As Time Goes By

di Elissa_Bane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Girl of Ash ***
Capitolo 2: *** Like The Sun in The Night ***
Capitolo 3: *** I Am Not in Love With You ***
Capitolo 4: *** The Nest of The Angel ***
Capitolo 5: *** The Wasted Years, The Wasted Youth, The Pretty Lies, The Ugly Truth ***
Capitolo 6: *** Time Is Running Out ***



Capitolo 1
*** The Girl of Ash ***


Nda: Eccoci di nuovo qui! Sono tornata con quello che vi avevo promesso: spiegazioni. E vi verranno date attraverso i ricordi dei personaggi stessi. Non sono in ordine cronologico nè sono ordinate secondo il punto di vista. Sono disordinate e frammentate, come i veri ricordi. Alcune sono felici, altre meno... questa, in particolare, è per tutti coloro che vorrebbero sapere di più a proposito di Will, Elaine e il loro primo incontro.
Chiedo scusa se sfrutto il nome di Louis François Armand de Vignerot du Plessis de Richelieu, ma è stato scelto per vari motivi: non essendo in grado di trovare i nomi di tutti i generali e comandanti che parteciparono alla guerra della Lega di Austria ho deciso di prendere lui, sia perché era stato un militare francese, sia perché era un diplomatico, sia perché morì l'otto luglio e io non ho trovato le cause della morte. Vi chiedo anche di ignorare il fatto che all'epoca avesse ben più di ottant'anni, e di immaginarvelo circa trentenne. Chiedo scusa alla verità storica.
 
The Girl of Ash
 
8 Luglio 1697, Parigi
William sbuffò, osservando un orologio sul caminetto. Lui ed Alcuin erano stati assunti dal duca d'Orleans per proteggerlo a causa dell'importante ruolo politico che aveva nella guerra, ma in realtà il tutto si limitava a stare a guardia in un salottino interno per Alcuin e per lui fuori dalla porta delle sue stanze, dalle quali erano parecchie sere che entrava e usciva sempre la solita ragazza, che sicuramente non era la duchessa.
Anche in quel momento la ragazza percorse il corridoio, fino a trovarsi davanti a lui, il mantello ben stretto sul corpo morbido, che William aveva intravisto a volte entrando in camera del duca per messaggi particolarmente urgenti.
«Buonasera, lord Moriarty» lo salutò con un sorriso dolce.
«Per quanto ancora dovrò ripetervi che non sono un lord, mia lady?» le rispose sorridendole allo stesso modo, lasciandola passare.
«Fino a quando non smetterete di chiamare “mia lady” una puttana» la parola, così volgare, usata per descriversi, lasciò stupito Will, che però scosse il capo. Non erano affari suoi, d'altro canto.
La giovane scomparve dietro la porta bianca, accolta dal duca da un ben udibile “Mia cara, finalmente siete arrivata!”. Il duca d'Orleans, Louis François Armand de Vignerot du Plessis de Richelieu, era un uomo particolarmente attivo e non era raro che si presentassero alla sua porta ragazze come quella per dirgli che aspettavano un suo figlio, forse sperando in un miracolo. Erano rimaste tutte deluse e Will avrebbe voluto avvisare anche la giovane che continuava a catturare i suoi occhi, rimanendo impassibile di fronte al fatto che fossero d'argento e che avessero la pupilla verticale. Non si spaventò nemmeno la prima volta, ripensò il Drago, ricordando come anzi si fosse avvicinata ancora, guardandolo con quello che poteva solo essere divertimento.
 
Molto dopo la giovane, lo chignon ormai svanito, i capelli sciolti su una spalla, usciva dalla stanza, sorridendo come se avesse appena avuto la notizia migliore della sua vita. Si fermò a guardarlo, ricomponendo la pettinatura in fretta e con maestria.
«Mio lord, perdonate la domanda indiscreta, ma perché siete qui alle ore più improbabili della notte? Non avete alcuno a casa ad attendere il vostro ritorno?»
William sorrise, nonostante la domanda fosse davvero indiscreta «Potrei rispondervi, mia lady, se voi mi concedereste di sapere il vostro nome.» Era bella, splendida anche col corpo giovane coperto dal lungo mantello, le guance rosee come fiori di pesco, senza la benché minima traccia di belletto, con quelle ciocche corvine che non potevano essere state ottenute con le tinture usate dalle ricche signore, con quegli occhi del colore del bistro steso da un artista.
La giovane parve pensarci per qualche istante «Non potete. Potete chiamarmi Ash.»
«Ash? Cenere?»
«Per voi io sarò la ragazza di cenere.»
«Di cenere?»
«Di cenere.» confermò la giovane. «Avete intenzione di rispondermi?»
«Perchè dovrei? Voi non mi avete detto il vostro nome» sorrise William.
«Vi ho detto come mi chiamano gli altri, e vi dovrebbe bastare, mio lord. Un nome è una cosa potente.»
«No, non ho nessuno ad attendermi a casa, lady.» si decise allora a rispondere Will. Ash -che strano, aveva già preso a pensare a lei con questo nome!- sorrise e Will non poté fare a meno di allungare una mano per spostare una ciocca nera fermatasi a riposare sulla guancia chiara. «Perdonatemi...io non so cosa mi sia-»
«Non importa.»Rispose lei, lasciando che lui le accarezzasse la guancia morbida come seta nivea. Gli occhi scintillavano di una gioia così pura da illuminarle tutto il resto del volto, dandole l'aria di una fata, o persino di una dea. Sorrise ancora e si avvicinò. «Ci rivedremo, mio lord.» sussurrò.
«E' una domanda, mia lady?» domandò curioso William. Certo, si sarebbero rivisti la sera successiva, oppure la ragazza intendeva altro?
«E' una promessa, William.» disse ancora, voltandosi e correndo lungo il corridoio. La porta dietro di lui si aprì lasciando uscire Alcuin.
«Will, il duca...il duca è morto!»
 
In quel momento la ragazza aprì la vetrata che dava sul balcone alla fine del corridoio, mentre i due le ordinavano di fermarsi, il mantello cadde e William poté vedere un paio di ali  dispiegarsi dietro alla sua snella figura, capendo quello strano soprannome.
Ash.
Cenere.
La ragazza di cenere.
La ragazza con le ali di cenere.
«Cazzo, Ash!» esclamò affannato Alcuin.
«La conosci?» si voltò a fronteggiarlo.
«In un certo senso.»
«Come la riportiamo indietro?»
«E' un Angelo. Non la riportiamo da nessuna parte» rispose Alcuin, sempre seguendo con lo sguardo la ragazza che volava via come un soffione al vento. «Dobbiamo andarcene, William. Ora. Torniamo a casa per un po', dobbiamo far perdere le nostre tracce o incolperanno noi.»
«Mi dovrai spiegare come mai conosci uno dei due Angeli rimanenti.»
«Li conosco entrambi» ammise il fratello.
«E naturalmente non hai svolto alcun ruolo nella loro liberazione dalla casa di tortura di De Santis, vero?» Il Drago gli voltò le spalle senza rispondergli, andando a cercare una carrozza.
Si imbarcarono quella notte stessa alla volta di Roma, dove Gregory viveva con la compagna di quegli anni, Chiara.
 
Ci rivedremo, mio lord, sussurrò ancora la voce della ragazza di cenere nella sua mente e Will non ebbe alcun dubbio che avrebbe mantenuto la promessa.

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Capitolo 2
*** Like The Sun in The Night ***


Like the Sun in the Night
 
Parigi, 13 giugno 1853
Odiava i compleanni, ma a quanto pareva i parigini li amavano, e William aveva deciso che sarebbe stato il parigino più parigino che si fosse mai visto. Anche se questo significava spendere una fortuna per una festa assolutamente inutile e fasulla, dato che il giovane dichiarava spudoratamente di avere diciott'anni, quando la realtà era che ne aveva trecentoventotto.
 Sbuffò ben poco signorilmente, aggiustandosi le balze dell'abito color cipria e scendendo dalla carrozza. Salì le scale di marmo del palazzo in cui risiedeva l'amico, sola ma accompagnata dagli sguardi degli altri invitati, che sapeva bene soffermarsi a lungo sulla sua capigliatura color della neve, ed entrò nel salone.
Luce.
Vetro.
Specchi.
Bianco.
Oro.
Furono le prime cose che riuscì a vedere entrandovi, gli occhi feriti dall'opulenza della stanza illuminata da centinaia lampadari. Molti invitati erano già lì, compreso Gregory. Al suo fianco, in un completo bianco e nero c'era il festeggiato, circondato da cinque o sei fanciulle con abiti luminosi come fiori estivi, tutte intente a ridacchiare e arrossire ad ogni parola dell'amico. Si avvicinò lentamente, e le ragazze si spostarono per lasciare passare i due giovani che la raggiunsero a metà strada.
 «Siete bellissima» mormorò Greg, accennando un baciamano. Alyssa ridacchiò divertita.
«Greg. Ci conosciamo da più di trecento anni. Quando la smetterai di darmi del “voi”?»
«Siamo in pubblico, Alyssa» rettificò William con un sorriso smagliante «Permettetemi di dire che sarebbe osare troppo, persino in una città così...» indicò con un gesto rapido la città che si apriva fuori dalle grandi vetrate.
«Auguri, William» la Sirena gli prese una mano tra le sue, coperte da lievi guanti e la strinse con dolcezza.
«Vi ringrazio»
I musicisti cominciarono a suonare, ed immediatamente Gregory venne attirato dalla gonna giallo sole di una fanciulla, mentre William si allontanava con la scusa di dover parlare con qualcuno.
Lei rimase per un po' ad osservare tutte quelle persone, persone che in segreto andavano da lei, perché non importa che tu sia una donna che di nascosto lavora come medico, l'importante è che i tuoi metodi funzionino. C'erano teste bionde, more, alcune sfoggiavano riccioli ribelli tenuti a malapena a bada dai nastri, altre erano acconciate in onde morbide sopra la fronte. E in mezzo a loro, una fiamma, un sole, una goccia di sangue. La vide avvicinarsi con passo delicato, l'abito color prato che scivolava delicatamente a coprire le scarpine altrettanto verdi.
 La sua mano calda le si posò sulla pelle nuda del braccio, e Alyssa la guardò in viso. Non poteva avere più di quindici anni, magari sedici, e la pelle d'alabastro era cosparsa di piccole efelidi del colore dei tizzoni ardenti, che incorniciavano due occhi del colore del cielo in una giornata di pioggia e come pioggia scendevano sulle spalle bianche quelle ciocche sanguigne scivolate dall'acconciatura.
«Passeggiate con me?» le domandò e Alyssa sorrise a quella piccola umana.
«Con grande piacere, ma non credo ci abbiano già presentate. Sono certa che rammenterei il vostro nome» rispose scivolando con la giovane sul lucido pavimento di marmo verso uno dei balconi. L'abito di seta le fasciava la vita sottile e lo scollo esponeva la sommità candida dei seni, che continuavano a catturare lo sguardo della Sirena.
«Mi chiamo Joanne Ameliè Seymourt» si presentò la fanciulla «E il vostro nome è Alyssa Onelle»
«E come lo sapete, di grazia?» la Sirena sorrise divertita. Non erano tanti a dire di poterla conoscere, specialmente ragazzine di buona famiglia come lei.
«Vi ho vista a Notre Dame» ammise la giovane «E poi le voci girano in fretta»
«Quali voci?»
«Quelle di un angelo dai capelli fatti di raggi di luna che cammina tra noi, naturalmente» rise deliziosamente Joanne.
Alyssa la osservò illuminarsi di bellezza e gioventù, e decise che forse non odiava poi tanto i compleanni.

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Capitolo 3
*** I Am Not in Love With You ***


 
Nda: Ciao a tutti! Noticine piccine piccine, solo per avvertirvi che da adesso prometto di essere più attenta alla pubblicazione (aspettatevi un capitolo ogni due settimane circa) e per dirvi che cambio nome. Esatto, non sarò più Danae. E' stata una scelta sofferta, perchè quel nome vuol dire molto per me, e ha molti ricordi, ma non credo rispecchi più la persona che sono oggi, anche grazie a tutti voi che ascoltate le mie storie. Quindi grazie, e non preoccupatevi: io sono sempre io, anche se in un nome e un volto differenti.
-Elissa

 

I Am Not in Love with You
 
Parigi, 13 giugno 1853
Erano passati centocinquantasei anni dalla prima volta in cui l'aveva visto. Centocinquantasei anni che per lei erano state duecento o trecento vite strappate, ormai non teneva nemmeno più il conto come faceva all'inizio.
Gli aveva promesso che si sarebbero rivisti e Parigi in quegli anni era perfetta, così ingabbiata nelle sue convenzioni sociali da far sì che una giovane donna con un paio d'ali color cenere non venisse quasi notata, protetta dalla sicurezza che nessuno avrebbe mai asserito di vedere le suddette ali per timore di essere creduto pazzo. Parigi era la città della notte piena di feste, delle luci che scintillavano per illuminare i visi delle giovani signore pronte a ballare per dimenticare una vita chiusa tra le mura di una casa, ed Elaine era assolutamente certa che il suo arrivo inaspettato alla festa non avrebbe scatenato poi così tanto stupore.
Ben pochi la conoscevano anche solo di nome, era Ursula solitamente a mantenere i contatti con coloro che richiedevano il suo aiuto. Quando aveva saputo che William Moriarty sarebbe stato a Parigi quell'anno, grazie alla capacità della sua migliore amica di vedere il futuro, si era recata in città appena onorato l'ultimo contratto. Avevano, lei e la Veggente, preso in affitto una casa vicina al centro della grande città, inserendosi con facilità all'interno di una cerchia di borghesi benestanti. E poco dopo era arrivato William. Lo aveva seguito, di notte, di nascosto, osservandolo infilarsi in case che lei conosceva bene, andare a teatro con Alcuin, dare feste, senza mai cercare un contatto, perché era certa che sarebbe arrivato il momento giusto. E un giorno, a casa di Joanne Ameliè Seymourt, una cara ragazza con cui avevano immediatamente legato, era arrivato un invito alla festa di compleanno di William Moriarty. Da lì al fatto che la loro nuova amica chiedesse di poter portare anche lei e Ursula, senza fare i loro nomi, beninteso, era stato brevissimo.
Poche ore e avrebbe mantenuto la sua promessa.
 
Aiutò Ursula a vestirsi con tutti quegli strati di stoffa, chiudendole i lacci di un abito color malva che stranamente faceva risaltare i suoi capelli ramati.
«Pensi che ci sarà anche Alcuin?» le domandò ad un certo punto l'amica, mentre Elaine s'infilava la camiciola di lino candido sul corpo. Le sorrise, osservando il modo assolutamente delizioso con cui torturava una ciocca sfuggita alla treccia.
«Penso di sì. E penso che ti inviterà a ballare, come minimo.»
La ragazza arrossì violentemente. «Non credo si ricorderà nemmeno di me...»
Elaine rise. «Come potrebbe dimenticarsi di te, Ursula? Gli hai predetto che avrete un figlio, in un futuro nemmeno molto lontano, non è una cosa che si dimentica facilmente!» insistette, procedendo ad indossare giarrettiere e calze di seta color antracite. L'amica, con un gesto gentile, la aiutò a indossare lo stretto busto stringendo i nastri dietro la schiena.
«Meno male che la moda è cambiata» si lasciò sfuggire l'Angelo «Non credo che avrei sopportato un minuto di più quelle torture che non ti lasciavano respirare.»
«Nemmeno questo ti lascia respirare granché bene, Ellie» argomentò Ursula sorridendo e accarezzando con mano leggera i ricami argentati sul raso nero. «E quanto diamine hai pagato tutto questo?» domandò guardandosi intorno e indicando gli abiti ancora posati sul letto.
«Quanto l'ultimo contratto» Elaine sorrise vedendo l'amica sobbalzare al ricordo della cifra esorbitante. Prese il copribusto infilandolo con delicatezza, prima di voltarsi. «Mi aiuteresti con la crinolina?» Ursula annuì, chiudendole intorno alla vita la gabbia di metallo leggero e nastri.
«Joanne ha chiesto di venire qui per finire di prepararsi. Le ho risposto che non c'erano problemi e che, anzi, ne saremmo state onorate.»
«Hai fatto bene, Urs. Quella ragazza è adorabile, e la sua idea di ospitarci per stanotte è stata molto gentile.» si allungò a prendere la sottogonna di cotone leggero per coprire la crinolina, e, infine, l'abito. Di taffetà color ghiaccio e ricoperto da un velo di seta dello stesso colore ricamato a piccolissimi fiori neri e argento, avvolgeva il corpo con morbidezza e sottolineava il profondo scollo a cuore, che liberava la pelle candida del collo e della sommità del seno, per poi scivolare con la lunghissima gonna fino ai piedi che calzavano scarpette di raso bianco.
 Quando bussò alla porta, Joanne venne accolta dalle due ragazze con grandi sorrisi e complimenti per il bellissimo abito color prato, che attirava lo sguardo sui capelli di fuoco. Chiacchierarono a lungo, intrecciandosi i capelli e stringendoli in quelle pettinature morbide tanto di moda e quando furono pronte era ormai ora di andare.

 Elaine sorrise, vedendo la grande sala illuminata dalla luce dei grandi lampadari che si rifletteva sul pavimento, in un continuo gioco di luci. La vista si distraeva, in mezzo a tutta quella gente, attratta dagli abiti sgargianti delle ragazze che ballavano, ma lei aveva già notato dove si trovasse il festeggiato. Affiancato da un giovane uomo, parlava con la fanciulla dai capelli color latte che lei, Joanne e Ursula avevano visto qualche giorno prima a Notre Dame. Poco dopo, Joanne prese coraggio e, con un sorriso a lei e Ursula, si allontanò per andare a parlare con quella che aveva iniziato a chiamare “l'angelo di luna”. Quando i musicisti incominciarono a suonare, lo sguardo di William s'intrecciò col suo.
 Dea, sembrava che non fosse passato più di qualche istante dall'ultima volta in cui quelle iridi d'argento si erano posate su di lei! Sorrise, vedendolo avvicinarsi e andandogli incontro. Si fermarono, l'uno di fronte all'altra, senza parlare, semplicemente guardandosi e notando che un secolo e mezzo di distanza non li avevano cambiati in nulla.
«Finalmente posso vedere le vostre ali.» esordì William, con un sorriso divertito.
«Le avevate già viste, signor Moriarty.» scherzò lei, posandogli una mano sul braccio e lasciando che lui la conducesse sulla pista da ballo.
«Se non sbaglio era notte e voi stavate scappando.»
«Non sbagliate. Ma vi avevo fatto una promessa e io mantengo ciò che prometto.»
«Lo avete fatto.» sussurrò William stringendola «Mi avete trovato.» Per un po' ballarono in silenzio, soli nel fruscio del taffetà bianco, nero e argento della giovane, scrutandosi, studiandosi, riconoscendo il volto dell'altro. «Posso avere finalmente l'onore di sapere il vostro vero nome, o dovrete rimanere per sempre Ash?» domandò infine il ragazzo chinandosi lievemente verso di lei.
«Vi sono mancata?» ridacchiò lei, come se non l'avesse sentito, scivolando leggera tra le sue braccia, sottile eppure forte come l'acciaio.
«Seguitemi» la invitò alla fine della canzone, conducendola in una stanza semibuia al piano superiore, l'unica della casa in cui non vi erano lampadari.
Le porse un calice di vino e si sedettero sullo stesso divanetto, senza parlare.
 
Centocinquantasei anni erano passati da quella notte, eppure la sua pelle aveva ancora l'odore delle mandorle e del miele, William se ne rese conto non appena le sfiorò gli zigomi, racchiudendole il volto tra le mani come avrebbe fatto con una cosa preziosa.
«Voglio vedere i vostri occhi» sussurrò la giovane e Will, con un gesto disinvolto del polso, accese tutte le numerose candele presenti nella stanza. Gli occhi dell'Angelo parvero bruciare ghiacciati, un ossimoro perfetto per descrivere quelle iridi gelidamente nere illuminarsi di stupore silenzioso e meravigliato. E lui volle baciarla, perché era così bella, e lui aveva sempre amato la bellezza, e aveva quel sorriso divertito sulle labbra, e dio, era passato un secolo e mezzo!
 
«Niente baci sulle labbra, William.» un ordine secco, la voce solitamente morbida che diventava come l'acciaio e che frantumava la sua speranza. Ma la ragazza sorrise quando lui la guardò ancora, senza mostrarle di essere stupito. Tutti hanno qualche strana mania, in fondo, pensò. «Mi fermerò a Parigi per altre due settimane, Will» esordì infine la giovane, alzandosi dal divanetto e sorridendogli, improvvisamente il “voi” sparito dalla sua voce, di nuovo il suo nome su quelle labbra. Anche lui si alzò, raggiungendola e prendendole il polso sottile.
«Io non sono innamorato di te.» disse, senza nemmeno saperne il motivo.
La ragazza sorrise senza amarezza, anzi, con un sincero divertimento negli occhi. «Nemmeno io lo sono di te, William. Non ti preoccupare, non voglio di certo un matrimonio che, nel nostro caso, mi vincolerebbe per sempre a te, ma non ti impedirò certo di venirmi a trovare. E, tanto perché tu lo sappia, sono solita dormire con la finestra sul balcone aperta.» rise, vedendo la sua espressione stupita e vagamente colpevole, come se la ragazza avesse appena intuito quei pensieri che gli frullavano in mente sin da quando l'aveva vista.
Gli diede un piccolo bacio sulla guancia, per poi sussurrare «Elaine» d'improvviso e scivolare via nella notte.

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Capitolo 4
*** The Nest of The Angel ***


The Nest of the Angel
 
Venezia, 1 gennaio 1890
Dopo il ballo di Parigi erano stati insieme sette anni, poi lei era ripartita. Ripartita per chissà dove, con Ursula al suo fianco, lasciandolo in una fredda mattina di luce grigia, una carezza sulla guancia appena accennata.
William si era reso conto di una cosa: Ash non si lasciava mai baciare. Quando quello notte glielo aveva ordinato, lui quasi non ci aveva fatto caso, ma col tempo era diventato un rituale, quel loro giacere insieme senza che le labbra si sfiorassero. Morsi, graffi, quelli sì. Eppure William sapeva che quella era Ash, non Elaine, così come sapeva che il giorno era diverso dalla notte, grazie ad un'unica volta in cui Ash aveva lasciato il posto all'altra ragazza.
Elaine non aveva invocato dei di dubbia esistenza, non si era contorta in modo scomposto in preda del corpo di William, non gli aveva lacerato la pelle delle spalle con le unghie. Elaine aveva mormorato il suo nome facendoselo scorrere fra le labbra  come fosse stato una perlina di vetro, con attenzione, con un brivido nella voce. Le mani di Elaine lo avevano accarezzato piano, senza incidere e lacerare, sfiorandolo come il vento le spighe di grano. Il corpo di Elaine si era inarcato solo una volta, quando il piacere era salito in lei come la marea e si era infranto, si era infranta, contro il corpo di William. E quella sera l'aveva vista piangere e seppe che qualcosa dentro di lei si era spaccato, riaprendo vecchie ferite.
Quindi si era messo in testa di andare a cercarla, andando contro ai consigli di Alcuin, di Gregory e di Alyssa, che naturalmente non erano d'accordo.
Aveva viaggiato parecchio, per trovarla. Lei e Ursula si erano separate un anno prima, e da quel momento le sue tracce erano diventate quasi inesistenti. Quasi.
 Will era un Drago, un cacciatore abituato ad avere la preda un passo avanti a lui. E ora l'aveva presa, agguantandola con gli artigli. Doveva solo aspettare il momento per stringere e farle capire di essere in trappola. La sbirciò accucciarsi come un falco su uno dei cornicioni del vecchio palazzo dei dogi veneziani, affacciarsi per un istante al di sotto e poi tornare a scrutare in giro, le gambe rannicchiate contro il petto, le ali raccolte sulla schiena. Era avvolta in abiti particolari: di nera stoffa la avvolgevano interamente, pantaloni e camicia, stretti tanto da far vedere il corpo scattante. Non erano gli abiti che indossava Elaine. Ash rimase a guardare per un po', trovando infine la sua vittima successiva e in un istante si lanciò giù dal tetto, scomparendo alla vista. Ma a Will non importava: sapeva dove l'uccellino aveva fatto il nido e sarebbe stato lì ad aspettarla per quando sarebbe tornata.
 
Non gli era mai sembrata forte. Lo era stata, sicuramente, ma lo era stata molto tempo prima che si incontrassero. Quella ragazza con le ali grigie e gli occhi che di sera perdevano colore, perdevano le loro menzogne ritrovandosi vuoti, non era sempre stata così. Ne era certo. Lui l'aveva vista, e sapeva che questo era un pericolo, perché se mai si fosse sentita minacciata lo avrebbe ucciso, ma a lui non importava. L'aveva vista spogliarsi di ogni sua più piccola menzogna, una dopo l'altra, con lentezza. Lei amava la Verità, la venerava, era la sua dea, ma era costretta ad ammantarsi della sua nemica per andare avanti. E lui aveva visto tutto quello, lo aveva letto in quei baci mai concessi, lei che non lasciava mai che le loro labbra si sfiorassero, mai, nemmeno quando il piacere la faceva tremare come una foglia in balia del vento.
William voleva sapere. Voleva sapere cosa aveva fatto nascere Ash. Voleva sapere cosa l'avesse convinta di non essere degna nemmeno di un po' d'amore.
La aspettò nel suo nido, in quella stanza quasi spoglia senza di lei. E quando entrò parlò sussurrando, la voce che crepitava intrisa di invisibili fiamme celesti, perché sapeva che le piaceva quando lo faceva, non lo aveva dimenticato.
«Ti ho cercata tanto.» E si voltò, lentamente, la ragazza di cenere. Rimasero distanti, lontani, eppure poté tranquillamente vedere la ragazza spogliarsi di tutte le maschere che era solita portare.
 
Caddero a terra, una dopo l'altra e fecero un rumore orribile e bellissimo insieme, una cacofonia silenziosa di terrore e aspettativa e mancanza e bisogno e... e lei era lì. Nuda davanti ai suoi occhi, seppure ancora perfettamente vestita e ordinata, una sola goccia carminia a sporcarle la mano sinistra. Era fragile, come non si era mai lasciata vedere da nessuno se non da lui, sola e piccola senza le sue lame, le sue parole, i suoi gesti. Era pericolosa, certo, avrebbe potuto ucciderlo con due dita, lo sapevano, ma rimase ferma. Immobile, a guardare William che la osservava. Era un punto di svolta, dopo così tanti anni passati in silenziosa ammirazione prima, affetto sincero poi, e ora? Ora forse qualcosa di più? Gli era consentito questa volta sperare, o Ash sarebbe stata ancora una volta più forte di Elaine? «Mi fai sentire vivo, ecco la risposta che mi hai chiesto trent'anni fa.» E la vide tremare, perché quella non era Ash, quella era Elaine, e Elaine tremava di paura e aspettativa e amore.
Amore. Cosa provi per me. Una domanda che aveva atteso trent'anni per trovare una risposta e ora lei sorrideva, e gli specchi si ruppero e collassò il tempo, si accartocciò su se stesso, si piegò, si contorse, si deformò davanti al suo sorriso, riportandoli a casa, al sicuro, lontani da quella fredda città.
 «Ti ho visto, oggi.»
«Lo so.»
«E non ti ho ucciso.»
«Non ostacolavo la tua missione. Non ne avresti avuto motivo.»
«Non ero invisibile. Non lo sono mai con te.» mormorò ancora la ragazza, avvicinandosi un poco. Solo un passo, niente di più. Eppure quelle parole valevano così tanto per lei. Le facevano paura, una paura terribile, perché erano così vere da spaccarle il cuore. Lei non era invisibile, con lui. Lui la vedeva e aveva bisogno di lei in maniera così differente dagli altri che...che ancora non riusciva a spiegare il caos di parole e sguardi e sospiri che Will le accendeva dentro. «Ti faccio sentire vivo.»
«Mi fai sentire vivo.» confermò il Drago, avvicinandosi lui stesso all'Angelo, sovrastandola di tutto il capo. E lei scoppiò a ridere, ed era una risata così triste e amara e pura che gli bloccò le parole in gola.
«Io che ti faccio sentire vivo! Io! Io che sono stata cresciuta e addestrata per fare l'esatto opposto!»
«Tu.» le si fece più vicino «Tu, tu mi rendi vivo.» le prese le mani, cancellando dalla sinistra la goccia di sangue.
«Hai visto quello che sono. Hai visto come io sia malata, sporca, infetta. Hai visto come le mie mani siano lorde di sangue e queste mani, questa bocca, questi occhi, quest'anima spezzata ti fanno sentire vivo. Io ti faccio sentire vivo. Will, tu sei il mio punto cieco. Mi disorienti. E non so mai... non so cosa fare, perché io rovino tutto, io uccido tutto, ma tu sei il mio punto cieco e io non riesco a vederti come vedo gli altri e non so cosa fare perché con te non vedo il sangue sulle mie mani. Sono solo mani, solo bocca, solo occhi. Solo anima.»
«Non solo. Io vedo delle mani che hanno fasciato il ginocchio sbucciato di una bambina, una bocca che ha sussurrato ad un uomo di scappare nonostante gli ordini fossero di ucciderlo, degli occhi che hanno pianto davanti alle stelle, perché solo una stella può capire il dolore della solitudine. Io vedo un'anima che è pura e bella e splendente e io voglio solo che tu non sia sola. Mai più.»
 
«Tu mi ami.» constatò Elaine, facendosi ancora più vicina.
«Non voglio continuare a ripetere quello che dici. Ma sì, ti amo. E non importa se ti hanno insegnato che ogni emozione è un danno. Non importa se non sai se mi ricambi. Lasciami provare a farti innamorare di me.» le strinse le braccia sui fianchi, tirandosela addosso.
«Sì» permise Elaine con un sorriso, facendo scorrere quelle sue lunghe dita da pianista tra i suoi capelli e tirando piano verso il basso, per farlo chinare. Quando William le slacciò i lacci che tenevano insieme la sua bizzarra tenuta, lei fremette per l'aria fredda e il desiderio «Cosa vuoi fare, William?»
«Voglio ucciderti.»
La ragazza rise contro la sua guancia, tenendosi sempre ben lontana dalle sue labbra. «Uccidermi?»
«La petite mort. La piccola morte.» bisbigliò al suo orecchio, facendo scivolare una mano nel corsetto nero, che prima aveva confuso per una camicia, fino a stringere un seno in una mano, non riuscendo a racchiuderlo interamente nel palmo chiaro. La ragazza sospirò lievemente contro di lui, abbandonandosi. Avevano giaciuto insieme prima, molte volte, eppure quella volta c'era qualcosa di diverso, una diversa ragazza tra le braccia di William.
«Non ho mai permesso a nessuno dei miei amanti di baciarmi sulle labbra» la sentì sussurrare mentre lo conduceva verso il letto. Sentì distintamente le sue labbra incurvarsi in un sorriso sulla sua guancia, mentre cadevano sul morbido materasso e quando la guardò la vide splendere.
 
Era l'unico verbo adatto. Elaine splendeva come una stella di cristallo colpita da un raggio di sole. Quei capelli scuri sparsi come rami d'inchiostro sul cuscino che incorniciavano il volto pallido come la luna d'inverno e le labbra carminie come il sangue che sprizza sulla coltre innevata che copriva Venezia. E gli occhi. Quegli occhi d'ossidiana che scintillavano come solo loro sapevano, con la tristezza, il dolore, la solitudine a intorbidare l'amore che William riusciva a leggere nel loro fuoco.
«Uccidimi, William.» la sentì mormorare prima che congiungesse le labbra con le sue in un bacio che aveva il sapore di una preghiera.

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Capitolo 5
*** The Wasted Years, The Wasted Youth, The Pretty Lies, The Ugly Truth ***


Nda: Perdonatemi il ritardo, davvero, ma ieri ero fuori casa. Mi faccio perdonare (spero) perchè questa non è una vera e propria One-Shot, ma sono quattro, che però sono collegate e vorrei che leggeste insieme.
xxx
-Lizzie

THE WASTED YEARS
25 giugno 1671
Arthur sospirò, raggiungendo la sorella sul letto che avrebbero condiviso quella notte, come ogni volta che si ritrovavano. O meglio, che lei ritrovava lui, perché Arthur non sapeva mai dove fosse l'altra, né cosa stesse facendo. Quante vite stesse strappando. Quanti respiri stesse mozzando. Quante emozioni stesse soffocando mentre diceva a sé stessa che andava tutto bene, che era normale non voler provare nulla.
«Mi sei mancato.» un'ammissione quasi stupida, per chiunque altro, ma che lo fece precipitare al fianco di Elaine, preoccupato e speranzoso, osservando quel viso innaturalmente giovane eppure così vecchio. Sua sorella non era bella in maniera normale, non rispettava assurdi canoni di bellezza, ma lo era come poteva esserlo un baco non ancora tramutatosi in farfalla intrappolato nell'ambra: era cristallizzata, rigida come una roccia eppure così facilmente distruttibile. Gli sarebbe bastata una parola, una sola e l'ambra si sarebbe spaccata, lasciando libero un bozzolo che sarebbe potuto aprirsi e dare vita a qualcosa di meraviglioso. E in quell'ammissione Arthur lesse un'incrinatura sull'ambra, e le circondò le spalle con il braccio.
«Cosa è successo, Ellie?»
«Ho ucciso un uomo, Arthur.» mormorò. «E non mi dire che lo faccio spesso. L'ho ucciso dopo...aver giaciuto con lui. Dopo aver usato ciò che mi hai insegnato. Mi sento sporca, Arthur. Mi sento quasi male.» l'Angelo dalle ali d'oro la abbracciò stretta, pensando che magari quello era il momento, che magari la farfalla nell'ambra era ancora viva, che non aveva aspettato anni senza vederla per nulla. Che non aveva buttato via centinaia di possibilità solo perché sperava che sua sorella tornasse.
«Ti -» cercò di dire, ma il momento era passato, l'Angelo nero si era già alzato in piedi, lo sguardo nuovamente insondabile, la postura rigida di quando combatteva nell'Arena.
«Devo andare. Arrivederci, fratello» lo salutò, dandogli un bacio delicato sull'angolo delle labbra, proprio sulla fossetta che da piccola diceva di amare. Poi volò via, senza che Arthur nemmeno potesse fermarla.
L'ambra si era spaccata e lui si rese conto di aver speso anni inutili a sperare nella nascita di qualcosa che era già morto.

 
THE WASTED YOUTH
1 luglio 1671
Elaine osservò la bambina posare la mano nell'acqua limpida del laghetto per poi ritrarla e schizzare il viso del fratello maggiore. Magnus rise, prendendola in braccio, per poi guardare l'Angelo. Si era ritrovata a Venezia per caso, ritornando dopo tanti anni nella città in cui era nata. Aveva fatto il suo lavoro, ucciso un mercante di spezie, e poi aveva deciso di fermarsi. Solo per un po', si era detta. E quel po' era diventato una settimana, poi due e poi un mese. Era stata assunta da una ricca famiglia come bambinaia per la piccola della casa, una delicata creaturina di nome Emma che rideva spesso e volentieri, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchi dove spiccavano due spazi vuoti, che rendevano il sorriso della bambina più birichino di quanto già non fosse.
In realtà quella della bambinaia era solo una facciata di copertura: i bisnonni di Magnus ed Emma erano stati amici dei suoi genitori, degli Angeli, e quando il ragazzo l'aveva riconosciuta grazie ai racconti che gli venivano sussurrati la sera prima dal padre, che a sua volta li aveva sentiti da suo padre, che l'aveva conosciuta quando era solo una bambina, l'aveva fermata, prendendola per un braccio. Elaine aveva subito riconosciuto gli occhi castani che erano gli stessi del nonno di Magnus, col quale lei da piccola giocava, prima che la sua casa venisse bruciata e la sua vita distrutta, e, per una volta, Ash era riuscita ad andarsene, mentre passeggiavano insieme. Da lì allo scoprire che Elaine non sapeva dove andare, almeno per un po', il passo era stato breve, e così l'Angelo si trovava ospite a casa di persone che le volevano davvero bene. A volte ricordava il viso deluso di Arthur quando se n'era andata, ancora, e si sentiva in colpa per averlo abbandonato di nuovo, ma poi scacciava il ricordo dal fratello dalla mente. Lui le accendeva qualcosa dentro e Elaine sapeva bene quanto tutto ciò fosse pericoloso. I sentimenti erano un pericolo. L'amore, soprattutto.
«Elaine!» urlò Emma ridendo e schizzando anche lei con l'acqua gelida del laghetto artificiale. L'Angelo sorrise e quando si rese conto che nel suo cuore delle emozioni stavano nascendo, soprattutto l'affetto per Emma e il fratello, sentì una pugnalata. Era in pericolo.
 
Quando Emma, quella sera, si addormentò, lei uscì in giardino e sedette sull'altalena. Come ogni sera, Magnus la raggiunse poco dopo.
«Sapevo che ti avrei trovata qui.» mormorò, ponendosi alle sue spalle e lasciando scivolare le mani tra le piume lucide delle ali di Elaine. «Oggi sembravi distante... avrei voluto venire lì e stringerti, mi sembravi così triste. Io non voglio che tu sia triste.» continuò, non accennando nemmeno ad usare il voi che avrebbe dovuto.
L'Angelo si voltò a guardarlo. Magnus era davvero un bel ragazzo, con spalle grandi e occhi buoni e un sorriso che faceva sciogliere tutte le ragazze come neve al sole. Nemmeno Elaine, che pure sapeva perfettamente controllare il suo cuore, ne era immune. Si sorrisero e per un istante svanì ogni cosa: le regole che aveva imparato a memoria all'Arena, le lotte, il sangue, gli uomini uccisi, gli amanti avuti, Ash. Per una volta era solo una ragazza su un'altalena, che sorrideva ad un bel ragazzo sotto le stelle. Si mossero insieme, o così le parve, e le labbra di Magnus si posarono sulle sue. Il suo primo bacio.
Quel fuoco che la mattina le era parso appena appena una scintilla divampò nel suo petto: lei non amava Magnus, ma sicuramente gli voleva bene e lo desiderava, più di quanto avesse mai voluto qualcun altro, uno qualsiasi di quegli uomini che non aveva mai voluto baciare. Le labbra del ragazzo erano morbide e delicate sulle sue, senza metterle fretta, senza pressione. Elaine lo baciò e le sue mani corsero alla vita dell'Angelo, stringendola a sé, come se non volesse più lasciarla andare.
Quando, più tardi quella notte, Elaine fece scivolare il suo pugnale tra le costole di Magnus, tentò di convincersi che stava facendo la cosa giusta, che non poteva permettersi debolezze.
Ma le lacrime le riempirono gli occhi ugualmente, bagnando le labbra ormai fredde del suo primo bacio.

 
THE PRETTY LIES
23 giugno 1671
Alcuin si rigirò tra le lenzuola candide, abbracciando il corpo caldo che riposava accanto al suo. Si prese il tempo per sorridere contro la pelle candida della ragazza, prima di decidersi a parlare.
«Come mai sei tornata?». Aveva un buon odore, di mandorle, quasi. O forse era miele. Aprì un occhio con circospezione, sentendo un'ala nera sfiorargli uno zigomo mentre Elaine si voltava a guardarlo.
«Ne avevo bisogno» rispose l'Angelo, mettendo un po' di distanza fra loro e fermandosi ad osservarlo, i capelli scarmigliati e gli occhi lucidi che lo facevano sembrare più bello di quanto già non fosse. «Non sono qui per dirti che voglio restare».
«Lo immaginavo» sospirò il Drago, ma c'era un sorriso a macchiargli il volto, mentre nascondeva il volto fra le piume di Elaine, respirando piano. «Quanto pensi di fermarti?».
«Due giorni ancora. Ho un incarico.»
«El» sospirò, attirandosela ancora più vicino, «Dovresti davvero smetterla, lo sai?».
Percepì perfettamente il momento in cui Elaine aveva iniziato a scivolare via, e sentì con un brivido sulla pelle la voce di Ash che lo ammoniva a pensare ai suoi affari.
 
Rimasero in silenzio, una a pensare che sarebbe già dovuta andare via da ore, che la missione la aspettava, l'altro a godersi quel momento in cui lei era lì.
Non era innamorato di lei, no, ma nemmeno le voleva semplicemente bene. Era una sensazione complicata, di quelle che ti prendono alla bocca dello stomaco ma che non riescono ad arrivare fino al cuore. Elaine non era quella giusta. Non era la compagna per lui, lo sapeva bene. Fin da quando era piccolo, suo padre gli raccontava della sua razza e ormai avrebbe potuto ripetere a memoria le sue parole: noi ci innamoriamo una volta sola. Una sola, Alcuin, in tutta la vita. Elaine non era la sua unica volta, evidentemente. Eppure amava anche lei. Aveva sempre fatto attenzione a distinguere tra l'essere innamorato e l'amare e ne era certo: la amava e probabilmente sarebbe stato sempre così. La voleva proteggere, assecondando l'idea che in fondo lui era stato la sua prima volta e un legame del genere non poteva essere spezzato. La voleva possedere con l'avidità del collezionista che vede un'opera d'arte dal valore inestimabile. E voleva che lei fosse felice, anche se questo significava doverla allontanare da sé.
Sospirarono insieme e lui si ritrovò a sorridere di quei suoi sorrisi storti che piacevano tanto alle ragazze, pensando che probabilmente avevano avuto la stessa idea.
Era ora che Elaine volasse via. Era rimasta anche troppo per i suoi standard, e Alcuin era certo che l'unica cosa che desiderasse in quel momento fosse premergli un cuscino sulla faccia e soffocarlo, perché gli voleva bene. 
«Non vedi Arthur da un po'... dovresti andare da lui, terminato l'incarico», le consigliò, alzandosi dal letto e fermandosi ad osservare l'Angelo, immobile nella sua candida nudità.
«Forse lo farò» rispose lei, seduta, raccogliendosi i capelli su una spalla e avvolgendo le ali intorno al corpo.
«Io devo uscire. Ci vediamo quando torno?»
«Certo» mentì Elaine. Alcuin sorrise di quella bugia, che era sempre la stessa, sempre la solita. Elaine prometteva sempre di rimanere, prima di andarsene.
Le diede un ultimo bacio delicato sulla spalla, prima di finire di vestirsi e uscire di casa per raggiungere William. Mentre camminava all'aria aperta ripensò a tutte le loro bugie, il letto caldo che quella sera sarebbe stato vuoto e freddo, quegli sguardi, i “certo” dell'Angelo e il suo far finta che gli andasse bene vederla ogni tanto, quando capitava. Meglio, quando lei lo decideva.
Pensò alle loro verità, al fatto che non potessero fare a meno di allontanarsi, alla certezza che prima o poi si sarebbero rivisti. Al fatto che lui la amasse davvero.
Forse la cosa che gli faceva più male era il sapere che lei non lo amava allo stesso modo e non se ne rendesse nemmeno conto.


 
THE UGLY TRUTH.
4 agosto 1671
Le piaceva la pioggia. Il modo in cui scivolava, precipitando dal cielo plumbeo e atterrando con un piccolo scoppio sulle superfici. Le piaceva il modo in cui colorava il mondo, in varie tonalità di grigio, cosicché i suoi vestiti risaltassero come il sole nel cielo notturno. Magari era vanitosa, ma sapeva di essere bella. La sua pelle era spruzzata di lievissime efelidi ramate come i suoi capelli e i suoi occhi erano del colore dei prati spruzzati di brina. Senza contare che la bellezza non era la sola cosa che possedeva. Aveva la Vista, era una Veggente, e ne era fiera. Il suo dono le era stato utile molte volte, nella sua già lunga vita, e in quel momento sorrise orgogliosa al suo riflesso nella vetrina di un caffè di Roma, vedendola passare. L'aveva trovata. Aveva trovato l'Angelo che per così tante notti aveva tormentato i suoi sogni.
La prima volta che l'aveva sognata aveva percepito solo una macchia grigia sfocata, che la notte successiva era sfumata in nero e argento, per poi prendere, nel corso di una settimana, la forma di un paio di ali. Nel giro di un mese, Ursula conosceva il volto della ragazza. In due, sapeva il suo nome e parte della sua storia. L'aveva vista combattere in una visione sul suo passato e l'aveva vista fare altrettanto in una visione sul suo futuro. L'aveva sentita piangere in silenzio mentre si sforzava di essere immune al suo stesso cuore. L'aveva vista sorridere a uomini, molti uomini, e l'aveva vista diventare seria poco prima di ucciderli. L'aveva vista lavarsi le mani macchiate di sangue. L'aveva vista raggiungere un altro Angelo dalle ali d'oro per proteggerlo, prima ancora che lui si rendesse conto del pericolo. Ma non l'aveva mai vista ridere.
Poi le sue visioni erano diventate più frequenti: non solo di notte, ma anche di giorno, mentre passeggiava, leggeva o scriveva. E qualcosa le diceva di andare da quella ragazza, di raggiungerla, perché avevano bisogno l'una dell'altra. Perché i loro destini erano intrecciati, qualsiasi punto del Tempo cercasse di scrutare. Erano legate in ogni momento, anche in quelli passati.
Catturò una ciocca umida di pioggia tra le dita e la riportò al sicuro sotto il cappellino celeste, poi si alzò e se ne andò sotto la pioggia. In chiesa, ad attendere il suo destino.
 
Quando la raggiunse scoprì che le sue visioni erano state accurate: l'Angelo era davvero maestoso e malinconico. Forse era la pioggia, che illuminava di buio la chiesa, forse era il fatto che fosse rimasta seduta lì dov'era, sulla cima del loggione, mentre lei entrava e si fermava a fissarla dal basso. Ursula inarcò un sopracciglio e poi rise.
«Avevo immaginato sarebbe stato molto più difficile trovarvi.»
La ragazza si scostò una ciocca di capelli neri dal volto e guardò verso la Veggente. «Non vi ho ancora uccisa perché mi piace il vostro cappellino.»
«Non mi avete ancora uccisa perché siete sorpresa che io sia venuta a parlarvi, Elaine Grimaldi.»
«Non è questo il mio nome.»
«È vero, perdonatemi. Adesso siete Emma Falchi. Prima eravate Julie Lambert. Prima ancora, Diana Eyehawk. Per giunta, adorabile scelta, quest'ultima. Credo che rispecchi perfettamente le vostre doti. Ma il vostro vero nome è Elaine Grimaldi, anche se dopo che vi hanno catturata avete dovuto assumere il cognome De Santis.»
Con un balzo, l'Angelo si lasciò cadere e atterrò di fronte a lei. «Ho tre domande, mia signora. Se non mi piaceranno le risposte, immagino sappiate che non avrete possibilità di cambiarle, perché sarete passata oltre.» asserì con un sorriso ironico che nascondeva bene la paura.
Ma prima ancora che la ragazza potesse porle le domande, Ursula le rispose. «So della vostra vicenda per via di chi sono. Il mio nome è Ursula Rabini e sono un'Immortale come voi. Una Veggente, per essere precisi.»
«Una Veggente...» Elaine parve assaporare quelle parole sulle labbra, prima di continuare. «E ditemi, cosa vi ha portato da me?»
«I nostri destini sono indissolubilmente legati, mia cara amica.»
«Credo che vi sbagliate. Il mio destino non è legato a quello di alcuno.»
«Siete voi in errore. Il vostro destino è legato a quello di molte persone. Io so già la nostra storia, Elaine, e so che vi dovete fidare di me.»
L'Angelo si stiracchiò le ali, sorridendo di nuovo, ma questa volta più gentilmente. «Io non mi fido mai di nessuno.»
«Di me vi fiderete, siatene certa.» disse, sedendosi sui gradini dell'altare.
«Perché dovrei farlo?»
«Perché io sono l'unica che vi dirà sempre la verità. Voi cercate di frenare i vostri sentimenti, e non posso impedirvelo, né ci proverò, ma fallirete. Amerete delle persone, ad altre vorrete bene, ma fallirete nel rimanere sola. Continuate solo a raccontare a voi stessa una bugia, pretendendo che non sia così. Certamente è una menzogna piacevole, ma persiste nella sua natura.»
«Voi resterete al mio fianco?» mormorò l'Angelo, sedendosi accanto alla Veggente.
«Elaine, io sarò sempre al tuo fianco. Qualunque cosa accada, nemmeno la morte riuscirà a separarci. Non è destino che tu oltrepassi il confine tra la vita e la morte da sola: quando sarà il momento, non temere. Tutti coloro che avrai amato ti staranno aspettando e sarò io a porti la mano, per essere insieme ancora una volta. Non lascerò mai il tuo fianco.»
La mano gelida dell'Angelo si strinse sulla sua e Ursula avvertì distintamente i fili del destino di entrambe intrecciarsi, i suoi fili rosa con quelli neri di Elaine, indistricabilmente, e ogni secondo che passava il legame era più stabile, più sicuro. La Veggente sorrise all'Angelo, che le sorrise di rimando. Poi, fece una cosa che Ursula non si sarebbe mai aspettata: rise. E la Veggente rise con lei, di felicità, perché da quel momento nessuna delle due sarebbe più stata sola.
 

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Capitolo 6
*** Time Is Running Out ***


Nda: Buongiorno, fanciulli! Sono finalmente tornata, in tempo per augurarvi buon anno e per rassicurarvi, che non sono morta o scomparsa, e la storia continua.
Stay tuned!
xxx
-Elissa

 

Time Is Running Out.

17 novembre 1854
Veloce.


Appena sentì i passi di suo fratello scomparire dietro la porta di camera sua, dopo essere passato a controllare che stesse bene socchiudendo la porta, contò fino a trecento. Quando fu certa che il silenzio fosse ormai il padrone di casa, scostò le coperte con un gesto lento, per evitare che svegliassero il sonno leggero di Lucas nella stanza affianco. Si alzò e accese un lume, nemmeno provò con l'interruttore: le lampade erano troppo visibili. Corse all'armadio e recuperò tutti gli indumenti sottratti dal bucato di Lucas quella mattina.

Veloce.
Il cuore batté lievemente più veloce nel petto, mentre si spogliava della camicia da notte e delle calze e s'infilava una camicia bianca e dei pantaloni neri. Era riuscita persino a trovare un vecchio panciotto di Lucas, nero e ormai non più adatto alle serate da ballo, ma perfetto per lei. Chiuse i bottoni con uno strano senso di nostalgia, quasi si sentisse in colpa per ciò che stava per fare. La prese una paura viscerale, il terrore di stare facendo la cosa sbagliata. Una donna che giace con un'altra donna! Il respiro le si mozzò nel petto: e se la cosa si fosse venuta a sapere? E se Lei avesse deciso di troncare quel rapporto? E se, e se, e se...
S'impose di calmarsi e fece scorrere lo sguardo sulla camera in penombra, sull'enorme letto dalle coperte color glicine, sui mobili bianchi. Appoggiata alla piccola libreria, una rosa bianca, portatrice del Suo ultimo messaggio: Stasera, solito posto, solita ora. Se mi ami come dici, non tardare.
Sospirò.
Calmati, Joanne. Non è il momento del panico.

Veloce.
Scivolò attraverso il corridoio buio, illuminato solo dalla luce della luna che si rifletteva negli specchi, illuminando la sua chioma rossa anche sotto al cappuccio nero, e Joanne pensò che avrebbe dovuto nasconderli meglio, ma ormai era tardi.
Fuori, l'aria gelida le pizzicò i polmoni, mentre si acquattava nell'ombra del cortile, tra i cespugli di ortensie e quelli di erica, e saltava sul ramo più basso della grande quercia nel giardino. Si lasciò penzolare sopra al cancello e in un attimo fu libera.
Niente più sbarre.
Niente più Frederick da sposare.
Niente più abiti da mozzare il fiato.
Niente più Lucas.
Quelle erano tutte cose che appartenevano a Joanne, ma lei, quando usciva la notte, non lo era più. Nel momento stesso in cui salutava suo fratello e i suoi genitori dicendo di essere stanca, cadeva il primo pezzo di Joanne. Poi, gli altri strati si sgretolavano con ogni istante che passava, ogni volta che sfiorava il medaglione con la ciocca bianca che portava al collo (e nel quale tutti credevano che ci fosse una foto di Fred), ogni vestito che cadeva era un passo in più verso la vera Joanne, quella che Lei chiamava Jo. Joanne era un nome lungo, pomposo e vecchio, ma Jo era fresco e nuovo, come un soffio di primavera nel freddo dell'inverno.
Lei.
Tutto, ormai, ruotava intorno a Lei. Alyssa. Ogni tanto diceva il suo nome, ma piano e sottovoce, perché quello era il suo segreto, anche se avrebbe voluto urlare al mondo che lei era innamorata. Ma non poteva e quindi teneva quel nome rinchiuso dietro le sue labbra, sempre presente in ogni parola che diceva.
Andava in giro con sua madre e sperava di vederla, per fermarsi a scambiare quattro chiacchiere con lei, gustando il sapore della colpevolezza invaderle la gola, i polmoni, il cuore e trafiggerla di un dolore così dolce e così perfettamente incompleto che Jo aveva solo voglia di prenderle il viso tra le mani e baciarla lì, in mezzo alla strada, davanti a sua madre, davanti al mondo intero! E quando Elaine ed Ursula la accompagnavano in centro e magari si fermavano a conversare con il signor Moriarty e il signor Daniels e Alyssa era con loro, a volte sul viso della ragazza sbocciava un sorriso talmente bello da fare invidia agli angeli. Se qualcuno le avesse chiesto quando si era innamorata di un'altra donna, di quella donna, avrebbe risposto: “Quando avete iniziato a respirare?” perché lei non lo sapeva, quando si era innamorata, se quando l'aveva vista a Notre Dame o quando le aveva parlato per la prima volta o al loro primo bacio o alla prima notte insieme. Non lo sapeva. Si era ritrovata ad amarla così, senza un inizio, ed era diventata una cosa talmente necessaria che Jo era certa che sarebbe morta nello stesso istante in cui avesse smesso di farlo.

Veloce.
Salì di corsa le scale del locale, certa che tra il fumo, l'alcool, il gioco e le puttane, nessuno l'avrebbe notata. Bussò alla solita stanza, tre volte come faceva sempre, e Alyssa le aprì. C'era qualcosa di diverso, in lei. Qualcosa che macchiava quegli occhi verdi di dolore e malinconia. Jo la abbracciò, sentendo il seno morbido premere per scappare dalla stretta fasciatura che indossava Alyssa, e le diede un bacio dolce posato a labbra chiuse sulle sue, come una carezza di seta.
Gli occhi di Alyssa si scurirono, quando si separarono e Jo le chiese cosa fosse successo.
«Parto. Me ne devo andare, Jo» mormorò in inglese, sapendo che Joanne la capiva benissimo, al contrario di chiunque altro la stesse ascoltando.
«Te-te ne devi andare?» balbettò la ragazza, mentre sentiva perfettamente il suo cuore incrinarsi e poi esplodere dentro il petto. Se ne sarebbe andata, l'avrebbe abbandonata ad una vita triste e vuota senza di lei.
«Me ne devo andare ed è l'ultima cosa che vorrei!» sbottò Alyssa. «Io ti devo chiedere una cosa, Joanne, e ho bisogno che tu mi risponda con sincerità: mi ami davvero come dici?»
«Anche di più.»
«Allora vieni via con me.»

Piano.

Silenzio.

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