Errori di distrazione

di Yvaine0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





 

ERRORI DI DISTRAZIONE

 

Prologo
 

Gli errori di distrazione solo quelli che, per natura, siamo portati a sottovalutare. Si crede di non aver propriamente sbagliato, ci si è solamente distratti un momento: non lo si è notato per disattenzione, ma saremmo stati capaci di evitarlo. Si dà per scontato che siano errori meno gravi, evitabili e per questo poco importanti. A volte, anziché correggerli, li trascuriamo.

Quello che sembriamo dimenticare, però, è che la distrazione è la causa della maggior parte dei nostri errori. Se fossimo più svegli, attivi mentalmente, la nostra B- al compito di letteratura potrebbe trasformarsi in una B+, ovvero proprio il voto che ci serve per pareggiare la media o recuperare il brutto voto della volta precedente. Se solo facessimo un po' più attenzione agli altri, anziché solo a noi stessi, ci accorgeremmo di quel paio di occhi azzurri che non ci mollano un attimo, di quel cuoricino che batte per noi, di tutte quelle piccole attenzioni che quella persona ci riserva e, sì, un po' perché è gentile, ma un po' perché noi, per lei, siamo importanti.

Gli errori di distrazione, portano con sé sempre altra disattenzione. Sono come le ciliegie: uno tira l'altro.

Gli errori di distrazione non sono meno gravi degli altri, anzi; lo sono di più. È la disattenzione a causare l'effetto domino che può rovinare la giornata di chiunque.

Questa è la storia di qualcuno che, semplicemente, è distratto; di qualcuno che è disattento e di qualcun altro che invece è fin troppo premuroso. È la storia di chi parla troppo, di chi nuota troppo veloce, di chi ha paura di parlare e di chi, invece, dice sempre le cose come stanno. È la storia di come la disattenzione di qualcuno può portare alla sofferenza di un altro e a volte, di conseguenza, alla nostra. È la storia di errori di distrazione notati un po' in ritardo, ma mai troppo. È la storia di chi ama, di chi ascolta e di chi parla, di chi sbaglia e di chi corregge, di scelte giuste o errate. È la storia di Michael e Shae-Lee, di Calum, di Debbie, di Ashton, River e Luke. 




 

Eccomi qui. Sì, proprio non riuscivo a star senza postare questa storia, ci sto lavorando per puro relax negli ultimi giorni, non ho aspettative e, davvero, scriverla mi rilassa moltissimo. Probabilmente avrà miliardi di difetti, ma, be', per il motivo appena citato, la scrivo comunque.
Siccome faccio abbastanza schifo a graficare e so usare giusto un paio di funzioni e pennelli di Gimp, il banner è ovviamente bruttino, ma non mi fa molto schifo al momento. XD
Nonostante ciò, visto che stranamente ho pensato a dei prestavolto per le mie ragazze, ve le mostro qui. E siccome qui non vengono nominate sarà una sorta di inutile anteprima, ma pare proprio che io non riesca a non pasticciare, per cui chiudete un occhio e lasciatemi far casino. XD
Avremo:
• Molly Quinn nei panni di River Loveday;
• Ruslana Korshunova nei panni di Shae-Lee Anning (e qualcuno sa spiegarmi perché ho scelto una tizia dell'Europa dell'Est per interpretare un'australiana?);
• Shailene Woodley come Deborah - Debbie - Melvin;
• Olesya Rulin come Kerrie Anning.

Per qualunque domanda, chiacchiera, curiosità e insulto, mi trovate QUI, QUI e QUI. Sono carina e coccolosa (o almeno coccolosa XD), ho tentissima pazienza e non mi arrabbio quasi mai - quindi, dai, non fate uscire allo scoperto sassy!Mich. ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***




1.
 

Shae-Lee Anning è quel genere di ragazza con la coda di cavallo che non sta ferma un minuto. Quel genere di ragazza che in piscina nuota sempre un po' più piano di Luke Hemmings, ma riesce sempre a fare qualche vasca in più. È la ragazza che, se solo conoscesse di persona Ashton Irwin, lo implorerebbe di lasciargli suonare la sua batteria, perché, cavolo, è troppo una figata! È il genere di ragazza con cui Calum, se solo si conoscessero, si divertirebbe un casino, perché, dai, è troppo svampita. È anche però il genere di ragazza con una cotta mostruosa per Michael Clifford.

D'altra parte, Michael Clifford è quel genere di ragazzo che certe cose non le nota. È il genere di ragazzo che in piscina ci va, perché educazione fisica è una lezione obbligatoria, ma si ferma a bordo vasca ogni volta che il professore distoglie lo sguardo. È il ragazzo che, pur conoscendo Ashton Irwin, si tiene a debita distanza dal suo strumento, non avendo alcuna intenzione di morire giovane. È il genere di ragazzo che Calum ama riprendere con il cellulare quando non sta facendo assolutamente niente, perché, dai, fa delle espressione così buffe che tutto il mondo deve vederle. Michael è un ragazzo da videogiochi, pizza e musica; a diciotto anni – non ancora suonati, ma manca poco – non si preoccupa molto di Shae-Lee Anning o di qualunque altra ragazza. Michael Clifford sta solo aspettando che le superiori finiscano, per potersi togliere anche quell'impiccio. Nel frattempo si limita a sopravvivere.

*

Sono le tredici in punto, la campanella è suonata e il resto dei compagni di classe sono già scattati in piedi, pronti per correre in mensa e aggiudicarsi i posti migliori. Michael deve scollare la testa dal pugno chiuso, si sistema i capelli, sbuffa. Chiude il libro di letteratura, si stiracchia, poi sbuffa ancora e lo ficca nella borsa.

Shae-Lee è in piedi al suo fianco, la borsa già in spalla, si sta sistemando la disordinata coda di cavallo biondo cenere e non gli toglie gli occhi di dosso. A Michael piacerebbe tanto sapere perché è ancora lì, ormai in classe sono rimasti solo loro due e Amos Birch, che a mensa nemmeno ci va, per paura di essere preso di mira da un gruppo di bulletti del terzo anno. Gli piacerebbe tanto anche far notare ad Amos Birch che, essendo lui più grande di loro, dovrebbe sapere come difendersi, ma è un tipo che si fa gli affari propri e non si impiccia nelle vite altrui, quindi non glielo dice.

Shae-Lee è ancora lì e lo osserva. Sembra proprio intenzionata ad aspettarlo. Michael sbuffa, afferra lo zaino e si alza in piedi, guadagnandosi un sorriso smagliante da parte della vicina di banco. «Vuoi che ti passi gli appunti di matematica?» domanda.

Lui scrolla le spalle e abbozza un sorriso. Non è che la matematica sia il suo argomento di conversazione preferito, in effetti. Sembra anche stupido parlarne quando è appena finita una lezione di letteratura, ma è chiaro che lei stia già pensando al compito in classe della settimana successiva. «Nah, mi accontenterò della mia solita D+, credo» risponde. Anche se forse tirare un po' su la sua media gli farebbe comodo, se vuole che sua madre gli compri l'amplificatore nuovo per il compleanno. Peccato che lui sia irrimediabilmente pigro.

Shae-Lee ride, mentre si incammina verso la porta. «Be', se hai bisogno, conosco qualcuno che può aiutarti». All'occhiata interrogativa di Michael, lei si spiega meglio: «Mia sorella. È una sorta di genio della matematica e prima dei compiti mi dà sempre una mano; non credo ci sarebbero problemi, se ti unissi a noi per un ripassatina vel-», si blocca a metà parola, arrossendo violentemente.

Michael intuisce il non voluto doppio senso e scoppia a ridere di gusto.

«Ripasso! - si corregge lei in fretta e furia. - Per un ripasso veloce prima del compito!» Nasconde il viso tra le mani, sprofondando nell'imbarazzo, mentre lui ancora se la ride. «Che figura di merda» sussurra tra sé.

«Non preoccuparti» la rassicura Michael, mentre imboccano le scale per scendere alla mensa. «Avevo capito. Mi farebbe piacere, grazie». Poi ci ripensa e ridacchia ancora; «Un ripasso, intendo, non una sveltina». A quel punto, però, se ne rende conto: la figura di merda l'ha fatta lui. «No, cioè, non volevo dire...» si scompiglia i capelli, sgranando leggermente gli occhi. «Non è che tu o tua sorella non siate... carine - almeno credo, nemmeno la conosco, tua sorella...». Arrossisce, quando si rende conto che si sta inoltrando sempre di più nel labirinto delle figuracce.

Quindi, mentre Shae-Lee è già scoppiata a ridere, lui nasconde a sua volta il volto tra le mani; si piega su se stesso, ridendo. Quando trova il coraggio di guardare di nuovo la ragazza, è rosso in volto, ha gli occhi stretti per la risata appena conclusa e un sorrisone sulle labbra; Shae-Lee arrossisce a quella vista, ma Michael non se ne accorge.

«Meglio che me ne stia zitto» conclude.

La ragazza scrolla le spalle e si sistema la borsa a tracolla. «Tranquillo, avevo capito cosa intendevi» lo cita, sorridendogli con aria complice.

Scendono a mensa insieme, quindi, poi lui la saluta con poche parole e un sorriso impacciato ma gentile, mentre lei dondola sui talloni, arrossisce e si congeda con un allegro «Ci vediamo a lezione, allora».

*

Michael si lascia cadere goffamente sulla panca di plastica blu annessa al tavolo, dove un paio di ragazzi sono già seduti e consumano il loro pranzo. Non li guarda, mormora un «Ciao» stanco e si accascia con la testa tra le braccia, gli occhi chiusi.

Qualcuno ride, sa che si tratta di Luke.

«Whei-hey, Mickey! Eri in dolce compagnia o sbaglio?» E questo invece è Calum, il degno compare dell'altro. Calum è il genere di ragazzo che dà aria alla bocca semplicemente perché ne ha voglia. Magari non ha nulla di intelligente da dire, ma lo fa lo stesso. Parla tanto, spesso, fa un sacco di sciocchezze. Forse, se con loro non ci fosse lui, ci si annoierebbe tre volte tanto.

«È la mia vicina di banco a... » Michael ci pensa su, prima di rispondere, sorpreso: «quasi tutte le lezioni». Non si era mai accorto che, in effetti, Shae-Lee è seduta al suo fianco, di fronte o dietro di lui in ogni aula.

Michael non sa perché Shae-Lee si sia affezionata tanto a lui, sempre che di affetto si possa parlare. Inizia ad avere il dubbio che la sua iperattività abbia allontanato tutte le sue eventuali amiche e che si sia ritrovata sola, a ricercare la compagnia del suo vicino di banco pur di non soffrire di solitudine. In realtà basta lanciarle un'occhiata in quel momento, circondata da un gruppetto di ragazze del loro anno, per capire che non è affatto una persona sola. Più che sola è solare, estroversa e iperattiva: ride, parla a manetta, saltella, abbraccia, racconta, chiede, sorride, fa smorfie, saltella, abbraccia di nuovo. Gli è bastato guardarla per una manciata di secondi per sentirsi stanco: dove la trova, tutta quell'energia?

Sgrana gli occhi per manifestare la sua disapprovazione e si decide finalmente a puntare lo sguardo sui propri amici. Avrebbe dovuto accorgersi prima che all'appello manca qualcuno. «Dov'è River?» domanda, infatti.

Luke alza la testa e si volta a guardarlo. Dapprima la sua espressione è sorpresa, poi si fa confusa: «Pensavamo fosse con te, ha detto che...», ma non fa tempo a concludere la frase, ché un vassoio della mensa stracolmo viene lasciato cadere rumorosamente sul tavolo.

«Ops» si scusa la voce bassa di River subito dopo, quando si accorge che il brick del latte al cioccolato e qualche patatina sono caduti sulla superficie plastica sottostante.

«...Che avrebbe preso qualcosa anche per te» finisce a quel punto Luke, trattenendo una risata.

«Che macello – sospira la ragazza. - Hey, Mickey, mi spiace; quelle cadute le mangio io!» si preoccupa, mentre prende posto a sedere accanto a Luke; dopodiché sposta il vassoio in direzione dell'amico, mentre Calum ha già rubato e ingurgitato le patatine cadute.

«Ladro!» lo apostrofa River.

Calum si stringe nelle spalle e sorride con aria furbetta: «Sono solo più veloce di te!»

«Barbone, - si intromette Luke: - Chiamalo barbone!»

«Giusto: sei un barbone!» lo etichetta allora la ragazza, cercando di trattenere una risatina.

Luke Hemmings è il genere di ragazzo che parla poco e quasi solo con i migliori amici. È riservato e timido, forse anche più di Michael, con la differenza che si porta dietro un paio di spalle larghe il doppio delle sue e una bocca che, quando canta, merita di essere ribatezzata da River forno. Si riempie di orgoglio quando lei ride per una sua battuta, sorride un po' più di prima e scuote il capo, divertito.

Michael sorride a sua volta, osservandoli. Afferra la pizza in più e la lattina di Coca-cola che River ha comprato per lui, riflettendo su quanto Luke e River stiano davvero bene insieme. Lui e Calum ne hanno parlando, una volta, e sono giunti alla conclusione che siano una coppia che non sa di esserlo. Sono cresciuti insieme, dalle elementari al liceo hanno frequentato la stessa classe e le stesse lezioni. Quando Luke, Calum e Michael hanno iniziato a registrare cover di canzoni da mettere su Youtube, River c'era. Quando Luke ha iniziato ad andare in piscina, River c'era. Quando River ha adottato un cane di nascosto, Luke era con lei; l'ha aiutata a nasconderlo e ha fatto il palo quando lei andava a portargli da mangiare. Luke c'era anche quando i genitori di River hanno scoperto il cane e l'hanno obbligata a riportarlo indietro; ma non solo: Luke ha persino ottenuto il permesso di tenerlo e ora lo curano insieme.

Quando qualcosa non va, Luke è lì per River. Quando Luke combina qualche danno, River è al suo fianco, pronta per risolvere tutto. Ad ogni movimento dell'una ne corrisponde uno dell'altro; vivono in simbiosi anche se non se ne accorgono. Vederli insieme è un piacere anche per due rozzi cretini come Michael e Calum, che alternano momenti in cui adorano dar loro fastidio ad altri in cui starebbero semplicemente ad osservarli in silenzio per ore.

Questo è uno dei momenti appartenenti alla seconda categoria: lei ride, lo prende in giro, «Non che tu sia molto diverso da lui, Luke!»; l'altro sorride, scrolla il capo, le fa il verso e poi l'abbraccia. «Io sono molto diverso da Cal» la corregge.

«Ovvio che lo sei – puntualizza Calum: - Sei biondo e hai gli occhi azzurri, Lucas».

Michael ridacchia: certe volte il suo amico proprio non riesce a tenere la bocca chiusa e rovina il momento. Perché se per Mickey rimanere in silenzio non è un problema, di certo non si può dire lo stesso di Calum. Ma in fondo va bene così: è quello l'equilibrio che hanno stabilito implicitamente per poter vivere in pace. Non proprio “in armonia”, perché l'armonia prevedere anche un certo grado di tranquillità e, sebbene Michael passi gran parte delle sue giornate a sbuffare ed annoiarsi, non le definirebbe affatto tranquille.

*

L'ultima campanella è suonata già da dieci minuti buoni e Shae-Lee si chiede dove si sia cacciato Michael. Non che abbiano un appuntamento – magari! -, semplicemente lo sta aspettando, di nuovo. La sua amica Debbie ha detto che il suo comportamento è un po' ossessivo, quando lei le ha chiesto di aspettare con lei che lui esca da scuola. Ecco perché quel giorno Shae-Lee non le ha detto che lo sta facendo di nuovo e ha preferito inventare una scusa: ha finto di aver perso un quaderno e sta mettendo sottosopra la cartella in mezzo al piazzale, con tanto di imprecazioni sussurrate. Il fatto che Debbie non ci sia cascata nemmeno per un momento non le impedisce di continuare la sua messinscena – che se ne sia accorta lei non significa necessariamente che se ne accorgerà anche Michael e, in ogni caso, Debbie non l'ha ancora lasciata lì da sola, il che significa che può tirare la corda ancora per un po'.

Poi ecco che Calum Hood esce di corsa dall'istituto scolastico, attraversa il vialetto e si getta tra le braccia di un ragazzo biondo, che scoppia in una risata assurdamente buffa.

«Shae, avanti, andiamo via» sta dicendo la sua amica, quando le porte si aprono di nuovo per lasciare passare Luke Hemmings accompagnato dall'inseraparabile River Loveday, con la sua massa di invidiabili e ondulati capelli rossicci. E, per ultimo, il motivo per cui Shae-Lee conosce i nomi di tutti quei ragazzini del quarto anno: Michael Clifford. Nel momento in cui esce, sta sorridendo tranquillamente, i capelli neri che gli ricadono sulla fronte, subito spostati da un lato alla bell'e meglio da quello che ormai è diventato un tic.

Senza rendersene conto, ora sta sorridendo anche lei. Aspetta che lui le passi accanto, poi mette su un sorriso dei migliori e «Ciao, Mickey!» esclama.

Lui ci mette qualche istante ad accorgersi che è stato salutato; si ferma, si volta nella sua direzione, abbozza un sorriso cortese e le fa ciao con la mano per poi raggiungere gli altri.

Quello che c'è stato tra loro in quegli istanti è assolutamente niente, ma un niente che basta a Shae-Lee per avere un sorriso smagliante stampato in volto mentre riempie di nuovo la cartella e comunica a Debbie, che, ops, forse deve averlo dimenticato a casa, quel quaderno. Ed è mentre si allontanano dalla scuola, con quel gruppo di chiassosi ragazzi a precederli di qualche metro, che Shae-Lee si accorge di quanto Luke Hemmings sembri nervoso quel giorno. Se ne accorge principalmente perché Michael non fa che lanciargli sguardi preoccupati, gli dà pacche sulle spalle a cui il biondo risponde con occhiate confuse.

«Su con la vita, Lukey» sente pronunciare con il tono basso e ruvido di Michael – una voce che muove le farfalle nello stomaco di Shae-Lee.

«Di cosa stai parlando?» borbotta lui, imbronciato come un bambino.

Un sussurro di Debbie, che suona molto come un «Non ti viene voglia di fargli le coccole?» giunge alle orecchie della ragazza, ma lei non ci fa caso. Shae-Lee è un tipo curioso; il suo sguardo è già impegnato a cercare quella che secondo Michael deve essere la causa del malumore di Luke Hemmings. E, be', non ci vuole molto per trovarla: nonostante Calum Hood stia facendo di tutto per attirare l'attenzione della curiosa accoppiata, River Loveday e il ragazzo biondo e riccio – Ashton Qualcosa, le sembra si chiami – camminano abbracciati, lui vomita fiumi di parole, sghignazza, e lei ride, pende dalle sue labbra.

«Ma il biondino bello e la ragazzina non stanno insieme?» domanda Debbie, sorpresa quanto lei. È evidente che abbiano notato entrambe quella bizzarra accoppiata.

Shae-Lee si stringe nelle spalle. «Così credevo anche io» ammette. Ma a quanto pare le cose stanno diversamente. Le piacerebbe proprio sapere come stanno in realtà, ma, be', non può semplicemente andare da Michael e chiederglielo, non sono affari suoi. Senza contare che Michael sembra proprio il tipo di persona che non ama i ficcanaso.

Debbie ride, quando Calum Hood, esasperato dall'essere ignorato da Ashton e River, si scava con la forza uno spazio tra i due e li prende a braccetto, stordendoli poi con le sue chiacchiere.




Eeeed ecco qua i miei ragazzi e le mie ragazze. Che ne dite? Quanto sono inutili da uno a dieci? XD Non so, l'ho detto e lo ripeto: me la sto prendendo molto comoda, con questa storia. 
Okaaaaay, ehm. Dovrei averlo riletto, anche se non oggi. pò0i (<- questa è una dedica da parte della mia gatta idiota, che ogni tanto salta e rimbalza sulla tastiera. Graaaaazie, Nuvola. Okay.) In ogni caso, se trovate errori potete dirmelo e io provvederò a correggerli. ^^ 
Be', uhm, niente. Non cercherò di far leva sui vostri sensi di colpa in nessuno modo, ma naturalmente mi farebbe piacere leggere il vostro parere. :D
Spero che il capitolo possa essere stato... carino? Divertente? Convincente? Insomma, spero che vi sia piaciuto almeno un po'. ^^
Un abbraccio speciale a Flamel_, che domani inizia la scuola e un in bocca al lupo a tutti coloro che dovranno riprendere quest'avventura come lei - e anche coloro che l'hanno già ricominciata in questi giorni. :)


Per qualunque domanda, chiacchiera, curiosità e insulto, mi trovate QUI, QUI e QUI.

Byaaa! :D 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***






2.

 

Luke ha sempre pensato che ci siano mille motivi per cui amare la piscina. A parte il fatto che lui ci passa i suoi pomeriggi, quando non suona coi ragazzi, da diversi anni, lui ama anche le lezioni di educazione fisica che si svolgono in quel luogo.

I professori lo trovano un luogo perfetto: gli spogliatoi femminili e quelli maschili si trovano ai due lati opposti dell'edificio, l'unica via di comunicazione presente è sorvegliata da ben due insegnanti, visto che sistematicamente ci si riuniscono due classi per volta, dividendosi le corsie della piscina olimpionica. Inoltre il nuoto è uno sport completo ed efficace, che a molti persino piace, rendendo più facile fare lezione.

Al di là di quello che pensano gli insegnanti, però, Luke ama le lezioni di educazione fisica in piscina per diversi motivi. Tanto per cominciare, anche se gli spogliatoi sono divisi e sorvegliati, i ragazzi non hanno alcun bisogno di andare a spiare le ragazze: le vedono. Le vedono, fasciate nei loro costumi interi che lasciano poco spazio all'immaginazione, le vedono tuffarsi in acqua e uscirne. Certo, le cuffie di lattice – obbligatorie, a meno che qualcuno non presenti un certificato medico che ne dimostri l'intolleranza e, anche a quel punto, deve essere sostituita da una di stoffa – non danno loro un aspetto molto affascinante, ma quale ragazzo a sedici anni si preoccupa della testa di una ragazza, quando ne ha il fisico seminudo davanti agli occhi?

Un altro lato positivo della faccenda, sicuramente, è le due ore di educazione fisica del quarto anno sono associate con quelle del quinto. Questo, per Luke e Calum, significa Michael.

Vedere Michael in piscina, a detta dei suoi amici, è uno spasso – anche se Luke raramente si ferma ad osservarlo. Da brava ragazzo pigro, infatti, lui approfitta della distrazione del suo insegnante per aggrapparsi al cordone divisorio della corsia e fare una pausa. Poco importa che questo gli causi continui rimproveri e tamponamenti a catena, quando riparte e i compagni più veloci gli vanno a sbattere contro. È divertente anche osservare come cerca di fare meno fatica, aggrappandosi ai suddetti cordoni e trascinandosi, anziché nuotare.

Il fatto è che a Michael la piscina non piace proprio. Okay, è piena di ragazze seminude, ma significa puzza di disinfettante che fa pizzicare il naso, significa entrare in acqua, nuotare, sentire bruciare i polmoni per la fatica a fine vasca; significa sentire il suono assordante del fischietto degli insegnanti rimbombare nell'ambiente chiuso e trapanare i timpani; sentire gli occhi bruciare maledettamente per via del cloro, la pelle pizzicare, vedere la tinta dei capelli sbiadirsi. Significa lavarsi in fretta e furia per evitare di far tardi alla lezione successiva e, per lui, una doccia fatta in fretta e furia è una doccia sprecata. Significa che poi i capelli stanno da schifo, che Calum non smetterà di parlare nemmeno per un istante del sedere di questa o quell'altra tipa, per tutto il pomeriggio. E poi andare in piscina è stancante: dopo esserci stato il sonno insegue Michael come la sua ombra. No, lui odia il nuoto, non c'è niente da fare.

Luke sta nuotando. Mentre nuota, non c'è un solo pensiero che ingombri la sua testa. Ci sono solo lui, le sue braccia che spingono via l'acqua, la sensazione di galleggiare, il fluido che scorre sul suo corpo e lo fa sentire leggero, veloce, vivo. Attraversa la vasca rapidamente, poi si ferma aggrappandosi al bordo. Stringe gli occhi per liberarli dall'acqua; bruciano per via del cloro. Quel giorno ha anche dimenticato gli occhialini a casa, ma poco importa: gli basta poter nuotare. Sta per ripartire, quando si accorge di un movimento poco distante: River si sta avvicinando di soppiatto – più o meno – alla vasca, sorridendo. «Ehilà» lo chiama, china in avanti per potergli essere più vicino.

Anche a River piace che le lezioni di educazione fisica si svolgano spesso in piscina, principalmente perché in questo modo quando ha il ciclo può saltare la lezione. Questa è una di quelle volte. Si porta i capelli rossicci dietro le spalle, ne incastra una ciocca dietro un orecchio, ma un istante dopo questa pende di nuovo sulla testa di Luke, che allunga una mano e la tira con delicatezza, guadagnandosi così un'occhiata indispettita da lei. «E dai, Luke, così me li arricci».

Lui sbuffa una risatina, posa le mani sul bordo della vasca e si tira a sedere sul pavimento, proprio accanto a River. «Mi piacciono di più ricci» commenta, alzando il capo per guardarla con aria furbetta.

River ride e «Potrei dire lo stesso di te» replica pungente.

Luke aggrotta le sopracciglia, confuso. «E questo cosa significa?»

«Sembri un deficiente con i capelli piastrati. Sembrate tutti e quattro dei deficienti, con i capelli piastrati» rettifica con una scrollata di spalle. E, prima che Luke possa rispondere, il primo di una serie di fischi assordanti rimbomba tra le pareti della stanza.

Michael si è appena fermato, aggrappato al cordone della corsia, quando quel suono gli trapana i timpani. I ragazzi lo vedono fare una smorfia e ficcare la testa sott'acqua per riposare le orecchie; addirittura riparte, pur di non sentire quel baccano.

«HEMMINGS!» tuona la voce potente del professor Toomey. Luke si è già rituffato, trattenendo una risata, ma l'uomo continua a strillare: «Qualcuno ti ha dato il permesso di fare una pausa? Non ti stai allenando per allargare le spalle: vuoi o non vuoi essere preso per le regionali?»

Nel frattempo è arrivato Calum, in fondo alla vasca; si aggrappa al bordo, fa l'occhiolino a River, che sta ridendo, e commenta: «Non che quelle spalle possano diventare più larghe di così. Porca miseria, è un armadio!»

«HOOD!»

Calum si tiene con una sola mano, per sporgersi e sorridere all'insegnante, impertinente: «Sì, signore: nuoto per allargare le spalle!» esclama, per poi darsi la spinta e tornare a nuotare, prima che il signor Toomey ricominci a soffiare dentro quel maledetto fischietto.

«Loveday, torna alla panca, prima che qualcun altro si fermi a fare quattro chiacchiere».

«Sì, professore». River obbedisce, tornando ad osservare i ragazzi che nuotano da lontano.

Le due ore di educazione fisica, quando ci si sposta in piscina, vengono ridotte ad un'ora e mezza di attività fisica. Cinque minuti vengono forniti agli studenti per cambiarsi e presentarsi a bordo vasca per l'appello, a inizio lezione. Mezz'ora prima del suono della campana, poi, le ragazze vengono rispedite negli spogliatoi perché si sa che a loro un quarto d'ora non basta, anche se le docce sono abbastanza per tutte; i ragazzi rimangono in vasca ancora quindici minuti, poi viene permesso loro di andare a lavarsi.

La piscina è divisa in sei corsie: due riservate alle ragazze e due per i ragazzi, divisi per classe; le rimanenti sono le cosiddette “corsie veloci”, anche se gli studenti del quarto anno le chiamano “la corsia di Luke” e “quella di Andrea Wilson”. Lì si allenano quelle persone che, il nuoto, lo prendono seriamente. E poi c'è Luke, che di fatti non la prende con troppa serietà, semplicemente gli piace nuotare ed è bravo a farlo. Il fatto che il professor Toomey voglia farlo partecipare alle gare regionali, River lo sa, lo lusinga. Luke non è un ragazzo molto sicuro di sé – non è particolarmente insicuro, ma di solito ha bisogno di conferme, prima di buttarsi e fare qualcosa. A volte si vede costretta ad ammettere che, se non ci fosse lei con loro, Luke e Calum insieme farebbero un sacco di sciocchezze. Un po' perché sono entrambe teste calde, un po' perché Luke si lascia sempre convincere un po' troppo facilmente da Cal. Considerato che Michael e Ashton non proprio quello che si definisce responsabile, se non ci fosse River a tenerli a freno, quei due sarebbero sempre nei guai fino al collo.

Allo stesso modo, se lei non avesse dimostrato tanto entusiasmo, forse Luke avrebbe rifiutato l'offerta del professor Toomey e avrebbe buttato via le proprie capacità. E sarebbe stato un peccato, indubbiamente. Poche volte lo ha visto così preso da qualcosa in tutti quegli anni di vita condivisi; quando Luke può tuffarsi in acqua e nuotare cambia completamente: è allegro, impaziente, perde tutta la pacatezza che di solito lo contraddistingue di fronte agli estranei. Non che diventi loquace ed estroverso, ma è più... disinibito. Non incurva le spalle, non tiene la testa bassa, ride apertamente quando qualcuno fa una battuta; smette di nascondersi. E a River fa piacere vederlo così: la felicità del suo migliore amico la contagia, lo ha sempre fatto.

Sorride, tornando a guardare i ragazzi nuotare. Ancora quaranta minuti e potrà riposare le orecchie dalle grida del professor Toomey.

*

Si sentono le grida del professor Toomey nel corridoio d'accesso all'ala della piscina. La professoressa Phelps, l'insegnante del quarto anno, fa una smorfia buffa e alza gli occhi al cielo: nemmeno lei sopporta più le grida di suo marito. Perché, sì, quella povera donna è costretta a sopportare Ralph Tommey persino a casa, come tutti a scuola sanno.

River abbassa la testa e cerca di trattenere un sorriso per non sembrare invadente, liberandolo poi quando la professoressa si avvia verso gli spogliatoi femminili per intimare alle ragazze di darsi una mossa.

«Ehi!» La famigliare voce di Luke le fa alzare lo sguardo, il suo sorriso si allarga e ne crea di riflesso uno simile sul volto del ragazzo.

«Già fatto?» Lo accoglie battendo una mano per terra affinché si sieda accanto a lei sul pavimento, occasione che lui accoglie al volo, lasciando cadere il borsone al proprio fianco.

«Come sempre» commenta, divertito.

Luke Hemmings è sempre il primo ad uscire dagli spogliatoi maschili. Fa una doccia rapida, si veste in fretta e furia, corre fuori con i capelli ancora bagnati ed un asciugamano attorno alle spalle. Michael sostiene che sia assurdo, Calum replica che è solo scemo, mentre River sa che Luke impiega così poco tempo semplicemente perché lui, al contrario degli altri, non ha bisogno di rilassarsi sotto il getto caldo – che diventa freddo nel giro di pochi minuti – dell'acqua: si è già rilassato in vasca. Non ha nervi da sciogliere, solo cloro da sciacquare via.

«Hai visto quella ragazza dell'ultimo anno che muore dietro a Michael?» domandò ad un tratto River, ricordandosi di un pensiero avuto durante quelle due noiose ore di nullafacenza.

Luke scrolla le spalle e: «Chi, la bruna?» domanda.

«Bruna?» River aggrotta le sopracciglia fini, scrollando il capo: «È abbastanza bionda, Luke», sghignazza. «La ragazza con la cuffia rossa che è sempre prima nella corsia delle ragazze del quinto anno. Credo si chiami Shailene, o qualcosa del genere».

Luke ha bisogno di fare mente locale, prima di ricordarsi di lei: «Ah, sì. Shae-Lee Anning. Il professor Toomey non fa che gridare a sua moglie di spostarla nella corsia veloce, ai corsi pomeridiani». Annuisce e si sente in dovere di ammettere che «È brava».

River si stringe nelle spalle. Shae-Lee è sempre la prima della sua corsia, non fatica a precedere tutte le altre; spesso la vede gareggiare con Luke, che nuota nella corsia accanto, ma non è abbastanza veloce. Per lo meno, però, ha più resistenza: sfoggia sempre un sorrisetto soddisfatto quando lui si ferma a riprendere fiato in fondo alla vasca e lei, invece, riesce a nuotare ancora per un po' senza fermarsi. Sa che Luke se ne è accorto, ecco perché sa il suo nome: non gli importerebbe di lei, se solo non fosse un tantino competitivo.

«Sì, ma è anche dolcissima. Non gli toglie gli occhi di dosso un momento, non fa che sorridere quando lui fa... be', qualunque cosa». Ride di nuovo e Luke la imita, senza sapere bene il perché.

«Ieri l'ha accompagnato in mensa» le dice.

River sorride tra sé. La trova una cosa immensamente tenera. Si vede da lontano un miglio che Shae-Lee è una ragazza dolce; si nota dai suoi sguardi rivolti a Michael, dai sorrisi alle sue amiche, dalla sua risata e dal modo in cui cede sempre il passo agli altri, quando si trova davanti ad una porta. O magari è solo una sua sensazione e non si capisce affatto, magari è una persona pessima. Ma sembra davvero, davvero dolce.

«Davvero?»

«Sì. Mickey ha detto che ha aspettato in classe che si alzasse e sono usciti per ultimi, poi sono scesi a mensa insieme. Credo proprio che non si sia accorto di piacerle».

«Lo credo anche io». River ride. «Voi maschi siete proprio assurdi!»

«Chi è assurdo, piccioncini?» Ad interrompere la loro conversazione è Calum, Lancia il proprio borsone sul pavimento come fosse una boccia da curling e questo va a schiantarsi contro River, che protesta tra le risate.

«Sta' un po' attento!» lo rimprovera Luke, un sorrisetto sulle labbra. «E smettila di chiamarci piccioncini» aggiunge.

Calum sghignazza e si appoggia al muro proprio di fronte a lui. Ha i capelli neri spettinati ed elettrizzati per via della rapida ascuigatura col phon. Ci passa una mano in mezzo e fa una smorfia, cercando di dar loro una forma decente. «Scusate, piccioncini» risponde.

Luke alza gli occhi al cielo, contemporaneamente a River. È lei a dare risposta alla domanda precedente: «Michael. Davvero non si è accorto che quella ragazza in classe con lui ha una cotta per lui?»

«Credo che presto inizierà a venirgli il dubbio, ma... no, non ne ha idea» conferma il ragazzo, alzando gli occhi a mandorla al soffitto. Poi fa una smorfia, che a River fa venir voglia di alzarsi e strizzargli le guance. Si trattiene, però, chiedendosi per quale motivo si comporti con i ragazzi come se fosse loro madre. È normale? Teme proprio di no.

«Voi maschi siete proprio...»

«Oh, sta' zitta!» la interrompe Calum, ridendo. «Voi ragazze non siete da meno, fidati» aggiunge, con l'aria di chi la sa lunga. Poi tira fuori il telefono dalla tasca, controlla i messaggi, sbuffa contrariato.

«Chi è?» domanda Luke con un sorriso sornione.

Lui storce il naso, mentre digita la risposta. «Ashton».

River cerca di nascondere un sorriso affondando il viso nel collo del maglione della divisa, sentendo quel nome, ma Luke lo nota comunque. Distoglie lo sguardo, chiedendosi perché, tra tutti, River ha dovuto prendersi una cotta proprio per un suo amico e rendere tutto così difficile. La scuola è piena di ragazzi, qualcuno persino le fa il filo e lei... lei pende dalle labbra di Ashton Irwin, lo stesso Ashton Irwin che, se proprio deve considerarla in qualche modo, la considera una seconda sorella minore.

«Chi speravi fosse?» chiede la ragazza, in tono divertito. Conosce già la risposta.

«Una ragazza!» abbaia infatti Calum, spalancando le braccia. Con quel gesto per poco non dà una manata ad un ragazzo dell'ultimo anno appena uscito dallo spogliatoio, che si premura di fulminare il neozelandese con lo sguardo. «Fa' attenzione!»

Calum si zittisce, aspetta che il tizio gli abbia voltato le spalle e poi gli fa una smorfia. River e Luke soffocano una risata. «Una ragazza!» riprende poi il suo discorso. «Perché voi siete circondati da ragazze e io, che sono oggettivamente il più figo tra voi, sono solo come un cane?»

«Io non sono circondato da ragazze» lo corregge Luke, inarcando le sopracciglia.

Calum sbuffa. «Certo, come dici tu, piccioncino».

«Cal, ma cosa dici?»

«Dico che vi odio!» sbotta il ragazzo in tono melodrammatico. «Sono una calamita per pollastre, ma tutte alla fine virano verso di voi!»

«Pollastre» ripete Luke, incredulo; guarda River e poi scoppia a ridere di gusto, nascondendo il volto tra le mani, la testa abbandonata all'indietro contro il muro.

Lei deve soffocare una risata, per riuscire a suggerire: «Prova ad invertire la polarità, ci hai mai pensato?»

Calum si fa serio e la fissa con severità. «Quindi devo passare dal non rimorchiare a rimorchiare maschi?» le domanda.

«Magari hai più successo» rincara lei, stringendosi nelle spalle.

E a questo punto Calum ha proprio l'aria di uno che sta per fare una strage – ma non di cuori –, motivo per cui River non riesce più a trattenere le risa e si accascia addosso a Luke, scossa da tremiti ilari.

«Vi odio» comunica loro allora Calum. Poi fa dietrofront, rientra nello spogliatoio e lo sentono gridare: «MICKEY! DATTI UNA MOSSA!». Questo inevitabilmente provoca un “vaffanculo” proveniente da una doccia, altri strilli del professor Toomey e altre risate da parte di Luke e River.

*

Michael si sistema lo zaino sulle spalle, mentre si guarda intorno e prende coraggio. È fermo davanti al cancello solo da pochi secondi, ma già si sente stupido. Si riordina alla bell'e meglio i capelli neri, ormai sbiaditi per via del cloro. Pensa che sarebbe il caso di tornare a tingerli, un giorno di questi. Ora però ha qualcosa di più urgente a cui pensare: sua madre ha sentito, quando raccontava ai ragazzi della proposta di ripetizioni di matematica da parte di Shae-Lee, e lo ha spedito di corsa ad accettare.

Ora Michael è davanti al cancelletto di legno bianco, probabilmente ridipinto da poco, ha lo zaino in spalla, un'espressione imbarazzata e tra le mani una scatola contenente una crostata di kiwi appena sfornata – come ha proprio dovuto specificare sua madre nel bigliettino di ringraziamento che ha riposto all'interno del contenitore.

Casa Anning è enorme, bellissima; ha proprio l'aria di essere abitata da persone schifosamente ricche. Michael si sente piccolo, sporco e fuori luogo, nonostante non sia poi così piccolo e abbia fatto una doccia prima di uscire – oltre a quella della mattina. È insignificante, di fronte a quella villetta, che sembra provenire dritta dritta da un film.

Sbuffa, raccimola il coraggio e pensa che prima entrerà e prima tornerà a casa. Quindi preme il pulsante e ascolta il suono del campanello risuonare all'interno della villa.

Bastano pochi istanti perché Shael-Lee, i capelli raccolti in una treccia lenta, spalanchi la porta. Lo saluta con un sorriso a trentadue denti, ricambiato da Michael con uno stiracchiato, e corre attraverso il giardino. «Ciao!» trilla con entusiasmo. «Sono proprio contenta che tu sia venuto!» confessa, mentre apre il cancello e gli si para davanti. Per un attimo sembra voglia gettargli le braccia al collo, ma poi si ferma. Ridacchia, in imbarazzo e si fa da parte: «Avanti, entra».

Michael si schiarisce la voce, cerca di sorridere, ma si sente in imbarazzo. Stava davvero per abbracciarlo o è stata una sua impressione? Ora non importa, comunque. «Grazie a te. E, ehm, qui c'è una crostata di kiwi. Ho provato a spiegare a mia madre che è assurdo presentarsi a casa di qualcuno con una crostata di kiwi, ma...» fa una smorfia e lascia la frase in sospeso.

Shae-Lee sgrana gli occhi, e «Wow!» trilla, davvero grata. «Okay, ammetto di non averne mai mangiata una, ma scommetto che è buona. Ecco, dalla a me» propone. Gli prende il contenitore dalle mani e «Grazie, non ce n'era bisogno. Ringrazia tua madre» aggiunge con un sorriso dolce, mentre gli fa strada attraverso il giardino fin dentro casa.

L'interno è molto meno appariscente di quanto Michael avrebbe pensato. Pavimenti di legno, mobili chiari, fotografie alle pareti, cianfrusaglie con le mensole; il tutto non è molto diverso da casa sua.

Shae-Lee entra in cucina e lui la segue; prende tre piatti, un coltello e tre forchette, poi le impila sul contenitore della crostata e si riavvia, reggendo il tutto tra le braccia. Trotterella lungo un corridoio, sale le scale saltellando e Michael è davvero tentato di chiederle se non sia meglio che li porti lui, i piatti, ma per qualche motivo non lo fa. Se ne pente quando, inevitabilmente, all'ultimo gradino la ragazza inciampa e rovina sul pavimento di legno battendo le ginocchia. «Oh cavolo» si lamenta lei, mentre le forchette rimbalzano sul pavimento. Lui ha il dubbio che sia più preoccupata per le posate che non per le proprie gambe.

Michael la guarda, impiega un paio di secondi per capire cos'è successo e poi si china su di lei, cercando di evitare che lo zaino le colpisca la testa. «Ehi! Tutto bene?»

«Sì, sì, tutto okay» risponde, imbarazzata. Ridacchia, mentre appoggia sul pavimento torta e piatti per poi rialzarsi.

Michael le porge una mano e l'aiuta a tirarsi su, la guarda con preoccupazione.

Shae-Lee arrossisce vistosamente sotto il suo sguardo, sente le farfalle nello stomaco, le spunta spontaneo un sorrisetto felice. Si sente stupida, ma allo stesso tempo non può fare a meno di essere al settimo cielo, nonostante senta – attutito – dolore alle ginocchia: Michael si sta preoccupando per lei ed è più di quanto si aspettasse. È sempre così distaccato che era convinta non gli importasse nulla.

Ci mette un po' per riscuotersi, nel frettempo Michael si è sistemato i capelli e anche lo zaino sulle spalle. «Io...» Shae-Lee abbassa lo sguardo, sorride e poi dice: «Vado a prendere delle forchette pulite. Mia sorella è là» indica la porta socchiusa in fondo al corridoio. «Torno subito».

Michael sgrana gli occhi. Non vuole rimanere da solo con una sconosciuta, specie se si tratta di una ragazza più grande che non ha mai visto in tutta la sua vita. Ferma Shae-Lee mettendole una mano sulla spalla, mentre cerca di correre di sotto: «Non importa per le forchette, vanno bene».

Lei si acciglia, poi scoppia a ridere. «No» dice, arrossendo ancora un po'. «No che non vanno bene. Porta queste cose di là, mia sorella ti dirà dove appoggiarle». Prima che lui possa protestare di nuovo, Shae-Lee gli ha già lasciato in mano tortiera e piatti e sta correndo al piano di sotto.

Michael la guarda scendere, trattiene il fiato quando la vede inciampare di nuovo sull'ultimo scalino, la ascolta ridacchiare e abbozza un sorrisetto divertito. Shae-Lee è una ragazza bizzarra e non ci piove. Quando infine si ritrova solo, non sa bene cosa fare; è tentato di aspettare lì il suo ritorno, poi però la porta della stanza indicatagli da Shae-Lee si apre.

È la voce a precedere la ragazza con gli occhiali e corti capelli castani: «Shae, ti è sei di nuovo ammazzata per scale?» sta chiedendo, quando poi nota Michael e corruga la fronte. «Ciao. Tu sei il ragazzo delle ripetizioni, immagino».

Lui annuisce e si schiarisce la gola. «Sì. Michael» si presenta. Fa per porgerle una mano, poi si accorge di non riuscire a far stare tutte le cose che sta reggendo su una sola mano, quindi abbozza un sorrisetto di scuse.

La ragazza borbotta qualcosa che Michael non riesce ad afferrare a proposito della sorella, poi si avvicina sorridendo e gli toglie i piatti dalle mani. «Io sono Kerrie, la secchiona di famiglia» gli annuncia, ridacchiando. «Vieni di là, su».

*

Quasi tre ore e tre quarti di crostata di kiwi dopo, Karrie chiude il libro di matematica e alza gli occhiali sulla testa. «Non ne posso più, basta, vi prego» implora, lasciandosi cadere contro lo schienale della sedia.

Michael ridacchia; non potrebbe essere più sollevato di così all'idea di smettere di studiare matematica.

Shae-Lee lancia un'occhiata al ragazzo, poi si rivolge alla sorella, ricacciando indietro una risatina che le incrina la voce: «Noi non vedevamo l'ora, ad essere onesti». E, sì, lui pensava esattamente la stessa cosa.

Kerrie alza gli occhi al cielo ed estrae dalla custodia degli occhiali la salvietta per pulirli. È mentre strofina le lenti che scuote il capo con aria grave. «Voi ragazzi d'oggi non capite il fascino della matematica. Che razza di hobby avete?»

Shae-Lee incrocia le braccia e piega la testa da un lato, con aria battagliera. «Fascino della matematica» ripete con sdegno e incredulità. «Sei sicura che siamo noi ragazzi d'oggi ad avere hobby strani?» domanda, mimando le virgolette mentre pronuncia l'appellativo dato loro dalla sorella.

«Sicurissima. Ai miei tempi, la matematica era amata da...» si blocca a metà frase.

«Nessuno!» completa Michael, che già sta ridendo.

Kerrie è costretta ad ammettere con un sorriso che «Sì, non hai tutti i torti». Poi, prima che lei possa dire qualunque altra cosa, un telefono inizia a squillare – squillare davvero: la suoneria è il classico 'drin-drin', niente canzoni, niente Marimba. A Michael viene da sorridere, senza un motivo preciso.

La ragazza si alza, si scusa e risponde, affacciandosi alla finestra per non dar fastidio e poter allo stesso tempo parlare in pace.

Shae-Lee osserva Michael versarsi un bicchiere d'acqua e bere, dandosi della stupida quando lui la sorprende a fissarlo; arrossiscono entrambi, distolgono lo sguardo e sorridono. Pensa che, se solo fossero in un film, la cosa sarebbe tremendamente tenera, mentre nella realtà è solo imbarazzante e patetica. A volte le piacerebbe che la vita fosse un film, uno di quelli belli, però, che le fanno piangere tutte le sue lacrime quando li guarda con Debbie, uno di quelli che riescono a commuovere persino lei, anche se non si abbasserebbe mai a singhiozzare.

Bastano un paio di minuti di imbarazzato silenzio, durante i quali Shae-Lee finisce un pezzo di torta e Michael sfoglia con disinteresse il libro di matematica, quasi digustato, perché Kerrie torni tra loro. Sbuffa, poggia il telefono sul tavolo e si lascia cadere sulla sedia di poco prima. «Potrei iniziare ad odiare Kyle, sai Shae?» sbuffa. Le sue mani corrono alle tempie per massaggiarle.

«Che succede?» domanda l'altra.

Michael per un attimo si chiede se sia il caso di preoccuparsi, ma l'aria annoiata di Shae-Lee gli fa cambiare idea. Continua a far balzare lo sguardo tra l'una e l'altra, mentre parlano, vagamente incuriosito dalla situazione.

«Pare che che quei cretini dei “Rewind” si siano sciolti».

Shae-Lee sgrana gli occhi. «Un'altra volta?»

«Evidentemente non si erano riallacciati abbastanza bene». Kerrie ridacchia per il gioco di parole, mentre la sorella nasconde il divertimento dietro uno sbuffo. «È la terza volta negli ultimi due mesi che succede» spiega poi la maggiore a Michael, per evitare che si senta tagliato fuori dalla conversazione. «Sono la band che dovrebbe garantire intrattenimento al Denim Pub, ma sembra che quegli idioti non riescano a non litigare come bambini per ogni sciocchezza».

«E ora?»

«E ora Kyle mi telefonerà ogni venti minuti per ricordarmi quanto sia disperato. Come se potessi trovargliela io, una band alternativa! Qualcuno sa spiegarmi perché ho un ragazzo così frignone?»

Michael ride, ma si zittisce quando Shae-Lee si volta di scatto verso di lui, con un'aria così entusiasta che lui non può che spaventarsi. «Che c'è?» gli viene automatico domandare, ma lei sta già parlando con sua sorella.

«Forse ce l'hai, una band alternativa per Kyle!»

Kerrie sembra davvero interessata a quell'osservazione, oltre che naturalmente sorpresa. «Ah, sì? Ce l'ho?»

«Sì! Mickey, tu e i tuoi amici non avete una band?» È così entusiasta dell'idea che ha avuto che quasi non si rende conto di averlo appena chiamato con un nomignolo, nemmeno fossero amici da sempre.

Lui si sistema i capelli, a disagio. «Noi... be', sì. Sì». Il discorso sta prendendo una piega strana: gli stanno davvero proponendo di far esisbire la band in un locale? Nella sua testa sente già Ashton e Calum gridare: “Sì, Michael! Cazzo sì, accetta!”.

Kerrie a questo punto si illumina; dalla sedia si sporge sul tavolo verso di lui, gli occhi sgranati per la speranza dietro gli occhiali dalla montatura leggera. «Davvero? Che genere di musica fate?»

«Pop, rock. Soprattutto cover, per il momento» risponde. È un po' incerto, questo è evidente, ma Kerrie non si scoraggia.

«Tu...» sospira, poi scuote il tavolo. «Se ti do il mio numero, ti va di parlarne con gli altri e poi farmelo sapere? Come vi chiamate? Intanto accenno qualcosa al frignone».

Michael è spaesato. Si guarda attorno, vede Shae-Lee in preda al più folle entusiasmo, e torna a guardare la sorella, che non potrebbe sembrare più speranzosa di così. Sa che si tratta di una grande opportunità, ma sta accadendo tutto troppo in fretta ed è tutto nelle sue mani. Non la vuole questa responsabilità, ma non vorrebbe nemmeno mai tarpare le ali ai ragazzi. «Noi... non ce l'abbiamo, un nome. Ci stiamo ancora lavorando».

«Non importa, lo troverete. Evitate “Rewind”, perché è evidente che porti sfiga. Ma mi assicuri che siete bravi? Mi fido di te».

«Noi... be', ce la caviamo abbastanza bene».

«Mi stai salvando dalle continue lagne del mio ragazzo, come posso ringraziarti?»

Michael ride. «Mi sa che sono io a doverti ringraziare».

*

Appena torna a casa, Michael prende il cordless domestico e telefona a casa di Ashton. È il suo fratellino Harry a rispondere e, mentre lui gli fa la telecronaca di quello che stanno facendo i protagonisti del cartone animato che sta guardando, in attesa che Ashton alzi il sedere dal letto e scenda le scale per andare a rispondere, lui pensa che quel pomeriggio non è stato affatto male. Matematica a parte, Kerrie e Shae-Lee gli sono simpatiche. Si è addirittura divertito, nonostante, specialmente all'inizio, si sentisse un po' in imbarazzo. La sua compagna di classe è un vulcano di energia, sembra non riuscire proprio a stare ferma o zitta o concentrata sull'esercizio che sta svolgendo. È buffa e divertente, di ottima compagnia; un po' come Ashton – che non si muove a rispondere al telefono –, solo meno esibizionista e più... femmina.

«Heilà!» La voce di Ashton nella cornetta quasi lo fa sobbalzare, si era abituato alla vocetta monotona e allegra di Harry come sottofondo per i propri pensieri.

«Ash, conosci il Denim Pub?»

«Mai sentito nominare».

Michael ride. «Perfetto, nemmeno io».

«Perché? Cos'è?»

«Un pub. Pare che serva loro musica dal vivo e la sorella di una mia compagna vorrebbe sapere se siamo disponibili».

«Mickey, sì! Cazzo sì! Hai accettato, vero?»

Esattamente la reazione che Michael si aspettava. Sorride. Ora non ha più dubbi riguardo alla grandiosità della faccenda. Il bello di Ashton, pensa, è che il suo entusiasmo è contagioso almeno quanto la sua risata ed entrambe garantiscono al cento per cento il buon umore del resto della band. È incredibile, quasi: forse potranno passare da suonare nel garage degli Irwin ad avere un vero pubblico. Un pubblico di persone e non di attrezzi arrugginiti, barattoli di olio e vernice e la vecchia bicicletta di Ashton. Cazzo sì.




Buon salve! :D
Scusate il ritardo, ma ultimamente sono in fase di cambiamento, ho un umore che altalena tra il -20 e lo 0.3 in una scala da uno a dieci e non sono riuscita a scrivere proprio per niente. In compenso questa sera sono un po' più tranquilla e ho pensato di postare questo capitolo, già pronto da un po'. Chiedo scusa perché non l'ho riletto - non tutto, almeno - e se dovessero esserci problemi, ditemelo e cercherò di correggere.
Se è esageratamente lungo - non so, esattamente, quante pagine "normali" siano, ma con il formato del mio OpenOffice sono troppe XD- la colpa è del fatto che nella prima metà sembra non succedere assolutamente nulla. Tante parole e poco contenuto. Ew. Non starò a lamentarmi, perché già vi avevo avvisato che l'avrei scritta un po' alla buona solo per rilassarmi. XD
Spero che comunque a qualcuno sia piaciuto. :) Ammetto che tutta la prima parte sulla piscina - che è anche la parte più inutile - è la mia preferita. :3
Bene, me la squaglio. Grazie di essere arrivate fin qui! :D
Per qualunque domanda, chiacchiera, curiosità e insulto, mi trovate QUIQUI e QUI
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***




3.

La città, di notte, è così illuminata che quasi non si nota, che è buio. I lampioni ogni dieci metri, le insegne luminose dei negozi, dei dei locali, i fanali delle auto, dei motori e delle biciclette. Anche di sera c'è un allegro via vai a caratterizzare le sue strade. Lo stesso via vai che di giorno è frenetico, ma durante le sere del weekend assume tutto un altro sapore: birra, cocktail, musica, pub; film, bibite, pop corn, pizza, patatine e cibo spazzatura di ogni genere.

Di solito la combinazione perfetta di profumi per un venerdì sera di River è composta da odore di casa, di Luke, di cane bagnato, di bagnoschiuma, il leggero sentore di bruciato emanato dal vecchio asciugacapelli che gli Hemmings permettono loro di usare per lavare il cane, e cioccolata calda preparata dalla madre di Luke, concessa loro solo dopo aver finito – e ripulito tutto il macello combinato da Towner. Ma non questa sera.

Stanno camminando lungo un marciapiede diretti al Denim Pub, per incontrare il proprietario e vedere di che genere di locale si tratta. Le sorelle Anning sono già lì, li stanno aspettando.

River era con Luke, quando Michael gli ha telefonato per chiedergli il suo parere sulla proposta fatta loro da Kerrie Anning, la sorella maggiore della sua compagna di classe. In un primo momento Luke è stato più interessato al fatto che Michael sia stato a casa di Shae-Lee, poi ha capito cosa gli stava chiedendo e il suo sguardo si è acceso di entusiasmo. Quando ha riattaccato, si è girato verso River: «Forse andiamo a suonare in un locale» ha detto. Lei è saltata in piedi e gli ha gettato le braccia al collo, entusiasta, e solo in quel momento Luke ha realizzato che cosa significa. Significa che forse la band senza nome a cui dedica gran parte del suo tempo e dei suoi sforzi potrebbe avere una speranza.

Ashton è in preda ad una logorrea entusiastica delle peggiori, di quelle che farebbero venire voglia di schiaffeggiarlo persino a Luke, e probabilmente qualcuno glielo farebbe notare, se non fossero tutti così elettrizzati. È una grande opportunità quella che è stata offerta loro, ne sono consapevoli.

Ashton, in quanto più grande del gruppo, si è eletto suo portavoce. Certo, Michael sarà sempre al suo fianco, perché è lui che ha trovato l'aggancio, ma è Ashton quello che di certe cosa ne capisce. In realtà non è vero, che ne capisce, ma ha cercato di informarsi e si è fatto un'idea di come le cose dovrebbero essere. Sa già, tanto per cominciare, che, essendo tre su quattro di loro ancora minorenni, non li pagheranno. O, se lo faranno, li pagheranno una sciocchezza. L'amico di suo padre con cui ha parlato ha detto che dovranno ritenersi fortunati se offriranno loro una consumazione gratis come ricompensa. Però ai ragazzi non importa, davvero, perché, insomma, hanno la possibilità di suonare in pubblico! Se anche non verranno pagati, cosa cambia? Strimpellando nel garage di casa Irwin non solo non guadagnavano, ma non avevano nemmeno un pubblico. Ed esibirsi in pubblico era già una ricompensa abbastanza preziosa per tutti loro.

River tiene Luke a braccetto e, mentre camminano, osservano Calum e Michael che cercano di frenare, senza reale volontà di farlo, la logorrea di Ashton. Ascoltano solo poche di tutte le parole che lui sta sbrodolando, ridono molto, sono semplicemente entusiasti.

«Si prospetta una grande serata!» annuncia Calum, non appena entrano nel pub. Ad accoglierli è la musica ad alto volume proveniente dalle casse, collegate ad una radio, perché, ovviamente, la band ha dato buca ai proprietari.

Il locale non è enorme, non è strapieno, ma c'è un po' di gente. Gente giovane, ragazzi tra i sedici e i venticinque anni, forse. È un posto tranquillo, non molto in voga, ma, ehi, è pur sempre un'opportunità.

La prima cosa su cui Calum mette gli occhi, una volta dentro, è il palco scenico. È piuttosto piccolo, ma a loro basta, se ci sta la batteria di Ashton. E, ad occhio e croce, ci sta. Quella sera la stanno usando come pista da ballo un paio di ragazze, che si spingono, saltellano e ridono tra loro. A giudicare dalle occhiate che continuano a lanciare verso il bancone del bar, forse non sono autorizzate a stare lì. A Calum non importa, comunque, quello che gli interessa è che una delle due ragazze, la bruna, è davvero niente male. Oltre tutto gli sembra di averla già vista da qualche parte – che frequenti la loro scuola? In ogni caso, la sua presenza non fa che aumentare il suo buon presentimento per quanto riguarda la serata.

Michael si guarda attorno, mentre avanzano tra i tavoli per trovarne uno libero che sia abbastanza grande per ospitarli tutti e cinque. Di Kerrie non c'è traccia, motivo per cui decide che le sorelle Anning non devono essere ancora arrivate. Segue Ashton attraverso la sala, fino a raggiungere un tavolo, dove si lascia cadere per primo sull'imbottitura rossa della panca.

«Questi tavoli sono uguali a quelli del McDonald» osserva Luke, sedendosi, senza sapere nemmeno perché lo abbia detto; River ride.

Michael pensa di essere disposto a metterne uno persino in camera sua, al posto della scrivania, pur di poter suonare davanti ad un pubblico. Anche se quel posto non è un granché, anche se la gente seduta lì dentro non è particolarmente interessante, si tratta pur sempre persone vere e lui, di barattoli di vernice e vecchie biciclette, ne ha abbastanza.

«Che poi sono simili a quelli della mensa scolastica» osserva l'unica ragazza della compagnia, causando le solite eccessive risate da parte di Ashton.

Calum le punta l'indice contro, sconcertato, come se avesse appena udito la soluzione ad un enigma irrisolvibile: «La nostra scuola è un McDonald!» esclama poi, cercando l'approvazione negli sguardi degli altri. Ashton sta già ridendo, di nuovo, quando River e Luke si uniscono al coro. Anche Michael non riesce a trattenersi e sghignazza, ma il suo sguardo è fisso sulla porta, alla ricerca delle sorelle Anning.

«Quindi, Mickey, dov'è questa Kerrie?» domanda Ashton, come leggendogli nella mente.

Lui estrae il telefono dalla tasca, lo controlla: non ci sono messaggi. «Non lo so» risponde, quindi. «Forse non sono ancora arrivate».

Il tono di Ashton è strascicato e lamentoso, leggermente acuto, mentre protesta: «Ma sono le nove e quaranta, noi siamo in ritardo di almeno venti minuti!»

Calum sogghigna. «Be', devi ammettere che fissare un appuntamento per le nove e un quarto è assurdo» commenta con la voce incrinata dal divertimento.

Luke corruga la fronte e lo guarda scettico. «No, Cal, è un orario normalissimo» gli fa notare.

L'amico sembra scandalizzato a quell'obiezione: «Oh, andiamo! Nove e un quarto? Un quarto? E perché non alle nove e ventisette

L'altro ci pensa su un attimo, poi dà il suo responso: «Tu sei tutto scemo».

Calum sta già rispondendo qualcosa, ma l'attenzione di Luke si sposta inconsciamente su River, non appena questa alza una mano per salutare qualcuno dall'altro lato della sala.

«Mickey, c'è Shae-Lee» avvisa; allora Michael si volta e, finalmente, la vede.

Quello che non sa è che negli ultimi due minuti ha lasciato scorrere lo sguardo su di lei ben tre volte senza riconoscerla. E dire che lei gli stava sorridendo.

Arrossisce, quando la ragazza si ferma in piedi accanto al loro tavolo, raggiante come sempre, trascinando con sé una sua amica – la stessa che si sorbiva le sue chiacchiere a mensa, la stessa che era con lei quando lo ha salutato fuori dalla scuola. Arrossisce perché Shae-Lee indossa un vestito corto, anche se non troppo, che la fa sembrare davvero una ragazza. E hai i capelli sciolti: sono lunghi, ondulati, biondi. Hanno lo stesso esatto colore che avrebbero quelli di Michael, se solo non li tingesse. Arrossisce perché pensa che sia bella e perché, da stupido qual è, non se ne è accorto prima.

«Ciao a tutti!» saluta, cercando di non sembrare impacciata. I ragazzi ricambiano il saluto, abbozzano sorrisi, lo sguardo di Calum è già sulla bruna, che lo nota e sgrana un po' gli occhi con diffidenza.

La più loquace, nonostante la timidezza, risulta essere River. «Ciao! Sei Shae-Lee, giusto?» Michael sa che sarebbe toccato a lui fare le presentazioni, ma, d'altro canto, ha sempre pensato che la cortesia e le chiacchiere fossero cose da ragazze. È giusto che se ne occupi Riv- sì, okay, sono tutte scuse: la verità è che si sente troppo in imbarazzo per dire alcunché. Il suo problema non è tanto Shae-Lee, con cui ormai è quasi in confidenza, ma Deborah: ha uno sguardo sveglio e severo, che si indurisce ogni volta che finisce su di lui. Non sono mai andati molto d'accordo loro due. Michael non ha mai cercato di conoscerla a fondo e lei, d'altra parte, ha sempre dato prova di considerarlo un cretino, in classe.

«Sì, esatto, e lei è Debbie».

«Ciao» borbotta questa in tono poco entusiasta, allungando un po' la “a”.

A primo impatto, a River Deborah non piace – non le piace come guarda Mickey, non le piace il suo atteggiamento superiore e distaccato–, ma cerca di non farci caso; quella è una serata importante per i ragazzi, non vuole rovinarla con inutili paranoie. Quindi presenta sé e i suoi amici, ridacchiando quando Calum afferra la mano di Debbie e dice con fare ammiccante: «Ehilà, bambola» e lei ritira la mano, turbata.

*

È passato ormai più di un'ora, da quando i ragazzi si sono alzati e sono andati a parlare con Kerrie, il suo ragazzo e il proprietario del locale. Da allora, River, Shae-Lee e Debbie sono sedute allo stesso tavolo, scambiandosi qualche chiacchiera di cortesia nell'attesa del loro ritorno.

In quell'ora River ha scoperto che Debbie ha un carattere un po' burbero, ma non è affatto male come sembra; che chiama la sua amica “Lee” quando deve chiederle un favore e che non ama bere, almeno non quando lo sta facendo l'altra.

Ma River ha anche scoperto che Shae-Lee non regge per niente gli alcolici, perché sta già ridendo come una matta, dando pugni sul tavolo, dopo un solo drink. Un drink che, pur non essendo un'esperta, River può assicurare non essere troppo forte, visto che ne sta bevendo uno uguale – acquistato con l'aiuto di Debbie e della sua maggiore età – ed è ancora perfettamente sobria. Forse il fatto che il suo bicchiere sia ancora per tre quarti pieno può aver contribuito alla sua lucidità, ma in ogni caso Shae-Lee sembra parecchio su di giri.

E, sì, è divertente vederla così, sentirla dire sciocchezze a raffica, ma River è anche un briciolo scossa, perché non ha idea di cosa fare per aiutarla. Non capita spesso che lei veda gente ubriaca. L'unico che ha visto in quelle condizioni è stato Ashton, al suo diciottesimo compleanno, quando non c'è stato modo di impedirgli di togliersi i vestiti e Luke si è offerto volontario per accompagnare River in giardino, in modo che non fosse obbligata a vedere lo spettacolo – soluzione che lei ha accettato di buon grado, sul punto di morire per l'imbarazzo. Quando sono rientrati, Ashton era steso sul pavimento in boxer e rideva come un matto. Sono bastati cinque minuti perché si addormentasse come un bambino.

«E poi il professor Toomeeeeeeeey è entrato nello spogliatoio delle ragazze e ha chiesto: “Che ci fate voi qui dentro? Dove sono i ragazzi?”» Shae-Lee scoppia in una risata chiassosa e incontrollata, mentre Debbie scuote il capo e sorride.

«È successo davvero» spiega poi a River, mentre Shae-Lee ordina una birra. «Era così arrabbiato con la Phelps, che è entrato come una furia nella stanza più vicina e si è trovato in mezzo alle ragazze. Ci ha sgridate, prima di rendersi conto di aver sbagliato porta. Shae ha riso fino alle lacrime» racconta. «E ogni volta che le torna in mente la situazione non riesce a smettere di ridere».

River non può non sorridere; ha notato tutto l'affetto e la nostalgia con cui Debbie parla delle sue avventure trascorse, di tutte le sciocchezze fatte insieme a quella che non può che essere la sua migliore amica. Non può che sorridere e pensare che magari lei ha lo stesso sorriso quando racconta episodi vissuti con Luke. Ed è quello che fa: senza pensarci due volte, sta già raccontando loro dell'insistenza con cui il professor Toomey gli chiede di partecipare alle gare e, subito dopo, di quando, tornando da scuola al primo anno, hanno trovato Towner abbandonato in un vicolo. Era un cucciolo minuscolo e lei se n'è innamorata al primo sguardo. Verificata l'assenza di segni distintivi, lo hanno portata a casa Loveday e, sapendo che i suoi genitori non volevano animali in casa, lo hanno nascosto nella vecchia casetta dei giochi.

Il suo racconto si interrompe, quando Ashton crolla sulla panca proprio accanto a River, spaventandola. «Riiiiiiv!» la chiama in tono entusiasta. «Ci hanno presi!»

Shae-Lee scoppia a ridere felice, mentre Debbie alza uno sguardo scettico su Michael, che lo ha trascinato fino al tavolo, incolpandolo silenziosamente dello stato del suo amico.

«È una fortuna che gli abbiano offerto da bere solo dopo aver parlato col proprietario» commenta Mickey a mo' di scusa e questo un po' spiega quello che è successo, a conti fatti.

Quando arriva Luke, Ashton sta abbracciando River e le sta affondando il volto nell'incavo del collo. Biascica qualcosa, mentre lei se ne sta irrigidita sul posto ad occhi sgranati e un sorriso imbarazzato in volto, senza avere la minima idea di come comportarsi.

Luke sente la rabbia attorcigliare le proprie interiora, ma non fa niente. Si limita a guardare le scena, immobile, poi si sede all'altro lato del suo amico un po' troppo brillo. Luke detesta quando Ashton si ubriaca. Lo detesta perché diventa estremamente stupido, infantile e fa un sacco di sciocchezze. Tipo chiedere a River di ballare con lui e trascinarla in mezzo alla pista, quando una pista da ballo non c'è affatto. Gli fa rabbia pensare che lui dovrebbe essere il maturo del gruppo, quello che parla con il capo e fissa le serate. Ed è stato così, infatti, ma al momento riesce solo a pensare a quanto Ashton sia immaturo. Si è preso una sbronza al primo colloquio di lavoro, sul luogo di lavoro.

Calum occupa il posto lasciato libero da Ashton, proprio accanto a lui. Gli dà una pacca sulla spalla, gli sorride: «Vuoi ballare anche tu?» propone, sorridendo con fare ammiccante.

A Luke viene spontaneo ridere, nonostante l'irritazione punga ancora da qualche parte dentro di lui. Rifiuta con un cenno del capo, poi si impossessa del bicchiere lasciato sul tavolo da River, prima che possa farlo Calum; ne prende una lunga sorsata dalla cannuccia, lo sguardo fisso sul livello di liquido rossastro che si abbassa mentre lui beve.

*

River è stordita. Non dalle due dita di drink alcolico che ha ingerito, ma dall'atteggiamento di Ashton. Si dimena nello spazio libero tra i tavoli a ritmo di musica, le tiene le mani nelle proprie e le agita senza troppa forza le braccia, invitandola sia con quel gesto che a parole a scatenarsi con lui. Se solo avesse bevuto quanto lui, River lo farebbe. Non perché Ashton abbia bevuto molto – no, non in così poco tempo, semplicemente è tanto esaltato e solo un po' brillo – , ma perché quel poco basterebbe a lei per andare fuori di testa. Ride, quando lui le si avvicina e la abbraccia con slancio.

La canzone è appena cambiata, quella appena iniziata gli piace di più, Ashton la conosce, la canta; trascina la ragazza con sé in un energico moto ondulatorio.

Balla bene, non è vero?

Oh, sì, quasi come un professionista, risponde lei tra le risate.

Ashton sa che lo sta prendendo in giro, ma non ci fa caso. Le scompiglia i capelli con una mano, posa la fronte contro la sua e le lascia un bacio sulla punta del naso, poi torna a cantare a squarciagola, allontanandosi.

Non fa caso neanche all'espressione sconvolta di River, al rossore sulle sue guance, al fatto che non stia più ballando con lui. È immobile, paralizzata sul posto, gli occhi sgranati e la bocca dischiusa. Il cuore le batte all'impazzata nel petto e si sente così stupida ad essere emozionata tanto per un gesto del genere. Ma Ashton le ha appena dato un bacio. Sul naso. È una cosa così intima e dolce che River non riesce a capacitarsene. È la scarica di adrenalina successiva a quel momentaneo blocco a permetterle di ricominciare a ballare e ridere con lui, come se non ci fosse niente di meglio al mondo – e forse è così davvero, pensa.

*

Luke non sa da che parte guardare, cosa fare o come comportarsi; ecco perché ride e basta – un po' per divertimento e un po' per disperazione.

Michael ha un'espressione confusa, si guarda attorno con un abbozzo di sorriso in volto; non sa che pesci prendere almeno quanto Luke.

Debbie, dal canto suo, sembra sapere benissimo con chi prendersela: con Michael. In parte forse ha ragione, visto che è stato lui a offrire un altro giro di birra a tutti i presenti per festeggiare, in parte perché quello a cui Shae-Lee è praticamente stesa in braccio è un suo amico e, ancora, per qualche altro oscuro motivo da migliore amica che Luke può solo intuire ma non vuole sapere. Qualcosa come istinto di protezione tra ragazze, odio viscerale verso chiunque non ricambi i sentimenti dell'amica, qualche sciocchezza del genere di cui francamente non gli importa. Sa solo che sono solo le undici di sera, è sabato, Shae-Lee è sbronza, Calum ci sta provando con lei in un modo ridicolo, che, per assurdo, sembra funzionare; Ashton ha rapito River per ballare e la sta miseramente illudendo, senza nemmeno rendersene conto; Michael sorseggia la sua birra con fare annoiato e Debbie sembra star pianificando qualcosa – se non uno sterminio di massa, almeno l'omicidio di Michael Clifford.

In tutto questo, lui vorrebbe tenere d'occhio River tra le braccia di Ashton, ma allo stesso tempo proprio non ci riesce, per via dell'incontenibile e irrazionale rabbia che lo coglie appena posa lo sguardo su di loro, le loro mani unite, il sorriso felice di lei, gli occhi appannati di lui. Vorrebbe che River si accorgesse dell'assenza di malizia e interesse nelle azioni del suo amico, vorrebbe che smettesse di arrossire ed innamorarsi. Vorrebbe che tornasse da lui e smettesse di lasciarsi illudere da qualcuno che la considera una sorella, ma è troppo stupido per accorgersi dei sentimenti di lei e frenare la propria idiozia. Vorrebbe prendere a pugni Ashton, allontanarlo da lei, sputargli in faccia la verità e fargli promettere che smetterà di farla soffrire.

Si rende conto di suonare patetico, però, ecco perché non si muoverà di lì e non interverrà.

Continua quindi ad ascoltare le squallide battute che Calum spara a raffica solo per godersi la risata di Shae-Lee, che non si sa bene come sia finita stesa sulla panca, appoggiata a lui, che la abbraccia da dietro.

Luke sa, però, che Debbie si è rassegnata a lasciare loro posto per star comodi quando se li è praticamente trovati addosso, col rischio di dover far loro da materasso. Ora è seduta accanto a Michael e sembra odiarlo come non mai.

Quando River si presenta al tavolo con le guance arrossate, i capelli rossi scompigliati e l'ombra di un sorriso ancora in volto, per annunciar loro che sua madre vorrebbe che tornasse a casa subito, Luke tira un sospiro di sollievo. Non vedeva l'ora di andarsene.

Si alza, quindi, raccoglie i soldi e si offre per andare a pagare.

L'aspetto migliore di quella serata, si dice, mentre saluta il proprietario del locale, è che almeno sembrano aver fatto una buona impressione al loro – forse – futuro capo. Hanno lasciato a Kyle il link del canale YouTube di Luke, quello su cui caricano i video delle loro cover, a patto che lui si faccia sentire qualunque sia il responso della loro analisi. Che piacciano o meno, vogliono saperlo. Kyle ha approvato e, be', ora dovranno tenere le dita incrociate.

*

Incredibilmente Shae-Lee riesce a camminare sulle proprie gambe senza barcollare troppo, fatto che dà a Michael qualche buona speranza riguardo al suo effettivo stato. Forse non è sbronza come sembra, forse è solo alticcia e parecchio su di giri. Non saprebbe dirlo Michael, non la conosce ancora così bene e Debbie non sembra molto in vena di parlare. Soprattutto non con lui.

Ascolta le farneticazioni della sua amica, mentre camminano lungo il marciapiede, lanciando continue occhiatacce a Michael, come se la colpa fosse sua, come se fosse stato lui a farla bere.

Quando Debbie arriva a casa propria, lui ne è sollevato. Per qualche motivo, una parte di lui è convinta che da quel momento in poi dovrà camminare per la città da solo; il silenzio, la pace, i propri pensieri, il cielo scuro e le luci dei lampioni a fargli compagnia.

La raccomandazione che gli fa Deborah, però, lo fa tornare con i piedi per terra e spazza via brutalmente il suo sogno ad occhi aperti: «Assicurati che chiuda la porta a chiave, prima di andare via. I suoi non torneranno fino a lunedì e Kerrie non credo dormirà a casa questa notte».

Michael sgrana gli occhi, guarda Shae-Lee e capisce di cosa stia parlando la bruna: Debbie si aspetta che lui la accompagni a casa. Perché? Vorrebbe chiederlo, ma la ragazza sta già salutando la migliore amica e un attimo dopo, prima che lui abbia trovato il coraggio di parlare, ha chiuso loro la porta in faccia.

«Non ti ha nemmeno salutato» osserva Shae-Lee, ridacchiando.

Michael sospira e si sistema i capelli con aria assorta. Ormai è tardi per lamentarsi, no? «Non gli sto molto simpatico» commenta in risposta.

Shae-Lee ridacchia, sbadiglia silenziosamente, stiracchiandosi come un gattino, poi con una naturalezza che da sobria non avrebbe, lo prende a braccetto e gli posa la testa sulla spalla. Sta ridacchiando, quando miagola un «Sono staaaaanchissima», guardandolo dal basso.

Michael si irrigidisce, preoccupato da tutta quella confidenza, che se da un lato comunque non gli dispiace affatto, dall'alto lo mette a disagio. Non riesce ad impedirsi di ridere, ma evita il suo sguardo. «Riesci ad arrivare a casa, almeno, sì?»

«Ma certo!» trilla lei in tono offeso, allontanandosi. Rimane in silenzio per un po', mentre camminano e Michael cerca di ricordarsi la strada, per poi aggiungere: «Altrimenti puoi sempre portarmi in braccio».

Quando si volta a guarda, Michael sta già sorridendo divertito. Non c'è dubbio sul fatto che possa tenerla in braccio senza troppi sforzi, forse potrebbe addirittura portarla a casa in quel modo, se solo non indossasse un vestito. Lei è così allegra e disinibita, che forse, con la rassicurazione che l'indomani Shae-Lee non si ricorderebbe niente, potrebbe anche prenderla in spalla senza imbarazzarsi. O almeno potrebbe farlo, se lei indossasse un paio di pantaloni e lui non fosse così timido.

Michael quindi non risponde, si limita a scrollare la testa. Shae-Lee cammina vicinissima a lui, le loro braccia si sfiorano mentre percorrono il marciapiede. «Raccontami qualcosa» propone lei, che proprio sembra non riuscire ad apprezzare abbastanza il silenzio – da sbronza anche meno che da sobria. Lui non ha nemmeno il tempo di pensare a qualcosa da dire, però, ché lei ha già ripreso la parola e sta sciorinando una frase dopo l'altra, fin troppo velocemente, andando a comporre un racconto bislacco di “quella volta che il professor Toomey ha sbagliato spogliatoio”, che le ha sentito narrare in maniera sconclusionata almeno un'altra volta quella stessa sera.

A malapena ascolta le sue parole, mentre camminano insieme. Michael si gode l'aria fresca, il suono della voce di Shae-Lee, il poco traffico, il silenzio della sera con cui la ragazza interferisce. Sorride, quando lei ride, la guarda diverito, quando si aggrappa al suo braccio per mantenere l'equilibrio, e nel giro di venti minuti – fin troppo brevi, per essere venti minuti – sono arrivati a casa Anning.

La villetta al buio non appare meno bella o più vissuta, sembra sempre il set di un film agli occhi del ragazzo. Apre il cancelletto con le chiavi che Shae-Lee gli porge. La accompagna alla porta, apre la serratura, spingendo poi la superficie di legno per permetterle di entrare. Lei lo fa, sorridendo timidamente, ma non se la richiude alle spalle come Michael si aspetta; lo guarda, invece, lasciandogli spazio per seguirla all'interno. Lui, tuttavia, non capisce. «Be', uhm, buonanotte» la saluta.

Lei corruga la fronte, poi scoppia a ridere. «No, vieni dentro».

Michael non può impedirsi di sgranare gli occhi e arrossire un po' sulle orecchie a quella richiesta. Sposta il peso da un piede all'altro. Non sa come Shae-Lee intenda quella proposta, ma di solito le scene del genere, nelle case come quella – e quindi nei film – vanno a finire in modo poco vestito. «Oh. È meglio che vada, piuttosto. Chiudi la porta a chiave e...»

«Avanti, non essere sciocco!» lo riprende Shae-Lee; gli afferra una mano e lo trascina dentro, mentre Michael si ritrova a sperare che i vicini non abbiano visto la scena e si stiano facendo strane idee.

«Davvero, io dovrei andare. È tardi e...» sta provando ancora a giustificarsi, ma la ragazza alza gli occhi al soffitto, sbuffa e scoppia ridere. È ridendo che corre al piano di sopra, proprio come il pomeriggio delle ripetizioni, e lo invita con un grido soffocato dalle risate a seguirlo.

Michael sospira, rassegnato, e la segue. Come si è cacciato in quella situazione? Fa le scale ripetendo a mezza voce che lui non dovrebbe essere lì, che dovrebbe proprio tornare a casa, prima che sua madre chiami la polizia, ma lei non lo sta minimamente ascoltando. La trova sulla soglia di una stanza che lui non sa cosa contenga, ma ha la netta impressione che lo scoprirà presto. Di fatto, quando lui si avvicina, Shae-Lee entra e comincia a canticchiare la canzone che riempiva il Denim pub quando loro sono usciti, invitandolo implicitamente a seguirlo.

Quando fa il suo ingresso, Michael deglutisce a vuoto. Quella è senza alcun dubbio la camera di Shae-Lee; lei è seduta sul proprio letto con il vestito sgualcito e le gambe un po' troppo scoperte, anche se lui si sforza di non guardarci. La situazione è sempre più imbarazzante e non ha la minima idea di cosa fare.

Rimane sulla soglia, appoggiandosi goffamente allo stipite della porta; non ha intenzione di avvicinarsi di più. Sta sudando freddo; si schiarisce la gola, affonda le mani nelle tasche del giubbotto e aspetta che lei dica qualcosa. Qualcosa come spiegargli perché l'ha portato fino a lì, per esempio.

Eppure lei non sembra aver intenzione di dire niente; se ne sta seduta dondolando i piedi nudi – ha gettato le scarpe sotto al letto qualche istante fa–, lo sguardo perso nel vuoto e la mente chissà dove.

Michael prende un respiro profondo, si guarda attorno mentre aspetta. La camera di Shae-Lee è esattamente come ce la si aspetta: non troppo grande, disordinata ma non troppo, con le pareti verde acqua e i mobili di legno chiaro; qualche fotografia e alcuni foglietti scritti a mano appiccicati con lo scotch qua e là, i libri di scuola sugli scaffali, la cartella sul pavimento, la divisa scolastica abbandonata sulla sedia e il computer portatile sulla scrivania. Non molto diversa dalla sua, solo meno sporca. Gli fa strano non vedere uno stereo; esiste al mondo un adolescente che non abbia uno stereo, o almeno una radio, in camera? C'è sempre l'ipod sul comodino – bianco proprio come il suo.

«Non ho mai capito una cosa» dice Shae-Lee all'improvviso, rompendo il silenzio. Michael la guarda interrogativo e allora lei continua: «River sta con Luke. Ma allora perché sembra avere una cotta per Ashton?» domanda, usando un tono curioso, innocente e capriccioso allo stesso tempo, proprio quello che avrebbe una bambina che vuole a tutti i costi capire qualcosa di troppo grande per lei. E la situazione reale forse non è troppo grande per essere compresa da Shae-Lee, ma Michael non ha intenzione di parlargliene mentre è in quelle condizioni. Dio solo sa cosa le gira per la testa al momento e domani non ricorderà più niente.

«È complicato» risponde solo, dunque.

Lei però si imbroncia, indispettita dalla sua vaghezza. «Allora spiegamelo».

Lui scuote il capo. No, non è il caso di spiattellare gli affari dei suoi migliori amici, nemmeno ad una ragazza che se le lascerà scivolare via dalla mente prima ancora di rendersene conto. «Ho un'idea migliore. Perché non mi spieghi perché Debbie ce l'ha tanto con me» propone. A dirla tutta non gli importa ciò che Deborah pensa di lui, ma ha notato lungo il tragitto che a Shae-Lee piace particolarmente parlare di lei.

Di fatti lei si illumina, gli sorride raggiante e incomincia: «Perché sei troppo distratto e non ti accorgi di come stanno le cose».

Michael si acciglia. Questo cosa dovrebbe significare? «E come stanno le cose?» domanda.

Shae-Lee si paralizza un istante, sembra pensarci su, poi scoppia a ridere.

A volte l'incoerenza di una mente entusiasta e annebbiata dall'alcool è una benedizione; nel caso di Shae-Lee Anning, per esempio. Infatti, anziché rivelare a Michael la propria storica cotta e il motivo dell'antipatia nutrita da Debbie nei suoi confronti, comincia ad elencargli tutto ciò che fa di lei un'ottima amica, come si sono conosciute e una serie di aneddoti.

Quando lei si addormenta, mentre farfuglia per la terza volta l'aneddoto del signor Toomey, e Michael può finalmente andare a casa, è ormai l'una e lui sa per certo che sua madre lo metterà in punizione, a meno che non abbia la fortuna di trovarla addormentata. Ha scoperto anche un sacco di cui non gli importa nulla su Debbie, tra le quali manca però il motivo per cui sembra odiarlo tanto. E in fondo va bene così. Si alza, percorre il corridoio e le scale a ritroso, esce chiudendosi la porta alle spalle; finge di girare una chiave nella toppa, in caso qualcuno stia guardando, e poi si avvia verso casa – non senza una certa preoccupazione al pensiero di Shae-Lee a casa da sola in quelle condizioni. 




Buonsalve e buon weekend! Here I am. Ho tutto e niente da dire, quindi inizio senza troppi preamboli. XD
Ammetto di aver iniziato a rileggere il capitolo, ma arrivata alla scena di Michael e Shae-Lee a casa di lei, avendola letta e riletta più volte mentre la scrivevo, mi è passata la voglia e ho smesso di ricontrollare il testo. Spero quindi che non ci siano troppi errori, ma non sono sicura che sia così. ^^'
Oltre a questo, ho l'impressione che questo sia uno di quei capitoli estremamente lunghi ma in cui non succede niente. Non sbaglio, vero? Spero che non sia tanto male, per lo meno.
Vi informo, anche se non ve ne importerà niente XD, che ho perso la scaletta che mi ero fatta per questa storia. Lì erano annonatati tutti gli avvenimenti di otto capitoli, ma ora è, come dire, sparita. Davvero, si è volantilizzata! Non so che fine abbia fatto. L'avevo tra le mani pochi giorni fa e ora... puff. Non ce n'è più traccia. Insomma, la morale della favola è che da ora andrò ad improvvisazione - basandomi più o meno sui passaggi che ricordo di aver appuntato -, ma non avendo più un numero preciso di eventi da far accadere in ogni capitolo, è probabile che i prossimi siano più corti. Non lo so, però, perché in effetti ora siamo nelle mani di Dio! XD
Okay, potrei aver finito.
Vi ringrazio per le recensioni e per il seguito, che pur essendo ridotto è sempre molto apprezzato, specie trattandosi di una storiella come questa. :3
Grazie a tutti, quindi. :3
Una domanda: qual è la coppia (plausibile o meno, canon, fanon o crack) che preferite per ora? :3
Anche se, sì, ve lo concedo, quindi romanticismo non ce n'è ancora stato molto. XD
Basta, sparisco. Un abbraccio a tutti! :D

Per qualunque domanda, chiacchiera, curiosità e insulto, mi trovate QUIQUI e QUI
E, uh, sono tornata anche sul mio profilo facebook fake: se volete, è questo QUI


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Aries Pevensie (C)
 

4.

Succede a volte che le cose non vadano come si ha pianificato. Anzi, accade più spesso che “a volte”: continuamente. Qualcosa nei piani va storto, anche quando magari un piano non lo si ha nemmeno; qualcuno ci rimane male. Capita e basta, vuoi perché le persone sono tutte diverse tra loro, hanno interessi e impegni differenti o perché c'è stato un errore di calcolo – qualche volta pure per dispetto.

Il caso di questo qualcuno non appartiene all'ultima categoria. Il nostro qualcuno è Luke Hemmings, che sta camminando a testa bassa lungo il marciapiede, diretto a scuola. Il sole sembra così smorto, oggi, anche se splende nel allegramente nel cielo su di lui.

River, al suo fianco, sta canticchiando allegramente una canzone che hanno trasmesso al Denim Pub, una canzone che Luke non riesce proprio a sopportare; è il ritratto della felicità, ma lui insolitamente non ne è il riflesso.

È incredibile come lo stesso evento possa influenzare in maniera opposta il loro umore. Tutto d'un tratto non sono più in sintonia, ma le due facce antitetiche della stessa medaglia. Il che è sempre una sorta di equilibrio, ma completamente differente da ciò a cui sono abituati. L'armonia tra Luke e River è tale da sfociare, quasi, in telepatia, due volte su tre. Ma non oggi. Oggi sono sintonizzati su due frequenze diverse.

River vede tutto rosa, canta, pensa ad Ashton e alla fantastica serata che hanno trascorso insieme; erano loro due da soli, ballavano, ridevano, scherzavano. A volte capita, la sera, che lei si rintani sotto le coperte, chiuda gli occhi e immagini che cose simili succedano: immagina che Ashton la abbracci, le prenda la mano, le baci la fronte, le guance, le labbra. Quando alla fine si addormenta, sorride.

L'umore di Luke cala sempre più ogni minuto che passa, tanto che presto si troverà sotto terra; la gioia della sua migliore amica stranamente lo indispone: perché deve essere così sciocca, perché non può accorgersi che ad Ashton lei interessa solo come amica? I segnali sono chiari, anzi lampanti: quando la guarda, il suo sguardo non si accende più di come succede quando vede il piccolo Harry; quando sono insieme la abbraccia con naturalezza, senza il minimo imbarazzo, senza alcuna malizia. Senza il minimo sfarfallio nello stomaco. Per assurdo, pensa Luke, ci mette più passione lui, che è praticamente suo fratello.

Calum ride, quando Luke glielo dice. «Assurdo» ripete in un tono che l'altro non riesce a decifrare – lo sta prendendo in giro?

Si sono incontrati a metà strada, come ogni mattina, e probabilmente Luke non è mai stato così felice di vedere il suo migliore amico mentre è con River. È un vero peccato che Calum ridacchi, poi, e attacchi a sua volta a parlare di quella serata al Denim Pub; l'argomento, questa volta, è Shae-Lee Anning. «Quante possibilità ci sono che oggi mi dia il suo numero, se glielo chiedo? Eravamo molto affiatati, sabato».

Luke sbuffa. «Zero» risponde brusco. Solo quando l'altro lo guarda scandalizzato, indeciso se ridere o offendersi, si ricorda di aggiungere: «Lei ha una cotta per Mickey».

Calum storce il naso in una smorfia che fa ridere River – e sorridere Luke –, poi si stringe nelle spalle. «Non credo per Mickey sia un problema, non se ne è nemmeno accorto!» E non ha nemmeno tutti i torti, motivo per cui nessuno degli altri due replica, nonostante sappiano che sta solo scherzando – ognuno è troppo preso da se stesso, al momento. Continuano a camminare in silenzio; Cal di tanto in tanto dice qualcosa, River ride, Luke stiracchia un sorriso e poi torna a sprofondare nel proprio malumore. Questa si preannuncia decisamente come una giornata no.

*

River è felice. Felice perché Ashton, mezzo ubriaco, l'ha trascinata in pista e le ha dato un bacio sul naso, perché si è offerto di accompagnarla a casa, perché sa che oggi all'uscita da scuola lo vedrà di nuovo. Non riesce a smettere un attimo di pensare a lui, mentre cerca di seguire la lezione.

Non prende appunti, non ce la fa. Deve sforzarsi per non scrivere “Ashton”, nell'angolo destro della pagina di quaderno, al posto della data. Mentre trasforma quella “A” appena tracciata in una cifra numerica, ridacchia da sola.

Luke, accanto a lei, affonda la testa tra le braccia e sbuffa, cercando di soffiar via tutta la nube di malumore che gli opprime delicatamente il petto, in quel modo morbido e terribile che rischia di farlo impazzire. Detesta sentirsi così.

River dal canto suo odia vedere lui così. Lo sa, che qualcosa non va, ma non sa cosa fare. Solitamente è Luke ad andare da lei con il labbro inferiore sporto all'infuori e un'espressione afflitta che le faceva sorgere spontaneo un sorriso intenerito e gli saltava direttamente al collo, pronta a consolarlo, qualunque fosse il motivo di tanta preoccupazione. Era così che funzionava tra loro: uno andava dall'altra senza dire nulla e quella lo accoglieva – letteralmente – a braccia aperta.

Sarebbe una stupida se non si accorgesse che qualcosa non va, oggi, e River non è affatto stupida. Solo che non capisce perché questa volta Luke non la cerchi – che non voglia parlarne con lei? Assurdo. Non è un comportamento da lui. Per questo strappa un angolo del quaderno – lo stesso su cui è scarabocchiata la data – e ci scrive su un veloce: “Tutto bene? :)”.

Quando Luke alza la testa dalle braccia e vede il foglietto con su la calligrafia tondeggiante di River, sbuffa di nuovo. Allunga una mano, afferra una penna, traccia un caotico e svogliato “Sì” e glielo restituisce.

River inarca le sopracciglia rossicce e si volta a fulminarlo con lo sguardo. Come può essere tutto okay, se lui ha quell'aria stravolta? La domanda gli si legge in faccia, ma Luke torna a nascondersi in sé stesso.

«Lucas!» sibila lei cercando di spronarlo con un movimento impaziente del capo.

«È okay» ripete lui. Parla contro il banco, la voce profonda rimbalza contro la superficie e suona amplificata. Luke si rende conto di aver parlato un po' troppo forte quando River trattiene il fiato e si volta verso il professore, mortificata.

Nemmeno si sorprende, quando Fishwick lo richiama di fronte a tutta la classe e lo invita a raggiungerlo alla cattedra per dimostrargli che quello stupido rombo disegnato alla lavagna sia davvero un rombo e non un quadrilatero qualunque.

Come se a lui fregasse qualcosa, sta pensando Luke mentre si alza goffamente in piedi senza emettere un fiato; i capelli vengono scompigliati da un rapido movimento di mani, l'espressione è indelebilmente imbronciata. Quando afferra il gesso, sa già come andrà a finire.

Esiste forse un metodo migliore della geometria euclidea per peggiorare una giornata iniziata male? Probabilmente no.

Tanto perché la pessima giornata ci tiene a non risultare incoerente, quando Luke torna al posto una striminzita C- vien tracciata dal professore sul registro.

Come volevasi dimostrare.

*

Shae-Lee, è evidente, non sa se ridere o piangere. Conoscendola, Debbie indovina che scoppierà in una risata isterica entro pochi istanti, cosa che lei puntualmente fa.

Sono nel bel mezzo del corridoio del primo piano e Calum Hood, dopo averla sorpresa con un abbraccio caloroso, sta raccontando a Shae-Lee della loro improvvisa e motivata solo dalla sbornia confidenza del passato sabato sera.

Debbie non ha mai creduto nel karma, ma quando la sua amica fa qualche sciocchezza per cui poi sembra venir punita dal destino, non può che iniziare ad avere qualche dubbio – che viene poi brutalmente scacciato dalla sua solita razionalità. Questo però non le impedisce di sogghignare alla vista delle gote sempre più rosse della ragazza e della sua espressione incredula: che non ricordi assolutamente nulla di ciò che ha fatto è palese e anche Calum sembra essersene accorto, perché calca un po' troppo la mano aggiungendo sfumature maliziose e piccanti al suo racconto. In realtà, Debbie era presente e lo sa, Shae gli si è semplicemente appoggiata addosso, lui l'ha abbracciata e hanno riso tanto, almeno quanto lei ha bevuto. E basta. Anche se per il momento le lascerà credere a quelle storie di strusciamenti e baci appassionati – Calum Hood sembra proprio starsi divertendo un mondo e, deve ammetterlo, per lei vale lo stesso.

Shae-Lee, a conti fatti, è mortificata. Non riesce a credere che quello che lui le sta raccontando sia vero; doveva aver bevuto davvero molto per essere finita a pomiciare con qualcuno sotto gli occhi di Michael. Anche se forse è il caso di mettere una buona volta da parte Michael per un momento e pensare al fatto che sia lasciata andare in quel modo improponibile con un ragazzo di diciassette anni che nemmeno conosce. Ad ogni parola pronunciata da Calum, lei arrossisce e si vergogna un po' di più. Chissà che idea di lei si è fatto Michael, si chiede; avrà pensato a lei come ad una ragazza facile, una sciocca poco seria che si ubriaca ogni sabato sera e deve essere badata dalla migliore amica per evitare di combinare grossi guai. Che vergogna. Non può essere vero, continua a ripetersi; non è una cosa da lei, no.

Guarda in direzione di Debbie, sperando che lei smentisca quelle rivelazioni, ma la sua amica sembra starsi divertendo un mondo: ha un sorrisetto appena accennato a incresparle le labbra, lo sguardo acceso di interesse e scuote lentamente il capo con quella che sembra rassegnazione. Questo allarma Shae-Lee ulteriormente: no, no, no, no, no! Non può averlo fatto davvero!

Poi, come un'apparizione divina, una ragazza li raggiunge, aggrappandosi a Calum per frenare la propria corsa e facendolo barcollare. Be', okay, magari non è un'entrata in scena particolarmente aggraziata, ma per Shae-Lee costituisce comunque una via di fuga.

«Che cosa fai?» domanda Calum, spostando tutto il proprio peso su un solo piede per riuscire a ripristinare l'equilibrio.

River ha il respiro affannato per la corsa appena fatta e le sopracciglia aggrottate per l'apprensione. «Scusami. Hai visto Luke?» gli chiede con urgenza.

Calum, al contrario suo, non sembra affatto preoccupato. «Era con Mickey, non lo so» risponde dopo aver scrollato le spalle.

Mickey. Udendo quel solo nome, a Shae-Lee si rizzano le orecchie e l'idea giusta per sfuggire da quella situazione le balza in testa: «Vai a cercarlo, River?» le domanda infatti. «Vengo con te!».

L'altra la guarda spaesata per un attimo, poi sgrana gli occhi nel momento stesso in cui si rende conto che le persone con cui Calum stava parlando sono Shae-Lee e Deborah. «Oh, santo cielo, ciao! Scusate, non vi avevo notate e...» arrossisce appena per l'imbarazzo e si sistema i capelli dietro le orecchie. Poi sorride. «Certo, andiamo» accetta.

«Vieni anche tu Debbie?» chiede Shae-Lee, felice di poter finalmente allontanarsi da Calum e dai suoi racconti imbarazzanti. Ha assoluto bisogno che qualcuno neghi la sua versione dei fatti. Non può essere stata davvero così stupida da strusciarsi contro un semisconosciuto. Guarda dunque speranzosa la sua migliore amica, che tuttavia scuote appena il capo.

«No, Danny mi aspetta per Letteratura, mi avvio. Ci vediamo in mensa» la saluta.

Lei allora sorride e segue River lungo il corridoio, a passo spedito. Prima che siano troppo lontane, sente Calum chiederle: «Danny? È il tuo ragazzo?». E non può fare a meno di scoppiare a ridere.

River le rivolge un'occhiata divertita e confusa e Shae-Lee allontana l'argomento scuotendo il capo. «Senti, Riv, posso chiederti una cosa su sabato sera?» Quando l'altra, annuendo, arrossisce, lei non può che spaventarsi un po'. Poi però le pone la domanda che le preme e nel giro di tre minuti il peso che le premeva sullo stomaco si è notevolmente alleggerito.

«Scusalo» aggiunge River, dopo averle raccontato la realtà dei fatti. «A volte gli piace enfatizzare un po' troppo le cose. Non è un bugiardo, comunque, spero non ti sia fatta questa idea di lui. Sai, in caso ti piaccia...»

Shae-Lee arrossisce udendo quell'insinuazione e, quando nota lo sguardo ironico della ragazza, intuisce che lei sappia più di quanto non voglia dire. E allora il rossore sulle guance aumenta ancora, mentre si lascia sfuggire un sospiro e un sorriso.

*

Michael Clifford non parla molto. Non è una di quelle persone che non apre bocca nemmeno quando gli viene posta una domanda, okay, ma non è nemmeno un chiacchierone come Calum o Ashton. È più una via di mezzo, qualcuno a cui piace stare in silenzio quando non ha niente da dire, ma che non si fa problemi a sparare sciocchezze a mitraglia se solo ne ha voglia – o commenti da esperto riguardo a questo o quel videogioco, magari.

Quando però si ritrova assieme ad un Luke Hemmings con l'umore sotto i piedi tutto sembra sempre maledettamente difficile. L'indisposizione di Luke ha la capacità di rendere insopportabile qualunque silenzio e, allo stesso tempo, sbagliata qualunque chiacchiera.

Sono di nuovo nel corridoio degli spogliatoi della piscina, Michael riesce a percepire quell'insopportabile odore di cloro, mentre se ne stanno in piedi appoggiati al muro, l'uno accanto all'altro, in attesa che il professor Toomey esca per parlare con Luke.

Suonano inutili e frivoli i commenti di Michael su questa o quella ragazza del secondo anno uscita dallo spogliatoio con l'amica; sembrano insensate le proposte di pianificare le attività del pomeriggio e persino parlare di musica non dà alcuna soddisfazione in mancanza di una reazione da parte dell'amico. Michael non sa se straparlare a proposito del nuovo Pokemon X e Y, che ancora non ha avuto la fortuna di poter provare, accidenti, oppure guardarlo insistentemente in silenzio, in attesa che sia Luke a dire qualcosa.

Dopo cinque minuti di tentativi di conversazione, Michael sbuffa, incrocia le braccia e inclina la testa da un lato – non senza ricordarsi di sistemare i capelli sulla fronte– e fa una smorfia; «Ti prego, smettila» gli dice con gentile serietà.

Luke, come da copione, sembra cadere dal pero. Socchiude la bocca, sgrana leggermente gli occhi e si stacca leggermente dal muro per poi appoggiarsi di nuovo. «Di fare cosa?» borbotta, spostando finalmente lo sguardo su di lui.

«Lo sai» risponde l'altro, alzando gli occhi al soffitto. Non è divertente, niente è mai divertente quando Luke ha l'umore sotto terra. Niente, tutto sembra sempre essere la cosa sbagliata da dire, fare o pensare. È estenuante e Michael è troppo pigro per sopportare una continua ricerca della giusta azione da compiere. «Si può sapere qual è il problema?»

Luke si scompiglia e risistema i capelli, mentre cerca di capire le parole del suo amico. Non solo non ha alcuna voglia di parlare, ma è così turbato dai mille pensieri che gli percorrono caoticamente la mente da non sapere nemmeno lui cosa lo porti a quello stato di insofferenza. «Non ne ho idea».

Michael sbuffa. Okay, d'accordo, non c'è trippa per gatti, si dice. Lui non è decisamente la persona giusta per psicanalizzare e comprendere Luke Hemmings. A questo di solito pensano Calum e River; è lei, soprattutto, quella brava a risolvere i problemi altrui, quindi tanto vale lasciarle il compito. «Hai provato a parlarne con River?» gli chiede dunque, pensando che si tratti della soluzione migliore. Le ragazze hanno una sensibilità diversa, sanno cosa dire in certe situazioni. Sono brave a consolare le persone, senza nemmeno ricorrere ad alcolici e maratone di film o videogiochi. Chissà come fanno.

Dal modo in cui il suo sguardo azzurro si incupisce, però, Michael comprende di aver di nuovo detto la cosa sbagliata, quindi sgrana gli occhi, deglutisce rumorosamente e «Okay, okay, come non detto» si corregge. Porca miseria, è incredibile. «Secondo te che vuole Toomey?» cambia in fretta discorso, intimorito dal malumore da record che Luke porta con sé oggi.

Luke scrolla le spalle larghe e affossa un po' il collo tra di essere con aria stanca. «Credo voglia parlarmi di nuovo delle gare regionali».

Michael annuisce in silenzio, poi però, visto che è la prima volta che riesce a far parlare Luke, decide di non lasciar cadere lì il discorso. «Pensi di partecipare?»

«Non lo so» ammette dopo aver preso un respiro profondo. «River dice che dovrei, ma non ne sono sicuro». River, River, sempre River. Luke è arrabbiato con se stesso, oltre che con lei: perché non riesce a parlare di nient'altro? Forse dovrebbe staccarsi da lei, una buona volta. Non può esserne dipendente in tutto e per tutto. Anche lui ha un carattere e la capacità di prendere decisioni, no?

«Non lo so» ripete Michael, parlando tuttavia per sé. «È un impegno, ma il nuoto ti piace, no?»

Luke sbuffa. Non è più sicuro nemmeno di questo. Al momento non c'è niente in tutto il mondo che gli piaccia. Tutto sembra estremamente sbagliato e irritante. «Forse» è la sua laconica risposta. Con quella parola, la conversazione ha termine.

*

Com'era ovvio che fosse, non avendo specificato Calum dove si trovassero Michael e Luke, le ragazze hanno sprecato l'intero intervallo passando in rassegna i primi due piani della scuola – bagni dei ragazzi inclusi, grazie all'intervento dell'imbarazzata sfacciataggine di Shae-Lee e a qualche ambasciatore di sesso maschile trovato nei paraggi delle toilette.

È solo a mensa, però, che River riesce a scovare Luke. È seduto al solito tavolo, la testa rivolta verso il proprio grembo, mentre come al solito spia il cellulare. River prova un moto di sollievo a vederlo lì, intento in qualcosa che appare del tutto normale. Si è preoccupata parecchio per lui oggi: si è comportato in modo strano, sparendo alla fine delle lezioni comuni prima che lei potesse finire di raccogliere i propri libri, per poi non farsi vedere per tutto il giorno. Non le è risultato difficile credere che la stesse ignorando, anche se ora, mentre si avvicina con il suo solito passo leggero al tavolo, si sta dando della sciocca: perché avrebbe dovuto?

*

Una raggiante Shae-Lee con il vassoio della mensa vuoto si mette in fila per il cibo direttamente dietro la coda per i secondi piatti, ignorando del tutto primi e contorni. Provate ad indovinare perché.

«Ciao!»

Michael Clifford, sulle punte per spiare le pietanze che lo stanno aspettando dietro il vetro da sopra le spalle degli altri studenti, torna con i piedi per terra e volta il capo per scoprire chi l'abbia appena salutato. Senza nemmeno pensarci si ritrova a sorridere con allegria, quando il suo sguardo incontra quello sempre entusiasta di Shae-Lee. «Ciao, compagna di banco» risponde.

Lei arrossisce, pur non essendocene motivo, e il suo sorriso si allarga. «C'è qualcosa di buono da mangiare oggi?» domanda, alzandosi a sua volta sulle punte per cercare di avvistare qualche pietanza decente.

Michael scrolla le spalle e ride. «Mai! La scuola non può mica rompere la tradizione, ti pare?»

La ragazza ride, poi, proprio quando un altro studente con una fetta di pizza sul vassoio le passa accanto, trattiene il respiro. «Pizza!» esclama, come se avesse appena visto un miracolo.

Incredibilmente, anche Michael si illumina udendo quella parola. «Davvero?» chiede conferma, mentre di nuovo si mette in punta. «Pizza!» ripete entusiasta, quando effettivamente la avvista. È proprio lì, tra due vassoi coperti a metà da fettine di carne di dubbia qualità. Ce n'è un'ultima fetta che... «Merda». Michael assiste al momento in cui l'ultimo spicchio di pizza finisce nel piatto della ragazza in fila davanti a lui.

Shae-Lee sospira rassegnata. «Questa sì che è sfortuna. Una volta che c'è la pizza...»

«Finisce subito» brontola lui scontento. «È una maledizione. Non si può mai mangiare qualcosa di decente qui dentro».

La Signora Della Mensa – che nessuno ha mai capito come si chiami – stringe le già sottilissime labbra in un'espressione di disappunto. «Stai attento a come parli, ragazzino» lo rimprovera con quella sua voce roca e gracchiante da fumatrice incallita.

Michael sobbalza e arrossisce un po': non pensava che lo avrebbe sentito. Abbozza dunque un sorriso di scuse e si fa servire un paio di fettine di quello che dovrebbe essere manzo, anche se non è del tutto sicuro. Il tutto mentre Shae-Lee, nascosta dietro le sue spalle, non riesce a smettere di ridere.

Mickey esce dalla fila, ma aspetta che anche la ragazza si sia fatta riempire il piatto, prima di mettersi in coda – con lei – per i dolci. «Che figura di merda» commenta, arricciando il naso.

Lei ride di nuovo e cerca di rassicurarlo: «Be', hai detto la verità, però. È giusto che La Signora Della Mensa lo sappia: qui si mangia malissimo. La settimana scorsa gli hamburger erano crudi».

Michael ridacchia e apprezza il suo tentativo di consolazione – dopotutto la cosa non è grave, lui ha sicuramente fatto figuracce peggiori in vita sua. «Vero» conferma. «Le patate fritte però si salvano».

Il volto di Shae-Lee si trasforma in una smorfia di ovvietà: «Ovviamente: sono fritte!» esclama, allargando leggermente i gomiti, visto che col vassoio in mano non può spalancare le braccia.

Michael sorride: non ha tutti i torti. Lei continua: «Però... la pizza. La pizza è così buona che nemmeno l'incapacità della Signora Della Mensa potrebbe rovinarla». Sospira affranta al pensiero di non poterla assaggiare.

Lui invece sta pensando ad altro: «Anche tu sei un'amante della pizza?» Lo realizza solo ora, anche se forse il suo entusiasmo di poco fa avrebbe dovuto insospettirlo.

«Oh, sì! Se potessi non mangerei altro!» esclama con convinzione, mentre il suo sguardo scruta i piatti al tavolo più vicino. Dopo una breve analisi, mentre il sorriso di Michael si è allargato ancora per via di quella rivelazione, decreta: «A vederla sembra cruda. Forse non è così grave il fatto che sia finita».

La volpe e l'uva, pensa lui, ma pensa bene di tenere la bocca chiusa. Al contrario gli viene in mente un'altra cosa: «Magari sabato prossimo potremmo andare a mangiare una vera pizza tutti insieme».

Il cuore di Shae-Lee fa una capriola, mentre comprendere il significato di quelle parole: è un invito ad uscire! Non solo loro due, è ovvio, non si tratta di un appuntamento. Ma uscirà con Michael! Non lo incontrerà quasi per caso da qualche parte: lui le ha proposto di farlo. «Sarebbe grandioso!» risponde con un entusiasmo che a chiunque sembrerebbe eccessivo.

A chiunque tranne che a Michael, perché, insomma, si tratta di pizza e pizza significa, più o meno, felicità.

*

Luke sobbalza quando River gli si siede accanto, lei ride. «Ti ho spaventato?» domanda, anche se la risposta è così ovvia che lui nemmeno la pronuncia, limitandosi a guardarla.

Ha una brutta cera, nota la ragazza, ma decide di non farglielo notare. Forse è solo un po' stanco: è probabile che ieri sera i ragazzi abbiano provato fino a tardi a casa di Ashton.

Il pensiero di Ashton la fa sorridere e le dà una nuova scarica di allegria. «Mickey mi ha detto che Toomey ti ha cercato. Cosa voleva?» gli chiede ancora, appendendo la borsa allo schienale della sedia. Si piega poi per cercare il proprio telefono al suo interno – chissà che non ci siano dei nuovi messaggi!

Non ottenendo risposta, però, River torna a guardarlo, dimenticandosi per un momento del proprio cellulare. Lo trova a fissarla con uno sguardo duro che non sa spiegarsi. È lo stesso sguardo di rimprovero che gli rivolge le poche volte che si ritrovano a litigare sul serio, rinfacciandosi cose che nessuno dei due nemmeno pensa seriamente.

D'un tratto, tutti i pensieri sul “qualcosa che non va” che si è sforzata di cacciare, tornano ad avventarsi su di lei, bloccandole lo stomaco in una fredda morsa di preoccupazione. «Luke?» sussurra dunque, sperando che qualunque cosa l'altro stia per dire, possa alleviare la sua improvvisa ansia.

«Gli ho detto di no» risponde. Usa lo stesso tono incolore e distaccato che di solito riserva agli sconosciuti, alle persone con cui si sente in imbarazzo, quello che con lei non ha mai usato in tutta una vita.

River cerca di ignorare una fitta all'altezza dello stomaco. Sono tutte paranoie, si dice; dovrebbe smettere di fare la sciocca. Perché dovrebbe avercela con lei? Probabilmente è solo stanco.

«N-no?» balbetta. Oh, al diavolo, è il suo migliore amico! Che cos'è tutto questo disagio, tutto d'un tratto? Eppure non riesce a mantenere la voce ferma, mentre parla. «Perché? Credevo volessi partecipare, nuotare ti è sempre piaciuto e...»

«Non voglio» taglia corto lui.

Lei non capisce. «Perché?»

Luke abbassa lo sguardo. Non la guarda, mentre dice che «Non c'è un perché, è così e basta».

River inarca le sopracciglia e dischiude appena le labbra per la sorpresa. Che risposta è quella? Per qualche istante la confusione e la sorpresa hanno la meglio sull'ansia. «Ma come... Luke! Sono le gare di nuoto regionali!» Non riesce a credere che abbia rifiutato.

Lui la guarda male, portando la mano che stringe il telefono sul tavolo. «Sì, lo so» replica freddamente, di nuovo lo sguardo sullo schermo.

River guarda il cellulare, poi di nuovo Luke, senza capire. Perché la guarda?

«Perché hai rifiutato, allora?»

«Perché non voglio farlo e basta».

«Non è una motivazione. È incredibile, tu volevi farlo! È una grande opportunità, non dovresti sprecarla. Avevamo detto che...»

Ed ecco che succede: Luke posa il telefono, sbuffa infastidito, si decide a puntare lo sguardo dritto in quello della ragazza e lancia la bomba: «Il fatto che tu avessi già deciso che l'avrei fatto, non significa che io volessi partecipare a quelle stupide gare».

River sgrana gli occhi, colpita da quelle parole come da una secchiata d'acqua gelida. «Che cosa stai dicendo?»

«Che forse pensi troppo a te stessa ed è ora che tu scenda dal piedistallo».

Questo non è vero, è tutto ciò che lei riesce a pensare, ma non a dire.

Così è Luke, fuori di sé dalla rabbia, a continuare: «Non gira tutto intorno a te. Non è una decisione nostra, River: è la mia. Sono le mie gare, il mio sport, la mia vita. Quella di sabato non era la tua serata, era la mia, mia e dei ragazzi. Ma tutto ciò a cui riesci a pensare è a te ed Ashton, no? Era persino sbronzo, cazzo! Non importa che noi abbiamo quasi ottenuto quel lavoro, l'importante è che Ashton ti abbia trattato da ragazza, una volta tanto. Quel lavoro è un'opportunità da non sprecare, River, non le gare regionali. Sei tu a pensare che la piscina sia il posto giusto per me, non io. Magari dovresti aprire gli occhi e accorgerti di ciò che voglio io, anziché a ciò che vuoi tu, che ne dici?»

River boccheggia. Le manca l'aria, non può credere a quello che ha appena sentito. È una bugia, sono tutte bugie belle e buone. Lei lo sa, lo sa che si tratta della vita di Luke, delle sue opportunità, delle sue passioni; ma non riesce ad emettere alcun suono.

Lo sguardo di Luke è serio e furioso, mentre si alza e recupera la borsa. Senza aggiungere altro o darle la possibilità di replicare, se ne va, passando, senza degnarlo di un'occhiata, accanto a Calum, che sta portando al tavolo il pranzo di entrambi.

Questo si acciglia, lo guarda allontanarsi, poi stringe le labbra confuso. Si volta verso River e quasi gli cade tutto dalle mani, quando la vede rossa in volto con le lacrime che le rigano le guance e la bocca socchiusa in una muta richiesta – di aiuto, di spiegazioni?

«Che cosa è successo?» chiede Calum, preoccupato, alternando occhiate confuse a lei e a Luke, che ormai sta uscendo dalla mensa.



 

*La geometria euclidea è quella che, basata sui cinque teoremi di Euclide, richiede di dimostrare che una certa ipotesi è vera – o meno – tramite una serie di confronti logici a partire dai dati conosciuti. (È stato allora che ho iniziato ad avere problemi con la matematica, più o meno.) “Come volevasi dimostrare” è il modo in cui solitamente si concludono le dimostrazioni.

Buona sera! :D
Qualcuno potrebbe (ma va?) aver notato il banner nuovo in cima al capitolo. Be', per questo va ringraziata Aries Pevensie, che ne ha fatti quattro o cinque, tra cui ne ho scelti due: questo incentrato sulla coppia Michae-Lee e un altro Luke/River/Ashton, che vedrete nel prossimo capitolo. :3
Ora, informazione di cui a nessuno importa: credo che d'ora in poi, più o meno sempre, aggiornerò ogni due settimane, salvo attacchi di panico pre-esame. :) 
Be', uhm, credo sia tutto. Vi ringrazio per il seguito, per le recensioni e, oh, ringrazio molto anche le ragazze che qualche tempo fa mi hanno contattata su twitter. Grazie a tutti, davvero. 
Se mi cercate, potete trovarmi qui:
Twitter - Tumblr - Ask - FB. :3


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Torno dopo un secolo e torno facendo la persona mainstream, col testo centrato. Non sono doppiamente vergognosa?
Non so perché oggi scrivo le note all'inizio, ma tant'è. Sono in periodo di lotta con la scrittura, per cui non vi prometto
aggiornamenti frequenti o regolari; ho un sacco di progetti in corso, la voglia di mollare tutto - tuttotutto - e quella di non
mollare proprio niente. Sono un po' confusa, sì. Ma ieri sera ho sentito la mancanza di questi ragazzi, mentre ero in 
piscina, quindi mi sono detta che era giunto il momento di tornare a giocare un po' con loro. Così eccoci qua, con un 
nuovo aggiornamento. Grazie a voi se non ve ne siete ancora andati, grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo (quindi
Beatrice, Aries e Nanek - ma aw! tu hai partecipato al mio contest su UDFF e hai vinto! *^*), grazie a tutti. Spero di non
deludervi. Oh, tra l'altro... questo qui sotto è il secondo banner che mi ha fatto l'adorabile Aries. :3 Penso di alternarlo con
quello Michae-Lee di capitolo in capitolo, senza una vera logica - insomma, non introducono ad un capitolo incentrato su
quelli o questi personaggi, è una cosa un po' random. Quindi, be', yay! Un abbraccio forte da parte mia, spero che il 
capitolo possa essere di vostro gradimento! ♥  -Mich.




5.

A casa Loveday, in una stanza del secondo piano, River è raggomitolata sulla sedia a dondolo, una coperta fin sopra la testa e una tazza di latte e cacao ancora piena ma ormai fredda che la guarda da sopra la scrivania. Suo padre sta lavorando nello studio, proprio nella stanza accanto, lei sa che dovrebbe accendere la radio, come è sua abitudine, per dimostrargli che va davvero tutto bene – gliel'ha assicurato quando lui le ha portato la merenda–, ma non ha alcuna voglia di alzarsi da lì. Sono un paio d'ore, ormai, che dondola avanti e indietro con la sedia, tanto che ormai il suo stomaco – vuoto – sta iniziando a protestare.

Non è che River sia depressa, è semplicemente ferita. Tutto il buon umore dovuto ai ricordi di quel sabato sera sono svaniti e tutto ciò che riesce a pensare al momento sono le parole rabbiose che Luke le ha rivolto prima di andarsene senza darle la possibilità di capire cosa stesse succedendo: “Il fatto che tu avessi già deciso che l'avrei fatto, non significa che io volessi partecipare a quelle stupide gare”. Le pizzicano gli occhi, tira su col naso, ma respira a fondo e guarda in alto per impedirsi di piangere.

Nella sua testa bollono e ribollono mille pensieri diversi; domande, supposizioni, dubbi, risposte, troppi sentimenti. Perché le ha detto quelle cose? Forse era solo nervoso per l'interrogazione di geometria. Che lei sia davvero egoista fino a quel punto, tanto da perdere di vista i desideri del proprio migliore amico? Ma no, no, e Luke lo sa benissimo. È offesa, arrabbiata, confusa.

Ecco, sì, la confusione è il suo problema più grande al momento: non ha la minima idea del perché Luke l'abbia trattata a quel modo. Non sa se lo meriti o meno, non sa per cosa scusarsi, se debba farlo, come comportarsi il giorno dopo a scuola. Sa solo che non ha voglia di alzarsi a fare i compiti o prendere la tazza che la aspetta sulla scrivania. Non ha voglia di accendere lo radio come ogni pomeriggio, di leggere un libro, di far nulla. Vorrebbe che il suo migliore amico comparisse in quella stanza come se niente fosse, che...

Sgrana gli occhi e rizza le orecchie quando l'inconfondibile suono del telefono di casa inizia a farsi sentire. Rimane immobile per un istante, poi dimentica la voglia di non muoversi di lì e salta in piedi; attraversa stanza e corridoio di corsa, afferra la cornetta. «Pronto? Qui casa Loveday» sciorina tutto d'un fiato.

Si aspetta di sentire la voce di Luke, ma è quella di Calum a parlare. «Si può sapere che avete combinato voi due?» domanda, senza nemmeno salutarla.

A River piacerebbe potergli dare una risposta. «Non lo so» risponde in tono esasperato, dondolando sui piedi scalzi. Suo padre si affaccia dalla porta dello studio, le rivolge uno sguardo interrogativo; lei annuisce, si sforza di sorridere, gli fa cenno di andarsene e lui obbedisce.

«Almeno tu rispondi al telefono» commenta il ragazzo dopo aver sbuffato dritto nella cornetta. «Che ti ha detto?»

Le sembra quasi di sentirle, quelle parole sputatele addosso con rabbia. Fa una smorfia, poi parla: «Ha rifiutato di partecipare alle regionali di nuoto». Non è la risposta alla domanda di Calum e lo sanno entrambi, ma lui sembra accontentarsi. «Non ti ha risposto alle chiamate?»

«Sua madre dice che sta dormendo».

La ragazza sospira. «Probabile. Dorme sempre quando è così arrabbiato...» sta dicendo in tono apprensivo, quando Calum la interrompe: «Lo so, Riv».

Sospira di nuovo. Luke è l'unico con cui riesce a parlare liberamente, di solito, senza nemmeno doverci pensare: le viene naturale raccontargli tutto, ogni suo pensiero, ogni paura, ogni sciocchezza che le salta in mente; è abituata a farlo più o meno da sempre. Ma ora Luke non c'è e River sa che su Calum può sempre contare e che, se l'ha chiamata, è perché vuole sapere come sta. «Ho fatto qualcosa di sbagliato, Cal? Perché se è così non me ne sono proprio accorta».

Lui nota la sua voce rotta, ma cerca di non farci caso – dubita che possa farle piacere che le si chieda se, ehi, mica ha pianto? «Non ne ho idea. Se non lo sai tu...»

In verità Calum un'idea ce l'ha, su quale possa essere il motivo della rabbia di Luke. Più che rabbia andrebbe chiamata gelosia, secondo lui, ma non può di certo dirlo a River, quando nemmeno il diretto interessato sembra pronto ad ammettere a se stesso di essere incredibilmente geloso. Calum si è lasciato un po' andare sabato sera, troppo concentrato sulle due ragazze più grandi sedute al loro tavolo per far caso alle solite sciocchezze di Ashton, ma a mente fredda e lucida si rende conto che per Luke non deve essere stato facile vederli insieme a comportarsi da coppietta – ed è stato Michael a raccontarglielo, perché, davvero, Cal aveva la testa altrove.

«No, davvero, non lo so. È stato strano tutta la mattina, poi a mensa è scoppiato e...»

«E se ne è andato a casa a dormire» concludono in coro, poi sospirano.

«Hai provato a parlargli?» le domanda lui, che non sa esattamente cosa fare in questa situazione. Luke non è il tipo da sfuriate; sì, okay, ogni tanto capita che dia i numeri, come tutti, ma non è solito prendere a male parole la gente solo perché è un tantino nervoso. Non River, comunque. Quel comportamento non è da lui, non è mai successo prima e Calum non sa come tamponare le ferite di nessuno dei due.

River scuote la testa, poi ricorda di dover anche parlare, se vuole farsi capire. «No, non saprei cosa dirgli. Non so per cosa scusarmi!» Ebbene sì, è già passata dalla fase “che abbia sbagliato qualcosa?” a quella “deve essere colpa mia”. Non è solita sentirsi in colpa quando non ha fatto niente di male, ma, trattandosi di Luke, non riesce a non giustificare quello scatto d'ira e l'unica motivazione valida è che lei lo abbia gravemente ferito in qualche modo. Anche se davvero non sa come.

«Forse non devi farlo. Cosa ti ha detto?»

Le fa male ripercorrere mentalmente la conversazione, ma si sforza di farlo. «Che devo smettere di pensare solo a me stessa. Pensa che io lo spinga a partecipare alle regionali perché l'idea piace a me e che sabato sera abbia monopolizzato l'attenzione, in qualche modo» riassume.

Sono quelle le parole che danno la conferma ai timori di Calum. Ora la questione è: come si placano i bollenti spiriti di un innamorato geloso e inconsapevole di esserlo? Come placare i bollenti spiriti di Luke in generale è un bel mistero, perché lui di solito è quello tranquillo.

Gli viene da ridere, però, se pensa che Luke abbia detto certe cose proprio a River, che passa sempre troppo tempo a preoccuparsi per gli altri. Per lui in primis. «Be', Riv, sei parecchio egocentrica, devi ammetterlo» osserva in tono palesemente canzonatorio. Trattiene a stento le risate, che poi libera non appena lei lo rimprovera con un ironico «Senti chi parla!». Ridono entrambi, lei con molta meno convinzione di lui, ma è pur sempre meglio di niente.

Dopo le risate, rimangono in silenzio qualche istante. River si sta ancora interrogando sul perché del comportamento di Luke – non ha smesso un attimo di pensarci da quando è riuscita a fermare le lacrime, dopo la pausa a pranzo – e Calum sul da farsi. Alla fine, pur non essendo arrivato a nessuna conclusione, le promette che «Si sistemerà tutto. Non preoccuparti, si tratta pur sempre di Lukey».

*

«Sabato pomeriggio» annuncia Ashton sedendosi allo sgabello della batteria nel garage di casa sua. «Vi voglio tutti in spiaggia: facciamo un falò, cantiamo, suoniamo e scriviamo!»

Calum ride, perché sa che “scriviamo” vuol dire che l'unico a scrivere sarà proprio lui, magari con la collaborazione di Luke o Mickey, ma non quella di Ashton – come al solito. «Ci sto!» esclama comunque per primo.

Michael ci pensa su un attimo, poi annuisce sorridente. «Io porto la pizza» comunica loro, come da copione.

«E le ragazze» gli ricorda Cal.

Lui aggrotta le sopracciglia e lo guarda spaesato. «Ragazze?»

«Sì, Shae-Lee e Deborah!»

Luke sghignazza e osserva che «Sicuramente Deborah sarà entusiasta del tuo invito». Michael ride con lui e annuisce, ma, prima che possa rispondere, Ashton picchia forte le bacchette sui piatti attirando l'attenzione e qualche occhiata infastidita. «E River, ovviamente. Lukey, ci pensi tu, ad avvisarla?»

E Luke si rabbuia, anche se Calum è l'unico a notarlo e a sapere il perché. Rimane in silenzio e fissa le corde della chitarra che sta accordando mentre annuisce mestamente e dà conferma: «Sì... Sì, ci penso io».

Meno convinti di così, pensa Cal, non si può essere.

*

Quando Luke si siede vicino a lei il giorno dopo, River ha lo sguardo incollato sul banco e il sangue che le pulsa forte nelle orecchie; ha paura di quello che potrebbe dirle. Non sono andati a scuola insieme questa mattina, lei si è svegliata tardi e non sono riusciti ad incontrarsi – nemmeno sa se lui l'abbia aspettata o meno. Al momento del suo arrivo in aula, poi, lui non c'era; lei si è seduta al solito posto e ora non sa cosa aspettarsi dalla presenza di Luke al proprio fianco.

Lo sente sospirare e trattiene il fiato, finché non le dice: «Sabato andiamo in spiaggia a festeggiare. Tu... vieni?»

River lascia fuoriuscire l'aria dai polmoni, ma ha ancora paura di sentirsi sollevata. «Tu... io...» Vorrebbe dire qualcosa di intelligente, parlare della discussione del giorno precedente, ma non ci riesce. «D'accordo» risponde infine, sforzandosi di sorridere.

Luke da una smorfia che vorrebbe sembrare un sorriso, poi torna a fissata il vuoto davanti a sé, mentre River sprofonda nuovamente nell'inquietudine di quella situazione nuova e dolorosa. Non saprebbe dire se lui sia arrabbiato, se sia necessario scusarsi o se sia lui a doverlo fare. Si limita quindi a piegare la testa e a lasciare che i capelli lunghi creino una barriera tra loro, che non possono più vedersi negli occhi.

*

La campanella che annuncia la fine della prima ora è appena suonata e Michael lascia cadere la testa all'indietro, ringraziato il cielo di poter dire addio all'insegnante di matematica almeno al giovedì. Ha consegnato il compito in classe già da un quarto d'ora e la sua cartella è già pronta, quindi mette lo zaino in spalla e si alza. Oggi però non esce a passo pigro diretto all'aula della lezione seguente; si gira invece, nel più completo imbarazzo, verso il banco di Shae-Lee e aspetta.

Ad accorgersi di lui per prima sembra essere Debbie, che di fatti sbuffa e comunica spassionatamente all'amica che qualcuno la sta cercando. Michael si scompiglia e risistema i capelli, a disagio; poi, quando Shae-Lee gli sorride e lo saluta, gli viene automatico fare lo stesso.

La ragazza smette di riporre le proprie cose nella borsa e si limita a guardarlo, in attesa, e lui prende un respiro profondo. Da quando è così difficile parlare con lei? Perché, soprattutto? Conta fino a tre e poi si butta: «Ti ricordi della pizza di cui parlavamo ieri?»

Shae-Lee si paralizza sul posto e sente una strana sensazione di freddo calarle sulla nuca.

E così anche la sua unica, minuscola e insignificante speranza di uscire con Michael sta andando a farsi friggere, eh?, pensa. Respira a fondo e annuisce lentamente, mentre si prepara ad incassare il colpo sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisi. Ci saranno altre occasioni, forse, no?

«Be', ecco, Ashton vuole andare in spiaggia a festeggiare la proposta di tua sorella, quindi...»

«Okay» lo interrompe lei, che già sorride il più possibile, stringendosi le mani l'una nell'altra, mentre continua nervosamente a spostare il peso dalle punte dei piedi ai talloni. «Non ti preoccupare, possiamo rimandare».

Michael si zittisce e sgrana gli occhi, senza capire. Senza pensarci lancia un'occhiata a Deborah, ma se ne pente subito, perché il suo sguardo manifesta tutto il disprezzo che nutre nei suoi confronti. Aggrotta le sopracciglia, sconcertato da quell'immotivata ostilità, e torna a guardare Shae-Lee. «Di cosa stai parlando?» le chiede. Ha le guance arrossate e gli lucidi e a lui piacerebbe tanto sapere il perché, ma non ha il coraggio di chiederlo.

Lei si morde l'interno della guancia e scrolla le spalle. «Sì, insomma, se hai da fare...»

E allora Michael capisce e scoppia a ridere, sotto lo sguardo confuso di Shae-Lee. «No!» esclama, cercando di ricomporsi. Ora in parte riesce a capire la sua reazione, anche se ancora non si spiega il perché degli occhi lucidi. Forse è solo stanca. «No, ti sto invitando. Vi sto invitando» specifica, azzardando un'altra occhiata in direzione di Deborah, che ora spia il cellulare con aria corrucciata, anche se lui sa che li sta ascoltando. «Sarebbe forte, se ci fossi anche tu. Cioè, anche voi».

Shae-Lee sta avvampando. È sicura al cento per cento che da un momento all'altro prenderà fuoco e morirà per autocombustione guardando gli occhi grigi di Michael, il quale, come le dirà Debbie di lì a poco, comunque è un idiota e non capirà mai un cavolo. Dopo tutto è un bel modo di morire e le permetterà di levarsi da quella situazione imbarazzante. Non ha idea di cosa dire, quindi scoppia a ridere di cuore, dandosi mentalmente della stupida – perché fa sempre queste figure?

Ridono insieme, mentre Deborah li guarda contrariata e sbuffa un paio di volte.

«Ci saremo. Tutte e due» conferma infine, rivolgendogli un'occhiata di scuse in cui persino lui riesce a leggere un “Perdonami la gaffe, sono una povera cretina”.

Michael sorride. Quella ragazza è buffa. «Andata. Be', ci vediamo a lezione» si congeda, un po' rosso sulle guance, e si allontana.

Quando varca la soglia, si volta a guardarla un'ultima volta e sorride a mo' di saluto, cosa che fa arrossire Shae-Lee ancora di più.

Debbie invece si domanda, giustamente: «Lo sa che abbiamo letteratura inglese in comune, secondo te?».

L'amica lo difende a spada tratta, come sempre. «Certo che lo sa!» esclama infatti, quasi offesa da quell'insinuazione.

«E allora perché questo addio sdolcinato?»

Shae-Lee ride, perché trova ridicola quell'osservazione. Sdolcinato? È solo tanto carino di natura, non c'era una particolare dolcezza in quel saluto. «Non dire sciocchezze».

«Ah, e poi» aggiunge l'altra, incrociando le braccia con stizza. «Come sarebbe che “ci saremo, tutte e due”?» la cita, incredula.

Shae le sorride con aria innocente. «Tu non vieni?»

«Non credo proprio».

«Oh, avanti

«Non sai nemmeno dove o quando».

«Sabato in spiaggia!»

«Shae, no. Non mi piacciono quei ragazzi».

«Ma ci sarà sicuramente River! Dai, dai, ti prego, Debbie!»

«Ti ho già detto di no».

«Vuoi davvero lasciarmi da sola con loro? Con Michael?»

«...Fammi sapere a che ora, ma sappi che non mi metterò in costume!»

*

All'uscita da scuola, Shae-Lee sta di nuovo fingendo di aver perso qualcosa all'interno dello zaino, mentre temporeggia per aver la possibilità di vedere tutti gli studenti uscire, in particolare uno.

Quello che conosce come Ashton Irwin è in piedi accanto alla propria bicicletta, in attesa dei soliti amici e la sua presenza lì sta a significare che Shae-Lee non è in ritardo. Sono praticamente sulla stessa barca, aspettano le stesse persone, solo che con Ashton non c'è nessuna Debbie che sbuffa e sibila minacce di morte o di lente torture “se non smetti subito di fare la cretina”. Shae-Lee, in ogni caso, è diventata un'esperta a far finta di nulla, quando sente la sua migliore amica lamentarsi, per cui continua nella sua impresa finché non ha l'occasione di vedere per caso Michael, con Luke e Calum, che raggiunge il suo amico.

Mickey, addirittura, la saluta per primo e lei sente le farfalle svolazzare allegramente nello stomaco, mentre le guance le si tingono di rosso e il suo sorriso si allarga a dismisura.

Così, mentre le facoltà mentali di Shae-Lee sono momentaneamente spente o non raggiungibili, è Debbie ad accorgersi che qualcosa nel solito gruppo stona. «Dov'è River?» domanda infatti, guardandosi attorno.

Solo allora anche l'altra nota che qualcosa non va. Si guarda attorno, senza tuttavia trovare la chioma rossiccia di River, che solitamente spicca nel gruppetto di ragazzi. Al suo posto, proprio mentre sta per supporre che forse è uscita prima da scuola, vede Luke voltarsi a cercare qualcuno con lo sguardo. Poi Calum gli dice qualcosa, guardando a sua volta verso il portone della scuola; l'altro scrolla le spalle e si gira tornando ad ascoltare il dialogo tra Michael ed Ashton.

Shae-Lee corruga la fronte e chiude la cartella, in cui può smettere di fingere di aver perso qualcosa. «Non lo so» ammette, e dalla sua espressione l'amica capisce che la faccenda le puzza quanto a lei.

Deborah dunque rizza le spalle e lega i capelli in una coda di cavallo bassa, poi soffia un ciuffo ribelle via dalla fronte e, «Vieni, andiamo a cercarla», trascina l'altra all'interno della scuola, decisa ad accertarsi che vada tutto bene.

Debbie Melvin, pensa Shae-Lee sorridendo, mentre attraversano il piazzale fuori dall'edificio, è la persona più materna e protettiva che abbia mai conosciuto. Si sono conosciute il primo giorno delle superiori, quando si è seduta accanto a lei con la testa alta e il suo sguardo fiero, volti a mascherare il tremolio che le scuoteva le ginocchia.

Sola in una scuola in cui non conosceva nessuno, le aveva poi rivelato di aver scelto proprio Shae-Lee Anning come compagna di banco poiché sembrava l'unica abbastanza amichevole e carina da poter vedere al di là della sua scorza dura. Perché Debbie Melvin era consapevole di sembrare una stronza a tutti gli effetti, vista da fuori, ma quell'armatura di ghiaccio era l'unico modo per evitare che degli estranei approfittassero di tutto il miele nascosto al suo interno.

Ora, Shae-Lee è solita farle notare che nemmeno lei, che la conosce da anni ormai, ha mai avuto modo di sperimentare questo miele –di cui tanto parla, ingozzandosi di nutella, dopo che qualcuno le ha dato della stronza acida–, ma la verità è che le va benissimo così. Sa che c'è, questo lato dolce; lo scorge ogni volta che Debbie prende qualcuno sotto la propria ala protettiva, ogni volta che fulmina con lo sguardo Michael Clifford dopo che l'ha illusa o ferita per l'ennesima volta senza nemmeno accorgersene; se ne rende conto quando, nonostante tutto, dimostra di fidarsi abbastanza da lasciare che lo stesso Michael Clifford la accompagni a casa il sabato sera. Lo dimostra quando accetta di uscire con lui e i suoi amici svitati, per star vicino alla sua amica, lo dimostra quando corre all'interno della scuola per assicurarsi che la piccola e dolce River Loveday stia bene e nessuno di quei cretini –e sicuramente Debbie saprebbe già chi incolpare– le abbia fatto del male.

La versione ufficiale del suo caratteraccio, che Debbie va diffondendo ogni qual volta qualcuno glielo chiede, è che l'unica sua caratteristica che superi la sua misantropia è la misandria (che, se ve lo state chiedendo, è l'odio verso il genere maschile; Shae-Lee non aveva idea che quella parola esistesse, finché la sua amica non ha iniziato ad inserirla in tutte le salse, più o meno l'anno precedente). Non per nulla è convinta che al mondo esistano così poche persone non meschine, che è strettamente necessario proteggerle ed evitare che la gente le distrugga.

La realtà, invece, è che Debbie ha paura delle persone che la circondano. È molto più fragile di quello che voglia ammettere, teme che qualcuno possa spezzarla come sua madre ha spezzato suo padre andandosene di casa quando lei era ancora una bambina. E non importa che ora lui sia sposato con una delle persone più dolci e materne che lei abbia mai conosciuto, che Jessie l'abbia aiutata a trascinare suo padre fuori dalla depressione, che siano finalmente felici, che le vogliano bene e lei li ami più della sua stessa vita. Non importa, perché ormai il danno è fatto e Debbie non tornerà più a fidarsi delle persone come un tempo, l'idea che quelle buone siano solo eccezioni alla norma non riesce ad abbandonarla. Una parte di lei non smetterà mai di odiare sua madre per averla resa la stronza che tutti, lei compresa, pensano che sia.

«Ehi! Riv!» Debbie ha smesso già da un po' di guardare dove sta andando, quando Shae-Lee le prende il braccio e la costringe a fermarsi; si riscuote e nota finalmente la ragazza che cammina a testa bassa in un angolo del corridoio. All'improvviso si è dimenticata di tutto ciò a cui stava pensando e sta già sorridendo incoraggiante. «Ehi» ripete, avvicinandosi. «Tutto okay?» Ma è ovvio che non sia tutto okay.

River non sta piangendo, non mostra il broncio, non trascina i piedi; semplicemente abbozza un sorriso così tirato che chiunque si accorgerebbe che sorridere è l'ultima cosa che le va di fare. E cammina di lato in un corridoio vuoto, come se si stesse nascondendo, come se nemmeno da sola si sentisse in diritto di stare al centro dell'attenzione. Debbie è già arrabbiata con chiunque la stia facendo soffrire, chiunque sia quel qualcuno.

L'ha presa in simpatia fin dal primo momento, quando si è sforzata di fare amicizia parlando per prima, al Denim, anche se non le conosceva. Ha iniziato a stimarla quando si è resa conto di non piacerle, per via dell'esplicito disprezzo nei confronti di Michael; l'ha stimata un po' di più quando si è sforzata di essere carina con lei, nonostante l'antipatia, per poi smettere di sforzarsi e trovarsi a proprio agio con lei e Shae-Lee – e in linea di massima, se ti piace Shae-Lee, è probabile che tu piaccia a Debbie. Si è persino intenerita sentendola parlare di Luke, percependo quell'amore inconsapevole che prova nei confronti del migliore amico. Prima che la serata fosse giunta al termine, Debbie aveva deciso che River aveva bisogno di essere protetta.

«Potrebbe andare meglio» è la laconica risposta della ragazza; non ha voce rotta o tremula, ma parla così piano che, se solo il corridoio non fosse deserto, non la sentirebbero.

Basta uno scambio di sguardi tra Debbie e Shae-Lee, perché, senza nemmeno parlare, decidano il da farsi.

*

Sono le quattro del pomeriggio e River dovrebbe davvero studiare per il giorno seguente, invece è seduta a gambe incrociate sul tappeto nella stanza di Shae-Lee Anning con una ciotola di gelato tra le mani, mentre lei e Debbie cercano di trovare una spiegazione all'insolito comportamento di Luke del giorno prima.

La risposta di Deborah è la più prevedibile: «È un ragazzo, Riv, non farci caso. Sono cretini per natura».

Shae-Lee, come è naturale, ha una precisazione da fare, da brava ragazza innamorata: «Non sono tutti così!»

A quel punto la prima ride sprezzante e si esibisce in una smorfia scettica. «Sì, invece. Il cromosoma Y è portatore di coglionaggine» osserva.

River mangia un'altra cucchiaiata di gelato alla vaniglia e trattiene le risate. Ha passato così tanto tempo con Luke e i ragazzi che negli ultimi anni ha quasi dimenticato come fosse trascorrere un pomeriggio tra ragazze. È ormai così abituata di parlare di donne, anziché di uomini, e di musica, che si era quasi dimenticata della possibilità di parlare d'altro. Lascia scorrere lo sguardo sulla stanza, rigenerata dall'aver finalmente staccato un po' la spina dagli opprimenti timori e sensi di colpa degli ultimi due giorni, finché non nota qualcosa che la fa sorridere. «Ma è una chitarra, quella?» domanda scioccamente, quando vede lo strumento acustico, laccato di blu, posato in un angolo.

Shae-Lee, che stava per replicare nuovamente all'opinione dell'amica, viene di stratta e segue il suo sguardo. «Oh, sì, è mia!» risponde poi, in maniera altrettanto stupida, tanto che Debbie alza gli occhi al soffitto e scoppia a ridere –sono proprio una bella coppia di stordite, pensa bonariamente. «Vuoi provarla?»

«Posso?» sussurra lei, emozionata. Stenta a credere che qualcuno lasci il proprio strumento nelle mani degli altri così facilmente, i ragazzi trattano i propri malissimo, ma non riescono a sopportare l'idea che qualcun altro possa usarli al posto loro. Non per nulla l'unico strumento che abbia mai avuto modo di provare è proprio la chitarra di Luke.

«Ma certo» risponde Shae-Lee con ovvietà; l'attimo dopo è già in piedi e gliela sta portando. «Non sapevo suonassi» commenta, come se fossero amiche da sempre e fosse naturale conoscere tutti i dettagli della vita dell'altra.

È proprio questa piccola lacuna logica che Debbie vuole farle notare con l'occhiata divertita che lancia alla migliore amica, la quale però sembra non coglierne il significato. In ogni caso, a Debbie fa piacere che Shae abbia fatto quella piccola gaffe: vuol dire che non è l'unica a trovarsi così tanto a proprio agio con la piccola River – che poi così piccola non è, ha solo un anno in meno, ma quello è l'epiteto con cui è stata archiviata nella sua mente.

«Be', non sono molto brava» ammette la ragazza in questione, sorridendo con entusiasmo quando finalmente tiene lo strumento tra le mani. «Però Luke mi ha insegnato a suonare gli accordi di Smoke on the water» spiega, mentre posiziona le dita sulle corde, cercando di ricordarsi come riprodurre quelle poche note imparate. Scopre con un pizzico di sorpresa che senza Luke che la osserva con attenzione è più facile riprodurre quella breve sequenza, anche se non senza incertezze.

«Non male!» si complimenta Debbie, mettendo dell'altro gelato nella propria ciotola. Le rivolge uno sguardo amichevole e continua: «Shae non è riuscita a farmi imparare nemmeno Jingle Bell, l'ultima volta che ci ha provato».

«Debs non è portata per la musica» commenta l'altra, divertita.

«Sì, invece. Solo che preferisco ascoltarla».

River ridacchia; la capisce, anche lei si è sempre sentita un'incapace tra i suoi amici musicisti. «Siamo in due» risponde, riproducendo un'ultima volta i pochi accordi imparati. «Luke ha impiegato settimane per insegnarmi questo. Grazie mille» aggiunge, porgendo poi con attenzione la chitarra alla sua legittima proprietaria, che, come se niente fosse, la imbraccia e comincia a strimpellare.

River la guarda come incantata, mentre Debbie sorride e si chiede se non stia pensando al suo caro Luke Hemmings mentre suona lo stesso strumento. Lei invece la sorprende, dando voce alle proprie riflessioni: «Credo che Mickey impazzirebbe se ti vedesse suonare».

Shae-Lee sgrana gli occhi e arrossisce tanto che per un attimo le ragazze credono si sia strozzata con la saliva; quando scoppia invece in una risata nervosa, Debbie capisce che si tratta solo di sorpresa ed emozione.

Evviva Michael Clifford, che fa danni anche quando non c'è!, pensa.

«P-perché dici così?» balbetta Shae-Lee, senza riuscire a smettere di sorridere. Per un istante ci ha provato, a ricomporsi e far finta di niente, ma si è subito resa conto delle proprie difficoltà di autocontrollo e finzione.

Il sorrisetto compiaciuto che spunta sul viso di River lascia intuire a Debbie che lei sappia molto più di quanto l'altra non creda, come poi conferma il suo canzonatorio «Perché, per caso la cosa ti interessa?», seguito da una nuova risata. «Gli piacciono le ragazze che suonano. Una volta ha parlato di un'ipotetica ragazza ideale che suoni il flauto, ma credo si trattasse di un doppio senso».

Mentre Shae-Lee arrossisce violentemente, questa volta è Deborah a scoppiare in una grassa risata liberatoria. L'ha sempre detto, che i maschi sono degli idioti, no? A volte dà soddisfazione avere sempre ragione – altre molta di meno. «Ecco, questa ci voleva proprio» osserva; «finora hai parlato di loro come persone intelligenti, finalmente i conti tornano».

La successiva risatina di River è un po' incerta, di fatti si affretta a ritrattare: «Be', dicono un sacco di sciocchezze, come tutti, ma sono davvero belle persone».

Debbie abbozza un sorriso consapevole. «Sarà per questo che qui tutti tranne me hanno un debole per uno di loro» butta lì con naturalezza, anche se la sua tranquillità non impedisce alle altre due di arrossire e lasciarsi sfuggire un sorrisetto.

«Si nota tanto?» mormora River, senza avere il coraggio di guardare le sue nuove amiche negli occhi; fissa invece la propria ciotola di gelato ormai sciolto, rimestandoci dentro col cucchiaino.

Deborah si scambia uno sguardo d'intesa con Shae-Lee ed entrambe, in coro, confermano: «Abbastanza», risposta che fa arrossire e ridacchiare River ancora una volta.

Mormora un'imprecazione, nascondendo il volto tra le mani.

Durante questa pausa di silenzio, in cui River si nasconde per l'imbarazzo e Debbie la guarda intenerita, Shae-Lee decide di mettere le carte in tavola con chiarezza. «Sono irrimediabilmente innamorata di Michael» dice tutto d'un fiato, senza pause tra una parole e l'altra. Pronunciare quella frase ad alta voce di fronte ad altri la fa avvampare e le agita le farfalle nello stomaco, poi scoppia a ridere, perché quello è il modo in cui è abituata a scaricare la tensione.

River dischiude le dita per spiare l'altra ragazza tra di esse e «Ma non mi dire?» commenta in tono divertito.

Questo fa ridere di nuovo Debbie, mentre Shae-Lee boccheggia e accarezza il legno laccato della propria chitarra acustica.

È Deborah a riprendere in mano la conversazione, osservando in tono amareggiato che «Pare proprio se ne siano accorti tutti tranne lui».

River sa che non dovrebbe svelare certe conversazioni avute con i ragazzi, che sono argomenti privati, confidenze tra amici, ma sente di potersi fidare, come da un sacco di tempo non le succede parlando con un'altra ragazza. Quindi lo dice comunque: «Credo di sì. Se n'è accorto anche Luke, che prima di sabato la conosceva solo come “quella che nuota bene”».

La diretta interessata sospira e borbotta qualche confusa protesta rivolta alla propria totale incapacità di mascherare i sentimenti. River non lo dice, ma pensa che quella sia tutt'altro che un difetto: è convinta che la sincerità, voluta o meno, sia un pregio. Non lo sa, ma anche Deborah la pensa allo stesso modo.

«Sono un caso perso» mormora infine Shae-Lee.

River sospira e stringe le mani l'una nell'altra. «Non sei l'unica. Ho una cotta per Ashton da un sacco di tempo, ma lui...»

«Ashton?!» la interrompono in coro le altre due, alternando occhiate confuse a River e tra loro.

La ragazza ammutolisce e si acciglia, sorpresa da quella reazione. «Sì... Ashton. Perché?»

«No, nulla, è che pensavamo...» Shae-Lee lascia la frase in sospeso, troppo sconcertata per dire ciò che pensa. È il caso di farglielo sapere?, si chiede. Lascia dunque che sia Debbie a scuotere lentamente il capo e troncare il discorso.

«No, niente, scherzavamo» cerca di svicolare quella. «E Luke, invece?» domanda poi, davvero curiosa di capire come stanno le cose. «È davvero carino. È impegnato?» aggiunge assottigliando lo sguardo. Non riesce proprio a credere di essersi sbagliata: River deve avere un debole per quel ragazzo; facendo il nome di Ashton le ha appena fatto crollare una certezza assoluta.

Di fatto, il suo tentativo di suscitare gelosia sembra pungere River sul vivo: lei dischiude le labbra e sgrana gli occhi, aggrotta poi le sopracciglia e scrolla le spalle. Suona parecchio fredda ed elusiva quando dice che «È più interessato alla musica che alle ragazze, al momento». Anzi, suona così gelida che persino lei senza rendersene conto, ecco perché poi aggiunge in tono più amichevole: «Però Calum è sempre disponibile a fare nuove conoscenze, se ti interessa».

Ma a Debbie non interessa, proprio per niente, replica con un sorrisetto compiaciuto che ha poco a che fare con la disponibilità del ragazzo dagli occhi a mandorla.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Le note anche questa volta all'inizio, perché boh. Se c'è ancora qualcuno che segue questa storia, lo ringrazio di cuore. Mi fa piacere sapere che c'è qualcuno (se c'è qualcuno XD) che mi segue nonostante queste lunghissime attese tra un capitolo e l'altro. Vi dirò la verità: non scrivo dal 23 aprile (oggesù. Aprile. Non mi ero accorta che fosse così tanto tempo o.o). Sto ricominciato solo in questi giorni, dopo aver sistemato un paio di conti in sospeso con me stessa - sono una persona molto paranoica, se ve lo state chiedendo, e il solo fatto di non riuscire a scrivere mi faceva impazzire. Ecco, questo è per farvi capire che sono indietro come i gamberi con la stesura dei capitoli, che molto probabilmente questo capitolo sarà peggiore dei precedenti (e il prossimo forse anche peggio), perché sto cercando di riprenderci la mano dopo questo periodo di blocco. Spero di riuscirci.
Prima di lasciarvi al capitolo, voglio scrivere qualche altra cosa.
1. Grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno scritto, hanno inserito la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati (non so perché l'ho scritto al maschile, ma non mi va di correggere). Ho promesso a molti che non avrei abbandonato la storia e mi sto impegnando per mantenere la promessa, anche se impiego secoli per aggiornare. :)
2. Chiedo scusa se non ho risposto alle recensioni. Il più delle volte mi imbarazzo leggendole e passo il tempo a ridacchiare e ad arrossire e, giuro, sono enormemente grata ad ogni lettore. Solo che sono pigra e non sono brava come si pensa ad esprimere i miei sentimenti. Ma, ehi, grazie! Sul serio, grazie.
3. Grazie tantissime alla mia Bobbol Fede (aka Rigmarole qui su efp), che mi ha betato il capitolo. Grazie delle puntualizzazioni e della tantissima pazienza e compagnia! ♥ 
4. ASPARAGI
5. Felice fine scuola a tutti voi! ♥

Lots of love, 
Mich


 

 

 

6.

 

Quando finalmente la settimana giunge al termine, il sabato arriva e porta con sé un cielo grigio che promette tutto fuorché un allegro pomeriggio tra amici sulla spiaggia. C'è chi prega intimamente che quel tempaccio sia l'occasione perfetta per abbandonare quei progetti e non dover passare del tempo con gli altri, chi si morde le labbra e incrocia le dita nella speranza che torni il sole e chi, invece, semplicemente non si fa scoraggiare da un po' di nuvoloni neri, ma recupera le tende da campeggio dal garage con l'intenzione di usarle per costruire un riparo – seppur precario.

Il clima è caldo e umido, nonostante tutto, e per questo l'idea di stare chiusi tra quattro mura di tela cerata non entusiasma nessuno, ma Ashton, Luke e Calum hanno comunque appena finito di montare le tende, per avere un luogo in cui ripararsi in caso di pioggia.

Michael strimpella la chitarra seduto su un tronco assieme a River – se glielo chiedi, le sta tenendo compagnia, non sta affatto evitando di lavorare. Shae-Lee e Debbie non sono ancora arrivate, e lui inizia a temere che non si presenteranno. Se così fosse, gli dispiacerebbe molto: in fondo gli piace l'idea di poter trascorrere del tempo tutti insieme, senza che Calum o Ashton si sbronzino incasinando la situazione. Anche River sembra non veder l'ora che arrivino le ragazze, nota lanciandole un'occhiata: continua a guardarsi intorno, a torturarsi le mani, a combattere la voglia di alzarsi e chiedere a Luke che razza di problema abbia.

Anche a Michael piacerebbe saperlo. Sono giorni che lui e River non si parlano e una cosa del genere non si è mai vista prima d'ora, probabilmente. A volte discutono, certo, e giurano di non parlarsi mai più, come i bambini, ma non dura mai più di qualche ora, perché sono l'una il rifugio dell'altro e non c'è altro luogo in cui possano andare a nascondersi.

In un momento di particolare poesia, mentre osserva gli altri ragazzi completare il montaggio delle tende, pensa che se cadesse un diluvio e Luke e River non avessero un riparo, nemmeno lo cercherebbero, stando le cose normalmente: si proteggerebbero a vicenda dalle intemperie. Poi ci ripensa, inarca le sopracciglia e promette a se stesso che non dirà mai in vita sua una cosa del genere ad alta voce, perché un pensiero così patetico non è mai stato partorito da nessuno. Ride, quindi, attirando lo sguardo incuriosito di River.

«Che c'è?» gli chiede, e non insiste quando lui scrolla le spalle con noncuranza e il suo classico sorriso trasognato. In tutta sincerità, è proprio contenta che Shae-Lee si sia presa una cotta proprio per lui: sarebbero tenerissimi insieme e, senza alcun dubbio, Mickey non le farebbe mai del male di proposito, è troppo gentile per farlo. Sono entrambi dolci, eccentrici e un po' svampiti – non riesce a immaginare una coppia migliore di quella. Sul serio.

Rivolge lo sguardo alle tende e trova subito la figura di Luke. Quello è proprio il genere di cosa che confiderebbe a lui e a nessun altro, perché è troppo sciocco per essere raccontato a Deborah, troppo personale per essere detto a quell'indiscreto di Calum e troppo confidenziale per poterlo condividere con chiunque altro – soprattutto con i diretti interessati. Le manca, Luke. Le mancano le loro occhiate d’intesa, le conversazioni idiote almeno quanto quelle profonde; le manca camminare in silenzio spalla a spalla – circa, perché lei è molto più bassa – per strada, le mancano le sue linguacce ben poco espressive intercettate durante la lezione, quando lei distoglie lo sguardo dall'insegnante per cercare distrazioni dalla noia. Le mancano le sue visite improvvise nel bel mezzo del pomeriggio perché “non ho voglia di studiare”. Le manca il suo migliore amico.

Vorrebbe solo sapere in che modo sia riuscita a rovinare tutto e come poterlo aggiustare, quel tutto.

 

*

 

Quando le ragazze arrivano, Calum va loro incontro a braccia spalancate con tutta l'intenzione di accoglierle con un abbraccio; soprattutto Deborah, che, dal canto proprio, non nutre lo stesso desiderio. Trovandosi faccia a faccia con lui, infatti, lo evita con un'improvvisa deviazione e si affretta a salutare River, l'unica che abbia davvero voglia di incontrare.

Non passa nemmeno un minuto prima che Ashton proponga di fare legna per improvvisare un falò e che Shae-Lee, che ancora non ha avuto il coraggio di rivolgere la parola a Michael, dia di gomito a River, la quale spontaneamente si offre volontaria per dargli una mano.

Deborah avrebbe almeno tre valide motivazioni per obiettare, qualcuna più egoistica delle altre – Non è contro la legge accendere fuochi senza autorizzazione? Al povero Luke non dispiace che River si allontani? Ed è proprio necessario portarle via l'unica persona che non perde completamente il lume della ragione appena vede Clifford? –, ma fa un respiro profondo e si morde la lingua per non rompere le uova nel paniere di nessuno. Dopotutto ha accettato di propria volontà, anche se non senza un subdolo incoraggiamento, di raggiungere gli scapestrati in spiaggia, e ora non può pretendere di rovinare loro la festa – non così presto, almeno, può sforzarsi e aspettare ancora un pochino.

Così River e Ashton si allontanano insieme lungo la spiaggia, conversando spensieratamente, senza che si accorgano delle cinque paia di occhi che li fissano. Il primo a distogliere lo sguardo è Luke, che non sa spiegarsi l'improvviso moto di rabbia che lo coglie. Sbuffa, dimentica qualunque cosa stesse per fare e si siede sul tronco accanto a Michael, dove poco prima stava lei. Imbraccia la propria chitarra e cerca di non pensare a nulla al di là della musica, nonostante la tentazione di voltarsi e guardare quell'orribile accoppiata passeggiare.

All'improvviso è calata su di loro una strana pesantezza, che è Calum a scacciare con un saluto allegro dei suoi: «Be', ciao ragazze! È un piacere vedervi! Mickey iniziava a pensare che non sareste venute!» esclama, spalancando di nuovo le braccia.

Il sorriso di Shae-Lee si allarga a dismisura udendo quelle parole, reazione che fa roteare gli occhi a Debbie e guadagnare una sua occhiataccia a Cal – era proprio necessario illuderla ulteriormente?

Michael nel frattempo è arrossito; dà una spinta al suo amico facendolo barcollare. «Non è affatto vero!» protesta. Poi, borbottando e senza riuscire a guardare nella loro direzione, specifica che aveva solamente preso in considerazione l'idea.

Calum sogghigna, Shae-Lee ridacchia e si trattiene dal saltellare per la gioia causata da quella rivelazione; Debbie si chiede perché l'abbia seguita fin lì, visto che non ha alcuna voglia di avere a che fare con quei cretini. Lancia poi un'occhiata preoccupata a Luke, che tiene lo sguardo basso sulle corde della chitarra e non apre bocca, emettendo note appena accennate nello sfiorare lo strumento con le dita.

«Avevamo promesso di venire, non avremmo mai tirato pacco senza avvisare» sta squittendo Shae-Lee allegramente, intanto. Non solo sembra del tutto a proprio agio tra loro, ma è anche estremamente su di giri: è la prima volta che esce con Michael! Okay, non sono soli e non si può proprio definirlo un appuntamento, ma sono comunque in giro assieme ed è stato lui a invitarla di propria volontà, senza che lei lo proponesse per prima. È più di quanto abbia mai sperato.

Lancia una breve occhiata a River e Ashton; stanno scegliendo i rami proprio in riva al mare. Per un attimo si chiede se non sia più saggio cercare dei rami secchi più lontano dall'acqua, ma poi realizza che probabilmente all'amica importa solo passare più tempo possibile con il ragazzo per cui ha una cotta; Ashton invece... be', prima o poi lo capirà.

Torna quindi a concentrarsi su Michael, che borbotta contrariato in direzione di Calum, il quale sembra divertirsi un mondo a prenderlo in giro. Shae-Lee non sta ascoltando, non sa cosa gli stia dicendo, ma pensa che quando arrossisce d'imbarazzo è terribilmente carino. Quindi arrossisce a propria volta e sorride intenerita.

Non ci vuole molto perché Michael sbuffi con stizza e, «Sta' zitto, Calum», ponga fine alla presa in giro con un mezzo sorriso. Si rivolge poi con sorprendente nonchalance a Shae-Lee: «Vado a ritirare le pizze qua vicino. Vieni con me?»

In un primo momento lei sgrana gli occhi e dischiude le labbra, poi si apre in un sorriso e annuisce, senza pensarci nemmeno per un istante. Come potrebbe rifiutare di passare un po' di tempo sola con lui? «Ci vorrà molto?» chiede allegramente; non che la prospettiva le dispiaccia, comunque.

Lui scrolla le spalle e scuote poi il capo. «Cinque minuti dalla spiaggia. Le abbiamo ordinate ieri e dovrebbero essere pronte. Cal, portafogli!» intima poi, porgendo una mano all'amico.

Calum fa una smorfia e «Ce l'hai in tasca» risponde.

Michael gli sorride sgranando gli occhi in un'espressione d'ovvietà. «Mi riferivo al tuo. Io sono al verde».

Ovviamente.

L'altro, messo alle strette da quella rivelazione, si volta a consultare Luke con lo sguardo. Lui in tutta risposta rivolta le tasche dei pantaloncini, dimostrandole vuote. Così a Calum Hood non resta che sbuffare sonoramente e «Mi sento generoso, Mike. Oggi offro io!» dice in tono leggermente acido, ma anche divertito.

Sono lì per festeggiare il successo del loro provino al Denim, per cui niente può davvero scalfire il suo buon umore oggi. Intercettando lo sguardo di sufficienza di Debbie, addirittura, le strizza l'occhio e sorride trionfante, poi però il suo sorriso si incrina quando nota l'espressione malinconica di Luke. Non tutti sono di buon umore oggi, no.

Ma gli amici servono a questo, giusto? «Luuuucaaas!» Un attimo dopo si è tuffato addosso al suo amico, che è caduto all'indietro con la schiena sulla sabbia, chitarra e Calum appresso.

Shae-Lee dischiude le labbra per la sorpresa, vedendoli sparire dietro al tronco; dalla propria posizione riesce a vedere solo le loro gambe intrecciate e scalcianti. A confermare che nessuno dei due ci ha rimesso le penne sono le risate singhiozzanti di Calum e un «Your band sucks!» che, a giudicare dal sorriso sollevato di Michael, deve essere un buon segno.

«Bene, andiamo?»

Shae-Lee annuisce e gli fa segno di precederla senza pensarci due volte. Solo quando ormai si sono avviati, si ricorda di un piccolo problema: si volta dunque indietro per controllare l'espressione di Debbie, rimasta sola a guardare con il capo inclinato e le sopracciglia aggrottate Luke e Calum che cercano di districarsi da quel groviglio di gambe, mani e chitarre.

«Debs?» la richiama, chiedendole il permesso di allontanarsi. Ha davverodavverodavvero voglia di stare un po' da sola con Mickey, ma è anche vero che non potrebbe mai abbandonare la propria migliore amica.

Deborah si volta a guardarla, e dopo aver contorto le labbra in una smorfia contrariata le sorride e la invita ad andare con un cenno del capo. Allora il sorriso di Shae-Lee si allarga, mentre saluta l'amica con la mano e torna a trotterellare allegramente al fianco della sua ormai storica cotta.

 

*

 

River cammina, ma i suoi piedi non toccano terra; fluttua come le farfalle nel suo stomaco, mentre ride e si bea della presenza di Ashton al proprio fianco. È strano come tutto d'un tratto sembri che le cose stiano andando nel verso giusto. I ragazzi hanno ottenuto il lavoro al Denim, le ragazze li hanno raggiunti sulla spiaggia, presto ci sarà pizza per tutti e sembra che il tempo voglia fare loro la grazia di non piovere. Se solo Luke non fosse ancora arrabbiato con lei, il quadro si completerebbe in un circolo di perfezione.

Ma adesso non vuole pensarci, a Luke. Non ha la minima idea del perché ce l'abbia con lei, ma non è la fine del mondo se per un attimo smette di angosciarsi per il malumore del suo migliore amico, no?

Ride, quando Ashton afferra un bastone e lo usa come stampella, fingendosi un vecchio zoppo. Solo in un secondo momento lui sembra notare il grosso insetto che ci stava passeggiando sopra, che ora si sta avvicinando pericolosamente alla sua mano; grida per lo spavento e lo lancia lontano, giustificandosi poi nei confronti della ragazza: «So che gli insetti ti fanno paura».

River ridacchia e scrolla il capo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloncini corti. «Sì, certo. Quanta premura!» commenta in tono divertito e poi si lascia abbracciare, dopo che «Sono il tuo eroe!» ha esclamato Ashton. «Anzi, un super eroe! Chiamami... chiamami Smash!»

È con la felicità a riempirle il petto – seppur con voce incerta e timida – che lo provoca: «Smash: il super eroe terrorizzato dagli insetti».

Come sarebbe a dire?, protesta lui. Lui non ha affatto paura degli insetti. Non ha paura proprio di niente. E, ehi!, River è pregata di smettere di ridere. Oh, non vuole? Bene, allora gliela darà lui, una ragione – e l'attimo dopo le sta facendo il solletico, causando risate più rumorose che, inevitabilmente finiscono con l'attirare l'attenzione di Luke, suo malgrado.

 

*

 

«A proposito di coppie non-coppie... com'è la situazione tra River e Luke?»

Michael e Shae-Lee sono appena usciti dalla pizzeria, lui regge i cartoni impilati – hanno comprato una pizza di ogni gusto, con i soldi di Calum – e lei trotterella al suo fianco, senza riuscire a smettere di sorridere. Il proprietario del piccolo locale li ha accolti ha domandato a Michael di presentargli la sua ragazza, al che sono entrambi arrossiti e lui ha cominciato a smozzicare frasi incoerenti, imbarazzato in maniera assolutamente buffa.

Mickey sgrana leggermente gli occhi, assorto, e senza neanche rifletterci inizia a parlare. Forse lei non lo ricorda, ma già una volta ha definito il loro rapporto “complicato”. Da un certo punto di vista – il loro punto di vista –, di complicato non c'è proprio nulla: sono migliori amici fin da quando erano piccolissimi, sono cresciuti insieme e tra loro è nata una complicità inimitabile. Nessuno dei due si è minimamente accorto di provare qualcosa in più che semplice affetto nei confronti dell'altro. Michael non è un tipo che ha le idee così chiare, quindi non vuole dare definizioni, ma ha sempre sostenuto che quei due siano una coppia a tutti gli effetti, anche se non lo sanno. Il che è proprio strano, secondo lui, ma è anche vero che non è un asso nel riconoscere i sentimenti – ha sempre detto che è roba da ragazze, ma nemmeno River sembra essere molto brava in quello.

Ridacchia e si scusa, perché non lo sa nemmeno lui il motivo per cui sta dicendo tutte quelle cose. Poi sorride e arrossisce un po' quando ammette che parlare con Shae-Lee è molto più semplice che con la maggior parte delle persone.

È la prima volta dopo il pomeriggio delle ripetizioni di matematica che si trovano davvero da soli, forse; è anche la prima volta che si ritrova a parlare con tanta spontaneità con qualcuno. La verità è che con Shae-Lee sta particolarmente bene, ma questo non ha il coraggio di dirlo. Perché lo capisca, comunque, le sorride guardandola intensamente – non sa nemmeno se sperare che afferri il concetto o meno.

Michael è un ragazzo timido, anche se gli piace giocare con la propria bizzarria e fingere di non esserlo. Di fatto però lo è e, a mano a mano che si rende conto di essere in particolare sintonia con Shae-Lee, ha sempre più paura di ammetterlo ad alta voce.

La guarda sorridere e la trova bella. Ha un bel sorriso – come mai non l'ha mai notato in questi anni? E dei begli occhi, anche. E, be', non può fingere di non averlo notato: anche un gran bel fondoschiena. Il sedere di Shae-Lee è senza dubbio alcuno una delle poche cose che gli permettono di apprezzare le lezioni di educazione fisica in piscina. In più lei è dolce, allegra, simpatica e ama la pizza quanto lui, cosa che credeva impossibile prima di oggi. River gli ha detto che, addirittura, suona la chitarra e... «È vero che giochi all'X-Box?» le chiede, senza riuscire a frenare quell'impulso. Non che ci sia niente di sbagliato in quella domanda, ma è leggermente fuori tema.

La ragazza ride e arrossisce; «È molto da sfigati?» chiede. Non sa come lo sappia, è una di quelle abitudini che tende a tenere per sé, ma poco importa. Spera solo che questa informazione non faccia scendere sotto lo zero le sue possibilità.

Michael fatica a crederci. «È un 'sì'?» Vuole una conferma.

«Ehm. Lo è».

Allora lui ride forte, incredulo, e le strizza l'occhio. «Sei la donna della mia vita! Dove sei stata tutto questo tempo?» esulta tra le risate senza nemmeno pensarci, nonostante una parte di lui ne sia sempre più convinta.

Sotto il tuo naso, pensa Shae-Lee, in preda a una risata un po' isterica. Sente le farfalle nello stomaco darsi alla pazza gioia e il cuore martellare così forte nel petto che quasi non riesce a sentire nient'altro. E sarebbe un peccato, perché adora ascoltare Michael ridere. È così emozionata e imbarazzata che preferisce cambiare in fretta argomento e tornare su un terreno neutro: «E invece... tra Ashton e River c'è qualcosa?»

 

*

 

Debbie è sparita chissà dove, sostenendo di aver ricevuto una telefonata importante, e Luke è di umore così nero che Calum non sa cosa dire, perché tutto sembra fuori luogo. Tra le frasi che ha avuto sulla punta della lingua ma ha ingoiato a forza c'erano: “Stanno solo giocando!”, “Perché non vai a prendertela?”, “Su la vita, dobbiamo festeggiare!” e “Proprio non ti rendi conto di essere cotto a puntino?”.

È strano non sapere cosa dire proprio a Luke, il suo migliore amico. Non sopporta vederlo così giù di corda, vorrebbe poter fare qualcosa per lui – oltre al fatto che, nel silenzio, proprio non ci si trova bene. Quando un tuono risuona in lontananza, decide che la situazione è fin troppo surreale e dunque sputa fuori la prima frase che gli viene in mente: «Dovremmo registrare qualche nuova cover per il canale». Grazie al cielo non ha detto nulla di inappropriato.

Luke lo guarda con quei suoi occhi azzurri un po' spenti, scrolla le spalle e grugnisce una conferma poco convinta. Non che Calum si aspettasse una reazione migliore, ma non riesce a trattenere uno sbuffo contrariato. Forse è il momento giusto per mettere le carte in tavola.

«Che c'è, Lucas?»

L'altro fa una smorfia e scrolla di nuovo le spalle larghe. «Niente» risponde, incolore.

«Già. Quindi se ti dicessi che Ashton e River stanno pomiciando la cosa non ti disturber-»

Non riesce nemmeno a concludere la frase che Luke, allarmato, sta già perlustrando la spiaggia con lo sguardo alla ricerca della fastidiosa coppietta. Con suo sommo sollievo, al momento questa non sembra nemmeno così affiatata: lui raccoglie qualche ramo e lei osserva l'orizzonte sedendo sulla sabbia. «Che cazzo dici?» domanda poi all'amico, irritato da quel brutto scherzo.

Un po' lo sorprende trovare Calum a osservarlo con un'espressione saccente. «La cosa non ti sfiora, eh?»

Luke non capisce dove l'altro voglia arrivare, quindi non risponde; si limita a guardarlo.

«Sei geloso, Lucas» gli rivela allora.

No che non è geloso. Perché dovrebbe esserlo?

Calum aggrotta le sopracciglia e stringe gli occhi, incredulo. «Di solito perché si è gelosi di qualcuno?»

«Insicurezza.»

Al diavolo, sbotta Calum; non sempre di tratta d’insicurezza: uno può anche essere sicuro di sé al cento per cento, ma volere comunque tutte per sé le attenzioni dell'altra persona.

«E questo che vuol dire?» chiede allora Luke, che non riesce a intuire dove l'amico voglia andare a parare.

«Tu vuoi Riv tutta per te, Lucas».

Che cosa?! Okay, sono amici d'infanzia, ma non è così possessivo. È giusto che lei abbia altri amici, solo... non Ashton. Ashton la sta involontariamente illudendo e lui non vuole che River soffra. Solo che lei non vuole capirlo e si addentra sempre più in quel vicolo cieco...

«E se invece di Ashton fosse... Non so, Matthew McCoy».

«È un coglione anche lui».

«Terrence Eastwood?»

«Esiste qualcuno di peggio?»

«Michael Clifford?»

«Non è il suo tipo».

«Luke Hemmings».

«Che cosa?» Ride. È sempre più confuso dai giochetti del suo amico.

Secondo Calum dovrebbe seriamente pensarci su. Nessun ragazzo al mondo sarebbe abbastanza per lei, nell'ottica di Luke. È protettivo, geloso – no, non può cercare di smentire – e proprio non sopporta che lei abbia una cotta per Ashton. È proprio certo che ciò che prova per River sia solo affetto fraterno?

È ridicolo, secondo Luke, ma per tutta la sera non riesce a togliersi quelle insinuazioni dalla testa.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***




7.

 

Il lunedì mattina tutto è normale, anche se qualcosa è cambiato. River arriva a scuola da sola, a piedi, e trova Debbie e Shae-Lee ad aspettarla – niente Luke, niente Calum, niente Michael. Sorride riconoscente, trovandole lì, si salutano e si avviano all'interno della scuola tutte e tre assieme.

C'è aria di cambiamenti quel giorno, e può percepirlo chiunque le veda. La povera Debbie, che se sentisse nominare Michael Clifford solo un'altra volta potrebbe seriamente dare di matto, non è esclusa dalla categoria. Purtroppo. Non che non sia contenta di vedere la sua migliore amica felice, solo che, davvero, non poteva innamorarsi di un ragazzo un po' più sveglio?, si chiede, mentre camminano per i corridoi.

Poi il suo sguardo si posa su River Loveday, che (anche) oggi è tutta “Ashton, Ashton, Ashton”, e si ricorda che effettivamente nessuno dei ragazzi di quella compagnia sembra brillare d'acume. Per esempio Luke Hemmings, che si ostina a non rivolgerle la parola, per non parlare di quel cretino di Ashton Irwin che continua a giocare coi suoi sentimenti senza nemmeno accorgersene. Se fosse per Debbie, i 5 Seconds of Summer – è così che si fanno chiamare, giusto? – non dovrebbero avere contatti umani. Creano disordine ovunque mettano mano e, no, lei non è una maniaca dell'ordine e del pulito, ma di certo non ama che si incasinino le vite delle sue amiche.

Sono già sul punto di separarsi per andare in classe, quando River si stringe le mani l'una nell'altra e sorride loro timidamente: «Comunque, ho preso una decisione. Andrò a parlargli».

Aria di cambiamenti: Debbie se l'aspettava – anche se inizia a pensare che River debba necessariamente iniziare a specificare di chi sta parlando, visto che lei continua a pensare al biondo sbagliato. Sempre perché avverte l'aria di cambiamenti non si sorprende nemmeno quando Shae-Lee batte le mani con entusiasmo e fa un piccolo saltello sul posto: «Anche io ho preso una decisione!»

Ed è questo a preoccuparla: quando la sua amica è su di giri si rivela anche meno ragionevole del solito. «Si può sapere quale?»

Shae-Lee a quella domanda sbianca, sgrana gli occhi e poi li serra. «No» risponde, scuotendo il capo con enfasi, come a farsi coraggio. «Lo scoprirete quando l'avrò fatto».

Se River, dopo un momento di smarrimento, ridacchia divertita e mormora un “okay!”, Debbie drizza le orecchie e alza la guardia. Aspetta che la più piccola se ne sia andata per domandare un indispettito: «Come sarebbe?» Non ha alcun senso, perché mantenere il segreto anche con lei? La cosa non le piace e non esita ad esprimere quel suo giudizio a voce alta, mentre camminano verso l'aula di lettere.

Shae-Lee tuttavia sembra irremovibile: no, non glielo dirà. No, nemmeno se insiste e, oh, per favore Debbie, non continuare a farle pressione. Non vuoterà il sacco. Non vuole che ci siano aspettative, vuole solo sentirsi pronta e... farlo.

Dal momento in cui Shae-Lee si esprime con queste esatte parole – ma in prima persona, ovviamente – rigirandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita, Debbie va leggermente nel panico, ma cerca di non darlo a vedere. Sbuffa, invece, e cerca di suonare diplomatica quando dice: «Dimmi solo se devo chiamare un'ambulanza».

Shae ride, felice che l'amica abbia accettato il suo silenzio senza troppe insistenze. «No, al massimo avrò bisogno di un bel po' di gelato». E la sua risposta non incoraggia molto Debbie, che, si sa, non ama molto i cambiamenti.

*

È finita la seconda ora e Shae-Lee, dopo averci pensato su durante le lezioni, prendendo in considerazione ogni possibile risvolto (circa), prende un respiro profondo, ad occhi chiusi, poi si alza in piedi per prima.

Debbie si sforza di tenere il fondoschiena incollato alla sedia e lo sguardo basso: ha capito che il momento è giunto. Qualunque cosa la sua amica abbia intenzione di fare sta per compiersi: i cambiamenti sono in arrivo. Le sorride incoraggiante – anche se non è sicura sia il caso – e poi torna a sistemare le penne nell'astuccio, mentre l'altra sparisce dalla sua vista.

Shae-Lee si sente male. Non è più così tanto sicura di volerlo fare e, oh, se solo avesse confidato a Debbie le sue intenzioni ora saprebbe quanto la sua idea sia effettivamente folle. Appena fuori dall'aula, quindi, svolta l'angolo e si ferma; nessuno sa nulla, nessuno ha aspettative: può ancora tornare indietro, no? Non ci sarebbero ripercussioni. A parte il rimpianto.

Si appoggia al muro e chiude gli occhi, mentre i suoi compagni cominciano a uscire. Qualcuno dice che tentare non nuoce e, be', lei è sempre stata una persona abbastanza ottimista. Il che le suggerisce di buttarsi e provare. Il problema è che Shae-Lee Anning è anche sempre stata piuttosto insicura; aver avuto finora fin troppa fortuna con Michael non è una base sufficiente per buttarsi e cercare di... di far cosa? È nel pallone più totale, non sa nemmeno lei cosa pensare.

Poi qualcuno le posa una mano sulla spalla e «Ehi, tutto bene?» domanda. Shae-Lee sobbalza e sgrana gli occhi, trovandosi accanto proprio Michael Clifford – le farfalle nello stomaco, i battiti accelerati, la testa che non sa se galleggiare nell'aria come un palloncino o scoppiare direttamente per via del panico.

Alla sua reazione impaurita, Michael ritira la mano e ridacchia, incerto. «Shae?» la chiama confuso.

Lei impiega qualche istante di troppo a rimettere in riga i pensieri, ripristinare le capacità motorie e annuire. «S-sì, sì. Ciao!» lo saluta con voce acuta e leggermente isterica. Okay, è il momento: sta per farlo. Deve solo–

Ma non fa in tempo a riordinare le idee, perché Michael, interpretando quel saluto come un congedo, fa qualche passo all'indietro, sorridendo divertito, e poi s’incammina: «Be', ci vediamo a lezione».

No, no, no, no, no! è tutto ciò che riesce a pensare, mentre guarda ad occhi sgranati il ragazzo per cui ha una cotta allontanarsi con la sua camminata un po' goffa. Stupida, stupida Shae-Lee! Si rimprovera. Perché non fa altro che combinare guai? Era sul punto di farlo e ora lui se ne sta andando e...

Senza pensarci oltre, Shae-Lee lo insegue: «Mickey, aspetta!» Tentar non nuoce, no? Al diavolo il timore!

Al terzo richiamo Michael si ferma, si volta e si sorprende nel vedere la ragazza rincorrerlo. Sorride; non capita spesso che qualcuno abbia così tanta voglia di parlare con lui. «Che succede?» chiede, senza aspettare che anche lei si fermi.

Poi cala il silenzio. Ora che Shae-Lee è proprio si fronte a lui sente le gambe molli e le orecchie pulsare, per non parlare del cervello che è andato del tutto a farsi friggere alla vista di quel suo sorriso così... così... Prende un respiro profondo, dandosi della stupida: no, non può di nuovo sprecare un'opportunità per colpa dello smarrimento. Abbassa lo sguardo per racimolare il coraggio necessario e poi lo fa.

*

River Loveday non è una ragazza coraggiosa e questo è un dato di fatto. È disponibile, caparbia e dolce, ma non coraggiosa. Ha passato tutte le lezioni della mattina a guardare Luke di sottecchi, sperando di trovare il coraggio necessario ad abbattere il muro di mutismo che lui ha eretto tra loro, ma non ci è riuscita. Per ben tre volte ha preso fiato ed è stata sul punto di chiedergli quale diavolo fosse il suo problema ma ogni volta, sul momento di parlare, ha prima riadattato la frase a un semplice e diplomatico “Possiamo parlarne?” per poi rinunciarci del tutto.

Ora si sta dirigendo verso la mensa, Luke e Calum parlano tra loro in maniera quasi naturale, anche se la disinvoltura del primo è palesemente solo apparente. Lei, mentre cammina al fianco del migliore amico, sta riflettendo: come può mettere fine a quella ridicola situazione? Magari dovrebbe fare finta di nulla e tornare a parlare con lui come se niente fosse. O forse sarebbe meglio chiedergli spiegazioni? O, ancora, non sarebbe il caso di spiegargli la propria posizione e chiedergli perdono senza pretendere risposte? È abbastanza sicura di non aver fatto nulla di male, ma l'ostinazione con cui Luke rimane sulle sue le fa credere di averlo involontariamente ferito; solo, non sa come. Come potrebbe scusarsi di qualcosa che non sa di aver fatto?

Sospira e, anche se non se ne accorge, Luke la spia con la coda dell'occhio, preoccupato.

D'altra parte non ha mai avuto bisogno di strategie con Luke. Parlare con lui è sempre stato naturale, non si è mai dovuta preoccupare di scegliere con attenzione le parole o il modo in cui affrontare un determinato argomento. È ridicolo che debba farlo ora. È il suo migliore amico e non sarà un'incomprensione – qualunque essa sia – a separarli, non vuole che succeda.

Quindi River prende fiato e alza lo sguardo su Luke, pronta a parlare. Prima che possa farlo, però, Calum scoppia dal nulla in una risata fragorosa, attirando l'attenzione di entrambi. «Ehi, Mike, che ti prende?»

Michael Clifford sta avanzando nella loro direzione con le sopracciglia aggrottate e le labbra strette in una smorfia incomprensibile – la domanda di Calum è più che lecita. Solo quando è abbastanza vicino si gratta la testa e dà una risposta: «Shae-Lee mi ha...»

L'indugiare che segue causa un momento di panico generale. Lo ha... cosa? Preso a schiaffi? Mandato al diavolo? Baciato? Potrebbe significare così tante cose che River, ricordandosi della misteriosa decisione presa dall'amica quella mattina, non può fare a meno di balzare in avanti e: «Ti ha... cosa?» chiedere, così entusiasta che quasi Luke viene contagiato – salvo poi ricordarsi della loro situazione e rabbuiarsi di nuovo.

«Mi ha chiesto di uscire!»

«Oddio, Mickey!» trilla la ragazza, al settimo cielo; corre in avanti e lo abbraccia, sotto lo sguardo di Luke. «E tu che hai detto?» gli domanda ancora. Non riesce a credere che Shae-Lee abbia finalmente preso l'iniziativa. Non dubita nemmeno per un secondo che Michael abbia accettato, almeno finché lui non fa una smorfia e indugia ancora un po'.

A quel punto fa un passo indietro, mortificata, e lo guarda negli occhi. «Cos'hai risposto?» ripete, preoccupata.

Abbassa lo sguardo e si morde la lingua. «Che venerdì abbiamo le prove» mormora impacciato.

River inarca le sopracciglia, sorpresa, poi s’imbroncia un po', intuendo che si tratta di un “no”. Guarda Calum e lui, cogliendo la muta richiesta di aiuto, scrolla le spalle.

«Hai dato buca ad una ragazza per le prove?» Sembra assurdo. Insomma, la band sono loro quattro: possono sempre spostarle, nessuno gli direbbe di no. Tutti sanno quanto Shae-Lee muoia dalla voglia di uscire con lui e qualcosa dice a Calum che nemmeno a Mike dispiaccia l'idea.

«Be', sì». Michael si stringe nelle spalle e arrossisce. Lo stanno facendo sentire uno stupido. Non è uno stupido, no? Gli dispiace aver dovuto rifiutare – davvero, gli dispiace – ma quel venerdì avevano deciso di provare e non sarebbe stato carino anteporre una ragazza agli amici – alla band.

Calum ride e gli posa una mano sulla spalla, per poi guardarlo di sottecchi e iniziare: «Mike, amico, apprezzo molto il gesto, ma...»

Luke lo anticipa, perché sta pensando esattamente la stessa cosa: «Possiamo posticiparle a sabato».

Ma no, no che non possono. Sabato è il grande giorno: finalmente potranno esibirsi al Denim; è necessario esercitarsi il più possibile per prepararsi a quel momento: niente più pubblico inanimato, al pub ci saranno persone vere ad ascoltarli, gente che potrebbe accorgersene, se facessero un pasticcio.

River sospira sconsolata, quando la conversazione verte su questo argomento. I ragazzi hanno perfettamente ragione, Shae-Lee ha scelto un pessimo momento per avanzare quella proposta. Purtroppo. Mentre si avviano alla mensa scolastica, il suo cervello lavora freneticamente: si chiede come stia la sua amica, quale vendetta stia pianificando Debbie e come risolvere questa situazione, perché, insomma, è chiaro che Michael avrebbe voluto accettare, glielo si legge negli occhi.

«Di quanto tempo avete bisogno per le prove?» chiede a Calum, mentre sono in fila per riempire i vassoi.

«Di tutto il tempo possibile» risponde lui, che sembra aver già accantonato il problema, tutto concentrato sulle pseudo patate arrosto che servono quel giorno – saranno commestibili? A volte le sembra incredibile quanto poco i ragazzi si concentrino sulle faccende, preferendo lasciare che si sbroglino da sole – il che le ricorda Luke e la perduta occasione per fare chiarezza, ma a questo penserà un'altra volta: ora è necessario aggiustare la questione “Michae-Lee”.

Quindi torna all'attacco con una nuova domanda: «Senti, Mike, ma a te Shae-Lee... piace?»

Il ragazzo in questione arrossisce violentemente e scoppia in una risata isterica, che vorrebbe tanto sembrare leggera. Poi farfuglia una serie imprecisata di “well” e risolini e “come on!”, che valgono più di mille conferme, come dimostra il sorriso smagliante che si dipinge sul volto di River. Quindi bisogna solo trovare un modo per avviare le cose tra loro, è chiaro.

E, al di là di ogni aspettativa, è Luke a trovare una soluzione: «Perché non la inviti al concerto e poi la porti fuori?»

River, che è sempre con loro quando suonano, potrebbe indicare almeno un paio di motivi per cui sarebbe meglio evitare – sono sempre troppo su di giri e sudati, dopo aver suonato, ma è anche certa che a Shae-Lee non darà alcun fastidio. Senza contare che a Michael l'idea non sembra dispiacere minimamente. «Ma è geniale!» esclama, invece, per poi subito voltarsi di tre quarti e cercare la figura di Shae-Lee tra gli studenti in mensa.

River, felice che il problema si sia risolto, non riesce a non sorridere a Luke, mentre già cerca di immaginare la reazione entusiasta della sua amica a quel risvolto. Luke, dal canto proprio, stiracchia un sorrisetto e poi torna a concentrarsi sul proprio vassoio. Nemmeno oggi parleranno.

*

Sono le undici di sabato sera e, se lo chiedi a Michael, le cose non potrebbero andare meglio. Shae-Lee indossa un paio di pantaloncini marroni cortissimi e una camicetta chiara che, be', non fanno che mettere in evidenza il suo bel corpo – e lui apprezza, non c'è nemmeno da chiederselo. Lo spettacolo, oltretutto, è andato alla grande. L'accoglienza è stata tiepida, sì, ma considerato che Ashton ha esordito con un entusiastico grido di incoraggiamento che ha disturbato metà della clientela, non poteva andare meglio. Sono una nuova band, un gruppo di sbarbatelli alle prime armi che però, come ha preannunciato il presentatore, hanno grinta e talento. È filato tutto liscio, con entusiasmo e adrenalina alle stelle, finché anche l'ultima canzone non è stata suonata.

Con sommo stupore di Michael, River, Kerrie e Shae-Lee non sono state le uniche ad applaudire: diverse persone li hanno festeggiati e, sorprendentemente, persino Debbie. Alle undici, come pattuito, la band si ritira dietro le quinte lasciando il posto allo stereo del bar.

Quando raggiungono le ragazze al tavolo, non si sa bene chi sia più su di giri: Ashton sventola i pugni in aria, festeggiando la conferma d'assunzione; Michael sorride e non toglie gli occhi di dosso a Shae-Lee, salvo quando incontra il suo sguardo; lei stessa saltella sul posto, felice, e distribuisce congratulazioni a destra e a manca; River sorride raggiante e non sa con chi parlare per prima; Calum e Luke si abbracciano e dicono sciocchezze dritto nelle orecchie, per poi ridere a crepapelle. Debbie, di sicuro, non è particolarmente di buon umore quella sera: alterna sguardi diffidenti da un ragazzo all'altro, come se avesse così tante preoccupazioni da non sapere dove iniziare a sistemare tutto.

Una cosa è certa: a Debbie non piace uscire con quei quattro. La compagnia le sta benissimo, anzi, si è affezionata a River tanto da sentire la sua mancanza quando lei e Shae-Lee non riescono ad incontrarla durante l'intervallo, a scuola. Ma non i ragazzi: più li osserva e passa del tempo con loro, più si sente totalmente estranea al loro mondo – e ne è felice: li considera stupidi combina guai, il genere di compagnia che la farebbe uscire dai gangheri.

Non fa in tempo a pensarlo, che Calum si siede al suo fianco e «Ehi!» esclama, sorridendo sornione. «Piaciuto lo spettacolo?»

Deborah sbuffa e stringe le labbra in una smorfia di sufficienza. Solo per educazione si sforza di rispondere: «Ve la cavate». Ed è vero: per quanto le dispiaccia ammetterlo, sono bravi davvero. Certo, non sono i nuovi Mozart né le voci migliori del mondo, ma sono... discreti. Per lo meno ascoltano buona musica e fanno cover decenti.

Contemporaneamente Ashton si è allontanato, seguito dallo sguardo di River, e Michael ha sorriso raggiante a Shae-Lee: «Andiamo?»

La ragazza – letteralmente – salta su dalla sedia, sorridendo così da tanto che Debbie quasi percepisce l'affaticamento delle sue guance. Così, mentre si allontanano, dopo aver brevemente salutato tutti, lei viene lasciata sola in mezzo a persone con cui non vorrebbe passare il suo tempo. La nuvola di tempestoso malumore che la avvolge è quasi visibile.

Non che a Calum importi, comunque: è sempre stato bravo a rallegrare gli altri, ecco perché non molla l'osso, ma continua a cercare di attaccare bottone con Debbie, nonostante le risposte a monosillabi.

Luke siede al suo fianco con un muso infinitamente lungo. Se il suo migliore amico flirta con Debbie e la sua migliore amica con Ashton Irwin, non sa bene perché non se ne sia ancora andato a casa. Okay, forse perché sono scesi dal palco da nemmeno cinque minuti e fino a qualche istante fa aveva in mente di festeggiare, ma il concetto è chiaro: si sente escluso. Tutti sembrano troppo impegnati a pensare ad altro. Ruba dunque la birra di Calum, sperando che almeno lei possa farle compagnia.

Sposta distrattamente lo sguardo su River, nostalgico: cosa sta succedendo loro? Perché, tutto d'un tratto, stare insieme come hanno sempre fatto sembra così difficile? Non hanno mai incontrato la minima difficoltà nel fare pace, anche dopo il più furioso dei litigi. È evidente che qualcosa sia cambiato, ma non riesce proprio a spiegarsi cosa. Gli tornano in mente le insinuazioni di Cal dello scorso sabato e scuote leggermente il capo: no, non può essersi preso una cotta per la sua migliore amica. È un gesto troppo sciocco anche per uno come lui. Affonda la testa tra le braccia e sbuffa. Allora perché non si limita a parlarle, fingendo di non averle urlato addosso frasi che non pensava davvero? Gli manca. Lei è lì, seduta a due sedie di distanza da lui, e non riesce nemmeno a rivolgerle la parola. Come ci sono finiti a quel punto?

«Ragazzi, devo presentarvi una persona!» esclama all'improvviso la voce squillante d'entusiasmo di Ashton. «Ehi, dov'è finito Michael?» domanda, mentre Luke alza la testa per capire di chi l'altro stia parlando: è in piedi accanto al loro tavolo e stringe la mano di una ragazza piuttosto minuta, con i capelli castani lunghi fino alle spalle e fermati da una fascetta sottile all'altezza della fronte.

«Ha un appuntamento con Shae-Lee» risponde Calum, allegro.

Ashton ridacchia; «Ah, già. Be', gente, questa è Nat, la mia ragazza. Nat, questi sono i ragazzi – meno Michael».

Luke non fa tempo a formulare alcun pensiero, che già il suo sguardo abbandona gli occhi verdi della sconosciuta per cercare quelli blu di River; ha l'aria smarrita e ferita, abbassa la testa e non dice una parola. Debbie si alza in piedi di scatto, un'espressione contrita in viso: «Riv, mi accompagni in bagno? Me la sto facendo sotto» le chiede, sottraendola così a quella lenta tortura. Sottraendola alla protezione di Luke prima che lui potesse anche solo realizzare di voler far qualcosa.

Così, senza una parola di più, rimangono in quattro: Luke, Calum, Ashton e Nat.

«Be'», Cal si passa una mano sulla nuca e sorride; «piacere di conoscerti. Non preoccuparti per Debbie, ci odia tutti».

Così Nat e Ashton ridono, mentre Luke abbozza un sorriso e svuota la bottiglia di birra, che nemmeno gli appartiene, pensando a River. In qualche modo, crede di sapere esattamente cosa sta provando in questo momento. E questo potrebbe significare che Calum ha ragione oppure che lui non regge nemmeno una birra.

*

Secondo i pronostici dei ragazzi, l'idea di Michael per l'appuntamento di quella sera è terribile; a giudicare dai loro tentativi di persuasione, sembrava si stesse per tuffare di testa in una pozzanghera, più o meno. Lui, però, non li ha ascoltati, un po' perché River insisteva nel suggerirgli di fare di testa propria e un po' perché lui tende a fidarsi del proprio istinto. A giudicare dall'espressione di Shae-Lee appena entrano nel locale, in ogni caso, è stato un bene.

Nel momento stesso in cui i suoi occhi s’illuminano e il sorriso – già enorme – si allarga ulteriormente sul suo viso alla vista dell'interno della sala giochi, Michael sente le farfalle nello stomaco e il cuore più leggero. Per un istante, prima di entrare, ha davvero avuto paura di essere sul punto di rovinare tutto, ma fortunatamente i suoi amici si sbagliavano: Shae-Lee è davvero sulla sua stessa lunghezza d'onda.

Sorride di rimando e la osserva fare qualche passo in avanti, guardandosi attorno meravigliata. «Oh mio Dio» dice in un tono a metà tra lo sconvolto e l'entusiasta, mentre passa le dita tra i lunghi capelli biondo scuro per portarli all'indietro. Poi si volta verso di lui e spalanca le braccia incredula e «Oh mio Dio!», ripete con più enfasi.

Michael non sa cosa rispondere a tutto quello stupore, quindi la affianca, affonda le mani nelle tasche dei jeans stretti e si guarda attorno come lei. «Può andare?» Non è un appuntamento galante, no, ma è in perfetto stile Michael Clifford. Spera solo che sia anche in stile Shae-Lee Anning.

«Se può andare? È fantastico!» esclama, senza smettere di guardare tutto meravigliata come una bambina in un negozio di caramelle. «L'ultima volta che mi hanno permesso di entrare in una sala giochi è stato... a dieci anni?» Batte le mani e gli regala un sorriso felice: «Grazie!»

Michael ride e glielo chiede: «Perché non ci sei più tornata?»

E la risposta è anche più semplice del previsto: «A mia sorella i videogiochi non interessano e a Debbie anche meno. Non si è più presentata l'occasione». Scrolla le spalle e arrossisce un po': è troppo infantile esaltarsi così per una sala giochi?

Lui ridacchia e le sorride di nuovo. «Facciamo così: se stasera ti diverti, puoi tornarci assieme a me tutte le volte che vuoi» propone e, prima che lei possa trovare le parole per rispondere, d'istinto le prende la mano per trascinarla con sé all'unico videogioco arcade libero che riesce ad avvistare, prima che qualcuno glielo soffi sotto il naso.

Intanto, il cuore di Shae-Lee fa le capriole e le farfalle nel suo stomaco volano talmente forte da scatenare un uragano. Non riesce a smettere di sorridere, perché ancora stenta a crederci: è a un appuntamento con Michael Clifford!

*

«Va tutto bene?»

River prende un respiro profondo e si morde il labbro inferiore, annuendo. È seduta sulla tazza del water nel minuscolo bagno del Denim pub, che è persino più piccolo di quanto ci si potrebbe immaginare. Almeno, però, è pulito, il che permette a River di prendere grossi respiri senza rischiare l'intossicazione.

«C-certo» balbetta con così poca convinzione che Debbie sente una stretta allo stomaco. Sospira, quindi e s’inginocchia di fronte a lei, posandole le mani sulle ginocchia.

«Non lo sapevi?»

«Che avesse una ragazza? No» ammette, mentre guarda in alto e incrocia gli occhi: è l'ultima spiaggia, se nemmeno questo funzionerà, niente più impedirà alle lacrime di scendere. Stringe forte il labbro tra i denti e prende un altro respiro profondo nella speranza di allentare il groppo che le stringe la gola.

No, Ashton non ha mai parlato a nessuno di alcuna ragazza. O almeno ultimamente: è passato un sacco di tempo dall'ultima in cui ha nominato o descritto qualcuna, durante le sessioni prove in garage. Lei lo sa bene: è sempre lì ad ascoltare, attenta a cogliere e filtrare tutte le informazioni che escono dalla bocca dei ragazzi, per essere sicura che non ci sia nessun'altra ragazza a portarle via Ashton. Non che si aspettasse davvero di avere speranze con lui; solo che, egoisticamente, sperava di poterlo avere tutto per sé, anche solo come amico.

Non se ne accorge nemmeno, che ha iniziato a piangere, finché Debbie non la stringe in un abbraccio, accarezzandole leggermente la schiena nel tentativo di calmarla. È quella premura a farla sentire abbastanza al sicuro da abbandonarsi ai singhiozzi. Perché non è giusto, non è giusto proprio per niente; prima il destino le ha tolto il suo migliore amico e poi anche Ashton. È solo un brutto periodo, forse, ma quando finirà? Non è sicura che il suo cuore possa sorreggere tutto quel dolore.

Deborah sospira, non sapendo bene come comportarsi. È sempre più convinta che a quei quattro mentecatti dovrebbe essere vietato avere rapporti umani, ma dubita che sia questo ciò che a River piacerebbe sentirsi dire, per cui pensa bene di tenere quel commento per sé, ripetendo le solite frasi di circostanza: una serie pressoché infinita di «Va tutto bene», «Passerà» e «Ci sono qui io». E l'ultima è forse la formula più efficace, anche se entrambe sanno che l'unico abbraccio in grado di far sentire River a casa sarebbe quello di Luke. Ma Luke non c'è.

*

«Who-hoo!» Mani in aria e sorrisi raggianti, Michael e Shae-Lee festeggiano la vittoria all'ultimo videogioco arcade su cui sono riusciti a mettere le mani. Si danno il cinque e si scambiano occhiate entusiaste, poi, addirittura, Michael la stringe a sé.

Il cuore di Shae-Lee fa una capriola, mentre lei ricambia l'abbraccio. Ormai è fin troppo tardi e di lì a poco dovrà telefonare a sua sorella nella speranza che vada a prenderla, ma ancora non riesce a credere di essere appena uscita con Michael Clifford.

È stata una serata perfetta, non avrebbe potuto sperare in nulla di meglio: hanno giocato a tutti i picchiaduro che hanno trovato in sala giochi; lei lo ha convinto a fare ben tre partite a Dance Dance Revolution, godendosi così la sua incommensurabile goffaggine; hanno riso fino alle lacrime non saprebbe dire quante volte e, soprattutto, sono stati bene insieme. Sono stati loro stessi, nel loro habitat naturale, senza pensare a cosa dire, come comportarsi.

Il nervosismo che Shae-Lee temeva le avrebbe rovinato la serata è scivolato via non appena lui le ha sorriso la prima volta, rimpiazzato dal perenne svolazzare delle farfalle nello stomaco e dal rossore intermittente sulle gote. Se glielo chiedessero, al momento non saprebbe trovare un'altra situazione in cui in vita sua si sia sentita così bene.

Ride, mentre sullo schermo della postazione compare la testimonianza dell'ultimo “GAME OVER” di Michael, determinando così la fine della loro permanenza in sala giochi. Con quella ridicola sconfitta, per cui stanno entrambi ancora ridendo, si sono giocati l'ultimo gettone acquistato e non resta altro da fare se non incamminarsi verso casa – perché Michael insiste: no, non telefonare, ti accompagno io. E così fanno.

Camminano fianco a fianco, senza nemmeno sfiorarsi, ma si guardano, ridono e rivivono tutti gli apici del divertimento di quella sera: «Credo che niente sia meglio della tua caduta sulla pedana di Dance Dance Revolution» è pronta a scommettere Shae-Lee, ma Michael ci tiene a ricordarle che «Ti sei messa a strillare quando hai visto la bambina di Silent Hill!». E, okay, forse quello è stato anche più imbarazzante del capitombolo di Mickey.

A lui brillano gli occhi alla luce dei lampioni, mentre sorride e cammina al suo fianco. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe andato tutto così bene. Forse non c'è stato nulla di romantico in quell'appuntamento, ma si sono divertiti insieme, scoprendosi molto più affini del previsto.

Quando arrivano a casa Anning, si fermano davanti al cancelletto d'ingresso, l'uno di fronte all'altra. Il silenzio cala assieme a un denso imbarazzo; c'è una certa aspettativa tra loro, è come se da copione qualcosa dovesse succedere a questo punto, ma per loro fosse troppo affrettato.

«Sono stata bene stasera». Alla fine è Shae-Lee a rompere il ghiaccio, mandando a farsi friggere quell'attesa stereotipata. Sorride timidamente, ma con spontaneità.

Michael replica con un sorriso dolce dei suoi e inclina la testa da un lato, guardandola. «Anche io. Dovremmo replicare!» propone e lei non può far altro che annuire.

«Be', buonanotte» aggiunse poi il ragazzo, allargando le braccia per salutarla con un abbraccio.

Shae-Lee senza nemmeno pensarci ci si tuffa – be', non letteralmente: è sempre un po' timida – e sente il cuore accelerare i battiti. Senza nemmeno pensarci si alza in punta di piedi e gli sfiora una guancia morbida con le labbra, poi si allontana in fretta. «Buonanotte» risponde; «e grazie di tutto». Poi sgattaiola in casa cercando di fare meno rumore possibile, un sorrisetto felice stampato in viso.

Quando sente il suono della chiave chiudere definitivamente il portone dell'abitazione, Michael si sente libera di andare. S’incammina verso casa, sfregando con le mani la pelle delle braccia, mentre non riesce a pensare ad altro che a quel lieve bacio lasciatogli sulla guancia.

Non è la prima volta che una ragazza lo bacia, figurarsi! River stampa loro baci sulle guance continuamente, ma con Shae-Lee è diverso. Sente la testa e il cuore leggeri mentre cammina e non riesce a fare a meno di pensare di volerla rivedere al più presto. Fosse per lui tornerebbe indietro subito e suonerebbe al campanello, svegliando tutta la famiglia, ma a impedirgli di fare certe fesserie ci sono il sonno, il buon senso e il timore – se per lei non fosse lo stesso? Se poi suo padre lo minacciasse con una mazza da baseball?

Quindi si limita a camminare verso casa stringendosi in se stesso, mentre ripercorre mentalmente tutte le emozioni vissute quella sera. Chi l'avrebbe mai detto, che avrebbe trovato una ragazza fissata quanto lui coi videogiochi? Sorride tra sé, e si dice che forse Shae-Lee Anning potrebbe piacergli davvero.



Bla bla bla vari:
Buongiorno! Spero che le vacanze stiano procedendo bene per tutte voi, anche per chi ancora in vacanza non c'è - forza e coraggio, universitari, la sessione finirà presto!
Volevo di nuovo, per cominciare, ringraziare la mia Bobbol, alias Rigmarole, che ha betato anche questo capitolo. Diteglielo anche voi, che è una beta fantastica, perché a me non crede più, per qualche motivo -- una beta fantastica con una voce che mette il buon umoooore! *^*
In realtà non ho molte cose da dire se non che finalmente ho sistemato e portato a termine la scaletta della storia, che d'ora in avanti è solo da scrivere - il che non è poco, ma almeno non dovrei correre il rischio di perdermi per strada/allungarla troppo/dimenticarmi episodi/bloccarmi perché "OMG NON HO IDEE".
Be', uhm, quanti di voi odiano Ashton? Quanti di voi odiano River (Aries, tu non conti, già lo so che la odi)? Quanti amano Michael? (*alza la manina*) 
Non so che dire. Ah, già! Ringrazio i due anonimi (o era sempre lo stesso?) che mi hanno scritto su ask a proposito della storia: sono felice che vi piaccia! *^*
Grazie a chi sta ancora leggendo, nonostante la mia lentezza di aggiornamento. Come ho scritto a chi me l'ha domandato, ora ho finito gli esami, per cui dovrei avere un po' di tempo per scrivere. Quando studio invece scrivere per me risulta un'impresa ardua, la mia mente si fissa su ciò che devo e non devo fare, ecco perché i miei aggiornamenti così rari.
Quindi, niente, spero che la storia non vi stia annoiando.
Le approfitto per spammarvi una storia che sto scrivendo a quattro mani con Aries Pevensie, si tratta di un'originale romantica dalla trama leggera e poco impegnativa, ma che speriamo possa divertirvi come diverte noi. La trovate QUI.
Be', credo che sia tutto. 
Ringrazio di cuore tutti quelli che mi stanno supportando anche solo continuando (o iniziando!) a leggere. Grazie! <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***




8.

La domenica il sole di mezzogiorno splende caldo e alto nel cielo sulla città, ma nemmeno il più piccolo raggio filtra all'interno della stanza di River Loveday. La tapparella è abbassata e lei è nascosta sotto il lenzuolo, il cuscino a coprirle la testa, nella speranza di poter non riemergere più dal dormiveglia. L'ultima cosa che vuole in questo momento è risvegliarsi dal proprio torpore e affrontare la realtà, i ricordi della sera prima, le nuove emozioni che non è mai stata brava a contenere.

Vorrebbe solo essere insensibile in questo momento. O aver dimenticato tutto. Sta dando il meglio di sé per non dare un nome al tutto da cui vorrebbe liberare la mente, come se l'anonimato potesse diminuire la sofferenza. Per il momento la tecnica funziona, in ogni caso, per cui continua a definirlo in quel modo un po' astratto e indefinito, senza volerlo ricollegare a nessun volto in particolare.

La tristezza è lì, dietro l'angolo, e aspetta solo che River metta piede nel mondo reale per prenderla a braccetto e portarla con sé lungo sentieri mentali che lei vorrebbe invece solamente evitare. Ma non può. Anche mentre pensa in maniera così astratta e probabilmente un po' sciocca alla sua sofferenza, sa che non può evitarla. Ed ecco che senza nemmeno rendersene conto cade nel tranello: non può, non può non pensare ad Ashton che stringe la mano di quella Nat orribilmente carina e simpatica; non riesce a non ricordare il modo in cui si guardavano, la sensazione che tutto ciò che aveva temuto si fosse verificato. Era stata una stupida a illudersi che Ashton non avrebbe mai trovato qualcuno – stupida ed egoista. Lui meritava una ragazza che la amasse, qualcuno in grado di fargli sentire le farfalle nello stomaco e il cuore leggero, non che si limitasse ad arrossire a ogni suo sguardo.

Sbuffa contro la stoffa del cuscino e serra gli occhi, sperando di impedire alle lacrime di uscire.

Un leggero bussare alla porta insolitamente chiusa della sua camera le comunica l'arrivo di uno dei suoi genitori, forse papà, per tirarla giù dal letto. «River, tesoro, posso entrare?»

Lei grugnisce un «No»: le sta andando tutto male, non vuole vedere nessuno, tanto meno parlare o farsi vedere in quello stato. La sera precedente non si è nemmeno struccata, il leggero trucco che aveva messo sugli occhi ora è secco, sbavato e colato sulle guance.

Lo stomaco duole, affaticato da tutti i rospi ingoiati la sera precedente – prima l'arrivo di quella Nat, poi tutti i sorrisi e le battutine di Ashton, gli abbracci d’incoraggiamento di Calum mentre Luke non si azzardava nemmeno a guardarla. Le viene da vomitare solo a pensarci. Prende un respiro profondo e calcia via il lenzuolo, che si affloscia ai piedi del letto.

Debbie le ha detto che probabilmente è solo un brutto periodo, le ha promesso che prima o poi tutti i suoi attuali problemi saranno solo un lontano ricordo, di cui sorriderà senza più la minima traccia di dolore, ma onestamente River non riesce a crederci.

Non è mai passata attraverso una crisi così grande, le sembra di star cadendo in un pozzo senza fondo sotto lo sguardo impassibile del suo unico appiglio. Non ha mai attraversato una tempesta senza aggrapparsi alla mano di Luke, e ora si sente sola nel bel mezzo della nebbia, senza sapere da che parte andare, dove guardare, se fermarsi o camminare in una direzione qualunque.

«Tesoro, va tutto bene? Dormi? È pronto in tavola».

La ragazza si trascina giù dal letto, arriva alla porta, la socchiude e risponde senza farsi vedere, riparata dalla superficie in legno chiaro. «Non ho fame».

Segue una breve pausa, durante la quale il signor Loveday, accortosi della voce flebile e tremula della figlia, riflette su quale sia la reazione migliore a quella presa di coscienza: lasciarla in pace oppure insistere per ottenere spiegazioni? Sospira sommessamente, poi annuisce e fa un passo indietro. «Non ti senti bene?» domanda, nel tono meno apprensivo che riesce a trovare.

«Non molto» ammette lei e, non vista, non riesce a trattenere una smorfia frustrata. “Non molto” è un eufemismo, non ricorda di essere mai stata psicologicamente così male prima d'ora. «Rimarrò ancora un po' a letto» annuncia, sperando nella tolleranza del padre, che anche questa volta non la delude. Basta poco perché lui le raccomandi di chiamare in caso di bisogno e si allontani per comunicare alla moglie la sua decisione.

Quindi ora River è di nuovo sola con se stessa; chiude la porta e prende qualche respiro profondo. Improvvisamente al buio si sente soffocare, complice l'aria viziata di una notte spesa con la finestra chiusa. Corre alla finestra, spalanca i vetri e, letteralmente, si aggrappa al nastro per alzare la tapparella.

La luce del mezzogiorno entra prepotentemente nella camera, ferendole gli occhi chiari e portando un'atmosfera allegra che poco si addice all'umore effettivo di River. Anzi, pensa lei, il tempo quel giorno si mostra proprio opposto al suo stato d'animo; c'è qualcosa di assurdo nel sentirsi così depressi mentre fuori la natura dà il meglio di sé per anticipare l'arrivo dell'estate.

Non si cura più di tanto dei tentativi della Terra di trasmetterle allegria, e torna presto a letto: si tuffa sul materasso e nasconde il viso nel cuscino soffice che già porta i segni del suo trucco colato. Non ha voglia di camminare fino al bagno per sciacquarsi il viso e svuotare la vescica; è troppo avvilita anche solo per piangere. Non sa che fare. Fosse per lei se ne starebbe stesa a pancia all'aria tutto il giorno, lasciandosi semplicemente andare, in attesa che il buon umore torni da solo. Eppure sa che non arriverà, non per lei, non oggi. Per Ashton, forse, perché la sua Nat probabilmente sa esattamente cosa dire per tirargli su il morale; magari anche per Luke, il cui problema più grande sembra essere proprio lei.

Sbuffa, poi sospira e sbuffa di nuovo. Si tira il cuscino sulla testa e lascia che una serie imprecisa e insensata di mormorii escano dalle sue labbra. Non riesce nemmeno a pensare, sente solo una pesante agitazione dentro di sé; è una sensazione opprimente d’impotenza e inutilità. La si potrebbe definire apatia? Forse. River sa solo che la sente dentro e che vorrebbe liberarsene: per questo sbuffa e sospira, nella speranza di farla uscire assieme all'aria dai polmoni.

In cerca di qualche distrazione cerca il cellulare sul comodino; collega gli auricolari, accende il lettore mp3 e solo allora dà un'occhiata a tutte le notifiche ricevute: tre chiamate perse da Debbie, una da Shae-Lee, poi una serie di SMS di incoraggiamento da parte della prima che River nemmeno legge, perché non ha voglia di essere confortata. Apre invece l'unico proveniente da Calum: “Non sono la persona giusta, lo so, ma se hai bisogno io ci sono. Mi dispiace, Riv”.

All'improvviso sente la rabbia montare nel petto. Non riesce a credere l'abbiano cercata tutti tranne Luke. Tutto questo è ridicolo: persino Calum lo ha intuito, che l'unico di cui River ha veramente bisogno è proprio lui; ma le ha scritto comunque, perché quel testone non avrebbe fatto il primo passo nemmeno sapendola chiusa in casa col cuore spezzato.

Vorrebbe solo che Luke fosse lì con lei, che la guardasse in silenzio e abbozzasse un sorriso nella speranza di accenderne un riflesso in lei. Vorrebbe che le abbracciasse e le portasse una vaschetta di gelato fragola e limone, di cui lui avrebbe monopolizzato la parte più dolce, lasciandogliene solo poche cucchiaiate.

È arrabbiata, invece, perché il suo migliore amico la odia e non ne sa il motivo, e avvilita, perché Ashton non è mai stato minimamente sfiorato dal pensiero di piacerle. E River non saprebbe dire se la colpa sia della sua ottusità o della propria timidezza, ma sa che Nat è una ragazza fortunata e che lei la invidia da morire. Non riesce nemmeno ad odiarla, perché non è nella natura di River, che ora, finalmente, sta piangendo. E non c'è più quel senso di pesantezza dentro il suo petto: ora è la gola a dolerle, mentre gli occhi pizzicano e tutta la sua frustrazione cola lungo le sue guance in gocce salate; il loro sapore le bagna le labbra, dando un tocco ancora più amaro a quel misto di rabbia e tristezza che si sta impossessando di lei. Continua a piangere, rivivendo mentalmente i sorrisi felici di Ashton, gli sguardi infatuati di Nat, quelli di apprensione di Debbie, la forzata allegria di Calum e la totale indifferenza di Luke. L'ultima, se possibile, le fa ancora più male della delusione amorosa: non solo il ragazzo di cui è innamorata prova sentimenti per un'altra persona ma, addirittura, l'unico in grado di sorreggerla e impedirle di cadere non è e non vuole essere al suo fianco. Se solo fosse riuscita a parlarne in quei giorni almeno ora ne conoscerebbe il motivo e, anzi, forse a questo punto avrebbero persino già risolto il problema. Ma River è una codarda, si dice: non riesce a combinare nulla di buono per paura di peggiorare le cose. E ora? Ora ha perso tutto ciò che per lei contava, senza nemmeno poter dire di aver fatto del proprio meglio, di aver lottato per loro.

Un singhiozzo le scuote le spalle, mentre quella consapevolezza le sconquassa il petto. Il suo cuore batte più forte, quasi volesse uscire e correre via per i fatti propri, lontano da tutte quelle emozioni distruttive: delusione, tristezza, solitudine, rimpianto, frustrazione, rabbia.

Affonda il viso nel cuscino e grida contro la stoffa, attutita dall'imbottitura. Grida tanto, finché la gola non le fa troppo male per continuare, senza mai smettere di piangere, interrotta solo dai singhiozzi.

L'unica cosa che vorrebbe in questo momento è un abbraccio di Luke.


 

*


 

Le cifre verdi della sveglia digitale sul comodino segnano l'una e venti di pomeriggio quando Michael Clifford apre gli occhi, per poi richiuderli subito con disappunto, nell'accorgersi di essersi appena svegliato. Non gli importa dell'ora, l'unica cosa che sa è che quel giorno è domenica e, in quanto tale, lui ha il sacrosanto diritto di trascorrerla interamente a letto.

Riabbassa le palpebre, quindi, e cerca di spegnere il cervello: vuole riaddormentarsi. Ha sognato di aver portato Shae-Lee in sala giochi al loro primo appuntamento e- un momento, è successo davvero.

Michael sgrana gli occhi e si alza a sedere; scompiglia i capelli dal colore scuro, strofina i pugni sulle palpebre e, per sicurezza, si pizzica un braccio. Sì, è decisamente sveglio; ma allora perché è ancora convinto di aver passato una serata grandiosa assieme a Shae-Lee Anning in sala giochi? Insomma, non può davvero essere capitombolato al suolo mentre giocava a Dance Dance Revolution, di fronte ad una piccola folla di curiosi e, soprattutto, a lei.

A giudicare dagli sms che legge sullo schermo del telefonino, invece, è andata proprio così. E lo sanno già tutti – come fanno a sapere già tutti della sua figuraccia? Può scommetterci che è stata River a spifferare tutto a Luke e Calum. Ripensandoci, in effetti, forse questa volta l'ha spifferato solo a Calum e lui ha provveduto ad informare gli altri. Persino Ashton lo sa: “Hai fatto la figura dell'idiota a DDR e ti sei perso Nat nella stessa serata. Hai fatto faville, amico!”

Michael ridacchia e si gratta la testa. E Nat chi sarebbe?

Alla sua domanda risponde il successivo SMS, da parte di Calum: “Ashton ci ha presentato la sua ragazza, River è chiusa in bagno e Luke è ubriaco. Se la tua serata non sta andando meglio della mia, non ti perdonerò mai l'assenza.”

Rilegge il messaggio tre volte prima di riuscire a collegare le varie informazioni come una catena di cause ed effetti. «Ouch» commenta con voce ruvida, strizzando gli occhi ancora impastati dal sonno. Dev'essere stato un brutto sabato sera per chi era rimasto al Denim.

Sorride, pensando che lui invece è stato fortunato. Non vede l'ora di incontrare di nuovo Shae-Lee. Non credeva possibile prima d'ora che qualcuno sulla faccia della terra potesse essere così tanto in sintonia con lui; si è sempre sentito dare dello strano, dello sfigato, del nerd. Shae-Lee invece non solo non lo prende in giro, ma sembra condividere tutte le sue passioni. Michael è sincero quando si chiede come abbia fatto a non notarla prima: è sempre stata sotto il suo naso, con i sorrisi dolci, la risata allegra e le guance arrossate. Sempre. Come è potuto essere così distratto da non accorgersi di lei?

Continua poi a scorrere la lista degli SMS ricevuti; ce ne sono quattro di sua madre, che lo rimprovera per essere un pigro dormiglione, uno dell'operatore telefonico e infine trova quello che lo sprona ad alzarsi dal letto, vestirsi e uscire, anche se non prima di aver agguantato un pezzo della pizza di ieri in cucina: “Nuovo materiale, lo adorerai. 2:30 pm da me”, c'è scritto.

Alle due e mezza Michael è al luogo dell'incontro. Quando ne esce, qualche ora più tardi, ha i capelli fucsia.


 

*


 

Sono le tre del pomeriggio, e nel giardino di casa Hood due ragazzi stanno sfruttando il bel tempo per non fare nulla di produttivo. L'intento iniziale, a dire il vero, era quello di lavorare a qualche nuova canzone; niente cover, questa volta, ma un testo nuovo, nella speranza che prima o poi potranno esibirsi con i propri lavori, invece che sulle note già cantate da qualcun altro prima di loro.

Quindi, ricapitolando, in teoria oggi pomeriggio a casa Hood si scrive musica, in sostanza ci si annoia supini nel prato alla ricerca d’ispirazione.

Calum sta sospirando, mentre Ashton continua a far saltare la pallina da ping-pong sulla racchetta. Di solito giocare li stimola a conversare e sfornare nuove idee, ma oggi, per qualche motivo, l'usuale tecnica non sembra funzionare. Non solo nessuno dei due è particolarmente ispirato, ma entrambi hanno poca voglia di parlare.

I pensieri di Calum vertono sui loro amici comuni, sulle ipotetiche condizioni della loro River, su quelle di Luke, che di riflesso non deve passarsela molto bene, e ancora si chiede come mai non abbia ricevuto notizie di quel cretino di Michael: dubita che Shae-Lee Anning l'abbia rapito, e ancora di più che lui sia rimasto a dormire da lei. Non che lo ritenga uno sfigato, per carità: semplicemente Michael Clifford è un po'... lento, in certe questioni. Dio solo sa, per esempio, quanto tempo ha impiegato per accorgersi d’interessare a Shae-Lee – sempre che se ne sia accorto.

Paradossalmente, anche la mente di Ashton sta percorrendo gli stessi sentieri. Credeva che ai ragazzi avrebbe fatto piacere conoscere Natalie, ma quando l'ha portata in mezzo a loro l'unica reazione che ha ottenuto è stato il panico generale. Perché? Okay, non ha mai parlato a nessuno di Nat, ma non credeva che presentarla senza prima preparare il terreno causasse tanto scompiglio. Luke addirittura si è sbronzato – e solo a pensarci ad Ashton viene da ridere – mentre River è corsa a casa, dicendo di stare poco bene. Anche Cal si è comportato in modo strano: ha fatto il buffone più del solito, si è impegnato troppo per alzare il morale collettivo. L'unico a non essersi accorto di cosa stava realmente succedendo, indovina, era lui.

Anche l'insolito silenzio che c'è tra loro quel giorno lo insospettisce. È piuttosto sicuro di non aver nulla per cui scusarsi, ma è anche curioso di sapere che cosa stia accadendo, quindi dirotta l'ultimo lancio della pallina da ping pong contro Calum, che viene colpito proprio sulla fronte, di rimbalzo.

«Ouch» si lamenta fulminandolo con lo sguardo, poi ride forte ad occhi chiusi; «sei un disastro!» dice; avrebbe voluto dire “una merda”, ma è sicuro che sua madre li stia controllando dalla finestra e, no, Calum non vuole sentire una ramanzina di domenica mattina di fronte ad uno dei suoi migliori amici.

Ashton intuisce l'antifona e si esibisce nella sua solita risata singhiozzante, da cui è impossibile non essere contagiati. Quando sente di aver rivisto mentalmente quella scena un numero accettabile di volte, smette gradualmente di ridere e si soffia via i capelli dalla fronte. «Senti, ma...» Come introdurre quel discorso dal nulla senza sembrare paranoico? «Sai qualcosa di River? Che le è successo?» Ottima scelta.

Calum si issa sulle braccia e si siede sull'erba; è questione di poco perché uno dei suoi cani lo veda e lo raggiunga di corsa, acciambellandosi tra le sue gambe con tutto l'intento di leccargli la faccia, perché è chiaro che il suo padrone voglia giocare: è seduto sul prato! Il ragazzo ridacchia, lo allontana appena e poi si scompiglia i capelli con fare imbarazzato, tornando subito a grattargli il pelo tra le orecchie.

«Non lo so» risponde poi nel tono più neutro possibile. Se lo stava chiedendo anche lui solo un attimo fa: non ha risposto al suo SMS, probabilmente dorme ancora, nella migliore delle ipotesi, oppure si è rinchiusa in una qualche bolla di depressione tipicamente femminile a mangiare gelato e guardare Titanic per la milionesima volta. «Ieri sera non si sentiva bene».

«Tutto qui? Roba da ragazze?»

Tutto qui? Una parte di Calum vorrebbe guardare Ashton dritto negli occhi e spiegargli che, lo sa?, le ha spezzato il cuore senza nessun preavviso, senza che nessuno potesse prepararla al peggio – tutto qui. L'altra, invece, lo ferma: lei non sarebbe d'accordo e nemmeno Luke; Michael probabilmente gli direbbe di fare quello che vuole, invece. E Calum?

Lui vorrebbe che i suoi amici smettessero di soffrire, vorrebbe aprire gli occhi a tutti questi cretini che gli girano intorno, perché non è possibile che nessuno si accorga di chi si fa in quattro pur di attirare la loro attenzione. Tutti, tutti i suoi amici hanno questo problema: Michael si è accorto solo ora di Shae-Lee, River non si accorge di Luke, che ovviamente non si accorge di lei, e nemmeno Ashton si accorge di River. Per un istante vorrebbe aggiungere Debbie alla lista, ma probabilmente lei si accorge fin troppo bene dei sentimenti di tutti, semplicemente non è interessata a lui.

Quindi al diavolo tutto, si dice, questa volta Calum Hood vuole dire la sua, aprire gli occhi a chi ancora si ostina a tenerli serrati e a camminare alla cieca: «Davvero non te ne sei mai accorto, Ash?» gli chiede allora, guardandolo con aria così seria che l'altro non può che ridacchiare nervosamente e preoccuparsi.

«Di cosa?»

«Di River».

«In che senso? Cal, cosa dici?»

Quindi, no, non se n’è mai accorto davvero. Questa è un'attenuante? L'ha sempre illusa, ma solo inconsapevolmente. Per qualche motivo il quadro non gli sembra affatto meno irritante.

«È cotta di te! Davvero, Ash, come si fa? Se ne sono accorti tutti!»

Ashton sgrana gli occhi e sghignazza nervosamente ancora una volta. «Ma cosa dici? Di Luke, non di me».

Okay, forse il suo amico non è del tutto cieco – ha notato ciò che anche lui e Mikey suppongono da sempre – ma continua a non vedere il punto della situazione. «So quello che dico» insiste; usa un tono così fermo e deciso che Ashton non può fare altro che sospirare arrendendosi alla realtà. Circa.

«Ma non è possibile!»

Ciò che davvero non è possibile è che lui non ci abbia mai fatto caso. È ridicolo. Evidentemente gli abbracci, le piccole avventure e tutte le cose carine che gli piace tanto sputacchiare attorno ad ogni ragazza che vede hanno fatto effetto sul cuore tenero di River. Non gliene sta facendo una colpa, vuole solo che capisca: non è qualcosa di poco conto ciò che è successo la sera precedente con l'arrivo di Nat, non è “tutto qui”. È il cuore spezzato della sua migliore amica e Calum non riesce a non indignarsi della noncuranza con cui Ashton ne sta parlando.

Lui sembra cogliere la nota di rabbia nella sua voce, perché tutto d'un tratto si fa serio. Fatica a credere a una cosa simile, ma a quanto pare ha ferito la piccola River, quella che considera come una sorellina. Ashton sospira e fa una smorfia. «È mia amica» dice ancora, come se quella frase bastasse a giustificarlo: non l'ha fatto apposta, si sentiva al sicuro da una simile eventualità.

Calum fraintende: «Sì, anche nostra. Ma, sai, non è una sorta di vaccino antinfluenzale, non ti rende immune dai sentimenti altrui».

Cala il silenzio.

Calum torna a guardare il suo cane, che ricambia il suo sguardo con un'empatia di cui a quanto pare i suoi amici non sembrano capaci. Gli accarezza la testa e lascia che gli annusi il collo, nonostante il solletico.

«Non lo sapevo» mormora Ashton dopo un po', una volta presa coscienza del motivo per cui la sera prima tutti sembravano in preda al panico.

«Lo so».

Gli dispiace che sia successo, lui, davvero, nemmeno lo immaginava. Ha sempre pensato che quella che condivideva con River fosse un bel rapporto, un'amicizia fraterna destinata a durare nel tempo; invece è risultata una storia d'amore a senso unico, in cui lei recita la parte della vittima e lui quella del crudele aguzzino. Non può negare di sentirsi in colpa, ma non lascia che quel sentimento prenda il sopravvento, perché il rumore delle implicite accuse di Calum è troppo forte per essere ignorato. Come può essere il cattivo della fiaba se fino a un attimo fa non sapeva nemmeno della cotta di River? Ha sempre pensato, come tutto il resto della compagnia, che tra River e Luke ci sia del tenero; ne è ancora convinto, nessuno può togliergli dalla testa quella certezza. Questo significa che l'unica causa delle pene d'amore dei suoi amici non è altri che lui stesso?

Sbuffa e lentamente si rialza in piedi, lasciando poi cadere la racchetta da ping pong nel prato. «Oggi non combiniamo nulla» decide di rendere palese a mo' di congedo ciò che già avevano intuito entrambi.

Calum, che non è distratto come tutti gli altri, si accorge dell'offesa che irrigidisce i suoi tratti: mandibola serrata, fronte appena corrugata, lo sguardo fisso e duro. Eppure non si sente in colpa nemmeno un po': non ha detto nient'altro che la verità.

«Credo anch'io» lo appoggia invece e si toglie finalmente il cane di dosso; si alza, stiracchia la schiena e poi guarda l'amico dritto negli occhi. “Non ce l'ho con te, non è colpa tua” significa quello sguardo, ma la sua bocca dice solo: «Me l'hai chiesto e ti ho risposto».

Ashton avrebbe da obiettare sul suo “aver risposto”: tra le righe è stato incolpato di aver lasciato crescere qualcosa che lui non aveva visto nemmeno germogliare. Se Nat l'ha strappato non è propriamente colpa sua; se l'avesse saputo ne avrebbe parlato con River in anteprima oppure non l'avrebbe presentata loro proprio per niente. Sbuffa e scrolla le spalle, come a sminuire la propria offesa. «Mi dispiace» borbotta invece, sembra più contrariato di quanto non vorrebbe.

Cal allarga le braccia. «È andata così» mormora e gli dà una pacca sulla spalla, senza sapere nemmeno lui il perché – è River quella che necessita conforto.

Così si separano, entrambi un po' troppo amareggiati per aver condiviso una semplice sessione di scrittura. Calum lo accompagna al cancello, lo guarda allontanarsi senza una parola di più e torna indietro. Sospira mentre raccoglie la racchetta dal prato e si trascina alla pensierosa ricerca della pallina, rimbalzata chissà dove. Da una parte è preoccupato che quella rivelazione possa portare altri guai, ma dall'altro è sollevato: almeno ora Ashton sa come stanno le cose e non rischierà, se lo conosce, di fare ancora del male a River. È meglio così, sì. E il prossimo passo sarà aprire definitivamente gli occhi a Luke.

*

Sono le tre del pomeriggio e, se possibile, il tempo è ancora più bello di qualche ora fa: il caldo sta iniziando ad essere soffocante, ma l'aria è asciutta; sarebbe il giorno perfetto da trascorrere in spiaggia, pensa Luke, ma continua a salire le strette scale che portano al secondo piano di casa Loveday con un barattolo di gelato ormai caldo e due cucchiai tra le mani grandi.

Colpisce leggermente con le nocche la porta di legno della stanza di River e aspetta che succeda qualcosa.

Quando lei glielo chiederà, lui non saprà spiegarle il perché sia andato a trovarla quel pomeriggio. A dire il vero, semplicemente, il pensiero della sua migliore amica rinchiusa in camera da sola col cuore in pezzi lo ha turbato fin da quando ha aperto gli occhi questa mattina; non ci ha riflettuto nemmeno un attimo prima di correre in cucina e spalancare il freezer alla ricerca di un barattolo di gelato confezionato fragola e limone, di cui, ovviamente, non c'era nemmeno l'ombra.

«Avanti».

Quindi ora sta entrando nella stanza di River come se niente fosse, fingendo che il cuore non gli si stringa quando la trova a guardarlo ad occhi sgranati con il trucco della sera prima colato sulle guance ancora bagnate di lacrime, sdraiata tra le lenzuola.

Alza il barattolo e si richiude la porta alle spalle. «Stracciatella» le annuncia, «in casa c'era solo questo».

La ragazza si alza a sedere a gambe incrociate sul letto e si passa una mano tra i capelli per portarli all'indietro; lo guarda senza sapere cosa dire o pensare, per un attimo dimentica di tutto al di fuori di Luke Hemmings, che in questo momento è in piedi proprio davanti a lei e la sta osservando in attesa che gli dia il permesso di rientrare nella sua vita, come se niente fosse successo. E River non aspettava altro che questo, anche se ormai aveva smesso di sperarci.

Si asciuga le lacrime col dorso di una mano, poi mormora un flebile «Ciao», mentre già si sta spostando di lato per fargli posto.

Luke sorride e si avvicina in fretta, va a sedersi accanto a lei. «Tua madre si è raccomandata di non sporcare» dice; apre il barattolo di gelato e le porge un cucchiaio, un attimo prima di notare che nel contenitore non c'è altro che una poltiglia biancastra costellata di minuscole scaglie di cioccolato. «Si è sciolto!» realizza ad occhi e bocca spalancati, come se la cosa non fosse abbastanza ovvia.

River di fronte a quella scena non riesce a non ridere debolmente. Affonda comunque un cucchiaio nel barattolo e si riempie la bocca di gelato. «È buono comunque» commenta, invitandolo a fare lo stesso. Non sarà il cestello fragola e limone che sono soliti condividere in modo poco eguale, ma è pur sempre il tentativo di Luke di porgerle una mano per uscire dalla sua pozza di tristezza e lei non ha alcuna intenzione di sputarci su.

Mangiano in silenzio per qualche istante, poi lui, finalmente, azzarda a chiedere ciò che gli preme di più: «Come ti senti?»

La ragazza sospira pesantemente, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi quando ammette: «Uno schifo».

Anche Luke sospira; l'aveva immaginato, ma una parte di lui sperava di sbagliarsi. Le avvicina ulteriormente il barattolo di gelato sciolto: «Due cucchiai te e uno io», decreta: «ne hai più bisogno».

River ride e obbedisce, poi finalmente alza lo sguardo su di lui. «Ora sto meglio» annuncia sorridendogli riconoscente; si riferisce un po' al gelato e un po' alla sua presenza, l'unica domanda che lei si pone è: l'avrà capito?

A Luke non importa dei sottintesi di quella frase, il succo è ciò che conta: ora sta meglio. Quindi sorride a sua volta, prende un altro cucchiaio di gelato e si sente a casa. Se lei glielo chiedesse in questo momento, lui non saprebbe dirle cosa l'abbia spinto ad allontanarsi da lei, il motivo per cui non riuscisse e non volesse più parlarle. Non ne ha idea perché ora, mentre è con lei, sente che tutto si sistemerà, sempre che non sia già tutto sistemato.

«Tu lo sapevi?» gli chiede lei.

«Che cosa?»

«Della ragazza di Ashton».

Luke avverte il familiare pizzicore della gelosia alla bocca dello stomaco, ingoia un'altra cucchiaiata di stracciatella e scrolla le spalle larghe – quelle che, secondo Calum e River, lo fanno sembrare un armadio. «No» ammette, cacciando quella sensazione fastidiosa ma familiare. È tutto tornato come prima, è evidente. «Tu?»

«Nemmeno» risponde lei in un sospiro. «Non lo so, immagino che avrei dovuto saperlo, che prima o poi sarebbe successo, ma non ero pronta» continua, agitando il cucchiaio con fare assorto. «Anche se forse non sarei mai stata pronta».

«Avrebbe fatto male in qualunque modo» conferma Luke, lasciandosi cadere supino tra le lenzuola. «Fa sempre schifo vedere la persona che ti piace assieme ad un'altra». È il suo stesso commento a ricordargli ciò che gli ha detto Calum la settimana scorsa in spiaggia: lui non sopporterebbe di vedere nessuno al fianco di River.

Prova ad immaginare per qualche istante che ci sia qualcun altro al suo posto con un barattolo di gelato dei gusti giusti, qualcuno disposto a darle il suo appoggio e a confortarla, qualcuno che, magari, la abbracci e le accarezzi dolcemente i capelli fino a farla addormentare. Immagina che quel qualcuno sia Ashton. Si morde il labbro inferiore, non riesce nemmeno a visualizzare la scena. Quello è il suo posto e di nessun altro.

Senza neanche pensarci, prende per mano River e la tira più vicino a sé; lei si stende al suo fianco e appoggia la testa sulla sua spalla, il vasetto di plastica a separare i loro corpi.

«Ora sporco il materasso, di sicuro» mormora lei stiracchiando un sorriso incerto, ma senza smettere di mangiare mormorando supposizioni deliranti su come avrebbe potuto attutire il colpo ricevuto solo la sera prima.

Luke la ascolta, ogni tanto ridacchia e smentisce le sue assurde elucubrazioni mentali. No, non avrebbe potuto scoprirlo per vie traverse: nemmeno loro lo sapevano! E, no, non sarebbe riuscita in alcun modo ad estorcere la verità ad Ashton: quando vuole mantenere un segreto non c'è modo d’impedirglielo.

Gli è mancato sentire la sua voce, vederla gesticolare animatamente quando si agita, gli è mancato abbracciarla e rifugiarsi con lei sotto il lenzuolo, come se non fosse troppo caldo anche solo per stare vicini, come se non avessero mai smesso di parlarsi, come se non esistesse nessun altro al mondo al di fuori di loro due.

Parlano, ora, come se nulla fosse successo. Recuperano tutti i momenti sprecati a chiedersi che cosa non andasse nella loro amicizia e addirittura, quando River si assopisce tra le sue braccia, Luke sa dare una risposta a quella domanda: il problema della loro amicizia è che, non meno di quella tra lei e Ashton, lì c'è di mezzo un amore a senso unico.

È una situazione triste, Luke se ne rende conto: prova dei sentimenti più profondi del previsto per la sua migliore amica e probabilmente non glielo dirà mai, per evitare di rovinare il bellissimo rapporto che negli anni è cresciuto con loro. Dirle una cosa del genere pur sapendo di essere un fratello per lei sarebbe puro masochismo, sarebbe come prendere anni e anni trascorsi insieme e buttarli nel bidone. Impossibile non avere rimpianti.

Ora non vuole pensarci, comunque: lei è lì e loro sono di nuovo fianco a fianco. Le accarezza la testa e abbassa le palpebre. Si bea della sensazione delle farfalle nello stomaco, del dolce – e per niente soffocante, nonostante la temperatura – calore che gli infonde. Se è destinato a poter ottenere solo questo da lei, be', a lui va benissimo.






Sono leggermente turbata da tutto il tempo che ci metto per aggiornare. Giuro, non ci avevo proprio fatto caso, ma sto scrivendo un capitolo al mese e non ho proprio idea di come facciate a sopportare una cosa simile. Se c'è qualcuno che davvero mi sta seguendo dall'inizio (o anche da poco, perché comunque l'attesa dev'essere snervante) lo ringrazio di tutto cuore. Davvero, avete tutta la mia gratitudine se ancora non avete smesso di seguirmi. 
Mi sono accorta da poco anche che la storia ha ormai un anno, ma ancora non è arrivata al decimo capitolo. Non so, che tristezza ç_ç mi piacerebbe avere più tempo per scrivere e molti meno blocchi, ma purtroppo le cose stanno così. Anche in questo momento dovrei star studiando, teoricamente.
Un'altra cosa che ci tengo a dirvi è che, no, davvero, non sono un'ingrata; oggi forse non riuscirò a rispondere alle recensioni, ma prometto che lo farò presto, perché mi dispiace sempre non farlo. Come a me fa piacere ricevere un feedback, sono sicura che sia lo stesso per chi mi recensisce. Mi impegno, promesso. :)
L'ultima cosa è che, se tutto va secondo i piani, la storia conterà 14 capitoli, circa. Spero che non mi servano quindi altri sei mesi per scriverli (no, davvero, ew). 
Ciò che mi stupisce davvero è vedere che c'è gente a cui questa storia piace davvero. Apprezzo tantissimo, sono sincera. Come ho precisato nei primi capitoli, ho iniziato a scriverla senza sapere dove sarei andata a parare e senza alcun impegno. Con un po' di presunzione, lo ammetto, avevo anche pensato che sarebbe stata la mia occasione per "spiccare", visto che tutte le storie che trovavo in questo fandom allora erano... be', di un altro genere che io non apprezzo. Ora, non è stato così, ma non ho rimpianti: il mio piccolo seguito mi riempie di gioia ogni volta che si fa vivo e io ne sono felicissima. Per cui, ancora una volta, grazie mille a tutti.
Grazie anche a Rigmarole che mi ha pazientemente betato il capitolo, nonostante ora debba lavorare! Grazie Bobbol! :D 
Prima di andarmene - e scusate il papiro - volevo ricordarvi che mi potete trovare sui social network, in caso a qualcuno interessasse rimanete aggiornata o conoscermi o qualunque altra cosa.
Su ask sono @yvaine0mich, ma ogni tanto disattivo l'account per qualche giorno presa dall'esasperazione; su twitter @zuckoff; su tumblr vaffanzucca. Per vi interessano curiosità sulle mie storie, mi trovato sulla pagina facebook Yvaine0 e su yvainezero.tumblr.com (sono un po' egocentrica, me ne rendo conto). Se qualcuno fosse interessato al mio profilo personale su facebook, mi contatti privatamente in uno qualunque dei social elencati (preferibilmente non ask).
Grazie di nuovo e buon ferragosto a tutti!
Mich ♥

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


9.

 

L'odore del cloro impregna l'aria e pizzica il naso di Luke, al quale però non dispiace affatto. Non riesce a fare a meno di sorridere mentre cammina a passo incerto e scalzo sul pavimento umido, diretto verso quella che fino a qualche settimana prima era stata la sua corsia. Il suono dell'acqua mossa, l'odore del disinfettante, gli improvvisi fischi e gli strilli dell'istruttore: rientrare in contatto con la routine della piscina è come riprendere a respirare dopo un lungo periodo di apnea. Gli manca tuffarsi, trattenere il fiato fino a sentire i polmoni bruciare, il pizzicore delle vie respiratorie quando l'acqua gli entra nel naso, gli manca scorrerci in mezzo come fosse parte di quella stessa materia.

Si avvicina lentamente al professor Toomey appena lo avvista, si ferma a pochi passi da lui ad aspettare che termini di dare consigli al ragazzo del primo anno – sta annaspando, agganciato alla corsia, come ha visto tanto volte fare Michael. Sorride.

Non appena lo vede, Toomey spalanca le braccia in segno d'accoglienza e si volta completamente verso di lui, come se non volesse concentrarsi su nient'altro. «Luke Hemmings!» esclama entusiasta. «Pensavo che non ti avrei più rivisto tra noi! Bentornato!»

Luke arrossisce appena sulle orecchie, sorride e distoglie lo sguardo, mentre dissimula l'effettivo imbarazzo scompigliandosi i capelli. «Grazie» risponde solo.

Il professore gli batte una pacca sulla spalla, senza riuscire a smettere di mostrare radiosamente la sua dentatura non poi così perfetta: il suo asso nella manica è tornato! Ha di nuovo una possibilità di vedere uno dei suoi ragazzi vincere le regionali!

«Be', che stai aspettando? In vasca! Se vogliamo vincere...»

Luke fa una smorfia; non vorrebbe smorzare l'entusiasmo del suo allenatore, ma la verità è che lui non ha alcuna intenzione di partecipare alle gare. Vuole tornare a nuotare, ma non ha intenzione di accettare la proposta del professore. Quindi glielo dice, massaggiandosi la spalla sinistra con la mano destra, lo sguardo basso e gli occhi socchiusi, come se temesse di ricevere qualche colpo da un momento all'altro – ma non succede.

Per qualche istante cala il silenzio, mentre Toomey vede i suoi sogni infrangersi come una tazzina di ceramica cinese caduta dal tavolo. Annuisce lentamente e cerca di non sembrare troppo deluso quando dice: «D'accordo. Questo non significa che sarò più gentile con te: metti la cuffia ed entra in vasca! Dieci vasche in più per il ritardo. Scattare!»

Luke non se lo fa ripetere due volte: in un attimo indossa la cuffia, abbandona l'accappatoio sulla panca e si tuffa di testa nella piscina. L'impatto è improvviso ma atteso, l'acqua è fredda, ma gli basta un istante per abituarcisi. La percepisce scorrere sulla pelle, lungo tutto il corpo, restituendogli la forza che nell'ultimo periodo gli manca sempre. Sorride a labbra strette mentre riemerge e subito si fa strada nel liquido, avanzando veloce, bracciata dopo bracciata, boccata dopo boccata. È di nuovo a casa.

Il professor Toomey lo guarda da lontano con sguardo critico, sperando che l'osservazione gli dia elementi validi per non rimpiangere la sua rinuncia alla competizione: si sforza di trovarlo un po' più fiacco, un po' più lento, non poi così portato. Non ha idea del perché quel ragazzo sia così deciso a rinunciare a una così bella opportunità, ma sa che è uno spreco. Luke Hemmings è probabilmente lo studente più portato di tutta la scuola, se solo credesse un po' di più in se stesso e prendesse ad allenarsi seriamente – se solo non fosse così pigro! – avrebbe una concreta possibilità non solo di superare le selezioni per le regionali, ma anche di piazzarsi sul podio.

Di una cosa Toomey è convinto: non lascerà che Luke Hemmings butti via quell'opportunità, troverà un modo per convincerlo a provarci, dopotutto non è mai troppo tardi per mettersi sotto con gli allenamenti.

«Fammene venti a farfalla, Hemmings!»

 

Quando esce dallo spogliatoio, un paio d'ore più tardi, a Luke fanno male le spalle e non si sente più le gambe, ma si sente sereno come mai da qualche settimana a quella parte. Trascina il borsone da ginnastica lungo il pavimento umido, reggendolo per i manici, senza curarsi di non rovinarlo. È felice. Stanco come poche volte in vita sua, sì, ma felice. Ha voglia di materializzarsi in camera propria e spalmarsi sul letto, non ha nemmeno il coraggio di pensare al percorso in bicicletta che lo aspetta per arrivarci; quindi non ci pensa, limitandosi ad arrancare per i corridoi, fuori dalla scuola, la testa vuota e il cuore leggero.

Gli mancava sentirsi così. Da quando ha ammesso a se stesso i propri sentimenti per River e trascorre di nuovo tutte le sue giornate assieme a lei, non è mai stato così tranquillo. Non che la sua presenza lo agiti, ma il fatto che lei continui a pensare ad Ashton, la gelosia e la consapevolezza di provare per lei sentimenti non ricambiati non smettono mai di turbarlo. È sempre irrequieto, che si trovi da solo con lei oppure nel garage di casa Irwin per le prove. È stato questo continuo senso di frustrazione a convincerlo a tornare a nuotare: ha bisogno di sfogarsi, di sentirsi al posto giusto al momento giusto, buono a qualcosa, di sentirsi abbastanza.

Sta pensando al sorriso raggiante che di sicuro comparirà sul volto di River non appena lui le avrà detto di essere tornato in piscina, chino sulla ruota anteriore della sua bici, quando nota qualcuno camminare a passo spedito lungo lo spiazzo ghiaioso adibito a parcheggio della scuola. Rizza la schiena e fissa lo sguardo su quella che riconosce come Deborah Melvin; all'inizio pensa che sarebbe carino salutarla – dopotutto ultimamente stanno uscendo tutti insieme –, ma poi ricorda la freddezza con cui lei puntualmente li tratta tutti e decide che in tutta probabilità a lei non farebbe piacere avere a che fare con lui. Quindi sfila il catenaccio dalle razze della bici, lo lega al manubrio e trascina il suo prode destriero verso i cancelli, sperando in cuor suo che il borsone malamente fissato al portapacchi non cada in mezzo alla strada lungo il percorso.

Non fa in tempo a raggiungere l'uscita, però, ché qualcuno lo richiama: «Ehi! Luke Hemmings!» Tra tutte le persone con cui ha avuto a che fare durante la sua vita, Luke ne ha incontrate solo due a cui piace chiamarlo usando nome e cognome: il professor Toomey e sua madre, quando ne ha combinata una grossa. Ora, nonostante la voce che lo ha chiamato sia femminile – e quindi non può trattarsi del professore –, lui è abbastanza sicuro che quella non sia sua madre. Per forza di cose, quindi, non essendoci nessun altro, dev'essere stata Deborah Melvin a chiamarlo.

Si ferma, quindi, e si volta a controllare di averci visto giusto: di fatto la ragazza sta camminando in sua direzione, un plico di fogli stretto tra le braccia e la tracolla che batte ritmicamente contro la sua coscia passo dopo passo. Debbie interrompe la sua marcia a pochi passi da Luke; lo guarda fisso, con lo sguardo duro di sempre, ma non sembra arrabbiata. «Che ci fai qui?» chiede.

Lui si passa una mano sulla nuca, confuso, e risponde in tono incerto: «Sono... c'erano gli allenamenti».

«Nuoto?» Debbie sembra sorpresa da quella rivelazione. «Non avevi mollato?»

Luke non ha idea di come lei sappia tutte queste cose, non sa nemmeno perché dovrebbe importarle, ma è così confuso dall'insolita loquela della ragazza che non si azzarda a contraddirla né a troncare la conversazione. «Be', sì, ma ho cambiato idea. È un periodo un po'... complicato – si sente in dovere di spiegare; – ho bisogno di tenermi occupato».

La ragazza annuisce con aria grave, come se comprendesse perfettamente ciò di cui Luke sta parlando – questo pensiero, sotto un certo punto di vista lo turba: Debbie conosce forse i suoi sentimenti per River?

«Tu invece? Come mai qui?» aggiunge in fretta; è ansioso di portare la conversazione su un diverso percorso. Deborah lo intimorisce: guarda tutti dall'altro in basso a labbra strette, con severità, come se fosse l'unica adulta tra un mare di ragazzini spericolati; sembra quasi che, prima ancora che uno di loro possa pianificare una marachella, lei sappia già come andrà a finire. Ha un'aria coscienziosa e impersonale: lo mette a disagio, lo fa sentire piccolo e sciocco.

Debbie abbassa lo sguardo sul plico di fogli che sta reggendo, mentre sposta il peso del proprio corpo su una sola gamba, quella che regge la tracolla. «Mi sono offerta volontaria per aiutare in segreteria» spiega; «sono venuta a prendere un po' di documenti da riordinare. Ne ho la borsa piena».

Insomma volontariato, riflette Luke: tipico di una persona responsabile come lei. Si sente quasi inutile se pensa che Deborah si stava dando da fare in segreteria mentre lui sguazzava in piscina – ma solo per un istante, poi ricorda che, essendo lui un tipo piuttosto disordinato, sarebbe stato poco d'aiuto al posto della ragazza. «Fico» commenta, non sapendo bene cosa rispondere.

A quel punto cala un silenzio pesante che nessuno dei due sembra essere in grado di colmare con qualche chiacchiera di cortesia. Forse il comportamento più logico sarebbe salutarsi e proseguire ognuno per la propria strada, prima che la situazione diventi troppo imbarazzante, ma per qualche motivo nessuno dei due si decide a congedarsi per primo.

Luke si guarda attorno, impacciato, tamburellando le dita sulle manopole di gomma sul manubrio della bici. Di cosa si parla con una persona come Deborah Melvin? Filosofia? Politica? Economia?

«River mi ha detto che avete fatto pace».

Di River. Evidentemente River è l'argomento di conversazione più adatto e Luke un po' se ne rallegra, visto che è una materia che conosce molto bene. Solo un po', però, perché nel tono di voce di Debbie è tornata la solita nota di diffidenza.

«Sì» risponde. Abbozza un sorriso e osserva una macchia di fango sulla punta della sua scarpa sinistra.

«Ed è tutto a posto?» chiede lei; lo guarda dritto negli occhi, studia ogni suo movimento, anche la più piccola espressione nel tentativo di leggerlo come leggerebbe uno dei suoi libri. Debbie, purtroppo, non è brava come vorrebbe nell'interpretazione del linguaggio del corpo, ma spera comunque di riuscire a capire che cosa passi nella testa di Luke Hemmings.

È passata ormai una settimana da quando Ashton ha spezzato il cuore di River senza nemmeno accorgersene e da allora, contrariamente ad ogni sua aspettativa, le cose stanno andando molto meglio. Temeva che i tempi di ripresa di River da quella caduta fossero più lunghi, invece la riappacificazione con Luke ha funzionato da cicatrizzante e ora le sue ferite sono quasi del tutto rimarginate. Certo, ancora fanno male, ma il ritorno in carica dello storico migliore amico ha permesso a River di rallegrarsi un po', di bearsi di una compagnia che temeva di aver perso per sempre.

Debbie, non può negarlo, ne è sollevata. Con una migliore amica perennemente al settimo cielo che non ha ancora smaltito l'entusiasmo da primo appuntamento, impegnata in fantasticherie interminabili, preda ventiquattro ore su ventiquattro delle temibili farfalle nello stomaco, non era certa di riuscire a gestire anche le – comprensibilissime – turbe mentali di una nuova e fragile amica col cuore spezzato. Fortunatamente non ha bisogno di dividersi tra le due facce della medaglia dell'amore, perché c'è Luke a ricucire insieme i pezzi di River. Non che le dispiacesse il pensiero di prendersi cura di entrambe, ma Shae-Lee da sola è già abbastanza difficile da tenere sotto controllo. Se solo ripensasse a tutte le volte che le ha raccontato nel dettaglio come è andato il suo appuntamento con Michael, le verrebbe la nausea.

Ora che si trova Luke Hemmings tra le mani, ha tutta l'intenzione di capire se possa effettivamente fidarsi di lui. Non che il giudizio di River sia poco affidabile, ma River si fida anche di Calum Hood e Michael Clifford, quindi... be', diciamo che hanno canoni differenti per valutare le persone.

Stando al racconto della sua amica, Luke si è presentato a casa Loveday con un barattolo di gelato confezionato e, come se niente fosse, si è ripreso il ruolo che aveva volontariamente abbandonato non molto tempo prima: ha indossato i panni da migliore amico, si è seduto sul suo letto e l'ha consolata, come se non avessero mai discusso.

Ma avete chiarito? le ha chiesto Debbie; River ha scosso la testa e si è stretta nelle spalle: «Non è stato necessario» ha risposto.

Inconcepibile. Per Debbie è davvero assurdo che una persona, dopo aver fatto una scenata e aver portato avanti con ostinazione la politica di mutismo per settimane, possa tornare nella vita di qualcuno facendo finta di niente, senza scusarsi né dare spiegazioni, dando per scontato di essere perdonata. «Sei troppo buona» ha commentato, e River ha riso.

Luke sembra pensarci su per qualche istante, poi annuisce mordendosi il labbro inferiore. «Credo di sì».

Debbie sa che non sono affari suoi e non dovrebbe insistere, ma davvero vuole capire qualcosa di più in quella faccenda. «Ma... cos'è successo di preciso? Se posso chiedere».

Cos'è successo tra loro? Anche Luke se lo chiede, non è sicuro di saper dare una risposta. Ricorda di essersela presa a morte quando River ha insistito perché lui accettasse la proposta di Toomey e partecipasse almeno alle selezioni per le gare di nuoto regionali. Ricorda di averle dato dell'egoista, di averle rinfacciato l'abitudine di mettere becco in tutte le decisioni che lo riguardavano. Se ci ripensa, si sente in colpa; non sa spiegare perché si sia comportato in quel modo, sa solo che era così maledettamente arrabbiato da non aver saputo tenere a freno la lingua. Era convinto di ciò che aveva detto tanto da mantenere le proprie posizioni per giorni, senza rivolgerle la parola. Poi aveva cominciato a sentire la sua mancanza e aveva mantenuto il silenzio solo perché si vergognava troppo per tornare a parlare – non avrebbe nemmeno saputo giustificare il proprio comportamento, a conti fatti. Alla fine la storia di Ashton era capitata loro tra capo e collo, senza nessun preavviso, e in quello stato di emergenza Luke non aveva saputo resistere ed era corso da lei, sapendo che avrebbe avuto bisogno di aiuto.

A Debbie quella spiegazione piace, le piace parecchio. Si avviano fianco a fianco verso i cancelli, poi continuano a camminare lungo i marciapiedi finché non giunge il momento di prendere direzioni differenti; per tutto il tempo l'argomento di conversazione rimane uno solo, l'unico, forse, che hanno in comune: River.

Al momento di salutarsi, Debbie si morde l'angolo del labbro inferiore e distoglie lo sguardo. Rimane in silenzio per qualche istante, poi «Sei un bravo ragazzo, Luke Hemmings» ammette a voce bassa, in tono confidenziale, tanto che con quelle parole sembra gli abbia appena rivelato il suo più grande segreto. Poi gli sorride, un sorriso di quelli belli e sinceri, che giungono fino agli occhi e li illuminano.

Se glielo chiedessi, Luke non saprebbe spiegarti le dinamiche precise di quello che è successo, ma saprebbe dirti che in quel momento il rapporto tra lui e Debbie Melvin è cambiato. In quel momento, ne è certo, qualcosa è cambiato: lei gli ha appena dato fiducia.

 

*

 

Sono passati giorni e giorni da quando il cuore di River si è infranto in mille pezzi e ora, strano ma vero, le cose stanno iniziando ad andare leggermente meglio. Tanto per cominciare, River si è resa conto di non aver la minima speranza con Ashton Irwin e che, sostanzialmente, fino a quel sabato non ha fatto che illudersi, scambiando ogni sua attenzione per un “segnale”. Si sente tanto stupida quando ci ripensa, ma questo è niente in confronto a come si sente se per caso se lo ritrova davanti; non riesce più a guardarlo in faccia, né a parlargli: in sua presenza si esprime a suon di mormorii e movimenti del capo. A questo punto sembra quasi strano pensare che ci sia stato qualche miglioramento nel suo umore in questo lasso di tempo, ma, be', è così: ha smesso di piangere, tanto per cominciare, di autocommiserarsi e di chiedersi cosa ci sia di male in lei – Luke è stato piuttosto chiaro su questo punto: assolutamente nulla, solo non è il tipo di ragazza giusto per Ashton (grazie al cielo, avrebbe voluto aggiungere).

D'altro canto, ora sembra quasi esserne spaventata. Non vuole vederlo – mai, per nessun motivo, lo evita come la peste. È sempre l'ultima ad uscire dalla classe all'ultima ora, turbata all'idea che nel parcheggio possa esserci lui ad aspettare i ragazzi come sempre; si ferma ad aiutare i professori, a riordinare tutte le sedie dimenticate scostate dal banco, a chiacchierare coi bidelli e, se per caso Luke riesce a trascinarla fuori in tempo, arrivata all'uscita si ricorda puntualmente di aver dimenticato qualcosa in classe, quindi torna indietro chiedendo di non aspettarla. Luke sospira, lascia che gli altri se ne vadano, e la aspetta comunque, per poi accompagnarla a casa.

Se Michael e Calum si sono a malapena accorti di quell'ormai consolidata abitudine, ad Ashton non è passata inosservata. Lo ferisce che la loro amicizia sia scoppiata così, senza avere nemmeno l'opportunità di parlarne, ma non cerca di obbligarla a farlo, perché ora sa cosa la spinge a scappare da lui. E gli dispiace, davvero, ma non può che accettare la sua scelta: l'ha fatta soffrire abbastanza.

Luke, in piedi davanti al portone della scuola, aspetta che River lo raggiunga; ha salutato Ashton la mano, notato Shae-Lee che, cercando chissà cosa nello zaino, ne approfitta per sbirciare i comportamenti di Michael. Si chiede dove sia Debbie e perché non sia al fianco della migliore amica: che sia forse andata a cercare River? È un comportamento che le si addice, quindi decide che probabilmente è così.

Rimane lì a dondolare sui talloni ancora un po', alternando occhiate a lei, a loro, ai passanti, e aspetta. Aspetta finché uno sbrigativo ma allegro «Ciao» non annuncia la presenza di Debbie; sembra essere di fretta, cammina a grandi passi verso Shae-Lee e, al contrario di quanto Luke ha pensato, non c'è River con lei.

«Ciao!» ripete, sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa, poi, senza sapere bene il perché, la segue. «Hai visto River?» le domanda, il tono di voce un po' impacciato, perché non è abituato al fatto che Deborah Melvin non lo odi e, anzi, parli con lui.

La ragazza rallenta, ma non interrompe la marcia; si volta di tre quarti, continuando a camminare, e scuote il capo. «No, perché? L'hai persa?» Ridacchia con una serenità che stona con l'immagine che di solito da di sé.

Luke sorride e si scompiglia i capelli con un gesto imbarazzato. «Non è ancora uscita, pensavo fosse con te».

Deborah a quel punto di ferma; un'ombra di preoccupazione le sporca il viso, ma sparisce in fretta, sostituita da chissà quale pensiero rassicurante. «Non l'ho vista. Perché non vai a cercarla, Luke Hemmings?» propone; e gli fa l'occhiolino.

Luke arrossisce – si tratta di uno di quei cenni d'intesa che non sarebbe aspettato da una persona distaccata come lei – poi però segue il suo suggerimento e sgattaiola all'interno della scuola. Durante tutta la sua ricerca non riesce a smettere di pensare a quello strano gesto così... confidenziale. Lui e Debbie sono in confidenza, ora? Sono qualcosa come... amici?

Quando Luke la trova, River è davanti alla porta dell'aula professori e parla con qualcuno al suo interno, che però lui non riesce a scorgere; la trova bellissima nella sua semplicità, con i capelli rossicci lasciati liberi di arricciarsi sulle spalle, il sorriso dolce che la caratterizza da quando era alta poco più di un metro, le guance arrossate, gli occhi chiari socchiusi dal sorriso smagliante.

Le si avvicina lentamente, tranquillizzato dall'averla trovata, e le pizzica piano un braccio con due dita per annunciare la propria presenza; lei sobbalza, si ripara la parte lesa con una mano e gli mostra la lingua. «Hey» sussurra a mo' di saluto; sembra felice di vederlo.

«Ciao» risponde sorridendo, mentre già le sta sottraendo lo zainetto che, appeso alla spalla, la incurva leggermente da un lato.

Dopo essersi assicurato di aver alleggerito River, Luke alza finalmente lo sguardo verso la porta della sala professori, per scoprire l'identità della persona con cui lei sta parlando: il professor Toomey. «Salve, prof!» esclama subito, con un gesto di naturale simpatia verso il suo allenatore.

«Hemmings!» risponde l'uomo, sembra contento di vederlo. «Stavamo proprio parlando di te! Sia io che la signorina Loveday pensiamo sia un peccato che tu non provi nemmeno a partecipare alle selezioni per le gare regionali».

River sgrana leggermente gli occhi, spaventata da quell'argomento. Non ne ha più parlato con Luke da quando hanno litigato per paura di vedere quell'assurda situazione ripetersi. Spia di sottecchi la sua reazione e si sente sollevata quando lui scrolla le spalle con tranquillità. «Non lo so, non credo sia il caso».

Luke non vuole impegnarsi, vuole solo rilassarsi e divertirsi: il nuoto per lui è una passione, non un impegno.

Ma è talento sprecato, Hemmings! Senza troppo sforzo potrebbe superare le selezioni e addirittura piazzarsi sul podio alle gare.

Luke ride, perché proprio non ci crede. Sono ormai mesi che non entra più in acqua, ancora sente le gambe dolere a causa del primo allenamento dopo tanto tempo; non solo non trova credibile quell'eventualità, ma pensa di non meritarla nemmeno.

Okay, dice Toomey, insistere sembra inutile, ma vuole che gli prometta di pensarci su. Luke gli dà la sua parola, ma non crede che cambierà idea.

A quel punto River, sentendosi in un campo minato nell'affrontare quell'argomento, sorride, saluta e trascina via Luke. «Siamo già abbastanza in ritardo. Buona giornata, professore!»

 

*

 

La mattina dopo, quando si incontrano per andare a scuola, Calum dà loro la grande notizia: «Sapete la novità?» inizia, calciando avanti lungo il marciapiede un sassolino, che allontanerà di nuovo appena lo raggiungerà, tra qualche passo.

«No» risponde River, più sveglia di Luke a quell'ora di mattina. «Quale novità?»

«Ashton ha smesso di farci da autista: ha finalmente trovato un lavoro».

 

«No, davvero, sono contenta» ripete River per la quinta volta, turbata dagli sguardi preoccupati che le stanno rivolgendo le due amiche dal momento in cui ha comunicato loro la notizia. Sono nel bel mezzo del corridoio della scuola, pochi minuti prima che comincino le lezioni, accanto all'aula dentro cui sarà proprio River a dover sparire al suono della campanella. «Così non dovrò vederlo» aggiunge, nella speranza che questo sia il modo giusto per acquietare la loro ansia. Davvero, è stata contenta di sapere che Ashton ha trovato un lavoro: un po' perché lo cercava da mesi e mesi, ma soprattutto perché ora non dovrà cercare una scusa ogni giorno per dover uscire tardi ed evitare di incontrarlo nel parcheggio. Nemmeno immagina che Ashton ha accettato al volo l'offerta fattagli soprattutto per non scombussolare la vita di River con la sua assidua presenza a scuola, né mai lo saprà.

Debbie, in ogni caso, non si fida. È stato davvero così facile per River superare quella delusione amorosa? È davvero contenta di non dover più vedere Ashton tutti i giorni? Non le mancherà?

No, no, lei glielo assicura: è sinceramente contenta che lui abbia accettato quel lavoro, anche se questo significherà vederlo molto meno. Soprattutto perché questo significa vederlo molto meno.

Deborah stringe le labbra, poca convinta, e fa per aggiungere qualche altra osservazione, ma Shae-Lee la interrompe ricordandosi improvvisamente di una cosa successa il giorno prima – e di cui, in fondo, non vedeva l'ora di parlare loro.

La storia, più o meno, è questa: il pomeriggio precedente, Michael è andato a casa sua per le lezioni di matematica; sua sorella Kerrie, però, non era ancora tornata, quindi hanno aspettato assieme che rincasasse. Sono rimasti seduti sul divano in sala per almeno quaranta minuti, suonando alternativamente la sua chitarra e – lei potrebbe giurarlo – non ha mai visto niente di così bello come Michael Clifford che imbraccia quello strumento. Era così tenero, con quell'aria concentrata! «E... e... e...»

«Oh, ti prego, Shae – la interrompe Debbie, roteando gli occhi: – mi stai facendo alzare la glicemia».

Shae-Lee ride, poi prende un respiro profondo e prima ancora di poter concludere la frase, arrossisce. «È quasi successo» mormora, lo sguardo basso e un sorriso che proprio non riesce a trattenere.

È un coro meravigliato a risponderle: «Cosa?»

«Ci siamo quasi baciati» ammette quindi, arrossendo ancora un po' di più. Ancora non riusciva a crederci, ma era sicura che se non fosse entrata sua sorella proprio in quel momento sarebbe successo; lui si era avvicinato così tanto e aveva gli occhi socchiusi – solo a ripensarci sentiva i battiti accelerare pericolosamente.

«Quasi?!» squittisce River entusiasta, aggrappandosi all'improvviso al braccio di Shae-Lee, un sorriso a trentadue denti in viso. «Perché 'quasi'?»

Quella fa una smorfia e ridacchia, scrollando le spalle. «Perché poi è entrata mia sorella...»

River quasi riesce a vederli, così carini e vicini e assorti l'uno nell'altro, finché Kerrie non spalanca la porta di botto, l'allegra parlantina già attiva, e loro si allontano in fretta, saltando, letteralmente, ai lati opposti del divano. «Accidenti!» esclama contrariata, ma comunque fin troppo felice per quella quasi bella notizia.

Debbie non ne è altrettanto compiaciuta, ma nessuna delle due si aspettava che lo fosse: fa una smorfia, alza gli occhi al soffitto e incrocia le braccia in silenzio, per non smorzare l'entusiasmo delle sue amiche. Vorrebbe davvero essere contenta per Shae-Lee, ma non riesce a fidarsi di Michael Clifford. Le piacerebbe, per una volta, non essere così pesante, non dover razionalizzare tutto, poter festeggiare l'accaduto come sta facendo River, ma non ci riesce. A volte si sente sbagliata, si sente troppo seria, troppo critica, troppo diffidente e distaccata. Shae-Lee non gliene ha mai fatta una colpa, questo è vero, ma Debbie nel profondo vorrebbe poter essere serena e irrazionale come tutti gli altri. Vorrebbe poter spegnere il cervello.

Sospira in silenzio e abbassa lo sguardo.

 

*

 

La campanella della pausa a pranzo è suonata già da un po', ma Luke non è a mensa come tutti gli altri. Ha deciso di prendersi un po' di tempo per riflettere sulla possibilità di partecipare alle selezioni e poi andare a cercare Toomey per comunicargli il suo responso. Scendere al primo piano, quindi, e si siede sull'ultimo gradino, nell'angolo.

Mentre ieri pomeriggio camminavano verso casa, sia lui che River hanno attentamente evitato l'argomento “gare di nuoto”, entrambi troppo turbati dai ricordi che porta con sé. Per la prima volta da quando si sono riappacificati, Luke ha sentito di nuovo quella sensazione di distacco e timore farsi strada tra loro, minando la loro serenità. Questo pensiero lo turba: sarà la sua più grande passione a separarlo dalla sua migliore amica? Sospira sommessamente.

È così immerso nei propri pensieri che quasi non si accorge di qualcuno che si è seduto accanto a lui, finché quel qualcuno non parla. «Anche tu hai bisogno di solitudine? Cosa ti affligge, Luke Hemmings?»

Luke sobbalza, sentendo la voce di Debbie, sgrana gli occhi e si volta di scatto verso di lei. Batte le palpebre diverse volte, prima di riuscire a metabolizzare la richiesta e darle una risposta. Non sa bene il perché, ma, seppur con lo sguardo basso e il volto arrossato, le spiega il motivo del suo volontario isolamento: parlare del da farsi con River non si può, i ragazzi non riuscirebbero a dargli un parere oggettivo e, be', non gli resta che rifletterci per conto proprio.

Debbie allunga le gambe in avanti e abbozza un sorriso. «Vuoi sapere cosa ne penso?» gli chiede, lo sguardo fisso sull'estintore rosso proprio di fronte a loro, dall'altro lato del corridoio.

Luke, che non sa a chi altri rivolgersi, annuisce.

Così lei sorride e gli confida tutto ciò che pensa riguardo a quella faccenda: «Credo che il nuoto non c'entri niente: il problema tuo e di Riv è che non siete amici, se capisci cosa intendo. Prima di conoscervi ho sempre pensato foste una coppia» ammette; poi torna all'argomento principale, prima che Luke abbia finito di arrossire e boccheggiare in preda all'imbarazzo: «Inoltre, trovo che Toomey ti stia offrendo una grande opportunità. Tentar non nuoce, no?»

Luke la guarda ad occhi sgranati, ancora incapace di dire alcunché, poi sposta lo sguardo sui propri piedi nel tentativo di riportare un certo ordine nella propria mente. Deborah si è accorta dei suoi sentimenti per River, ha sempre pensato che stessero insieme. Il cuore gli batte all'impazzata, ma non saprebbe dire se si sente più a disagio o più felice di quella rivelazione: sembrano una coppia. Non sapendo bene come reagire, scoppia a ridere e scuote lentamente il capo. «Quindi secondo te dovrei provare?» Parte dall'argomento più facile da affrontare.

Debbie sorride e scrolla le spalle. «La cosa peggiore che può accadere è perdere, ma in quel caso non sarebbe un problema, no?, perché a quanto ho capito la competizione non è-- », ma si interrompe, perché il ragazzo sta ridendo così forte da rendere impossibile udire le sue parole.

«Inesatto» la corregge lui, una volta ricompostosi: «in effetti sono competitivo, ma non mi interessa il nuoto agonistico». Era il suo rifugio, non voleva sporcarlo di competizione: il nuoto era relax, non stress.

Debbie è spiazzata da quella risposta: tutto avrebbe detto, tranne che Luke Hemmings fosse uno di quegli uomini esagitati che fanno di tutto pur di vincere, di quelli che pestano i piedi dopo aver perso, inventando imbrogli avversari come giustificazione della propria sconfitta. Ride, poi scuote il capo e commenta: «Sei pieno di sorprese, Luke Hemmings!»

Parlano a lungo, questa volta parlano davvero.

Si nota così tanto, le chiede Luke, che sono cotto di lei?

Debbie ride ancora e gli risponde di sì, che il loro rapporto è così denso di affetto che tutti riescono a notare che tra loro c'è qualcosa di più di semplice amicizia fraterna. C'è amore – e mentre lo dice si sente un po' sciocca, perché quella non è una frase da lei, troppo poco razionale, ma anche rincuorata: forse non è così fredda come pensava di essere.

Parlano a lungo, tutta l'ora di pranzo, al punto che Luke, quando suona la campana, non è andato a parlare col professor Toomey e nemmeno ha mangiato. Ridono nel rendersi conto di aver entrambi lo stomaco vuoto, poi si alzano e raggiungono l'uscita della mensa, dove aspettano che il resto della compagnia esca per unirsi a loro. Continuano a scherzare tra loro come amici di vecchia data; Debbie commenta in maniera sarcastica gli stralci dei discorsi dei passanti che riesce ad udire, Luke ride fino alle lacrime.

Quando escono e li trovano lì, a ridere insieme, tutti i ragazzi si sorprendono; Michael fischia sommessamente e si scambia un'occhiata divertita con Shae-Lee; Calum batte le mani: ammira il suo amico per essere riuscito in un'impresa titanica quale aver stretto amicizia con Deborah Melvin, dopo che tutti i suoi tentativi sono andati a fondo come sassi in una pozzanghera; River sorride, ma un velo di tristezza impedisce al sorriso di coinvolgere gli occhi: c'è qualcosa che le brucia dentro, all'altezza dello stomaco, a quella visione, anche se non saprebbe dire che cosa. O forse non vuole ammetterlo a se stessa: è gelosa.

 



Ssssìììì, gente, sono davvero qui! :D
Non so nemmeno quanto tempo sia passato dall'ultimo aggiornamento e ho paura di scoprirlo, per cui non ci guarderò. Non so se c'è ancora qualcuno qui, che mi segue, ma se c'è chiedo scusa per il ritardo. Ormai non dirò più "non succederà più", perché sappiamo tutti che succederà, non ci so fare con le scadenze e a quanto pare ho un grossissimo problema con la scrittura da ormai mesi e mesi -- non solo ho postato solo due one shot da mesi a questa parte, ma non ho davvero scritto altro, capite? È una cosa inconcepibile per me, che fino ad un anno fa non trascorrevo giorno senza scrivere. Grazie università. ♥ Cooomunque, a parte questo, ho un serio problema con questi ragazzi; ho mollato in tronco il fandom dei 5sos ormai mesi fa, disgustata da certe testimonianze, e ora faccio un po' fatica a scrivere di loro, in particolare di Michael, che sto cercando di farmi tornare simpatico almeno per riuscire a finire la storia. Anche perché ci sarebbero ancora un po' di cose da scrivere su di lui e... be', prometto che ci proverò.
Per il betaggio del capitolo ringrazio come al solito la mia Bobbol Fede, che ora su efp si chiama m a y h e m (questa volta l'ho imparato in fretta!).
Poi, niente, se c'è ancora qualcuno che legge, spero che almeno il capitolo sia valso il capitolo dell'attesa. Sto già provando a scrivere il prossimo, ma non si sa mai.
Detto questo, come state? Va tutto bene? Spero di sì. Siete pronti alle feste? Quest'anno io ho iniziato presto ("presto") a occuparmi dei regali. Scommetto che comunque mi ritroverò il giorno della vigilia a fare acquisti folli perché avrò dimenticato qualcuno. 
Okay, me ne vado, prima che vi venga - giustamente - la voglia di linciarmi. Prima di dileguarmi del tutto, vi ricordo che QUI potete trovare tutti i miei contatti. 
Un abbraccio a chiunque sia arrivato fin qui! ♥

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Note: È passato così tanto tempo che a malapena mi ricordo come impaginavo i capitoli... ma va be'. Scusate. ^^'' Ho smesso di mettere i banner perché, non so come va sui vostri dispositivi, ma i miei non li visualizzano più da un po' (quindi no, non è una dimenticanza, lo faccio apposta).
Ringrazio tanto la mia Bobbol che ha betato il capitolo, nonostante i problemi di connessione e gli impegni vari, un cuore speciale ♥ per lei per le risposte ai miei deliri sparsi per il testo ahahah
Uh, non so se nell'ultimo capitolo o in quel precedente vi avevo parlato dei miei "problemi di stima" nei confronti della band... questo comunque non mi fermerà dal continuare, specialmente ora che invece i nostri rapporti si stanno un po' ricucendo. Mi rendo perfettamente conto, inoltre, che i miei personaggi rispecchino pochissimo (se non per niente) i caratteri che i ragazzi della band lasciano trasparire e a mia discolpa dico che a) ho iniziato questa storia quando loro erano (sembravano) più o meno come li ho immortalati nel primo capitolo; e b) li seguo talmente poco ormai che non sarei più in grado di descriverli abbastanza fedelmente. Niente, sto blaterando. Torniamo a noi.
Ringrazio con particolare affetto genesisandapocalypse, che in tutto questo tempo ogni tanto mi ha scritto e, come le ho detto, ho apprezzato tantissimo che l'abbia fatto. :D Se chiunque altro volesse seguire il suo esempio, sappiate che sono sempre felice di rispondere ai messaggi di tutti; sentitevi libere di contattarmi qui su efp oppure su kik (sono @zuckoff, ho installato kik solo per poter comunicare con gente del web, ergo, sentitevi libere di farlo :D) oppure mi trovate ad uno qualunque di questi link.
Come ultima cosa prima di lasciarvi al capitolo, vi avviso del fatto che è sicuramente un po' strano, poiché impostato su tutta una serie di contraddizioni, che poi scoprirete leggendo. È stato scritto per suscitare una serie di "Le ultime parole famose"/"Come non detto". Spero che possa piacervi. Grazie a tutti, se siete arrivati fino a qui e ancora mi aspettate. :) 

 




10.

 

Il sole sta tramontando e lei dovrebbe essere a casa già da un pezzo, quando Michael si ferma nel bel mezzo del parco per sedersi su una panchina.

Shae-Lee, nonostante il ritardo, non se ne lamenta; lo guarda divertita per poi prendere posto al suo fianco, senza alcuna aspettativa.

È stata tutta una giornata priva di aspettative ma piena di sorprese: lui s'è presentato a casa sua a metà pomeriggio con la chitarra, un sorriso timido e i capelli di una tinta blu elettrico appena fatta – nonostante solo una settimana fa sfoggiasse una chioma rosa shocking. Hanno camminato per mezza città con le chitarre in spalla, fermandosi di tanto in tanto a suonare insieme su qualche panchina la prima canzone che veniva loro in mente, a volte insieme e a volte l'uno per l'altra. Hanno mangiato un gelato all'ombra di un terrazzo, sfruttando le poche monete che qualche passante ha inaspettatamente donato loro, nonostante il loro intento fosse solo quello di divertirsi.

Se glielo chiedi, Shae-Lee non saprebbe ricordare un giorno migliore di quello. Il suo cuore non ha smesso un solo istante di correre per la felicità, balzando in gola ogni volta che le loro mani, passeggiando, si sono sfiorate per sbaglio.

Shae-Lee è sempre stata una sognatrice, ma da quando esce con Michael ha ancorato i piedi per terra – be', più o meno: la sua testa continua a prendere il volo, ma lei riesce sempre a riacciuffarla al momento giusto, prima che si faccia illusioni troppo grandi e si allontani troppo dalla realtà. Se solo non si trattasse di Michael Clifford, magari Debbie sarebbe addirittura orgogliosa della sua neonata razionalità. Anche se forse è un po' azzardato definirla addirittura razionalità, magari sarebbe più giusto chiamarlo autocontrollo. Perché se solo qualche mese fa qualcuno le avesse detto che Michael Clifford sarebbe andato a suonare a casa sua senza alcun preavviso per portarla a passeggio per le vie della città e suonare qualcuna delle sue canzoni preferite guardandola dritto negli occhi – le guance rosse e i capelli blu -, lei avrebbe iniziato a stilare la lista degli invitati al matrimonio seduta stante.

Ma non ora, non oggi. Oggi si gode attimo dopo attimo la compagnia di quel ragazzo, arrossisce quando lui le sorride, rabbrividisce quando le mani si sfiorano per sbaglio. Sarebbe sciocco se provasse a negare di aver sperato in qualcosa di più: ha fantasticato tanto su come sarebbe camminare per i corridoi della scuola mano nella mano, salutarsi con un bacio leggero dopo le lezioni, ha sognato un'infinità di volte di essere abbracciata e guardata come fanno River e Luke, che pure sono solo amici. Ma non se lo aspetta. Ha capito che per qualche motivo tra loro le cose stanno diversamente, che, anche se si cercano e amano passare tutto il tempo possibile insieme, forse non staranno mai insieme come una coppia. L'idea le dispiace, è innegabile, ma se riflette su com'è vivere quella situazione di stallo, sente di non potersi lamentare: c'è qualcosa di speciale nel loro rapporto che non vede ripetersi in nessun altro duo, qualcosa che la fa sentire importante e vicina a lui come nessun altro. Senza contare che, dopo essere stata quasi del tutto ignorata per tanto tempo, anche il solo fatto che lui la saluti per primo e le sorrida quando parlano le sembra un enorme passo avanti; pensare che addirittura vada a prenderla per portarla in giro da soli è quasi un sogno.

E se quella stasi della loro relazione significa poter trascorrere ore al telefono senza imbarazzo, parlando di musica e facendo progetti, se significa uscire assieme la sera, assistere alle prove della band per vederlo suonare e far parte del suo gruppo di amici più stretti, allora a Shae-Lee va bene. Va più che bene. Pensa addirittura che potrebbe innamorarsi di un rapporto così con Michael Clifford: quei sorrisi, quegli sguardi e quelle possibilità sono solo suoi; quei momenti in cui stanno seduti l'uno accanto all'altro a ridere senza alcun motivo apparente sono solo suoi. Sono solo loro. E anche senza etichette, anche senza conferme, a Shae-Lee va bene lo stesso, se può stare con Michael.

«Shae? Mi stai ascoltando?»

Lei sobbalza, riscossa dai suoi pensieri, e scoppia in una risata imbarazzata, mentre un'espressione di scuse sostituisce quella assorta sul suo volto. «Scusa» borbotta solo, e già si sta rimproverando per quella pessima figura. Ad essere sincera, era così persa nei suoi pensieri da non essersi nemmeno accorta che Michael avesse detto qualcosa.

Lui ride, si scompiglia e risistema accuratamente i capelli prima di posare di nuovo lo sguardo su di lei. «Dicevo: si potrebbe rifare, no? Un pomeriggio così».

Shae-Lee semplicemente s’illumina a quelle parole: il sorriso si allarga, così come gli occhi, in un'espressione di pura gioia. Michael, senza riuscire a impedirselo, sta già sorridendo di rimando.

«Oh, sì, certo! Tutte le volte che vuoi!» squittisce col suo solito entusiasmo, salvo poi rendersi conto di essere forse sembrata un po' troppo coinvolto e cercare di tornare indietro: «Cioè, sì, insomma… si può fare, ogni tanto». La verità è che le lo rifarebbe volentieri tutti i giorni, tutti i santi giorni, a costo di finire col rovinare la media scolastica – che già non è delle migliori – e conoscere a memoria ogni più piccolo angolo della città; l'ideale sarebbe poter conoscere altrettanto bene ogni più piccola sfumatura della personalità di quel ragazzo.

Michael continua a ridere perché non riesce a fare altro: Shae-Lee è buffa e con lei non si annoia mai, nemmeno per un attimo. Non sente il bisogno di studiare battute sofisticate o di frenare le più sciocche, come è solito fare quando esce con una ragazza: con lei è semplicemente se stesso, senza freni inibitori, senza maschere, senza sentire la necessità di nascondersi dietro un modo di fare da “ragazzo figo”. Michael non è un “ragazzo figo”, ha sempre saputo di non poter cambiare le cose perché, come dice lui, ha nel DNA il gene “freak”, che lo rende per l'appunto uno strambo. Se anche qualche volta ha provato a comportarsi diversamente da ciò che è, ha imparato in fretta che la finzione non paga, ma anzi ostenta, forza e reprime la spontaneità. Da quando conosce Shae-Lee ha capito, oltre tutto, che nascondersi dietro una maschera non serve, che le persone possono apprezzarlo per quello che è, con tutte le sue stranezze, la fissazione per i videogiochi e i capelli tinti di colori improbabili.

Shae-Lee è sempre se stessa, con la sua risata contagiosa, le guance sempre rosse e gli occhi spalancati a meravigliarsi di tutto ciò che la circonda; non ha paura di mostrarsi ferita né felice, non ha paura di lasciar trasparire il suo lato nerd, l'emotività, la passione smisurata per la musica e tutte le sue insicurezze. A Michael sembra di conoscerla già da una vita, come non gli è mai successo con nessuno. Intendiamoci: nonostante la timidezza Michael e il contegno non sono mai stati inseriti nella stessa frase senza una negazione o una gran carica di sarcasmo; ma da qui a sentirsi a casa con tutti ne corre d'acqua sotto i ponti. Ed è proprio questa la differenza tra Shae-Lee e tutti gli altri: con lei è se stesso, con lei si sente a casa nonostante la conosca davvero solo da pochi mesi.

Quindi ridendo la abbraccia, solo perché ha voglia di farlo, e le stampa un bacio sulla fronte che la fa arrossire come un peperone in meno di un secondo. Sente il proprio cuore accelerare il battito, perché non è proprio questo il genere di contatto che vorrebbe con lei – non solo, almeno – ma non si azzarda a fare altro. Percepisce il calore irradiato dal suo corpo, i suoi capelli arruffati solleticargli il collo e, quando lei risponde a quel goffo abbraccio appoggiandogli la testa sulla spalla, è sicuro di essere rosso almeno quanto lei. La stringe un po' di più a sé, mentre nella sua testa si affollano mille cose da dire, tra cui non riesce a sceglierne nemmeno una. Essere diretto, essere carino, essere romantico o essere divertente? E se lei preferisse rimanere così in silenzio? E se volesse parlare lei per prima? E se...

«Mi sto strozzando con la tracolla».

...e se invece dicesse la prima cosa che gli passa per la testa, la più stupida del mondo? Si fa i complimenti da solo e sospira in silenzio, sconcertato dal suo essere sempre così fuori luogo.

Shae-Lee ride, ride serenamente e si sposta appena, aiutandolo poi a sfilarsi la custodia della chitarra dalla spalla; la appoggia accanto alla propria sull'erba e poi s’incanta qualche istante a fissarle, trovando in quell'immagine più armonia di quanta si penserebbe: finge che quelle due chitarre siano loro due, l'uno accanto all'altra nel parco, scomposte e un po' sporche dopo essere state poggiate dove capitava per tutto il giorno, ma sempre e comunque in grado di creare una musica perfettamente armonica.

Quando alza lo sguardo, trova Michael ad osservarla; il cuore perde un battito, poi comincia una corsa a perdifiato che nessuno sarebbe capace di arrestare. Accorgendosi della sua vicinanza e, con ancora il pensiero delle due chitarre in mente, gli lascia un soffice bacio sulla guancia.

Rimane lì, immobile, inchiodata dallo sguardo di Michael, che sorride appena, poi con delicatezza posa le labbra sulle sue.

 

Il garage di casa Irwin sembra sempre troppo piccolo a Michael quando, come in quel momento, le grida di giubilo dei ragazzi rimbalzano chiassose contro le pareti; le sue guance sono rosse, lo sguardo basso, le mani già si occupano dei capelli nel disperato tentativo di trovare una distrazione dall'imbarazzo. C'è un sorriso, però, che non riesce a trattenere, e a nessuno passa inosservato.

«Finalmente, amico!» tuona Ashton con fin troppo entusiasmo, per poi ridacchiare in quella maniera singhiozzante e un po' acuta che lo contraddistingue. «Ormai vi frequentate da secoli!»

«Già!» conferma Calum, battendogli una mano sulla spalla: era ora che lui e Shae-Lee facessero un passo avanti, qualcuno doveva pur mostrare a Luke e River come si portava una relazione al livello successivo. Il pensiero di Luke lo porta poi immediatamente su una nuova linea pensiero, ricordandogli una voce che ha sentito girare in corridoio quella mattina, all'uscita dalla lezione di biologia. «E tu, Lucas, spiegami un po' come hai fatto ad entrare nelle grazie di Debbie Melvin» esordisce, lo sguardo che da un amico si tuffa fulmineo sull'altro.

Luke sgrana gli occhi, è confuso, arrossisce anche un po', perché sembra quasi che Calum stia insinuando qualcosa. La verità è che nemmeno lui sa come ci sia riuscito, fatto sta che sono giorni che parlano spesso. La trova una compagnia piacevole, quella di Debbie, anche se a vederla non lo avrebbe mai immaginato; è una ragazza in gamba, che ha sempre una risposta a qualunque quesito e sembra sempre comprendere alla perfezione ogni suo pensiero e confessione. Qualche giorno fa si sono di nuovo incontrati dopo gli allenamenti e sono rimasti nel cortile della scuola a fare conversazione fin dopo al tramonto.

Sorride al ricordo, poi scrolla le spalle e fa una smorfia: «Non lo so, è successo e basta. Credo di starle simpatico» ipotizza, anche se non si è mai preoccupato della motivazione che sta dietro alla loro neonata amicizia al punto da discuterne con Debbie. Non crede nemmeno sia necessario farlo: le persone fanno amicizia e basta, non deve per forza esserci un motivo – anzi, se certe cose succedono spontaneamente è un bene.

Calum schiocca la lingua contro il palato e scuote la testa, mentre le dita sfiorano le corde del basso, che fremono appena rilasciando l'eco di qualche nota. «A Debbie Melvin le persone non stanno simpatiche, pare. Di solito almeno» insiste con un sogghigno. Poi alza lo sguardo e vede Luke arrossire, senza saper bene perché stia succedendo. Non ci fa troppo caso, anzi, ride del ricordo che sta per condividere coi suoi amici: «Ho provato a chiederle di uscire ieri: prima mi ha detto di essere lesbica e poi impegnata. Ma cosa faccio io alle donne, eh?»

Michael ridacchia e ammicca nella sua direzione: «Scappare» risponde; «le fai scappare».

Ashton ride forte, assieme a Mikey e anche a Calum, mentre Luke si limita a soffiare una risatina poco convinta.

La verità è che non sta nemmeno ascoltando, troppo assorbito nel frenetico riflettere su tutte le osservazioni ottenute, diretto verso una presa di coscienza che un po' lo turba. Perché se è vero che a Debbie non piace nessuno, che rifiuta ostinatamente l'amicizia del resto del gruppo, che sembra in tutto e per tutto disgustata da Calum e dal suo modo di fare, è altrettanto vero che con Luke va d'accordo: parlano molto, senza problemi, si sfogano l'uno con l'altra e da quando è stato rotto il ghiaccio hanno un occhio di riguardo l'uno per l'altro in ogni circostanza – perché l'occasione non si è mai presentata, ma se fosse necessario sarebbero pronti a difendersi a vicenda. E Debbie non si comporta così nei confronti di nessuno, se non di Shae-Lee, la sua migliore amica. Se c'è una cosa che Luke sa delle ragazze, è che considerano la loro migliore amica come il loro principe azzurro mancato. È un po' imbarazzante pensarci, ma se tutti questi presupposti conducono ad un solo risultato, questo dev'essere che Debbie Melvin ha una cotta per lui.

Arrossisce e sgrana gli occhi, incredulo, ma si ricompone in fretta, perché non ha alcuna intenzione di spifferare ai ragazzi quello che ha appena realizzato. È così strano. Debbie... una cotta per lui? Lui, innamorato della sua migliore amica probabilmente da sempre? È strano, sì, ma se solo Luke non fosse così invaghito di River, pensa che le darebbe una possibilità. Un lato di lui sa che l'unico modo per uscire da quell'amore a senso unico sarebbe cercare di distrarsi, di dedicarsi ad altro, magari anche dando una possibilità ad una persona con cui tutto sommato si trova molto bene, nonostante la conosca da poco. Eppure River c'è e Luke non riesce a non pensare a lei.

Sospira e Calum gli batte forte una mano della nuca, dicendogli che, no, durante le prove i sospiri innamorati sono vietati, 'ché i sorrisi svagati di Michael dopo il bacio (i baci, corregge lui) con Shae-Lee sono già abbastanza fastidiosi.

 

«Potremmo uscire di nuovo tutti insieme» propone Michael, sedendosi al tavolino della pizzeria davanti a quella che ormai può, non senza un certo senso di orgoglio, definire la sua ragazza. Non che ne abbiano parlato apertamente, ma lo hanno deciso in silenzio, di comune accordo, quando lei gli ha preso timidamente la mano a scuola e lui l'ha stretta, percependo quella scarica attraversargli in corpo. Si aspettavano gli sguardi di tutti addosso, avanzavano rossi in volto, circospetti, ma nessuno li ha guardati più del solito.

È strano, secondo lui, che una rivoluzione così grande nella sua vita passi del tutto inosservata al resto del corpo studentesco. Come possono non notare quell'enorme ed eccitante cambiamento? Sono giorni, ormai, che l'entusiasmo lo accompagna ovunque lui vada e qualunque cosa lui faccia. Ogni volta che il pensiero di Shae-Lee lo colpisce, bang!, un sorriso ebete si illumina sul suo viso e i commenti contrariati di Calum gli piovono addosso in stile temporale estivo – la pioggia si estingue in fretta, però, perché River e Luke sono sempre pronti a metterlo a tacere, prendendo la parte della nuova coppietta.

Se non si conta Debbie Melvin, la novità sembra entusiasmare tutti quanti – o per lo meno tutti coloro che sanno dell'esistenza di Michael Clifford e Shae-Lee Anning.

Sembrano fatti l'uno per l'altra, secondo River; lui sembra fatto solo per lavorare come cassiere da Tesko per il resto della sua vita, calvo e inquietante come solo lui sa essere, secondo Debbie: Shae-Lee merita molto di più. Tutti, però, o per lo meno i “tutti” di cui si parlava prima, hanno imparato che l'opinione di Debbie Melvin su Michael e ciò che lo riguarda non conta davvero: sarà sempre di parte, sempre negativa.

«È una bellissima idea!» risponde la ragazza, mentre un sorriso smagliante si allarga sul suo viso e le guance s’imporporano appena. Non che sia successo niente di particolare, ma da quando stanno insieme – perché stanno insieme, giusto? – Shae-Lee è più o meno sempre rossa in volto.

Se lo chiedi a Debbie, i suoi sbalzi di umore sono persino peggiorati. Se un tempo Michael era il suo argomento di conversazione preferito, ora letteralmente non parla mai d'altro; quando anche sembra che l'oggetto del discorso sia altro, si può star certi che quell'oggetto richiami per metonimia Michael Clifford. Quel ragazzo sembra essere ovunque, persino nelle vaschette di gelato, persino nelle riviste di moda, per non parlare di ogni singola canzone esistente.

Shae-Lee dà un morso al suo trancio di pizza ai funghi e poi riprende a parlare, coprendosi la bocca con una mano: «Sabato ho casa libera tutto il giorno» comunica; poi qualche idea strana le passa per la mente, dunque arrossisce e si sente una poco di buono: di certo non vuole che Michael fraintenda le sue intenzioni. Non che lui non le piaccia, ma non è una facile, non lo sta invitando a casa sua per fare chissà cosa.

Anche lui arrossisce, ma fa finta di nulla, dandosi mentalmente del pervertito: non può accaldarsi al solo sentir dire che casa Anning è vuota. È solo che... lo sanno tutti, no? Una casa vuota significa libertà, libertà di fare cose che normalmente, coi genitori, non si potrebbero nemmeno prendere in considerazione. Cose a cui Michael dovrebbe davvero smettere di pensare, e in fretta, perché, no, non è il caso di correre così tanto. Stanno insieme da solo qualche giorno, non può già sperare di finire nel suo letto. O meglio, può, ma farglielo capire non sarebbe carino, non così presto. Forse. Però... No! Deve darsi una calmata.

Inghiotte un grosso pezzo di pizza, prima di annuire e confermare: «Sì, è un'opzione. Possiamo proporlo agli altri».

«Anche a Ashton?» domanda Shae-Lee, ansiosa di portare la conversazione lontano dai suoi pensieri imbarazzanti.

Michael coglie la palla al balzo, forse anche più a disagio di lei, e fa una smorfia. «Non lo so, pensi che a River darebbe fastidio?»

La ragazza ci pensa su solo un attimo, prima di ricordarsi della risolutezza con cui, l'ultima volta che ne hanno parlato, la sua amica ha affermato di non voler più vedere Ashton. Non che lo odi, questo mai, River non sarebbe mai capace di un sentimento così negativo; semplicemente finché non lo incontra riesce a non pensare all'accaduto e, di conseguenza, a non soffrirne. Prima o poi la sua cotta svanirà, no? È un piano piuttosto efficace secondo River; lo è un po' meno nell'ottica di Debbie, mentre Shae-Lee si limita ad appoggiare la sua scelta, senza preoccuparsene davvero.

«Forse è meglio che lui non ci sia» suggerisce comunque. A lei Ashton piace, se deve essere sincera. Sembra un ragazzo simpatico, gentile, alla mano; si è impegnato tanto per ottenere quel contratto e non l'ha mai visto offendere nessuno né nulla del genere. Secondo Debbie è un egocentrico narcisista, ma ormai persino Shae-Lee inizia a credere che i giudizi della sua migliore amica su chiunque sia legato a Michael non siano da tenere in considerazione.

Secondo Shae, se non ci fosse stato Luke, lui e River sarebbero potuti essere una bellissima coppia. Il fatto è che ovviamente, invece, Luke c'è; e nonostante da un po' di tempo a questa parte trascorra un sacco di tempo in compagnia di Debbie, quasi più che con River, lui è senza ombra di dubbio la sua anima gemella. Si vede da come si guardano, da come ad ogni movimento dell'uno ne corrisponda uno dell'altra; si vede dai loro sorrisi speculari, dalla complicità che Shae-Lee a volte si ritrova a invidiar loro. Luke e River hanno qualcosa in più di qualunque altra coppia di persone lei abbia mai visto.

«Credi che si piacciano?» chiede all'improvviso, senza alcun apparente collegamento logico.

Michael sgrana gli occhi; continua a masticare lentamente, prendendo tempo, poi ingoia il boccone e si scompiglia i capelli, per sistemarli subito dopo. «Chi?» domanda, confuso.

Shae-Lee ride, rendendosi conto del proprio repentino cambio di argomento. «River e Luke. Io li trovo... perfetti. Sarebbe un peccato se non si piacessero. Lei dice di essere presa da Ashton, ma...»

Mikey sorride e scuote il capo, interrompendo così quella frase che sarebbe comunque rimasta in sospeso. «Loro stanno insieme, ma non lo sanno» decreta, come se fosse del tutto sicuro di quello che sta dicendo. E infatti lo è: lo sostiene da sempre. L'unica cosa che non sa è come sia possibile che loro stessi non se ne siano ancora accorti.

Anche Shae-Lee sorride, perché le sembra una cosa bellissima e terribilmente romantica.

 

*

 

Calum sbuffa e incrocia le braccia sul petto; il suo vassoio della mensa è pieno ma il cibo è ancora del tutto intonso. Non ha nemmeno preso in mano la forchetta per fingere di assaggiare i maccheroni al formaggio – poco invitanti – nel suo piatto, impegnato com'è a fissare Debbie e Luke che ridono di fronte al distributore delle bibite.

Il loro tavolo è insolitamente vuoto oggi: Michael e Shae-Lee hanno optato per un pranzo di coppia in un angolo della grande sala e solo Calum e River sono seduti al solito posto; entrambi guardano nella stessa direzione, lei con meno fastidio e più confusione di lui.

«Da dove spunta tutta questa affabilità?» domanda il ragazzo, brusco, lo sguardo fiammeggiante.

Sono passati ormai quindici minuti da quando Luke si è alzato per prendere da bere, senza più far ritorno, e a lui piacerebbe davvero sapere come può Deborah essere così fredda nei suoi confronti ma così solare in quelli del suo migliore amico. C'è qualcosa di totalmente ingiusto in questo comportamento.

River sgrana appena gli occhi e gli rivolge un'occhiata smarrita. Piacerebbe anche a lei saperlo. Non che quella nuova grande amicizia la infastidisca (forse), ma ha come l'impressione di essersi persa qualcosa. Cos'è successo? Quando è successo? Come mai sono così affiatati tutto d'un tratto? Un giorno era tutto normale e quello seguente Luke e Debbie erano amici per la pelle.

Deborah, addirittura, ride e scherza, serena come River forse non l'ha mai vista nemmeno nei pomeriggi tra sole ragazze. È quasi tentata di chiedere a Shae-Lee se la loro amica sia effettivamente mai stata così tranquilla di fronte a qualcuno, o anche da sola con lei.

Non ha mai avuto dubbi sulla piacevolezza della compagnia di Luke, ma c'è qualcosa che non quadra e le piacerebbe davvero potersi dare una risposta. C'è qualcosa di strano in queste novità. Oggi, per esempio, si sono dati appuntamento tutto allo stesso tavolo, come sempre, ma Luke al momento sembra troppo impegnato a chiacchierare con Debbie per unirsi a loro.

River sente lo stomaco brontolare, ma lo ignora, decisa ad aspettare Luke prima di iniziare a mangiare. Perché Luke arriverà, Luke arriva sempre, lui sa che lei non toccherà cibo senza di lui. È sempre stato così. È una regola non detta, una gentilezza reciproca che nessuno dei due ha mai infranto: si aspettano, si sono sempre aspettati e si aspetteranno sempre. Le cose non sono cambiate, giusto?

C'è uno strano timore che da qualche giorno non riesce a scacciare. Quella sensazione di non sapere la turba, ha l'impressione che qualcosa sia sul punto di mutare radicalmente e l'incertezza e l'attesa sono una lenta tortura.

Calum sbuffa, prende a infierire su un tovagliolino di carta, stracciandolo in mille piccoli pezzi, senza staccare gli occhi dalla nuova coppia di amici. «Ma per piacere, è ridicolo! Che le prende? A me nemmeno risponde quando parlo, con Lucas è tutta un cuore!»

“Tutta un cuore.” A River vien da ridere sentendo quella frase, ma cerca di trattenersi. «Hanno solo fatto amicizia» cerca di giustificarli, perché in fondo entrambi sono suoi buonissimi amici e l'idea che Calum ce l'abbia non loro non le piace. Ma la verità è che non sa bene come prendere le loro parti, visto che lei stessa non ha idea di cosa sia successo.

«Sarai mica geloso, Cal?» butta lì infine, non sapendo cosa aggiungere, nel tentativo di attirare la sua attenzione per poi portarla su qualcos'altro che lo infastidisca meno.

Calum invece di indispettirsi e negare ostinatamente come da copione, scrolla le spalle e s’incupisce un po'. «A me non ha dato nemmeno una possibilità» borbotta. Lo trova ingiusto. Luke ha già la sua River, per averla gli basterebbe allungare una mano e prenderla; perché deve avere ai suoi piedi anche Debbie? Non che ce l'abbia con lui, sa che il suo migliore amico non gli soffierebbe mai la ragazza da sotto il naso, è il comportamento di lei che non capisce. Cos'ha Luke che a Calum manca? I capelli biondi, le spalle larghe? Lei non sembra il tipo da far caso a certe cose. Il cuore impegnato? È una questione d'orgoglio, forse? Che voglia allontanare Luke da River, perché crede che non abbia speranze? Che lo voglia semplicemente perché il suo cuore è già di qualcun altro? Calum non riesce a spiegarselo.

River, colpita da quella reazione, abbassa lo sguardo. Si sente in colpa per aver infierito e vorrebbe davvero potergli dare una risposta soddisfacente, ma non ne ha, non ha spiegazioni a quell'enigma. Gli posa una mano sul braccio, invece, e abbozza un sorriso rassicurante quando lui la guarda negli occhi, pensando che oggi entrambi usciranno dalla mensa a stomaco vuoto. «Sono solo amici» lo rassicura.

 

*

 

«Credo che lei mi piaccia».

Le parole di Luke giungono del tutto inaspettate all'orecchio di River, che impallidisce udendole. Sono seduti al tavolo della cucina di casa Loveday, appena qualche giorno dopo, e si stanno sforzando di studiare insieme la rivoluzione francese. Per lo meno ci stavano provando fino a qualche istante fa, poi, mentre River leggeva ad alta voce un paragrafo, Luke l'ha spiazzata con quell'affermazione.

«Chi?» domanda scioccamente, nonostante sappia con esattezza di chi si sta parlando.

Lui arrossisce e la guarda; non saprebbe dire nemmeno lui perché lo sta dicendo, ha passato metà pomeriggio a cercare di partorire quelle parole, ma ora vorrebbe rimangiarsele. «D-Debbie» balbetta, in un misto tra l'imbarazzo e il pentimento. C'è qualcosa nell'espressione smarrita di River che lo turba, ma è troppo confuso per poter comprendere di cosa si tratti: se siano le sopracciglia aggrottate, le labbra strette invece che dischiuse per la sorpresa, il pallore sulle guance. Si aspettava un sorriso smagliante e magari un abbraccio? Be', sì, perché è così che funziona di solito le cose tra loro. O funzionavano. Cos'è cambiato?

«Oh» mormora lei in risposta, sforzandosi di abbozzare un sorriso. Si sente strana, ma cerca di non perdere tempo analizzando le proprie sensazioni e, anzi, torna in fretta a leggere ad alta voce il testo di storia. L'interrogazione di certo non si preparerà da sola; quel sentimento di delusione che le morde la gola, invece, teme proprio che non se ne andrà tanto presto.

Legge meccanicamente senza capire nulla di quello che pronuncia, mentre, senza riuscire ad evitarlo nonostante il proposito, pensa a Luke. Com'è possibile che tutto d'un tratto gli piaccia Debbie? Fino a qualche settimana fa nemmeno osava guardarla in faccia, nemmeno si salutavano – e ora? Cos'è cambiato? Ha come l'impressione che una piccola parte di Luke si sia nascosta, dopo il loro allontanamento, e ora lei non riesce più a vederla. Le sembra di non conoscerlo più, o di non conoscerlo più come prima. Chi dei due è cambiato?

E Debbie? È interessata a lui? Non ne ha mai dato segno, anzi, sembra convinta che tra lei e Luke ci sia del tenero. Teme che Deborah sia proprio il genere di persona che non si avvicinerebbe mai a lui per paura di farle un torto. Non vuole che Luke ne soffra. E... e... no. Tutto ciò che vuole è che Luke se ne vada a casa, lasciandola libera di sfogare quel pianto del tutto immotivato che preme per uscire. Non vuole mostrarsi contraria a quel suo nuovo sentimento, vuole supportarlo e vuole che Luke sia felice. Eppure... eppure... Oh, è così difficile! È confusa, non ha la minima idea di cosa dire, fare o pensare. Non sa che cosa le stia succedendo, non capisce come si senta né come debba sentirsi. C'è qualcosa di maledettamente sbagliato in quel miscuglio di emozioni negative che le inondano la mente.

Nemmeno si è resa conto di aver smesso di leggere e di star fissando un punto al centro della tavola, tra lei e lui.

Neanche Luke se n’è accorto, perso com'è in una confusione molto simile alla sua. Non comprende la reazione della sua amica, sempre che di una reazione possa parlarsi. È forse offesa? Perché lo sembra. O semplicemente non le importa? Non sa quale eventualità lo ferisca di più. E lui, lui come si sente a riguardo? Il mix emotivo che lo sta lentamente torturando lo innervosisce; forse dimenticare River e provare a ricominciare da zero con Debbie è davvero la cosa giusta da fare. Continuando a seguire gli sbalzi d'umore e a prestare troppa attenzione ad ogni dettaglio sul viso di River finirà per impazzire.

La stanza è immersa in un tale silenzio che, uscito dal suo studio al piano di sopra, il signor Loveday si convince che i ragazzi siano usciti, quindi inizia a cantare a squarciagola, mentre cammina verso il bagno.

River arrossisce e sgrana gli occhi per l'imbarazzo, udendolo, ma non ha il coraggio di richiamare l'attenzione del padre, per paura di metterlo a disagio. Quindi si limita ad accennare una risatina, mentre Luke già sghignazza piano, senza farsi sentire.

«E lei ricambia?» mormora lei, senza nemmeno rendersi conto di essere sul punto di dirlo.

Luke si passa una mano sulla nuca e si stringe nelle spalle larghe, mordendosi il labbro inferiore in segno d’incertezza. «Secondo Calum sì».

Sì, secondo Calum Debbie ricambia eccome. River non ha affatto dimenticato l'innegabile gelosia del suo amico, né l'aver aspettato Luke per tutta la pausa a pranzo senza che a lui venisse in mente la sua abitudine di aspettare di esserci tutti, prima di iniziare a mangiare. Sente lo stomaco brontolare scontento al solo pensiero e abbassa lo sguardo per celare il velo di tristezza che lo ha coperto.

Magari sì, magari Debbie ricambia i sentimenti di Luke. «Allora buttati».

 

*

 

Qualcuno, e lei non saprebbe dire chi né in quale occasione, ha detto: “se non puoi combatterli, unisciti a loro”. Ecco, se c'era una cosa che Deborah Melvin avrebbe preferito non fare mai in tutta la sua vita, quella era proprio avvicinarsi a quel perfetto idiota, ma purtroppo al momento sembrava non esserci altra soluzione.

«Hood!» sbotta marciando attraverso il corridoio; Calum alza lo sguardo, ma prima che possa rendersi conto di chi sia la ragazza che lo ha chiamato, lei lo sta già trascinando, tenendolo per un polso, dentro uno sgabuzzino.

Solo dopo essersi chiusa la porta alle spalle Debbie si rende conto di quanto quell'azione possa risultare fraintendibile, quindi: «No» premette. E poi tace, mentre tasta il muro alla ricerca dell'interruttore.

Quando lo stanzino s’illumina, Calum ha le sopracciglia aggrottate in un'espressione perplessa, le braccia incrociate e gli occhi stretti a causa dell'improvviso ritorno alla luce. «No che cosa, esattamente?»

Debbie sbuffa, si sta già pentendo di quello che ha fatto, soprattutto perché ha agito senza pensare, una volta tanto, e si è cacciata in una situazione potenzialmente compromettente. «Non farti strane idee» spiega, mettendo le mani sui fianchi.

Nel momento stesso in cui sente quelle parole, il sorriso di Calum si allarga. Lui si appoggia mollemente all'armadietto di latta alle proprie spalle, in quella che pensa sia una posa “cool”; per protesta, ovviamente, l'armadio decide di vibrare sotto il suo peso e di far rimbombare un suono agghiacciante all'interno del piccolo spazio in cui si trovano. Calum, con la sua migliore faccia di bronzo, finge di non essersi spaventato e parla: «Strane idee? Come potrei farmi strane idee dopo che mi hai intercettato in mezzo al corridoio per portarmi in un minuscolo sgabuzzino buio con tanta urgenza? Come potrei pensare che—»

«Oh, chiudi il becco!» Okay, è stata decisamente una bruttissima idea quella di affidarsi a lui, pensa Debbie; d'altra parte, però, Michael Clifford le sembrava un'opzione ancora più improbabile. Alza gli occhi al soffitto, quindi, e gli punta contro un dito. «Non racconterai ai tuoi amici nessuna menzogna su questo incontro e, puoi stare tranquillo, sarà il primo e l'ultimo. Chiaro?»

Calum batte le palpebre un paio di volte, poi sogghigna. «Una botta e via? Per me va benissimo!»

La ragazza lo fulmina con lo sguardo, poi sospira pesantemente, le mani che corrono a massaggiarsi le tempie. Perché deve rendere tutto così difficile? «Sei la persona più indisponente che io abbia mai incontrato» dichiara sottovoce, come se parlasse più a se stessa che a lui. Spera solo che questa collaborazione sarà molto breve. «Luke Hemmings mi ha chiesto di uscire. Toglimi Luke Hemmings dai piedi, Calum Hood, perché io non voglio—»

«Che cosa?» Calum sbianca e dimentica all'istante tutta l'ironia con cui si stava preparando ad esasperare la ragazza. «Luke cosa?» ripete, sconcertato. Questo non ha alcun senso! È del tutto – del tutto! - sbagliato. Luke è il suo migliore amico, non è il genere di persona che ignora i sentimenti degli altri, li scavalca e ruba loro la ragazza. Luke non è un cretino egoista come tutti gli altri, accidenti! E tanto meno è il genere di persona che chiede di uscire a qualcuno che non sia River Loveday. Non ha alcun senso. No, deve aver decisamente capito male. Eppure è piuttosto sicuro di non aver frainteso. Ah, accidenti a te, Luke! «Perché avrebbe dovuto?»

Debbie sputa una risatina amara; «Sì, be', grazie dell'implicito complimento» commenta. Carino da parte sua porsi certe domande, come se lui stesso non continuasse a fare di tutto per attirare la sua attenzione, come se non le chiedesse continuamente di uscire; Calum Hood, decide, è di certo un gigantesco idiota. È davvero sicura che non sia meglio cercare l'aiuto di quell'imbecille di Michael Clifford? No. No, Michael Clifford sarebbe davvero troppo, non vuole nemmeno ipotizzare di cadere così in basso.

Si ricompone in fretta, quindi, e riprende il suo discorso: «A me Luke non interessa in quel senso, Calum» gli dice; «e sono altrettanto sicura di non essere io quella che interessa a lui. Non voglio trovarmi al centro di un ridicolo triangolo amoroso, per cui, per piacere...»

Calum non riesce a capire, deve essersi perso un passaggio in quel ragionamento perfettamente logico – perché di sicuro per Debbie fila tutto liscio come l'olio, ma non per lui. «E io che c'entro?» Gli piacerebbe davvero essere in grado di pilotare le idee e i sentimenti della gente per far sì che si comportino nel modo giusto, ma purtroppo non è così. Ci prova, ogni tanto, ma non sempre l'esito è il desiderato. Quando ha fatto notare ad Ashton quell'errore di distrazione che continuava a sfuggirgli, per esempio, si è ritrovato a dover tornare a casa a piedi ogni giorno e a vedere il suo amico solo una volta a settimana, due quando aveva tempo per le prove.

«Sta a te dirgli di no. Sei tanto brava a farlo» aggiunge, sorridendo sornione.

Debbie serra la mascella e storce le labbra in una smorfia di superiorità. «L'ho fatto».

«Ebbene?»

«Ebbene», sospira, citandolo; «a quanto pare Luke è un cervellone ostinato proprio come te, perché non sembra essersi scoraggiato».

Calum si acciglia. «In che senso?»

«Me lo chiede già da una settimana».

Una settimana. Calum non riesce a crederci. «Si può sapere che diavolo ha in mente?» si lascia sfuggire, passandosi una mano sul viso, nel tentativo di scacciare il velo di confusione che sembra ottundergli la vista. «Lui è innamorato di River!» E sa benissimo della sua cotta per Deborah. Non riesce a credere che Luke gli stia facendo una cosa del genere – a che pro, poi, se in testa non ha altri che la sua stessa migliore amica?

«Oh!» Debbie tira un sospiro, felice che finalmente qualcosa sia esattamente come l'aveva in mente. «E su questo per lo meno siamo d'accordo. Sono entrambi miei amici e non voglio essere messa in mezzo. Ecco perché devi togliermelo dai piedi». Si trova in una situazione estremamente scomoda: da una parte c'è un'amica a cui si è affezionata da morire e che vorrebbe difendere da ogni pericolo, dall'altra una nuova conoscenza con cui si è resa conto di essere più in sintonia che con chiunque altro; per nulla al mondo vorrebbe essere causa di sofferenza per una di quelle persone – o, peggio, per entrambe.

A Calum serve ancora qualche istante per rendersi conto che «Woo-hoo! Debbie Melvin mi sta chiedendo aiuto!»; allora ride, pensando che, dopo tutto, non è ancora tutto perduto, magari ha ancora qualche speranza, se non proprio di uscirci assieme, almeno di divertirsi a esasperarla.

Deborah stringe le labbra per trattenere la propria frustrazione, poi, mettendo da parte l'orgoglio con grande sforzo, sospira e annuisce; «Esatto» si trova costretta ad ammettere.

Calum mette su un sorrisetto sghembo e socchiude gli occhi; si è ripreso in fretta dal momento di smarrimento, trovatosi a fronteggiare alla totale resa della ragazza. “Poco” è meglio di “niente”, dopo tutto, no?

«Chiedimelo».

«Cosa?»

Sogghigna. «Chiedimi aiuto».

Deborah inarca un sopracciglio e incrocia le braccia sotto al seno. «Scusami?»

«Voglio sentirtelo dire apertamente – quando mi ricapita un'occasione così?»

In effetti. La ragazza fa schioccare la lingua contro il palato e solleva leggermente un lato della bocca. «Non calcare troppo la mano» lo rimprovera. «Ora, l'idea è che...»

«Ah-ha» la zittisce lui, agitandole una mano davanti al viso. «Se vuoi il mio aiuto, chiedimelo esplicitamente. Sai, sono un po' tardo...» insiste, un sorriso sornione a increspargli le labbra.

Debbie sbuffa, fulminandolo con lo sguardo. Quel ragazzo è proprio incredibile! E, no, non in senso positivo. «Sei un bambino».

Il sorriso di Calum si allarga, sicuro che lei sia sul punto di cedere. La soddisfazione sta per arrivare, ormai è chiaro. «Sì, senza dubbio».

«Mi aiuterai, Calum?»

«Oh», il ragazzo fa una smorfia disgustata e incrocia le braccia. «No, no, so che puoi fare di meglio. Che ne dici di “Ti prego, Calum, ho bisogno di te”».

Oh, ora non esageriamo. «No».

«E dai!»

«No».

«Puoi almeno metterti in ginocchio?»

«Oh, non mi inginocchierò di fronte a te in uno sgabuzzino, Calum Hood, né ora né mai».

La risata di Calum esplode rumorosa e incontrollabile all'interno del ripostiglio; una volta tanto, deve ammetterlo, non aveva pensato a nessuna allusione. E non riesce più a smettere, ora, piegato su se stesso per il troppo ridere, con Deborah che si guarda attorno, allarmata, sperando che nessuno lo senta né, tanto meno, li sorprenda chiusi lì dentro. «Calum!» sbotta lei in un sussurro stizzito e disperato; «ti prego, stai zitto e aiutami. Contento? L'ho detto, ora chiudi il becco!»

Lui, incapace di controllare le risate, cerca comunque di darsi un contegno; si asciuga una lacrima al lato dell'occhio destro e soffoca la propria ilarità tappandosi la bocca con le mani. Solo dopo qualche lunghissimo istante sotto lo sguardo severo e imperturbabile di Deborah riesce finalmente a smettere di ridere; allora prende un respiro profondo e sogghigna. «Be', ho vinto su tutta la linea!» proclama.

Debbie rotea gli occhi, le braccia ancora strette al petto. «Certo, come no» lo asseconda in tono piatto e frettoloso. «Allora, il piano è questo: digli che ti interesso, digli che usciamo assieme e—»

«... e che mi hai trascinato in uno sgabuzzino per inginocchiarti al mio cospetto—»

«Ah ah ah, molto divertente, davvero, ma non puoi raccontare storie fantascientifiche, se vuoi che ti creda».

«Hey!» Calum cerca di fingersi offeso, ma trova quella situazione troppo divertente per impedirsi di ridere. «Va bene, allora usciamo insieme».

«Esatto». È piacevole vedere che finalmente quel ragazzo stia iniziando a collaborare. Ci è voluto un po', ma sembra che le cose possano funzionare.

«Venerdì sera?»

...O forse no. «Che cosa?»

«No? Possiamo fare sabato sera, allora, ma devo liberarmi da--»

«No! Noi non usciremo insieme, Calum, questo sarà semplicemente ciò che tu dirai ai tuoi amici».

Calum batte una mano sulla propria coscia e fa una smorfia, brontolando un “accidenti”. «Be', io ci ho provato».

Deborah sospira e rotea gli occhi un'altra volta, poi si volta e afferra la maniglia; fa per uscire, ma prima di andarsene si ferma un istante e, sottovoce, come sperando di non essere udita, lo ringrazia. Lo ringrazia perché sa che è giusto farlo e perché in fondo si rende conto che quel ragazzo le sta facendo a tutti gli effetti un grosso favore.

Calum sorride, sentendola, ma non risponde, per lasciarle la possibilità di credere di essere uscita indenne da quel confronto. E probabilmente è così, probabilmente è lui l'unico ad aver perso qualcosa ancora una volta – l'ultima speranza di poter uscire con Debbie, per esempio –, ma per qualche motivo non si sente affatto il più debole dei due. Le lascia quella piccola vittoria, quindi, aspetta che esca e poi ancora un intero minuto, concedendole così il vantaggio di allontanarsi senza di lui e di evitare che qualcuno, vedendoli uscire, si faccia strane idee.

Alla fine, dopo aver riflettuto un po' sul da farsi, abbandona a sua volta il ripostiglio, innocente spettatore di un patto fraudolento alle spese del suo migliore amico. Una piccola parte di lui, quella che probabilmente è la sua coscienza, gli fa notare che dovrebbe sentirsi in colpa alla prospettiva di mentire a Luke; un altro lato di lui, però, più orgoglioso e vendicativo, non vede l'ora di rendergli, anche se per finta, pan per focaccia, mostrandogli come ci si sente quando il proprio migliore amico chiede di uscire alla ragazza per cui si ha una cotta. Non che Luke abbia una cotta per Debbie, ma a quanto pare ne è convinto, ora, e Calum ha tutta l'intenzione di fare chiarezza nella sua menta annebbiata dalla malinconia.

Sospira, quindi, mentre si chiude la porta alle spalle, poi alza lo sguardo dal pavimento e incontra, contro ogni aspettativa, quello confuso di Michael Clifford, che saetta verso l'angolo dietro cui deve essere appena sparita Deborah. «Cal?» domanda sorpreso, senza riuscire a trattenere una risatina di sconcerto.

A Calum quello sembra proprio un segno del destino: uno dei suoi migliori amici è di fronte a lui, l'ha appena visto uscire dallo sgabuzzino in cui, apparentemente, poco prima era chiuso con la sua cotta; per di più Michael è proprio il genere di ingenuo cretino che potrebbe credere a quell'apparenza. Per un attimo è combattuto sul da farsi, ma la tentazione è più forte di lui, per cui, senza alcun rimorso, decide di cedervi.

Mordendosi il labbro inferiore si passa una mano tra i capelli scuri per simulare una rassettata post amplesso, poi finge di alzarsi la zip dei jeans, osservando l'espressione di Michael farsi sempre più sconvolta e ammirata insieme.

«Non posso parlarne, Mickey» dice solamente; poi gli fa l'occhiolino e si avvia verso la prossima lezione, evidentemente soddisfatto.



 


 

Piccolo scorcio di Yvaine0 e   m a y h e m   al lavoro sul capitolo (♥♥):




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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


11.
 
 
Esattamente quattrocentosettanta anni fa Nicolò Copernico dimostrava tramite calcoli matematici il moto eliocentrico del sistema solare; esso presupponeva che, al contrario di ciò di cui l'intera popolazione mondiale del tempo era fermamente convinta, era la terra a girare attorno al sole e non il contrario. Lavorò alla sua teoria per anni, ma l'opera fu pubblicata dopo la sua morte per evitare di riscontrare problemi, poiché contrastava l'opinione diffusa – in particolare quella della Chiesa; il tutto assicurato da un prefazione che assicurava la totale illegittimità dell'eliocentrismo, preso in considerazione solo come modello pratico.
Quando circa una generazione dopo Galileo Galilei tentò di dimostrare la validità della teoria copernicana tramite dimostrazioni logiche e matematiche, nonostante si valesse dello stesso espediente di ipotesi, venne condannato dall'istituzione ecclesiastica e costretto all'abiura, ovvero alla negazione pubblica di tutte le teorie e gli studi a cui aveva aveva dedicato la vita e per cui aveva sacrificato la vista e la salute.
Ora, la domanda è una: perché al mondo stava tanto stretta la teoria eliocentrica? Al di là degli interessi economici di chi sull'astrologia ci campava, e proprio non poteva accettare che il signor Galilei disturbasse la proficua armonia del sistema tolemaico, ciò che turbava la stabilità umana era la notizia che, dopo aver vissuto migliaia di anni con la convinzione di avere l'universo ai propri piedi, tutto d'un tratto ci si ritrovava ad essere solamente umili vassalli di un altro astro. L'uomo si ritrovò a dover fronteggiare un'improvvisa e radicale inversione di gravità: dalla Terra al Sole.
Chi non si troverebbe spiazzato e ferito dalla consapevolezza di aver vissuto tutta la propria vita nella menzogna? Nello scoprire che le cose sono sempre state differenti da come ci si aspettava?
La prima, naturale, reazione è un deciso rifiuto: no, la teoria copernicana è la più grossa sciocchezza che abbia mai sentito! La si denigra anche, magari, si cerca di sminuire quello che in realtà consideriamo uno shock.
La seconda, altrettanto naturale, reazione è il dubbio: e se invece fosse davvero la terra a girare attorno al sole? E se per tutto questo l'avessi pensata in maniera diversa solo perché l'essere il centro dell'universo mi sembrava inconsciamente più facile? E se quelle prove che i signori Copernico e Galilei mi forniscono non fossero poi così assurde?
E poi, da ultima, arriva la conferma: ebbene sì, non posso più negarlo, avevano ragione loro. Sì, l'universo non gira attorno a questo centro di gravità, ma ad un altro. La conferma porta confusione, crisi, disperati tentativi di adattamento. L'accettazione, quando avviene, arriva dopo diverso tempo, dopo lunghe riflessioni e sforzi. Dopo di essa, è tutta questione di ricominciare da capo e ambientarsi in quel mondo che non è poi cambiato così tanto, paradossalmente: si continua a camminare diritti sul terreno, il senso di orientamento non vien meno e l'acqua scorre in maniera non diversamente dai tempi del geocentrismo.
 
«Ho sempre pensato che ti piacesse Luke».
«Ma cosa dici?» River è improvvisamente accaldata; con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse non riesce a credere che la sua amica sia seria. Perché una persona dovrebbe pensare una cosa del genere?
È un venerdì sera e le ragazze sono sedute in circolo sul tappeto di casa Loveday a mangiare gelato alla frutta; il gioco che stanno facendo si chiama “Ciò che non ti ho mai detto” ed è più che altro una prova reciproca di estrema fiducia, perché secondo la sorella di Shae-Lee la sincerità è il modo migliore per far crescere un'amicizia solida, mentre Debbie, con una mano premuta sulla fronte e il viso basso per nascondere l'espressione d'esasperazione, pensa che l'essere “naif” dev'essere una caratteristica di tutta la famiglia Anning. Durante il primo turno di gioco tutti si sono mantenuti su toni bassi e poco seri, ma poi – bam! – ecco che Shae-Lee ha sganciato la bomba senza il minimo preavviso. Un attimo River le confessava di essersi innamorata della sua coperta a fiori e quello dopo si sentiva dire ciò che tutti pensavano di lei: che avesse una cotta per Luke Hemmings.
Ed ora sta arrossendo sempre di più, come se al rossore delle sue guance non potesse esserci limite, mentre fa saltare lo sguardo da un'amica all'altra, sempre più preoccupata nel passare dal sorriso allegro di una all'espressione nascosta dell'altra – che Debbie sia gelosa?
«No, assolutamente» si affretta ad assicurare per paura di dare vita a qualche tensione – in questo momento ha bisogno di tutto fuorché che Deborah sia gelosa di lei, tiene troppo alla sua amicizia anche solo per pensare di causarle dolore. «Luke è il mio m-migliore amico, siamo cresciuti insieme. Siamo praticamente fratelli».
«Praticamente» ripete Debbie in tono contenuto, alzando finalmente lo sguardo su di lei. La bomba ormai è scoppiata, perché non provare a dare una spinta a questa coppia impacciata?
River trattiene il fiato, spaventata dalla durezza con cui l'altra ha parlato. Scuote energicamente il capo per negare quell'eventualità: «Davvero, no. Io... A-Ashton... » balbetta, poi si interrompe boccheggiando, perché pensare a lui ancora un po' le fa male e c'è qualcosa che le sta mandando del tutto in pappa il cervello, ma non sa di cosa si tratti.
Shae-Lee sgrana gli occhi, sorpresa dal panico con cui River sta reagendo alla sua rivelazione. «Oh, Riv» la richiama in tono premuroso e dispiaciuto; «non ci sarebbe nulla di male. Luke è un bel ragazzo, è gentile e simpatico. Un po' timido, ma non con te, vero? Con te è diverso che con tutti gli altri».
A lei sembra di andare a fuoco. Sente lo sguardo di Debbie bruciarle la pelle, le insinuazioni di Shae-Lee infiltrarsi roventi nel suo cervello, mentre il ricordo di Ashton contribuisce ad annebbiarle la mente. Si rende conto di star avendo una reazione esagerata ad una minuscola affermazione come quella, buttata lì per gioco, quasi priva di importanza, ma... ma? Ma ha paura. Ha paura che Deborah ci rimanga male, ha paura di rovinare il loro rapporto o di allontanarla da Luke – senza motivo, oltre tutto, perché a lei Luke non piace e non le è mai piaciuto, non in quel senso per lo meno. Vorrebbe essere in grado di calmarsi e mettersi a ridere; ci prova, ma ciò che esce dalle sue labbra è un pigolio smorzato accompagnato da una smorfia, mentre gli occhi le diventano lucidi. È puro panico quello che si sta impossessando di lei.
Shae-Lee la osserva con una certa preoccupazione in viso, senza capire il perché di quell'improvviso impaccio. Le avvicina il barattolo di gelato, invitandola a prenderne un po' per schiarirsi le idee, mentre Debbie, per evitarle ulteriore pressione, distoglie lo sguardo interrogandosi sullo stesso quesito: cosa le sta succedendo?
Poi d'improvviso, dopo diverse cucchiaiate di gelato e l'intera “Happy” di Pharrel Williams passata su MTV, River riprende il controllo di se stessa, quindi scoppia a ridere, mentre pensa a come fare chiarezza sul proprio comportamento. Nemmeno lei sa con certezza cosa le sia preso, ma in qualche modo sente di doversi giustificare: «Scusate, credo sia il caldo» mente, ma non del tutto, perché per quanto la riguarda l'alta temperatura potrebbe essere una delle motivazioni del suo breve delirio; «mi mancava l'aria». Poi decide di tornare all'argomento iniziale, giusto per mettere in chiaro le cose: «Ci consideriamo fratelli. Nessuno di noi ha mai pensato all'altro in quel senso e mai succederà» conclude; ha parlato con calma e sicurezza, tanta che si sente soddisfatta di essere stata così convincente.
Shae-Lee però non sembra impressionata da quelle affermazioni. «Non lo so, Riv. Ne sei proprio sicura? A me lui sembra molto attaccato a te».
«Siamo molto uniti» conferma lei annuendo, senza lasciarsi scoraggiare; «viene sempre da me a chiedere consigli sulle ragazze» aggiunge, mentre il suo sguardo viene automaticamente calamitato nella direzione di Debbie, della quale non riesce però a decifrare l'espressione distaccata.
«E quando è successo l'ultima volta?» chiede questa, sicura che la risposta segnerà un punto a favore della teoria che lei e Shae-Lee sostengono: Luke non ha che lei in testa.
River arrossisce un po', di nuovo, ma non perde la lucidità mentre risponde: «Non molti giorni fa», il tono di voce leggermente più fioco rispetto a poco prima.
A quelle parole Debbie capisce, capisce che River è a conoscenza degli assurdi tentativi di Luke di uscire con lei, magari ne è anche l'artefice, e ha voglia di urlare. Perché? Perché le persone devono complicare le cose, quando normalmente sarebbero così semplici? Perché devono metterla in mezzo, a rovinare un'amicizia meravigliosa che potrebbe facilmente essere qualcosa di più e rendere tutti più felici? Socchiude gli occhi e fa un respiro profondo, cercando di non perdere la calma. Tutto può risolversi, si ripete, niente è perduto. Almeno per ora. Quando li riapre incontra lo sguardo preoccupato di River fisso su di lei e non può fare a meno di sentirsi in colpa. Tutto d'un tratto non le sembra più il caso di continuare quella conversazione che si sta rivelando molto più difficile del previsto, quindi «Tocca a me!» esclama, scervellandosi poi per trovare una confessione da fare.
«Visto che siamo in argomento, Shae, detesto quando ti fai la piastra ai capelli. E anche tu, River: avete dei capelli così belli, perché rovinarli?»
 
È sabato pomeriggio e l'aria da zombie di River fa quasi paura, come le dice Luke, mentre fissa il vuoto seduta su una delle sedie di paglia del giardino. Sul piccolo tavolino che li separa regna sovrano un disordine di foglia bianchi, scritti, appallottolati, spiegazzati e scarabocchiati, fermati sulla superficie da telefoni cellulari, bicchieri, bottiglie e qualche sassolino per evitare che una folata di vento li porti via. Towner, il loro cane, dorme steso a pancia in su a qualche metro da loro e, ogni volta che Luke inizia a cantare, lui nel sonno agita la zampa posteriore e mugola piano.
«Ti implora di smettere» lo prende in giro River, mentre, dopo essersi ripresa dalla sua breve trance, scorre distrattamente alcune delle frasi che hanno annotato su carta. Stanno cercando di lavorare al testo di una nuova canzone: Luke ha già scritto tutta la musica, ma con le parole non è mai stato bravo quanto River, motivo per cui è corso da lei in cerca di aiuto, come tante altre volte prima d'oggi.
Luke ride e scuote il capo, senza degnarsi di rispondere a quella pacata provocazione. Poche cose lo rendono sereno come lo scrivere musica assieme a River. Suonare coi ragazzi è sempre estremamente divertente, certo, ma lavorarci con lei porta le canzoni ad un livello del tutto diverso di intimità. Nessuno, nemmeno Calum, lo conosce bene come River, nessuno meglio di lei può aiutarlo a mettere su carta i propri pensieri, a trovare le parole giuste per esprimerli e incastrarli tra le note.
Solo che lei oggi sembra distratta, mentre lui le parla di questo sentimento che non riesce ad arginare nonostante abbia provato in tanti modi a sublimarlo: non sono valsi a niente i rifiuti, i chiari segni di interesse per altri ragazzi, nulla; lui si trova sempre a lottare contro se stesso per eliminare una certa ragazza dai suoi pensieri, ma è tutto inutile perché, banalmente, lei non si muove da lì.
Ma River non lo ascolta, del tutto sorda com'è sempre stata ai sentimenti di Luke nei suoi confronti.
La verità è che, anche se lui non lo immagina nemmeno, lei questa notte non ha chiuso occhio. Ha passato ore ed ore a rigirarsi sotto le coperte, senza riuscire a togliersi dalla mente le insinuazioni di Shae-Lee, i comportamenti di Debbie, la propria reazione spropositata; ha pensato a Luke, al loro indissolubile legame, a tutti gli abbracci, ai baci sulle guance, alle carezze, al continuo supporto reciproco, dell'affetto smisurato che li legava e a come tutto ciò fosse estremamente fraintendibile agli occhi di chi non conosceva il loro rapporto fino in fondo. Poi ha pensato a quella sensazione di fastidio che aveva provato mentre lei e Calum aspettavano che Luke tornasse al tavolo con le bibite, guardandolo mentre chiacchierava con Debbie come se fossero amici da una vita. Ha pensato all'inconfondibile gelosia provata quando li ha visti parlare in confidenza per la prima volta, ha pensato alla sensazione di rifiuto e abbandono provata nel momento in cui lui le ha confessato di voler chiedere a Debbie di uscire. Ha pensato a lui e a tutti i motivi per cui sarebbe stato lecito le piacesse, alla penuria di ragione per cui non avrebbe dovuto.
E ora è qui e sente il cuore pesante mentre ascolta le parole del suo migliore amico, riferite senza ombra di dubbio ai suoi sentimenti per un'altra, e odia non poter far niente se non accettare la realtà dei fatti e andare avanti: Luke è innamorato di Debbie e River non ha nemmeno il diritto di starci male, perché loro due non sono mai stati niente. Insomma, non in quel senso.
Non si è mai considerata una mente particolarmente brillante, ma è in grado di capire quale sia il problema quando una gelosia così forte, abbinata a quell'insopportabile senso di inadeguatezza, ti attanaglia anima e corpo al pensiero dei sentimenti del tuo migliore amico per un'altra ragazza. Solo che ancora non è pronta ad ammetterlo, non vuole. Non riesce a crederci – come ci è finita in quella situazione? Come possono i sentimenti che prova per Luke aver cambiato direzione senza che lei se ne accorgesse? Che casino.
E mentre pensa a tutto ciò, non si accorge dell'espressione accigliata di Luke, che la fissa in paziente attesa di una risposta a chissà quale domanda da ormai qualche minuto. Più che infastidito, sta iniziando a preoccuparsi per la sua totale assenza mentale di quel giorno: che sia successo qualcosa?
«Riv, va tutto bene?» le chiede, e nel farlo le posa una mano sull'avambraccio, per essere sicuro di richiamare la sua attenzione. Lei a quel contatto sobbalza, arrossisce, si tira indietro e lo guarda in modo così spaventato che lui non può fare a meno di scoppiare a ridere forte: «Scusa! Ti ho fatto paura?» È così buffa!
Lei boccheggia prima di riuscire a rispondere un imbarazzato «Scusa tu, ho dormito poco stanotte» a mo' di giustificazione.
Luke scrolla le spalle e le sorride raggiante; «Dormi a occhi aperti?»
«Sì, più o meno...»
«Ora ti sveglio io!»
Prima ancora che River possa metabolizzare quell'esclamazione, Luke è già in piedi e, circumnavigato il tavolino, le sta facendo il solletico sui fianchi. La ragazza sobbalza, emette un gridolino di sorpresa e protesta, poi comincia a divincolarsi tra risate che contagiano anche Luke. Si agita tanto che rischia di cadere dalla sedia, ma i riflessi insospettabilmente pronti del ragazzo le impediscono di finire col sedere nell'erba: le afferra saldamente i fianchi, senza smettere di ridere. «Che combini, Riv?» la prende in giro, mentre le restituisce una posizione stabile: «Vuoi ucciderti?»
Sotterrarmi, lo corregge lei mentalmente. Alzando lo sguardo trova i suoi occhi azzurri a poca distanza dai propri, i loro volti sono così vicini come lo sono stati tante altre volte, ma tutto d'un tratto quella vicinanza assume un significato diverso. Lo fissa con gli occhi sgranati e l'aria smarrita, un mezzo sorriso ancora sulle labbra, mentre pensa a quanto vorrebbe che in quel momento succedesse qualcosa che li spingesse ad avvicinarsi di più. Continua a guardarlo, pupille nelle pupille, guance rosse e silenzio assoluto. Poi lo sguardo di Luke scorre verso il basso, fino alle sue labbra, e River trattiene il fiato.
 
*
 
A Michael sudano le mani. Gli sudano tantissimo e vorrebbe davvero che fosse l'unica parte del suo corpo a rilasciare dosi eccessive di liquidi di scarto, ma la verità è che la sua maglietta azzurra – che ha scelto secondo il suggerimento di River, per cui mette in risalto i suoi occhi – ha due vaste macchie blu scuro che partono dalla cucitura sotto alle braccia e si estendono disgustose sia verso le maniche che in direzione dei fianchi.
«Cavolo, Mikey, fai schifo» si dice guardandosi allo specchio nel bagno. Si è appena lavato le mani per la dodicesima volta nell'ultima ora e vorrebbe che smettessero di essere sempre così sudate. «Andiamo, calmati amico. Sei forte. Te la caverai».
È il primo sabato sera da mesi, ormai, in cui i 5 Seconds of Summer non lavorano al Denim Pub e, come se questa eventualità non fosse abbastanza fortunata, il signore e la signora Clifford sono partiti per festeggiare il loro anniversario con una breve vacanza. Michael arrossisce ricordando il momento in cui ha sorpreso suo padre a soppesare due confezioni di preservativi, per poi vedersene consegnare una: «Mi raccomando, Mikey» gli aveva detto. Ancora non sa decidere se lo abbia più imbarazzato quel regalo inaspettato o il fatto che suo padre abbia messo la seconda confezione in valigia.
A guardarsi ora, con gli occhi sgranati, i capelli di nuovo biondi – su imposizione della signora Clifford –, le mani già sudate e le ascelle pezzate, si sente molto più sfigato di quanto non gli sia mai successo negli ultimi anni – e lui è uno che di momenti no ne ha passati tanti.
È tutto il pomeriggio che i messaggi di Ashton lo incitano ad arrivare al sodo con Shae-Lee: quando gli ricapiterà un'occasione simile? Saranno a casa da soli, River lo ha aiutato a preparare una cenetta se non coi fiocchi almeno decente. Tutto sembra perfetto, eppure lui è nervoso come mai in vita sua. Ci sono così tante cose che potrebbero andare storte che non sa nemmeno dove iniziare a preoccuparsi e questo non fa che mettergli ancora più ansia in corpo. È così teso che pensa che forse sia il caso di rinunciare. Non che voglia, per carità – il cielo solo sa quante volte abbia fantasticato su quel momento e su tutti i momenti del genere che sarebbero venuti in seguito–, ma ora che sta per accadere è semplicemente terrorizzato. Eccitato, sì, ma terrorizzato. Si sente inopportuno e incapace; non ha avuto molte esperienze in campo sessuale e, be', quelle che ha avuto non sono finite nel migliore dei modi, come Ashton ha avuto la sensibilità di ricordargli: la prima volta è stata troppo breve (e lei ha avuto la gentile idea di raccontarlo a tutti i loro amici comuni), la seconda è stata interrotta dall'arrivo dei genitori (brutti, bruttissimi ricordi) e la terza con la ragazza che gli vomitava sui piedi. Dopo una collezione di disastri come quella, come puà illudersi che oggi possa andare bene? Che sfigato.
Sospira nel tentativo di sentirsi un po' meglio, ma l'aria che scende nei polmoni non porta con sé alcun sollievo. Ancora prima che possa ritentare, il suono del campanello annuncia l'arrivo di Shae-Lee e lui per poco non collassa. Recuperando non si sa bene da dove un po' di sangue freddo, si affretta verso la camera, sfila la maglietta sudata lungo il corridoio e, ancora avviluppato al suo interno con i gomiti alzati, manca l'apertura della porta centrando in pieno lo stipite. Di testa. Geme forte di dolore, ma non ha tempo per fermarsi ad imprecare: lancia la maglietta sporca sotto il letto e indossa la prima che trova, sperando che sia pulita ma senza avere il tempo di accertarsene. Sistema in fretta e furia i capelli e fa per uscire dalla camera, ma il suo sguardo viene calamitato dalle bustine colorate dei preservativi che fanno capolino dal cassetto aperto del comodino. Deglutisce a fatica e lo chiude con stizza, per poi correre all'ingresso.
Shae-Lee questa sera è bellissima, bellissima come lo è sempre. Ha gli occhi un poco truccati, le guance arrossate e quel suo sorriso allegro che lo contagia ogni volta; indossa un vestitino blu a fiori che gli ricorda una frase che ha sentito dire da Ashton («Il bello di quanto mettono i vestiti è che a sfilarli ci metti un attimo e a volte non ce n'è nemmeno bisogno!»). Arrossisce e scuote il capo per allontanare quel pensiero – come se non fosse già abbastanza in imbarazzo!
«Hey!» si decide infine a salutarla; nel farlo si appoggia allo stipite, perché nei film i ragazzi lo fanno sempre, ma poi si sente un idiota e torna dritto a scompigliarsi i capelli.
«Ciao!» cinguetta lei, poi alza un braccio per mostrargli la busta di plastica che sta reggendo: «Ho portato una crostata. Avevo portato anche la panna montata, ma Debbie mi ha costretto a lasciarla a casa – sei allergico ai latticini?» gli domanda.
«N-no!» Michael arrossisce di più al solo pensiero che Debbie abbia intuito i suoi piani per la serata. È così scontato, si chiede, che un invito a cena senza la supervisione di genitori porti sesso? Non che l'idea non gli piaccia, al contrario; ha solo il terrore di combinare qualche guaio. È così nervoso che potrebbe implodere da un momento all'altro. «Grazie» borbotta, poi strofina le mani sui jeans per asciugare quel maledetto sudore.
«Oh! Mickey, ma sei ferito!» constata la ragazza in tono acuto, facendolo sobbalzare per la sorpresa; un momento la sta guardando interrogativo, già dimentico del suo incontro ravvicinato con lo stipite della porta di camera sua, e quello dopo Shae-Lee lo sta trascinando dentro casa per mano, borbottando apprensiva qualcosa a proposito di bende, pronto soccorso e punti di sutura.
 
Nonostante sia serata libera, qualcuno si presenta comunque al Denim Pub alle nove in punto. Si potrebbe dire che la compagnia dei nostalgici del pub è più o meno quella di sempre, ma forse sarebbe più onesto dire che l'unico a non aver dato buca a Calum è stato Luke. «Perché sei l'unico buon amico che ho» commenta il primo con fare piccato, facendo roteare una lattina di Coca-Cola ancora chiusa sul tavolino; «altrimenti col cavolo che Michael e Ashton – marca i loro nomi, pronunciati per intero, con particolare enfasi per sottolineare il totale disprezzo nei loro confronti; – avrebbero preferito uscire con delle ragazze piuttosto che con noi».
Luke sogghigna e scuote pacifico il capo: non condivide la frustrazione dell'amico; certo, sì, gli avrebbe fatto piacere trascorrere una serata tutti insieme, anche solo per staccare la spina dopo l'ennessima stancante settimana di scuola, ma anche la compagnia di Calum da solo non gli dispiace. Specie perché ha un po' la testa tra le nuvole negli ultimi giorni, è combattuto tra pensieri e sentimenti diversi, intrichi insolubili di problemi che da solo non è proprio in grado di risolvere, ma forse lui potrà essergli di qualche aiuto.
«River non si sentiva bene» si sente comunque in dovere di specificare, perché l'ultima cosa che vuole è che qualcuno se la prenda con lei.
«Lo so, lo so, mi ha avvisato» taglia corto Calum esibendosi in una smorfia infastidita; «ma che razza di amici sono quelli che ci abbandonano per delle ragazze?»
Luke non risponde – “Amici innamorati” vorrebbe dire –, ma in ogni caso non pare che l'altro si aspetti che lo faccia. Anzi, continua a parlare, mentre un sorrisetto vittorioso gli increspa le labbra: «Comunque non verrò lasciato indietro ancora per molto. La prossima volta sarò io a darvi buca – sai la novità?»
Quale novità? si chiede l'altro, ma anche questa volta tace, perché sa che la risposta arriverà da sé: «Debbie Melvin ha finalmente accettato di uscire con me!»
Bang!
Luke rimane a bocca aperta.
A Calum viene da ridere nel vedere la sua espressione sconcertata, ma continua a parlare, recitando a memoria la versione dei fatti che Deborah gli ha imposto, aggiungendo comunque qualche particolare che sa che la farà infuriare – «Ha cercato di trascinarmi in uno sgabuzzino con qualche doppio fine, ma sono un uomo tutto d'un pezzo, io, non potrei mai approfittarne».
Luke lo sta ascoltando solo a metà, confuso: vorrebbe poter dire nella sua testa sta succedendo il finimondo, che la felicità per il suo amico sta combattendo con la delusione per la propria sconfitta, che un uragano sta stravolgendo l'equilibrio dei suoi pensieri, ma la verità è che niente di tutto ciò sta accadendo; non prova sentimenti contrastanti, non prova nemmeno gelosia, non prova assolutamente nulla. È solo vagamente divertito dall'espressione entusiasta di Calum e dai quei piccoli dettagli che è certo Debbie smentirà non appena lui troverà il coraggio di chiederle la sua versione dei fatti. Nel momento stesso in cui lo pensa, però, si rende conto che non lo farà: non ha più voglia di parlare con Deborah, non ha voglia di ascoltare Calum, non ha voglia nemmeno di sopportare quel fastidioso ronzio nella sua testa, che vuole a tutti i costi ricordargli River e quello che è successo qualche pomeriggio prima.
Vorrebbe dirsi abbastanza maturo da preferire la felicità di qualcuno che ama alla propria, ma non Luke è più onesto di così e sa benissimo in lui di quell'altruismo non c'è traccia – quante ragazze che gli piacciono dovrà lasciare ai propri amici, ancora?
Annaspa qualche istante in cerca d'aria, sentendosi soffocare, prima di fermare una cameriera e chiederle di portargli qualcosa di forte, sperando che lei chiuda un occhio sulla sua minore età solo perché fa parte della band del locale. Lei gli strizza l'occhio e si dirige verso il bancone, mentre Luke cerca di non vomitare.
Calum e Debbie usciranno insieme? Be', vaffanculo.
 
 
 
Ore: 2:14 AM
A: Cal(lMeMaybe), Asht(upid)on, L(ove)uke, Riv ♥
“Serata perfetta: due punti di sutura al sopracciglio, cena da buttare e sono sudato come un maiale. Mikey 1 – Sfiga 10k”
 
Ore: 2:18 AM
Da: Riv ♥
“Mikey, cos'è successo?? Ti sei fatto male? ”
 
Ore: 2:19 AM
A: Riv ♥
“Ho sbattuto contro la porta, Shae ha voluto portarmi al pronto soccorso. Sono uno sfigato.”
 
Ore: 2:21 AM
Da: Riv ♥
“Le piaci anche per questo. ;) La prossima volta andrà meglio, vedrai. Buonanotte <3”
 
 
Ore: 2:25 AM
Da: Cal(lMeMaybe)
“HAHAHAHA ti amo, sfigato del mio cuore! <3”
 
Ore: 2:26 AM
A: Cal(lMeMaybe)
“Vaffanculo, amore mio <3”
 
 
Ore: 2:47 AM
Da: L(ove)uke
“Serata di merda per entrambi, eh?”
 
Ore: 2:50 AM
A: L(ove)uke
“Fratello <3 domani sei a pranzo da me. Starò dormendo, ma tu suona.”
 
Ore: 2:53 AM
Da: L(ove)uke
“Come se fosse la prima volta che mi attacco al campanello alle due del pomeriggio nel tentativo di svegliarti! Ahaha A domani!”
 
 
Ore: 8:37 AM
Da: Shae <3
“Grazie per la serata insolita. Forse trascorrere un appuntamento in fila al pronto soccorso non è proprio l'ideale, ma in fin dei conti è stato divertente. Sono stata davvero bene. xx
PS: Avevo ragione io alla fine: ti servivano i punti!”
 
 
Ore: 11.57 AM
Da: Asht(upid)on
“E il piccolo Mickey va in bianco anche questa volta! Mi fai morire! Hahaha”



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Salve! Inizio col chiedere scusa per il trattato di fisica-letteratura all'inizio del capitolo ahahaha l'ho scritto poco dopo aver dato l'esame di Letteratura Italiana su Galileo, quindi capirete che ero in fase. Non so se si capisce -- spero di sì --, ma lo il cambiamento di gravità si riferisce a River, che tutto d'un tratto, quando glielo sbattono in faccia, inizia a capire che forse i suoi sentimenti per Luke non sono quelli che credeva, che magari Shae-Lee ha ragione. Il suo panico, se ve lo state chiedendo, è giustificato soprattutto dal terrore di intaccare la serenità di Debbie (anche se, noi lo sappiamo e lei no, Debbie non è interessata a Luke in quel senso). 
Non mi fa impazzire come è uscita l'introspezione di Luke, ma non sono riuscita a far meglio di così questa volta. Diciamo pure che non ha affatto reagito alla rivelazione: sul momento non ha provato assolutamente nulla, subito dopo ha cercato di soffocare la frustrazione nell'alcol.
Ora ammetto un mio grosso errore: non ricordo se Luke, Calum e River siano maggiorenni in questa storia, ma sono abbastanza convinta di no. In caso invece lo fossero, mi scuso tanto, ma è passato molto tempo da quando l'ho cominciata e inizio ad avere qualche vuoto di memoria. In compenso vi posso dire che secondo la mia scaletta mancano due capitoli alla fine, ma è probabile che la cosa cambi perché: a) in due capitoli non potrei risolvere al meglio i problemi che sono sorti; b) ho sviluppato un finale alternativo (ma che comunque odierete e) che forse sostituirò a quello strabanale che avevo previsto; c) Michael in questo capitolo sarebbe dovuto andare in buca, MA mi divertiva troppo il pensiero di lasciarlo a bocca asciutta, per cui mi tocca spostare questo momento in un altro capitolo. XD A modo mio gli voglio bene, giuro. Per dimostrarvelo, vi faccio vedere questo (sentite libere di giudicarmi ahahaha).
Spero che il capitolo non sia malaccio e che non vi siate tutti stancati di aspettare. 
Vi abbraccio, con la promessa di tornare il prima possibile! ♥
Mich

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***



Un grazie alla mia adorata beta, m a y h e m, per aver betato questo capitolo (se per caso ci sono passaggi in rosso, è perché sono scema e non ho notato le correzioni che mi ha fatto). ♥



12.

 

Domenica pomeriggio

 

River cammina a passo lento tra le scansie del supermercato; il cestino a rotelle è ancora vuoto, ma lei, a digiuno dalla sera prima, sente le gambe pesanti e fatica a trascinarselo dietro. I suoi occhi scorrono pigramente la lista preparata da sua madre ma senza davvero metabolizzare alcuno dei prodotti elencati – ecco che, infatti, legge “banane” e supera il banco della frutta.

È stanca. Sono giorni che dorme poco o nulla e il risultato dell'insonnia si ripercuote sul suo umore fisso stabilmente ai minimi storici, che si manifesta con una leggera e involontaria sporgenza del labbro inferiore.

Si sente così sciocca a evitare Luke – ha attraversato metà città in autobus per paura di incontrarlo al supermercato dietro casa –, ma non può proprio farne a meno; l'idea di incontrarlo dopo quello che ha realizzato qualche pomeriggio fa la terrorizza al punto da non voler nemmeno pensarci. Sa che guardandolo negli occhi avrebbe ora una reazione completamente diversa dal solito: niente le impedirebbe di arrossire e balbettare nel parlare con lui, proprio come la sciocca ragazzina che è. Vorrebbe essere più brava a mascherare i propri sentimenti, ma non lo è e non le rimane altra scelta che evitare il contatto diretto con Luke fino a che non sarà strettamente necessario. Non sa ancora con quale scusa salterà il consueto appuntamento per andare a scuola assieme, ma s’inventerà qualcosa di certo.

Sente la testa sul punto di scoppiare. Se almeno potesse parlarne con qualcuno, si dice, sarebbe più facile: e invece è troppo imbarazzata per riferire a chiunque l'accaduto, si vergogna di ammettere di essere stata così distratta da non accorgersi dei propri sentimenti tanto a lungo – da quando, poi, questa storia va avanti? Oltre a vergognarsi, River ha paura. Se Luke scoprisse come stanno le cose probabilmente la loro amicizia cambierebbe e lei non riuscirebbe a sopportarlo. Non solo ha la certezza di essere come una sorella per lui e di non aver concrete possibilità perché il loro rapporto si evolva, ma è consapevole del rischio che corre: se si scoprisse che River è... ha... – ecco, non riesce nemmeno a pensarlo! – un debole per lui, sarebbe costretta persino a rinunciare a quelle attenzioni fraterne che dovrebbe farsi bastare, e di cui ha bisogno.

Sciocca, sciocca, sciocca. Non fa altro che apostrofarsi da ormai qualche giorno e a rievocare tutti gli indizi che si è lasciata sfuggire nel corso del tempo. Non ha la più pallida idea di come sia possibile essere... avere... insomma, come si possa essere legati a qualcuno a quel modo senza rendersene conto. Che razza di stupida.

Sospira prima di svoltare un angolo per percorrere il corridoio seguente, nell'alzare gli occhi dalla lista per controllare il tipo di alimenti esposti in quel reparto trattiene il fiato e perde un battito.

A non più di due metri da lei, Ashton Irwin in un'uniforme verde spento sta rifornendo uno scaffale di pacchi di biscotti; la vede paralizzarsi con la coda dell'occhio, quindi si volta curioso a vedere chi sia appena arrivato e nel riconoscerla sorride. «Riv!»

Lei, proprio come ha sempre fatto, arrossisce e si porta una ciocca di capelli rossi – che oggi cadono sulle spalle in ricci scomposti, perché non ha avuto voglia di stirarli dopo la doccia di questa mattina – dietro l'orecchio destro. «Ciao» sussurra, cercando di dimostrare molta più tranquillità di quanta non gliene appartenga.

Ad Ashton basta sentire il suo tono sommesso per ricordare tutto ciò che gli ha detto Calum di lei e uno dei motivi per cui non si fa più vedere in giro tanto spesso. Si sente un po' in colpa al pensiero che lei abbia tanto sofferto a causa sua, motivo per cui sente il bisogno di spiegarle il suo punto di vista – l'ultima cosa che voleva era ferirla. Il problema è: come prendere l'argomento senza risultare indelicato?

«Tutto bene?» le chiede; mentre parla ricomincia a stipare pacchi di biscotti confezionati sugli scaffali, giusto per non farle sentire troppo il peso del proprio sguardo – e non essere vittima del suo, mesto e involontariamente accusatorio al tempo stesso.

River prende un respiro profondo prima di rispondere, dondolando appena sui talloni; non ha assolutamente voglia di parlare con lui, ma al tempo stesso sente il bisogno di parlare con qualcuno di ciò che le sta succedendo – o di qualunque altra cosa, perché sono giorni che non esce dalla propria camera ed evita ogni contatto umano. «Non è un bel periodo» dice solo, accompagnando quelle parole con una lieve scrollata di spalle come a sminuire quell'affermazione.

Ashton si umetta le labbra nervosamente, vittima dei sensi di colpa; le chiede cosa non vada e la ascolta balbettare spiegazioni confuse ed elusive, finché lui non prende coraggio e chiede: «È colpa mia?»

Legge la sorpresa negli occhi di River, che arrossisce e boccheggia in maniera ancora più disorientata di prima. Cerca di andarle incontro, darle una mano, perché ormai ciò che è detto è detto e non può rimangiarselo, dunque tanto vale andare fino in fondo: «Calum mi ha detto... che... mi ha detto che provavi dei sentimenti per me. Quando me l'ha detto non riuscivo a crederci, l'ultima delle mie intenzioni era ferirti, Riv. Non avrei mei portato Nat con me al pub, se avessi saputo di... Cristo, che razza di stronzo. Mi dispiace se stai passando un brutto momento a causa mia». Mentre parla alterna occhiate tra lei e gli scaffali, indeciso se sia meglio guardarla dritto negli occhi o lasciarle il tempo e lo spazio di metabolizzare quella confessione prima di costringerla ad affrontarlo – e contemporaneamente non è sicuro che riuscirebbe a sostenere il suo sguardo, se ricambiato. Infine si decide a guardarla e scopre sul suo viso una maschera di confusione, oltraggio e una vena di divertimento. Oserebbe dire che River sta andando in panico e inizia a chiedere se non sia stato troppo diretto; ad occhi leggermente sgranati per la sorpresa – che cavolo ha fatto? – si volta ad occuparsi del proprio lavoro, mentre le lascia il tempo di ricomporsi.

Occorrono diverse decine di secondi e parecchi respiri profondi prima che lei riesca a dire qualcosa, che non risulta essere ciò che Ashton si aspetta: «Non... tu non c'entri».

Torna a guardarla, accigliato e confuso, ma onestamente anche piuttosto sollevato: «No?»

«No, è... è Luke».

«Oh». Be', questa risposta non se l'aspettava. «Luke? Avete discusso di nuovo?» si informa, ora più disinibito, poiché per lo meno la causa del malumore di River non è lui.

Lei scuote il capo, non troppo convinta. Sul suo viso balenano continuamente svariate emozioni, finché alla fine si decide a parlare: «L'altro giorno ci siamo quasi baciati».

Oh, era ora!, pensa, ma non lo dice. «Quasi?»

«Sì. Si è allontanato».

Ah, ora capisce. Quindi il suo pensiero è sempre stato corretto: tra quei due c'è del tenero. Almeno potenzialmente. «E ci sei rimasta male?» Se così fosse, significherebbe che River ha definitivamente superato la sua cotta per lui – il che sarebbe un gran bel sollievo, se non altro perché potrebbe ricominciare ad uscire con i suoi amici e a parlare con lei come una volta. I ragazzi e River gli sono mancati, tutti e quattro.

La ragazza scrolla le spalle e abbassa lo sguardo; lo sporgersi ulteriormente del suo labbro inferiore è del tutto involontario, oltre che infinitamente tenero. Ad Ashton sfugge un sorrisetto, mentre lei mormora la sua imbarazzata conferma: «Be'... sì».

«Sono certo che Luke si stia mangiando le mani per essersi lasciato sfuggire l'occasione» dice nel tono più rassicurante e meno divertito che riesce a sfoderare. «Siete praticamente già una coppia, dovete solo rendervene conto».

«No», River scuote ostinatamente il capo, lo guarda dal basso con stizza e tristezza insieme; la frustrazione che per giorni ha tenuto per sé esplode in un pianto silenzioso, mentre lei continua a parlare senza riuscire ad impedire alle parole di uscire. «No, Ashton, non è vero. Perché una coppia sa di esserlo, essere amici o essere una coppia è completamente diverso. Se fosse come dici tu, non sarei qui a chiedermi che cos'abbia fatto di sbagliato, come sia potuta essere così cieca fino ad oggi. Cavolo, è il mio migliore amico, quale cretina si prende una cotta per il proprio migliore amico?»

«Io». Ashton sbrodola la risposta assieme ad una risatina nervosa; non è abituato a vederla star male, non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere e non sa bene come comportarsi. Non è mai stato bravo a consolare le persone, anzi, teme che tutto ciò che dice possa peggiorare la situazione, ma non sa che altro fare e quindi continua a parlare. «Io ero cotto a puntino della mia migliore amica, sapendola innamorata di qualcun altro. Sai qual è la differenza tra noi, Riv? Che Luke non ha occhi che per te. La differenza è che io non avevo speranze e sono andato avanti, mi sono sforzato di cambiare obiettivo, mentre tu puoi raggiungere la meta. Devi solo fare un passo in avanti e taglierai il traguardo. E se proprio non ci riesci, be', se sono felice io puoi esserlo anche tu».

River scoppia in una risata amara. «Che cosa stai dicendo? Sono ad un passo da un bel niente. Luke è innamorato di Debbie, che è guarda caso una delle mie migliori amiche. È una situazione orribile, ecco cos'è. Non c'è via di uscita, qualcuno deve per forza farsi male. Ah, e di che diavolo stiamo parlando? Sono una sorella per Luke, non mi ha mai visto in quel modo».

«Non secondo Calum. Secondo Cal--»

«Al diavolo Calum! Lui non sa un bel niente! E non avrebbe dovuto dirti quelle cose: sono personali».

Ad Ashton sfugge un altro sorriso a quella rivelazione. «Quindi è vero?» chiede; «Hai una cotta per me?» Poi si dà dell'idiota, perché decisamente non è il momento giusto per trattare l'argomento.

Lei, scioccata, arrossisce violentemente e fa un passo indietro, sgranando gli occhi. «Dobbiamo proprio parlarne? In questo momento non so nemmeno come mi chiamo, sono confusa», cerca di eludere la questione.

«Giusto, ma... ti piaccio? Ti piacevo?» Non sa nemmeno lui perché si comporti in maniera così sadica, sa solo che ha bisogno di una risposta definitiva per sentirsi a posto con la coscienza.

Lei indugia qualche istante sotto il suo sguardo insistente e sardonico, poi sbuffa e annuisce. «Sì, mi piacevi» risponde, sottolineando il tempo passato. È una delle poche cose di cui ormai è sicura: ha superato la sua fase Ashton. Ed è un bene, visto che al momento il pensiero di Luke è già abbastanza; non vuole nemmeno immaginare come sarebbe gestire due cotte al contempo. Anche se forse, inconsciamente, l'ha sempre fatto. È strano che la consapevolezza renda gestire questa situazione più difficile.

Lui annuisce, cercando di assimilare l'informazione; quindi Calum aveva ragione: solo lui era stato così sciocco da non rendersene conto. Gli viene da ridere e non si trattiene a lungo; prima che River possa chiedere, un po' indignata, che cosa ci sia di tanto divertente – ammetterlo di fronte a lui le è costato fatica e imbarazzo, nonostante tutto –, Ashton la avvolge in un abbraccio stretto e affettuoso. Le sussurra parola d’incoraggiamento, qualche battutina che la fa ridere appena e le carezza i capelli per rassicurarla quando scoppia in un singhiozzante pianto liberatorio. Non sa bene cosa dirle, motivo per cui si limita ad assicurarle che tutto andrà per il meglio alla fine, che lei e Luke sono fatti l'uno per l'altra, che non deve fare altro che comportarsi come sempre e, appena se la sentirà, affrontare la questione apertamente – cosa che lui non ha mai fatto.

Continuano così finché, dopo parecchi minuti, un suo superiore non reclama l'attenzione di Ashton con colpi di tosse impazienti e occhiate eloquenti. Lui prende tempo ancora un paio di minuti, poi si scosta e asciuga le lacrime di River con i pollici, sorridendo nella maniera più rassicurante che riesce: «Ora devo proprio tornare al lavoro o mi cacceranno a calci nel sedere» le dice. «Stai un po' meglio?»

River accenna una risatina e abbozza un sorriso; nel suo sguardo si legge tanto sconforto, ma anche una sincera gratitudine nei confronti di Ashton. «Sì, un po'» risponde, anche se è vero solo in parte. Le sue sensazioni pessimistiche non corrispondono alle parole di conforto che le sono state rivolte, ma per lo meno ha avuto l'occasione di sfogarsi con qualcuno, recuperando un'amicizia che le era mancata come l'aria anche se si è sempre rifiutata di ammetterlo, accecata com'era da convinzioni del tutto sbagliate riguardo ai propri sentimenti.

Ashton intuisce i suoi pensieri, ma non insiste ulteriormente. «Se hai bisogno di qualunque cosa, chiamami, d'accordo?»

La ragazza annuisce lentamente, mentre si asciuga gli ultimi residui di lacrime e cerca di ridarsi un contegno. «Grazie, Ash. Sei stato... sei stato molto gentile» sussurra, senza trovare la forza di guardarlo negli occhi; è strano esporsi così tanto davanti a qualcuno che non sia Luke, ma allo stesso tempo era necessario che accadesse. Tra tutti, è felice che sia successo proprio con Ashton: è come se lo speciale legame che la connetteva a lui si fosse confermato; in maniera diversa da quella che credeva, certo, ma è comunque un rapporto speciale. «Grazie davvero».

Lui le regala uno di quei suoi sorrisi larghi e infantili, gli occhi brillanti e le fossette sulle guance: «Sei la mia migliore amica, voglio il meglio per te» commenta.

Lei arrossisce, ma ride: «La tua unica amica femmina, vuoi dire!» lo prende in giro.

Ashton si unisce alla risata e scuote il capo: «Vero, ma comunque la migliore».

Così si salutano, dopo essersi scambiati un ultimo abbraccio, e River dopo aver percorso tutte le scansie si avvia verso la cassa con la metà dei prodotti indicati sulla lista. Torna a casa con il cuore più leggero del previsto, proprio come il carrello.

 

«Pronto?»

«Ehilà, qui Calum Hood!»

«Stai scherzando?»

«Sorprendente, eh? La mia voce è sconvolgente al telefono, in effetti. Respira a fondo, non andare in iperventilazione».

«Come hai avuto il mio numero?»

«Me l'hai dato tu, no?»

«Hood. Come l'hai avuto?»

«Melvin!»

«Hood».

«Melv--»

«Hood!»

«E va bene, l'ho rubato dal cellulare di River, contenta?»

«Sei inquietante. Perché devo avere a che fare con te?»

«Oh, in realtà mi adori», una risatina. «Allora, quando?»

«Che cosa?»

«Quando usciamo. Stasera? Stasera sarebbe perfetto. Ho due buoni per un aperitivo in un pub del centro – »

«Uscire? Quale parte di “è quello che racconterai e non quello che faremo” non ti è chiara? Posso rispiegartelo, se serve» .

«Oh, no, non serve. Esci con me, Deborah».

«Hood, te lo sogni».

«Ogni tanto, sì. Dicevo: ho due buoni per un aperitivo in un pub del centro, è un bel posto, a due passi dal cinema. Quindi potremmo bere qualcosa, mangiare e poi– »

«Non abbiamo l'età per bere, Hood».

«Analcolici! E poi possiamo andare al cinema, sta per dare la replica di un film che mi piacerebbe un sacco vedere. Non ti spaventano troppo i film horror, no?»

«Spaventarmi? Evviva gli stereotipi: sono una donna, quindi– »

«...oppure possiamo optare per qualche film strappalacrime, sarei felice di lasciarti piangere sulla mia spalla».

«Piangere?!»

«Che dici, ti passo a prendere stasera alle sette?»

«Che ne dici delle sette del ventinove febbraio? Prima di allora la mia agenda è sempre piena».

«E dai, Debbie. Dammi un'opportunità».

Un sospiro. «Perché dovrei?»

«Perché abbiamo degli amici in comune e voglio dimostrarti che non sono male come credi. Sono un ragazzo normale, non del tutto idiota».

«Be', in buona parte».

«In buona parte, sì», ridacchia. «Mi darai una possibilità, quindi?»

«No».

«E dai!»

«No, non ti do un'opportunità: ci vedremo per discutere la situazione e per dare una prova in più a quella testa vuota di Luke. E perché voglio rivedere La Madre».

«Quindi è un sì?»

«È un no! Verrò, ma non sarà un appuntamento, Calum».

«Davvero?», emette uno squittio di gioia e ride forte.

«Non è un appuntamento. Hai capito? Non è un appuntamento

«No, no, certo che no». Ride di nuovo. «Ti passo a prendere alle sette, al massimo alle sette e cinque sono lì! Sei allergica ai fiori?»

«Fior– ? Non è un appuntamento, Hood!»

«A più tardi, tesoro

«Tes– ? Oh, santo cielo».

 

*

Domenica sera

 

«Vuoi prenderli?»

«No, ti ho detto che non li voglio».

Sono le otto e ventisette di sabato sera e, nella sala d'ingresso del cinema, Calum Hood e Debbie Melvin stanno osservando le locandine dei film che verranno proiettati in replica per quella sera; stanno in piedi a qualche metro l'uno dall'altra, gli sguardi ostinatamente puntati in direzione differenti in seguito all'ennesimo dibattito da cui il ragazzo è uscito miseramente sconfitto e imbronciato. Mancano solo tre minuti all'inizio delle proiezioni e sarebbe davvero giunto il momento di acquistare il biglietto per entrare in sala, ma, in maniera per nulla sorprendente, non riescono a mettersi d'accordo su quale film guardare. Inoltre, durante la discussione tra un'opzione e l'altra, Calum non smette di insistere affinché lei accetti il mazzo di fiori che ha rubato dal cortile del suo vicino di casa – anche se questo non lo specifica; è davvero ridicolo che Deborah si intestardisca nel rifiutarli. «Okay, facciamo così» tenta: «se accetti i fiori, possiamo guardare Dragon Trainer 2».

«Ma io non voglio vedere Dragon Trainer 2!» protesta lei con le mani sui fianchi e lo sguardo severo fisso sulle locandine. «Piuttosto...»

«Piuttosto?» la incita Calum, che inizia ad essere davvero impaziente: ha già visto tutti i film in programmazione, ma l'idea di entrare quando quello che sceglieranno sarà già iniziato non gli piace per niente. O lo si guarda tutto o non lo si guarda per niente, un film, no?

«Io e Marley» sussurra Debbie, passando in rassegna i cartelloni; «è uno dei miei film preferiti, ma l'ho visto mille volte, ecco perché forse sarebbe meglio guardare La Madre». Mentre parla è del tutto assorta, tanto che Calum non saprebbe dire se si stia rivolgendo a lui o meno. Dal momento in cui l'ha ascoltata, tuttavia, decide di rispondere: «Io e Marley» decreta in un tono che non ammette repliche; per sottolineare la propria decisione, oltre tutto, estrae il portafogli e si dirige verso la biglietteria.

«Come? Cosa fai?» Debbie è allarmata, quando lo raggiunge al bancone; vorrebbe tirargli il braccio e allontanarlo da lì: l'ultima cosa che vuole è che le paghi l'ingresso, ma si scopre restia al contatto fisico. Fino a quel punto non è stata affatto una brutta serata, è costretta ad ammetterlo, e molto più divertente del previsto, ma da qui a permettergli di trattarla da fidanzatina sprovveduta ne corre d'acqua sotto i ponti. «Quanto ti devo?» gli chiede, non appena lui le consegna il suo biglietto.

Calum alza gli occhi al cielo e sogghigna: la rapidità – assieme all'effetto sorpresa – ha giocato un punto a suo favore e ora può vantarsi di essere riuscito a fare per lei qualcosa di vagamente riconducibile ad un appuntamento: non lascerà che Debbie riporti la serata ad un livello amichevole restituendogli i soldi. «Un mazzo di fiori» replica, mentre getta quelli che le ha portato, e ormai sono appassiti, nel cestino dei rifiuti. «Perché è stato davvero un peccato doverli raccogliere per niente».

Deborah ha ancora il portafogli in mano e l'aria insistente quando borbotta la sua giustificazione: «Ti avevo detto di non portarmeli».

L'addetto alla biglietteria strappa i loro biglietti lungo la linea tratteggiata e si dirigono verso la sala numero tre, senza smettere di discutere l'accaduto – “Come ti sei permesso di pagarmi l'entrata?”, “Sto solo cercando di essere gentile!”, “No, tu stai cercando di trasformare questa serata in un appuntamento!”, “E se anche fosse?”. Prendono posto su due sedili laterali, molto in alto perché vogliono essere sicuri di vedere bene e al tempo stesso di non disturbare nessuno con le discussioni che senza ombra di dubbio sorgeranno durante la proiezione.

«Non ti azzardare a denigrare il mio film preferito, Hood, non te lo permetterò», Deborah mette le mani avanti, sulla difensiva, mentre si siede.

Calum nel buio sghignazza e la guarda di sottecchi, il volto orientato verso lo schermo nella speranza che lei non se ne accorga. «Non succederà, tranquilla».

Lei non sembra convinta: «Come faccio ad esserne sicura?»

Oh, avanti, Deborah è davvero incredibile. Possibile che non abbia la minima fiducia nei suoi confronti? Non è una persona così orribile! «È anche il mio film preferito» risponde; poi si chiede se quella risposta non sembri troppo “da femminuccia” e cerca di riparare al danno, arrossendo: «Insomma, è uno tra i miei tanti film preferiti. Tantissimi».

Deborah rimane in silenzio, segno che quella rivelazione l'ha colpita. Tace per qualche istante, poi ancora un po', finché Calum non si volta a controllare che non si sia addormentata e la sorprende a mordicchiarsi il labbro inferiore per nascondere un sorriso sornione: «Non dirmi che ti piacciono i cani?»

Qualcuno in sala sibila per intimare loro il silenzio, dunque Debbie si raddrizza sul sedile e prende una posizione più comoda, fingendo di non essere appena stata rimproverata da uno sconosciuto.

«Invece mi piacciono» sussurra Calum in tutta risposta, sporgendosi un po' verso di lei, per poter comunicare facilmente anche a bassa voce. «Ti sorprenderà, ma sotto questa scorza da macho ho un cuore tenero».

«In realtà mi stupisce che tu abbia rispetto per gli animali, idiota come sembri» mormora lei senza sbilanciarsi – fisicamente e tanto meno emotivamente; anche se è la verità, Calum glielo legge in viso per quel po' che riesce a vedere: è davvero stupita da quella scoperta.

Sorride e rimane in silenzio per un po', mentre i personaggi si muovono sul maxi schermo. Dopo aver tentato per qualche minuto di tenere la bocca chiusa, un moto d'orgoglio lo costringe a comunicarle: «Ne ho tre». Oh, i suoi cuccioli! Papà non può proprio non raccontare a tutti quanto siano belli e adorab– no, no, questo non lo dirà: per niente virile.

«Tre anni?» suggerisce lei, senza riuscire a trattenere una leggera risatina che suona come una lusinga per l'ego del ragazzo, vista la freddezza mantenuta fino a quel momento. Forse sta funzionando, forse non lo odia più così tanto.

«Tre cani!» la corregge senza lasciarsi scoraggiare. Gli sembra di scorgere un sorrisetto sul viso di Deborah, ma non vuole illudersi: potrebbe anche essere stato uno scherzo della penombra nella sala.

Per un po' non proferiscono parola, salvo qualche battuta del film recitata a memoria, sottovoce, da Deborah, poi lei si volta lentamente verso di lui e dice piano: «Io ne avevo uno. Un Golden Retriever proprio come Marley, solo di qualche tono più scuro. Ci sono praticamente cresciuta insieme».

Calum viene pervaso da un moto di gioia vittoriosa: sembra proprio che Debbie stia cominciando ad ammorbidirsi! Quasi non riesce a crederci ed è nella foga di non sprecare questa occasione per parlare con lei senza intermezzi sarcastici che si lascia sfuggire la domanda più cretina che potesse porre: «E poi?»

Lei fa per rispondere, poi sembra rendersi conto della stupidità di quella questione e gli rivolge un'occhiata perplessa; lo sorprende a fissarla con aspettativa e dunque, un po' confusa, dice: «Poi è morto» con ovvietà.

«Oh». Il commento deluso di Calum è più causato dalla propria inadeguatezza che dalla morte del cane – con rispetto parlando, è ovvio –, ma preferisce non dare troppo peso alla questione per non sembrare ancora più scemo di così. «Come si chiamava?» chiede invece, sperando che quella sciocca domanda non abbia disperso quell'atmosfera di confidenza.

Si chiamava Miss Adelaide e secondo suo padre avrebbe dovuto essere la sua bambinaia, ruolo che poi il cane avrebbe sorprendentemente impersonato di sua spontanea volontà. Da bambina Debbie ha passato tutte le sue giornate a giocare con Miss Adelaide: le acconciava la pelliccia con mollette ed elastici per capelli, le faceva indossare occhiali da sole, cerchietti e fiocchetti colorati; qualche volta la trasformava in un drago, altre nella lady a cui servire il tè del tutto incurante della puntuale sparizione di qualche tazzina all'interno della sua bocca – allora la piccola Debbie scoppiava in un pianto disperato che spingeva la sua compagna di giochi ad accucciarsi con aria mesta e il papà ad accorrere per estrarre l'utensile smangiucchiato dalle sue grinfie.

Calum ride, sorride tutto il tempo, mentre il suo cuore corre una gioiosa maratona verso, o almeno spera, un nuovo tipo di relazione con Debbie. Non si aspetta che lei gli apra le porte della sua vita, certo che no: spera solo che dopo quella bella – bellissima! – serata lei sia disposta a concedergli per lo meno il beneficio del dubbio, che non sia un totale idiota e meriti un minimo di considerazione. Ma anche se così non fosse, si dice, è disposto a insistere. Lo trova divertente, assillarla così affinché passi del tempo con lui. Lo trova così divertente che forse preferirebbe saltare le prove con la band per un mese intero pur di farla arrabbiare e poter guardare quelle sue espressioni scandalizzate diventare sempre più esasperate battuta dopo battuta. Potrebbe davvero farlo, se lei gliene desse la possibilità – e anche in caso contrario, probabilmente.

Le racconta dei suoi cani, di tutti quelli che ha amato nella sua vita, con il tipico entusiasmo infantile che non riesce mai a controllare quando si tratta di quell'argomento; cerca di parlare a bassa voce, ma ogni tanto gli sfuggono certi toni acuti che provocano sempre una pioggia di sibili spazientiti da parte del pubblico e qualche sorriso, o almeno così s’illude, strappato a Debbie.

Ne parlano per tutto il film; guardano distrattamente le immagini, troppo immersi nella conversazione per poter davvero seguire il film – che in ogni caso conoscono già a memoria, quindi non si perdono molto. Calum si aggrappa a quell'argomento come se fosse l'unico – e forse lo è – che potrà mai condividere con Deborah, anche se spera sia solo il primo di una lunghissima serie che vorrebbe aver la possibilità di scoprire.

Sgattaiolano fuori due minuti prima della fine del film, su suggerimento di lei, per evitare che all'accendersi delle luci qualcuno decida di rimproverarli apertamente per l'ininterrotto disturbare; raccattano le loro cose ed escano in punta di piedi, per poi andare a gettarsi sulle poltroncine nella sala d'attesa ostentando l'aria annoiata di chi sta aspettando di entrare per la seconda proiezione di qualche film, invece che essere appena uscito.

«Sei un genio del male!» esclama Calum con entusiasmo; in compagnia dei suoi amici, nessuno sarebbe riuscito a mantenere quella pantomima per più di un minuto, ma con Debbie è diverso, lei è abbastanza sveglia da riuscire a reggere uno scherzo.

Lei ride e si stringe nelle spalle, prima di replicare con una vena di orgoglio: «Ho i miei momenti!» Con ancora lo spettro di un sorriso sulle labbra, lancia un'occhiata fuori dalla vetrata del cinema e scopre l'auto di suo padre già pronta ad aspettarla. Vederlo lì la colpisce come una secchiata d'aria fresca: è uscita con Calum Hood. È uscita con Calum Hood e si è persino divertita, nonostante abbia cercato in tutti i modi di rendere quella serata il più fredda possibile. Nel solo pensarlo sprofonda in una specie di febbrile paranoia, un panico appena accennato, che le causa un sovraccarico di energia: comincia a torturarsi le mani, aggrottare le sopracciglia e a battere un piede sul pavimento macchiato del cinema.

Calum non sembra accorgersi di niente, scambia quell'improvvisa ansia per un'interpretazione provetta di impazienza pre-film. «Quindi, alla fine sei uscita con me».

Lei rabbrividisce a quella conferma: perché deve a tutti i costi essere così inopportuno in ogni circostanza? Non aveva certo bisogno di sentirselo dire, non ora. «Solo per pulirti la coscienza e darti qualcosa da raccontare ai tuoi amici» risponde in tono monocorde.

Lui sorride raggiante, allunga le mani verso il soffitto per stiracchiarsi e parla con la voce distorta da quel gesto: «Così non avremo bisogno di mentire. È stata davvero una bella serata» conclude, il braccio che, come da copione, va a posarsi sullo schienale della poltroncina di Debbie, invece che tornare sul bracciolo della propria.

Deborah si irrigidisce e stringe le labbra in un misto di ansia e disapprovazione – pensava che certe scene succedessero solo nei film adolescenziali di terza categoria. «Dovrai mentire comunque, perché questo non è un appuntamento» dice in tono duro.

Calum sorride e le posa un bacio sulla tempia. «Grazie per questo non appuntamento allora, sono– »

Non riesce a concludere la frase, però, perché Debbie è scattata in piedi e sta già camminando verso la porta in preda al panico; gli rivolge appena un'occhiata che non riesce a nascondere la sua angoscia, prima di abbozzare una smorfia a mo' di saluto e varcare la porta, lasciandolo lì come un baccalà, la bocca aperta e il braccio sullo schienale dell'altra poltroncina.

Una volta fuori, Deborah si ferma a prendere una boccata d'aria; respira a fondo una, due, tre volte, ma ha l'impressione che l'ossigeno non raggiunga i polmoni. Ha voglia di piangere, ma nemmeno lei saprebbe dire il perché – non vuole saperlo, non vuole pensarci, no. Cerca di darsi un contegno prima di aprire la portiera dell'auto del padre il quale, intuendo al volo che qualcosa non va, non può che sporgersi in avanti per fulminare Calum con lo sguardo attraverso il finestrino. Lui, che sta uscendo con le mani nelle tasche e le sopracciglia aggrottate dalla confusione, trasale e si affretta ad allontanarsi da lì.

 

 

Ore: 11:42 PM
Da: Malum ;)
“Allora?? Com'è andata, rubacuori??? ;3 ”

 

Ore: 11:49 PM
A: Malum ;)
“Non ne ho idea.”

 

Ore: 11:51 PM
Da: Malum ;)
“Come sarebbe che non ne hai idea?”

 

Ore: 11:53 PM
A: Malum ;)
“Non ho voglia di parlarne”.

 

Ore: 11:56 PM
Da: Malum ;)
“E va bene, come vuoi. A domani, luce dei miei occhi!”

 

Ore: 00:22 AM
Da: Malum ;)
“Amo i tuoi saluti calorosi!
Comunque, UPDATE: domani dopo scuola siamo da Ashton, ha qualcosa da dirci riguardo alla band. Sembra importante. Notte”.


 


Hello!
Scusate il solito ritardo, ormai non dovrei nemmeno più chiedervi scusa, perché sapete che sono lentissima negli aggiornamenti ç_ç vi ringrazio se ancora siete qui e non avete abbandonato la storia, ve ne sono infinitamente grata!
Una precisazione, anche se penso sia ovvio: quel "Malum" nei messaggi finali, sta per "Michael", perché ho immaginato che Calum abbia salvato i suoi amici in rubrica con il nome della ship tra lui e loro (Cake, Cashton, Malum, ...Criver?). Niente di importante, comunque.
Poi, ho una domanda molto sciocca da porre a chi mi sta ancora leggendo. Il fatto è che ho avuto qualche problema con la scaletta (l'ho cambiata, riscritta e poi perduta). Avendo scritto la storia in un ampio lasso di tempo, non ricordo più tutti i dettagli e in certi casi ho dimenticato anche avvenimenti potenzialmente importanti, ed è per questo che ho bisogno d'aiuto: mi servirebbe sapere quali sono le questioni che sono rimaste in sospeso, che voi ricordiate. 
Ovviamente ricordo la questione River/Luke (e quella River/Ashton, che dovrei aver sistemato con questo capitolo), Debbie/Calum e Debbie/Luke. E anche quella delle gare di nuoto. Ce ne sono altre, anche piccole, che ho dimenticato di affrontare fino ad ora e pensate sia necessario/interessante approfondire? E, già che ci siamo, ci sono argomenti che vi piacerebbe fossero trattati (così cogliamo la palla al balzo)?
Se qualcuno deciderà di rispondere, lo (la?) ringrazio in anticipo.
Ho un piccolo periodo di vacanza, per cui cercherò di occuparmi, tra le altre cose, di questa storia, in modo da darle una degna conclusione. Come promesso, non l'ho abbandonata :)
Auguro una buona estate a tutti! Spero che mi ritroverete presto tra queste file. :)

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 

Chi non muore si rivede, eh? Scusate. Lascio qualche breve nota qui, nella speranza che nessuno voglia uccidermi e che qualcuno sia ancora disposto a leggere EDD. Questo sarà, in un certo senso, l'ultimo capitolo della storia. A seguire ne verrà un altro (che forse potrebbe essere diviso in due, in base a quanto verrà lungo), il cui scopo sarà concludere la vicenda e riempire, in qualche modo, i buchi che la trama ha lasciato.
Ve lo spiegherò meglio in una lunga nota allegata al prossimo capitolo (no, ragazze, non ho idea di quando possa arrivare), ma sono un po' in alto mare. Non scrivo praticamente più da quando ho iniziato l'università e questa storia non è più nelle mie corde, avendola io iniziata un sacco di tempo fa. Mi odierete, e già lo so, per come andrà a finire, ma sappiate che non sto abbozzando qui un finale in fretta e furia per concludere alla bell'e meglio: quello che succederà, qualunque cosa sia, è una situazione che avevo in mente fin dall'inizio o quasi. E' sicuramente una scelta discutibile e che può non piacere, ma tant'è. La mia scarsità di tempo libero e ispirazione non ha modificato in alcun modo la trama (anzi, averci pensato tanto tempo forse l'ha migliorata un pochino), ma solo il modo in cui ve la sottoporrò.
Spero che qualcuno abbia ancora voglia di leggere quello che sto scrivendo e, se è così, lo ringrazio moltissimo.
Vi lascio alla lettura, che spero essere almeno un po' piacevole, e vi auguro un felice anno nuovo!
Un abbraccio
Michela

(Se volete contattarmi, mi trovate qui e qui.)




13.

 

Quel lunedì Shae-Lee si presenta a scuola senza il solito sorriso smagliante. Cammina per i corridoi con le sopracciglia aggrottate e le labbra dischiuse nell'impegno di distinguere tra la folla qualcuno in particolare; è così presa dalla sua ricerca che non si accorge di Michael, quando lui le sorride nell'incrociarla. La sua insolita serietà lo sorprende tanto da scaturire una risatina nervosa: «Ehi, Shae, tutto bene?»

Al sentirsi chiamare, il suo sguardo viene calamitato da quello di Michael, mentre le sue guance si tingono di rosso e gli occhi si sgranano per l'imbarazzo. «Ciao!» Cavolo, non riesce a credere di non averlo notato, come si può essere così stupide? Si sforza di recuperare le parole che le sue orecchie hanno captato e di dar loro un senso, per non peggiorare ulteriormente quella che è già una gran brutta figura. «Sì, sì... tutto bene. Credo. Hai visto Debbie?» gli domanda, tornando a scrutare con attenzione i gruppetti di studenti diretti alle classi.

«No, sono appena arrivato» risponde lui; si gratta la testa e pensa che, in effetti, è sollevato di aver incontrato Shae-Lee al di fuori della glaciale supervisione della Signorina Rottermeier. Deborah lo mette a disagio e non è un segreto che lo detesti: meno si incontrano e meglio è, secondo lui.

Dopo aver lanciato una veloce occhiata al corridoio, giusto per mostrarsi solidale nei confronti della sua ragazza – uno svolazzare nel petto a quella definizione gli ricorda quanto sia cotto di lei e patetico –, torna a guardarla: questa mattina ha i capelli raccolti in una coda di cavallo, ma qualche ciuffo biondo cenere, troppo corto per essere imprigionato, si arriccia sulle tempie. La trova bellissima, ma decide di non dirglielo per non sembrare ancora più patetico di così. Però lo è, è bellissima anche imbronciata con i capelli arruffati.

Oggi Michael è di buon umore: l'appuntamento a casa di Ashton durante il pomeriggio è un fuori programma che, invece di preoccuparlo, lo eccita da morire. Ha come l'impressione che abbia un'ottima notizia per loro, che qualcosa di fantastico stia per succedere; magari non sarà così, ma nell'attesa di scoprirlo Michael è felice. Si sente come un bambino la mattina di Natale: è curioso di sapere questa novità al punto tale da aver già inviato non meno di sette SMS in disperata richiesta di anticipazioni – proprio non sta nella pelle e il fatto che il suo amico sia muto come una tomba aumenta a dismisura il suo interesse: sarà di certo qualcosa di grosso!

Shae-Lee, invece, oggi è preoccupata. Al suo risveglio ha trovato un SMS da Jessie, la nuova signora Melvin, che diceva più o meno questo: “Ciao, Shae! Penso che l'appuntamento di D. ieri sera non sia andato affatto bene. Secondo suo padre è successo qualcosa di grave – di sicuro esagera, ma tieni gli occhi aperti e stalle vicino. Buona giornata! xx – J.”

Ora, il problema principale è che Shae-Lee non ha idea di che cosa Jessie stia parlando. Debbie ha avuto un appuntamento con qualcuno? Con chi? Le viene in mente Calum Hood, ma scarta subito l'ipotesi, perché ormai l'hanno capito tutti che non vorrebbe aver nulla a che fare con lui per nessun motivo. Si sente tradita da quel segreto, anche se proprio non vuole ammetterlo, e al tempo stesso è preoccupata dal non aver trovato la sua migliore amica ad attenderla al solito posto questa mattina. Forse è solo in ritardo, si dice, ma ha la sensazione che qualcosa non vada e il messaggio di Jessie non la fa sentire affatto più tranquilla.

Si mordicchia le labbra e cerca di mantenere la calma, annuendo: «Sono sicura che vada tutto bene» cerca di convincersi, mentre ancora setaccia il corridoio in cerca di Debbie.


 

«Loveday! Cercavo proprio te. Hai un minuto?»

È l'intervallo tra la prima e la seconda ora e River sta temporeggiando, percorrendo corridoi totalmente fuori strada nella speranza di non incappare in Luke; è talmente lontana dai percorsi ordinari che invece che di fronte all'aula di inglese si trova nei pressi degli spogliatoi, dove viene sorpresa dal richiamo del professor Toomey. Si avvicina a lui con le guance arrossate, mentre annuisce timidamente. «Certo, eccomi». Le restano ancora sette minuti prima che la lezione inizi, se il professore rispetta la promessa di occuparle solo un minuto non dovrebbero esserci problemi.

L'uomo giocherella col fischietto, mentre, in preda a quello che sembra imbarazzo, cerca le parole giuste con cui farle quella proposta. «Ho bisogno del tuo aiuto».

E nel momento stesso in cui lo sente, River sa già in che direzione procederà quella conversazione: Luke.

«Hemmings ha troppo talento perché lo sprechi così. Sembra nato per nuotare: ha la corporatura adatta, il temperamento adatto, la faccia adatta... è tutto adatto. Non ho ben chiaro il motivo per cui non si sia presentato agli allenamenti per così tanto tempo né perché non voglia partecipare alle selezioni, ma non posso permettere che non partecipi alle gare. Puoi metterci una buona parola per me?»

Mettere una buona parola per lui. Se solo il professore sapesse che al momento a lei risulta incredibilmente difficile scambiare una parola qualunque con Luke...

«Io...» River temporeggia, non sapendo bene come rispondere.

Ma Toomey insiste: «Nessuno in questa scuola ha più influenza di te su di lui, Loveday, tutto il corpo insegnanti se ne è reso conto. Se solo provassi a convincerlo...»

«Non so se è il caso» borbotta lei, torturandosi le mani. Come può affrontare un simile discorso con lui, quando tutto ciò che le viene in mente pensando a Luke è un bacio che nemmeno c'è stato?

«Okay, non mi lasci altra scelta, ho capito: se lo farai, il tuo voto nella mia materia potrebbe crescere a fine anno. Non posso proprio lasciarmi sfuggire il talento di Hemmings».

River non sa bene se scoppiare a ridere o a piangere. Come reagire a quell’insistenza? L'ultima cosa che vorrebbe è riprendere quel discorso con Luke, ma non non le viene alcuna giustificazione valida da dare al proprio insegnante. Dunque si arrende con un sospiro e gli occhi bassi: «Farò un tentativo». Poi, sentendosi in colpa nell'accettare dopo quell’offerta, precisa: «Ma per quanto riguarda il voto...» arrossisce, «non vorrei...»

Toomey irrompe in una risata così rumorosa e improvvisa da farla trasalire. «Stavo scherzando, Loveday! Dovrai accontentarti della mia eterna gratitudine».

E nel momento in cui abbandona il professore per scappare verso l’aula di inglese, River si sente sollevata dall’aver troncato quella fastidiosa conversazione, ma anche angosciata da quello che l’aspetta. Dove troverà il coraggio di fronteggiare Luke? Lo evita da ormai due giorni, con che faccia tosta potrebbe andare là, ignorando la delusione e l'imbarazzo di un quasi-bacio, e avanzargli la stessa proposta che li ha portati a litigare qualche tempo prima?

Quando si siede al proprio banco, River ha il cuore che batte all'impazzata e il respiro corto. Come se la corsa contro il tempo non fosse stata abbastanza impegnativa per il suo corpo, sente anche lo sguardo di Luke fisso di sé – uno sguardo che non è pronta ad incontrare ed evita ostinatamente, concentrandosi sul proprio libro di testo.

Che casino, pensa; che enorme casino.

 

Debbie è a scuola, ma è come se non ci fosse. La sua presenza è esclusivamente fisica: prende appunti come un automa, riportando parola per parola tutto ciò che dicono gli insegnanti, senza afferrare il significato di una sola frase che viene pronunciata. È torturata da un senso di terrore e confusione più o meno dal momento in cui, la sera prima, si è resa conto che la sua uscita con Calum si era trasformata in un appuntamento – un appuntamento ben riuscito, oltre tutto. Sente ancora la tempia bruciare, nel punto esatto in cui le labbra di Calum avevano sfiorato la sua pelle in un gesto fin troppo intimo, che nessuno a parte suo padre era mai stato autorizzato a rivolgerle. Sa che se solo si prendesse qualche istante per fermarsi e analizzare la situazione tutto sembrerebbe più chiaro e semplice, ma è terrorizzata da quello che potrebbe scoprire e proprio non vuole saperne.

Si è imposta delle regole. È stata l'esperienza ad insegnare a Debbie fin da piccola come funzionano i rapporti personali: la gente ha bisogno di compagnia e le persone forti sfruttano il bisogno di sentirsi utili di quelle deboli finché ne hanno bisogno, per poi andare a cercare qualcuno che faccia maggiormente al caso proprio. Ha scoperto a proprie spese che l'essere umano è egoista e codardo, che per nessuna ragione si assume le proprie responsabilità e si limita a succhiare ciò che c'è di buono nella vita degli altri per rendere migliore la propria. E quando il parassita ha esaurito il nettare, cambia habitat, senza curarsi di quello che ha prosciugato. È così che si è comportata sua madre con lei e suo padre; è così che si muove il mondo.

Debbie non vuole essere debole, non vuole sottomettersi a nessuno, non permetterà per nessuna ragione dare a qualcuno di svuotarla come sua madre ha annullato suo padre. No, non succederà, non a lei. Né e Shae-Lee, non finché lei avrà fiato in corpo. E tanto meno lascerà che qualcosa accada a River o a Luke. Né a Calum, in cui, tra tutta l'arroganza e l'idiozia di cui fa sfoggio, ha intravisto un cuore puro come quello degli altri.

Ha paura Debbie. Ha paura di ferire e di essere ferita, non è abituata ad esporsi e a dare a qualcuno la possibilità di farle del male. Perché dovrebbe? Quale persona sana di mente si sottoporrebbe volontariamente a ciò che sa essere una tortura?

Chi si renderebbe vulnerabile ad un'altra persona, sapendo che essa potrebbe diventare da un momento all'altro il suo carnefice? Anche se, forse, ciò che Debbie teme di più è la possibilità di somigliare a sua madre più di quanto vorrebbe. Teme di essere lei quella che farà male agli altri. E non vuole, non vuole per nessuna ragione rischiare di trasformarsi in un mostro come lei.

Mentre prende appunti con estrema e inconsapevole precisione, Deborah Melvin sta maledicendo per l'ennesima volta sua madre per averla resa la ragazza filofobica che è convinta di essere.

 

«Hey, Riv!»

River è tra le prime a lasciare l'edificio scolastico, oggi. Non ha dimenticato l'impegno preso col professor Toomey, ma per il momento non si sente pronte ad affrontare Luke; ecco perché è letteralmente fuggita dall'aula al suono della campanella, nella speranza di seminare i suoi amici. Si inventerà qualche giustificazione in caso le chiedano spiegazioni, anche se per il momento nessuno sembra averci fatto caso.

Quello che non si aspettava, comunque, era di trovare Ashton Irwin nel parcheggio per la prima volta dopo mesi. Non credeva nemmeno che avrebbe avuto voglia di fermarsi a salutarlo, mettendo così a rischio il proprio tentativo di depistaggio, ma il suo sorriso la attira come una calamita ed ora è qui, in piedi accanto a lui e allo sportello aperto della sua auto. «C-ciao! – balbetta, la voce incerta di chi è rimasto in silenzio troppo a lungo, ha così tanta confusione in testa da non saper più parlare o entrambe le cose insieme. – Come mai da queste parti?»

Ashton apre bocca per rispondere, poi sembra rimangiarsi l'intenzione, perché gonfia le guance e soffia fuori l'aria con espressione imbarazzata. «Sono venuto a prendere i ragazzi» dice, dopo averci pensato su qualche istante. «Cose per la band» taglia corto. «Vuoi un passaggio a casa?»

Lei si affretta a scuotere il capo: no, no, l'ultima cosa di cui ha bisogno è rimanere chiusa in un ambiente così piccolo con Luke. «Oh, no. Devo... Sto...» Non riesce a trovare una giustificazione, ma non ne ha bisogno: Ashton afferra al volo il problema. «Non vi siete ancora parlati?»

River arrossisce per la sorpresa e scuote lentamente la testa. «Ci siamo evitati tutto il giorno». L'ho evitato tutto il giorno, si corregge in silenzio.

Lui la studia qualche istante senza dire nulla, si limita ad annuire con aria comprensiva; poi, senza alcun preavviso, si piega e le stampa un bacio sulla guancia. «Si risolverà tutto. Ricordati solo quello che ti ho detto: parlatene».

River, ad occhi sgranati e rossa in viso, annuisce febbrilmente, presa in contropiede da quel gesto. Istintivamente le verrebbe da girarsi per controllare che Luke non sia nei paraggi e non abbia visto quel che è appena successo, ma si sforza di non farlo per paura di ciò che potrebbe trovare in quel suo sguardo: rabbia? Indifferenza? «Tanto non ho altra scelta – dice, nel tentativo di distrarsi da quei pensieri; – Toomey vuole che lo convinca a partecipare alle prossime selezioni per le regionali di nuoto. Come se la situazione non fosse già abbastanza complicata: l'ultima volta che ne abbiamo discusso abbiamo litigato». Ricorda con esattezza ciò che le è stato detto quel giorno, come se non fosse trascorso che qualche minuto.

 

Non gira tutto intorno a te. Non è una decisione nostra, River: è la mia. Sono le mie gare, il mio sport, la mia vita. Sei tu a pensare che la piscina sia il posto giusto per me, non io. Magari dovresti aprire gli occhi e accorgerti di ciò che voglio io, anziché pensare a ciò che vuoi tu, che ne dici?

 

Rabbrividisce al ricordo, così turbata da non accorgersi dell'espressione allarmata che balena sul viso di Ashton, come se quella rivelazione avesse appena distrutto i suoi piani. Il che, in un certo senso, è vero.

Mentre risponde in tono piatto – «Be', da qualche parte dovrete cominciare a parlare» –, la portiera posteriore dell'auto viene chiusa con uno schianto violento, celando un Luke Hemmings su tutte le furie alla visione dei compagni. River ed Ashton si voltano a controllare cosa stia succedendo: Michael, una mano a mezz'aria, se ne sta a bocca aperta a guardare lo sportello come se l'avesse appena chiuso fuori volontariamente, mentre Calum si limita a girare attorno al veicolo per prendere posto al sedile accanto al guidatore, senza emettere un fiato.

«Oggi siamo tutti di ottimo umore, a quanto pare» borbotta un Mickey piuttosto perplesso. «Andiamo?»

«Andiamo».


 

C'era mancato poco – pochissimo – perché Luke mandasse al diavolo tutto e rivelasse apertamente a quelli che chiamava amici che razza di merde fossero. Quando avrebbero smesso di intromettersi tra lui e le ragazze a cui era interessato? Per tutto il tragitto in auto aveva attentamente soppesato le parole da utilizzare per ferirli nel profondo, proprio come il loro egoismo continuava a ferire lui giorno dopo giorno; era pronto ad agire e aveva già inspirato l'aria necessaria a distruggere la loro amicizia, quando Ashton aveva sganciato la bomba, svuotando completamente la sua mente.

Si sarebbe aspettato di tutto da quest’incontro fuori programma, tranne quella notizia. È qualcosa di così assurdo e improbabile che non ha nemmeno mai osato sperarci, ma ora eccola qui: la possibilità di una nuova vita a portata di mano.

Ma forse ha capito male, non è possibile che una cosa del genere stia davvero succedendo a loro: lancia un'occhiata a Calum, che sta fissando Ashton con la mascella calata, come se lo avesse appena sentito parlare una lingua incomprensibile.

Michael, dal canto proprio, non sta più nella pelle – letteralmente? – : è saltato in piedi e ride, ride, ride senza alcun controllo, percorrendo il garage a grandi passi; continua a scompigliarsi i capelli e a dare pacche sulla spalla a chi di loro gli è più vicino, senza riuscire a dire nulla di intelligente. È iperattivo.

E poi c'è Ashton, che si ostina a guardarli a metà tra il serio e il divertito, con aria vagamente paterna. «Ragazzi?»

«Stai scherzando» borbotta Calum con prudenza. Se stesse scherzando, sarebbe davvero uno scherzo crudele. Ben riuscito, ma pessimo.

«No! No, non sto scherzando. Anzi, è importante che ci pensiate su seriamente. È necessario avere l'approvazione di tutti, altrimenti non si fa niente. O tutti o nessuno. Siamo d'accordo su questo, vero?» Parla con tono tranquillo e ponderato; ha trascorso l'intera mattinata a riflettere su come spiegar loro i dettagli senza dar l'impressione di essere vittime di una presa in giro – e non deve esserci riuscito molto bene, a quanto pare. È fondamentale analizzare la proposta con attenzione e razionalità, senza farsi prendere troppo dall'entusiasmo e dimenticare tutto ciò che accettarla significherebbe.

«Sì, certo, – risponde Calum, mentre gli altri annuiscono, chi in silenzio e chi ridendo istericamente; – ma è... è assurdo. Sei sicuro che non sia uno scherzo?»

«Al cento per cento, Cal – lo rassicura, rigirandosi le bacchette della batteria tra le mani; è seduto allo sgabello dietro il suo strumento e mai come in questo momento gli è sembrato di essere al posto giusto. – Ho fatto ricerche e qualche telefonata, è tutto assolutamente attendibile. Ho chiesto una copia del contratto, così potrete farla leggere ai vostri genitori. È tutto vero. Si chiamano “Hey Violet”, sono un gruppo americano; a una di loro sono piaciute le nostre cover su YouTube, pare che abbia sottoposto il nostro canale al resto della band, poi alla produzione, e ora vorrebbero che aprissimo i loro concerti durante il prossimo tour» conclude. Si lascia sfuggire un sorriso, perché nonostante ce la stia mettendo tutta per rimanere coi piedi per terra questa opportunità lo elettrizza da morire. Un tour! Sarebbe... sarebbe... sarebbe letteralmente un sogno che si avvera. Come è possibile non entusiasmarsi? Eppure deve, perché c'è ancora qualche ostacolo da superare.

Michael scoppia in un'altra risata chiassosa e poi si accascia su una sedia, scuotendo il capo. «Cosa sono quei musi lunghi? State davvero pensando di rifiutare?!» Lo sapeva! Se lo sentiva nelle ossa che quella che Ashton teneva in serbo sarebbe stata una notizia grandiosa – e si è rivelata anche meglio del previsto! Oh, non vede l'ora di raccontarlo a Shae-Lee, chissà che faccia farà!
«Be', dovete avere il permesso dei vostri genitori» interviene Ashton, recuperando la serietà che si era momentaneamente offuscata. «Dobbiamo essere tutti d'accordo. È una faccenda piuttosto seria, non possiamo buttarci di testa. Saremo da soli, negli Stati Uniti – »

«Pff, la cosa dovrebbe spaventarci?» grida Michael, in preda ad un incontenibile entusiasmo.

« – e bisognerà lasciare la scuola – »

Anche Calum si lascia sfuggire una risatina; frase dopo frase sta iniziando a rendersi conto di quello che stanno offrendo loro con più certezza. Una parte di lui ha già cominciato a pianificare un modo per ottenere il permesso dei suoi. «Oh mio Dio, mi si spezza il cuore!» commenta, strappando una risata a tutti.

«E le famiglie, gli amici, tutto. Non per sempre, è ovvio, ma...»

Luke sgrana gli occhi e lo guarda. «Però andremmo negli Stati Uniti. Suoneremmo per un pubblico, potremmo... potremmo sfondare» ragiona. Michael lancia un grido entusiasta, provocando le risate di Calum, che si è definitivamente convinto della realtà della faccenda: è incredibile, ma vera.

Ashton annuisce: a questo punto si tratta di scegliere se rischiare o meno, dice. Se le cose funzionassero, questa potrebbe essere l'opportunità migliore delle loro vite –, spiega: – potrebbero fare musica davanti ad un pubblico vero, magari incidere dischi e intraprendere un vero tour per conto proprio, un giorno o l'altro. Si tratterebbe dell'avverarsi del loro sogno. Il rischio è che l'avventura non vada come previsto: che siano costretti a tornare a casa, trovandosi senza lavoro, senza diploma, con rapporti interpersonali difficili da recuperare. Bisogna pensarci bene, discuterne con i genitori, analizzare le opzioni. Chi lo preoccupa di più è la madre di Michael – «Senza offesa, amico» –, ma spera che con una buona dose di informazioni e organizzazione forse riusciranno a convincere anche lei.

Luke sorride. Sorride perché sembra che finalmente le cose stiano prendendo la piega giusta: come se non fosse abbastanza incredibile l'opportunità di aprire i concerti di una band già affermata, questa sembra anche essere l'occasione perfetta per porre fine ai suoi problemi. Allontanandosi dalla città, potrà far chiarezza mentale su cosa e chi vuole nella vita; sarà libero dall'influenza che ha River su di lui – che non sa più se definire positiva o corrosiva, arrivato a questo punto – e nemmeno Ashton e Calum avranno la possibilità di giocare coi suoi sentimenti, prendendosi le ragazze a cui lui è interessato. Si prenderà una pausa da tutti i casini sentimentali che lo stanno torturando negli ultimi mesi, dall'insistenza del professor Toomey riguardo alle gare di nuoto, dalla scuola in generale – il che è davvero un immenso sollievo.

«Vi chiedo solo una cosa – continua Ashton: – non parlatene a nessuno al di fuori delle vostre famiglie, okay? Non fatevi prendere dall'entusiasmo e non lasciate che gli amici – o le ragazze – vi influenzino. Si tratta di un'occasione unica, bisogna rifletterci con attenzione e razionalità. A nessuno, ragazzi.»

 

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