Gli occhi del Diavolo

di Lady_Tuli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jack ***
Capitolo 2: *** I nuovi arrivati ***
Capitolo 3: *** Frost, Duvalic e Black ***
Capitolo 4: *** La prima missione ***
Capitolo 5: *** Il bunker ***
Capitolo 6: *** Scomode verità ***
Capitolo 7: *** La leggenda di Frost ***
Capitolo 8: *** La CIA ***
Capitolo 9: *** L'attacco ***
Capitolo 10: *** Prove d'onore ***
Capitolo 11: *** Arian ***



Capitolo 1
*** Jack ***


23 febbraio 1968.

È da un anno che mi trovo in Vietnam e da meno di un mese abbiamo occupato Khe Sanh, pagandola a caro prezzo, ma questa è la guerra.
Molti dei miei amici sono morti e non ne nascondo il dolore, ma ora ho un motivo in più per combattere. Ho riportato una ferita al braccio, ma nulla di grave, è rimasta solo una cicatrice e oggi posso riprendere i miei compiti. C’è molto movimento, stanno arrivando nuovi soldati dal Laos e pare che tra questi ci siano degli elementi speciali che si occupano di quelle che il generale ha definito missioni ‘non convenzionali’.
Comunque mi sento bene e spero anche voi.
Ah, buon compleanno Roxanne.
A presto.
Jack
”.

Jack Lewis mise la lettera nella busta, poi la richiuse e la consegnò al sergente Alan che sarebbe andato a spedirle.
Scrivere ai suoi in America a volte gli metteva tristezza e anche un po’ di nostalgia, per questo la mascherava scrivendo solo poche righe una volta al mese, giusto per far sapere che era ancora vivo e lottava per un futuro migliore evitando che sua madre si preoccupasse troppo.
Il cielo del Vietnam si rispecchiava perfettamente al suo umore grigio e questo lo metteva ancora più a disagio.
Perché doveva sempre piovere? Non aveva ancora smesso da oltre un mese, aveva quasi dimenticato il colore della jungla avvolta dal sole, mentre da lontano avanzava la sera e si intravedevano ancora i falò accesi a fatica dai soldati per bruciare i corpi dei soldati, sia alleati che nemici, rimasti uccisi nell’ultimo disperato attacco di questa mattina. Non fosse stato per un soldato (di cui nemmeno conosceva il nome) forse anche lui sarebbe stato bruciato a quest’ora, al posto dell’eroe sconosciuto che si era sacrificato al suo posto, ma questo non l’aveva detto ai suoi genitori.
La notte era buia, molto più di quelle che aveva visto in America sotto le luci di New York, misteriosamente scomparse. Senza alzare lo sguardo entrò nella sua tenda, guardò il letto di legno duro con indifferenza, si sdraiò a terra e chiuse gli occhi: per oggi aveva visto abbastanza.  

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Capitolo 2
*** I nuovi arrivati ***


Sembravano essere passati solo pochi minuti da quando chiuse gli occhi, invece era già l’alba e le nuvole si erano diradate: il sole sembrava aver ascoltato le preghiere di Jack.
Si alzò da terra con la schiena dolorante, uscì dalla tenda e si lasciò un attimo per contemplare la luce, poi prese un catino di acqua gelata e vi immerse la testa. Era dannatamente fredda e piacevole.
Solo allora si accorse del movimento nel campo, i soldati raccoglievano i loro fucili e si mettevano in fila davanti all’entrata. Uno dei soldati che correva diede una pacca sulla spalla a Jack che si voltò in tempo per vederlo correre via:“Muoviti Lewis, sono qui!”
“Chi?”
Jack si riprese dal suo smarrimento post risveglio, oggi era il giorno dell’arrivo dei nuovi soldati, e lui era conciato come un uomo della jungla: capelli non rasati e barba che stava crescendo ispida, mentre l’abbronzatura metteva in risalto i suoi occhi azzurri come il ghiaccio.
Si scrollò questi inutili pensieri dalle spalle e si incamminò verso il cancello principale in legno costruito come barriera giusto in tempo per vedere i due veicoli entrare. Il generale Williams arrivò poco dopo e sorprese il ragazzo con una poderosa pacca sulla spalla abbastanza forte da far avanzare Jack di almeno tre passi.
“Lewis, sei fradicio! Sei caduto di nuovo nell’acqua fredda?”
“Nossignore.”
In effetti, Jack non era il massimo come soldato. Tendeva a distrarsi facilmente ed era anche un po’ sbadato, ma aveva un’eccellente mira, e quella gli bastava.

Cinque grossi camion entrarono dal cancello dell'accampamento e dal primo veicolo scesero una decina di soldati, altri sette scesero dal secondo, seguiti da un ragazzo con un abbigliamento diverso: non aveva una divisa come gli altri, ma portava dei pantaloni lunghi mimetici ed una giacca verde sbracciata, in spalla un fucile. Era alto come Jack e aveva i capelli neri corti come la barba e penetranti occhi castani. Intorno al braccio portava una bandana verde chiusa a fascia.
Jack si rivolse ad Arrow, un suo amico da ormai due anni:“E quel tipo chi crede di essere? John Wayne?”
Arrow sgranò gli occhi e lo guardò come se avesse detto un’eresia:“Quel tipo è il sergente Francis Frost! Come diavolo fai a non conoscerlo? È una leggenda!”
Ma a Jack il nome non diceva nulla.
Dietro a Frost passò un altro ragazzo: non era per niente robusto,ma era alto almeno un metro e novanta, con i capelli biondi scompigliati, gli occhi azzurri e pelle chiara, come se non avesse mai visto il sole. Sul petto portava il simbolo di una piccola croce rossa che lo identificava come medico del campo. Jack non poté fare a meno di associarlo ad un palo della luce.
Ma ancora più sorprendente era il terzo componente, che lasciò senza fiato tutti i presenti, tranne il generale.
Occhi verdi brillanti e leggermente a mandorla, capelli neri corti ed una pistola alla cintura. Quando scese dal veicolo, si tolse il berretto e si passò la mano tra i capelli. Tutti la conoscevano come Charlie,una delle poche donne che seguiva l'esercito in qualità di interprete.

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Capitolo 3
*** Frost, Duvalic e Black ***


Frank guardò i soldati del campo: finalmente era tornato dopo due anni e poteva osservare i nuovi volti di cui gli avevano parlato. Nessuno però sembrava avere un’aria particolarmente brillante, dopotutto era l’alba anche per loro.
Si avvicinò a lui il generale Williams, lo aveva sentito nominare spesso, ma questa era la prima volta che lo vedeva in faccia. Lo immaginava più vecchio, ma non deluse le sue aspettative: ben piazzato, capelli bianchi, tipico sguardo di chi aveva conosciuto da vicino la guerra.
“Sergente Frost, bentornato.”
“Grazie, signore. Mi è stato detto che se sono ancora qui e non in prigione è grazie a lei.”
“Ah, non pensarci per quel processo, avevi assolutamente ragione e sono in molti qui a pensarlo. Farò in modo che i miei uomini vi sistemino il prima possibile, così potrete dare inizio alla vostra operazione.”
“Grazie, signore. Mi permetta di presentarle i miei due compagni. Andy, Charlie! Venite qui!”
Il medico e la ragazza si avvicinarono al loro compagno e si misero davanti al generale.
Il primo strinse la mano di Williams che leggermente sfumava di fronte alla sua statura. Parlava correttamente, nonostante a volte si percepiva l'accento russo: “Sergente Andrej Duvalic.”
Williams sorrise al ragazzo: “Il tenente Miller dal Laos mi ha parlato del suo allievo Andy, certo non pesavo parlasse di un Andrej.”
Frank intervenne:“Andy è stato riportato in Russia da bambino, poi è tornato in America con la madre e si è arruolato. Quando l'ho incontrato era medico nel Laos e sono riuscito a portarlo qui, è un bravo ragazzo, gli devo la vita.”
La ragazza strinse la mano al generale, ma i due si guardavano come se si conoscessero da un pezzo.
“Lyn Black, quanto tempo!”
“Diciotto anni, signore.”
“Ricordo ancora quando tuo padre ti portava al mio vecchio quartier generale, sei uguale a tua madre, per questo ti ho riconosciuta subito. La figlia di Black che nasce dietro le linee nemiche, non mi stupisce che ti abbiano dato la cittadinanza americana senza pensarci due volte: era un grand’uomo.”
“Sicuramente, signore.”
“Seriamente, bentornata Charlie. Bene, ora basta con le chiacchiere. Lewis!”
Jack era poco distante dal generale, stava aiutando alcuni soldati a prendere le armi dai veicoli, ma li lasciò e andò correndo dalla voce che lo aveva chiamato, rischiando di cadere.
“Signore!”
“Accompagna i sergenti alle loro tende.”
“Signore, non credo siano ancora pronte...”
“Sanders e Arrow hanno già concesso di utilizzare le loro tende.”
Un brivido percorse la schiena di Jack: erano i suoi due vicini di tenda, e con concesso ovviamente il generale voleva dire che non avevano alternativa. I suoi dubbi si fecero realtà quando vide il sorriso dell’uomo:“Spero per voi tre che non piova stasera.”

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Capitolo 4
*** La prima missione ***


Jack accompagnò i tre soldati alle tende senza fare loro domande, solo si limitò ad indicare la strada:“Queste sono le tende,datemi il tempo di portare fuori un paio di cose.”
Senza voltarsi entrò nella sua tenda,prese una coperta che si trovava sul letto, o meglio, su quelle due travi di legno piene di schegge che doveva essere il suo letto al quale preferiva il terreno. Prese lo zaino, poi si chinò sotto il letto dove teneva le lettere,non voleva che qualcuno le leggesse.
Portò la sua coperta ad un’estremità del campo, dove trovò Sanders e Arrow indaffarati a sistemare le loro cose e a litigare per lo stesso posto, nonostante ci fosse un’intera jungla davanti a loro, ma era troppo nervoso per starli ad ascoltare.
Srotolò la sua coperta e si sdraiò per un istante, guardando il cielo prima di tornare al lavoro: al campo c'era sempre qualcosa da fare e ai suoi superiori piaceva ricordarlo, infatti il generale lo richiamò indietro quasi subito.
“Lewis! Smettila di perdere tempo e vieni con me, ora!”
“Sissignore.”
Nervosamente si passò una mano tra i capelli corti e si alzò di scatto, seguendo il generale che lo accompagnò dal nuovo arrivato, il palo della luce russo: “Dimmi Lewis, hai già conosciuto il sergente Duvalic?”
“Ehm...”
Jack era rimasto sorpreso dall’altezza di quel ragazzo che lo guardava sorridendo, probabilmente abituato dell’effetto che faceva, ma ora che lo vedeva più da vicino, notò un particolare quasi inquietante di quel ragazzo: una cicatrice che partiva appena sopra il sopracciglio sinistro, schivava l'occhio per continuare fino a metà zigomo.
Il generale continuò il suo discorso:“Duvalic è un medico e potrebbe darti qualche informazione utile nel tuo turno in infermeria. Sono sicuro che andrete d’accordo, siete anche coetanei. Domani inizierà la sua missione con Frost e Black e hanno bisogno di una squadra. Anche se a volte sei un totale disastro, non si può negare che tu sia un abile cecchino. Organizza una squadra, cinque uomini al massimo e vai con loro.”
“Domani, signore?”
“Sì,domani. Qualche problema, ragazzo?”
“No, signore. Nessun problema.”
Jack se ne andò senza aggiungere altro. Quel... Palo della luce aveva la sue età, ventitré anni ed era già sergente! La sua incredulità fu interrotta dall'addensarsi delle nuvole all'orizzonte.

Frank fu il primo a svegliarsi e uscì dalla tenda di Arrow, ne approfittò per avvicinarsi alla jungla. Ci aveva passato un anno al suo interno durante il trasferimento dal Laos e ora quasi ne sentiva la mancanza. Quando si voltò vide Jack seduto su una roccia ad aspettare il sole che ora mostrava i primi raggi:“Ah, Lewis! Come è andata la notte?”
Jack lo guardò, ma non sembrava propenso al dialogo:“Piovosa, signore.”
Solo adesso Frank notò le pozzanghere a terra e gli abiti del soldato ancora umidi:“Mi dispiace, a volte trattare con Williams è veramente inutile.”
“Nessun problema, signore.” Starnutì.
Frank oltrepassò il sarcasmo e si avvicinò al ragazzo:“Allora, pronta la squadra?”
“Sissignore ho...”
“Oh, ti prego basta con questo signore. Chiamami Frank.”
“Non credo sia il caso, signore.”
“Allora almeno Frost, ma per favore, basta signore.”
“D’accordo, Frost.”
“Questa squadra, allora?”
“Io, Arrow, Sanders e Carter. Sono rapidi e sanno passare inosservato, anche se ancora non sappiamo cosa dovremmo fare, esattamente.”
“Bene, vado a svegliare gli altri allora, ci vediamo ai cancelli. Non preoccuparti, a tempo debito lo saprai.”
“Va bene, signo… Frost.”
“E non dimenticarlo.”
Con un sorriso, Frank corse verso le tende, cosa avrà avuto poi da sorridere? Jack non se lo spiegava.

Il convoglio con le sette persone partì un’ora dopo, destinazione: solo i tre sergenti lo sapevano e questo era un altro punto a loro svantaggio. La destinazione fu rivelata solo a metà strada, quando i soldati vennero lasciati in un punto della jungla e dovettero proseguire a piedi.
I sergenti sospettavano che ci fossero coalizioni con i sovietici in questo territorio, che vendessero le loro armi ai Vietcong e che la loro base si trovasse all’interno della foresta.
Marciarono per almeno due ore, secondo Jack a vuoto, fino a quando non si fermarono per mangiare qualcosa prima di ripartire. Frank si appoggiò ad un tronco sradicato ed aprì una mappa sciupata dove i nomi non si distinguevano bene, ma ormai la conosceva a memoria: “Dunque, il punto indicato è ad almeno un’ora da qui. Signori, ci siamo quasi!”
Come risposta dai quattro soldati ottenne un suono indistinto tra un urrà forzato ed un lamento, tanto che non poté non ridere alla reazione:“Ci portiamo dietro quattro zombi.”
La ragazza interruppe il lamento del gruppo.
“Frank, qualcuno deve andare in avanscoperta. Non siamo lontani dalla base e dubito che i Vietcong siano rintanati sperando di non essere trovati senza nessuno di guardia.”
“Ottima idea Charlie, volontari?”
Ovviamente, non ottenne risposta per qualche istante. Di nuovo fissava a terra per non scoppiare a ridere.
Vado io.”
“D’accordo Andy.”
“Vado con lui.” Lyn fece un passo avanti.
“Perfetto. Imparate da loro, soldati! Vi siete fatti sorpassare da una donna!”

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Capitolo 5
*** Il bunker ***


Charlie e Andrej presero due pistole e si mossero con tutta la cautela possibile,addentrandosi sempre più nel fitto della jungla. Quando sentirono delle voci e si fermarono.
I due avanzarono lentamente, quindi si nascosero dietro gli alberi, sporgendosi quanto bastava per vedere due sagome entrare in un tunnel semicoperto dalla jungla e da reti cosparse di foglie secche.
Charlie si rivolse ad Andrej: “Non vedo tracce di russi.”
“Probabilmente sono all’interno.”
“Beh, almeno abbiamo trovato l’accesso. Come entriamo?”
Ora sentivano un’altra voce. Di nuovo si sporsero e videro due uomini vestiti con la divisa militare russa uscire dal passaggio.
“Bingo.”
“L’hai detto, Andy. Torniamo da Frank ora.”
Quando la ragazza si mosse per tornare indietro calpestò un rametto e il suono prodotto, quasi le sembrò pari all’esplosione di una granata. Stette ferma senza nemmeno respirare mentre lentamente Andrej estrasse la pistola e si appiattì contro l’albero il più possibile. Le fece segno di abbassarsi e Charlie si mise di fianco ad un tronco sradicato.
Fortunatamente i russi sembravano non aver sentito e rientrarono dalla porta nascosta,la ragazza poté tirare un sospiro di sollievo.
Lentamente si alzò appoggiandosi al tronco, ma si fermò quando i suoi occhi si trovarono davanti ad un forellino nero: la canna di un fucile.
Davanti a lei un Vietcong la guardava minaccioso ed incuriosito dall’incontro, ma Andrej Intervenne e si mise davanti a lei:“Niet!”
E con le mani indicò al soldato di allontanarsi. L’uomo lo guardò cercando di comprenderlo, ma nel sentirlo parlare capì che era russo. Balbettò qualcosa per scusarsi -forse anche condizionato dalla pistola del ragazzo puntata contro di lui- e se ne andò, probabilmente pensando che si trattasse di uno degli alleati e che quella fosse la sua preda.
Lyn si sollevò da terra, aveva rischiato grosso:“Grazie, Andy.”
“Ora abbiamo la scusa per entrare.”

Quando tornarono indietro, Frank passeggiava nervosamente avanti e indietro, fino a quando Jack, seduto sul tronco abbattuto con i suoi compagni, li indicò:“Black e Duvalic sono tornati.” Frank finalmente si fermò e andò incontro ai suoi compagni:“Dove diavolo eravate finiti?!”
Andrej spiegò la situazione, mentre la ragazza riprendeva fiato.
“Piccoli errori di calcolo, siamo molto più vicini di quanto credevamo. Il bunker è a meno di mezz’ora da qui, confermate presenze sovietiche.”
“Un bunker nella giungla? Mi aspettavo un villaggio, un tempio abbandonato, ma un bunker no di certo.”
“Quello è irrilevante, abbiamo trovato il modo di entrare, ma devono essere una massimo due persone ad accedervi.”
“Vi hanno scoperti?”
“Solo uno. Ringrazia il cielo di avere un madre lingua dalla tua parte.”
Lyn passò dell'acqua ad Andrej e continuò il discorso:“Allora Frank, questo è il piano: io e te entriamo come ostaggi di Andy, che si farà passare per un soldato rimasto indietro. Lewis, Arrow, Sanders e Carter, voi vi dividete e ripulite il perimetro, all'esterno sono meno di quanto ci aspettavamo, ma non abbassate la guardia. Tutto chiaro?”
Jack non poté fare a meno di dire la sua:“Bel modo di suicidarsi. Duvalic ha una divisa americana.” Ryn estrasse una divisa russa dallo zaino e guardò lo scettico caporale, gli diede una pacca sulla spalla e si preparò alla missione.

Era pomeriggio inoltrato quando la guardia russa si avvicinò all’entrata del bunker con i due prigionieri: abiti dell’esercito americano e piastrine al collo a dimostrarlo,due pistole puntate alla schiena e le mani sulla nuca, si erano arresi.
Andrej diede il meglio di sé nella sua interpretazione da spietato russo davanti alle due guardie che trovò davanti all'entrata del bunker.
“Spostatevi.”
I due Vietcong si guardarono diffidenti, non ricordavano di essersi portati dietro qualcuno con una cicatrice simile in volto, ma tanto sembravano tutti uguali, uno dei due parlò in uno stentato russo: “Riconoscere.”
“Levati, se non vuoi una pallottola in testa.”
Senza ribattere i due si spostarono, Andrej mise via le pistole e diede uno strattone ai prigionieri: “Muovetevi!” I due inciamparono nella terra ed avanzarono.
Una volta dentro non vi erano più guardie per tutto il lungo corridoio. Frank guardò il suo amico stupefatto:“Complimenti, mi hai quasi convinto, mi dispiace per Hollywood. Allora, troviamo i sovietici e scopriamo cosa fanno qui.”
I tre avanzarono con cautela, ma sempre restando nella parte, fino a quando non incontrarono un soldato russo:“E tu da dove salti fuori?”
“Retroguardia, ordini della divisione. Ho trovato due americani nei dintorni.”
“Gli americani ci stanno dietro?!”
“No, erano soli ed hanno confessato che non c’era nessun altro, sono stati allontanati dalla squadra.”
“Sicuramente stavano mentendo!”
Andrej, che superava di venti centimetri la statura del soldato, lo guardò dritto in faccia e con i suoi occhi azzurri, gli rivolse uno sguardo minaccioso reso ancora più inquietante dalla cicatrice bianca. La guardia continuò:“Chiedi a Rezic per questi due, oggi il capo è particolarmente nervoso e non ho voglia di sentirlo parlare ancora di idee folli.”
Il soldato alzò gli occhi al cielo e superò Andrej e i prigionieri.
Quando fu abbastanza lontano, Andrej mise al corrente i due -che conoscevano solo poche parole in russo- della situazione. Lyn sollevò la questione che premeva a tutti e due:“Chi diavolo è Rezic?”
“Un ex soldato famoso in Russia, era stato condannato per esperimenti illegali su persone e per aver tentato un colpo di stato militare. Pare collaborasse con i nazisti durante l’ultima guerra, a quanto pare è riuscito a scappare. Tutti in Russia credevano che Dimitri Rezic fosse morto, invece ora si scopre che collabora con i Vietcong. Strano come va il mondo, eh?”
Frank aveva notato che Andrej aveva abbassato gli occhi pronunciando il nome di Dimitri Rezic, forse sapeva più di quanto aveva detto, ma per ora bastava.
Prese due delle tre pistole che Andrej portava con sé, una la porse alla ragazza:“Charlie, facciamo fuori quel bastardo.”
“Aspetta, non abbiamo l'ordine di uccidere uno che dovrebbe essere già morto.”
“Ha torturato persone innocenti per almeno vent’anni e ha aiutato i nazisti.So quanto basta per farlo fuori.”
“Aspetta Frank, calma.”
Sentirono dei passi e i due prigionieri misero via le pistole in fretta. I passi si fecero sempre più rapidi: da uno dei corridoi qualcuno correva... E piangeva.
Andrej estrasse la pistola e la puntò contro i suoi amici:“Spalle al muro, presto!”
Un giovane vietnamita uscì di corsa da uno dei corridoi e andò a sbattere contro Andrej.
Il russo non si mosse, ma il vietnamita cadde a terra. Tremava e piangeva disperatamente, era ridotto ad uno stato pietoso, aveva un’espressione terrorizzata e il volto segnato da molti graffi, dato lo stato delle unghie, doveva esserseli procurati da solo.
Subito il ragazzo si mise in ginocchio e si avvinghiò alla gamba di Andrej recitando qualche strana cantilena, agitandosi convulsamente con il volto appoggiato allo stivale del soldato.
Non appena alzò lo sguardo, i suoi occhi puntarono la pistola e tra le lacrime e le urla indicava l’arma. In lontananza si udivano altri passi, l’abbaiare di un cane, un uomo che sbraitava ordini, ma il suo accento non era vietnamita, né tanto meno russo.
Il vietnamita ancora urlava e gesticolava disperato la solita supplica, Andrej si voltò verso i suoi compagni: “Charlie, cosa vuole?”
La ragazza gli si avvicinò, si chinò verso di lui e gli appoggiò la mano ad una spalla, strappando all’uomo un rantolio: l’osso era a pezzi.
Lyn cercava di parlare con lui, insisteva nella sua lingua e gli chiedeva cosa stesse succedendo mentre i passi si facevano sempre più vicini e dovette tornare al suo posto contro il muro,senza nascondere il fatto di essere stata turbata da ciò che aveva sentito:“Andy, ti sta implorando di ucciderlo.”
“Cosa?!”
Comparve un uomo dallo stesso corridoio da dove era arrivato il ragazzo,una divisa grigia ed un dobermann tenuto da una corta catena, un tedesco? Vide Andrej e poi il ragazzo, parlò in un aspro tedesco:“Dammi quel bastardo.”
Il cane ringhiava e sbavava nella direzione del prigioniero.
“Dammi, quel, bastardo!”
Andrej non si mosse e non rispose, forse non si sbagliavano riguardo ai coinvolgimenti nazisti.
L’uomo riprese a parlare:“Idiota spilungone sovietico sei sordo?! Voglio quella cavia!”
Il vietnamita era al limite della sopportazione umana e forse anche della follia. Si alzò in piedi, e prima che Andrej potesse fare qualsiasi cosa per impedirglielo gli rubò di mano la pistola e se la puntò alla tempia. Fu un attimo ed il ragazzo giaceva a terra, rideva istericamente mentre accarezzava il suo sangue, dopo qualche spasmo non si mosse più.
Il tedesco urlò qualcosa nella sua lingua, probabilmente una sfilza di insulti, poi slegò il cane che si fiondò sul cadavere.
L'uomo si avvicinò a Lyn e Frank che avevano assistito alla scena, Frank sibilò un imprecazione tra i denti che il tedesco doveva aver sentito:“Americani, dove li hai trovati?”
“Fuori.” Andrej capiva il tedesco, nonostante tutto rispose in russo.
“Idiota di un russo, dimmi dove!”
Frank rispose per lui, ma in inglese:“Siamo disertori.”
“Non ti ho dato il permesso di parlare, prigioniero!”
“Basta così!”
Andrej sapeva l’odio che Frank provava per i tedeschi da quando i nazisti giustiziarono suo padre e che sarebbe finita male se non fosse intervenuto:“Loro vengono con me.”
Nein, loro li porto da Von Scherder, se non te ne fossi accorto, abbiamo perso una cavia.”
“Loro vengono con me. Ordini di Rezic.” Sentendone il nome, il tedesco esitò prima di rispondere:“D’accordo, ma non finisce qui, spilungone bastardo.”
L’uomo si mosse rapidamente fino in fondo al corridoio e prima di svoltare, si fermò ad aspettare il suo cane.
Andrej si avvicinò al cadavere dilaniato e riprese la sua pistola, il cane gli ringhiò contro e cercò di morderlo, ma il ragazzo gli ruppe il collo con un calcio. Il tedesco si irrigidì, ma quando i loro sguardi si incrociarono se ne andò. Probabilmente non aveva alcun potere sugli uomini di Rezic.

Frank era fuori di sé, ma doveva mantenere la calma:“Questa roba non ha senso! E chi diavolo è Von Schreder?”
Lyn rispose per lui:“Un nazista scappato qui ai tempi della guerra. Anche lui è coinvolto in esperimenti illegali sulle persone.”
“Come lo sai?”
“Sai quando sei piccolo e ti raccontano del lupo cattivo? A Tao Mehi, dove vivevo, il lupo cattivo era lui. Ogni tanto i suoi uomini portavano via alcune persone, quasi sempre ragazzi intorno ai quindici anni e poi non li rivedevi più. Sono ossessionati dagli esperimenti.”
Andrej li distolse dai loro pensieri:“Dovremmo proseguire.”
Avanzarono lungo il corridoio, svoltarono nella direzione opposta a quella dove si era diretto il tedesco e si avvicinarono ad una porta aperta che conteneva circa quaranta casse. Lentamente le aprirono e scoprirono il contenuto: erano armi di ogni sorta, di origine vietnamita, russa e tedesca.
Frank guardò i suoi compagni:“Qualsiasi cosa stiano facendo, dobbiamo fermarli.”
Andrej aprì una cassa piena di esplosivo:“Dite che è troppo?”

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Capitolo 6
*** Scomode verità ***


Jack e i suoi compagni si erano appostati vicino alle due entrate del bunker che erano riusciti a rilevare, seppur con molta fatica. Per quanto fosse grande, era svogliatamente controllato, probabilmente non pensavano che qualcuno sarebbe venuto a cercarli. In poco tempo avevano eliminato le pattuglie che si spostavano in coppie.
Ora puntavano le due entrate, in attesa dei tre compagni che tardavano ad arrivare, Jack prese la radio:“Arrow, com’è la situazione?”
“Tutto tranquillo,sicuro che non siano morti?”
“Non preoccuparti, stanno per saltare fuori, me lo sento.”
Ancora qualche istante e di nuovo Jack sentì la voce dell’amico:“Jack qui qualcosa non va, Sanders non risponde, e neanche Carter.”
“Cosa? Tu vai a controllare Carter, io vado dall’altra parte.”
Il rumore di un’esplosione preoccupò ulteriormente i due caporali, Arrow riprese la conversazione:“Jack! Cosa diavolo stanno facendo quei tre?!”
“Non lo so, ma rischioso o no, devo chiamare uno di quei tre.”
“D’accordo.” Con cautela, Jack si diresse al punto in cui aveva lasciato Sanders:“Frost? Frost mi ricevi?”
“Avanti, Lewis.”
“Dove siete finiti?”
“Siamo quasi all’uscita sud... No, è chiusa!”
“Ok, mi sto avviando all’uscita, dovrebbe esserci Sanders lì.”
“Non risponde.”

Mentre la ricetrasmittente passava la voce di Frost, Jack si ritrovò davanti a Sanders, appeso ad un albero, gli occhi ribaltati. Rimase lì bloccato per qualche istante, ma prima di avviarsi all’uscita sparò alla corda che teneva Sanders appeso per il collo.
La porta del bunker era in metallo, riprese la ricetrasmittente:“Frost, ho piazzato del C4 davanti alla porta, allontanatevi. Appena potete, fate uno scatto sempre dritti.”
“Va bene.”
“20 secondi, 19, 18..”
Jack si sentì improvvisamente soffocare, un vietcong era uscito dalla foresta e ora lo stava strangolando con una corda. La vista si stava annebbiando, ma all’improvviso l'aggressore si fermò, cadendo con un tonfo sordo.
“Lewis stai bene?”
“Jason?” Arrow lo aiutò ad alzarsi,non poté fare a meno di tossire:“Carter è morto.”
“Anche Sanders. Allontanati, faccio saltare la porta.”
Così dicendo indietreggiarono di pochi passi: “3...2...1.”
Premette il pulsante e l’esplosione fece piegare la porta che poi si staccò.

I tre sergenti uscirono dal fumo ed andarono contro ai due soldati che iniziarono a correre con loro nel fitto della foresta, dietro di loro si sentirono i cani ed i primi spari.
Quando furono ad una considerevole distanza dal bunker, smisero di correre e salirono su uno degli alti alberi, in attesa che la pattuglia passasse di lì.
Appena ebbe fiato, Frank iniziò a parlare:“Lì dentro c’è una non so quale strana alleanza: vietcong, tedeschi, russi. Tutto ciò non ha senso. Stanno collaborando per fabbricare qualcosa. Abbiamo trovato delle armi, ma non c’erano armerie lì, quindi immagino ci siano altri bunker. In compenso ci sono prigionieri vietnamiti e scienziati pazzi nazisti e russi.”
Jack era sconcertato, ma Frank continuò a parlare:“Dove sono Sanders e Carter?”
“Morti.”
Restarono in silenzio e si nascosero tra gli alberi, mentre soldati tedeschi attraversarono quella zona per tutta la sera. Solo alle prime luci dell’alba si mossero per tornare all’accampamento.
Ora il nemico sapeva di essere seguito, ma sapeva anche di essere facilmente vulnerabile, a differenza di ciò che credeva.

Frank fece rapporto al generale Williams che non rivelò nulla di nuovo riguardo ai bersagli.
“Qui c’è sotto qualcosa, qualcos’altro.”
“Signore, stiamo valutando l’idea di una società antiamericana?”
“Non sarebbe la prima volta, Frost.”
“Signore, facevano delle cose... Cose disumane. Abbiamo visto un prigioniero suicidarsi sotto i nostri occhi! E perché non si è più saputo niente di Rezic e Von Schreder?”
“Stiamo aspettando un rapporto dettagliato dalla CIA, presto sapremo tutto e manderanno uno dei loro qui, almeno spero.”
Frank si espresse in un’amara risata prima di congedarsi. Fuori ad attenderlo c’erano Andrej e Lyn che lo guardarono mentre camminava nervosamente. Quando passò davanti ai suoi compagni alzò le braccia al cielo e continuò a camminare:“La CIA, Charlie. Se ne occupa la CIA!”

Andrej alzò un sopracciglio e si girò verso Lyn che si sedette su una cassa, con lo sguardo evidente di chi disapprova.
Jack si era avvicinato sentendo Frank sbraitare.
“Black, c’è qualcosa che dovrei sapere?”
“Tre anni fa, poco prima dell'arrivo di Andrej nel Laos, abbiamo... Tentato una collaborazione con la CIA.”
“Ma non è andata bene, immagino.”
“Oh, è stato terribile.”
“Come mai?”
“Beh, sai, approccio diverso con il lavoro, poca informazione locale e finisce che ti mandano due stronzetti con giacca e cravatta che ti dicono: bravi ragazzi, ma noi lavoriamo in America, sappiamo come va il mondo. Poi sai, un bicchiere tira l’altro, poi iniziano a tirarseli letteralmente dietro e finisce che qualcuno torna a casa senza una mano.”
“Frank ha amputato la mano di un agente?”
“Ovviamente ci fu un processo in America, Frank contro la CIA. Sarebbe stato una spettacolo da non perdersi.”
“Williams lo sa?”
“Se non fosse stato per lui, Frank ora sarebbe in carcere. Lo ha reclutato formalmente per fargli scontare la pena in un modo alternativo, niente di meglio del Vietnam per riformare un soldato, aveva detto, ma ovviamente lo ha preso perché aveva sentito delle sue abilità e aveva grandi progetti per lui. Sa che infondo è un bravo ragazzo.”

La ragazza sospirò e si allontanò in direzione della sua tenda, Andrej si sedette a terra e si accese una sigaretta. Ne offrì una anche a Jack, ma rifiutò.
“I medici non dovrebbero fumare.”
“E dove sta scritto?” Il ragazzo rise e continuò a fumare guardando il cielo che si colorava di arancio all'orizzonte.
“Cosa ne pensi di questa storia della CIA, Duvalic?”
“A quanto pare il Grande Capo non si aspettava che scoprissimo qualcosa che non dovevamo sapere. La Russia andava bene, ma chi si aspettava i tedeschi?”
“Quei tipi ficcheranno il naso dappertutto.”
“Non preoccuparti Lewis, Frank risolverà ogni cosa.”
“Avete tutti una grande fiducia in Frost, vero? Da quanto lo conosci?”
“L’ho conosciuto circa tre anni fa, ero arrivato da poco.” 

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Capitolo 7
*** La leggenda di Frost ***


Frank era stato praticamente forgiato dalle guerre, nonostante avesse ventisei anni era un mito per gli altri, un modello.
Quando Andrej era arrivato nel Laos aveva solo ventun anni e ormai da due lavorava nel campo come medico grazie al tenente Alex Miller.
Frank si trovava ancora nel Nord del Laos e un suo compagno mise il piede su una mina e gran parte della sua squadra optava per lasciarlo indietro, ma non Frank. Così insieme ad altri due uomini rimasero a soccorrere il ferito: non avrebbe più camminato forse, ma lui e quel ragazzo avevano seguito lo stesso programma di addestramento, si conoscevano ormai da anni. Riuscirono a trasportarlo in un tempio apparentemente abbandonato in mezzo alla jungla quando vennero fermati dagli indigeni, volevano ucciderli per aver profanato il loro tempio, così Frank giunse ad un accordo: lasciarono andare gli altri due soldati per salvare la vita al ragazzo e lui restò come compenso.
Fu torturato per giorni, tanto da renderlo irriconoscibile, ma riuscì ad andarsene e lo trovarono a pochi metri dal campo.
L’aspirante medico che se ne doveva occupare ebbe un esaurimento nel vedere quella ferita, l’ennesima del giorno. Così, mentre Frank perdeva i sensi, Andrej prese il posto del medico per curargli gli innumerevoli tagli sulla schiena lasciati dalle fruste ed estrargli una pallottola rimasta incastrata nella spalla.
Una volta sveglio, la prima cosa che chiese fu lo stato del ragazzo che aveva soccorso, quando scoprì che aveva perso un piede ma che se la sarebbe cavata, finalmente tirò un sospiro di sollievo poté riposare.
Quando riaprì gli occhi si era ritrovato con il grado di sergente e una medaglia al valore.

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Capitolo 8
*** La CIA ***


L’elicottero arrivò tre giorni dopo,in una giornata torrida. Per la prima volta erano tre giorni filati che non pioveva.
Avevano estratto a sorte e il “privilegio” di accompagnare i due nuovi arrivati era toccato a Lyn.
Prese i suoi occhiali da sole, una bandana verde e la sua pistola, salì sulla jeep e si avviò al punto di atterraggio, sarebbe arrivata in dieci minuti. La stradina nel pezzo di jungla era deserta ed il sole sempre più caldo, anche se era marzo. Distrattamente controllava tra gli alberi, ma non sembrava esserci movimento.
Aveva appena fermato la jeep quando vide l’elicottero atterrare ed eccoli lì. Uno dei due aveva avuto il buon senso di vestirsi adeguatamente, probabilmente una volta lavorava sul campo. Sembrava avere circa l’età di Frank, i capelli rasati ed un fucile in spalla, aveva quasi l’aria di sembrare un buon elemento. Scese dall'elicottero e respirò a pieni polmoni l'aria del Vietnam.
L’altro agente stonava come un elefante in un negozio di porcellane.
A differenza del primo ben piazzato, questo era basso, magro e la prima cosa che si notava di lui era il lungo naso. Doveva avere almeno quarant’anni.
Aveva dei capelli neri unti quasi fino alle spalle con l’attaccatura troppo alta. I suoi occhi neri si intravedevano dietro ad un fazzoletto bianco con cui si copriva la bocca e gran parte del volto.
Era vestito come un uomo d'ufficio, ad eccezione del giubbotto antiproiettili, comunque troppo largo e la valigetta nera al suo seguito. Scarpe nere, pantaloni neri, giacca nera, cravatta nera e rossa... Cosa aveva fatto di male per ritrovarsi lì?
Il primo dei due saltò giù dall’elicottero, con una mano prese il braccio del collega e lo aiutò ad arrivare goffamente al suolo.
Lyn chiamò a sé tutte le sue forze per non ridere, scavalcò la portiera, assicurò la pistola alla cintura dei lunghi pantaloni mimetici e si avviò con passo sicuro in direzione dei due nuovi arrivati che la guardarono incuriositi.
Lyn finse di non accorgersene e porse la mano prima a quello dei due che sembrava più affidabile. Lui la strinse.
La ragazza poi si rivolse all’altro e anche a lui porse la mano e lì sentì la sua voce, fastidiosa e irritante, proprio come se la immaginava, aveva un qualcosa di animalesco, ma l’unico animale che le veniva in mente era un ratto di città:“Scusa cara, siamo in ritardo ed attendiamo il sergente Black.”
“Ce l'ha davanti, signore.”
La mano ancora tesa, ma ora a fatica, l’uomo la scrutò. Era giovane, almeno 10 centimetri più alta di lui, e 10 più bassi del suo collega. Sotto la bandana poteva scorgere i capelli neri fino alle spalle, aveva gli occhiali da sole con le lenti nere e non poteva indovinare il colore degli occhi, il volto aveva lineamenti locali. Aveva le medagliette, una canottiera verde aderente, pantaloni lunghi mimetici, anche la bandana era verde, che fosse veramente un soldato?

Lyn era stufa di aspettare e ritrasse la mano.
L’altro uomo parlò: “Scusi il mo collega, sergente Black, è stressato per il viaggio. Sergente Daniel Jackson, CIA. Lui è Vladimir Kinsky.”
“Kinsky?”
“Nonno polacco.”
“Lei non viaggia molto a quanto pare. Sergente ha detto?”
Jackson sorrise:“Facevo parte del corpo dei Marines prima di collaborare con la CIA.”
Questa volta Lyn si rivolse direttamente a Kinsky:“Ci avete portato via un bel paio di braccia, eh? La jeep è là avanti, faremmo meglio ad andare se si vuole riposare.”
“Non si preoccupi per me, Black.”
Si avviarono alla jeep.
Durante il ritorno Lyn avvertiva la sensazione di essere seguita, anche se i vietcong non si spingevano così vicini a Khe Sanh da un mese, ma per controllare meglio la situazione sollevò gli occhiali sulla bandana scoprendo gli occhi verdi.
Kinsky li notò dallo specchietto della jeep, siccome era seduto dietro.
“Tra 10 minuti saremo arrivati.”
Kinsky sembrava quasi ipnotizzato dal quel verde che rispecchiava il colore della jungla, indomabile come sembrava la ragazza, e provò a ricominciare da capo:“Sergente Black, non si vedono spesso donne tra i marines.”
“Già, siamo in poche.”
“Cosa l’ha spinta ad entrare nell’esercito?”
“Mi sta facendo l'interrogatorio?”
“Semplice curiosità.”
“In realtà quando ero più piccola già facevo da interprete, sono franco-vientamita da parte di madre e americana da parte di padre. Ho affrontato gli allenamenti a Saigon e sono rimasta per qualche anno sotto la tutela legale del sergente Frost fino alla maggiore età. Diciamo che prima o poi doveva succedere. E inoltre c'è la questione del riscatto familiare.”
“Riscatto familiare?”
“I vietcong mi hanno ammazzato la madre.”
“Dei vietcong hanno... Ucciso sua madre?”
“Sì.”
“In casa sua?”
“Sì.”
“A Philadelphia?”
“Cosa?”
“Beh, ho cercato documenti relativi al sergente Randy Black. Non si menzionava il fatto che si trattasse di una donna. Si diceva anche che fosse un veterano della seconda guerra mondiale, nato a Philadelphia.”
“Signor Kinsky, lei da quanto lavora per la CIA? Perché non sta facendo un buon lavoro. Il file che avete visto voi era relativo a Randall Black, mio padre, anche chiamato Randy. Il mio nome completo è Randy Lyn Black e sono nata a Saigon. Spesso mi sentirete anche chiamare Charlie dato che sono di qui, idea dei simpaticoni dell’esercito.”
“Lei è vietnamita?”
“Ho la doppia cittadinanza.” Randy rispose distrattamente alla domanda.

Si trovavano a metà strada dall’accampamento e di colpo fermò il veicolo in mezzo alla strada battuta, nel più totale silenzio. Rapidamente prese la radio:“Andy, qui Black.”
Rispose un ragazzo con un accento non proprio americano che in un primo momento preoccupò i due passeggeri a seguito della rivelazione delle origini della ragazza e della collaborazione tra Russia e Vietnam.
Da.”
“Mi stanno seguendo da un pezzo, preparare piano di difesa.”
“Quanti sono?”
“Ne conto trenta a piedi,stanno battendo il perimetro. Sicuramente hanno anche un veicolo.”
“Tu procedi per l’entrata principale, allertiamo Frank, passo.”
Lyn risistemò la radio e partì accelerando più di prima. Poteva notare dallo specchietto la faccia terrorizzata di Kinsky e quella preoccupata di Jackson.
“Ne è sicura, sergente?”
“Quando passi qui la vita ci fai il callo. Hanno iniziato a spiarmi a metà strada mentre venivo a prendervi. Appena arriveremo vi metteremo in un luogo protetto, non preoccupatevi.”
Kinsky era in preda al panico:“Ci... Ci uccideranno prima! Non abbiamo speranze.”
Erano in vista del cancello principale e un vietcong particolarmente esaltato si lanciò in mezzo alla strada urlando e sparando all’impazzata davanti dal veicolo bucando il vetro davanti. Jackson si piegò e fece abbassare la testa anche al collega. Era sulla curva per entrare al cancello. Lyn si abbassò e prese la pistola, quando si rialzò fece girare bruscamente il veicolo, nello stesso momento prese la mira. Un colpo perfetto in mezzo agli occhi ed entrò lanciata nel cancello che venne subito chiuso dagli uomini già in posizione. Proseguì fino al centro del campo, lasciandoli davanti alla porta di una galleria sotterranea che portava al bunker di protezione degli inviati dallo Stato. Lyn saltò giù dalla jeep e davanti a lei corse Frank con due AK-47u in mano.
Jackson guardava Frank incredulo, la sua fama lo aveva preceduto:“Charlie! Sei venuta per i giochi?”
“Puoi scommetterci.”
Frank gli lanciò una delle due mitragliette che la ragazza prese al volo prima di correre verso il cancello con gli altri e indicò ai due agenti la strada:“Entrate lì, sotto chiedete di Arrow, ci penserà lui a voi. Signori, benvenuti in Vietnam!”

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Capitolo 9
*** L'attacco ***


All’interno della base suonò l’allarme, i vietcong ritennero inutile continuare la copertura ed uscirono allo scoperto cercando di buttare giù il cancello. In breve tempo ebbe inizio la sparatoria. Frank si mise di fianco a Lyn in una zona protetta:“Allora? I due nuovi arrivati?”
“Un agente con la scopa in culo e un ex soldato, poteva andare peggio. Andy?”
“Dall’altra parte del campo. Stanno attaccando da più lati.”
“Non ci voleva!”

In quell’istante dall’altra parte del campo ci fu un’esplosione seguita dal fumo nero che si addensava, si sentivano anche delle urla nonostante si trovassero dall’altra parte.
Lyn si voltò in quella direzione, probabilmente avevano centrato un barile di benzina.
“Frank!”
“Lo so. Ascolta, tu coprimi, io corro là in alto alla mitragliatrice. Appena sono su, vai dall’altra parte del campo.”
“Ok.”
“Forza Marines! Non lasciamoli passare!”
Dai suoi compagni arrivarono urla di incoraggiamento e ripresero la difesa, Lyn intanto si trovava dietro ad una cassa e copriva Frank dai bersagli che cercavano di colpirlo,scoprì di avere anche lei una discreta mira.
Non appena lo sentì sparare con la mitragliatrice caricò la sua arma ed iniziò a correre dall’altra parte del campo dove alcuni uomini cercavano di domare l’incendio e di difendersi disperatamente dall’attacco. Non corse nella strada centrale, ma passò tra le tende e non appena svoltò l’angolo un vietcong la prese per le spalle e la atterrò.
Picchiò il volto contro la sabbia, ma si graffiò solo una guancia. Il vietcong estrasse il coltello e lo puntava alla gola della gola della ragazza, ma anche lei aveva un coltello appeso alla cintura, riuscì ad estrarlo e passarlo nel fianco dell’avversario che urlò e rotolò di lato. Lyn si alzò, estrasse la pistola e senza guardarlo in volto sparò. Riprese il suo coltello e ricominciò a correre.

Il fumo si avvicinava, facendole lacrimare gli occhi, vide alcuni uomini tentare di domare l’incendio mentre altri li coprivano. tra questi notò Jack Lewis e corse da lui:“Lewis!”
“Black! Devi allontanarti, qui è un casino!”
Lynn si mise vicino a loro ed iniziò a sparare ai nemici che si avvicinavano:“Cos’è successo qui?”
“Hanno fatto saltare la benzina!”
“E che cazzo ci faceva un barile infiammabile lì?!”
“Ce lo stiamo chiedendo tutti, Black.”
“Hai visto Andrej?”
“L'ho visto con una squadra mentre li respingevano fuori dal cancello, ma siamo separati dal fuoco, cerchiamo di spegnerlo per raggiungerli, ma alcuni bastardi riescono a passare!”
“No... Io vado fuori!”
“Con tutto il rispetto sergente, sei impazzita!”
“Forse, ma non lascio i ragazzi lì fuori con quei bastardi. Dammi copertura!”
“Avete sentito? Coprite Black!”
Lyn notò che era vero quello che si diceva sulla precisione del tiro di Jack, tutti i nemici cadevano a pochi metri da lei. Trovò un piccolo varco tra le fiamme e vi passò. Solo una cosa la preoccupava: gli spari erano cessati, almeno da questo lato.

Quando riuscì ad uscire dal fumo delle fiamme, un uomo le corse contro urlando e brandendo un’ascia. Sorpresa dall’arma si scostò all’ultimo e gli incastrò un piccolo coltello nella tempia. Era l’ultimo vivo rimasto.
Guardò i cadaveri, oltre ai marines vi erano una sessantina di vietcong, o almeno così credeva. Alcuni di loro portavano la divisa grigia dell’esercito russo. Che fossero tra quelli che avevano trovato al bunker? Non era un mistero che Khe Sanh fosse sotto il controllo americano, ma perché attaccare ora, all’improvviso? si guardò intorno.

Tutti morti, e Andrej?

Non si accorse subito di avere gli occhi lucidi mentre cercava tra i volti ignoti a terra. sentì due uomini parlare in vietnamita poco distante da lei.
Lyn si riparò sotto una camionetta distrutta e restava sdraiata a terra con l’arma puntata verso di loro. La dovevano pagare. Non riusciva a pensare ad altro mentre sbatteva nervosamente le palpebre per non far annebbiare la vista: la vendetta la teneva lucida.
Concentrandosi, riuscì a sentirli parlare, mentre cercavano i feriti.
“Guarda quel cane americano! Striscia!”
Un ragazzo con una gamba insanguinata, avrà avuto diciotto anni, singhiozzava come un bambino mentre i due si divertivano a dargli calci.
Tentava disperatamente di allontanarsi strisciando. Lyn avrebbe voluto aiutarlo,lui la poteva vedere nascosta sotto il veicolo, gli tendeva la mano e lei lo incoraggiava ad avvicinarsi, ma per lui era troppo tardi, uno dei due lo freddò con un colpo in testa.
“Cazzo...”

Lyn si voltò dall’altra parte e decise di restare ferma fino a quando non se ne fossero andati, oppure quando fossero stati abbastanza vicini per ucciderli senza che se ne accorgessero
“Vieni qui, questo bastardo respira ancora.”
“È ferito, sicuramente ha una costola rotta. Uccidilo.”
Lyn da dov’era non riusciva a vedere di chi parlavano, ma presto avrebbe raggiunto il suo compagno. Uno dei vietcong gli sparò, ma la pistola era scarica, così si abbassò verso di lui, prese il coltello e lo avvicinò alla gola del ragazzo sollevandogli la testa, era sporco di sangue e terra. Non era possibile, Andrej!
“Che aspetti fallo fuori!”
“Sta dicendo qualcosa...”
“Sta delirando per la ferita!”
“Si ma... Parla russo.”
“Cosa?”
“Ascolta! Parla russo ti dico!”

“Che diavolo state aspettando voi?!”
I due vietcong si girarono. Ancora quell’odiosa voce... Il tedesco. Quel posto non era più sicuro e la ragazza lentamente indietreggiò, ora era nascosta dall’erba alta e si sforzava per capire cosa stessero dicendo. I Vietcong parlavano in uno stentato tedesco.
“Signore. Russo, ma divisa americana.”
“Idioti primitivi imparate il tedesco! Quello lo conosco... Il bastardo che mi ha ammazzato il cane! È vivo?”
“Ferito.”
“Portatelo via immediatamente, non lasciate che muoia, quello è compito mio. Rezic imparerà a prendere decisioni senza prima consultarci. Sarà un'ottima cavia.”
I due uomini lo sollevarono in modo che Andrej fosse in ginocchio davanti al tedesco.

Aprì gli occhi in quel momento, una mano lo prese sotto il mento e lo costrinse ad alzare la testa, il tedesco si abbassò fino a trovarsi faccia a faccia con Andrej e parlò con lui in russo, per quel poco che Lyn riusciva a capire da quella distanza.
Parlava con una freddezza inquietante, non umana:“Ti ricordi di me?”
“Fottiti.”
Ad un suo gesto, un altro vietcong che lo seguiva assestò un calcio allo stomaco del ragazzo. Lyn sentiva qualcosa attanagliarle lo stomaco vedendo la scena e sapendo di non poter fare niente o non sarebbe sopravvissuto. Erano quattro contro una, non le avrebbero nemmeno permesso di avvicinarsi, anche dall’altra parte del campo gli spari erano cessati.

Il tedesco stava ridendo: “Allora sì, ti ricordi. Non sei uno dei ragazzi di Rezic, vero? Cosa pensi che ti succederà ora?”
Andrej provò a parlare, ma non ci riuscì. Ogni respiro era una sofferenza ed era sicuro di avere almeno una costola spezzata. Chinò la testa sputando sangue.
Le piastrine appese al collo uscirono da sotto la maglia del ragazzo e il tedesco le prese in mano: “Sergente Andrej... New York. Allora un po' americano lo sei davvero.”
Un vietcong intervenne:“Signore, no spari.”
“Ho sentito, idiota. Ora ce ne andiamo. Te lo dico io cosa ti accadrà: vieni con noi, ti cureremo e quando guarirai non farai altro che rimpiangere di non essere morto oggi.”
“Giuro... Che ti ammazzo... Crucco bastardo figlio di...” Andrej non riuscì a finire la frase, ricevette un altro calcio in volto e perse i sensi.
Il tedesco gli sollevò il mento con la punta della scarpa guardandolo un ultima volta, poi lo lasciò cadere e lo trascinarono via. 

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Capitolo 10
*** Prove d'onore ***


Andrej si trovava in un bel casino, ma almeno per ora Lyn aveva la certezza che non lo avrebbero ucciso, potevano ancora salvarlo. Appena il tedesco e i suoi scagnozzi si ritirarono in un veicolo al limite della foresta, la ragazza si alzò e ritornò all’interno del campo. Vi erano molti feriti e poche perdite. Era ancora frastornata dal fumo, ma doveva trovare Frank.

Fu Frank a trovare lei:“Charlie! Dove cazzo eri?! Perché la tua radio è spenta?”
“Andrej... L’hanno preso.”
“Cosa?”
“Di là sono tutti morti, Frank. È tornato il tedesco, quello con il cane. Lo ha riconosciuto e lo hanno portato via. È ferito, non so per quanto potrà resistere. Non ho potuto fare niente per... Mi dispiace Frank, mi dispiace.”
“Calmati ora. Ascoltami bene: non è colpa tua. Perché non l’hanno eliminato?”
“Ti ricordi il vietnamita che si è ucciso?”.
Frank si passò nervosamente la mano tra i capelli:“Oh, cazzo no! Vogliono usarlo come cavia?”
“Credo di si, i vietnamiti non resistono a qualche strano esperimento, ora può provare su un russo senza sacrificare gli uomini di Rezic.”
“Andy è americano. Bastardi sadici, dobbiamo portarlo via da... Dovunque siano andati.”

Jack li notò parlare mentre aiutava alcuni feriti a dirigersi verso l’infermeria e andò verso di loro: “Black! Hai trovato il sergente?”
“Sì, ma l’hanno trovato prima i Vietcong. Lo hanno portato via, era ferito.”
“Ci sono altri feriti?”
“tutti morti, Lewis.”
Jack guardò a terra:“Ho capito, lo riporteremo indietro. Arrow! Vieni con me, dobbiamo recuperare i cadaveri!”
“Arrivo Jack.”
Arrow arrivò da loro col fiatone. Era una maschera di sangue, ma apparentemente non suo.
“Sergenti, i due agenti della CIA sono nella base, vogliono parlarvi.”
“Che si mettano in fila.”
Lyn mise una mano sulla spalla dell'amico:“Frank, stai calmo. Andiamo.”

Randy e Frank andarono nella tenda centrale che ricopriva l’entrata del bunker. Presero le scale e scesero fino allo stretto corridoio che portava ad una sala dove li attendevano i due agenti. Jackson si avvicinò a loro e porse la mano a Frank che comunque ricambiò, seppur nervosamente:“Sergente Jackson.”
“Frost.”
Kinsky non si mosse dal suo posto, restò impalato contro la parete opposta a loro guardando con riluttanza Frank, probabilmente ricordava il processo. Frank lasciò il suo fucile sul tavolo ed andò a prendere le munizioni da una cassa che si trovava in un angolo ed iniziò a prenderne alcune silenziosamente. Lyn si rivolse a Jackson:“Mi dispiace sergente, ma qualsiasi cosa il governo voglia dovrà aspettare. Hanno preso il nostro medico, dobbiamo riportarlo indietro.”
Solo ora Kinsky prese la parola, iniziò a sbraitare, la sua pelle olivastra sciupata si colorò di un rosso vivo e una vena sul collo prese a pulsare:“Spero che tu stia scherzando! Mai, MAI si è vista una totale incompetenza nel lavoro! Abbiamo rischiato la vita per arrivare fin qui ed ora mi dite che non eseguirete gli ordini perché un idiota di un russo si è fatto prendere dal nemico?! E chi vi dice che non sia uno di loro?! Ma che diavolo...”
Frank lasciò perdere le munizioni, prese lo sbraitante agente per il colletto della camicia infradiciata e lo mandò a sbattere contro il muro. La sua voce fremeva di rabbia, ma non provò nemmeno ad urlare, non ne aveva voglia.
“Ora stammi a sentire schifoso ratto bastardo: Andrej non è un russo, è americano, è un nostro compagno e amico. Ha dato così tante prove di fedeltà e coraggio che dovrebbe essere sommerso dalle medaglie, ma questo al tuo governo non importa. Se ti credi così bravo perché non vai tu a farlo il tuo fottuto lavoro, eh?
Ah già, ecco perché: mentre tu stavi qui a piangere nel tuo angolo là fuori combattevamo per pararti il culo! Andrej è stato ferito e almeno dieci ragazzi tra i diciotto e i vent'anni sono morti. Non provare più a mancare di rispetto al sergente Black o a Duvalic o non ci penserò due volte a ficcarti una pallottola su per quel tuo culo polacco e se sai chi sono, sai anche che sono in grado di farlo.”

Frank lo lasciò andare, riprese la sua arma e uscì dalla sala. Kinsky si era ritrovato seduto a terra contro il muro e guardava il sergente andarsene con la bocca spalancata.
Lyn si avvicinò a lui e lo fece alzare da terra:“In altre parole sì, il governo dovrà aspettare. Prima andiamo a prendere il nostro amico.”
La ragazza stava per seguire Frank, ma Jackson la fermò prima di lasciarla andare:“Voglio aiutarvi.”
“Per di qua, Daniel.”
Kinsky saltò in piedi:“Jackson, cosa credi di fare?!”
“Vado con loro, Kinsky. Non siamo qui per aiutare?”

I due sergenti e Jackson andarono dal generale Williams, che si trovava nella tenda dei feriti ad aiutare l'unico medico rimasto. I feriti erano almeno una trentina ed un aiuto per i suoi ragazzi lo avrebbe sempre dato.
“Frost, Black! Bella difesa la fuori. Ma tutti quei ragazzi... avrò qualche lettera da scrivere. E guardate qui dentro. Ah, lei deve essere uno dei due agenti della CIA, non ho ancora potuto salutarvi.”
“Sergente Daniel Jackson, signore.”
“Ah, così sei un sergente? Questa è un’ottima cosa, vorrai scusarmi se non ti stringo la mano, ma come puoi notare le mie sono ricoperte di sangue. Dov'è Duvalic? Abbiamo il migliore medico dell'esercito e non si fa vedere.”
Il generale si muoveva rapidamente tra i ragazzi parlando con tutti loro e chiamandoli per nome, soffermandosi di più tra i più giovani che erano anche i più spaventati. Frank lo seguì senza nascondere la sua agitazione:“Generale, hanno preso Duvalic. Charlie ha visto un tedesco portarlo via, lo useranno per i loro esperimenti. Finché siamo qui, deve darci licenza di andare.”
“Cosa vuoi che faccia, Frost?”
“Non gli chiederemo nessuno dei suoi uomini, Signore. Solo ci lasci tornare al bunker e lo riporteremo indietro.”
“No, Lewis è passato qui prima di voi e mi ha avvertito di Duvalic. Subito lui e Arrow sono andati al bunker con un veicolo. Appena arrivati mi hanno comunicato che stavano portando via delle casse, poi se ne sono andati via tutti.”
“Hanno abbandonato la base?”
“Sì, li stanno ancora seguendo per individuarne la posizione, sembra che la più probabile sia Hanoi.”
“Hanoi?! È dall’altra parte del Vietnam!”
“Ecco perché dovreste muovervi.”
Jackson intervenne: “Signori, anche noi abbiamo una mappa dettagliata sulle loro basi e strutture. Vi confermo che si muoveranno ad Hanoi, il laboratorio preferito di Von Schreder si trova proprio lì. Il documento che dovevamo affidarvi, tra l'altro, era relativo all’eliminazione di Iao Chi Sin, il loro protettore e finanziatore. Ha permesso ai russi di occupare la capitale. Dimitri Rezic protegge alcuni scienziati nazisti, almeno una decina tra quelli scappati dalla Germania alla fine della guerra.
Sono guidati da Von Schreder e probabilmente è anche il supervisore dei progetti. Tra questi, uno in particolare ci interessa. Si chiama Progetto Arian. I tedeschi protetti dai russi stanno cercando di creare artificialmente soldati con capacità al di fuori dell’umano, un'incredibile resistenza e non sappiamo che altro utilizzando sieri chimici.
I loro progetti hanno portato terribili conseguenze: in alcuni casi morti improvvise o deterioramento del corpo. Nei casi più fortunati le cavie impazziscono a causa del dolore comportato dalla modifica genetica.”

Il generale Williams si allontanò da loro e prese la radio:“Yankee, qui Wiskey. Tornate alla base, abbiamo la destinazione.”
“Qui Yankee. arriviamo, chiudo.”
Lyn si lasciò cadere sulla sedia più vicina e si mise il volto tra le mani. si sentiva incredibilmente stanca e responsabile dell'accaduto. Solo ora capiva quanto veramente teneva ad Andrej.
“Andy...”
Frank le mise una mano sulla spalla, mentre le accarezzava i capelli:“Non preoccuparti, Charlie, lo riporteremo indietro.”

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Capitolo 11
*** Arian ***


Andrej aprì a fatica gli occhi, si sentiva stanco, troppo stanco e i forti dolori alla testa non lo lasciavano in pace.
Dov’era? In una stanza? Aveva freddo e notò di essere senza maglia.
Sopra di lui c’era un’enorme lampada, come quella delle sale operatorie, spenta.
Provò ad alzarsi, ma una fitta al fianco lo fece fermare. D’istinto vi portò una mano e scoprì di essere stato fasciato. Ora ricordava: una camionetta era saltata e un pezzo del veicolo l'aveva colpito mentre urlava ai ragazzi lì vicino di spostarsi.
Forse la sua squadra aveva fermato i due Vietcong, ucciso il tedesco e ora si trovava in un ospedale a Saigon. Doveva essere andata così.

Voleva abbandonarsi a quel pensiero, ma dovette ricredersi quando sentì una porta aprirsi e un uomo dall'accento aspro parlare.
Trattenne il respiro per sentire meno il dolore e si mise a sedere, appoggiando la schiena contro il muro freddo dietro di lui, alzò il volto verso l’alto e chiuse gli occhi. Non voleva morire come cavia di uno scienziato pazzo, ma nemmeno avrebbe tradito l'esercito.

La porta si aprì e riconobbe subito Rezic, alto quanto lui e robusto come gli avevano raccontato: una montagna, ma i capelli neri avevano lasciato spazio al grigio. Lo accompagnava un uomo più basso, dal naso aquilino e gli occhi di ghiaccio. Con i suoi capelli platino sembrava quasi un fantasma. Andrej stranamente si chiese se anche lui dava l’impressione di essere uno spettro con i capelli biondi.

Si rivolsero a lui in russo, fu Rezic a parlare:“Ben svegliato, sono tre giorni che aspettiamo che tu apra gli occhi.”
Andrej non rispose.
Rezic si avvicinò al ragazzo e prese in mano le piastrine che portava al collo, come faceva ogni marine.
“Andrej. Tipico nome americano.”
Sono americano.”

Rispose in inglese. Sosteneva lo sguardo del nemico, anche se si sentiva come un topolino consapevole che tra pochi istanti il grosso gatto che aveva davanti lo avrebbe fatto a pezzi.
Rezic sorrise:“Hai un bel carattere ragazzo. 1945... Ventitré anni. Sei un po’ troppo magro per la tua età, ma almeno sei giovane, forse questo resisterà un po’ di più, Georg.”
Il tedesco si avvicinò a lui dall’altra parte del letto e anche lui parlò in russo, ma con un marcato accento tedesco:“Speriamo, Dimitri. Forse voi russi avete la pelle più dura.”
Gli si avvicinò al volto, Andrej si sentiva come uno schiavo, un fantoccio in vendita, ma non si sarebbe arreso.
“Maledizione, sono americano!”

Non gli capitava spesso di sentirsi piccolo e indifeso, nulla di simile da quando aveva sei anni e suo padre tornava a casa ubriaco e picchiava sua madre. Questo pensiero svanì quando Rezic gli mise una mano sul petto e lo spinse violentemente contro il muro, togliendogli il respiro.
Rimase fermo per un attimo, poi riuscì a piegare la testa in avanti e riprendere fiato.
“Bene, pare che anche gli americani abbiano la pelle dura. Cos’è quella cicatrice che hai sul petto?”
“Che ti importa?”
“Sembra una bruciatura da sigaro.”
Andrej non rispose, ma il modo con cui evitava lo sguardo di Rezic confermò la teoria, così ripresero il contratto con il tedesco.
“La benda non è più insanguinata da ieri, ti stai riprendendo bene. Forza ora, alzati in piedi.”

Il ragazzo lo guardò sconcertato, parlava a fatica e si aspettavano che riuscisse a stare in piedi?!
Non obbedì, ma guardò il nemico con aperta aria di sfida.

Rezic guardò d'improvviso il ragazzo con aria seria e sorpresa, come se si fosse ricordato di una cosa importante. Riprese le piastrine di Andrej, gliele strappò dal collo e se le rigirò tra le mani.
“Andrej Duvalic!” Si lasciò scappare una risata ironica:“Ma tu lo sai chi sono io?”
“Sì, un bastardo.”
“A quanto ho sentito dire, il vero bastardo sei tu. Non posso credere com'è piccolo il mondo! E come sta la tua mamma? La mia dolce sorellina fa ancora la puttana? Da quando sono in esilio Ania ha chiuso ogni contatto con me ed è scappata in America a fare la puttana, poi ha trovato un marito, il caro Olaf. Quanti anni sono passati dall'ultima volta che hai visto tuo padre?”
“Olaf non è mio padre!”
Andrej sentì una terribile sensazione, un invisibile pugno allo stomaco e per un attimo la sua espressione fu di panico, ma dovette ricomporsi.
Sapeva che Rezic era suo zio, lo aveva sempre saputo, ma cosa avrebbero detto Frank e Lyn?
Con Ania,aveva toccato un nervo scoperto.
Rezic andò alla porta dove un gigante in divisa grigia attendeva ordini:“Portala qui.”
E tornò al letto dove Andrej lo guardava con viva ansia, chi doveva portare?
“Allora, nipote, vediamola così: tu farai tutto ciò che ti verrà chiesto o io ucciderò tua madre davanti ai tuoi occhi, poi farò a pezzi te e ogni stramaledetto marine che mi si parerà davanti, chiaro?”
Andrej non rispose, era impossibile che trovassero sua madre, era protetta dalla forza militare americana da quando lui veniva coinvolto in missioni top secret, eppure la donna che portarono dentro la stanza era lei e questa volta Andrej parlò russo.
“Mamma...”

Rezic si avvicinò alla donna, la prese per un braccio e la trascinò davanti al letto. Cercò di avvicinarsi a suo figlio, ma la trattenevano per le braccia e lei senza volerlo pianse.
“Incredibile, vero? Pensavi che gli americani fossero tutti fedeli al presidente? Ho anch'io le mie spie. L’ho fatta portare qui con la speranza di salvarla da qualcosa di più grande che capiterà... E ora salti fuori tu. Coraggio Ania, dì al piccolo Andrej di alzarsi in piedi.”
Sua madre era sempre bella, anche se i capelli biondi erano più corti e ora aveva qualche ruga in più. Aveva sempre pensato di rivederla a Brooklyn in un bar davanti ad un caffè.
“Drej... Sono fiera di te.”
Il russo la colpì in volto:“Diglielo, puttana!”
“Non toccarla!”

Andrej continuava a ripetersi che era un incubo, doveva esserlo.
Con una mano appoggiata al muro, scese dal letto soffocando un gemito di dolore quando dovette alzarsi e guardò quei due uomini che sorridevano compiaciuti degli sforzi della loro cavia, mentre sua madre lo implorava con gli occhi di tornare a sedersi. L'avrebbe fatta pagare a entrambi. Si avvicinò a lei, Rezic disse con un cenno alla sua guardia di allontanarsi e Andrej buttò le braccia al collo della madre.
Era più alto di lei, di almeno venti centimetri, ma la strinse a sé più che poté, anche se le ferite gli facevano male.
Il tedesco si allontanò dal letto per avvicinarsi a Rezic:“Ora cammina, vai verso la porta.”
Questa volta non si ribellò e silenziosamente zoppicò fino alla porta.
“Il passo è un po’ incerto, ma è un soldato, se la caverà. Secondo me è pronto, Dimitri.”
“Pronto a cosa?”
“Alla tua prima prova.”

Un sorriso diabolico si presentò sul volto del russo. In quel momento entrarono tre guardie, due presero per le braccia Andrej, anche se era una spanna più alto di tutti e tre.
“Che diavolo state facendo?! Prima lasciatela andare!”
La terza guardia gli assestò un colpo allo stomaco con un guanto borchiato, questa volta il male non se l’era immaginato.
Di nuovo cercò di riprendere fiato mentre involontariamente una lacrima scese sulla guancia per il dolore, sua madre si mise davanti a Rezic:“Dimitri! Dimitri prendi me, farò quello che vuoi, ma ti prego non Andrej!”
Von Schreder si rivolse al suo collega:“Dopotutto è il sangue russo che ci serve, perché non usarli entrambi?”
“No. Lei ci serve come garanzia o il ragazzo non collaborerà, ma se non si calma non avremo alternative.”
Lo trascinarono a forza in una stanza circolare, dove al centro vi era una sedia con dei lacci:“Che diavolo volete farmi?!”
Con molta fatica lo fecero sedere sulla sedia e gli legarono i polsi, poi le guardie uscirono ed entrarono nove uomini con dei camici bianchi ed una cartelletta su cui prendere appunti.

“E voi chi cazzo siete?!”

Rezic gli passò stancamente un dito sulla lacrima umida che era rimasta sulla guancia, fu lì che notò la cicatrice bianca sopra l'occhio sinistro che spaccava il sopracciglio e continuava sotto l'occhio, il segno più di un'incisione che di un taglio accidentale
"Regalo di papà anche questo, vero?"

Per la prima volta dopo anni, Andrej aveva paura, sapeva di avere paura e anche il nemico lo vedeva.
“Cosa volete farmi?”
Rezic si avvicinò al ragazzo:“Non sei tenuto a saperlo, ma ti assicuro che farà male.”
“E lei?”
“Lei resterà qui con me.”
“No, no! Per favore, non lasciare che resti qui.”
“E perché non dovrei?”
“Ti prego.”
Alla fine l’uomo sospirò, vedeva l’odio negli occhi del ragazzo mentre lo pregava di non far vedere alla madre quanto avrebbe sofferto.
“No, stai tranquillo. Questo posso anche farlo, dopotutto c’è un legame di sangue tra noi. Potresti... rivelarci qualche piano del presidente prima, come ci avete trovati e tutto il resto.”
“Piuttosto la morte.”
Rezic rise, seguito dagli altri uomini presenti:“Oh no, non così facilmente. Pensa che ciò che stiamo per farti è per il bene della scienza, della Germania e della Russia. Se sopravvivi oggi, alla prima delle tre iniezioni...”
Andrej guardò dietro Rezic e vide Von Schreder con una lunga siringa in mano.
“Che diavolo sta facendo?!”
“... La prossima settimana tornerai qui...”
“No! Stammi lontano!”
“...E rimpiangerai di non essere morto sul campo con gli altri. Signori, annotatevi tutto ciò che accade, io purtroppo devo assentarmi.”
Prese Anya per un braccio e a forza la trascinò fuori dalla porta che chiuse alle sue spalle.
“Siete un branco di bastardi! Giuro che vi ammazzerò tutti!”

Von Schreder gli iniettò nel collo senza troppe cerimonie il liquido violaceo che si trovava nella siringa. Non ci mise molto a fare effetto.
Andrej cercò di mantenere il controllo il più possibile, ma non fu per molto. Prese a urlare per il dolore insopportabile, si sentiva bruciare, come se lo stessero scorticando vivo.
Sentiva qualcosa trapanargli la testa dall’interno e cercò di portarsi le mani al volto, ma erano bloccate.
Mai cercò di supplicare, non avrebbe mai dato loro soddisfazioni.

Rezic era appoggiato alla porta chiusa: quelle urla di dolore gli riempivano il cuore di gioia. Ania, in preda alla disperazione, continuava a picchiare contro quella maledetta porta che non si apriva. Il ragazzo aveva chiesto che la madre non guardasse, ma chi era lui per impedirle di sentire?

Era una storia che si ripeteva al contrario: Olaf l’aveva salvata dalla prostituzione sposandola, ma solo per tenersela per sé fino a quando tutti i loro guadagni finirono annegati nell’alcol e suo marito la costrinse a tornare sulle strade di New York, dove vivevano temporaneamente.
Il peggio toccò ad Andrej a causa dell’ossessione che Olaf aveva per lui, l’odio incondizionato nei confronti di un bambino che sapeva non essere figlio suo.
Quando Andrej era piccolo, Olaf lo chiudeva a chiave in bagno per fare in modo che non intervenisse per tentare di salvarla. Non voleva uccidere un bambino; Olaf era un mostro sì, ma aveva dei limiti. Voleva vedersela con il ragazzo, vedere di che pasta era fatto quando avrebbe avuto l'età giusta e poi farlo a pezzi. Ania ricordava molto bene i pugni del bambino che picchiavano sulla porta.
Ora era lui ad avere bisogno del suo aiuto e di nuovo una porta chiusa li separava.
Andrej era l’unica cosa che gli era rimasta, l’unica luce che le dava speranza da quando era diventato abbastanza grande e troppo alto anche per quell'essere. Quando aveva diciassette anni sfiorava il metro e ottanta e Olaf tornò a casa ubriaco per l'ultima volta.
Ania non ce la faceva più e cercò di chiuderlo fuori di casa, ma lui ruppe la finestra sparando con una pistola presa chissà dove.
Entrò in casa e cercò di colpirla, ma Andrej, che aveva sentito gli spari, corse nel salotto e si mise davanti a suo padre per bloccarlo, lui lo colpì in fronte con il manico della pistola che cadde a terra con il ragazzo,riaprendo il taglio che già da due anni portava sopra l'occhio sinistro.
Olaf pensò a raccoglierla, ma corse verso Aniia che si era appiattita contro il muro e lo guardava terrorizzata.
Stava per aggredirla quando Andrej prese la pistola e sparò a suo padre. Non lo uccise, ma lo ferì. Il processo interpretò il suo gesto come difesa personale e Olaf rimase ai lavori forzati in Russia. 

Dopo questo episodio, Andrej tornò in America con la madre e insieme andarono a vivere a New York, dove era nato e si arruolò nella marina. Era così fiera di lui.
Poi partì per il Laos, lei non voleva, ma lo pagavano per questo genere di lavoro, ogni mese gli davano dei soldi e lui li spediva a sua madre che non avrebbe più dovuto lavorare.
Rezic sospirò a fondo quando sentì il silenzio dall’altra parte, si era affezionato al suo nuovo animaletto e aveva in mente di farlo soffrire ancora, di usarlo come capro espiatorio per le colpe dell'America che cercava di annientarlo.
Lui, Andrej, suo nipote, americano.

Sentì Von Schreder riferirsi ai suoi compagni scienziati:“Signori: il soggetto è ancora vivo. Il primo passo ha dato i suoi frutti, lasciamo che si riprenda e settimana prossima passiamo alla seconda dose. Sentitevi fieri del vostro risultato, finalmente Arian comincia a dare risultati.”
Ci furono degli applausi mentre il ragazzo tremante cercava di dire qualcosa, ma svenne dal dolore.
Finalmente la porta si aprì e Ania poté correre da lui, vide suo figlio abbandonato sulla sedia con la testa ciondolante. Riprese a correre per slegarlo:“Andr...”
La pallottola di Rezich la raggiunse prima. 

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