli occhi al cielo a quell’esagerazione. “Il Signore Supremo di cui parli tu è quello precedente, è stato sconfitto più di dieci anni fa dai Jedi della Tobio-Starship. Quello attuale è stato un suo allievo, poi un Padawan...”
Shouyou si mise a sedere e lo guardò confuso. “Era una spia?”
“Proprio così,” Tobio fissò la sua mela. “Ha tradito tutti i compagni con cui è cresciuto.” Addentò una mela e masticò il boccone lentamente.
Shouyou si era fatto serio: quella storia non era epica come quelle che raccontavano al porto spaziale in cui era cresciuto. Avrebbe voluto prendersela con Tobio e la sua incapacità a raccontare storie decentemente ma, evidentemente, non era quello il problema. Non ci aveva ancora fatto l’abitudine: tutte le grandi storie della sua infanzia non erano mai state raccontate da chi le aveva vissute. Tobio aveva la sua età e, di certo, non aveva potuto combattere contro il Signore Supremo ma le persone che gli avevano raccontato quella storia erano le stesse che avevano guardato in faccia quell’oscurità. Quelle che per Shouyou erano favole con cui sognare, per Tobio erano realtà passate da cui apprendere.
“Il Re dei Sith ha imboccato una strada simile,” aggiunse Tobio lanciando il torsolo della sua mela a terra. “Un Padawan dalle prodigiose capacità passato al Lato Oscuro dopo aver tradito il suo mondo.”
“Ma chi comanda dei due?” Domandò Shouyou confuso.
Tobio recuperò la borraccia piena d’acqua dal suo zaino e bevve un sorso. “Dicono che siano amanti e che questo loro legame sia stata la causa della loro caduta al Lato Oscuro.”
Gli occhi d’ambra di Shouyou divennero enormi. “Cosa?” Domandò senza parole.
Il suo Maestro lo guardò annoiato. “Evitami la reazione idiota...
Shouyou lo guardò storto ed arrossì. “Non hai capito!” Affermò sedendosi in modo da far penzolare entrambi i piedi nel vuoto e per poco non diede un calcio in faccia al suo Maestro. Tobio guardò i due stivaletti chiari muoversi avanti ed indietro davanti ai suoi occhi meditando seriamente di afferrarne uno e di far precipitare il piccolo stupido a cui appartenevano a terra ma le parole che seguirono lo distrassero da un tale intento.
“Per quale motivo dovrebbero essere caduti al Lato Oscuro perché si amavano?” Domandò Shouyou ridendo. “Non ha alcun senso questa cosa...” Tobio alzò gli occhi blu su di lui tanto velocemente che sobbalzò e gli angoli della sua bocca si abbassarono immediatamente.
“Non dire mai più una cosa del genere,” lo avvertì il suo Maestro con sguardo raggelante.
Shouyou non replicò: Tobio non aveva mai indossato un’espressione rassicurante per nemmeno un istante nelle ultime settimane ma non lo aveva mai guardato con quegli occhi.
Il Cavaliere Jedi richiuse lo zaino e si alzò dall’enorme radice. “Muoviti...”
“Aspetta,” Shouyou saltò giù dal suo ramo e lo raggiunse. “Tobio, aspetta!”
 
 
 
Hajime non andò a cercare Tobio prima che il sole ebbe raggiunto il punto più alto nel cielo.
Non si disturbò a controllare le stanze d’addestramento del tempio: nemmeno i Maestri più anziani si sarebbero chiusi tra quelle mura in una giornata come quella, così prese la via dei giardini. Sorprese i ragazzi della generazione di Tobio mentre facevano una pausa all’ombra degli alti alberi e chiese a Yuutaro se avesse visto il Cavaliere ed il suo Padawan quella mattina.
Il ragazzo scosse la testa e guardò Akira ma questi rispose con lo stesso gesto.
“Sono vicino al piccolo fiume,” rispose Kei con voce atona seduto ad un paio di metri di distanza.
Hajime lo guardò e lo ringraziò con un cenno del capo.
Tobio, forse, poteva aver preso più o meno seriamente la questione dell’addestramento di Shouyou e di quello che sarebbe riuscito a dimostrare al Consiglio se avesse reso quel piccoletto un Cavaliere Jedi ma questo non gli impediva di continuare a tenersi quanto più distante poteva dai suoi compagni, i suoi uomini e Hajime sapeva che era un difetto che avrebbe dovuto correggere, prima o poi.
Sospirò: il fatto che il suo Padawan fosse uno strappo alla regola vivente e possedesse tutte le caratteristiche per essere diverso su molti livelli non era di certo di grande aiuto. Il vecchio Ukai aveva reso Tobio un Maestro per insegnargli cosa volesse dire avere nelle proprie mani la responsabilità di un’altra persona ma non aveva considerato la possibilità che mettendo insieme due creature uniche queste finissero per isolarsi completamente dal resto del mondo insieme.
Dopotutto, per quella generazione, quanto c’era di più vicino a Tobio era Shouyou, come Wakatoshi era stato quanto di più simile ci fosse a Tooru in quella precedente.
Hajime strinse le labbra a quel pensiero: non era un paragone piacevole e la naturalezza con cui la sua mente lo aveva partorito lo rendeva ancor più molesto. Poi, le voci dei due ragazzini lo riportarono alla realtà.
“C’è un’ultima lezione teorica che devi tenere a mente, se vuoi diventare un Cavaliere Jedi.”
“Ti sto ascoltando. Non hai bisogno di fare quella faccia spaventosa, Tobio.”
Hajime si avvicinò abbastanza da poter vedere l’espressione esasperata sul viso del ragazzo dagli occhi blu che era stato suo allievo. Shouyou era davanti a lui e lo guardava con espressione confusa ma attenta.
“Non può esserci nessun legame nella vita di un Jedi,” disse Tobio con tono gelido.
Hajime sapeva che non si stava rivolgendo a lui ma, in un qualche modo, gli sembrò che lo stesse accusando.
Shouyou parve più smarrito di prima. “Non capisco...” Ammise. “Che cosa significa? È impossibile non creare legami, dovremmo essere perennemente da soli. Lo ha detto tu che i bambini portati al Tempio crescono tutti insieme, no?”
Hajime provò un’immensa tenerezza per l’ingenuità di quelle parole: Koushi gli aveva fornito tutti i dettagli personali di quel piccoletto e non dubitava che, in confronto ad un immenso deserto in cui vivere in schiavitù, quello dovesse apparire come un bellissimo mondo dorato per Shouyou. Non lo era, però. Hajime avrebbe voluto dirgli che non lo era, avrebbe voluto avvertirlo in qualche modo perché, a differenza della maggior parte di loro, aveva conosciuto il calore di una madre.
Per Shouyou, probabilmente, i legami tra le persone erano qualcosa di naturale, d’impossibile da evitare.
Hajime rimase in silenzio: non aveva potuto salvare nemmeno Tobio da quel codice, dopotutto. L’unica consolazione di quella sua complessa personalità era che, probabilmente, non si sarebbe mai sentito soffocare da simile regole come era accaduti a lui, a Tooru e a tutti i loro compagni.
“I legami rompono l’equilibrio,” spiegò Tobio con voce atona ma, quantomeno, paziente. “Portano a perdere la calma e l’obbiettività. Se qualcosa è speciale per il tuo animo, tutto il resto, inevitabilmente, diviene superfluo... Anche l’obbiettivo di una missione che potrebbe decidere le sorte dell’intero universo.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non è possibile quello che dici,” replicò.
“I Jedi combattono per un bene superiore: mantenere l’equilibrio nella Forza. Non può esserci nulla prima di questo, dovresti saperlo.”
“Sì, lo so!” Shouyou si passò una mano tra i capelli ribelli cercando le parole giuste da dire. “Ma non è possibile non creare dei legami. Voglio dire, tu sei in pensiero per Koushi e Daichi e sei arrabbiato per non poter fare nulla per loro, me lo hai dimostrato.”
Tobio fece una smorfia. “Perdita di controllo delle emozioni. Un errore da correggere...”
“Perché un errore?” Shouyou non riusciva a comprendere. “Se succedesse qualcosa a te, immagino che anche il Maestro Hajime perderebbe la testa!”
Hajime si fece teso nel sentirsi nominare ma fu attento a non farsi ancora vedere: il piccoletto stava facendo le domande giuste ma erano le risposte di Tobio che lo interessavano di più. Vide Tobio stringere i pugni. “C’insegnano ad essere leali con i nostri compagni,” disse con voce monocorde, come se stesse ripetendo una lezione a memoria. “Ci dicono che il compagno al nostro fianco potrebbe salvarci la vita e quindi gli dobbiamo rispetto, come ai nostri Maestri. Ci crescono insieme per insegnarci a condividere, per fare di noi un gruppo unito.”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “E non è un legame questo?”
“Tutti noi siamo consapevoli che perderemo qualcuno dei nostri compagni o dei nostri Maestri, prima o poi,” continuò Tobio. “La prova sta nel riuscire a non farsi schiacciare dal dolore e dalla rabbia per una simile perdita.”
Shouyou annuì appena. “Questo posso comprenderlo,” disse. “Il dolore e la rabbia possono far paura e le cose che fanno paura sono pericolose...”
Hajime sorrise di fronte a quel ragionamento d’ingenua logicità.
“Capisco anche che combattere per mantenere l’equilibrio abbia il suo prezzo,” aggiunse il piccoletto. “Ma se il Re dei Sith ed il Signore Supremo sia amavano, che motivo avevano di provare rabbia o dolore?”
Hajime sentì il cuore mancare un battito e, ancora una volta, ebbe come la sensazione che quelle parole fossero un’accusa rivolta a lui.
Tobio reclinò la testa da un lato. “Hai una ragazza o qualcosa del genere?” Domandò con un’espressione tanto dubbiosa che si sarebbe potuta interpretare come un insulto non verbale.
Shouyou soffiò come un gatto a cui è stata tirata la coda. “Come se lo venissi a dire a te!”
Tobio scrollò appena le spalle con un ghigno. “Ovvio che non ce l’hai!”
Il viso del piccoletto divenne più acceso del colore dei suoi capelli. “Ma stai un po’ zitto! Tutto questo monologo sul rispetto per i compagni e qui nessuno ti sopporta!”
Hajime strinse le labbra per non scoppiare a ridere: il piccoletto sapeva il fatto suo!
“La mia unica sfortuna in questa storia è che sei tutto quello che ho e ti devo sopportare!” Concluse irritato.
Di colpo, Hajime non si sentì più così divertito.
”Sei tutto quello che ho...”
Si umettò le labbra e decise di fare un passo in avanti, prima che Tobio decidesse di passare alle mani. “Tobio,” chiamò. Il piccoletto sobbalzò, gli occhi blu del giovane Cavaliere si fecero quieti nel riconoscerlo.
“Maestro,” lo salutò con un cenno del capo.
Hajime sorrise. “Non sono più il tuo Maestro,” disse per l’ennesima volta appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo.
“Mi cercavi?”
“Sì, devo comunicare ad entrambi l’ultima decisione del Consiglio,” rispose Hajime ma lo fece guardando Shouyou e continuò a farlo mentre informava entrambi di quanto il vecchio Ukai aveva deciso. Hajime vide quei grandi occhi d’ambra divenire più opachi, vide le labbra piene schiudersi ma nessuna parola uscì dalla bocca del Padawan.
Hajime non si sorprese particolarmente del modo in cui, invece, gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, mentre un sorriso sicuro e vittorioso nasceva su quelle labbra dalla linea perennemente dura. Shouyou guardò il suo Maestro con aria smarrita ma per Tobio fu come se il piccoletto non fosse nemmeno lì. Per la seconda volta, Hajime provò tenerezza per quel ragazzino: i legami ed il loro modo crudele di essere una lama a doppio taglio.
Shouyou non aveva avuto altra scelta che fidarsi di Tobio quando glielo avevano affidato e, nonostante il brutto carattere del suo Maestro, non aveva potuto fare a meno di legarsi in qualche modo a chi era stato obbligato a renderlo un Jedi. Shouyou non apparteneva a quel mondo ma la presenza di Tobio gli permetteva di farne parte, fino a che non avrebbe saputo costruirsi il suo posto da solo.
Dopo poco più di un mese di addestramento, quel momento non era certo arrivato ma Tobio non sembrava farsene un problema.
Alla fine, Shouyou abbassò lo sguardo e rimase in silenzio mentre Tobio accettava di correre incontro ad un’impresa che non avrebbe messo alla prova solo le sue capacità come Cavaliere Jedi ma anche come persona. Lui, però, non lo sapeva.
E, ancora una volta, Hajime non disse nulla.
 


 

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Capitolo 4
*** It is during our darkest moments that we must focus to see the light ***


4
It is during our darkest moments that we must focus to see the light


 

 
Risate. Allegria.
Aprì gli occhi, sebbene avesse ancora tanta voglia di dormire.
“Oh,” due occhi scuri lo guardarono sorpreso. “Buongiorno!”
Un sorriso.
“Ma quanto siamo belli questa mattina!”
Ancora risate. Ancora allegria.
“Sei bello come la tua mamma, lo sai? Questi capelli, però, devono essere del papà…” Suonarono strane quelle ultime parole, come se nascondessero una domanda.
Non rispose. Non sapeva ancora parlare.
Qualcun altro lo fece. “No,” rispose una voce dolce, malinconica. “Non ha ereditato nulla da suo padre…”
Era sollievo? Tristezza?
Non ne era certo. Sapeva solo che l’atmosfera intorno a lui era agrodolce, nonostante le risate.
Chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo.

 
 
Shouyou non si risvegliò bruscamente ma il sonno lo lasciò andare completamente non appena aprì gli occhi. Si sentiva riposato come se avesse dormito per un giorno intero. Sollevò gli occhi ma dalla finestrella vicino al soffitto penetrava solo la luce argentata della luna: il mattino non era ancora arrivato.
Si mise a sedere lentamente, come se avesse paura che il pavimento della sua piccola camera potesse cedere sotto il suo peso. Gli girava un poco la testa ma stava bene. Semplicemente, sentiva che c’era qualcosa di strano intorno a lui, come un’assenza.
Scivolò fuori dalla sua stanzetta e si affacciò sul corridoio buio. Sapeva che non c’era nessuno su quel piano, a parte lui e Tobio ma si mosse comunque in punta di piedi. La spia verde accanto alla porta della camera del suo Maestro lo informò che non era chiusa a chiave.
Nonostante i suoi continui agguati notturni o di prima mattina, Tobio non aveva ancora preso quell’elementare provvedimento per toglierselo dai piedi.
“Stupido come sei, ti spaccheresti la testa contro la porta nel tentativo di sfondarla,” aveva detto un giorno con la sua solita espressione annoiata. Shouyou si era offeso ma, in cuor suo, gli piaceva credere che lo facesse per permettergli di andare da lui se i suoi sogni fossero stati disturbati da qualcosa.
I Jedi non hanno incubi.
Una di quelle lezioni che non avevano alcun senso per lui e sapeva che era lo stesso anche per Tobio, anche se non glielo avrebbe mai confessato. Non avrebbe potuto. Era lui il Maestro, dopotutto e combattere con gli incubi doveva essere una battaglia ben più dura di quella contro le emozioni.
Entrò senza annunciarsi in alcun modo. “Tobio?”
Il letto era vuoto ma sfatto. Il suo Maestro era rientrato in camera dopo la cena nella sala comune come tutti gli altri ma i sogni dovevano essere stati poco magnanimi anche con lui. Non poteva essersi svegliato dopo, però, un incubo o lo avrebbe sentito.
Shouyou richiuse la porta ed andò a vestirsi senza accendere la luce: non sarebbe riuscito a riaddormentarsi comunque, tanto valeva andare in giro a curiosare e scoprire come il Re dei Jedi passava le sue notti.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso furbetto: non vedeva l’ora di vedere con che espressione Tobio lo avrebbe guardato quando si sarebbe reso conto che non poteva liberarsi di lui nemmeno nel cuore della notte.
 
 
Non trovò quello che si aspettava.
Non sapeva nemmeno quello che stava cercando, in realtà ma quello che vide lo sorprese niente meno. Era scivolato fino al grande atrio del Tempio senza incontrare nessuno che potesse rispedirlo a letto e rovinare i suoi piani ma, fin dalle scale, gli era parso di udire il familiare ronzio di due spade laser che vibravano e si scontravano.
Ancora in punta di piedi, Shouyou si avvicinò al parapetto della balconata che dava sui grandi giardini del Tempio e per poco non lasciò andare un’esclamazione sorpresa.
Vostra Maestà, i comuni mortali vorrebbero riposare nel cuore della notte.”
“Taci, Kei e raccogli la spada!”
Shouyou non poteva credere ai suoi occhi.
Le due persone più antipatiche che avesse mai conosciuto si stavano allenando insieme, nel cuore della notte e lo stavano facendo come se fosse qualcosa di completamente normale. “Ma… Ma…” Shouyou si ritrovò a balbettare con se stesso, mentre sia Tobio che Kei tornavano in posizione d’attacco, pronti a cominciare un altro duello.
Quella scena non aveva alcun senso.
Tobio era incapace di farsi degli amici per ragioni che gli erano dolorosamente note e quel Kei lo aveva insultato con velenoso sarcasmo quando si erano parlati durante quella prima pausa pranzo in cui Shouyou aveva tentato di socializzare. Gli aveva anche risposto per le rime sentendosi in dovere di difendere l’onore del suo Maestro.
Aveva solo sprecato il fiato, quindi?
Aveva mal interpretato la situazione e gli aveva attribuito una negatività che non esisteva?
Oppure, probabilmente, sia Tobio che Kei erano tanto incapaci nelle relazioni sociali da far passare per inimicizia un legame che, evidentemente, non lo era.
“Oh, sei sveglio anche tu!”
Shouyou sobbalzò e si voltò con espressione allarmata: ci mancava solo che qualcuno lo avesse visto e che per colpa sua anche gli altri due dovessero prendersi una punizione. Non sarebbe vissuto abbastanza per vedere il loro astio per lui sfumare, in quel caso.
Sospirò nel riconoscere il sorriso gentile di Tadashi nella penombra. Si portò una mano al petto. “Mi è quasi venuto un colpo, pensavo fosse uno dei Maestri.”
Tadashi si avvicinò. “Non volevo spaventarti, scusami.”
Shouyou scosse la testa. “Anche tu sei qui per…” Indicò i due ragazzi impegnati a duellare.
Tadashi scosse la testa. “Il Re dei Jedi non verrebbe mai a tirarmi giù dal letto per allenarmi nel cuore della notte, temo,” disse con un poco di malinconia. “Dormo in stanza con Tsukki e li ho sentiti, tutto qui. Sono sceso per guardarli perché non sono più riuscito a prendere sonno.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Tobio s’infila nelle stanze altrui nel cuore della notte per trascinare i suoi compagni ad allenarsi di norma?”
Tadashi ridacchiò e scosse la testa. “Non di norma e non con tutti,” rispose. “Lo fa solo con Tsukki e solo quando è nervoso. Tsukki dice sempre con aria annoiata che il Re lo usa come il suo punch-ball personale, eppure si alza sempre dal letto quando Tobio viene a svegliarlo.”
Shouyou non sapeva davvero cosa pensare di quella confessione. “Non sapevo fossero amici,” ammise arrossendo un poco. “Non gli avrei risposto così male quella volta a pranzo, se avessi saputo che…”
“Oh, se lo chiedi a loro ti diranno che non lo sono,” spiegò Tadashi. “In un certo senso, è vero, non lo sono.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non conosco troppo bene Kei ma penso che se fossi io a svegliarlo nel cuore della notte, mi spezzerebbe l’osso del collo e tornerebbe a dormire.”
Tadashi rise divertito. “Non hai torto,” rispose. “Tsukki, però, non è solo così. Un giorno, quando avrà i suoi Padawan, sarà un ottimo Maestro per loro.”
“Ti dice continuamente di stare zitto,” gli fece notare Shouyou.
L’altro sospirò. “Immagino che Tobio usi gli stessi toni con te, no?”
“Sì ma che c’entra?” Shouyou s’imbronciò immediatamente. “Sono forti e sono bravi ma questo non significa che ci devono trattare come delle nullità.”
Tadashi scrollò le spalle. “Non posso parlare per Tobio,” confessò. “Tsukki, però, non è solo quello che mostra, te lo posso assicurare.”
Shouyou incrociò le braccia contro il petto. “Sarà…” Concluse. “Ma perché Tobio viene sempre da lui quando è nervoso?”
“Tsukki mi ha detto che il Re sostiene che lui è l’unico con cui valga remotamente la pena allenarsi.”
Remotamente,” ripeté Shouyou come se quell’insulto fosse stato rivolto a lui. Poteva quasi immaginarla la faccia da schiaffi di Tobio mentre diceva quella parola. “E Kei accetta di farsi buttare giù dal letto da uno così!”
Aveva sprecato fiato per difendere l’onore del suo Maestro ed ora avrebbe rimediato remando nella direzione opposta.
“In realtà, Tsukki riconosce il valore di Tobio,” intervenne Tadashi.
Shouyou per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
“Tsukki è così, te l’ho detto,” aggiunse Tadashi. “È bravo, molto più bravo di tutti quelli della nostra generazione, a parte Tobio. Tuttavia, anche lui riconosce il suo potenziale.”
Shouyou aggrottò la fronte. “Non so per quale ragione ma avevo come la sensazione che la vera promessa dopo Tobio qui fosse quel Yuu… Yuutaro?”
Tadashi sospirò tristemente. “Se lo chiedi a chiunque degli adulti, tranne i Maestri Daichi e Koushi, forse ti risponderebbero che, sì, Yuutaro viene immediatamente dopo il Re… Sebbene la differenza tra loro sia abissale.”
Shouyou guardò i due ragazzi duellare. Nessuno dei due aveva ancora avuto la meglio sull’altro. “Tobio non la pensa così, evidentemente.” E, nonostante la naturale antipatia, sapeva che il giudizio del suo Maestro aveva un certo valore.
“Tsukki non s’impegna,” spiegò Tadashi. “Gli riesce facilmente quello che Padawan del mio livello riescono ad imparare dopo anni ed anni di pratica. Semplicemente, non gli interessa essere il migliore, dimostrare di esserlo.”
Shouyou ci pensò. “Non è una buona cosa?” Domandò. “Voglio dire, i Jedi devono controllare emozioni e desideri perché non influenzino le loro azioni, no?”
Tadashi annuì. “Ma il disinteresse è pericoloso,” spiegò. “Un guerriero che non crede nella causa per cui combatte non è un uomo di fiducia.”
Shouyou sgranò gli occhi. “Stai cercando di dirmi che Kei potrebbe…”
“No!” Lo interruppe Tadashi duramente. “Kei non potrebbe mai cedere al lato oscuro!”
Shouyou si chiese se si era reso conto che aveva chiamato il suo amico per nome per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. Decise di non farglielo notare. “Chi è il suo Maestro?”
L’espressione di Tadashi si fece triste. “Era suo fratello.”
Shouyou si sentì gelare a quelle parole. “Era?”
Tadashi annuì tornando a guardare i due giovani duellanti. “Furono presi insieme,” raccontò. “Tsukki era piccolo e non ricorda nulla di quel giorno. Akiteru era troppo grande, troppo legato alla famiglia che si sono dovuti lasciare alle spalle.”
“E che c’è di male?” Domandò prontamente Shouyou. “Anche io sono legato alla mia mamma e mi manca.”
Tadashi lo guardò dritto negli occhi. “Non dirlo così apertamente. È sbagliato. È proibito.”
“Ci puniscono per provare nostalgia?”
“No, certo che no, ma…” Tadashi si umettò il labbro inferiore. “Questi sentimenti sono pericolosi. È questo il genere di emozioni che hanno distrutto Akiteru.”
“Perdonami, non comprendo,” disse Shouyou. “Stiamo parlando di un Jedi ucciso in battaglia o…?” Non riuscì a chiederlo ad alta voce e Tadashi non riuscì a rispondergli. Quel silenzio fu ciò che servì a Shouyou per capire.
Riportò gli occhi sulla figura di Kei. Il duello era finito ed aveva perso di nuovo, la spada di Tobio era a pochi millimetri dal suo collo. Il laser blu scomparve ed il suo giovane Maestro fece un passo indietro per raccogliere la spada volata in aria del suo avversario. “Ancora,” lo sentì dire.
Kei fece una smorfia. Probabilmente, aveva alzato gli occhi al cielo. “Sei il solo, unico ed imbattuto Re dei Jedi! Ora ne hai la conferma e puoi anche convincere i Sith che stai andando a massacrare!”
Tobio si limitò a premere l’arma contro il suo petto. “Ancora,” disse e fece un passo indietro.
Kei sorresse la spada solo per non farla cadere a terra.
Ripresero a duellare.
Niente di diverso da quello che avevano fatto fino a quel momento ma Shouyou non poteva fare a meno di guardarli. Da una parte c’era questo ragazzo antipatico, Kei Tsukishima, portato via dalla sua famiglia in tenera età ed addestrato da un fratello maggiore che era passato al lato oscuro perché, da quel che aveva capito, sentiva troppa nostalgia di casa.
E dall’altra c’era Tobio. Il giovane ed inesperto Maestro a cui lo avevano affidato.
Antipatico quanto il primo, un Jedi dotato come altri non ce ne erano per quella generazione.
Non c’era nessun passato a raccontare la sua storia. Nessuna storia che potesse spiegare tutto il potere nel suo sangue. Tobio non era nessuno, solo un orfano che una generazione di giovani Jedi aveva raccolto e cresciuto nel tentativo di dargli una sorta di famiglia a cui appartenere.
Shouyou era certo che anche quello andava contro le regole del Consiglio.
“Che cosa c’è?” Domandò Tadashi turbato dal suo silenzio.
Shouyou tirò su col naso e scosse la testa. “Niente,” rispose ma non era vero. “Io ho scelto di essere qui,” aggiunse. Tadashi non replicò in alcun modo e Shouyou non seppe mai se aveva capito quello che aveva cercato di dirgli.
Non seppe mai nemmeno che cosa spinse Tobio a sollevare lo sguardo verso la balconata.
“Ehi! Che cosa ci fai fuori dalla tua stanza a quest’ora, idiota!”
Shouyou si fece indietro intimorito ma si riprese quasi subito. “Non sono l’unico che dovrebbe essere nella sua stanza, stupido!” Urlò.
“A chi hai dato dello stupido, idiota?”
“Non crederti intelligente se continui ad urlare così nel cuore della notte,” intervenne Kei.
Tadashi, invece, appoggiò le mani sulle spalle di Shouyou. “Abbassa la voce o ci sentiranno!”
Il danno, però, era già fatto. Qualcuno dai piani alti accese una luce e si affacciò. “Che cosa ci fate in piedi a quest’ora della notte?!” Tuonò la voce del Maestro Keishin Ukai.
Un’altra luce. Un’altra voce. “Chi è in piedi?” Domandò il Maestro Takeda.
Seguirono altri.
“Issei, tempo di sculacciare qualcuno dei mocciosi!”
“Finalmente… Cominciava a divenire noioso qui!”
Shouyou se ne rimase immobile, congelato. Non vide Kei e Tobio risalire le scale del Tempio a velocità impensabile e non si accorse del primo che afferrava malamente Tadashi per un braccio e lo trascinava via. Il suo cervello tornò a funzionare solo quando si sentì tirare e si rese conto che avrebbe dovuto muovere i piedi per non cadere a terra. Sollevò lo sguardo e gli occhi blu di Tobio lo fissarono minacciosi nella semi-oscurità. “Muoviti…” Sibilò.
Shouyou ingoiò a vuoto e corse senza fare domande.
 
 
“Giuro sull’intera galassia che se li becco…” Sibilò il Maestro Keishin spostando la torcia da una direzione all’altra.
“Non sarebbe meglio accendere la luce?” Domandò Ittetsu spostando lo sguardo sulle sagome scure delle navicelle ferme nell’hangar. “Sarebbe più facili trovarli, non ti pare?”
“E attivare il generatore di questo hangar con il pericolo che i vecchi si sveglino e comincino uno dei loro lunghi discorsi che ai loro tempi sì che li educavano bene i giovani! No, grazie, preferisco brancolare nel buio!”
“Andiamo a cercare di sopra, però,” propose Ittetsu. “Dubito che siano scappati qui sotto per nascondersi e col chiasso che avete fatto tu e gli altri Cavalieri, sicuramente saranno già tornati nelle loro camere di volata.”
Keishin si passò una mano tra i capelli. “Ci fosse stata un po’ più di luce, li avrei anche riconosciuti!”
“Inutile sprecare energie su una ragazzata innocente,” concluse Ittetsu con un sorriso gentile. “Domani è un giorno importante e dobbiamo essere tutti nel pieno delle forze. Noi non partiremo per Karasuno per combattere ma ciò non toglie che dobbiamo essere preparati.”
Suo malgrado Keishin annuì.
Mandare Tobio a Karasuno col Re dei Sith pronto ad aspettarlo. Che cosa fosse venuto in mente al vecchio per mettere insieme un piano simile era un mistero anche per lui. Comprendeva Hajime. Lo comprendeva nel modo più umano che gli era concesso, eppure non era riuscito in alcun modo a convincere il vecchio a lasciarlo partire a sua volta.
Nessuno aveva osato dire ad alta voce quello che tutti temevano: se il Re dei Sith avesse giocato bene le sue carte, non sarebbe stato difficile per lui portare al lato oscuro quel giovane dall’animo tumultuoso che era Tobio. Tenere Hajime al Tempio era come impedire al nemico di acquisire due potenti alleati al prezzo di un singolo sforzo.
Allo stesso tempo, però, era tempo che Tobio affrontasse di petto l’oscurità nel suo cuore e dimostrasse una volta per tutte che era degno del titolo di Cavaliere Jedi, anche se questo significava metterlo alla prova con l’inganno.
“Andiamo a dormire Ittetsu,” concluse.
Li aspettavano dei giorni tutt’altro che facili.
 
 
Tobio si affacciò oltre il pannello di controllo del ponte di comando con cautela. “Sembra che se ne siano andati,” disse tornando ad accovacciarsi.
Nel frattempo, Shouyou stava vivendo un attacco di euforia completamente fuori dalla norma. “Non ci credo… Non ci credo…” Continuava a ripetere, come se nel suo cervellino si fosse rotto qualcosa. Le mani premute contro le guance, gli occhi grandi e brillanti. “Sono sulla leggendaria Tobio Starship. La nave spaziale protagonista di tutte le grandi storie della scorsa generazione di Jedi!”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, torniamo nelle nostre stanze…” Fece per alzarsi.
“No!” Esclamò Shouyou aggrappandosi al suo braccio come se fosse una questione di vita o di morte. “Restiamo qui ancora un altro po’, ti prego.”
“Ma sei completamente scemo?”
“Solo cinque minuti, ti prego!”
Tobio ci mise poco a capire che l’alternativa era assecondarlo, oppure portarlo via di forza rischiando che facesse un baccano infernale ed attirasse tutti i Maestri del Tempio su di loro. Sbuffò e si rimise a sedere sul pavimento freddo.
Shouyou continuò a guardarsi intorno come se stesse vivendo un sogno. “Partirai con questa domani?”
“No,” rispose Tobio annoiato. “È un modello vecchio, ormai. Non vola più.”
Shouyou sgranò gli occhi. “Nessuna nave è vecchia finché può essere migliorata!” Esclamò. “Io lo so! Sono cresciuto su di un pianeta di contrabbando! Posso provare ad aggiustarla! Posso farla volare di nuovo! Tutto purché non vada distrutta come ferro vecchio.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Nessuno ha intenzione di distruggerla,” disse.
Shouyou si calmò e lo guardò. “Ah, no?” Domandò
“No,” Tobio scosse la testa. “Io e Hajime la stiamo aggiustando pezzo per pezzo, comunque. L’ha costruita lui ma io so come meglio usare le nuove tecnologie.”
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Sei bravo anche in queste cose?”
Tobio gli rivolse un ghignetto arrogante. “So anche pilotare.”
Shouyou sbuffò. “Sarebbe stupido non saperlo fare, il tuo Maestro ha pilotato questa nave per anni! Ti ha insegnato lui anche questo, vero?”
Tobio annuì.
Il Padawan storse la bocca. “Ma ci sarà pure qualcosa in cui non sei bravo.”
“Sì, sopportarti!”
“Antipatico!” Shouyou sbuffò di nuovo. “Io non sono bravo con i libri…” Cominciò. Forse, aprirsi gli sarebbe tornato utile per rendere il loro rapporto un po’ meno spiacevole. “Mi piacciono le storie. Imparo bene con la pratica… Anche se all’inizio faccio sempre disastrosi pasticci ma… Essere un uomo di conoscenza non farebbe per me. Mi piace vederle le cose di cui parlano i libri, non so se mi spiego.”
Si aspettò una replica sarcastica, annoiata ma non arrivò.
Al contrario, Tobio lo guardava come se lo stesse ascoltando davvero. La sua espressione non tradiva nulla ma era meno inquietante di quando non era proprio di buon umore. “Nemmeno io sono un uomo da libri,” ammise. “A Koushi piacciono e me ne leggeva parecchi quando ero bambino. Penso volesse provare a passarmi qualcosa di suo. Anche Daichi, pur essendo un Cavaliere, è bravo con quel genere di cose,” sorrise appena. “Certe volte, quando ero bambino e credevano che nessuno li guardasse, andavano in biblioteca insieme e passavano ore a leggere libri e commentarli… Sembravano felici.”
Shouyou si fece coinvolgere dalla tenerezza di quel ricordo e sorrise a sua volta ma, di colpo, gli angoli della bocca di Tobio si abbassarono e così fecero i suoi. “Oh…” Mormorò ricordandosi che Koushi e Daichi non erano a casa ma prigionieri del Re dei Sith. Strinse le labbra e si fece coraggio. “Sono certo che stanno bene!” Esclamò di colpo.
Tobio lo guardò sorpreso, poi s’imbronciò. “Certo che lo sono!” Ribatté. “E non dirlo come se avessi bisogno di essere rassicurato.”
“E finiscila!” Disse Shouyou. “Certo che hai bisogno di essere rassicurato. Sono parte della tua famiglia ed è normale che tu abbia paura per loro!”
Calò il silenzio.
Tobio strinse i pugni. “Io non ho paura,” replicò. Non con rabbia, però. Con fermezza.
Fu il turno di Shouyou di guardarlo sorpreso.
“Che cosa c’è?” Domandò Tobio insicuro. “Ho qualcosa in faccia?”
Il Padawan ridacchiò e scosse la testa.
“Che ti prende, stupido?”
Shouyou scosse la testa. “È che per un attimo, per la prima volta, ti ho guardato e ho visto un Cavaliere Jedi.”
Tobio rilassò le spalle e voltò il viso di lato non appena avvertì uno strano calore salirgli al viso. “Stupido…”
Shouyou continuò a ridere sotto voce.
 
 
Nessuno dei due si accorse di Hajime fermo nel corridoio fuori dal ponte di comando e non udirono i suoi passi quando se ne andò.
 
 
***
 
 
L’amore era una cosa che non gli apparteneva.
Amare era una cosa che non gli era concessa.
Era passionale. Era irrazionale.
Era tutto ciò che non avrebbe dovuto provare.
Invece, aveva acceso il suo giovane cuore per troppo tempo. Insieme alla disperazione.
Per questo era finito in quella situazione orribile. Per questo si era pentito di non aver dato ascolto agli insegnamenti dei suoi Maestri.
Si era pentito, sì…
Se fosse potuto tornare indietro… Se avesse potuto avere una seconda occasione…
“Sei bellissimo…” Mormorò alla creaturina appena nata stretta contro il suo petto.
… Non avrebbe fatto nulla di diverso.

 
 
Koushi si svegliò in lacrime.
Si strinse le braccia intorno al corpo alla ricerca di quella fonte di calore che aveva sentito contro di sé nel sonno. Non la trovò. Non avrebbe mai potuto trovarla perché era stata una sua decisone rinunciarci.
Prese un respiro profondo e si alzò in piedi.
La notte di Karasuno era calda, silenziosa e completamente ignara dell’assedio che stava avendo in corso nella sua capitale.
Koushi uscì sul balcone ed appoggiò stancamente la schiena contro una delle colonne ricoperte di edera. Sollevò gli occhi sulle stelle e provò a mettere in pratica il gioco che loro facevano da bambini e che avevano provato a passare a Tobio per farlo sentire meno solo. Sotto qualunque cielo si trovassero, le stelle erano sempre le stesse e, guardandole, avrebbe anche potuto illudersi di essere a casa.
”Sei bellissimo…”
Non funzionò. Il dolore al petto si fece più intenso e Koushi scivolò sul freddo pavimento di marmo mentre le lacrime gli rigavano le guance. Tooru lo aveva colpito su di una ferita che non si era mai rimarginata ma con quel dolore aveva imparato a convivere.
Koushi non aveva avuto altra scelta.
Se non fosse andato avanti, sarebbe impazzito ed avrebbe perso anche quel che gli era rimasto.
Tooru non aveva tutti i torti a giudicarlo, ad essere arrabbiato con lui.
Erano uguali loro due. Erano stati complici per anni ed era solo per pietà che i vecchi Maestri non sottolineavano come Koushi avesse ceduto alla tentazione della ribellione molto prima di quello che ora era il Re dei Sith.
La grande differenza tra Koushi e Tooru era che quest’ultimo non aveva avuto paura di mettere in discussione ogni cosa per la persona che amava. Tooru e Hajime si erano innamorati crescendo insieme, si erano sfiorati nel tentativo di nascondere i loro sentimenti ed erano finiti per toccarsi perché, in quella vita di continue battaglie, quell’amore era il fiore più bello che sarebbe mai sbocciato nella loro fanciullezza sprecata.
Koushi non aveva avuto lo stesso coraggio e la stessa fortuna. Aveva guardato Daichi per anni e per troppo tempo aveva ricevuto in cambio sorrisi amichevoli e gesti gentili. Troppo gentili.
C’erano stati momenti in cui Hajime aveva avuto paura di toccare a Tooru di fronte a loro per timore che potesse rivelare qualcosa. Daichi quella paura non l’aveva mai avuta perché le sue mani non l’avevano mai toccato in quel modo.
Koushi aveva passato anni a sentirsi sporco per quel desiderio.
Fino a che qualcun altro non aveva cominciato a rispondere al suo sguardo.
Un altro fanciullo ribelle come lui ma che, come Tooru, non aveva paura di dimostrare di esserlo.
La serratura della sua stanza venne sbloccata. Koushi trattenne il fiato per alcuni istanti, poi si sporse oltre la colonna: non c’era nessuno sulla porta.
Se si fosse trattato di un nemico, avrebbe pensato ad una trappola ma Tooru non avrebbe mai fatto una cosa del genere a lui. Sith o non Sith, aveva ancora il suo onore o nessuno dei bambini al Tempio Jedi sarebbero rimasti in vita.
Si avvicinò lentamente, però ed esitò per diversi istanti prima di varcare la soglia e trovarsi nel corridoio buio. Si guardò intorno mentre allungava pochi, incerti passi.
“Koushi…”
Si era aspettato chiunque, forse Tooru ma, di certo, non lui. Non ancora.
Wakatoshi lo attendeva dalla porta opposta del corridoio con un casco scuro sulla testa ed uno tra le mani. “Vieni,” disse con un cenno della mano.
Koushi ubbidì semplicemente perché non aveva altra scelta. “Che cosa c’è?” Domandò quando furono a meno di un metro di distanza. “Dov’è Tooru?”
Wakatoshi non gli rispose subito. Allungò un braccio premendogli il casco contro il petto in un invito quasi gentile. “Ti porto da lui.”
Koushi lo guardò confuso. “Perché?”
Wakatoshi non rispose e si voltò per uscire nel cortile del palazzo. Il Jedi non potè fare altro che seguirlo.
 
 
Il Signore Supremo fermò la moto sulla riva del lago e scese per primo.
Koushi non ebbe il coraggio di muoversi, gli occhi grandi fissi sulle vetrate rotte dell’edificio sulla cima della collina. Wakatoshi gli porse la mano ma non era il suo aiuto che Koushi aspettava per scendere a terra.
Il Jedi lo guardò come se gli avesse puntato un blaster alla tempia. “Perché mi hai portato qui?”
“Perché questo luogo ha importanza per entrambi, vero?”
Koushi scosse la testa. “Non c’è nessuna buona ragione per essere qui.”
Wakatoshi riadagiò il braccio lungo il fianco. “Questo è il Tempio in cui è finito tutto, vero?”
Il Jedi continuò a guardare la costruzione in cima alla collina. Lo chiamavano il Tempio dei bambini perché era lì che venivano portati i Padawan più piccoli ed era nelle mani di sole Jedi donne. Un vano tentativo creare figure materne per creature che erano state strappate dalle braccia di chi aveva dato loro la vita per un bene superiore.
Koushi non aveva mai riflettuto su quanta crudeltà si nascondesse dietro quella gentilezza, avrebbe dovuto guardare in faccia i suoi peccati a quel punto.
“O dove è cominciato tutto,” aggiunse Wakatoshi. “Dipende dai punti di vista…”
“Questo è il luogo in cui è nato Tobio,” disse Koushi quasi con astio. “Non c’è bisogno di girarci tanto intorno…”
“E perché fa soffrire tanto anche te?” Domandò il Signore Supremo dei Sith.
Koushi lo guardò con sospetto. “Non è stato Tooru a dirti di portarmi qui, vero?”
“Non l’ho mai detto,” gli ricordò Wakatoshi.
Koushi scese dalla moto da solo e si tolse il casco dalla testa lasciandolo cadere a terra. “Tooru non è nemmeno qui, vero?”
Wakatoshi non abbassò gli occhi nemmeno per un istante. “Tooru si sta preparando ad accogliere Tobio.”
Accoglierlo,” ripeté Koushi con astio. “Mi piacerebbe tanto conoscerli i dettagli di questa sua accoglienza.”
“Non li ha rivelati neanche a me.”
“Non ci credo!” Esclamò il Jedi. “Non posso credere che tu sia all’oscuro dei suoi piani, dei suoi pensieri.”
Wakatoshi scosse la testa, superò la moto e si fermò per guardare il suo prigioniero dall’alto al basso. “Non sono mai riuscito ad entrare nella testa di Tooru,” confessò. “Né metaforicamente né letteralmente.”
Koushi sospirò e la sua espressione si addolcì. “Lo so,” disse. “Eri molto bravo ad entrare nella mia, però.”
Wakatoshi sollevò le sopracciglia. “Non mi sono mai permesso di… Le volte che l’ho fatto è stato col tuo consenso, non avrei mai…”
“No, lo so,” lo interruppe Koushi. “Ti avrei fatto del male se ci avessi provato.”
Wakatoshi strinse le labbra. “Già, avresti avuto il potere di farlo.”
“Non è una cosa che mi fa piacere,” aggiunse immediatamente Koushi.
“Sei sempre stato gentile,” disse il Signore Supremo. “La tua forza, la tua debolezza… Tutto sta qui, nella tua gentilezza.” Sollevò una mano e sfiorò la frangia di capelli chiari con la punta delle dita.
Koushi accettò il gesto in silenzio. “Gentilezza non è sinonimo di debolezza, Wakatoshi.”
“L’unico che ti ha mai giudicato debole sei stato sempre e solo tu, Koushi.”
Il Jedi sorrise amaramente. “Tooru me lo ripeteva continuamente. Anche se voi due siete sempre stati gli unici ad essere sinceri nei vostri giudizi.”
“Non eri un soldato ma questo non faceva di te un debole.”
Koushi mosse qualche passo verso la sponda del lago. “Perché mi hai portato qui, Wakatoshi?”
Il Signore Supremo lo fissò a lungo, poi si portò una mano alla cintura ed afferrò la sua spada. Il laser rosso trafisse l’oscurità della notte e Koushi trasalì indietreggiando.
Wakatoshi lo fissò senza espressione. “Hai paura, Koushi.”
Non era una domanda.
Il Jedi strinse i pugni, un nodo gli stringeva la gola e sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi. Aveva sempre saputo che quello era il suo destino, che essere Jedi non gli avrebbe permesso di andare incontro alla sua dipartita in modo naturale. Strinse le labbra e trattenne un singhiozzo ma non riuscì a fare lo stesso con le lacrime che, inevitabilmente, gli solcarono le guance. “Quindi devi essere tu…” Mormorò con un sorriso tristissimo.
“Sì,” rispose Wakatoshi. “Devo essere io.”
Il laser vibrò nell’aria della notte e Koushi chiuse gli occhi aspettando che la sua sorte si compiesse.
Non accadde nulla. Sollevò le palpebre e non fu il raggio rosso quello che trovò puntato nella sua direzione ma l’impugnatura. Koushi la guardò esterrefatto, poi sollevò lo sguardo sul viso inespressivo di Wakatoshi.
“Fallo,” disse il Signore Supremo.
Koushi lo guardò esterrefatto. “Che cosa stai dicendo?”
“Eravamo in tre, Koushi,” gli ricordò Wakatoshi. “Di noi solo Tooru si è dimostrato il figlio della Forza ma io ero nato per la battaglia almeno quanto tu eri fatto per la conoscenza.”
Koushi scosse appena la testa. “Tu e Tooru eravate il futuro della galassia. Io ero solo un bambino senza talento con un livello di Midichlorian fuori dal comune ed un carattere abbastanza docile da incantare Maestri vecchi e stanchi di dover rimettere in riga piccoli ribelli prescelti dalla Forza.”
“Hai tutto quello che ti serve per uccidere me, salvare i tuoi compagni ed offrire ai Jedi una speranza per riprendere questo pianeta,” gli offrì Wakatoshi come se la sua vita non avesse alcun valore. “Affronta il lato oscuro su queste rive e potrai riavere il tuo uomo, Koushi.”
Il Jedi lo fissò tremante, la spada laser aspettava solo di essere afferrata.
“Non ha senso quello che stai facendo, Wakatoshi.”
“Ti sto offrendo una via di fuga,” replicò il Signore Supremo.
“Tieni così poco alla tua vita?”
“Un Maestro deve essere pronto a sacrificarsi per permettere al suo Padawan di crescere.”
Gli occhi di Koushi si tinsero di rancore. “Non sei più il mio Maestro, Wakatoshi.”
“Ma sono io che ti ho reso un Jedi,” replicò il Signore Supremo.
“Tu mi hai reso un ribelle!”
“Quello lo eri già,” la voce di Wakatoshi non esprimeva alcuna emozione. “Io ti ho solo permesso di essere te stesso.”
Koushi strinse i denti sul labbro inferiore e si odiò per le lacrime che continuavano a rigargli le guance.
“Avanti, Koushi. Sappiamo entrambi che è così che deve finire.”
Il Jedi abbassò di nuovo lo sguardo sulla spada dal laser rosso. Era un inganno? Una trappola?
No…
No, Wakatoshi non lo avrebbe mai fatto.
C’era una particolarità nelle relazioni tra Jedi, tra Padawan e Maestro in particolare: non aveva importanza quanto il primo crescesse, il secondo non perdeva mai il suo titolo.
Era così per Tobio e Hajime. Tooru era una storia completamente diversa...
Era una prova quella di Wakatoshi. Un test per rendersi conto del suo potenziale.
Koushi si rese conto di aver sollevato la mano solo quando le sue dita sfiorarono il palmo del Signore Supremo e si strinsero intorno alla superficie di metallo. La spada vibrò nella sua stretta come animata di vita propria.
Koushi si era aspettato qualcosa, un contatto di qualche tipo. Evidentemente, il legame tra lui e Wakatoshi non era abbastanza profondo per permettergli di sentire qualcosa toccando la sua spada.
O, semplicemente, era come temeva e non c’era più nulla da sentire nell’animo di Wakatoshi.
“Tu lo ami, non è vero?” Domandò fissando il viso del Signore Supremo attraverso il laser rosso.
Un colpo, pensò. Un colpo ed avrebbe avuto la possibilità di salvare Daichi, i ragazzi e tornare a casa prima che il Consiglio intervenisse. Prima che Tobio e Hajime arrivassero dove Tooru li voleva.
“Non è una risposta che posso dare a parole,” disse Wakatoshi.
Koushi si umettò le labbra. “Lo amavi quando non potevi averlo, però.”
“Lo desideravo quando non potevo averlo. È diverso.”
Il Jedi si sentì stranamente sollevato da quella risposta. “Lui ti ama?” Era una domanda crudele.
Wakatoshi, però, non era divenuto il signore dei Sith per niente. “Tu ami Daichi?” Un quesito ancor peggiore.
Koushi ingoiò a vuoto ma si rese conto che combattere il nodo che gli stringeva la gola era inutile quanto cercare di trattenere le lacrime. Disattivò la spada laser e la porse al suo legittimo proprietario. “Ho già tradito me stesso una volta e l’ho pagato a caro prezzo. Non lo farò di nuovo.”
Wakatoshi lo fissò ancora, poi afferrò l’arma e riabbassò il braccio. “Nemmeno per salvare chi ami?”
Koushi gli rivolse un sorriso tristissimo. “Ho fatto sacrifici peggiori.”
 
 
 
***
 
 
Di norma, un Jedi viaggiava leggero.
Per tanto, quella mattina, Tobio non dovette fare altro che vestirsi ed uscire dalla sua camera per raggiungere gli altri nell’atrio del Tempio. Tra i Maestri più esperti, sarebbero partiti molti dei più cari compagni di suo padre. Issei e Takahiro per primi ma anche un Cavaliere dall’aria rabbiosa a cui, nonostante gli anni di esperienza, non erano ancora riusciti a dare un Padawan: il suo nome era Kentaro ed era noto a tutti che non seguiva gli ordini di nessuno, se non di Hajime.
“Fa tutto quello che ti viene detto,” stava dicendo per l’appunto il suo vecchio Maestro quando scese gli ultimi gradini. “Issei e Takahiro saranno al comando della spedizione. È a loro che devi ubbidire.”
Kentaro si voltò verso i due Jedi in questione e questi annuirono come a sottolineare una certa superiorità su di lui. Ringhiò in segno di approvazione. Hajime cercò Tobio con gli occhi e lo trovò che parlava con Kei e Tadashi. Guardò i tre amici negli occhi. “Fate il vostro dovere ma non permettete a Tobio d’incrociare lui sul suo cammino. Mi sono spiegato?”
Sia Issei che Takahiro annuirono con aria terribilmente seria. Kentaro ringhiò di nuovo e Hajime seppe che il suo Padawan era nelle mani migliori a cui potesse affidarlo in quella situazione. “Tornate a casa,” furono le ultime parole che disse loro.
Si voltò e notò che il piccoletto era comparso sulla scena e Tobio gli stava rivolgendo i suoi saluti. Si avvicinò con discrezione.
“Credo che ti affideranno a Hajime in mia assenza,” disse Tobio con voce incolore. “È più paziente di me, quindi non dovrebbe avere problemi con la tua naturale stupidità.”
Shouyou s’imbronciò e Kei e Tadashi risero a bassa voce.
“Ho imparato da lui tutto quello che so,” aggiunse Tobio. “Imparare da lui non varrà meno che imparare da me.”
Shouyou annuì due volte.
Tobio lo scrutò con particolare attenzione. “Non fare cose stupide fino a che non torno.”
Il Padawan non si offese ma si fece improvvisamente serio. “Questo vale più per te che per me,” replicò.
Tobio storse la bocca. “Sei preoccupato per me?”
“Affatto!” Esclamò Shouyou con fare pizzuto. “Se non sarà la tua spada, la tua antipatia stenderà tutti i Sith che ti minacceranno, ne sono certo!”
Tobio mosse una mano per afferrargli la testa ma Shouyou fu più veloce. Il Padawan sorrise per quella piccola vittoria. “Mancato!” Esultò.
Il giovane Maestro alzò gli occhi al cielo e si trattenne dal tirargli addosso la spada laser appesa alla sua cintura.
“Tobio…”
Si voltò e Hajime gli strinse immediatamente le spalle, come se avesse un gran bisogno di toccarlo. Per un lungo momento di silenzio si guardarono negli occhi e basta, poi il Maestro sorrise. “Diventerai più alto di me, alla fine,” concluse.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
Hajime scosse la testa, poi divenne improvvisamente serio. “Torna a casa,” disse. “È l’unico ordine che t’impartisco per questa missione: qualunque cosa succeda, torna a casa.”
Tobio annuì, sul suo viso vi era la stessa serietà.
Hajime esitò un attimo, poi lo lasciò andare. Avvertiva qualcosa di definitivo in quel momento, qualcosa di dolorosamente familiare nel modo in cui Tobio continuò a guardarlo negli occhi mentre si voltava. Nessuno glielo aveva insegnato, nessuno glielo aveva nemmeno mostrato. Tuttavia, per un attimo, quei capelli neri divennero più chiari, più ribelli e quegli blu non persero la loro espressione sicura ma si tinsero di scuro.
Perché così erano gli occhi per cui aveva tradito tutto, compreso se stesso, prima che quel maledetto oro li contaminasse.
Hajime avvertì una spiacevole sensazione allo stomaco, come se stesse rivivendo una scena che avrebbe tanto voluto cancellare. Una di quelle che se avesse potuto evitarle, tante brutte cose non sarebbero successe. Mosse un passo in avanti e dischiuse le labbra ma non riuscì a dire niente.
“Tobio!” Chiamò Shouyou.
Il Cavaliere Jedi si fermò e si voltò a guardarlo.
Hajime guardò quel piccoletto e vide che sorrideva, come se non stessa guardando il suo Maestro mentre partiva per una battaglia da sarebbe potuto non tornare mai più e non a causa della morte. Dopotutto, però, quel piccolo raggio di sole di quel mondo non conosceva nulla e questo impediva all’oscurità che era intorno a tutti loro di toccarlo. Almeno per ora.
“La Forza sia con te!” Esclamò Shouyou allegro.
Un arrivederci, non un addio.
Shouyou non aveva nulla da temere. Per lui, Tobio sarebbe tornato a casa senza dubbio e non c’era alcuna ragione di avere paura.
Suo malgrado, Hajime sorrise.
”Iwa-chan! Iwa-chan! Iwa-chan!”
“Cos’altro c’è, Tooru?”
“Che la Forza sia con te.”

Tobio annuì e basta, quell’aria determinata ancora al suo posto e Hajime decise di avere fiducia nell’ottimismo di Shouyou: sarebbe andato tutto bene.
 
 
***
 
 
Koushi e Wakatoshi tornarono alla Capitale senza dire una parola.
Il Jedi non seppe mai se aveva superato la prova del giovane uomo che era stato il suo Maestro ma Wakatoshi non si era mai fatto problemi a dimostrargli la sua delusione quando prendeva la direzione sbagliata ed in quell’occasione non accadde.
Per una piccola parentesi di tempo, Koushi riuscì quasi a fingere che il tempo che li aveva divisi non fosse mai trascorso, che stessero vivendo ancora quella stagione delle loro vite in cui si poteva permettere di credere che ancora tutto fosse possibile.
Quel tempo in cui Wakatoshi era il Jedi più giovane e forte della sua generazione e Tooru era la speranza che avrebbe riportato equilibrio nella Forza.
Quanti segreti Koushi aveva celato in quei ricordi e molti non aveva avuto la forza di confidarli nemmeno a Tooru. Era stata quella la stagione in cui aveva commesso tutti i suoi peccati, gli stessi per cui avrebbe pagato per tutta la vita ma non c’era giorno in cui non si svegliasse e non desiderasse poter rivivere almeno uno di quegli istanti.
Anche se era stato tutto sbagliato, anche se non era il cuore di Daichi quello che possedeva a quel tempo… Anche se quel fuoco li aveva consumati tutti rendendoli cenere…
Se solo Hajime avesse saputo quanto avevano in comune, forse avrebbe ascoltato le sue parole di conforto dopo il tradimento di Tooru con più attenzione.
Koushi, però, aveva fatto del fanciullo che era divenuto il Re dei Sith il suo confessore e non avrebbe macchiato con le sue colpe anche l’animo tormentato di un Cavaliere Jedi che aveva perso quasi tutto ma che aveva giurato di proteggere quel che era rimasto restando fedele a se stesso.
E così avevano cresciuto Tobio.
Quando si tolse il casco da sopra la testa e lo riconsegnò a Wakatoshi, Koushi sentiva il cuore leggero come non gli capitava un po’. Si sarebbe sentito tremendamente in colpa per quell’emozione di lì a poco ma il sole non aveva ancora tagliato l’orizzonte di Karasuno e poteva permettersi di sognare ad occhi aperti come un ragazzino ancora per un po’.
La sua mano sfiorò quella del Signore Supremo per un istante e, per un momento, fece per chiedergli che cosa aveva voluto dimostrare portandolo al lago del Tempio Jedi ed offrendogli la possibilità di sconfiggerlo facilmente, di salvare tutti.
Wakatoshi, però, gli rispose senza che avesse bisogno di chiedere nulla. “Sei troppo gentile per questo mondo, Koushi. Lo sei ancora dopo tutto quello che è successo.”
Il peso dell’angoscia tornò a gravare sul suo petto ma lo sorresse con dignità. “Sono sempre stato un debole, Wakatoshi. Tu e Tooru siete sempre stati gli unici ad essere sinceri in questo.”
Il Signore Supremo scosse la testa. “Se fossi debole, Koushi, la tua gentilezza non esisterebbe più da tano tempo.”
Koushi strinse le labbra. “Non posso essere il tuo ambasciatore per l’Ordine dei Jedi,” gli disse con voce sorprendentemente ferma per le emozioni che gli facevano vibrare dolorosamente il petto in quel momento. “Dovrei credere in te e Tooru per darvi questa possibilità.”
“Ci crederai…”
Il Jedi si fece rigido. Guardò Wakatoshi dritto negli occhi ma non trovò nessuna emozione su quel viso. Nulla di nuovo.
Si voltò.
Il Re dei Sith gli sorrideva in modo oscuro, gli occhi dorati scintillanti di aspettativa. “Ci crederai, prima o poi, Koushi.”
Il Jedi non replicò. Guardò un’ultima volta Wakatoshi ed il Signore Supremo non dovette sforzarsi per vedere riflesso in quelle iridi d’ambra il dolore del tradimento. Era una sfumatura che conosceva dolorosamente bene.
Koushi non degnò Tooru di una parola mentre lo superava per tornare nella sua stanza.
Il Re dei Sith fece una smorfia. “Cos’era quell’aria da cucciolo abbandonato?” Domandò. “Lo hai fatto arrabbiare?”
“Ha pianto,” rispose Wakatoshi.
“Non mi sorprende,” replicò Tooru incrociando le braccia contro il petto e rivolgendo gli occhi alla porta chiusa in fondo al corridoio. Poi tornò a sorridere all’indirizzo del Signore Supremo. “Ancora con la testa attaccata al collo, eh?”
Il viso di Wakatoshi non cambiò di una virgola. “Hai davvero creduto che mi avrebbe ucciso per salvare il suo amante ed i suoi compagni?”
Tooru scrollò le spalle. “Se tra i tuoi Padawan, fosse stato lui a farti saltare la testa sarebbe stato un gran colpo di scena, lo devo ammettere!”
“E tu non avresti sopportato l’umiliazione di esserti lasciato sfuggire la tua rivincita.”
Tooru rise. “Mi conosci così bene, Wakatoshi!” Si calmò. “Dicevi di conoscere i punti giusti in cui premere per convincere Koushi a liberarsi, alla fine. Non mi pare che sia andata secondo i piani. Dovremmo provare uno dei buoni e vecchi metodi del nostro predecessore.”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “Puntare una spada alla gola di Daichi non permetterà a Koushi di capire.”
“No,” concordò Tooru. “Ma se non si dimostra collaborativo, dobbiamo spingerlo ad esserlo. Non credi anche tu?”
Era diabolico il sorriso del Re dei Sith ed era vuota l’espressione di Wakatoshi.
“Per pura curiosità,” aggiunse Tooru. “Quali erano quei punti tanto sensibili che volevi toccare per convincere Koushi a dare una possibilità alle tue parole?”
Wakatoshi tornò a guardare di fronte a sé, nel punto dove Koushi era sparito.
”Ho fatto sacrifici peggiori.”
“Non credo che fossero così importanti per lui come credevo,” rispose.
 
 
***
 
 
”Ci sono domande che ti poni da quando hai memoria ma a cui non riesci a trovare una risposta?”
Urla. Urla di dolore.
“Lascia che ti dia un indizio…”
Urla e ancora urla. Le sue urla.
“Tutta la tua vita è una menzogna costruita ad arte.”
Dolore, dolore… Ancora dolore.
“Una bugia per renderti quello che loro volevano che fossi. Capisci?”
Non era un dolore fisico. Era qualcosa di più profondo, più oscuro.
“Tu desideri la verità, non è vero? Tu brami la verità!”
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto combattere ma non poteva fare altro che urlare.
“Allora lascia che te la mostri. Lasciami entrare…”

 
 
“Qualcosa non va?”
Shouyou sollevò lo sguardo dalla sua colazione dopo quelli che dovevano essere stati dieci minuti abbondanti. “Eh?”
L’espressione di Tadashi era sinceramente preoccupata. “Non hai toccato cibo e di solito divori tutto in un lampo.”
Shouyou tornò a guardare il vassoio intoccato sotto i suoi occhi. “Oh…” Commentò afferrando un cucchiaio meccanicamente.
Dalla parte opposta del tavolo, Kei gli lanciò un sorrisetto di scherno. “Brutti sogni senza il tuo Maestro che ti dome accanto?”
Shouyou non reagì alla provocazione. Si portò un boccone alle labbra e lo ingoiò senza nemmeno registrarne il sapore. “Sì, brutti sogni,” rispose.
Erano passati tre giorni da quando Tobio era partito ed il Maestro Hajime non si era nemmeno degnato di rivolgergli la parola da allora.
“Immagino sia preoccupato per il suo allievo,” aveva detto il Maestro Ittetsu quando Shouyou era andato da lui a chiedere spiegazioni. “Meglio lasciarlo in pace, piccolo. Quando sarà pronto, verrà lui da te ma credo che Tobio sarà già tornato a casa per allora.”
In altre parole, non c’era nessuno disposto ad addestrarlo o a dargli qualcosa da fare in attesa che quell’antipatico del suo Maestro facesse il suo trionfante ritorno a casa da gran vincitore. Pur di non stare solo, aveva provato di nuovo a fare amicizia con Tadashi e Kei ed era andata notevolmente meglio rispetto alla prima volta, quando ancora non sapeva che il biondo antipatico era un non amico del suo altrettanto antipatico Maestro.
“Sul serio hai fatto brutti sogni?”
Shouyou sollevò di nuovo il viso. Kei non lo guardava più con espressione divertita e la serietà nei suoi occhi fece scivolare via ogni traccia di sonno che gli era rimasta addosso. Passò gli occhi d’ambra da Tadashi a Kei con sguardo confuso. “Capita a tutti di fare brutti sogni,” disse come se fosse una cosa completamente naturale.
”No!” Lo riprese immediatamente la voce di Tobio nella sua testa. ”Ai Jedi no!”
“Hai sognato qualcosa in particolare?”
Shouyou scrollò le spalle. “Dormo male quando affronto un cambiamento. Non credo ci sia nulla di cui preoccuparsi.”
Tadashi annuì. “Forse, ha ragione, Tsukki,” lo rassicurò. “Se avesse avuto degli incubi di quel genere se ne sarebbe accorto… Insomma, lo sentirebbe.”
Kei lo guardò come a dirgli di fare silenzio. “Allora?” Insistette. “Che cosa vedi?”
Shouyou gli rivolse un ghignetto. “Ti rispondo solo se mi fai allenare con te!” Propose.
Kei rimase in silenzio per qualche istante. “Ha ragione Tadashi, non devono essere incubi significativi…” Concluse finendo di bere il suo latto.
“Antipatico!” Esclamò Shouyou lanciandogli il suo cucchiaio.
Kei si spostò prontamente e lo schivò. “Lento, prevedibile… Il Re non ha fatto un gran lavoro con te nell’ultimo mese,” commentò sarcastico.
“È passato troppo poco tempo!” Si giustificò Shouyou incrociando le braccia contro il petto. “Abbi pazienza e supererò la prova per divenire Jedi prima di te.”
“Oh, non ne dubito!” Disse Kei con evidente sarcasmo.
“Smettila di prendermi in giro!”
“Però, dobbiamo ammettere che Shouyou ha talento,” intervenne Tadashi. “In quattro settimana ha recuperato quasi tutto quello per cui noi siamo stati addestrati per tutta l’infanzia!”
Gli occhi di Shouyou si fecero grandi, le guance rosse. Annuì con convinzione. “Sì! Sì! È così!”
“Non possiamo metterci a confronto con un nanerottolo con un livello di Midichlorian assurdo,” replicò Kei annoiato. “È come cercare di superare Tobio: inutile, una perdita di tempo. Quelli come Yuutaro finiranno per farsi male inseguendo un simile obbiettivo. Inoltre…” Puntò l’indice contro il piccolo Padawan dalla parte opposta del tavolo. “Fallo pure essere poco talentuoso e non avrebbe ragione di stare qui con quel corpo da bambino. Strano che non ti abbiamo mandato a Karasuno per sbaglio!”
Suo malgrado, Tadashi rise.
Shouyou li guardò in cagnesco ma si riprese immediatamente. “Perché?” Domandò. “Che cosa c’è a Karasuno?”
“I bambini più piccoli vengono mandati lì quando lasciano le loro famiglie,” spiegò Tadashi. “Il Tempio è nelle mani di una Principessa della Repubblica, Jedi anche lei. Sua sorella minore è la ragazzina che tu e Tobio avete salvato dalla navicella finita nel lago.”
“Oh…” Shouyou annuì registrando velocemente quelle informazioni. “Quindi, anche voi siete stati lì? Su Karasuno, intendo…”
Tadashi annuì. “Abbiamo tanti ricordi legati a quel pianeta, vero Tsukki?”
“Non fare il sentimentale, Tadashi,” lo rimproverò Kei.
“Anche Tobio?” Domandò Shouyou curioso.
I due Padawan si lanciarono un’occhiata veloce.
“Esattamente che cosa sai del nostro Re, Shouyou?” Domandò Kei.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Quello che sanno tutti… Credo…” Aggiunse esitante. “Che è stato cresciuti dai membri della squadra della Tobio Starship. Mi ha detto che il suo nome viene da lì! Hajime Iwaizumi è il Maestro che lo ha reso un Jedi ma mi par di aver capito che anche Koushi abbia avuto una certa influenza nella sua educazione. So che a tredici anni era già un Jedi ed è il solo ad essere riuscito in una simile impresa.”
“Non è il solo,” lo interruppe Kei.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come?”
Il Re dei Sith,” spiegò Kei. “Tobio è il primo di questa generazione, sì… Ma è stato il Re dei Sith a stabilire il record prima di lui e nessuno sa con certezza come e quando il Signore Supremo sia divenuto un Jedi.”
“Shhh…” Tadashi si premette l’indice contro le labbra. “Parla piano, Kei…”
“Tobio mi ha detto che il Re dei Sith era un Jedi molto talentuoso ma…”
“A Tobio non piace questa similitudine,” spiegò Kei. “Ci sono stati infiniti paragoni quando è divenuto un Jedi prima del tempo ed il fatto che si sia guadagnato il soprannome di Re tra i suoi pari non ha contribuito molto a rendergli le cose più facili.”
Shouyou lo guardò storto. “Allora perché continui ad usarlo?”
“Non l’hai mai visto in un combattimento serio, vero?” Domandò Kei.
“No,” Shouyou scosse la testa. “Non mi permettono nemmeno di andare in missione ancora…”
“Quando lo vedrai capirai.”
“Che cosa?”
“Perché quel soprannome gli sta a pennello,” chiarì Kei. “Nessuno ha il coraggio di dirlo ad alta voce, nemmeno Tobio ma quando hai un nemico come il Re dei Sith, tutto quello che puoi fare è crescere un alleato altrettanto forte da mettergli contro.”
Shouyou sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola. “Vuoi dire che…”
Kei scrollò le spalle. “È impossibile non fare il paragone per chi non lo ha conosciuto, non riesco ad immaginare che cosa passi per la testa di chi ci è cresciuto insieme o che lo ha addestrato prima della sua caduta al Lato Oscuro. Suona fin troppo come un passaggio di trama delle grandi storie che piacciono tanto a te ma qualunque cosa faccia da quando era bambino, Tobio finisce sempre per riconfermarsi come l’erede del fanciullo geniale che poi è divenuto il Re dei Sith.” Una pausa. “Di conseguenza, è il suo rivale perfetto.”
Shouyou rifletté. “Tobio odia parlarne,” ammise ricordando la prima conversazione che avevano avuto in merito a quell’argomento.
“Per Tobio è un’ossessione,” disse Kei. “Non lo biasimo…”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”
“Beh… Se per tutta la vita venissi paragonato all’incarnazione del Lato Oscuro, prima o poi chiunque ne farebbe una fissazione,” spiegò Kei. “Tutti si domandano curiosi chi tra i due vincerebbe in uno scontro e alcuni si domandano se questa somiglianza di Tobio con il Re dei Sith non sia un presagio.”
“Un presagio?” Domandò Shouyou.
“Riflettici,” lo invitò Kei. “Se ti ritrovi a percorrere lo stesso cammino del più temuto dei Sith senza che nessuno ti abbia dato una spinta, anche a te verrebbe il dubbio che, presto o tardi, andrai incontro allo stesso destino, no?”
Shouyou non rispose immediatamente. Strinse le labbra per un istante e rifletté su quelle parole con attenzione. “È questo che pensano tutti?” Domandò. “Temono che Tobio diverrà l’erede del Re dei Sith in tutto e per tutto?”
Tadashi sospirò. “Ci sono tante persone invidiose di Tobio,” disse. “E Tobio non è un carattere amichevole, così capita che i ragazzi dicano delle cattiverie…”
“Per i Maestri non è una cattiveria,” lo interruppe Kei. “Perché pensi che il Maestro Hajime sia tanto preoccupato? Lui conosce l’animo di Tobio meglio di chiunque di noi ma persino io posso dire con assoluta certezza che non c’è nessuno equilibrio dentro di lui ed è questo a renderlo pericoloso agli occhi degli anziani.”
Shouyou non capiva. “Lo condannano ancor prima che abbia una colpa in questo modo, però.”
“Nessuno condanna nessuno,” disse Kei. “Tobio è l’arma più potente di cui l’Ordine disporrà una volta che la vecchia generazione non avrà più la forza di combattere. Una volta, lo era il fanciullo che oggi è il Re dei Sith. Lo chiamavano speranza, Figlio della Forza… Era destinato a fare grandi cose, dicevano.” Un sospiro annoiato. “Avevano ragione ma non ne avevano previsto la natura. È naturale, dopotutto… Se hai vissuto una storia e ti ritrovi ad assisterne ad un’altra identica nei dettagli, non puoi fare a meno di prevederne la fine.”
“O sperare che non vada come è andata la volta precedente,” aggiunse Tadashi. “Alcuni Maestri sono timorosi, vero ma chi ha cresciuto Tobio vive nella speranza. Neanche tu credi che ci tradirà mai, Tsukki, ammettilo…”
Kei fece una smorfia e voltò il viso altrove.
Shouyou si umettò le labbra. Non sapeva perché ma aveva un’orribile presentimento.
Tadashi gli toccò una spalla. “Se vuoi puoi venire con me dalla Principessa.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come?”
“Se nessuno dei Maestri ha tempo di prendere il posto di Tobio, puoi passare la giornata con me. Non faccio molto, non sono tra i migliori della mia generazione ma la Principessa è una buona compagnia e potrebbe aiutarti a distrarti un po’.”
Shouyou ci pensò. “Hitoka? La ragazzina che io e Tobio abbiamo salvato?”
Kei ridacchiò. “Il Re sostiene che ha fatto tutto da solo mentre tu lo fissavi con gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa.”
Shouyou gli fece la linguaccia.
“Sì, lei!” Confermò Tadashi. “Anche lei ha qualcuno di caro su Karasuno, quindi vi comprenderete bene.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Io non ho nessuno di caro su Karasuno,” replicò. “Voglio dire, sono preoccupato per il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi e spero che tornino sani e salvi, ma…”
“Io scendo in giardino,” disse Kei alzandosi in piedi. “Troppe sciocchezze a colazione mi danno il voltastomaco.”
Shouyou lo guardò storto. “Io non sono preoccupato per Tobio!” Esclamò.
Il Padawan dai capelli biondi lo guardò annoiato. “E chi ha detto il contrario?”
Shouyou arrossì e chinò la testa. “Maledizione…”
Tadashi rise ma non voleva essere derisorio. “Non c’è ragione di vergognarsi, sai?” Disse con un sorriso amichevole. “Anche io mi preoccupo molto per Tsukki quando partecipiamo a missioni diverse e so che lui si preoccupa per me.”
“Tadashi, non contribuire a riempire la testa del novellino di sciocchezze,” lo avvertì Kei da distanza.
Shouyou ringhiò nella sua direzione ma finì solo per assomigliare ad un cucciolo di cane offeso.
Tadashi rise di nuovo. “Vieni, portiamo la colazione alla Principessa Hitoka.”
 
 
***
 
 
“Bene, ragazzi,” disse Issei con espressione neutra portandosi davanti al gruppetto di giovani Padawan. “Stiamo per uscire dall’iperspazio e, con molta probabilità, questo ci renderà visibili ai radar nemici ancor prima che entriamo nell’atmosfera del pianeta Karasuno. Per tanto, probabilmente verremo attaccati dalle forze in cielo da ogni lato e rischieremo una morte per schianto ancor prima di avvistare terra. Tutto chiaro fino a qui?”
I Padawan si scambiarono delle occhiate tra il confuso ed il terrorizzato.
Tobio, rimasto seduto in fondo alla nave, alzò gli occhi al cielo ed aspettò pazientemente che qualcuno avesse la prima crisi di panico della missione. Quella era la parte che odiava di più dell’andare in missione con i vecchi compagni del suo Maestro: non erano mai davvero divenuti degli adulti ed i Padawan di turno ci cadevano sempre.
“Ma… Ma…” Bofonchiò un ragazzino di cui Tobio non ricordava il nome. “Non dovremmo avere un piano di attacco.”
“Come no!” Esclamò Takahiro dalla cabina di pilotaggio senza voltarsi. “Ci sediamo, ci allacciamo le cinture e se le cose si mettono male prima che atterriamo mettete la testa in mezzo le gambe e date un bacio d’addio alle…”
“A quanto l’uscita dall’iperspazio?” Domandò Tobio di colpo alzandosi in piedi.
Tutti i giovani Padawan si voltarono a guardarlo. Fu impossibile non sentire su di sé le occhiate astiose di Yuutaro ed Akira ma Tobio non dava loro abbastanza importanza perché fosse un peso.
Issei scrollò le spalle. “A quanto di preciso, Takahiro?”
“Tre minuti al massimo!” Esclamò il pilota.
“Bene,” commentò Tobio superandoli tutti senza dare spiegazioni e sedendosi al posto del secondo pilota. Lanciò una breve occhiata a Kentaro che era in piedi accanto a lui e quella sorta di cane rabbioso approvò la sua presenza con un ringhio a bassa voce.
“Come intendi muoverti, ragazzino?” Domandò Takahiro continuando a guardare di fronte a sé.
“Posso oscurare i radar,” disse Tobio. “Se riesco a farlo e nessuno interviene, potremmo anche atterrare vicino alla Capitale indisturbati.”
“Se nessuno interviene?” Domandò Issei appoggiando il braccio alla poltrona del secondo pilota.
“Il Re dei Sith è su Karasuno, no?” Disse Tobio. “Se oscuro tutti i radar chiunque sarebbe capace di accorgersi di un movimento nella forza ed il nostro nemico è molto più di chiunque.”
“Se ti entra nella testa sei fottuto, moccioso,” disse Kentaro.
Issei e Takahiro lo guardarono sbalorditi.
Tobio ghignò. “Allora non dovrò lasciargli nessuno spirargli per entrare,” concluse.
Takahiro abbassò gli occhi sul pannello di controllo. “Un minuto…” Comunicò.
“Che inizino le danze,” disse Issei tornando sul retro della nave. “D’accordo, Padawan, non è un’esercitazione. Tutti ai vostri posti fino a che non tocchiamo terra… E speriamo di arrivarci con gli arti tutti attaccati.”
Tobio sentì gli altri ragazzi sollevare un brusio noioso e spaventato. Accanto a lui, Takahiro ridacchiò.
“Che branco d’idioti,” commentò il Re dei Jedi senza preoccuparsi di essere sentito.
“La tua genialità non deriva dalla tua simpatia, Tobio, tienilo a mente,” replicò Takahiro. “Meno dieci, nove, otto, sette…”
Tobio si aggrappò ai braccioli della poltrona con forza.
Una volta là fuori, il vero scontro sarebbe stato tra lui ed il famigerato Re dei Sith.
Era solo questione di tempo…
“…E la galassia intera saprà chi è il più forte.”
“Meno uno…”
La nave si arrestò di colpo e le stelle divennero di nuovo visibili tutt’intorno a loro. Non erano soli, come si erano immaginati ed era solo una questione d’istanti prima che le navi dei Sith cominciassero a fare fuoco su di loro da tutti i fronti.
Tobio, però, teneva gli occhi fissi solo sul pianeta verde ed azzurro di fronte a sé.
Karasuno.
Inspirò l’aria dal naso, chiuse gli occhi e sentì
 
 
***
 
 
Il Re dei Sith ed il Signore Supremo erano seduti sulla balconata della stanza che avevano fatto loro quando Reon entrò senza chiedere il permesso.
Wakatoshi allontanò immediatamente la mano dai capelli di Tooru e quest’ultimo si alzò in piedi.
“Reon,” disse il Signore Supremo sorpreso da una simile mancanza di rispetto. “Che cosa succede?”
Il Sith aveva il fiato corto e pareva agitato. “Una nave della Repubblica è appena uscita dall’iperspazio ed è comparsa in mezzo alla nostra flotta.”
“C’è Eita lassù?” Domandò Tooru.
Reon annuì. “Attendono ordini.”
Il Re dei Sith sorrise: i suoi uomini sapevano bene quando era il momento di farsi da parte e lasciarlo giocare.
“Non fate assolutamente nie…” Un brivido attraversò con violenza la schiena di Tooru. Si voltò di colpo a guardare il cielo limpido come se esso fosse da biasimare. Accanto a lui, anche Wakatoshi si era fatto rigido.
“Tooru?” Lo chiamò. “Tooru, lo hai sentito?”
Appena un istante dopo, uno dei loro soldati più giovani entrò nella stanza correndo. “Maestro Reon, miei signori… È sparita!” Esclamò.
“Che cosa è sparita, ragazzo?” Domandò Reon quasi gentilmente.
“La nave della Repubblica!” Esclamò il giovane. “Si è data alla fuga ed è sparita da ogni radar…”
Wakatoshi fece per dire qualcosa ma fu Tooru ad interrompere il silenzio per primo. “Sì…” Disse con un filo di voce. “Sì, Wakatoshi,” i suoi occhi dorati splendevano diabolici ed il suo sorriso era orribile da guardare. “L’ho sentito…”
 
 
***
 
 
Shouyou impiegò pochi minuti a decidere che Hitoka gli era simpatica.
Non urlava. Non era brusca e lo trattava con gentilezza, proprio come il Maestro Koushi.
“Così, tua sorella è una Principessa della Repubblica ed una Jedi,” disse muovendo il pezzo di un gioco da tavolo che Tadashi aveva recuperato per rendere il loro tempo insieme meno noioso.
Hitoka annuì. “Mia sorella è la Principessa di Karasuno e, al contempo, è la prima Maestra del Tempio dei bambini.”
Shouyou inarcò le sopracciglia e guardò Tadashi. “Si può fare?” Domandò.
Il Padawan prese i dadi e li lanciò, “non è una cosa comune ma il Consiglio adora la Principessa Kiyoko. Tra le donne è probabilmente la più forte della sua generazione.”
Shouyou spalancò gli occhi e sorrise. “Quindi anche tu sei una Padawan, Hitoka?” Domandò con allegria.
La ragazzina arrossì e scosse velocemente la testa. “Io non ho ereditato lo stesso talento di mia sorella,” disse. “Il livello di Midichlorian nel mio sangue non è considerabile…”
“Oh…” Disse Shouyou abbassando lo sguardo. “Strano con una sorella così.”
“Non è una legge fissa,” intervenne Tadashi muovendo la sua pedina sulla tabella da gioco. “Ai Jedi non è permesso farsi una famiglia normalmente. Nessuno qui è figlio di qualche guerriero, a parte alcune eccezioni.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Ma il vecchio Ukai non è il nonno del Maestro Keishin…”
“Ho detto normalmente, infatti…”
“Oh!” Shouyou sgranò occhi e bocca. “Il vecchio ha disubbidito alle regole dell’ordine e si è fatto una famiglia!”
“Shouyou, non urlare!” Lo rimproverò Tadashi.
Hitoka rise.
“Non conosco la storia del vecchio Maestro Ukai nei dettagli ma, sì, penso abbia avuto una figlia e che questa figlia abbia poi avuto il Maestro Keishin… La figlia in questione, però, non ha mai fatto parte dell’Ordine dei Jedi. Visto? Non è una legge fissa.”
“Quindi i Midichlorian non sono ereditari?” Domandò Shouyou confuso.
“Lo sono ma non sempre.”
“Non ha senso quello che dici, Tadashi.”
“Mia sorella me lo ha spiegato così,” intervenne Hitoka prendendo i due dadi tra le dita. “Ci sono Midichlorian ovunque. È un po’ il modo in cui la Forza si fa materia o qualcosa del genere.”
Shouyou annuì ascoltando con attenzione.
“E quando due persone con dei Midichlorian alti ma non abbastanza da Jedi hanno un bambino insieme è probabile, non certo, che questo figlio abbia dei poteri. Al contrario, due persone con un livello di Midichlorian basso difficilmente daranno alla luce un possibile Jedi. E così le persone si uniscono, le famiglie di creano e nelle generazioni possono nascere bambini destinati.”
Shouyou passò lo sguardo dal viso di Hitoka a quello di Tadashi. Non era certo di aver capito ma decise di provare a ragionarci su ad alta voce. “Perciò… Mia mamma potrebbe essere una Jedi mancata?”
Hitoka sbatté le palpebre un paio di volte. “Conosci la tua mamma?” Era sorpresa.
“Sì!” Shouyou sorrise. “Non te lo hanno detto? Io sono qui solo da quattro settimane. Sono stati il Maestro Koushi ed il Maestro Daichi a trovarmi. Hanno detto che il livello di Midichlorian nel mio sangue è assurdo e mi hanno chiesto se mi sarebbe piaciuto divenire un Jedi. Ho accettato!” Il suo sorriso morì immediatamente. “E mi hanno messo nelle mani di Tobio…”
Tadashi rise pur non volendo.
Shouyou gonfiò le guance. “Non c’è nulla di divertente nelle disgrazie altrui.”
Hitoka parve più confusa di prima. “Non sei un po’ troppo grande per essere addestrato?” Si morse subito la lingua. “Scusa, scusa, scusa! Non dovrei permettermi di giudicare così, io…”
“Hai ragione!” Esclamò Shouyou. “Koushi e Daichi mi hanno detto che se fossi nato all’interno della Repubblica mi avrebbero trovato molto prima ma hanno deciso di darmi un’occasione lo stesso! Così…” Scrollò le spalle. “Dato che il mio livello di Midichlorian è così alto, magari la mia mamma sarebbe divenuta una Jedi anche lei se fosse nata nella Repubblica.”
Tadashi lo guardò. “Chi era tuo padre?”
Shouyou scrollò le spalle. “Non so niente di lui,” ammise. “La mamma diceva che era un pilota di passaggio nella nostra città… È un pianeta commerciale il mio, sapete? Si può trovare di tutto lì, se sai da chi andare… Anche merce di contrabbando. In alcune zone del mio pianeta, i pirati galattici fanno da padroni.”
“Oh…” Commentò Tadashi abbassando lo sguardo. Hitoka fece lo stesso.
“No! No! No!” Esclamò Shouyou scuotendo la testa. “Non siate tristi! Io e la mamma stavamo bene anche da soli! Anzi, adesso che so questa storia dei Midichlorian posso anche dire in giro che mio padre era un Jedi di passaggio sul mio pianeta… Suona forte, vero?”
Tadashi non comprendeva. “Ma sarebbe una storia inventata…”
“Lo so,” ammise Shouyou scrollando le spalle. “I valori del mio sangue sono reali, quindi non posso essere figlio di un uomo qualunque, no?”
Hitoka scrollò le spalle. “Ha senso…”
“Sì ma non mettiamo in giro la voce che i Jedi concepiscono figli su di ogni pianeta su cui mettono piede o sarà la fine!” Esclamò Tadashi preoccupato.
“Ah, già è una voce ricorrente!” Esclamò Shouyou divertito.
Tadashi lo guardò basito. “Davvero?”
“Nei pianeti come il mio storie come queste sono ormai vecchie. Potrei farti una lunga lista di persone che affermato di essere figli o di aver avuto un figlio con un Jedi.”
Tadashi si prese la testa tra le mani. “Non c’è da sorprendersi che i vecchi del Consiglio non sappiano più dove sbattere la testa, allora.”
“Credo che accada anche all’interno dell’Ordine…”
Entrambi i Padawan sollevarono gli sguardi sulla Principessa.
Hitoka arrossì imbarazzata. “Voglio dire, non ne sono certa ma… Ecco…” Ingoiò a vuoto. “Qualche volta, quando ero bambina e giocavo con i piccoli Padawan del tempio, vedevo cose strane…”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Che genere di cose strane?” Domandò.
Tadashi si strinse nelle braccia. “Non so se voglio sapere.”
“In realtà, non ci ho mai pensato molto,” ammise Hitoka. “In teoria, i piccoli Padawan che arrivano al Tempio dei bambini vengono allevati dalle Jedi che sono lì.”
“Ma?” La incoraggiò Shouyou.
“Ma io ho visto delle mamme al Tempio, qualche volta.”
I due Padawan si fecero silenziosi, poi si guardarono. Tadashi parlò per primo. “Che vuoi dire, Hitoka?”
La Principessa abbassò lo sguardo. “C’erano delle giovani donne che stavano per divenire mamme… Sì, col pancione. Capite?”
Tadashi arricciò il naso. “Ma, di norma, non si fanno test su bambini non ancora nati. Sì, i Jedi vengono allevati fin da piccoli ma è estremamente raro che un neonato venga… No?” Guardò Shouyou.
Il piccolo Padawan scrollò le spalle. “Io ne so quanto te.”
“Shouyou è il tuo turno,” disse Hitoka passandogli i dadi.
L’argomento venne chiuso lì e ripresero a giocare.
 
 
***
 
 
“Vedi niente?” Domandò Ryuu.
Yuu se ne stava in piedi sulle sue spalle cercando di vedere qualcosa dalla minuscola finestrella della loro cella. “Sembra tutto tranquillo,” commentò deluso.
“Come fa ad essere tutto tranquillo dopo una vibrazione nella forza di tali dimensioni?!” Esclamò Ryuu.
Yuu portò lo sguardo sulla parete che li divideva dalla cella accanto alla loro. “Non hanno portato via nessuno,” disse. “E non mi pare che abbiamo messo insieme un piano di fuga.”
“Quindi?”
“Quindi non si tratta di Tooru,” concluse Yuu. “Una potenza simile si sprigionerebbe solo durante un combattimento o nel caso in cui serva usare la Forza su larga scala o…”
Ryuu rise. “Come se ci fosse qualcuno col potere di usare la Forza con tanta libertà ed efficacia, a parte il Re dei Sith.” Si fece serio un istante dopo. Alzò lo sguardo e Yuu abbassò il suo.
“Stai pensando quello che penso io?” Domandò quest’ultimo con un ghigno.
“Arrivano i nostri!” Esclamò Ryuu facendo un saltello trionfante che fece perdere l’equilibrio a Yuu.
Entrambi caddero a terra.
 
 
Daichi si era alzato in piedi di colpo e così Asahi.
“Che potenza…” Commentò quest’ultimo rivolgendo lo sguardo alla piccola finestra vicino al soffitto.
“Sì,” concordò Daichi con un’espressione tutt’altro che ottimista. “Impossibile non riconoscerla…”
E così il consiglio aveva mandato Tobio a salvarli.
“La tua vera prova comincia qui, figliolo,” mormorò. “Che la Forza sia con te…”
 
 
“No…” Koushi scosse appena la testa, gli occhi sbarrati, il respiro bloccato in gola. “No, non possono averlo fatto davvero…” Indietreggiò fino a che la sua schiena non aderì ad una delle colonne della balconata.
Era limpido e sereno il cielo di Karasuno ma Koushi lo guardava come se fosse incendiato da uno scontro armato. Era solo questione di tempo, probabilmente…
“Perché?” Domandò a qualcuno che non c’era.
Per quale ragione il Consiglio aveva deciso di mandare Tobio? Quale era la loro strategia?
Koushi chinò il viso e scoppiò a piangere. “Non dovevi venire qui,” disse tra i singhiozzi. “Non dovevi assolutamente venire qui…”
“Ma ora è qui.”
Il Jedi sollevò lo sguardo di colpo: il Re dei Sith era accanto a lui e lo fissava con espressione vittoriosa. “I vecchi del consiglio erano stolti quindici anni fa e continuano ad esserlo!” Esclamò divertito. “Più di un decennio a cercare di proteggere la loro nuova speranza ed ora me la servono su di un piatto d’argento in modo che me la gusti a modo mio!”
Gli occhi di Koushi erano ardenti d’ira.
“Oh!” Tooru si finse sorpreso. “È rabbia quella che vedo, Koushi? Il Jedi pupillo degli anziani che perde ancora una volta la sua perfezione per un sentimento mater…”
Koushi scattò in avanti, lo afferrò per la casacca e lo costrinse contro il parapetto di marmo della balconata. Avrebbe potuto spingerlo di sotto, se le sue mani non avessero tremato tanto. Poco importava, però: non sarebbe bastata una spinta nel vuoto ad uccidere il Re dei Sith.
“Non lo avrai,” sibilò tra le lacrime. “Non avrai mai Tobio e sarà lui stesso ad impedirtelo.”
Tooru era divertito dalla sua disperazione. “Certo, allo stato attuale non avrebbe ragione di venire con me,” disse afferrando il polso di Koushi e facendo un passo in avanti, allontanandosi dal parapetto. “Che ragione avrebbe un piccolo orfano cresciuto da degli amorevoli Maestri di tradire l’Ordine Jedi, l’unica famiglia che abbia mai avuto?” Domandò.
Di colpo, per Koushi divenne difficile respirare. Lasciò andare Tooru e si portò le mani alla gola.
“Nessuna,” concluse il Re dei Sith facendo ancora un passo avanti.
Il Jedi continuò a combattere contro la morsa invisibile stretta intorno al suo collo ma non poteva nulla.
“Peccato che la sua vita sia tutta una bugia.”
Come sentì le vie respiratorie liberarsi di nuovo, Koushi cadde in ginocchio e prese ad ingoiare aria disperatamente.
Tooru lo guardò dall’alto al basso. “Darò a Tobio l’unica cosa che voi non gli avete mai concesso: la verità,” disse allontanandosi dal Jedi a terra. “A quel punto, starà a lui decidere per quale Lato della Forza combattere.”
 
 
***
 
 
”Ci sono domande che ti poni da quando hai memoria ma a cui non riesci a trovare una risposta?”
Urla. Urla di dolore.
“Lascia che ti dia un indizio…”
Urla e ancora urla. Le sue urla.
“Tutta la tua vita è una menzogna costruita ad arte.”
Dolore, dolore… Ancora dolore.
“Una bugia per renderti quello che loro volevano che fossi. Capisci?”
Non era un dolore fisico. Era qualcosa di più profondo, più oscuro.
“Tu desideri la verità, non è vero? Tu brami la verità!”
Avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto combattere ma non poteva fare altro che urlare.
“Allora lascia che te la mostri. Lasciami entrare…”
“Mai…”
“Smettila di combattere. È inutile.”
“Mai! Mai!”
“Lasciami entrare, ho detto!” Ordinò il suo carnefice. “Lasciami entrare, Tobio!”

 
 
 
“Tobio!”
Shouyou si ritrovò a fissare il soffitto della sua camera con gli occhi spalancati.
Tutto era immobile e silenzioso intorno a lui. Il dolore era scomparso ma quando inspirò fu come se una morsa invisibile gli avesse stretto il collo fino a quel momento.
Il suo viso era umido: aveva pianto nel sonno.
Il braccio destro era teso in avanti, come se stesse cercando di afferrare qualcosa d’invisibile.
Impiegò quello che parve un tempo infinito per rendersi conto che era al sicuro ma quando riuscì a mettersi a sedere, gli occhi fissi sull’oscurità della stanza, l’unico pensiero coerente che riuscì a fare era che Tobio non era lì.
No, ricordò. Tobio era partito quasi quattro giorni prima per Karasuno, per combattere il Re dei Sith e liberare il pianeta ed i Jedi che erano finiti nelle mani del nemico.
“Tobio…”
Reagì d’impulso. Si alzò dal letto e corse fuori dalla sua stanza.
Fece tanto rumore da svegliare l’intero Tempio.
 
 
La Tobio Starship, anche dopo tutti quegli anni, era ancora il luogo sicuro di Hajime.
Non era altro che un ferro vecchio, certo. Non navigava tra le stelle da più di un decennio e aveva un posto nell’hangar solo per motivi affettivi ma questo non significa che avesse perso la sua importanza. Lì sopra avevano riso, avevano pianto, erano diventati grandi ed avevano desiderato di poter restare bambini. Un’intera generazione di Jedi era cresciuta a bordo di quella nave.
“Guarda! Guarda! Ha il mio naso!”
Ed una nuova era venuta al mondo.
“E guarda qui! Ha la mia bocca! Vedi?”
“Io non ci capisco assolutamente niente e tu vorresti farmi credere che è già identico a te?”
“Oh, Iwa-chan, non è così difficile! Guarda, questa è la forma della testa, il nasino…”
“Lo vedo quello, idiota!”
“E allora come fai a negare che quel broncio sia identico al mio?”

Hajime non sapeva cosa provare fissando quell’immagine in bianco e nero che si muoveva a stento, che aveva delle linee, dei contorni ma nessun dettaglio. La voce fuori campo di Tooru che continuava a ripetere idiozie non lo aiutava affatto.
”Guardalo! È arrabbiato!”
“Io continuo a chiedermi che cosa stai guardando!”

A distanza di quindici anni, Hajime riusciva a vederlo benissimo, invece. Il piccolo naso, il broncio di cui parlava Tooru…
Tutto era già lì, in quell’immagine che non era riuscito a decifrare. Piccolo, minuscolo…
Ora, a nemmeno quindici anni di età, Tobio era già alto quanto lui.
“Hajime!”
Il Cavaliere Jedi riuscì ad interrompere il video un istante prima che il Maestro Ittetsu mettesse piede nella cabina di comando. Aveva il fiato corto e l’espressione preoccupata.
“Che cosa succede?” Domandò alzandosi in piedi.
“Mi spiace disturbarti, Hajime.”
“Si tratta di Tobio?”
“No, cioè…” Il Maestro Ittetsu si umettò le labbra in difficoltà. “È di gran lunga più semplice se mi segui e lo vedi con i tuoi occhi.”
 
 
La sala del Consiglio era illuminata a giorno e questo fu sufficiente a far capire a Hajime che non doveva trattarsi di una questione da poco. Tutti erano seduti al loro posto con espressione assonnata ed annoiata al tempo stesso. L’unico ad essere in piedi era il vecchio Ukai ma non sembrava affatto divertito da quanto stava succedendo.
Hajime dovette farsi strada tra la folla di Jedi che si erano radunati per capire quale fosse la causa di tutta quella confusione.
“Vi dico che l’ho visto!”
Shouyou era in piedi al centro della stanza circolare vestito solo dei suoi abiti da notte e a giudicare da quanto era alto il tono della sua voce i vecchi non stavano dando la giusta importanza ad una questione che per lui era vitale.
Hajime non se ne sorprese: l’Ordine stava cadendo a pezzi da anni grazie alla loro incapacità di vedere oltre la loro ottusità.
“Ho visto il Re dei Sith torturare Tobio! L’ho visto in un sogno!”
Hajime sentì il cuore mancare un battito ed il respiro venire meno.
“Il tuo Maestro ti ha insegnato nulla sui sogni dei Jedi, ragazzino?” Domandò il vecchio Ukai con pazienza. Erano l’unico degli anziani che non sembrava aver solo una gran voglia di tornare a dormire, questo Hajime doveva riconoscerglielo.
Shouyou scosse la testa. “Che cosa poteva mai insegnarmi Tobio sui sogni?” Domandò con l’espressione scocciata di qualcuno che non ha tempo da perdere. “Arrivano quando devono arrivare, no?”
Il vecchio Ukai alzò gli occhi al cielo. “Interpretazione, ragazzino,” replicò. “Bisogna saper interpretare…”
“Che cosa c’è interpretare?!” Lo interruppe Shouyou senza preoccuparsi di suonare irrispettoso. “Ho sentito la sofferenza di Tobio come se fosse mia!”
“Calma il tuo spirito, giovane.”
“Non posso!” Insistette Shouyou e Hajime ebbe la sensazione che stesse per scoppiare a piangere. “Non si stava arrendendo, capite? Qualunque cosa il Re dei Sith volesse da lui, Tobio stava continuando a combattere e questo significa che, mentre stiamo qui a parlare di cose inutili, continuerà a fargli del male fino a che non cederà.” Una pausa. “Sempre ammesso che ceda…”
Hajime strinse i pugni e si costrinse a rimanere in silenzio.
La frustrazione di quel ragazzino era palpabile e la rabbia sarebbe seguita presto.
A quel punto, nessuno del consiglio lo avrebbe ascoltato e nemmeno il vecchio Ukai avrebbe potuto fare niente. Piccolo stupido… Aveva agito d’istinto e non si era reso conto che attirare l’attenzione di tutti su di sé nella sua attuale posizione sarebbe stato pericoloso.
Non c’era ragione di dare a quei vecchi qualcos’altro d’inutile su cui ragionare.
Keishin pareva dispiacersi per Shouyou almeno quanto suo nonno e, a differenza del vecchio, lo portava scritto in faccia. Fu il primo a vederlo. “Oh, Hajime…”
Inevitabilmente, gli occhi di tutti furono su di lui, compresi quelli pieni di lacrime di Shouyou.
Il Cavaliere Jedi continuò a tenere i pugni stretti, a fingersi calmo e fece un paio di passi in avanti portandosi vicino al piccolo Padawan. “Le mie scuse, Maestro Ukai,” disse stringendo con forza una delle spalle di Shouyou e sperando che questo bastasse a fargli recepire il messaggio. “Il ragazzino è ancora nuovo ed è stato privato del suo Maestro troppo presto. Da quando Karasuno è stato invaso, la Forza emette vibrazioni ingannevoli e non possiamo biasimarlo se queste hanno influenzato i suoi sogni.”
Il vecchio Ukai lo guardò sospettoso. Hajime poteva riconoscergli una lunga lista di difetti ma non era di certo uno stupido. “Bene,” disse comunque. “Allora assicurati che questo ragazzino non crei altre noie, in attesa che il suo Maestri ritorni.”
Hajime chinò la testa con rispetto. “Sarà fatto, Maestro.”
Shouyou si guardò intorno disperato. “Ma io ho visto…!”
Hajime gli strinse la spalla con più forza e dovette fargli male perché sentì il ragazzino farsi rigido sotto la sua presa. Quasi dovette trascinarlo fuori dalla sala del Consiglio e sperò con tutto il cuore che nessuno li seguisse.
Per sua fortuna, Shouyou aspettò che svoltassero per un corridoio buio prima di parlare di nuovo. “Maestro Hajime, ve lo giuro, io…”
Hajime gli afferrò la una guancia e gliela tirò con poca grazia. “Prima lezione che da Tobio non imparerai mai: se devi cacciarti nei guai, non farlo sotto gli occhi di tutti.”
“Cosa?” Chiese Shouyou massaggiandosi la guancia lesa.
“Seconda lezione,” aggiunse Hajime. “Se proprio devi farlo: crea un piano, non agire d’istinto e, se ce la fai, trovati qualche complice degno di tale nome.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. Poi sorrise. “Voi mi credete, vero?”
Hajime accennò un sorriso. “Una lezione che ho imparato tramite l’esperienza, ragazzino,” disse, “se sogni qualcosa che hai paura che divenga reale, agisci prima che possa succedere.”
 
 


***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni.
Come annunciato, ecco il grande ritorno di queste vacanza natalizie!
Ci tengo particolarmente a ringraziare tutti i lettori che in questi mesi si sono continuati ad interessare a questa storia. Non è mai stata mia intenzione abbandonarla e con un po’ di fortuna prima dell’estate sarà completa. Grazie di cuore per la vostra pazienza.
La citazione che fa da titolo a questo capitolo è firmata A. Onassis.
Alla prossima!
 
 




 

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