cap 1
"Te ne sei
accorto sì
che
tutto questo rischio calcolato
toglie
il sapore pure al cioccolato
e
non ti basta più? "
La
casa si
trovava nella tenuta dei Nara, in disparte, come se intenzionalmente si
fosse tirata fuori dal caos cittadino. Era stata costruita di fretta e
in furia e poi lasciata a metà con l'arrivo della guerra.
Aveva pareti, pavimenti, finestre: un disattento passante avrebbe
pensato che fosse completa, ma una volta entrato si notava che al
muro c'era solo l'intonaco, che le fughe del pavimento non erano
riempite e che le finestre non erano sigillate, tanto da far entrare un
po' d'acqua nei giorni di pioggia.
Shikamaru pensò fosse un po' come la sua generazione:
cresciuta
in fretta e con troppi difetti, che nessuno aveva voglia di aggiustare
perchè significava rituffarsi di nuovo (anche se solo nei
ricordi) in quella merda
di guerra. Quindi, sia i ragazzi che la casa stavano lì,
sgangherati ma pur sempre in piedi.
La prima volta che Shikamaru c'era stato era con suo padre durante la
ricostruzione,
camminando tra le stanze vuote avevano immaginato come
sarebbe
stata una volta completata. Era stata costruita sui ricordi della casa
di infanzia di Shikaku e l'uomo continuava a percorrere con grandi
falcate quel pavimento illustrando l'uso che ne avrebbero fatto di ogni
stanza.
«... poi un giorno potresti viverci tu, con la tua famiglia,
con tua moglie e i miei
nipotini.»
Shikamaru aveva sospirato «Il matrimonio è una
tale
seccatura, pa'...» ma il pensarsi su quel portico a giocare a
shogi con
suo padre e un vociare di bambini di sottofondo l'aveva
fatto sorridere.
La seconda volta che c'era stato era da solo, dopo il funerale: aveva
bisogno di piangere e di fare i conti con la vita. Aveva fumato un
intero pacchetto di sigarette e si era immerso in quella valanga di
merda che erano i ricordi. Si era lavato con le lacrime, mentre la voce
di Shikaku ancora eccheggiava in quelle pareti. L'eco della
risata del padre l'aveva investito appena aveva aperto la porta, come
un fantasma rimasto chiuso in quella casa che trova la
libertà.
Shikamaru era sicuro di averla sentita attraversare il suo corpo ed
estendersi a macchia d'olio per il giardino, tra il frusciare degli
alberi. Oppure era solo
il vento.
Dopo
quella volta non aveva più pianto, ma non aveva rimesso
piede in quel posto, che stranamente gli faceva più male
della
sua casa natale.
Ora, si
trovava a riempire quella casa di cose
per
dimenticare quel dolore, un po' come faceva da mesi: aveva cominciato a
riempirsi la vita di impegni per non concentrarsi sulle mancanze che
trovava nella sua vita. Calcolava tutto: dal tempo da trascorrere a
lavoro a quello in casa, dai minuti che spendeva con il suo vecchio
team a quanto doveva impiegare per fumare una sigaretta in pace.
L'unico tempo che non calcolava era quello con la piccola Mirai, che
riusciva a rubargli le ore con una facilità disarmante.
Sperava
almeno
che il risultato sulla sua vita fosse migliore di quello che sembrava
la sua casa in quel momento: bottiglie erano sparse sul pavimento e sui
davanzali delle finestre, un tavolo arancione troneggiava al centro del
salotto e intorno una collezione di sedie tutte diverse. Chi aveva
deciso di affiancare quella viola a quel tavolo aveva un pessimo senso
artistico. Una quasi in lacrime Hinata scortava Kiba, Naruto e Rock
Lee che si erano proposti di portare dentro vassoi che emanavo un
profumo invitante,
saltellando. Choji li seguiva,
estasiato.
Si
era perso nel guardarli andare in quella che avrebbe dovuto essere la
cucina quando una voce l'aveva distratto.
«Dio, che schifo.»
«Ciao anche
a te, Sai»
Shikamaru
si era
chiesto se si riferisse all'arredamento o a quella improbabile
processione di esseri umani, ma non voleva saperlo veramente.
Sakura
era entrata reggendo due cuscini: «Fuori
c'è un divano» era stato il suo saluto, prima di
mollargli
quei due soffici guanciali e dirigersi anche lei in cucina,
probabilmente cercando qualcuno che potesse darle una mano. Ino era
stata l'ultima: reggeva tra le mani uno stereo e un vaso azzurro
-arancione, azzurro e viola, il suo salotto era ormai un incubo- e
gliel'aveva messo in mano schioccandogli un bacio sulla guancia:
«Fiori di mandorlo.» Era andata via, lasciandolo
con troppe cose in bilico tra le mani.
Dove
diamine aveva trovato dei fiori di mandorlo in pieno inverno? Si
era girato, guardandola girarsi una volta arrivata sullo stipite della
porta, come a pensare di dire qualcos'altro. «Rinascita.
Significano rinascita»
e se n'era andata nell'altra stanza, borbottando su come
il suo migliore amico fosse un tale ignorante in materia.
Il
padrone di
casa aveva sorriso: Ino riusciva sempre a indovinare a cosa pensasse e
a saper fare la cosa giusta nel momento giusto. Avevano condiviso una
perdita enorme, eppure lei che sembrava così debole era
riuscita
a tirar fuori una grinta che Shikamaru non aveva. Avrebbe voluto essere
lui a risollevare lei, in una sorta di gesto galante, ma alla fine era
stata la bionda a leggergli dentro. Andava bene così.
Man
mano che i suoi amici erano entrati, poggiando a terra cose di dubbio
gusto, aveva sentito quel nodo nella pancia sciogliersi poco a poco: il
freddo che l'aveva attanagliato era scivolato via, sostituito da una
strana sensazione. Appiccicosa come miele gli si era attaccata addosso,
facendogli risalire le lacrime. "La
solita malinconia"
si era detto e la mano era andata subito a cercare il pacchetto
custodito nella sua tasca, aggrappandosi come se ne valesse la propria
vita. Non sapeva se il suo malessere fosse da imputare al luogo in cui
erano, o al fatto che con Ino erano entrati una sfilza di immagini che
l'avevano sommerso come una valanga. Si vergognò di
sé
stesso: desiderò ardentemente scappare fuori da quella
stanza,
riempirsi d'aria i polmoni e poi fuggire, buttandosi in qualcos'altro.
Le pareti avevano cominciato a stringersi intorno a lui e la porta gli
sembrava ora una tale salvezza, aperta verso l'esterno. Il pacchetto di
sigarette lo ammaliava: non ebbe tempo di accendersene una.
«Shika! Vieni ad aiutarci!» l'avevano chiamato
dall'esterno, probabilmente erano alle prese con il divano di
Sakura. Sperò con tutto sé stesso che non fosse
rosa,
altrimenti avrebbero tutti rischiato una crisi epilettica.
«Certo che siete delle seccature... »
L'avrebbero
salvato sempre da sé stesso e non l'avrebbero saputo mai.
Li
ringraziò mentalmente e si andò a sedere su una
sedia a
fiori: non aveva comunque intenzione di portare dentro quel divano.
I tre della sabbia erano arrivati dopo, scortati da una Ten Ten gioisa
e sorridente.
La seguiva Gaara con un'espressione corrucciata e tra le mani uno
scatolo. Si avvicinò a Shikamaru tendendogli con un'una
faccia
da funerale quel pacchetto: «Ci
hanno detto che ognuno avrebbe dovuto portare qualcosa e dato che da
Suna non potevamo certo portare sulle spalle mobili» e quello
sguardo che aveva lanciato al mobilio gli era sembrato puro disgusto,
«ecco a te dei dolcetti.»
Gaara riusciva ad essere politicamente corretto anche quando si parlava
di una festa. Aveva sorriso, ringraziandolo.
«Non
ce n'era bisogno, avremmo capito...» Il rosso non lo
fece continuare:
«Sono di Suna, sono... buoni»
La
pausa che aveva preso non convinse nessuno. Poi Naruto
si era gettato sull'amico della Sabbia e lui era rimasto davanti agli
altri due fratelli. Solo a quel punto la strega gli
aveva lasciato tra le mani una bottiglia di liquore. Il liquido
all'interno
sembrava quasi brillare e Shikamaru capì che non si
trattava di
qualcosa di leggero.
«Questo è veramente
buono.» La sua voce era calda, quasi melliflua, ma lui lo
sapeva
che in realtà era molto più simile al liquido
all'interno
di quella bottiglia che al miele. A volte, lei gli faceva davvero paura.
«In ogni caso, non potremo trattenerci a lungo»
aveva continuato il rosso, ancora stritolato da Naruto
«Domani abbiamo una riunione e ci tengo ad arrivare in
orario...»
Non
aveva neanche finito che Rock Lee, con uno scatto felino era andato a
chiudere la porta, girando la chiave nella toppa.
«Non poteve lasciare la festa!» aveva urlato
«Dobbiamo
divertirci!»
Aveva
preso la chiave e con un tintinnio l'aveva fatta cadere nel suo
portamonete, per poi con un sorriso sinistro infilarsi il
borsellino nel cavallo dei suoi pantaloni verdi.
«E ora, si dia inizio alla festa!» Sulla
stanza era sceso il gelo.
La
serata era appena cominciata e loro già avevano preso in ostaggio
il Kazekage. Di quel passo, prima di mezzanotte avrebbero distrutto non
più la casa, ma l'intera nazione.
«Beh...
io le mani là dentro non ce le metto» aveva
sbottato
Temari, alzando le braccia in segno di resa dirigendosi con noncuranza
al tavolo per prendere una birra. Il fratello invece dopo un iniziale
sconcerto era scoppiato a ridere sguaiatamente, reggendosi con le mani
sulle ginocchia. Con le lacrime agli occhi si era alzato e aveva
guardato con la solita faccia da schiaffi un ancora più
pallido
Shikamaru, che sentiva un brutto presentimento risalirgli su per la
schiena. «Su,
rilassati. Siamo ninja e siamo al piano terra, mal che vada possiamo
anche uscire dalle finestre» Kankuro gli aveva dato
una pacca
sulla spalla, «poi
Gaara è così noioso a volte.» L'aveva
superato,
fermandosi al suo fianco. Aveva cacciato qualcosa dalla tasca, un
pacchettino sigillato e gliel'aveva messo nelle tasche della felpa. «Pensavi
fossi venuto a mani vuote? Un regalo da Suna, davvero
buono» e se prima Temari sembrava ammaliante, Kankuro ora
sembrava davvero un serpente a sonagli.
Quel
buono detto
dai tre fratelli non gli piaceva per niente.
L'aveva
aperto più tardi, appena era riscito ad allontanarsi un
poco dalla festa che avevano messo in piedi. Lo stereo lanciava una
canzone rap che lui sentiva ovattata attraverso la parete a cui aveva
poggiato le spalle. Si era seduto in cucina a terra e aveva poggiato
quel pacchetto davanti a lui: era strano ricevere un regalo da Kankuro,
soprattutto se mentre te lo dava faceva quel sorriso sghembo
così simile a quello della sorella. Si era concentrato ad
aprire l'involucro e un
rossore eccessivo aveva invaso le sue guance appena ne aveva capito il
contenuto: era erba.
L'odore era inconfondibile.
Shikamaru
nella sua vita aveva fumato solo
qualche volta, quand'era più piccolo e cercava buoni motivi
per
stare lontano da casa. Quando ancora non dovevi scattare all'attenti al
minimo allarme, preoccupandoti di un attacco, quando scappava dagli
impegni e dalle responsabilità. Di quei tiri ricordava
una vaga sensazione di confusione e una bocca secca da far schifo:
aveva poi dormito il sonno più pesante della sua vita. Ora,
quel
tipo gli aveva dato quella roba, -ad occhio e croce ne uscivano due
canne-, tentandolo da morire. Si ridestò in fretta: Kankuro
era
davvero un cretino, non
aveva tempo per
queste stupidaggini. Stava per mettere via il tutto nelle tasche della
felpa, quando una voce fino troppo conosciuta lo bloccò.
«È
il regalo di Kankuro quello?» Temari gli si era avvicinata
con
passo sinuoso. Si era seduta al suo fianco stendendo le gambe avvolte
in un paio di calze nere. "Come
fa a stare con le calze quando fuori fa così freddo?"
«Gaara
ha insistito affinchè portassimo dei regali, dovresti essere
riconoscente» aveva sorriso, tentatrice. Shikamaru era
arrossito,
scatendando le risa della ragazza. «Non
l'hai mai fatto.» Non era una domanda, sembrava
più una
presa in giro. Temari si era allungata fino a prendere il pacchetto
dalle sue mani: «Questa è
sprecata qui» aveva detto. Un moto di stizza era salito alle
labbra del ragazzo.
«Temari,
non è il momento» e aveva indicato con la testa
l'altra stanza.
«Da quanto tempo
non è il momento?» aveva risposto lei, con gli
occhi verdi
così furbi piantati nei suoi. A Shikamaru era mancato il
fiato.
«Da
quanto tempo ti interessi di ciò che faccio?»
Lei
non se l'era fatto ripetere due volte: aveva aperto il pacchetto e
cominciato a sminuzzare quella roba
con naturalezza
sotto gli occhi sconcertati del ragazzo. «Che
fai?» le aveva chiesto, quasi arrabbiato.
«Di
là il tuo amico che puzza di cane mi ha chiesto di
ballare.» Kiba.
«Quella
tua amica bionda si è messa ad urlare che lui mi doveva
stare lontano» Ino?
«e
il ridicolo tipo in verde sta cercando di far ubriacare
Gaara» Rock
Lee. «In
qualche modo devo superare la serata.» Aveva concluso con
naturalezza, poggiandosi con la schiena al muro.
«Che
sei venuta a fare allora?» La sua domanda era sincera.
«Perchè
sapevo che Kankuro ti avrebbe fatto questo regalo.»
Aveva scandito l'ultima parola sillaba per sillaba e il ragazzo si era
incantato a vedere la sua lingua premere sugli incisivi superiori.
Inutile, cadeva sempre su quattro zampe.«Comunque,
ti unisci a me, pivellino?»
Shikamaru
era diventato una persona seria, o almeno lo credeva, ma quando nella
sua comfort zone entrava
quella scarmigliata gli pareva che il mondo si capovolgesse
all'istante. Sapeva bene che la strega
stava solo giocando con lui, dopotutto stupido non era l'aggettivo che
più gli si addiceva. Se n'era accorto anni prima, quando per
la
prima volta aveva visto un sorriso sulle labbra della ragazza, un
sorriso di scherno. Inutile era pure continuare a stare nel suo posto
tranquillo, continuando a fare quello che faceva sempre: lei si
catapultava all'interno del suo spazio, e cominciava a giocare alle sue
regole. Era
l'unico gioco che Shikamaru non capiva, pur impegnandosi. Ora quel
diavolo tentatore lo stava apertamente sfidando.
«No»
aveva rifiutato.
Tuttavia
era rimasto al suo fianco guardandola armeggiare con quella
roba. Sentiva di non poter lasciarla lì sola; se c'era una
cosa
che negli anni non era cambiata era la sua filosofia sulle
donne:
noiose seccature, o piagnone o bestie infernali, da cui dovevi
difenderti ma che non potevi certo abbandonare nel momento del
bisogno... anche se Temari non sembrava proprio una damigella in
difficoltà.
Sbuffò,
cacciando il pacchetto di sigaretta dalla tasca e
sfilando una paglia. Una mano lo intercettò a mezz'aria e
con
una leggiadria che non credeva sua, Temari gliela sfilò
dalle
dita. «Mi
serve del tabacco» era stata la risposta al suo sguardo
interrogativo.
Shikamaru
perse un battito nel vederla leccare la sigaretta su tutta la
lunghezza con uno sguardo che avrebbe fatto impallidire il
più
malizioso degli uomini. Temari sapeva
di essere bella -una bellezza sfacciata e ammaliante- e voleva giocare,
sopprattutto con lui. Non le diede soddisfazione: «non
sai proprio essere elegante, eh?»
Se
lei c'era rimasta male, non lo dava a vedere. «Non
mi pare ti dispiaccia, o lo sguardo che mi hai rivolto era di disgusto?»
L'avrebbe
fatto impazzire: Shikamaru lo sapeva dal primo momento in cui le
avevano affiancato per qualche
compito burocratico quel demonio dalle
movenze sinuose, eppure era riuscito a sentirsi veramente in trappola
solo quando aveva visto sulle sue labbra comparire il primo sorriso.
Dopotutto, nonostante i loro battibecchi gli portavano via tempo ed
energie, Temari poteva essere definita una buona amica. Se fosse
riuscisse a chiudere il becco per più di cinque minuti... e
se a
volte Shikamaru non avesse pensato a chiuderle lei quella bocca troppo
acida.
«Domani
non c'è nessuna riunione, vero?» il ragazzo aveva
buttato
lì, per distrarsi dai pensieri che in quel momento di
passavano
per la mente.
«Non sei tipo da stare qui a fumare quando il giorno dopo hai
il dovere che chiama.»
«Mh-mh»
un segno di assenso e la sigaretta era finita aperta sul suo palmo.«Gaara
voleva andare a trovare formalmente Naruto, la vera riunione
è dopodomani.»
Aveva soppresso una risata, arricciando il naso. «Kankuro
invece ci teneva a venire qui.» Ci aveva pensato, con il naso
all'insù, come se avesse dovuto rivelare chissà
quale
segreto. «A
volte Gaara è così noioso.»
Erano
stati in silenzio per qualche minuto, Shikamaru a sentire la
musica che veniva dall'altra parte della stanza, lei china sul suo
compito.
Il
ragazzo aveva sentito la necessità di correggere la prima
impressione della kunoichi.
«Non
sarebbe la mia prima volta»
Temari
aveva alzato lo sguardo, confusa.
«Per
l'erba, Temari! Non sarebbe la mia prima volta» aveva
continuato quasi offeso che lei non avesse inteso subito
«l'ho fatto quando ero più piccolo»
«Quando
eri praticamente un codardo che sfuggiva alle
responsabilità?» Alla faccia della delicatezza.
Shikamaru si era già pentito di averle fatto quella piccola
confessione.
«Ma
cosa ti hanno dato da mangiare, pane e veleno? Se è
così io quei dolci di Suna non li provo, non vorrei mai
diventare come te»
«Ci
guadagneresti solo ad essere come me, Nara. Poi, hai capito cosa
intendevo: prima che diventassi uno di quei tipi là che si
riempiono la vita di impegni di ogni tipo per non pensare»
Temari non alzava nemmeno la testa nel parlare con lui, continuava a
miscelare erba e tabacco con movimenti nervosi.
«E
tu che ne sai? Non mi dicevi tu di impegnarmi di più? Lo
dicevate tutti» Shikamaru stava perdendo le staffe: non era
la prima volta che qualcuno gli faceva quel discorso e per quanto
potesse essere un tipo paziente, mal sopportava l'attenzione che tutti
avevano cominciato a riservare alla sua vita.Eppure, tutti erano
partiti con dolcezza mentre lei in qualche minuto era già
riuscito ad offenderlo.
«Prima
fuggivi alle responsabilità rifugiandoti in te stesso, ora
fuggi da te stesso rifugiandoti nelle responsabilità: sai
trovare un equilibrio?»
Temari aveva deciso che la mista nella sua mano poteva aspettare e
aveva inchiodato Shikamaru con due occhi furiosi.
«Andava bene a dodici anni, andava bene a quindici anni, non
va più bene ora. Poi, so cosa stai passando: l'ho fatto
prima di te, Nara. Non mi ha portato a niente di buono, se te lo
chiedessi. Non sei stato l'unico a perdere qualcuno in questa guerra
del cazzo, non sei l'unico ad aver perso qualcuno nella tua vita.
Perderai altre persone, quindi fai del tuo meglio per proteggerle, ma
fai del tuo meglio per non perdere te stesso, perchè quando
riguarderai a questi anni vedrai solo rimorsi» e l'ultima
parola era stata soffiata verso di lui ed era rimasta intangibile e
pesante nei centimetri di spazio che dividevano i due.
Shikamaru
si era grattato la testa.
«Fai
fare a me?» era stata la cosa migliore che aveva saputo dire,
indicando le mani di Temari che tremavano e la cartina da rollare. Se
avesse continuato con questo discorso, la ragazza lo avrebbe sbranato
vivo. Gli sembrava che più che aggredire lui, Temari avesse
aggredito sé stessa, mostrando per la prima volta al Nara
che sotto la sua pelle bianca aveva carne viva e sangue bollente anche
lei. Ora, sembrava solo un animale arruffato e arrabbiato, che alla
minima occasione gli sarebbe saltato addosso per scavare nel suo petto
e mostrare la sua, di carne. Temari non amava sentirsi debole.
La bionda,
dopo aver lasciato al ragazzo l'ingrato compito di chiudere quella
canna, si alzò con noncuranza lasciando Shikamaru
imbambolato, alle prese con il dubbio che lei l'avesse fregato. «Si
può sapere dove vai? Ora sei tu che ti tiri indietro,
seccatura?» l'aveva richiamata, quasi arrabbiato. Gli aveva
risposto senza girarsi
«Vado a prendere da bere, giuro che torno: non ti
lascio solo, piagnucolone.» Si era scrollata dalla
gonna nera la polvere e si era diretta sicura in cucina. Shikamaru
aveva alzato gli occhi per guardare quelle gambe toniche scivolare
l'una contro l'altra, strette nel tessuto nero della gonna a
metà coscia che portava quella sera. Risalì con
gli occhi fino al sedere, incantandosi nel guardare i muscoli contrarsi
ad ogni passo. La vide scivolare oltre la porta, verso la musica e gli
schiamazzi dei ragazzi e respirò profondamente.
Tornò
con in mano un paio di bicchieri e una bottiglia. «L'ho
dovuta strapppare dalle mani di Kankuro» disse scocciata ma
visibilmente fiera della sua impresa. Shikamaru la guardò
perplesso: «Vino?
Mi aspettavo qualcosa di più dissetante» e leggero, ma
questo evitò di dirlo.
L'acqua sarebbe andata benissimo.
«Mi
piace il vostro vino, a Suna non c'è nulla di minimamente
simile.» Questo chiudeva la questione. «A
che punto sei?» disse, sbirciando tra le mani del ragazzo.
«Ho
finito, seccatura. Alla fine ho fatto io tutto il lavoro e mi sta pure
passando la voglia»
«Allora
sarà meglio sbrigarsi, prima che cambi idea» e si
sporse per prendere la canna, ma fu velocemente intercettata da
Shikamaru che allontanò il braccio.
«Ora che fai, Nara?» disse piccata.
«Che
stai facendo tu?» la corresse il moro.
«Non è forse il mio regalo? Non tocca a me il
primo tiro?» e aveva sorriso, sapendo di farla arrabbiare.
«Ma se non volevi nemmeno fumare!»
L'aspro
fumo nei polmoni lo aveva quasi fatto tossire: gli altri erano andati
nettamente meglio. Avevano preso il ritmo: fumavano in silenzio, spalle
al muro, mentre Temari continuava a stringere quella bottiglia di vino
e a riempire un po' troppo i loro bicchieri. Se Shikamaru all'inizio
sapeva benissimo di non dover bere e cercava di bagnarsi solo le
labbra, ora la bocca impastata lo stava costringendo a gettare in gola
diverse dita di quel rosso nettare. Intenzionalmente non aveva cercato
una conversazione, aveva parlato troppo con la bionda, tanto da farla
arrabbiare. Ora, ringraziava mentalmente la sua pigrizia che troppe
volte sconfinava nella prudenza: con il vino che gli riscaldava il
corpo e con quella roba che gli aveva reso pesante la testa, una
conversazione sarebbe stata se non impossibile, sicuramente
imbarazzante. Per fortuna nessuno era venuto a cercarlo, anche se una
parte del suo cervello gli stava dicendo -lentamente ma
comunque glielo stava dicendo- che sapevano benissimo che stava con
Temari e che il giorno dopo avrebbe dovuto dare spiegazioni.
Non
le avrebbe date loro neanche se a chiederle fosse stato Ibiki Morino,
ma non poteva negare di essere stato per -quanto?- chiuso in
una stanza con quella donna conturbante. La sbirciò, tra il
fumo che espirava: Temari era alle prese con i suoi codini, li stava
sciogliendo cercando di non tirarsi troppo le ciocche bionde. Era
probabilmente la cosa più intima che lei avesse mai fatto in
sua presenza e di tempo insieme ne avevano passato. Era la prima volta
che la vedeva con i capelli sciolti: sembrava più dolce.
«Che
hai da guardare?» Sembrava.
Si era girata per sfilargli la canna da mano e se l'era portata alle
labbra, aspirando. Sembrava non poter trattenere un sorriso sul suo
volto.
«Ti
sei sciolta i capelli...» aveva detto, cercando di essere il
più distaccato possibile, ma poi le parole gli erano morte
in quella gola che era così dannatamente secca.
Lei aveva
atteso che lui continuasse continuando a fumare disinvolta.
«Sei già ubriaco, Nara?» lo sguardo era
il solito, ma nella sua voce c'era una nota di preoccupazione.
Shikamaru aveva scosso la testa, premurandosi di far sapere le sue
ottime condizioni fisiche alla bionda, che gli aveva teso la mano.
«Vuoi ancora?»
Il
punto era che Shikamaru aveva appena realizzato che era da un po' di
tempo che si passavano una canna, che finiva abilmente prima tra le
labbra di uno poi
tra le labbra dell'altra. Ora, di nuovo: Temari aveva aspirato e ora
toccava a lui poggiare la sua bocca dove fino a qualche secondo fa era
stata la bocca di Temari. Si corresse: era questa la cosa
più intima che aveva fatto con lei. Si sentiva un po' una
ragazzina, mentre cercava di saggiare il sapore delle labbra di lei su
quel filtro di carta. Ovviamente, non sapeva di niente.
Aveva
socchiuso gli occhi, poggiando il capo contro il muro.
«Non ci credo, dormi?» una voce lo stava
richiamando.
«Ci
proverei, se tu non fossi così rumorosa» aveva
detto ancora ad occhi chiusi. Aveva sentito lo scrosciare del vino per
due volte, segno che Temari aveva riempito anche il suo di bicchiere.
La bionda non riusciva a trattenere la lingua né riusciva a
smettere di ridacchiare, sembrava.
«Ma
cos'hai?» Il moro aveva dischiuso gli occhi per vederla.
«Sembra
proprio quando eravamo ragazzini, quando dovevamo occuparci di
burocrazia e tu avevi il compito di intrattenermi. Mi portavi su quella
dannata collinetta e ti mettevi a dormire, lasciando me ad annoiarmi e
io per ripicca non facevo altro che disturbarti» aveva
confessato, quasi con le lacrime agli occhi,
«ti avrei picchiato volentieri se avessi potuto»
Shikamaru
fu contagiato da quella risatina anche se in cuor suo, temeva ancora
l'ira della ragazza.
«Quanto
ti odiavo...»
La
confessione di lei lo lasciò stupito:
«Hai usato il passato, non mi odi più?»
Tutta
la situazione era così comica, con loro due seduti a terra a
ridacchiare e a prendersi in giro. Buttò in corpo un altro
sorso di vino.
«Diciamo
che ora mi sei indifferente, Nara»
«Per
questo stai fumando con me, in questa stanza soli soletti...»
Piccata,
non aspettò un minuto per rispondere:
«Ma hai visto i tuoi amici nell'altra stanza? Tu sei il meno peggio,
Shikamaru»
Il
moro visualizzò per un attimo i suoi amici e sì,
dovette convenire che in quanto a sanità mentale e
comportamento lui era il meno peggio. Tra le ciglia, vide le gambe di
Temari proprio affianco alle sue, tanto da sentire il calore del corpo
dell'altra. Se non fosse che la cosa era così ridicola,
avrebbe pensato che quello per Temari poteva essere considerata una
dichiarazione, ma dopotutto, la cosa era tremendamente ridicola, no?
Con gli occhi, aveva risalito la figura della kunoichi mangiando con lo
sguardo quel corpo. Sperò che lei fosse non troppo lucida da
notare quello sguardo, altrimenti glielo avrebbe rinfacciato a vita.
Aveva le scalze scucite: una lunga e sottile striscia di pelle faceva
capolino tra il nero delle calze partendo dal ginocchio e percorrendo
tutta la coscia. Shikamaru la seguì con lo sguardo,
immaginando di percorrerla con il dito, fino a vederla scomparire sotto
il tessuto della gonna. Immaginò di essere quella striscia e
seguire il corpo di Temari, baciarlo, leccarlo e succhiarlo e in quel
momento il suo cervello -che non lo aveva ancora tradito del tutto-
metabolizzò il significato di quella frase: Temari della
Sabbia non amava le feste, non amava i ninja della Foglia, non si
sarebbe mai chiusa in stanza con uno di loro, se non con il meno peggio e il meno peggio era
lui. Con quest'ultima frase tutto era andato esattamente a posto, un
po' in ritardo di quanto avrebbe fatto a mente lucida.
Lasciò cadere la canna a terra e con gli occhi
risalì velocemente il corpo di Temari: sorpassò i
fianchi larghi, ignorò con un singulto la scollatura del
seno e la curva del collo così liscia, sorvolò le
labbra rosee e dischiuse e si fermò ai suoi occhi. Temari lo
guardava ora con il solito cipiglio, solo un luccichio diverso la
tradiva. Il verde sembrava più brillante in mezzo alla
sclera leggermente rossa: sembrava più lucido, profondo
quasi quanto il mare. Shikamaru si gettò: afferrandola,
baciandola, mordendola e succhiandola, le mani nei suoi capelli biondi
e gli occhi dischiusi a cogliere tra le sue ciglia il mare. Niente da
fare: Temari afferrava, baciava, mordeva e succhiava, ma teneva gli
occhi chiusi attenta che nulla di quel verde fuggisse via. Shikamaru
allora si era concentrato sul catturare il suo sapore, invece che il
suo colore e aveva chiuso gli occhi anche lui, mentre le sue mani
vagavano sulla coscia di lei, seguendo quella smagliatura sulla calza,
ripassandola mille e mille volte con le dita, mentre sentiva le mani di
lei dietro la schiena spingerlo più vicino, così
vicino da confondere chi era l'uno e chi era l'altra. Famelici
continuavano a incontrarsi e a sentirsi con la bocca, il naso e gli
occhi. Le mani poi cercavano la loro parte volando come farfalle
impazzite da una parte all'altra dei loro corpi, posandosi con la
ferocia di una tigre sulla pelle e sui vestiti, causando gemiti e
sospiri che la conca delle loro orecchie raccoglieva beata.
Mentre
erano ancora ad assaggiarsi -o a sbanarsi-,
avevano sentito i passi di qualcuno: si erano staccati a fatica, ma le
mani di Shikamaru ancora nei capelli di Temari, gli occhi rossi e le
labbra ancora più rosse di entrambi non mentivano: si
trovarono davanti un Gaara stupito e confuso, ma il suo cervello
funzionava ancora troppo velocemente e per lui non ci volle molto a
collegare la puzza di fumo alla situazione. Mentre la sua confusione si
trasformava in collera, l'unica giustificazione a cui riuscì
a pensare Shikamaru fu la
fame chimica.
***
Ommioddio
ho finito questo capitolo! Ancora non ci credo! Ci ho messo una
settimana, ho pubblicato il prologo che questo capitolo era a
metà, ma poi ho attraversato una maledetta crisi su un
periodo e niente, ci ho perso una vita. Sono troppo felice per averlo
finito e aver finalmente scritto di questi due che amo troppo!
Alcune
precisazioni:
Sulla storia in
generale:
- è
ambientata sempre nello stesso posto e ogni capitolo parlerà
di uno o due personaggi diversi. Ogni capito può essere
letto a sé, ma non troppo: c'è comunque un
background e diversi richiami. Oltre questo, ci saranno altri sei
capitoli, compreso di epilogo. Una precisazione: la storia è
iniziata con Shikamaru, nell'epilogo, proprio come nel prologo, ci
saranno tutti i personaggi ma quello che tirerà un po' le
somme sarà proprio il Nara.
Su questo capitolo:
- Prima di
tutto, non ho descritto il luogo dove si trovano perchè non
so bene se dargli l'aspetto di una casa giapponese o di una
più moderna. Trovandomi in dubbio, ho evitato descrizioni
troppo accurate. Non so quanto possa piacere questo espediente, ma
ovviamente nella mia testa la casa ha una planimetria e anche un
aspetto piuttosto preciso. In ogni caso, voi immaginatevela come
più vi aggrada: come il posto che vi fa stare meglio al
mondo.
- Ehm, ecco,
sì, l'erba. So che forse è un po' OOC (e penso
aggiungerò l'avvertimento), ma mi piaceva l'idea di questi
due che condividono un momento così... folle? Mi sembrava un
gesto molto da Kankuro quello di provocare in questo modo. So che non
abbiamo traccia di una cosa del genere nel mondo di Naruto e mi sono
presa un po' di libertà.
- Quando
Temari lecca la sigaretta non lo fa perchè è
pazza, ma perchè in genere per aprirla e prendere il tabacco
si fa in questo modo: io l'ho visto fare una singola volta da un
omaccione con la barba e non so quanto può essere sexy, ma
ho immaginato che con una bella donna sia diverso.
- I vestiti.
Avrete capito che non portano i vestiti canonici dell'universo di
Naruto. Motivo principale, mi servivano dei dannati pantaloni per Rock
Lee (sono sempre verdi e bruttissimi, però <3 ). Poi,
è inverno, fa freddo, ho ipotizzato portassero dei vestiti
diversi anche per una questione di comodità, tranne Temari,
Temari non soffre il freddo.
- Il vino e
le varie bevande. In Giappone non hanno del buon vino, ma Konoha non
è il Giappone e il tempo è in genere soleggiato,
il terreno umido e sono pieni di rilievi su cui far crescere le viti,
quindi ho trovato plausibile il vino di Konoha.
- La canzone
iniziale è di Brunori Sas, "La Verità". Vi
consiglio di ascoltarla perchè è di una bellezza
disarmante.
Grazie di
aver letto e spero di non aver rubato il vostro tempo!
Alla
prossima,
Rosa.
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