The Hero and the Fairy

di Killu93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** La leggenda della Fata ***
Capitolo 3: *** La Tigre Bianca ***
Capitolo 4: *** Agape ***
Capitolo 5: *** Rifiuto ***
Capitolo 6: *** Otabek l'assassino ***
Capitolo 7: *** Accetto. ***
Capitolo 8: *** Attacco ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


Capitolo I- L'incontro

Era una notte limpida e stellata, una di quelle notti che hanno in sé un qualcosa di magico, mistico, inspiegabile. Il freddo pungente della notte russa non preoccupava l’Eroe del Kazakhstan. Egli sedeva sull’erba bagnata, accanto a sé riposava il suo nero destriero, immancabile compagno di mille battaglie e avventure. Otabek fissava il fuoco che danzava allegro davanti a lui, i suoi occhi scuri riflettevano le scintille delle fiamme. Era come ipnotizzato dal quel movimento aggraziato. E non pensava più al suo destino, non lo tormentavano più i sogni infranti, in quella danza aveva finalmente trovato l’oblio. Avrebbe voluto poter fermare il tempo in quel preciso attimo, quando nulla era ancora compiuto, quando tutto poteva essere ancora scritto, ma il giovane non si era mai illuso nella sua vita e non aveva mai creduto alla magia. Tutto ciò che aveva compiuto e soprattutto quello che era diventato lo doveva solo a se stesso, alla sua sua forza, alla sua tenacia ed alla sua ambizione. Nessuno lo aveva mai aiutato, nessuno lo aveva mai salvato e non sarebbe successo neppure questa volta. La fiamma continuava ancora a danzare, libera, leggera. La invidiò.

Per la prima volta, dopo una settimana di viaggio, l’Eroe si addormentò.

 

Un’improvvisa folata di vento spense la fiamma. Otabek si svegliò di soprassalto. Egli si guardò intorno, sentiva nel petto una strana sensazione. Non riusciva a capire cosa fosse e se si trovasse in pericolo o meno, ma portò istintivamente la mano alla spada. Si voltò verso il suo cavallo. Dormiva beatamente. Che fosse solo un sogno? Ma il fuoco si era spento e continuava ad avere quella spiacevole sensazione che iniziava a togliergli il respiro. Mai si era sentito così impotente come allora e non riusciva a spiegarsi il motivo. Il bosco alle sue spalle era stranamente spaventoso. Gli alberi gettavano lunghe ombre sul suolo fino ai suoi piedi, quasi lo stessero invitando ad entrare. Lanciò un’ultima occhiata al limpido cielo, sguainò l’arma ed entrò.

Ben presto si trovò nel fitto della foresta dove regnava sovrano un buio pesto, la luce della luna non riusciva a penetrarvi all’interno. Il silenzio inquietante di quel luogo era rotto soltanto dai passi pesanti ma decisi del cavaliere. Si sentiva a disagio, come se stesse profanando un tempio sacro inaccessibile ai mortali, ma non si arrestò. Sentiva anche che era lì che doveva essere, proprio in quel luogo e proprio in quel momento della sua vita. Senza rendersene conto, immerso in quei pensieri, aveva iniziato a correre verso un qualcosa di indefinito, verso un qualcosa che lo chiamava e che, forse, stava aspettando proprio lui.

Ed ecco che la vide. Una luce. Una luce bianca, pura. E come una falena si scagliò verso di quella, senza esitare un attimo. Il mantello gli si impigliava tra i rami, i rovi si intrecciavano agli stivali, quasi volessero impedire la sua corsa, quasi volessero impedirgli di raggiungere la sua luce. Otabek non si lasciò fermare, la vedeva avvicinarsi sempre di più, diventare più vivida, grande, finché non lo avvolse del tutto.

 

Quella luce così intensa feriva i suoi occhi neri, ma il ragazzo non riusciva a distogliere gli occhi dal panorama che gli si parava davanti. Non avrebbe mai creduto che nella parte più profonda e scura della foresta si nascondesse una tale meraviglia.

Era un semplice specchio d’acqua, non molto grande né troppo profondo. Probabilmente si era formato con l’accumulo di acqua piovana. Proprio in quel punto vi era una leggera depressione del terreno e le fronde degli alberi non riuscivano neppure a sfiorarsi. Che fosse una casualità anche quella? Otabek non lo sapeva, né ci pensava minimamente, tanto era rapito da quell’atmosfera così magica. Tutto riluceva e brillava intorno. La superficie dell’acqua, come le gocce di rugiada sulle fronde riflettevano la luce lunare. Non aveva visto nulla di più bello in tutta la sua vita.

Ma si sbagliava.

 

Apparve senza far rumore una figura eterea.

 

Aveva i capelli biondi, intrecciati sui lati e raccolti sulla nuca.

La sua veste era rossa e nera, aderiva perfettamente al suo corpo snello ed elegante ma allo stesso tempo sembrava essere leggera.

L’essere si avvicinò all’acqua, non si immerse, bensì vi danzò sopra.

E quella danza era elegante, armoniosa, aggraziata, ipnotica, proprio come quella delle fiamme che poco prima Otabek aveva ammirato.

Che stesse sognando? Era tutto troppo assurdo per essere reale.

Come poteva un essere camminare e persino danzare sopra l’acqua!

Ma nonostante questo, Otabek non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

In quel preciso momento, capì che non avrebbe mai visto qualcosa di più bello.

Forse il suo viaggio aveva come scopo quell’incontro. Forse era un altro il destino riservato a lui. Forse non tutto era perduto. Forse quello era il suo raggio di speranza.

Forse quell’essere avrebbe potuto salvarlo.

E questi pensieri gli colmavano il cuore di coraggio. E questi pensieri gli mossero il piede verso la figura danzante.

 

Un fruscio.

 

Un fruscio che in quel silenzio rimbombò come un boato.

 

L’essere interruppe la sua danza. Si voltò verso il cavaliere e fu il buio.

 

Otabek si risvegliò accanto al suo destriero, il fuoco era spento e l’alba si stava affacciando dietro i profili delle montagne.

Un sogno probabilmente, un bel sogno.

Si alzò da terra, destò il suo cavallo, era pronto per ripartire.

Una folata di vento proveniente dalla foresta lo colpì alle spalle. Si voltò. Sorrise.

 

No, non era stato soltanto un semplice sogno, ne era certo.

Quegli occhi freddi come il ghiaccio, quegli occhi che lo avevano trafitto nel momento in cui si era fatto scoprire, non potevano non essere reali.

Perché quelli, erano gli indimenticabili occhi di un soldato e Otabek li avrebbe ritrovati a qualunque costo.

 

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Capitolo 2
*** La leggenda della Fata ***


Capitolo 2- La leggenda della Fata

Otabek cavalcava pensieroso il suo fido destriero. Gli alberi gli apparivano estranei e avversi, come se la foresta stessa lo respingesse. Non riconosceva quei sentieri impervi e tortuosi, non riconosceva quei rami scheletrici che gli si impigliavano nel mantello nero. Il cavaliere non voleva cogliere questi avvertimenti, aveva solo bisogno di credere, di sperare e soprattutto di ritrovare quell’essere mistico. Non sapeva neppure chi o che cosa fosse, né tanto meno sapeva se avrebbe potuto realmente salvarlo, ma quegli occhi che non riusciva a dimenticare gli avevano trasmesso un calore che mai aveva provato in precedenza. Doveva trovarlo!

Passavano le ore ma ogni strada, ogni vicolo che imboccava lo riconducevano inesorabilmente all’entrata della foresta. Scrutò il tramonto, il freddo cielo di Russia si era caricato di immensi nuvoloni neri e non preannunciava nulla di buono. Accarezzò delicatamente la criniera del suo cavallo ormai esausto, lanciò un ultimo sguardo alla foresta che sembrava invitarlo ad andarsene e sconfitto, decise di tornare sui suoi passi e cercare alloggio nel piccolo villaggio che aveva superato solo la sera precedente.

 

La neve lo sorprese lungo la strada sterrata che portava al villaggio. I fiocchi cadevano candidi e leggeri, non sembravano una minaccia, ma Otabek decise di accelerare la marcia, voleva evitare di ritrovarsi nel bel mezzo di una tormenta. Prima di quell’incontro aveva sperato di finire la sua vita tra il ghiaccio di quella terra inospitale, ma adesso aveva uno scopo per sopravvivere.

 

Raggiunse il villaggio. Era formato da piccole capanne e stalle. Intorno, si stendevano dei campi, coltivati con segale e frumento nella bella stagione e ora ricoperti da un sottile strato di neve. Poco oltre si poteva notare l’alveo di un fiumicciattolo ghiacciato. Non vi era illuminazione per le strade, anch’esse sterrate, né vi era una locanda in cui soggiornare. Era un villaggio di poveri contadini che tiravano ad andare avanti come meglio potevano e come quella terra matrigna permetteva loro di vivere. Otabek si sarebbe accontentato di trovare riparo in una stalla abbandonata. Scese da cavallo e si diresse verso una struttura più isolata dalle altre.

 

-Ehi tu!- Gridò una voce alle sue spalle.

Otabek si voltò e vide davanti a sé un ragazzo sorridente. Sembrava avere solo pochi anni più di lui. Aveva dei capelli neri che gli ricadevano sulla fronte e dei grandi occhi marroni, puri ed ingenui proprio come quel ragazzo.

-Cerchi riparo dal freddo?- Continuò il ragazzo. Otabek annuì.

-Seguimi allora!

 

Il cavaliere si fidò di quel giovane che lo condusse in una piccola capanna poco distante da loro. L’interno era molto spoglio e povero, vi era soltanto un tavolo di legno con due sedie mezze rotte, un focolare e una specie di giaciglio formato da paglia, lana e varie coperte, infine, una porta che conduceva in una seconda stanza male illuminata. Da questa, uscì fuori un uomo dalla bellezza sconvolgente. Era alto, elegante, i suoi occhi azzurri ricordavano il mare, la sua pelle era candida come la neve, ma quello che colpì maggiormente Otabek furono i suoi capelli argentei.

 

-Oh! Abbiamo un ospite!- disse l’uomo.

-Ah Viktor! Scusami! L’ho trovato qua fuori in cerca di riparo.. ho pensato che potesse fermarsi da noi per la notte.. ha iniziato a nevicare..

-Nessun problema Yuuri- disse sorridendo dolcemente al giovane e sparì nella stanza da cui era venuto.

-Mettiti pure comodo, io andrò a cercare una sistemazione al tuo cavallo.- e dicendo questo, Yuuri uscì dall’ingresso.

 

Otabek restò in piedi aspettando il rientro di quel ragazzo. Quell’uomo, quel Viktor, gli metteva una certa soggezione, come se sentisse di trovarsi al cospetto di un sovrano. Yuuri tardava a rincasare e Viktor rispuntò fuori dalla stanza con delle coperte che iniziò a sistemare in un angolo.

 

-Dormirai qui stanotte, purtroppo non possiamo offrirti niente di meglio.- gli sorrise e Otabek riuscì solo ad annuire abbassando lo sguardo.

-Non siamo abituati ad avere ospiti, di solito nessuno passa da queste parti e soprattutto nessuno vuole passare la notte qua, siamo troppo vicini alla foresta sai? Tutti credono sia un luogo maledetto, dicono sia abitata da mostri spaventosi..

-Ed è vero?- disse trasalendo Otabek.

L’uomo scoppiò in una risata fragorosa e una volta calmatosi continuò -Mi spiace, non volevo prenderti in giro, ma non pensavo che un cavaliere come te potesse temere una cosa del genere.

-E non la temo infatti!- Otabek si accorse di aver alzato troppo la voce e ricomponendosi riprese -Io.. Io ho visto qualcosa lì!

Viktor cambiò espressione, si fece serio ed attento, si alzò e guardandolo dritto negli occhi scuri chiese -Cosa hai visto?

Il ragazzo, assoggettato da quello sguardo glaciale, indietreggiò di alcuni passi e iniziò a raccontare con titubanza quello che aveva vissuto la notte precedente.

 

Un silenzio disumano riempiva la stanza quando Yuuri rientrò, ma non fece in tempo a chiedere cosa stessa accadendo che Viktor lasciò la stanza.

Riemerse da quella che doveva essere la cucina con delle stoviglie vecchie ma pulitissime ed iniziò ad imbandire la tavola con quel poco che avevano.

Yuuri gli raccontò di come fosse bello vivere in quel villaggio, nonostante le difficoltà e le ristrettezze economiche. Gli parlò a lungo del tipo di coltivazioni che permettevano il loro sostentamento, di come si davano da fare in inverno, ma anche di quanto fossero felici di quel poco che avevano. Era un ragazzo chiacchierone, forse troppo chiacchierone, almeno per i gusti di Otabek, era anche troppo ingenuo e di animo confidente, visto che aveva ospitato uno sconosciuto in casa sua senza chiedergli nulla, ma allo stesso tempo trovava rassicurante la sua gentilezza e il suo altruismo, era senz’altro un ragazzo dal cuore d’oro e pieno di buoni propositi. Gli chiese chi fosse e da dove venisse e Otabek, senza riserve, gli raccontò la sua storia. Gli disse che veniva dal lontano Kazakhstan, che era un eroe nel suo Paese, gli raccontò di quando da solo aveva respinto un’intera orda di invasori, di quando salvò il suo Re da un complotto di assassini, di quando si imbarcò per trovare un’erba miracolosa per guarire la popolazione da un morbo sconosciuto e altro ancora. Yuuri lo ascoltava ammirato e Otabek si era persino dimenticato di quegli occhi gelidi che continuavano a guardarlo con sospetto fino a che Viktor non gli chiese per quale motivo fosse giunto in quel luogo. Otabek si scurì in volto.

-Ho l’ordine di presentarmi al cospetto di Re Yakov, il vostro sovrano. Ho un compito importante da portare a termine che condurrà alla pace i nostri regni.

-Cosa devi fare Otabek?- chiese ingenuamente Yuuri.

-Basta così Yuuri!- tuonò Viktor- Lasciamo riposare il nostro ospite, si è fatto tardi.

L’uomo iniziò a sparecchiare la tavola e sparì nuovamente nella cucina.

 

Era notte fonda quando Viktor svegliò Otabek. Gli chiese di seguirlo all’esterno. Il cavaliere obbedì. Provava una certa inquietudine a stare solo con lui.

-Hai intenzione di tornare nella foresta?- domandò a bruciapelo. Il ragazzo, colto alla sprovvista, si limitò ad annuire.

-Non ti permetterà di rientrare, ti ha già respinto più di una volta.

-Chi? La foresta? Quell’essere? E’ forse un mostro?

-La foresta, l’essere, i mostri di cui tutti parlano.. Tutti loro sono la solita cosa.

-Cosa?

-La Fata della Russia.

Otabek non riusciva a credere alle proprie orecchie.

-Si dice che, nell’antichità, ogni foresta di Russia fosse abitata da esseri fatati. Erano i numi tutelari di quei luoghi sacri, proteggevano gli animali che vi abitavano all’interno, facevano sbocciare fiori bellissimi, facevano cantare le foglie e vivevano in armonia con la natura. Erano tantissime. Chi le vedeva le descriveva come esseri eterei, leggeri, bellissimi. Gli uomini le rispettavano ed erano grati per quello che facevano, fino a che, un brutto giorno, sentimenti ostili riempirono i loro cuori. Iniziarono a cacciare le fate, chi per gioco, chi per denaro.. I principi ed i re desideravano averle, come se fossero oggetti da esporre.. e così, piano piano, le fate sparirono. Per questo la Russia è diventata una terra così ostile.- Viktor tacque per un paio di secondi che a Otabek parvero delle ore -Però, si dice che in questa foresta, la nostra foresta, accadano cose strane. Ombre, suoni, strane apparizioni. E’ molto più semplice spaventarsi e pensare che ci siano dei mostri, ma io credo che quella sia la dimora dell’ultima Fata.

-L’hai mai vista?

-No.. ma so che c’è!- disse Viktor sorridendogli.

-Questo mi basta!

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Capitolo 3
*** La Tigre Bianca ***


Capitolo 3- La Tigre Bianca

Un gelido sole era spuntato timidamente sopra i crinali dei monti innevati. Otabek stava preparando il suo destriero per la partenza.

-Sei sicuro di voler partire?

-Devo.

Il giovane dai capelli argentei sospirò benevolmente, mai avrebbe pensato di incontrare un cavaliere tanto determinato e disperato.

-In questo caso.. non posso fare a meno di aiutarti!- Dopo una breve pausa che a Otabek parve interminabile, continuò dicendo -Esiste un modo per entrare in quella foresta senza essere respinti.. Si deve essere invitati o accompagnati..

-Invitati? Accompagnati? Cosa significa.. non riesco a capire.. Ma soprattutto, come fai a sapere queste cose?

Il giovane arrossì violentemente e distogliendo lo sguardo dagli occhi penetranti del ragazzo iniziò a giustificarsi -Beh, ecco.. non so queste cose per certo.. Me le ha raccontate Yuuri.. Lui.. Lui.. No! Suo nonno! E’ stato suo nonno a raccontargli queste cose, si! E lui ovviamente le ha raccontate a me.. per questo so queste cose!- Così dicendo Victor si ricompose, si schiarì la voce e continuò con aria sicura -Devi essere invitato o accompagnato da un abitante della foresta o dalla foresta stessa! La scorsa notte, sono certo sia stata la foresta stessa ad invitarti, per questo adesso avrai bisogno di un compagno che possa condurti là dentro di nuovo!

Otabek smarrito e confuso chiese -Quindi vorresti accompagnarmi tu?

Di nuovo il giovane arrossì e per la seconda volta perse la calma che lo caratterizzava. Iniziò a gridare scompostamente -Cosa?? No, no! Assolutamente no! Io non posso! Io non c’entro nulla! Io sono un estraneo e tu hai bisogno di un essere che abiti lì! Io non abito lì eh eh, io abito qui, in questa casa.. da sempre!

Ancora più confuso, Otabek non sapeva né cosa dire né pensare. Come mai quel ragazzo tanto gentile adesso si stava comportando in un modo tanto bizzarro?

Per l’ultima volta Victor si ricompose -Devi trovare la Tigre Bianca! E’ l’ultima della sua specie che continua a vivere in quella foresta. Quando le avrai dimostrato il tuo valore e la tua determinazione, lei ti condurrà dalla Fata!

-Una.. Tigre? Come dovrei fare a trovarla? Ma soprattutto come posso mostrarle il mio valore? Io..

-Silenzio!- Lo interruppe Victor -Segui il sentiero del fiume ghiacciato costeggiando questa sponda. Nei pressi della foresta il fiume si disgela e forma una piccola polla dove solitamente va ad abbeverarsi la Tigre. Aspettala lì, arriverà sicuramente!

 

Otabek continuò a guardare il giovane stupito, non gli era chiaro come fosse in possesso di queste informazioni, ma, al contrario, era cristallino che la storia del nonno fosse una menzogna. Perchè allora avrebbe dovuto mentirgli? Perchè continuava ad essere così gentile? Ma soprattutto, perché continuava a fidarsi di lui nonostante quel suo atteggiamento così sospettoso?

Decise di seguire il suo istinto. Ringraziò il giovane dai capelli argentei e partì seguendo le sue indicazioni.

Victor lo seguì con lo sguardo sorridendo.

-Se n’è andato?

-Oh Yuuri, buongiorno! Si, è partito in cerca della Fata della Russia.

-Gli hai detto come trovarlo?- gridò il giovane incredulo.

-Gli ho detto come raggiungere la tigre bianca.

-Yurio non sarà contento di questo.. ti odierà ancora di più!

-Io invece sono sicuro che non lo farà.

Victor rivolse un dolce sorriso al ragazzo ed insieme rientrarono in casa.

 

 

 

Otabek cavalcava pensieroso lungo la sponda del fiume ghiacciato. Seguiva le indicazioni di Victor ma ancora indagava la motivazione di quel suo strano atteggiamento. Aveva forse qualcosa da nascondere? Aveva forse seguito lui stesso quelle indicazioni ed aveva incontrato la Fata? Era davvero sicuro della sua esistenza in fin dei conti, poteva averla incontrata realmente.

 

Dopo aver cavalcato per tutta la mattina, finalmente iniziò a vedere dei rigoli d’acqua lungo il freddo letto del fiume. Si stava avvicinando sempre di più al luogo dove avrebbe incontrato la tigre. L’avrebbe incontrata davvero? Otabek ancora non riusciva a credere dell’esistenza di una magica tigre che l’avrebbe condotto dalla sua Fata. Inoltre, se anche fosse esistita, quanto avrebbe dovuto aspettare prima di vederla? Ore? Giorni? Settimane? Il cavaliere non aveva a disposizione tutto quel tempo, era già in ritardo di due giorni sulla tabella di marcia e se non fosse giunto da re Yakov entro il termine stabilito cosa avrebbe rischiato il suo amato paese? Otabek doveva incontrare la sua Fata il prima possibile, aveva un disperato bisogno di lei e della sua magia. Per questo aveva creduto a Victor nonostante i suoi sospetti, per questo si stava dirigendo come uno stolto verso le fauci di una magica tigre, verso morte certa. Otabek continuava a cavalcare lungo la sponda del fiume che piano piano cominciava ad assumere il suo reale aspetto.

 

Era ormai il tramonto quando giunge alla polla d’acqua. Non era molto grande né troppo profonda. Molto probabilmente si era creata dalla rottura dell’argine del fiume che da quel luogo proseguiva verso destra allontanandosi dal limite della foresta. Il terreno era ricoperto da un sottilissimo strato di neve, mentre gli alberi della foresta, che distavano appena un centinaio di metri da quel posto, erano più verdi che mai, come se solo in quella zona non fosse caduto neppure un fiocco di neve. Forse era davvero una foresta magica dopotutto.

Scese dal suo fedele destriero con grande eleganza e dopo averlo ringraziato con una dolce carezza lo condusse ad abbeverarsi in quelle acque.

 

Il cielo si era tinto di tenebra, la luce pallida della luna disegnava sagome spaventose sul terreno. Otabek sostava dinnanzi alla polla da ore combattendo contro il freddo pungente e la stanchezza che gli fiaccava le membra.

Udì un fruscio provenire dalla boscaglia di fronte a sé. Mantenne la posizione. Vide brillare nell’ombra due zaffiri luminosi. Il cavaliere non indietreggiò di un solo passo. Emerse dalle frasche imponente e maestosa. Il suo manto era candido come la neve, le sue striature nere come la notte. Avanzava lentamente e con fare elegante verso il ragazzo, lo sovrastava in statura e stazza. Si arrestò di fronte a lui e lo guardò profondamente negli occhi. Aveva davanti a sé la Tigre Bianca.

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Capitolo 4
*** Agape ***


Capitolo 4 – Agape

Otabek si sentì scrutare l’anima da quello sguardo di cobalto che continuava a fissarlo insistentemente. Quegli occhi così profondi parevano leggergli dentro. Erano occhi grevi e saggi, come se sopra di essi pesassero anni ed anni di esperienza e di dolore, ma il ragazzo riusciva anche ad intravedere nel loro fondo una vivacità che non stonava affatto. Per questo non era intimorito da quella presenza massiccia che gli si parava di fronte, provava solo un grande senso di riverenza.

Finalmente la Tigre distolse lo sguardo e, con la stessa lentezza con cui si era avvicinata al ragazzo, si diresse verso la polla d’acqua ad abbeverarsi. Otabek, però, non riusciva a staccare gli occhi da quell’animale maestoso ed elegante. Ogni suo movimento era fluido ed aggraziato, proprio come quelli della Fata. Che fossero la stessa persona? Il cavaliere non riusciva a capirlo, né tanto meno riusciva a capire cosa gli stesse accadendo dal momento della prima apparizione di quell’essere mistico nella foresta. Perché quella belva non lo stava attaccando? Come avrebbe potuto provargli il suo valore senza un confronto diretto? Avrebbe dovuto fare la prima mossa mentre l’animale era indifeso? Ma Otabek non sarebbe mai riuscito ad usar violenza contro quella creatura tanto aggraziata, così decise di aspettare in silenzio il suo destino.

Passarono così alcuni interminabili minuti prima che la Tigre si allontanasse dalla polla. Si stirò leggermente, respirò a pieni polmoni la gelida aria notturna e ritornò sui suoi passi senza degnare il ragazzo di uno sguardo. Si arrestò sul limitare della foresta come se stesse aspettando qualcosa. Che anche lei avesse bisogno del consenso della Fata per rientrare nella foresta? Ma l’animale si voltò verso di lui e con un cenno del capo lo invitò a seguirlo. Otabek si riscosse e mosse i primi, incerti passi verso di la Tigre che solo allora riprese il suo cammino e sparì tra le fronde della foresta. Aveva ricevuto l’invito.

 

 

Il cavaliere riusciva a stento a tenere il passo della Tigre che si muoveva in quella giungla di rami e sterpi con estrema grazia e agilità. Più volte dovette lottare contro i rovi che si impigliavano nel suo mantello e fare attenzione al fango vischioso che si avvinghiava ai suoi stivali. Tutta la foresta, di nuovo, sembrava lo volesse respingere via, come se fosse un corpo estraneo e dannoso. Lo stesso animale non sembrava voler rendergli facile il percorso, ma anzi, sceglieva attentamente le vie più impervie e fitte, quasi volesse lasciarlo indietro e far perdere le sue tracce. Perché lo aveva invitato ad entrare allora? Otabek non capiva, ma non si dava per vinto. Mai nella sua vita aveva combattuto una battaglia tanto dura, ma non si sarebbe arreso, avrebbe continuato a lottare così come aveva fatto in passato, così come aveva fatto da sempre, persino quando era bambino. Si ricordò allora del campo di addestramento kazako, di quando era un ragazzino gracile e nessuno credeva nelle sue capacità. Non era mai stato un talento naturale, non aveva il combattimento nel sangue a differenza di molti altri suoi compagni, ma aveva avuto da sempre una forza di volontà d’acciaio e più cercavano di spezzarlo ed abbatterlo, lui si rimboccava le maniche e si dava da fare, si allenava sempre di più, studiava la tecnica, affinava l’ingegno per riempire le lacune che gli mancavano e continuava a lottare. Così, dalla nullità quale era, riuscì a diventare il migliore e col suo coraggio, la sua tenacia, la lealtà e la forza divenne il grande Eroe del Kazakhstan. Dopo tutta la fatica e l’impegno di quegli anni, come avrebbe potuto arrendersi proprio ora?

Il tempo si era fermato, lo spazio che si opponeva intorno a lui aveva perso reale consistenza, davanti a lui c’era solo quell’enorme macchia bianca striata che aveva intenzione di raggiungere ad ogni costo. Finalmente la Tigre si arrestò e si voltò indietro per verificare se il suo compagno fosse riuscito a mantenere il passo. Lo vide a pochi passi di distanza, affannato ma composto, lo guardava con uno sguardo fermo e deciso. La Tigre parve quasi sorridergli.

Riprese il cammino adagio, a quella velocità ridotta Otabek ebbe modo di guardarsi intorno e notò che, a differenza della prima volta, non regnavano sovrane le tenebre in quel luogo, ma anzi, riusciva a distinguere bene tutte le sagome degli alberi. Che fosse un buon auspicio?

 

I due compagni camminarono per molto ancora finché l’animale non rallentò ulteriormente il passo, quasi volesse suggerirgli di fare attenzione. Il cavaliere si fidò e si fece cauto, qualunque cosa avrebbero incontrato lo avrebbe affrontato senza esitazione. Mai si sarebbe aspettato di trovare oltre la vegetazione che si parava davanti a loro il luogo in cui aveva visto la Fata la prima volta.

Lo specchio d’acqua rifletteva la luce lunare come allora e tutto intorno riluceva creando un’atmosfera magica. La Tigre si era arrestata al suo fianco e aspettava con trepidazione la Sua venuta.

 

Venne senza far rumore, proprio come la prima volta. Di nuovo, iniziò a danzare. I suoi movimenti erano fluidi ed eleganti; la sua veste, bianca ed argento, catturava la luce lunare facendo risplendere l’intera figura; i suo capelli, biondissimi e sciolti, ricadevano sul viso nascondendo i tratti delicati e armoniosi. La grazia di ogni suo gesto riempiva gli occhi di Otabek tanto che quella figura gli pareva a tratti trasfigurarsi ora in onda ora in vento. Non penso a nulla questa volta, non si riempì la testa di domande come al loro primo incontro. Questa volta si lasciò semplicemente trasportare da quella danza e aprì il suo cuore.

La Fata terminò la sua esibizione rivolgendo le mani al cielo. Una lacrima scese lungo la sua guancia.

Otabek capì.

Quella danza era una preghiera. Una preghiera di speranza. Una preghiera per proteggere tutto quello che gli restava di più caro, quella Natura di cui era custode da tutta l’eternità. E quella preghiera racchiudeva tutto ciò che si celava nel cuore della Fata, un sentimento puro e caldo, un amore incondizionato e innocente verso tutto il creato.

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Capitolo 5
*** Rifiuto ***


Capitolo 5- Rifiuto

La Tigre avanzò verso la Fata. Otabek non riusciva a muovere un singolo muscolo, si sentiva un estraneo in quel luogo, quasi colpevole per aver assistito a quella danza tanto intima, ma allo stesso tempo era infinitamente grato per aver potuto assistere a quello spettacolo senza pari.

Il viso della Fata si illuminò quando vide avvicinarsi la Tigre. Il cavaliere ricordava molto bene quello sguardo freddo che lo aveva pugnalato dritto al cuore, ma quello sguardo,in quel momento, aveva lasciato il posto ad un sorriso caldo e radioso che illuminava tutta la foresta. Si stupì anche di vedere con quanta gioia corse verso l’animale e lo cinse in un abbraccio affettuoso. Forse era davvero una creatura benevola, forse durante il loro primo incontro lo aveva respinto così malamente solo perché aveva interrotto la sua danza, forse, ora, lo avrebbe davvero aiutato.

Proprio come la prima volta, il ragazzo si mosse verso la Fata, ma non riuscì a fare più di due passi che, di nuovo, quegli occhi glaciali si posarono su di lui.

L’azzurro tenue delle iridi sembrava racchiudere il freddo di mille inverni. Otabek sentì il corpo paralizzarsi, il cuore gli schizzò in gola e iniziò a battere all’impazzata; mai aveva provato tanto timore di fronte a qualcuno, ma quel timore era lo stesso che si prova all’apparizione di una divinità.

La Fata si disgiunse da quell’abbraccio e si mosse verso il giovane. Si avvicinò un poco all’estraneo mantenendo una distanza di sicurezza, poi, con aria di superiorità, sollevando leggermente il mento, gli chiese:

-Chi diavolo sei tu? Non ti è bastata la lezione della scorsa notte?

Si riscosse al suono di quella voce così limpida e pura. Si inginocchiò di fronte a quella figura abbassando il capo e portando la mano destra al petto, proprio come era solito fare di fronte al proprio re.

-Il mio nome è Otabek Altin, sono un cavaliere, vengo dal Kazakhstan. Sono qua in cerca di aiuto.. Il tuo aiuto!

Pronunciando quelle ultime parole aveva volontariamente ricercato quegli occhi di ghiaccio che tanto temeva, voleva mostrargli tutta la sua risolutezza. Le guance nivee della creatura si tinsero lievemente di rosso, non si sarebbe mai aspettata una risposta tanto ardita da un mortale.

-Come osi rivolgerti a me con così tanta sfrontatezza? Non sai chi sono? Io sono Yuri Plisetky, la Fata della Russia! Dovresti mostrare più rispetto!- disse animatamente cercando di dissimulare l’imbarazzo di fronte a quello sguardo profondo come la notte.

Yuri odiava da sempre gli umani. Erano loro che stavano distruggendo la Natura, erano loro che avevano da sempre sfruttato il potere delle fate per le loro vane brame, erano loro che avevano portato nel mondo quanto di più brutto potesse esistere. Li odiava tutti, provava fastidio alla loro presenza, li trovava rozzi e sgraziati, rumorosi, confusionari, infidi e traditori. Mai avrebbe davvero aiutato uno di loro, ma spesso li aveva sfruttati per portare avanti la sua guerra con Yakov. Questa volta, però, era diverso. Quell’essere che aveva davanti e che riteneva inferiore, era riuscito per ben due volte a raggiungerlo, aveva ottenuto la fiducia della Tigre e, ora, era lì, davanti a lui, e lo stava guardando dritto negli occhi. Quanto incosciente doveva essere per fare una cosa del genere? Perché quel ragazzo non aveva timore di lui come tutti gli altri? Perché non stava provando un reale disgusto per quel comportamento così irrispettoso nei suoi confronti? Ma soprattutto, perché non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi?

Non ebbe tempo di riordinare i pensieri che Otabek si era alzato di scatto. Continuavano a fissarsi con aria di sfida mantenendo le loro posizioni.

-Vuoi aiutarmi o no?

Il cavaliere provava un gran senso di riverenza nei confronti della Fata, neppure per il suo re aveva provato un sentimento così forte, ma in quel momento aveva solo bisogno di trovare una risposta, una soluzione al suo problema e sentiva che solamente la sua audacia avrebbe potuto far breccia in quell’essere tanto elegante quanto insensibile.

Ancora il giovane si era rivolto a lui con insolenza, ma questa volta non ebbe intenzione di offrirgli un’altra occasione.

-Vattene!

A quel comando, Otabek fece un lieve cenno col capo, voltò le spalle a quell’esile figura e, senza dire una sola parola, percorse a ritroso la strada da cui era provenuto. Era stato rifiutato per ben due volte, non avrebbe avuto senso continuare ad insistere. Aveva avuto modo di rivolgersi alla Fata e aveva rovinato tutto con le sue stesse mani. Se fosse stato meno diretto, probabilmente, sarebbe riuscito ad ottenere l’aiuto che tanto desiderava, ma quello era il suo modo di essere e non avrebbe mai voluto presentarsi alla Fata in maniera differente. Sentiva di dover mostrare la sua vera anima per poter essere accettato, ma forse si era sbagliato, o forse non lo avrebbe aiutato in nessun caso. Era solo certo che, in quel momento, ogni sua speranza era andata in frantumi e si apprestava a farsi carico delle sue colpe e del suo destino.

 

Yuri seguì con lo sguardo la figura del cavaliere allontanarsi fino a che non svanì completamente tra il fitto della vegetazione. Si sentiva irrequieto e malinconico. Lo scatto d’ira che aveva provocato quel suo comportamento tanto irrispettoso lo aveva spinto a scacciare il giovane in fretta, ma appena lo vide andarsene senza far resistenza sentì stringerglisi il cuore. Non era riuscito a dire una parola in più per trattenerlo. Aveva letto nel cuore del ragazzo una profonda disperazione, avrebbe potuto facilmente servirsi di lui, ma lo aveva lasciato andare.

La Tigre si accostò a lui e con la testa dette un piccolo colpetto alla candida mano della Fata. Yuri la guardò con dolcezza e affondò la faccia nella soffice pelliccia del collo.

-Perchè l’hai portato qui.. Nonno?

La Tigre non rispose, non ce n’era bisogno, Yuri conosceva già la risposta.

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Capitolo 6
*** Otabek l'assassino ***


Capitolo 6 - Otabek l'assassino

La foresta si dischiudeva davanti a lui con una semplicità disarmante. Non c’erano più grovigli di rovi che gli impedissero di avanzare, non più terreni melmosi che lo rallentassero, non più quel buio fitto che lo rendeva cieco. La Fata voleva realmente liberarsi di lui il prima possibile. Questo pensiero lo ferì. Il rifiuto di quell’essere tanto aggraziato lo aveva riempito di un’infinita tristezza, non perché aveva appena perduto ogni possibilità di salvezza, ma perché aveva avuto la certezza di non essere degno della sua infinità bontà. Fu proprio quello il primo pensiero che formulò non appena Yuri aveva finito la sua danza. Proprio in quel momento sentì di non meritare l’aiuto di quella creatura benevola, sentì di non poter beneficiare dello stesso amore che riversava verso la Natura pura ed incontaminata che li circondava. Lui, puro, non lo era più, e forse, non lo era mai stato. La sua colpa era troppo grande e lui stesso ne era consapevole. Per questo aveva accettato di lasciare il suo paese e giungere in terra nemica dove avrebbe scontato la sua punizione. Era pienamente convinto di meritare qualsiasi castigo, per questo non era scappato, per questo non si era ribellato, per questo aveva eseguito l’ordine imposto da Yakov. Otabek, però, era pur sempre un uomo, e come tale, aveva vacillato quella notte. Aveva cercato di aggrapparsi ad una vacua speranza, ad una via di fuga come un codardo, ma alla fine il suo senso di colpa aveva prevalso. La danza della Fata gli aveva ricordato quanto di bello e puro ci fosse nel mondo, ma che, allo stesso tempo, lui non faceva parte di questa schiera. Per questo aveva incassato così facilmente il suo rifiuto. Non avrebbe mai voluto accostare la sua ombra alla limpida luce della Fata della Russia, non avrebbe mai voluto macchiare quella purezza.

 

Una debole luce si faceva spazio tra le frasche degli alberi; ancora pochi passi e sarebbe uscito dalla foresta. Lanciò un ultimo lungo sguardo oltre le sue spalle verso quell’oscurità che aveva appena lasciato, niente sembrava richiamarlo in quel luogo. Si voltò verso l’uscita, ma questa volta, trovò un’ombra davanti a sè.

Istintivamente portò la mano all’elsa della spada che non abbandonava mai il suo fianco. Mano a mano che si avvicinava al cavaliere, quella figura, iniziava a prendere forma. Era un ragazzo un po’ più alto di lui, portava un taglio di capelli simile al suo, rasato sui lati, tipico dei soldati. L’armatura che indossava, inoltre, lo classificava come cavaliere. Gli sembrò quasi di riflettersi in uno specchio; differiva da lui solo per il colore degli occhi, erano blu come la notte.

Otabek, però, era il miglior combattente del Kazakhstan e come tale non si fece distrarre da quella somiglianza. Con occhio abile iniziò a scrutare il ragazzo per individuare informazioni sul suo conto. Notò subito che tentava di nascondere sotto il suo lungo mantello viola la spada che sembrava avere l’impugnatura dorata. Non aveva mai visto un’arma tanto particolare, sicuramente doveva provenire da un paese molto lontano, forse addirittura oltre oceano. Doveva essere anche molto ricco per permettersi un’arma tanto lussuosa o peggio ancora poteva trattarsi di un mercenario. Ciò che però attirò maggiormente la sua attenzione era la spilla che chiudeva il suo mantello, anch’essa d’oro e con una forma del tutto singolare: JJ.

Non aveva mai visto quel simbolo prima di allora, non era lo stemma di una casata nobiliare, li conosceva tutti. L’ipotesi dell’appartenenza del giovane a un gruppo di mercenari si faceva ancora più viva nella sua mente e meccanicamente strinse più forte l’elsa della spada. Rispose al suo gesto con un sorriso sprezzante.

-Ti ha rifiutato eh?

Il kazako rimase impietrito e l’avversario lo superò ridendo, sparendo poi nel fitto del bosco.

Chi mai poteva essere quel cavaliere che sapeva conoscere così bene quello che era appena successo? Era forse un alleato della Fata? Magari era un essere magico anche lui o forse era il suo cavaliere. Sicuramente era il suo cavaliere, sicuramente aveva avuto il privilegio di stare al fianco di quell’essere puro e di proteggerlo. Se lo aveva scelto come suo campione doveva essere degno di quel ruolo, eppure non riusciva a togliersi di dosso quella brutta sensazione che sentiva solo evocando nel pensiero la sua immagine. “Pericolo” gli avevano suggerito i suoi muscoli non appena era apparso sulla sua strada. “Pericolo” aveva gridato la sua mente dopo averlo osservato attentamente. Ciononostante, egli era l’eletto della Fata, come avrebbe mai potuto sbagliarsi una creatura tanto perfetta?

Finalmente si decise a muoversi e uscì dalla foresta. Tra la chiara luce del primo mattino lo stava aspettando il suo fido destriero, vicino alla polla, dove lo aveva lasciato. Lo raggiunse, accarezzò la nera criniera e montò in sella. Lo spronò in direzione della reggia di Yakov.

 

 

 

Il giovane dagli occhi della notte raggiunse senza difficoltà Yuri. Lo stava aspettando sul tronco reciso della quercia millenaria, la Madre come la chiamavano in Russia, dalla quale partivano lunghe diramazioni di ghiaccio, simbolo delle antiche braccia nodose. Quello era il trono della Fata della Russia. Ai suoi piedi, come sempre, sonnecchiava la Tigre Bianca.

Il felino, non appena lo sentì avvicinarsi, si destò immediatamente e iniziò a ruggirgli contro con fare minaccioso. Il giovane, che temeva quell’animale più di ogni altra cosa, si arrestò rapidamente e si inchinò davanti a Yuri.

-Mio signore, sono giunto fin qui per portarti informazioni preziosissime, non immaginate neppure quanti pericoli abbia..

-Taglia corto JJ!- lo interruppe bruscamente Yuri.

Odiava il suo continuo dilungarsi su dettagli inutile e il suo vantarsi di imprese mirabolanti ma difficilmente credibili. Era troppo egocentrico e chiacchierone per i suoi gusti, ma era un ottimo infiltrato e portava notizie importanti su Yakov.

-Si mio signore, perdonatemi. C’è grande fermento alla reggia. Yakov sta aspettando un nuovo guerriero, è convinto che sfruttando la sua forza riuscirà sicuramente a farti cadere. E’ il miglior guerriero del Kazakhstan, da solo è riuscito a coordinare e portar avanti la difesa del suo paese contro l’armata di Yakov. Le sue capacità in combattimento sono fuori dal comune.. Yakov non sbaglia a ritenerlo il suo asso nella manica. Il suo arrivo è previsto per quest’oggi o domani mattina, vuole che lo intercetti e provi a convincerlo ad unirsi a noi?

Un brivido corse lungo la schiena della Fata.

-Ha tradito il suo paese?

-No, ma ha tradito il Codice della Cavalleria.

Lo sguardo interrogativo di Yuri lo indusse a spiegare meglio la questione.

-Mio signore, per noi cavalieri non c’è nulla di più sacro che la lealtà per il nostro sovrano, ma abbiamo anche un Codice di comportamenti da rispettare che ci identifica come Cavalieri e su questo consacriamo la nostra spada, è una sorta di giuramento. Questo cavaliere ha sempre agito rispettando il nostro Codice e ha compiuto delle imprese straordinarie per difendere il suo paese ed il suo Re, ha persino meritato il titolo di Eroe del Kazakhstan! Però.. durante la guerra contro Yakov ha commesso un errore imperdonabile. Yakov ha dispiegato le sue risorse migliori per conquistare il Kazakhstan, ma ogni volta veniva respinto da questo giovane combattente. Ha deciso quindi di mandare il suo miglior generale, Georgi Popovich, affinché lo battesse in singolar tenzone. Georgi però non era alla sua altezza, ha combattuto con grande coraggio, ma alla fine è stato sconfitto.

-Qual è il problema allora?

-Lo ha ucciso. Durante un duello non è lecito uccidere l’avversario sconfitto. Il Codice lo vieta. Il duello si basa sul rispetto reciproco dei due contendenti perché si riconosce il grande valore del rivale.. Togliere la vita al perdente è una grande mancanza di rispetto. Si è puniti con la morte!

La fronte di Yuri si imperlò di gocce di sudore.

-Perché allora sta andando da Yakov?

-Perché il Kazakhstan ha perso la guerra senza il suo Eroe. Dopo questo terribile fatto, lui stesso si è consegnato alle autorità del suo paese per essere imprigionato e condannato. Così facendo, però, ha condannato anche il suo paese che è stato sottomesso nel giro di una settimana. Yakov ha imposto agli sconfitti solo la consegna del loro Eroe. In molti pensano che voglia condannarlo con le sue stesse mani per quello che ha fatto a Georgi, ma io ho sentito con le mie stesse orecchie che ha intenzione di sfruttarlo per vincerti una volta per tutte! Quindi ti ripeto, signore mio, cosa vuoi che faccia?

Yuri stette in silenzio per alcuni minuti, poi, deglutendo chiese:

-Qual è il suo nome?

-Otabek Altin.

La Fata si alzò dal suo trono, fece cenno alla Tigre di seguirlo e voltando le spalle al JJ disse:

-Torna da Yakov. Portami altre informazioni su quello che farà.

-Come desiderate mio signore, parto immediatamente.

Il ragazzo si allontanò con grande fretta. Una calda lacrima bagnò la guancia di Yuri.

 

 

 

Era il tramonto, Otabek aveva galoppato come un pazzo alla volta della reggia di Yakov e finalmente era arrivato. Fu scortato dalle guardie nella sala del trono dove il re lo stava aspettando. Un portone immenso in cristallo nero si spalancò davanti ai suoi occhi rivelando un’immensa navata che conduceva ad uno scranno imponente in oro massiccio e pietre preziose. Sopra di questo vi era la persona più temuta sulla faccia della terra: Yakov. Con un gesto della mano lo invitò ad entrare. Lungo i lati della navata stavano fermi ed immobile cavalieri, cortigiani, dame, servitori, e tutti quanti tenevano gli occhi fissi su di lui. Otabek si arrestò ai piedi dello scranno. Yakov sorrise sprezzante.

-Finalmente sei arrivato, Otabek l’assassino!

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Capitolo 7
*** Accetto. ***


Capitolo 7 - Accetto.
Le dure parole del sovrano temibile lo colpirono dritto al petto, perforando la sua armatura e arrivarono dritte al cuore. Un assassino, ecco quello che era! Non era più degno di essere definito il Grande Eroe del Kazakhstan, non era più degno neppure di rivestire il ruolo di Cavaliere. Le sue mani, ormai, erano macchiate del sangue di un suo pari e questo lo rendeva il peggiore tra tutti gli assassini.

-Cos’è? Hai perduto anche le buone maniere dopo il titolo di Eroe? Sono pur sempre un sovrano in fin dei conti, non dovresti inginocchiarti?

Il sorriso beffardo di Yakov gli faceva ribollire il sangue. Per anni la sua presenza ingombrante aveva minacciato il suo paese, per anni il suo Re aveva cercato invano un dialogo, ma la brama di potere di quell’uomo era insaziabile. Aveva iniziato ad espandersi sempre di più, dapprima impossessandosi dell’intera Russia, poi conquistando i paesi confinanti, ed infine, solo un anno prima, si era finalmente deciso a muovere guerra anche al Kazakhstan. Nessuno sapeva cosa volesse davvero quell’uomo; si circondava dei migliori combattenti esistenti, reclutandoli anche da molto lontano, persino oltremare, per poi scatenare delle guerre sanguinosissime per entrare in possesso delle ricchezze del territorio. Otabek aveva attraversato innumerevoli villaggi russi e ognuno era la fotocopia dell’altro: piccoli ammassi di capanne diroccate. Mai aveva visto un luogo più desolato e povero come la Russia di Yakov. La sua reggia, però, era immensa e scintillante. Poco ci volle a fargli capire che, realmente, il sovrano russo doveva essere mosso soltanto da una smodata brama di potere e di ricchezze. Come poteva quindi inchinarsi di fronte ad un uomo che portava distruzione e miseria per soddisfare la sua cupidigia?

 

Eppure, adesso, dopo quello che aveva fatto, era diventato un essere perfino più spregevole di lui. Aveva infangato l’armata kazaka, il suo re, ma peggio ancora, aveva corrotto per sempre la sua anima. La lama della sua spada aveva lacerato il ventre di Georgi, il sangue era colato sopra i guanti riuscendo a raggiungere la sua pelle ed ogni maledettissima volta che chiudeva gli occhi, rivedeva davanti a sé quel volto pallido esalare l’ultimo respiro e accasciarsi con un tonfo assordante al suolo. Come potevano interessargli le speculazioni dei suoi compagni sulle dinamiche dell’incidente? Come poteva trovare riparo dietro le giustificazioni di coloro che volevano difendere la sua posizione? Il cavaliere non aveva certo avuto l’intenzione di uccidere il rivale, ma l’aveva fatto ed era questa l’unica cosa che aveva valore.

Per questo motivo non aveva fatto resistenza quando due guardie lo avevano forzato ad inchinarsi di fronte al re.

-Così va decisamente meglio! - dopo una breve pausa continuò – Sai perché sei qui?

Il giovane annuì sommessamente, tenendo gli occhi rivolti a terra.

-Bene, immagino che quindi saprai anche quale condanna ti aspetti?

La morte. Otabek ne era certo. Dopo aver incontrato la Fata aveva accettato questo destino con più leggerezza. Aveva visto la purezza fatta persona, aveva provato l’ardente desiderio di spogliarsi di tutti i suoi peccati, di lavar via tutto il sangue che lo imbrattava perdendosi negli occhi di quella creatura perfetta fino allo scadere del suo tempo mortale, ma quel rifiuto lo aveva messo di fronte alla realtà delle cose. Non poteva esserci perdono per lui, solo condanna.

-La pena di morte è ciò che viene richiesto per questi crimini, ma quest’oggi voglio dare dimostrazione a tutti della mia immane magnanimità! Ti concedo la grazia, Otabek Altin!

Il cavaliere spalancò gli occhi. Non era minimamente possibile una cosa del genere, un essere spregevole come lui non lo avrebbe salvato da morte certa così facilmente e soprattutto senza pretendere niente in cambio.

-Tuttavia non ho certo intenzione di lasciarti impunito. Hai tolto la vita ad uno dei miei più forti e valorosi combattenti, pertanto ti permetterò di rimpiazzarlo!

Avrai l’opportunità di servirmi e combattere per me. Non sei contento? - non dette neppure tempo al cavaliere di controbattere - Ho davvero grandi piani per te, ragazzo! Condurrai la più incredibile impresa mai tentata e chiunque conoscerà il tuo nome! Gloria, onori, ricchezze, potrai avere tutto e nessuno ricorderà più questo spiacevole incidente.

-Rifiuto. Non ho interesse in queste futili sciocchezze, né, tanto meno, potrò mai cancellare la mia colpa.

-Allora cosa ne diresti di un’ultima buona azione?

Lo sguardo interrogativo che si dipinse sul volto del giovane gli fece intendere di essere sulla strada giusta. Quanto era semplice imbrogliare le anime candide!

-Rinuncerò ad impiegare il tuo enorme talento in battaglia se deciderai di aiutarmi a risolvere una questione che ho in sospeso con l’unico focolare di resistenza nel mio paese. Il capo della resistenza è davvero sanguinario e feroce, vive in latitanza, uccide i miei sudditi per capriccio personale e massacra ogni guerriero che invio per contrastarlo. Non credi debba essere fermato questo mostro?

Otabek abbassò lo sguardo.

-Cosa dovrei fare di preciso?

Yakov sogghignò convinto di averlo in pugno.

-Niente di impossibile, ragazzo mio. Ho già creato una squadra speciale con i miei migliori combattenti, il loro compito è quello di localizzare il capo della resistenza, circondarlo, neutralizzarlo e catturarlo. Tu dovrai semplicemente unirti a loro e seguire le prescrizioni. Con la tua forza e la tua esperienza la Fata della Russia non avrà scampo.

-RIFIUTO!

Il sovrano rimase sorpreso dalla veemenza della sua reazione, ma non si interessò certo alle cause che l’avevano scatenata. Il suo unico scopo era stato sin dall’inizio avere la forza del Kazako per catturare quell’essere ribelle e si era preparato anticipatamente ad ogni evenienza.

-Bene, mettiamola così allora: se ti rifiuti spazzerò via dalla faccia della terra il Kazakhstan e con quell’inutile staterello anche i tuoi familiari, il tuo re, i tuoi compagni, ogni bambino, donna, anziano, ogni suo maledetto abitante! Farò in modo che venga persino cancellato dai libri di storia, sarà come se non fosse mai esistito! Quindi, accetti la mia offerta?

Otabek impallidì. Mai si era trovato prima di allora in una situazione tanto terribile. Nessun duello all’ultimo sangue, nessuna imboscata nemica, neppure il pensiero della morte imminente, che lo aveva turbato fino a poche ore prima, poteva essere paragonato a questo. Adesso lui era costretto a compiere la scelta più difficile della sua vita: salvare la sua terra e tutti i suoi abitanti o quell’essere così puro che aveva appena incontrato? Non aveva dato minimamente peso alle parole terribili con cui Yakov aveva descritto la Fata, niente avrebbe macchiato quella figura così bianca ed eterea dalla sua mente. Tuttavia, per quanto potesse ammirare quella creatura così affascinate e inarrivabile, questa volta seguì la sua razionalità e forse anche il suo egoismo.
-Accetto.

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Capitolo 8
*** Attacco ***


Capitolo 8 – Attacco.

Otabek non sapeva quanto tempo fosse passato dal suo colloquio con Yakov. Era stato scortato dalle sue guardie in una cella vuota e fredda. Non provava fastidio in quel luogo, anzi, avrebbe preferito passare il resto della sua esistenza chiuso in quelle quattro mura così anguste. Il destino, però, non gli era stato così favorevole, doveva compiere ancora un’altra missione, forse l’ultima, o almeno così sperava. Cercava di convincere se stesso di non aver altre possibilità, che tutto quel dolore e quell’angoscia che adesso provava nel petto non fossero altro che la giusta punizione per il crimine commesso, eppure continuava ancora a pensare a come poter uscire da quella tremenda situazione. Non voleva per alcuna ragione ferire quella creatura così pura ed innocente, ma allo stesso tempo sentiva di dover proteggere la sua adorata patria. La morsa in cui il sovrano crudele lo aveva stretto lo aveva privato della sua celebre dote di previsione con cui era solito risolvere ogni circostanza sfavorevole; adesso, i suoi occhi non riuscivano a vedere alcuna soluzione in quell’oscurità che lo aveva inglobato.

 

Una luce improvvisa lo abbagliò. La porta di legno si era spalancata repentinamente permettendo a due guardie di interrompere i suoi pensieri. Il brusco ritorno alla realtà lo colpì violentemente lasciandolo senza fiato: era giunta l’ora.

Venne scortato fino all’esterno, nell’immensa piana desolata e brulla sulla quale si stagliava il nero castello di Yakov e che ora brulicava di persone. L’intero esercito schierato lo stava aspettando. Gli venne riconsegnata la sua fida compagna, la spada che aveva consacrato al Kazakhstan, e il suo destriero che lo aveva accompagnato in tutte le sue imprese.

Uno squillo di trombe improvviso annunciò la comparsa del sovrano a cavallo di un possente Shire, nero come la pece, armato come il padrone per andare in battaglia. Si posizionò di fronte ai suoi generali, ma a differenza di quanto Otabek si aspettasse non dette alcuna disposizione, si limitò a sbraitare un ordine fin troppo semplice: “Distruggete tutto e portatemi la Fata!”.

Il ragazzo, udite quelle parole, serrò la mandibola per contenere la rabbia e la nausea che lo avevano assalito. Gli parvero come una terribile bestemmia sputata da un essere inferiore, perché ogni umano, davanti a quelle due creature che lui stesso aveva incontrato, non poteva che essere inferiore. La loro maestosità ed eleganza era ultraterrena, pertinenti solo a delle divinità. Quanto poteva essere sciocco Yakov a voler sfidare la Perfezione incarnata? Non si era reso conto dell’inutilità di quell’impresa? Cosa avrebbero potuto fare dei semplici umani di fronte a Loro? Come poteva, poi, essere lui stesso la chiave di questa guerra insensata? Perché lo aveva voluto così ardentemente tra le sue file? La sua abilità, la sua potenza, il suo intuito, non avrebbero mai potuto sopraffare un avversario del genere, sarebbe sicuramente stato ucciso non appena gli si fosse avvicinato. Fu allora che riuscì ad intravedere un piccolo spiraglio di luce: quella sarebbe stata davvero la sua ultima battaglia! Sorrise all’idea di poter concludere la sua vita vedendo un’ultima volta gli occhi della Fata, annegare in quel mare verde sarebbe stato dolcissimo.

Montò a cavallo, accarezzò delicatamente la criniera del suo leale compagno e andò ad allinearsi col resto dell’esercito.

Il sole pallido e malato stava ormai declinando verso i monti ad ovest quando il Re ordinò la partenza; li guardò sfilare davanti a sé con un ghigno compiaciuto sul volto. Non li seguì, diversamente a quanto avrebbe lasciato presagire il suo aspetto, li avrebbe attesi in totale sicurezza, certo della vittoria.

L’armata procedeva in gran carriera, sperando di raggiungere la foresta in notte inoltrata. Nessuno sembrava mostrare in volto alcun segno di timore o incertezza, ma al contrario una furia ferina tingeva i loro occhi famelici. Otabek rabbrividì. Possibile che fossero certi di uscire vittoriosi da quell’impresa suicida? Scosse la testa cercando di cacciare quei terribili pensieri. Fu affiancato da un uomo con il volto interamente coperto dall’elmo: era uno dei generali di Yakov.

-Sarai tu a occuparti della Tigre, noi ti permetteremo di penetrare all’interno della foresta e ti spianeremo la strada da eventuali ostacoli.

Non aveva neppure alzato la visiera per parlare con lui, né aveva avuto la minima premura di presentarsi, tuttavia, il cavaliere aveva la sensazione di aver già incontrato quel soldato. Sparì prima che potesse formulare qualche domanda sul suo ruolo in quella guerra, ma quelle parole così fredde e metalliche non avevano nulla di incomprensibile, anzi erano chiare e spietate. La sua forza serviva ad un solo ed unico scopo: eliminare la Tigre. Le mani che tenevano strette le briglie iniziarono a tremargli. Non era paura quella che provava il giovane, ma solo semplice esitazione. Il suo compito era quello di assicurare protezione al suo adorato paese, ma sarebbe davvero riuscito ad alzare la spada contro quell’animale maestoso solo per difenderlo?

Alzò gli occhi al cielo, nuvoloni carichi di pioggia coprivano la volta celeste regalando alla loro impresa un buio perfetto; tutto sembrava benedire la loro missione di distruzione. Giunsero al luogo prestabilito, la luna non osava mostrare la sua candida faccia rendendosi un’alleata di quei criminali. Alti nitriti e grida di incitamento riempivano la gelida notte, nessuno si preoccupava di essere silenzioso. Una miriade di fiaccole si accese ed improvvisamente si fece giorno. Otabek poteva vedere i volti trasfigurati dalla luce delle fiamme, ghigni deformi e spaventosi, per nulla umani; tremò all’idea di quello che sarebbe successo di lì a poco. Le lingue di fuoco vennero riversate sulla foresta inerme, come se fosse l’atto più naturale al mondo, e questa stridendo, iniziò a bruciare. Lo strepitio delle cortecce e degli arbusti parevano grida strazianti che rimbombavano nelle suo orecchie; si rese conto che quello a cui stava partecipando non era una guerra come le altre già combattute, quello che aveva ora davanti agli occhi era un vero e proprio sterminio. Un fitta gli attraversò il cuore, ma non era solo per il terribile scenario, sentiva nel profondo un dolore sordo e martellante del quale non sapeva darsi una ragione. Venne riscosso dal grido del generale che gli ordinava di avanzare. Serrò i polpacci contro i fianchi del suo destriero e si inoltrò tra le fronde evitando abilmente il fuoco.

I rami arsi che durante la sua ultima visita cercavano di trattenerlo, adesso distendevano le loro dita legnose in cerca d’aiuto, le foglie si accartocciavano su loro stesse gemendo, i cespugli straziati esibivano i loro scheletri. Il cavaliere era inerme di fronte a tale scempio. Tutto ciò che riusciva a fare era proseguire la strada che lo avrebbe condotto all’interno della foresta, lasciandosi alle spalle i compagni che elargivano morte. Si rese conto allora dell’esistenza di un nuovo avversario che non era in grado di contrastare, un avversario completamente al di fuori della sua portata, un avversario che metteva in ombra la potenza sovrumana della Fata e della Tigre: la crudeltà umana.

Alzò gli occhi come in cerca di un qualche soccorso divino, ma il fumo nero e le cime non ancora strette dalle fiamme oscuravano la vista del cielo; davvero non vi era più speranza?

Una goccia fresca e silenziosa colpì la sua guancia destra, poi una seconda la fronte, una terza il labbro inferiore, infine un rombo di tuono sovrastò ogni altro rumore e un violento scroscio d’acqua si riversò sulle loro teste. Completamente fradicio arrestò la sua corsa. La benedizione della pioggia arrestò l’avanza dell’incendio e lentamente estinse ogni focolare. La terra aveva ricominciato a respirare e tutto intorno a lui sembrava rinascere; sorrise di fronte a quel miracolo.

Un calpestio irregolare e impetuoso ruppe la melodia delle nubi, i soldati stavano continuando a procedere con risolutezza. Non brandivano più le fiaccole ardenti, si erano riappropriati delle loro spade con cui tranciavano rami e rovi, ma la foresta, rinvigorita, opponeva una strenua resistenza. Il fango inglobava i calzari dei soldati rallentando la loro avanzata, le radici parevano emergere dalla terra stessa per farli inciampare, i rami mossi da un misterioso vento sferravano pugni contro gli avversari. Otabek rimase colpito da quello che stava accadendo intorno a lui e, se nelle sue visite precedenti aveva pensato che quel luogo fosse speciale o magico, adesso lo riteneva un essere animato vero e proprio.

Nascose un secondo sorriso di fronte a quei compagni che non si era scelto e che stavano per essere sconfitti da una forza maggiore, proprio come lui stesso aveva sperato. Nonostante la consapevolezza della disfatta, di nuovo gli venne intimato di avanzare dal generale e ancora una volta fu costretto ad eseguire quell’ordine. Riprese a galoppare tra quelle torri lignee con estrema semplicità, come se la foresta non avesse interesse ad intralciare il suo cammino o come se avesse percepito le sue reali intenzioni. A poco a poco il baccano della battaglia venne meno, si stava inoltrando sempre più nel fitto della boscaglia. Una nebbia improvvisa lo avvolse impedendogli la visuale e costringendolo a cavalcare alla cieca, seguendo solamente il puro istinto. Non aveva idea di dove fosse diretto, né se avrebbe mai raggiunto il luogo prestabilito, ma improvvisamente il suo fedele destriero arrestò la corsa, impennando in preda al terrore. Stupito, cercò di calmare l’animale accarezzando dolcemente la sua criniera; mai si era comportato in un modo così bizzarro. Affinò la vista tentando di scorgere una qualche sagoma tra la nebbia, quando proprio in quel momento iniziò a diradarsi. Fiera e nobile apparve la Tigre. Avrebbe dovuto ingaggiare un combattimento con lei, quello era il suo compito, ma proprio come in precedenza, il cavaliere non riuscì a muovere un singolo muscolo, era completamente rapito dalla sua maestosità. Neppure l’animale lo assalì, teneva i suoi occhi fissi dentro i suoi, proprio come al loro incontro, ma questa volta, quei due zaffiri lucenti erano carichi di disperazione. Una richiesta d’aiuto!

-È in pericolo? Dimmi dove si trova!

La Tigre lanciò un lungo sguardo verso il sentiero alla sua sinistra.

Otabek si diresse fulmineo verso quella direzione senza alcuna esitazione, dimenticando la sua missione e il patto con Yakov.






Note dell'autore:
Non posso che chiedere scusa a tutti quanti per questa assenza lunghissima, non voglio accampare scuse né tantomeno giustificarmi, semplicemente è stato un periodo no, senza ispirazione e con un grande caos in testa. Ho cambiato più e più volte la struttura di questo capitolo, non è stato semplice, ma alla fine eccoci qua. Chiedo ancora scusa per il ritardo e ringrazio tutti quelli che avranno ancora voglia di leggere questa storia dopo così tanto tempo. Grazie per il sostegno^^- Killu93

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