Cronache di una vacanza di mezza estate

di Amantide
(/viewuser.php?uid=528253)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lunedì ***
Capitolo 2: *** Martedì ***
Capitolo 3: *** Mercoledì ***
Capitolo 4: *** Giovedì ***
Capitolo 5: *** venerdì ***
Capitolo 6: *** Sabato ***
Capitolo 7: *** Domenica ***
Capitolo 8: *** Lunedì ***
Capitolo 9: *** martedì ***
Capitolo 10: *** Mercoledì ***
Capitolo 11: *** Giovedì ***
Capitolo 12: *** Venerdì ***
Capitolo 13: *** Sabato ***
Capitolo 14: *** Domenica ***
Capitolo 15: *** Lunedì ***
Capitolo 16: *** Martedì ***
Capitolo 17: *** Mercoledì (notte) ***
Capitolo 18: *** Mercoledì (giorno) ***
Capitolo 19: *** Giovedì ***
Capitolo 20: *** Venerdì ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Lunedì ***


Prima di cominciare ci tengo a ringraziarvi per aver aperto questa storia. Ora vi darò qualche indicazione su quello che state per leggere affinché possiate comprenderlo e spero apprezzarlo.
La storia è stata ideata d’estate ed è un alternarsi d’idee bizzarre, esperienze personali (dirette e indirette), racconti di amici/parenti, riferimenti ai vari libri, sogni e desideri. Ci tengo a sottolinearlo perché chi di voi ha letto tutti i libri della saga potrà divertirsi a cercare qualche piccolo riferimento alla storia originale. Ho cercato di mantenere i personaggi IC (fatemi sapere se ci sono riuscita) talvolta accentuandone qualche aspetto in favore della trama.
È una fanfiction assolutamente AU (ed è la prima che scrivo di questo tipo, quindi anche in questo caso fatemi sapere se ho fatto un pasticcio), che per chi non lo sapesse significa ambientata in un Universo Alternativo quindi dimenticatevi giganti, titani e compagnia bella. Sono tutti ragazzi normali, di età compresa tra i 19 e 24 anni che si godono un’estate al mare.
Per la cronaca, mentre scrivevo non pensavo a un posto di mare in particolare, diciamo che i luoghi che descrivo sono posti reali in cui sono stata ma che ho manipolato a mio piacimento e soprattutto che in realtà non si trovano nella stessa zona. Il mio consiglio è quello di immaginarvi la storia come se fosse ambientata in un qualsiasi paesino della Liguria. Mi scuso in anticipo per i momenti “superquark” che troverete sparsi qua e là, ma sono laureata in Scienze Naturali e ogni tanto mi piace snocciolare qualche nozione scientifica, spero che non risulti noiosa come cosa.
Ultimo ma non meno importante: si tratta di una Percabeth. Ci saranno dei momenti Jasper e Caleo ma sappiate che sono di contorno. Spero di avervi convinti. Buona lettura.





LUNEDì

 
 
Annabeth finì di rileggere la risposta che aveva dato all’ultima domanda del compito giocherellando nervosamente con la penna. Come sempre superava ampiamente il numero di righe consentite, ma le capitava di rado di essere penalizzata per non essere stata sufficientemente sintetica. Sollevò lo sguardo e notò i compagni ancora chini sui banchi, intenti a completare al meglio l’esame. Non era certo la prima volta che era la prima a consegnare il compito, pertanto, quando si alzò e andò verso la cattedra, non fece minimamente caso agli sguardi attoniti dei compagni. Consegnò lo scritto e ricambiò il sorriso che le rivolse il professore archiviando il suo esame mentre le augurava una buona giornata. Soddisfatta, Annabeth guadagnò l’uscita pescando il suo iphone dalla borsa.
Anche questo è andato, si disse mentre scendeva le scale scorrendo la rubrica del cellulare in cerca del numero della sua amica Talia. Appena fuori dall’università un caldo torrido la investì con prepotenza, ecco uno dei tanti motivi per cui odiava la sessione estiva.
“Talia!” Esclamò Annabeth non appena l’amica rispose alla chiamata. “Ho appena finito l’esame! Adesso che sono ufficialmente in vacanza possiamo partire!”
“Ottimo” disse la voce entusiasta di Talia dall’altra parte del telefono, “non ti chiederò com’è andato perché prenderai trenta come al solito.”
Annabeth fece una smorfia, dopo tre anni di università non si era ancora abituata ad essere presa in giro per i suoi voti troppo alti.
“Beh, in realtà ho avuto qualche problema con la seconda domanda… non ricordavo con precisione la data di nascita di un famoso architetto francese…”
“Si, si, ok probabilmente ti sei giocata la lode, adesso per favore metti il cervello in modalità vacanza, non voglio sentirti parlare di università per le prossime due settimane.”
“Agli ordini!”
“Bene, adesso fila a casa a fare le valigie!”
“Le ho fatte ieri sera” spiegò Annabeth che cominciava a boccheggiare per il caldo emanato dall’asfalto della città.
“Perfetto! Allora passo a prendere Piper e tra massimo un’ora siamo da te!” Annunciò la voce di Talia che sembrava non stare più nella pelle.
“A tra poco allora!” E così dicendo Annabeth richiuse la chiamata un attimo prima di imboccare la metropolitana.
 
Esattamente un’ora più tardi Talia imboccò la via di Annabeth con i finestrini abbassati e gli Iron Maiden a palla.
“Per l’amor di Dio, Talia, io ci abitò qui!” Gridò Annabeth dalla finestra.
“Le ho chiesto di abbassare due isolati fa!” Urlò Piper affacciandosi dal finestrino del passeggero nella speranza di sovrastare la musica dell’amica.
Annabeth richiuse le persiane della finestra e scese le scale trascinandosi a fatica la valigia che sembrava pesare più di lei.
Appena fuori dal portone vide Talia scendere dall’auto e aprirle il bagagliaio. Indossava dei pantaloncini di Jeans grigi fin troppo corti e una canotta rigorosamente nera che evidenziava la sua pelle candida. I capelli neri erano corti e più spettinati del solito, probabilmente a causa del finestrino abbassato, e sul naso brillava un anellino argentato illuminato dal sole di luglio.
“Avanti” l’esortò afferrandole la valigia e tentando invano di caricarla in macchina. “Ma cosa c’è qui dentro? Pesa come me e te messe insieme!”
“Vestiti, cosa vuoi che ci sia?” Spiegò Annabeth aiutando l’amica a sollevare il bagaglio.
“Annabeth” ringhiò Talia, “giuro che se ti sei portata anche un solo libro da studiare farò finta di non conoscerti per tutta la vacanza!”
“Non ho portato nessun libro” mugolò Annabeth puntandosi con i piedi per riuscire a spingere la valigia, “sono in pari con tutti gli esami… anche volendo non avrei nulla da studiare!”
“Molto bene! Questa si che è una bella notizia!” Commentò Talia facendo uno sforzo sovraumano che fece rotolare il trolley di Annabeth nel bagagliaio con un tonfo sordo. Poi, boccheggiando per lo sforzo, si rivolse a Piper: “Tranquilla Piper, stai pure seduta lì a metterti il mascara… non avevamo bisogno del tuo aiuto!”
Annabeth rise di gusto mentre Piper accampava scuse assurde sul fatto che non potesse aiutarle. Loro tre non avrebbero potuto essere più diverse, eppure quando erano insieme era tutto perfetto.
“Ho chiesto a mio cugino di riservarci due ombrelloni e tre lettini in riva al mare” spiegò Talia mezz’ora più tardi, mentre procedevano lungo l’autostrada sempre sulle note degli Iron Maiden.
“Tuo cugino?” domandò Piper confusa abbassando il volume della musica.
“Sì, fa la stagione giù, lavora al lido in cui andiamo fin da quando siamo bambini.” Talia mise nuovamente mano al pomello del volume e Annabeth sobbalzò per lo spavento.
“Talia, per l’amore del cielo, sto cercando di dormire, stamattina mi sono alzata alle sei per fare quel maledetto esame.” Grugnì Annabeth che se ne stava sdraiata sul sedile posteriore con un cappellino da baseball calato sul viso.
“Mancano solo due canzoni alla fine del CD, poi cambiamo genere, promesso.”
“Solo due canzoni?” fece Piper stupita, “wow, cominciavo a credere che questo disco non avesse una fine!”
Talia le rivolse un’occhiataccia e poi cominciò a cantare agitandosi come se fosse nel parterre di un concerto.
Quando l’ultima canzone fu finita Piper sospirò sollevata, non aveva mai apprezzato il silenzio così tanto.
“Ma io credevo che tuo cugino facesse l’università… non sapevo lavorasse” disse Piper desiderosa di fare conversazione.
“Infatti tecnicamente è così, ma… diciamo che ha avuto un incidente di percorso e a metà maggio ha deciso di andare a lavorare, è un sacco che non lo vedo, ora che ci penso!”
“Ehi!” Intervenne Annabeth dandole uno scappellotto, ormai aveva definitivamente rinunciato a dormire. “Abbiamo detto vacanza con le amiche e vacanza con le amiche sarà! Non è che adesso presa dalla malinconia delle vacanze in famiglia ci abbandoni per stare con tuo cugino.”
“Ma figurati!” La rassicurò Talia. “È un anno che ci sogniamo questa vacanza, e poi anche volendo trascorrere del tempo con lui non potrei… sta lavorando dopotutto.”
Piper annuì come a dire che per lei quel discorso aveva senso, poi lanciò un urlo che fece sbandare Talia e sobbalzare Annabeth.
“Cosa diavolo c’è?” chiese Annabeth allarmata mentre Talia rimetteva la macchina sulla carreggiata.
“Ragazze dobbiamo tornare indietro!” Annunciò la ragazza.
“Ma se siamo quasi arrivate!” Fece saggiamente notare Annabeth.
“Ma ho dimenticato il fornelletto!” Si lagnò Piper.
“Ma che ce ne facciamo del fornelletto? Non siamo mica in campeggio, a casa di Talia ci sono i fornelli…”
“Annabeth” intervenne Talia.
“Il forno…”
“Annabeth”
“E anche il microonde”
“Annabeth, penso che Piper si riferisca al fornelletto per lo smalto semipermanente.”
“Il cosa?” fece Annabeth che faticava a credere alle sue orecchie. “E poi tu da quando te ne intendi di queste cose?”
“Ehm… non so se l’hai notato, ma anch’io metto lo smalto!” Precisò Talia mettendo bene in mostra le unghie della mano destra che erano tutte rigorosamente nere. “Anche se non ho certo voglia di mettermi lì a fare il semipermanente. Ti darò una notizia, Piper, puoi sopravvivere per quindici giorni mettendoti quello normale!”
“Ho già capito” mugolò Piper, “mi verranno le unghie come quelle di Annabeth!”
“Ehi!” Esclamò lei risentita. “Ero sotto esame… e mi sono mangiata le unghie per lo stress” spiegò guardandosi le unghie mangiucchiate.
Piper mise il broncio e non proferì parola per i successivi dieci minuti.
Talia imboccò l’uscita che conduceva al paese in cui aveva la casa poco dopo mezzogiorno e mezza e una leggera brezza le accolse mentre procedevano lentamente nella strada che costeggiava il lungo mare.
“Ecco, guardate” disse Talia indicando la distesa di ombrelloni alla loro sinistra. “I nostri sono quelli tutti blu!”
“I Bagni Nettuno?” Chiese Annabeth nel momento in cui ci passarono davanti.
“Esatto!” Confermò Talia annuendo col capo. “Casa mia è qui dietro, siamo vicinissime, in spiaggia ci si va a piedi.”
Così dicendo Talia posteggiò l’auto in prossimità di una deliziosa casetta bianca e azzurra, perfettamente in sintonia con il contesto.
“Benvenute a casa Grace!” Disse spegnendo il motore e accingendosi a scaricare i bagagli insieme alle amiche.
“La casa non è grandissima, ma qualcosa mi dice che passeremo più tempo in giro che qui dentro, quindi non dovrebbe essere un problema. Di bagno ce n’è uno solo quindi Piper sei pregata di non occuparlo per mezza giornata!”
Annabeth annuì per sottolineare il fatto che era d’accordo e Piper sbuffò contrariata.
“La camera è di qua” spiegò Talia facendo strada alle ragazze nell’appartamento. “C’è un matrimoniale e un singolo, di solito io e mio fratello dormiamo nel divano letto che c’è di là” disse indicando il salotto, “ma visto che siamo solo tre possiamo tranquillamente stare qui tutte insieme.”
“Per me va bene, disse Annabeth lasciandosi cadere sul letto a peso morto.”
“Ehi!” Le gridò Talia, “non starai pensando di addormentarti!”
“No, no” fece Annabeth con gli occhi già chiusi.
“Mettiti il costume, se proprio vuoi dormire lo farai in spiaggia!”
Annabeth si alzò di malavoglia e cominciò a ravanare nel suo trolley alla ricerca di un costume da bagno da indossare.
Mezz’ora più tardi, le tre amiche uscivano di casa pronte ad affrontare una giornata di mare. Talia indossava una maglietta smanicata che le faceva da vestito e che riportava la stampa di un teschio con una bandana, ai piedi indossava infradito borchiate e sfoggiava degli occhiali da sole vintage che facevano un po’ a pugni con il resto dell’abbigliamento. Al suo fianco Piper sembrava una diva di Hollywood in vacanza. Aveva in testa un grosso cappello di paglia a tesa larga da cui spuntava una treccia che le ricadeva sulla spalla destra, gli occhiali erano grandi e avevano le lenti che sfumavano sui toni dell’ambra. Il copricostume era bianco e traforato e lasciava intravedere il bikini paillettato di Victoria Secret che Piper si era comprata on-line e che sosteneva fosse il top della moda oltreoceano.
Ovviamente nessuno aveva osato contraddirla, dal momento che Piper studiava design della moda ed era abbonata a tutte le riviste del settore, per non parlare del fatto che sua madre era una stilista rinomata e aveva creato la linea Afrodite in collaborazione con Versace. Concludevano il look le infradito rosa shocking dotate di zeppa che le aveva regalato sua madre e che si abbinavano alla perfezione con lo smalto che aveva sulle unghie.
Annabeth osservò le amiche e si lasciò sfuggire una risata, il diavolo e l’acqua santa, pensò rimirandole ancora una volta.
Lei era decisamente la più sobria del trio. Il suo look era semplice e pratico. Indossava un paio di pantaloncini di Jeans e una canotta monospalla. I capelli erano legati in uno chignon da cui sfuggiva qualche ciuffo biondo che le ricadeva sul viso. E, a differenza delle sue amiche, aveva dimenticato gli occhiali da sole.
Quando le tre ragazze scesero le scale che conducevano ai Bagni Nettuno, Annabeth pensò che quel lido fosse uguale a tutti gli altri. Gli architetti che avevano progettato i bar e gli spazi che conducevano alla spiaggia non sembravano essere stati molto fantasiosi. Si trattava per lo più di semplici strutture in legno, squadrate, e nella maggior parte dei casi nemmeno troppo belle da vedere.
“Vado a cercare mio cugino, voi aspettate qui!” Disse Talia mentre Annabeth s’immaginava un progetto ad impatto zero che avrebbe potuto valorizzare quel luogo e il resto della costa.
“Ragazze!” Gridava Talia sbracciandosi dalla passerella che conduceva al mare. “Da questa parte.”
Vicino a lei un ragazzo dall’abbronzatura invidiabile stava aprendo gli ombrelloni e raddrizzando i lettini. Indossava un costume da bagno che sfumava dal turchese al blu e i capelli spettinati dal vento gli conferivano l’aspetto tipico di chi vive in una città di mare e non perde troppo tempo a preoccuparsi delle apparenze.
“Ahi! Annabeth guarda dove vai!” Si lamentò Piper che era finita fuori dalla passerella rischiando di slogarsi una caviglia per colpa di Annabeth che non sembrava in grado di camminare diritto.
“Scusa” disse lei distrattamente mentre l’afferrava per un braccio aiutandola a recuperare l’equilibrio senza staccare gli occhi dal ragazzo.
“Piper” bisbigliò Annabeth mentre procedevano lungo la passerella, “ti prego dimmi che quello è il cugino di Talia.”
Piper alzò lo sguardo solo dopo essersi tolta le zeppe, non era possibile camminare sulla sabbia con quelle cose ai piedi. “E io cosa vuoi che ne sappia? L’unica cosa che so è che suo cugino si chiama Percy.”
“Beh allora prega che sia lui”
“Perché?”
“Perché?” fece Annabeth sbalordita. “No scusa ma l’hai visto? Sembra una statua, è alto, ha gli addominali scolpiti e le spalle larghe…”
“Guarda che è l’abbronzatura che fa quell’effetto” spiegò Piper scuotendo il capo, “l’ho letto su Vogue del mese scorso!” Precisò come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “E comunque sull’alto avrei da ridire… sarà un metro e ottanta scarso.”
“Ragazze, vi muovete?” Gridò Talia che era già in costume da bagno.
“Si, è che Piper ha avuto qualche problema con le scarpe!” Gridò Annabeth in risposta sventolando le scarpe dell’amica.
“Lui è mio cugino Percy” disse Talia scompigliando ancora di più i capelli ribelli del ragazzo.
Annabeth gettò la borsa sul lettino mentre lui le tendeva una mano per presentarsi. Lei notò un tatuaggio sull’avambraccio destro e si affrettò a stringergli la mano, poi si presentò sfoggiando il suo sorriso più smagliante. La sua stretta era vigorosa e Annabeth ebbe la sensazione di avere le ginocchia molli. Come se non bastasse, i suoi occhi verde mare la trafissero senza preavviso e in quel momento si rese conto che, nonostante l’architettura di quel luogo lasciasse a desiderare, i Bagni Nettuno avevano comunque qualcosa di speciale.
Percy si presentò anche a Piper e poi chiese a Talia un documento per la registrazione. La ragazza glielo fornì e lui disse che gliel’avrebbe restituito più tardi. Poi si congedò riprendendo le sue attività.
“No, dico…” esordì Annabeth rivolta a Talia, “ma di preciso tu quando pensavi di dirmi che hai un cugino così figo?”
Talia sembrò sorpresa da quel commento, scoppiò a ridere e poi disse: “Ma mio cugino non è figo… è un idiota!”
“E da quando cervello e bellezza vanno di pari passo?” fece Annabeth togliendosi la canotta.
“Ehi!” Protestò Piper che si sentì offesa da quel commento.
“Senza offesa” disse Annabeth per mettere a tacere l’amica che si stava togliendo il cappello e il copricostume.
“Senti, sbaglio o sei tu quella che a gennaio ha dichiarato che non voleva più avere nulla a che fare con gli uomini dopo che hai scoperto che Luke ti aveva tradita?” Le fece notare Talia sperando che quella ferita si fosse ormai rimarginata.
Annabeth fece una smorfia. No, non si era per niente rimarginata.
“Non ho detto che sono in cerca di un fidanzato infatti…” sottolineò la bionda incrociando le braccia al petto.
“E allora cosa cerchi?” S’intromise Piper.
“Un passatempo estivo” dichiarò Annabeth come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Mio cugino un passatempo estivo?” Chiese Talia quasi disgustata.
“Perché no? Fisicamente mi piace un sacco e non m’importa se è un idiota.”
“No, no e ancora no!” Protestò Talia. “Fidati, non ci sta con la testa, è un caso perso.”
“Voi due avete intenzione di parlare di tuo cugino tutto il giorno o possiamo farci il primo bagno di questa vacanza?” Domandò Piper che aveva raggiunto il bagnasciuga e sfoggiava fiera il suo nuovo bikini.
“E bagno sia!” Gridò Talia correndo incontro all’amica e trascinandola in acqua.
“Mia cugina non cambia mai!” Disse una voce calda alle spalle di Annabeth. La ragazza si voltò e si trovò di nuovo in balia di quegli occhi così profondi e misteriosi.
Annabeth deglutì cercando di non soffermarsi a rimirare i muscoli di Percy che osservava la cugina nel tentativo di affogare Piper.
“Lascio a te il documento di Talia?” Domandò lui sfoderando la carta d’identità della cugina.
“Direi di si” balbettò lei.
“Ok, grazie…”
“Annabeth” suggerì lei.
“Annabeth, giuro che adesso me lo ricordo. Allora ci vediamo.” E così dicendo raggiunse la postazione del bagnino mentre più di una ragazza si voltava a guardarlo mentre passava.
Senza nemmeno rendersene conto, Annabeth strinse a sé la carta d’identità che lui le aveva consegnato e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, poi un colpo alla testa la fece trasalire.
“Tanto per cominciare quella è la mia carta d’identità e non una lettera d’amore” disse la voce pungente di Talia mentre si riappropriava del suo documento e lo metteva in borsa, “secondo, sei in spiaggia da quasi venti minuti e non hai ancora fatto un bagno!” E così dicendo lei e Piper la presero di peso e la trascinarono in acqua.
 
Un paio d’ore più tardi Annabeth si svegliò. Era sdraiata sul lettino al sole e doveva essersi addormentata senza nemmeno rendersene conto.
“La bella addormentata si è svegliata!” La canzonò Talia che era nel lettino dietro di lei con le cuffie nelle orecchie. Annabeth si mise a sedere ancora stordita dal sonno, poi prese a tastarsi la faccia e le spalle.
“Tranquilla” la rassicurò Talia, “mamma Piper ti ha messo la crema mentre dormivi!”
“Menomale che c’è mamma Piper aggiungerei” commentò la ragazza abbassando l’ultimo numero di Vogue per incrociare lo sguardo delle amiche.
“Grazie mamma Piper!” Disse Annabeth raggiungendo Talia all’ombra e sdraiandosi al suo posto costringendola a rannicchiarsi in fondo al lettino.
In quel momento Percy si avvicinò al loro ombrellone con un iphone in mano. Annabeth lo guardò avvicinarsi e pensò che aveva le tipiche spalle di chi aveva passato più tempo in acqua a nuotare che in terra a camminare, non c’era da stupirsi che lavorasse come bagnino.
“Talia, Jason dice che ti ha chiamato tre volte e non rispondi!” Disse non appena fu abbastanza vicino da non dover urlare.
“Cosa?” Domandò lei togliendosi le cuffie dell’mp3.
“Ecco appunto” commentò Percy facendo sogghignare Annabeth e Piper.
“Dicevo che tuo fratello ti ha chiamato tre volte ma visto che non hai risposto ha chiamato me, voleva avvisarti che giovedì ci raggiunge.”
“Come sarebbe ci raggiunge?” sbraitò Talia, “lo sa che sono qui con le mie amiche, non lo voglio tra i piedi!”
Percy fece una smorfia e poi parlò di nuovo: “Tranquilla, viene col suo amico Leo, starà a casa sua!”
Quella notizia sembrò distendere i nervi di Talia che si rimise le cuffie e si limitò a dire: “Se è così allora ok!”
“Fate l’aperitivo sulla spiaggia stasera?” Domandò lui appoggiandosi all’ombrellone.
“No, direi di no, non abbiamo nemmeno disfato le valigie e dobbiamo anche fare la spesa.”
“Allora vi consiglio di sbrigarvi… il lunedì il supermercato chiude presto.”
“Per me possiamo anche andare… inizio sentirmi bollente e qualcosa mi dice che Piper avrà bisogno del bagno per un’ora buona.”
La ragazza le rivolse un’occhiataccia ma poi acconsentì ad andare.
 
Come spesso succede d’estate, l’ora di cena slittò sul tardi, un po’ perché i ritmi delle località balneari sono diversi da quelli della città e un po’ perché Piper occupò il bagno per più tempo dell’ora che le era stata concessa.
“Non so come sia possibile, ma sono riuscita a scottarmi anche stando sotto all’ombrellone!” Annunciò Talia uscendo dal bagno avvolta nell’asciugamano.
“Fila a metterti il doposole, usa quello della Clinique che ho nel beauty!”
“Si mamma Piper!”
“È pronto!” Strillò Annabeth servendo la cena con l’aiuto di Piper. Talia le raggiunse e sedette a capotavola, i capelli ancora bagnati e la pelle arrossata dal sole.
“Che bello avervi qui, amiche!” Disse levando il bicchiere ed esortando le altre a fare lo stesso.
“Ma non si fanno i brindisi con l’acqua!” Protestò Piper.
“Piper” la riprese Talia, “abbiamo quindici giorni per bere alcol, se per questa sera ci limitiamo all’acqua non muore nessuno.”
“Alla nostra vacanza” disse Annabeth levando il suo bicchiere per brindare con le amiche. “E anche a tuo cugino!” Aggiunse ridendo dopo averlo svuotato.
A Talia andò di traverso l’acqua. “Ancora? Ti ho detto di levartelo dalla testa!”
Piper scoppiò a ridere. “Dovevi vedere come lo guardava mentre ti diceva della chiamata di tuo fratello, non riusciva a staccargli gli occhi dalla V delle anche.”
Annabeth distolse lo sguardo imbarazzata, sapeva benissimo che Piper non stava mentendo.
Talia le rivolse un’occhiata torva come a dire “questa te la faccio pagare” e Annabeth si vide costretta a dire qualcosa. “Beh? Te l’ho già detto che ha un bel fisico!” Disse tra un boccone e l’altro.
“E io ti ho già detto di lasciar perdere” sottolineò Talia.
“Ok” s’intromise Piper, “visto che sei così insistente te lo devo proprio chiedere…” aggiunse rivolta ad Annabeth che la guardava con aria interrogativa.
“Chiedere cosa?”
“Da quanto tempo?”
“Da quanto tempo cosa?” Domandò Annabeth confusa.
Piper sbuffò esasperata.
“Da quanto tempo non fai sesso?”
Annabeth scoppiò in una risata nervosa.
“Ma che domanda è?” disse tentando di divagare.
“Avanti” l’incalzò Talia che sembrava essere parecchio curiosa.
“Un po’” fece Annabeth vaga.
“Quantifica un po’” le chiese Talia.
“Tre mesi?” Azzardò Piper.
“Ma come fanno ad essere tre mesi se io e Luke ci siamo lasciati a gennaio?” Sbottò Annabeth infastidita dal fatto di dover nominare il suo ex.
“Mi stai dicendo che sono sette mesi che non fai sesso?” Domandò Talia sconvolta.
“Fai anche nove” ammise Annabeth abbacchiata, “nell’ultimo periodo non andava proprio…”
“Quindi dopo Luke non sei andata a letto con nessun’altro?” Chiese Piper a cui un’astinenza così lunga sembrava quasi un castigo.
“Già”
“Adesso capisco perché vuole saltare addosso a tuo cugino a tutti i costi!” Fece Piper rivolta a Talia.
“Ehi, vi sento, non fate come se non ci fossi!” Le rimproverò Annabeth, seccata.
“Ok, capisco il tuo problema, ma fidati mio cugino non fa al caso tuo!”
“È fidanzato?” Domandò Annabeth curiosa.
“No” sospirò Talia.
“Non può essere impotente…”
“Infatti non lo è!” Sbottò Talia strabuzzando gli occhi per l’assurdità di quell’ipotesi.
“Allora è gay!”
“Assolutamente no!”
“E allora che problemi ha?” Insistette Annabeth che non sapeva più cosa pensare.
“Senti, è tutto il giorno che parliamo di mio cugino… se mi prometti che per stasera non mi fai più domande a riguardo te lo spiego domani mattina.” Promise Talia che cominciava ad accusare un po’ di stanchezza.
“Ci sto!”
“Allora tutte a letto a vedere un film, che dite?” Propose Piper.
Talia squadrò l’amica e poi disse: “Va bene… ma solo se non ci obblighi a vedere il diavolo veste Prada per la decima volta!”


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e grazie per aver letto fino a qui. :-) Spero che la storia vi abbia coinvolto abbastanza da voler leggere il secondo capitolo perchè ce l'ho già pronto, insieme ad altri sei :-) Lo pubblicherò a breve ma prima sono proprio curiosa di conoscere le vostre impressioni, lasciatemi un commento se avete voglia e tempo. Come ho detto in alto, è la mia prima AU e quando si sperimentano cose nuove si ha sempre un po' l'ansia da prestazione. Ci tengo a migliorarmi quindi ditemi tutto quello che pensate, nel bene e nel male. 
Grazie in anticipo a chiunque mi farà sapere la sua opinione!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Martedì ***


MARTEDì

 
 
“Due cappuccini, un succo d’arancia e tre brioches alla crema.” Ordinò Talia alla cameriera supertatuata che stava dietro al bancone del bar.
La ragazza fece un cenno col capo e indicò loro dove accomodarsi senza staccare gli occhi dall’espresso che stava preparando.
“Che giornata favolosa” commentò Piper riponendo gli occhiali da sole nella borsa, “non vedo l’ora di andare in spiaggia.”
“Io non mi muovo di qui fin quando Talia non si deciderà a dirmi qual è il problema di suo cugino” disse Annabeth incrociando le braccia al petto in attesa di una spiegazione esaustiva.
Talia sbuffò. “Fammi almeno bere il caffè!” Disse mentre la cameriera serviva loro la colazione.
“E se mi facessi anch’io un tatuaggio su tutto il braccio?” Disse osservando pensierosa la cameriera che si allontanava insieme a tutti i disegni che aveva sul corpo.
“Io non ti parlerei più” disse Piper un attimo prima di addentare la sua brioches alla crema.
“Non avevo dubbi” commentò Talia sorseggiando il cappuccino.
“Io sto sempre aspettando” disse Annabeth dopo essersi schiarita sonoramente la voce.
“Ok, ok, adesso ti spiego tutto.”
“Sono tutta orecchie.”
“Allora… da dove comincio?” Fece Talia grattandosi il capo. “L’ho già detto che mio cugino è un idiota, non è vero?”
“Giusto un paio di volte” disse Piper sarcastica mentre tentava invano di togliersi lo zucchero a velo dalla faccia.
“Il fatto è che non ci hai ancora spiegato perché è un idiota” sottolineò Annabeth.
“Tu come lo definiresti uno che molla l’università a cinque esami dalla fine?”
“Un’idiota” sentenziò Annabeth.
“Bene, e su questo siamo d’accordo.”
“E come mai l’ha fatto?” Chiese Annabeth curiosa.
“Perché a marzo, Rachel, la sua ragazza, l’ha mollato per l’Oracolo.”
“L’Oracolo?” Fecero Piper e Annabeth all’unisono.
“Sì, è il DJ della discoteca più in voga di tutta la zona, Rachel è la figlia del proprietario e a marzo ha lasciato Percy per mettersi con il DJ, ma lui non se n’è ancora fatto una ragione. Ha deciso di mollare l’università per venire a lavorare qui in modo da continuare a vederla nella speranza che la loro storia finisse, ma a quanto pare va tutto a gonfie vele e regolarmente tutti i mercoledì sera Percy va in discoteca e si ubriaca al bancone del bar, perché il giovedì è il suo giorno libero. Nella maggior parte dei casi gli prende la ciucca triste e se ne va a casa ubriaco dopo qualche ora, ma è capitato più di una volta che tentasse di prendere a pugni il DJ scatenando una rissa. Si è già preso una denuncia e due punti di sutura sul sopracciglio. Ora dimmi… sei ancora convinta di volere mio cugino come passatempo estivo?”
Annabeth e Piper fissavano Talia con gli occhi sbarrati. Nessuna delle due si aspettava un racconto del genere. Non su quel ragazzo così carino e gentile che aveva riservato loro i posti più belli della spiaggia.
“Sembra un tipo con cui ci si diverte…” fece Annabeth sarcastica, “ma ammetto che non mi aspettavo una storia simile” ammise dopo una breve pausa.
“Guardandolo non diresti mai che è un violento” disse Piper estraendo il burro di cacao dalla borsa.
“Non è un violento” ringhiò Talia in difesa del cugino, “è iperattivo quello sì, e ha il cuore a pezzi, ecco tutto.”
Le ragazze si astennero dal fare altri commenti e si avviarono in spiaggia solo dopo aver promesso a Talia che avrebbero fatto finta di non sapere nulla di quanto aveva appena raccontato.
 
“Annabeth non te l’ha detto nessuno che il costume a fascia non va più di moda?” Disse Piper non appena raggiunsero la spiaggia e vide l’amica sfoggiare il suo bikini.
Annabeth sbuffò alzando gli occhi al cielo, ormai aveva perso il conto delle volte in cui Piper aveva giudicato fuori moda un suo capo d’abbigliamento.
“La moda di quest’anno è avere il segno del laccio del costume dietro il collo, quindi la fascia non va bene.” La rimproverò mentre si metteva la crema.
“Piper, mi conosci da una vita, sai bene che non me ne frega un accidenti della moda! E poi è facile parlare quando si ha un seno prosperoso come il tuo… questa fascia è uno dei pochi costumi che mi regala una taglia in più!” Lamentò Annabeth sistemandosi al meglio la parte superiore del costume. “E poi perché non te la prendi con Talia? Io almeno ho un po’ di fantasia… lei ha solo costumi neri!”
“Perché, per parafrasare Coco Chanel, non si sbaglia mai con un bikini nero!” Dichiarò Piper atteggiandosi come la stilista.
“Tiè!” Commentò Talia facendo il gesto dell’ombrello ad Annabeth che sbuffò una seconda volta.
“Ciao, posso lasciarti un volantino?” disse una ragazza riccia che passeggiava lungo la spiaggia con una pigna di volantini tra le mani.
“Certo” rispose Annabeth colta alla sprovvista.
La ragazza le consegnò il pezzo di carta e proseguì il suo giro lungo la spiaggia.
“Festa della birra, venerdì sera, Piazza delle palme” disse Annabeth leggendo il volantino.
“Wow” esultò Talia scattando in piedi dal lettino come se fosse caricata a molla, “non possiamo certo mancare!”
“Infatti non mancheremo” disse Annabeth riponendo il volantino nella borsa e sdraiandosi sul lettino accanto alle amiche.
“E questa sera invece che si fa?” domandò Piper girandosi a pancia in giù per assicurarsi un’abbronzatura omogenea.
“Direi aperitivo in spiaggia” propose Talia rintanata sotto all’ombrellone.
“Se ce lo serve tuo cugino per me va bene” ridacchio Annabeth che sembrava incapace di togliersi Percy dalla testa.
“Ehi” ringhiò Talia “guarda che Percy fa il bagnino, non il cameriere!”
“In effetti con un fisico come quello sarebbe sprecato come cameriere… meglio che faccia il bagnino così lo posso vedere a torso nudo.” Commentò Annabeth volgendo lo sguardo in direzione di Percy che se ne stava seduto in cima alla postazione di salvataggio a scrutare l’orizzonte.
Talia alzò gli occhi al cielo, esasperata.
“Possibile che dopo quello che ti ho raccontato stamattina tu sia ancora interessata a lui?”
“Non m’importa se è innamorato della sua ex, non voglio mica sposarlo!”
“Vuole solo andarci a letto!” Sentenziò Piper che ascoltava la conversazione con gli occhi chiusi. “È in astinenza, cerca di capirla!”
“No comment!” Disse Talia mettendosi le cuffie e chiudendo gli occhi decisa a non parlare più di quell’argomento. Annabeth e Piper si scambiarono uno sguardo e poi scoppiarono a ridere.
“Va beh, io mi faccio un bagno e magari fingo anche di annegare giusto per essere salvata da Percy” ridacchio Annabeth approfittando del fatto che Talia non potesse sentirla. “Dai muoviti!” disse strattonando l’amica per portarsela in acqua.
“Annabeth, aspetta! Ho il costume slacciato” protestò Piper schiacciandosi il bikini al petto nel tentativo di non far fuoriuscire nulla.
Talia osservò la scena dal suo lettino con le cuffie nelle orecchie guardandosi bene dal raggiungerle, poco dopo Percy scese dalla sua postazione e le si avvicinò.
“Oggi niente bagno?” domandò appoggiandosi al lettino vuoto accanto a Talia.
“Nel caso tu non te ne fossi accorto, sono già bordeaux! Oggi non mi schiodo dall’ombra!” Spiegò la ragazza mostrandogli la pelle arrossata dal sole del giorno prima.
“Gli anni passano ma certe cose sono sempre uguali eh?” disse lui facendo riferimento alle estati passate.
“Così pare... sai che ore sono?” chiese la ragazza inforcando gli occhiali da sole.
Percy sfoderò il suo iphone dalla tasca del costume e dopo aver attivato lo schermo dichiarò: “l’una e un quarto.”
“Ma sei serio?”
Percy aggrottò le sopracciglia stupito da quella domanda e poi disse: “Si, certo che sono serio, è l’una e un quarto” e così dicendo mostrò lo schermo del telefono a Talia che scosse la testa sconsolata.
“Mi riferivo al fatto che hai ancora la foto di Rachel come sfondo” spiegò incrociando le braccia al petto in attesa di una spiegazione.
Percy rimise il cellulare in tasca e abbassò lo sguardo, visibilmente a disagio.
“Anzi, per la precisione hai la foto di voi due che vi baciate” proseguì Talia in tono di rimprovero.
“Si, beh, ho la foto di noi due insieme come sfondo e allora? Vuoi decidere tu che salvaschermo e che sfondo devo avere?”
“Non essere stupido!” Lo riprese Talia. “Sai bene a cosa mi riferisco, è ora che tu te ne faccia una ragione, mettici una pietra sopra una volta per tutte.”
Percy roteò gli occhi scocciato.
“Sei venuta qui per fare una vacanza o per farmi il terzo grado?” domandò acido scoccando un’occhiataccia alla cugina.
Quella conversazione avrebbe potuto protrarsi per ore, fortunatamente Piper e Annabeth decisero di uscire dall’acqua proprio in quel momento.
“Ciao Percy!” Fecero le due ragazze in coro.
“Ciao ragazze” le salutò lui con un ampio sorriso.
“Se volete farvi una doccia, le trovate a destra del bar” aggiunse indicando loro in che direzione andare.
“Grazie, molto volentieri” disse Piper afferrando Annabeth certa del fatto che, se non fosse stato per lei, sarebbe rimasta lì incantata a squadrare gli addominali del ragazzo.
“Sembrano simpatiche le tue amiche” commentò lui non appena Piper e Annabeth si furono allontanate abbastanza.
“Non provare a cambiare discorso!” Lo rimproverò Talia.
“Cosa vuoi che ti dica? Che non sono più innamorato di Rachel? Beh non è così, non posso farci niente, non riesco a fare a meno di lei.”
“Non riesci a fare a meno di lei? Di quella ragazzina viziata che non sa fare altro che spendere i soldi del padre organizzando festini in barca e facendo shopping a tutte le ore del giorno e della notte?”
“Senti, so bene che Rachel non ti è mai andata a genio, non hai fatto altro che rinfacciarmelo per tutto il tempo che siamo stati insieme ora che ci penso, ma se credi di aiutarmi ad uscire da questa storia elencandomi tutte le cose che non ti piacciono di lei, beh, puoi anche smetterla subito perché tanto non funziona.”
“L’ho notato” commentò Talia abbacchiata.
“Ecco, allora vedi di smetterla” le consigliò lui sfoderando i suoi occhioni verde mare.
Talia incrociò il suo sguardo e rinunciò definitivamente ad essere arrabbiata con lui, a quegli occhi da cucciolo non era mai stata in grado di resistere, nemmeno quando erano bambini e lei lo beccava a rubare le caramelle di nascosto dalla dispensa.
“Mi dispiace che stai soffrendo” gli sussurrò abbracciandolo.
“Stanno tornando le tue amiche” bisbigliò lui in risposta osservando le due ragazze che camminavano strizzandosi i capelli.
“Beh, io vi lascio riposare in pace” annunciò appena le amiche presero posto sulle sdraio.
“Tranquillo, se vuoi puoi anche restare” gli sorrise Annabeth.
Talia sollevò un sopracciglio e increspò le labbra, poi si schiarì la voce sonoramente.
“Beh, sempre se non devi lavorare…” aggiunse Annabeth in tono pacato.
“Ma certo che deve lavorare” disse Talia.
“Beh io…” fece Percy un attimo prima che il proprietario del lido lo chiamasse dall’altra parte della spiaggia, “scusate, devo andare.”
“Cos’era quello?” domandò Talia togliendosi gli occhiali per guardare Annabeth negli occhi.
“Quello cosa?” Fece lei ingenuamente.
“Quello sguardo civettuolo” precisò Talia.
“Non ho fatto nessuno sguardo civettuolo”
“Piper” disse Talia interpellando l’amica.
“Sì, l’hai fatto Annabeth, l’ho notato anch’io!” Sentenziò lei.
“Ah!” brontolò Annabeth facendo un gesto di stizza con la mano.
“Non flirtare con mio cugino”
“Invece di dirmi quello che non posso fare” disse Annabeth mettendosi a sedere, “perché non mi dici che cos’è quel disegno che ha tatuato sull’avambraccio, non sono ancora riuscita a vederlo bene e non ho capito cos’è…”
Talia sbuffò. “Quella è una cazzata che ha fatto insieme a mio fratello l’anno scorso!” Spiegò come se non approvasse per niente la cosa.
“Credevo che i tatuaggi ti piacessero” commentò Piper notando il suo tono di disapprovazione.
“Infatti mi piacciono… se hanno un significato, non se vai ad Amsterdam con gli amici e torni con un tridente tatuato su un avambraccio con sotto una linea che non vuol dire nulla.”
“Stai dicendo che tuo fratello e tuo cugino si sono fatti lo stesso tatuaggio durante una vacanza ad Amsterdam?” domandò Piper che stentava a crederci.
“Grazie a Dio non lo stesso” precisò Talia “mio fratello ha fatto un’aquila, non so perché, e lui si è fatto un tridente… dice che è legato alla sua passione per il mare, ma sotto hanno fatto queste linee orizzontali… Percy ne ha fatta solo una ma mio fratello se ne è fatte dodici” raccontò Talia strabuzzando gli occhi, “e quando ho chiesto loro spiegazioni non mi hanno voluto rispondere. Secondo me la verità è che l’hanno fatto da ubriachi e non sanno nemmeno loro che significato hanno quelle linee” confessò scuotendo il capo per sottolineare il suo disappunto.
“Dovevate vedere le facce di mia madre e di mia zia quando li hanno visti per la prima volta!” Aggiunse trattenendo a stento una risata.
“Ma tuo fratello non era in Erasmus in Australia?” Chiese Piper che non vedeva Jason da quasi due anni.
“Sì, ma lo scorso anno è tornato per le vacanze di Natale e ha fatto capodanno ad Amsterdam con Percy e altri loro amici.”
“Ah ecco… infatti non lo vedo da una vita.”
“Non preoccuparti è cresciuto solo per l’anagrafe, per il resto non è cambiato minimamente!” Ridacchiò Talia.
“Io inizio ad avere fame” borbottò Annabeth con una mano sullo stomaco.
“Io sono a dieta” dichiarò Piper.
“Io non ho fame… magari ti faccio compagnia con un gelato” disse Talia che non vedeva l’ora di allontanarsi dalla calura emanata dalla sabbia.
“Va bene, Piper tu resti qui?”
“Si, si, non preoccupatevi, mi sa che adesso mi addormento!” E così dicendo si mise le cuffie nelle orecchie e chiuse gli occhi.
“Ti si sono calmati gli ormoni?” domandò Talia non appena raggiunsero il bar dove ordinarono una macedonia e una coppa di gelato.
“Solo temporaneamente” sorrise Annabeth.
“A voi” disse la cameriera poggiando sul tavolo le loro ordinazioni insieme a qualche tovagliolo.
“Talia!” Gridò una voce maschile in lontananza prima che le ragazze potessero continuare la loro conversazione.
“Grover!” Esclamò lei alzandosi per abbracciare quello che doveva essere un vecchio amico. Era un ragazzo di colore, alto e piuttosto muscoloso, probabilmente di qualche anno più grande di Talia. Aveva tre bracciali in cuoio sul polso destro e portava sotto braccio un paio di bonghi che ad Annabeth fecero subito pensare ad un tipo piuttosto espansivo e divertente.
“Quello stordito di tuo cugino non mi ha detto che eri già qui!”
“Sono arrivata solo ieri, per questa volta puoi perdonarlo.”
“Vedremo” ridacchio il ragazzo scoprendo i suoi denti bianchissimi, “ora che ci penso, mi deve ancora un paio di birre dall’anno scorso!”
“Venerdì sera c’è la festa della birra in piazza… mi sembra un’ottima occasione per costringerlo a saldare il suo debito.” Suggerì Talia.
“Mi sembra un grande idea” disse lui annuendo, “scusami, sono un cafone,” aggiunse rivolgendosi ad Annabeth che era rimasta seduta in silenzio, “io sono Grover, conosco Talia e Percy da una vita.” E così dicendo strinse la mano di Annabeth.
“Piacere” disse lei educatamente.
“Detto fra noi... conosco aneddoti con cui potrei ricattare entrambi per il resto dei loro giorni…”
“Grover!” Fece Talia arrossendo, imbarazzata.
“Ma sono un buon amico quindi non farò nulla del genere.” Concluse facendo l’occhiolino ad Annabeth che sorrise divertita.
“Annabeth è ospite a casa mia per le prossime due settimane insieme a Piper, che ti presenterò appena esce dal suo letargo solare.”
“Molto bene, ho sentito che giovedì arriva anche tuo fratello insieme a Leo…”
“Esatto!”
“Beh, allora ci si vede più tardi, ora devo assolutamente portare fuori Pan… è a casa che mi aspetta.” E così dicendo prese le scale e sparì dalla vista delle ragazze.
“Pan?” Chiese Annabeth curiosa.
“Il suo cane… un Terranova, un enorme Terranova a dire il vero.”
“Wow!”
“Avrai modo di conoscerlo… di solito lo porta in spiaggia la mattina presto perché quando c’è poca gente Percy gli permette di fare il bagno e fanno anche a gara a chi arriva prima alla boa” raccontò Talia.
“Chi? Lui e Grover?”
“No! Percy e il cane!”
Annabeth scoppiò a ridere.
“Mio cugino ha una passione per tutto ciò che è acquatico… non c’è da stupirsi che il Terranova sia il suo cane preferito!”
“Dicono che siano degli abili nuotatori” disse Annabeth tra un boccone di macedonia e l’altro.
“Infatti è così… perché credi che faccia a gara con lui altrimenti?”
Talia affondò il cucchiaino nella coppa di gelato mentre Annabeth rideva di gusto.
“Pensi che dovremmo svegliarla?” Chiese Talia mezz’ora più tardi guardando il corpo inerme di Piper profondamente addormentata al sole.
“Temo di si, oppure dovremo sorbirci un’intera lezione sui danni che il sole può arrecare alla pelle” sospirò Annabeth.
Quelle parole bastarono a convincere Talia che si alzò facendo segno ad Annabeth di imitarla. Corse fino in riva al mare e si avvicinò ad un bambino che giocava con secchiello e paletta.
“Scusa” si rivolse al bimbo, “me lo presti?” chiese indicando il secchiello. Il bimbo annuì con un sorriso e Talia s’impossessò del secchiello sotto lo sguardo incuriosito di Annabeth che osservava la scena a pochi metri di distanza.
“Dimmi che non stai per fare quello che penso” commentò ridacchiando.
“Certo che sto per farlo!” Confermò lei riempiendo il secchiello e correndo verso Piper che dormiva ignara di tutto.
Un attimo dopo le urla di Piper fecero girare più di un bagnante.
“Maledetta!” Gridava Piper inseguendo Talia sul bagnasciuga mentre Percy passava con cinque ombrelloni in spalla.
Lo sguardo di Annabeth si posò su di lui come se fosse magnetico.
Si rese conto che faticava a staccargli gli occhi di dosso e ringraziò mentalmente chiunque avesse ordinato a Percy di trasportare quegli ombrelloni per avergli regalato una visione tanto sexy.
C’era qualcosa in quel ragazzo che ai suoi occhi lo rendeva irresistibile, qualcosa che le era impossibile spiegare a Talia.
Annabeth increspò le labbra e deglutì quando lo vide cambiare direzione e venirle in contro. Camminava a testa bassa mentre i suoi piedi affondavano nella sabbia, le ampie spalle ricurve sotto il peso degli ombrelloni.
“Ciao” disse poggiandoli a terra e riordinandoli vicino agli altri.
Annabeth sorrise giocando con una ciocca di capelli che usciva dallo chignon.
“Ciao” si sforzò di dire nonostante la salivazione completamente azzerata. Fino a quel momento le loro conversazioni si erano limitate ad un insipido scambio di saluti, così Annabeth decise di osare di più.
“Stasera abbiamo deciso di fare l’aperitivo in spiaggia…” buttò lì senza sapere bene dove volesse arrivare.
“In tal caso ti consiglio il mojito, è la specialità del nostro barman!” disse lui massaggiandosi la spalla su cui aveva trasportato gli ombrelloni.
“In tal caso… seguirò il tuo consiglio” sorrise lei augurandosi che lui fosse intenzionato a proseguire la conversazione.
“Ciao Percy!” Disse una voce femminile alle loro spalle. Annabeth si voltò e si trovò faccia a faccia con una ragazza alta e atletica che avrà avuto pressappoco la sua stessa età. Indossava un bikini piuttosto succinto e aveva una spalla invasa da rose tatuate che si spingevano fino all’inizio del seno, e all’ombelico Annabeth notò un piercing decisamente troppo grande per passare inosservato.
“Ciao Kelli” la salutò Percy che non sembrava poi così contento di vederla.
“Ho un problema con il mio lettino” disse giocherellando con la collanina in legno che Percy portava al collo, “non è che verresti a dare un’occhiata?” chiese a un palmo dalla sua bocca sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia che, Annabeth notò solo in quel momento, erano visibilmente finte. Istintivamente arretrò, il comportamento intimo che Kelli riservava a Percy la metteva a disagio, così decise di raggiungere le amiche in acqua.
“Scusate” disse mesta, “io vi lascio soli…” e così dicendo corse verso il mare dove Piper stava ancora cercando di annegare Talia.
 
Verso le sette le ragazze abbandonarono lettini e ombrellone per trasferirsi al bar dove, come d’accordo, avrebbero fatto un aperitivo.
“Voi cosa prendete?” Chiese Piper consultando la lista.
“Io uno spritz” disse Talia che non sembrava aver alcun dubbio a riguardo.
“Io un mojito” disse Annabeth.
“E da quando bevi il mojito tu? Di solito ordini sempre una caipiriña” commentò Piper sospettosa.
“Da quando ha scoperto che il mojito è il cocktail preferito di mio cugino” disse Talia apostrofandola con un’occhiata delle sue.
“Me l’ha solo consigliato… non mi ha detto che era il suo cocktail preferito” si giustificò Annabeth, “e poi mica prendo un cocktail solo perché piace a lui… non ho mica quindici anni!”
“Va beh, ordinerò un cosmopolitan come al solito” dichiarò Piper richiudendo la lista.
Talia si avvicinò al bancone per ordinare e poco dopo fu di ritorno con un vassoio carico di noccioline, stuzzichini e pizzette.
“Tra un attimo ci portano da bere” disse sgranocchiando una patatina.
“Finalmente alcol!” Esultò Annabeth alzando le braccia al cielo nel momento in cui vide arrivare i cocktail.
“Ricordo con orrore l’ultima volta in cui ti ho sentito dire una frase del genere…” disse Piper cui stavano riaffiorando alla mente vecchi ricordi.
“Già…” fece Talia sorseggiando il suo cocktail, “se lo ricorda anche la portiera della mia macchina.”
Annabeth arrossì imbarazzata da quei ricordi. “Ragazze, avevo appena finito il workshop di architettura… una sbronza era più che doverosa” si giustificò.
“Sì, ma potevi evitare di sboccare fuori dal finestrino della mia macchina facendomi tutta la fiancata” le fece notare Talia ridendo.
“Ok, la prossima volta vomiterò direttamente in macchina se preferisci.”
“Dio che schifo” fece Piper a cui stava passando la fame.
“Senti chi parla” disse Annabeth poggiando il cocktail sul tavolo, “non sei forse tu quella che ho dovuto accompagnare a casa dopo la festa di compleanno di Talia…”
“Ok, adesso basta!” Intervenne Talia. “Potreste andare avanti per ore a rinfacciarvi queste cose, quindi vi fermo subito… guardate che spettacolo di tramonto vi state perdendo.”
Le due ragazze si voltarono simultaneamente e notarono che, nonostante il sole fosse ancora abbastanza alto, il cielo cominciava già a colorarsi di un rosa intenso e i gabbiani che volavano controluce apparivano come dei piccoli puntini neri.
“Non male vero?” disse la voce di Percy. Il ragazzo se ne stava appoggiato al bancone del bar sorseggiando una Corona ghiacciata, ammirando lo stesso spettacolo che stavano guardando le ragazze.
“Sei riuscito a liberarti di Kelli?” ridacchiò Talia.
Percy fece una smorfia e scrollò le spalle. “Grazie a Dio” disse allargando le braccia e mettendo ben in mostra il tatuaggio.
Annabeth trasalì. “Scusa ancora per prima, non volevo disturbarvi” disse mordicchiando la cannuccia del suo drink.
“Disturbarmi?” fece Percy, “saresti dovuta rimanere lì… forse se ne sarebbe andata prima!”
Annabeth aggrottò le sopracciglia.
“Kelli è innamorata di Percy da quando avevano tredici anni” spiegò Talia in risposta al suo sguardo interrogativo. “Gli sta un tantino addosso…”
“Un tantino quanto?” s’intromise Piper che aveva già svuotato il suo bicchiere.
“Diciamo che se scopre dove abito sono rovinato” tagliò corto Percy. “È qui da una settimana e ha già fatto finta di annegare tre volte!”
“Piper! Hai già finito il tuo cocktail?” Disse Annabeth stizzita.
“Così pare” fece lei giocherellando con il ghiaccio in fondo al bicchiere.
Percy si scolò quello che rimaneva della sua birra in un sorso e buttò la bottiglia nel cestino.
“Sarà meglio che vada” disse scendendo le scale, “se il signor D mi becca a bere una birra durante il turno mi licenzia! Ci vediamo domani ragazze!”
“Il signor D?” fece Piper con aria interrogativa.
“È il proprietario del Lido” spiegò Talia sorseggiando il suo spritz. “Un vecchio burbero barbuto con molto poco gusto in fatto di camice…”
“Ti riferisci per caso a quel tipo che sta passando che indossa una camicia rosa shocking con le palme?” fece Annabeth bevendo l’ultimo sorso di mojito.
“Proprio lui!”
“Quel tipo avrebbe proprio bisogno di un personal shopper” commentò Piper guardandolo con ribrezzo.
“Dopo questa direi che possiamo anche andare” disse Annabeth radunando le sue cose.
“Concordo” annuì Talia.
Le ragazze abbandonarono la spiaggia che erano ormai le otto passate. Annabeth fu l’ultima a salire le scale e, pur sapendo che l’avrebbe visto l’indomani, cercò Percy con lo sguardo. Lo vide armeggiare con delle cime in riva al mare e s’incantò un attimo a guardarlo. Con quel tramonto alle spalle la scena era ancora più attraente e lei sentì l’irrefrenabile desiderio di andare a dormire presto solo perché così, il momento in cui l’avrebbe rivisto, sarebbe arrivato prima.


Angolo dell'autrice: Eccomi qui con il secondo capitolo, come promesso in tempi brevi. Grazie a tutti voi che vi siete fatti incuriosire da questa storia, spero che continuerete a seguirla :-) Un grazie in particolare va ai tre lettori che hanno deciso di lasciare un commento. Mi fate tanto felice :-)
Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto e che non vediate l'ora di leggere anche il terzo. Fatemi sapere le vostre impressioni perchè ci tengo molto. Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Mercoledì ***




MERCOLEDì


 
 
Il mercoledì mattina le ragazze lo trascorsero a poltrire nel letto. Nessuna di loro aveva voluto mettere la sveglia convinte del fatto che tanto si sarebbero alzate presto per colpa della luce. Ovviamente non avrebbero potuto sbagliarsi di più. Annabeth fu la prima ad aprire gli occhi e non per colpa della luce, ma a causa della sua vescica che rischiava seriamente di esplodere se non fosse andata in bagno entro un paio di minuti. Si rigirò nel letto travolgendo Talia che le dormiva addosso e che mugolò qualcosa d’indefinito, mentre Piper dormiva nel letto singolo ingarbugliata nelle lenzuola che aveva completamente divelto dal materasso.
Annabeth raggiunse il bagno scalza con le mani premute sulla vescica e fu solo in quel momento che guardò l’orologio e si accorse che era già mezzo giorno passato.
Poco dopo rientrò in camera e tirò su completamente la tapparella guadagnandosi una serie d’insulti da parte delle amiche che non sembravano aver gradito quel gesto.
“È mezzo giorno passato! Cosa dite, facciamo colazione direttamente con una lasagna?” Scherzò osservando le facce delle amiche che erano ancora sdraiate a letto a stropicciarsi gli occhi.
 
Quando finalmente raggiunsero la spiaggia erano quasi le due, e questo solo perché Talia aveva tassativamente proibito a Piper di stare in bagno per più di mezz’ora, cosa che Annabeth aveva apprezzato particolarmente dal momento che aveva una certa urgenza di rivedere Percy.
Lo trovarono in riva al mare che parlava con il Signor D, visibilmente riconoscibile dalla camicia hawaiana. Annabeth lo vide sospirare e abbassare il capo un po’ afflitto, come se quella conversazione non fosse particolarmente di suo gradimento. I due gesticolavano animatamente e Percy, di tanto in tanto, scrollava le spalle come se fosse sul punto di dare ragione al suo interlocutore più per sfinimento che per altro.
Annabeth e le ragazze si spogliarono mentre la radio dei loro vicini di ombrellone annunciava che era in arrivo un’ondata di caldo tropicale e consigliava ai vacanzieri di non esporsi al sole nelle ore più calde.
“Menomale che ci sono le radio a dirci queste” brontolò Talia raccogliendosi i capelli con una molletta, “avevo giusto intenzione di morire al sole durante l’ora più calda!” commentò mentre tentava di aprire l’ombrellone che sembrava opporre una certa resistenza.
Fortunatamente Percy le corse in soccorso prima che si chiudesse un dito dentro al meccanismo a scatto e Annabeth rimase imbambolata ad osservarlo aprire l’ombrellone mentre i suoi bicipiti abbronzati si gonfiavano per lo sforzo.
“Odio questi affari!” borbottò Talia imbronciata.
“Un semplice grazie era più che sufficiente” ridacchiò Percy aprendo anche l’altro ombrellone. “Qualcosa mi dice che oggi ne avrete più bisogno del solito, pare che…”
“Sia in arrivo un’ondata di caldo tropicale, sì, ci ha già informato la radio” sbuffò Talia.
“Devi scusarla ma si è svegliata di malumore” intervenne Annabeth giusto per attirare l’attenzione di Percy.
“Non preoccuparti, ci sono abituato” le disse con un occhiolino, “sono ventiquattro anni che si sveglia di malumore!”
Talia non sembrò prendere bene quella battuta dal momento che scattò in piedi e assestò un pugno sul braccio al cugino che guaì per il dolore.
“Ok, ok, ho capito, vi lascio sole” tossicchiò allontanandosi per poi rigirarsi e aggiungere: “mi stavo quasi dimenticando, alle sedici e trenta facciamo una partita a beach volley, volete unirvi a noi?”
“Io sono un disastro” annunciò Piper che aveva già rinunciato al sole e si era rintanata sotto l’ombrellone che Percy aveva appena aperto.
“Io e Talia ci siamo!” Annunciò Annabeth entusiasta cogliendo impreparata l’amica che non ebbe il tempo di ribattere.
“Perfetto, a dopo allora” e così dicendo sparì dalla loro vista.
Talia squadrò Annabeth minacciosa per qualche secondo, poi domandò: “da quando sei tu a decidere le mie attività balneari?”
“Eddai” piagnucolò Annabeth strattonandola per un braccio, “mi serviva una spalla!”
“Una spalla per giocare a beach volley?” domandò Talia, un sopracciglio inarcato.
“No” s’intromise Piper ridacchiando, “una spalla per rimorchiare tuo cugino è ovvio!”
Talia strappò la rivista che Piper aveva in mano e se la diede tre volte in fronte. “Questa storia è un incubo!”
“Ma smettila, è solo una stupida partita di beach volley, non ti ho mica chiesto di andare in un locale di scambisti!”
La stupida partita di beach volley andò in scena come previsto alle sedici e trenta. Annabeth e Talia raggiunsero il campetto alla fine della spiaggia munite di occhiali da sole e lì trovarono Grover e Percy che le aspettavano con una pallone Moltem sotto braccio.
“Brutte notizie ragazze, Dakota e gli altri ci hanno paccati” spiegò Grover, “ci tocca fare un due contro due, sarà tosta ma confido nelle vostre capacità” aggiunse con un sorriso beffardo.
“Beh, direi che ci conviene fare uomo e donna” suggerì Percy un attimo prima che Grover saltasse addosso a Talia gridando che voleva stare in squadra con lei perché non la vedeva da una vita.
“Per me va bene” disse Annabeth che non avrebbe potuto chiedere a Grover di aver un tempismo migliore.
“Ok, allora facciamo che per il campo…”
“Ti lascio il campo che vuoi amico” dichiarò Grover assestando una pacca sulla spalla a Percy che sussultò, “lo sanno tutti che sei scarso, almeno ti lascio scegliere in che campo perdere!” Lo canzonò mentre si toglieva la canottiera.
“Ehi! Scarso a chi?” fece Percy toccato sul vivo, “ti ricordo che stai parlando con il vincitore del torneo dello scorso anno!”
“Se, se” lo derise Grover mentre scaldava i muscoli delle spalle di Talia come fosse un pugile.
“Senza contare che ho Annabeth in squadra” aggiunse mettendo un braccio intorno alle spalle della ragazza che si sentì avvampare, “qualcosa mi dice che è una campionessa!”
Annabeth non ricordava esattamente quale fosse l’ultima volta che aveva giocato a beach volley, l’unica cosa che sapeva era di sempre stata abbastanza portata per gli sport e mai come in quel momento ne fu particolarmente contenta.
Il turno di battuta spettava a Grover che, fortunatamente, tirò fuori. La palla era talmente forte che avrebbe potuto seriamente cambiare i connotati a chiunque ne avesse intercettato la traiettoria.
Subito dopo, Percy sfoderò una serie di battute ad effetto che ingannarono Talia per cinque volte di fila. Ogni punto era un insulto all’indirizzo del cugino che invece di rispondere si limitava a battere il cinque alla sua compagna di squadra.
Annabeth si rese conto che mantenere la concentrazione alta era parecchio difficile dal momento che lei avrebbe tenuto d’occhio molto più volentieri il corpo atletico di Percy piuttosto che la palla. In un paio di occasioni mancò una palla facile proprio perché era distratta dal suo corpo mezzo ricoperto di sabbia e più di una volta Talia le lanciò un’occhiataccia perché aveva notato la sua fonte di distrazione.
Grazie ad un paio di miracoli di Percy e ad una schiacciata lungolinea di Annabeth riuscirono a portare a casa il primo set, ma all’idea di giocarne altri la ragazza si sentiva già le gambe molli.
Fortunatamente Percy mise a segno il primo punto del secondo set e corse ad abbracciarla ringraziandola per la precisione dell’alzata. In quel momento Annabeth si rese conto di non aver mai apprezzato il beach volley così tanto. La sua stretta era forte ma delicata allo stesso tempo, il suo corpo era tonico e, nonostante cominciasse ad essere parecchio sudato, odorava di crema al cocco. Quando Percy sciolse l’abbraccio dichiarando che toccava a lei battere, Annabeth si sentì particolarmente motivata, come se mettere a segno un nuovo punto le desse il permesso di abbracciarlo di nuovo, cosa che ovviamente non vedeva l’ora di fare. Grover riuscì a ricevere facilmente la sua battuta e Talia lo mandò a schiacciare così rapidamente che Percy e Annabeth non ebbero nemmeno il tempo di accorgersi di quanto stava accadendo.
“Nessun problema campionessa” la rassicurò Percy con una pacca sulla spalla, “abbiamo ancora sei punti di vantaggio.”
I sei punti di vantaggio durarono ben poco. Quando il turno di battuta passò a Talia la ragazza piazzò una serie di ace che riaprirono completamente il set. Annabeth non aveva mai visto Talia giocare a beach volley, ma in quell’occasione si accorse che sembrava un cecchino. Metteva la palla esattamente dove voleva e in più di un’occasione sia lei che Percy battezzarono fuori una palla che invece andò a stamparsi sulla linea insieme ad una serie di imprecazioni da parte di entrambi.
“Eccola la mia Talia!” Esultava Grover prendendola in braccio ogni volta che piazzava un punto così ben studiato.
“Mettimi giù!” Urlava Talia sgambettando a testa in giù riempiendo il compagno di squadra di pugni sulla schiena mentre Annabeth e Percy ridevano e ne approfittavano per riprendere fiato.
Ora delle sei la partita era finita decretando Annabeth e Percy vincitori per una manciata di punti. I due gioirono e si abbracciarono un’ultima volta mentre Grover urlava che voleva la rivincita e Talia questionava su una sospetta invasione di Percy.
Annabeth decise di buttarsi in acqua per liberarsi di tutta la sabbia che le si era appiccicata addosso e Grover la seguì a ruota facendo un gran baccano.
Percy ne approfittò per sedersi un momento e tirare il fiato, a breve gli sarebbe toccato cominciare a riordinare la spiaggia e non ne aveva per niente voglia.
“Di cosa discutevate prima tu e il Signor D?” domandò Talia avvicinandosi con la palla sotto braccio.
“Voleva che venissi a lavoro anche domani” spiegò Percy strabuzzando gli occhi come a voler sottolineare l’assurdità della cosa.
“E perché non gli hai detto di si?” chiese Talia scrollandosi la sabbia di dosso.
Percy fece un gesto di stizza, infastidito da quella domanda.
“Talia, ho solo un giorno libero a settimana!” Sottolineò.
“Sì, e lo passi a smaltire i postumi della sbronza del mercoledì sera, forse sarebbe meglio se andassi a lavorare! Giusto per sapere… è quello che hai in programma di fare anche stasera, non è vero?”
“Questi non sono affari tuoi!” Ringhiò lui toccato sul vivo.
“Oh si che lo sono, dal momento che tua madre chiama me per sapere come stai e cosa combini!” Sbottò Talia che da quando era arrivata al mare aveva già ricevuto tre chiamate da parte di Sally.
“Mia madre potrebbe chiedere le cose a me di persona, ma ha smesso di parlarmi da quando le ho detto che lasciavo l’università…”
“E tu non ti sei chiesto perché?”
“Non c’è bisogno che me lo chieda, lo so il perché, so che non è d’accordo con questa mia scelta ma sono maggiorenne e vaccinato ed è ora che lei se ne faccia una ragione!”
Talia aprì la bocca per ribattere ma vide Annabeth e Grover che uscivano dall’acqua e camminavano verso di loro, così si obbligò ad ingoiare il boccone amaro rimandando quella conversazione.
I quattro ragazzi camminarono verso il loro lido con i piedi a mollo nel mare e Annabeth si rese conto che avrebbe tanto voluto avere un paio di gambe di ricambio dato che quelle che aveva erano di marmo a causa dell’acido lattico.
“Birretta post partita?” Propose Grover allegro.
“Io voglio dieci litri d’acqua” gemette Talia che arrancava con i piedi che affondavano nella sabbia.
“Io mi faccio una doccia e poi torno a lavoro” annunciò Percy controvoglia appena raggiunsero il bar dove Grover ordinò da bere per tutti. Percy afferrò la bottiglia d’acqua gelata che l’amico gli porgeva e la svuotò in un sol sorso, poi si allontanò diretto alle docce sotto lo sguardo di Annabeth che non perse l’occasione di guardargli il sedere. Annabeth sorseggiò il suo the freddo al limone con gusto e notò con piacere che dal punto in cui si era seduta si vedeva perfettamente Percy sotto la doccia grazie ad uno specchio che sembrava messo lì apposta per permetterle di rimirarlo. Lo vide chiudere gli occhi mentre il getto d’acqua, probabilmente gelata, gli martellava la testa schiacciandogli i capelli mori sulla fronte. Il ragazzo alzò le braccia per risistemarseli tendendo tutti i muscoli del petto, poi chinò il capo e lasciò che l’acqua gli scendesse lungo la spina dorsale. Annabeth seguì il percorso dell’acqua con lo sguardo desiderando di essere una di quelle gocce che accarezzavano il suo corpo così perfetto. Sapeva perfettamente che se Talia avesse avuto accesso ai pensieri che stava facendo in quel momento probabilmente l’avrebbe radiata dalle sue amicizie per sempre, ma era dal primo momento in cui l’aveva visto che Percy le procurava pensieri poco casti e vederlo seminudo sotto la doccia non l’aiutava certo a controllarli. Il top fu il momento in cui Percy arrotolò il costume fino all’inguine per rimuovere tutta la sabbia e così facendo scoprì la parte alta della coscia, che in confronto al resto del corpo era particolarmente pallida e pertanto pareva scolpita nel marmo, facendo andare il the di traverso ad Annabeth che tossicchiò per un minuto buono con Grover che le dava delle pacche sulla schiena per aiutarla a riprendersi.
“Scusate, mi è andato di traverso” disse Annabeth non appena fu in grado di parlare di nuovo.
“Ragazze, sapete che starei qui con voi tutto il giorno ma il dovere mi chiama, devo portare fuori Pan” disse facendo canestro con la Beck’s vuota nel cestino più vicino.
“Qualcosa mi dice che se stasera vogliamo fare qualcosa ci conviene tornare a casa ora perché Piper ci metterà due ore a prepararsi e io vorrei uscire prima dell’alba.” Ridacchiò Talia cercando l’amica con lo sguardo.
“Allora recuperiamo Piper e andiamo a casa, non vedo l’ora di farmi una doccia perché, non so come sia possibile, ma mi sento ancora la sabbia addosso” dichiarò Annabeth.
“Non dirlo a me” fece Talia indicando il suo corpo che era ancora completamente ricoperto di sabbia.
Le ragazze si alzarono simultaneamente facendo grattare le sedie in plastica sul pavimento. Talia balzò giù dalle scale con un salto mentre Annabeth lanciava un ultimo sguardo allo specchio solo per accorgersi con gran dispiacere che Percy non era più sotto la doccia.
 
“Quindi, abbiamo detto discoteca?” Gridò Piper dalla camera da letto aprendo il suo trolley che era più grande di quello di Talia e Annabeth messi insieme.
“Per la decima volta, sì!” Disse la voce esasperata di Talia dalla cucina.
“Piper, posso usare la tua piastra?” domandò Annabeth dal bagno.
“Sì certo” rispose la ragazza estraendo dalla valigia una serie di vestitini di tutti i colori e di tutte le lunghezze.
“Non starai pensando di indossare uno di quelli?” Le domandò Talia additando i vestiti che stava sparpagliando su tutto il letto.
Piper li guardò ancora una volta e poi si rivolse a Talia. “Sono troppo corti?” chiese dubbiosa.
“Sono troppo tutto!” fece lei strabuzzando gli occhi accecata dalla luce che emanavano tutte quelle paillette. “Non devi mica andare a ritirare un Oscar!”
Piper si strinse nelle spalle poco convinta e aprì un altro scompartimento della valigia da cui tirò fuori altri vestiti sotto lo sguardo attonito di Talia.
“Che ne dite?” chiese Annabeth uscendo dal bagno.
Aveva i capelli sciolti che, stirati, le raggiungevano quasi le anche, indossava dei pantaloncini scuri di jeans particolarmente corti abbinati ad un top color ciclamino legato dietro al collo e con una scollatura molto pronunciata sulla schiena.
“Dei pantaloncini più corti non li avevi?” La rimproverò Talia osservando le gambe abbronzate dell’amica che grazie al pantaloncino così corto sembravano ancora più lunghe.
Annabeth fece una smorfia e girò sui tacchi. “Ok, mi cambio, ho capito” disse abbattuta.
“No” fece Piper affacciandosi alla porta che dava sul corridoio. “Stai un gran bene, ce le avessi io delle gambe così belle” aggiunse con un po’ d’invidia.
“Sentite, mettetevi quello che volete basta che tra massimo mezz’ora siamo fuori di qui!”
Piper scelse un vestitino a tubino bianco in pizzo e lo abbinò ad un sandalo dal tacco vertiginoso mentre Annabeth infilava un sandalo decisamente meno appariscente ma non per questo meno alto.
Talia uscì dal bagno con indosso una minigonna nera e un top argentato dalla spallina sottile che richiamava perfettamente l’anellino che aveva al naso. Aveva domato i capelli con l’aiuto del gel e aveva calcato particolarmente l’eyeliner, ai piedi portava dei sandali alla schiava con un tacco che in confronto a quello delle amiche era quasi ridicolo.
“Sono le undici e mezza e siamo tutte pronte? Quasi mi commuovo.” Disse all’apice della gioia.
 
A distanza di dieci minuti, mentre camminavano dirette alla discoteca, Annabeth si era già pentita di aver indossato un paio di scarpe che non aveva mai messo prima. Stavano camminando in salita lungo la passeggiata del lungo mare e sentiva la pianta dei piedi andare a fuoco per l’attrito della pelle con la suola della scarpa. Si sforzò di non lamentarsi anche se era certa che quelle dannate scarpe avrebbero finito per compromettere la sua serata.
“Quanto manca?” domandò Piper che, anche se non lo dava a vedere, probabilmente aveva lo stesso problema di Annabeth.
“Non molto” disse Talia che procedeva a passo spedito, “la discoteca è quella che vedete laggiù, dove ci sono quelle luci verdi.”
“Wow!” Esclamò Piper. “Ma è a picco sul mare!”
“Sì, è spettacolare, c’è un motivo se è la discoteca più famosa della zona!”
Quella frase fece accendere una lampadina nella testa di Annabeth. Se stavano andando nella discoteca più famosa della zona, significava che stavano andando nello stesso posto in cui Talia aveva detto che Percy passava i mercoledì sera a sbronzarsi al bancone del bar, quindi c’erano buone probabilità che l’avrebbero incontrato.
“Venite” disse Talia facendo strada alle amiche lungo la scalinata arzigogolata che scendeva lungo la costa e conduceva ad una terrazza posizionata lungo la scogliera a picco sul mare. Essendo abbastanza presto la musica era ancora lounge e le ragazze ne approfittarono per bere un drink in uno dei tavoli a bordo pista dove sia Piper che Annabeth furono liete di poter far riposare i piedi.
“Questo giro lo offro io” annunciò Talia che aveva già tre drink fra le mani, “coca-malibù per tutte!”
“Giusto per sapere... quanti sono i giri previsti?” S’informò Piper mentre brindavano.
“Se questo l’ha offerto Talia significa che a noi toccherà fare lo stesso” intuì Annabeth, “quindi, direi non meno di tre!”
Talia annuì con decisione e insieme bevvero il loro drink osservando la scalinata da cui continuava a scendere gente di ogni tipo. Di tanto in tanto le ragazze si guardavano commentando qualche bel fusto che compariva loro davanti o ridacchiando alla vista di qualche look improbabile.
La musica cominciò a cambiare nel momento in cui tutte e tre le ragazze finirono il loro drink e Piper sfoderò il portafoglio dalla borsa dicendo che al secondo giro ci avrebbe pensato lei. Fece segno alle ragazze di seguirla al bancone perché parlare cominciava a diventare complicato visto che il volume della musica si era alzato di parecchi decibel.
“Io un long island” disse Talia sgolandosi per assicurarsi che il barman capisse la sua ordinazione.
Annabeth tentò di avvicinarsi al bancone del bar ma qualcuno la spintonò bruscamente facendola girare di centottanta gradi e barcollare nel tentativo di mantenere l’equilibrio. La ragazza si voltò decisa ad insultare il cafone che l’aveva travolta, ma in quel momento notò Percy che scendeva la scalinata. Era solo, e soprattutto era vestito, cosa che ad Annabeth fece uno strano effetto dal momento che era abituata a vederlo in costume da bagno. Indossava un jeans lungo, scuro, e una t-shirt grigia chiara con una stampa confusa sul davanti. Annabeth lo vide fermarsi sull’ultimo gradino della scala ed estrarre il cellulare dalla tasca dei jeans, poi Piper la prese per una spalla chiedendo cosa volesse da bere.
“Un vodka lemon” tagliò corto Annabeth che si rigirò subito per non perdere Percy di vista, ma era troppo tardi. Il ragazzo doveva essersi appena mescolato alla folla e ora le era impossibile identificarlo.
“Tutte in pista” urlò Talia rifilando ad Annabeth il suo drink e trascinandosela nel centro della pista dove cozzarono con Grover che si stava esibendo in qualche passo di Hip-hop.
“Stavi per rovesciarmelo addosso!” Sbraitò Piper indicando il suo vestito candido con gli occhi fuori dalle orbite.
“Davvero credi che riuscirai a tornare a casa con quel vestito intonso?” ridacchiò Grover rubando un sorso di long island a Talia.
“Difenderei questo abito di Armani a costo della mia stessa vita!” Dichiarò lei come se stesse pronunciando un giuramento. In quell’esatto momento qualcuno la spintonò da dietro facendole versare metà bicchiere sul vestito, macchiandolo all’altezza del seno, mentre Annabeth, Talia e Grover scoppiavano a ridere incapaci di trattenersi.
Piper cambiò espressione, era così sconvolta che non riusciva nemmeno a parlare e fu solo dopo una pausa di mezzo minuto che annunciò di voler tornare a casa.
“Neanche per sogno” l’aggredì Talia.
“Talia, ma questa macchia non andrà più via!”
“Oh si che andrà via invece” la rassicurò Talia.
“Davvero?” chiese Piper speranzosa, “e come?”
“Finendo il resto del cocktail in un sorso e bevendone altri due, sono certa che ti dimenticherai di quella macchia.”
“Funziona sempre” le fece seguito Grover annuendo deciso.
“Vi odio!” sentenziò la ragazza pestando un piede per terra.
“Un motivo in più per bere” intervenne Annabeth, “alla fine di quel cocktail vorrai più bene a tutti noi!”
Piper squadrò tutti e tre con odio, poi tracannò quello che restava del suo drink facendo una serie di smorfie.
“Vado a cercare un bagno” annunciò posando il bicchiere vuoto sul primo tavolo disponibile, e così dicendo sparì verso il lato opposto della discoteca.
“Non credo sia saggio lasciarla vagare da sola con addosso quel vestito e due drink in corpo” urlò Annabeth per farsi sentire da Talia.
“Ottima osservazione” convenne lei, “seguila!”
“Come sarebbe seguila? Perché ci devo andare io?”
Ma Talia aveva già ricominciato a ballare con Grover e lei si arrese all’idea di dover cercare Piper da sola, sperando che non fosse già finita tra le grinfie di qualche marpione.
Si fece largo tra la folla sollevando il cocktail per evitare di fare la fine della sua amica, e dopo una serie di gomitate e pestate di piedi riuscì a raggiungere il bancone del bar cui si appoggiò di peso, distrutta da quell’impresa.
“Ciao” disse una voce familiare alla sua sinistra. Annabeth si voltò e vide Percy seduto su uno sgabello davanti al bancone. Tra le mani aveva un piccolo bicchiere in vetro che, a giudicare dall’odore che emanava, poteva essere pieno solo di whisky.
“Ciao!” Esclamò Annabeth ricomponendosi immediatamente.
“Dove sono le altre?” Le chiese sollevando il piccolo bicchiere e portandoselo alla bocca.
“Piper è in bagno, almeno spero, e Talia è in mezzo alla pista che balla con Grover, perché non ti unisci a noi?” Gli propose senza imbarazzarsi. Dopo la partita di beach volley le veniva un po’ più facile parlargli.
“Grazie dell’invito” disse lui increspando le labbra in una smorfia, “ma non mi è concesso raggiungere il centro della pista.”
Annabeth si accigliò e occupò lo sgabello libero accanto a lui, almeno non avrebbe più dovuto urlare.
“Cosa vuol dire che non ti è concesso raggiungere il centro della pista?” Chiese ridendo per l’assurdità di quell’affermazione.
Percy ordinò al barman un altro bicchiere di whisky e si strinse nelle spalle.
“C’è un’ordinanza restrittiva che m’impedisce di stare a meno di venti metri dal DJ” spiegò Percy fissando il bicchiere che il barman aveva già provveduto a riempirgli, “e si da il caso che il centro della pista sia a meno di dieci metri da lui.” Aggiunse con una mezza risata.
“Ok” esordì Annabeth un istante dopo aver finito il suo drink, “stai scherzando vero?”
“No” disse Percy ridendo di gusto, “neanche un po’!”
“Li vedi quei due energumeni alle sue spalle?” le domandò indicando la postazione del DJ. Annabeth si voltò e annuì.
“Se mi avvicino troppo mi allontanano, e fidati, i loro modi non sono particolarmente gentili.”
Annabeth si lasciò contagiare dal suo sorriso e si trovò a ridere con lui per poi farsi di nuovo seria e chiedere: “cosa diavolo hai fatto per beccarti un’ordinanza restrittiva?”
Annabeth sapeva la risposta a quella domanda ma ormai si era lanciata in quella conversazione e Percy, forse complice il whisky, non sembrava nemmeno troppo a disagio nel parlarne.
“Perché tre settimane fa gli ho spaccato la faccia” le rivelò come se fosse la cosa più normale del mondo.
In quel momento il cellulare di Percy, che era posato sul bancone accanto al suo bicchiere, s’illuminò rivelando come sfondo una ragazza con le lentiggini e i capelli rossi e mossi ritratta nell’atto di baciarlo appassionatamente.
A quanto pareva Talia aveva proprio ragione, se Percy aveva come sfondo del cellulare la foto della sua ex significava che era proprio sotto un treno.
Percy ignorò la chiamata e svuotò il secondo bicchiere.
“Cosa ti offro?” Domandò facendo segno al barman di riempirgli nuovamente il bicchiere.
Annabeth avvampò mentre sentiva un sorriso ebete comparirgli sul volto. “No, no ti ringrazio” disse facendo segno di no con entrambe le mani.
“Dai, insisto, e poi se tu non bevi niente mi fai fare la figura dell’alcolizzato.” Protestò lui richiamando l’attenzione del barman per l’ennesima volta.
“La signorina vorrebbe…”
“Un long island” improvvisò Annabeth dicendo il nome del primo cocktail che le passò per la mente.
“E tu?” domandò lei appoggiandosi al bancone, “come mai bevi solo whisky?”
“Perché so esattamente quanti ne posso bere” spiegò Percy con un sorriso furbo.
“Ah capisco, quindi si tratta di una decisione presa con saggezza” lo schernì lei mentre il barman le metteva davanti il suo drink.
“Molta saggezza” confermò lui, “con cinque di questi” disse indicando il bicchiere, “riesco ancora a tornare a casa con le mie gambe.”
“Mi sembra una gran cosa” commentò lei.
“Al sesto comincio a diventare molesto, e al settimo…”
“Ti becchi l’ordinanza restrittiva” concluse Annabeth bevendo il suo drink.
Percy fece un cenno col capo come a dire che aveva ragione e poi tornò a concentrarsi sul suo bicchiere.
“Giusto per informazione” disse lei giocando con la cannuccia, “al momento a che bicchiere sei?”
“Al quinto” ammise Percy, “tranquilla, non sono ancora molesto.”
“Ok, fammi indovinare” disse Annabeth che incominciava a sentire l’effetto dei tre drink, “la causa dei cinque bicchieri di whisky è lei?” domandò indicando lo schermo del telefono che si era illuminato di nuovo a causa di un messaggio in arrivo.
Percy si rabbuiò improvvisamente e si affrettò a spegnere lo schermo del telefono.
“Può darsi” rispose vago abbassando lo sguardo.
“Beh, a me sembra un gran peccato starsene qui a bere quando potremmo ballare” e così dicendo scese dallo sgabello traballando sui tacchi e costrinse Percy a fare lo stesso.
“No, no, Annabeth, ti ho detto che non posso” biascicò Percy, la bocca ancora impastata dal whisky.
“Ma sì, stiamo qui a bordo pista, così non infrangerai la tua ordinanza restrittiva” gli disse mettendogli un braccio al collo per avvicinarsi il più possibile al suo orecchio.
Annabeth si rese conto di essere un po’ su di giri, come se i tre cocktail che aveva bevuto avessero deciso di presentarle il conto tutti insieme. Ciononostante manteneva una certa lucidità, anche se di tanto in tanto le veniva da ridere senza motivo.
Percy era in equilibrio precario, i suoi occhi erano semichiusi e lui non riusciva ad articolare bene tutte le parole, Annabeth cominciò a dubitare che dopo cinque whisky fosse effettivamente in grado di tornare a casa con le sue gambe.
“Signor Jackson!” Ruggì uno dei due energumeni che aveva momentaneamente abbandonato la postazione del DJ e camminava verso di loro minacciosamente, “c’è un’ordinanza restrittiva che le proibisce di stare a questa distanza, devo chiederle di abbandonare il locale.” E così dicendo afferrò Percy per un braccio e lo strattonò verso la scalinata dove cozzò violentemente contro il muretto.
“Ehi, è colpa mia, non sapevo che non potesse avvicinarsi, sono io che l’ho trascinato in pista.” Improvvisò Annabeth che si sentiva responsabile per quanto stava accadendo.
“Non preoccuparti Annabeth, vado a casa, tanto le mie serate qui finiscono sempre più o meno così.” Ammise mentre si rialzava a fatica tenendosi il fianco, trascinandosi verso l’uscita.
Appena fuori, Percy sentì un rumore di tacchi che si avvicinavano alle sue spalle. Istintivamente si voltò e riconobbe Annabeth che camminava verso di lui lottando con la tracolla della borsetta che le si impigliava nei capelli.
“Aspetta” disse avvicinandosi, “ti accompagno.”
Percy scoppiò a ridere. “Guarda che spetta agli uomini accompagnare a casa le ragazze, non il contrario.”
“Non se questi si sono bevuti un litro di whisky e zoppicano.”
“Non sto zoppicando” protestò lui, “è solo una botta, adesso mi passa.”
“Sì, ok però ti hanno buttato fuori per colpa mia e mi hai anche offerto da bere quindi sono in debito con te, ti accompagno a casa, fine della discussione.”
“Ma se non sai nemmeno dove abito!”
“Hai ragione, ma confido che tu lo sappia e comunque non puoi abitare a più di dieci minuti da qui se tutti i mercoledì sera riesci a tornare a casa da solo in queste condizioni.”
“Non male Sherlock!” La derise lui abbracciandola con un po’ troppa veemenza.
“Dai Watson, vedi di camminare dritto!”
“Senti chi parla!”
“Ho dodici centimetri di tacchi sotto i piedi, vorrei vedere te!” Disse lei prendendolo a borsettate mentre il suo iphone le annunciava l’arrivo di un messaggio con un bip.
Annabeth smise di picchiare Percy solo per recuperare il telefono dalla borsa e scoprire che il messaggio era di Talia e diceva: “ma ti hanno rapita gli alieni? Dove diavolo sei, non farmi preoccupare!”
 
Nel centro della pista Talia prese Piper per mano e la trascinò lontano dalla cassa per poterle parlare.
“Ho mandato un messaggio ad Annabeth cinque minuti fa e non ha ancora risposto!” Le disse preoccupata. “Hai idea di dove sia?”
“Quando sono uscita dal bagno ho visto che era al bancone che beveva con Percy, così ho pensato di non disturbarli” spiegò Piper facendo una serie di gesti poco fini per far capire a Talia che secondo lei Annabeth quella sera avrebbe interrotto il suo digiuno sessuale.
Talia sgranò gli occhi.
“Piper è un’ora che ti dico che sono preoccupata per Annabeth e tu me lo dici solo adesso?”
“Ah, non te l’avevo già detto?” fece Piper rivelando di essere molto poco sobria.
“Perché ho un’amica scema e un’altra testarda?” si domandò Talia ad alta voce.
“Ubriaca non testarda!” precisò Piper alzando un dito.
“Guarda che tu sei quella scema!”
“Ah” bofonchiò Piper abbattuta.
 
Annabeth ci mise cinque minuti buoni a rispondere al messaggio di Talia. La luce dello schermo era accecante e il correttore automatico le stava creando qualche problema. Al decimo tentativo riuscì a scrivere qualcosa che, con una buona dose d’interpretazione, l’amica avrebbe potuto capire.
“Tutto sig, lasciarmi l’apporto aperta prrve non so quando torno”
Spense il telefono e lo ripose nella borsetta. Percy camminava, o meglio ciondolava, poco più avanti, la testa bassa e le mani in tasca.
Fece una piccola corsetta per raggiungerlo e si aggrappò al suo braccio destro poggiandogli la testa sulla spalla. Lui barcollò lievemente sbilanciato dal suo peso ma continuò a camminare senza dire una parola.
“Siamo arrivati” annunciò dopo aver svoltato in un paio di vicoli interni al paese ed essersi fermato davanti ad un piccolo portone di legno.
“Bene” fece Annabeth staccandosi dal suo braccio e riacquistando una postura semieretta.
Percy tentennò un momento, poi guardò Annabeth e disse: “adesso ti accompagno a casa io.”
Annabeth scoppiò a ridere. “Ma se tu mi accompagni a casa poi io ti devo riaccompagnare qui!”
“No, no, ci torno da solo” insisteva lui appoggiato al portone.
“Ma io non ho le chiavi, devo aspettare Talia per entrare in casa!”
“Questo potrebbe essere un problema” dichiarò Percy facendosi improvvisamente serio.
“Un bel problema” annuì Annabeth che moriva dalla voglia di rimanere chiusa in una stanza con lui.
“Facciamo così” propose grattandosi il capo mentre con l’altra mano estraeva le chiavi dalla tasca, “tu adesso scrivi a mia cugina di venire a prenderti qui, e intanto che l’aspettiamo ti offro qualcosa da bere.”
“Non abbiamo bevuto abbastanza?” domandò lei che sentiva già lo stomaco in fiamme solo all’idea di ingerire altro alcol.
Percy inserì le chiavi nella toppa e aprì il portone che dava su un piccolo cortile interno dove si affacciavano una serie di appartamenti.
“Perché invece di bere non mi fai vedere casa tua?” propose Annabeth seguendolo verso l’ingresso dell’ultimo appartamento.
“Non c’è molto da vedere… è un monolocale” spiegò Percy stringendosi nelle spalle. “Hai scritto a Talia?”
“Si, si, stanno arrivando” mentì Annabeth mentre entravano in casa.
“Scusa il disordine” disse lui richiudendo la porta e gettando le chiavi sulla mensola, “non sono abituato ad avere ospiti.”
Disordine era decisamente riduttivo ma ad Annabeth non importava più di tanto, l’unica cosa che le importava era che ci fosse un letto e quello c’era, e sembrava anche comodo.
“Ti dispiace se mi tolgo le scarpe?” domandò Annabeth sedendosi sul letto per slacciarsi i sandali che le avevano distrutto i piedi per tutta la sera.
Percy si soffermò un momento a guardarle le lunghe gambe dall’abbronzatura dorata, poi scosse il capo per riprendersi e fece un’alzata di spalle come a dire che non gli importava.
“Vuoi dell’acqua?” le chiese estraendo due bicchieri dalla credenza.
 “Grazie” gli disse senza staccargli minimamente gli occhi di dosso. Percy si accorse solo in quel momento che erano grigi come il mare in tempesta.
Le sorrise distogliendo lo sguardo imbarazzato mentre le si sedeva accanto, completamente a pezzi.
“Come va il fianco?” chiese lei indicando il punto in cui aveva sbattuto contro il muretto.
Percy si strozzò con l’acqua. “Meglio, te l’ho detto che passava” tossicchiò mentre sentiva la schiena e il collo che iniziavano a sudare.
“Ma se non hai nemmeno guardato se c’è il livido” protestò Annabeth poggiando a terra il bicchiere. “Togliti la maglietta” ordinò rigirandosi verso di lui.
“No” fece Percy arrossendo violentemente.
“Stai senza maglietta tutti i giorni in spiaggia e ti fai problemi a togliertela a casa tua?” lo provocò mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
Percy sprofondò nel letto sotto il peso di lei e da sdraiato si rese conto di quanto la testa gli girasse. Annabeth gli sfilò la maglietta prima che lui potesse dire qualunque cosa e sentì un’ondata di calore che saliva dal basso ventre mentre rimirava il suo addome perfettamente scolpito. Alla base dell’anca sinistra, proprio dove cominciava la V, c’era una sbucciatura corredata da un livido violaceo.
“Guarda” gli disse sfiorandogli la botta. Percy si sforzò di sollevare il capo nonostante la testa gli pesasse enormemente e per farlo Annabeth lo vide contrarre gli addominali e non poté fare a meno di tastarli.
Percy si lasciò cadere nuovamente sul letto mentre le mani di Annabeth lo esploravano avidamente. Dove diavolo era Talia?
Non era sicuro di volere quello che stava per accadere e non era nemmeno tanto sicuro di riuscire a fare quello che lei si aspettava.
“Annabeth” mugugnò mentre lei strusciava il bacino contro il suo. La testa aveva cominciato a pulsare fastidiosamente e Percy si puntellò sui gomiti per risollevarsi sperando che la testa smettesse di pesargli così tanto. Chiuse gli occhi un momento, infastidito dalla luce, e quando li riaprì vide Annabeth sfilarsi il top che indossava rivelando che sotto non indossava niente. I capelli le ricadevano sui seni lasciando a Percy la fantasia di immaginarseli e fu in quel momento che ebbe l’impulso irrefrenabile di baciarla. Con un colpo di reni le si avvicinò portando la bocca all’altezza della sua, ma lei lo frenò mettendogli una mano sulla sulle labbra, obbligandolo a sdraiarsi di nuovo.
“Sta arrivando Talia” disse lui con affanno, “forse è meglio se ti rivesti.”
“Shh” fece lei premendogli un dito sulle labbra. “Mi sembri nervoso, perché non ti rilassi un po’?”
Era vero, Percy si sentiva parecchio nervoso oltre che stanco, l’istinto naturale era quello di saltarle addosso ma, oltre a non essere al top della forma, il suo cervello continuava a pensare a Rachel.
Sentì Annabeth allentargli la cintura e si pentì di aver bevuto così tanto. Le afferrò le mani nel tentativo di fermarla ma lei si divincolò dicendo: “Che hai? È per la tipa della foto?”
“No” mentì lui, “è che sono troppo ubriaco” ammise poggiandosi suoi gomiti, “e tu sei troppo poco vestita” aggiunse notando un seno che spuntava dai lunghi capelli biondi.
“Non importa se sei ubriaco” disse slacciandogli i pantaloni, “faccio tutto io, tu devi solo rilassarti.” E così dicendo gli premette una mano sul petto obbligandolo a sdraiarsi di nuovo.
Percy sentì le forze che lo abbandonavano, la testa girava e anche lo stomaco sembrava aver qualcosa da dire in proposito. Chiuse gli occhi sperando che la testa si facesse più leggera ma in quel momento sentì Annabeth introdurre una mano all’internò dei boxer mentre un brivido gli risaliva la schiena.
Annabeth lo vide fare una smorfia mentre muoveva lentamente la mano provocandogli piacere e dopo qualche secondo notò che aveva regolarizzato il respiro. Gli si strusciò addosso nel tentativo di eccitarlo di più e fu solo in quel momento che si accorse che dormiva profondamente.
“Ehi!” Esclamò scocciata, ma Percy non reagì. “Percy!” Sbraitò dandogli una pacca sul petto. Il ragazzo incassò il colpo e si girò sul fianco continuando a dormire.
“Non ci credo” disse Annabeth alzandosi di scatto dal letto. S’infilò il top e recuperò borsetta e scarpe guardandosi bene dall’indossarle. Guardò un’ultima volta Percy che dormiva e, delusa, uscì dall’appartamento scalza. Diede un’occhiata al cellulare scoprendo che erano le quattro del mattino, poi si avviò verso casa, che, fortunatamente, distava solo un paio di vie.

Angolo dell'autrice: Ciao a tutti. Intanto grazie per aver letto fino a qui e grazie soprattutto a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate. So che i primi due capitoli sono stati principalmente introduttivi, ma ci tengo a dirvi che con questo si inizia a fare sul serio. Dato che ho già scritto anche i prossimi capitoli posso garantirvi che sarà un crescendo continuo e spero che continuerete a seguire la storia con entusiasmo e curiosità. Se avete voglia fatemi sapere se il capitolo è stato di vostro gradimento lasciando un commento :-)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Giovedì ***


GIOVEDì

 
 
“Non hai nulla da dirci?” Domandò Talia rompendo il silenzio che regnava in cucina dal momento in cui si erano alzate per fare colazione.
Piper era bianca come un cadavere e Annabeth sembrava avere un diavolo per capello.
“Vi devo un giro di drink” disse in tono piatto imburrando una fetta di pane tostato.
“Mi riferivo al fatto che sei sparita e sei rientrata stamattina alle quattro passate… ti ho sentita sai?”
“Io no, ero tipo in coma” ammise Piper, le mani premute sulle tempie nel tentativo di bloccare il mal di testa.
“Senti, vuoi dirmi cosa diavolo succede? Non hai esattamente la faccia di una che ha scopato tutta la notte” sbottò Talia notando la faccia particolarmente imbronciata dell’amica.
“I casi sono due” disse Piper sorseggiando il caffè, “o le cose non sono andate come pensavamo… o tuo cugino a letto fa pena.”
Talia le lanciò un’occhiataccia e lei ammutolì concentrandosi sul suo caffè.
Annabeth sbuffò poggiando violentemente la tazza di latte sul tavolo.
“Non ci sono andata a letto, è chiaro?” Ammise parecchio seccata.
“Io ti ho avvisata che era un caso disperato” disse Talia decisamente sollevata.
“La sua ex non c’entra nulla” brontolò Annabeth, “è che si è addormentato mentre gli facevo… va beh non ha importanza.”
“Oh si che ha importanza invece!” Esclamò Piper che sembrava essersi rianimata e ora moriva dalla voglia di conoscere i dettagli.
“No grazie” intervenne Talia facendo segno ad Annabeth di fermarsi, “io non lo voglio sapere, è sempre mio cugino!”
Piper roteò gli occhi, scocciata, mentre il telefono di Talia s’illuminava segnalando una chiamata in arrivo da parte di suo fratello Jason.
“Dimmi che non mi stai chiamando per quello penso!” Esordì lei rispondendo alla chiamata ed evitando i convenevoli.
“La sette! Sono vent’anni che l’uscita per venire al mare è sempre la sette, possibile che non te la ricordi mai? Va beh, tra quanto arrivi? Ok, beh, noi ci siamo appena svegliate, siamo reduci da una serata… impegnativa” disse osservando con attenzione le facce delle amiche che erano parecchio provate. “Ci si vede in spiaggia più tardi” aggiunse un attimo prima di chiudere la chiamata.
“C’è un motivo se mio fratello e mio cugino vanno d’amore d’accordo” disse poggiando il cellulare sul tavolo, “sono storditi uguale!”
“Cosa dite?” domandò dopo un paio di minuti, “ce la facciamo ad andare in spiaggia o avete intenzione di starvene in pigiama tutto il giorno?”
 
Verso l’una le ragazze raggiunsero la spiaggia e crollarono sui loro lettini come se avessero appena finito di correre una maratona. Talia si addormentò a pancia in giù mentre Piper leggeva l’oroscopo e Annabeth scrutava l’orizzonte felice di sapere che per quel giorno non correva il rischio di incrociare Percy. Per un attimo si domandò se si fosse già svegliato e se avesse qualche ricordo di quanto era avvenuto, o meglio, non era avvenuto fra loro, ma poi scacciò l’immagine del cugino di Talia dalla mente e s’infilò gli auricolari nelle orecchie.
Un attimo dopo Piper le strappò via le cuffie e la costrinse ad alzarsi.
“Ok, adesso che Talia dorme puoi raccontarmi tutto!” Disse entusiasta mentre si allontanavano dall’ombrellone dirette al bagnasciuga.
“In realtà c’è molto poco da dire” ammise Annabeth disegnando un semicerchio nella sabbia con i  piedi, “l’ho incrociato che beveva whisky al bancone del bar e mi ha offerto un drink, abbiamo parlato un po’ e lui mi ha raccontato quello di cui ci ha parlato Talia l’altra mattina. Il fatto è che lei non sa proprio tutto perché a quanto pare dopo la rissa di cui ci ha parlato, Percy si è beccato un’ordinanza restrittiva…”
“Un’ordinanza restrittiva?” le fece eco Piper buttando un’occhiata a Talia per controllare che dormisse.
“Sì, non può avvicinarsi al DJ, e se lo fa le sue guardie del corpo lo buttano fuori in malo modo. E questo è quello che è successo ieri sera, l’hanno buttato fuori perché io l’ho trascinato in pista. Mi sono sentita in colpa, così l’ho inseguito fuori e l’ho accompagnato a casa.”
“Quindi sei stata a casa sua?”
“Sì”
“Beh, ma allora quello che dice Talia riguardo al fatto che è cotto della sua ex non è vero, se ti ha fatto entrare in casa evidentemente anche lui aveva una mezza idea di fare qualcosa.”
Annabeth scosse il capo. “No, mi ha fatto entrare solo perché gli ho detto che voi mi stavate venendo a prendere, ma ovviamente non era vero.”
“Furba la mia amica!” Commentò Piper facendole l’occhiolino.
“Sì, talmente furba che non riesco nemmeno a portarmi a letto un ragazzo, anzi, a quanto pare li faccio proprio addormentare, non c’è da stupirsi che Luke mi abbia tradita!” Disse lasciandosi andare ad un piccolo sfogo.
“Ehi” le disse Piper prendendole la testa tra le mani, “Luke è un coglione e tu devi smettere di pensare a lui, soprattutto quando ti affacci a nuove esperienze!”
“Ma Piper, quello che è successo ieri sera è stato emotivamente terribile, si è addormentato, ti rendi conto? Mi sono sentita rifiutata e adesso ho l’autostima sotto i piedi!”
“Annabeth, lui non ti ha rifiutata, era sbronzo, se avesse bevuto un po’ di meno sono certa che adesso mi staresti raccontando le vostre avventure sotto le lenzuola, quindi adesso smettila di piangerti addosso e fai la persona seria.”
Il discorso fu interrotto dalle grida di un paio di ragazzi che fecero il loro ingresso in spiaggia decisi a farsi notare. Annabeth vide un ragazzo biondo, piuttosto alto, che indossava occhiali da sole con lenti a specchio e una canottiera nera con una stampa che riproduceva un cielo squarciato da una serie di fulmini, degno di un film catastrofico. Al suo fianco trotterellava un ragazzo più minuto. Aveva i capelli neri e scombinati e indossava un costume mimetico lungo fino al ginocchio. In spalla portava una vecchia radio tutta rattoppata da cui usciva musica elettronica ad alto volume che fece voltare praticamente tutti i bagnanti.
“Ma chi sono questi due personaggi improbabili?” domandò Piper infastidita dalla musica che rimbombava in tutta la spiaggia.
“Non vorrei dire una stupidaggine, ma penso che sia Jason col suo amico.”
“Stai scherzando?”
“No, guarda un po’” disse Annabeth indicando i due ragazzi che stavano svegliando Talia in malo modo.
“Qualcosa mi dice che ci tocca andare a presentarci.”
Le amiche si scambiarono un’occhiata di conforto, poi tornarono all’ombrellone dove Talia stava salutando i ragazzi.
“Leo, ti prego, spegni quell’affare!” Implorava Talia indicando la vecchia radio.
“Ma è una radio del dopoguerra!” Esclamò lui saltellando. “Ho finito di ripararla l’altro ieri, ho salvato i componenti principali e ho fatto qualche aggiunta di mio gusto, è perfetta per la spiaggia!” Spiegò accarezzandola con orgoglio.
“A che scopo prendersi la briga di riparare una vecchia radio quando tutti noi abbiamo un telefono in grado di contenere almeno mille canzoni e possiamo sentirle senza svegliare tutta la spiaggia?” chiese Piper che non vedeva l’utilità di quel ciarpame.
Leo ammutolì, messo con le spalle al muro dall’osservazione di Piper o forse solo dalla sua bellezza.
“Ecco le mie amiche” disse Talia facendo le presentazioni.
I ragazzi si tolsero gli occhiali per educazione e si presentarono sebbene Jason avesse già visto sia Piper che Annabeth in passato.
“Da quanto tempo” disse Jason stringendo la mano di Piper che notò immediatamente il tatuaggio di cui Talia aveva parlato qualche giorno prima.
“Già” disse lei timidamente spostando lo sguardo dal suo avambraccio ai suoi occhi azzurrissimi. La stretta di mano durò un po’ più del necessario. Jason sembrava incantato, poi, quando si rese conto di essersi inebetito per qualche secondo, ritirò la mano e si rivolse alla sorella. “E Percy dov’è?”
“A smaltire la sbornia di ieri sera, dove vuoi che sia?” disse Talia stringendosi nelle spalle.
“Ah già che oggi è giovedì, ma ancora per quella poco di buono di Rachel?” chiese incredulo.
“Già, perché non gli fai un’imboscata a casa e provi a rimettergli in sesto il cervello?” propose Talia, “magari a te dà retta.”
“Lo escludo, ne abbiamo già parlato, sai com’è fatto… e poi se non ti dispiace io vorrei farmi un bagno!” E così dicendo si sfilò la canottiera e la gettò in faccia a Talia che lo squadrò con odio mentre lui correva verso il mare seguito da Leo che abbandonò la sua preziosa radio sulla spiaggia.
“Ok, la pacchia è finita, abituatevi all’idea di averli fra i piedi!” Disse Talia guardando il fratello che sguazzava in mare in compagnia dell’amico.
 
Due ore più tardi Annabeth si decise a fare un bagno perché la temperatura cominciava a farsi insopportabile. Chiese alle amiche di farle compagnia ma entrambe grugnirono qualcosa che suonava come un “adesso no, magari dopo”.
Raggiunse la riva del mare correndo per non ustionarsi i piedi con la sabbia bollente e si fermò qualche secondo con l’acqua fino alle caviglie godendosi il refrigerio.
Poco dopo s’immerse completamente e nuotò a stile libero fino alla boa dove si arrampicò con qualche difficoltà a causa della superficie scivolosa. Una volta sopra si sdraiò a pancia in giù e chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalle onde.
Fu svegliata qualche minuto più tardi da qualcuno che saliva sulla boa con molta poca grazia, facendola sballottare a destra e a sinistra.
Annabeth si voltò per guardare chi fosse la causa di tutto quel movimento e vide Percy fare leva sulle braccia per issarsi sulla boa, i capelli bagnati e gli occhi perfettamente intonati al colore del mare. Per essere reduce da una serata carica di alcol sembrava essersi ripreso abbastanza in fretta.
“Ciao” la salutò.
“E tu che cavolo ci fai qui?” domandò lei che non si aspettava di rivederlo prima dell’indomani.
“Oh, scusa, non sapevo che la boa fosse tua” scherzò lui poggiandosi sui gomiti.
Annabeth era a disagio. In quel momento Percy era l’ultima persona che voleva vedere e non sapeva nemmeno cosa dirgli.
“Non era il tuo giorno libero oggi?” chiese con freddezza rannicchiandosi dal lato opposto della boa.
“Sì, infatti sono qui in borghese” sorrise lui, “avevo voglia di fare una nuotata.”
Annabeth annuì e fece un sorriso di circostanza.
“Beh, io torno a riva.” Fece per alzarsi ma Percy le sfiorò una mano pregandola di aspettare un istante.
Lei fece un gesto di stizza scacciando la sua mano e poi in tono brusco disse: “cosa c’è?”
“Ascolta… io ho dei ricordi confusi per quanto riguarda ieri sera” ammise fissando il fondo della boa, “ma a giudicare dal modo in cui mi eviti non devo essermi comportato troppo bene, quindi ti chiedo scusa.” La parte finale la disse sforzandosi di guardarla negli occhi anche se la cosa si rivelò più difficile del previsto.
“Che?” fece Annabeth che faticava a credere alle sue orecchie.
“Sì, beh, ricordo che sei stata a casa mia, ma stamattina non c’eri, non hai lasciato né biglietti né altro, quindi immagino che devo aver fatto qualcosa di sbagliato.” Spiegò lui spostando continuamente gli occhi per evitare di incappare di nuovo nel suo sguardo gelido.
“Senti, non so cosa ti ricordi di preciso ma posso garantirti che non abbiamo fatto sesso, se è questo che ti preoccupa tanto.”
Percy trasalì come se quella rivelazione avesse scombussolato i suoi offuscati ricordi. Annabeth lo vide accigliarsi come se stesse tentando di risolvere un enigma complicato e decise di essere più chiara.
“Ok, è evidente che i tuoi ricordi non sono molto affidabili…”
“Com’è possibile che io mi ricordo di te seminuda se non abbiamo fatto sesso?”
“Perché l’avremmo fatto se tu non avessi bevuto tutto quel whisky e non ti fossi addormentato mentre…”
“Mentre?” chiese timidamente Percy.
“Durante i preliminari” tagliò corto lei che non voleva perdere tempo a raccontare i dettagli.
A Percy servì qualche secondo per metabolizzare quella notizia e non poté fare a meno d’imbarazzarsi, era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. Girò la testa leggermente verso destra e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.
“L’avremmo fatto perché eravamo ubriachi” sentenziò guardandosi bene dall’incrociare lo sguardo di Annabeth.
“Parla per te” disse lei in tono freddo e distaccato. Percy non reagì e Annabeth pensò che stesse ancora meditando sulla figuraccia della sera precedente.
“Bene, ora che abbiamo chiarito i magnifici avvenimenti di ieri sera posso anche andarmene.” Dichiarò portandosi al limite della boa pronta a tuffarsi.
Avvenne tutto in un attimo. Annabeth si tuffò di testa dalla boa che oscillò mentre Percy la guardava sparire sotto la superficie dell’acqua dove si contorse e riemerse tra gli spruzzi gridando di dolore.
“Che succede?” domandò allarmato sporgendosi dalla boa.
“Non lo so” gemette spaventata, “ho sentito come una fortissima scossa alla gamba sinistra e poi, boh, non capisco.”
La parola scossa fece accendere una lampadina nella mente di Percy che scrutò attentamente la superficie dell’acqua e individuò la causa del problema. Nonostante si trovasse a circa un metro di profondità, l’acqua era così limpida e trasparente da rendere perfettamente visibile una medusa. Sebbene fosse di piccole dimensioni, era facilmente identificabile per via della sua forma squadrata. Carybdea marsupialis, si disse Percy osservandone i quattro lunghi tentacoli che si dipartivano dai margini dell’ombrello.
Percy si tuffò immediatamente in acqua e circondò Annabeth con un braccio, spostandola dalla traiettoria della medusa che era in movimento.
“Stai tranquilla” la rassicurò sorreggendola.
“Mi fa male la gamba, non riesco a nuotare” disse lei con voce strozzata.
“Ti ha punta una Carybdea marsupialis
“Una cosa?” chiese Annabeth ansimando.
“Quella” disse Percy indicando la medusa che fluttuava a circa quaranta centimetri da loro.
“Ma è una medusa!” Strillò Annabeth terrorizzata stringendosi più forte a Percy che riusciva a stento a stare a galla.
“Non agitarti” le suggerì lui.
“Ma non riesco a nuotare!” Protestò lei in preda al panico, la gamba che pulsava per il dolore.
“Ci sono qui io, e si dà il caso che sia un bagnino, sono addestrato per situazioni come questa. Adesso stringiti a me e lascia che ti riporti a riva.”
Quelle parole ebbero un effetto calmante su Annabeth, che si tranquillizzò e lasciò che Percy cominciasse a nuotare. Effettivamente non avrebbe potuto sperare che ci fosse nei paraggi una persona più indicata per soccorrerla, anche se quella persona era la stessa che fino a cinque minuti prima non avrebbe nemmeno voluto vedere.
La boa distava parecchi metri da riva, ciononostante Percy continuò a nuotare senza dare il minimo segno di stanchezza. Annabeth si era azzittita e soffriva in silenzio stretta al suo petto.
Percy uscì dall’acqua con Annabeth in braccio, camminò fino alla postazione di salvataggio dove la fece sedere con la schiena appoggiata alla struttura in legno e le gambe distese sulla la sabbia.
Fu solo in quel momento che Annabeth si guardò la gamba dolorante e notò i segni rossi che le circondavano la caviglia. L’ustione provocata dal contatto con la medusa era ben visibile e aveva esattamente la forma del tentacolo che sembrava essersi stampato a fuoco sulla sua pelle. Ruotò la gamba per fare un’attenta valutazione dei danni e notò che le ustioni si espandeva fino al collo del piede, che effettivamente le bruciava insopportabilmente.
“Meglio di un tatuaggio, eh?” Scherzò Percy che si era munito di pinzette.
“Che stai facendo” domandò lei con una smorfia.
“Tolgo i residui dei tentacoli, quelli della Carybdea marsupialis sono finissimi e solitamente si rompono quando entrano in contatto con la pelle, guarda” disse mostrandole un piccolissimo filamento trasparente che teneva tra le pinzette.
“Annabeth!” Gridarono Piper e Talia in coro, correndo verso di loro. “Ti sei sentita male?” domandò la prima accucciandosi vicino a lei, il fiato corto per la corsa.
“No” disse Percy mentre studiava meticolosamente la caviglia di Annabeth alla ricerca di altri frammenti di tentacoli. “È stata punta da una Carybdea marsupialis
“Una cosa?” domandò Talia allarmata.
“Una medusa” disse lui seccato di dover usare il termine volgare.
“E dì medusa, santo cielo!” Disse Talia.
“Perché dovrei usare un termine generico come medusa quando sono in grado di riconoscere di che specie si tratta!” sbottò Percy riponendo le pinzette nella cassetta del primo soccorso. “Era una Carybdea marsupialis!” Precisò seccato.
“Perché nessuno a parte te sa che cavolo è una Car… carqualcosa”
Percy sbuffò e si trattenne dal ripetere di nuovo il nome scientifico.
“Come ti senti?” Domandò Piper all’amica che non aveva esattamente la faccia di una che scoppiava di salute.
Annabeth fece una smorfia come a dire che la sua faccia rispettava perfettamente le sue condizioni e Piper sospirò dispiaciuta di non poterla aiutare.
Percy tirò fuori dalla cassetta un piccolo flacone e lo svuotò su un fazzoletto che usò per tamponare la gamba di Annabeth che grugnì infastidita da quel contatto.
“È proprio necessario?” mugolò sforzandosi di non lamentarsi troppo.
“È una lozione a base di ammoniaca, accelera il processo di guarigione.” Spiegò lui tamponando accuratamente la gamba di Annabeth che ringraziò il cielo per aver fatto la ceretta tre giorni prima.
“Visto che sei così esperto” disse Annabeth puntellandosi sulle braccia nel tentativo di mettersi un po’ più comoda, “per quanto pensi che continuerò a sentire dolore?”
“Diciamo che la Carybdea marsupialis ti ha rovinato la giornata, appena ti senti un po’ meglio ti consiglio di andare a casa perché è molto probabile che ti salga la febbre e non è il caso che tu stia sotto al sole.”
“La febbre? Addirittura?” Chiese Piper, stupita.
“Mi sa che mi sta già salendo” brontolò Annabeth toccandosi la fronte.
“Allora ti accompagno a casa subito” dichiarò lui un attimo prima di chiedere a Piper di recuperare i vestiti dell’amica.
“No” guaì Annabeth che nonostante apprezzasse l’aiuto che Percy le stava offrendo non voleva più rimanere sola con lui, “tu hai già fatto abbastanza per oggi, non voglio farti lavorare anche nel tuo giorno libero.”
“Ha ragione” convenne Talia.
“Non per essere scortese” disse Percy voltandosi a guardare la cugina, “ma se Annabeth si sente male durante il tragitto né tu né Piper sareste in grado di sorreggerla, quindi perché non mi lasci le chiavi? Tu e Piper potete farvi ancora qualche ora di mare, io resto con lei finché non tornate.”
Talia non aveva idea di cosa fosse successo tra lui e Annabeth la sera prima, ma l’atteggiamento furioso che Annabeth aveva dimostrato in mattinata e tutto l’interessamento che Percy le riservava in quel momento non l’aiutavano certo a fare chiarezza.
Piper tornò con il vestitino grigio che Annabeth indossava come copri costume e l’aiutò a rivestirsi mentre Talia consegnava le chiavi di casa a Percy con riluttanza.
 
Percy girò due volte le chiavi nella toppa e aiutò Annabeth ad entrare in casa. Fortunatamente si era risparmiata l’umiliazione di farsi portare in braccio per il paese da lui dato che, nonostante il dolore, riusciva comunque a camminare.
“Come va?” Le chiese richiudendo la porta mentre lei si trascinava in camera appoggiandosi al muro.
“Male, grazie.” Brontolò lei sdraiandosi sul letto, distrutta per la camminata.
“Vuoi che ti preparo qualcosa?” domandò gentilmente.
Annabeth sollevò un sopracciglio, sorpresa.
“Senti, io ti ringrazio per avermi aiutata, ma adesso puoi andare” gli disse sforzandosi di non essere sgarbata.
“Guarda che con la Carybdea marsupialis non si scherza, è tra le meduse più urticanti dei nostri mari!” Esclamò lui in piedi sulla porta.
“Ma che è? Sei un appassionato di meduse o ti hanno fatto un corso specifico per diventare bagnino?” Domandò Annabeth sistemandosi il cuscino sotto la testa.
“Nessuna delle due. Studio, o meglio studiavo, biologia” ammise con un po’ di rammarico. “Nell’esame di zoologia sistematica avevo anche preso trenta.” Commentò sorridendo.
Annabeth dovette trattenersi parecchio per non insultarlo ad alta voce. Per lei abbandonare gli studi era già di per sé una follia, farlo con una media alta era ancora più assurdo.
“Capisco” disse asciutta, ma in realtà non capiva per niente.
Percy sparì dalla sua vista senza aggiungere altro, come se per lui quel discorso fosse particolarmente difficile da affrontare.
“Tieni” le disse dopo qualche minuto porgendogli una salvietta bagnata da mettere sulla fronte.
“Senti posso dirti una cosa?” domandò lei schiacciandosi la salvietta umida sulla fronte. Percy annuì e Annabeth cominciò a sparare a zero. “Saprai anche tutto sulle meduse ma per il resto mi sembri un completo imbecille.”
“Apprezzo la schiettezza” disse lui abbassando lo sguardo disarmato da tanta sincerità.
 “Voglio dire” proseguì lei mettendosi a sedere mentre la salviettina le cadeva dalla fronte, “prendi trenta agli esami e molli l’università, in spiaggia hai la coda di ragazze che sbavano ogni volta che passi e invece di prestare attenzione a loro ti sbronzi al bar della discoteca in cui non vai nemmeno per ballare ma solo per tenere d’occhio la tua ex, a me sembra il ritratto del perfetto imbecille.” Disse allargando le braccia come per sottolineare che quella era l’unica spiegazione plausibile.
“Sì, hai ragione… in effetti non c’è altra spiegazione” si arrese lui sedendosi dall’altro lato del letto.
 
Quando Talia e Piper rientrarono dalla spiaggia, trovarono Annabeth e Percy profondamente addormentati sul letto. Proprio in quel momento il cellulare di Piper squillò svegliando prima Percy e poi Annabeth.
“Scusate” mormorò Piper mortificata rispondendo alla chiamata della madre mentre si spostava verso la cucina.
“Beh, visto che siete arrivate io tolgo il disturbo” disse Percy stiracchiandosi per poi alzarsi dal letto. “Ci si vede domani in spiaggia.”
Annabeth si sentiva talmente debole che riuscì a stento a salutarlo con un cenno del capo, non si era nemmeno accorta di essersi addormentata in sua presenza e la cosa la imbarazzò un po’.
“Come ti senti?” le domandò Talia sedendosi sul letto mentre dall’altra parte della casa Piper parlava animatamente al telefono con la madre dell’arricciacapelli che, a quanto pareva, Piper si era portata via senza permesso.
“Un po’ debole, penso che la febbre non mi sia ancora completamente passata” ammise tastandosi la fronte.
“Stasera mio fratello ci ha proposto di vederci in piazza per un gelato…” spiegò Talia mentre Annabeth si metteva a sedere, “ma se non te la senti rimandiamo, preferisco stare qui con te piuttosto che vedere quell’imbecille di mio fratello anche qui al mare.”
“No, no, andiamo, ho voglia di gelato” sorrise Annabeth.
 
La piazza principale del paese era piccola ma ben organizzata. Vi si trovavano infatti un sacco di attività commerciali tra cui bar, locali, negozi, ristoranti e gelaterie. In fondo alla piazza una squadra di uomini stava allestendo un piccolo palco, mentre dalla parte opposta erano già stati predisposti una serie di tavoli in legno riparati da un ampio gazebo.
“I preparativi della festa della birra di domani incombono” disse Talia osservando i tavoli su cui in meno di ventiquattro ore sarebbero comparse le birre più pregiate provenienti da ogni parte del mondo.
Il pensiero le fece venire l’acquolina in bocca.
In prossimità della gelateria, Jason e Leo sedevano su una panchina dove stavano chiacchierando animatamente. Quando notarono il trio di ragazze in avvicinamento si alzarono in piedi per salutarle una per una.
“Come stai?” domandò Jason ad Annabeth in tono gentile.
“Meglio grazie, un gelato è proprio quello che mi ci vuole!” Sorrise lanciando un’occhiata al negozietto alla loro sinistra.
“Ehi guardate, è una gelateria biologica e fanno anche il gelato senza grassi idrogenati!” Esclamò Piper entusiasta.
Talia alzò un sopracciglio, scettica. “Ma quando mai!” Commentò guardando il cartello affisso a fianco all’ingresso.
“Deve aver cambiato gestione” disse Jason scrutando meglio l’interno del negozio che effettivamente sembrava nuovo di pacca.
“Infatti è così” confermò Percy che era appena sbucato dal vicolo accanto alla gelateria e aveva udito i loro discorsi. “Ha cambiato gestione un mese fa” spiegò mentre stringeva la mano di Jason che lo tirò a sé rifilandogli una pacca sulla spalla, “la nuova proprietaria è una mezza squinternata a dire il vero, però il gelato è buono.”
“I gelati di Calippo” lesse Leo sul tendone del negozio, “ma il calippo è un ghiacciolo!” protestò allargando le braccia e roteando gli occhi.
“Leo, guarda che c’è scritto Calypso!” Lo corresse Jason ridendo.
Leo fissò meglio le lettere dipinte sul tendone e poi si convinse commentando con un semplice: “Ah!”
“Comunque anch’io la prima volta avevo letto Calippo!” Ammise Percy ridendo.
“Eh certo, siete dislessici uguale!” Li canzonò Talia mentre Jason e Piper ridevano di gusto.
“Beh, Calippo o Calypso che sia, ce lo prendiamo un gelato oppure no?” fece Leo che cominciava a sentire lo stomaco brontolare.
I sei ragazzi entrarono nel negozio e subito rimasero colpiti dall’aspetto dei gelati e dall’ampia scelta che la proprietaria offriva.
Seguirono cinque minuti di silenzio in cui tutti erano impegnati a leggere i gusti e decidere quali assaggiare. Tutti tranne Leo che era rimasto imbambolato a fissare la proprietaria che sorrideva ai clienti da dietro al bancone.
“Io anice e pistacchio” disse Percy interrompendo il silenzio. In un mese aveva assaggiato praticamente tutti i gusti, quindi per lui la scelta era più facile anche perché l’anice era l’unico gusto a cui non rinunciava mai, perciò la vera scelta si restringeva ad un solo gusto.
“Anice e pistacchio?” domandò Annabeth inorridita, “ma che razza di abbinamento è?”
“Quello del tipo che ti ha salvata dalla Carybdea marsupialis” disse lui con un sorriso sghembo. Annabeth ammutolì e sentì lo stomaco contorcersi, si sentiva già abbastanza a disagio senza che lui le ricordasse di averla soccorsa e, come se non bastasse, ogni volta che lo guardava le veniva in mente quello che era successo nel suo appartamento e si sentiva uno schifo.
“Se dici ancora una volta quel nome ti picchio” lo minacciò Talia brandendo il portafoglio completamente ricoperto di borchie.
“In effetti, l’azzurro dell’anice non sta molto bene con il verde del pistacchio” commentò la ragazza trasognata, mentre assemblava il gelato di Percy con maestria.
“Ma che commento è?” disse Talia scioccata dalla dichiarazione della proprietaria che le sembrava la fata buona uscita da qualche favola per bambini.
Piper e Jason fecero spallucce e continuarono a leggere i gusti incapaci di prendere una decisione, anche se più di una volta Jason, fingendo di leggere i cartellini, sfruttò il riflesso del bancone per sbirciare la generosa scollatura di Piper.
“Io proverò stracciatella e sinfonia di bosco” disse Annabeth arrossendo mentre pronunciava il secondo gusto. Che razza di nome era?
“Leo tu hai deciso?” domandò Jason all’amico che era ancora paralizzato in mezzo all’ingresso dove una vecchietta gli stava picchiettando il bastone su una gamba per passare.
“Leo spostati” fece Jason trascinandolo di lato per un braccio.
“Ok, io credo di aver scelto” disse Piper attirando l’attenzione della gelataia che sorrise anche a lei. “Prendo latte di soia e yogurt magro senza grassi idrogenati!”
“Io invece i grassi li voglio eccome” dichiarò Talia che non era mai stata ossessionata dalla linea quanto Piper e soprattutto non ne poteva più di leggere gusti improbabili tipo caffè decaffeinato e nutella light. “Facciamo cioccolato fondente e cioccolato bianco.”
“Leo, pensi di farcela ad ordinare o devo farlo io per te?” domandò Jason all’amico ancora inebetito.
“E per te?” chiese amabilmente la ragazza rivolta a Leo che cambiò improvvisamente colore. Jason fissò l’amico domandandosi se sarebbe stato in grado di emettere dei suoni e con sua sorpresa lo sentì balbettare: “ba-ba-bacio”.
Jason non era sicuro che l’amico si riferisse al gusto di gelato desiderato, ma la ragazza non esitò minimamente e gli preparò un cono monogusto che Leo impugnò trionfante. Jason lo invitò ad uscire prima che facesse una figuraccia, assicurando alla ragazza che avrebbe pagato lui.
“Per me coockies e mandorla.”
Leo raggiunse gli amici nella piazza con il cono ancora intatto. Aveva l’aspetto di un bambino appena uscito dal paese dei balocchi.
“Non è perfetto?” domandò senza rivolgersi a qualcuno in particolare, incapace di staccare gli occhi dal suo cono.
“Sarà anche perfetto, ma a breve non lo sarà più perché ti si sta sciogliendo in mano!” Gli disse Percy mordicchiando il suo cono.
In quel momento uscì Jason e Leo si rivolse a lui dicendo: “mi sono innamorato”.
“No” lo corresse Jason, “ti sei sporcato, guarda le tue scarpe” e così dicendo gli indicò le all-star sui cui stava gocciolando il gelato che Leo sembrava deciso a non mangiare.
In quel momento Jason sentì il telefono vibrare e lo tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans, guardò lo schermo per qualche secondo, poi sbuffò rifiutando la chiamata e mise nuovamente via il telefono. 
Talia gli rivolse un’occhiata d’intesa e lui annuì svogliato.
“Non ha ancora mollato il colpo eh?” Gli chiese Talia qualche minuto più tardi, quando riuscirono a distanziare un po’ il resto del gruppo.
“Non so più cosa fare con lei… più che ignorarla cos’altro posso fare?”
domandò esasperato.
“Prima o poi la smetterà di assillarti, devi solo darle un po’ più di tempo.”
Jason sbuffò, quella situazione stava diventando insostenibile.
“Senti” si rivolse alla sorella deciso a cambiare discorso, “non è che mi daresti il numero della tua amica?” chiese indicando con un cenno del capo Piper intenta a rimirare Leo che si cimentava nei suoi soliti giochini con il fuoco dell’accendino.



Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo che, ammetto, si è fatto aspettare un bel po'. Non starò qui ad elencarvi tutti gli impegni/imprevisti che mi hanno impedito di pubblicarlo prima perchè non hanno importanza, quello che conta è che io sia riuscita ad aggiornare e che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Come sempre, fatemi sapere le vostre impressioni lasciando un commento, sarò lieta di leggerli e soprattutto di rispondervi. Grazie mille della pazienza che avete dimostrato e grazie soprattutto a tutti quei lettori che hanno già recensito i capitoli precedenti, mi motivate un sacco e siete uno stimolo a continuare e fare sempre meglio.
A presto... questa volta per davvero! ;-)

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** venerdì ***


VENERDì


 
 
Il venerdì mattina trascorse tranquillo. Non avendo fatto tardi la sera prima, le ragazze riuscirono ad alzarsi ad un’ora decente godendosi l’intera mattinata in spiaggia. Lo stesso non si poteva dire di Jason e Leo, che si presentarono in spiaggia alle due con delle facce che erano tutte un programma e collassarono all’ombra sui lettini.
“Secondo voi sono vivi?” domandò Piper fissando i ragazzi che dormivano nella fila di ombrelloni alle loro spalle.
Annabeth si voltò a guardarli ma non disse nulla mentre Talia si limitò ad un’alzata di spalle, come se la cosa non la riguardasse.
In quel momento Percy rivolse lo sguardo nella loro direzione e cominciò ad avvicinarsi. Annabeth sentì le viscere contorcersi, dopo tutto quello che era successo negli ultimi due giorni non aveva molta voglia di averlo intorno, sebbene il suo corpo rimanesse la migliore attrazione della spiaggia. Per sua fortuna Percy imboccò la seconda fila di ombrelloni e raggiunse Jason e Leo che dormivano ancora profondamente.
“Ehi!” Esclamò mollando a Jason una pacca sulla schiena che lo svegliò di colpo. “Che cavolo fate qui? Questi sono gli ombrelloni dei signori La Rue!” Jason sollevò lo sguardo sul cugino e poi si guardò intorno perplesso, mentre Leo cominciava a russare.
“E allora?” esalò stropicciandosi gli occhi.
“E allora?” gli fece eco Percy, “sai che tipo di famiglia sono! Hanno lo stesso ombrellone da generazioni e visti i soggetti non ho nessuna intenzione di discuterci, quindi spostatevi. Andate a collassare sotto il vostro ombrellone, che per la cronaca è quello!” Spiegò indicando l’ultimo della fila.
Jason sbuffò contrariato, poi svegliò Leo e gli fece segno di spostarsi.
“Percy” lo chiamò Jason mentre lui raddrizzava i lettini su cui gli amici si erano addormentati, “ti ricordi quella volta che tu e Clarisse avete rotto il gabinetto e il signor D vi ha minacciato di morte in pubblico.”
Percy fece una smorfia, certo che se lo ricordava, chi mai avrebbe potuto dimenticarsi una cosa del genere.
“Jackson!” Gracchiò il Signor D dalla postazione di salvataggio.
“Ecco” esalò Percy, “credo che il Signor D stia per minacciarmi di morte in pubblico un’altra volta!” E così dicendo corse a passo svelto verso il suo capo.
Annabeth lo vide sfrecciargli davanti e anche in quell’occasione non poté fare a meno di squadrargli il sedere. Distolse lo sguardo prima che Talia se ne accorgesse e sbuffò abbacchiata. Perché Percy Jackson non poteva essere uno di quei ragazzi che faceva a gara con gli amici a chi si portava a letto più ragazze infischiandosene dei loro sentimenti? In tal caso sarebbe stato perfetto. E invece no, Percy doveva rendere tutto più difficile poiché era un ragazzo gentile e premuroso, ancora innamorato della sua ex e che si faceva problemi a fare sesso da ubriaco con una ragazza che conosceva da due giorni.
“A cosa pensi?” La voce di Piper la fece trasalire catapultandola bruscamente fuori dai suoi pensieri.
“Niente” tagliò corto Annabeth afferrando il romanzo che stava leggendo dalla borsa.
“Si può sapere cosa avete combinato ieri sera per essere ridotti così?” domandò Talia avvicinandosi al fratello che aveva in tutto e per tutto l’aspetto di uno zombie.
“Dopo che ve ne siete andate, Leo ha voluto pedinare la ragazza della gelateria fino a casa.”
Talia roteò gli occhi. “Quella specie di fatina stordita?”
“Proprio lei. Ha chiuso il negozio a mezzanotte e l’abbiamo seguita fino a casa.”
“Siete due stalker, te ne rendi conto vero?” domandò Talia che si stava immaginando quella povera ragazza seguita fino al portone di casa da due imbecilli. “L’avrete fatta morire di paura.”
“Tranquilla, siamo degli stalker professionisti, non si è accorta di nulla. Il fatto è che sulla strada del ritorno siamo incappati in un nuovo locale che ha aperto dove c’era quel negozio di ceramiche cinesi che faceva angolo davanti al parchetto. Te lo ricordi?”
“Quello gestito dalla vecchia signora Zhang?” domandò Talia curiosa.
“Esattamente” annuì Jason, “beh adesso c’è un piccolo bar che fa chupiti di tutti i tipi e sai chi lo gestisce?”
Talia alzò un sopracciglio, non ne aveva idea.
“Il nipote della signora Zhang, Frank, te lo ricordi?”
Talia trasalì, certo che se lo ricordava, quando erano piccoli era il bambino più ciccione della compagnia anche se durante l’adolescenza aveva subito una trasformazione mica da ridere.
“Frank Zhang ha trasformato il vecchio negozio della nonna in un locale specializzato in chupiti?”
“Proprio così” confermò Jason, “e quando ieri ci ha riconosciuti ha insistito affinché provassimo praticamente tutto, rigorosamente gratis.”
“Adesso capisco perché avete queste facce” disse Talia osservando attentamente le borse che Jason aveva sotto gli occhi.
“Per non parlare del fatto che quando ha chiuso il negozio siamo rimasti dentro con lui ad assaggiare le grappe che importa direttamente dalla Cina. In tutta onestà non ho idea di come abbiamo fatto a tornare a casa.”
“Mi hai incuriosito. Una di queste sere farò un salto con le ragazze in questo nuovo posto, sono anni che non vedo Frank.” Commentò Talia sbrogliando il filo degli auricolari.
“Potreste andare stasera” suggerì Jason.
“No, c’è la festa della birra stasera, e io amo la birra!” fece Talia con gli occhi che brillavano.
“Ah, è stasera? Me ne ero dimenticato, allora ci vediamo sicuramente in piazza!”
“Che culo, eh?!” scherzò Talia.
“Ehi!” protestò Jason placcando la sorella in un abbraccio e facendole il solletico.
Talia cominciò a scalciare e dimenarsi nel tentativo di liberarsi dalla presa del fratello che non sembrava intenzionato a lasciarla scappare, ma dopo un paio di minuti il ragazzo sciolse l’abbraccio liberando la sorella che ne approfittò per riprendere fiato.
“Viene anche Percy stasera?” domandò Jason osservando il cugino che stava uscendo dall’acqua proprio in quel momento.
“Non lo so” si limitò a dire Talia scuotendo il capo. “Se deve venire solo per bere e farsi del male pensando a Rachel tanto vale che se ne stia a casa…”
“Perché a casa cosa pensi che faccia? Almeno se viene sta un po’ in compagnia…” buttò li Jason.
“Ti rendi conto che ha ancora la foto di lui e Rachel come sfondo del cellulare?” Sbottò Talia.
“Lo immaginavo” ammise Jason. “Ieri sera prima che uscissimo, mi ha chiamato sua madre in lacrime.” Talia lo vide ravanare nello zaino alla ricerca del telefono.
“Lascia stare, mi ha già chiamata tre volte da quando sono qui, è preoccupata, e lui gli manca.” Disse mentre Jason accendeva lo schermo del telefono e le mostrava tre chiamate perse a nome Reyna.
 “Bagno?” propose Talia sperando di risollevare il morale del fratello.
“Andata” rispose Jason guardando Leo che dormiva ancora profondamente e che probabilmente non si sarebbe risvegliato prima di un’altra ora. Gettò il telefono nello zaino e corse verso riva con Talia alle spalle. Raggiunsero la boa nuotando fianco a fianco e una volta sopra si sdraiarono vicini godendosi il sole.
“Senti” esordì Talia dopo un po’, “non è che mi hai chiesto il numero di Piper solo perché pensi che vedendoti con un’altra, Reyna mollerà il colpo, vero?”
“Ma ti pare, non sono mica quel tipo di ragazzo!” Protestò Jason a cui veniva molto facile fare la faccia da angioletto con quei capelli biondi e gli occhi azzurri.
“Oh invece si che lo sei, sono tua sorella, ti conosco abbastanza bene da saperlo!”
“Ok, va bene, diciamo che sì, in generale sono quel tipo di ragazzo ma non è questo il caso.”
“E perché no?” domandò Talia mettendosi seduta a gambe incrociate sulla boa che oscillava mossa dalle onde.
“Perché lei mi è sempre piaciuta” ammise arrossendo lievemente in zona orecchie. Talia strizzò leggermente gli occhi e rimase in attesa.
“Non mi guardare così” protestò lui imbarazzato. “L’ho sempre trovata carina, solo che io ero in quella fase in cui non è che fossi proprio in cerca di una storia seria.”
“Si me la ricordo quella fase, se non sbaglio la volta in cui mamma ti beccò nel suo letto con una bionda risale proprio a quel periodo, o sbaglio?”
“Sei una serpe!” Esclamò Jason. “Perché mi hai ricordato questa cosa? L’avevo rimosso!”
“Perché sono tua sorella, e mi diverte rispolverare gli scheletri che hai nell’ armadio.” Gli sorrise amabilmente Talia mostrando i suoi denti bianchissimi.
“Ora che ci penso mi viene in mente anche quell’altra volta in cui ti sei fatto trovare al cinema dalla tua fidanzata con quella che credeva di essere la tua fidanzata. Volavano insulti e pop-corn per tutta la sala! È stato sublime!”
“Mica tanto, dopo essersi prese a schiaffi si sono alleate e mi hanno distrutto il motorino.” Ricordò Jason ridendo.
“Direi che te lo sei meritato. Comunque, tutto questo era per ricordarti che sei un inguaribile stronzo, e quelli come te non cambiano, quindi fai poco il cretino!” Lo minacciò facendosi improvvisamente seria.
“Scusa ma se davvero mi reputi così pessimo perché mi hai dato il suo numero?” Domandò Jason per metà offeso e per metà confuso.
“Perché so per certo che non sei il suo tipo e aspetto con ansia il momento in cui ti rifilerà un bel due di picche.”
“Ah si?”
“Sì!”
“L’ho già detto che sei una serpe?”
Talia gli sorrise amabilmente, poi gli diede un bacio sulla guancia e si tuffò di testa dalla boa per poi nuotare verso riva.
Jason rimase solo con i suoi pensieri solo per qualche minuto perché nel giro di poco Percy lo raggiunse e si arrampicò sulla boa salutandolo con il suo solito sorriso furbo.
“Ehilà!” disse stendendosi al suo fianco.
“Allora? Com’è la vita del bagnino?” domandò Jason con un sorriso malizioso.
“Non male, vedo il mare tutti i giorni e questo mi basta” spiegò Percy con le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.
“Non far finta di non capire” ridacchiò Jason, “allora? Quante?”
“Quante cosa?” domandò Percy aprendo gli occhi e riparandosi con una mano dal sole per vedere il cugino.
“Quante te ne sei fatto da quando sei qui?”
Percy scoppiò a ridere. “Che cosa?” domandò stupito. “Jason non ho scelto di fare il bagnino per rimorchiare!”
“Non dico questo, ma ammetterai che gli occhi delle ragazze del lido sono tutti per te.” Disse Jason ammiccando.
“Può darsi, ma non m’importa e comunque non posso avere relazioni con le clienti.”
“Sei una noia mortale!” Esclamò Jason allargando le braccia. “Che fine ha fatto il vecchio Percy? Quello che se ne infischiava delle regole, quello che giocava a basket al campetto fino alle quattro del mattino e scavalcava la recinzione delle ville per fare il bagno di notte nudo nelle piscine dei ricconi?” Purtroppo Jason conosceva la risposta a quella domanda: quel Percy era morto nel momento in cui Rachel l’aveva lasciato e lui non sapeva più cosa fare per riesumarlo.
L’espressione triste di Percy gli confermò quanto già sapeva.
“Stasera vieni alla festa della birra?” domandò sperando di risollevargli un po’ il morale.
“Non lo so” sospirò lui.
“Ok allora visto che tu non lo sai decido io, tu stasera vieni e basta!” dichiarò Jason rifilandogli un pugno amichevole sul braccio.
“E ti dirò di più, domani sera basket al campetto come ai vecchi tempi, magari lo diciamo anche a Grover, ci stai?”
Percy tirò fuori a fatica un sorriso ma poi acconsentì.
 
La festa della birra era un classico che, visto il successo, veniva riproposto tutte le estati. I ragazzi del posto la conoscevano talmente bene che non avevano nemmeno più bisogno che qualcuno gli spiegasse come funzionava. La solfa era sempre la stessa, pagavi quindici euro e avevi panino con la salamella e quattro birre a scelta.
“Venite, la cassa è da quella parte.” Disse Talia guidando le amiche verso il primo gazebo sulla destra.
Una volta pagato, le ragazze si ritrovarono tra le mani cinque fogliettini, uno per ogni consumazione, e decisero di cominciare dalla coda per la salamella dove sembrava concentrarsi la maggior parte della gente.
“Io sono vegetariana!” Protestò Piper guardando con riluttanza le salamelle che sfrigolavano sulla griglia da cui si dipartiva una densa colonna di fumo.
“Vorrà dire che mangerai solo pane con crauti e maionese!” Le sorrise Talia.
“Forse è meglio che ci dividiamo, comincio a mettermi in coda per le birre” suggerì Annabeth notando che anche lo stand delle birre belga cominciava a presentare una coda non indifferente.
“Va bene” le disse Talia sgomitando per non perdere posto nella fila.
Annabeth si allontanò diretta al gazebo vicino, dove incontrò Jason e Leo che erano in coda subito davanti a lei.
“Ciao” esordì cordiale.
“Ciao!” esclamarono i ragazzi all’unisono.
“Anche tu ami la birra belga?” chiese Jason con un ghigno.
“Abbastanza” rispose Annabeth che non poteva certo dirsi un’esperta di birre.
“Ottima scelta!” fece Jason alzando entrambi i pollici delle mani.
“Mia sorella e Piper dove sono?”
“In coda per le salamelle, abbiamo pensato di dividerci per fare prima.”
“Capisco, per caso hai visto Percy?”
“No” rispose Annabeth secca, non sapeva che Percy avesse intenzione di venire, non aveva messo in conto di vederlo.
“Mi aveva promesso che sarebbe venuto, magari arriverà con Grover.”
“Ragazzi, io comincio ad occupare un tavolo.” Disse Leo puntando un tavolo in legno che si stava liberando proprio davanti alla gelateria di Calypso.
“Ce lo siamo perso.” Ridacchiò Jason osservando l’amico allontanarsi.
Annabeth inarcò un sopracciglio. “In che senso?”
“Si è preso una cotta per la gelataia.” Spiegò Jason prendendo le birre che il ragazzo dello stand gli aveva appena spillato.
Quando anche Annabeth riuscì ad ordinare da bere, insieme raggiunsero Leo che si era praticamente sdraiato sul tavolo per occupare più posto possibile.
“Menomale che siete arrivati!” Gracchiò lasciando posto agli amici. In quel momento anche Piper e Talia emersero dalla fila delle salamelle e li raggiunsero.
“Puzzo di griglia!” Esclamò Piper disperata annusandosi i capelli.
“Vorrai dire profumi di griglia!” Disse Jason sorridendole.
“No, volevo proprio dire puzzo!” Lo gelò lei senza l’ombra di un sorriso.
Talia dovette trattenersi per non ridere. Vedere l’amica lasciare di stucco il fratello con una sola frase era particolarmente divertente.
Jason notò l’espressione compiaciuta di Talia e la guardò con aria di sfida. Adesso più che mai era deciso a conquistare Piper.
Il loro gioco di occhiate fu interrotto dall’arrivo di Grover che sbucò da un vicolo in compagnia di Percy. Quest’ultimo aveva l’aria di chi avrebbe preferito decisamente rimanere a casa sul divano a guardarsi un film ma, in un modo o nell’altro, Grover doveva averlo convinto ad uscire.
“Buonasera!” Esclamò Grover prendendo posto accanto a Leo che slittò sulla panchina per fargli spazio mentre Percy si limitava ad un cenno della mano accompagnato da un sorriso di circostanza.
Piper diede una gomitata nel costato ad Annabeth che rischiò seriamente di sporcarsi con la maionese, poi si allontanò dall’amica per fare spazio a Percy tra loro due mentre l’altra la guardava torva imprecando silenziosamente.
“Ciao” le disse abbozzando un sorriso. Annabeth non aveva ancora ben chiaro se anche per lui la situazione fosse imbarazzante oppure no.
“Ciao” rispose lei più fredda di quanto effettivamente volesse sembrare.
“Come va la gamba?”
“Oh” esalò Annabeth, “meglio direi, grazie ancora per l’aiuto e per i consigli.”
Lui si strinse nelle spalle ma non poté aggiungere altro perché Jason lo afferrò per un braccio e l’obbligò ad alzarsi dicendo: “Scusate ma non si può stare a questo tavolo senza una birra tra le mani” e poi rivolto a Percy, “vieni con me!”
“E così non ti saresti fatto nessuna eh?” lo accusò Jason quando furono abbastanza lontani da non essere sentiti.
Percy strinse le labbra in una smorfia.
“Che mi dici di quella biondina col vestitino blu?”
“Si chiama Annabeth ed è un’amica di tua sorella” precisò Percy un po’ infastidito da come ne parlava Jason.
“Si, molto interessante, da come ti guarda direi che in un certo senso è anche amica tua.” Un sorriso malizioso comparve sul suo volto evidenziando la cicatrice che aveva sul labbro.
“No, l’ho solo soccorsa quando è stata punta da una medusa.” Spiegò Percy vago.
“Raccontala ad un altro” fece Jason un attimo prima di ordinare da bere.
Percy fissò il pavimento sbuffando. Perché sembravano tutti così interessati alla sua vita sentimentale? Prima Talia, poi Annabeth e adesso anche Jason.
“So riconoscere quando mi nascondi qualcosa.”
“Va bene, ok, è stata a casa mia mercoledì sera dopo la discoteca ma non è successo praticamente nulla perché…” le parole gli morirono in gola, si sentiva un completo imbecille ad ammettere come erano andate le cose.
“Perché…” lo incalzò Jason curioso.
“Perché mi sono addormentato” ammise volgendo lo sguardo il più lontano possibile dagli occhi del cugino.
“Sai che era meglio se mi dicevi che non ci hai fatto niente perché pensi ancora a Rachel?” Disse Jason in tono quasi preoccupato.
“Senti, ero ubriaco e sì, pensavo anche a Rachel, ma in un certo senso preferisco che le cose siano andate così perché non sono in cerca di una ragazza. Il problema è che adesso mi sento a disagio quando c’è anche lei, per non parlare del fatto che sono certo che ne avrà parlato anche con Talia e Piper, e beh… non ci faccio proprio una bella figura.” Ammise sorseggiando la birra che Jason gli aveva messo in mano.
“Sai cosa devi fare per uscire da questa situazione?” Domandò Jason asciugandosi la schiuma della birra con il dorso della mano.
Percy lo guardò domandandosi se stava per dire un’idiozia.
“Devi scopartela come dio comanda!” Disse puntandogli un dito contro il petto per risultare più convincente. Percy sospirò, sì, aveva detto un’idiozia.
“Jason ma io non voglio…”
“Una ragazza, si lo so, infatti io ti sto solo dicendo di farti una scopata, senza offesa, ma ne hai proprio bisogno!”
Percy prese un’altra sorsata di birra.
“Non funziona così” si limitò a dire.
“Oh si invece, e ti dirò di più… ho un piano!”
“Un piano?” A Percy andò di traverso la birra. “Ma non stiamo mica organizzando una rapina in banca.”
“No, ma sarebbe decisamente più facile visto la resistenza che opponi.”
“Senti, non si può fare, io non so nemmeno cosa dirle, cosa vuoi che faccia? Che vada da lei dicendo: ciao, l’altra sera ho fatto la figura dell’idiota perché non ti spogli così ti faccio vedere di cosa sono capace?”
“Sarebbe certamente meglio che limitarsi a chiederle come va la gamba.”
Percy alzò gli occhi al cielo. Ci mancavano solo le lezioni di Jason su come rimorchiare le ragazze.
“Io ho messo gli occhi sull’altra” ammise Jason ridacchiando, “il che è perfetto, da quanto tempo è che non giriamo in coppia cercando di farci due amiche?” domandò parecchio su di giri.
“Da quando avevamo sedici anni” sentenziò Percy gelido.
Jason si scolò quello che rimaneva della sua birra e disse: “allora è deciso!”
“Ma deciso cosa?” domandò Percy fissando le spalle di Jason che stava tornando verso il resto della compagnia.
Due ore più tardi Talia era completamente sbronza. Aveva finito le sue quattro consumazioni chiudendo il giro con una Guinnes che si era bevuta in cinque minuti e adesso stava insultando Grover per non aver portato Pan a bere birra con loro.
Piper aveva ancora due fogliettini in mano e stava cercando di cederli a qualcun altro perché sosteneva che la birra facesse ingrassare e lei non poteva permetterselo.
Annabeth aveva esaurito le consumazioni ma non era nelle condizioni di Talia perché la birra numero tre era finita sul pavimento prima che potesse anche solo berne un sorso e la quarta era ancora integra davanti a lei.
“Sai che è un delitto lasciare che la birra si scaldi?” le chiese Percy che era seduto di fronte a lei. Le birre che Jason gli aveva fatto tracannare lo avevano aiutato a sciogliersi un po’. “Devi berla tassativamente quando è ghiacciata.”
“Non sapevo che fossi un esperto di birre… pensavo ti limitassi al Whisky.” Fece Annabeth bevendo un sorso.
“Sono un ragazzo pieno di risorse”.
Già, peccato che le uniche risorse che m’interessassero tu non le abbia messe in mostra, pensò Annabeth mascherando i suoi pensieri con un sorriso.
“Va bene, va bene, ti porto a trovare Pan!” Esclamò Grover aiutando Talia ad alzarsi. “Ma qualcuno venga con me.”
“Io, io!” Strillò Leo osservando Calypso imboccare lo stesso vicolo che conduceva a casa di Grover.
L’improbabile trio sparì nel vicolo e Jason mollò un calcio a Percy sotto al tavolo per comunicargli che il suo piano stava finalmente per avere inizio.
“È una mia impressione o Talia se n’è andata insieme alle nostre chiavi di casa?” Domandò Annabeth a Piper.
“Qual è il problema? Ci siamo noi, non vi lasceremo certo sole in mezzo a questa banda di ubriaconi.” Intervenne Jason mettendo un braccio intorno alle spalle di Percy.
“Anzi, che ne dite se ci allontaniamo da questa bolgia?” Chiese rivolgendosi più a Piper che ad Annabeth.
“Potremmo andare al porto, Talia vi ci ha già portate?”
“Al porto?” fece Percy confuso un attimo prima che Jason gli pestasse violentemente un piede sotto al tavolo. “Sì, in effetti non è male…” gemette incrociando lo sguardo di Annabeth che aveva la faccia di una avrebbe preferito andare a casa.
Jason sapeva essere piuttosto convincente, questo Percy doveva riconoscerglielo.
Cinque minuti più tardi stavano camminando sulla passeggiata del lungomare accompagnati da una leggera brezza che faceva ondeggiare l’orlo del vestitino di Annabeth, davanti a loro spiccavano gli alberi delle barche a vela ormeggiate al porto.
“Ci siamo quasi” disse Jason che cercava inutilmente di stabilire un contatto fisico con Piper che si guardava bene dal concederglielo.
Percy, che camminava dietro di loro si lasciò sfuggire una debole risata.
“Cosa c’è da ridere?” Chiese Annabeth che camminava al suo fianco e lo fissava con i suoi occhioni grigi.
“No, niente, stavo solo pensando a Talia che avrà finalmente incontrato Pan.” Improvvisò Percy.
Il porto era illuminato solo dalla luce della luna che si rifletteva sulla superficie del mare creando una serie di giochi di luce che rendevano il golfo ancora più affascinante e suggestivo.
“Che spettacolo!” Esclamò Piper rimirando lo scorcio del porto che aveva davanti.
“Dovresti vederlo da laggiù, fa tutto un altro effetto” disse Jason con un tono di voce che fece capire a Percy che da quel momento dovevano dividersi.
“Sei mai stata su una barca a vela?” Chiese Percy ad Annabeth mentre un’idea un po’ azzardata si faceva strada nella sua testa.
“No” disse semplicemente lei.
“Beh, allora direi che è il caso di rimediare, vieni con me.” E così dicendo tese una mano ad Annabeth sperando che lei accettasse il suo invito.
Annabeth tentennò un momento, poi afferrò la mano di Percy e si lasciò guidare lungo il pontile.
“Vieni” le disse saltando su una barca a vela con lo scafo blu.
“Ma cosa stai facendo?”
“Ti porto su una barca a vela!” esclamò lui con un ghigno.
“Percy” disse lei in tono di rimprovero. “Di chi è questa barca?”
“Che importanza ha? Chiunque sia il proprietario in questo momento non è qui e questo ci autorizza a salirci!”
“Non sono sicura che funzioni così” fece Annabeth dubbiosa.
Percy la fissava dal basso con la mano tesa, i suoi occhi verdi brillavano alla luce della luna.
“Ci sali o no?”
Annabeth si guardò le spalle, poi afferrò la mano di Percy e lasciò che lui l’aiutasse a raggiungerla. Una volta a bordo, la barca oscillò sotto il suo peso e per un attimo Annabeth fu costretta a stringersi a lui per non cadere. Anche al buio i suoi occhi erano tremendamente magnetici e Annabeth faticava a non fissarli. Quel breve contatto fisico e visivo la turbò un po’. Com’era possibile che solo mezz’ora prima fossero in sette e adesso si trovasse da sola con lui su una barca vela?
Se non altro l’imbarazzo andava scemando da parte di entrambi e fu così che cinque minuti più tardi si ritrovarono sdraiati sulla prua della nave in mezzo ai salvagenti.
“Non male!” Dichiarò Annabeth fissando le stelle mentre il rollio della barca li cullava dolcemente.
“Al largo, in mezzo al mare, senza nessun’altra barca in vista, sarebbe tutta un’altra cosa. Mi spiace non potertici portare.” Disse lui trasognato. Annabeth gli rivolse un’occhiata. Quel ragazzo aveva più di una semplice passione per il mare, sembrava essere parte di esso.
“Ci stai provando?” Chiese Annabeth senza mezzi termini mettendosi a sedere.
Percy trasalì.
“Cosa? Io non… cercavo solo di essere carino.” Tagliò corto.
“Come vuoi, credevo solo che dato che mi hai portata qui a vedere le stelle avessi deciso di riscattarti… visto che l’altra sera non sei stato proprio il massimo.” Lo provocò Annabeth sperando che lui le saltasse addosso da un momento all’altro.
“Sì, ok, ho afferrato il concetto, so di non aver fatto una bella figura l’altra sera… puoi anche smettere di ripetermelo.”
“Bene, quindi non ci stavi provando?”
“No” mentì Percy spiazzato dalla parlantina di Annabeth.
Percy la vide stringersi nelle spalle un attimo prima di dire: “peccato, ti avrei dato volentieri una seconda possibilità.”
Percy si sentì pervadere da un’ondata di calore proveniente dal basso ventre.
“E questa cosa sarebbe? Una dichiarazione?” fece Percy sforzandosi di mantenere la voce ferma.
“No, è esattamente quello che ho detto: una seconda possibilità, ma a quanto pare sei troppo stupido per coglierla.” Annabeth fece per alzarsi ma sentì Percy trattenerla per un braccio. Nonostante il buio riusciva perfettamente a vedere i suoi lineamenti e non le fu difficile schivare le sue labbra nel momento in cui cercò di baciarla.
“Niente baci ok?” gli sussurrò all’orecchio facendosi più vicina.
Percy non poteva certo dire di essere un latin lover, ma aveva sempre pensato di saperci fare almeno un minimo con le ragazze, invece Annabeth sembrava ripudiare ogni suo tentativo di essere carino, stravolgendo questa sua convinzione. Doveva ammettere che questo atteggiamento lo coglieva impreparato. Non ebbe tempo di rifletterci ulteriormente perché Annabeth gli stava già sfilando la maglietta. Non gli era ben chiaro quanto stava accadendo, l’unica cosa che gli era più che chiara era l’eccitazione crescente che sentiva montare dentro. Forse aveva ragione Jason, dopo tutti quei mesi l’unica cosa di cui aveva bisogno era una ragazza che gli si concedesse senza impegno e Annabeth sembrava corrispondere perfettamente a quella descrizione.
Smise di farsi domande e posò le mani sui fianchi di Annabeth che gli stava già slacciando la cintura dei pantaloni. Si piegò su di lei e le scostò leggermente la gonna sfiorandole la coscia. La sua pelle era morbida e tonica e solo quel contatto gli provocò un brivido interminabile che lo percorse dalla testa ai piedi.  Non gli era mai capitata una cosa simile e si sentiva anche un po’ a disagio nell’essere così freddo e approfittatore con una ragazza che conosceva appena, ma Annabeth sembrava più che convinta di quanto stava accadendo e lui era tremendamente arrabbiato con Rachel. Era così arrabbiato che avrebbe tranquillamente potuto sfogare la sua frustrazione su un’altra ragazza, cosa che ormai era ad un passo dal fare. Solo il pensiero fu sufficiente a farlo scattare. Puntò gli occhi sulla scollatura di Annabeth e le abbassò le spalline del vestito fin quando non fuoriuscì il reggiseno. Lo slacciò con foga e glielo sfilò gettandolo a terra insieme alla sua maglietta. Le strattonò il vestito spingendolo fin sotto al seno, poi la spinse contro i salvagenti mentre li tastava avidamente. Non aveva certo la stessa taglia di Rachel ma nel complesso li trovò soddisfacenti. Finirono sdraiati in un garbuglio di cime, zavorre e salvagenti, ma nessuno dei due ci badò molto. Annabeth sembrava aver ripreso esattamente dal punto in cui lui doveva essersi addormentato il mercoledì sera perché Percy la sentì afferrare saldamente qualcosa che gli apparteneva, giocandoci fino a farlo impazzire.
“Come diavolo ho fatto ad addormentarmi mentre facevi questo?” le domandò mordicchiandosi il labbro inferiore in preda al godimento più assoluto.
“Vorrei saperlo anch’io” scherzò lei allentando la presa e montando a cavalcioni su di lui.
“Cosa stai facendo?” domandò lui cercando i suoi occhi in quel groviglio di capelli biondi che le nascondeva la faccia.
“Se vuoi ti faccio un disegno” sorrise divertita.
“Mi riferivo al fatto che qui comando io” spiegò lui cingendole la vita con un braccio e ribaltando le posizioni. Colta alla sprovvista da quel gesto, Annabeth emise uno strillo soffocato e si ritrovò la mano di lui premuta sulla bocca mentre con l’altra le sollevava la gonna.
Erano mesi che Annabeth non faceva sesso e in un certo senso fu come rifarlo per la prima volta. Aveva quasi dimenticato le sensazioni che si provavano e si sforzò di non collegarle a Luke in nessun modo. Fortunatamente, Percy non somigliava minimamente al suo ex fidanzato e questa era già una buona cosa. Era talmente concentrata a reprimerne il ricordo che quasi non si accorse che Percy aveva smesso di morderle il seno e si trovava ad un centimetro dalla sua bocca. Quando sentì le sue labbra sfiorare le proprie aprì istintivamente gli occhi dandogli un pugno sul petto che gli mozzò il fiato.
“Ho detto niente baci!” Gli ricordò in tono scocciato. “Vedi di non approfittartene!”
“Scusa” tossicchiò lui.
“Non ti ho detto di fermarti! Perché ti sei fermato?” brontolò lei innervosita.
“Perché mi hai dato un pugno!” mugugnò lui tastandosi il petto.
“Quante storie, hai finito con queste scene?”
“Ma che cavolo vuoi!?” Disse lui afferrandola nuovamente per i fianchi e schiacciandola contro la ringhiera assicurandosi che non potesse sfuggirle. Annabeth incominciò a ridere.
“Vediamo se ridi adesso?” domandò lui mentre Annabeth gemeva in silenzio messa con le spalle al muro.
Annabeth cercò di parlare e Percy le premette nuovamente una mano sulla bocca assicurandosi che non le sfuggisse nessun suono. Non riuscendo a parlare lei gli mollò un altro pugno, questa volta nel costato, e lui finalmente spostò la mano.
“Non lo vedi che sto cercando di dire qualcosa?” Ringhiò lei inviperita.
“Che vuoi?”
“Sto cercando di dirti che non prendo la pillola, mi sembrava il caso di dirtelo.”
“Oh, sì, hai fatto bene.” Si limitò a dire lui che non aveva minimamente considerato il problema.
Si allontanò un secondo e afferrò un preservativo dalla tasca dei pantaloni. Jason era stato più previdente, o forse solo più speranzoso di lui e gliene aveva fornito uno quando si erano allontanati per prendere una birra domandandogli se fosse ancora capace di indossarlo.
Ovviamente era ancora capace di indossarlo e lo fece il più rapidamente possibile, poi si gettò nuovamente addosso ad Annabeth che lo fissava impaziente. In quel momento una serie di passi piuttosto ravvicinati percorse il pontile vicino a loro e istintivamente Percy si bloccò per ascoltare meglio.
“Dal rumore dei tacchi direi che si tratta di Piper, e dalla velocità con cui cammina direi che è arrabbiata” bisbigliò Annabeth.
“Ma cosa sei? Un detective?” scherzò lui.
“Si chiama logica” rispose lei con un sorriso che lui non riuscì a cogliere.
“Percy!” La voce di Jason s’insinuò tra le barche giungendo forte e chiara.
“Che vuoi?” rispose Percy mentre Annabeth lo guardava allibita. “Mandarvi dei messaggi come tutte le persone normali no?” chiese indispettita.
“Shhh” fece lui, le orecchie tese ad ascoltare.
“Porto Piper a casa” disse la voce di Jason.
“Ci vado da sola a casa!” Ringhiò la voce di Piper che sembrava più lontana di quella di Jason.
“Scusa l’interruzione” fece Jason ricominciando a camminare nella direzione da cui proveniva la voce di Piper.
Percy fissò nuovamente Annabeth e fece per baciarla. Fortunatamente si ricordò della sua particolare richiesta un attimo prima che lei potesse mollargli un ceffone e le bloccò la mano.
“Questa storia che non posso baciarti mi sta mandando a male!”
“Vuoi continuare a fare conversazione o riusciamo a finire quello che abbiamo iniziato mercoledì sera?”
Percy non aveva ben chiaro come funzionasse, ma le risposte fredde e ciniche che Annabeth sfoderava una dopo l’altra avevano il potere di caricarlo.
Le scostò nuovamente la gonna e riprese esattamente da dove aveva lasciato, con la differenza che questa volta non ci furono più interruzioni di nessun genere. Dieci minuti più tardi Percy si accasciò a fianco ad Annabeth completamente stremato. Effettivamente era un po’ fuori forma. Rimase sdraiato per qualche istante a riprendere fiato mentre Annabeth ne approfittava per ricomporsi. In un’altra situazione l’avrebbe abbracciata permettendole di accoccolarsi sul suo petto, ma qualcosa gli diceva che lei non era minimamente interessata perché si era già alzata e stava cercando il resto dei suoi indumenti per la barca.
“Si può sapere dove hai buttato il mio reggiseno?” domandò lanciando a Percy la sua maglietta. Lui la prese al volo e se la infilò dicendo: “Non ne ho idea.”
“Eccolo!” Esclamò additando qualcosa nell’acqua tra le barche. “Dannazione, Percy!”
Lui si alzò e la raggiunse dall’altra parte della barca.
“Congratulazioni!” Disse gelida mentre lui tirava su la zip dei pantaloni.
Percy gettò un’occhiata in acqua e intravide una macchia bianca che spiccava sul fondo scuro. “Ma dove stai andando?” domandò notando che Annabeth era già tornata sul pontile.
“A casa” disse lei incamminandosi.
“Aspetta” le gridò dietro scendendo dalla barca a vela, “ti accompagno.”
“No!” disse lei decisa.
Percy fece una breve corsa per raggiungerla. “Ehi, senti mi spiace per il reggiseno.”
Annabeth scoppiò a ridere. “Non è per il reggiseno.”
“E allora per cosa?”
“Non ti voglio tra i piedi, so come tornare a casa.” Gli disse gelida estraendo il telefono dalla borsa per vedere l’ora.
A Percy venne in mente un risposta piuttosto volgare, qualcosa inerente al fatto che adesso non lo voleva tra i piedi ma fino a dieci minuti prima lo voleva tra le gambe, ma decise di tenerla per sé perché qualcosa gli diceva che Annabeth non l’avrebbe presa bene.
“Vuoi smetterla di seguirmi?” ringhiò notando che Percy camminava ad una decina di metri di distanza.
“Se non vuoi farti accompagnare a casa perché la ritieni una cosa riservata alle coppie, non puoi impedirmi di controllare a distanza che non ti succeda nulla.”
Annabeth scrollò le spalle sbuffando. “Fai come ti pare.”
Mentre continuava a sorvegliare Annabeth a distanza, Percy tirò fuori l’Iphone dalla tasca. La luce dello schermo lo abbagliò rivelando che era l’una e mezza di notte. Percy strabuzzò gli occhi, aveva la sveglia alle sei. In quel momento il cellulare vibrò per colpa di Jason che gli aveva appena inviato un messaggio. Percy l’aprì e lesse: “Mi sa che ho combinato un casino, ti aspetto sotto casa così mi racconti della biondina!” Seguiva una faccina con l’espressione di chi la sapeva lunga.
Percy spense il cellulare e continuò a seguire Annabeth in silenzio. L’ultima cosa che voleva era Jason che gli faceva la posta sotto casa. Voleva solo godersi le quattro ore di sonno che gli rimanevano.
Annabeth raggiunse il portone di casa e si voltò a guardarlo. “Sei peggio di uno stalker” dichiarò.
“Buona notte anche a te” disse lui appoggiato al davanzale di una finestra qualche metro più indietro. Poi la vide sparire dentro l’appartamento e s’incamminò verso casa sperando che Jason avesse rinunciato ad aspettarlo.



Angolo dell'autrice: Come promesso, ecco un aggiornamento in tempistiche accettabili! La fatidica festa della birra è andata in scena e spero che sia stata piacevole da leggere e soprattutto realistica. Spero che le dinamiche tra i vari personaggi si stiano facendo sempre più chiare (se così non fosse chiedete pure). In privato qualcuno mi ha chiesto di Reyna ed eccola qui, nella mia storia lei è l'ex di Jason che lo assilla in continuazione perchè è ancora innamorata di lui e non riesce ad accettare la loro rottura. Per quanto riguarda la Percabeth... beh penso che l'atteggiamento di Annabeth sia abbastanza chiaro, mentre Percy è un po' in balia degli eventi, è stato travolto da questo uragano chiamato Annabeth ma non sa nemmeno lui cosa vuole davvero. Non si sente pronto per una nuova relazione, ma in ogni caso Annabeth è più che decisa a mantenere le distanze; non c'è trippa per gatti insomma. Nel prossimo capitolo avrete delucidazioni in merito a quello che è successo tra Piper e Jason quindi non vi anticipo nulla. Ma adesso basta... ho parlato troppo, adesso tocca a voi esprimervi. Se vi è piaciuto questo capitolo fatemelo sapere con una recensione. Come qualcuno di voi già sa, rispondo sempre volentieri ai vostri commenti e alle vostre domande/curiosità sulla storia in generale. Grazie mille di aver letto fino a qui, grazie a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite e grazie alle persone fantastiche che mi lasciano commenti meravigliosi e mi scrivono in privato! A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sabato ***


SABATO

 
 
A mezzogiorno di sabato Talia non aveva ancora smaltito la sbornia della sera prima. Ciononostante aveva insistito affinché le amiche la portassero comunque in spiaggia dove stava ancora facendo i conti con i postumi. Se ne stava sul lettino sdraiata a pancia in su, con una mano premuta sullo stomaco e l’altra davanti agli occhi per ripararsi dalla luce.
“Qui ci vuole un po’ di musica.” Osservò uscendo dal suo stato comatoso per cercare cellulare e cuffie nella borsa.
“Ok, adesso che Talia non può sentirci, mi ripeti cosa diavolo è successo dopo che ci siamo perse di vista al porto?” domandò Annabeth inforcando gli occhiali da sole.
“Te lo ripeterò solo ed esclusivamente dopo che tu mi avrai raccontato cosa hai combinato con Percy, perché è da stamattina che hai quel sorrisetto stampato in faccia.” Disse Piper che, curiosa com’era, non vedeva l’ora di conoscere ogni dettaglio.
“Diciamo che ho interrotto il mio digiuno sessuale” spiegò Annabeth ampliando maggiormente il sorriso.
“Ne ero sicura!” Gioì Piper abbracciando l’amica che la pregava di contenersi.
“Beh?” fece curiosa. “Com’è stato?”
Annabeth si voltò a guardare Talia per controllare che fosse ancora in coma, poi disse: “Non male!” E condì il tutto con un sorriso soddisfatto.
“Otto?” domandò Piper con gli occhi fuori dalle orbite. Annabeth scoppiò a ridere. Sapeva che l’amica aveva il vizio di dare un voto ad ogni ragazzo con cui andava a letto, ma per lei era assurdo tradurre le capacità sessuali di un ragazzo in un voto numerico.
“Ancora con questa storia dei voti?” ridacchiò proprio mentre Percy passava davanti a loro con delle cime arrotolate intorno al braccio.
“Beh, che c’è di male? Vuoi darmi qualche dettaglio in più di tua spontanea volontà o devo tirarti fuori le parole di bocca con la forza?”
“Shhh” fece Annabeth, “non voglio che capisca che stiamo parlando di lui.” Aggiunse accennando a Percy che era nelle vicinanze.
“Cosa te ne importa?”
“Non voglio che pensi che dò peso a quello che è successo ieri notte.”
Piper si ritrasse leggermente per guardare meglio l’amica. “La domanda sorge spontanea: dai o non dai peso a quello che è successo ieri notte?”
“Ma certo che no!” Esclamò Annabeth come se la cosa fosse più che ovvia.
“Beh, non ne avete parlato ieri sera?”
“A dire il vero non abbiamo parlato molto.” Ammise Annabeth ricordando gli avvenimenti della sera prima. “Diciamo che ho stroncato sul nascere ogni suo tentativo di fare conversazione.”
Piper la fissava accigliata.
“Che c’è?” borbottò Annabeth a disagio.
“Ogni tanto non ti capisco.” Ammise Piper spremendo il flacone di crema e riversandone il contenuto sul palmo della mano.
“Che cosa c’è da capire?”
“Sei andata a letto con il ragazzo che puntavi dal primo giorno che siamo arrivate e hai anche ammesso che non è stato niente male, ciononostante sembri decisa tenere le distanze, non ne capisco il motivo.”
“Non sono in cerca di una relazione” tagliò corto Annabeth giocando con il laccetto del costume, “e anche se lo fossi, lui sta lavorando e non può avere relazioni con le clienti. È già stato buttato fuori dalla discoteca per colpa mia, vorrei evitare di fargli perdere anche il lavoro.”
“Questa è l’unica cosa sensata che hai detto” sentenziò Piper che aveva appena finito di spalmarsi la crema al cocco e adesso profumava come una Piña colada.
Annabeth si tolse gli occhiali per guardare in cagnesco l’amica. “Perché cos’è che non ha senso in quello che ho detto?”
“Questa faccenda che non vuoi più storie serie con i ragazzi perché Luke ti ha spezzato il cuore, è un’idiozia lo sai?”
Solo il nome del suo ex mandò Annabeth su tutte le furie. Fu sul punto di ribattere ma Piper fu più veloce. “Tutte le ragazze che hanno subito una delusione d’amore dicono quella frase, sembrano decise a precludersi ogni nuova possibilità solo perché qualcuno in passato ha osato ferirle, ma ti dirò una cosa Annabeth Chase: dovresti ringraziare Luke per averti tradito. Certo, non sarà una bella cosa da raccontare ma se non altro ti sei liberata di lui e delle sue manie di grandezza. Puoi puntare molto più in alto ed è ora che tu te ne renda conto.”
“Invece di dire idiozie, perché non mi racconti cosa hai combinato con Jason?” Domandò incrociando le braccia al petto.
Piper sbuffò contrariata.
“Mi ha portata in fondo al molo, e appena gli si è presentata l’occasione ha allungato le mani. Penso che lo schiaffo che gli ho rifilato se lo ricorderà per un bel po’. Non mi stupisco che non si sia ancora fatto vedere stamattina… probabilmente ha ancora le mie cinque dita stampate in faccia.”
Annabeth rise, non era certo la prima volta che Piper le raccontava una cosa simile. Essendo bellissima le capitava spesso di cacciarsi in situazioni simili, anche se non sembrava abituarsi mai alla cosa.
“Giusto per sapere… hai intenzione di raccontare a Talia che ti sei spupazzata suo cugino?”
Annabeth si guardò bene dal rispondere, spostò lo sguardo sulla caviglia sfigurata dalla medusa e poi disse: “E tu hai intenzione di dirle che suo fratello ti ha palpata?”
A qualche metro di distanza Percy osservava con la coda dell’occhio Annabeth e Piper che chiacchieravano domandandosi se lui e Jason fossero per qualche ragione oggetto della loro conversazione. Grazie alla parlantina del cugino aveva dormito solo due ore e adesso ne stava pagando le conseguenze. Aveva gli occhi pesanti e stava vagando per la spiaggia inventandosi qualcosa da fare perché era certo che se si fosse messo seduto, si sarebbe addormentato in tempo zero.
Quasi come se si fosse sentito chiamato in causa, Jason fece la sua apparizione all’ingresso del lido, gli occhiali da sole in testa e un asciugamano in spalla.
“Bella la vita di chi può alzarsi a mezzogiorno!” lo schernì Percy andando verso di lui.
“Stai zitto!” borbottò lui, “tu almeno ieri sera non sei andato in bianco!”
“Vieni con me, ci mangiamo una pizza!” Aggiunse poco dopo trascinandosi il cugino verso il bar.
“Più che di una pizza avrei bisogno di un caffè” si lagnò Percy che era troppo stanco per opporre resistenza.
“Te lo offrirei, se solo non fossi certo che ne hai già bevuti cinque!”
“Quattro” ammise Percy stropicciandosi gli occhi.
“A proposito, questa è una delle domande tipiche di tua madre.” Poi, imitando la voce di Sally Jackson, aggiunse: “Quanti caffè sta bevendo mio figlio? È già iperattivo di suo, non deve bere troppo caffè, gli fa male, diglielo Jason per favore!”
Percy si passò una mano tra i capelli. “Mi dispiace che vi sta assillando, a te e Talia intendo.”
Jason fece un’alzata di spalle, come a dire che non gli importava e che lo capiva.
“Ma Leo dov’è?” chiese Percy notando solo in quel momento l’assenza del ragazzo.
“Ha detto che aveva un piano geniale per rimorchiare la tipa della gelateria… ti confesso che sono preoccupato.”
“Come minimo si farà arrestare” ridacchiò Percy addentando la pizza che gli avevano appena servito.
“No ma bravi! Bella l’opinione che avete di me!” Percy e Jason si voltarono giusto in tempo per vedere Leo appoggiato al bancone del bar che li fissava con l’espressione furba.
“Ciao!” Dissero Percy e Jason in coro mentre lui spostava una sedia e prendeva posto accanto a loro.
“Quando dico che sono un genio non lo dico per vantarmi, è la pura verità!” Disse lui posando sul tavolo un oggetto metallico che assomigliava ad una carrucola. “Guardate un po’!” Aggiunse indicando l’oggetto con orgoglio.
Percy e Jason si scambiarono un’occhiata come se stessero pensando seriamente di portare Leo in una clinica per malati di mente.
“Hai derubato un ferramenta?” domandò Percy mangiando l’ultimo pezzo di pizza.
Leo fece una risata forzata. “Molto divertente.”
“Questa è la mia idea geniale per conquistare Calypso!”
“Sono io che sono all’antica o alle ragazze si regalano fiori e gioielli invece di carrucole arrugginite?” domandò Jason a Percy che stava ancora fissando il pezzo di ferro che troneggiava sul tavolo.
“Non sapevo che fosse all’antica toccare le tette alle ragazze al primo appuntamento.” Lo canzonò Percy con un sorriso sornione.
“Disse quello che ieri ha trombato solo perché io gli ho fornito un preservativo!”
“Avete finito di sbattermi in faccia la vostra vita sessuale?” si lamentò Leo che non stava più nella pelle all’idea d’illustrare agli amici il suo piano.
“Sì” dissero i ragazzi all’unisono incrociando le braccia al petto simultaneamente.
“Grazie. Dunque, questo è il meccanismo della serranda del negozio di Calypso. L’ho rimosso stamattina mentre lei era nel retro in modo che non potesse accorgersi di nulla. Senza questo pezzo la serranda non può abbassarsi ma Calypso lo scoprirà solo stasera quando tenterà di chiudere il negozio, ed è in quel momento che entrerò in scena io.” Spiegò gonfiando il petto come un pavone. “Aggiusterò la sua serranda e la conquisterò. Ci sposeremo e avremo tre figli, o forse quattro, non lo so, devo ancora decidere.”
“Te l’ho detto che l’avevamo perso!” Disse Jason a Percy seriamente preoccupato.
“Ragazzi! È un piano perfetto!” A Leo brillavano gli occhi.
“A me sembra un piano perfetto per farsi denunciare” ammise Percy che era in fissa sull’oggetto del misfatto, gli occhi gonfi di sonno.
“E te lo sta dicendo Percy, che di denunce ultimamente se ne intende.” Scherzò Jason. Percy abbassò gli occhi, imbarazzato. Non era certo una cosa di cui andava fiero.
“Ma lei non saprà mai che sono stato io a rimuovere questo pezzo, adesso lo butto e stasera lei penserà che io sia lì per caso!”
“Jason, chi siamo noi dopotutto per impedirgli di fare questa cazzata?” domandò Percy al cugino.
“Me lo stavo chiedendo anch’io.”
“Bene, ora vi lascio perché devo sbarazzarmi di questo coso!” E con quelle parole Leo corse via insieme alla carrucola arrugginita.
“Jackson!” Il Signor D era in piedi sugli scalini che dal bar conducevano alla spiaggia con un’espressione tutt’altro che amichevole. “Non ti pago per stare seduto al bar a chiacchierare con tuo cugino!”
“Arrivo” brontolò Percy alzandosi controvoglia.
 
Talia fu svegliata verso le quattro di pomeriggio dalla suoneria del suo cellulare.
“Ma chi cavolo è?” mugugnò estraendo il telefono dalla borsa. “Oh no, ancora?” Sul display lampeggiava la dicitura Zia a caratteri cubitali.
“Pronto. Ciao Zia. Sì, tutto bene. Non ho ancora visto Percy stamattina.” In quel momento Annabeth si voltò a guardare l’amica che allargò le braccia e roteò gli occhi. “Come dici? Ah sono le quattro? Eh si sono un po’ rimbambita dal sole…” In quel momento Percy passò proprio davanti a loro e Talia fu seriamente tentata all’idea di rifilargli il telefono obbligandoli a parlarsi. “Guarda, ecco Percy, che ne dici se te lo passo? No eh? Va bene, va bene, no non glielo dico che mi hai chiamata. Comunque lui sta bene. Non preoccuparti.” Finalmente Talia riuscì a chiudere la chiamata e sospirò.
“E con questa siamo a cinque chiamate in sei giorni.”
Annabeth aggrottò la fronte. “Perché chiama te?”
“Perché lei ha smesso di parlargli da quando lui ha lasciato l’Università… ci teneva molto che finisse.” Spiegò con un sorriso triste. “Percy ha una situazione famigliare un po’ particolare.”
Annabeth si pentì di aver fatto quella domanda, non voleva sapere nulla in più su Percy, per lei doveva rimanere il bagnino attraente che ogni tanto si portava a letto. Fine.
“Ok, ok.” Disse impedendo a Talia di proseguire il suo racconto. “Non voglio farti parlare di cose spiacevoli, quindi perché non andiamo a farci un bagno?”
La boa era occupata da una banda di ragazzini chiassosi, così le tre amiche fecero rotta verso gli scogli che sembravano essere decisamente più tranquilli.
Talia si arrampicò su una sporgenza semisommersa con l’abilità di chi era solita fare quel gesto da anni, mentre Annabeth aveva trovato un’altra strada per salire sugli scogli che però le stava creando qualche problema.
“Dai Piper, datti una mossa!” Esclamò Talia indicando all’amica dove mettere i piedi.
“Mi sto graffiando tutte le gambe” protestò lei.
“Sei una lagna, vieni qui che ti tiro su!” E così dicendo tese una mano all’amica che riuscì ad issarsi sugli scogli e rotolò a fianco a Talia, un seno completamente fuori dal bikini.
“Guarda che una delle tue amiche ha deciso di prendere il sole” le disse Talia indicandole il seno scoperto.
“Fortuna che non c’è Jason nei paraggi” scherzò Annabeth un attimo prima di pentirsi di aver aperto bocca.
“Cosa hai detto?” domandò Talia accigliata mentre Annabeth si guardava intorno come se non avesse detto nulla.
“Cosa ha detto?” Talia si rivolse a Piper.
Piper si sistemò il costume e dopo essersi sdraiata fronte sole dichiaro: “Tuo fratello ieri ha allungato un po’ le mani!”
Annabeth giurò che a Talia stesse uscendo il fumo dalle orecchie.
“E giusto per sapere, quando pensavi di dirmelo?” chiese avvampando.
“Te l’avrei detto, ma è tutta la mattina che dormi!” Si giustificò.
“Ah certo, adesso è colpa mia. C’è altro che dovrei sapere?” chiese fissando Piper minacciosa. La ragazza si puntellò sui gomiti, un sorriso divertito dipinto in faccia. “Sì, Annabeth si è scopata tuo cugino!”
“Piper!” Ringhiò Annabeth colta alla sprovvista.
“In barca a vela!” Aggiunse divertita mentre Annabeth la picchiava.
Sulla faccia di Talia comparvero una serie di espressioni, una più indecifrabile dell’altra. Prima sembrò arrabbiata, poi le scappò un sorriso nervoso, poi si mise le mani nei capelli e infine disse: “Una non può più nemmeno ubriacarsi in santa pace che voi vi accoppiate con tutti gli individui maschili della sua famiglia.”
“Ehi! Io non mi sono accoppiata con nessuno!” Disse Piper facendo la sostenuta. “Anzi, se vedi tuo fratello con cinque dita stampate in faccia, sappi che sono le mie.”
Talia rinunciò a proseguire la conversazione e si rivolse ad Annabeth, “Riguardo a te, perché non me l’hai detto subito? Avrei anche potuto dirlo a sua madre, ormai ci manca solo che mi chieda se la sua vita sessuale va a gonfie vele” sospirò abbacchiata. Quella situazione cominciava a mandarla fuori di testa.
“Beh, dopo quello che è successo mercoledì notte era solo questione di tempo.” Spiegò Annabeth un po’ in imbarazzo.
“Comunque, da un certo punto di vista, sono quasi contenta.”
Annabeth trasalì. Quella era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata.
“Se riesci a fargli togliere Rachel dalla testa ti faccio una statua.”
Annabeth scoppiò a ridere. “Penso sia impossibile considerando il fatto che mi ha chiamata Rachel ben due volte.”
A Talia si ghiacciò il sangue nelle vene mentre Piper faceva un verso disgustato.
“E tu non gliel’hai fatto notare?” chiese allibita.
“No, non me ne importa un’accidenti di come mi chiama. Non sono la sua fidanzata e non intendo diventarlo.  E poi se chiamarmi con il nome della sua ex migliora la sua performance per me va bene.” Dichiarò con un’alzata di spalle mentre le amiche la guardavano come se fosse un alieno.
 
Nonostante la sbronza della sera precedente Talia non esitò nemmeno un momento quando Jason le propose di passare la serata nel nuovo locale di Frank. Fu così che alle undici e un quarto le tre amiche imboccarono il vicolo che dalla piazza principale conduceva al centro del paese. Dopo un centinaio di metri sentirono una musica elettronica così forte che i bassi sembravano sul punto di far esplodere le casse. Era il locale di Frank e Talia si stupì del fatto che quello una volta fosse un vecchio negozio di ceramiche cinesi. Il makeover effettuato da Frank era veramente notevole. Davanti al locale c’era un piccolo parchetto dotato di qualche panchina e un campetto da basket dove un gruppetto di ragazzi si esibiva in una serie di schiacciate sotto lo sguardo divertito di qualche fanciulla.
“Wow” esclamò Talia guardando il locale che era un insieme di insegne fluo e luci al led.
Proprio davanti all’ingresso Jason e Leo si sbracciavano per segnalare la loro presenza alle ragazze che in mezzo a quella bolgia fecero quasi fatica a riconoscerli.
“Se mio fratello dovesse fare ancora il coglione sei autorizzata a prenderlo a schiaffi di nuovo” si raccomandò Talia mentre li raggiungevano.
“Tranquilla, l’avrei fatto anche senza il tuo permesso!”
Proprio in quel momento Jason rispose al cellulare. “Dove diamine sei?” esalò. “Come sarebbe ti sei addormentato? Sì, ho capito che hai dormito solo due ore, ma hai vent’anni non sessanta quindi vedi di muoverti!” Chiuse la chiamata e rimise il telefono in tasca. “Ti ho mai detto che nostro cugino è un’idiota?” domandò rivolto alla sorella.
“Penso che se avessimo guadagnato un euro ogni volta che lo abbiamo definito tale, oggi saremmo ricchi.” Talia ridacchiò.
“Buonasera!” Esclamò Grover che stava già bevendo un drink seduto sul muretto che circondava il parchetto insieme ad un grosso cane nero.
“Lui è Pan” lo presentò un attimo prima che Talia cominciasse a coccolarlo. “Non fatevi spaventare dalla mole, è un tenerone.”
In quel momento un rumore di rotelle che sfrecciavano sull’asfalto catturò l’attenzione del gruppo, cosa che fu possibile solo ed esclusivamente perché il DJ del locale stava cambiando traccia.
Annabeth vide Percy comparire su uno skateboard dal fondo del parchetto. Quando fu abbastanza vicino, scese al volo dalla tavola e se la mise sotto braccio, poi strinse la mano di Grover che gli rifilò una pacca sulla schiena e si accovacciò per salutare Pan che era già gambe all’aria in attesa che lui gli grattasse la pancia. Quando si rialzò si trovò faccia a faccia con Annabeth che gli riservò un sorriso un po’ imbarazzato.
“Ciao” disse mentre lui si chinava per baciarla su una guancia.
“Almeno sulla guancia ti posso baciare?” le sussurrò all’orecchio un attimo prima di allontanarsi.
Annabeth non fece in tempo a rispondere perché Talia la stava già trascinando verso il bancone dove non vedeva l’ora di presentarle il proprietario del locale. Frank era un ragazzo alto e corpulento dai lineamenti asiatici non troppo marcati. I capelli erano neri e rasati molto corti sulle tempie, quasi come se avesse voluto riprodurre un taglio militare. Indossava una maglia mimetica sui toni del grigio e al collo portava una di quelle targhette rettangolari tipiche di chi è arruolato nell’esercito.
“Piacere” disse lui con un sorriso che addolcì notevolmente i tratti del suo viso.
Annabeth si presentò e prima che avesse finito di dire il suo nome, Frank aveva già predisposto tre bicchierini colmi di un liquido verdastro davanti a loro.
“Offre la casa” disse facendo un occhiolino. Le tre ragazze fecero un brindisi e svuotarono i bicchieri in un solo sorso facendo delle smorfie improponibili.
“Grazie” tossicchiò Piper, la gola ancora in fiamme.
Lui si strinse nelle spalle, poi il suo sguardo fu catturato da qualcuno nella folla. “Scusate” disse abbandonando momentaneamente il bancone per raggiungere una ragazza dalla carnagione olivastra e i riccioli castano dorati.
Poco più in là anche Percy, Leo e Jason stavano facendo il primo giro di chupiti.
“No tranquille, bevete pure senza di noi!” Disse Leo sarcastico cercando di sovrastare la musica.
“Ragazzi!” Gridò Grover dal muretto, le mani intorno alla bocca per amplificare la sua voce. “Ordinate un altro giro anche per me!”
Cinque minuti dopo erano tutti intorno al muretto tranne Jason che li stava raggiungendo con un vassoio su cui troneggiavano quattordici bicchierini pieni fino all’orlo.
“Rhum e pera per tutti.” Disse il ragazzo lasciando che gli amici si servissero.
Jason svuotò il primo bicchiere con lo sguardo fisso sui ragazzi che giocavano a pallacanestro.
“Percy, Grover, che ne dite di un tre contro tre?” Chiese dopo aver svuotato anche il secondo bicchiere.
“Grazie per avermi preso in considerazione” fece Leo indignato.
“Ti cedo il mio posto” disse Percy posando i bicchieri vuoti sul vassoio.
“Come sarebbe?” Jason strabuzzò gli occhi. “Leo è un disastro a basket!”
“Grazie amico!”
“Jason, è mezzanotte, io domani mi alzo alle sei, adesso vado a casa.” Spiegò Percy mentre i suoi piedi facevano scorrere lo skate avanti e indietro sull’asfalto.
“Mezzanotte?” fece Leo lasciando cadere improvvisamente il bicchiere che si frantumò in mille pezzi. “Devo andare!” E così dicendo corse via.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata interrogativa.
“Deve andare a conquistare la gelataia” disse Jason in risposta alle loro facce.
“Tornando a noi” si rivolse a Percy, “tu non vai da nessuna parte perché ho deciso che voglio sfidare quei tre sbruffoni!” Gli gettò un braccio sulle spalle e lo trascinò giù dallo skate che andò a sbattere contro il muretto proprio ai piedi di Annabeth.
“Maschi” si limitò a dire Piper, felice che Jason non avesse tentato un nuovo approccio.
Annabeth afferrò lo skate di Percy e se lo posò sulle ginocchia appoggiandocisi con i gomiti.
A quanto pareva i ragazzi avevano accettato la sfida, perché Grover tornò indietro chiedendo loro di tenere d’occhio Pan.
Talia prese il guinzaglio e diede un buffetto al cane che si rotolò ai suoi piedi.
Poco più in là Jason stava scegliendo il campo, mentre Percy si stava arrotolando le maniche della t-shirt mettendo in mostra le spalle abbronzate. Si voltò verso le ragazze e fece una corsetta per raggiungerle. In quel momento Pan fece uno scatto per inseguire un corvo che zampettava al centro del parchetto e si trascinò Talia dietro con una facilità disarmante.
“Ragazze, non è che potrei lasciarvi i miei averi?” Domandò Percy estraendo dalle tasche cellulare, chiavi e portafoglio.
Piper mostrò la mini pochette in cui entrava a stento il suo cellulare, mentre Annabeth si sfilava la borsa che portava a tracolla.
“Puoi metterli qui” disse aprendo la cerniera.
“Grazie” mormorò lui un attimo prima che Jason cominciasse a chiamarlo a gran voce.
“Non vorrei dire, ma ogni volta che Jason mette a segno un canestro si volta verso di te per vedere se stai guardando…” osservò Annabeth dopo circa venti minuti di partita.
“Cosa stai insinuando?” chiese Piper, un sopracciglio inarcato.
“Che gli piaci e che forse troverà un modo più serio di corteggiarti.”
“Certe cose non s’imparano Annabeth” sospirò Piper lasciando trapelare una nota di rammarico.
“Lo dici come se la cosa ti dispiacesse” osservò Annabeth.
“Infatti è così, devo ammettere che in questi due anni è cambiato in meglio, peccato che per certi versi resti sempre un ragazzino.”
Ad Annabeth sembrò di scorgere uno scintillio nei suoi occhi.
Dieci minuti più tardi la partita si concluse e i ragazzi abbandonarono il campetto.
“Ragazzi, io vi saluto” disse Grover recuperando Pan ed imboccando la strada di casa.
“Talia” fece Jason guardando la sorella, “potrebbe esserci un problema…”
“Sarebbe?”
“Leo non mi risponde al telefono, quindi io sono chiuso fuori di casa… e se lui dovesse essere in casa con Calypso io non voglio metterci piede!”
“Grande Leo!” Ridacchiò Percy sperando che l’amico avesse avuto successo.
“Beh, pensi che potrei dormire a casa nostra per questa notte?” domandò sorridente.
Annabeth squadrò Piper, ma la sua espressione era indecifrabile.
“Perché non dormi da Percy?” chiese Talia infastidita.
“Primo perché non voglio dormire con un uomo e secondo perché si alza alle sei e io voglio dormire.”
“Mi sembrano due ottime motivazioni e visto che ormai è quasi l’una, io vado a casa” annunciò Percy recuperando lo skate e dirigendosi verso casa.
“Quindi? Mi adottate o no?” domandò Jason con un ghigno.
In quel momento Annabeth si ricordò di avere in borsa tutti gli effetti personali di Percy e gli corse dietro chiamandolo a gran voce.
“Percy, ho le tue chiavi!” Gridò inseguendo il rumore dello skate che si allontanava nell’oscurità.
Annabeth seguì il suono per un paio di vicoli poi svoltò a sinistra e si scontrò violentemente con Percy che era in piedi davanti al portone di casa sua.
“Ahi!” mormorò lui incassando il colpo.
“Scusa” disse lei barcollando.
“Una sola notte di sesso e già m’inseguì come se non potessi vivere senza di me?” disse lui abbozzando un sorriso.
“Veramente hai dimenticato le chiavi nella mia borsa” lo gelò Annabeth mostrandogli il mazzo.
“Oh” fece lui riprendendosi le chiavi.
“Ecco il resto.” Lei gli consegnò portafoglio e cellulare e girò sui tacchi per tornare da dove era venuta.
“Aspetta!” Annabeth sentì la mano di Percy stringersi intorno al suo braccio. “Posso offrirti qualcosa?” domandò gentile mentre apriva il portone.
Annabeth rise. “Percy, se vuoi fare sesso puoi anche risparmiarmi queste smancerie.”
Percy deglutì. La schiettezza di Annabeth era disarmante.
“Vuoi fare sesso o no?”
Percy non rispose. Afferrò Annabeth per un polso e se la trascinò dentro l’appartamento.
“Aspetta solo un momento che mi faccio una doccia.”
“La doccia la fai dopo!” Ordinò lei strattonandolo per un braccio verso il letto.
Percy si rese conto di essere in balia degli eventi. Annabeth l’aveva già spogliato per metà prima ancora che si rendesse conto di essere sdraiato sul letto, e adesso gli stava sbottonando i jeans.
Si risvegliò da quello stato di torpore e afferrò Annabeth per i fianchi. Le sfilò la maglietta mentre cominciava a baciarla sul collo, stando bene attento a non avvicinarsi alla sua bocca. Non aveva intenzione di prendersi altri pugni.
In quel momento il letto cominciò a vibrare. Infastidita, Annabeth sollevò lo sguardo dagli addominali di Percy e cercò il cellulare nella borsa.
“Giusto per sapere… ti aspettiamo qui al parco, o mio cugino ha intenzione di rapirti per tutta la notte?” Recitava il messaggio di Talia.
Percy aveva letto il messaggio da sopra la spalla di Annabeth, e prima che lei potesse rispondere le strappò il telefono dalle mani e registrò un messaggio vocale: “Questa notte Annabeth dorme qui, potete andare a casa.”
Annabeth non poteva credere alle sue orecchie. Si riprese il telefono e apostrofò Percy con un’occhiataccia delle sue.
“Scusa da quando decidi dove dormo?” Sibilò.
“Tranquilla, dormire insieme non fa di te la mia fidanzata, se è questo che ti preoccupa. E comunque posso sempre dormire sul pavimento se la cosa ti disturba.” Spiegò lui accarezzandole i fianchi.
“Sai di cosa dovresti preoccuparti tu?” Ringhiò lei in risposta, “di fare una performance decente, perché l’ultima volta che sono stata in questo appartamento me ne sono andata insoddisfatta!”
“Agli ordini!” Esclamò lui afferrando Annabeth di peso e schiacciandola nell’angolo che il letto creava con il muro. I minuti che seguirono furono un susseguirsi di gemiti e respiri affannosi. Annabeth sentiva il muro graffiarle fastidiosamente la schiena, ma tutto il resto era troppo piacevole per perdere tempo a lamentarsene. Lasciò che Percy dettasse il ritmo e scegliesse la posizione che preferiva. Lui la girò un paio di volte afferrandola per il bacino e la immobilizzò sotto di lui. Annabeth si aggrappò al suo collo con entrambe le mani mentre lui piegava le braccia e si sdraiava delicatamente sopra di lei. Gli passò una mano tra i capelli arruffati e poi la fece scivolare lungo il collo fino alla schiena, che percorse sentendo ogni vertebra scorrerle sotto le dita. La sua pelle cominciava a sudare e lei iniziava a sentire la schiena andarle a fuoco per la frizione che esercitava sul materasso. Annabeth piazzò i palmi delle mani sul petto di lui e se lo allontanò di dosso sperando che l’aria ricominciasse a circolare.
“Che c’è?” mormorò lui senza fermarsi.
“Sto morendo di caldo.” Ansimò lei inarcando la schiena per farle prendere un po’ d’aria.
“Anch’io” ammise Percy guardando la finestra che però era già spalancata. “Ci sono quasi” aggiunse notando che lei si stava scostando i capelli dal collo.
“No” protestò lei, “non voglio che finisca, ti prego.”
Percy rimase inizialmente perplesso da quell’affermazione. Non capiva se si trattasse di un complimento o se Annabeth fosse semplicemente egoista, ma quando lei gli piantò le unghie nella schiena e cominciò a baciarlo sul collo decise che se lo sarebbe domandato più tardi. Cercò di protrarre il rapporto più a lungo possibile, ma l’orgasmo era imminente, così smise di trattenersi e si accasciò su Annabeth invocando il suo nome.
“Questa volta almeno hai azzeccato il nome.” Lo canzonò lei mentre lui si rotolava al suo fianco, il fiato corto e un sorriso ebete stampato in faccia.
“In che senso?” Percy si girò a pancia in giù per guardarla meglio.
“Nel senso che ieri sera mi hai chiamata Rachel!” Spiegò lei infilandosi sotto il lenzuolo.
Percy sbiancò improvvisamente, come se il fantasma della sua ex fosse appena entrato dalla porta.
“Due volte” aggiunse Annabeth giusto perché ci teneva a girare il coltello nella piaga.
Percy nascose la testa nel cuscino e si coprì la nuca con le mani.
“Scusa” disse sollevando leggermente il capo quanto bastava per mostrare i suoi occhioni verdi, la voce ovattata dal cuscino. “Sono un coglione.”
Annabeth fece una leggera alzata di spalle. “Direi che non ha importanza, se ce l’avesse stasera non sarei qui, tu che dici?”
Effettivamente il suo discorso filava.
“Ma adesso è ora che io vada…” dichiarò guardandosi intorno in cerca dei suoi vestiti.
“Guarda che dicevo sul serio quando ho detto a Talia che potevi dormire qui.” Precisò lui che la osservava seduto sul letto.
“Percy, forse non ti è chiaro, io non voglio dormire con te e poi tu devi alzarti presto e non voglio esserti d’intralcio.”
“Puoi dormire quanto vuoi, ti lascio le chiavi” spiegò Percy indicando il mazzo sulla mensola vicino alla porta, “quando ti svegli e vieni in spiaggia me le restituisci.”
“Grazie” balbettò lei colpita da tanta gentilezza, “ma non mi sembra il caso…”
“Guarda che dicevo sul serio anche quando ho detto che avrei dormito per terra se proprio non mi vuoi nel letto.”
“Non ti farò dormire sul pavimento di casa tua!” Dichiarò Annabeth seccata.
“Allora dormi qui e basta. Giuro che non ti abbraccerò e non cercherò di ucciderti nel sonno, va bene?”
Annabeth annuì e si accorse di essersi lasciata sfuggire un sorriso.
“Adesso però mi lavo perché mi faccio schifo da solo” disse lui avviandosi nudo verso il bagno.
Annabeth fissò le pallide natiche di Percy allontanarsi, mentre un pensiero fisso si faceva largo nella sua mente. Si alzò di scatto dal letto e lo raggiunse sotto la doccia proprio nel momento in cui lui apriva il getto dell’acqua.
“Ma cosa…” balbettò lui ritrovandosela completamente nuda sotto la doccia.
“Non dire niente” ordinò lei spingendolo contro al muro.
Percy lanciò un’occhiata all’orologio appeso vicino allo specchio. Erano già le due. Qualcosa gli diceva che per la seconda notte di fila, avrebbe dormito meno di quattro ore.


Angolo dell'autrice: Ed ecco che siamo arrivati a sabato... la prima settimana di ferie delle nostre ragazze sta per finire e non si può proprio dire che sia stata una settimana noiosa! Voi cosa ne pensate? Vi piace il modo in cui si stanno sviluppando le relazioni amorose dei personaggi? Se avete voglia fatemelo sapere con un commento o con un messaggio privato, io rispondo e chiacchiero sempre volentieri con voi! Finisco di rompervi le scatole ringraziandovi anche questa volta per aver letto tutto il capitolo e soprattutto dicendo un enorme Grazie a tutti quelli che hanno aggiunto questa storia alle loro liste, siete sempre di più e mi rendete molto felice :-) Al prossimo capitolo!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Domenica ***


DOMENICA

 
 
Annabeth non aprì gli occhi prima delle undici. Si rigirò nel letto un paio di volte prima di rendersi conto di essere completamente sveglia. Si mise a sedere ancora stordita, lo stomaco che cominciava a brontolare per la fame. Raggiunse il bagno scalza, si sciacquò la faccia e si guardò in giro alla ricerca di una spazzola, che ovviamente non c’era. Lanciò un’occhiata alla doccia e sorrise ricordando quello che era successo lì dentro poche ore prima. Il suo stomaco brontolò di nuovo, così Annabeth uscì dal bagno e notò cosa c’era sul tavolo.
Su una tovaglietta blu, c’era uno di quei sacchetti di carta tipico dei fornai, una tazza con disegnati dei cavallucci marini, la zuccheriera, un cucchiaino e un post-it giallo su cui Percy aveva scritto qualcosa.
“La caffettiera è già pronta, devi solo accendere il fuoco, il latte è in frigo” recitava il foglietto colorato.
Annabeth rimase in piedi davanti al tavolo, interdetta. Poi afferrò la borsa e recuperò il cellulare. Scattò una foto alla tavola imbandita e fece per inviarla a Percy, ma si accorse solo in quel momento di non avere nemmeno il suo numero. Sbuffò scrollando le spalle, poi si decise ad accendere il fuoco sotto la caffettiera e si sedette.
Il sacchetto davanti a lei profumava di brioches, spostandolo notò che sotto c’era un altro post-it.
“Cioccolata, crema, marmellata e liscia. Non conosco i tuoi gusti, quindi li ho presi tutti. Buon risveglio” Uno smile seguiva la frase.
In quel momento il telefono squillò, Piper la stava chiamando.
“Ehi” rispose apatica.
“Ciao Annabeth, ti ho svegliata?”
“No, no, tranquilla.” Mormorò versandosi il caffè.
“Tutto bene? Ti sento un po’ strana…”
“Sono furiosa” spiegò come se la cosa fosse normale.
“Bene!” Disse Piper dopo una breve pausa.
“Senti, tra poco vengo a casa così mi lavo i denti e mi metto il costume.”
“Fai con comodo, qui siamo ancora in alto mare. Jason sta ancora dormendo sul divano.” Raccontò sbirciando il fratello di Talia che dormiva a petto nudo sdraiato a pancia in su, i capelli biondi che brillavano illuminati dalla luce del mattino.
“A dopo.” Mormorò un attimo prima di chiudere la chiamata e di concentrarsi sulla brioches alla crema.
Annabeth si rivestì, poi riordinò il tavolo e s’infilò i post-it lasciati da Percy nella tasca dei pantaloncini. Chiuse le finestre e recuperò la borsa, quindi uscì di casa dando due mandate alla porta.
Quando rientrò in casa di Talia, Jason stava facendo colazione, o forse stava pranzando visto il tardo orario. Piper era in bagno e Talia stava litigando con il suo cellulare.
“Buongiorno” disse abbandonando la borsa nell’ingresso.
“Bentornata!” esclamò Talia mentre Jason salutava con un cenno del capo.
Piper uscì dal bagno e raggiunse Annabeth in camera.
“Allora?” domandò curiosa mentre l’amica s’infilava il costume. “Com’è andata?”
“Alla grande, almeno fino a stamattina.”
Piper si accigliò.
“Potresti essere più chiara?”
“Dopo! Adesso c’è Talia!” Disse Annabeth muovendo solo le labbra.
Piper annuì.
“Ragazze, visto che voi siete già pronte se volete potete incominciare ad andare in spiaggia. Noi vi raggiungiamo.” Propose Talia che indossava ancora la maglia dei Metallica che usava come pigiama.
Piper e Annabeth non ebbero nemmeno bisogno di consultarsi e qualche minuto più tardi stavano percorrendo il lungo mare chiacchierando.
“Nella doccia?!” Piper sembrava visibilmente colpita. “Non avete perso tempo, eh?”
Annabeth rise di gusto. “E perché dovrei perdere tempo, tra una settimana ripartiamo!”
“Hai ragione!”
“Tu piuttosto? Che mi dici di Jason?” chiese Annabeth, un sorrisetto furbo stampato in faccia.
“Che è il fratello di una delle miei migliori amiche.” Tagliò corto lei.
“E da quando questo rappresenta un problema?”
“Annabeth, so dove vuoi arrivare, ma no, non intendo provarci con Jason, è chiaro?”
“E chi ha detto che devi provarci? Mi sembra che lui sia già stato abbastanza esplicito.”
“Non pensare che non mi sia accorta che stai cercando di cambiare discorso.”
“Quale discorso?” fece Annabeth, l’espressione confusa.
Piper sbuffò. “Non mi hai più detto perché stamattina eri furiosa.”
“Ah già!” Esclamò Annabeth dandosi uno schiaffo sulla fronte. “Ero furiosa perché Percy mi ha preparato la colazione.”
Piper smise di camminare e osservò l’amica che si allontanava.
“Che c’è?” chiese Annabeth voltandosi e allargando le braccia.
“Tu non sei normale” sentenziò Piper ricominciando a camminare.
“È anche andato a comprare le brioches! Ti rendi conto?” raccontò Annabeth.
“A me sembra una cosa carina!”
“È proprio questo il punto, non voglio che faccia cose carine per me!” Sputò fuori come se avesse trattenuto quelle parole troppo a lungo.
“E perché mai? Hai forse paura di innamorarti di lui?” domandò Piper che aveva sempre avuto parecchio intuito per certe cose.
Annabeth scoppiò a ridere. “Non preoccuparti, non c’è pericolo!” Le disse mentre scendevano le scale del lido.
Appena raggiunsero il loro ombrellone, Annabeth individuò subito Percy. Si trovava ai piedi della sua postazione, con indosso una t-shirt rossa con la scritta “staff” in bianco.
“Scusami un secondo” disse Annabeth a Piper che aveva appena finito di spalmarsi la crema.
“Dove vai?”
“A mettere le cose in chiaro.” Le rispose senza voltarsi.
“Ciao” le sorrise lui mentre si avvicinava.
Annabeth lo salutò con freddezza, poi aprì la galleria di immagini sul cellulare e mostrò a Percy la foto che immortalava la tavola apparecchiata per la colazione. “Cos’è questa?” domandò con aria inquisitoria.
“Una buona colazione?” Buttò lì lui colto alla sprovvista dalla domanda.
“Sbagliato!” Ringhiò Annabeth mettendo via il cellulare. “È un tentativo di essere carino!”
Percy si accigliò. “Ma io sono carino.” Si limitò a dire stringendosi nelle spalle.
“Non farlo mai più!” Aggiunse estraendo i post-it dalla tasca e mettendoli in mano a Percy. “Non voglio che tu sia carino con me!” Poi gli consegnò le chiavi e tornò da Piper che era ferma immobile sul lettino esposta al sole come una lucertola.
Percy la guardò allontanarsi mentre giocherellava con i post-it. Non gli era mai capitato di avere una relazione con una ragazza così complicata. Sempre se di relazione si poteva parlare.
“Jackson!” Ruggì il Signor D camminando verso di lui con indosso una camicia arancione particolarmente agghiacciante. “I signori La Rue stanno arrivando e vogliono essere sicuri che sia tutto in ordine, vai a controllare immediatamente la loro postazione!” Gli ordinò puntandogli un dito al petto come per minacciarlo, poi aprì una lattina di Coca-cola e tornò verso il bar.
“I signori La Rue hanno rotto ancora prima di arrivare.” Commentò Percy a bassa voce, poi salì le scale e raggiunse la zona in cui erano allineate tutte le cabine per assicurarsi che la loro fosse in ordine. Percorse la passerella in legno facendo lo slalom tra i bambini urlanti che si rincorrevano facendo traballare l’intera struttura, finché raggiunse la cabina numero 57. Aprì la porta per accertarsi che la serratura funzionasse e che l’interno fosse sgombro, poi richiuse la cabina e diede un giro di chiave.
“Percy” la voce stridula e fastidiosa di Kelli sovrastava gli schiamazzi dei bambini.
“Cosa c’è?” sospirò.
“Si è allentata la vite che regge la mensola della mia cabina… vieni a dare un’occhiata.” Disse lei sparendo dentro la cabina.
Percy sospirò di nuovo, qualcosa gli diceva che la mensola di Kelli non aveva nessun problema.
“Qual è il problema?” Chiese mettendo la testa dentro la cabina.
“Questa vite qui” brontolò lei indicando la parte bassa della mensola, “vieni a vedere.” L’esortò facendogli segno con la mano di entrare.
Percy entrò sbuffando, gli occhi fissi sul punto che gli aveva indicato Kelli. Appena mise entrambi i piedi dentro la cabina, Kelli chiuse la porta con uno scatto felino. Percy non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che lei l’aveva già spinto contro il muro e gli stava abbassando il costume.
“Kelli!” Disse Percy a denti stretti mentre l’allontanava.
Si tirò su il costume e allungò una mano verso la maniglia della porta ma Kelli fu più veloce. Ruotò la chiave nella toppa e la nascose nella parte bassa del costume sotto lo sguardo attonito di Percy che stentava a credere che l’avesse fatto per davvero. La ragazza lo guardò con il ghigno soddisfatto di chi aspettava quel momento da tempo.
“Kelli finiscila con questa pagliacciata, io sto lavorando, fammi uscire di qui.” Ringhiò lui seriamente infastidito.
Lei ridacchiò.
“Hai due modi per uscire di qui… hai veramente bisogno che io te li illustri?”
“Non sto giocando” disse lui serio mentre continuava a tenere a bada le mani di lei.
“Nemmeno io!” Fece lei civettuola, approfittando di quel momento per strusciarsi su di lui. “Hai visto dove ho messo la chiave… puoi sempre prenderla, oppure puoi lasciarmi fare quello che voglio e lasciare che io apra la porta di mia spontanea volontà. Anche se devo ammettere che sarebbe incredibilmente sexy vederti sfondare la porta con una spallata.” Mentre parlava, Kelli aveva ripreso ad allungare le mani. Le aveva infilate sotto la maglietta di Percy e si divertiva a graffiargli l’addome con le unghie finte.
Percy si sentiva un idiota, era caduto nella trappola di Kelli e adesso si ritrovava con le spalle al muro.
“Kelli no!” Guaì lui allontanandole entrambe le mani. Ma lei era già in ginocchio e a quanto pareva non aveva bisogno delle mani. Percy arretrò trattenendo a stento un gemito. Kelli aveva cominciato a fare quello che sognava da quando erano ragazzini e lui si ritrovò schiacciato contro il muro della cabina con il respiro affannoso. Con l’ultimo barlume di lucidità che gli rimaneva, mise una mano sulla fronte della ragazza nella speranza di riuscire ad allontanarla definitivamente ma sapeva che era troppo tardi, anche se Kelli avesse mollato il colpo lui non avrebbe certo potuto uscire dalla cabina in quelle condizioni.
“Mi avevano detto che era un po’ che non avevi una ragazza, ma non pensavo certo di farti questo effetto. Rachel è proprio una stupida.”
Percy si sentì gelare il sangue nelle vene, l’ultima cosa che voleva era sentire nominare la sua ex. Non ebbe nemmeno il tempo di protestare perché Kelli sembrava decisa a concludere quello che aveva cominciato.
Percy guardò in basso come per assicurarsi che Kelli stesse facendo veramente quello che pensava e si diede dello stupido ancora una volta, conosceva Kelli da una vita ed era riuscito a farsi incastrare nel modo più stupido possibile. Come se questo non bastasse stava provando piacere e se ne vergognò perché Kelli era l’ultima ragazza con cui avrebbe voluto avere a che fare, ma il suo corpo lo tradiva, continuava ad esalare sospiri e gemiti e questo non faceva altro che incoraggiarla.
“Per essere uno che non scopa da mesi, hai una bella resistenza!” Commentò lei ammirata mentre faceva una pausa.
“Kelli, basta, lasciami stare!” Fece lui con una voce che non suonava per niente convincete.
“No scusami, ma di preciso dove credi di andare?” Ridacchiò lei. “Dai, ormai puoi anche smetterla di opporre resistenza!” E così dicendo si azzittì mentre Percy alzava gli occhi al soffitto.
Un paio di minuti dopo, il tutto si concluse e Percy lanciò a Kelli un’occhiataccia che poteva voler dire solo una cosa: fammi uscire. Lei rise, poi ripescò le chiavi dal costume e fece scattare la serratura. Percy si affrettò ad uscire, augurandosi che nessuno avesse notato la sua assenza, ma quello che accadde fu anche peggio. Annabeth stava passando proprio in quel momento davanti alla cabina. Doveva essere di ritorno dalle docce perché aveva capelli e costume interamente bagnati. Percy notò il suo sguardo squadrare prima lui e poi Kelli che aveva pensato bene di pulirsi la bocca proprio in quel momento, come a voler sottolineare quanto era appena accaduto. Poi si allontanò nella direzione opposta a quella in cui stava Annabeth, il passo ancheggiante.
Percy rimase fermo immobile tra le due ragazze, come se ci fosse un campo magnetico che gli impediva di muoversi in una qualsiasi direzione. Annabeth si lasciò sfuggire una risata, poi scosse il capo e si allontanò.
“Aspetta!” Percy le corse dietro senza saper bene cosa volesse dire.
La ragazza si fermò al limite della passerella, le braccia conserte e l’espressione illeggibile.
“Alt” mormorò sciogliendo le braccia per fargli segno di fermarsi. “Non c’è bisogno che tu dica cose del tipo: non è come sembra, perché sì, è esattamente come sembra, non sono stupida, ma soprattutto non sono la tua ragazza quindi non mi devi spiegazioni.” Percy boccheggiò. Era vero, Annabeth non era certo stupida, e non era la sua ragazza, eppure sentiva comunque il bisogno di dare una spiegazione.
“Si lo so” mormorò, “ma non voglio che tu pensi che io sia interessato a Kelli.”
“Percy, in bocca a chi metti il tuo gingillo non sono affari miei” sussurrò facendo ben attenzione a non farsi udire dai passanti, poi si voltò di scatto facendo ondeggiare i capelli biondi che sgocciolarono sul pavimento e raggiunse l’amica in riva al mare. Percy abbassò il capo e si fermò un istante a riflettere, non sapeva se quella risposta fosse un buon segno oppure no.
Una pacca sulla spalla lo destò dai suoi pensieri. Jason lo aveva appena raggiunto insieme a Talia.
“Buongiorno cugino!” Disse Jason con un sorriso smagliante, mentre Talia scendeva in spiaggia limitandosi ad un semplice gesto della mano.
“Leo che fine ha fatto?” Domandò Percy.
“Vorrei saperlo anch’io!” Fece Jason guardando per l’ennesima volta lo schermo del cellulare sperando in una chiamata dell’amico.
“Si sta alzando il vento” osservò Percy, “devo mettere bandiera rossa” Jason vide il cugino correre verso riva dove le onde cominciavano ad infrangersi violentemente sul bagnasciuga.
“Pensavo avessi deciso di scioperare!” Lo redarguì il signor D che stava chiudendo gli ombrelloni vuoti per paura che volassero via.
“È meglio ritirare la boa” Gli fece notare Percy, ignorando il suo rimprovero.
“Datti una mossa allora!”
Percy finì d’issare la bandiera, poi si sfilò la maglia e si tuffò in acqua nuotando a stile libero fino alla boa. S’immerse per sganciarla dal fondale e cominciò a spingerla faticosamente verso riva. Ovviamente il signor D si guardava bene dall’aiutarlo. I lavori sporchi toccavano sempre e solo a lui.
Emerse dal mare trascinando la boa dalla fune che la legava a riva e la spinse fino all’inizio della passerella dove incrociò nuovamente Annabeth, questa volta tornava dal bar con un gelato.
Lui evitò d’incrociare il suo sguardò ma non poté fare a meno di notare che lei lo stava fissando.
“Che c’è?” domandò lui assicurando la boa alla struttura in legno con delle corde.
“Hai delle alghe in testa.” Gli fece notare lei mordicchiando il guscio di cioccolato che rivestiva il suo gelato.
Percy si portò una mano in testa e si scrollò i capelli da cui caddero dei frammenti di quella che Annabeth credeva fosse un’alga. Lui afferrò un frammento di quella roba e l’osservò per un istante, poi lo gettò a terra facendo una smorfia.
“Errore comune!” sentenziò lui tornando sui suoi passi.
“Come prego?” fece lei scuotendo il capo.
“Non si trattava di un’alga, bensì di un frammento di Posidonia, che per tua informazione è una pianta fanerogama.”
“Faneché?”
“Fanerogama” sospirò Percy che non era sicuro di volersi lanciare in una discussione scientifica con Annabeth.
“E con questo?” fece lei acida.
“Niente” disse lui che cominciava ad infastidirsi per il tono acido di lei, “è solo che ogni volta che qualcuno chiama alga una Posidonia un biologo marino muore!” aggiunse in tono scherzoso. Annabeth non rise. Se c’era una cosa che odiava era essere corretta, e se c’era una cosa che odiava ancora di più era essere corretta da un ragazzo con cui andava a letto sporadicamente.
“Va bene, allora hai ragione tu Testa d’Alghe!”
Senza aggiungere altro se ne andò facendo un gesto di stizza che lasciò Percy perplesso.
“Sei irritante quando fai così, lo sai vero?” domandò Talia che doveva aver assistito alla scena.
Percy sbuffò. “Non lo faccio perché voglio mettere in imbarazzo le persone o perché sono presuntuoso. Penso solo che sia giusto correggere errori banali come questi, spesso generati da luoghi comuni del tipo che tutto quello che è verde e sta in acqua è un’alga.”
“Ok, ok, ho capito” fece Talia alzando le mani in segno di resa. “Non ho detto che sei presuntuoso… dico solo che risulti un po’ irritante e Annabeth non è il tipo a cui piace sentirsi dare dell’ignorante.”
“Ma io non le ho dato dell’ignorante!” Protestò Percy sulla difensiva.
“Lo so ma vedere qualcuno che sa più cose di lei su un argomento non è facile per lei.”
“Mi sa che niente è facile con lei” commento Percy osservando Talia che si allontanava.
 
Quella sera nessuna delle ragazze ebbe da ridire quando Talia propose di mangiare sushi sfruttando il servizio take-away del giapponese sotto casa. Tornando dalla spiaggia si fermarono nel ristorante e si procurarono la cena, poi rincasarono chiacchierando.
“Giusto per sapere…” esordì Piper mezz’ora più tardi mentre si pettinava i capelli, “tuo fratello non ha intenzione di dormire qui anche questa notte, vero?”
Annabeth non riuscì a fare a meno di ridere. “Hai paura che ti s’infili nel letto?”
“No, è solo che questa notte vorrei dormire… ieri ha russato come un treno!” Precisò lei stizzita.
“Tranquilla, a quanto pare Leo non ha avuto successo con la gelataia… ieri sera era talmente abbattuto da non accorgersi nemmeno di avere il telefono scarico, ecco perché Jason non riusciva a contattarlo.”
In quell’esatto momento lo smartphone di Piper s’illuminò avvisandola che era arrivato un messaggio. La ragazza afferrò il telefono e fece scorrere un dito sullo schermo per sbloccarlo.
“Talia!” Sibilò un’istante più tardi squadrando l’amica intenta ad addentare il sushi.
“Che c’è?” borbottò lei con la bocca piena.
“Hai dato il mio numero a tuo fratello?”
Annabeth si voltò e i suoi occhi indugiarono su Talia insieme a quelli di Piper. Entrambe erano in attesa di una risposta.
“No” mentì Talia condendo il tutto con un’alzata di spalle.
“Ah no?” fece Piper, un sopracciglio inarcato. “E questo come lo spieghi allora?” Afferrò il cellulare e mostrò all’amica il messaggio che aveva appena ricevuto.
“Ciao splendore, mi domandavo se ti andrebbe di darmi una seconda possibilità… magari questa sera. Gelato?”
Talia sgranò gli occhi poi disse: “Dimmi che non ha veramente scritto splendore.”
“Sì, l’ha fatto!” confermò Piper un attimo prima che Annabeth le strappasse il telefono di mano per leggere il messaggio.
“E adesso cosa cavolo gli rispondo?” sospirò Piper amareggiata.
“Non per fare la guastafeste… ma è mio fratello, non so se mi spiego! Non coinvolgetemi in questa cosa!” E così dicendo Talia afferrò il vassoio con il sushi e continuò ad abbuffarsi seduta sul divano.
“Non sarei in questa situazione se tu non gli avessi dato il mio numero!” Le gridò dietro Piper.
“Sì, è vero, ma te lo avrebbe chiesto domani in spiaggia… Jason è un tipo testardo.”
Piper spostò lo sguardo su Annabeth.
“Cosa devo fare?” domandò sbuffando.
“Sentiti libera di rispondergli in modo sincero” disse saggiamente Annabeth.
“Tu a Percy hai dato una seconda possibilità.” Rifletté Piper ad alta voce.
“Sì, l’ho fatto.” Confermò Annabeth con un sorrisetto malizioso.
“Forse dovrei fare la stessa cosa.” Non ci fu bisogno che Annabeth dicesse altro perché Piper aveva già afferrato il cellulare e stava digitando freneticamente la sua risposta.


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Prima di tutto grazie a tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle loro liste, ad ogni capitolo si aggiunge qualcuno e ne sono molto contenta! Come avevo anticipato a qualcuno il capitolo era già pronto da un po' ma prima di pubblicarlo dovevo aggiornare un'altra storia che sto scrivendo, quindi scusate se ho ritardato un po' l'aggiornamento. Devo ammettere che adoro scrivere questa storia e continuano a venirmi in mente cose da inserire e che spero vi divertiranno. Grazie per tutte le belle recensioni che mi avete lasciato. A presto!!! :-)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Lunedì ***


Angolo dell'autrice: Ok, ci siamo, è di nuovo lunedì e voi non avete minimamente idea di tutto quello che accadrà in questa settimana (nella storia ovviamente). Spero di riuscire a sfruttare questi giorni di festa per portarmi avanti il più possibile con i capitoli successivi, ho tante idee e ci tengo a metterle giù al meglio quindi voi per ora godetevi questo capitolo e poi commentate che, lo sapete, i vostri commenti mi gasano e fungono da stimolo. Giuro che avrei voluto approfondire molto di più alcune cose che in questo capitolo sono solo accennate, ma cominciava ad allungarsi troppo... spero di trovare spazio nei capitoli successivi per dare ad ogni personaggio lo spazio che merita, quindi per favore non odiatemi. Auguro a tutti voi un Natale meraviglioso e spero per voi che sotto al vostro albero ci siano un sacco di libri con storie meravigliose pronte per essere lette, vissute ed amate.
 



 



Lunedì


 
 
Il lunedì si rivelò essere un giorno coperto e ventoso. Ciononostante, le ragazze non si fecero abbattere e raggiunsero la spiaggia sperando che il sole avrebbe fatto presto capolino dalle nubi.
Nonostante la brutta giornata la spiaggia era sempre uguale: i bambini scavavano buche nella sabbia, gli anziani facevano le parole crociate sotto l’ombrellone e Percy scrutava l’orizzonte in cima alla sua postazione mentre il Signor D si gustava la prima coca-cola del giorno comodamente seduto al bar con indosso una delle sue peggiori camicie.
Annabeth non poté fare a meno d’indugiare più del dovuto su Percy e puntualmente le sue amiche se ne accorsero e non persero l’occasione di prenderla in giro.
“Ti si consumeranno gli occhi a furia di guardarlo!” Le disse Piper ridendo.
Annabeth si affrettò a spostare lo sguardo, poi fece un gesto di stizza e disse: “Invece di prendermi in giro, perché non ci racconti un po’ com’è andata ieri sera con il tettomane?”
Piper scoppiò a ridere mentre Talia divenne bordeaux, non le riusciva per niente facile pensare a Piper e suo fratello che uscivano insieme.
“Avete fatto tardi per aver preso un semplice gelato…” adesso il tono di Annabeth era volutamente malizioso.
“No, no” fece Piper scuotendo il capo, “non è come pensi.”
“E allora come diavolo eh?” sbottò Talia, parecchio sollevata di sapere che tra loro non ci fosse stato nulla. Non era ancora sicura di volere Piper come cognata.
“Ok, lo ammetto. È andata molto meglio di come mi aspettassi, anzi, a dire il vero è andata molto bene.” Disse arrossendo lievemente.
Annabeth e Talia si scambiarono uno sguardo, ma fu Annabeth la prima a parlare.
“Scusa, stiamo parlando della stessa persona che ti ha toccato le tette appena gli si è presentata l’occasione?”
“Si, esatto, è veramente di mio fratello che stiamo parlando?” chiese Talia incredula.
“Credo di sì” ridacchiò Piper visibilmente imbarazzata.
La loro discussione fu interrotta dall’arrivo di una ragazza piuttosto alta e corpulenta che sbatté violentemente la borsa sul lettino dietro al loro mentre parlava al cellulare a voce esageratamente alta.
“Ma tu guarda se il primo giorno che arrivo al mare deve esserci questo tempo di merda!” Stava dicendo al suo interlocutore.
Talia scrollò le spalle. “Ecco a voi Clarisse La Rue” disse rivolta alle amiche. “Sembra simpatica” mentì Piper con un forzatissimo sorriso a trentadue denti.
“Come no” ironizzò Talia, “devi vedere dopo un paio di drink come diventa simpatica, detiene il record mondiale di discoteche da cui è stata buttata fuori a causa di una rissa.”
“Stavate parlando di me?” domandò Clarisse che aveva appena chiuso la chiamata.
“Eh già!” rispose Talia per poi fare le presentazioni. Clarisse stritolò sia la mano di Piper che quella di Annabeth, poi spiegò loro che aveva intenzione di organizzare una mega festa a casa sua per quella stessa sera e che erano tutte invitate.
“I miei non arriveranno pima di venerdì, il che significa che ho quattro interi giorni per spassarmela. Vedete di non mancare. Ah, Talia, vedi di dirlo anche a quell’imbecille di tuo fratello e a quel coglione di tuo cugino, più siamo più ci divertiamo.”
Talia annuì mentre Clarisse estraeva nuovamente il cellulare dalla borsa e attivava lo schermo. “Adesso creo l’evento su Facebook.” Disse entusiasta andando verso il bar.
“Addirittura l’evento su Facebook?” chiese Piper incredula.
“Tu non hai idea di quanto sia grande casa sua” le rispose Talia. “A dire il vero si tratta di una villa… con la piscina… e le vasche idromassaggio all’aperto.” Annabeth e Piper avevano sgranato gli occhi.
“Clarisse ha un carattere di merda però devo ammettere che le sue feste sono epiche.”
“Epiche?” le fece eco Piper. “Intendi tipo quelle feste che fanno nei film americani?”
“Qualcosa del genere…”
“Wow! Non vedo l’ora di questa sera. Ci andiamo vero?” domandò alle amiche con un tono che sembrava quasi una supplica.
“Assolutamente” disse Talia levando lo sguardo sul cugino, “ho un’unica paura…”
“Sarebbe?” domandò Annabeth che aveva notato la direzione del suo sguardo.
“Più le feste sono ricche e pompose, più alta è la probabilità di incontrarci Rachel… e non ho idea di come lui potrebbe reagire.”
 
Seduti al tavolo del bar, Jason, Leo e Grover stavano bevendo un caffè. Grover aveva tra le mani un mazzo di carte che stava mescolando con l’arte di un prestigiatore mentre Jason scrutava attentamente lo schermo del suo cellulare.
“Ragazzi!” Esclamò entusiasta, “stasera Clarisse dà una mega festa a casa sua! Ha appena creato l’evento su Facebook!”
“Davvero?” fecero gli altri due in coro.
“Sì, davvero!” Confermò Clarisse alle loro spalle. “Vedete di non mancare!” Aggiunse accendendosi una sigaretta mentre si allontanava.
“Cazzo! Una festa di Clarisse era proprio quello che ci voleva. Stasera vi voglio in splendida forma!” Li informò Jason scrutandoli attentamente.
“Potrei invitare Calypso!” Disse Leo con gli occhi che brillavano solo al pensiero. “Magari questa volta andrà meglio.” Jason e Grover si scambiarono uno sguardo ma non fecero in tempo a dire nulla perché Leo era già corso via dicendo che prima la invitava e meglio era.
In quel momento Percy li raggiunse al bar e occupò la sedia lasciata libera da Leo lasciandosi cadere di peso.
“Arriva pure quando vuoi! Era un’ora che ti stavamo aspettando per giocare a scopa!” Lo rimproverò Grover appoggiando il mazzo di carte sul tavolo. “Leo se n’è appena andato, quindi siamo un’altra volta in tre!”
“Grover, nel caso in cui non ti fosse ancora chiaro, io qui sto lavorando! Non posso mollare tutto perché tu hai voglia di giocare a carte!” Spiegò Percy passandosi una mano tra i capelli.
“Sei una palla!” Lo canzonò Grover stiracchiandosi.
“Ok, ora che avete finito di insultarvi possiamo parlare di cose serie?” Intervenne Jason che fino a quel momento era rimasto zitto.
Il ragazzo ebbe l’effetto desiderato perché entrambi i suoi amici si voltarono a guardarlo prestandogli attenzione.
“Percy, stasera c’è una mega festa da Clarisse…”
“No, Jason, no. Clarisse mi odia, lo sai! È meglio che io non mi faccia vedere…”
“Sei tra gli invitati” tagliò corto Jason mostrandogli la pagina Facebook dell’evento in cui figurava anche il suo nome. Percy sbuffò.
“Jason, avrà invitato tutte le persone che conosce… è qui in spiaggia, se avesse voluto invitarmi me l’avrebbe detto.”
“A dire il vero ha detto a me di invitarti.”  Annunciò Talia sedendosi al loro tavolo con una birra tra le mani.
“Ok, non hai scuse” sentenziò Grover riprendendo in mano il mazzo di carte. “Adesso che siamo quattro giochiamo?”
“A cosa?” chiese Talia curiosa.
“A niente” tagliò corto Jason. “Stavamo parlando di cose da uomini prima che tu arrivassi…”
“Ok, qualcosa mi dice che tra le cose da uomini rientrano anche le mie amiche… quindi è meglio che me ne vada.” E così dicendo si allontanò facendo la linguaccia al fratello.
“Di cosa stava parlando?” Chiese Percy scrutando il cugino con i suoi occhi verdi.
“Stava parlando del fatto che mentre ieri voi siete andati a letto con le galline perché eravate troppo stanchi per fare altro, il sottoscritto è uscito con Piper.” Spiegò Jason con un sorrisetto compiaciuto stampato in faccia.
“Alt, fermi un secondo” disse Grover posando sul tavolo il mazzo di carte, “Piper non è quella con le tettone che hai palpato l’altra sera?”
“Sì, è proprio quella” gli confermò Percy ridacchiando.
 
Come aveva giustamente detto Talia, il termine casa, per definire la dimora della famiglia La Rue, era decisamente riduttivo; Piper se ne rese conto subito. Si trattava, infatti, di un’antica villa ottocentesca perfettamente conservata e restaurata, avvolta da un grande giardino curato in ogni minimo dettaglio, e la cosa più assurda è che lei stava percorrendo il vialetto di una villa tanto lussuosa con ai piedi le infradito e in spalla una borsa di paglia contenente l’asciugamano e poco altro. Nonostante avesse fatto di tutto per sfoderare pochette e tacco dodici, Talia era stata chiara: “le feste a casa di Clarisse hanno sempre un solo dress code: costume e infradito!” E con quelle parole l’aveva convinta a riporre tubino e accessori sbrilluccicanti nell’armadio.
“Guarda la piscina!” Esclamò Annabeth rifilandole una gomitata non appena varcarono i cancelli. Quando Clarisse aveva parlato di piscina, la sua mente aveva subito pensato alla tradizionale piscina olimpionica, ma quella che aveva davanti non ci assomigliava minimamente.  Si trattava di una piscina dalla forma irregolare, con l’ingresso in acqua graduale, tanto che era possibile entrarci scendendo dei gradini in muratura che proseguivano fin sul fondo. Lungo il perimetro svettavano statue neoclassiche, come aveva prontamente notato Annabeth, e siepi potate a forma di animale da qualche giardiniere sicuramente ben pagato.
“Guardate!” Esclamò Talia additando un paio di ragazzi che stavano sorseggiando della sangria seduti sui gradini della piscina, “Grover e Frank sono già arrivati!” E così dicendo si trascinò dietro le amiche correndo nella loro direzione.
“Ditemi subito dov’è la sangria!”
“Ciao Talia!” la salutò Grover mentre Frank si limitava ad un gesto della mano, “la trovi sul tavolo laggiù, è davvero ottima!”
“Bene, io vado a prenderne tre bicchieri, voi aspettatemi pure qui.”
Piper e Annabeth si scambiarono uno sguardo poi entrambe si sfilarono il copricostume e si sedettero per metà a mollo nella piscina accanto ai ragazzi.
“C’è veramente un sacco di gente!” commentò Piper guardandosi intorno. “Non ho nemmeno visto Clarisse!”
“Sarà in giro da qualche parte, vedrai che salterà fuori! E comunque fidati, la maggior parte della gente deve ancora arrivare!” Spiegò Frank sorseggiando la sangria.
“Compresi i vostri uomini!” Le provocò Grover ridacchiando.
In un attimo Piper divenne bordeaux mentre Annabeth s’irrigidì e si affrettò a dire: “non so di chi parli!”
“Credo si riferisca a quei due che stanno scavalcando i cancelli!” Disse Frank additando due figure lontane un attimo prima di scoppiare a ridere.
“Ma il cancello è aperto!” Commentò Piper in tono preoccupato mentre osservava Jason lanciare lo zaino al di là della cancellata un momento prima di cominciare ad arrampicarsi per raggiungere Percy che era già in cima e si apprestava a scavalcare.
“Ma sono pazzi?” si lasciò scappare Annabeth che non riusciva a fare a meno di guardare la scena, “quei cancelli saranno alti almeno tre metri.”
“Non sono pazzi” intervenne la voce di Talia di ritorno con la sangria, “sono deficienti. I primi anni Clarisse non li invitava mai alle sue feste, e loro puntualmente si imbucavano scavalcando quel cancello in quell’esatto punto, da allora non hanno mai smesso, anche quando Clarisse ha cominciato ad invitarli ufficialmente, cosa che tra l’altro penso abbia fatto solo per evitare che si spezzassero l’osso del collo cadendo da lì. Ormai dicono che è una tradizione, si ostinano a voler scavalcare tutti gli anni. Valli a capire!”
In quel momento Percy e Jason saltarono giù dalla cancellata atterrando in contemporanea sul prato e Grover fece un urlo per attirare la loro attenzione. Annabeth vide Percy raccogliere lo zaino e voltarsi nella loro direzione e non poté fare a meno di notare quanto fosse bello. Aveva i muscoli delle braccia ancora gonfi per lo sforzo, i capelli scombinati e un sorriso strafottente stampato in faccia. Si stavano avvicinando a passo spedito quando una ragazza dai capelli biondissimi tagliò loro la strada e prese Percy a braccetto appoggiandosi alla sua spalla. Jason la salutò con un gesto della mano e continuò a camminare verso di loro, mentre la ragazza guidò Percy in un’altra direzione. Annabeth la sentì squittire qualcosa di stupido mentre le si attorcigliava lo stomaco per il nervoso. Com’era possibile che Percy fosse sempre circondato da oche?
Quando tornò a voltarsi verso gli altri, Piper la stava fissando ridendo sotto i baffi.
“Se non ti conoscessi bene, direi che sei gelosa…” le sussurrò all’orecchio. Colta alla sprovvista e non sapendo come ribattere, Annabeth scoppiò a ridere di gusto. Fortunatamente, a salvarla da quella situazione imbarazzante, ci pensò Jason che prese posto accanto a Piper catturando tutta la sua attenzione. Annabeth studiò attentamente l’amica; quella mattina, quando aveva cercato di sapere qualcosa in più sulla sua serata, lei si era rivelata parecchio misteriosa, cosa che non aveva fatto altro che sollecitare la sua curiosità. La conosceva abbastanza da sapere che al primo appuntamento non poteva essere successo nulla, ma il suo essere così vaga e soprattutto il modo in cui stava guardando Jason parlavano abbastanza chiaro. Talia si ostinava a fare finta di niente, Annabeth notò che evitava volutamente di guardare nella loro direzione e sembrava tutta presa dalla conversazione che stava avendo con Frank. Decisa a lasciare Piper un po’ sola con Jason, nuotò quanto bastava per avvicinarsi agli altri tre e s’intrufolò il più educatamente possibile nella loro conversazione.
“Cosa vi raccontate di bello?” chiese sperando di non sembrare un’impicciona della peggior specie.
“Frank si è preso una cotta per una cliente del suo bar!” Spiegò Talia senza troppi giri di parole.
“Ma quale cotta!” Ribatté lui toccato sul vivo. “Ho detto solo che è carina.”
“Sì, l’hai detto, ma continui a guardarti intorno sperando che compaia da un momento all’altro, quindi è evidente che non la trovi semplicemente carina…” gli fece notare Grover che stava sgranocchiando la frutta rimasta sul fondo del suo bicchiere.
“Non so nemmeno come si chiama” ammise Frank, “le avrò servito da bere mille volte e non ho mai avuto il coraggio di chiederle il nome. E comunque non è come pensate voi… non sono cotto di lei!”
“Sì, certo, quindi immagino che non t’interesserà sapere che ha appena fatto il suo ingresso dal cancello principale a braccetto con uno!” Gli disse Talia curiosa di provocargli una reazione spontanea. Come previsto Frank si voltò di scatto per controllare se Talia dicesse la verità e l’espressione sul suo viso mutò improvvisamente.
“Scherzavo! La tua bella sta arrivando per davvero, ma è priva di accompagnatore.” Talia accompagnò quest’ultima frase con un occhiolino e non ci fu bisogno che aggiungesse altro perché Frank aveva colto l’antifona e stava già camminando verso di lei col petto gonfio.
“E così sarebbe quella la misteriosa fanciulla che ha rubato il cuore del nostro Frank?” disse Grover osservando la scena.
“Io non so cosa abbia rubato quella fanciulla, ma quello che è certo è che io andrò a procurarmi dell’altra sangria” annunciò Talia, poi rivolgendosi ad Annabeth aggiunse: “e tu verrai con me.”
“Ragazzi non ci credo!” Esclamò Jason facendo trasalire tutti quanti, comprese Annabeth e Talia che stavano uscendo dall’acqua. “Leo è riuscito a convincere la gelataia a venire alla festa!”
“Beh, dovresti essere contento per lui, è un tuo amico dopotutto!” Gli fece notare Piper osservando l’improbabile coppia avvicinarsi. Lei aveva i lunghi capelli corvini acconciati in una treccia e indossava un copricostume bianco che abbinato ai sandali alla schiava la faceva sembrare una dea greca. Aveva un aspetto etereo e il portamento e l’eleganza innata si contrapponevano alla perfezione al suo accompagnatore che era spettinato, aveva in spalla un vecchio zaino logoro e le trotterellava accanto come un cagnolino felice di andare al parco.
“Lo sono infatti!” disse Jason sincero, “ma avevo scommesso con Percy che non sarebbe riuscito a convincerla e adesso gli devo cinquanta euro!”
“Tranquillo, di questo passo non si accorgerà nemmeno della sua presenza” sbuffò Talia rimirando il bicchiere vuoto, “quell’ingrato non è nemmeno passato a salutarci!” E così dicendo cominciò a camminare seguita da Annabeth.
“Ehi!” protestò Grover uscendo dalla piscina, “non vorrete lasciarmi da solo con quei due piccioncini.” Sussurrò quando fu più vicino.
Talia fece un gesto di stizza. “Non me ne parlare per favore” disse a denti stretti. “Non so se sono contenta di questa cosa…”
Annabeth e Grover si scambiarono uno sguardo d’intesa e nessuno dei due osò più toccare l’argomento.
“Comincio ad essere preoccupata per Percy.” Ammise Talia cinque minuti più tardi sollevando una grossa anguria scavata da cui spuntavano una decina di cannucce colorate.
“Qualcuna delle sue spasimanti l’avrà rapito, sono cose che capitano quando sei il bagnino più figo del paese.” Ipotizzò Grover assaggiando il contenuto dell’anguria.
Annabeth deglutì cercando di non darlo a vedere. Era veramente come diceva Grover? Una di quelle stupide ochette che si rifacevano gli occhi a guardarlo in spiaggia aveva sequestrato Percy per tutta la serata?
Talia sbuffò. “Avete intenzione di aiutarmi con quest’affare oppure no?” si lagnò stremata dal peso dell’anguria. Grover prese l’enorme frutto e se lo caricò in spalla, poi si voltò e fece per tornare verso la piscina ma dopo un istante si rigirò verso Talia rovesciando parte del contenuto dell’anguria in testa ad Annabeth.
“Ma cosa cavolo…” si lamentò lei toccandosi i capelli appiccicosi.
“Stavo pensando” improvvisò Grover poggiando l’anguria sul tavolo accanto a loro. “Perché mai dovremmo dividere questa fantastica anguria con gli altri? Diamo noi il via alle danze!”
Annabeth era perplessa e Grover se ne accorse, così le fece segno di guardare alle sue spalle e lei finalmente capì. Nell’angolo più lontano dalla piscina Piper e Jason erano avvinghiati in un abbraccio e stavano limonando senza ritegno, ignari degli sguardi indiscreti che stavano attirando. Annabeth approvò l’idea di Grover di mantenere Talia impegnata affinché non se ne accorgesse e non appena lui diede il la ad una conversazione lei gli diede corda cercando di coinvolgere il più possibile Talia.
 
“Talia, sai dirmi dove trovo il bagno?” domandò Annabeth mezz’ora più tardi.
“Se entri da quella portafinestra è la prima porta sulla destra.” Disse lei indicandole la via.
“Ok, arrivo subito” e così dicendo s’incamminò recuperando le infradito e avvolgendosi un asciugamano intorno alla vita. Poco prima di entrare quasi si scontrò con la bionda che aveva sequestrato Percy per tutta la sera.
“Scusa” fece lei con voce stridula, “hai mica visto Percy Jackson? È un ragazzo alto, con i capelli scuri e gli occhi verdi, un bel pezzo di ragazzo per intenderci. Stavamo bevendo qualcosa insieme quando una scema dai capelli rossi lo ha urtato facendogli rovesciare addosso la sangria. Lui ha incominciato a farfugliare qualcosa e poi è sparito.”
“Mi spiace, non l’ho visto” tagliò corto Annabeth che faticava a sopportare quella voce così falsa e fastidiosa.
“Ah, ok, se dovessi vederlo digli che lo stavo cercando… sono Drew a proposito.”
“Annabeth” si presentò lei controvoglia mentre la vescica rischiava seriamente di esploderle. “Ora devo proprio andare.” Riprese a camminare a passo spedito e finalmente raggiunse la porta del bagno. L’aprì velocemente ed entrò nell’antibagno dove trovò Percy chino sul lavandino. Puzzava di alcol e non solo perché doveva averne ingerita una dose smisurata ma anche perché sulla maglietta esibiva una macchia violacea che non poteva essere altro che sangria.
“Ah, sei qui… fuori c’è una bionda che ti aspetta.” Disse in tono asciutto. Lui non disse niente e la cosa irritò Annabeth che gli si avvicinò minacciosa, decisa a strappargli una risposta. Fu solo quando gli fu più vicina che notò che aveva una mano avvolta in una tonnellata di carta igienica sporca di sangue e la stringeva contro al petto soffocando dei gemiti.
“Percy!” Esclamò poggiandogli una mano sulla spalla, improvvisamente spaventata. “Cos’è successo?” Lui fece un respiro profondo e disse: “niente, va tutto bene.”
“Hai una mano che sanguina, non va tutto bene.” gli fece notare lei preoccupata. “Senti, adesso io vado in bagno e quando esco tu mi spieghi cosa cavolo è successo.”
“Ho, ho solo tirato un pugno al muro ok?” ammise lui un minuto più tardi.
“Non mi sembra una cosa normale tirare pugni al muro.” Osservò lei mentre, lavandosi le mani, notava una bottiglia di gin rigorosamente vuota appoggiata ai margini del lavandino.
“Tu mi vieni a parlare di cosa è normale e cosa non lo è? Ti ricordo che ti sei incazzata per le brioches e che mi hai preso a pugni per aver cercato di baciarti, quindi non so chi è più normale tra di noi onestamente…” sbraitò lui appoggiando la schiena al muro, la mano sempre stretta al petto. Annabeth notò che stava tremando, ed era impossibile che tremasse a causa del freddo visto che quella sera la temperatura non era mai scesa sotto i trenta gradi. Lui se ne rese conto e fece del suo meglio per distogliere lo sguardo, visibilmente in imbarazzo.
“Senti, scusa… non volevo urlarti contro. È solo che mi sento male, è meglio che tu vada, lasciami solo ti prego.”
“Quella è opera tua?” gli domandò indicando la bottiglia vuota.
Percy abbassò lo sguardo, evidentemente colpevole. Non provò nemmeno a negare, sapeva che quella di Annabeth era una domanda retorica.
“Può darsi” esalò concentrando tutta la sua attenzione alla mano sanguinante.
Annabeth lo fissava confusa, Percy sembrava seriamente a disagio e nonostante l’orgoglio non ce la faceva ad uscire da quel bagno facendo finta di niente.
“Va beh, visto che non te ne vai tu, me ne vado io!” sentenziò lui andando verso la porta.
“Aspetta!” Esclamò Annabeth bloccandolo, qualcosa era appena scattato nella sua testa. “È per Rachel?”
Lui non rispose, si liberò dalla presa di Annabeth con un gesto improvviso e fece per aprire la porta.
“Percy aspetta, Rachel è qui alla festa? È per questo che…”
“Devo andare a casa” tagliò corto lui evitando di rispondere, e così dicendo uscì dal bagno come una furia.
Annabeth rimase ferma sulla porta guardandolo allontanarsi. Era tremendamente combattuta; da un lato avrebbe voluto corrergli dietro per assicurarsi che superasse quel momento, dall’altro qualcosa le diceva di fregarsene, di continuare imperterrita sulla sua strada stando bene attenta a non farsi coinvolgere. Mentre rifletteva sul da farsi vide Drew in giardino, era sola e stringeva tra le mani un bicchiere di sangria, il suo sguardo continuava a vagare tra folla in cerca di Percy e solo in quel momento Annabeth decise cosa fare.
“Percy aspetta!” Gli gridò dietro correndo per raggiungerlo.
“Ti ho detto di lasciarmi stare” sbottò lui.
“Vuoi andare a casa? Ok, ma ti conviene recuperare lo zaino con le chiavi a meno che tu non voglia dormire in mezzo alla strada.”
“Giusto” si limitò a dire lui con l’aria di un cane bastonato.
“Bene. Adesso dimmi… dov’è il tuo zaino?”
Percy sembrò rifletterci un istante, poi ammise: “non lo so”
Annabeth sbuffò, perché doveva essere tutto così difficile?
“Ok, forse è il caso di fare un salto in pronto soccorso” gli fece notare Annabeth dedicando uno sguardo preoccupato alla sua mano, “delle chiavi ci occuperemo più tardi.”
“No, no, niente pronto soccorso.”
“Percy, non so se te ne sei reso conto ma potresti esserti rotto una mano!”
“No, non è rotta” la rassicurò Percy ritrovando un barlume di lucidità.
“E tu come lo sai? Sei forse un dottore oltre che un esperto di meduse?” lo canzonò Annabeth incrociando le braccia al petto.
Percy si voltò di scatto e le si avvicinò con i nervi a fior di pelle. Si fermò ad un passo da lei, nonostante la sovrastasse in altezza di parecchi centimetri Annabeth si sforzò di non sembrare intimidita.
“Lo so perché mi sono già rotto una mano, e mi ricordo il dolore, questa è solo una botta.” Senza aggiungere altro Percy imboccò il vialetto che conduceva all’uscita. Annabeth esitò un momento, poi tornò verso la piscina a recuperare la sua borsa. Lì trovò Talia in condizioni pietose, il cocktail a base d’anguria doveva aver fatto effetto perché quando le spiegò cos’era successo a Percy scoppiò in una risatina acuta che non era per niente la sua. Annabeth sollevò lo sguardo in cerca di aiuto e vide Leo e Calypso che bevevano spumante e mangiavano fragole dentro all’idromassaggio, poco più in là, su una sedia a sdraio, Jason e Piper erano ancora impegnati ad esplorare l’uno la bocca dell’altro. L’unico che si salvava era Grover che fortunatamente identificò lo zaino di Percy e le assicurò che si sarebbe occupato di Talia.
 
“È già la seconda volta che t’inseguo fin sotto casa per restituirti le chiavi.” Disse Annabeth sbucando dal vicolo sorprendendo Percy davanti al portone di casa sua.
“Grazie” disse lui freddo.
“Adesso per favore mi fai vedere quella mano?” chiese lei non appena furono all’interno dell’appartamento.
Percy serrò la mascella e aggrottò la fronte. “Va bene” borbottò cominciando a srotolare la carta imbevuta di sangue che gli ricopriva la mano. Annabeth gli si avvicinò e la studiò con attenzione. Era gonfia, di un colore violaceo con delle sfumature tendenti al verde e le nocche erano completamente spaccate con il sangue rappreso ormai scuro e incrostato.
“Bel lavoro!” Ironizzò lei aprendo il freezer in cerca di un po’ di ghiaccio.
Lui sbuffò, stufo di essere rimproverato, poi finalmente si decise a parlare: “Annabeth, senti, io lo so perché sei qui, ma stasera non sono in grado di fare sesso, mi sento male e voglio solo chiudere gli occhi, quindi ora ti accompagno a casa e la finiamo qui.”
“È un modo carino per darmi della zoccola?” domandò lei indispettita.
Lui s’irrigidì, faticava a comprendere se lei fosse seria o meno.
“No, non mi permetterei mai, ma ho capito che per te sono solo quello che ti scopi, quindi se ti sei disturbata ad accompagnarmi fino a casa è solo perché speri di fare sesso anche stasera ma…”
“Ma per chi cavolo mi hai preso?” Gridò Annabeth, un’espressione disgustata dipinta in volto.
Percy era spiazzato, non era minimamente sua intenzione offenderla ma con il senno di poi si rese conto che avrebbe dovuto dar voce ai suoi pensieri in un modo diverso.
“Io me ne vado!” Annunciò lei recuperando le sue cose in fretta furia.
“Annabeth aspetta” Le posò una mano sulla spalla e lei si voltò di scatto. Era rossa in volto e aveva l’espressione ferita. Fece un paio di respiri profondi poi parlò di nuovo: “Se sono qui in questo momento è solo perché mi hai fatto tenerezza, ho capito che stavi veramente male e mi sono offerta di aiutarti come tu hai fatto con me quando mi ha punto la medusa. Ma se è veramente questo quello che pensi di me allora per quanto mi riguarda puoi anche stappare una altra bottiglia di gin e tracannartela tutta d’un fiato.”
Percy ascoltò ogni singola parola concentrandosi sui suoi occhi, aveva già notato quanto fossero belli, ma lo erano ancora di più quando lei si arrabbiava, perché brillavano e diventavano incredibilmente penetranti. La lasciò sfogare, poi, sfoderando gli occhi più dolci che gli riuscivano disse: “è un modo carino di darmi dell’alcolizzato?”
Lei cercò di trattenersi ma poi, con grande rammarico, si lasciò sfuggire un sorriso e gli diede un pugno sulla spalla.
“Quegli occhi dovrebbero essere illegali!” commentò lei guardandosi bene dall’incrociare il suo sguardo una seconda volta, anche se con la coda dell’occhio lo vide increspare le labbra nel suo tipico sorriso strafottente.
“Dovresti vedere i tuoi” sussurrò lui, e poi a voce più alta: “Beh… mi aiuti o no con questa mano?”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** martedì ***



MARTEDì


 
 
Annabeth fu svegliata da uno scroscio d’acqua. Aprì gli occhi a fatica e nella penombra riuscì a scorgere la figura di Percy che usciva dal bagno. Richiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino. Com’era possibile che fosse finita a dormire nel letto di Percy anche quella sera? Ripensò alla festa da Clarisse e alle condizioni in cui aveva trovato Percy in bagno. Si ricordò anche di come si era sentita quando aveva visto Drew fare la scema con lui e di come l’avesse inseguito fino a casa per dargli le chiavi.
Mentre Annabeth mezza intontita dal sonno ricostruiva i pezzi della serata, Percy aveva raggiunto il letto e, con grande sorpresa di Annabeth, invece di sdraiarcisi sopra si era steso a terra ai piedi del comodino con un cuscino sgualcito.
“Cosa stai facendo?” gli domandò stranita.
“Dormo” disse lui con gli occhi già chiusi, “tra un’ora ho la sveglia.”
“Intendevo, cosa ci fai per terra con un cuscino?” Specificò Annabeth che lo fissava da sopra il letto. Lui si voltò sul fianco e disse: “Beh, ieri dopo che mi hai medicato la mano mi sentivo ancora un po’ alticcio e dopo i discorsi che abbiamo fatto non me la sono sentita di dormire con te… avevo come la sensazione che avrei potuto fare qualcosa di stupido, così ho preferito dormire per terra.”
“Hai dormito per terra tutta la notte?” chiese Annabeth sconcertata, come aveva potuto non rendersene conto?
“Sì” confermò Percy con un’impercettibile alzata di spalle, “solo che quando sono uscito dal bagno tu dormivi già, quindi non te ne sei accorta.”
“Capisco. E dimmi… ti senti ancora un po’ alticcio?”
Nonostante l’oscurità Annabeth vide Percy accigliarsi. “Perché?” chiese con un filo di voce.
“Perché stavo pensando ad un modo per impiegare l’ora che ci separa dalla tua sveglia, qualcosa che includa il tuo ritorno sul letto...” Adesso Percy si era messo a sedere e sorreggeva la testa con le mani poggiando i gomiti sul materasso. “Io non ti capisco” dichiarò dopo una lunga riflessione in cui si premurò di studiarla attentamente.
“Non ti sto chiedendo di capirmi” gli rispose lei facendosi più vicina. Percy tentennò, il suo della sua voce era cambiato, si era fatto più suadente e sapeva che avere Annabeth a così poca distanza costituiva un pericolo, ciononostante non ebbe modo di riflettere a lungo sul da farsi perché lei l’aveva già trascinato sul letto afferrandolo per la t-shirt e ora se ne stava sdraiata sotto di lui, gli occhi arzilli e la bocca dischiusa, palesemente in attesa di una sua reazione. Percy dedicò un’occhiata alla sveglia sul comodino, erano le cinque e dieci, effettivamente il tempo era dalla sua parte e il sonno andava scemando il che lo convinse a dare retta ai suoi istinti. Aveva già fatto sesso con Annabeth tre volte e l’idea di farlo una quarta non gli dispiaceva poi così tanto. Senza rifletterci oltre si sfilò la maglietta e un istante dopo Annabeth si ritrovò schiacciata contro il muro sotto il peso di Percy che le ansimava ad un palmo dall’orecchio in preda all’eccitazione.
“Per un attimo ho pensato che ti saresti tirato indietro” gli disse in un sussurro mentre lui armeggiava con i pochi vestiti che aveva addosso. Nei minuti che seguirono Annabeth smise di cercare di fare conversazione. Ormai si era arresa al fatto che tra loro le cose sembravano funzionare meglio se evitavano di parlare del loro rapporto e notò con piacere che Percy doveva essere dello stesso avviso perché non disse nulla e si preoccupò solo di allietarla come meglio poteva.
Stava andando tutto alla grande, o per lo meno così la pensava Annabeth, ma dopo una decina di minuti lui si fermò improvvisamente e indugiò a un millimetro dalle sue labbra come se le desiderasse più di ogni altra cosa. Fortunatamente sembrò ricordarsi che non aveva il permesso di baciarla così la spinse di lato e affondò il viso tra i suoi capelli cingendole i fianchi da dietro. Annabeth sentì il bacino di lui premere contro il suo mentre il cigolio del letto s’intensificava e la presa sulle sue anche si faceva più salda.
Senza neanche sapere come, si ritrovò a pancia in giù e poco dopo Percy le crollò di peso sulla schiena, completamente esausto. Annabeth poté sentire distintamente il battito accelerato del suo cuore ristabilirsi piano piano mentre lui riprendeva fiato.
“Guarda che c’era ancora un po’ di tempo” lo rimproverò Annabeth fissando la sveglia con rammarico mentre lui si sollevava facendo leva sulle braccia.
“Non è così che funziona, non sono mica un robot!” si lamentò lui infastidito dal quel commento. Annabeth sbuffò e s’infilò sotto le lenzuola con aria scocciata.
“Ehi calmati, non mi sto lamentando perché sei durato poco, è solo che mi piaceva e avrei continuato volentieri.” Precisò mentre lui si avviava verso il bagno facendo un gesto di stizza.
Non ricevendo risposta Annabeth affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi.
“Annabeth” mugugnò Percy aprendo la porta del bagno.
“Che vuoi?” brontolò lei senza degnarlo di uno sguardo.
“Annabeth” ripeté lui, e questa volta lei notò il suo tono grave.
“Cosa c’è?” chiese mettendosi a sedere.
“Il preservativo si è rotto” annunciò mesto. Annabeth sgranò gli occhi e sentì la salivazione azzerarsi improvvisamente.
“Mi dispiace” aggiunse lui mortificato.
“Ma… come sarebbe si è rotto? Ma sei venuto?” Farfugliò lei mentre cominciava a sudare freddo.
“Hai altre domande stupide da fare?” disse lui asciutto. Lei lo apostrofò con un’occhiataccia mentre cominciava a rivestirsi alla velocità della luce.
“Non sei divertente!”
“Ehi” disse lui avvicinandosi, “Annabeth, aspetta, calmati un secondo.” Le consigliò cercando di placarla con un gesto della mano che Annabeth puntualmente allontanò in malo modo.
“Vaffanculo!” Gli gridò contro infischiandosene del fatto che non fossero nemmeno le sei del mattino. “Non mi calmo finché non risolvo questo casino, è chiaro?”
“Risolviamo” puntualizzò Percy mentre Annabeth vagava per la casa alla ricerca delle scarpe. “Annabeth, ti vuoi calmare per favore?” Le disse in tono calmo quando finalmente riuscì ad immobilizzarla un secondo e a guardarla negli occhi. Nonostante sentisse le lacrime arrivare a fiumi, Annabeth si sforzò di rimanere impassibile anche se, per farlo, non riuscì a proferire parola.
“Ok, così va meglio…”
“Devo andare subito da un medico, ho bisogno della ricetta per la pillola del giorno dopo.” Spiegò lei ansimando mentre il cuore le batteva all’impazzata.
“Lo so” confermò lui lanciando un’occhiata all’orologio. “Senti, io devo andare a lavoro ma ti lascio la mia macchina” e così dicendo prese le chiavi dalla mensola vicino alla porta e gliele mise in mano. “Due paesi più in là lungo la costa c’è una guardia medica, sono sempre aperti, mi spiace non poter venire con te ma il Signor D non aspetta altro che un motivo per licenziarmi e…”
“Grazie” bisbigliò lei abbracciandolo mentre sentiva una lacrima rigarle il viso.
“Aspetta” Percy afferrò il cellulare di Annabeth dal comodino e aggiunse il suo numero alla rubrica. “Dammi notizie, per favore.” Inserì il telefono nella tasca interna della borsa e la porse ad Annabeth. “La macchina è la Golf nera qui davanti. Vedrai che andrà tutto bene.” Annabeth annuì in silenzio e insieme uscirono dall’appartamento.
Percy cominciò a camminare lungo il vicolo sforzandosi di non guardarsi alle spalle nemmeno quando sentì il motore della sua auto accendersi. Continuò a camminare imperterrito mentre una morsa gli attanagliava lo stomaco. Nonostante non ne avesse motivo, si sentiva in colpa.
 
Erano quasi le otto e mezza quando finalmente l’iphone di Percy diede segni di vita. Annabeth lo stava chiamando e prima di rispondere Percy si assicurò che il Signor D non fosse nei paraggi.
“Annabeth” disse a bassa voce rispondendo alla chiamata.
Dall’altra parte del telefono Annabeth sospirò.
“Ehi, Annabeth che succede? È tutto ok?” Le domandò pur sapendo che il suo silenzio non poteva significare nulla di buono. Percy esitò ancora un momento prima di porre altre domande e in quel frangente la sentì soffocare un singhiozzo.
“Annabeth cos’è successo?” chiese in un sussurro mentre continuava a guardarsi intorno circospetto.
“Sono stata in guardia medica… ma il medico di turno era un obiettore di coscienza.” Spiegò cercando di trattenere le lacrime.
“Che cosa?” fece Percy che non poteva credere alle sue orecchie.
“Non mi ha voluto fare la ricetta...”
Percy imprecò.
“Ho già girato tre farmacie spiegando la situazione ma non c’è verso… senza ricetta non me la danno.”
In quel momento Percy si accorse che il Signor D era ai piedi della sua postazione e lo stava insultando per non aver sistemato delle cime.
“Annabeth… devi scusarmi ma non posso più parlare adesso, ti richiamo appena riesco.” E con quelle parole chiuse la chiamata con un groppo in gola.
Passò il resto della mattinata ad eseguire gli ordini del Signor D e nonostante tutte quelle attività avrebbero dovuto aiutarlo a mantenere la mente occupata, i suoi pensieri continuavano a convergere sull’immagine di Annabeth che piangeva seduta nella sua Golf. Verso le undici si decise a prendere una pausa e si sedette al solito tavolo del bar davanti ad un caffè.
“Ehilà!” Jason lo salutò con un entusiasmo che non riuscì minimamente a contraccambiare.
Si limitò ad un semplice cenno del capo e poi riprese a girare annoiato il cucchiaino nel caffè.
“Sento puzza di guai” disse Jason facendosi improvvisamente serio, aveva notato la mano fasciata e la sua aria assente.
Percy si strinse nelle spalle.
“Che hai combinato questa volta?” gli domandò poggiandogli una mano sulla spalla.
Percy sospirò, non era sicuro di volersi sfogare proprio con Jason, ma quella mattina non si era ancora fatto vedere nessun altro e lui rischiava seriamente di esplodere.
“Stamattina ho fatto sesso con Annabeth e si è rotto il preservativo. È andata in guardia medica con la mia auto perché io non potevo non presentarmi a lavoro e… beh, prima mi ha chiamato per dirmi che ha trovato un obiettore di coscienza, non le ha voluto fare la ricetta per la pillola del giorno dopo e adesso è in macchina che piange… e io mi sento una merda.” Percy ingurgitò il suo caffè mentre Jason commentava con una bestemmia.
“Un obiettore di coscienza? Ma scusa non può andare da un altro medico?”
“Dove?” fece Percy affranto.
“Beh, in città c’è un ospedale, può andare in pronto soccorso.” Suggerì Jason fiducioso.
“In pronto soccorso?” gli fece eco Percy, “per una cosa del genere ti danno il codice bianco, il che significa che probabilmente non vedrebbe un medico prima di domani e col culo che abbiamo capace che ci troviamo un altro obiettore di coscienza!”
“Ma deve pur esserci un modo per avere quella stramaledetta pillola!” Disse Jason mentre a Percy si accendeva improvvisamente una lampadina.
“Forse un modo c’è…” Percy si alzò di scatto e si allontanò un momento per fare una telefonata.
Dopo un’infinità di squilli una voce assonnata rispose al telefono: “Will!” fece Percy al settimo cielo.
“Percy?” domandò l’altro quasi incredulo.
“Sì… senti scusa per la chiamata improvvisa… è che… beh, ho bisogno del tuo aiuto… è un’emergenza.”
“Ma che diavolo succede?” Adesso la sua voce sembrava più sveglia. “È successo qualcosa? Stai bene?”
“Sì, sto bene… è solo che devo chiederti se puoi procurarmi una cosa…”
“Percy, senti, se è ancora per quello skate che ti ho rotto quattro anni fa…”
“No, no, è che volevo sapere se puoi procurarmi una pillola del giorno dopo” tagliò corto Percy che cominciava a non riuscire più a gestire l’agitazione. Dall’altra parte Will rimase in silenzio.
“Will, ti prego, dimmi che puoi aiutarmi.”
“Come faccio ad aiutarti?” domandò lui seccato.
“Beh… tu lavori nella farmacia dei tuoi” azzardò Percy facendo un tentativo disperato.
“Percy, per quella ci vuole la ricetta!”
“Dannazione lo so! Ma vallo a spiegare a quei maledetti obiettori di coscienza!” Ringhiò Percy a denti stretti.
“Percy non posso aiutarti, mi dispiace.”
“No, no, Will aspetta. Non puoi farmene avere una di nascosto? Ti prego.”
“Percy è una follia, non puoi chiedermi questo!”
Will aveva ragione, era una follia, ma a Percy venne in mente che c’era un’unica cosa per cui Will avrebbe fatto una follia, o meglio, un’unica persona.
“Will, ti do il numero del mio amico tatuatore.” Era un tentativo disperato ma Percy non aveva nulla da perdere, così rimase in attesa teso come una corda di violino.
“Va bene” disse lui alleviando il peso che Percy portava sullo stomaco da quella mattina. “Ce la fai a passare in farmacia per le due?”
 
Annabeth era tornata a casa già da un’ora quando Percy l’aveva chiamata dicendo che aveva trovato la soluzione e che stava arrivando. Aveva raccontato tutto alle amiche e, dopo essersi sfogata abbondantemente, si era gettata sotto la doccia. Quando il campanello suonò aveva appena finito di rivestirsi e prima che lei potesse muovere un passo Talia aveva già raggiunto la porta e, solo dopo aver guardato scrupolosamente nello spioncino, si apprestava ad aprirla.
Poco più indietro, Annabeth e Piper osservavano la scena dalla porta della sala. Percy entrò in casa sotto lo sguardo severo di Talia che non disse una parola, poi incrociò lo sguardo di Annabeth e la raggiunse. Piper si unì a Talia nell’ingresso per lasciarli soli e i due sparirono all’interno del salotto.
“È tutto ok” la rassicurò lui estraendo una piccola confezione dalla tasca del costume.
“Percy, come l’hai avuta?” domandò lei titubante, “non ti sarai messo nei guai, spero”
“No, no, puoi stare tranquilla… un amico mi doveva un favore.” Spiegò stringendosi nelle spalle mentre lei ingeriva la pillola.
“Sei tranquilla adesso?” le domandò sapendo che nel giro di qualche minuto avrebbe dovuto lasciare la casa e tornare a lavoro.
“Sì” annuì lei, “io non so veramente come ringraziarti… cosa posso fare per sdebitarmi?” domandò incrociando quegli occhi verde smeraldo che l’avevano già incastrata più di una volta.
Percy sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi lo distolse e fissando il pavimento disse: “potresti concedermi una cena.”
Annabeth trasalì, non si aspettava una richiesta di quel tipo ma a pensarci meglio da un tipo come Percy era esattamente quello che ci si poteva aspettare.
“Sentì, lascia stare, non importa, fa come se non avessi detto nulla, non mi devi niente.” Si affrettò a dire lui notando che Annabeth esitava a rispondere.
“No, no, aspetta” fece lei, “va bene.” Percy strabuzzò gli occhi, incredulo. “Guarda che non devi sentirti obbligata, ho parlato senza pensare… se non ti va non c’è problema.”
“Percy, ho detto di sì, e se fossi in te non mi fare tante domande, potrei sempre cambiare idea.”
“Ok… allora passo a prenderti per le nove?”
“Va bene” acconsentì lei.
“Ora devo andare o il Signor D mi ucciderà.”
“Percy” lo chiamò lei, “le tue chiavi.”
Percy recuperò le chiavi della Golf e uscì dal salotto andando dritto verso la porta d’ingresso ma prima che potesse afferrare la maniglia Talia lo strattonò per un braccio e lo spinse in camera da letto richiudendo la porta alle loro spalle.
Percy recuperò l’equilibrio e fissò la cugina stranito.
“Sei un coglione!” sibilò lei a denti stretti, probabilmente per non farsi sentire dalle amiche.
“È stato un incidente” si giustificò lui con voce calma.
“Non sto parlando di quello che è successo” precisò lei adirata, “mi riferisco al tuo comportamento.” Percy s’incupì. “L’hai lasciata da sola a smazzarsi questa cosa e te ne sei andato in spiaggia come se nulla fosse!”
“Talia, sono andato a lavoro non a prendere il sole! Non potevo assentarmi, lo sai com’è il Signor D!”
“Non me ne frega niente del Signor D!” Ringhiò lei sempre più alterata. “Tu non hai visto in che condizioni è tornata a casa! Era completamente sotto shock e tu non hai fatto niente per aiutarla!” Quest’ultima frase la disse spingendolo con i palmi delle mani sul petto.
“Questo non è vero, ho fatto tutto quello che potevo! Le ho lasciato la mia macchina, le ho detto dove andare, le ho detto di chiamarmi e alla fine questo casino l’ho risolto io.”
“Certo! Hai pensato bene di farti vivo solo quando il peggio era passato vero? Tanto il lavoro sporco l’abbiamo fatto io e Piper, non è così?”
“Mi stai dipingendo per quello che non sono, sei ingiusta Talia.” Gli fece notare lui abbacchiato.
“No, non sono ingiusta, è che fino ad adesso sono stata troppo buona, ma adesso sono stufa! Cerca di risolvere i tuoi problemi senza far del male agli altri!” Disse puntandogli un dito contro il petto con aria minacciosa. Percy notò che più di una volta il suo sguardo si era posato sulla mano fasciata come a sottolineare l’incoscienza delle sue azioni.
Percy fece per andarsene, era tardi e quella conversazione con Talia era emotivamente pesante, ma lei lo bloccò un ultima volta e lo gelò con i suoi occhi di ghiaccio dicendo: “Stai alla larga da lei!”
Percy si liberò dalla sua presa con uno strattone e uscì dall’appartamento senza dire una parola, non gli sembrava il momento più adatto per rivelarle che aveva appena invitato Annabeth a cena. Tornò al lido con lo stomaco che brontolava, aveva passato l’intera pausa pranzo tra la farmacia di Will e l’appartamento di Talia, ma l’idea di una cena con Annabeth era sufficientemente piacevole da fargli sopportare la fame ancora per un po’.
 
Piper era distesa a pancia in giù sul suo letto, lo sguardo fisso sullo schermo dell’iphone e un sorrisetto ebete stampato in faccia. Al suo fianco Talia sfogliava una rivista con aria svogliata in attesa che le si asciugasse lo smalto sui piedi. Di tanto in tanto buttava l’occhio sull’amica che continuava a soffocare dei risolini.
“Posso usare la tua piastra?” domandò Annabeth a Piper facendo capolino dal corridoio. Lei si strinse nelle spalle come a dire che non era un problema, poi riprese a ridacchiare. Talia abbandonò la rivista che stava leggendo e domandò: “è con mio fratello che stai messaggiando da due ore?”
“Può darsi” fece Piper vaga, giocherellando con una ciocca di capelli.
“Ok, giusto per sapere… che intenzioni hai?”
Piper arrossì vistosamente, poi si fece coraggio e disse: “vorrei frequentarlo… o meglio, in realtà ci stiamo già frequentando…”
“Sì questo l’avevo notato.” Disse Talia mentre Annabeth prendeva silenziosamente la piastra di Piper e spariva prima che Talia facesse il terzo grado anche a lei.
Aveva appena finito di truccarsi quando il cellulare s’illuminò per mostrarle un messaggio di Percy che diceva: “sono qui sotto”.  Annabeth rispose al messaggio ed uscì dal bagno, recuperò la borsa e mise le scarpe.
“E tu dove stai andando di preciso?” chiese Talia notando solo in quel momento che Annabeth si era vestita e truccata ed era sul punto di uscire.
“A cena fuori” rivelò tentando di dileguarsi prima che l’amica potesse porre ulteriori domande.
“Annabeth, stai veramente uscendo a cena con Percy?” domandò Talia allibita.
“Talia, ti prego… ne parliamo dopo.” Sospirò lei con una mano già pronta sulla maniglia della porta. Un attimo dopo uscì chiudendosi la porta alle spalle e con essa anche tutti i dubbi che quella cena portava con sé.
Appena fuori individuò subito la macchina di Percy; era posteggiato davanti ad un passo carraio con le quattro frecce lampeggianti e il motore ancora acceso. Annabeth esitò un istante, le sembrava quasi impossibile pensare che quella fosse la stessa macchina in cui aveva pianto quella stessa mattina. Fece un profondo respiro e ricordò a sé stessa che quello non era un appuntamento. Voleva semplicemente dimostrare a Percy che nonostante non provasse nulla per lui gli era riconoscente per quanto aveva fatto.
Aprì la portiera del passeggero e si sedette accanto a Percy i cui occhi rilucevano illuminati dalla tenue luce del cruscotto. Indossava una camicia bianca che esaltava la sua abbronzatura; le maniche erano arrotolate fin sopra i gomiti lasciando scoperto il tatuaggio sull’avambraccio e Annabeth notò con piacere che profumava di dopobarba.
“Quindi?” disse per interrompere il silenzio imbarazzante che regnava all’interno dell’abitacolo. “Dove mi porti?”
“Oh” fece lui riprendendosi da quello stato di torpore, “beh, conoscendoti ho pensato ad un posto particolarmente romantico, con vista sul mare e quartetto d’archi privato a bordo tavolo.”
Annabeth rabbrividì e per un attimo fu sul punto di gettarsi giù dalla macchina finché era ancora in tempo. Fortunatamente un attimo dopo Percy si lasciò scappare un sorriso e disse: “sto scherzando”.
Annabeth tirò un sospiro di sollievo. “Per un attimo ho creduto che facessi sul serio.” Ammise mentre lui toglieva le quattro frecce e s’immetteva in strada.
Il viaggio fu abbastanza breve. Percy posteggiò in un vicolo nascosto e poi guidò Annabeth lungo una ripida scalinata che portava ad una terrazza panoramica.
“Ci siamo quasi” disse lui porgendole una mano per aiutarla a salire gli ultimi gradini, “non c’è fretta, tanto ho prenotato.”
“Hai prenotato?” gli fece eco Annabeth stupita.
“È alta stagione, di preciso in quale ristorante pensi di trovare posto senza prenotare?”
La scala era finalmente terminata e Annabeth ne approfittò per rassettarsi il vestito.
“Da questa parte” disse lui facendole strada verso l’ingresso del ristorante dove un cameriere attendeva nuovi clienti sulla porta a fianco ad un leggio che illustrava i piatti del giorno.
“Buonasera, ho prenotato un tavolo per due a nome Jackson” spiegò Percy al cameriere che consultò rapidamente una lista e fece loro segno di entrare.
Appena varcata la soglia del locale Percy si sentì gelare il sangue, in fondo alla sala riconobbe Rachel in compagnia del suo nuovo fidanzato, il famigerato DJ per cui sembrava disposta a fare follie.
“Che c’è?” fece Annabeth andando a sbattere contro la schiena di Percy che sembrava essersi paralizzato nel bel mezzo del ristorante.
“C’è che non possiamo stare qui…” le sussurrò Percy mentre il cameriere diceva: “prego, da questa parte.”
“Come sarebbe non possiamo stare qui? Mi ci hai portato tu!” Esclamò Annabeth contrariata.
“Senta, mi dispiace ma dobbiamo proprio andare, la ringrazio per la disponibilità.” E così dicendo prese Annabeth per mano e fece dietrofront.
“Mi spieghi cosa cavolo succede?” domandò lei appena fuori.
“Succede che dentro a quel ristorante c’è la mia ex con il suo fidanzato Vip!” Spiegò lui accarezzandosi la mano fasciata.
“E allora?” fece lei scocciata.
“E allora c’è sempre un’ordinanza restrittiva che mi proibisce di stargli vicino… non posso certo mangiare nel tavolo a fianco al loro!” Sbottò Percy.
“Non ci credo” commentò Annabeth sedendosi su un muretto.
“Figurati io. Questa storia sta diventando un incubo!”
“È già buona che non hai preso a pugni qualcosa” ironizzo Annabeth alludendo alla sua mano infortunata. “L’ultima volta che l’hai vista hai preso a pugni un muro innocente.”
Percy fece una smorfia e poi disse: “non ho preso a pugni un muro perché l’ho incrociata alla festa di Clarisse… è per quello che mi ha detto.”
Sebbene Annabeth fosse incredibilmente curiosa, si guardò bene dall’approfondire l’argomento. Sapeva che chiedere a Percy i dettagli della conversazione con la sua ex significava portare la loro relazione ad un livello a cui lei non voleva arrivare.
“Beh, io ho fame” gli fece sapere sperando che Percy non fosse intenzionato ad approfondire l’argomento Rachel.
“Io non ho nemmeno pranzato.” Confessò lui notando solo in quel momento che lo stomaco stava brontolando rumorosamente.
“Panino?” Domandò lei osservando con interesse un chiosco all’inizio della via.
“Non era esattamente quello che avevo in mente…”
“Ma è più che appropriato, visto che non si tratta di un appuntamento.” Gli sorrise Annabeth camminando verso il chiosco.
“T’imbarazza l’idea di noi due a cena, non è così?” Chiese Percy ordinando un panino con la porchetta.
“No, cioè, voglio dire… un vegetariano per favore” disse Annabeth prendendo tempo.
“Guarda che potevi anche dirmi di no” sbuffò lui stappando le birre e porgendone una ad Annabeth.
“No che non potevo.”
“E perché mai?”
“Perché ti sono riconoscente per davvero, se tu non avessi recuperato quella stramaledetta pillola non so cosa avrei fatto.” Ammise addentando il suo panino.
“Come va la mano?” chiese tanto per cambiare discorso.
Percy si guardò la mano destra facendo una piccola alzata di spalle. “Va che è talmente gonfia che ci ho messo mezz’ora ad allacciare i bottoni della camicia, ma per il resto non posso lamentarmi.”
“Beh, spero che in futuro ci penserai due volte prima di colpire un altro muro…”
“È una mia sensazione o stai cercando un modo indiretto di chiedermi cos’ha detto Rachel di tanto sconvolgente di farmi tirare un pugno al muro?”
Annabeth sbiancò. Come diavolo faceva Percy ad intuire quello che le passava per la testa? La cosa era quasi inquietante.
“Ma ti pare!” Si affrettò a dire condendo il tutto con una risata di scherno.
“Ok” fece lui finendo il suo panino, “quindi tu che cosa fai esattamente nella vita?”
Annabeth gli rivolse un’occhiataccia. “Come scusa?”
“Sì, beh, fai l’università no? Che cosa studi?” chiese lui un po’ intimidito da quell’atteggiamento aggressivo.
“Cosa te ne importa?” fece lei gelida.
“Scusa, era solo una domanda per fare un po’ di conversazione. Non so quasi niente di te.”
“E io non so niente di te” gli fece notare lei.
“Lo so, è per questo che cercavo di fare conversazione… cosa vorresti sapere?” domandò lui speranzoso.
“Mi correggo” disse lei alzandosi per buttare nel cestino i tovaglioli che avvolgevano il panino, “non so niente di te e mi va bene così.”
Percy sbuffò, Annabeth era veramente intrattabile.
“E comunque non è vero che non sai nulla di me” gli fece notare mentre prendevano a camminare lungo la passeggiata che costeggiava la strada, “sai che ho mollato l’università, sai che faccio il bagnino, sai che sono stato scaricato dalla mia donna per un DJ dal nome discutibile e sai anche che c’è un’ordinanza restrittiva a mio nome.”
“Wow!” Commentò lei con scarso entusiasmo mentre una folata di vento le arruffava i capelli biondi.
“Io di te non so veramente niente, a parte che hai un neo a forma di cuore poco sopra il sedere.”
Annabeth strabuzzò gli occhi e si fermò per guardarlo meglio. “Ho cosa?” domandò allibita.
“Un neo a forma di cuore, non te ne sei mai accorta?”
“E come posso accorgermene?”
“Intendevo… non te l’hanno mai detto?”
Annabeth rimase in silenzio ad osservarlo. Luke non aveva mai fatto nessun commento a riguardo, probabilmente era sempre stato troppo impegnato a guardare i sederi delle altre per preoccuparsi di cosa c’era poco sopra il suo.
“No, non me l’avevano mai detto.” Sentenziò lei asciutta.
Il resto della serata trascorse nello stesso imbarazzante modo in cui era iniziata, così quando passeggiando tornarono nel punto in cui avevano parcheggiato la macchina entrambi decisero che era meglio rincasare.
Percy posteggiò sotto casa di Talia e spense il motore, poi si slacciò la cintura e si voltò verso Annabeth mentre l’orologio della piazza principale suonava la mezzanotte.
“Meglio di Cenerentola eh? Mezzanotte spaccata e sei a casa.” Commentò lui con un sorriso ammaliante. “Sarà meglio che tu scenda prima che io mi ritrasformi in ranocchio…”
“Guarda che stai facendo confusione, in Cenerentola non c’era nessun ranocchio!” Lo corresse lei ridendo di gusto.
“Lo so, ma non potevo accettare il fatto che te ne andassi via senza aver riso nemmeno una volta in tutta la sera.”
Annabeth ammutolì, quello era decisamente un colpo basso.
“Beh, devo ammettere che questo è stato il peggiore appuntamento della mia vita” gli confessò.
“Ehi! Così non vale! Avevi detto che non era un appuntamento.” Protestò lui.
“Beh, qualunque cosa fosse, ci tenevo a dirti che è stata terribile.”
“Concordo.” Disse lui dopo averci pensato su un po’.
Percy stava giocherellando con il cambio dell’auto poi sollevò lo sguardo e disse: “Annabeth, non sono stato del tutto sincero con te…”
Annabeth impallidì. In tutta la serata non si erano detti quasi niente, a cosa poteva riferirsi?
“Ti devo confessare che sono un fan del bacio sotto casa…” le rivelò lasciandola di stucco.
“Di cosa?” Domandò lei un attimo prima che lui le afferrasse il viso e la coinvolgesse in un bacio appassionato. Annabeth era talmente sorpresa da quel gesto che inizialmente non riuscì nemmeno ad opporsi. Lo lasciò fare e quando lo sentì dischiudere le labbra in cerca della sua lingua invece di opporsi gli lasciò approfondire il bacio ricambiandolo con entusiasmo.
Annabeth si liberò della cintura e si mise a cavalcioni sopra di lui senza staccarsi neanche un momento dalle sue labbra. Erano morbide, calde, e in quel momento rappresentavano tutto quello che potesse desiderare. Lui tirò indietro il sedile per farle spazio mentre le loro lingue s’incontravano con decisione. Annabeth gli circondò il collo con le braccia e lasciò che lui giocasse con i suoi capelli. In più di un momento si rese conto che avrebbe voluto porre fine a quella pazzia ma Percy baciava troppo bene per chiedergli di smettere.
“Ok, ok, aspetta un attimo” disse lui interrompendo il bacio e riprendendo fiato.
“Che c’è?” domandò lei boccheggiando, gli occhi fissi sulle sue labbra in attesa che cercassero nuovamente le sue.
“I casi sono tre” fece lui col fiato corto, “o scendi ora da questa macchina e ti chiudi in casa affinché io non possa seguirti, o ci spostiamo sul sedile posteriore, o torni al tuo posto e mi lasci guidare fino a casa mia.”



Angolo dell'autrice: Eccomi con l'ultimo aggiornamento dell'anno! Devo dire che mi ritengo soddisfatta di questo capitolo e spero che sia piaciuto anche a voi. L'unica cosa che mi rimprovero è che non sono riuscita a dare molto spazio alle altre coppie... diciamocelo, questo capitolo è Percabeth fino al midollo. Leo e Calypso non sapevo proprio come inserirli e Piper e Jason... beh, si è capito solo che si sentono in continuazione. Ho prodotto 13 pagine word senza inserirli, figuriamoci se mi fossi soffermata anche su di loro! Spero mi perdonerete per questa scelta... mi riprometto di dedicargli più spazio nei capitoli futuri (un'idea già ce l'ho)! E di Will cosa mi dite? In tanti mi chiedevate di Nico, Hazel, Reyna e invece salta fuori lui, ve lo aspettavate? 
Finisco di rompervi dicendo che ho amato far dire a Percy quella cosa sul neo di Annabeth e che adoro la parte finale in macchina! Occhi a cuoricino!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Mercoledì ***


MERCOLEDì

 
 
Percy mancò tre volte il buco della serratura prima di riuscire ad aprire la porta. Aveva Annabeth attaccata al collo e la maggior parte del suo sangue era sceso a risvegliare le parti basse rendendogli particolarmente difficile qualunque attività richiedesse un minimo di concentrazione. Entrarono nell’appartamento spogliandosi a vicenda e si gettarono sul letto senza smettere di baciarsi.
Prima ancora che Annabeth se ne accorgesse stavano già facendo sesso; avevano concluso i preliminari in macchina e qualcosa le diceva che quel rapporto non sarebbe durato a lungo. Aprì la bocca per dire qualcosa ma Percy l’ammutolì con uno dei suoi baci da capogiro e lei lo lasciò fare.
Cinque minuti più tardi Percy si rotolò sul fianco e si avvolse nelle lenzuola, riprese fiato per qualche secondo poi si voltò a guardare Annabeth. Era rannicchiata su un fianco e abbracciava il cuscino, i capelli biondi che le incorniciavano il volto. I suoi occhi grigi erano un fitto mistero.
Quando i loro occhi s’incontrarono lei non disse nulla, ma quel silenzio fu sufficiente a mettere Percy a disagio. Era una situazione assurda: si trovava a letto con una ragazza che non faceva altro che respingerlo vanificando ogni suo tentativo di essere carino o di fare conversazione.
“Cosa ti passa per la testa?” domandò lei notando il suo atteggiamento titubante.
Percy trasalì, sorpreso. “Io, beh, sono solo… perplesso.” Ammise dopo aver pensato attentamente a quale parola rappresentasse meglio il suo stato d’animo. “Non capisco da che parte prenderti.”
Annabeth scoppiò in una fragorosa risata. “E chi ti dice che io voglia farmi prendere?”
Percy aggrottò le sopracciglia. “Hai capito a cosa mi riferisco.” Mugugnò chiudendo gli occhi per la disperazione.
Quando trovò la forza per riaprirli si accorse che erano già le sei e mezza del mattino e la sveglia stava suonando. Si affrettò a spegnerla prima che svegliasse anche Annabeth ma quando si girò a guardare se lei stesse dormendo ancora, si accorse che non c’era nessuna Annabeth al suo fianco.
Il letto era vuoto e non c’era nessuna traccia di lei nel resto dell’appartamento. Notò che i suoi vestiti erano spariti, esattamente come la borsa e le sue scarpe. Si stropicciò gli occhi con le mani e poi controllò il cellulare speranzoso. Lo schermo s’illuminò mostrandogli lui e Rachel insieme, poi apparve la home dove non era segnalata nessuna chiamata o messaggio. Piegò la testa all’indietro sbuffando, poi si decise a fare una cosa che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. Andò nelle impostazioni del telefono e selezionò un nuovo sfondo, scelse una foto subacquea che aveva realizzato durante un’immersione in cui aveva avuto un incontro ravvicinato con una medusa particolarmente affascinante: la Rhizostoma pulmo. La rimirò per un istante con orgoglio, poi si decise ad alzarsi; era già in ritardo.
 
Annabeth era davanti allo specchio del bagno. Nonostante fosse rientrata tardi era comunque riuscita a svegliarsi ad un’ora decente e adesso si stava infilando il costume. Annodò il laccetto dello slip e si soffermò un istante a guardarsi il fondo schiena. Si spostò proprio davanti allo specchio e si girò di schiena ruotando il busto in modo tale da riuscire a guardare la sua immagine riflessa. Abbassò leggermente l’elastico del costume e notò un neo dalla forma irregolare proprio mentre Talia entrava nel bagno in cerca di una spazzola.
“Cosa stai facendo?” domandò notando la sua posa da contorsionista.
“Lo sapevi che ho un neo a forma di cuore sopra il sedere?” chiese Annabeth indicandoglielo.
Talia roteò gli occhi, afferrò una spazzola e uscì dal bagno senza dire una parola. Annabeth rimase sola con i suoi pensieri in bagno ancora per qualche minuto, poi Piper iniziò a bussare violentemente alla porta annunciando che aveva urgentemente bisogno del bagno.
“Ok, ok!” gridò Annabeth in risposta. “Ho finito.”
 
Quella mattina si rivelò particolarmente calda e afosa. Non tirava un filo di vento e il mare era piatto come una tavola. Per tutto il tragitto casa-spiaggia, Annabeth si era sentita gli occhi di Talia puntati addosso, sapeva che l’amica era in attesa di una qualche spiegazione per il suo comportamento della sera prima ma senza una domanda diretta non sapeva come affrontare il discorso.
“Jason mi ha appena scritto che stasera mi porta fuori a cena” dichiarò Piper verso le undici e mezza con gli occhi a cuoricino.
“È bello organizzare una vacanza per stare con le amiche e poi vedervi uscire tutte le sere con qualcuno.” Ironizzò Talia stesa sul lettino rigorosamente all’ombra. “Non è vero Annabeth?” aggiunse rivolta all’amica che si aspettava quella frecciatina da un momento all’altro.
“Ok, senti, ieri sera è stata una cosa improvvisata va bene?” ammise Annabeth che era la prima a non sapersi spiegare gli avvenimenti della serata precedente. “Dopo quello che era successo ero più che decisa a chiudere con lui, ma quando mi ha chiesto di cenare insieme mi ha colta alla sprovvista e visto quello che aveva fatto per me non me la sono sentita di dirgli di no, tutto qui. Vuoi farmene una colpa?”
Domandò dopo essersi assicurata che lui non fosse nei paraggi.
“Sarebbe tutto molto convincente se solo non fossi rientrata all’una di notte!” le fece notare Talia. Annabeth fece per ribattere ma Talia fu più veloce. “Tanto lo so che ci sei andata a letto anche ieri sera, cosa credi?” Annabeth piegò la testa e sbuffò sonoramente, perché doveva essere tutto così complicato?
“Io vado a farmi un bagno!” Annunciò Talia alzandosi di scatto dal lettino e correndo verso il mare per non ustionarsi i piedi.
“Ci sei andata a letto veramente?” chiese Piper inforcando gli occhiali da sole.
“Si” ammise Annabeth in tono piatto.
“Non mi sembri molto entusiasta…”
“Non è il sesso il problema.”
“E allora qual è?”
“È che stavolta ci siamo baciati” confessò Annabeth sempre controllando che lui non fosse troppo vicino.
Piper la fissò accigliata. “Non ti seguo.” Dichiarò. “Mi stai dicendo che è una settimana che ci vai a letto e non l’avevi mai baciato?”
“Esatto, gliel’ho sempre impedito… ma ieri sera è stato tutto diverso e non sono riuscita ad evitarlo, e dopo questa cosa sono ancora più decisa a chiudere definitivamente.”
Seguì un silenzio imbarazzante poi Annabeth avvistò Jason in avvicinamento e disse: “Oh guarda, è in arrivo il tuo principe dagli occhi azzurri!”
Piper si voltò appena in tempo per vedere Jason sfilarsi la maglietta mentre le sorrideva in segno di saluto, poi raggiunse il loro ombrellone con passo baldanzoso.
“Buongiorno” disse raggiante sfilandosi gli occhiali da sole. Piper si mise seduta con le ginocchia strette al petto e Annabeth la vide arrossire mentre ricambiava il saluto.
“Andrò a prendermi un caffè” disse come scusa per lasciarli soli. “Vi porto qualcosa?” Non ci fu risposta a quella domanda perché Jason aveva occhi solo per Piper e lei sembrava essere andata completamente in tilt. Sembravano essere inebetiti l’uno dalla presenza dell’altra.
“Ok, a più tardi” disse pescando cellulare e portafoglio dalla borsa per dirigersi al bar.
Ordinò un caffè macchiato al bancone e si sedette su uno sgabello. Nell’attesa aprì Facebook dopo quasi una settimana dall’ultimo accesso e la prima cosa che vide fu una foto di Luke con una ragazza dai capelli castani e gli occhi azzurri abbracciati in riva al mare. Il primo istinto fu quello di scagliare il cellulare contro la parete e ordinare una tequila, ma proprio in quel momento Percy la raggiunse e si appoggiò al bancone di peso, proprio alla sua destra. Aveva ancora la mano destra gonfia ma era nettamente in via di guarigione.
“A lei” disse il barista servendole il caffè.
“Ciao” fece Percy un po’ provato. Sembrava stanco, probabilmente il Signor D lo aveva fatto sgobbare più del solito, o forse aveva solo del sonno arretrato.
“Ehi Chris! Posso chiederti una Redbull?” disse rivolto al ragazzo muscoloso che aveva appena servito il caffè ad Annabeth.
Lui l’accontentò e poi tornò a ripulire tazzine e bicchieri senza aggiungere altro.
Percy aprì la lattina e bevve un sorso fissando Annabeth che si rese conto solo in quel momento di non averlo nemmeno salutato.
“Ciao” disse con scarso entusiasmo. Bevve il caffè in due sorsi, saltò giù dallo sgabello afferrando le sue cose e poi si allontanò senza aggiungere altro. Percy la guardò allontanarsi deluso, poi Chris parlò. “Si può sapere che problemi hai con le donne?” gli domandò appoggiando entrambi i gomiti sul bancone e unendosi a Percy nel guardare Annabeth allontanarsi.
“Shhh” gli fece lui preoccupato. “Lo sai che non posso avere relazioni con le clienti, se il Signor D lo scopre mi licenzia!”
Chris scoppiò in una fragorosa risata. “Allora farai meglio a tenere a bada quell’affare che ti ritrovi tra le gambe!” Lo canzonò assestandogli una pacca così forte che buttò giù Percy dallo sgabello.
Annabeth stava camminando lungo la passerella in legno quando vide Piper e Jason limonare senza ritegno sul lettino. Erano aggrovigliati in una posizione che andava contro ogni legge della fisica ma la cosa non sembrava creargli alcun problema. Annabeth esitò un momento. Non poteva tornare all’ombrellone e sdraiarsi accanto a loro come se nulla fosse e con in mano portafoglio e cellulare non poteva certo raggiungere Talia in mare. D’altro canto tornare sui suoi passi e sedersi nuovamente al bar equivaleva a fare una figuraccia con Percy, dal quale aveva appena voluto allontanarsi.
Mentre rifletteva sul da farsi il telefono le vibrò tra le mani. Percy le aveva appena inviato un messaggio: “Più tardi possiamo parlare?”
Era un messaggio semplice, breve e diretto, eppure mandò Annabeth in crisi. Avrebbe dovuto affrontare Percy ed essere sufficientemente diretta da fargli capire che non c’era trippa per gatti.
Un paio di bambini la urtarono rincorrendosi lungo la passerella destandola dai suoi pensieri. Sollevò un attimo lo sguardo dallo schermo del cellulare e vide Piper e Jason ridacchiare, se non altro avevano smesso di pomiciare.
Girò sui tacchi e fece ritorno al bar, andò dritta verso Percy che era esattamente dove l’aveva lasciato e disse: “per quanto mi riguarda possiamo parlare anche adesso.” Aveva usato un tono brusco, molto più aggressivo di quanto volesse in realtà, ma ormai non poteva più rimediare.
Percy sgranò gli occhi e gli andò di traverso la Redbull.
“Annabeth!” la riprese tossicchiando. “Non qui cavolo!”
“E allora dimmi dove.” Fece lei seccata.
“Lontano dalla spiaggia… il mio più tardi si riferiva a quando finivo di lavorare.”
“Jackson!” Ruggì il Signor D dall’altra parte del bar, “gradirei vederti in postazione e non al bar ad importunare le clienti!”
Percy gettò la lattina vuota nella spazzatura e corse in riva prima che il suo capo potesse rimproverarlo per qualcos’altro.
Annabeth rimase impalata al bancone, quel vecchio scorbutico doveva arrivare proprio nel momento in cui lei aveva deciso di dire a Percy chiaro e tondo che non voleva avere più niente a che fare con lui?
“Devi scusarlo” disse l’uomo rivolgendosi a lei con garbo inaspettato, “è un bravo ragazzo ma ha una brutta storia alle spalle e quelli come lui non sono facili da recuperare.” Annabeth trasalì, sorpresa. Si domandò se il Signor D si riferisse all’ordinanza restrittiva o se ci fosse dell’altro. “Spero non ti abbia infastidita.”
“Io, lui, cioè… no, no, non ha fatto niente di male.”
“Meglio così allora.” Commentò l’uomo scolandosi una coca-cola ghiacciata e tornando sui suoi passi. In quel momento, Annabeth vide Talia salire gli scalini diretta alle docce e si affrettò a raggiungerla.
“Cosa significa che tuo cugino ha una brutta storia alle spalle?” domandò senza troppi giri di parole.
Talia si voltò e le riservò un’occhiataccia. “Hai sempre detto che non te ne importava niente di lui perché tanto era solo una storiella estiva e adesso pretendi di conoscere i dettagli del suo passato?”
Annabeth si morsicò il labbro. Talia aveva ragione, stava ficcando il naso dove non doveva, la verità era che era semplicemente curiosa ma non poteva certo ammetterlo, quindi cercò un modo per rigirare la frittata.
“Sì, infatti è così ma… sai com’è, ci sono andata a letto più di una volta e in un’occasione come sai si è anche rotto il preservativo, quindi volevo solo sapere se…”
“Non si è mai drogato e non ha malattie, se è questo che ti preoccupa.” Spiegò Talia aprendo il getto della doccia.
“Oh” fece Annabeth in risposta. “Allora ok.”
“Pensi davvero che ti avrei lasciata andare a letto con lui se avesse avuto un passato legato alla droga o chissà cos’altro?” Adesso il suo tono suonava particolarmente arrabbiato.
Annabeth incassò il colpo in silenzio. Sapeva che Talia avrebbe reagito male a quella domanda ma non era riuscita a trattenersi e adesso ne stava pagando le conseguenze.
“Lo so che sei arrabbiata con me perché ieri ci sono andata a cena” ammise mogia.
“Non è questo il punto!” Disse Talia richiudendo il getto dell’acqua e strizzandosi i capelli. “Io sono tra due fuochi! Lo capisci questo?”
Annabeth annuì in silenzio.
“Tu sei mia amica e so quello che hai passato per colpa di Luke, ma lui è mio cugino, e credimi quando ti dico che ha passato momenti veramente difficili.” Fece una pausa in cui sospirò profondamente poi proseguì il suo discorso. “Io capisco che tu non voglia impegnarti, penserei la stessa cosa se fossi al tuo posto, ma mi sarei cercata un tizio senza cervello per interrompere la mia astinenza, uno a cui non importasse nulla di me, esattamente come a te non importa nulla di Percy. Ho paura che finiate per farvi del male a vicenda, anzi, temo che ve ne siate già fatti e mi dispiace perché so che non ve lo meritate, né tu né lui.”
Annabeth era rimasta senza parole. La sincerità di Talia era disarmante e lei cominciava a sentirsi a disagio al suo cospetto.
“Ah” fece Talia mentre si tamponava la faccia con l’asciugamano, “come se tutto questo non bastasse, Piper ha pensato bene di gettarsi a peso morto tra le braccia di quel marpione di mio fratello! Al primo passo falso giuro che lo ammazzo!” E così dicendo lanciò un’occhiata alla coppia in questione che stava ancora amoreggiando sotto all’ombrellone.
Raggiunsero la loro postazione insieme a Leo che finalmente aveva fatto la sua comparsa in spiaggia. Aveva con sé un sacchetto di plastica che conteneva qualcosa dalla forma squadrata.
“Allora sei ancora vivo!” Esclamò Jason prendendo Piper in braccio per far posto a Leo sul lettino. “Hai passato tutta la mattinata in gelateria?” domandò malizioso.
“Esattamente!” rispose lui raggiante. “La bella Calypso mi ha insegnato a fare il gelato e io ho pensato di portarvene un po’!” E così dicendo tirò fuori dal sacchetto una confezione di polistirolo e una manciata di cucchiaini di plastica.
“Andate a chiamare anche Percy, dobbiamo darci una mossa a finirlo prima che si sciolga tutto.”
Jason fece un fischio acutissimo che attirò l’attenzione di parecchie persone, Percy compreso, poi gli fece cenno di raggiungerli e Percy arrivò di corsa.
Nei cinque minuti successivi non si sentì volare una mosca perché erano tutti impegnati a gustare il gelato di Leo.
“Bravo Leo! Era proprio buono.” Esclamò Talia soddisfatta.
“L’hai fatto tu?” domandò Percy che si era perso il preambolo iniziale.
“Già! Stamattina Calypso mi ha fatto vedere il suo laboratorio e abbiamo fatto il gelato… beh, a dire il vero non abbiamo fatto solo il gelato, ma vi risparmio i dettagli.” Spiegò con un sorrisetto malizioso.
“Ecco… forse questo avresti dovuto dircelo prima che lo mangiassimo” commentò Jason contemplando il contenitore ormai vuoto.
 
Erano quasi le sette quando Annabeth, Talia e Piper cominciarono a radunare le loro cose per tornare a casa. Il caldo le aveva stroncate completamente e l’unica cosa che desideravano era una bella doccia.
“Io mi lavo per prima! Jason passa a prendermi alle otto e mezza e devo assolutamente farmi trovare pronta!” Esclamò Piper con entusiasmo.
“Tranquilla” disse Talia con la faccia di chi la sapeva lunga, “ho avvisato mio fratello delle tue tempistiche… se si presenta veramente alle otto e mezza è un coglione!”
Annabeth rise. Era bello vedere Piper così in ansia per un appuntamento; non si poteva certo dire che avesse avuto pochi ragazzi, ma era raro che lei fosse così tanto presa, di solito erano loro ad essere euforici.
“Ehi aspetta” Percy aveva raggiunto le ragazze e aveva fermato Annabeth che stava in coda al trio. Lei si girò sorpresa e lo fissò con aria interrogativa.
“Stacco fra dieci minuti.” Disse a bassa voce. “Mi aspetteresti?”
Annabeth aveva quasi dimenticato la sua richiesta di poche ore prima: voleva parlarle. Annuì sussurrando un semplice “ok” pensando che prima avrebbe chiuso quella faccenda e meglio sarebbe stato.
“Ti aspetto qui su, vicino alla passeggiata sul lungomare” gli disse affrettando il passo per raggiungere le amiche.
Esattamente dieci minuti più tardi Percy salì di corsa le scale del lido e Annabeth lo vide guardarsi intorno per cercarla. Quando la vide si affrettò a raggiungerla e sorrise.
“Pensavi che non ti avrei aspettato?” domandò lei divertita.
“Con te non si può mai sapere” le sorrise lui di rimando. “Cosa ne dici se facciamo due passi? Ti va di andare al bar di Frank? È proprio qui dietro.”
“Va bene” sospirò Annabeth che non aveva voglia di cercare una valida scusa per non accettare.
“E così… volevi parlarmi?” Domandò fissando Percy che si stava strafogando di noccioline in attesa che Frank gli servisse uno spritz.
“Oh, sì, beh… sicura di non voler ordinare niente?”
“Sicura” disse lei con convinzione.
“Ok” fece lui chinando il capo, poi prese il coraggio a due mani e si decise ad affrontare l’argomento. “Stamattina pensavo di trovarti al mio fianco” ammise.
“Ah” si lasciò sfuggire Annabeth mentre pensava ad una risposta decente.
“Perché te ne sei andata così?” chiese aggrottando la fronte.
“Io… beh, sono venuta qui per fare una vacanza con le amiche e penso di aver già dormito fuori un po’ troppe volte… quindi mi è sembrato giusto rientrare… tutto qui.”
Percy l’ascoltò in silenzio, era evidente che quella risposta non lo soddisfaceva per niente, ma si sforzò di lasciarla finire senza interromperla. Sorseggiò il suo spritz, poi guardò Annabeth e con voce calma disse: “Non riesci proprio ad inventarti una scusa migliore?”
Lei sgranò gli occhi; per l’ennesima volta Percy aveva dimostrato di essere in grado di andare oltre le sue parole e di leggerla nel profondo.
“Senti” esordì lei un po’ infastidita, “sarò più diretta se è questo che vuoi… non so cosa sia successo ieri sera, ma devi dimenticartene perché non accadrà di nuovo. Siamo intesi?”
Sapeva di essere stata particolarmente fredda e cinica, ma lui non le aveva lasciato altra scelta.
Percy sbatté con forza il bicchiere sul tavolo facendo sobbalzare una coppietta che amoreggiava poco più in là, poi tornò a fissare Annabeth. “Te lo dico io cos’è successo” esordì lui con rabbia, “è successo che per la prima volta da quando ti conosco hai abbassato le difese, ti sei tolta quell’armatura che indossi e sei uscita allo scoperto, e per la prima volta ho visto la vera Annabeth. Ti sei lasciata andare e ti dirò di più… ti è anche piaciuto.”
“Pensi di sapere proprio tutto di me, eh?” l’aggredì lei che non sapeva più che pesci pigliare. Era in difficoltà e se c’era una cosa che odiava era perdere le redini della situazione.
“No!” Gridò Percy mentre si allontanavano dal locale diretti al campetto da basket. I loro toni si erano fatti più accesi ed era meglio stare alla larga da orecchie indiscrete. “Io non so proprio niente di te, perché tu mi tratti come se fossi un oggetto!” Annabeth aprì la bocca e fece per rispondere ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.
“Mi dispiace vedere che hai sofferto così tanto da non essere più in grado di fidarti di qualcuno. Ma non è facendo pagare a me gli errori di altri che risolverai i tuoi problemi.”
“Parli come se fossi io l’unica ad avere dei problemi, Mr ordine restrittivo!” sibilò lei con cattiveria.
Percy incassò il colpo senza dire niente.
“Sai cosa ti dico? Non so nemmeno perché sono qua! Non so nemmeno perché ti sto a sentire. Puoi tornartene a classificare meduse per quanto mi riguarda, signor Testa d’Alghe!”
“Si, ecco brava, continua pure a rinfacciarmi quelle poche cose che sai di me se ti fa stare meglio. Se non altro io non scarico i miei problemi sugli altri!”
“Bene, dopo questa direi che posso anche andarmene.” E così dicendo gli voltò le spalle e prese a camminare a passo spedito.
“Aspetta!” Le gridò dietro Percy. Lei si girò guardandolo in cagnesco e Percy aggiunse: “ti accompagno.”
“Scordatelo!” ringhiò lei. “La carta del bacio sotto casa te la sei già giocata ieri sera!”
Percy fece una risata forzata. “Tranquilla, visto come ti sei comportata non ho nessuna intenzione di baciarti, né qui né sotto casa.”
“E allora si può sapere cosa diavolo vuoi?”
“Lo vedi quel tipo biondo laggiù?” chiese Percy facendo un cenno con il capo in direzione di un tipo magro dal viso scavato che se ne stava solo all’angolo della via sorseggiando qualcosa di alcolico.
Annabeth seguì lo sguardo di Percy ed identificò senza difficoltà il personaggio a cui si riferiva. Sentì un brivido percorrerle la schiena, era un tipo decisamente losco.
“Quello è Ottaviano, ha giusto qualche problemino con l’alcol e dato che ti ha già squadrata più di una volta, sia adesso che oggi in spiaggia, non mi fido a lasciarti tornare da sola.”
“Senti, non sei mio padre e nemmeno la mia guardia del corpo quindi puoi anche andartene, e poi so badare a me stessa!” Dichiarò lei con un’alzata di spalle. Attraversò il parchetto prima che Percy potesse aggiungere altro e solo quando svoltò nella prima via sulla destra osò guardarsi le spalle. Percy non l’aveva seguita e lei tirò un sospiro di sollievo; in un modo o nell’altro sentiva di aver chiuso quello che c’era stato tra loro. Diede uno sguardo all’orologio mentre i suoi passi echeggiavano sull’asfalto rimbombando tra le case di ringhiera e quando sollevò lo sguardo si trovò faccia a faccia con il ragazzo che se ne stava nell’ombra due vicoli più in là. Annabeth rabbrividì mentre quegli occhi infossati la squadravano da cima a fondo. Le si formò un groppo in gola mentre lui le si avvicinava minaccioso. Annabeth si guardò intorno in cerca di aiuto, perché non si era fidata di Percy? Se fosse stata ancora in sua compagnia quel tizio non le si sarebbe mai avvicinata. In quel momento Ottaviano allungò un braccio e la spinse contro il muro. Aveva il fiato che puzzava di alcol e anche il suo odore non era dei migliori, sembrava non si lavasse da parecchio tempo. Annabeth tentò di gridare ma era così spaventata che non riuscì ad emettere alcun suono. Improvvisamente capì che invece di farsi paralizzare dalla paura doveva sfruttarla a suo vantaggio per sferrargli un colpo ben piazzato, qualunque parte del corpo avesse colpito sarebbe stato meglio di niente.
Prima che lei potesse agire vide due mani afferrare il colletto della maglietta del ragazzo e scagliarlo con violenza contro il muro opposto. Ottaviano gemette accasciandosi su sé stesso e solo in quel momento Annabeth riconobbe Percy.
“Va tutto bene?” Le domandò gentilmente aiutandola ad alzarsi. Lei annuì in silenzio. Avrebbe voluto ringraziarlo ma stava ancora tremando in modo incontrollato e non riuscì a dire nulla. Non appena Percy vide che Annabeth era tutta intera e si reggeva in piedi da sola si voltò di nuovo verso Ottaviano. Era ancora a terra e si stava tastando il labbro che nella caduta si era tagliato e sanguinava copiosamente.
“Devi stare lontano da lei, è chiaro?” Urlò Percy sollevandolo da terra con violenza e facendogli picchiare la testa contro il muro.
“Percy!” Urlò Annabeth con voce ritrovata. Percy si voltò a guardarla e rimase in attesa.
“Lascialo stare” gli disse avvicinandosi e convincendolo ad allentare la presa. “Non voglio che tu ti metta nei guai, hai già abbastanza casini. Ora lascialo.”
Percy squadrò il ragazzo con aria schifata, poi lo lasciò andare brutalmente e guidò Annabeth lontano da lui.
Arrivarono sotto casa di Talia cinque minuti più tardi. Durante il tragitto Annabeth aveva smesso di tremare ma né lei né Percy se l’erano sentita di parlare.
“Ok, direi che adesso sei al sicuro.” Disse Percy non appena furono davanti al portone. Aveva entrambe le mani in tasca e doveva essere parecchio a disagio perché continuava a spostare lo sguardo per non incrociare quello di Annabeth. Lei lo notò con dispiacere e si pentì di averlo aggredito verbalmente solo qualche minuto prima. Ogni volta che lo trattava male le succedeva qualcosa di brutto e lui puntualmente interveniva per salvare la situazione rendendole impossibile chiudere definitivamente qualsiasi cosa fosse quella che c’era tra loro.
“Voglio che tu sappia che non ti stavo seguendo. Mi sono solo accorto che Ottaviano non era più nei paraggi e ho pensato che ti avesse seguita.”
“Non devi giustificarti, anzi penso di doverti delle scuse e soprattutto penso di doverti dire grazie. Non sei mio padre e nemmeno la mia guardia del corpo ma non escludo che tu sia il mio angelo custode visto che quando mi succede qualcosa ci sei sempre.” Annabeth si lasciò sfuggire un sorriso e fu felice di vedere Percy ricambiare.
“Adesso vado” le disse tornando sui suoi passi.
“No! Aspetta un attimo.” Fece lei quasi senza rendersene conto.  “Non andartene così, ti prego. Perché non entri un attimo.”
“No, ti ringrazio.”
“Perché no?”
“Fidati, è meglio così…” fece lui vago.
“Che problema c’è?”
“Beh, ecco… diciamo che Talia mi ha espressamente chiesto di starti alla larga…” spiegò Percy ripensando alla conversazione avuta il giorno prima con la cugina.
“Senza offesa ma non mi sembri il tipo che obbedisce senza fare storie.”
“Infatti non lo sono!” Fece Percy quasi stizzito. “Ti ricordo che ieri siamo usciti insieme.”
In quel momento il cellulare di Percy prese a squillare impedendo ad Annabeth di ribattere.
“Pronto” lo sentì dire dopo aver studiato attentamente lo schermo per capire chi lo stava chiamando. “Ehi, ciao! Sì, sì, hai ragione, sono un imbecille. Lo so che ti avevo detto che avrei chiamato per confermare l’appuntamento non appena avessi finito di lavorare, ma ho avuto… un imprevisto.” In quel momento sollevò gli occhi e fissò Annabeth che distolse prontamente lo sguardo. Quindi era questo che era per lui? Un imprevisto?
“Sì, sì, è tutto confermato.” Disse al suo interlocutore. “Ci vediamo domani per le undici.” Chiuse la chiamata e tornò a guardare Annabeth.
“Beh, è tardi, ci vediamo venerdì in spiaggia.” Le disse proprio mentre Jason arrivava sgommando con la sua Seat Ibiza bianca. Annabeth guardò l’orologio e rimase di stucco, erano già le otto e mezza.
L’arrivo di Jason l’aveva distratta e non si era nemmeno accorta che Percy aveva approfittato di quel momento per dileguarsi senza aggiungere altro.
“Ciao Jason” disse al ragazzo che aveva appena posteggiato e si sporgeva dal finestrino per salutarla. “Stai aspettando Piper immagino.”
“Esattamente” rispose lui con un sorriso smagliante.
Annabeth fissò nuovamente l’orologio domandandosi come spiegare a Jason che avrebbe dovuto aspettarla ancora una buona mezzora.
“Io che credo che lei non sia ancora pronta… conoscendola penso che abbia bisogno ancora di qualche minuto”
“Eccola” esultò lui guardando oltre la sua spalla. Annabeth si voltò e vide Piper uscire di casa con indosso un abito leggero dai motivi floreali. Era raggiante e aveva un sorriso smagliante che si abbinava perfettamente a quello del suo accompagnatore. La salutò un attimo prima che lei salisse in macchina e poi rientrò in casa mentre Jason metteva in moto.
“Non dire niente, sono sconvolta anche io!” Esordì Talia non appena la vide mettere piede in casa.
“Ma Piper era pronta! Erano le otto e mezza e lei era pronta!” Sottolineò Annabeth sbalordita.
“Lo so!” Esclamò Talia con le mani tra i capelli. “Non so se sono più sconvolta dal fatto che Piper sia stata puntuale per la prima volta nella sua vita o se sono più incazza perché mio fratello ha bellamente ignorato il mio consiglio di presentarsi alle nove!”
“Beh, menomale che non ti ha dato ascolto, altrimenti a quest’ora avrebbe fatto lui la figura del ritardatario.” Commentò saggiamente Annabeth.
“Va beh, visto che stasera siamo sole cosa ne dici di una bella pizza sul divano con tanto di birra e film?”
“Mi sembra un’ottima idea!”


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Inizio questo angolo autrice con un sentito ed immenso grazie per le 9 recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo, mi avete resa veramente felice. Spero di non avervi fatto aspettare troppo questo aggiornamento, in tal caso spero che l'attesa sia valsa la pena. Spero che abbiate notato che in questo capitolo ho provato ad inserire un po' di tutto: ho sviluppato un po' la relazione tra Jason e Piper e c'è stato un breve accenno anche a quello che sta accadendo tra Leo e Calypso, ovviamente i protagonisti sono come sempre Annabeth e Percy (che non stanno mai tranquilli un secondo). Ho trovato il modo di inserire Ottaviano e finalmente il ragazzo del bar ha un nome (era dal primo capitolo che mi domandavo chi avrebbe potuto essere). Preparatevi perchè nei prossimi capitoli ci saranno un po' di sorprese. Ho già un sacco di idee e ho bene in mente come si svilupperanno gli eventi. Non mi resta che mettermi a scrivere. Grazie a tutti voi che mi seguite sempre e che vi siete appassionati alla mia storia. Un abbraccio virtuale e un grazie in anticipo a tutti quelli che vorranno recensire!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Giovedì ***


GIOVEDì

 
 
Il cellulare di Percy suonava ininterrottamente da due minuti ma lui stava facendo del suo meglio per ignorarlo. Era andato a letto presto e il suo unico obiettivo era quello di riuscire a dormire indisturbato almeno fino alle dieci e mezza.
All’ennesimo squillo si costrinse ad aprire gli occhi e si rese conto che fuori era ancora buio. La sveglia sul comodino segnava le due del mattino e il display dell’iphone gli rivelò che era stato suo cugino ad interrompere il suo sonno. Percy squadrò con odio il telefono poi lo afferrò e rispose controvoglia mettendosi seduto nel letto.
“Cosa diavolo vuoi?” esordì senza nascondere tutto il suo disappunto.
“Percy!” Disse la voce di Jason con sollievo. “Finalmente ti sei deciso a rispondere!”
“Sì, beh, sai com’è stavo dormendo. Spero che tu abbia un buon motivo per chiamarmi a quest’ora.”
“Sì, beh, io… ho fatto un casino.” Ammise il ragazzo.
Percy si diede uno schiaffo sulla fronte e si stropicciò gli occhi.
“Jason, ti prego, mi racconterai cosa hai combinato con Piper domani, adesso per favore, lasciami dormire.”
“No, no, non hai capito, non è Piper il problema.”
“E allora cosa cavolo c’è?” mormorò Percy con gli occhi chiusi.
“Ho bisogno del tuo aiuto.” Biascicò Jason che sembrava aver qualche difficoltà a scandire le parole.
Percy aggrottò la fronte. “Sei ubriaco?” domandò nonostante avesse già un’idea abbastanza chiara circa la risposta.
“Questo è quello che ha decretato il test del palloncino…”
“Oh, no! Non dirmi che…”
“Mi hanno ritirato la patente” ammise Jason prima che Percy potesse finire la frase. “E dato che non posso guidare non so come tornare a casa… non è che verresti a prendermi?”
Percy imprecò ad alta voce. “Ma non può guidare Piper?”
“Non credo sia in grado.” Spiegò Jason.
“È ubriaca anche lei?”
“Beh… diciamo che in questo momento è nel bagno della caserma che vomita…”
“Ok, risparmiami i dettagli, adesso arrivo. Ma sappi una cosa…”
“Cosa?”
“Ti odio!” E così dicendo Percy scese dal letto e cominciò a vestirsi.
Ovviamente la caserma dei carabinieri era dall’altra parte del paese e per raggiungerla a piedi, Percy impiegò circa venti minuti camminando a passo spedito. Appena arrivato notò l’auto di Jason posteggiata proprio vicino all’ingresso e una volta dentro trovò il cugino seduto in una sala d’attesa insieme a Piper che era parecchio pallida.
Dopo aver compilato e firmato un’infinità di moduli Percy riuscì a guidare il cucino e la sua accompagnatrice fuori dalla caserma.
“Si può sapere che cavolo avete combinato?” Domandò mettendosi al volante dell’auto di Jason.
“È stata una bella serata, ci siamo divertiti e abbiamo bevuto un po’!” spiegò Jason con un ghigno che mandò Percy su tutte le furie.
“Jason! Ti rendi conto che ti hanno ritirato la patente per sei mesi?” gli fece notare in tono scocciato. Jason sbuffò. “Sì, certo che me ne rendo conto! Sto solo cercando di prendere la cosa sul ridere perché non so cos’altro fare, anche perché, diciamocela tutta… se avessi dovuto scommettere sul ritiro della patente di uno di noi, avrei puntato tutto su di te.”
“Vaffanculo!” fu l’unico commento di Percy.
“Percy potresti andare un po’ più piano? Mi viene ancora da vomitare.” Lamentò Piper dal sedile posteriore.
“Fa pure, tanto è la macchina di Jason.” Disse Percy asciutto.
“Ehi!” lo redarguì il cugino.
“Siamo arrivati.” Decretò Percy accostando.
“E adesso cosa facciamo?” chiese Jason guardando prima il cugino e poi Piper.
“Chiamo Talia e le dico di scendere ad aiutare Piper.”
“No, no, ti prego non sono pronto per affrontare mia sorella… lo farò domani, ma ti prego non adesso.”
“Non pensi che sia peggio se mentre la mettiamo a letto Talia si sveglia? Le dovremmo di sicuro delle spiegazioni.”
“Chiama Annabeth” sentenziò Jason deciso.
“Cosa?”
“Chiama Annabeth”
“No, non ci penso neanche.”
“Allora la chiamo io” e così dicendo Jason s’impossessò del cellulare di Percy e fece partire la chiamata.
Percy imprecò, domandandosi se quella chiamata non avrebbe finito per svegliare anche Talia. Fortunatamente Annabeth rispose quasi subito e Percy sentì la salivazione azzerarsi all’improvviso.
“Pronto.” Disse lei con voce assonnata. “Percy ma che succede? Ti sembra il caso di chiamarmi alle tre del mattino?” Adesso che aveva notato l’ora il suo tono si era fatto più infastidito.
“No, in effetti non mi sembra il caso.” Fece Percy lanciando un’occhiataccia al cugino. “È solo che volevo chiederti se potresti scendere un attimo a prendere Piper… senza svegliare Talia.”
Annabeth sentì un brivido percorrerle la schiena, perché mai alle tre del mattino Percy era in compagnia di Piper? Era sicura di averla vista uscire con Jason, com’era possibile che fosse Percy a riaccompagnarla?
“Annabeth?” domandò la voce di Percy. “Sei ancora lì?”
“Sì.” Fece lei asciutta.
“Beh, ecco, pensi di poter scendere a prendere Piper o no?”
“Sta male?” domandò rendendosi conto solo in quell’istante che non si era minimamente preoccupata per l’amica.
“Ha solo bevuto un po’…” le confidò Percy.
“Arrivo.” Disse infilando le ciabatte.

Nonostante avesse puntato la sveglia alle dieci e mezza, Percy si era svegliato con un quarto d’ora d’anticipo e stava facendo colazione nel suo appartamento. Gli avvenimenti di quella notte gli sembravano talmente assurdi da non essere reali. Più ci ripensava e più faticava a credere che Jason si fosse realmente fatto ritirare la patente e lui fosse dovuto andare a prenderlo in caserma alle due del mattino. Riaccompagnarlo a casa era stato un vero incubo perché dopo aver lasciato Piper nelle mani di Annabeth, Jason non aveva fatto altro che ribadire che non sapeva come dirlo a Talia.
Mentre finiva il cappuccino, la sveglia del telefono suonò ricordandogli l’appuntamento delle undici e fu così che, dopo aver ripulito la cucina, Percy uscì di casa e s’incamminò verso il centro del paese. Camminò per una decina di minuti e si fermò davanti alla vetrina di un negozio sormontata da una grande insegna con scritto “Death’s ink”. Al suo interno un giovane dai capelli scuri e la pelle olivastra ricoperta di tatuaggi stava chiacchierando con due ragazze cui stava mostrando la collezione di pircing che conservava in una teca dietro al bancone che fungeva da reception.
Non appena mise piede nel negozio, Percy riconobbe le due ragazze: erano Kelli e Drew, e il suo primo istinto fu quello di scappare il più lontano possibile, non era per niente in vena di sopportare le manfrine di Drew e la risata stridula di Kelli. Proprio mentre pensava a come defilarsi senza farsi notare, il ragazzo sollevò leggermente il capo e lo salutò ad alta voce facendo girare anche le due fanciulle.
“Ciao Nico” salutò Percy sperando che Kelli e Drew non attaccassero bottone. Fortunatamente, prima che loro potessero anche solo dire qualcosa, il ragazzo le congedò chiedendo loro di ripassare più tardi.
Le due ragazze uscirono ridacchiando dal negozio solo dopo aver squadrato Percy dalla testa ai piedi, poi sparirono rapidamente lungo la via chiacchierando tra loro.
“Grazie al cielo sei arrivato!” Esclamò il ragazzo. “Non riuscivo più a liberarmi di quelle due galline.”
“A chi lo dici” mormorò Percy tra sé e sé. Erano quasi dieci anni che cercava di liberarsi di Kelli con scarsi risultati.
“Bene, ora che siamo soli ti dispiacerebbe dirmi cosa diavolo devo tatuarti?”
Percy si lasciò scappare una risata. Quella di tornare a tatuarsi era stata una decisione talmente improvvisa che aveva chiamato Nico solo due giorni prima per prendere l’appuntamento senza nemmeno dirgli quello che aveva in mente; non c’era da stupirsi che il tatuatore fosse perplesso.
“Tranquillo, ci metti un secondo.” Lo rassicurò.
“Sì certo, la fate sempre facile voi clienti. Devo avere il tempo di fare il disegno e augurati che io sia abbastanza ispirato.”
“Quanto ispirato devi essere per fare una linea?”
Nico aggrottò le sopracciglia. “Beh, dipende da che linea si tratta, stiamo parlando di cose che richiedono una certa pazienza e precisione…”
“Una linea come questa” spiegò Percy mostrandogli il braccio tatuato ed indicando la linea che stava sotto al tridente.
“Sei serio?” fece Nico alzando un sopracciglio munito di pircing.
“Serissimo” confermò Percy. “Ne voglio una uguale, esattamente sotto, pensi di farcela o non ti senti sufficientemente creativo?” aggiunse così, tanto per provocarlo.
“Invece di fare lo spiritoso” disse Nico cominciando ad allestire il carrello su cui teneva gli inchiostri, “perché non mi dici come mai ieri ho ricevuto un messaggio da un tizio di nome Will?”
“Perché dovrei saperne qualcosa?” fece Percy fingendo di non essere immischiato in quella faccenda.
“Ti conviene essere sincero, altrimenti la linea che disideri tanto potrebbe venirmi storta.” Disse Nico increspando le labbra in un ghigno.
“Non oseresti!” Rise Percy.
“Il braccio è tuo…” buttò lì Nico indossando i guanti.
“Ok, ok, sono stato io a dargli il tuo numero.”
“Grazie, ma questo l’avevo già capito… quello che vorrei sapere è perché!” Aggiunse spacchettando un ago e cominciando a montarlo sulla macchinetta.
“Che importanza ha?”
“Va beh, lasciamo stare” tagliò corto Nico impugnando la macchinetta.
Percy si accomodò sulla poltrona e distese il braccio davanti al ragazzo che avviò la macchinetta per regolarne la velocità.
Un attimo prima che potesse cominciare a tatuarlo il cellulare di Percy cominciò a squillare.
“Aspetta un attimo” esordì Percy facendo segno a Nico di attendere. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e fissò lo schermo incredulo per qualche secondo. Dopo mesi di silenzio sua madre lo stava chiamando.
“Scusa un secondo” disse alzandosi e allontanandosi col cuore che batteva a mille.
“Pronto” Rispose cercando di controllare la voce affinché non tremasse.
“Percy” disse una voce lieve dall’altra parte del telefono.
“Mamma”
“Percy, io… sto venendo a trovarti.” Gli rivelò con voce quasi commossa.
Percy sentì il cuore mancare un battito, era l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi dire, eppure, una parte di lui era incredibilmente felice, come se aspettasse quella notizia da una vita.
“Percy” la voce di sua madre lo riscosse, “ci sei?”
“Sì, sì, io… sono solo un po’ sorpreso.” Ammise passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Sì, lo capisco. Sono sul treno delle dodici e dieci… pensi di poter venire in stazione a prendermi?” domandò timidamente.
“Ce-certo” balbettò Percy.
“Allora ci vediamo tra un’oretta, ok?”
“Sì, a dopo.”
Chiuse la chiamata e tornò nella cabina dove Nico lo stava aspettando con la macchinetta in mano.
“È tutto ok?” gli chiese notando la sua espressione un po’ sconvolta.
Percy annuì senza aggiungere altro e tornò a sedersi in poltrona.
“Posso cominciare?” domandò Nico tendendogli la pelle del braccio su cui aveva appena tracciato una semplice linea guida con un pennarello.
“Sì” confermò Percy spostando lo sguardo sul suo braccio.
Nico avviò la macchinetta e un ronzio fastidioso invase la stanza. Percy si morsicò il labbro nel momento in cui sentì l’ago sfondargli la pelle e guardò altrove per ignorare il dolore.
“Era mia madre” disse a voce alta per sovrastare il rumore della macchinetta.
Nico tolse il piede dal pedale e la macchinetta si azzittì improvvisamente. Squadrò Percy per qualche secondo e poi disse: “credevo che non ti parlasse da mesi!”
“Infatti, è per questo che sono un po’ sconvolto… sono mesi che non mi parla e adesso di punto in bianco mi chiama per dirmi che sta venendo qui.”
Nico avviò nuovamente la macchinetta e continuò il suo lavoro senza aggiungere altro. Se c’era una cosa che odiava del suo lavoro, era l’effetto portinaia. Non sapeva bene il perché ma ogni volta che un cliente gli affidava la sua pelle, automaticamente si sentiva in dovere di raccontargli anche i fatti suoi, cosa di cui Nico avrebbe volentieri fatto a meno. Gli toccava lavorare con un brusio continuo in sottofondo fingendo di essere interessato a qualsiasi fosse l’argomento prescelto dal cliente. Inutile dire che in un paese l’argomento più gettonato era il pettegolezzo ed ecco spiegato come mai Nico si sentiva una portinaia.
“Abbiamo finito” annunciò Nico posando la macchinetta e ricoprendo il braccio di Percy di crema. “Che ne dici?”
“Dico che per fortuna sei andato dritto!” Sorrise Percy rimirando il lavoro finito. “Grazie.”
“Figurati” disse Nico avvolgendogli il braccio nella pellicola trasparente. “Ho fatto il corso di tatuatore solo per poter fare linee belle come questa!” Lo canzonò Nico togliendosi i guanti.
 
Mezz’ora più tardi Percy stava entrando in stazione con il cuore a mille. Consultò il tabellone degli arrivi e notò che il treno su cui viaggiava sua madre era in perfetto orario. Fece un profondo respiro e cercò di calmarsi mentre una brezza leggera gli scompigliava i capelli. Volse lo sguardo all’orizzonte, dove il treno stava facendo capolino tra la vegetazione. Lo guardò avvicinarsi fin quando i vagoni non si arrestarono con un fastidioso stridio attirando l’attenzione delle cinque persone che popolavano la banchina. C’erano solo quattro carrozze e Percy non ci mise molto ad identificare quella su cui stava viaggiando sua madre. Era l’ultima e il suo viso era perfettamente inquadrato nel finestrino a metà della carrozza. Percy le sorrise e con lo sguardo la seguì avanzare lungo tutti i finestrini fin quando non raggiunse la porta che si aprì scorrendo di lato lasciando Percy senza parole. Ora che la vedeva a figura intera c’era un particolare che non poteva passare inosservato: sua madre era in evidente stato di gravidanza, tanto che un uomo si offrì di aiutarla a scendere dal treno. Percy non sapeva quasi nulla di gravidanze ma a giudicare dalla dimensione della sua pancia doveva essere almeno all’ottavo mese.
Sally ringraziò l’uomo che l’aveva aiutata nella discesa e si voltò a guardare Percy. Tra loro c’erano circa tre metri di distanza e nessuno dei due sembrava in grado di muovere anche un solo passo per ridurre quella distanza. Fu Sally a fare il primo passo e solo allora anche Percy uscì dal suo stato di paralisi e le andò incontro.
“Percy” disse lei quando erano rimasti solo pochi passi a dividerli. Lui non disse niente e la strinse in un forte abbraccio. Era strano riabbracciarla dopo tanti mesi, ma era ancora più strano sentire il suo ventre prominente premere contro di lui.
“Ciao mamma” si decise a dire solo dopo aver sciolto l’abbraccio. Lei gli sorrise di rimando e rispose con un semplice: “mi sei mancato”.
“Se lo avessi saputo sarei venuto in macchina” commentò lui afferrando il borsone di sua madre e guidandola fuori dalla stazione.
“Non preoccuparti, la dottoressa dice che mi fa bene camminare.”
“Come sta Paul?” domandò Percy che non aveva notizie del suo patrigno da mesi.
“Bene, quest’anno è stato commissario interno alla maturità quindi a giugno è stato molto preso, ma adesso si sta godendo il meritato riposo. Ovviamente è inutile che ti dica che ti saluta e che manchi molto anche a lui.”
Percy annuì in silenzio, conversare normalmente con sua madre come se non avessero passato gli ultimi mesi a non parlarsi era strano, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di rassicurante.
“Siamo arrivati” disse lui estraendo le chiavi dalla tasca, “ovviamente non c’è bisogno che ti dica che la casa è un casino… se avessi saputo del tuo arrivo avrei…”
“Non preoccuparti, so di averti colto alla sprovvista, e poi sono sempre tua madre…”
“Non più solo la mia ormai” sorrise Percy alludendo alla pancia vistosa della madre.
“Cominciavo quasi a pensare che non te ne fossi accorto.” Ironizzò lei mentre entravano nell’appartamento.
“Mamma” lamentò Percy con lo stesso tono che era solito usare quando lei gli faceva un rimprovero.
“Non hai detto niente”
“Mamma, cavolo mettiti nei miei panni! Non è facile! Fino ad un’ora fa non ti sentivo da mesi, e adesso sei qui davanti a me e sei incinta!” Fece Percy portandosi una mano alla fronte.
“Sì, beh, ti chiedo scusa per l’improvvisata, ma quando ieri ho sentito Jason e mi ha detto che il tuo giorno libero era il giovedì non ho perso tempo e sono venuta qui, ma perché hai un braccio incelophanato?”
Chiese notando solo in quel momento la pellicola trasparente che avvolgeva il braccio del figlio.
Percy si guardò il braccio e pensò che sua madre non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per venirlo a trovare.
“Ecco… è solo che” prese tempo alla ricerca di una scusa credibile.
“Ti sei fatto un altro tatuaggio?” ringhiò lei che non aveva mai approvato quella decisione.
“No!” Mentì Percy. “È sempre lo stesso, l’ho solo ripassato.” Quella era un’ottima bugia perché dubitava che sua madre ricordasse con precisione il numero di linee che stavano sotto al tridente.
“Ok, facciamo finta che io non mi sia accorta di questa cosa” propose lei.
“Ci sto!” disse subito Percy.
“Penso che abbiamo cose più importanti di cui parlare.”
“Credo anch’io!”
“Beh… come stai?” Chiese in tono materno.
“Io come sto? Come stai tu piuttosto.” Fece Percy deciso ad evitare quella domanda come la peste.
“Senti, perché non andiamo a pranzo insieme e parliamo un po’?” Propose Sally. “Il tuo disordine comincia a disturbarmi…” aggiunse squadrando la stanza.
 
Mezz’ora più tardi erano seduti ad un tavolino di una pizzeria sul lungo mare davanti a due pizze fumanti.
“È un maschio” esordì Sally con lo sguardo fisso sul suo piatto. “Lo chiameremo Charlie” aggiunse con un sorriso che le illuminò il volto.
“Sono contento per voi, ve lo meritate.” Disse Percy con sincerità. “Finalmente avrai una famiglia degna di questo nome.” Commentò addentando la pizza.
Sua madre si rabbuiò improvvisamente. “Perché dici questo? Anche prima eravamo una famiglia, ti ho sempre amato ed eravamo felici.”
“Eri felice di dover crescere il figlio di un uomo che ti ha abbandonata e di dover fare i turni di notte per potermi mantenere?” Disse Percy sprezzante guadagnandosi un ceffone da parte di sua madre.
“Scusa” disse solo dopo aver incassato il colpo. “Non volevo alzare la voce.”
“Perdonami” disse lei, “è solo che non voglio che tu pensi che io sia incinta di un altro figlio perché non sono felice di avere te.”
“No, mamma, non penso questo. Ma adesso hai una vita vera, hai un uomo che ti ama, una casa decente, un bel lavoro ed è più che normale che vogliate una famiglia.”
“Quello che cerco di farti capire è che tu sei parte di questa famiglia.”
Percy fece una smorfia.
“No mamma.”
“Percy, Charlie è tuo fratello, è importante che tu lo consideri tale.”
“Sì, certo che lo considero tale, ma se avevo ancora qualche dubbio sul tornare a casa con te e Paul adesso non ce l’ho più. Quello non è più il mio posto. Ho ventidue anni ed è ora che trovi la mia strada.”
Sally aveva le lacrime agli occhi.
“Mamma, davvero pensavi che sarei tornato a casa?”
“No” ammise lei in un sussurro. “Sapevo che avresti reagito così.”
“Sono sincero quando dico che sono contento per voi. E anche se non vivremo insieme, questo non significa che non verrò a trovarvi.” Disse nel tentativo di rassicurarla.
Sally si asciugò le lacrime e poi tornò a sorridere. “Beh, adesso dimmi di te però.”
Percy accolse quella domanda come un pugno nello stomaco. Avrebbe preferito continuare a parlare di Paul e di Charlie piuttosto che dover parlare di sé. Cosa poteva dirle dopo tutto? Che aveva rimediato un’ordinanza restrittiva? Che il Signor D lo trattava come uno schiavo? O forse che aveva conosciuto una ragazza che non faceva altro che approfittarsi di lui calpestando brutalmente qualsiasi fossero i sentimenti che nutriva per lei.
“Non c’è niente da dire” tagliò corto lui. “Lavoro sempre e non ho molto tempo per altro.” Spiegò sperando di chiudere velocemente l’argomento.
“Ti trovo bene” commentò lei sistemandogli un ciuffo di capelli. “Sei riuscito a mettere una pietra sopra a Rachel?”
“Mamma”
“Ok, ok, ho solo chiesto. Ma se non vuoi parlarne non c’è problema.”
“Non è che non voglio parlarne, è che non c’è niente da dire.”
“Fai il bagnino, vuoi veramente farmi credere che non hai trovato nessuna con cui rimpiazzarla?” Azzardò sua madre con aria maliziosa.
“Che cosa?” fece Percy incredulo. Conversare di certe cose con sua madre lo metteva terribilmente in imbarazzo.
“Quando io avevo la tua età e andavo al mare con le amiche sceglievamo in quale lido stare solo in funzione del bagnino.” Spiegò Sally facendogli un occhiolino.
“Mamma, quando tu avevi la mia età io avevo due anni!” Le fece notare Percy.
“Sì, ok, non proprio la tua età ma un po’ prima allora.”
“E comunque non capisco perché siete tutti convinti che il bagnino debba rimorchiare come se non ci fosse un domani.”
 
Il resto del pomeriggio Percy e Sally lo trascorsero in spiaggia come lei aveva espressamente richiesto. La giornata non era calda come le precedenti e una lieve brezza rese particolarmente gradevole la loro permanenza. Avevano scelto la spiaggia libera in modo tale che Percy non fosse costretto ad incontrare il suo capo anche nel suo giorno libero e fortunatamente non fecero nessun brutto incontro.
Verso le cinque il telefono di Percy squillò rivelando una chiamata da parte di Jason. Percy fissò il telefono per qualche istante sperando che il cugino non avesse combinato qualche altro casino.
“Ciao Jason, è tutto ok?” chiese sperando di non ricevere brutte notizie.
“Senti non è che adesso tutte le volte che ti chiamo devi pensare che io abbia bisogno del tuo aiuto.” Brontolò Jason dall’altra parte del telefono.
“Ok, allora diciamo che non l’ho pensato, dimmi pure.”
“Sono qui in spiaggia con le ragazze e stavamo pensando di andare fuori a cena tutti insieme stasera. Che ne dici?”
“Quindi Talia non ha preso male la faccenda della patente?” domandò Percy stupito.
“No, no, non l’ha presa male per niente” lo rassicurò Jason.
“Non gliel’hai ancora detto vero?”
“No” ammise lui. “Ma ce l’ho sulla lista delle cose da fare.”
“Va beh, lasciamo perdere.”
“Non hai risposto alla mia domanda, cosa ne dici della cena di stasera?”
“Dico che come sai sono con mia madre e stasera ceno con lei.”
“Ah sì” fece Jason, “ieri sera tra una cosa e l’altra mi sono dimenticato di dirti che voleva venirti a trovare.”
“Sì, me ne sono accorto.”
 
Quando rientrarono in casa Sally andò a farsi una doccia e Percy ne approfittò per cambiare le lenzuola del letto. Mentre sostituiva la federa del cuscino il telefono squillò di nuovo, ma questa volta non era Jason a chiamare.
“Ciao Annabeth” disse cercando di nascondere tutto il suo stupore. “Hai bisogno?”
“Ciao, io, no… cioè, è solo che ho saputo che stasera non verrai a cena con noi e ho pensato che fosse colpa mia…”
“Colpa tua?” fece lui strabuzzando gli occhi.
“Sì, beh, per le cose che ti ho detto ieri.”
“Oh, no, no, non è colpa tua. È solo che sono impegnato con un’altra persona…” spiegò Percy senza rendersi conto di quanto quella frase avrebbe potuto essere fraintesa da parte di Annabeth.
“Ah, ok, scusami allora, non avrei dovuto disturbarti.”
“Nessun disturbo.”
“Ok, allora ciao.” E così dicendo Annabeth chiuse la chiamata e lanciò il cellulare sul letto dandosi dell’idiota.
“È tutto ok?” domandò Piper facendo capolino dal corridoio.
“Sì, cioè no, in realtà no.”
“Eri al telefono con Percy?” chiese Piper pettinandosi i lunghi capelli.
“Sì... sono un’idiota lo so, non dire nulla!”
“Perché un’idiota? Guarda che l’ho capito che ti piace, e faresti bene a capirlo anche tu, non c’è niente di male a fare una telefonata.”
“C’è di male che mi ha detto palesemente che stasera si vede con un’altra. E comunque non lo so se mi piace.”
“No ma tranquille, continuate pure a dire idiozie in mia assenza.” Commentò Talia uscendo dal bagno.
“Talia ha ragione. L’argomento è chiuso.”
“Non era questo che volevo dire.” Precisò lei avvolgendosi i capelli nell’asciugamano.
“Percy stasera non viene perché è con sua madre” rivelò mentre camminava verso la cucina.
“Sua madre?” fece Annabeth confusa. “Avevi detto che non si parlavano più” le ricordò.
“Scusa, tu non eri sempre quella che non voleva sapere nulla di Percy perché tanto t’interessava solo andarci a letto e nulla di più?” domandò Talia mentre Annabeth la raggiungeva in cucina.
“Per quanto ancora dovrai rinfacciarmi questa storia?”
“Per il tempo necessario” spiegò Talia estraendo una birra dal frigorifero. “Senti, vuoi un consiglio da amica? Se veramente ti interessano i dettagli del suo passato chiedili direttamente a lui, è il modo migliore per conoscerlo, perché tu vuoi conoscerlo, non affannarti a negarlo.”
“Non voglio conoscerlo… è solo che sono curiosa, tutto qui.”
“Annabeth ti rendi conto che hai appena dimostrato di essere gelosa?” le fece notare Piper che se ne stava in piedi sulla porta.
Annabeth rimase in silenzio. Piper aveva ragione, aveva manifestato segni di gelosia in più di un’occasione: quando Drew aveva preso da parte Percy alla festa, quando il giorno prima lui aveva risposto ad una telefonata dicendo di avere un appuntamento alle undici e anche quella stessa notte, quando Percy le aveva telefonato chiedendole di soccorrere Piper. La sua gelosia l’aveva addirittura spinta a pensare che lei fosse uscita con Percy e non aveva potuto fare a meno di sentirsi una perfetta idiota quando, scesa in strada, aveva scoperto che Percy era semplicemente andato a recuperare lei e Jason in caserma.
“Devo andare in bagno” disse nel tentativo di scappare dagli sguardi inquisitori delle amiche.
“Annabeth aspetta” fece Piper inseguendola dentro il bagno.
“Piper, non capisco cosa mi sta succedendo.” Ammise Annabeth chiudendo la porta.
Piper l’abbracciò forte e le sussurrò all’orecchio: “Hai la media del trenta in tutti gli esami… hai veramente bisogno che io ti spieghi cosa ti sta succedendo?”
“Sì, dimmelo tu per favore, ho bisogno di sentirlo dire da qualcun’altro” le disse Annabeth sciogliendo l’abbraccio.
“Ok, succede che stai archiviando definitivamente la questione Luke.”
“Come fai a dirlo?” indagò Annabeth che era particolarmente tesa.
“Tanto per cominciare perché fino a qualche settimana fa non si poteva nemmeno pronunciare il suo nome senza che tu andassi in bestia mentre adesso non hai praticamente reagito, ma al di là di questo c’è un motivo più importante e significativo...”
“Sarebbe?”
“Annabeth cavolo! Sei interessata ad un altro ragazzo!” Disse Piper ad alta voce.
“A mio cugino, volendo essere precisi.” Gridò Talia dal salotto.
“Non sono innamorata di Percy.” Precisò Annabeth rivolta a Piper.
“Non ho detto che sei innamorata di lui… dico solo che ti piace e che quando siete insieme stai bene.”
In quel momento il telefono di Annabeth annunciò l’arrivo di un nuovo messaggio.
“È lui” esalò Annabeth quasi senza fiato.
“Che dice?” domandò Piper cercando di sbirciare lo schermo del telefono.
“Scusa se prima sono stato un po’ freddo… volevo dirti che, se ti va, dopo cena posso raggiungerti.”
“Giuro che se gli rispondi di no, ti ripudio dalle mie amicizie.” La minacciò scherzosamente Piper.
 
A fine cena Annabeth era ancora seduta a tavola con gli altri. Per la gioia di Piper, avevano deciso di cenare in un posto specializzato in grigliate di carne e, com’era facile immaginare, le portate erano state accompagnate da abbondanti quantitativi di vino rosso.
“Come abbiamo fatto a svuotare undici brocche di vino in sette?” domandò Annabeth fissando il cimitero di caraffe vuote che occupavano il tavolo.
“Abbiamo?” fece Piper piccata, “vorrai dire hanno!  Io non ho toccato vino, dopo ieri sera direi che sono a posto per un po’!”
“Io sono astemia!” Intervenne Calypso che sedeva di fronte a loro.
“Ma se alla festa di Clarisse bevevi spumante con Leo dentro la vasca idromassaggio!” Le fece notare Talia che era piuttosto alticcia. Calypso divenne bordeaux. “Beh, sì, è vero, ma di solito non bevo… e comunque il vino rosso non mi piace.”
“Peggio per te!” La rimproverò Talia finendo di svuotare il suo bicchiere.
“Beh, si è fatto un po’ tardi… forse è il caso di chiedere il conto” Suggerì Jason. “Non vorrei mai che Grover ordinasse altro vino…”
“Non mi pare che tu ti sia fatto tanti problemi ad aiutarmi a finirlo” lo canzonò Grover alzando una mano per chiedere il conto.
“Tanto per i prossimi sei mesi non posso più guidare” rise Jason attirando l’attenzione di Talia che era l’unica a non essere a conoscenza degli avvenimenti della scorsa notte.
“Come sarebbe?” domandò ad alta voce. Jason s’irrigidì improvvisamente rendendosi conto di aver appena commesso un grosso errore.
Appena fuori dal ristorante Talia lo prese in disparte e Annabeth li vide lanciarsi in una conversazione molto animata. Quando si convinse a distogliere lo sguardo si trovò faccia a faccia con Percy. Era appena arrivato e profumava di dopobarba.
“Ciao” disse lui abbozzando un sorriso.
“Ciao” rispose lei un po’ colta alla sprovvista. Nonostante l’insistenza di Piper, aveva volutamente evitato di rispondere al messaggio di Percy e pertanto non si aspettava certo di trovarlo fuori dal ristorante.
“Scusa, io… devo essermi dimenticata di rispondere al tuo messaggio.”
“Te l’ho già detto che sei un disastro a dire bugie?”
“Sì” sospirò Annabeth.
“Sbaglio o sono tutti un po’ sbronzi?” chiese Percy fissando Leo e Grover che si esibivano in delle mosse di capoeira davanti all’ingresso del ristorante.
“No, non sbagli… praticamente siamo rimaste sobrie soltanto io e Piper.”
“Che ne dici di fare due passi?” propose lui.
Annabeth tentennò per qualche istante, si guardò intorno per prendere tempo ed incrociò lo sguardo di Piper che le fece un occhiolino d’incoraggiamento, poi, dato che dato che l’unica alternativa alla proposta di Percy era fare da balia agli ubriachi, accettò.
Lui le propose di passeggiare sul lungo mare e insieme s’incamminarono lungo il marciapiede.
“Credevo che stasera fossi con tua madre.” Buttò lì Annabeth decisa a rompere il ghiaccio.
“Sì, infatti è così, però è andata a letto presto perché domani ha il treno all’alba e io non avevo minimamente sonno, così ho deciso di raggiungervi.”
“Torna già a casa?”
“Sì, in realtà quella di venirmi a trovare è stata una cosa improvvisata… diciamo che aveva bisogno di comunicarmi una cosa importante…”
Per un attimo Annabeth pensò che Percy avesse deciso di aprirsi e parlarle di sé, ma proprio mentre faceva questi pensieri lui lasciò il discorso a metà dicendo che non voleva annoiarla con quel genere di racconti. “Voi piuttosto quando ripartite?” le chiese cambiando completamente discorso.
Annabeth trasalì, l’idea che quella vacanza stesse volgendo al termine la rattristò improvvisamente.
“Non lo so” ammise un po’ mogia. “L’idea di tornare a casa e dover studiare mi deprime.”
“Cosa studi?” chiese Percy sperando che una domanda così personale non la mandasse su tutte le furie.
“Architettura.” Rispose lei sorridente.
“E tu? Non hai mai pensato di riprendere gli studi e finire quello che hai cominciato?”
Percy si morsicò il labbro inferiore. “Ci ho pensato eccome, avevo quasi deciso di tornare in città a fine stagione e riscrivermi in università ma…”
“Ma?” lo incalzò Annabeth.
“Ma di recente sono saltate fuori una serie di novità che me lo impediscono.”
Questa volta Annabeth non riuscì a trattenersi, la sua curiosità stava diventando ingestibile. “Del tipo?” domandò con semplicità.
“Mia madre è incinta.” Annunciò Percy ancora incredulo. “Stento ancora a crederci.”
Annabeth rimase di stucco. “Beh, è una bella cosa, sono sicura che per lei e tuo padre sia motivo di gioia.”
“Beh, diciamo che lo è per mia madre e il suo compagno, mio padre grazie al cielo non ha nulla a che fare con questa storia.” Annabeth notò il disgusto con cui Percy pronunciò la parola padre e capì immediatamente di aver toccato un tasto dolente.
“Scusami, non volevo essere invadente.”
“Tranquilla, non potevi saperlo, e comunque è una cosa che ho superato tanto tempo fa.” Percy si fermò dove la passeggiata del lungomare creava uno spiazzo con delle panchine, camminò fino alla ringhiera e ci si appoggiò con entrambe le braccia.
“Non oso immaginare come sia crescere senza una figura paterna, mio padre è tutta la mia vita.” Gli confessò Annabeth avvicinandosi per ascoltare il rumore del mare.
“Piuttosto che avere per padre uno come lui sono ben felice di essere cresciuto solo con mia madre.” Il tono di Percy era un crescendo di rabbia e il suo racconto travolse Annabeth come un fiume in piena.
“Si conobbero su una nave da crociera. Mia madre aveva vent’anni e faceva uno stage nelle cucine come pasticcera, quando conobbe mio padre se ne innamorò subito. Lui era più grande, affascinante, carismatico e come se non bastasse era anche il figlio del proprietario della compagnia di crociere. Ovviamente non si doveva sapere che il figlio del capo andava a letto con una stagista del reparto pasticceria perché sarebbe stato uno scandalo e oltretutto mia madre avrebbe rischiato il posto, così cominciarono a frequentarsi in segreto e la loro diventò a tutti gli effetti una relazione clandestina. Dopo qualche mese lei scoprì di essere incinta e lui reagì malissimo, le disse che non l’amava e che la loro storia era solo un modo per intrattenersi mentre era a bordo, e le diede della stupida per aver creduto che fosse l’unica donna con cui avesse una relazione.”
“Mi dispiace” commentò Annabeth chinando il capo.
“Nonostante tutto, mia madre non prese mai in considerazione l’idea di abortire così lui la fece licenziare, ma non era sufficiente, aveva troppa paura che un domani mia madre avrebbe messo di mezzo gli avvocati per avere i suoi soldi, così le firmò un assegno da cinquantamila euro che avrebbe potuto incassare solo dopo aver abortito.” Gli s’incrinò la voce e gli ci volle un attimo per riprendersi. “Ogni tanto penso che avrebbe dovuto accettare quell’assegno invece di scegliere me. Avrebbe sicuramente fatto una vita migliore.”
Annabeth era allibita. Quella storia era veramente triste ma mai quanto gli occhi di Percy nel raccontarla.
“Ehi, non dirlo neanche per scherzo.” Gli disse appoggiandosi alla sua spalla.
“Non lo dico per scherzo, lo penso sul serio. Fin da bambino non ho fatto altro che causarle problemi, a scuola sono sempre stato un disastro perché sono dislessico e iperattivo, adesso che sono più grande invece di laurearmi e regalarle almeno una soddisfazione ho mollato l’università e come se non bastasse sono anche nei guai con la giustizia per colpa della mia ex… non ne ho mai fatta una giusta e lei non mi sopporta più.” Da quella posizione Annabeth poteva percepire tutta la sua tensione, aveva la schiena e il collo particolarmente rigidi e la mascella serrata.
“Pensi veramente che tua madre abbia fatto tanti sacrifici per crescerti da sola per arrivare a sentirti dire questo?” Gli domandò nella speranza di farlo ragionare.
“No. Scusa, non so nemmeno perché ti ho raccontato queste cose… è solo che quando penso a mio padre divento una bestia. Vorrei averlo qui davanti per urlargli contro quanto lo odio.”
“L’hai mai conosciuto?” domandò Annabeth senza interrompere il contatto fisico che avevano instaurato.
“Conosciuto è un parolone, però sì, diciamo che so chi è. L’ho visto due volte, e considerando il fatto che non mi ha riconosciuto come figlio mi sembrano anche tante.” Percy sospirò, poi si lasciò sfuggire una risata forzata prima di riprendere il racconto. “La prima volta avevo circa dieci anni, non so per quale ragione fosse venuto a casa nostra, so solo che quando entrò in casa e mi vide per la prima volta guardò mia madre e le domandò: e così è questo il bastardo?”
Annabeth non disse nulla ma lo strinse più forte, come se con quel gesto potesse comunicargli il suo appoggio.
“La seconda volta avevo diciassette anni, o forse diciotto, non mi ricordo, sta di fatto che ci siamo messi le mani addosso… e questo è il risultato.” Spiegò Percy mostrando ad Annabeth una cicatrice dietro l’orecchio sinistro.
“Senti” esordì Annabeth cui era appena balenata un’idea per la mente. “Non ce la faccio a vederti così, vieni con me.”
Percy la guardò stranito, non sapeva minimamente cosa aspettarsi.
“Avanti!” Esclamò Annabeth strattonandolo per un braccio.
“Dove mi vuoi portare?”
“Hai bisogno di sfogarti un po’” gli fece notare mentre camminavano verso la fine del paese, “e visto che farlo a parole non ti basta, mi è venuta un’idea che potrebbe aiutarti…”
“Annabeth, io non penso che sia una buona idea…” borbottò Percy mentre continuava a seguire Annabeth verso una meta ignota.
“Non so che cosa tu abbia capito, ma io mi riferivo a questo” disse Annabeth inserendo due euro nel pungiball situato all’ingresso del luna park. Percy sorrise divertito.
“Avanti!” Lo incoraggiò mentre un paio di ragazzini si avvicinavano pronti ad assistere al colpo. “Sfoga tutta la tua rabbia.” Gli disse massaggiandogli le spalle come si fa con i pugili.
Percy non ebbe bisogno di sentirselo dire un’altra volta. Dopotutto, quella di Annabeth non era poi una cattiva idea. Visualizzo mentalmente l’immagine di suo padre e sentì l’odio e la rabbia crescere in maniera esponenziale. Colpì con tutta la forza e la rabbia che riuscì a convogliare nel braccio destro e il display del pungiball schizzò alle stelle segnando un punteggio di 7230 punti.
“Non male” commentò Annabeth mentre i ragazzini applaudivano.
“Vuoi fare un altro giro?” chiese pescando altri due euro dal portafoglio.
“No” fece Percy a denti stretti.
“Che succede?”
“Ricordi il pugno che ho tirato al muro alla feste di Clarisse? Beh ho usato la stessa mano… e non era ancora guarita del tutto.”
“Complimenti.” Ridacchiò Annabeth.
“Sto morendo di dolore.”
“Però hai fatto più di settemila punti!” Lo canzonò lei.
Percy le dedicò un’occhiataccia. “Vado a cercare del ghiaccio.” Disse andando verso un chiostro che vendeva bibite.
“Ok, eccoci qui.” Disse Percy mezz’ora più tardi quando raggiunsero il portone di casa di Talia.
“Come va la mano?” domandò Annabeth osservando Percy che teneva la mano in questione dentro ad un bicchiere pieno di ghiaccio.
Lui fece una smorfia e la tirò fuori dal bicchiere studiandola attentamente. “Va che il ghiaccio si sta sciogliendo.” Disse buttando il bicchiere nel cestino più vicino. “È ora che io vada, domani, tanto per cambiare, mi devo alzare presto.” Si avvicinò ad Annabeth per salutarla e lei sentì un brivido percorrerla; era uscita di casa decisa a non incontrarlo e adesso la rattristava l’idea che se ne andasse.
“Grazie per l’ascolto” le disse abbracciandola.
Si strinsero per qualche secondo poi lui sciolse l’abbraccio e fu proprio in quel momento che Annabeth ebbe l’irrefrenabile istinto di baciarlo. Sfiorò le sue labbra solo per una frazione di secondo perché Percy arretrò quel poco che bastava ad impedire alle loro labbra di toccarsi. Annabeth s’irrigidì improvvisamente, non le era mai capitato di essere rifiutata in modo così evidente. Imbarazzata, spostò lo sguardo sul marciapiede e sentì le labbra di Percy baciarle la fronte. “Buonanotte” le sussurrò tornando sui suoi passi.


Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Considerando quanto è lungo questo capitolo (17 pagine word) si può quasi dire che io l'abbia pubblicato in tempo record! Spero che siate soddisfatti quanto me. :-) A parte queste sciocchezze spero che siate contenti perchè finalmente è entrato in scena il misterioso tatuatore che tutti stavate aspettando. Ebbene sì, avevate indovinato, era proprio Nico! In realtà volevo dedicargli un po' più di spazio, ma il capitolo era incentrato principalmente sulla storia di Percy e non volevo assolutamente rinunciare alla parte iniziale in cui Jason si fa ritirare la patente... era da tipo tre capitoli che volevo farlo succedere ma non riuscivo mai ad inserirlo! In questi giorni in cui si parla tanto del family day ho trovato particolarmente appropriato l'entrata in scena di Sally (e Charlie), a farlo apposta non ci sarei mai riuscita. Spero che il suo arrivo non vi abbia sconvolto più di tanto. eheheh. Lo so, mi sono persa per strada la Caleo ma conto di recuperare nei capitoli a venire. Sappiate che per il prossimo capitolo ho già un'idea piuttosto interessante ma dovrete aspettare un po' di più perchè ho un'altra storia da aggiornare...
Concludo ringraziandovi veramente tutti, dal primo all'ultimo, è bellissimo sapere che la storia vi piace ed che siete in tanti a seguirla. Vi ringrazio veramente di cuore, i vostri commenti sono adorabili e io non potrei desiderare lettori migliori. :-)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Venerdì ***


VENERDì

 
 
Annabeth aprì la porta di casa con il morale completamente a terra. Fortunatamente quella sera si era premurata di prendere la copia delle chiavi, scelta che si era rivelata particolarmente appropriata dal momento che, visto il netto rifiuto di Percy, non avrebbe certo potuto dormire con lui. Il suo comportamento l’aveva lasciata talmente di stucco che non riusciva a pensare ad altro e nel richiudere la porta non si preoccupò nemmeno di accompagnarla affinché non facesse rumore. Il racconto di quella sera l’aveva colpita nel profondo e si rese conto che avrebbe voluto passare con Percy il resto della nottata solo per poter conoscere altri dettagli sul suo conto. Era ancora assorta nei suoi pensieri quando vide Piper uscire improvvisamente dalla camera da letto. Aveva i capelli spettinati e i vestiti scomposti. Annabeth la studiò attentamente per qualche secondo, poi, prima che potesse dire qualunque cosa, vide una testa bionda fare capolino alle sue spalle. Era Jason, e aveva un’espressione non proprio felice impressa sul volto. Annabeth trasalì arrossendo improvvisamente. Era talmente tanto occupata a pensare a Percy e al suo atteggiamento da non aver minimamente pensato che potesse esserci qualcuno in casa.
“Oh cavolo!” Esclamò in preda all’imbarazzo. “Scusate, non volevo disturbarvi… vi lascio soli!” E così dicendo fece per tornare sui suoi passi.
“Non preoccuparti” Intervenne Piper con voce fredda e piatta. “Non hai interrotto nulla. Jason stava giusto per andarsene.” Aggiunse con un tono che non ammetteva repliche e le braccia incrociate al petto.
Senza che lei dovesse aggiungere altro Jason afferrò la felpa e lasciò l’appartamento senza dire una parola.
“Sì può sapere cosa diavolo succede?” osò domandare Annabeth dopo due minuti buoni di silenzio assoluto.
Piper fece spallucce e la cosa mandò in bestia Annabeth che colse quel gesto come scusa per adirarsi e sfogare su Piper tutto l’amaro in bocca che le aveva lasciato Percy.
“E questo cosa significa? Credevo che tra di voi le cose andassero bene, siete sempre avvinghiati e vi baciate senza ritegno!” Osservò Annabeth andando verso la cucina.
“Si certo, va sempre tutto bene fin quando non c’è un letto nei paraggi e loro si sentono in dovere di provare a scoparti.” Commentò Piper apatica.
“Aspetta” fece Annabeth accigliandosi. “Hai detto loro?”
“Sì, l’ho detto” confermò Piper.
“Quindi è una di quelle serate in cui parliamo male degli uomini e diciamo che sono tutti uguali?”
“Esattamente, guarda che l’ho capito che anche Percy ha fatto qualche cazzata. Hai una faccia…”
Annabeth fece una smorfia che confermò a Piper di aver fatto centro.
“Già” sospirò.
“Avanti, racconta, cos’ha combinato?” domandò Piper aprendo tutte le ante della cucina in cerca di qualcosa.
Annabeth si sedette al tavolo della cucina e osservò l’amica rovistare tra le scorte.
“Beh, ecco… è un po’ complicato da spiegare.” Temporeggiò Annabeth senza staccare gli occhi dall’amica che continuava a salire e scendere dalla sedia per arrivare ai ripiani più alti della cucina.
“La verità è che… ma si può sapere cosa diavolo stai cercando?” Sbottò Annabeth che non riusciva a concentrarsi con Piper che zampettava da una parte all’altra della cucina come una cavalletta.
“Questa” Annunciò Piper mostrando trionfante un barattolo di nutella da 1Kg. “Non si può parlare male degli uomini senza un bel barattolo di nutella!”
“Scusa ma tu non sei quella sempre attenta alla linea, la dieta e via dicendo?”
“Non quando gli uomini mi fanno incazzare!”
Annabeth scoppiò a ridere. “Tu sei matta!” Dichiarò mentre Piper estraeva due cucchiai da minestra dal cassetto.
“Bene… cosa mi stavi dicendo?”
“Che la situazione è complicata”
“Davvero? Io credevo che fosse piuttosto semplice invece, tu volevi una cosa senza sentimenti e Percy era il ragazzo ideale dal momento che è ancora cotto della sua ex. Mi sbaglio?”
“Non è così semplice.” Tagliò corto Annabeth affondando il suo cucchiaio nella nutella.
“Era così qualche giorno fa però!” Osservò Piper.
“Già”
“E cosa è cambiato da allora?”
“Te l’ho detto” sbuffò Annabeth, “è cambiato che ci siamo baciati!” Ammise ripensando a quanto quel bacio avesse scombussolato tutto. “La verità è che io mi ero ripromessa di non baciarlo perché sapevo che così facendo avrei messo di mezzo i sentimenti… ed era l’ultima cosa che volevo!” Spiegò un attimo prima di cacciarsi un generoso cucchiaio di nutella in bocca.
“Ahah!” fece Piper con un sorriso malizioso stampato in faccia.  “Mi hai appena confessato che provi dei sentimenti per lui!” Disse trionfante.
Annabeth scrollò le spalle. “Non è che provo dei sentimenti ben definiti… è solo che la situazione è molto diversa da com’era quando…”
“Quando ci andavi a letto e basta?” Suggerì Piper.
“Sì, esatto!”
In quel momento entrambe le ragazze si azzittirono colte alla sprovvista dal rumore della chiave che girava nella serratura della porta d’ingresso.
La porta si aprì con un lieve cigolio e Talia entrò in casa a testa bassa. Aveva un aspetto orribile, la sua espressione era a metà tra l’incazzato e quella di chi ha urgentemente bisogno di dormire. Gettò la borsa vicino all’attaccapanni e avanzò lungo il corridoio trascinandosi, entrambe le mani sulle tempie come se fosse in preda ad un forte mal di testa. Fu solo quando raggiunse la porta della cucina che si rese conto che le amiche la stavano guardando con aria interrogativa.
“Ti unisci a noi nel parlare male degli uomini?” Chiese Piper allegra.
“Se ti riferisci a mio fratello e mio cugino sappi che il problema non è tanto il fatto che siano uomini… dev’essere una cosa di famiglia.” E così dicendo deviò verso il bagno evitando ogni possibile domanda.
“Tu ci hai capito qualcosa?” Chiese Piper confusa.
“No… ma credo che non significhi niente di buono.” Intuì Annabeth attaccando un altro cucchiaio di nutella.
Cinque minuti più tardi Talia uscì dal bagno e sedette al tavolo con le amiche senza dire una parola.
“Hai intenzione di spiegarci cosa cavolo succede o dobbiamo tirare ad indovinare?” Domandò Piper che cominciava a spazientirsi. Dopotutto non era mai stata brava a tenere a bada la sua curiosità.
Annabeth spostò lo sguardo da Piper a Talia, in attesa che lei dicesse qualcosa di sua spontanea volontà. Fortunatamente, Talia si decise a parlare prima che Piper la sottoponesse ad un terzo grado.
“Ho appena rovinato un’amicizia di vent’anni…” confidò loro fissando intensamente il barattolo di nutella che aveva davanti agli occhi, incapace di alzare lo sguardo affrontando la faccia delle amiche.
Annabeth e Piper si scambiarono un’occhiata dubbiosa, nessuna delle due sembrava soddisfatta di quella misera spiegazione.
“Ho fatto sesso con Grover.” Tagliò corto Talia prima che loro potessero porle altre domande. Il silenzio piombò nella stanza, a tratti interrotto dal frinire di una cicala appostata su qualche albero in giardino.
“Quindi, volendo tornare ai vostri discorsi di poco fa, non sono solo gli uomini ad essere dei bastardi, ve l’ho detto… dev’essere una cosa di famiglia.” Ora anche Talia impugnava un cucchiaio e affondava la sua disperazione nella nutella.
“Ma… com’è potuto succedere?” fece Piper decisa a rompere quel silenzio imbarazzante.
“Grazie a tutto il vino che si sono bevuti a cena suppongo.” Intuì Annabeth.
“Già. Ma non è certo la prima sbronza che ci prendiamo insieme, eppure una cosa del genere non era mai capitata. Sono una persona orribile.” Sentenziò Talia in fissa sul barattolo di nutella che troneggiava in mezzo alla tavola. “Ma adesso basta parlare di me… dopotutto ho solo fatto sesso con il mio migliore amico e mi sento una merda per essermene andata da casa sua senza dire una parola. Raccontatemi di voi piuttosto… cosa hanno fatto quei due imbecilli questa volta?”
 
Quel venerdì si rivelò un pessimo giorno per trascorrere del tempo in spiaggia. Il cielo era grigio e coperto e in lontananza erano ben visibili degli enormi nuvoloni scuri, indubbiamente carichi di pioggia.
“Questo tempo riflette perfettamente il mio umore” dichiarò Talia poco prima di mezzogiorno. Era sdraiata sul lettino da più di un’ora e fissava la tela dell’ombrellone in preda ai suoi pensieri aprendo bocca di tanto in tanto per darsi dell’idiota. Quella mattina nessuno dei ragazzi aveva osato mettere piede in spiaggia, l’unico che non poteva starsene rintanato in casa era Percy che per ovvi motivi aveva raggiunto la spiaggia prima di tutti gli altri. Annabeth ignorò l’ennesimo piagnisteo di Talia e volse lo sguardo in riva al mare dove Percy stava innalzando bandiera rossa. Quella mattina non si erano ancora rivolti la parola e anche se ci fosse stata l’occasione Annabeth non avrebbe saputo come comportarsi. Era tremendamente arrabbiata per il suo comportamento della sera prima ma allo stesso tempo aveva una gran voglia di passare altro tempo in sua compagnia. Se lei era così combattuta sul comportamento più giusto da tenere con il ragazzo che le stava scombussolando la vita, lo stesso non si poteva dire di Piper che, dopo il pessimo approccio di Jason in camera da letto, era più che decisa a chiudere la loro relazione una volta per tutte.
“È uguale a tutti gli altri con cui sono stata” diceva ogni qualvolta le si riproponeva l’argomento, “vuole solo portarmi a letto. Cretina io che mi aspettavo qualcosa di diverso.” Aggiunse mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a tamburellare sull’ombrellone.
Talia era talmente apatica da non riuscire più nemmeno a commentare la cosa e Annabeth, che aveva altro per la testa, si limitava ad annuire con il capo.
“Perché Percy se ne sta andando?” domandò allarmata quando lo vide radunare le sue cose e allontanarsi lungo la passerella che conduceva al bar.
“Perché questa giornata fa schifo” sbuffò Talia abbacchiata. “Nessuno sano di mente si farebbe un bagno con questo tempaccio. Ha messo bandiera rossa così può andarsene a casa, cosa che faremmo meglio a fare anche noi se non vogliamo rimanere fritte da un fulmine.” Suggerì Talia mentre cominciava a rivestirsi.
“Io ho un’idea migliore” intervenne Piper, “cosa ne dite di un po’ di shopping terapeutico?”
“Mi sembra una buona soluzione” convenne Talia sorprendendo Piper che mai si sarebbe aspettata tanta accondiscendenza da parte sua. Entrambe le ragazze stavano fissando Annabeth in attesa della sua approvazione.
“Ok, ok, come volete.” Disse infilandosi maglietta e pantaloncini.
Poco più tardi le ragazze stavano camminando per la via principale del paese. La pioggia si era fatta intensa e l’unico modo per non inzupparsi da capo a piedi era quello di cercare riparo sotto i balconi delle case che sovrastavano i negozi.
“Infiliamoci lì dentro.” Suggerì Piper indicando un negozio di abbigliamento vintage a pochi passi.
Annabeth si guardò intorno e oltre il negozio riconobbe il vicolo che conduceva al portone di Percy. Era un’idea folle ma la tentazione di raggiungerlo a casa era troppo forte per non tentare.
“Annabeth, hai intenzione di rimanere lì fuori sotto al diluvio?” Domandò Piper dall’interno del negozio.
Annabeth lanciò un’ultima occhiata al vicolo, poi fisso le amiche e disse loro che le avrebbe raggiunte a casa. Prese a correre lungo la strada acciottolata mentre la pioggia le inzuppava i capelli e i vestiti appesantendola ad ogni passo. Non aspettò che le amiche rispondessero e non si voltò a guardare le loro facce perché le conosceva abbastanza bene da riuscire ad immaginarsele senza bisogno di vederle. Piper probabilmente stava fissando la sua immagine allontanarsi a bocca aperta mentre Talia sospirava con un’alzata di spalle. Raggiunse il portone di Percy e lo trovò aperto, così s’intrufolò nel cortile interno e raggiunse il suo appartamento augurandosi che lui fosse in casa e non altrove. Bussò tre volte alla porta e respirò profondamente nel tentativo di riprendere fiato. Come avrebbe giustificato la sua presenza davanti alla sua porta? Non trovò il tempo di rifletterci a lungo perché la serratura scattò improvvisamente e la porta si aprì prima che lei riuscisse ad elaborare una scusa plausibile, in più la visione che gli si parò davanti non l’aiutò certo a riprendere il controllo dei suoi pensieri.
Percy doveva essere appena uscito dalla doccia perché aveva aperto la porta con indosso solo un asciugamano blu legato in vita, anzi, un bel po’ più giù della vita volendo essere precisi. Era scalzo e i capelli mori ancora bagnati gli si appiccicavano alla fronte abbronzata. Nella mano destra aveva una bottiglia di Beck’s che doveva aver appena stappato perché, oltre ad essere visibilmente ghiacciata, era ancora piena. Annabeth indugiò un momento sul suo corpo, c’erano delle goccioline d’acqua sparse qua e là sul petto e su quelle magnifiche spalle da nuotatore che l’avevano colpita fin dal primo giorno.
“Ciao” le disse con un ampio sorriso.
Annabeth si riscosse e si sforzò di non arrossire. “Ciao” esalò a fatica dopo essere riuscita a spostare gli occhi dal suo corpo per guardarlo in faccia; adesso si trovava in balia dei suoi occhi verdi.
Percy si sporse oltre la porta e diede un’occhiata fuori, pioveva ancora e quell’acquazzone non sembrava intenzionato a smettere.
“Ti inviterei ad entrare e ti offrirei una birra se solo tu non mi avessi espressamente richiesto di non essere carino con te.” Disse osservando attentamente Annabeth che non aveva più un centimetro di pelle asciutta. Lei fece una smorfia e si morsicò il labbro inferiore. Era a disagio, e la cosa peggiore era che in quel pasticcio ci si era messa da sola. Cosa diavolo le era venuto in mente? Raggiungere Percy a casa sua era stata una pessima idea e ora avrebbe tanto voluto tornare sui suoi passi fingendo che tutto ciò non fosse mai accaduto.
“No infatti, hai ragione, volevo solo essere sicura che fosse tutto ok… ti ho visto andare via dalla spiaggia così, all’improvviso…” Percy aprì la bocca per ribattere ma Annabeth fu più veloce: “Sì, me l’hai già detto che non sono brava a dire bugie.”
“Sì, questo lo so” fece lui un attimo prima di bere un sorso di birra. “A dire il vero ti stavo invitando ad entrare, non m’importa se mi hai chiesto di non essere carino con te, non ti lascio qui fuori a prendere la polmonite.” E così dicendo mise un braccio intorno alle spalle di Annabeth e l’accompagnò all’interno dell’appartamento. Richiuse la porta con calma e si voltò a guardarla. L’espressione imbronciata, i capelli arruffati e gli abiti fradici le conferivano un aspetto particolarmente buffo.
“Fossi in te, mi toglierei di dosso quei vestiti bagnati… anche se detto così pare brutto” osservò Percy, “va beh, fai quello che ti pare, io vado a vestirmi.” E con quella frase si chiuse in bagno. Ne uscì qualche minuto più tardi con indosso dei pantaloncini da basket e le infradito e Annabeth lo maledisse mentalmente per non aver indossato anche una maglietta, vederlo girare per casa mezzo nudo non faceva altro che complicare le cose. Percy avanzò verso Annabeth che si era seduta al tavolo della cucina e le porse una t-shirt che profumava di pulito.
“Non ho nulla della tua taglia ma meglio abbondante che striminzita.” Le disse con un occhiolino.
“Menomale che avevi deciso di non essere carino con me.” Disse lei afferrando la t-shirt controvoglia.
“Lo sai che mi viene un po’ difficile eseguire gli ordini.” Scherzò lui accendendo la TV e prendendo posto sul letto.
Annabeth si sfilò i vestiti bagnati ed indossò la maglietta di Percy sopra il costume. Era decisamente abbondante, ma la cosa non le dispiacque dal momento che riusciva a coprirle il sedere. Stese gli indumenti bagnati sul davanzale della finestra e prese posto accanto a Percy sul letto domandandosi che cosa diavolo stessero facendo di preciso. Fiondarsi a casa sua così senza preavviso era stato indubbiamente un gesto istintivo, il che poteva ancora essere una cosa accettabile, ma tutto il resto era assurdo: lui che la faceva entrare senza nemmeno domandarsi il perché di quella visita, le prestava dei vestiti come se fosse il suo fidanzato per poi finire sul letto uno accanto all’altra a guardare programmi televisivi improbabili senza neanche sapere com’erano arrivati a trovarsi in quella situazione. Nulla di tutto ciò poteva essere considerato normale.
“Che cosa stiamo facendo di preciso?” Domandò Annabeth qualche minuto più tardi. Quella situazione cominciava a metterla a disagio.
Percy si voltò a guardarla con un’espressione stranita e il telecomando della televisione in mano. “Non lo so” disse con un’alzata di spalle, “io sto guardando la TV, tu che fai?”
“Me ne sto qui seduta a fianco a te senza sapere cosa sta succedendo” replicò piccata.
Percy strabuzzò gli occhi. “Senti, ti presenti qui senza preavviso, ti accolgo e lascio che tu faccia come se fossi a casa tua… hai anche da lamentarti?”
“Non mi sto lamentando.”
“Allora perché non mi chiedi esplicitamente quello che vuoi sapere?” Chiese Percy con aria di sfida.
“A cosa ti riferisci?”
“Lo sai benissimo.”
“Ok, va bene” si arrese Annabeth che per l’ennesima volta in quella vacanza si domandò come facesse Percy ad intuire sempre i suoi pensieri, “la tua reazione di ieri sera mi ha lasciata di stucco. Non… non ti capisco.”
Percy si voltò a guardarla ed esitò un istante prima di parlare.
“Lo sai anche tu che mi stavi baciando solo per compassione” spiegò come se la cosa fosse più che ovvia.
“Come scusa?”
“Raccontarti del mio passato è stato un errore, ti ho fatto pena e hai pensato che baciarmi fosse la cosa giusta da fare.”
Annabeth prese un grosso respiro e si preparò a ribattere con enfasi ma quello che uscì dalla sua bocca furono solo una serie di parole balbettate e male assortite. “Io, io, co…cosa stai dicendo? Sei proprio fuori strada… non hai capito un bel niente.”
“E allora perché volevi baciarmi?” Tagliò corto lui andando dritto al punto. Annabeth faticò a sostenere quello sguardo così intenso e carico di parole non dette, poi si lasciò andare e dopo aver sospirato profondamente ammise: “perché mi piaci.” Fu una rivelazione anche per sé stessa e si stupì immensamente di quanto quelle tre semplici parole fossero potenti. Adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di pronunciarle si sentiva più leggera nell’animo, anche se sostenere lo sguardo di Percy le risultava comunque impossibile.
“Ma se fino a due giorni fa non volevi nemmeno che ti baciassi” sbottò Percy colto alla sprovvista da quella dichiarazione così semplice e diretta.
“Infatti” sospirò lei, “non avrei mai dovuto permettertelo. Adesso non mi troverei in questa situazione!”
Annabeth si alzò di scatto dal letto e recuperò al volo le sue cose, infilò le infradito e si avviò all’uscita.
“Ehi! Ma cosa fai? Adesso te ne vai?” domandò Percy raggiungendola sulla porta. Erano a pochi centimetri l’una dall’altro e per la seconda volta nel giro di poche ore Annabeth sentì l’irrefrenabile istinto di baciarlo. Senza nemmeno sapere cosa stesse accadendo si ritrovò ad un soffio dalle sue labbra ma, mentre lei stava già assaporando mentalmente quel bacio, lui si scansò esattamente come aveva fatto la sera prima. Annabeth si riscosse mentre prendeva coscienza di quanto era appena accaduto e s’insultava per esserci cascata di nuovo.
“Perché mi fai questo?” Gli domandò cercando di non apparire troppo ferita da quel gesto.
“Annabeth non è così che funziona.” Percy scosse il capo e fece vagare lo sguardo per la stanza.
“E allora com’è che funziona? Perché proprio non lo capisco sai? Ci si bacia solo quando lo decidi tu? Facciamo sesso solo quando tu non sei troppo sbronzo da addormentarti?” Annabeth stava perdendo le staffe, tutto quel tira e molla la rendeva emotivamente instabile e cominciava a sentire il bisogno di scoppiare a piangere.
“Ehi” le sussurrò lui dolcemente poggiando la fronte contro la sua e prendendole entrambe le mai, “ho provato a farti uscire dal guscio ma tu te ne stai chiusa nella tua armatura e m’impedisci di apprezzarti per quello che sei. Ieri sera mi sono messo a nudo, ti ho raccontato delle cose personali che mai e poi mai avrei pensato di rivelare ad una ragazza che conosco da dieci giorni, eppure l’ho fatto; ma tu, tu non ti sei sognata nemmeno per un momento di farmi sapere chi sei, di mostrarmi anche solo uno scorcio della tua persona e questo non lo accetto, se dobbiamo giocare a questo gioco voglio farlo ad armi pari.” Quando smise di parlare, ruppe anche il loro contatto fisico e Annabeth si sentì investire da un brivido di freddo. Aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse che le mancavano sia le parole che la voce. Sapeva che se avesse lasciato quella casa senza dire nulla sarebbe finito tutto in quell’esatto istante, così si sforzò di parlare. “Che cosa vuoi sapere?” chiese con un filo di voce.
Percy si voltò a guardarla strabuzzando gli occhi, faticava a credere alle sue orecchie. “Annabeth non è un interrogatorio. Io vorrei sapere tutto di te, ma mi piacerebbe che fossi tu a parlarmene di tua spontanea volontà e non io a fare domande.”
Annabeth era ammutolita, non riusciva più a dire una parola. Aveva la sensazione che qualunque cosa dicesse fosse sbagliata e fuori luogo, così scelse il silenzio. Lui colse il suo disagio e decise di intervenire. “Ci vediamo un film?” Propose dopo aver costatato che il tempo non accennava a migliorare.
 
Quando Jason aprì gli occhi, la sveglia sul comodino segnava le due del pomeriggio. Si alzò dal letto controvoglia e raggiunse il bagno camminando con l’entusiasmo di uno che sta andando al patibolo. Alzò la tavoletta del water e urinò con una mano appoggiata al muro, gli occhi rigorosamente chiusi. Un tuono lo riscosse dal suo stato di torpore e fu solo allora che Jason scostò la tenda della finestra e si accorse del tempo londinese che aveva investito il paese. Entrò in cucina deciso a mettere qualcosa sotto i denti e trovò la stanza completamente sottosopra. C’erano ciotole, terrine e contenitori di ogni genere sparse per tutto il tavolo mentre il lavandino traboccava di cucchiai di legno, fruste e altre scodelle sporche. Per terra c’era della farina e probabilmente dello zucchero anche se Jason non si prese la briga di indagare a fondo.
“Ciao Jason!” Esclamò Leo raggiante rientrando dal balcone con in mano una scopa e una paletta. Indossava un grembiule a fiori piuttosto ridicolo, i capelli corvini erano più disordinati del solito ed erano sporchi di farina anche quelli.
“Si può sapere cosa diavolo sta succedendo?” domandò allibito.
“Ho invitato Calypso per cena e il menù sarà interamente cucinato da me!” Annunciò con orgoglio gonfiando il petto come un pavone.
A Jason cadde la mascella. Leo e la cucina non erano mai andati d’accordo. A stento distingueva il sale dallo zucchero, riusciva a combinare un disastro anche quando doveva semplicemente scaldare qualcosa nel microonde, per non parlare del suo rapporto con i fornelli. Da quando Jason lo conosceva, Leo aveva dato fuoco alla cucina di casa sua almeno tre volte e l’ultima cosa che voleva era che riuscisse ad incendiare anche quella della casa al mare.
“Leo, in qualità di amico mi sento in dovere di dirti che non la trovo una buona idea.” Gli confessò cercando di essere il più diplomatico possibile.
“Dimmi quando è stata l’ultima volta che hai giudicato positivamente una mia idea.” Sbuffò Leo.
Jason non commentò, scostò una sedia e ci si lasciò cadere di peso.
“Senti, ho un’idea…” disse Leo con ritrovato entusiasmo.
“Un’altra?” borbottò Jason sconsolato.
Leo ignorò quell’ultimo commento e proseguì il suo discorso imperterrito. “Perché non inviti anche Piper?”
Jason nascose la testa tra le mani, visto quello che era accaduto tra loro poche ore prima era decisamente la cosa peggiore che Leo potesse proporre.
“Leo” esordì Jason prendendo un gran respiro, “non penso che Piper voglia più vedermi.”
“Ieri notte le sei saltato addosso per caso? No perché con lei hai addirittura resistito qualche giorno, hai battuto il tuo record personale amico! Sono sinceramente ammirato, dico sul serio.”
“Non è divertente” fece Jason asciutto.
“Non sarà divertente ma è la verità; se non impari a tenere a freno i tuoi istinti non riuscirai mai a tenerti una ragazza per più di una settimana.” Lo rimproverò Leo brandendo un cucchiaio di legno degno di una vera massaia.
“Va beh, ho capito, vado a fare colazione al bar!” Annunciò Jason che sapeva di non essere in grado di sopportare le battutine di Leo ancora per molto.
Seduto da solo al bancone del bar davanti ad un cappuccino fumante, Jason afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e cominciò a scrivere un messaggio: “Ne ho combinata un’altra delle mie… che ne dici di una birretta tra cugini?”
Qualche isolato più a sud Percy sentì suonare il telefono ma ignorò il messaggio in arrivo. Al suo fianco Annabeth abbassò lo sguardo sullo schermo del telefono che si era appena illuminato in mezzo a loro.
“Hai cambiato sfondo?” Domandò notando l’assenza della foto insieme alla ex dai capelli rossi.
“Già” confermò lui mettendo in pausa il film per voltarsi a guardare Annabeth.
“È la medusa che mi ha punto?” Indagò Annabeth guardando con attenzione il nuovo sfondo.
Percy sorrise. “No, questa è un’altra specie. L’ho fotografata l’anno scorso durante un’immersione.”
“Hai il brevetto di sub?” Domandò Annabeth con ammirazione.
“Sì” annuì lui modesto. “Ecco una cosa che ancora non sapevi di me.”
Annabeth riconobbe un filo d’ironia nella voce di Percy e si sentì in colpa per essere stata così ermetica.
“Scusami se sono così fredda e distaccata nei tuoi confronti” riuscì a dire dopo qualche istante, “non sono sempre stata così…”
“Ti capisco… le brutte esperienze segnano chiunque.” Il suo tono adesso era cambiato, si era fatto comprensivo, quasi paterno e in quel momento Annabeth si accorse che erano sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Per la prima volta da quando l’aveva conosciuto stavano viaggiando sugli stessi binari.
“A gennaio ho scoperto che il mio fidanzato mi tradiva regolarmente.” Confessò Annabeth, lo sguardo perso a fissare il materasso. “Stavamo insieme da quasi tre anni e io ero convinta che fosse quello giusto… mio padre lo adorava e avevamo un sacco di progetti per un futuro insieme.” Le s’incrinò la voce ma dopo un bel respirò fu in grado di proseguire il suo racconto senza cedere alle lacrime. “Un pomeriggio uscii prima dall’università perché mancava un professore, così decisi di fargli una sorpresa. Mi presentai a casa sua senza avvisarlo e lo trovai in compagnia di un’altra… ogni tanto penso che se il mio professore di urbanistica quel giorno non si fosse ammalato oggi probabilmente starei ancora con lui, ignara di tutto.”
Anche se evitava categoricamente di guardarlo, sapeva di avere tutta l’attenzione di Percy su di sé; la televisione era in pausa da un po’ e non c’era nessun’altra fonte di distrazione nella stanza.
“Con il senno di poi mi sento veramente una stupida perché al di là dei tradimenti mi rendo conto solo ora di quante cose non funzionassero tra di noi. La verità è che ero così innamorata di lui da essere completamente cieca” adesso la voce di Annabeth era spezzata e le parole faticavano ad uscirle di bocca. “Ero così innamorata da accettare qualsiasi cosa… anche…”
“Anche che ti mettesse le mani addosso” concluse Percy al suo posto mentre un tuono improvviso faceva tremare i vetri dell’appartamento.
Annabeth sollevò il capo di colpo e guardò Percy sgranando gli occhi. “Come fai a saperlo?” Gli domandò con un filo di voce mentre una lacrima le rigava la guancia sinistra.
“Sono un attento osservatore” rivelò lui minimizzando la cosa con una lieve alzata di spalle.
Annabeth era senza parole, non solo Percy sembrava in grado di intercettare i suoi pensieri come già le aveva dimostrato in più di un’occasione, adesso stava anche dimostrando di conoscerla più di quanto lei conoscesse sé stessa.
“Non stiamo parlando di nei a forma di cuore! Questa non è una cosa che si osserva!” Gli fece notare Annabeth.
“E invece sì, è una cosa che ho notato tutte le volte che siamo stati insieme. Tu mi cerchi ma allo stesso tempo mi respingi. Dichiari di voler fare sesso con me ma ogni volta che ti sfioro invece di lasciarti andare t’irrigidisci, e se faccio qualcosa che non ti aspetti reagisci in modo aggressivo perché è evidente che hai dovuto imparare a difenderti.”
“Imparare a difendermi?” Ripeté Annabeth incredula.
“Ti sembra normale prendere a pugni nel costato il ragazzo con cui stai facendo sesso?”
Annabeth non riuscì a ribattere, forse Percy aveva ragione, il suo passato la stava condizionando più di quando potesse immaginare.
“Ho capito che tutti questi comportamenti andavano imputati a qualche brutta esperienza, che fossi delusa dagli uomini era più che evidente ma ho capito subito che non era solo quello il problema. Ho pensato che avessi qualche problema in famiglia, ma quando mi hai parlato di tuo padre ieri sera ho capito da come ne parlavi che ero fuori strada. Quando dieci minuti fa hai cominciato a parlare del tuo ex ho fatto due più due.”
Adesso Annabeth stava piangendo liberamente, aveva superato l’ostacolo della vergogna e accolse con gioia la spalla che Percy le offrì. Sì strinse a lui e si beò del suo calore e del suo conforto come mai aveva fatto con un uomo che non fosse suo padre.
“Mi dispiace” disse lui dopo qualche minuto di silenzio interrotto solo a tratti dai singhiozzi di Annabeth. “Non volevo farti rivivere brutti momenti.”
“No, invece adesso sto meglio.” Disse Annabeth sollevando il capo e asciugandosi le lacrime. “Ti ringrazio per questo sfogo. Questa è una cosa di cui non ho mai parlato con nessuno… neanche Piper e Talia lo sanno e ci terrei che non lo venissero a sapere… mi sento già abbastanza stupida per essere stata con lui tutto questo tempo, non c’è bisogno che sappiano anche che mi picchiava, lo reputano già un pezzo di merda senza che metta altra carne al fuoco.”
“Sì, lo capisco”
“Ho la tua parola?”
“Certo.”
I loro occhi s’incontrarono nell’esatto momento in cui un lampo illuminò a giorno la stanza. Erano vicini, più di quanto non lo fossero mai stati perché adesso entrambe le loro anime erano almeno in parte libere dai fantasmi del loro passato. Parlarne apertamente era stato per entrambi il primo passo per allontanarli.
“Adesso sei tu quello che vuole baciarmi per compassione?” domandò Annabeth in un sussurrò stringendosi più saldamente al suo petto.
“No” sospirò lui. “Se questa discussione fosse avvenuta prima di ieri probabilmente è quello che avrei fatto… ma oggi non posso permettermelo.”
Annabeth si accigliò.
“Non ti seguo” Dichiarò staccandosi dal suo petto controvoglia.
“Annabeth tu stai per tornare a casa…”
Quella verità travolse Annabeth come un treno in corsa. Quella vacanza era stata così frenetica e carica di emozioni che non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersi conto che stava volgendo al termine.
“Beh, ma questo lo sapevi anche due giorni fa… non capisco cosa sia cambiato!”
“Te l’ho detto, prima di sapere che mia madre era incinta avevo quasi deciso di tornare a casa e finire l’università ma ora che aspetta un figlio non ho più un posto dove tornare… camera mia servirà a Charlie e io non voglio essere d’intralcio, è giusto che si godano questo momento. Il mio posto è qui Annabeth, sono destinato al mare, in un certo senso è come se l’avessi sempre saputo.”
Quella rivelazione rattristò Annabeth enormemente. Si era lanciata in una relazione con Percy senza preoccuparsi delle conseguenze e adesso che tutto avrebbe potuto cominciare lui la stava aiutando a comprendere che era finita. Mentre Annabeth rifletteva in silenzio, Percy allungò una mano e prese un tubetto di crema dal comodino. Svitò il tappo cominciò a spalmarsi la crema sul tatuaggio. Fu solo allora che Annabeth notò che qualcosa era cambiato; sotto il tridente era comparsa una nuova linea nettamente più nera dell’altra proprio perché più recente.
“Hai modificato il tatuaggio?” domandò Annabeth curiosa.
“Ci ho solo aggiunto un dettaglio” rispose lui riponendo il tubetto di crema sul comodino.
“Una linea?”
“Già”
“Come mai? Ha un significato particolare?”
“Per oggi accontentati di aver saputo che ho il brevetto di sub…”  disse Percy con un tono che fece capire ad Annabeth che doveva smettere di fare domande.
Abbacchiata, Annabeth si accoccolò sulla sua spalla senza sapere cosa dire e si lasciò cullare dal ritmo del suo respiro. Restarono in quella posizione senza parlare per alcuni minuti poi Annabeth sollevò lo sguardo su Percy e cercò le sue labbra. Nonostante fosse sorpreso da quel gesto Percy non riuscì a ritrarsi. Lasciò che Annabeth lo baciasse a fior di labbra come mai aveva fatto prima di allora. Le sue labbra erano morbide e delicate e profumavano lievemente di pesca. Dopo una serie di baci leggeri e affettuosi, Annabeth si rese conto di quanto lo stesse realmente desiderando. Posò entrambe le mani sulle sue spalle e lo spinse all’indietro in modo tale che si sdraiasse sul letto. Lui non oppose resistenza nonostante nella sua mente cominciassero ad affollarsi una serie di sentimenti contrastanti. Percy chiuse gli occhi nel momento in cui Annabeth riprese a baciarlo. Sentì il desiderio crescere bacio dopo bacio, fin quando lei dischiuse le labbra e cercò la sua lingua. Fu allora che la fermò impedendole di andare oltre.
“Non penso che sia una buona idea” le disse interrompendo quel contatto.
Lei si rabbuiò improvvisamente, capiva la situazione ma si rifiutava di accettarla.
“E cosa pensi allora?” domandò lei seduta sui talloni al suo fianco.
Il telefono di Percy suonò di nuovo. C’era un nuovo messaggio in arrivo e questa volta Percy colse la palla al balzo. Afferrò il cellulare e andò verso il frigorifero lasciando Annabeth seduta sul letto.
“Sto venendo da te.” Diceva l’ultimo messaggio che Jason gli aveva inviato. Percy cominciò a digitare freneticamente una risposta ma in quel momento gli arrivò un altro messaggio, questa volta era Grover e diceva più o meno la stessa cosa: “Sto uno schifo, ho bisogno di parlarti… ti dispiace se vengo da te?”
Percy sollevò un attimo lo sguardo dal telefono e vide che Annabeth era in piedi e aveva indossato i suoi vestiti.
“Te la lavo e te la faccio riavere, ok?” Disse in tono piuttosto scocciato.
“Ehi” obiettò Percy, “te ne stai andando?”
“Tu che dici?” fece lei in piedi sulla porta guardando Percy e la sua espressione perplessa. “Potevi trovarti una scusa migliore dei messaggi se proprio non volevi rispondermi.” E così dicendo uscì di casa richiudendosi la porta alle spalle.
Percy esitò un momento poi si decise ad agire; raggiunse la porta e quando la riaprì si trovò di fronte Jason e la sua faccia da funerale.
“Ho portato del Whiskey!” Esordì lui con un sorriso forzato mostrando una bottiglia di liquore.
“Sono le sei del pomeriggio!” Gli fece notare Percy mostrandogli l’orario sull’iphone.
“Hai cambiato sfondo?” domandò Jason ammirato.
Percy sbuffò e abbandonò il cellulare sulla mensola mentre Jason entrava in casa.
“Jason sono due giorni di fila che bevi da far schifo, non ti azzardare a sfondarti di whiskey!” Lo rimproverò Percy.
“Che razza di cugino ingrato sei? Il whiskey non è per me! È per te!”
“Ma io non lo voglio!” Protestò Percy rifiutando di buon grado la bottiglia che il cugino gli tendeva.
“Senti, ultimamente l’alcol mi fa combinare più casini del solito quindi voglio che tu beva un po’ e che ti metta nei guai. Almeno non mi sentirò più solo!”
“Io i casini li faccio senza bisogno di bere se la cosa ti consola.”
“Ahah! Ti riferisci forse al fatto che Annabeth se n’è andata via da questa casa furiosa?”
“Senti… sei venuto qui per parlarmi di quello che hai combinato o per criticare quello che resta della mia vita sentimentale?” Sbottò Percy mentre qualcuno suonava il campanello con insistenza.
Percy non attese la risposta di Jason e andò ad aprire la porta.
“Ciao Grover” disse facendo entrare l’amico.
“Non essere troppo contento di vedermi!” Disse Grover sarcastico. “E comunque potresti anche imparare a rispondere ai messaggi!”
“Ragazzi mi spiegate cosa cavolo ci fate qui?” Sbottò Percy guardando i suoi ospiti.
“Io ti dico già che mi trattengo per cena perché Leo mi ha sfrattato!”
“Ti ha sfrattato?” ripeté Percy incredulo.
“Sì, ha invitato a cena la gelataia e si è offerto di cucinare, non vi dico in che condizioni è la cucina…”
“Già che ci sono mangio qui anch’io se non ti dispiace.” Intervenne Grover gettandosi sul letto.
“Fossi in te non mi sdraierei su quel letto… quando sono arrivato Annabeth era appena andata via…”
Grover si affrettò a rialzarsi mentre Jason rideva.
“Non scomodarti” fece Percy lanciando un’occhiataccia al cugino. “Annabeth era qui, ma non è andata come dice Jason!”
“Allora di recente non sono andato in bianco solo io” commentò lui sollevato dall’idea che anche al cugino fosse andata male.
“Quindi cosa c’è per cena?” Domandò Grover che voleva a tutti i costi spostare la conversazione su un altro argomento.
“Vi avviso, il mio frigorifero è vuoto!” Fece sapere Percy.
“Ok, ordino una pizza!” Annunciò Grover staccando il volantino della pizzeria dal frigorifero e cominciando a scegliere dalla lista.
Un’ora più tardi Percy stava pagando le pizze al ragazzo in motorino sotto la pioggia battente.
Rientrò in casa con le pizze fumanti tra le braccia e sedette a tavola con gli amici.
 
Il locale di Frank era pieno nonostante la pioggia e lui non avrebbe potuto esserne più felice. Gli affari andavano bene e il passaparola gli stava facendo una bella pubblicità. Quella sera notò una serie di persone che non si erano ancora mai avvicinate al suo locale, primo fra tutti Nico, il tatuatore che aveva lo studio qualche via più in là.
Era un tipo solitario ma con tutti quei pircing e tatuaggi non poteva certo passare inosservato.
“Me lo faresti un bloody mary?” domandò appoggiandosi con entrambi i gomiti al bancone del bar.
“Certo!” Esclamò Frank felice di poter preparare un cocktail poco richiesto.
“Ehi ma allora il dono della parola ce l’hai! No perché ai miei messaggi non hai mai risposto.” Disse un ragazzo biondo prendendo posto sullo sgabello a fianco a Nico.
Lui si voltò a guardarlo in cagnesco. “Will! Cosa diavolo vuoi?” domandò seccato.
“Quello che ti ho già chiesto nei messaggi che tu hai bellamente ignorato.” Fece Will sorseggiando un margarita.
“Senza offesa ma non mi sembri esattamente un tipo da tatuaggi.”
“Perché? Tu tatui solo i tipi da tatuaggi?” domandò Will che sembrava in vena di provocarlo.
“Senti, in questo momento non sto lavorando quindi vorrei evitare di parlarne se non ti dispiace.”
“Benissimo… di cosa vuoi parlare allora?”
“Forse non mi sono spiegato, non voglio parlare con te!” Disse Nico nel modo più diretto possibile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di liberarsi del figlio del farmacista, ma lui non sembrava minimamente intenzionato a mollare il colpo.
 
Qualche via più in là, a casa di Talia le ragazze erano già in modalità pigiama sul divano con in mano una vaschetta di gelato a testa.
“Guardate come siamo ridotte per colpa degli uomini” disse Piper facendo zapping alla ricerca di qualcosa di decente da vedere.
In quel momento il telefono di Talia prese a squillare rumorosamente e lei dopo aver letto chi la stava chiamando andò a rispondere in camera sotto lo sguardo stranito delle amiche.
Tornò poco dopo con un diavolo per capello.
“Che succede?” domandò Annabeth che non sapeva più cosa aspettarsi da quella giornata così nefasta.
“Era mio cugino…” disse abbacchiata. “È in pronto soccorso con Jason e Grover.”


Angolo dell'autrice: Come vedete non sono morta. Purtroppo vengo da un periodo particolarmente avverso. Avete presente quei periodi della vita in cui non ne va bene una? Ecco, ultimamente sono successe una serie di cose spiacevoli una dietro l'altra e quando tutto intorno a te si fa nero anche la fatidica pagina bianca su cui sei solita scrivere ti appare più scura e quindi diventa particolarmente difficile, se non impossibile, scriverci sopra qualcosa. Vi avevo salutato l'ultima volta dicendo che avevo un'altra storia da aggiornare e che quindi vi avrei fatto aspettare di più, la verità è che con l'altra storia non sono riuscita ad andare avanti, ci ho provato per un bel po' di giorni ma quando ho visto che non cavavo un ragno dal buco ho preferito tornare su questa e sono veramente felice di essere riuscita a pubblicare il capitolo. Il tempo della storia probabilmente riflette il mio umore di questi giorni ma spero che il risultato in sé e la trama non vi abbiano delusi... Io dopo tutta questa fatica mi sento soddisfatta del risultato. In questo capitolo, per la prima volta, sento di aver dato il giusto spazio a tutti e spero che l'evolversi della storia sia di vostro gradimento. Spero che questo aggiornamento spazzi via questo periodo nero e lasci il posto ad uno decisamente più florido e soddisfacente. Ora tocca a voi, fatemi sapere la vostra con un commento e grazie infinite per avermi seguito anche questa volta. Siete i lettori migliori che un autore possa desiderare.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Sabato ***


SABATO

 
 
Piper, Talia e Annabeth entrarono a passo svelto nell’atrio del pronto soccorso poco dopo mezzanotte. Ci avevano messo un bel po’ a decidere come comportarsi perché ognuna di loro aveva un buon motivo per non voler vedere almeno uno dei ragazzi, ma alla fine si erano convinte a raggiungerli tutte e tre insieme.
La sala d’aspetto del pronto soccorso era una stanza dalla metratura ridotta e dall’arredamento piuttosto minimalista. Le pareti erano spoglie e scrostate in più punti, mentre il pavimento era un marmo freddo su cui poggiavano una serie di sedie scomode e malconce.
Anche se durante il viaggio in macchina Talia aveva fatto del suo meglio per riferire quanto le aveva spiegato Percy al telefono, né Piper né Annabeth erano pronte a vederli conciati in quel modo.
Grover era seduto in un angolo e si teneva una grossa borsa del ghiaccio premuta sul naso e, nonostante la carnagione scura, era ben evidente l’alone violaceo che andava espandendosi fin sotto i suoi occhi. Al suo fianco, Percy aveva lo zigomo sinistro gonfio e bluastro e Annabeth notò che teneva gli occhi bassi, concentrati sulla sua mano destra, che era altrettanto gonfia e sembrava procurargli parecchio dolore, le nocche spaccate e incrostate di sangue. In piedi, poco più in là, c’era Jason, che, a differenza degli altri due, non sembrava aver ancora smaltito del tutto la rabbia. Aveva un labbro spaccato che, a giudicare dal fazzoletto imbrattato di sangue che teneva in mano, non sembrava intenzionato a rimarginarsi. Inoltre aveva un grosso livido sulla mascella sinistra che si abbinava perfettamente a quelli dei suoi amici.
Stando al racconto di Percy, Grover si era lasciato scappare quello che era successo la sera prima tra lui e Talia, e Jason aveva dato di matto. Erano volate parole grosse e dopo una serie di minacce verbali Jason aveva colpito Grover con un pugno dritto sul naso. Da quel momento per i dieci minuti successivi, l’appartamento di Percy si era trasformato in una succursale del famoso Figth club fondato da Brad Pitt nell’omonimo film. Grover aveva reagito al pugno di Jason spingendolo violentemente contro il muro e Percy, per evitare che la situazione degenerasse ulteriormente, aveva dovuto mettersi in mezzo rimediando un pugno in faccia dal cugino, una serie di gomitate e spintoni da parte di Grover, che era più che deciso a non lasciare Jason impunito, e per finire in bellezza aveva dovuto stendere Jason con un destro dritto sulla mascella che aveva dato il colpo di grazia alla sua mano già malconcia da giorni.
Il primo ad accorgersi della presenza delle ragazze fu Jason che, dopo aver lanciato loro un’occhiataccia, guardò il cugino e disse: “c’era proprio bisogno di chiamarle?” Il suo tono era alterato; era evidente che la scazzottata non era stata sufficiente a placare la sua ira.
“Io ho chiamato Talia, non sapevo venissero anche Piper e Annabeth.” Si giustificò Percy tentando di aprire il palmo della mano per stendere tutte le dita. Il suo tentativo fu vano perché non appena provò a fare il minimo movimento sentì un dolore lancinante che gli fece vedere le stelle.
“Potevi anche arrivarci.” Brontolò Jason gettando via il fazzoletto insanguinato con un gesto di stizza.
“Senti, se siamo qui conciati così, è solo colpa tua, quindi adesso vedi di stare zitto perché giuro che non ti sopporto più!” Ringhiò Percy alzandosi di scatto per fronteggiare il cugino.
“Colpa mia?” Ruggì Jason tenendo testa al tono di Percy, “quello stronzo si scopa mia sorella e mi vieni a dire che è colpa mia?”
“Vaffanculo Jason” si limitò a dire Grover in tono piatto, senza nemmeno prendersi la briga di alzarsi dal suo posto.
“Vaffanculo tu!” Replicò Jason dall’altra parte della stanza.
“Adesso basta!” Sbraitò Percy trattenendo il cugino che sembrava sul punto di saltare addosso a Grover per l’ennesima volta.
“Se non la finite chiamo la polizia, è chiaro?” li minacciò una donna con il camice che era appena sbucata dal corridoio. “Tu,” disse poi rivolta a Grover, “vieni con me.”
Grover si alzò e oltrepassò le ragazze senza dire niente, poi entrò nella stanza con la dottoressa e si richiuse la porta alle spalle.
“Ma siete impazziti?” Esclamò Talia allibita. Ora che Grover non era più in quella stanza si sentiva un po’ meno a disagio.
Percy e Jason si voltarono simultaneamente a guardarla.
“Tu stai zitta” le intimò Jason.
“No, non sto zitta,” replicò lei scostando Percy per parlare faccia a faccia con il fratello, “sono adulta e vaccinata e tu devi imparare  a farti i fatti tuoi!”
Mentre Jason e Talia discutevano animatamente Percy tornò a sedersi e si guardò bene dall’alzare lo sguardo. Sapeva che Annabeth lo stava fissando e si vergognò profondamente della condizione in cui si trovava. Solo qualche ora prima lei si era confidata, rivelandogli le abitudini violente del suo ex, e ora lui si trovava in pronto soccorso per aver fatto a botte con degli amici, non era certo un bel biglietto da visita. Come se questo non bastasse, cominciava a pensare seriamente di essersi rotto una mano, cosa che, lavorativamente parlando, sarebbe stato un grosso problema. Ad occhi chiusi sollevò il capo e lo reclinò all’indietro poggiando la testa contro il muro sbuffando. Aveva sempre saputo di avere un gran talento per i guai ma ultimamente stava veramente dando il meglio di sé. Mentre se ne stava lì con gli occhi chiusi sentì dei passi avvicinarsi e qualcuno sedersi al suo fianco.
“Sembri proprio intenzionato a non dar tregua a quella povera mano…” era la voce di Annabeth e aveva un tono ironico che fece sorridere Percy. Aprì gli occhi e la vide seduta al suo fianco, era struccata, i capelli legati in una coda fatta di fretta e gli occhi che brillavano alla luce dei neon.
“Prevedo un disastro…” mugolò lui guardandosi la mano sempre più gonfia.
In quel momento arrivò un dottore che chiamò Percy per fare una lastra e Annabeth lo seguì con lo sguardo fin quando non sparì oltre le porte scorrevoli.
A distanza di un’ora stavano uscendo tutti insieme dal pronto soccorso, ognuno con la sua diagnosi. Grover aveva una frattura al setto nasale contenuta da un’enorme cerotto semirigido e camminava con l’aspetto di uno che era appena uscito da un funerale. Dopo due tentativi falliti, Percy era finalmente riuscito a rompersi il quinto metacarpo della mano destra e aveva rimediato una fasciatura rigida che avrebbe dovuto portare almeno per le prossime tre settimane. Sotto l’occhio sinistro, doveva aveva il gonfiore, gli erano stati applicati due piccoli cerottini per evitare che la pelle si lacerasse e che gli conferivano l’aspetto di un pugile appena sceso dal ring.
Per assurdo, quello che fra tutti aveva riportato meno danni era Jason; non aveva nulla di rotto e anche a lui era stato applicato un cerottino sul labbro per cercare di arrestare l’emorragia.
“Ok, come ci organizziamo?” domandò Piper a bassa voce in modo che solo le ragazze potessero sentirla.
“Grover e Jason non possono certo stare in macchina insieme” fece notare Annabeth.
“Allora facciamo così: Annabeth e Piper andate in macchina con Percy e Grover, io porto Jason da Leo con la mia auto.”
“Mi sembra un’ottima soluzione!” Commentò Piper felice di non dover fare il viaggio con Jason. Annabeth non disse nulla, non sapeva ancora bene come comportarsi con Percy, ma l’idea che non fossero soli la rassicurava.
Percy li guidò fin dove aveva parcheggiato la macchina e mentre l’apriva schiacciando il pulsante sulla chiave, Annabeth parlò. “Forse è meglio se guido io. Non so se con una mano fuori uso ti è concesso guidare; e con la fortuna che hai questa notte… come minimo ti fermerebbero i carabinieri.” Gli fece notare.
“Sì, forse hai ragione, mi mancherebbe solo quello!”
Consegnò le chiavi ad Annabeth e si sedette dal lato passeggero mentre Grover e Piper prendevano posto sul sedile posteriore.
Raggiunsero casa di Grover nel giro di venti minuti e lo salutarono dall’auto mentre lui apriva il portone con il morale a terra, poi proseguirono fino a casa di Talia, e Piper scese dall’auto sbadigliando. Fu solo in quel momento che Annabeth si rese conto di essere rimasta sola con Percy un’altra volta. Guidò fino a casa sua senza riuscire ad avviare una conversazione, non sapeva cosa dire e anche Percy non sembrava poi tanto loquace. Che fosse in imbarazzo? O forse era semplicemente stanco?
Annabeth parcheggiò l’auto in fondo alla via e spense il motore. Il silenzio li avvolse per qualche secondo, poi, prima che la situazione si facesse più imbarazzante di quello che già era, Percy si decise a parlare.
“Scusami se prima non ti ho risposto” disse riferendosi alla loro ultima conversazione, quella avvenuta un attimo prima che lei lasciasse il suo appartamento, adirata. “Il fatto è che ho veramente tante cose per la testa e non avevo una risposta sensata alla tua domanda.”
Annabeth chinò il capo e scosse lievemente la testa. “È mai possibile che le nostre conversazioni devono sempre iniziare con la parola scusami o con mi dispiace?”
Percy sorrise, effettivamente non poteva proprio darle torto.
“Senti, per colpa mia hai fatto tardi anche questa sera, puoi tornare a casa con la mia macchina” disse lui aprendo la portiera. “Domani mi porti le chiavi in spiaggia.”
Annabeth sentì una stretta allo stomaco e se ne stupì, aveva forse sperato di fermarsi da lui per l’ennesima notte?
“Oh” esalò colta alla sprovvista.
“Che c’è?” fece lui notando il suo disappunto. “Volevi entrare?”
“Io, no, beh, insomma… è tardi… effettivamente è meglio che vada.” Farfugliò in preda alla confusione.
“Annabeth, se vuoi entrare non devi fare altro che dirlo” fece lui pragmatico.
Annabeth sollevò lo sguardo e incrociò i suoi meravigliosi occhi verdi, poi annuì col capo. “Sì… beh, io vorrei stare un po’ con te se non ti dispiace.”
“Non mi dispiace” fece sapere lui abbozzando un sorriso.
Appena dentro l’appartamento Annabeth mandò un messaggio alle amiche per avvisarle che non sapeva se sarebbe tornata e in quel momento si rese conto che in cuor suo sperava vivamente di non tornare a casa.
“Ti va una tazza di tè?” domandò Percy.
“Perché no!” Asserì lei che non aveva mai bevuto il tè alle due del mattino.
“Annabeth” esordì Percy estraendo le tazze dallo scolapiatti, “io non vorrei che tu ti sia fatta un’idea sbagliata di me…”
Annabeth si accigliò un momento, poi notò che Percy si stava guardando la mano rotta, esattamente come stava facendo in ospedale, e capì a cosa si riferiva.
“Se mi fossi fatta un’idea sbagliata di te, adesso non sarei qui.” Gli disse in tono rassicurante.
Percy levò lo sguardo su di lei ed esitò un istante.
“Sì, beh, è solo che… mi conosci da dieci giorni e ho già preso a pugni un muro, se tu non mi avessi fermato avrei preso a pugni anche Ottaviano e per finire ho fatto a botte anche con i miei migliori amici rompendomi una mano… dopo quello che mi hai confessato ieri non capisco come tu faccia a starmi vicino.”
“Perché c’è una bella differenza tra prendere a pugni un muro per sfogarsi e fare del male alla propria ragazza tanto per il gusto di farlo.” Spiegò Annabeth sedendosi a tavola.
“Io non sono una persona violenta” precisò Percy che non sembrava ancora convinto che Annabeth non lo ritenesse pericoloso.
“Non l’ho mai pensato” disse in tono rassicurante, “credo che l’acqua bolla” gli fece notare sperando che Percy la smettesse di farsi problemi per quella faccenda.
La cosa sembrò distrarlo perché Percy si voltò per afferrare il bollitore e versò l’acqua nelle tazze in cui Annabeth aveva già sistemato i filtri, poi le afferrò entrambe per spostarle sul tavolo. Nel breve tragitto la mano malconcia mancò la presa e una tazza finì a terra rompendosi in mille pezzi, riversandogli parte del contenuto addosso. Percy imprecò per il contatto con l’acqua bollente.
“Aspetta, lascia che ti aiuti” disse Annabeth chinandosi a raccogliere i cocci rotti.
“Grazie” sospirò Percy. Aveva la mano fuori uso da meno di un’ora e già non ne poteva più.
Dopo aver raccolto tutti i pezzi che componevano la tazza, Annabeth asciugò la pozza di tè che invadeva il pavimento e si rialzò trovando Percy che litigava con la maglietta bagnata. Stava cercando di sfilarsela ma aveva qualche difficoltà a far passare la mano ingessata dalla manica.
“Aspetta un momento” gli disse buttando lo scottex bagnato, “ti aiuto io.” E così dicendo afferrò la manica e l’allargò il più possibile in modo che Percy riuscisse a farci passare la mano, superato quell’ostacolo gli sfilò lentamente la maglietta dalla testa e si ritrovò in balia dei suoi occhi verdi. Ancora una volta capì di essere fregata, quello sguardo aveva su di lei un potere sconosciuto e l’aveva intrappolata esattamente come aveva fatto il giorno in cui l’aveva incrociato per la prima volta. Distolse lo sguardo mordicchiandosi il labbro inferiore e si ritrovò a fissare le sue clavicole.
“Ehi” sussurrò lui sollevandole appena il mento, “c’è qualcosa che non va?” Annabeth si fece forza e lo guardò di nuovo negli occhi. “No” esalò dopo un breve silenzio, “è solo che forse è meglio che ti rivesti” sentenziò lei estraendo una maglietta a caso dall’armadio e mettendogliela tra le mani.
Percy chinò il capo e sorrise. “Sai, forse fa un po’ troppo caldo per questa…” disse rimettendo la maglietta nell’armadio. Annabeth lo guardò richiudere l’anta dell’armadio mentre si sentiva avvampare; lo stava facendo apposta, era evidente che lo stava facendo apposta.
“Ok, senti, vediamo di chiarire un attimo la situazione…” fece Annabeth che stava cominciando a dare di matto. “Si può sapere perché mi hai fatto entrare?”
“Perché tu me l’hai chiesto!” Replicò Percy sorpreso da quella domanda.
“Sì ma, cavolo! Ieri mi hai fatto tutti quei discorsi e poi m’inviti a casa tua a bere il tè alle due di notte?” Sputò fuori Annabeth tutto d’un fiato.
“L’ho fatto senza malizia.” Spiegò Percy appoggiandosi all’armadio.
“Ah davvero? Perché a me sembra che tu stia facendo lo scemo!” Gli fece notare Annabeth incrociando le braccia al petto con aria di sfida.
Percy sgranò gli occhi. “Lo scemo?” disse incredulo.
“Sai, forse fa un po’ troppo caldo per questa…” gli fece il verso Annabeth riprendendo la sua dichiarazione di qualche istante prima.
“Ok, va bene, lo ammetto… un po’ ho fatto lo scemo, ma è nella mia natura, e poi… con te è inevitabile.” Ammise con un sorriso sghembo.
Annabeth scrollò le spalle. Perché Percy doveva essere così dannatamente irresistibile?
“È meglio che me ne vada…” sospirò Annabeth abbacchiata. Afferrò la borsa e superò Percy a testa bassa diretta alla porta. Mentre lo sorpassava sentì una stretta al braccio che le impedì di proseguire per la sua strada e un istante dopo le sue labbra erano incollate a quelle di Percy mentre le sue braccia gli cingevano il collo. Questa volta nessuno dei due si fece problemi ad approfondire il bacio, fu quasi naturale e nel giro di un paio di minuti si ritrovarono sdraiati sul letto.
“Non sei leale” mugolò Annabeth non appena riprese possesso delle sue labbra, “avevi detto che non era una buona idea”
“Hai ragione… infatti non lo è.”
“E allora perché continui a baciarmi?” domandò Annabeth tra un bacio e l’altro.
“Perché tu non me lo stai impedendo.” Rispose lui affondando una mano tra i suoi capelli biondi.
Aveva ragione, non glielo stava impedendo, e non gli avrebbe impedito qualsiasi altra cosa, ormai era nelle sue mani, e avrebbe voluto rimanerci per sempre. Percy sollevò il capo e cercò l’interruttore della luce. La spense con un “click” e al buio cercò nuovamente le labbra di Annabeth. Quando le trovò se ne appropriò avidamente notando con piacere che lei sembrava non aspettare altro. Ricambiava il bacio con trasporto e le sue mani tastavano il suo corpo senza tregua. Percy posò le mani sui fianchi di Annabeth e le fece scorrere delicatamente sotto alla sua maglietta provocandole un brivido inaspettato che la fece sorridere.
“Mi stai graffiando” gli sussurrò Annabeth all’orecchio quando lo sentì aumentare la presa sul suo corpo e Percy si ricordò solo in quel momento di avere una mano avvolta in una fasciatura che al tatto doveva essere piuttosto fastidiosa.
“Scusa” bisbigliò ritirando la mano incriminata da sotto la maglietta. Per poi decidere che quell’indumento era di troppo, così, nel giro di poco, finì sul pavimento insieme al resto dei vestiti; solo il lenzuolo rimase a celare quanto stava accadendo tra i loro corpi.
“Non mi hai ancora detto quando parti…” ansimò Percy nel bel mezzo dell’amplesso.
“Non lo so” ammise Annabeth con la testa nell’incavo della sua spalla.
Il fatto che Percy continuasse a voler sapere quando partiva non faceva altro che ricordarle quanto imminente fosse quel momento e lei avrebbe fatto qualunque cosa pur di non pensarci. Lo strinse più forte e nella foga del momento i loro zigomi si scontrarono facendo guaire Percy di dolore. “Scusa” mugugnò lei rendendosi conto di aver colpito il suo zigomo ferito.
“Tranquilla, non è niente” gracchiò lui in tono poco convincente.
Annabeth si addormentò prima di Percy e lui rimase sveglio a fissare il soffitto. Tutto quello che era appena accaduto era sbagliato e lui si sentì tremendamente in colpa per non aver fatto nulla per evitarlo. Annabeth sarebbe ripartita nel giro di un paio di giorni e lui non poteva permettersi nessun tipo di coinvolgimento sentimentale. Dopo quello di Rachel, non avrebbe potuto sopportare un altro abbandono. Guardò al suo fianco, dove Annabeth dormiva beata, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter captare i suoi pensieri. Poggiò la testa al cuscino e sbuffò affranto, come al solito, si era cacciato nei guai.
 
Alle sette del mattino Percy raggiunse i bagni Nettuno come se nulla fosse. Indossava un costume blu, la T-shirt rossa con scritto “staff” e gli occhiali da sole. Fortunatamente la spiaggia era ancora semideserta e lui riuscì a raggiungere la sua postazione guardandosi bene dal salutare il Signor D mentre si domandava come avrebbe fatto ad evitarlo per tutto il giorno. Lo scontro era inevitabile e, infatti, alle nove del mattino, mentre Percy spostava il pattino se lo trovò davanti, le braccia conserte e l’espressione corrucciata.
“Jackson” gracchiò lui trattenendosi a stento dall’urlare. “Non ti chiederò perché hai una mano ingessata e la faccia di uno che ha fatto un frontale con un tram, mi accontento delle tue dimissioni.”
Percy si sentì mancare, la sua vita era sempre stata un gran casino, ma da qualche mese a questa parte il lavoro era diventato l’unico punto fermo della sua vita e non poteva permettersi di perderlo. “Signore, io…” balbettò in preda al panico.
“Non m’interessa, voglio che tu te ne vada, adesso!”
“È stato un incidente” si giustificò Percy.
“Adesso tu vieni con me!” Ruggì il Signor D afferrandolo per il polso non ingessato e trascinandolo dietro alle cabine, in modo tale che potessero parlare in privato.
“Non mi serve un bagnino che non può nuotare! Lo capisci questo?” Sputò fuori più adirato che mai.
“Posso nuotare lo stesso, non è un gesso, ho chiesto apposta di fare una fasciatura rigida, proprio per poter lavorare.”
“Che mi dici della tua faccia?”
“Gliel’ho già detto, è stato un incidente!”
“Sì, un incidente con il destro di qualcuno a cui non stai molto simpatico scommetto.”
Percy roteò gli occhi.
“Senti ragazzino, non m’interessano i tuoi problemi, non m’interessa se la notte prendi parte alle peggiori risse della riviera, quello che m’interessa è che tu venga a lavoro puntuale e faccia il tuo dovere, ma per farlo devi essere presentabile, e oggi non lo sei!” Percy aprì la bocca per ribattere, ma il Signor D lo gelò con un’occhiataccia e continuò a parlare. “Quindi adesso te ne vai a casa e non ti fai vedere fin quando la tua faccia non torna ad essere normale. Ne va dell’immagine di questo posto, lo capisci?”
Percy annuì mesto.
“Per ora non ti licenzio… ma ti becchi una lettera di richiamo, è chiaro?”
Percy chiuse gli occhi e annuì di nuovo.
“Ora vattene a casa, non riesco nemmeno a guardarti in faccia conciato così.”
“Signore io… la ringrazio.” E così dicendo Percy s’incamminò verso l’uscita senza riuscire ad aggiungere una parola di più.
“Percy” lo chiamò il Signor D prima che fosse troppo lontano. “Devi darti una regolata, dico sul serio… non puoi vivere così.”
“Lo so” borbottò Percy che avrebbe voluto sotterrarsi dalla vergona.
 
Quando rientrò in casa trovò Annabeth ancora a letto e capì che i suoi problemi non erano finiti. Doveva trovare il modo di chiudere quella relazione e non aveva la minima idea di come fare. Richiuse la porta e il rumore destò Annabeth che aprì gli occhi girandosi nel letto.
“Ehi, ciao” disse più radiosa che mai mentre si poggiava sui gomiti. “Sei andato a prendere le brioches?” domandò con un timido sorriso.
“Veramente no.” Rispose lui brusco aprendo il frigorifero e stappando una birra.
“Ehi” lo chiamò lei indispettita dalla sua reazione, “che succede?”
“Niente” sbottò lui con un tono che fece rimanere male Annabeth. “Solo perché non ti ho portato le brioches deve esserci qualcosa che non va? L’ultima volta che l’ho fatto mi hai quasi insultato e adesso le vuoi? Come pretendi che io ti capisca?” Le parole gli uscivano a raffica prive di filtro e Percy si rese conto che il suo tono suonava più sgarbato di quanto non volesse sembrare in realtà.
“Non capisco perché ti comporti così” disse Annabeth scossa.
Percy svuotò la birra tutta d’un sorso e si pentì di aver scelto un monolocale, se avesse avuto un bilocale a quest’ora si sarebbe chiuso in un’altra stanza pur di non dover parlare con Annabeth.
“Senti, non mi va di parlare con te, ok?” esalò Percy stremato dagli eventi della mattinata e da quella conversazione. “Anzi… perché non te ne vai?”
Annabeth incassò quell’ultima frase come s’incassa un pugno nello stomaco. Fece una faccia disgustata e obbedì. Sì alzò in silenzio dal letto e dopo aver recuperato i suoi vestiti si avvicinò alla porta. Aveva già una mano sulla maniglia quando si voltò a guardarlo un ultima volta.
“Sai una cosa… se oltre ad un pugno in faccia avessi preso anche una botta in testa potrei giustificare il tuo comportamento, ma dato che non l’hai presa sei uno stronzo e basta.” Dichiarò un attimo prima di uscire.
“Ne prendo atto” replicò Percy che non sembrava in grado di tenere a freno la lingua.
“Ah, un’ultima cosa, questa notte ci tenevi tanto a sapere quando partivo… dopo come ti sei comportato, volevo informarti che la risposta è: il prima possibile.”
La porta si richiuse prima che Percy potesse replicare di nuovo e lui rimase solo con una bottiglia di beck’s vuota tra le mani. Ci mise giusto qualche secondo a rendersi conto di quello che aveva appena fatto e non appena ne fu completamente cosciente scagliò la bottiglia con rabbia dall’altra parte della stanza. La vide ruotare lentamente in aria per poi schiantarsi contro il muro con un tonfo sordo che la fece andare in mille pezzi. Percy imprecò ad alta voce, poi aprì il frigorifero in cerca di un’altra birra che non trovò; a quanto pareva le sue scorte erano state azzerate la sera prima dai suoi amici. Percy richiuse il frigo sbuffando e fu solo in quel momento che i suoi occhi si posarono sulla bottiglia di whiskey che Jason aveva lasciato proprio li accanto. Afferrò la bottiglia e gli dedicò un’occhiata, era ancora chiusa e Percy si disse che avrebbe fatto bene a rimanere tale. La posò dove l’aveva trovata e gli voltò le spalle. Non poteva bere whiskey alle dieci del mattino, era una cosa triste e squallida, oltre che decisamente insalubre, e non aveva nessuna intenzione di attaccarsi alla bottiglia come un vecchio eremita. Quella riflessione non durò che pochi secondi perché Percy si voltò e afferrò la bottiglia, dopotutto, visto come stava andando la sua vita, poteva tranquillamente definirsi una persona triste e squallida e, viste le sue attuali condizioni fisiche, anche insalubre.
 
Jason si era svegliato con un cerchio alla testa. Aveva ancora la voce di Talia che gli rimbombava nelle orecchie, quella della sera prima era stata forse una delle ramanzine peggiori che lei gli avesse mai fatto e lui aveva finito con lo spegnere il cervello a metà della discussione. In tutto ciò, la cosa che più lo feriva, era il fatto che Piper non gli avesse minimamente rivolto la parola. Se n’era stata sulle sue tutta la sera, e non si era nemmeno presa la briga di chiedergli come stava. Aveva perso il conto delle volte in cui delle ragazze con cui si era comportato male gli avevano tolto il saluto, la differenza era che questa volta non riusciva a fare a meno di rimuginarci sopra.
Jason finì i suoi cereali scorrendo svogliatamente la bacheca di facebook. Leo aveva pubblicato una serie di selfie con la gelataia, Clarisse si era taggata al parco per il suo jogging mattutino, e a quanto pareva, Reyna, la sua ex, si era comprata due nuove paia di scarpe. Tra le possibili conoscenze spiccava la foto di una ragazza bellissima, era castana con gli occhi vispi che brillavano alla luce del sole, sotto alla foto c’era scritto Piper McLean e facebook gli faceva notare che avevano ben ventiquattro amicizie in comune.
Jason chiuse l’applicazione e si mise il telefono in tasca, sparecchiò la tavola e uscì di casa senza avvisare Leo, che, stando ai risolini che provenivano dalla camera da letto, doveva essere ancora in compagnia di Calypso.
Camminò a testa bassa per un paio di chilometri, non capiva per quale ragione si sentisse in colpa per quello che era accaduto con Piper; si era comportato esattamente come aveva fatto con tutte le altre ragazze che aveva frequentato, eppure, questa volta, non riusciva ad archiviare la faccenda. Sentiva di essere alle prese con qualcosa di nuovo e l’essere impreparato lo metteva a disagio.
“Ciao Jason” lo salutò Juniper, la fioraia che aveva un chiosco vicino alla piazza principale del paese.
Jason ricambiò il salutò mentre un’idea assurda si faceva largo nella sua testa.
“Juniper…” cominciò Jason un po’ titubante, “che fiori si mandano ad una ragazza che è talmente arrabbiata con te da non salutarti nemmeno più?”
Juniper scoppiò in un risolino. “Il nostro Casanova ne ha combinata un’altra delle sue, eh?”
“Beh… in un certo senso sì… la differenza è che questa volta vorrei rimediare.” Ammise Jason che cominciava a stupirsi di sé stesso.
“Ti dico già che stai guardando dalla parte sbagliata” disse Juniper notando che Jason aveva adocchiato un mazzo di rose rosse. “Lascia perdere le rose.”
Jason si voltò a guardarla. “Quindi che cosa mi suggerisci?” domandò.
“Fossi in te, proverei con questi.” Disse lei mostrandogli un mazzo di girasoli. 
“Andata” confermò Jason dettando indirizzo e nome a cui spedirli.
 
Quando Annabeth rientrò in casa, entrambe le amiche si voltarono a guardarla.
“Non fate domande per favore” esordì lei notando la curiosità impressa sulle facce delle ragazze.
“Ma hai dormito con Percy?” fece Piper ignorando bellamente la richiesta di Annabeth.
“Non fate domande ho detto!”
“Sì, ci ha dormito” decretò Talia, “e a giudicare dalla sua faccia lui deve aver fatto lo stronzo.”
Annabeth scrollò le spalle e gettò la borsa a terra.
“Bene, almeno non sono l’unica cretina ad essersi gettata tra le braccia di uno stronzo.” Sentenziò Piper con un’alzata di spalle. “La cosa mi consola.”
“La finite di dare degli stronzi ai membri della mia famiglia?” Intervenne Talia che cominciava a sentirsi a disagio. “Io vi avevo avvertito, vi ho detto a cosa andavate in contro, ma voi avete voluto fare di testa vostra! Comunque,” si affrettò ad aggiungere prima che una delle due potesse replicare, “visto che una volta tanto siamo tutte qui ne approfitto per fare una breve riunione…”
Piper e Annabeth si voltarono a guardare la padrona di casa con aria interrogativa.
“Per voi è un problema se dovessimo posticipare la nostra partenza?” domandò incerta. “So che vi avevo detto che avremmo fatto due settimane ma… beh, il fatto è che non ho ancora avuto modo di parlare con Grover… non mi risponde al cellulare e io non voglio andarmene via di qua senza aver chiarito quello che è successo.”
“Lo capisco… è una cosa che dovete assolutamente risolvere, per me va bene” asserì Piper comprensiva.
“Annabeth?” domandò Talia guardando l’amica speranzosa.
Annabeth rimase zitta, l’unico lato positivo di quell’imminente partenza era il fatto che non avrebbe più dovuto vedere Percy e di conseguenza il loro assurdo tira e molla sarebbe finalmente finito. D’altro canto il desiderio di Talia di chiarire la situazione con Grover era più che comprensibile e la tentazione di fare qualche altro giorno di mare era parecchio allettante.
“Va bene” esalò in risposta allo sguardo supplicante dell’amica.
“Bene, adesso cosa ne dite di andarcene un po’ in spiaggia?” propose Talia guardando l’orologio che segnava quasi le undici.
“Mi sembra un’ottima idea, vado a prepararmi.” Fece sapere Piper un attimo prima di chiudersi in bagno.
In quel momento qualcuno suonò il campanello e Talia andò ad aprire.
“Buongiorno” disse un omino basso con dei baffi molto buffi. “Ho qui dei fiori per la signorina Piper McLean” annunciò con un sorriso a trentadue denti guardando prima Talia e poi Annabeth come se volesse indovinare chi tra le due fosse la fortunata.
“Non ci credo!” Esclamò Talia allontanandosi dalla porta con le mani tra i capelli.
“Può lasciarli a me” fece Annabeth all’omino che era ancora in attesa sulla porta. “Ci penso io, grazie molte.” E così dicendo afferrò l’enorme mazzo di girasoli e richiuse la porta.
“Piper” chiamò Annabeth, “c’è una cosa che dovresti vedere…”
Piper aprì la porta del bagno e ne uscì con indosso bikini ed infradito.
“A quanto pare il tuo stronzo ha deciso di farsi perdonare… o perlomeno ci sta provando.”
Piper rimase impalata a fissare i fiori con l’aria inebetita.
“Ti prego, dimmi che non l’ha fatto per davvero.” Esalò dopo qualche secondo di silenzio.
“L’ha fatto eccome! Guarda, sul biglietto c’è scritto il tuo nome.” Le disse mostrandole il cartoncino che accompagnava i fiori.
“Beh, per quanto mi riguarda puoi anche buttarli, io non li voglio!”
Annabeth strabuzzò gli occhi.
“È inutile che mi guardi così!” Disse Piper notando il suo sguardo. “Se fosse stato Percy a mandarli, tu adesso staresti facendo la stessa cosa.”
“Beh, ma il comportamento di Percy è ingiustificabile, sembra che abbia una doppia personalità, non avete idea di come mi ha trattata stamattina.” Spiegò Annabeth guardando le amiche allibita, stentava ancora a credere che Percy si fosse veramente comportato così.
“Ce l’avremmo se tu ci raccontassi cosa è successo” precisò Piper che faticava a mascherare la sua curiosità.
Annabeth sbuffò levando gli occhi al cielo. “Eh va bene” esalò, “adesso vi spiego.” Posò l’enorme mazzo di fiori sul tavolo della cucina domandandosi da che parte cominciare.
“L’ho accompagnato a casa senza nessuna malizia… lui mi ha proposto di fermarmi a bere un tè e io ho accettato volentieri. Il fatto è che nel giro di mezz’ora ci stavamo baciando e siamo finiti a letto.” Annabeth piegò le labbra in una smorfia triste. Adesso che aveva litigato con Percy, ricordare quanto era stata bene quella notte le faceva tremendamente male. Si accorse che era sul punto di piangere, così si affrettò a terminare il suo racconto. “Beh, ho dormito da lui e stamattina quando mi sono svegliata mi ha risposto male e mi ha gentilmente chiesto di andarmene.”
“Diciamo che il titolo di Mr. stronzo dell’anno se lo giocano in un testa a testa.” Commentò Piper con la faccia disgustata.
Talia rimase in silenzio, conosceva abbastanza bene il cugino da sapere che quello era un comportamento anomalo anche per lui. Fortunatamente la discussione tra chi dei due fosse più stronzo decadde rapidamente e nel giro di dieci minuti uscirono di casa dirette alla spiaggia.
 
Jason era sdraiato su una panchina ad ascoltare la musica quando una delle sue canzoni preferite venne improvvisamente interrotta da una chiamata in arrivo.
“Cominciavo a pensare che ti fossi dimenticato di me” disse Jason rispondendo alla chiamata di Leo.
Il ragazzo dall’altra parte del telefono fece una risata forzata e disse: “molto divertente, sarai contento di sapere che ho appena accompagnato Calypso in negozio quindi adesso ti raggiungo in spiaggia.”
“Veramente non sono in spiaggia” fece sapere Jason mettendosi più comodo sulla panchina, “e penso che non ci andrò.”
“E allora dove pensi di andare?”
“Da Percy” concluse Jason alzandosi in piedi.
“Ehilà! Pronto? Ti sei rimbambito forse?” domandò Leo. “Percy è in spiaggia a lavorare.”
“Io non credo…” disse Jason osservando la bandiera rossa che sventolava in cima all’asta dei loro bagni.
“Cosa vuoi dire?”
“Leo, ci vediamo a casa di Percy tra dieci minuti.”
Esattamente dieci minuti più tardi Leo e Jason s’incontrarono davanti al portone di Percy.
“Ti dispiacerebbe spiegarmi cosa diavolo sta succedendo?” esordì Leo che non aveva ancora capito il perché di quell’appuntamento.
Jason non rispose, citofonò all’amico e rimase in attesa mentre Leo sbuffava contrariato.
“Bello il livido comunque” lo canzonò Leo che non aveva mai sopportato il silenzio.
“Fai poco lo spiritoso perché ho passato tutta la sera a cercare di chiamarti per avvisarti che eravamo in pronto soccorso ma tu dovevi essere troppo impegnato con la gelataia per domandarti dove fossimo finiti noi altri…”
“Pronto soccorso?” fece Leo incredulo.
“Ok” sbottò Jason, “piccolo riassunto della nottata: visto che tu stavi organizzando la tua cena al lume di candela, io ho cenato da Percy con Grover che ha confessato di essere andato a letto con mia sorella. La mia reazione non è stata delle migliori e la mia faccia è qui a testimoniarlo.” Spiegò Jason mostrando il livido con orgoglio.
“Grover e Talia?” fece Leo strabuzzando gli occhi incredulo.
“Sto cercando di rimuovere la cosa… quindi sei pregato di non fare ulteriori domande.”
“Quindi quel livido è opera di Grover?” domandò Leo che stentava a crederci. “No, a dire il vero no… è stato Percy, si è dovuto mettere in mezzo per dividerci e la situazione è un po’ degenerata” ammise ripensando a quanto era accaduto quella notte. Leo stava fissando inebetito il livido di Jason e fu solo allora che lui si sentì in dovere di avvertirlo: “affinché tu lo sappia, io sono quello che ha riportato meno danni.”
Jason citofonò una seconda e poi una terza volta sempre senza risultati.
“Lo vedi? Non risponde perché è in spiaggia!” Esclamò Leo allargando le braccia.
“Leo, in spiaggia c’era bandiera rossa nonostante il mare sia una tavola, il che significa che il bagnino non c’è!”
Leo sembrò riflettere un momento sulla cosa. “Cosa stai cercando di dirmi?”
“Che ho un brutto presentimento.”
In quel momento il portone si aprì di scatto e ne uscì un vecchietto con la bicicletta e i due ragazzi ne approfittarono per entrare nel cortile interno. Raggiunsero l’appartamento di Percy e Jason si attaccò al campanello mentre Leo cercava di sbirciare dalla finestra.
Jason bussava insistentemente alla porta chiamando il cugino a gran voce ma quello si guardava bene dal rispondergli.
“Ok, entriamo dalla finestra” annunciò dopo l’ennesima scampanellata.
“Cosa?” fece Leo titubante.
“Entriamo dalla finestra” ripeté Jason.
“Sì, avevo capito, era per esprimere il mio disappunto.”
“Cosa dovrei fare?”
“Chiamarlo al cellulare forse?” ipotizzò Leo.
“È da stamattina che lo chiamo ma ha il telefono spento.”
“Ok, se la metti così…”
“Tu controlla che non arrivi nessuno” e così dicendo Jason puntò un piede sulla grondaia e s’issò sul davanzale della finestra. Entrò nell’appartamento con un balzo e atterrò su una serie di vetri rotti. Imprecò ad alta voce mentre Leo da fuori gli chiedeva di aprire la porta.
“Arrivo” disse aprendo il chiavistello. “Attento ai vetri.” Lo mise in guardia.
Non ci misero molto a trovare Percy; era in bagno, letteralmente accasciato sul water, al suo fianco Jason riconobbe la bottiglia di whiskey che aveva portato la sera prima.
“Percy” lo chiamo Jason sollevandogli la testa.
“Sei ubriaco!”
“No” rispose Percy con un filo di voce.
“Non era una domanda.”
“Ah, ok, allora sì.”
“Cazzo Percy, il whiskey prima di pranzo no però!” Commentò Leo sollevando la bottiglia e mostrando a Jason che ne era rimasto meno di tre dita.
“Percy ti prego dimmi che non te lo sei bevuto tutto da solo” domandò Jason aiutando il cugino a stare dritto.
“Vedi qualcun altro forse? Certo che l’ho bevuto da solo” blaterò Percy che riusciva a stento a mettere insieme una frase. “E comunque è colpa tua, sei tu che mi hai portato quella bottiglia, io volevo una birra ma tu e Grover ieri le avete finite!”
“Facevi prima a metterti direttamente in lista per un trapianto di fegato, amico!” commentò Leo svuotando quello che rimaneva della bottiglia nel lavandino.
“Leo, così non sei d’aiuto!” lo rimproverò Jason. “Percy ma perché ti sei conciato così?”
“Ho fatto sesso con Annabeth anche stanotte” confessò lui sorreggendosi la testa con le mani.
“Non mi sembra un buon motivo per rischiare il coma etilico” gli fece notare Jason. “Il Signor D mi ha fatto il culo per le condizioni in cui mi sono presentato a lavoro, voleva licenziarmi e mi ha mandato a casa…”
“Questo mi sembra un motivo un po’ più ragionevole” ammise Jason mentre i sensi di colpa per aver colpito Percy con un pugno in faccia cominciavano a farsi sentire, non aveva certo pensato alle ripercussioni che la sua ira avrebbe avuto sul lavoro del cugino.
“Mia madre è incinta, Jason!”
“Lo so” sussurrò Jason continuando a sorreggere Percy che sembrava sul punto di accasciarsi sul pavimento da un momento all’altro.
“Cosa?” domandò Leo sgranando gli occhi. “Sally è incinta?”
Jason si voltò a guardarlo con un’occhiataccia.
“Leo non è il momento di spettegolare!”
“Sì ma cavolo, nel giro di dieci minuti ho saputo che Grover e Talia hanno fatto sesso e che la madre di Percy è incinta!”
“Leo ti ho detto che sto cercando di non pensare a quello che è successo tra Grover e mia sorella… quindi smettila di ricordarmelo, grazie!” Disse Jason a denti stretti.
“Stamattina ho cacciato Annabeth di casa” borbottò Percy attirando l’attenzione degli amici.
“Perché?” domandò Leo.
“Ero arrabbiato per quello che mi ha detto il Signor D e l’ho trattata male… non volevo, non volevo dirle quelle cose, non se lo merita.” Adesso la sua voce era quasi una lagna e a Jason si strinse il cuore nel vederlo in quelle condizioni.
“Percy, calmati, appena ti passa la sbronza starai meglio e le cose si sistemeranno.”
“No, non si sistemerà niente… Jason, la mia vita fa schifo.”
“Smettila di dire così, sei ubriaco e non sai cosa stai dicendo.”
“Veramente da ubriachi si tende a dire sempre la verità…” precisò Leo in piedi sulla porta.
“Adesso ti do un pugno” lo minacciò Jason voltandosi a guardarlo.
“Percy, mi dispiace per quello che è successo con Annabeth, ma tanto era una storia destinata a finire, credo che ripartano domani, dimenticati di lei!”
“Il mio braccio” esalò Percy.
“Cosa?” fece Jason convinto che Percy stesse delirando.
“Guarda il mio braccio” disse tentando di sollevare il braccio destro appesantito dalla fasciatura. Jason lo aiutò a sollevarlo e lo ruotò quanto bastava per vedere la porzione di pelle tatuata.
“Ma cosa cavolo…” si lasciò sfuggire Jason notando la nuova linea comparsa sotto al tridente. “Percy, io… non credevo facessi sul serio.”
Jason era incredulo, quella che Percy gli aveva appena fatto era più che una confessione, e sapeva di essere l’unico in grado di coglierla.
“Evvai! Percy ha un nuovo tatuaggio!” Ironizzò Leo per poi farsi improvvisamente serio e dire: “Jason, seriamente, ti degneresti di spiegarmi cosa sta succedendo?”
“Non ora.” Lo freddò l’amico.
“Percy adesso devi vomitare però!”
“Non ci riesco” protestò lui.
In quel momento il cellulare di Jason cominciò a suonare e lui lo tirò fuori dalla tasca per rispondere. Quando vide che era Piper a chiamare il suo cuore mancò un battito.
Rispose alla chiamata mentre faceva cenno a Leo di venire a sorreggere Percy.
“Ciao Piper” esordì Jason spavaldo mentre Percy gli si appoggiava addosso di peso.  
“Giusto per sapere… cosa mi rappresentano quei fiori che mi hai mandato?” domandò lei con voce sostenuta.
“Beh… ecco… io…” tentennò Jason per poi allontanare il telefono e dire: “Leo, ti dispiace darmi una mano.”
“Quindi?” fece Piper impaziente dall’altra parte del telefono.
“Scusami, è che adesso non posso parlare… ti dispiace se ti richiamo dopo?”
“Come?” ringhiò Piper indignata.
In quel momento Percy si decise a vomitare e si divincolò in modo maldestro dalla presa di Jason per centrare la tazza facendogli sfuggire il telefono di mano. Jason non riuscì a prenderlo al volo e il cellulare finì contro il bidet. In quel momento Leo entrò in bagno e si chinò a fianco a Percy per sostenergli la testa mentre vomitava. Intanto Jason recuperò il telefono e si lasciò sfuggire una bestemmia quando notò che il dispositivo si era spento e lo schermo era completamente crepato.
“Senti, io resto qui con lui.” Disse Jason a Leo aprendo l’acqua della doccia. “Tu vai a vedere come sta Grover… non vorrei che avesse fatto qualche cazzata pure lui.”
“Sicuro che ce la fai?” si assicurò Leo prima di lasciare l’appartamento.
“Sì, quando hai notizie di Grover avvisami sul cellulare di Percy.”
Leo uscì di casa e Jason tornò dal cugino.
“Spero che tu abbia almeno la forza di lavarti perché le chiappe non te le insapono!”
Percy sollevò il capo dal water e mostrò il dito medio a Jason che rise.
“Avanti, adesso fila in doccia!”
 Tre ore più tardi, Jason era sdraiato a pancia in su nel letto di Percy a fare le parole crociate mentre teneva d’occhio il cugino che dormiva profondamente. Quando lo vide aprire gli occhi richiuse il giornalino e si sfilò gli occhiali che usava solo per leggere.
“Bentornato nel mondo dei vivi” gli disse osservandolo destarsi lentamente.
“Cazzo” esordì Percy portandosi una mano alla fronte.
“Come stai?” domandò Jason in tono gentile.
“Di merda.”
“Sì, beh, non mi aspettavo nessun’altra risposta in effetti, sei vuoi lì c’è un’aspirina.” Gli disse indicando il comodino.
“Sono un coglione” si disse Percy cercando di mettersi seduto per prendere il medicinale.
“Sì, bersi quasi una bottiglia di whiskey da solo è decisamente da coglione.” Convenne Jason.
“Mi riferivo ad Annabeth…”
“Oh”
“Stavamo iniziando a capirci e… e io ho rovinato tutto.”
“Percy, io volevo chiederti scusa.”
Percy si voltò a guardarlo e si domandò di cosa stesse parlando il cugino.
“Sì, beh, per quel pugno e tutto il resto… ti ho quasi fatto perdere il lavoro e potevo farti male sul serio.”
“Adesso non esagerare… sei sempre stato una pippa a fare a botte” sdrammatizzò Percy ridendo.
“Disse quello che è così bravo a fare a pugni da riuscire a rompersi una mano.”
Risero insieme. Nonostante la situazione fosse tutto meno che comica quella risata li unì come non capitava da anni.
“E per quanto riguarda Annabeth... dovresti dirle quello che provi.” Azzardò Jason abbassando lo sguardo sul tatuaggio di Percy.
“L’hai detto anche tu… ripartiranno domani, mi farei solo del male, forse è meglio che sia finita così.” Disse Percy premendosi una mano sull’avambraccio marchiato. “Che mi dici di Piper?” aggiunse deciso a cambiare discorso.
“Vuoi veramente saperlo?” domandò Jason con lo sguardo fisso davanti a sé.
“Muoio dalla voglia”
“Le ho mandato dei fiori” ammise Jason arrossendo per l’imbarazzo.
Percy si voltò a guardarlo e fece del suo meglio per non scoppiargli a ridere in faccia. Jason che mandava dei fiori non era credibile nemmeno in una barzelletta.
“Sì, sì ridi pure, e non ti ho ancora detto che mi ha chiamato prima, mentre tu vomitavi e mi hai rotto il cellulare.”
“Cosa ho fatto?”
“Mi hai fatto cadere il cellulare e si è rotto, quindi la chiamata si è interrotta di botto e lei avrà pensato che le ho sbattuto il telefono in faccia.” Spiegò Jason affranto.
“Ok… adesso però posso ridere?” fece Percy che non riusciva più a trattenersi.
“Mi sembra che tu lo stia già facendo… comunque non ho il coraggio di chiamarla quindi penso proprio che sia finita.”
“A quanto pare la nostra vita sentimentale va di pari passo…”
“Schifosamente di pari passo, direi.”
Percy rise di gusto per un paio di minuti poi si ricompose e disse: “Comunque mi dispiace per il tuo cellulare.”
“Considerando che sei quasi stato licenziato per colpa mia, direi che siamo pari.” Rifletté Jason.
 
Quando Nico vide Will entrare in negozio con il suo sorriso smagliate e l’aria da bravo ragazzo capì che la sua giornata stava prendendo una brutta piega. Aveva passato la mattinata a tatuare il fondoschiena di una cliente che tutto aveva, meno che il fisico per farsi un tatuaggio in quella posizione, poi aveva dovuto fare un pircing alla lingua ad una ragazza che se la stava letteralmente facendo sotto e aveva perso un’ora intera del suo tempo a rassicurarla, e adesso ci mancava solo il figlio del farmacista che attaccava bottone.
“Buongiorno” esordì lui raggiante.
“Fra un po’ è buonasera visto che sono le cinque passate… e comunque sto per chiudere” disse Nico con tono brusco e sgarbato.
“Perfetto!” fece Will con un ampio sorriso. “Potremmo parlare del mio tatuaggio davanti ad un bello spritz e a qualche stuzzichino!” Propose Will con l’acquolina in bocca.
Nico inarcò le sopracciglia, allibito. “Non lavoro fuori orario” precisò sperando di liberarsi di quell’ospite inatteso.
“Ok, allora potremmo farci un aperitivo senza parlare di tatuaggi, che ne dici?”
“No” rispose secco Nico riordinando una serie di schizzi in una cartelletta rossa.
Per sua fortuna, in quel momento qualcuno entrò in negozio facendo suonare la campanella della porta. Era Kelli, questa volta senza Drew al seguito.
“Ciao Nico!” Lo salutò con la sua vocetta stridula. “Hai tempo di farmi un pircing?” domandò sfilandosi gli occhiali da sole.
“Certo” esclamò lui che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di liberarsi di Will.
“Bene, allora devo solo decidere dove farlo…”
“Va beh… per il tatuaggio ripasso, ok?” fece Will abbacchiato avviandosi all’uscita.
“Sì, sì.” Tagliò corto Nico mentre estraeva il materiale sterile dal cassetto.
“Senti, tu cosa dici?” domandò Kelli, “lo faccio a destra o a sinistra?” Nico sollevò il capo e si trovò davanti ai seni nudi di Kelly che aveva scostato il costume per mettere in bella mostra i capezzoli.
“Per me è uguale, decidi tu…” disse asciutto.
“Ma secondo te a Percy dove potrebbe piacere di più?” chiese tastandosi prima un seno e poi l’altro in preda all’indecisione.
“A Percy?” fece Nico storcendo il naso.
“Sì, non vedo l’ora di farglielo vedere, quello sulla lingua so già che lo adora.”
“Senti io non lo so, basta che ti decidi perché devo chiudere tra un quarto d’ora… e ti pregherei di stare dentro la cabina, non vorrei mai che i passanti ti vedessero mezza nuda dalla vetrina.” La pregò Nico mentre lei continuava a guardarsi i seni allo specchio.
“Ok, penso di aver deciso.”
 
Quella sera le ragazze optarono per un’uscita tranquilla al bar di Frank mentre, al contrario, nessuno dei ragazzi se la sentì di uscire. Percy non si era ancora rimesso del tutto dalla sbronza e aveva optato per una serata solitaria a letto davanti ad un buon film. Grover fece giusto due passi al parco dietro casa per permettere a Pan di espletare i suoi bisogni fisiologici. Jason e Leo si convinsero che era ora di fare una lavatrice, dal momento che nessuno dei due aveva più un vestito pulito da mettere, e passarono la serata a decifrare i programmi della lavatrice e a domandarsi dove andasse messo l’ammorbidente.
“Forse dovremmo chiedere alle ragazze” ipotizzò Leo guardando la lavatrice sconsolato.
“Non pensarci nemmeno!” Gracchiò Jason, “è una questione di orgoglio!”
“Ok, allora chiamo Percy, lui vive da solo… sarà capace di farla una lavatrice!”
Percy rispose con la voce di uno che sembrava essere nell’oltretomba. Leo non perse tempo e chiese subito delucidazioni in merito al funzionamento della lavatrice.
“Ah, quindi basta premere ON dopo aver impostato il programma a quaranta gradi?” Ripeté Leo mentre dal bagno Jason urlava che ce l’aveva fatta, senza bisogno delle sue indicazioni.
“Jason, Percy chiede se avevamo diviso i bianchi dai colorati…”
Jason e Leo si scambiarono uno sguardo, sapevano entrambi che la risposta a quella domanda era no.



Angolo dell'autrice: Eccomi di nuovo con l'aggiornamento di questa storia a cui mi sto affezionando sempre di più (come dimostra l'escamotage di fare qualche giorno di mare in più per poter proseguire la storia). In realtà volevo chiedere un vostro parere a riguardo già nello scorso capitolo ma mi sono dimenticata di scriverlo nell'angolo dell'autrice. Quindi ne approfitto per chiedervelo ora, avreste piacere nel vedermi proseguire un po' di più la storia o preferite che la chiuda? Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è forse il primo in assoluto in cui dedico così tanto spazio ai ragazzi, ma sentivo che ne avevano bisogno e spero che il risultato sia buono nonostante sia infinitamente lungo. Personalmente amo molto la complicità tra Percy e Jason che sono un po' cane e gatto ma nei momenti del bisogno ci sono sempre l'uno per l'altro. So che Leo è sembrato un po' inutile ma volevo che uscisse a tutti i costi dalla camera da letto in cui si era chiuso con Calypso, e poi avevo bisogno delle sue battute stupide in un momento cruciale come quello che ho descritto. Non preoccupatevi se la questione del tatuaggio di Percy non vi è sembrata molto chiara... era voluto e avrete delucidazioni molto presto, ma forse siete così bravi che vi siete già fatti una vostra idea a riguardo! :-) Fatemi sapere tutte le vostre impressioni, positive e negative, con le recensioni che leggo sempre volentieri e che mi caricano a manetta. Concludo dicendo che vi ringrazio tutti dal primo all'ultimo, ma ringrazio più di tutti quelli che commentano ogni singolo capitolo, siete un raggio di sole nel mie giornate più buie. :-) A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Domenica ***


 
DOMENICA

 
 
La domenica mattina, Annabeth si alzò prima delle amiche e, dato che loro sembravano essere ancora in coma profondo, ne approfittò per fare un salto al supermarket. Talia non aveva precisato di quanti giorni si sarebbe prorogata la loro vacanza, pertanto Annabeth decise di rifornirsi di alcuni prodotti di uso quotidiano che aveva finito, dentifricio e creme solari per esempio.
Entrò nel supermercato prendendo un carrellino dalla pila accanto alla porta d’ingresso, poi cominciò a districarsi nel dedalo di corridoi alla ricerca di ciò di cui aveva bisogno.
Lo scaffale dedicato alla cura della persona era enorme e Annabeth ci mise un po’ prima di identificare i prodotti che cercava. Afferrò un dentifricio a caso e poi passo alla zona in cui erano esposti i solari. Dopo uno studio accurato dell’espositore, riconobbe il marchio che preferiva, ovviamente si trattava dei prodotti esposti proprio in cima allo scaffale e Annabeth finì per maledire i suoi genitori per non averle fornito qualche centimetro in più di altezza. Sbuffò contrariata, poi spostò di lato il carrellino e allungò un braccio cercando di raggiungere il prodotto prescelto alzandosi sulle punte. Niente da fare, riusciva a sfiorare il flacone con le dita ma afferrarlo era tutta un’altra storia. Provò ad allungarsi una seconda volta ma il prodotto era sempre troppo in alto e lei troppo bassa per afferrarlo.
“Hai bisogno d’aiuto?” domandò una voce gentile alle sue spalle.
“Sì, grazie…” disse Annabeth abbassando il braccio e voltandosi per vedere chi fosse l’estraneo che si era appena offerto di aiutarla. Con sua grande sorpresa scoprì che non si trattava di uno sconosciuto bensì di Percy. Indossava pantaloncini corti e una semplice t-shirt, il suo viso era ancora emaciato dallo scontro con il cugino ma il suo tono era così pacato e rilassato da non sembrare neanche il suo.
Percy vide la faccia di Annabeth cambiare colore nel momento in cui lo riconobbe, poi lei si voltò di scatto e tornò a dargli le spalle, afferrò una crema a caso e finse di leggerne attentamente i componenti.
“Non voglio il tuo aiuto” ringhiò lei notando Percy che si avvicinava.
“Ma hai appena detto che…”
“Non pensavo fossi tu, ok? L’ultima volta che ci siamo parlati non avevi certamente un tono gentile, quindi non ti avevo riconosciuto. Adesso vattene!” Gli intimò Annabeth che voleva evitare di alzare la voce per non attirare l’attenzione di tutto il supermarket.
“Ma la crema che volevi era quella…” azzardò Percy mandando Annabeth su tutte le furie.
“Va benissimo questa” sbottò lei mettendo una crema a caso nel cestino con un gesto di stizza.
“Ok, sei arrabbiata con me e hai tutto il diritto di esserlo, resta il fatto che la crema che volevi era questa.” E con quelle parole Percy alzò il braccio privo di gesso e afferrò la crema incriminata senza difficoltà, posandola nel cestino di Annabeth. Poi, senza aggiungere altro, tornò sui suoi passi.
Annabeth capì che quella sarebbe stata una giornata nera quando si avviò alle casse per pagare e la cassiera l’avvisò che stava chiudendo. Senza protestare si spostò nella fila dell’unica cassa rimasta aperta e si ritrovò in coda dietro Percy. Lui la vide avvicinarsi ma non disse nulla, sembrava già sufficientemente adirata per la conversazione di qualche minuto prima e non voleva certo peggiorare la situazione.
Nell’attesa Annabeth abbassò lo sguardo sul cestino di Percy e la prima cosa che le saltò all’occhio fu una confezione di preservativi da dodici pezzi.
“Non perdi tempo eh?” sibilò non riuscendo a tenere a freno la lingua.
Percy esitò un momento prima di voltarsi. “Ce l’hai con me?” chiese incerto. Annabeth sollevò lo sguardo dal cestino e fece una smorfia. Percy capì a cosa si riferiva e sorrise scuotendo il capo. “Li ho finiti ed erano in offerta, tutto qui.” Spiegò con semplicità.
“Bravo giovanotto!” Esordì la vecchietta in coda davanti a Percy brandendo il bastone, “il sesso sicuro è importante!” e poi rivolta ad Annabeth: “tienitelo stretto, ragazzina! I giovani di oggi sono sempre più scapestrati! È difficile trovare un fidanzato con la testa sulle spalle e lui ha pure dei begli occhi!” Aggiunse dando un buffetto a Percy e che arrossì improvvisamente.
“Non è il mio fidanzato” precisò Annabeth imbarazzata, ormai tutta la gente in coda stava ascoltando la vecchietta che, a quanto pareva, faticava a tenere un tono di voce basso.
“Ai miei tempi era tutto più difficile,” fece sapere con un sospiro, “non è certo un caso che io abbia avuto cinque figli!”
Percy divenne bordeaux e si pentì seriamente del suo acquisto, se non si fosse fatto tentare dal prezzo scontato si sarebbe risparmiato quell’imbarazzante conversazione.
Cinque minuti più tardi Annabeth pagò la sua spesa e uscì dal negozio mettendo i prodotti in borsa. Subito fuori trovò Percy ad aspettarla; era appoggiato al muretto accanto alla porta d’ingresso e non appena la vide uscire la chiamò facendola sobbalzare.
“Scusa, non volevo spaventarti” aggiunse notando la reazione di Annabeth.
“Che cosa vuoi ancora?” sbuffò lei.
“Possiamo parlare un secondo come due persone civili?” domandò avvicinandosi. “Te lo chiedo per favore” aggiunse nel tentativo di convincerla.
“Senti, se ti do questa possibilità, mi garantisci che poi sparirai dalla mia vita?” chiese Annabeth esasperata.
“Te lo prometto.”
“Allora va bene, ti ascolto…”
“Perché non ci sediamo in un bar davanti ad una brioches e a un cappuccino?” propose Percy guardando con interesse il bar dall’altra parte della strada.
“Non ti allargare” lo redarguì Annabeth, impassibile.
“Ma fanno le migliori brioches del paese…”
“Percy, non voglio fare colazione con te, anzi, a dire il vero non c’è più niente che io voglia fare con te, se sono ancora qui è solo perché mi hai chiesto di ascoltarti e tu stai perdendo tempo a fare l’idiota.”
Percy abbassò lo sguardo mentre Annabeth parlava, poi prese forza e si obbligò a guardarla negli occhi. “So che posso sembrare uno stronzo, hai tutto il diritto di pensarlo dopo come mi sono comportato, il fatto è che ieri il Signor D mi ha quasi licenziato e quando sono tornato a casa ho sfogato tutta la mia ira e la mia frustrazione su di te, ed è la cosa più sbagliata che potessi fare dato che al momento sei l’unica cosa bella della mia vita.”
Annabeth sentì un brivido percorrerla, quelle parole l’avevano colta alla sprovvista e percepì in modo chiaro e vivido tutto il disagio di Percy nel pronunciarle lì sul marciapiede, in mezzo ai passanti sgomitanti desiderosi di raggiungere la spiaggia. Cercò per qualche secondo qualcosa di sensato e d’intelligente da dire ma nella sua mente i pensieri si contorcevano rendendole impossibile formulare una frase di senso compiuto.
“Ok, il tuo silenzio parla chiaro… e io sto cominciando a sentirmi un emerito coglione a dirti queste cose così, in piedi in mezzo alla strada con in mano un sacchetto della spesa, quindi scusami se ti ho rovinato le vacanze, spero che questi ultimi giorni siano meglio di quelli che hai passato finora.”
“Percy” lo chiamò Annabeth non appena lui accennò ad andarsene, “ti rendi conto che stai complicando le cose?”
Percy piegò le labbra in una smorfia. “Sì” ammise abbacchiato.
“Solo l’altro ieri ti proibivi di baciarmi perché dicevi che non potevi permettertelo e adesso te ne esci con queste frasi?”
“Lo so, quello che ti ho detto l’altro ieri lo penso ancora, non voglio più coinvolgerti nei miei casini, ma volevo anche che tu sapessi che sono felice di averti conosciuta.”
Annabeth sospirò pentendosi di non essere rimasta a poltrire nel letto con le amiche.
“Non so cosa dire” ammise dopo un momento di silenzio che le parve infinito.
“Non c’è bisogno che tu dica niente, non volevo una risposta.” Disse lui con un’alzata di spalle.
 
“Ogni tanto mi sembri Dottor Jekill e Mr Hyde…” fece sapere Annabeth mentre sorseggiava il suo cappuccino. Alla fine gli occhi dolci di Percy avevano avuto la meglio e lei aveva finito per accettare la sua proposta, così erano entrati nel bar di fronte al supermercato per fare colazione insieme.
“Lo so, mi rendo conto che ogni tanto le mie azioni possano sembrare contraddittorie e senza senso” per poi aggiungere rivolto al cameriere “posso chiederti altre due brioches?”
Udendo quella richiesta Annabeth strabuzzò gli occhi, sarebbero state rispettivamente la brioches numero tre e quattro della mattinata.
“Ho un po’ fame” spiegò Percy in risposta allo sguardo allibito di Annabeth. “Ieri sera non ho mangiato…”
“Come mai?”
“Non sono stato tanto bene” tagliò corto Percy evitando di spiegare il suo incontro ravvicinato con la bottiglia di whiskey.
“Mi spiace per quello che ti ha detto il Signor D” disse Annabeth risentita.
“Ha ragione” ammise Percy con lo sguardo fisso sulla schiuma del suo cappuccino.
“Tornando a noi… ora che abbiamo capito che siamo in grado di parlarci come due persone civili, posso chiederti come mai mi hai detto che in questo momento sono… che sono…”
“L’unico aspetto positivo della mia vita?” concluse lui notando che lei sembrava avere qualche difficoltà a completare quella frase.
“Sì, beh, non hai detto proprio così ma è a quello che mi riferivo.” Disse Annabeth un po’ imbarazzata.
“Perché è la verità. Mi hai conosciuto in un momento molto particolare della mia vita, non c’è una sola cosa che vada nel modo giusto e quando ho cominciato a conoscerti un po’ di più e ti sei finalmente decisa a parlarmi un po’ di te devo ammettere che ho pensato…” Fece una pausa per prendere fiato e Annabeth si rese conto che ciò che stava per dire doveva avere un peso notevole se gli costava così tanta fatica.
“Hai pensato che…” lo incalzò lei desiderosa di conoscere la fine di quel discorso tanto sofferto.
“Ho pensato che due persone a cui è stato fatto del male potessero stare bene insieme.”
Annabeth esitò un istante e Percy ne approfittò per spiegarsi meglio: “Cioè, no, aspetta… non insieme come coppia, intendevo insieme e basta, un po’ come adesso.”
“Sì, sì… avevo capito” mentì Annabeth tentando di ignorare tutti i dubbi che l’affermazione di Percy portava con sé.
“Anche perché, visti i miei trascorsi, come fidanzato devo fare veramente schifo.”
“E questo chi lo dice? Tu o le tue ex?” domandò Annabeth divertita.
“Diciamo che non ci sono recensioni positive a mio carico…” ironizzò Percy un attimo prima di finire il suo cappuccino.
“Vedi di non farlo sapere alla vecchietta del supermercato, sembrava una tua fan accanita!”
Percy scoppiò a ridere e Annabeth gli fece seguito felice del fatto che il clima tra loro andasse migliorando.
“Diciamo che tutte le ragazze che ho avuto avevano un doppio fine… Rachel, per esempio, è stata con me solo perché molte sue amiche mi reputavano un bel ragazzo.”
“Dici sul serio?”
“Ero convinto che nutrisse dei sentimenti per me e invece non ero altro che un trofeo da mettere in mostra…” Annabeth non riuscì a dire niente e Percy approfittò del suo silenzio per continuare a sfogarsi. “La cosa più assurda è che l’ho saputo solo l’altra sera alla festa di Clarisse.”
Annabeth sussultò, le si era appena accesa una lampadina. “Fammi indovinare… questa faccenda ha qualcosa a che vedere con il tuo pugno al muro per caso?”
Percy chinò il capo e fissò la tazza vuota davanti a lui lasciando intuire ad Annabeth che aveva fatto centro.
“Mi dispiace” sussurrò con sincerità.
Percy si strinse nelle spalle e si sforzò di sorridere.
“Non stare a dispiacerti, dopotutto forse è meglio così, se non altro adesso posso dire di averci messo una pietra sopra.”
In quel momento il cellulare di Annabeth l’avvisò che c’era un messaggio in arrivo, era Talia e le domandava dove fosse finita.
“Penso che i tuoi surgelati si stiano sciogliendo… forse è ora di andare.” osservò Annabeth fissando il sacchetto della spesa di Percy con apprensione.
“Al diavolo i surgelati”
“Dico sul serio, adesso devo andare ma se ti va possiamo vederci stasera” buttò lì Annabeth senza sapere nemmeno lei da dove le venisse una simile idea.
“Sì, io… io direi di sì, volentieri” balbettò Percy colto alla sprovvista.
“Allora ci sentiamo dopo, ok? Devo scappare.”
 
Leo si decise a svuotare la lavatrice della sera precedente poco prima di mezzogiorno. Aprì lo sportello della lavatrice scettico e cominciò ad estrarne i suoi vestiti e quelli di Jason assicurandosi che non avessero cambiato colore.
“Ehi Jason…” lo chiamò Leo ricordandosi improvvisamente di una cosa.
“Che c’è?” domandò l’altro raggiungendolo in bagno proprio mentre l’amico estraeva una delle sue magliette preferite che era diventata color rosa confetto.
“Dopodomani è il tuo compleanno!” gli ricordò Leo tentando di nascondere inutilmente la maglietta dal colore improponibile alla vista dell’amico.
“Penso che Percy avesse ragione quando diceva di dividere bianchi e colorati” osservò Jason ad alta voce in fissa sul catino del bucato in cui Leo stava accatastando i vestiti vittima di quella sfortunata lavatrice.
“Ehi! Vuoi starmi a sentire? Martedì è il tuo compleanno!”
“Lo so, sai com’è, sono ancora in grado di ricordarmi il giorno in cui sono nato!”
“Beh?”
“Beh cosa?”
“Dobbiamo decidere come festeggiare!” disse Leo che solo all’idea sembrava già essere parecchio su di giri.
“Nel caso tu non te ne fossi accorto, non sono proprio in vena di festeggiamenti.” Fece sapere Jason asciutto.
“E perché mai?”
“Forse perché ho litigato con mia sorella, fatto a pugni con Grover e rotto con Piper? Ah, dimenticavo che mio cugino sta attraversando una crisi esistenziale e il mio migliore amico è sempre in compagnia di una gelataia.” Con quelle parole Jason uscì dal bagno e Leo promise a sé stesso che gli avrebbe organizzato una delle più belle feste a sorpresa che avesse mai visto.
 
Verso l’una di pomeriggio Annabeth, Piper e Talia erano stese al sole sui rispettivi lettini a godersi il tenue venticello che rendeva possibile prendere il sole anche a quell’ora. In quel momento il telefono delle ragazze squillò in contemporanea e tutte si guardarono l’un l’altra con aria interrogativa.
“C’è un solo motivo per cui i nostri telefoni suonano insieme…” ragionò Talia ad alta voce.
“Gruppo WhatsApp” concluse saggiamente Annabeth.
Tutte e tre ravanarono nelle rispettive borse in cerca del proprio cellulare e la prima a trovarlo fu Piper. “Festa a sorpresa Jason” lesse ad alta voce con il tono disgustato di chi non voleva saperne, “com’è che faccio ad uscire dal gruppo?”
“Dai Piper, dopotutto Leo ha avuto un’idea carina” le fece notare Annabeth.
“E conoscendolo organizzerà qualcosa di grandioso.” Aggiunse Talia come se volesse convincerla. “Comunque il compleanno di Jason è martedì… quindi hai ancora un po’ di tempo per pensarci.”
“Annabeth scusa, a quella festa è evidente che ci sarà anche Percy, tu non avevi chiuso con lui?” Indagò Piper.
“Più o meno” rispose lei vaga.
“Dove credevi che fosse finita stamattina?” intervenne Talia inforcando gli occhiali da sole.
“Eri con lui?”
“Ci siamo incontrati al supermercato per caso… e abbiamo fatto colazione insieme.”
“Colazione insieme? Adesso si dice così?”
“Sì, un’innocente colazione al bar, lo giuro.” Le assicurò Annabeth con una mano sul cuore.
“Quindi hai già finito di odiarlo?” domandò Piper contrariata.
“Non l’ho mai odiato.”
“Ma sei ieri gli davi dello stronzo come se non ci fosse un domani!”
“Perché si era comportato male” spiegò Annabeth paziente, ma stamattina si è scusato e mi ha detto delle belle cose…” Sì sentì arrossire improvvisamente e decise di chiudere rapidamente il discorso.
“E poi perché oggi non è in spiaggia?” domandò Piper notando solo in quel momento l’assenza del bagnino e la costante bandiera rossa.
“Il suo capo gli ha dato qualche giorno di permesso per via della mano…” mentì Annabeth evitando di spiegare per filo e per segno quello che era accaduto realmente. Sapeva che Percy se ne vergognava profondamente e dopotutto lei non aveva il permesso di parlare dei fatti suoi senza interpellarlo, nemmeno con le sue amiche.
“Avete visto Percy?” domandò una voce stridula dalla seconda fila di ombrelloni.
Le ragazze si voltarono appena in tempo per vedere Kelli sfilarsi il copricostume e sfoggiare uno dei suoi bikini più succinti.
“Oggi non lavora” tagliò corto Talia mentre rifilava una gomitata ad Annabeth per farle capire di smettere di guardare Kelli così male. Fortunatamente in quel momento arrivò Dakota che come sempre non perdeva mai l’occasione di fare lo scemo con una ragazza, e le tre amiche ne approfittarono per defilarsi. Corsero insieme verso il mare evitando qualsiasi altra domanda Kelli avesse intenzione di fare su Percy.
“Non molla mai il colpo quella!” Commentò Annabeth dedicando un’altra occhiataccia a Kelli mentre Piper rideva.
“Te l’ho già detto… sono dieci anni che è ossessionata da Percy, non ha mai mollato il colpo in tutti questi anni, quindi non illuderti che lo faccia ora solo perché tu sei interessata a lui.”
“Certo che finché lui non le parla chiaro…” buttò lì Annabeth desiderosa di saperne di più ma troppo timida per chiederlo apertamente.
“Le ha parlato chiaro eccome, fidati.”
“E allora non capisco perché continua a stargli addosso.”
“Te l’ho detto, è un’ossessione.”
“Ma tra loro non c’è mai stato niente?” Chiese Annabeth ripensando alla scena cui aveva assistito pochi giorni prima.
“No, a differenza di mio fratello, ti posso garantire che Percy non è quel tipo di ragazzo.”
Quella frase creò una sensazione di piacere diffuso in Annabeth che tutta d’un tratto si sentì più leggera.
“Ho deciso che vengo via prima dalla spiaggia per andare da Grover, non ne posso più del suo silenzio…” fece sapere Talia cambiando improvvisamente discorso.
Annabeth e Piper la guardarono con comprensione, quella in cui Talia si era cacciata era senza dubbio una brutta situazione, nessuna di loro avrebbe voluto essere al suo posto.
 
A distanza di tre ore Talia stava camminando verso casa di Grover, adesso guardava quella dimora con occhi diversi, fino a qualche giorno prima la considerava la casa in cui aveva solo bei ricordi che si erano accumulati nel corso delle estati, ma adesso le evocava unicamente il ricordo della notte che aveva trascorso con Grover, la notte in cui aveva rovinato per sempre la loro amicizia. Raggiunse l’ingresso dove Pan l’accolse abbaiando e scodinzolando per salutarla non appena la riconobbe. Talia si sistemò al meglio la borsa del mare sulla spalla e si decise a citofonare mentre Pan metteva il muso fuori dal cancello in cerca di coccole.
“Si?” disse la voce di Grover al citofono.
“Grover…” iniziò Talia senza saper bene nemmeno lei cosa volesse dire.
“Scusami Talia, ma adesso sono molto occupato.” Tagliò corto lui cercando di liberarsi in fretta e furia di quell’ospite indesiderato.
“Grover, aspetta!” lo pregò lei stringendo le sbarre del cancello tra le mani per la rabbia. “Non puoi continuare ad evitarmi in eterno. Fammi entrare e parliamo un momento, per favore.”
“Scendo io… devo portare fuori Pan. Aspettami lì.” Riattaccò il citofono e un minuto dopo Talia lo vide uscire dal portone con il guinzaglio di Pan tra le mani. Aveva ancora il cerotto sul naso ma il suo viso sembrava in via di guarigione, o perlomeno la sua carnagione scura contribuiva a nascondere bene i lividi.
Camminarono fianco a fianco per un paio di chilometri senza riuscire a dirsi nulla. L’unico a non sentirsi in imbarazzo era Pan che tirava più del solito per raggiungere il parco costringendo Grover e Talia ad aumentare il passo per stargli dietro.
La prima a rompere il silenzio fu Talia, decisa più che mai a risolvere la situazione una volta per tutte.
“Conterebbe qualcosa se dicessi che mi dispiace?”
Grover non rispose, continuò a camminare tenendo lo sguardo fisso sul cane che trotterellava felice abbaiando ai gabbiani.
“Metà della colpa è mia” disse dopo un silenzio che a Talia parve infinito. “Certe cose si fanno in due… quindi non addossarti tutta la colpa perché sarebbe solo un errore. Sono dispiaciuto quanto te, senza contare che mi sento tremendamente in imbarazzo. Non voglio che vent’anni di amicizia vadano in fumo per colpa di una notte, sei la mia migliore amica e voglio che tu rimanga tale.”
“La penso esattamente come te” disse Talia felice di sapere che fossero sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda.
“Amici come prima?” domandò Grover tendendole una mano.
“Più di prima” precisò lei un attimo prima di stringerla.
 
Jason e Leo avevano passato l’intero pomeriggio a giocare a briscola in terrazza.
“Peggio dei vecchi!” Ironizzò Leo facendo le carte per la sesta volta consecutiva. “Comunque non ho ancora capito perché oggi non siamo andati in spiaggia.”
Jason roteò gli occhi. “Per la decima volta, Leo, non voglio vedere Piper… non so più come spiegartelo.”
“Quindi finché loro non ripartono, noi non andremo più in spiaggia?” Rifletté Leo confuso.
“Senti, non lo so, oggi va così, va bene?” Sbuffò il biondo stappando una birra.
“Comunque ti sto stracciando” Gli ricordò Leo facendogli tagliare il mazzo.
“Ma che cavolo mi è venuto in mente di mandarle dei fiori?” si chiese Jason ad alta voce portandosi entrambe le mani alla fronte.
“Senti Romeo, adesso smettila di rammaricarti per le tue pene d’amore perché quasi non ti riconosco.”
“Come lo giustifico un gesto del genere?” continuò Jason ignorando bellamente la richiesta dell’amico.
“Adesso mi hai scocciato!” Sbottò Leo abbandonando sul tavolo il mazzo di carte. “Se proprio non vuoi vedere Piper andremo alla spiaggia libera… ma oggi fa veramente troppo caldo per non fare un bagno!” E così dicendo Leo trascinò Jason fuori di casa a forza.
 
Alle nove e mezza di sera Percy aveva appena finito di farsi la barba ed era ancora in piedi davanti allo specchio del bagno intento a fissare la sua immagine riflessa. Il livido sullo zigomo era ancora evidente ma lui non se ne preoccupò nemmeno più di tanto. Si mise il dopobarba facendo attenzione a non toccare la zona dolorante e si diede un’ultima occhiata allo specchio prima di uscire. Erano rimasti d’accordo che si sarebbero visti davanti alla gelateria di Calypso e non avevano programmi definiti per il resto della serata, volevano solo passare del tempo insieme.
Quando Percy uscì di casa per raggiungere Annabeth in piazza si rese conto che il cuore aveva accelerato i battiti senza chiedergli il permesso. Svoltò nel primo vicolo sulla destra mentre diceva a sé stesso di calmarsi, dopotutto era un’uscita senza impegno e senza aspettative, non aveva motivo di agitarsi, ma proprio mentre iniziava a tranquillizzarsi si trovò di fronte due uomini grandi come armadi e decisamente poco amichevoli. Indossavano vestiti scuri e Percy li vide avanzare verso di sé con passo pesante e sicuro. Non perse tempo a domandarsi se quell’incontro fosse casuale o meno, istintivamente girò sui tacchi e fece per tornare sui suoi passi come se avesse semplicemente sbagliato strada, peccato che alle sue spalle ci fosse un terzo energumeno, armato, pronto a sbarrargli la strada.
“Ma che succede?” mugugnò Percy tornando a guardare i primi due con la coda dell’occhio e notando che adesso anche loro impugnavano saldamente una pistola.
“Tranquillo, queste servono solo nel caso in cui tu ti rifiutassi di collaborare…” era stato l’energumeno numero tre a parlare e fu solo dopo quelle parole che Percy capì che quei tre tizi non erano intenzionati a derubarlo.
“Collaborare?” domandò Percy confuso.
“Vedi quella macchina nera laggiù?” domandò uno dei primi due indicandogli l’auto in fondo alla via con la canna della pistola “Adesso tu vai verso quell’auto e senza fare domande entri e ti siedi sul sedile posteriore. Percy chiuse gli occhi e si costrinse ad obbedire senza fare domande. Aveva una brutta sensazione.
Salì in auto e si sedette al centro del sedile posteriore come gli era stato ordinato, accanto a lui presero posto i due uomini che gli avevano sbarrato la strada mentre il terzo si mise al volante e accese il motore solo dopo avere inserito la sicura alle portiere.
“Posso sapere dove mi state portando?” domandò Percy con la saliva azzerata.
“Lo saprai molto presto” rispose l’uomo alla sua destra, “il viaggio è molto più breve di quanto pensi.”
Aveva ragione. Cinque minuti più tardi l’uomo al volante spense il motore e Percy riconobbe la parte più vecchia del porto del paese, a quanto ne sapeva era in disuso da anni, ma quella sera ospitava uno yatch veramente troppo grande per non essere notato.
I tre individui scortarono Percy lungo la passerella che conduceva al ponte dell’imbarcazione e nella tenue luce del porto lui ebbe giusto il tempo di leggere il nome della barca; sulla chiglia dipinta di blu, con raffinati caratteri dorati, c’era scritto Andromeda.
Non appena furono a bordo, l’uomo che aveva guidato l’auto ritirò la passerella e lo yatch cominciò a muoversi. Gli altri due lo scortarono fino al ponte inferiore della nave e si fermarono davanti ad una porta in mogano impreziosita da intarsi complessi. Bussarono, e solo dopo aver ricevuto il permesso di entrare, aprirono la porta facendo cenno a Percy di entrare nella stanza.
“Buonasera” disse una voce profonda appartenente ad un uomo che se ne stava seduto in poltrona a scrutare il mare senza nemmeno prendersi la briga di voltarsi per guardare in faccia il suo ospite. “Ora potete lasciarci soli” aggiunse posando il bicchiere di martini sul tavolino davanti a sé e alzandosi per raggiungere Percy al centro della stanza.
Non appena l’uomo si voltò e Percy lo vide in faccia si sentì un idiota. Avrebbe dovuto capirlo subito. C’era una sola persona che avrebbe mandato tre tizi poco raccomandabili a rapirlo per farlo salire a bordo di uno yatch di lusso, e quella persona ovviamente era suo padre.
Trasudava superiorità e ricchezza da ogni poro, da com’era vestito, da come camminava, da come aveva posato il bicchiere di martini sul tavolo in marmo, persino i suoi baffi trasudavano ricchezza.
“Senti Perseus…” cominciò lui facendo venire la pelle d’oca a Percy che si stupì del fatto che suo padre ricordasse il suo nome, “ eviterò di chiederti come stai, primo, perché la tua faccia parla per te, e secondo, perché, come ben sai, non me ne frega un accidente.”
Percy fece una risata di scherno. “Come sempre aggiungerei.”
“Esatto” convenne Poseidone, “come sempre. Quindi, parliamo di cose importanti... ah, scusami se non ti offro da bere, ma qualunque bottiglia di alcolico a bordo di questa nave vale più di te, quindi scusami ma non me la sento di sprecarla.”
Percy fece un profondo respiro, non voleva cedere alle provocazioni del padre, non voleva fare il suo gioco, ma i suoi nervi erano tesi e lui voleva solo andarsene dimenticandosi per sempre di quell’uomo. Per non cedere alla rabbia si concentrò su Annabeth, durante il tragitto in macchina aveva ricevuto due messaggi e da quando era lì ne era arrivato un terzo, anche se non poteva averne la certezza era quasi sicuro che fosse lei a scrivergli. Probabilmente lo stava ancora aspettando in piazza e nei messaggi gli stava semplicemente domandando dove fosse finito, o forse, cosa più probabile, se n’era già andata, convinta del fatto che lui le avesse dato buca e quei messaggi erano solo una valanga d’insulti.
 “Ti domanderai perché ti ho fatto portare qui…”
“Veramente non m’interessa, voglio solo andarmene.” Fece Percy gelido.
“Ah, molto bene, pensavo ti avrebbe fatto piacere sapere che ho trovato il modo di dare un senso alla tua inutile esistenza.” Quella frase la disse con il tono più sprezzante che Percy gli avesse mai sentito usare e lui dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non prenderlo a pugni, dopotutto, con la mano destra fuori uso non era certo la cosa più sensata da fare.
“A proposito… ho saputo che presto avrai un fratello!” Percy si sentì gelare il sangue nelle vene, com’era possibile che lui lo sapesse? Sua madre ci aveva messo quasi otto mesi per dirlo a lui e Poseidone ne era già al corrente?
“D’altronde tua madre è sempre stata brava a farsi ingravidare” aggiunse con una risatina di scherno. Tutto l’autocontrollo di Percy si esaurì in un solo istante. Accecato dalla rabbia e dall’odio, fece per gettarsi addosso al padre ma lui si mosse con una velocità inaspettata e gli circondò il collo con il braccio. Aveva una forza disumana e Percy non era certo nelle migliori condizioni per affrontarlo. Solo dopo qualche secondo Poseidone allentò la presa e Percy cadde in ginocchio massaggiandosi il collo con la mano sana.
“Non ti azzardare mai più a parlare di mia madre in questo modo” l’avvertì Percy rialzandosi.
Poseidone ignorò completamente Percy e il suo avvertimento e si avvicinò alla scrivania dove schiacciò un pulsante che attivò l’interfono. “Fai entrare il dottore” disse con voce forte e chiara mentre Percy si accigliava domandandosi perché suo padre stesse chiamando un dottore. Dubitava seriamente che volesse accertarsi delle sue condizioni dopo averlo quasi strozzato.
Prima che potesse farsi altre domande la porta si aprì ed entrarono nuovamente i due energumeni, questa volta insieme ad un uomo barbuto di stazza normale che Percy intuì essere il dottore.
La cosa sarebbe stata meno inquietante se solo l’uomo in questione non fosse entrato spingendo un carrello con del materiale sterile tra cui siringhe e lacci emostatici.
“Ehi, aspettate un momento… questo adesso che cosa significa?”
“Avevo capito che la cosa non t’interessava” lo canzonò suo padre con un’alzata di spalle, per poi aggiungere rivolto al dottore, “procedi”.
Istintivamente Percy arretrò allontanandosi il più possibile dal carrello e i due uomini lo bloccarono permettendo al dottore di legargli il laccio emostatico intorno al braccio destro.
“Bello il tatuaggio” commentò suo padre godendosi la scena mentre estraeva un sigaro da una scatola in argento.
“Che cosa vuoi da me?” Ruggì Percy tentando di divincolarsi con tutte le forze che gli erano rimaste.
“Il tuo sangue” rispose Poseidone più serio che mai mentre Percy continuava ad agitarsi per impedire al dottore anche solo di avvicinarsi.
“Sono malato e ho bisogno un donatore di midollo spinale. Il dottore mi ha saggiamente consigliato di cominciare a cercarlo tra i parenti più prossimi e quindi eccoti qua. Fortunatamente ho tanti figli bastardi e questo rappresenta per me un numero maggiore di possibilità di trovarlo. Tenetelo fermo!”
I due uomini ubbidirono all’istante e Percy si ritrovò steso a terra con la faccia schiacciata sul pavimento e un ginocchio piantato nella schiena.
“Fategli questo dannato prelievo e fatelo sparire dalla mia vista!” Aggiunse Poseidone adirato.
Percy era allo stremo delle forze, quando gli afferrarono il braccio e gli misero nuovamente il laccio emostatico non riuscì nemmeno più ad opporre resistenza. Sentì l’ago bucargli la pelle e cercò di convincersi che tutto quello che stava succedendo non era reale, era un incubo, uno dei peggiori che avesse mai fatto, e non vedeva l’ora di svegliarsi.
“Fatto” disse la voce del dottore mentre Percy si sentiva mancare il fiato, aveva ancora il ginocchio dello scagnozzo di suo padre puntato nella schiena e cominciava a fare fatica a respirare.
“Lasciatelo” ordinò il medico, “così non riesce a respirare!” aggiunse notando che nessuno dei due gli dava ascolto.
“Fate come dice” intervenne Poseidone sapendo di essere l’unico a cui quei due bestioni obbedivano. Percy sentì la presa su di sé allentarsi e anche quando lo lasciarono si guardò bene dall’alzarsi, rimase steso a terra cercando di recuperare le forze.
“Quanto ci vorrà per le analisi?” domandò Poseidone impaziente.
“Dobbiamo spedire i campioni in laboratorio… dopodiché saranno loro a dirci di quanto tempo necessitano. Ma, se vuole un consiglio, prima di lasciarlo andare gli farei un prelievo più consistente, nel caso in cui il vostro gruppo sanguigno fosse lo stesso, il suo sangue potrebbe tornarci utile nel momento in cui lei dovesse avere bisogno di una trasfusione… è meglio essere preparati e avere delle scorte. Oltretutto il ragazzo mi sembra in buona salute, ha una corporatura robusta e questo fa di lui un ottimo donatore.”
“Molto bene,” convenne Poseidone lanciando un’occhiata a Percy che era ancora piegato in due sul pavimento, “allora procedi.”
“Preleverò circa mezzo litro di sangue” azzardò il dottore.
“Ne voglio un litro!” Disse Poseidone.
“Signore è troppo rischioso, c’è un limite per queste cose…”
“Me ne frego dei limiti, puoi anche dissanguarlo per quanto mi riguarda, ne voglio un litro!” Sbraitò Poseidone con un tono che non ammetteva repliche.
“Come desidera signore.”
“Ah, un’ultima cosa” disse afferrando Percy per i capelli e sollevandogli il capo quanto bastava per parlargli all’orecchio, “se mai ti venisse in mente di riprendere i tuoi studi e terminare quello che hai cominciato io lo saprò, e stai pur certo che farò qualunque cosa per impedirti di concluderli, sono certo che hai capito a cosa mi riferisco…” e con quelle parole lasciò la stanza senza aggiungere altro.
 
Erano da poco passate le undici quando la macchina nera svoltò nella via in cui abitava Percy. Gli scagnozzi di Poseidone si assicurarono che non ci fosse nessuno nei paraggi e poi scaricarono il ragazzo un paio di portoni prima del suo.
Percy ruzzolò fuori dall’auto e finì a terra sul marciapiede proprio mentre la macchina si allontanava sgommando. Era esausto, aveva la nausea e gli girava la testa. Non ricordava di essersi mai sentito così debole in vita sua. Strinse i denti e provò a strisciare per qualche metro, poi si arrese all’evidenza: aveva bisogno di aiuto. Sfilò il telefono dalla tasca dei pantaloni e lo accese. Con grande orrore trovò tredici chiamate senza risposta da parte di Annabeth e tre messaggi che gli chiedevano se fosse in arrivo, nessun insulto o cose del genere fortunatamente. Senza nemmeno farlo apposta fece partire una chiamata nei suoi confronti, non aveva nemmeno la forza per annullarla e chiamare qualcun altro, così si portò il telefono all’orecchio e rimase in attesa sperando che lei non fosse troppo arrabbiata per rispondergli.
“Annabeth” esalò con un filo di voce non appena lei rispose alla chiamata.
“Percy, ti ho aspettato per più di un’ora.” Fece sapere lei piuttosto contrariata ma non completamente adirata.
“Annabeth, ho bisogno d’aiuto” riuscì a dire lui ansimando.
“Percy” lo chiamò lei cambiando completamente tono.
Percy chiuse gli occhi, le forze lo stavano abbandonando, non aveva nemmeno più le energie per parlare.
“Percy!” lo chiamò di nuovo Annabeth, questa volta decisamente più preoccupata.
“Sono…”
“Dove sei?” chiese Annabeth, la voce era un crescendo di preoccupazione, ma Percy non rispondeva più. “Percy!” gridò nel telefono mentre si metteva al volo le scarpe e usciva di casa senza nemmeno chiudere la porta. Talia era ancora in compagnia di Grover e Piper era andata a letto presto.
“Percy, resta al telefono!” Lo pregò Annabeth correndo giù per le scale. “Mi senti? Percy, Percy, rispondimi!”
Lui grugnì qualcosa e Annabeth capì che doveva essere ancora lievemente cosciente.
“Percy, devi dirmi dove sei…”
“Quasi a casa” sussurrò lui tentando di riaprire gli occhi.
“Sto arrivando, tu però resta sveglio, hai capito?” Questa volta Percy non rispose più e Annabeth cominciò a correre mentre provava a telefonare a Talia per avvisarla. Scattò subito la segreteria e Annabeth imprecò ad alta voce proprio mentre svoltava nel vicolo che conduceva a casa di Percy. Lo vide a terra sul marciapiede e cominciò a gridare il suo nome dall’inizio della via. Lui non si mosse e lei si gettò a terra al suo fianco per accertarsi delle sue condizioni. Con suo grande sollievo scoprì che era sveglio ma era tremendamente pallido e ad Annabeth bastò un solo sguardo per capire che era troppo debole anche solo per parlare.
“Ehi, è tutto ok, sono qui…” gli disse stringendolo per dargli conforto.
“Adesso chiamo un’ambulanza”
“No, no…” esalò lui, “sto bene, ho solo bisogno di mangiare qualcosa… aiutami ad entrare in casa.” Annabeth lo guardò come si guarda un pazzo e lui aggiunse un “fidati” con l’ultimo filo di voce che gli rimaneva.
Lo aiutò ad alzarsi e insieme raggiunsero il portone di casa a fatica, una volta dentro Annabeth aiutò Percy a sdraiarsi sul letto e poi corse verso la cucina alla ricerca della zuccheriera e di un cucchiaino.
“Mangia un po’ di zucchero e bevi, intanto ti preparo da mangiare. Dopo mi spiegherai cos’è successo.” Percy non ebbe il tempo di dire nulla perché Annabeth gli cacciò un cucchiaino di zucchero in bocca senza preavviso.
Dopo quattro cucchiaini di zucchero Percy notò che riusciva almeno a tenere gli occhi aperti senza troppo sforzo. La vista era ancora annebbiata ma era comunque meglio di prima.
“Come ti senti?”
“Un po’ meglio…” biascicò lui con la bocca ancora impastata di zucchero.
“Te la senti di dirmi cos’è successo?”
“Mi hanno prelevato quasi un litro di sangue” spiegò Percy che ancora stentava a crederci. Annabeth non disse niente, abbassò lo sguardo sul braccio di Percy, dove, all’altezza della piega del gomito destro notò una serie di lividi ed ematomi come se chiunque avesse cercato di fargli il prelievo avesse fatto più tentativi prima di trovare la vena.
Nel silenzio della stanza il rumore del tostapane li fece sobbalzare entrambi. Annabeth tornò verso la cucina e assemblò un toast il più rapidamente possibile, poi tornò da Percy che guardava il panino con l’aria di chi non mangia da mesi.
Annabeth era talmente sotto shock da non riuscire a porre nemmeno domande, ma, finito il toast, fu Percy a parlare: “Stavo venendo all’appuntamento con te ma tre uomini armati mi hanno fatto salire in macchina e mi hanno portato fino al vecchio porto dove era ormeggiato uno yatch di lusso… c’è bisogno che ti dica di chi era?”
“Tuo padre?” azzardò Annabeth portando a Percy un altro toast che lui addentò senza troppe cerimonie.
“Quello stronzo è malato, e sta cercando un donatore di midollo… per questo mi ha fatto fare un prelievo, solo che poi ha voluto delle scorte di sangue nel caso avesse bisogno di una trasfusione e ha obbligato il dottore a prelevarne più del dovuto nonostante lui fosse contrario. Avevo ancora un ago nel braccio quando ha ordinato ai suoi scagnozzi di portarmi via! Mi hanno riportato qui, e poi sei arrivata tu…” Annabeth non lasciò che Percy aggiungesse altro, gli si gettò al collo e lo strinse a sé più forte che poteva, non riusciva a credere che al mondo potesse esistere gente tanto crudele.
Percy si beò del calore del suo abbraccio e si accorse che lei stava singhiozzando.
“Mi sono spaventata da morire” dichiarò asciugandosi le lacrime ancora stretta al suo petto.
“Mi dispiace” le sussurrò Percy all’orecchio, “solo stamattina ti avevo promesso che non ti avrei più coinvolta nei miei casini e invece sei di nuovo qui con me.”
Percy sospirò affranto.
“Cosa c’è?” domandò lei guardandolo dal basso verso l’alto.
“Mio padre sa di Charlie…”
“Com’è possibile?”
“Non ne ho idea ma la cosa non mi piace per niente…” rifletté Percy bevendo un sorso d’acqua. “Quell’uomo è ricco e potente, e non ha scrupoli. La cosa che più mi spaventa è che mi ha trovato come se avesse sempre saputo dove cercarmi.”
“Pensi che ti sorvegli?” chiese Annabeth preoccupata.
“Probabilmente sì, o perlomeno di sicuro avrà iniziato a farlo da quando ha scoperto di essere malato. Se dovessi essere compatibile sono rovinato, non mi chiederà certo il consenso per ottenere quello che vuole.”
Annabeth si sforzò di trovare qualcosa di confortante da dire ma non le venne in mente nulla, era scossa da brividi incontrollabili e faticava ancora a credere a quello che Percy le aveva appena raccontato. Si appoggiò nuovamente a lui, perché almeno con il contatto fisico era in grado di comunicargli tutto il suo supporto. E poi successe di nuovo. Incrociò quegli occhi verdi ancora una volta e in una frazione di secondo si trovò di nuovo attaccata alle sue labbra. Un bacio semplice, casto, puro, e poi di nuovo quegli occhi verdi.
“Non voglio farti pena” dichiarò Percy distogliendo lo sguardo.
“Pensi che ti abbia baciato perché mi fai pena?”
“Non sarebbe la prima volta… ogni volta che salta fuori mio padre tu reagisci così” osservò lui scuotendo il capo.
“Stai per sbattermi fuori di casa un’altra volta?” domandò lei incrociando le braccia al petto.
“Non potrei mai, mi sento ancora una merda per come ti ho trattato ieri…”
Annabeth si lasciò sfuggire una risata e Percy si voltò a guardarla con aria stranita.
“Cosa c’è da ridere?” domandò.
“Stavo solo pensando che i nostri appuntamenti sono andati uno peggio dell’altro.”
Percy fece un sorriso sghembo; non poteva certo darle torto.
Annabeth lo baciò di nuovo e rimasero lì sul letto, uniti da quel bacio, per parecchio tempo.
“Non limonavo così duro dai tempi del liceo” confessò Percy divertito.
Annabeth rise di gusto. “Scommetto che questa frase ti è uscita dritta dal cuore”
“Considerando che non ho abbastanza sangue in circolo per ragionare con altre parti del corpo… direi proprio di sì.”


Angolo dell'autrice: Ciao lettori e grazie ancora una volta per aver letto fino a qui. Sono molto felice del successo riscosso dal capitolo precedente e vi ringrazio per tutti i commenti che avete lasciato. Questo capitolo forse non è proprio come ve lo aspettavate, è molto incentrato su Percy e sulla sua storia, mi rendo conto di aver sacrificato altri personaggi (come ad esempio Will e Nico) per dargli spazio, ma avevo in testa questa faccenda di Poseidone già da un po', penso sia un colpo di scena che nessuno si aspettava e soprattutto infittisce un po' la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate. La scena del supermercato forse è un po' stupida ma mi faceva ridere, la vecchietta impicciona era un'altra di quelle cose che volevo inserire da tempo XD. Come sempre, non preoccupatevi se ci sono degli aspetti poco chiari (mi riferisco all'ultima frase che Poseidone dice a Percy), non ho intenzione di lasciare nulla di insoluto, quindi vi prometto che verrà spiegata anche questa cosa, intanto finalmente si è scoperto perchè Percy ha preso a pugni un muro alla festa di Clarisse. Abbiate pazienza, la storia necessita di tempo per essere sviluppata come si deve e per ora penso di aver sempre aggiornato con un ritmo decente... spero che sarete d'accordo con me e che vi farete vivi con le recensioni per dirmi la vostra! Grazie mille di cuore a tutti voi!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Lunedì ***


LUNEDì

 
 
Nico stava alzando la saracinesca del suo negozio quando sentì una voce chiamare il suo nome. Augurandosi di aver sentito male, si voltò appena in tempo per vedere Will avvicinarsi con due tazze di caffè e un sacchetto di carta tra le mani, un sorriso smagliante stampato in faccia. Nico alzò gli occhi al cielo domandandosi cosa avesse fatto di male per meritarsi tutte quelle attenzioni da parte del figlio del farmacista, poi finì di sollevare la saracinesca del negozio sperando che lui tirasse dritto senza obbligarlo ad avviare una conversazione.
“Caffè?” fece il biondo allungandogli una delle due tazze da viaggio.
“No grazie” replicò Nico inserendo le chiavi nella serratura del negozio senza degnare di uno sguardo il suo interlocutore.
“Krapfen alla nutella?” Tentò nuovamente Will sbandierando il sacchetto di carta che trasudava olio da frittura.
“No grazie” ripeté Nico entrando in negozio deciso a chiudere fuori Will e le sue buone maniere una volta per tutte.
“Beh, visto che il mio tentativo di addolcire la tua mattinata con una buona colazione è miseramente fallito, perché non mi dici tu cosa potrei fare per migliorare la tua giornata?”
“Toglierti dai piedi sarebbe decisamente d’aiuto” sbottò Nico giunto al limite della sopportazione, “e già che ci sei, potresti anche finirla di tartassarmi con i messaggi!” Aggiunse sempre più scocciato.
“Messaggi a cui non hai mai risposto” gli fece notare Will.
“E per un buon motivo” precisò l’altro ruotando il cartello in vetrina in modo che fosse leggibile la scritta ‘aperto’.
Will fece una smorfia poco convinta, poi posò caffè e krapfen sul bancone all’ingresso del negozio e uscì incamminandosi lungo il marciapiede.
Nico osservò il ragazzo allontanarsi senza commentare, poi spostò lo sguardo sulla colazione che il ragazzo aveva abbandonato sul bancone e poi di nuovo su Will che era ormai giunto alla fine della via; a quanto pareva liberarsi di quel biondino era stato più facile del previsto. Non gli restava che sperare che il resto della giornata fosse meglio di com’era cominciata.
 
Ad un paio di isolati di distanza, Annabeth aprì gli occhi infastidita dalla luce che filtrava dalle tapparelle e la prima cosa che vide, a parte i fastidiosi raggi solari, fu la sua mano. Con enorme sorpresa scoprì che le sue dita erano intrecciate in quelle di Percy che dormiva alle sue spalle circondandola con il braccio sinistro. Rimase qualche istante a guardare le loro mani intrecciate mentre il petto di Percy si gonfiava contro la sua schiena al ritmo del suo respiro. In quel momento un pensiero si fece largo nella sua mente: erano mesi che non dormiva abbracciata ad un uomo.
Si girò lentamente nel letto in modo da trovarsi a pancia in su per poter guardare meglio Percy, la mano ancora stretta nella sua quasi a voler simboleggiare il legame che, volente o nolente, si era creato tra di loro.
Passarono alcuni minuti prima che la luce arrivasse ad infastidire anche il viso di Percy, minuti in cui lei fece seriamente fatica a smettere di osservarlo. Era bello, e quando dormiva appariva rilassato come Annabeth non lo aveva mai visto, come se tutti i suoi problemi fossero lontani e la sua vita non stesse andando a rotoli.
Lo vide accigliarsi e fare una serie di smorfie prima di arrendersi alla luce del giorno aprendo gli occhi a fatica. Quando lo fece la prima cosa che vide furono gli occhi grigi di Annabeth e solo dopo si rese conto che si stavano tenendo per mano.
“Buongiorno Testa d’alghe” bisbigliò lei col suo tono più dolce.
“Ciao” sorrise lui ancora troppo addormentato per cogliere l’ironia del suo saluto.
“Come ti senti?” domandò Annabeth scrutando attentamente il suo viso su cui i lividi andavano scomparendo.
“Come tutte le volte che ho dormito con te…”
“Cioè bene?” azzardò Annabeth un po’ intimorita dalla sua spavalderia.
“Sì, bene.” Confermò lui abbozzando un sorriso. “Anche se hai la tendenza a conquistare il centro del letto rischiando di buttarmi giù ogni volta.”
Annabeth rise e gli diede un pugno affettuoso sulla spalla che lui incassò un attimo prima di avvolgerla con entrambe le braccia e stringerla a sé.
“Con questa simpatica battuta ti sei giocato la colazione.” Fece sapere Annabeth ancora stretta al suo petto.
“Tanto in casa non c’è niente di commestibile.” Annunciò Percy con una lieve alzata di spalle.
“Come sarebbe non c’è niente di commestibile? Hai fatto la spesa ieri!” Gli fece notare Annabeth sciogliendo l’abbraccio per poterlo guardare negli occhi.
“Sì, beh, ma era la classica spesa da uomo!” Sì giustificò Percy.
“Spesa da uomo?” Ripeté lei incerta.
“Principalmente birre e patatine” Tagliò corto lui omettendo due sacchetti di orsetti gommosi e una confezione di ovetti Kinder.
Annabeth inarcò un sopracciglio senza riuscire a commentare e fu solo allora che Percy aggiunse: “e il caffè, non posso vivere senza caffè.”
“Fantastico” ironizzò Annabeth, “allora metto su il caffè.”
“Ci penso io” si affrettò ad aggiungere lui alzandosi, “sei già stata fin troppo carina a farmi da mangiare ieri sera.”
Mentre Percy si dava da fare in cucina Annabeth ripensò alla sera precedente e s’incupì, tutto quello che era accaduto a Percy le sembrava surreale oltre che tremendamente ingiusto.
“Percy” disse mentre lui chiudeva la moka e la disponeva sul fornello, “so che preferisci non parlare di quello che è successo ieri sera, ma io penso che tu debba dirlo a tua madre…”
Percy s’irrigidì di botto, era evidente che avrebbe preferito mantenere quell’argomento tabù il più a lungo possibile.
“No, è fuori discussione, non voglio che si preoccupi per me.”
“Ma hai detto che tuo padre sa di Charlie, e poi sei suo figlio, è giusto che lei lo sappia.”
“Ha nominato Charlie solo per poter fare una battuta volgare su mia madre, non è interessato a lui, di questo sono abbastanza sicuro.”
“Che cosa hai intenzione di fare allora?”
Percy scosse il capo sconsolato e con un filo di voce ammise: “non lo so.”
Il tono del ragazzo fece capire ad Annabeth che per il momento era meglio far decadere la conversazione, Percy non sembrava aver ancora metabolizzato la cosa e, pertanto, al momento sarebbe stato impossibile fare un discorso sensato con lui. Si alzò dal letto per andare in bagno e proprio mentre si richiudeva la porta alle spalle qualcuno suonò il campanello. Percy raggiunse la porta d’ingresso e l’aprì domandandosi chi mai avrebbe potuto fargli visita a quell’ora, dubitava seriamente che i suoi amici fossero già svegli.
Dietro la porta, infatti, non trovò né Jason né Grover, bensì il Signor D con indosso una camicia verde acido che avrebbe fatto concorrenza ad un evidenziatore.
“Bu-buongiorno Signor D!” Balbettò Percy sperando che Annabeth sentendo il nome del suo capo rimanesse chiusa in bagno fin quando non fossero rimasti di nuovo soli. La sua vita lavorativa era già in bilico senza che il suo capo lo beccasse in compagnia di Annabeth, dopotutto il regolamento allegato al suo contratto parlava chiaro: niente relazioni con le clienti.
“Ciao Percy” cominciò il Signor D un po’ imbarazzato. “Io… beh, diciamo che sono venuto a vedere come stavi perché… beh lo sai anche tu, il picco di stagione si avvicina e io non posso certo fare tutto da solo…”
“Oh” esalò Percy colto alla sprovvista, dal suo capo era abituato a sentirsi chiamare sempre per cognome, e adesso sentirlo pronunciare il suo nome lo aveva letteralmente sorpreso, “si, certo, io sto molto meglio… e beh, se per lei la mia faccia può essere considerata presentabile, posso tornare a lavoro quando vuole.”
Era strano sentire il Signor D parlare con un tono educato e quasi cordiale. Si poteva dire che per la prima volta stessero avendo una conversazione normale, cosa che non capitava mai dal momento che di solito il Signor D si limitava a sbraitare il suo cognome per poi impartirgli una serie di ordini ricordandogli puntualmente che non lo pagava per starsene con le mani in mano.
“Sì, diciamo di sì” fece il Signor D scrutando con attenzione il viso di Percy che ormai mostrava solo qualche residuo della scazzottata con il cugino, “più che altro io ho bisogno di te in spiaggia e tu hai bisogno di lavorare.” Quell’ultima frase la disse tenendo gli occhi bassi e quando li sollevò Percy notò un velo di compassione nel suo sguardo, come se avesse notato solo in quel momento qualcosa di spiacevole.
Percy non osò fare domande, aveva paura di rompere quello strano equilibrio che ancora non sapeva spiegarsi.
“Ah Percy, ci sarebbe anche un’altra cosa...”
Percy sollevò entrambe le sopracciglia in attesa che il suo interlocutore si decidesse a continuare.
“Ho un po’ di richieste per le immersioni… pensi di potercela fare?” Chiese guardando con apprensione la mano fasciata del ragazzo.
Percy dovette trattenersi dal fare i salti di gioia, erano mesi che non faceva un’immersione e bastò l’idea a mandarlo letteralmente su di giri; poi si guardò la mano steccata e capì la preoccupazione del suo capo.
“Non ha di che preoccuparsi, troverò una soluzione.” Disse deciso a mantenere quella promessa; il richiamo del mondo sommerso era più forte che mai e lui avrebbe fatto qualunque cosa pur di assecondarlo.
Il Signor D annuì speranzoso. Quello delle lezioni d’immersioni era un business da non sottovalutare, l’idea era stata di Percy e lui era anche l’unico a potersene occupare dal momento che era il solo ad essere in possesso di un brevetto valido e certificato; non gli restava che sperare.
“Allora ti aspetto domani in spiaggia alla solita ora e ti faccio parlare direttamente con i clienti.” Gli voltò le spalle e se ne andò gracchiando qualcosa che suonava come un: “a domani Jackson!” Percy sorrise salutandolo con la mano; era tornato ad essere il Signor D di sempre.
Annabeth uscì dal bagno non appena sentì Percy dare due mandate alla porta d’ingresso.
“A quanto pare ho di nuovo un lavoro” fece il ragazzo con il suo solito sorriso sghembo. Annabeth gli sorrise di rimando, sinceramente felice per lui, poi si fece nuovamente seria e disse: “E così dai lezioni d’immersione eh?”
Percy sorrise di nuovo, gli era parso di cogliere una nota di gelosia nella voce di Annabeth e non avrebbe potuto esserne più felice.
 
Erano da poco passate le tre del pomeriggio quando il Signor D si avvicinò all’ombrellone delle ragazze. Annabeth e Talia erano rintanate all’ombra mentre Piper si ostinava ad intensificare la sua abbronzatura il più possibile sdraiata al sole.
“Talia posso parlarti un secondo?” domandò l’uomo senza troppi giri di parole.
Talia si sfilò gli occhiali da sole e si mise a sedere sul lettino cercando le infradito. “Perché no?” disse alzandosi.
Passeggiarono sul bagnasciuga sotto il sole cocente e solo dopo qualche minuto il Signor D si decise a dar voce ai suoi pensieri: “sono preoccupato per tuo cugino.” Ammise con gli occhi puntati sull’orizzonte.
Talia strabuzzò gli occhi. “Cosa?” fece incredula.
“Hai capito bene”
“Sì, voglio dire, lei che si preoccupa per Percy è… un paradosso!”
“Senti signorina, il fatto che io sia un vecchio scorbutico non significa che non tenga a voi. Vi ho visto crescere e conosco le vostre storie, so cosa ha passato tuo cugino e ho paura che faccia degli errori... errori di cui si pentirebbe.” Disse quelle ultime parole come se volesse lasciare intendere molto più di quello che banalmente significavano e Talia si accigliò domandandosi dove volesse arrivare.
“Ok” esalò notando che lui non sembrava intenzionato a dire nulla di più esplicito, “vuole dirmi di preciso a cosa si riferisce oppure vogliamo giocare al gioco degli indovinelli fino al tramonto?”
“Vuoi veramente farmi credere che non l’hai visto di recente? Ha fatto a botte con qualcuno e si è anche rotto una mano!” Sputò fuori il Signor D tutto d’un fiato. Talia sospirò affranta, come poteva spiegare al Signor D che se Percy si era ridotto in quelle condizioni era solo colpa sua.
“Veramente…” esordì incerta, “io credo di sapere come siano andate le cose.”
“Certo, quando l’ho visto stamattina anch’io ho capito come devono essere andate le cose.” Fece sapere il Signor D portandosi una mano alla fronte imperlata di sudore.
“L’ha visto stamattina?” domandò Talia sempre più stupita dall’atteggiamento del proprietario del lido.
“Sì” confermò lui, “quando ho visto i segni sul braccio ho fatto due più due. Ho capito che deve essere finito in qualche brutto giro e deve aver fatto a pugni con qualcuno per procurarsi…”
“Procurarsi?” lo incalzò Talia.
“Che cosa pensi che si procuri uno che ha dei buchi nel braccio?” sbottò il Signor D visibilmente provato da quella conversazione.
Talia si sentì mancare, non poteva credere alle sue orecchie.
“I buchi?” balbettò incredula mentre sentiva il magone crescerle in gola.
“Tuo cugino si droga, è evidente, è per questo che sono preoccupato per lui.”
“Non può essere, io so perché si è rotto una mano e so anche chi è stato a dargli un pugno, e le garantisco che Percy non si droga.” Era estremamente difficile suonare convincente senza poter spiegare tutta la faccenda dall’inizio, ma l’ultima delle sue intenzioni era quella di mettere in mezzo Jason e raccontare quello che era accaduto tra lei Grover.
“Talia ci sono rimasto male quanto te, ma so quello che ho visto, quelli che ha sulle braccia sono buchi di aghi, e poi era agitato… come se la mia visita lo preoccupasse. Ora devo andare, ma tu faresti meglio a parlargli.” E con quell’ultimo monito il Signor D tornò sui suoi passi lasciando Talia in balia dei pensieri.
Ci mise cinque minuti buoni prima di decidersi a tornare all’ombrellone. Era affranta e terrorizzata allo stesso tempo, come se una parte di lei avesse paura che il Signor D potesse avere ragione. Raggiunse l’ombrellone, dove Annabeth e Piper dormivano rispettivamente all’ombra e al sole e radunò le sue cose in quattro e quattr’otto, poi s’incamminò verso casa di Percy, non avrebbe convissuto con quei pensieri un momento di più. Aveva bisogno di fare chiarezza su quella faccenda il prima possibile.  
Arrivò a casa del cugino e come sempre riuscì ad infilarsi nel cortile interno incrociando qualcuno che usciva, poi raggiunse la porta d’ingresso e cominciò a bussare con insistenza, il cuore che le martellava nel petto e la salivazione azzerata per l’agitazione.
Percy aprì la porta solo dopo aver guardato nello spioncino, dopo la visita del Signor D non sapeva più cosa aspettarsi.
“Ciao Talia” disse lui facendo segno alla cugina di entrare. Lei fece due passi nella stanza e appena vide il braccio destro di Percy scoppiò a piangere proprio mentre lui richiudeva la porta. Quello che le aveva riferito il Signor D era vero, quelli che aveva nell’incavo del gomito erano inequivocabilmente segni procurati da aghi.
“Talia ma cosa ti prende?” domandò lui seriamente preoccupato, in vent’anni aveva visto piangere la cugina forse un paio di volte.
“Percy cosa ti sta succedendo? Perché hai fatto una cosa simile?” Talia era talmente sconvolta che le parole le uscivano a singhiozzi e Percy quasi stentava a capirla.
“Io non ho fatto niente” disse Percy sempre più confuso.
“Prima il Signor D mi ha preso da parte per dirmi che è preoccupato per te, dice che hai cominciato a drogarti ma io non gli credevo così sono venuta qui per sapere la verità e… e ha ragione!” L’ultima parola la disse lasciandosi cadere di peso sul divano e fu solo allora che Percy capì a cosa si riferiva. Si guardò il braccio dove all’altezza della piega del gomito aveva gli ematomi, poi sollevò lo sguardo sulla cugina e sorrise.
“Hai davvero pensato che mi drogassi?” domandò guardando la cugina già sufficientemente in imbarazzo per aver pianto.
“Perché? Non è così?” chiese Talia speranzosa asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“E il Signor D si è preoccupato per me?” domandò per accertarsi di non avere capito male.
“Sì, ma adesso dimmi la verità, ti prego! Ti droghi?”
“Certo che no!”
“E allora quelli cosa sono?” domandò Talia indicando gli ematomi.
Percy si guardò di nuovo il braccio e rabbrividì.
“È successa una cosa orribile” spiegò tornando a guardare la cugina.
Talia rimase in attesa senza sapere bene cosa aspettarsi, cosa c’era di più orribile dell’idea che suo cugino avesse cominciato a drogarsi?
“Si è fatto vivo mio padre.”
“Che cosa?” domandò Talia sbalordita scattando nuovamente in piedi.
“Hai capito bene.”
Percy si lanciò in un racconto lungo e dettagliato di tutto quello che era avvenuto la notte passata, e solo alla fine, dopo un lungo silenzio, Talia riuscì ad esprimere tutto il suo disappunto. Era sconcertata, oltre che spaventata, e si sentì una stupida per aver pensato anche solo per un secondo che il cugino avesse cominciato a drogarsi. Gli gettò le braccia al collo e lo strinse più forte che poteva.
“E comunque ero agitato perché Annabeth era in casa e se il Signor D l’avesse vista mi avrebbe licenziato in tronco!” Aggiunse Percy non appena Talia sciolse l’abbraccio.
“Annabeth non mi ha detto nulla” rifletté Talia ad alta voce.
“Sono stato io a chiederglielo” spiegò Percy versando una tazza di caffè che porse alla cugina. “Non volevo che ti preoccupassi e in ogni caso era più giusto che fossi io a parlartene.”
“Devi andartene da qui” disse Talia poggiando la tazza sul tavolo con tanta energia da far strabordare il caffè macchiando il tavolo.
“Ci ho già pensato ma non è una soluzione…” fece lui scuotendo il capo.
“Percy, sa dove trovarti… se dovessi essere compatibile verrà a prenderti.”
“Non credere che non lo sappia” sbottò Percy lasciando trapelare tutta la sua preoccupazione.
“E allora cosa hai intenzione di fare?”
“Ancora non lo so… ma ho bisogno di staccare un attimo da tutto per poter pensare e c’è un unico modo che conosco per farlo…”
Talia colse l’antifona, c’era un’unica attività a cui il cugino poteva riferirsi: nuotare.
Uscirono insieme dall’appartamento di Percy e s’incamminarono verso la spiaggia libera parlando di tutt’altro; mancavano ancora poche ore al rientro in servizio di Percy, così il ragazzo decise di evitare il lido del Signor D fintanto che poteva.
 
Jason e Leo avevano passato l’intero pomeriggio sugli scogli perché Jason si rifiutava categoricamente di andare all’ombrellone per paura di incontrare Piper e doverci parlare.
“Tu e i tuoi dannati problemi di cuore” borbottò Leo agitandosi sull’asciugamano nel tentativo di trovare una posizione più comoda.
“Ehi” fece Jason sdraiato al suo fianco sollevando leggermente gli occhiali da sole per vedere l’amico, “io non ho problemi di cuore, mettitelo in testa.”
“Se così fosse, non saremmo qui a spaccarci la schiena!” Replicò Leo mettendosi seduto a gambe incrociate, rinunciando una volta per tutte a stare sdraiato. “Le persone normali stanno in spiaggia, non appollaiati sugli scogli come i gabbiani!” Aggiunse scacciandone uno che aveva iniziato a mordicchiare il margine del suo asciugamano.
“La vuoi smettere di lamentarti?” esalò Jason steso al sole con entrambe le braccia dietro la testa a mo’ di cuscino.
“Giusto per sapere, sei sempre deciso a non festeggiare il tuo compleanno?” indagò Leo.
“Più che deciso, anzi, potremmo farci una serata da qualche parte, che ne dici?”
“Non credo proprio! L’ultima volta che ti ho sentito dire una cosa del genere ti ho dovuto riportare a casa di peso perché non ti reggevi nemmeno in piedi.” Gli rammentò Leo che aveva il ricordo di quella serata ancora vivido nella memoria.
“Come la fai lunga” borbottò Jason che aveva decisamente meno ricordi in merito a quell’uscita.
In quel momento qualcuno sbucò dalla superficie dell’acqua sotto di loro facendoli trasalire entrambi.
“Buonasera” esordì Percy studiando attentamente gli scogli e ideando un sistema per salirci che non prevedesse l’uso della mano ingessata.
“Percy!” Esclamò Leo guardandolo dall’alto, “mi hai fatto venire un infarto!”
“Non badargli” intervenne Jason poggiandosi sui gomiti, “è tutto il giorno che si lamenta.” Leo sbuffò lanciandogli un’occhiataccia. “Comunque” continuò Jason, “se vuoi un consiglio spassionato, ti direi di uscire dall’acqua… non so quanto sia saggio fare il bagno con quella.” Concluse indicandogli la mano destra.
“Grazie del consiglio Jason, ma sarebbe molto più utile se tu ti alzassi e venissi a darmi una mano!”
“Ci penso io” intervenne Leo, “sua maestà non mi sembra intenzionato a scomodarsi.” E così dicendo aiutò Percy ad uscire dall’acqua.
“Cos’hai combinato a quel gomito?” domandò Jason sfilandosi gli occhiali da sole per vedere meglio la gomitiera in tessuto che il cugino indossava per coprire i segni che avevano fatto scoppiare in lacrime Talia.
“È una lunga storia… giuro che dopo te la spiego” disse Percy più che deciso a confrontarsi riguardo gli ultimi avvenimenti anche con il cugino.
“Ah” intervenne Leo, “già che ci sei, perché non convinci Jason a chiarire con Piper così ce ne possiamo tornare tutti sulla spiaggia?”
“Ancora con questa storia?” brontolò Jason toccato sul vivo. “Piper non c’entra niente… avevo solo voglia di starmene un po’ lontano dal marasma della spiaggia!”
“La vuoi smettere di negare l’evidenza?” fece Leo incrociando le braccia al petto.
“Io non ho bisogno di negare niente, non è certo la prima ragazza che faccio incazzare…”
“Ma è la prima di cui t’importi veramente qualcosa” aggiunse Percy prima che lui potesse concludere la frase.
“Non dire idiozie” si difese l’altro.
“Non ho motivo di dire idiozie… ti conosco da vent’anni e sono convinto di quello che ho detto.”
“Cosa hai da dire a tua discolpa?” fece Leo che lo scrutava con le braccia conserte.
“Balle” fu la concisa risposta di Jason.
Percy e Leo si scambiarono un’occhiata d’intesa, sapevano entrambi che Percy aveva fatto centro e che Jason non l’avrebbe mai ammesso.
“Sapete cosa c’è?” fece Leo qualche minuto più tardi. “Me ne torno in spiaggia a prendere il sole come le persone normali.”
“Vengo con te” disse Percy notando Kelli che nuotava nella loro direzione.
I due amici s’incamminarono e raggiunsero l’ombrellone con le ragazze a passo piuttosto spedito per non scottarsi i piedi con la sabbia bollente.
“Ragazze!” Esordì Leo con un gran sorriso. “Dato che Jason oggi ha deciso di fare l’eremita sugli scogli potremmo approfittarne per parlare un momento della sua festa a sorpresa.”
“Io non ci vengo” dichiarò Piper piuttosto indispettita attirando l’attenzione di tutti.
“Non mi guardate così!” Disse lei infastidita da tutti quegli sguardi. “Non ci vengo alla festa di uno che prima mi regala dei fiori e poi sparisce dalla faccia della terra senza nemmeno essere più reperibile al cellulare.”
“Oh” esalò Percy grattandosi il capo un po’ in imbarazzo, “temo che sia colpa mia…” In quel momento Annabeth spostò lo sguardo su Percy seriamente incuriosita, quel ragazzo non avrebbe mai smesso di stupirla.
“Jason è senza cellulare da sabato pomeriggio…” spiegò Percy sperando che nessuno domandasse cosa c’entrava lui con quella faccenda.
“E perché sarebbe colpa tua?” indagò Annabeth, un cipiglio sospetto impresso in volto.
Percy roteò gli occhi, non le avrebbe certo spiegato che glielo aveva rotto nel tentativo di vomitare. “Mi è caduto e si è rotto” tagliò corto.
“Mi stai dicendo che Jason non risponde ai miei messaggi perché non ha più un telefono?” chiese Piper che voleva esser certa di aver capito bene.
“Già”
“Beh allora perché non è venuto a dirmelo?” domandò Piper piuttosto piccata.
“Perché stiamo parlando di Jason!” disse la voce di Talia facendo girare l’intero gruppo.
“E tu da dove sbuchi?” chiese Annabeth che non aveva idea di come l’amica avesse trascorso l’ultima ora.
“Sono andata a farmi un giro visto che voi non eravate molto di compagnia…” mentì lei usando come scusa il fatto che le amiche avessero passato gran parte del pomeriggio a dormire.
“Talia tu ci sei domani sera, non è vero?” domandò Leo che non accettava un no come risposta.
“Certo” confermò lei facendo l’occhiolino.
“Bene, Piper hai ancora ventiquattr’ore per pensarci. Io ora scappo da Calypso per una merenda a base di brioches con gelato!” E così dicendo il ragazzo abbandonò la spiaggia fischiettando.
“Forse è meglio che vada anch’io” disse Percy che era rimasto solo con le tre ragazze e aveva paura che il Signor D potesse saltare fuori da un momento all’altro.
Si allontanò sulla scia di Leo mentre Piper e Talia lo salutavano con un gesto della mano. Annabeth invece aspettò che lui si fosse allontanato di qualche passo e poi lo raggiunse.
“Percy aspetta” gli gridò dietro correndo per raggiungerlo. Lui si voltò strabuzzando gli occhi.
“Annabeth non qui” sibilò a denti stretti in modo che solo lei potesse sentirlo. “Non voglio che il Signor D ci veda insieme!” Aggiunse continuando a guardarsi intorno con aria furtiva sperando di non avvistare il proprio capo nei paraggi.
“Volevo parlarti un momento” tentò lei ridimensionando il tono di voce.
“Più tardi, qui è meglio di no, ora devo andare” e con quelle parole tornò sui suoi passi, ma questa volta Annabeth non lo seguì.
Appena fuori dal lido, lungo la passeggiata che costeggiava la spiaggia, Percy si trovò faccia a faccia con Kelli. Aveva le braccia conserte e un’espressione contrariata stampata in volto.
“È così quindi?” domandò in tono piccato.
Percy inarcò entrambe le sopracciglia. “Di cosa stai parlando?”
“Te la fai con la biondina eh?” disse Kelli osservando Annabeth che faceva ritorno all’ombrellone. “È per questo che continui ad ignorarmi?”
Percy si sentì tremare le gambe, il fatto Kelli sapesse di Annabeth poteva essere un problema. Un grosso problema.
“Non so di cosa parli” mentì augurandosi che lei se la bevesse.
“Non prendermi per stupida” fece lei afferrandolo per un braccio per impedirgli di allontanarsi. “Ho visto come ti guarda.”
“Kelli non ho tempo per stare dietro alle tue paturnie adesso, sono di fretta.”
“Io penso che ti convenga starmi a sentire invece!” Disse Kelli con voce minacciosa.
“Cosa diavolo vuoi?” sbottò Percy.
“Voglio che tu smetta di vederti con lei!”
“Come scusa?” fece lui allibito da quella richiesta.
“Hai capito bene… voglio stare con te, e non voglio quella biondina tra i piedi.” Il tono di Kelli era insistente, ricordava quello di una bambina capricciosa.
“Sono io che non voglio stare con te!” Le fece notare Percy.
“Ricordi quello che è successo in quella cabina laggiù?” fece lei indicando la sua cabina con un cenno della testa.
“Purtroppo sì” sospirò Percy che si stava impegnando al massimo per dimenticare l’accaduto.
“Bene, allora dovresti aver capito.”
“Capito cosa?” domandò Percy esasperato.
“Che se il Signor D venisse a saperlo saresti licenziato, ovviamente.”
“Mi hai praticamente stuprato lì dentro…” disse Percy a denti stretti.
“Beh… questa è la tua versione dei fatti.” Gli fece notare lei con aria innocente.
Percy sbiancò tutto d’un tratto.
“Mi stai ricattando?” chiese incredulo. Conosceva Kelli da una vita ma mai avrebbe pensato che sarebbe potuta arrivare a tanto.
“No, certo che no” squittì lei, “dico solo che se io denunciassi un abuso tu oltre a perdere il lavoro finiresti anche nei guai con la giustizia.”
“Non oseresti.”
“A chi pensi che crederebbero? A te oppure ad una dolce e innocente fanciulla aggredita dal bagnino della spiaggia che l’ha rinchiusa dentro una cabina e ha abusato più volte del suo meraviglioso corpo.” Recitò Kelli che aveva sempre meno l’aria dolce ed innocente.
“Non puoi farmi questo!” Sibilò Percy al culmine della rabbia.
“Certo che posso!” Esclamò Kelli per poi aggiungere a un millimetro dal suo orecchio: “a meno che tu non mi dica dove abiti… in tal caso potrei tenere la bocca chiusa e venire a farti una sorpresa questa sera stessa.”
Percy sospirò affranto, quello di Kelli era un piano ben congegnato e lui si sentiva bloccato in un tunnel senza uscita.
“Ti scrivo più tardi, ora devo proprio andare.” E con quelle parole congedò Kelli che lo guardò allontanarsi con aria più che soddisfatta certa del fatto che nel giro di poco sarebbe stato suo.
 
Leo entrò nella gelateria di Calypso alle diciannove in punto. Il negozio era stranamente privo di clienti e, visto che la ragazza al momento si trovava nel retro, Leo ne approfittò per girare il cartello sulla scritta chiuso.
Girò intorno al bancone con passo felpato e sbucò nel retro alle spalle della povera calypso che, non avendolo sentito entrare, sobbalzò per lo spavento.
“Leo!” Esclamò lei un attimo prima che lui l’azzittisse con un bacio mentre la spingeva contro il ripiano su cui c’era la planetaria.
“Attento!” Cercò di avvisarlo lei un momento prima che lui schiacciasse inavvertitamente il pulsante d’avvio dell’enorme macchinario che si accese e cominciò a mixare i prodotti che conteneva schizzando tutta la stanza.
I due arretrarono spaventati e divertiti allo stesso tempo mentre si toglievano schizzi di crema chantilly dalla faccia e dai capelli.
“E adesso come faccio a servire i clienti conciata così?” Lamentò Calypso arrestando il macchinario che sembrava completamente fuori controllo.
“Per tua fortuna non entrerà nessun cliente” fece sapere Leo con un sorriso sornione disegnato in faccia.
“Cosa vorresti dire?” indagò lei sospettosa.
“Che ho chiuso il negozio a tua insaputa.” Ammise il ragazzo che non sapeva come avrebbe potuto reagire la proprietaria a quella notizia.
“Leo Valdez!” Ruggì lei con un tono di voce molto distante da quello che usava di solito. “Come ti sei permesso di chiudere il negozio?”
Leo boccheggiò senza riuscire a dire niente poi se ne uscì con una risposta degna delle sue: “girando il cartello in vetrina direi…” Calypso non riuscì a rimanere seria per più di due secondi, scoppiò a ridere e tolse un po’ di crema chantilly dal naso di Leo che sorrise, felice di averla fatta franca.
“Aiutami a pulire questo casino.” Disse Calypso lanciandogli uno straccio bagnato che Leo afferrò al volo.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, si avvicinò a Calypso e comincio a passarle delicatamente lo straccio sulla fronte e sulle tempie.
“Che cosa stai facendo?” chiese la ragazza perplessa.
“Sto pulendo quel casino di cui parlavi prima… e ho scelto di cominciare dalla tua faccia, sai, tutta questa crema chantilly sparsa per il viso non fa risaltare in toto la tua bellezza.” Calypso ridacchiò, Leo era sempre pieno di soprese.
“Senti un po’” disse divertita, “non è che per caso stai cercando un modo per evitare di fare quello che ti ho chiesto?”
“Può darsi” fece lui vago gettando lo straccio nel lavandino per potersi dedicare completamente a Calypso, coinvolgendola in un bacio appassionato.
 
Quella sera Percy si rifiutò di uscire di casa. Jason aveva provato a convincerlo più volte proponendogli una serie di attività che spaziavano dalla partita di basket al campetto, al bagno notturno nella piscina delle ville scavalcando di nascosto le recinzioni, ma Percy era stato irremovibile. L’indomani sarebbe finalmente tornato a lavoro, ma il vero motivo che gli impediva di concedersi distrazioni era un altro: il ricatto di Kelli. 
Spostò lo sguardo sul telefono in carica sul comodino, non aveva più tempo per decidere cosa fare. Sapeva che rivelare a Kelli il suo indirizzo concedendole una sera insieme significava ritrovarsela perennemente sotto casa in attesa del suo arrivo. D’altro canto, l’alternativa era sperare che lei bleffasse e non lo denunciasse alla polizia per qualcosa che non aveva fatto. Mentre questo e altri mille pensieri che comprendevano suo padre, Annabeth e Charlie lo tormentavano prendendo posto uno dopo l’altro nella sua mente sentì un principio di mal di testa. Chiuse gli occhi cercando di concentrarsi su un problema alla volta poi il sonno prese il sopravvento e lui si addormentò senza scrivere a Kelli. L’ultimo pensiero lucido prima di crollare tra le braccia di Morfeo era incentrato su Annabeth, cosa voleva dirgli in spiaggia quando lo aveva rincorso chiamandolo a gran voce?


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti! Perdonate il ritardo ma per questo capitolo ero un po' poco ispirata... molte delle cose che ho in mente devono avvenire nel prossimo quindi prometto che il "martedì" sarà decisamente meglio. Questo capitolo, come tutti i lunedì, è un po' spompo e noioso. Diciamo che le cose che volevo mettere a tutti i costi ci sono e questo è quello che mi interessava di più. Mi riferisco al ricatto di Kelli, che finalmente dopo capitoli e capitoli passati a fare solo il ruolo dell'oca di turno, assume una parte più importante ai fini della storia vera e propria; e al Signor D, che dimostra il suo lato umano e sensibile. Io l'ho sempre immaginato così, burbero fino al midollo ma con un grande cuore, volevo che in questo capitolo dimostrasse quanto tiene a Percy perchè sa quello che ha passato ed è il primo a ritenerlo una brava persona. Spero che l'idea di affidargli questo ruolo pseudopaterno vi sia piaciuta. Il resto è un po' tutto contorno, la Caleo mi è venuta così, un po' frivola ma divertente, la Solangelo (se di Solangelo si può parlare) è forse un po' ripetitiva ma io me la immagino esattamente così... Will che fa mille advaces a Nico e lui che fa del suo meglio per ignorarle. Per la Jasper non temete... nulla è perduto. So che voi pensate che io mi dimentichi le cose per strada, ma non è così, tutto avrà una risposta... mi riferisco al tatuaggio di Percy e alle altre cose che apparentemente ho lasciato irrisolte. :-) Grazie a tutti voi che anche questa volta avete avuto la pazienza di aspettare il capitolo e di leggere fino a qui, per non parlare di quanto i debba ringraziere tutti quelli che hanno inserito la storia nelle loro liste, siete più di 100 ormai e io ne sono veramente felice. Un grande abbraccio a tutti voi. Adesso via con i commenti! :-)
PS: si è capito vero che Annabeth e Percy non hanno fatto sesso? Spero di sì, l'idea era quella che finalmente il loro rapporto smettesse di essere un continuo "approfittarsi" l'uno dell'altra. Fatemi sapere se si è capito. ;-)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Martedì ***


MARTEDì

 
 
Leo aveva passato l’intera mattinata a girare i paesini di tutta la costa alla ricerca dei fuochi d’artificio per la festa di Jason. Non avendo trovato nessun rivenditore autorizzato aveva optato per il fai da te e si era rifornito di tutti gli ingredienti necessari per fabbricare dei fuochi d’artificio caserecci ma d’effetto seguendo le indicazioni di un tizio piuttosto discutibile che aveva postato un video-tutorial su Youtube.
Il ritrovo era alle nove alla spiaggia libera, Percy avrebbe allestito il falò, Annabeth e Talia si sarebbero occupate del mangiare, anche se la torta a base di gelato sarebbe stata una creazione di Calypso, e Grover, che si era finalmente deciso ad uscire di casa nonostante il naso rotto, avrebbe pensato alla musica.
Per essere una festa organizzata così su due piedi, stava procedendo tutto alla perfezione e Leo non poteva far altro che congratularsi con sé stesso per la gestione dell’evento. L’unico problema era riuscire a trovare un modo per trascinare Jason in spiaggia e far sì che la festa avesse inizio, ma di questo si sarebbe preoccupato più tardi, dopotutto aveva ancora qualche ora per pensarci.
Camminando a passo spedito raggiunse la parte più remota del paese, quella nell’entroterra, e solo dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nel raggio di chilometri sfiorò lo schermo dello smartphone e il tipo del video cominciò a spiegare per filo e per segno il procedimento corretto per produrre un buon fuoco d’artificio artigianale.
 
Percy era tornato a lavoro con il sorriso sulle labbra, quei pochi giorni di vacanza, se così potevano essere definiti, non gli avevano portato altro che guai e per questo era ben felice di rientrare in servizio. Aveva rastrellato la spiaggia, allineato ombrelloni e lettini e per tenersi impegnato aveva ricontrollato che tutto il materiale all’interno della cassetta medica fosse in buone condizioni e verso le undici il Signor D gli aveva presentato i clienti interessati alle immersioni di cui gli aveva parlato il giorno prima. Tutto sembrava andare nel migliore dei modi se solo verso mezzogiorno non si fosse ricordato della minaccia di Kelli, rendendosi conto solo in quel momento che non avendo più contattato la ragazza la sera prima, probabilmente aveva automaticamente firmato la sua condanna.
“Caffè?” gli domandò il Signor D indicando il bar con un cenno del capo. Percy strabuzzò gli occhi, da quando lavorava lì il suo capo non gli aveva mai proposto nulla di simile, poi si ricordò di quanto gli aveva detto Talia, il Signor D era preoccupato per lui e forse era giunto il momento di mettere in chiaro le cose.
I due si avviarono al bar e presero posto nel tavolino più isolato come se avessero entrambi il sentore di dover fare un discorso che andava salvaguardato da orecchie indiscrete.
C’era un velo fitto di tensione tra loro, come se entrambi avessero qualcosa da dire ma nessuno dei due trovasse il coraggio necessario ad introdurre il discorso. Stufo di quel silenzio, fu Percy a rompere il ghiaccio: “so perché si sta comportando in modo gentile nei mie confronti.” Cominciò senza saper bene come continuare, “volevo solo dirle che può smettere di preoccuparsi, non è come pensa, sto bene.” Aggiunse con il tono più sincero e rassicurante che riuscì a trovare. Gli occhi del Signor D indugiarono un momento sulla gomitiera che nascondeva gli ematomi e poi tornarono a scrutare Percy che capì immediatamente che il suo capo non gli credeva minimamente.
“Percy” iniziò lui con voce grave, “so cosa hai dovuto passare, la vita è stata molto ingiusta con te, ma quella che hai trovato non è una soluzione. Magari all’inizio ti sembrerà di stare bene e penserai di avere la situazione sotto controllo… ma non è così.” Adesso il tono del Signor D era quasi paterno e Percy si rese conto che convincerlo di come stavano le cose realmente non sarebbe stato per niente facile.
“Senta” sbuffò Percy stufo di essere preso per un tossicodipendente, “il fatto che lei sappia cosa c’è qui sotto” disse posando una mano nell’incavo del braccio, “non le dà nessuna informazione su come io me li sia procurati.”
“Mi stai forse dicendo che non sono buchi di aghi” sussurrò il Signor D solo dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno di troppo vicino.
“Mentirei se le dicessi che non lo sono.” Disse Percy bevendo il caffè in un solo sorso.
Il Signor D scosse la testa sconsolato e Percy capì che non gli avrebbe mai creduto; l’unico modo era raccontargli la verità, ma sapeva fin troppo bene di non poterselo permettere. Quella verità coinvolgeva troppe persone, inoltre parlarne non faceva altro che ricordargli quanto fosse imminente il verdetto di quella faccenda. Ormai dormire era diventato difficile e, camminando per il paese, ogni volta che sentiva una macchina rallentare sussultava, terrorizzato all’idea che gli scagnozzi di suo padre tornassero a fargli visita.
“Continui a credere quello che vuole, ma se davvero mi conosce bene come dice, capirà da solo che non ha di che preoccuparsi.” Con quelle parole Percy si alzò e sistemò la sedia sotto al tavolo, poi prese entrambe le tazzine di caffè ormai vuote e le posò sul bancone sperando che quel gesto bastasse a far capire al suo capo che la conversazione era chiusa.
 
“Si può sapere che cos’hai? È da stamattina che sei strana.” domandò Talia ad Annabeth che se ne stava sdraiata sul suo lettino e rispondeva a monosillabi indipendentemente da quale fosse l’argomento di conversazione.
“È tutto ok” fece lei minimizzando il tutto con un’alzata di spalle.
“Senti” esalò Talia dopo aver preso un profondo respiro, “piuttosto dimmi che non vuoi parlarne, ma non dirmi che è tutto ok perché ti conosco da una vita e so riconoscere quando qualcosa non va.”
“Sto meditando” ammise Annabeth attirando anche l’attenzione di Piper che fino a quel momento era stata zitta.
“Su cosa?” domandò quest’ultima.
“Stamattina mi ha scritto Luke” confessò la ragazza in tono piatto rigirandosi il cellulare tra le mani.
Calò un silenzio improvviso, e ad Annabeth parve che tutta la spiaggia avesse gli occhi puntati su di lei e fosse in attesa di spiegazioni.
“Mi ha semplicemente scritto un messaggio, non ho detto che gli ho risposto o che l’ho chiamato.” Puntualizzò Annabeth in risposta agli sguardi attoniti delle amiche.
“Quello che mi sorprende è che tu non sia infuriata” spiegò Talia mentre Piper annuiva.
“Sono d’accordo, qualche settimana fa avresti scagliato il telefono dall’altra parte della spiaggia se solo lui avesse osato farsi vivo.”
Annabeth sbuffò. La verità era che nemmeno lei riusciva a spiegarsi la sua reazione.
“Si può sapere cosa ti ha scritto per provocarti una reazione di questo tipo?” Indagò Talia desiderosa di fare luce sulla faccenda.
“Ha visto le foto che Piper ha pubblicato su facebook con tanto di localizzazione e mi ha scritto per dirmi che domani ha in programma una giornata al mare con amici proprio da queste parti.”
“Cioè in pratica ti ha chiesto di vedervi.” Concluse Talia amareggiata.
“No, mi ha solo detto che sarà da queste parti, e devo dire che mi ha fatto un favore a farmelo sapere in anticipo perché se l’avessi incrociato qui per caso probabilmente mi sarebbe venuto un infarto.”
“Ti ha fatto un favore?” Ripeté Piper che faticava a credere alle sue orecchie. “Annabeth ma cosa stai dicendo, Talia ha ragione, un paio di settimane fa lo avresti insultato in tutte le lingue e ti saresti lamentata del fatto che con tutti i chilometri di costa presenti in Italia lui avesse scelto di farsi una giornata al mare proprio dove ci siamo noi!”
Annabeth nascose la faccia nella rivista che stava sfogliando, forse le sue amiche avevano ragione, il suo comportamento era strano. Gettò la rivista nella sabbia e corse verso il mare, per il momento non aveva intenzione di rispondere a nessun’altra domanda.
“Fuori una!” Esclamò Talia così tanto per stemperare la tensione.
“Tu hai deciso se venire o no stasera?” chiese rivolta a Piper che avvampò colta alla sprovvista.
“Sì, ho deciso, non verrò, tuo fratello sarà anche un bel ragazzo ma è immaturo.”
“Credimi, non hai idea di quante siano le ragazze a cui abbia sentito pronunciare questa frase…” le rivelò Talia ricordando i tempi in cui Jason era solito cambiare compagnia femminile come si cambiano i vestiti.
“Cosa farai stasera allora?” domandò, sicura che l’amica avesse già pensato ad un piano B.
“C’è Dirty dancing in tv, mi consolerò guardando gli addominali di Patrick Swayze.” Ridacchiò lei inforcando gli occhiali da sole.
 
Erano le sei e mezza passate quando le tre amiche si decisero ad abbandonare la spiaggia. Percy le vide allontanarsi camminando fianco a fianco e non riuscì a fare a meno d’indugiare su Annabeth. Quel giorno non si erano praticamente rivolti la parola,  un po’ perché Percy essendo appena rientrato a lavoro si era dato da fare più del solito, e poi perché tutte le volte che aveva dedicato un’occhiata fugace ad Annabeth l’aveva sempre vista alle prese con il suo cellulare e non se l’era sentita di disturbarla.
Le ragazze avevano ormai superato il bar e guadagnato l’uscita così Percy si voltò trovandosi faccia a faccia con il Signor D. Aveva le braccia conserte e un’espressione scura dipinta in volto, alle sue spalle Kelli si godeva la scena con aria soddisfatta.
“Jackson!” Ruggì il Signor D facendo voltare quei pochi bagnanti che si ostinavano a prendere il sole fino ad ora tarda. “Nel mio ufficio.”
Il Signor D non aveva un vero ufficio, ciononostante Percy capì dal suo tono che era nei guai. Camminarono fino al bar e il Signor D gli fece segno di seguirlo dietro una porta con scritto privato. Percy ci entrò a testa bassa e col morale a terra, non gli restava che scoprire quale versione dei fatti Kelli avesse deciso di raccontare al suo capo.
“Ok, ora che siamo lontani da orecchie indiscrete posso anche dirtelo: non me ne frega un’accidenti!”
“Come scusi?” fece Percy, certo di non aver capito bene.
“Ho fatto questa sceneggiata dell’ufficio per far credere a quell’oca di Kelli che fossi furioso e che avrei preso provvedimenti nei tuoi confronti, ma non è così.”
Percy era allibito e per un attimo pensò di essere vittima di uno scherzo di pessimo gusto.
“Ma si può sapere cosa le ha detto?”
“Quello che so già da un pezzo” tagliò corto lui senza fare nessun riferimento preciso.
Percy si accigliò, com’era possibile che il Signor D sapesse quello che era successo tra lui e Kelli e che non avesse nulla in contrario?
“È da più di una settimana che sospetto di voi!”
Percy sbarrò gli occhi: “voi?” domandò confuso.
“Sì! Di te e dell’amica di tua cugina! Quella bionda!”
Percy sentì il nodo che aveva in gola allentarsi. Kelli non aveva rivelato al Signor D quello che temeva ma l’aveva comunque messo nei guai a sufficienza da farlo licenziare.
“Io…” balbettò Percy che non sapeva cosa dire a sua discolpa, “io, penso che la cosa possa essere stata mal interpretata… voglio dire…”
“Percy”
“È molto carina ma so quale comportamento prevede il mio ruolo e…”
“Percy”
“Non mi sarei mai permesso di…”
“Percy” Sbraitò il Signor D, “per l’amor del cielo, hai sentito quello che ho detto? Non me ne frega un’accidenti di quello che c’è fra voi!”
“Ma il regolamento dice che…”
“Al diavolo il regolamento!” Gridò il Signor D stritolando una lattina di Coca-cola. “Non me ne frega niente se hai avuto o hai tutt’ora una relazione con una cliente, a me basta che fai il tuo lavoro. Siamo intesi?”
Percy era senza parole. Tutto poteva aspettarsi dal suo capo, ma non una cosa del genere. Era sempre stato un uomo rigoroso, fedele ai programmi e ai regolamenti, la disciplina era la sua migliore amica e adesso, tutt’un tratto stava rompendo gli schemi e si stava ribellando a tutto ciò che Percy aveva sempre creduto essere il suo mondo.
“Ora torna a lavoro, voglio la spiaggia in ordine entro mezz’ora.” Percy annuì e fece per uscire ma il suo capo lo chiamò un’ultima volta. “Percy” disse costringendolo a voltarsi, “c’è un’altra cosa…”
“sarebbe?” chiese lui un po’ timoroso.
Il signor D tentennò un istante, poi prese un profondo respiro e guardandolo fisso negli occhi ammise: “è molto carina.”
Percy si lasciò sfuggire un sorriso, il suo capo oltre ad avergli appena dato il permesso di frequentarla gli stava anche facendo sapere che approvava la cosa.
“Ah” aggiunse il Signor D un attimo prima che Percy aprisse la porta, “vedi di uscire con l’espressione da cane bastonato, Kelli deve credere che io ti abbia strigliato per bene.”
 
Percy aveva appena finito di disporre le pietre in cerchio per contenere il falò che avrebbe acceso nel giro di pochi minuti quando Leo lo raggiunse e poggiò rumorosamente a terra una cassa di legno il cui contenuto era misteriosamente celato da un panno grigiastro.
“E quello cosa sarebbe?” domandò Percy fissando la cassetta piuttosto accigliato.
“Una sorpresa che rivelerò solo più tardi.”
“Non dirmi che sei riuscito a trovare i fuochi d’artificio!” Esclamò  Percy esterrefatto.
Leo alzò gli occhi al cielo e sbuffò incrociando le braccia al petto. “No che non sono riuscito a trovarli!” Ammise.
“Menomale” fece Percy tirando un sospiro di sollievo. Per un attimo si era immaginato Leo che dava fuoco agli ombrelloni di paglia del lido più vicino.
“Ed è proprio perché non li ho trovati che ho deciso di farli io!” Annunciò Leo orgoglioso.
“Non sei serio, vero?” chiese Percy allarmato.
“Serissimo! Ho trovato un tutorial di un tipo che fa cose fighissime su youtube e non ho resistito alla tentazione!”
“Quale tentazione?” disse la voce di Talia dal fondo della spiaggia. Stava camminando al fianco di Annabeth ed entrambe erano cariche di sacchetti colmi di teglie e altri contenitori pieni di cibo.
“Non lo saprai mai!” fece Leo con aria di sfida mentre Percy andava incontro ad Annabeth per liberarla dal peso dei sacchetti.
“Grazie per l’aiuto Leo!” Fece Talia piccata appoggiando a terra tutto quello che aveva tra le mani.
“Non c’è di che!” Replicò lui tutto intento a nascondere al meglio la sua cassa affinché il contenuto rimanesse una sorpresa.
Un paio di minuti più tardi anche Grover raggiunse la spiaggia munito di casse e centinaia di canzoni formato mp3.
“Spero che la mia selezione musicale sia di vostro gradimento” disse cominciando a collegare le casse al lettore mp3 per avviare la playlist.
“Lo vedremo” disse Talia sedendosi al suo fianco per consultare l’elenco delle canzoni insieme a lui.
In quel momento il telefono di Leo squillò e lui rispose. “Calypso ha bisogno una mano con la torta” annunciò poco prima di abbandonare la spiaggia per andarle incontro.
Percy guardò Annabeth e le sorrise, ora che Leo se n’era andato e Grover e Talia litigavano per la scelta delle canzoni, erano rimasti nuovamente soli.
“Com’è andato il rientro a lavoro?” chiese lei con sincero interesse.
“Bene, diciamo che ha contribuito a tenermi un po’ la mente impegnata.”
“È la cosa migliore” convenne Annabeth dondolando sul posto un po’ in imbarazzo.
“Mi aiuto col fuoco?” chiese Percy che cercava una scusa per allontanarsi da Grover e Talia e poter parlare un po’ in privato con Annabeth.
“Certo!” Rispose lei entusiasta seguendolo verso il punto in cui le pietre formavano un cerchio nella sabbia.
“Ho passato tutta la notte a domandarmi cosa volessi dirmi ieri quando mi hai inseguito in spiaggia…” fece sapere Percy, lo sguardo fisso sui legnetti che stava posizionando al centro del cerchio di pietra.
Annabeth esitò un momento, da quando Luke si era fatto vivo lei non ci aveva più pensato.
“Non faccio altro che pensarci” insistette Percy.
“Percy, voglio essere sincera con te” cominciò Annabeth un po’ titubante. “Si è fatto vivo il mio ex” confessò guardandolo negli occhi. Lui distolse subito lo sguardo e si premette una mano sull’avambraccio tatuato, come se sentisse dolore in quell’esatto punto, poi cominciò a spezzettare nervosamente dei rametti che aggiunse a quelli preparati precedentemente. “Ok” disse a fatica dedicandole giusto un’occhiata fugace.
“Ok cosa?” fece Annabeth un po’ preoccupata da quella reazione.
“Ok, ho capito” disse Percy a bassa voce.
“Come fai ad aver capito se non ho capito nemmeno io?” domandò Annabeth spaventata all’idea che lui prendesse le distanze.
“Sei stata tutto il giorno attaccata al telefono, come se aspettassi una chiamata o stessi scrivendo a qualcuno.”
“Mi hai spiata tutto il giorno?” chiese Annabeth visibilmente sorpresa ma anche un po’ divertita.
“Non ti ho spiata,” precisò Percy “tenere d’occhio i bagnanti è il mio mestiere.”
Annabeth soffocò una risata e lui se ne accorse. L’idea che Percy avesse un occhio di riguardo per lei la lusingava e allo stesso tempo la diceva lunga sui suoi sentimenti.
“Ci sei rimasto male?” azzardò Annabeth timorosa.
“Sì” ammise Percy stringendosi lievemente nelle spalle. “Ti direi di stargli alla larga visto quello che mi hai raccontato solo pochi giorni fa…” Annabeth fece per ribattere ma Percy continuò il discorso, “ma non sono tuo padre, e volendo affrontare la realtà dei fatti non posso neanche definirmi un tuo amico, quindi mi limiterò a farmi i fatti miei.”
Annabeth fece per rispondere ma in quel momento Leo arrivò con Calypso e un’enorme scatola di cartone che conteneva la torta.
“Bene!” Esclamò Talia. “Ora manca solo il festeggiato!”
“Non proprio” fece sapere Leo con un sorrisetto furbo. “Dal momento che la festa è all’aperto e non ci sono problemi di spazio, mi sono sentito in dovere di estendere un po’ l’invito.”
“Sarebbe a dire?” chiese Talia accigliata.
“Stanno arrivando anche Frank, Will, Dakota, Juniper, Clarisse e un altro paio di persone.”
“Menomale che abbiamo cucinato per un esercito” commentò Annabeth incrociando lo sguardo di Talia.
“Eccoli! Stanno arrivando!” Esclamò Grover riconoscendo Frank dalla stazza e Clarisse dalla camminata tutt’altro che femminile.
“Mi sono permesso di portare qualche amaro tipico della Cina.” Spiegò il ragazzo mostrando un sacchetto dai cui proveniva il tipico tintinnio delle bottiglie di vetro.
“Molto bene!” Esclamò Leo soddisfatto mentre in lontananza erano ben visibili altre figure in avvicinamento.
 
Jason gironzolava sotto casa sua e di Talia da circa un quarto d’ora. In preda ad un momento di follia era uscito di casa deciso a scusarsi con Piper, ma ora che si trovava solo a pochi passi da lei gli sembrava impossibile anche solo avvicinarsi al campanello.
Aveva già una mano sul tasto del citofono quando lei aprì il portone per mettere fuori la spazzatura e sobbalzò trovandoselo davanti.
“Che ne è della tua festa?” domandò lei stupita da quell’incontro.
“Come scusa?” fece lui, la mano ancora sul bottone in corrispondenza del nome Grace.
Piper sussultò, le era venuto in mente solo in quel momento che la festa di Jason era a sorpresa, così cercò un modo per rimediare: “Sì, beh, mi pareva di aver capito che oggi era il tuo compleanno” improvvisò Piper, “non festeggi?”
“Beh, a dire il vero, la mia priorità in questo momento è chiederti scusa…” confesso lui puntando i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Piper che non riuscì a sostenere il suo sguardo e arretrò leggermente intimidita.
“Ti sembrerà la più idiota delle scuse ma la verità è che non ho più un cellulare e solo oggi mi sono deciso a venirti a parlare faccia a faccia, siamo tutti troppo abituati a nasconderci dietro un telefono per fare due passi e mostrare il nostro volto alla persona che ci interessa.” Improvvisò Jason che si stupì di sé stesso per essere stato tanto poetico e profondo.
Piper sembrò colpita da quelle parole perché il suo viso si addolcì e a Jason sembrò quasi d’intravedere un sorriso.
“Ok, devo ammettere che questo gesto proprio non me lo aspettavo, sei un tipo strano Jason Grace!” disse lei divertita.
“Meglio strano che noioso.” Azzardò lui.
“Meglio strano che noioso.” Confermò lei con un sorriso mentre le gote le si coloravano di un rosa acceso.
“Allora… che ne dici di dare un senso a questo compleanno? Andiamo a berci qualcosa insieme?”
“Solo se sono io a decidere dove si va” patteggiò Piper a cui era appena venuta un’idea.
“Ci sto!” Esclamò lui che avrebbe accettato qualsiasi condizione pur di uscire di nuovo con lei.
“Cinque minuti e sono da te.” Disse lei chiudendosi il portone alle spalle lasciando Jason in attesa sui gradini dell’ingresso.
Dieci minuti più tardi camminavano fianco a fianco sul lungomare, in più di un’occasione Jason fu tentato di cingerle la vita con il braccio ma proprio quando prese il coraggio a due mani e si decise a tentare un approccio fisico lei si appoggiò di peso alla ringhiera e additò quella che sembrava la luce di un falò: “Guarda laggiù!”
“Che c’è?” Domandò lui, “mai vista una festa in spiaggia una sera d’estate?”
“No” mentì lei con il suo tono più credibile, “andiamo a vedere” aggiunse tendendo una mano verso Jason che notando quel gesto non ebbe la minima esitazione.
I ragazzi si tolsero le scarpe e insieme discesero le scale che conducevano alla spiaggia.
Piper tirava Jason come un cagnolino durante la stagione degli amori e mentre correvano verso la luce del falò come le falene volano verso la luce dei lampioni Jason cominciò ad intravedere una serie di sagome famigliari.
“Mah…” borbottò stupito non appena la luce del falò illuminò distintamente il volto di sua sorella e poi quello degli altri ragazzi.
“E voi cosa ci fate qui?” fece Jason ancora affannato dalla corsa.
Fu Leo il primo a parlare: “Ehi ragazzi, avete presente il momento di cui vi parlavo prima? Quello in cui bisognava gridare sorpresa tutti insieme? Ecco, è questo il momento…”   
I ragazzi si guardarono l’uno con l’altro poi finalmente si alzò un coro di voci che gridarono all’unisono: “Sorpresa!”
Jason rimase un momento inebetito, solo dopo qualche secondo realizzò che i suoi amici gli avevano organizzato una festa a sorpresa e stavano tutti aspettando una sua reazione.
“Eri d’accordo con loro?” domandò a Piper augurandosi che il suo atteggiamento non fosse stato solo parte di un piano prestabilito.
“Veramente no” spiegò lei, “sapevo che avevano intenzione di organizzarti una festa a sorpresa ma io ero più che decisa a non prenderne parte… fino a un quarto d’ora fa, quando mi hai fatto cambiare idea.”
“Sì, sì, è tutto molto romantico, adesso però lascia che il festeggiato inauguri la festa!” Disse Leo scostando Piper per mettergli al collo una ghirlanda di fiori mentre Percy gli serviva un cocktail contenuto in un’anguria.
“Auguri cugino!” Disse assestandogli una pacca sulla spalla che lo fece sussultare.
“Che la festa abbia inizio!” Gridò Leo facendo segno a Grover di alzare il volume della musica.
 
Le undici erano passate da un pezzo quando Annabeth si avvicinò a Percy barcollando.
“Penso sia meglio che tu ti sieda…” disse il ragazzo notando la sua instabilità, le porse una mano e l’aiutò a sedersi sulla sabbia al suo fianco.
“Forse questo è meglio se lo dai a me…” suggerì Percy impossessandosi di quello che rimaneva del cocktail che Annabeth teneva tra le mani e posandolo a terra il più lontano possibile dalla ragazza.
“Beh?” fece lei all’improvviso, “non dici niente?”
Percy trasalì. “Cosa vuoi che ti dica?”
“Guarda che l’ho capito che sei ancora arrabbiato per quello che ti ho detto prima.”
“Non sono arrabbiato” disse Percy cercando di suonare credibile.
“Vuoi ancora sapere cosa volevo dirti ieri?” domandò lei facendosi più vicina a Percy, come se dovesse confidargli un segreto.
Lui si voltò a guardarla e prima ancora che potesse rispondere lei aveva già ripreso a parlare: “volevo dirti che forse avevo trovato una soluzione… una soluzione per farti tornare in città, farti riprendere gli studi e scappare da tuo padre.”
Percy sussultò, le parole di Annabeth suonavano così assurde che per un attimo pensò che fosse l’alcool a parlare al suo posto.
“Ho pensato che sopra l’appartamento in cui vivo con mio padre c’è una mansarda abitabile, noi non la usiamo, è piccola, ma per te potrebbe essere l’ideale, certo…” continuò Annabeth recuperando il suo bicchiere e studiandone attentamente il contenuto, “è un po’ da sistemare ma l’affitto sarebbe ridicolo… cosa dici?”
Percy la fissò per un lungo istante, poi le sequestrò nuovamente il bicchiere e disse: “Dico che sei ubriaca, e dico anche che mio padre mi troverebbe comunque, e affinché tu lo sappia… non posso nemmeno riprendere gli studi.”
“E perché mai?”
“È un po’ complicato da spiegare e tu hai bevuto un po’ troppo per seguire un discorso da cima a fondo.”
“Senti signorino” blaterò Annabeth impettita, “io ho la media del trenta e conto di laurearmi con il massimo dei voti quindi penso di essere in grado di comprendere un discorso anche con un paio di cocktail in corpo!”
“Un paio?” fece Percy scettico.
“Va beh, anche se fossero tre non vedo cosa cambierebbe. Avanti, sputa il rospo.”
Percy chiuse gli occhi un momento e quando li riaprì fissò Annabeth e si augurò che lei fosse veramente in grado di seguire il suo discorso.
“Non posso riprendere i miei studi perché se anche finissi gli esami avrei un problema con la tesi…” cominciò Percy abbacchiato.
“Quale problema” chiese Annabeth che sembrava essere tornata improvvisamente lucida.
“La tesi l’ho iniziata un anno fa perché si trattava di un lavoro molto lungo a cui tenevo molto e che volevo realizzare nel migliore dei modi. Il fatto è che mi è stato gentilmente chiesto di non proseguire il mio lavoro… per fartela breve, sono stato minacciato.”
“Minacciato?” ripeté Annabeth a voce così alta che Percy dovette azzittirla con una mano sulla bocca.
“Ma da chi?” chiese lei non appena lui lasciò libera di parlare di nuovo.
Percy le rivolse un’occhiata e lei percepì vivamente tutto il dolore che Percy provava nell’affrontare quel discorso.
“Da mio padre, l’altra sera… quando mi ha portato a bordo del suo stramaledetto Yatch!” Confessò lui mantenendo lo sguardo fisso sul bagnasciuga dove le onde s’infrangevano delicatamente con il loro tipico fruscio.
“La mia tesi è uno studio sul modo in cui le grandi compagnie di crociere intaccano gli ecosistemi marini… ecco perché mio padre mi ha minacciato, essendo lui il proprietario di una delle più grandi compagnie di crociere del mondo non ha certo interesse che io prosegua quello che ho cominciato.”
Annabeth era rimasta senza parole, la relazione tra Percy e suo padre era più complicata di quanto si potesse immaginare e lei si sentiva del tutto impotente.
“Ehilà!” Disse Leo spuntando alle loro spalle. “Avete finito di amoreggiare voi due?”
“Magari!” Fece Percy alzandosi per andare a prendere da bere. Raggiunse Frank dall’altro lato del falò e quello subito gli allungò un bicchiere che Percy trangugiò in sorso senza domandarsi nemmeno cosa fosse. Quella serata stava andando a rotoli, nel giro di pochi minuti aveva saputo che Annabeth era ancora invaghita del suo ex fidanzato ed era stato costretto a parlare di suo padre, il suo fantasma sembrava ormai deciso a perseguitarlo ovunque. Gettò il bicchiere nella spazzatura con un gesto di stizza attirando l’attenzione di Frank.
“Che succede?” gli domandò scrutandolo dall’alto del suo metro e novanta.
“Niente!” Disse Percy brusco. “Ho solo bevuto quello che mi hai offerto. Tra parentesi, che cavolo era? Benzina?” Chiese Percy tossicchiando, la gola completamente in fiamme.
“Ehi, dimentichi che sono un barista! So riconoscere chi beve per abitudine, chi beve per divertirsi, e anche chi beve per contrastare un problema!”
“Non appartengo a nessuna di queste categorie.” Tagliò corto Percy che non aveva nessuna intenzione di confidarsi con Frank.
“Strano” fece lui bevendo un goccetto, “perché a me sembra che tu abbia un problema alto circa un metro e sessanta, con i capelli biondi e gli occhi grigi.”
“E tu che ne sai che ha gli occhi grigi?” chiese Percy con un tono che la diceva lunga sul suo interesse per Annabeth.
“Calmo, calmo,” disse Frank facendo segno a Percy di rilassarsi, “non sono interessato a lei se è questo che ti preoccupa.”
“Versami un altro bicchiere di quel coso” disse Percy affranto, si era appena reso conto di aver fatto la figura del geloso.
 
“La vuoi smettere di spingere?” Domandò Nico con il suo tipico tono grezzo e un po’ scorbutico.
“Ti spingo perché se fosse per te arriveremmo domani! Cammini con la stessa grinta di uno che sta andando al patibolo!” Disse Will che aveva smesso di spingere l’altro e adesso gli camminava di fianco.
“Non so nemmeno cosa ci faccio qui!” Blaterò Nico alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto per evitare ogni possibile contatto con il biondino.
“Te l’ho detto, stiamo andando ad una festa!” Fece l’altro decisamente su di giri.
“Retorica, Will! Ne hai mai sentito parlare? La mia era pura retorica, lo so che stiamo andando ad una festa, è che ancora mi sto domandando perché ho accettato il tuo invito.” Nico sbuffò e proprio in quel momento Will cominciò a sbracciarsi per salutare i ragazzi che animavano la spiaggia ballando e canticchiando intorno ad un falò.
“Tranquillo eh, arriva pure quando vuoi!” Lo canzonò Leo dopo averlo abbracciato.
“Scusa, è colpa sua in vero” si giustificò Will indicando Nico che se ne stava a distanza come se fosse un animale selvatico al suo primo incontro con l’uomo. “Non è stato facile convincerlo!”
“Immagino” fu l’unico commento di Leo.
“Avanti Nico, unisciti a noi!” Gridò Frank facendo segno a Nico di raggiungerlo. “Non sapevo saresti venuto… altrimenti avrei portato con me gli ingredienti per il bloodymary!” Scherzò una volta che il ragazzo lo raggiunse.
“Mi accontenterò di qualcos’altro” disse Nico in tono piatto, “è grappa quella?”
“Grappa cinese per la precisione”
“Vada per la grappa cinese allora!”
 
“Sbaglio o noi due stavamo uscendo insieme per festeggiare il mio compleanno?” Disse Jason offrendo un drink a Piper che non rifiutò.
“Mi pare che lo stiamo facendo, no?” disse lei dopo aver bevuto un sorso senza smettere di guardare gli occhi azzurri di Jason che brillavano alla luce del fuoco.
“Intendevo io, te, e nessun altro.” Precisò lui facendosi più vicino.
“Guarda che anche se sei venuto sotto casa mia per chiedermi scusa resti comunque uno stronzo.” Disse lei più che decisa a dargli del filo da torcere.
“Già, ma per quello che so gli stronzi sono anche irresistibili” e con quelle parole posò un bacio sulle labbra di Piper che non aveva aspettato altro per tutta la sera, “o mi sbaglio?” domandò subito dopo rimanendo ad un palmo dalle sue labbra.
Piper avrebbe voluto fare la sostenuta ancora per un po’ ma Jason era troppo bello e soprattutto troppo vicino. Si avvicinò nuovamente a lui e lasciò che il ragazzo facesse il resto. Sentì le sue braccia avvolgerla in un caldo abbraccio e poi di nuovo le loro labbra s’incontrarono.
A pochi passi di distanza Annabeth fissava Percy: “hai gli occhi rossi” sentenziò la ragazza guardandolo attentamente.
“Sono stanco” spiegò Percy  guardando l’orologio le cui lancette si avvicinavano sempre di più alla mezzanotte.
“Stavo pensando” cominciò Annabeth approfittando del fatto che nessuno fosse troppo vicino per udire la loro conversazione, “io ti ho detto quello che volevi sapere, ma tu non mi hai ancora rivelato il significato di quel tatuaggio…”
Percy ebbe un sussulto impercettibile ed istintivamente si coprì il tatuaggio con la mano, come se qualcosa di intimo fosse appena stato messo a nudo.
“Questo è un colpo basso” decretò lui guardando Annabeth che lo fissava con due occhioni da cerbiatta.
“Ho fatto una semplice domanda”
“Sì ma ti conosco abbastanza da sapere che hai aspettato fino ad ora per farla perché sapevi che dopo aver bevuto qualche drink le mie difese sarebbero calate.”
“Beh… è così o no?” domandò Annabeth divorata dalla curiosità.
“Perché ci tieni tanto a saperlo?”
Annabeth sbuffò. “Senti, tra di noi è avvenuto tutto alla rovescia… prima abbiamo fatto sesso, poi ci siamo baciati, e da qualche giorno a questa parte stiamo cercando di conoscerci; è una domanda come un’altra, mi hai raccontato cose molto personali e adesso ti fai problemi a dirmi il significato di un tatuaggio?”
Percy allentò la presa sul tatuaggio e guardò Annabeth: “Ai tuoi occhi potrebbe sembrare un’idiozia.” Disse spostando lo sguardo sul suo braccio destro.
“Non cambierò la mia opinione su di te se è questo che ti preoccupa.”
Percy fece una smorfia, come se quella dichiarazione non lo convincesse più di tanto.
“L’ho fatto l’anno scorso ad Amsterdam… con Jason. Non avevo mai pensato di tatuarmi fino a quel momento, è nato tutto un po’ per gioco, parlavamo del nostro futuro e del fatto che non avessimo certezze su nulla, così ci siamo concentrati e abbiamo cercato un punto fermo, qualcosa intorno a cui ruotasse la nostra esistenza, qualcosa che fossimo certi non sarebbe mai cambiato; optai per il mare e scelsi il tridente per rappresentarlo perché mia mamma da piccolo mi metteva a letto raccontandomi spezzoni della mitologia greca e il mio dio preferito era ovviamente Poseidone, ancora non sapevo che mio padre condivideva quello stesso nome… ironia della sorte!”
Annabeth sorrise lievemente, come sempre, quando Percy parlava, lei era affascinata dai suoi racconti e avrebbe ascoltato la sua voce per ore e ore.
“Non mi sembra per niente un’idiozia” disse Annabeth cercando di incontrare gli occhi di Percy che fissavano ancora il tatuaggio.
“E come mai l’altro giorno hai sentito il bisogno di aggiungerci una linea?”
“Non ti accontenti mai, eh?” fece lui sollevando lo sguardo su di lei.
“Già.”
“Beh, per spiegarti quella parte credo di aver bisogno di un altro drink!” Fece sapere lui alzandosi per andare a prendere da bere. Non ebbe bisogno di chiedere nulla perché nella zona che era stata adibita a bar trovò Clarisse che gli allungò un bicchiere senza troppe cerimonie. “Ma cos’è?” chiese Percy annusando il bicchiere.
“Bevilo e non rompere Jackson!”
Percy prese il bicchiere e si allontanò, una delle ultime volte che aveva discusso con Clarisse si era ritrovato con una costola incrinata e non aveva certo voglia di ripetere l’esperienza.
Tornò vicino ad Annabeth e le si sedette a fianco: “Scusami, non ti ho nemmeno chiesto se volevi qualcosa…”
“Tranquillo, direi che sono a posto per un po’” sorrise lei che moriva dalla voglia di conoscere la fine del suo racconto.
Percy buttò giù una sorsata di qualunque cosa Clarisse gli avesse servito e fece una smorfia disgustata. “Sambuca, odio la sambuca!”
“Non deviare il discorso… le linee” l’esortò Annabeth in preda alla curiosità.
“Rappresentano le donne che ho amato” disse Percy tutto d’un fiato, “o che ho creduto di amare” si corresse un attimo prima di finire la sambuca alla goccia.
Calò un silenzio imbarazzante e Percy si sentì in dovere d’interromperlo. “Il significato delle linee di Jason forse è più sensato, ha detto che il significato delle mie era sdolcinato e che cercavo solo una scusa per non tatuarmi troppo, così lui ha deciso di farsi una linea per ogni ragazza con cui era andato a letto… anche se non sono convinto che il tatuaggio sia aggiornato.” Ridacchiò Percy in preda all’imbarazzo.
“Percy” sussurrò Annabeth, la salivazione completamente azzerata. “Perché stai spostando la conversazione su Jason?” chiese con un filo di voce. La rivelazione che lui le aveva appena fatto era talmente forte che sentiva il cuore battere all’impazzata.
“Perché aveva ragione” disse lui gettando il bicchiere vuoto nella spazzatura con un canestro da tre punti, “il mio significato è stupido, ma me ne sono reso conto troppo tardi.”
Prima che Annabeth potesse aprire bocca una pallonata colpì Percy sulla schiena, era stato Frank che stava giocando a calcio con Grover e Dakota. Percy afferrò la palla di rimbalzo e dopo essersi sfilato la maglia corse verso gli amici gridando: “due contro due?”
Annabeth lo guardò allontanarsi mentre una lacrima le rigava la guancia e le parole le morivano in gola. Spostò lo sguardo altrove in preda allo sconforto e dall’altra parte della spiaggia vide Piper e Jason alle prese con uno dei loro baci appassionati. Spostò ancora lo sguardo e si concentrò sulle fiamme danzanti del falò mentre in lontananza il campanile della piazza rintoccava la mezzanotte.




Angolo dell'autrice: Ciao amici lettori, so che l'attesa è stata un po' più lunga del solito ma ero veramente strapiena d'impegni e il capitolo che mi accingevo a scrivere non era tra i più semplici. Come avete visto volevo far luce su un po' di aspetti che vi avevo promesso avrei chiarito; mi riferisco al tatuaggio di Percy e alla proposta di Annabeth, inoltre volevo che Jason e Piper facessero pace ma allo stesso tempo non volevo trascurare la scena della festa... ecco perchè ho deciso di proseguirla anche nel prossimo capitolo, non potevo certo farla finire a mezzanotte! :-) Leo che si affida ai consigli di gente discutibile che posta video su youtube mi sembrava molto da lui così ho deciso di inserire anche questa cosa. Fatemi sapere le vostre impressioni, spero che in generale siano buone e che il capitolo in sé vi sia piaciuto ma aspetto le vostre fantastiche recensioni per saperne di più. Vi ringrazio per aver atteso il capitolo così a lungo e grazie in anticipo per ogni recensione che lascerete. Non vedo l'ora di leggerle!!! Riguardo al prossimo capitolo vi avviso che inizierò a scriverlo dal 20 in poi perchè prima sono via una settimana (viva le vacanze), quindi non temete se ci metterò un po' ad aggiornare, abbiate fiducia, sono più che motivata a continuare la storia, anzi spero che questa vacanza mi fornisca un sacco di spunti nuovi da inserire nella mia FF. :-) A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Mercoledì (notte) ***


MERCOLEDì (notte)

 
 
“Non ti allargare” brontolò Nico spostando Will dalla spalla su cui si era appena accoccolato.
“Perché?” mugugnò il figlio del farmacista denotando come i cocktail di Frank avessero messo a dura prova la sua lucidità.
“Il fatto che io abbia accettato di venire a questa festa non significa che gradisca il contatto fisico.”
“E che fisico!” Esclamò Will indicandosi il petto come per mettersi in mostra.
Nico si tirò uno schiaffò sulla fronte e scosse leggermente il capo. Will era già abbastanza insopportabile di suo, ma con qualche drink in corpo riusciva ad esserlo ancora di più.
“Sei ubriaco!” Decretò dopo aver studiato attentamente gli occhi di Will e avergli dedicato un’occhiata sprezzante. Erano belli, di un azzurro limpido e travolgente, ma erano anche lievemente arrossati e stanchi, come se il ragazzo non dormisse da giorni.
“Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, siamo ad una festa, mi sto divertendo e domani non ho niente da fare, non vedo cosa ci sia di male” disse Will studiando attentamente il suo bicchiere per vedere se conteneva ancora qualcosa di bevibile.
“Beh, io ho un’attività da mandare avanti invece, quindi ora è il caso che me ne vada.” E con quelle parole Nico lasciò Will sdraiato sulla sabbia e prese la via di casa senza nemmeno salutare gli altri; non era mai stato un tipo socievole e ancora si domandava come diavolo avesse fatto Will a trascinarlo a quella festa.
Will sapeva di essere decisamente troppo storto anche solo per provare a corrergli dietro, così si puntellò sui gomiti per riuscire a seguire almeno la sagoma di Nico allontanarsi.
“È andata male?” chiese Percy prendendo posto accanto a Will. Era stanco e ancora accaldato dalla partita di calcio e non appena si sdraiò sentì la sabbia attaccarsi alla schiena e si pentì immediatamente di essersi sdraiato sulla spiaggia.
Will fece spallucce. “Mi sento già abbastanza fortunato ad essere riuscito a farlo uscire di casa. Non potevo pretendere di più… almeno per stasera.”
“Direi che è un buon segno… magari ha solo bisogno di tempo, non perdere le speranze.” Commentò Percy deciso a tirargli su il morale. Conosceva Will da una vita e si erano sempre confidati come fratelli.
“Che mi dici di te?” chiese Will voltandosi a guardare l’amico.
Percy si strinse nelle spalle e non proferì parola.
“Come mai la tua fanciulla piangeva davanti al fuoco?” aggiunse come per invogliarlo a sfogarsi.
“Sarà per colpa del suo ex suppongo, prima mi ha confessato che si è rifatto vivo… a quanto pare sono fuori dai giochi.” Commentò Percy con una risata forzata e lo sguardo basso. “Ora come ora penso di avere più probabilità di successo con te che con lei.” Ironizzò Percy deciso a sdrammatizzare un po’ la situazione.
“Non ci provare” lo redarguì Will, “non sei il mio tipo e poi sei etero fino al midollo… anche se tendo ad essere un’ottima nave scuola per chi intende cambiare sponda.”
Risero insieme e smisero solo quando Frank s’intromise e piazzò due cocktail tra le mani dei ragazzi.
“Beh? Cosa sono quelle facce?” domandò il ragazzo osservando gli amici che lo fissavano con delle facce che erano tutte un programma.
“Datevi una mossa a finirli che con questo caldo il ghiaccio si scioglie in un secondo!”
“Frank, io non è che posso tornare a casa sempre ribaltato quando tu sei nei paraggi” piagnucolò Percy ricordando le sere che era tornato a casa strisciando per colpa di tutte le grappe/liquori che l’amico gli aveva fatto assaggiare nel suo locale.
“Devo essere sincero”, intervenne Will, “io ho perso il conto dei drink che mi hai rifilato stasera” fece sapere rigirando la cannuccia nel drink di cui aveva già assaggiato un sorso.
“E poi non possiamo essere messi peggio del festeggiato… se proprio devi fare bere qualcuno fai bere Jason.” Suggerì Percy cercando il cugino con lo sguardo.
“Lo farei se solo si staccasse dalle labbra di quella ragazza” commentò Frank additando Jason e Piper che erano appartati dall’altra parte della spiaggia e sembravano parecchio impegnati.
“A quanto pare il nostro Don Giovanni è riuscito a farsi perdonare” commentò Percy fissando i due alle prese con un bacio al limite del pudore.
“Dovremmo tutti imparare da lui” fece Will sorseggiando il suo drink, “a quest’ora forse avremmo più successo…”
“Parla per te!” Esclamò Frank contrariato, “io ieri ho rimediato un altro appuntamento con Hazel” fece sapere strizzando l’occhiolino agli amici.
“Ah sì?” chiese Will con un sorriso sghembo, “e quanti di questi le hai dovuto rifilare prima che accettasse?” s’informò il ragazzo mostrando il bicchiere ormai mezzo vuoto all’amico.
“Che tu ci creda o no, non ho bisogno di far ubriacare una ragazza per rimediare un appuntamento.” Annunciò Frank gonfiando il petto. “Tu piuttosto cos’hai da raccontare? Il tatuatore dei tuoi sogni ha già ceduto alle tue avances?”
“No” sbuffò Will, “ma non appena lo farà sarai il primo a saperlo.”
“Come sarebbe che sarà il primo a saperlo? Credevo che l’avresti detto a me… dopotutto sono io che ti ho dato il suo numero!” Brontolò Percy.
“Sei peggio di una portinaia Percy!” Ridacchiò Will.
“Sono un bagnino… e il bagnino è un po’ la portinaia della spiaggia effettivamente.” Rifletté Percy ad alta voce.
“Ok, ok, allora appena avrò successo creerò un gruppo whats app solo per comunicarvelo, contenti?”
Se avrai successo!” Precisò Frank.
“L’avrò, l’avrò. Non dubitare.” Lo rassicurò Will con un sorriso raggiante.
Poco più in là, Annabeth trovò la forza di alzarsi. Si asciugò le ultime lacrime con il dorso della mano e cercò le amiche con lo sguardo, Piper sembrava sparita nel nulla ma fortunatamente riuscì ad individuare Talia che ballava insieme a Juniper poco distante e le raggiunse.
“Talia io vado a casa…” sussurrò all’orecchio dell’amica. Lei si allontanò quanto bastava per guardarla meglio, poi si accigliò domandandosi cosa la turbasse.
“È tutto ok” la rassicurò lei anticipando la sua domanda, “sono solo stanca.”
“Ora che siamo sole vuoi dirmi che ti prende?” chiese Talia due minuti più tardi quando raggiunse Annabeth sulla passerella che conduceva al lungomare.
“Sono confusa” esalò Annabeth come se quella confessione le costasse una fatica immensa.
“Ti prego non dirmi che c’entra Luke” la supplicò Talia.
Annabeth distolse lo sguardo. “Non lo so” ammise, “fino a poche ore fa pensavo di essere confusa a causa sua, ma ora…” senza volerlo indugiò sulla sagoma di Percy illuminata dalla tenue luce emanata dal fuoco e all’occhio attento di Talia quel gesto non passò inosservato.
“Ma stasera hai rivisto Percy e credi di essere cotta di lui.” Concluse Talia come se raccontasse il finale di una favola letta più e più volte.
Prima che Annabeth potesse replicare, qualcosa sibilò nel cielo lasciando una scia dorata e un istante dopo il cielo si colorava di righe intrecciate dei colori più vivaci.
“Allora ce l’ha fatta!” Esclamò Talia rimirando lo spettacolo che le sovrastava con gli occhi sgranati per la meraviglia. “Leo ha trovato i fuochi d’artificio!”
“Leo ha costruito i fuochi d’artificio vorrai dire!” La corresse lui che le aveva appena raggiunte e si godeva lo spettacolo a braccia conserte con un sorriso compiaciuto stampato in volto.
“Lo dicevo che eri forte!” Disse la voce di Clarisse e con essa giunse anche una pacca sulla spalla talmente vigorosa che spostò Leo di mezzo metro e lo lasciò tramortito per qualche secondo. “Bel colpo Valdez!”
Lo spettacolo pirotecnico durò cinque minuti buoni e piano piano tutti i ragazzi si avvicinarono per poter rimirare il cielo dal punto in cui si trovavano Annabeth e Talia. Persino Piper e Jason si presero una pausa pur di non perdersi quell’evento e si unirono agli amici camminando a braccetto.
“Stavi per andartene?” domandò la voce di Percy alle spalle di Annabeth.
“Veramente il primo ad andarsene sei stato tu, il calcio era solo una scusa.” Bisbigliò Annabeth senza voltarsi, certa del fatto che lui cogliesse le sue parole nonostante il rumore dei fuochi.
“Hai ragione, ero in imbarazzo, non lo nego.” Confessò lui facendosi un pelo più vicino.
“E comunque sono ancora intenzionata ad andarmene, non appena finiranno i fuochi.”
“Posso accompagnarti a casa se vuoi. Si è fatto tardi anche per me, domani mi alzo presto.”
“Dimenticavo il tuo lato da stalker…” ridacchiò Annabeth che non riusciva a trovare un motivo valido per rifiutare quella proposta.
E fu così, che dieci minuti più tardi i due camminavano tra i vicoli del paese fianco a fianco godendosi il venticello che s’incanalava lungo le vie.
“Dicevi sul serio quando mi parlavi della tua soffitta?” azzardò Percy deciso a saperne di più.
“Ho l’aria di una che dice balle?”
“No, assolutamente no” s’affrettò a dire Percy, preoccupato all’idea che Annabeth perdesse la pazienza, “è solo che non me l’aspettavo…”
“Cos’è? Ci stai forse ripensando?” indagò Annabeth.
 “Annabeth io ti vorrei come fidanzata non come padrona di casa.” Si lasciò sfuggire Percy per poi morsicarsi la lingua un istante dopo. A quanto pareva i drink di Frank avevano fatto il loro dovere e adesso pareva che le parole gli uscissero di bocca senza chiedergli il permesso.
“Come scusa?” fece Annabeth certa di non aver capito bene.
“Ok, forse ho bevuto un po’ troppo per affrontare questo discorso…”
“Non ti azzardare a scappare un’altra volta!” Lo minacciò Annabeth puntandogli l’indice destro contro il petto.
“Non c’è molto da spiegare, mi sembra che la mia frase abbia un senso compiuto senza bisogno di aggiungere altro.”
“Forse, ma mi piacerebbe sapere perché te ne sei uscito solo adesso con una frase del genere… e non dirmi che è colpa dei drink perché non è certo la prima sera che ti vedo alzare il gomito.”
Percy sbuffò, discutere con Annabeth era già complesso da sobrio, figuriamoci in quelle condizioni.
“È perché ti ho parlato di Luke?” azzardò Annabeth infastidita dal silenzio di Percy.
“Senti non lo so, ok? Ho avuto più sbalzi d’umore in queste settimane che in tutta la mia vita, ho provato così tanti sentimenti contrastanti che ancora non capisco come ho fatto a non esplodere.” Sbottò Percy, le tempie che pulsavano in preda ad un imminente mal di testa.
“Mi dispiace” disse Annabeth sincera, “spero che tu riesca a trovare un equilibrio.”
“Lo spero anch’io” esalò Percy, “l’idea di cambiare aria mi alletta ma non la vedo realizzabile”.
“Dipende solo da te.”
“Perché scusa, tuo padre approverebbe?”
“Mi stai chiedendo se ti approverebbe come inquilino o come fidanzato?”
Percy tentennò un istante, non conosceva nemmeno lui la risposta a quella domanda.
“Potenzialmente entrambe le cose”
“Come inquilino hai buone possibilità… come fidanzato meno di zero, mio padre ti odierebbe.” Decretò Annabeth risoluta.
“E tu come fai ad esserne così certa?”
“Faccia da teppista, avambraccio tatuato, studi universitari abbandonati ad un passo dalla fine… devo continuare?”
“No, direi che basta così.” Mugugnò Percy abbacchiato.
“Perché potrei continuare ricordandoti la tua ordinanza restrittiva o facendoti notare che tendi ad alzare il gomito un po’ troppo spesso…”
“Sono a posto grazie” fece sapere Percy che cominciava a sentirsi a disagio.
“Ma c’è da dire che noi ragazze siamo irrimediabilmente attratte da tutto ciò che i nostri padri non approvano.”
“Almeno c’è una vaga speranza che io piaccia a tua madre?”
“Direi di no”
“Bene” ironizzò Percy sempre più sconfortato.
“Mia madre non vive più con noi da quando ero piccola” spiegò Annabeth, “non la vedo da anni.”
“Oh, mi spiace, io non lo sapevo.” Bisbigliò Percy che si guardò bene dal porre ulteriori domande a riguardo. Con sua sorpresa, scoprì che Annabeth era in vena di confidarsi e, senza che lui chiedesse nulla, si lanciò in una breve ma esaustiva spiegazione.
“Insegnava nell’università che sto frequentando ora, ma circa quindici anni fa le offrirono una cattedra alla Brown University e nel giro di due settimane fece i bagagli e si trasferì negli Stati Uniti. L’idea di rifiutare quell’opportunità per rimanere con me e mio padre non la sfiorò nemmeno per un momento e così io e lui ci ritrovammo soli. Mio padre è un grande uomo, mi ha cresciuta da solo e non mi ha mai fatto mancare nulla.”
Percy l’ascoltò in silenzio e non poté fare a meno di notare come il padre di Annabeth in un certo senso avesse vissuto la stessa situazione di sua madre. Crescere un figlio da soli non era da tutti e in questo i loro genitori avevano indubbiamente fatto un ottimo lavoro.
“Siamo arrivati” fece sapere Percy fermandosi proprio davanti al portone di casa di Talia.
“Ti ringrazio per avermi accompagnata” disse Annabeth un po’ incerta, c’era qualcosa nel comportamento di Percy che non la convinceva, sembrava che fosse in attesa di qualcosa.
“Beh… non entri?”
“Prima volevo fare una telefonata…” spiegò Annabeth estraendo il cellulare per far capire a Percy che era di troppo.
“Sono quasi le due di notte… chi devi chiamare a quest’ora?” Annabeth fece per replicare ma Percy fu più veloce: “ok, non sono fatti miei… anche se ho una vaga idea.”
“Ciao Percy” lo salutò Annabeth con la mano tentando di convincerlo ad andarsene, ma lui sembrava irremovibile.
“Ok, adesso te lo dico!”
“Cosa?” chiese Annabeth allarmata.
“Sei senza chiavi.” Disse Percy mentre Annabeth cominciava a ravanare freneticamente nella borsa, “ti sei dimenticata di chiederle a Talia e io mi sono guardato bene dal ricordatelo perché con la scusa speravo che avresti dormito da me.” Quelle ultime parole Percy le disse con lo sguardo basso, come se un po’ si vergognasse anche solo di aver pensato una cosa simile.
“Sono senza parole” disse Annabeth che stentava a credere alle sue orecchie.
“Lo so, mi spiace, fai pure la tua telefonata poi torniamo a prenderle.” E così dicendo Percy si allontanò per lasciare ad Annabeth la privacy che desiderava.
Annabeth osservò Percy allontanarsi, poi spostò lo sguardo sullo schermo del cellulare, poi di nuovo su Percy.
“Andiamo!” Gli gridò mentre riponeva il cellulare nella borsa.
Percy si voltò di scatto e la guardò stranita. “Che ne è della tua telefonata?” chiese sempre più perplesso.
“Ti sembra una cosa sensata chiamare il mio ex sapendo che stasera dormirò con te?”
“No”
“E dimmi, è forse più sensato il fatto che io voglia dormire con te nonostante quello che ci siamo detti prima?”
“No, ma se può consolarti sono circa due settimane che la mia vita non ha senso.” Disse lui un istante prima di baciarla, “e penso che buona parte della colpa sia tua” aggiunse non appena si staccò dalle sue labbra.
 
In riva al mare i festeggiamenti proseguivano imperterriti. Dopo i fuochi d’artificio Clarisse, Talia e Will avevano fatto il bagno mentre Grover aveva stoppato l’mp3 per allettare tutti con la musica dei suoi bonghi.
Poco più in là Jason e Leo parlottavano tra loro.
“Come sarebbe che devo andare a dormire da un’altra parte?” stava dicendo Leo con aria sbigottita.
“Te lo chiedo come regalo di compleanno” implorò Jason, le mani giunte e l’espressione d’angioletto.
“Io gli fabbrico dei fuochi d’artificio e lui vuole casa libera per portarci la sua ultima conquista” brontolò Leo, le braccia conserte e l’espressione imbronciata. “E poi dove dovrei andare a dormire? Non posso certo vagabondare per il paese tutta la notte!”
Jason roteò gli occhi e si sforzò di trovare una soluzione. “Non puoi dormire da Calipso scusa?”
“Beh non posso certo autoinvitarmi.” Gli fece notare Leo contrariato.
“Lo so, ma ti prego, sento che questa è la sera buona e poi penso che tra qualche giorno torneranno a casa quindi ora o mai più, capisci?”
Disse lanciando un’occhiata a Piper che se ne stava seduta vicino al fuoco e chiacchierava animatamente con Juniper.
“E poi non vive mica da sola! Non posso dormire da lei!”
“Puoi andare da Grover” suggerì Jason raggiante.
“Col cavolo!” Esclamò Leo. “Pan sarà anche un cane socievole quando lo incontri per strada ma se entri nel suo territorio sei morto… io in casa di Grover non ci metto piede.”
“E allora dormi in macchina, o in spiaggia, che cavolo ne so.” Borbottò Jason implorandolo di trovare una soluzione che gli consentisse di avere casa libera.
 
Annabeth era sdraiata sul letto, aveva caldo e cominciava anche a mancarle il fiato, aprì gli occhi e vide Percy sopra di lei, era sudato e i capelli scuri gli si appiccicavano alla fronte, ciononostante non sembrava intenzionato a smettere quello che avevano cominciato un paio di minuti prima. Non le era ancora ben chiaro come fosse possibile che anche quella notte fosse finita nel suo letto, ma al momento tutto quello che stava accadendo, era troppo piacevole perché potesse rimproverarsi qualcosa.
Annabeth fece per richiudere gli occhi ma proprio in quel momento un rumore improvviso li fece trasalire ed entrambi si voltarono per capire cosa stesse succedendo.
Due uomini, di cui Percy non avrebbe mai e poi mai scordato le facce, erano appena entrati dalla finestra che era solito lasciare aperta.
Annabeth si rannicchiò sotto le coperte e si strinse a Percy il quale aveva già intuito cosa stesse per succedere. Era da quella mattina che aveva un brutto presentimento, anche se si era guardato bene dal parlarne con qualcuno.
“Ci rivediamo Jackson” esordì uno dei due, “è inutile che ti spieghi il perché di questa visita, vi do due minuti di tempo per vestirvi.”
Annabeth si voltò a guardare Percy e sul suo viso riuscì a leggere un misto di rabbia e rassegnazione.
“Che ne facciamo della ragazza?” domandò il secondo uomo che fino a quel momento era stato zitto.
“Viene con noi, non possiamo lasciarla andare.”
Annabeth rabbrividì. Anche se Percy non aveva aperto bocca, sapeva perfettamente chi erano quegli uomini e dove li stavano portando, ciononostante le sembrava di vivere una scena talmente surreale da poter essere tranquillamente parte della sceneggiatura di un film.
Solo quando arrivarono al porto e scesero dall’auto Percy trovò la forza di parlare. “Stai tranquilla” disse cercando di suonare convincente, “è me che vogliono, li convincerò a lasciarti andare.”
Annabeth avrebbe voluto replicare dicendo che non era per sé stessa che era preoccupata, era lui quello che rischiava grosso e lei cominciava ad avere seriamente paura che gli facessero del male.
Salirono a bordo dello yatch in silenzio e i due uomini li guidarono nella stessa stanza in cui Percy aveva parlato con suo padre esattamente tre sere prima. Poseidone li stava aspettando in piedi, proprio nel centro della stanza.
Quando vide Percy entrare sul suo viso apparve un ghigno malefico che fu sostituito da un’espressione di stupore non appena vide comparire Annabeth.
“E lei chi sarebbe?” domandò Poseidone adirato.
“Erano a letto insieme quando siamo andati a prenderlo.” Spiegò uno dei due uomini.
Poseidone fece una breve risata e poi sorrise compiaciuto.
“Bravo” disse guardando Percy con un misto di orgoglio e ammirazione, “allora qualcosa da me l’hai preso”, aggiunse studiando Annabeth con vivido interesse. “Non è male la biondina” decretò infine scostandole una ciocca di capelli dal viso. Annabeth era come paralizzata e quando Percy vide suo padre sfiorarla fece per allontanarla ma uno degli scagnozzi lo immobilizzò dalla spalle, impedendogli d’intervenire.
“Dimmi cara”, disse rivolto ad Annabeth che piegò leggermente la testa all’indietro per evitare qualsiasi tipo di contatto fisico, “almeno sotto le lenzuola mio figlio è degno di nota?”
“Credevo che avessi cose più importanti di cui preoccuparti vista la tua situazione!” Ringhiò Percy infastidito dall’ennesimo insulto.
Suo padre si voltò e lo squadrò con odio. “Hai ragione” disse con un tono che metteva i brividi. “Non c’è bisogno che ti spieghi come mai ti trovi nuovamente qui; fonti piuttosto attendibili mi dicono che sei abbastanza intelligente.”
“L’esito degli esami…”
“È positivo” concluse Poseidone, “sei compatibile e scommetto che non vedi l’ora di sottoporti all’intervento che salverà la vita dell’uomo che ha maledetto il giorno della tua nascita.”
Percy accolse quella notizia come se decretasse la fine della sua esistenza. Fino all’ultimo aveva sperato che l’esito del test fosse negativo, ma in cuor suo era come se avesse sempre saputo di essere compatibile. Mantenne lo sguardo basso, sapeva che Annabeth stava cercando il suo sguardo per leggere nei suoi occhi una reazione. Paura, delusione, rabbia, odio, non sapeva nemmeno lui cosa celasse il suo sguardo, così si limitò a tenere gli occhi bassi fin quando suo padre parlò di nuovo.
“Il dottore ha accettato di operarti stanotte, quindi non pensare di fare ritorno a casa prima dell’alba.”
“No” Gemette Annabeth in un sussurro attirando l’attenzione di entrambi, erano così presi dalla loro conversazione da essersi quasi dimenticati di lei.
“Non hai bisogno che lei sia qui, lascia che torni a casa!” Disse Percy con voce strozzata vergognandosi del fatto che la sua richiesta suonasse come una supplica.
“Sa quello che sta succedendo, non posso permettermi di lasciarla andare.” Replicò Poseidone accendendosi un sigaro.
“Avrai comunque quello che ti serve, non voglio che lei sia qui.” Adesso la voce di Percy era ferma e decisa.
“Avresti dovuto pensarci prima di portartela a letto, se le fossi stato alla larga a quest’ora non sarebbe immischiata in questa faccenda, è solo colpa tua Perseus”, disse Poseidone sputando fuori il suo nome come fosse velenoso. Percy non rispose, le parole di suo padre erano taglienti e facevano male.
“Hai provato in tutti i modi a rovinare la mia vita, prima venendo al mondo e poi cominciando a sabotare la mia attività con la tua stupida tesi”, sibilò Poseidone approfittando del suo silenzio per affondare ancora di più il coltello nella piaga, “hai rovinato la vita di tua madre, e adesso hai messo in mezzo anche una povera ragazza! Ovunque vai crei problemi, non te ne rendi conto?”
“Non dargli retta!” Esclamò Annabeth con fermezza.
“Ha ragione” sospirò Percy abbacchiato.
“No che non ha ragione, il fatto che lui ti odi perché è una persona spregevole non significa che lo facciano anche gli altri. I tuoi amici ti vogliono bene e tua madre ti ama Percy, ricordatelo.”
“Lasciala andare” disse Percy rivolto a suo padre, “lasciala andare e mi sottoporrò all’operazione senza opporre resistenza.”
Poseidone prese una boccata di fumo, poi studiò nuovamente suo figlio. “È una cosa tra me e te, lei non c’entra” aggiunse Percy nel tentativo di convincerlo.
Poseidone misurò la stanza a grandi passi riflettendo sulla sua proposta, poi schioccò le dita e un uomo si fece avanti.
“Falla scendere” disse freddo e asciutto, e poi rivolto ad Annabeth, “ascoltami bene signorina, se ti azzarderai a rivelare a qualcuno quanto hai visto o sentito stasera, farò in modo che il tuo dolce Romeo non si risvegli dall’anestesia, sono certo che hai capito cosa intendo.”
Annabeth rabbrividì e cercò lo sguardo di Percy prima che la portassero fuori, l’ultima cosa che vide furono le labbra di Percy sussurrare: “è tutto ok, andrà tutto bene.”
Neanche un minuto più tardi Percy fu spostato in una stanza che somigliava in tutto e per tutto ad una sala operatoria. Lì, in piedi dietro lo stesso carrello che Percy gli aveva visto spingere durante il loro primo incontro, stava il dottore. Era già munito di camice e cuffietta dello stesso tono di verde brillante e al collo aveva una mascherina bianca pronta per essere spostata sulla bocca non appena l’intervento avesse avuto inizio.
“Devo chiederti di accomodarti” disse il medico indicando il lettino. L’energumeno che aveva scortato Percy fino a lì si fece da parte e Percy obbedì. Camminò verso il lettino e ci si sedette in attesa di ulteriori indicazioni.
“Adesso sdraiati per favore”, disse il dottore preparando l’anestesia. Percy lo vide avvicinarsi con la siringa e notò un leggero tremore, come se le sue mani si rifiutassero di collaborare. Percy prese un profondo respiro e lasciò che l’ago gli bucasse la pelle, se tutto fosse andato liscio almeno si sarebbe risparmiato gli ematomi che lo avevano fatto passare per un tossicodipendente. L’anestesia fece effetto subito, e nel giro di poco Percy sentì le palpebre pesanti, lottò un paio di minuti prima di cedere alla potenza del farmaco e quando chiuse definitivamente gli occhi si augurò che avrebbe potuto riaprirli di nuovo.
“Ora puoi andare” disse il medico all’uomo che sostava ancora sulla porta, “non posso operare se resti qui, la sala dev’essere asettica, ora vai, e dì a Poseidone di non disturbarmi per nessuna ragione, mi farò vivo io non appena avrò finito.”
 
Annabeth rimase ferma immobile sul molo del porto per una decina di minuti buoni. Stentava ancora a credere che tutto quello che era appena successo fosse reale ma, anche accettando la cosa, si sentiva le mani legate. Aveva promesso di mantenere il segreto su quanto stava avvenendo a bordo di quello schifosissimo yatch e aveva seriamente paura che se si fosse lasciata scappare qualcosa le conseguenze sarebbero state gravi. Prese un profondo respiro e trovò la forza di camminare, seguì la strada sul lungo mare lasciandosi andare ad un pianto silenzioso. Quando raggiunse il punto in cui solo poche ore prima stavano festeggiando il compleanno di Jason notò che non c’era più nessuno. Decise di tornare a casa di Talia e per non rischiare di rimanere chiusa fuori provò a contattarla via messaggio, si sentiva ancora talmente scossa che non se la sentì di fare una telefonata.
Fortunatamente Talia risultava online così si limitò a scriverle che nel giro di pochi minuti sarebbe stata a casa e lei rispose con un semplice ok.
“Ti prego non dirmi che hai litigato di nuovo con mio cugino” esordì Talia aprendole la porta in pigiama.
“No, tranquilla, è solo che sono gli ultimi giorni di vacanza e non mi va di dormire sempre fuori, volevo stare un po’ anche con te e Piper.” Mentì Annabeth mascherando il tutto con un bel sorriso.
“Beh, stasera ti dovrai accontentare di me… Piper dorme da Jason” spiegò Talia mimando le virgolette mentre pronunciava la parola dorme.
“Mi stai dicendo che…”
“Per favore, non farmici pensare, è pur sempre mio fratello!”
“Ok, ok, allora andiamo a letto e basta” propose Annabeth più che decisa a starsene da sola per riflettere.
“Come mai Percy non ti ha riaccompagnata?” chiese Talia sospettosa. “Non è da lui far tornare una ragazza a casa da sola alle tre del mattino.”
“Dormiva”, mentì Annabeth, “gli ho lasciato un biglietto in modo che non si preoccupi.”
Talia già russava e Annabeth si ritrovò a fissare il soffitto certa del fatto che non avrebbe chiuso occhio per il resto della nottata.


Angolo dell'autrice: Ciao amici lettori. Domando scusa se il capitolo si è fatto attendere un po', ma come avete visto ho dovuto fare uno strappo alla regola... man mano che scrivevo il capitolo mi sono resa conto che stava venendo veramente troppo lungo (ho superato le 20 pagine e ancora non è finito) così ho deciso di spezzarlo a metà inserendo nel capitolo che avete appena letto tutto quello che avvine la notte, e nel prossimo capitolo leggerete quello che accade di giorno. Forse non è il massimo ma almeno il capitolo non sarà troppo lungo e voi non dovrete attendere che io finisca la stesura dell'intera giornata per poter leggere qualcosa. In compenso, avendo già pronte 9 pagine che andranno a comporre il capitolo successivo, non dovrete attendere troppo il prossimo! :-) Spero che questa mia scelta non rovini il sapore della storia e il piacere della lettura.
Venendo al capitolo in sé... la Solangelo è un disastro come al solito, in compenso mi piace molto l'idea che Will e Percy siano molto amici e si confidino tra loro. Ho anche trovato un po' di spazio per Frank, è solo di contorno ma mi sembrava carino dargli qualche battuta. Jason e Piper forse si sono dati una svegliata e la Percabeth, beh... aspettate il prossimo capitolo per insultarmi. ;-)
Grazie mille a tutti voi che mi state seguendo con costanza e grazie infinite a tutti quelli che lasciano commenti, li apprezzo molto e mi gratificano, e poi è sempre bello sapere cosa pensate di quello che scrivo. Scusate ancora per il ritardo, ora giuro che la smetto di scrivere e lascio la parola a voi!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Mercoledì (giorno) ***


MERCOLEDì (giorno)

 
 
Percy aprì gli occhi verso le sette del mattino e subito ebbe l’istinto di alzarsi. Il contatto con il freddo lettino operatorio era fastidioso ma servì a fargli riprendere subito il contatto con la realtà. La luce dei neon sopra di lui era accecante, così, ad occhi socchiusi cominciò a tastarsi il corpo domandandosi quali ferite riportasse.
“Tranquillo ragazzo” disse la voce del medico e Percy, ancora stordito dall’anestesia, notò solo in quel momento che era alla sua destra e si stava avvicinando. Fece per alzarsi ma il dottore gl’intimò di stare sdraiato.
“Sei ancora in parte sotto l’effetto dell’anestesia, svanirà poco a poco, ma per ora devi rilassarti” spiegò in tono pacato e rassicurante, un tono che fino a quel momento Percy non gli aveva mai sentito usare.
“Com’è andato l’intervento?” chiese lui con un filo di voce, augurandosi che nulla fosse andato storto.
Il dottore sospirò e Percy si domandò se stesse per dirgli qualcosa di brutto.
“Non c’è stato nessun intervento” confessò l’uomo avvicinando uno sgabello per sedersi a fianco a Percy e potergli parlare a bassa voce.
“Cosa?” guaì Percy convinto che l’anestesia stesse alterando la sua percezione della realtà.
“Ti ho fatto l’anestesia e hai dormito per quattro ore, ma non ti ho nemmeno toccato.”
“Perché non mi ha operato? Mio padre ha detto che sono risultato compatibile.”  Disse Percy tremendamente confuso e soprattutto preoccupato all’idea che questa cosa potesse avere delle ripercussioni su Annabeth.
“Infatti lo sei… il fatto è che c’è stato un errore nelle analisi di tuo padre, non è malato!” Confessò il dottore con voce rotta, pareva essere sull’orlo delle lacrime. Percy roteò gli occhi alla sua destra per vederlo meglio, gli sembrava di essere vittima di un terribile scherzo e non sapeva più cosa pensare o di chi fidarsi.
“Cosa significa che mio padre non è malato?” Chiese mettendosi leggermente più sollevato con la schiena mentre il cuore gli martellava nel petto all’impazzata senza che lui ne capisse il motivo. Era forse preoccupato all’idea che suo padre scoprisse la verità o era semplicemente contento di essersi risparmiato un’operazione sgradita?
“C’è stato un errore nelle sue analisi, non sta morendo e non ha nessun bisogno del tuo midollo.”
“E lei perché diavolo non gliel’ha detto?” sbottò Percy con ritrovata energia, finalmente cominciava a recuperare le forze.
Il medico sollevò il capo e lo fissò come si guarda un matto.
“Perché mi farebbe ammazzare, tuo padre non è una persona molto tollerante nel caso in cui non te ne fossi accorto.”
“Sì, ma prima o poi dovrà dirglielo…”
“Credi che non lo sappia?” piagnucolò il dottore, e Percy si rese conto solo in quel momento di quanto fosse fragile quell’uomo. “Pensi forse che stia dalla sua parte? Credi che faccia il suo gioco perché condivido i suoi scopi? Ha minacciato di uccidere mia figlia se mi fossi rifiutato di eseguire i suoi ordini, sono un uomo disperato.”
“Mi dispiace” sussurrò Percy che ancora una volta si sentì uno schifo, sembrava che ovunque andasse creasse problemi alle persone.
Mentre osservava il dottore con gli occhi velati dalle lacrime e la voce spezzata da singhiozzi incontrollabili una folle idea gli attraversò la mente, era probabilmente la più stupida delle idee, ma era già qualcosa. Si mise a sedere sul lettino e cominciò ad aprire e chiudere i palmi delle mani per assicurarsi che l’effetto dell’anestesia stesse svanendo. “Forse posso aiutarla, o perlomeno posso farle guadagnare un po’ di tempo.” Disse sollevando lo sguardo sul dottore. L’uomo ricambiò lo sguardo e Percy riconobbe un velo di speranza e curiosità nei suoi occhi.
“Farò il suo gioco”, dichiarò infine, “fingerò di aver subito l’operazione, nessuno a parte me e lei sa quello che è avvenuto, o meglio non è avvenuto, qui dentro. Una volta che riferirà a mio padre che l’operazione si è conclusa con successo lui mi lascerà andare, io sarò finalmente libero e lei avrà guadagnato un po’ di tempo, tempo che potrebbe servirle per decidere come dire la verità a mio padre riguardo il suo effettivo stato di salute o che le tornerà molto utile nel caso in cui decidesse di andare alla polizia.”
“Davvero faresti questo per me?” domandò il dottore incredulo.
“È un piano che fa comodo ad entrambi” gli fece notare Percy facendo spallucce.
“Ok, ci sto.” Disse il dottore con gli occhi che brillavano illuminati da un bagliore di speranza.
 
Leo si era svegliato nell’auto di Jason sudato da fare schifo e con la schiena completamente bloccata. Cercò di stiracchiarsi per alleviare i dolori ma fu tutto inutile, gli sembrava di essersi svegliato nel corpo di un’ottantenne con l’artrite. Aprì la portiera della macchina e scese a piedi nudi per prendere una boccata d’aria. Proprio in quel momento passò una vecchietta di ritorno dal mercato, trascinava il carrellino della spesa a fantasia scozzese carico di frutta e verdura e non appena vide Leo scendere sudato fradicio dall’auto lo fissò scandalizzata e borbottò qualcosa tra sé e sé.
“È tutto ok signora… sono solo rimasto chiuso fuori di casa” gridò Leo alla vecchietta che nel frattempo aveva cambiato marciapiede pur di girargli alla larga.
Guardò l’orologio e notò che erano solo le sette del mattino, anche se vista la temperatura che c’era nella macchina sembrava fosse mezzogiorno. Tornare in quella specie di fornace era fuori discussione, così Leo si decise a rincasare. Salì le scale certo del fatto che Jason non sarebbe stato contento di trovarselo tra i piedi così presto ma se ne fregò bellamente. Aprì la porta del suo appartamento, accese il ventilatore della sala e si lasciò cadere sul divano sperando che l’amico non l’avesse sentito rientrare.
“Ma che cavolo ti sei messo in testa?” chiese Jason entrando in sala con indosso solo un paio di pantaloncini.
“Sei la persona col sonno più leggero che io abbia mai conosciuto!” Borbottò Leo con gli occhi chiusi e la faccia schiacciata sul cuscino.  
“Siamo andati a letto alle tre, non potevi tornare almeno per le dieci?”
“Dormici tu in macchina! Ci sono tipo quaranta gradi, stavo facendo la sauna!” Disse Leo più che deciso a far valere le sue ragioni. “Senza contare il fatto che non voglio sapere cosa ci hai fatto in quella macchina, sul sedile posteriore ci sono delle macchie sospette…”
“Testimonianze dei tempi che furono” scherzò Jason appoggiato allo stipite della porta.
Leo imprecò e Jason rise di gusto. “Dai, su” gl’intimò Jason, “torna per le dieci.”
“Cioè scusa mi hai appena rivelato che ho dormito nel regno delle tue scopate e adesso mi chiedi anche di tornarci?”
“Shhh” fece Jason lanciando un’occhiata alla camera da letto, preoccupato all’idea che Piper cogliesse qualche spezzone dei loro discorsi.
“Shhh lo dico io!” Fece Leo abbracciando il cuscino, “ora torna di là e lasciami dormire!”
“Sei una palla!” Concluse Jason rassegnato.
“Fai pure quello che vuoi, io farò finta di non sentire.”
“Cos’è che fingerai di non sentire?” domandò la voce di Piper che sembrava già parecchio sveglia.
“Dio li fa e poi li accoppia” commentò Leo sconvolto da tanta vitalità alle sette del mattino, “A quanto pare non sei l’unico ad avere il sonno leggero” aggiunse rivolto all’amico.
“Facciamo colazione al bar?” chiese Piper a Jason rivolgendogli un ampio sorriso.
Jason era come inebetito, Piper riusciva ad essere splendida anche appena sveglia e lui non riuscì a dirle di no.
“Ecco bravi, andate a fare colazione al bar… così io posso continuare a dormire!”
 
Non avendo chiuso occhio per tutta la notte, Annabeth svegliò Talia molto presto e, con la scusa che erano gli ultimi giorni di vacanza, convinse l’amica ad andare in spiaggia per godersi appieno il mare. In realtà ad Annabeth del mare importava molto poco, la sua vera premura era scoprire se Percy era a lavoro e soprattutto se stava bene. Raggiunsero la spiaggia alle otto in punto e mentre Talia si lasciò cadere sul lettino decisa a riprendere sonno il prima possibile, Annabeth cercò Percy con lo sguardo in tutto il lido.
Sentì una fitta al cuore quando si rese conto che non c’era e che in cima all’asta in riva al mare sventolava bandiera rossa. Si voltò di scatto verso Talia che dormiva e per un attimo fu sul punto di raccontarle tutto, poi vide Percy scendere le scale del lido di corsa. Sembrava stare bene e doveva anche aver trovato il tempo di passare da casa perché indossava un costume blu e la maglia rossa con scritto staff. Le passò accanto diretto alla sua postazione e Annabeth lo vide sollevare il pollice nella sua direzione, come per comunicarle silenziosamente che era tutto ok.
In quello stesso momento anche Piper e Jason fecero il loro ingresso in spiaggia, si tenevano per mano ed entrambi avevano un ampio sorriso che gli illuminava il volto. Annabeth incrociò lo sguardo di Piper e decise di rimandare tutte le domande a cui avrebbe voluto sottoporla a più tardi. In quel momento la sua priorità era Percy, anche se non gli veniva in mente nessun escamotage per riuscire a parlare anche solo un momento con lui in privato. Mentre il suo cervello si arrovellava in cerca di una soluzione il Signor D passò come una furia al suo fianco e raggiunse Percy che aveva appena rimosso la bandiera rossa e si accingeva a salire in cima alla sua postazione, lo squadrò severamente e per un attimo sembrò sul punto di mettergli le mani addosso, poi, probabilmente ricordandosi di essere sotto gli occhi di tutti i suoi clienti, si ricompose e dopo essersi schiarito sonoramente la voce disse: “vieni con me!”
Percy fece una smorfia, sapeva che il suo ritardo non sarebbe passato inosservato.
“Mi dispiace” disse Percy ancora prima che il suo capo potesse chiudere la porta dello sgabuzzino.
“Stammi a sentire” ruggì lui, “questa volta hai superato il limite, stamattina ho dovuto fare i salti mortali per garantire un servizio decente ai bagnanti e tu ti presenti adesso come se nulla fosse?”
“Lei non ha idea di cosa mi è successo”
“Taci!” Urlò il Signor D sputacchiando in faccia a Percy che chinò il capo e rimase in silenzio. “Questa volta mi costringi a prendere provvedimenti. Non ti licenzio solo perché ho troppo bisogno di te, ma voglio i tuoi esami del sangue entro la fine della settimana, e fin quando non sarò certo che sei pulito non azzardarti a rivolgermi la parola.”
“Ancora con questa storia della droga?” fece Percy sconcertato, la sola idea di farsi prelevare altro sangue lo faceva star male. “Non è come pensa lei!”
“Portami quegli esami! E adesso fila a pulire il fondo della boa, almeno in acqua sarai lontano dalla mia vista per un po’!”
Cinque minuti più tardi Percy uscì a testa bassa dalla porta con scritto privato, seguito a ruota dal Signor D che sembrava avere ancora un diavolo per capello.
Tornando in spiaggia cercò Annabeth con lo sguardo, lei era l’unica a conoscere la verità e lui aveva tremendamente bisogno di qualcuno che lo capisse. La vide al margine del lido, dove gli ombrelloni blu lasciavano spazio a quelli arancioni del lido successivo, a fianco a lei c’era un ragazzo alto e biondo, probabilmente più grande di un paio di anni, con cui stava parlando animatamente. Percy squadrò il ragazzo da cima a fondo, oltre ai suoi clienti conosceva tutta la gente del paese e, dopo un’attenta analisi, giunse alla conclusione che non aveva mai visto prima quel ragazzo.
Camminò verso la riva deciso a raggiungere la boa, ma proprio in quel momento vide il ragazzo scavalcare la staccionata che divideva i due lidi per farsi più vicino ad Annabeth. Lei sembrò sorpresa da quel gesto perché arretrò improvvisamente, come se volesse mantenere una distanza di sicurezza. Percy rimase allerta, aveva una brutta sensazione e infatti un istante dopo vide qualcosa che lo mandò fuori di testa. Il ragazzo aveva alzato la voce e squadrava Annabeth dall’alto verso il basso sovrastandola con la sua altezza come se volesse intimorirla. Si decise ad intervenire e corse verso di loro appena in tempo per impedire al ragazzo di afferrare Annabeth per la mascella. Lo spintonò quanto bastava per posizionarsi in mezzo a loro due e fronteggiò il ragazzo più che deciso a farlo tornare da dov’era venuto.
“Allontanati” gli disse ancor prima che lo sconosciuto capisse cosa stava succedendo.
“Fatti i fatti tuoi ragazzino!” Sibilò il biondo cercando di aggirare Percy per vedere Annabeth.
“Basta!” Esclamò lei sbucando dalle spalle di Percy per dividere i ragazzi. “È tutto ok Percy, Luke se ne stava andando”.
Percy sbiancò quando capì chi era la persona che si trovava davanti, era talmente stordito che quasi non sentì il ragazzo domandare: “e questo chi sarebbe?”
Prima ancora che Annabeth potesse pensare, le parole le uscirono di bocca prive di controllo. “È il mio ragazzo.” Affermò con voce ferma e decisa. Percy trasalì, il tono di Annabeth era talmente convincente che per un attimo le credette anche lui.
Luke guardò Percy con odio, fece una smorfia disgustata e si allontanò senza aggiungere una parola.
“Percy” lo chiamò Annabeth non appena lui tornò alle sue mansioni.
“Ho da fare” tagliò corto lui camminando a passo svelto verso il mare.
Il Signor D era stato chiaro, voleva che il fondo della boa fosse pulito entro la fine della giornata e visto che era già arrivato in ritardo a lavoro, voleva evitare di dare al suo capo un’altra ragione per riprenderlo.
Annabeth restò sul bagnasciuga ad osservare Percy nuotare verso la boa per qualche secondo, poi tornò all’ombrellone per lasciare giù gli occhiali e decise di seguirlo. Essendo ancora abbastanza presto la folla di bambini che occupavano la boa per la maggior parte della giornata non era ancora arrivata e Annabeth pensò che quello potesse essere un buon momento per parlare con Percy.
In acqua non era certo abile quanto Percy e raggiungere la boa le costò non poca fatica. Salirci da sola fu abbastanza difficile ma dopo qualche tentativo ci riuscì e si posizionò proprio nel centro. Il fondo era fatto di rete e Annabeth riuscì a distinguere la sagoma indaffarata di Percy che si trovava proprio sotto di lei.
“Possiamo parlare?” domandò sdraiata a pancia in giù sopra di lui.
“Ti sembra un buon momento?” replicò lui sollevando lo sguardo. Aveva i nervi a fior di pelle, e come spesso succedeva in quelle occasioni sentiva che avrebbe potuto rispondere male ad Annabeth senza volerlo.
“Mi sembra un ottimo momento. Siamo soli e tu puoi tranquillamente continuare a lavorare”.
“Sto bene, se è questo di cui volevi parlare” fece Percy asciutto.
“Lo vedo che stai bene ed è un sollievo sapere che l’operazione è riuscita, ma dovresti riposare.”
“Non c’è stata nessuna operazione” confesso Percy senza staccare gli occhi da quello che stava facendo.
“Cosa?” domandò Annabeth allibita, “sei riuscito a scappare?”
“Come posso essere riuscito a scappare? L’hai visto anche tu, quello yatch è una specie di fortezza!”
“E allora perché non ti hanno operato?” chiese Annabeth che capì subito che l’irascibilità di Percy era dovuta all’arrivo di Luke e non agli avvenimenti di quella notte.
“È complicato da spiegare” sbottò Percy che non aveva nessuna voglia di rivivere gli avvenimenti della nottata. “E comunque non sapevo di essere il tuo ragazzo.”
Annabeth roteò gli occhi, ecco in arrivo la frecciatina numero uno.
“Senti, capisco che sei arrabbiato per quello che ho detto poco fa a Luke, mi dispiace, non avrei dovuto, ma ti ringrazio per essere intervenuto.”
“Cosa ci fa lui qui?”
“È complicato” sospirò Annabeth.
“Vieni qui dicendo che vuoi parlare e poi eviti le domande dicendo che è complicato?” fece Percy uscendo da sotto la boa per vedere meglio Annabeth.
Annabeth rimase zitta, Percy aveva ragione.
“Non è venuto per me, è qui con degli amici, ma grazie a Piper e alla sua dipendenza dai social è venuto a sapere dove mi trovavo e ha pensato bene di presentarsi in spiaggia per fare lo splendido.”
“Ci ha provato?” Indagò Percy, le braccia appoggiate al margine della boa e gli occhi fissi su Annabeth seduta al centro della boa con le gambe strette al petto.
“Sei geloso?” chiese Annabeth quasi lusingata da quella domanda.
“Beh, dal momento che hai dichiarato che sono il tuo ragazzo forse si.”
Annabeth fece una risatina sommessa.
“Ok, ok, non sono affari miei, so che l’hai detto solo per liberarti di lui.”
“Se lo sai perché te la prendi tanto?”
“Perché per un attimo ho pensato che avrebbe potuto essere la verità” disse Percy lasciandosi scivolare nuovamente in acqua. Annabeth lo vide infilarsi sotto la boa e si tuffò in acqua per seguirlo.
“Dimmi perché non può essere la verità” disse emergendo al suo fianco.
“Perché la mia vita è un casino e non voglio che ti succeda qualcosa di brutto per colpa mia, questa notte ne hai avuto un assaggio ed è una cosa che non mi perdonerò mai” disse Percy schiaffeggiando la superficie dell’acqua con un gesto di stizza. Annabeth si guardò bene dal rivelargli che era stata in pensiero per lui tutta la notte, non avrebbe fatto altro che avvalorare la sua tesi e ora come ora era l’ultima cosa che voleva. “E poi non voglio una ragazza che è ancora invaghita del suo ex.”
“Non provo più niente per Luke” chiarì Annabeth guadagnandosi un’occhiata scettica da parte di Percy. “Ne ho avuto la certezza ieri sera, quando ho scelto di dormire da te.”
“Già, e magicamente lui stamattina si è materializzato qui.”
Annabeth sospirò. “Te l’ho già detto, è qui con degli amici e sapeva dov’eravamo perché Piper pubblica sempre le foto con la geolocalizzazione. Ha provato a riallacciare i rapporti ma gli ho fatto capire che non sono più intenzionata ad avere a che fare con lui.”
“E lui non l’ha presa molto bene” commentò Percy ripensando al gesto di Luke.
“Esatto, è lì che sei intervenuto tu.”
Per un attimo i loro sguardi s’incrociarono e Percy fu sul punto di cedere, poi si riscosse e si voltò un attimo prima che le loro bocche potessero sfiorarsi.
“Non sono la persona giusta per te” sospirò, “meriti una vita tranquilla e io non posso garantirtela, mi dispiace”
“Percy, smettila di scappare” lo implorò Annabeth nuotando verso di lui.
“Credimi, scappare è l’ultima cosa che voglio, ho solo paura che tu possa rimanere coinvolta in qualcosa di brutto per colpa mia.”
“Le cose brutte possono accadere anche quando stai con una persona che non ha alle spalle tutti i problemi che hai tu.” Il riferimento a Luke e alle sue abitudini violente era più che evidente e Percy non ebbe nessuna difficoltà a coglierlo.
“Sei stato tu a dirlo per primo, ricordi?” Percy si accigliò e guardò Annabeth con aria interrogativa, “due persone a cui è stato fatto del male potrebbero stare bene insieme.”
“Sì, l’ho detto” confermò Percy, “e lo penso ancora.”
“E allora cosa c’è?”
“Poco più di due settimane fa cercavi solo di portarmi a letto e quasi non volevi che ti rivolgessi parola” le ricordò Percy rendendosi conto solo in quel momento di quanto il loro rapporto si fosse evoluto in così poco tempo.
“Infatti! Ti rendi conto di quanta strada abbiamo fatto in così poco tempo?”
Percy guardò Annabeth e lei gli si avvicinò, si appoggiò alla sua spalla e rimase in attesa. Lui non disse nulla, sembrava ancora parecchio titubante così lei si sentì libera di posargli un bacio affettuoso sulla guancia e poi sul collo. Percy sentì un brivido percorrerlo, tutto quello che aveva detto ad Annabeth era vero, l’unica cosa che aveva omesso era la paura di perderla.
Annabeth si strinse a lui circondandogli la vita con le gambe e si accoccolò sulla sua spalla, fu solo allora che Percy ricambiò la stretta e ruotò il capo quanto bastava per guardarla dritta negl’occhi.
“C’è qualcosa in te che inibisce ogni mio tentativo di starti alla larga” rifletté Percy ad alta voce.
“La mia soffitta è ancora a tua disposizione…” disse lei un istante prima di sfiorargli le labbra con un bacio, erano umide e sapevano di sale, ma prima che lei potesse farglielo notare lui l’azzittì con un altro bacio. Questa volta si fecero trasportare così tanto dalla foga del momento che quasi andarono sott’acqua, fortunatamente Percy se ne accorse prima di Annabeth e diede due colpi di gambe per mantenersi a galla pur continuando a baciarla.
Rimasero sotto la boa avvinghiati l’uno all’altra per qualche minuto poi Percy la pregò di fare ritorno alla spiaggia.
“Non mi hai ancora detto che cosa hai deciso di fare” gli fece notare Annabeth.
“Questo perché ancora non ho deciso niente, ora va, se il Signor D ti becca qui è la volta buona che mi ammazza!”
 
Verso le sei Jason raggiunse Percy e lo trascinò al bar dove Leo li aspettava con tre Beck’s ghiacciate.   
“Ho un sacco di cose da raccontarti” disse Jason con un sorriso che la diceva lunga su quale potesse essere l’argomento di conversazione.
“Jason ma io sto lavorando!” Protestò Percy controllando se il Signor D fosse nei paraggi.
“Sì, sì, certo, ti lascerò tornare al tuo lavoro dopo che mi avrai raccontato cosa hai fatto stanotte per meritarti quelle occhiaie.”
“Non ho dormito, cosa vuoi che abbia fatto?” fece Percy esasperato.
“Appunto, sono proprio curioso di sapere cosa ti ha fatto quella ragazza per non farti chiudere occhio.”
Percy scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo cogliendo tutta la malizia del cugino. “Credimi, non è neanche lontanamente come pensi tu” disse reggendosi il capo con le mani.
“Sono tutto orecchie.” Disse Jason incrociando le braccia dietro la nuca e stendendo le gambe sotto al tavolo.
“Io ho dormito in macchina e poi sul divano se a qualcuno interessa” disse Leo, così, giusto per attirare l’attenzione degli altri due.
“Sono finito nei guai come mio solito” confessò Percy a testa bassa, ignorando bellamente l’intervento di Leo.
“Fino a qui nulla di nuovo, direi” fu il commento di Jason che lo osservava sempre più curioso.
“Intendi deliziarci con qualche dettaglio di più o dobbiamo cavarti le parole di bocca.” Chiese Leo che aveva appena finito la birra e cominciava a spazientirsi.
“C’è molto da raccontare, e questo non è il posto adatto, che ne dite di una serata tra di noi?”
“Dico che alle otto siamo da te” disse Jason cercando Leo con lo sguardo per ottenere anche la sua approvazione.
“Confermo” disse Leo guardando Percy.
 
Leo e Jason furono di parola. Alle otto in punto si presentarono davanti alla porta dell’appartamento di Percy con in mano una bottiglia di vino rosso e un pollo arrosto appena preso in rosticceria.
Leo suonò il campanello con lo stomaco che mugolava per la fame e un attimo dopo la serratura scattò rivelando un Percy in pantaloncini e infradito pronto ad accogliere gli amici.
“Com’è che quando si tratta di cibo siete sempre puntuali?” domandò Percy facendo entrare gli amici uno dopo l’altro.
“Invece di fare domande inutili, perché non ci spieghi cos’hai combinato questa volta?” chiese Jason mentre apriva tutti i cassetti della cucina in cerca del cavatappi.
Percy sospirò e si sedette sul divano domandandosi da che parte gli convenisse incominciare.
“Petto o coscia?” domandò Leo al padrone con in mano il trinciapolli.
“Per me niente, grazie, non ho fame”
Leo e Jason si scambiarono uno sguardo preoccupato; Percy che digiunava era qualcosa in cui non si erano mai imbattuti, e nessuno di loro sapeva come interpretare quel comportamento.
“Ok”, disse Jason rompendo il silenzio, “sto cominciando seriamente a preoccuparmi, vuoi dirci cosa diavolo ti sta facendo quella ragazza per toglierti addirittura l’appetito?”
“Annabeth non c’entra” sospirò Percy.
“Hai capito il bagnino!” Esclamò Jason strizzando l’occhiolino a Leo che sorrise compiaciuto. “E dicci, chi è questa nuova fiamma?”
“Dannazione Jason” sbraitò Percy cogliendo alla sprovvista gli altri due che sobbalzarono per lo spavento, “c’è anche solo vagamente la possibilità che tu smetta di pensare al sesso per un istante? Non lo vedi che sto male? Non capisci che ho bisogno di parlare con voi da persona adulta?”
Jason stappò il vino e per qualche secondo l’eco del rumore del tappo che si liberava dal collo della bottiglia fu l’unico suono che riempì la stanza. Solo dopo qualche altro istante di silenzio Jason si decise a parlare di nuovo: “Ti chiedo scusa, credevo che i tuoi fossero problemi di cuore e mi sono sentito libero d’ironizzare un po’ per stemperare la tensione, ma adesso dicci, cosa ti turba?”
Percy sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi degli amici che lo fissavano in attesa di un racconto, una spiegazione, o anche solo di una parola, e fu solo dopo aver sospirato profondamente che riuscì a pronunciare quelle due parole che sarebbero state sufficienti a spiegare tutto. “Mio padre” ammise chinando il capo.
Jason deglutì, sapeva perfettamente qual era la situazione tra Percy e suo padre e cosa aveva significato per Percy crescere senza di lui, ciononostante sentirglielo nominare gli fece letteralmente accapponare la pelle perché quell’argomento era sempre stato tabù e lui non si era mai azzardato a fare domande a riguardo.
Percy si vide costretto a raccontare dettagliatamente tutto quello che era accaduto negli ultimi giorni e solo quando fu giunto alla fine del racconto sollevò lo sguardo in cerca del supporto degli amici. Jason era senza parole e Leo era talmente sconvolto da non riuscire nemmeno a fare una battuta delle sue pur di sdrammatizzare.
“Devi andare via di qui” riuscì a dire Jason dopo qualche altro istante di silenzio, “prima te ne vai e meglio è”.
Al suo fianco Leo annuiva con convinzione, aveva una faccia da funerale e sembrava seriamente preoccupato.
“So che adesso la tua situazione famigliare è complicata per via dell’arrivo di Charlie ma ti aiuteremo noi” fece sapere Jason sedendosi al suo fianco e posandogli una mano sulla spalla in segno di conforto.
“Ha ragione, sono pienamente d’accordo con lui, qui non puoi più restare, questo è certo.” Convenne Leo.
“Potresti venire da noi” suggerì Jason.
“In realtà, l’altra cosa di cui vi volevo parlare è proprio questa… in realtà ho già un posto dove andare, cioè, in realtà è solo un ‘ipotesi perché non ho ancora accettato…”
“Sarebbe?” chiese Leo anticipando Jason.
“Annabeth ha messo a disposizione l’appartamento sopra il suo, è solo una soffitta ma io non ho troppe pretese.”
“E cosa stai aspettando ad accettare?” domandò Jason sospettoso.
Percy sospirò, ecco che arrivava la parte difficile: “il fatto è che lei mi piace un sacco e accettare la sua proposta vorrebbe dire vederla assiduamente e so che continuando a frequentarla potrebbe succedere…”
“Potrebbe succedere?” lo incalzò Leo.
“So che finiremmo per stare insieme.” Tagliò corto Percy andando dritto al punto.
“E non è quello che vuoi?” chiese Jason accigliato.
“Sì, cioè, no, no non voglio!”
“E perché?” chiesero Jason e Leo all’unisono.
“Perché ho troppa paura che le capiti qualcosa per colpa mia, già non potrò mai perdonarmi quello che è successo stanotte, figuriamoci se dovesse accaderle qualcos’altro.” Spiegò Percy tutto d’un fiato.
“Brutta storia” commentò Leo sovrappensiero.
“Percy, lo so che detto da me fa quasi ridere, ma io credo che tu abbia bisogno di una persona che ti stia accanto… e potrebbe essere Annabeth, state bene insieme.” Gli fece notare Jason con una serietà che scarsamente affiorava dalla sua scocca da latin lover.
“E come se tutto questo non bastasse, il mio capo vuole i miei esami del sangue perché è convinto che io mi droghi!”
“Se te ne andrai non avrai bisogno di dargli spiegazioni.” Osservò Jason.
“Non me ne andrò senza avergli prima dimostrato quanto si sbaglia, non fare quegli esami significherebbe dargli ragione.”
In quel momento qualcuno bussò alla porta con insistenza e Percy rivolse un’occhiataccia al cugino. “Doveva essere una serata tra di noi… si può sapere chi cavolo hai invitato?”
“Io non ho invitato proprio nessuno!”
“Leo!” Esclamarono Percy e Jason in coro guardando male l’amico.
“Perché deve essere sempre colpa mia? Questa volta non ho fatto niente!” Dichiarò lui sulla difensiva.
Percy aprì la porta e con sua grande sorpresa si trovò davanti Will. “Ciao Percy, scusa l’improvvisata, è che avevo bisogno di parlare…” Percy notò il tono mogio di Will mentre alle sue spalle sentì Leo dire a Jason qualcosa che somigliava ad un hai visto che non sono stato io.
“Will, io… ma… beh, entra pure” balbettò Percy decisamente colto alla sprovvista.
“Oh” fece Will sorpreso notando gli altri due seduti a tavola, “Scusate, spero di non aver interrotto nulla.” Aggiunse con il suo solito tono educato.
“Solo una cena a base di pollo” disse Leo ironico, “ne vuoi un po’?”
“No, ti ringrazio… non ho molto appetito.”
“Nemmeno tu?” fece Jason versando il vino.
“Che succede?” chiese Percy contento di poter fare una pausa dai suoi problemi per dedicarsi a quelli di qualcun’altro.
Will sospirò, misurò la stanza a grandi passi e poi si decise a parlare, dopotutto era andato fin lì per quello. “Prima ho fatto un salto al locale di Frank e ho visto Nico.”
“Non mi sembri contento” notò Percy osservando l’amico che, dopo tanti anni, era ormai in grado di leggere come un libro aperto.
“Ho visto Nico con un’altra persona.” Precisò Will infastidito.
“Questa sì che è bella!” Esclamò Leo dall’altro capo della stanza, “quel ragazzo è un eremita, non ci credo che era veramente in compagnia di qualcuno!”
“È arrivato il momento di dirvi che quel qualcuno era una ragazza” sospirò Will accettando il calice di vino che Jason gli porgeva.
Percy ridacchiò.
“Io vengo qui a parlarti dei miei problemi sentimentali e tu ridi?” mugolò Will sconsolato.
Percy rise più forte e Jason e Leo si voltarono a guardarlo indispettiti.
“Will ha ragione!” Disse Leo squadrando Percy, “vuoi dirci cos’è che ti fa tanto ridere?”
“Will, la ragazza in questione era per caso più giovane di Nico?”
“Sì decisamente!” Esclamò Will.
“Molto esile, con occhi e capelli scuri?”
“Esattamente.”
Percy ridacchiò ancora una volta mandando Will su tutte le furie. “Mi stai dicendo che la conosci?”
“Certo che la conosco!” esclamò Percy, “è sua sorella Bianca!”
“Cosa?” Fecero Jason e Will all’unisono.
“Cioè, mi state dicendo che Nico, il tatuatore scuro e tenebroso che viene dall’oltretomba ha una sorella che si chiama Bianca?” Ironizzò Leo piegato in due dalle risate mentre gli altri tre lo fissavano con un misto di tristezza e compassione.
“Leo questa era veramente pessima” disse Jason guardando l’amico che cominciava a sentirsi in imbarazzo per aver riso tanto per una battuta che nessun’altro aveva apprezzato.
“Confermo, era veramente brutta.” Disse Percy bevendo un sorso di vino. “Comunque sì, Nico ha una sorella più piccola di nome Bianca e sapevo che doveva venire a trovarlo in questi giorni quindi non preoccuparti, hai ancora tutte le possibilità di questo mondo di rimorchiare il tatuatore dei tuoi sogni.” Aggiunse strizzando l’occhiolino a Will che sorrise e arrossì lievemente in zona orecchie.
“Bene Jason” disse Percy fissando il cugino, “ora che io e Will abbiamo narrato le nostre vicende amorose e non, è giunto il momento che sia tu a raccontarci qualcosa…”
“Tipo se la nottata d’inferno che ho trascorso nella tua macchina è stato un sacrificio utile o meno…” aggiunse Leo, deciso a rinfacciare quel favore all’amico per il resto dei suoi giorni.


Angolo dell'autrice: Cari lettori, eccomi di nuovo, scusate se il capitolo (che in buona parte era già scritto) si è fatto attendere qualche giorno in più del previsto ma ci sono stati un po' di contrattempi (ore di straordinario a lavoro, gatto con la rinite che ho dovuto portare dal veterinario, ecc) che mi hanno impedito di concluderlo prima. Spero che adesso sia chiaro perchè vi avevo chiesto di aspettare ad insultarmi per la Percabeth... nel corso della storia penso di aver maltrattato Percy a sufficienza quindi l'operazione volevo risparmiargliela (è una cosa che avevo già deciso dall'inizio), e che credo vi renda tutti contenti. :-) In compenso tutta questa faccenda ha permesso ad Annabeth di avvicinarsi di più a lui e di rendersi conto dei suoi sentimenti. So che in questo capitolo ho sacrificato un po' di personaggi (Calypso, Talia, Grover, ecc) ma avevo bisogno di concentrarmi su altro. Spero che il capitolo risulti comunque gradevole e soprattutto mi auguro che non vi abbia deluso. Ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione al capitolo scorso e vi invito a recensiere anche questo, lo sapete che vado matta per le recensioni :-)
Sul prossimo aggiornamento non mi sbilancio perchè si avvicinano due agognate settimane di ferie in cui non avrò con me il computer quindi è possibile che dobbiate pazientare un po', ma ormai mi fido di voi e voi vi fidate di me, questa è la cosa più bella. Alla prossima e buone vacanze a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Giovedì ***


Giovedì

 
 
Percy dormiva a pancia in giù abbracciato al cuscino, il ventilatore puntato addosso a ventola tre per contrastare il caldo torrido di inizio agosto e la finestra rigorosamente spalancata. Dormiva talmente profondamente che nemmeno il rumore delle auto che transitavano nel vicolo sarebbe riuscito a svegliarlo; al contrario, ad Annabeth bastò sedersi sul letto al suo fianco e accarezzargli dolcemente la guancia per fargli aprire gli occhi. Il ragazzo si guardò un attimo intorno, sperso, poi mise a fuoco Annabeth e si svegliò del tutto.
“Annabeth!” Esclamò mettendosi a sedere. “Cosa ci fai qui? E come hai fatto ad entrare?”
“Hai il brutto vizio di dimenticarti la porta aperta… pensavi che dopo tutte le notti che ho passato qui non me ne fossi accorta?”
Percy si scompigliò i capelli in cerca di una risposta valida. “Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui” le fece notare scegliendo di deviare il discorso. Annabeth si voltò per estrarre qualcosa dalla borsa e lui ne approfittò per raggiungere il tavolo e riordinare almeno apparentemente il disastro che lui e i suoi amici avevano lasciato la sera prima. La bottiglia di vino, rigorosamente vuota, era ancora in bella vista sul tavolo insieme a piatti e bicchieri sporchi.
“Volevo portarti la colazione” disse Annabeth mostrando un sacchetto di carta bianco che Percy intuì provenire dal bar della piazza. “Una volta tanto mi sembrava carino contraccambiare”.
“Oh” esalò lui un po’ sorpreso mentre faceva sparire gli avanzi del pollo nella spazzatura e dava una rapida pulita al tavolo con una spugna. “Sei stata gentile” disse sempre più in imbarazzo per via del disordine.
“Se non vado errato hai un debole per le brioches al cioccolato” spiegò lei estraendone una dal sacchetto.
Percy sorrise lievemente, “è esatto” confermò piacevolmente colpito mentre cominciava a farsi sentire un leggero languorino.
Cinque minuti più tardi stavano conversando davanti ad una tazza di caffè gustandosi le brioches, e fu solo allora che Annabeth si decise ad introdurre l’argomento che da un paio di giorni era diventato il suo chiodo fisso. “Domani partiamo” Annunciò a testa bassa, evitando volutamente d’incrociare lo sguardo del suo interlocutore.
A Percy andò di traverso il caffè, tossicchiò per qualche secondo poi si riprese e riuscì a parlare di nuovo. “Partite domani” disse come se sperasse di aver capito male.
“Sì, Talia ha detto che i suoi hanno affittato la casa per il resto di agosto, gli ospiti arrivano lunedì ma devono avere il tempo di pulirla, quindi partiamo domani. La vacanza è già stata più lunga del previsto, non possiamo lamentarci.”
“Sì, certo, è solo che era bello avervi qui, e poi andare via dal mare mette sempre un po’ di tristezza.”
“Sì, ma sono contenta di tornare a casa e vedere mio padre.”
“Capisco” sospirò Percy che non aveva la minima idea di cosa significasse desiderare di rivedere il proprio padre.
“Lo sai vero?” disse Annabeth improvvisamente cogliendo Percy alla sprovvista.
“Cosa?”
“Che sto ancora aspettando di sapere cosa deciderai di fare”
Percy bevve un sorso di caffè e levò il capo per guardarla negli occhi. “Sarai contenta di sapere che ho preso una decisione allora” disse con calma. Era vero, la notte aveva portato consiglio e lui era finalmente pronto a comunicare la sua decisione. “Non posso accettare la tua proposta” proseguì prima che lei potesse porre qualunque domanda.
Annabeth, che era sul punto di ribattere, sembrò accogliere quella notizia come un pugno nello stomaco e tutto quello che riuscì a dire fu un mogio “ok”.
“Non posso accettare perché vorrei provare ad avere una relazione con te, e quando dico relazione intendo qualcosa di serio, nulla a che vedere con quello che c’è stato fino ad oggi, e cominciare una relazione a due passi da tuo padre non mi sembra il massimo della vita, non che io abbia dei pregiudizi, sia chiaro, ma sei stata tu a sbilanciarti dicendo che non gli sarei piaciuto…”
Annabeth fissava Percy che continuava a blaterare qualcosa circa suo padre e come avrebbe potuto interferire nel loro rapporto, ma aveva perso il filo del discorso già da un po’, non lo ascoltava più, l’unica cosa che riusciva a sentire era il battito imperterrito del suo cuore che sembrava aver preso un nuovo ritmo, incalzante, come se il battito accelerato tipico della fine di una corsa fosse stato messo in loop da qualcuno con il solo scopo di farle esplodere il cuore.
“Ho trovato l’annuncio di un appartamento che si trova esattamente a metà strada tra l’università e casa di mia madre, pensavo di chiamare oggi pomeriggio… ehi, ma mi stai ascoltando?”
Effettivamente no, Annabeth non lo stava ascoltando più da un pezzo, ma approfittò di quella pausa per gettargli le braccia al collo e baciarlo come se ne andasse della sua vita.
Passò qualche minuto prima che Percy fosse in grado di parlare di nuovo, ma quando tornò in possesso delle facoltà delle sue labbra disse: “scusa se te l’ho detto così, avevo intenzione di chiederti di uscire stasera per parlartene ma ogni volta che abbiamo un appuntamento va tutto storto…”
“Va bene così” tagliò corto lei stampandogli un altro bacio.
“Quindi… non sei arrabbiata perché non verrò a vivere nella tua mansarda?” azzardò Percy ancora incerto circa la reazione di Annabeth.
“Al diavolo quella stupida mansarda… sbaglio o mi hai appena chiesto di stare insieme?”
Percy sospirò e un sorriso gli increspò le labbra. “Io credo di sì” disse come se fosse il primo a non riuscire a crederci. “Annabeth io non ti prometto niente… sai la mia storia e non voglio illuderti che tra noi funzionerà…”
“Shhh” fece lei posandogli una mano sulla bocca, “l’unica cosa che devi promettermi è che sarai te stesso.”
Lui inarcò un sopracciglio, come se quella richiesta non gli fosse del tutto chiara e solo allora lei precisò: “niente segreti, niente bugie in stile l’ho fatto per proteggerti; ho scelto te e con te il tuo passato e i tuoi problemi, non fare di tutto per farmi credere di vivere una favola se non è la stessa favola in cui vivi tu.”
Percy tentennò un istante, preso in controtempo da una frase tanto poetica, e prima ancora che potesse tentare di abbozzare una risposta, qualcuno suonò il campanello.
“A quanto pare non tutti sanno che dormi con la porta aperta” scherzò Annabeth mentre Percy andava ad aprire.
Con sua grande sorpresa sulla porta non trovò suo cugino, il suo capo o qualcuno dei suoi amici, ad attenderlo sullo zerbino di casa c’era l’Oracolo in persona.
“Ehi! Questo non puoi farlo però!” Esclamò Percy contrariato mentre arretrava nel tentativo di rispettare il suo ordine restrittivo. “Non posso starti a dieci metri di distanza se t’infili in casa mia!” Aggiunse mentre l’ospite sgradito varcava la porta.
Annabeth assisteva alla scena seduta sul letto, allibita.
“È tutto ok Jackson, sono qui proprio per questo” disse l’Oracolo mentre Percy aveva ormai raggiunto la parete opposta della stanza e si trovava con le spalle al muro, “non c’è più nessun ordine restrittivo.” Spiegò infine.
Percy levò un sopracciglio, sospettoso. “Non ti seguo” dichiarò fissandolo attentamente.
“Con Rachel è finita…”
In quel momento Annabeth si schiarì sonoramente la voce e disse: “forse è meglio che io vada…”
“No, aspetta!” Esclamò Percy andandole incontro.
“È tutto ok, tranquillo, questi però sono affari vostri, è giusto che li chiariate da soli. Raggiungo le ragazze in spiaggia, ci sentiamo dopo.”
Percy acconsentì e quando Annabeth ebbe lasciato l’appartamento si rivolse al suo ospite: “E così hai chiuso con Rachel…”
“In verità è lei che ha voluto chiudere con me” rivelò lui con un’alzata di spalle, “inutile dirti che mi ha già rimpiazzato.”
Percy fece una smorfia. “La storia si ripete a quanto pare” commentò ripensando a quando, solo pochi mesi prima, aveva vissuto in prima persona quella situazione.
“Con uno chef stellato se ho ben capito” Aggiunse l’Oracolo con faccia schifata.
“Rachel cambia uomo di continuo, segue le mode, prima il bagnino*, poi il DJ, adesso lo chef.  La verità è che non è in grado di stare da sola e proprio per questa ragione non è nemmeno in grado di stare a lungo con qualcuno. Credimi, non hai nulla da rammaricarti.”
“Credevo mi amasse” balbettò lui mentre Percy si augurava che il ragazzo con cui aveva fatto a pugni in discoteca qualche mese prima non fosse intenzionato a scoppiargli a piangere nel salotto.
“Rachel non ama nessuno, ama quello che amano gli altri.” Era strano, ma a Percy parve di conoscere meglio Rachel ora che era solo una ex, piuttosto che quando stavano insieme.
L’Oracolo era ammutolito e Percy ne approfittò per chiedergli l’unica cosa che veramente lo interessava: “quindi… hai ritirato l’ordinanza restrittiva?”
L’altro sembrò rianimarsi all’improvviso, come se fosse rinsavito da uno stato di trans. “Sì, non ho più motivo di odiarti, anzi, in questo momento sei forse l’unico che può capirmi, e comunque sono in partenza, ho accettato di fare un tour all’estero e questo basterà a tenerti a più di dieci metri di distanza, a meno che tu non abbia intenzione di spendere mille euro per un tavolo nel prive del Pacha di Ibiza”
“In effetti non è tra i miei progetti” ammise Percy sorridendo all’altro che sembrava aver definitivamente dimenticato ogni rancore.
“Beh, forse è giunto il momento che vada”
“Ehi” disse Percy per attirare l’attenzione dell’altro prima che uscisse, “se posso darti un consiglio… evita di andare a prendere a pugni quello che ti ha rimpiazzato, ci ho già provato io e come tecnica non funziona un granché.” Si lasciò sfuggire un sorriso e l’altro ricambiò annuendo.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio eh?” commentò l’Oracolo notando la fasciatura rigida che Percy aveva al polso.
“È una lunga storia” tagliò corto lui.
“In ogni caso, penso che seguirò il tuo consiglio.” Strizzò l’occhiolino a Percy e uscì dall’appartamento senza aggiungere altro.
Percy guardò l’orologio, erano già le dieci, se si sbrigava era ancora in tempo per fare gli esami del sangue e godersi il resto del suo giorno libero.
 
“È fuori luogo dire che l’ansia da esami mi sta assalendo?” chiese Piper sollevando lo sguardo dallo schermo del cellulare per guardare le amiche.
“Dal momento che sono gli ultimi giorni di mare, sì Piper, è fuori luogo!” Rispose Talia mettendosi a sedere sul lettino per squadrare meglio l’amica e mostrarle tutto il suo disappunto.
“In effetti” convenne Annabeth rintanata all’ombra.
“Tu non parlare che non hai nemmeno un esame da dare a settembre. Hanno appena pubblicato il file con le date dei miei esami e mi sto sentendo male, devo assolutamente cominciare a studiare e non ho proprio la testa.”
“Se è per colpa di mio fratello, sappi che stai prendendo un granchio!” Precisò Talia.
Piper alzò gli occhi al cielo. “Perché non ti decidi a ricrederti? Tuo fratello non è così stronzo come lo descrivi, o perlomeno non lo è con me.”
“Mi ricrederò il giorno che lo vedrò con una fede al dito”
“Chi è che vuoi vedere con una fede al dito?” domandò Jason raggiungendo le ragazze. Era appena uscito dall’acqua e ne approfittò per sorprendere Piper abbracciandola alle spalle. La ragazza inizialmente guaì per il contatto con il corpo bagnato di Jason, poi si voltò e lo baciò davanti a Talia che scosse lievemente il capo mentre Annabeth rideva di gusto.
“Dal momento che è la vostra ultima sera qui, cosa ne dite di organizzare una cena di fine vacanza?” Propose Jason sperando che la sua idea avesse successo.
“Mi sembra un’ottima idea!” Esclamò Piper entusiasta.
“Per me va bene” acconsentì Annabeth.
“Perfetto! Allora sento Leo e gli altri e poi prenoto il ristorante, facciamo per le nove?”
“Andata!” gli gridò Talia mentre correva verso il mare.
 
Will stava riordinando pazientemente le scatole di medicinali negli appositi cassetti sotto al bancone quando sentì il campanello della porta suonare lasciando entrare un cliente.
“Sono subito da lei” disse Will da sotto il banco, sperando che il cliente in questione non avesse troppa fretta.
“Un tubetto di vaselina per favore” disse il cliente mentre Will si rialzava.
“Nico!” Esclamò Will raggiante mentre l’altro sgranava gli occhi per l’imbarazzo. “Devo considerarla una proposta?” Aggiunse con un sorrisetto malizioso.
“Che cavolo ci fai qui?” gracchiò il tatuatore indisposto ma felice di essere l’unico cliente della farmacia.
“È la farmacia dei miei… ogni tanto si fanno una gitarella fuori porta e mi lasciano in negozio a riordinare scatole e scatole di imodium, tachipirine, zerinol e antistaminici” elencò Will leggendo i nomi sulle scatole dei medicinali che aveva tra le mani. “Ti serve qualcosa?” domandò mostrando le scatole all’altro che sembrava tutto meno che divertito.
“Sì” brontolo, “un tubetto di vaselina”
“Ah già! Me l’avevi detto, anche se non hai specificato se si tratta di una proposta o meno.”
“Vuoi smetterla di fare l’imbecille? Mi serve per il negozio, sai, ci sono altri modi per utilizzare quel prodotto, e fare un tatuaggio è uno di questi.”
“Ti hanno mai detto che hai un senso dell’umorismo piuttosto scadente?” fece Will mentre apriva il cassetto in cerca del prodotto richiesto.
“Pensi di riuscire a servirmi entro oggi oppure devo rivolgermi ad un’altra farmacia?”
“Cinque euro e settanta, serve la fattura?”
“Sì, grazie” fece Nico asciutto afferrando il sacchetto e lo scontrino che Will aveva appena emesso.
“Sei mai stato al Pesce pazzo?” chiese Will mentre Nico camminava verso la porta.
“È possibile parlare con te senza doppi sensi?”
“È il nome di un ristorante… questa volta sei tu che hai pensato male.”
Nico sbuffò “no, non ci sono mai stato.”
“E se ti ci portassi io?”
“Mi stai invitando fuori a mangiare?”
“Sì”
“Cioè uno entra in una farmacia per comprare della vaselina e se ne torna a casa con un invito a cena in un ristorante romantico?”
“Non è un ristorante romantico, è un posto alla buona.” Spiegò Will con semplicità.
Nico rimase in silenzio sulla porta, era come paralizzato e avrebbe tanto voluto trovare una via di fuga che gli consentisse di evitare di rispondere.
“Beh?” fece Will da dietro il banco, “non dici niente?”
“Perché in questa farmacia non entra nessuno?” brontolò Nico che desiderava ardentemente che entrasse qualcuno e lo salvasse da quella situazione imbarazzante.
“Perché sono le dodici e trenta e io devo chiudere, e comunque il Pesce pazzo è aperto anche per pranzo.”
“Devo tornare in negozio.” Blaterò Nico colto alla sprovvista.
“Raccontala a qualcun altro” disse Will sfilandosi il camice, “hai gli orari esposti in bella mostra sulla vetrina del negozio, fai pausa pranzo dalle dodici alle quattordici, non credere che non lo sappia.” Aggiunse superando Nico e invitandolo ad uscire dal negozio affinché potesse chiudere la serranda.
“Te ne vai così?” domandò Nico osservando l’altro che si allontanava.
“Sto andando a pranzare al Pesce pazzo, ma tu sei libero di seguirmi se vuoi.”
Nico rimase inizialmente stordito da tanta schiettezza poi mise il pacchetto della farmacia nella tasca posteriore dei jeans e seguì Will lungo il vicolo.
“Io, te e un tubetto di vaselina, non è romantico?” Scherzò Will dieci minuti più tardi quando presero posto all’interno del ristorante e Nico posò sul tavolo il pacchetto della farmacia per potersi sedere più comodamente.
“Ti avviso” disse l’altro, “alla prossima battuta maliziosa me ne vado”
Will si fece nuovamente serio, l’idea che Nico lo piantasse in asso dopo tanta fatica per avere un appuntamento lo spaventava, così si decise a contenere la sua esuberanza.
In quel momento il telefono di Will trillò per avvisarlo che era arrivato un messaggio. “Stasera cena al Borgo dei pescatori per salutarci tutti (le ragazze ripartono domani), invita anche il tuo bello!”
“Jason ci invita stasera a cena con tutti gli altri” annunciò sperando che Nico non avesse nulla da obiettare.
“Buongiorno ragazzi, volete ordinare?” disse educatamente il cameriere prima che Nico potesse replicare.
 
Annabeth guardò l’orologio e sbarrò gli occhi incredula: erano le venti e trenta ed erano già tutte pronte. Si schiarì la voce mentre Piper allacciava le scarpe e Talia staccava il cellulare dal caricatore. “Ragazze, dal momento che siamo stranamente in anticipo, vorrei approfittarne per dirvi una cosa.”
Le amiche la fissavano in silenzio e lei sentì la salivazione azzerarsi improvvisamente.
“Stamattina quando vi ho detto che uscivo per andare in farmacia in realtà sono andata da Percy…”
“Se stai per dirci che hai fatto sesso con lui sappi che non è questa grande novità!” Borbottò Talia che in tutto ciò non era ancora riuscita a digerire del tutto la relazione tra lei e suo cugino.
“No, niente sesso questa volta.”
“Questa si che è una notizia!” Esclamò Talia mentre Piper le faceva presente che ad Annabeth era arrivato il ciclo la sera prima.
“Quello che sto cercando di dirvi” gridò Annabeth per sovrastare il loro fastidioso chiacchiericcio, “è che, beh… stiamo insieme… o almeno credo.” Ci fu un attimo di silenzio, poi Talia parlò: “Non ho capito” disse asciutta.
“Ha detto che stanno insieme, crede.”
“Grazie Piper, questo l’ho sentito anche io, mi riferivo al fatto che stento a crederci.”
“A giudicare dalla tua faccia direi che fai anche fatica a esserne felice.”
Commentò Annabeth un po’ delusa dalla reazione dell’amica.
“Mi sembrava di averti già spiegato il mio ruolo in questa storia… sono in mezzo a due fuochi, lo capisci questo?”
“Il tuo ruolo è quello di essere felice per noi” sbottò Annabeth.
“Piper scusa, potresti lasciarci sole un momento?”
“Va bene, chiamo Jason” e così dicendo Piper uscì dall’appartamento in attesa che le altre finissero di discutere.
“Vuoi spiegarmi che cavolo ti passa per la testa?” domandò Talia brusca non appena sentì Piper chiudere il portone. “Percy vive qui, ti sembra una scelta saggia quella di iniziare una storia con lui?”
“È stato lui a chiedermelo, e comunque ha deciso di tornare in città” annunciò Annabeth pentendosene un attimo dopo, forse quella era una comunicazione che non spettava a lei.
“Cosa?” squittì Talia incredula. “Stai scombussolando la sua vita solo perché da passatempo estivo hai deciso di farlo diventare l’uomo della tua vita?”
“È stata una sua scelta, e dovresti essere contenta dal momento che qui è perennemente in pericolo per via di suo padre.”
“Sono contenta di sapere che starà al sicuro, ho solo paura che abbia preso una decisione affrettata pur di continuare a frequentarti, e poi scusa ma non ti capisco, da quando Luke ha fatto quello che ha fatto sembravi decisa ad evitare gli uomini come la peste e adesso ti lanci a capofitto in una relazione con una persona che conosci appena? Sì può sapere cosa diavolo ha fatto in queste settimane per sconvolgerti tanto?”
Annabeth sembrò rifletterci un attimo, come se per la prima volta interrogasse sé stessa a riguardo. Fissò trasognata il pavimento mentre un sorriso incontrollato le increspava le labbra, poi tornò a guardare l’amica e, come se fosse la cosa più naturale e ovvia del mondo, disse: “mi ha fatta innamorare”
La risposta era così semplice, scontata e banale da non risultare evidente, come quando si ha qualcosa davanti agli occhi di talmente grande e vistoso da non riuscire a notarlo senza l’aiuto di qualcuno che si prenda la briga di indicartelo. Pronunciando quelle parole Annabeth si scontrò direttamente con il loro significato e si domandò se Percy fosse giunto a quella stessa conclusione.
“Ti sei innamorata di lui?” balbettò timidamente Talia attirando nuovamente l’attenzione di Annabeth che sembrava essere completamente assorta nei suoi pensieri.
Sorrise, sorrise in maniera incontrollata, si sentì arrossire e quando vide lo stupore più totale negli occhi di Talia si lasciò scappare anche una debole risata.
“Ok” sospirò Talia, “lo prendo per un sì”
Annabeth si mordicchiò il labbro inferiore in preda all’imbarazzo e fu in quel momento che sul volto di Talia andò delineandosi un ampio sorriso. Annabeth sentì il nodo che aveva in gola sciogliersi regalandole una piacevole sensazione di benessere e subito dopo Talia l’abbracciò calorosamente.
“Non per fare la guasta feste ma eravamo in anticipo e adesso siamo in ritardo!” Disse Piper aprendo la porta quanto bastava per far arrivare il suo messaggio alle amiche. Quando notò che le altre due si stavano abbracciando, non perse tempo e si unì a loro per condividere quel momento di affetto.
“C’è qualcosa che devo sapere?” domandò Piper senza sciogliere l’abbraccio.
“Annabeth ha scoperto di essere ancora capace di amare, e la cosa più assurda è che l’ha scoperto grazie a mio cugino.”
“Tu e Percy vi amate?” Domandò Piper con gli occhi a cuoricino.
“Adesso non esageriamo” precisò Annabeth, “ho solo detto che sono innamorata di lui, ma non so se per lui è lo stesso… non abbiamo parlato dei nostri sentimenti in modo esplicito.”
“Tempo al tempo” commentò Piper.
“Tempo al tempo” concordò Annabeth.
“A proposito di tempo” intervenne Talia, “non eravamo in ritardo?”
 
Leo e Calypso arrivarono al ristorante per primi.
“Ecco, hai presente quando ti dicevo che era troppo presto per uscire?” Chiese Leo, “era proprio per evitare di arrivare qui per primi, sapevo che sarebbero stati tutti in ritardo!”
“A me sembra di essere stato abbastanza puntuale” disse la voce di Percy che sbucò alle loro spalle mostrando l’ora sul display del cellulare che segnava le nove in punto.
“Ciao Percy” fece Calypso educatamente andandogli incontro.
“Jason è in ritardo” annunciò Percy sedendo sul muretto accanto all’ingresso del ristorante.
“Grazie Percy, non ce n’eravamo accorti.” Scherzò Leo.
“Will presente” gridò il biondo avvicinandosi. Era solo e nessuno osò porgli domande circa Nico. Solo dopo un quarto d’ora, quando anche le ragazze e Jason li raggiunsero, quest’ultimo osò chiedere spiegazioni.
“Beh? E Nico dove l’hai lasciato?” chiese ad alta voce mentre entravano nel ristorante.
“Avendo già mangiato con lui a pranzo non potevo pretendere che venisse anche a cena!” Spiegò Will con aria soddisfatta.
“Avete pranzato insieme?” s’informò Percy incredulo.
“Alla faccia di tutti quelli che lo credevano impossibile!” Precisò Will.
“Sono proprio felice per te!” Ammise Percy cingendogli le spalle.
“Posso sedermi qui?” domandò Percy ad Annabeth non appena raggiunsero il tavolo.
“Direi di sì” disse lei, le gote lievemente arrossate e lo sguardo trasognato. Percy avvertì il desiderio di baciarla ma si trattenne, lei pareva aver avuto lo stesso istinto ma riuscì a mascherarlo meglio di Percy che un istante dopo disse: “va bene, visto che non hai il coraggio di farlo tu, lo faccio io.”
Le sollevò leggermente il mento con un gesto delicato e le posò un dolce bacio sulle labbra. Annabeth si sentì pervadere da una piacevole sensazione e quasi si dimenticò della presenza di Talia che sedeva proprio difronte a lei ed era abbastanza certa stesse assistendo alla scena.
Quando Percy pose fine al bacio notò che la cugina li stava osservando con un’espressione sorridente ma carica di sfida.
“Con te faccio i conti più tardi” disse squadrando Percy che colse l’ironia e annuì come se già sapesse cosa lo aspettava.
“Con me li ha già fatti” spiegò Annabeth posando un altro bacio sulle labbra del ragazzo.
“Ci tengo alla sua approvazione” spiegò Percy in modo che anche Talia potesse sentire, “Talia è come una sorella.”
“Quante cozze gratinate?” Gridò Jason a qualche posto di distanza. Qualche mano si alzò e il cameriere prese appunti.
“Jason ma prima non dobbiamo ordinare da bere?” domandò Percy al cugino che sembrava aver preso in mano le redini della cena e delle relative ordinazioni.
“Ho già ordinato un po’ di bottiglie di vino per tutti” spiegò frettolosamente il ragazzo mentre dava indicazioni al cameriere circa gli antipasti.
“Di preciso cosa intendi per un po’?” s’informò Piper memore della serata in cui a Jason era stata ritirata la patente proprio a causa dell’abuso di alcool.
“Cominciamo con quattro bottiglie e poi si vedrà” disse Jason mentre il cameriere scriveva come un forsennato sul taccuino delle ordinazioni.
“Poi si vedrà?” ripeté Piper un po’ sconvolta guardando le amiche.
“Quanti fritti?”
Metà della tavolata alzò la mano mentre un altro cameriere arrivava con le bottiglie di vino.
“Il vino è per tutti?” chiese educatamente mentre stappava la prima bottiglia e faceva assaggiare a Grover il vino.
“Sì” Rispose Jason prima che qualcun altro potesse anche solo aprir bocca.
“Fammi capire…” disse Piper a Talia mentre il cameriere finiva di servire il vino, “tuo fratello ha deciso che dobbiamo ubriacarci tutti?”
“Così pare” fu la risposta secca e anche un po’ divertita di Talia.
Cinque minuti più tardi fu indetto il primo brindisi e alla fine degli antipasti Talia chiese a Percy di accompagnarla fuori a prendere un po’ d’aria.
Lui la seguì felice di potersi sgranchire le gambe anche se sapeva benissimo cosa lo aspettava.
“Cos’hai da dire a tua discolpa?” domandò estraendo un pacchetto di Winston blu dalla borsa.
“Hai ricominciato a fumare?” domandò Percy visibilmente sorpreso.
“No” affermò Talia accendendosi una sigaretta.
“A me sembra di sì” insisté Percy.
“Senti, ho comprato solo un pacchetto e non intendo comprarne altri. Ma sappi che questo l’ho comprato anche per colpa tua…”
Percy roteò gli occhi e sospirò profondamente.
“Credo di sapere il perché” buttò lì.
“Ne vuoi una?” domandò lei tendendogli il pacchetto.
“Talia io non fumo…”
“Non ti ho chiesto se fumi, ti ho chiesto se ne vuoi una.”
Percy non comprese appieno il senso di quella frase, ciononostante qualcosa lo indusse ad accettare l’offerta della cugina. Sfilò una sigaretta dal pacchetto e se la portò alla bocca mentre Talia ravanava nella borsa in cerca dell’accendino.
“Che cosa devo dire per convincerti che la mia non è stata una decisione impulsiva?” domandò Percy fissando l’altra.
“La ami?” chiese lei più gelida che mai.
Percy aspirò avidamente dalla sigaretta e chiuse un momento gli occhi. “Mi sto confrontando con i miei sentimenti.” Dichiarò infine.
“Mi sto confrontando con i miei sentimenti? Veramente? È tutto quello che hai da dire?”
“Non è facile per me fare tabula rasa!” si giustificò Percy. “Hai visto come sono stato per colpa di Rachel, non voglio espormi troppo presto, non un’altra volta, che tu ci creda o no ho imparato dai miei errori.”
“Hai imparato dai tuoi errori? Sei serio? No perché a me è parso di vedere una seconda linea sul tuo avambraccio.”
Percy dovette resistere alla tentazione di toccarsi il tatuaggio, guardò Talia confuso e chiese: “tu non hai mai saputo il significato di questo tatuaggio.”
“Hai ragione, tu e mio fratello non l’avete mai rivelato a nessuno, ma alla festa di Jason l’hai raccontato ad Annabeth.”
“Hai origliato?” sbottò Percy incredulo.
“Come faccio ad aver origliato? Eravate in spiaggia in mezzo a tutti noi mica chiusi in un confessionale! Sei tu che avresti dovuto prestare più attenzione prima di parlarne.”
Percy fece una smorfia.
“L’ho fatto in un momento in cui ho provato a lasciarmi alle spalle tutto quello che era andato storto nella mia vita, volevo che fosse un nuovo inizio, posso averne un’altra?” chiese spegnendo la sigaretta ormai terminata sul bordo del cestino.
“No” rispose Talia secca.
“Senti, il mio tempo qui è terminato, è terminato per un’infinità di motivi, è terminato perché mio padre mi ha quasi fatto ammazzare e non escludo che trovi un modo per riprovarci, è terminato perché tra meno di un mese mia madre darà alla luce mio fratello, è terminato perché sono venuto qui per dimenticarmi di Rachel e andare avanti e ora sento di esserci riuscito. Non so se sia merito di Annabeth ma il mio rientro in città era inevitabile, il fatto che coincida con il vostro è da attribuirsi al caso, ma dal momento che abbiamo cominciato qualcosa qui, insieme, chiamala tresca, chiamala storiella estiva, inciucio o relazione, mi sembra un errore non tentare di portarla avanti.”
“Quindi tu non stai tornando in città e mollando tutto solo per stare con lei?”
“Assolutamente no” dichiarò Percy più convinto che mai. “Sono adulto e vaccinato, faccio le mie scelte da solo.” Aggiunse quasi offeso all’idea che la cugina lo ritenesse tanto immaturo da prendere una decisione su due piedi senza rifletterci a sufficienza.
“Sono stato sincero con Annabeth, non le ho promesso che sarò l’uomo della sua vita o altro, ma sento che vale la pena di tentare e mi dispiace dirlo ma non sarai tu ad impedirmelo.”
“Non ho nessuna intenzione di impedirtelo… come ho già detto a lei quando vi siete conosciuti, avevo solo paura che poteste farvi del male a vicenda,  ed essendo terribilmente affezionata ad entrambi è una cosa che non avrei potuto sopportare.” Spiegò Talia spegnendo la sigaretta a terra.
“Sai quanto ci mette un mozzicone di sigaretta a degradarsi?” gracchiò Percy indispettito da quel gesto.
“Mi dici come fa Annabeth a sopportarti?” brontolò Talia raccogliendo il mozzicone per buttarlo nel cestino e poi gettare le braccia al collo del cugino.
“La risposta era due anni, ma in questo caso un abbraccio va bene lo stesso!” Disse stringendola così tanto da sollevarla da terra.
“Oooh, incesto-time!” Scherzò Leo che stava uscendo dal ristorante proprio in quel momento. “E io che ero venuto ad avvisarvi che sono arrivate le linguine allo scoglio.”
“Veramente sei uscito per avvisarci?” domandò Percy sospettoso.
“In realtà sono uscito per chiedervi rinforzi” ammise, “Jason ha ordinato altro vino e vorrei che foste dentro ad aiutarlo a finirlo perché ho come l’impressione che sia in grado di berlo da solo, e dal momento che dormirà a casa mia vorrei evitare di passare l’intera nottata a pulire il bagno. Però mentre uscivo ho visto veramente arrivare le linguine.”
“Adesso mi è tutto più chiaro” disse Percy varcando l’ingresso del ristorante seguito a ruota dagli altri due.
Quando arrivarono i fritti misti Annabeth fu felice di non averlo ordinato, aveva mangiato più quella sera che alle ultime due cene di Natale messe insieme e l’idea di ingurgitare altro cibo la faceva stare male. Al contrario, lo stomaco di Percy non sembrava avere fondo. Annabeth lo osservò addentare un gamberone senza troppe cerimonie mentre Will, seduto al suo fianco gli rubava un totano dal piatto.
“Per che ora avete intenzione di partire domani?” chiese Jason sbucando alle spalle di Piper e Talia che sobbalzarono per lo spavento. Annabeth e Piper guardarono Talia e lei si sentì a disagio, sapeva che entrambe avrebbero voluto tardare la loro partenza il più possibile.
“Dipende dal traffico, vorrei evitare di fare due ore di coda…”
Annabeth sentì Percy cingerle la vita e quando si voltò a guardarlo lui disse: “posso parlarti un secondo?”
Uscirono insieme e appena fuori Percy abbracciò Annabeth e affondò la testa tra i suoi capelli.
“Domani darò le dimissioni” spiegò allentando leggermente l’abbraccio.
Annabeth annuì e lui continuò: “ in mattinata ritiro l’esito degli esami del sangue e poi lo dirò al Signor D.”
“Gli esami del sangue?” chiese Annabeth confusa.
“Sì, ci tengo ad andarmene facendo chiarezza sulla mia immagine, voglio che sappia che si sbaglia, gli dimostrerò che non ho mai fatto uso di droghe e mi aspetto delle scuse.”
“Sono certa che si ricrederà”
“Ho anche bloccato quell’appartamento di cui ti parlavo, ho fatto il bonifico per la caparra oggi pomeriggio.”
“Bene!” Esclamò Annabeth con un ampio sorriso. “Cosa c’è?” domandò notando un repentino cambio di atteggiamento da parte sua.
“Non l’ho ancora detto a mia madre” sospirò Percy scrollando le spalle.
“Sarà felice di riaverti vicino casa.”
Percy sorrise e in quel momento Talia li chiamò dicendo che stavano servendo gli amari.
“Pronta per concludere questa cena delle meraviglie?” le chiese Percy divertito.
“Sono nata pronta!” Esclamò Annabeth prendendolo per mano e camminando verso il loro tavolo.

*Quando Percy e Rachel si sono conusciti lui non lavorava al lido del Signor D come bagnino, ma faceva il bagnino in piscina in città.

Angolo dell'autrice: Ciao lettori! Ecco finalmente pronto il nuovo capitolo. Spero che sia all'altezza delle vostre aspettative perchè, beh, lo sapete che ci tengo a non deludervi. La storia sta per volgere al termine (nello specifico manca un solo capitolo + l'epilogo) e tutti i pezzi cominciano ad andare al loro posto. Annabeth ha fatto luce sui suoi sentimenti e Percy ha deciso di dare una svolta alla sua vita. Volevo che Rachel venisse fuori per quella che è (nella mia storia) ecco il perchè della visita dell'Oracolo, e poi ci tenevo che Percy non avesse più quella spada di Damocle che era l'ordinanza restrittiva a condizionarlo e turbarlo continuamente. Il siparietto Nico/Will mi sembrava azzeccato e divertente così l'ho inserito senza troppe pretese, sono abbastanza certa che sia di vostro gradimento. Concludo dicendo che siete stati infinitamente pazienti e spero che il mio capitolo vi ripaghi per questa lunga attesa. Ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato lo scorso capitolo e un grazie speciale a tutti quelli che si sono preoccupati per il mio gatto, adesso sta benissimo ed è qui con me che vi saluta. Grazie in anticipo a chi vorrà far sentire la sua voce anche in questo caso! A presto (spero).

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Venerdì ***


Venerdì
 
 
Talia richiuse la cerniera della sua valigia con un pizzico di tristezza. Quella vacanza era stata un susseguirsi d’imprevisti e sorprese, alcune piacevoli e altre meno, ciononostante partire era dura e l’idea di tornare alla vita quotidiana della città non era esattamente la migliore delle prospettive.
“Ragazze, non trovo il caricatore del mio telefono” annunciò Piper scavalcando la valigia di Annabeth che traboccava di abiti appallottolati ed era lontana anni luce dal riuscire a chiudersi.
“È qui in bagno!” Gridò Annabeth dall’altra parte dell’appartamento mentre Talia sbuffava contrariata e qualcuno bussava alla porta.
“Ma chi cavolo è?” borbottò Talia andando ad aprire.
“Che ci fai qui a quest’ora?” chiese Talia al cugino dopo aver guardato l’orologio appeso al muro.
Percy sorrise e prima di dare qualsiasi tipo di spiegazione disse: “Buongiorno anche a te cugina”
“Dal momento che ti sei licenziato ti credevo a letto a dormire” spiegò la ragazza richiudendo la porta.
“Quando sono cinque mesi che sei abituato ad alzarti alle sei del mattino ti garantisco che rimanere a letto a poltrire oltre le nove ti viene difficile, e poi avevo delle commissioni da fare.”
“Qualcosa mi dice che non sei venuto per me” fece Talia con un ghigno notando solo in quel momento che Percy aveva un sacchetto di intimissimi in mano.
Lui non fece in tempo a ribattere perché Annabeth uscì proprio in quel momento dal bagno con in mano il caricatore di Piper e i loro sguardi s’incrociarono.
“Ciao” esalò lei sorpresa, tentando di riordinarsi i capelli ancora arruffati dal sonno.
Talia si dileguò in silenzio lasciando i ragazzi da soli proprio mentre Annabeth chiedeva a Percy come mai fosse passato a farle visita.
“Beh…” biascicò lui come se improvvisamente si fosse scordato il motivo della sua visita, “diciamo che avevo una cosa da consegnarti e volevo assicurarmi che l’avessi prima di chiudere la valigia…” spiegò buttando l’occhio nella camera da letto dove regnava ancora il caos.
“Ah” fece lei sorpresa notando solo in quel momento il sacchetto che il ragazzo portava con sé.
“Dopo tutte le nostre peripezie mi sembrava il minimo” disse lui allungandole il sacchetto lievemente imbarazzato.
Lei afferrò il pacchetto titubante e dopo aver letto da che negozio proveniva arrossì. “Siamo già al punto che mi regali intimo?” ironizzò sempre più imbarazzata.
“Non è proprio come pensi” fece lui enigmatico mentre il suo colorito tornava normale.
Annabeth aprì il sacchetto e non appena vide il contenuto chiuse un attimo gli occhi prima di mormorare un sincero grazie, visibilmente colpita dal gesto del ragazzo.
“È anche la taglia giusta” dichiarò estraendo un reggiseno a fascia bianco in pizzo.
“Qualche giorno dopo quella notte al porto sono tornato a recuperare il tuo reggiseno con l’intenzione di fartelo riavere, non ho avuto problemi a trovarlo ma era decisamente da buttare così ho pensato di comprartene uno nuovo.” Spiegò Percy decisamente sollevato dalla reazione di Annabeth.
“Grazie, lo apprezzo molto” disse lei gettandogli le braccia al collo per poi stampargli un bacio sulle labbra.
“Dovevi vedere la faccia della commessa quando sono entrato in negozio con quell’affare puzzolente in mano dicendo che ne volevo uno simile” Ridacchiò Percy stringendo Annabeth a sé.
“Sì, sì, è tutto molto commovente” gracchio Talia dalla camera da letto, “ma cosa ne dici di aiutarci a chiudere la valigia di Piper?”
Percy e Annabeth entrarono in camera da letto e trovarono le due ragazze appollaiate sul trolley di Piper che non sembrava intenzionato a collaborare minimamente.
“Sono qui apposta!” Annunciò Percy divertito un attimo prima di gettarsi sulla valigia insieme alle ragazze.
Annabeth osservò il trio all’opera mentre imprecazioni di ogni genere volavano per la stanza, solo dopo l’ennesimo tentativo andato male Annabeth decise che quanto stava avvenendo era troppo buffo per non essere immortalato. Afferrò il cellulare e scattò una sequenza di foto che finirono immediatamente su facebook corredati da una serie di hashtag improbabili.
 
Dall’altra parte del paese Jason apriva il frigorifero in cerca di qualcosa di commestibile. Visto l’orario non sapeva nemmeno lui se fosse il caso di fare colazione o se convenisse passare direttamente al pranzo. Indugiò un momento sul contenuto dell’elettrodomestico, poi il suo sguardo cadde sulla biscottiera posta in cima al frigorifero ed improvvisamente prese una decisione. Allungò una mano per appropriarsi della biscottiera e con l’altra afferrò il cartone del latte accorgendosi che era decisamente troppo leggero per essere pieno. Imprecò a bassa voce e proprio in quel momento Leo entrò fischiettando nella stanza.
“Buongiorno amico mio!” Esclamò lui raggiante.
“Buongiorno un corno” gracchiò l’altro in risposta.
“Che succede?”
“Leo, un uomo adulto non mette il cartone del latte vuoto in frigo!” lo redarguì marcando volutamente la parola vuoto.
“Adulto a chi?” domandò Leo quasi offeso per poi aggiungere: “e comunque non è vuoto!”
In risposta a quell’affermazione Jason ruotò il cartone del latte lasciando fuoriuscire tre goccioloni di latte che macchiarono il pavimento mentre lui continuava a fissare il suo interlocutore con una faccia che era tutta un programma.
“Adesso è vuoto!” precisò Leo con un ghigno, poi si avviò verso la porta e disse: “tanti saluti, io vado da Calypso, ci vediamo più tardi!”
Jason rimase fermo immobile in cucina a fissare la porta con ancora il cartone del latte e i biscotti in mano, poi il suo nuovo cellulare, quello che si era regalato per il compleanno, squillò e lo risvegliò da quello stato di torpore.
“Ciao Percy” esordì mentre cercava uno straccio per pulire il pavimento, “ sì certo che puoi venire, mi sono appena alzato, anzi, non è che prenderesti anche un litro di latte?”
“E così hai portato i tuoi esami del sangue al Signor D e poi hai dato le dimissioni?” chiese Jason venti minuti più tardi mentre addentava l’ennesimo biscotto seduto difronte a Percy che lo guardava mangiare domandandosi se presto non sarebbe andato in overdose da biscotti.
“Esatto” sospirò.
“Che succede?” chiese Jason accigliato, aveva appena notato che qualcosa preoccupava il cugino.
Percy incrociò lo sguardo di Jason e si domandò se fosse il caso di dar voce ai suoi pensieri. “Ho una strana sensazione” ammise dopo qualche istante di silenzio. “Ma forse ho solo bisogno di metabolizzare il fatto che non lavorerò più giù al lido.” Concluse deciso a non dar peso alla cosa. “Cambiando discorso… che ne sarà di te e di Piper?”
Jason finì il latte e dopo essersi pulito la bocca con un tovagliolo disse: “beh, io e Leo ci faremo ancora qualche giorno di mare e poi rientreremo in città, ho giusto tre esami da dare a settembre e qualcosa mi dice che è il caso che io mi metta a studiare.”
“Non hai risposto alla mia domanda…”
“Ok, ok. Penso che ci rivedremo anche in città ma sai com’è… non voglio fare previsioni a lungo termine.”
“Ammettilo”
“Cosa?”
“Ami troppo la vita da scapolo per legarti seriamente ad una ragazza.” Spiegò Percy che conosceva troppo bene il cugino per farsi intortare dai suoi giri di parole.
“Può darsi, e comunque non so quanto lei sia interessata ad una relazione stabile.”
“Se fossi una persona orribile accetterei scommesse sull’evoluzione della tua vita sentimentale.” Dichiarò Percy alzandosi e accompagnando la sedia sotto al tavolo. “Sarà meglio che vada” disse camminando verso la porta.
“Ci vediamo più tardi” gli gridò dietro Jason un attimo prima che uscisse.
 
Essendo sempre stato impegnato a lavorare giù al lido raramente Percy aveva avuto occasione di godersi il paese e il mare da un altro punto di vista, così si prese del tempo per riflettere passeggiando sul lungo mare. Senza rendersene conto raggiunse la parte più remota del porto, quella in cui solo poche notti prima era ancorato lo yatch di suo padre. Rabbrividì un istante ripensandoci ma la vista di un trio di pescatori impegnati nelle loro attività lo fece sorridere. Rientrò in casa verso le quattro di pomeriggio, attraversò il cortile interno a passo svelto e si fermò davanti al suo portone in cerca delle chiavi. Quando le trovò fece scattare la serratura e subito avvertì qualcosa che non andava. Mentre varcava la soglia un odore fastidioso gli stuzzicò le narici e, prima ancora che potesse collegare quell’odore ad una persona, vide suo padre seduto sulla sedia con i piedi sul tavolo. Fumava un sigaro e a giudicare dallo stato del posacenere e dalla puzza presente nella stanza doveva essere lì ad aspettarlo da parecchio tempo.
“Cosa ci fai tu qui!?” Ringhiò Percy fermo immobile sulla porta.
“È così che sei solito accogliere i tuoi ospiti?” domandò Poseidone prendendo un’altra boccata di fumo.
“Non sei mio ospite” ribatté Percy gelido mentre si domandava come fosse possibile che suo padre sapesse che quel giorno non lavorava.
“Hai ragione, se così fosse forse ti saresti degnato di riordinare questa bettola!”
Percy trattenne il fiato per un momento e si sforzò di non scagliarsi contro suo padre come una furia. “Dimmi cosa vuoi e vattene”
“E così ti sei licenziato.”
A Percy si gelò il sangue nelle vene, com’era possibile che lui lo sapesse?
“Le notizie volano” esalò con un filo d’ironia sperando che bastasse a mascherare la sua reale preoccupazione.
“Pensavi forse di poter fare di testa tua senza che io lo venissi a sapere?” sibilò Poseidone impegnato a spegnere il sigaro sul tavolo nonostante avesse il posacenere a portata di mano.
Percy sentì una stretta allo stomaco, non poteva credere che suo padre avesse già scoperto del suo trasferimento, se così stavano le cose buona parte dei motivi che l’avevano spinto ad andarsene sarebbero venuti meno.
“Mi sembrava di averti già avvertito circa quello che sarebbe successo se tu avessi messo nuovamente mano alla tua tesi…”
Percy sussultò e sbarrò gli occhi colto all’improvviso da un pensiero raccapricciante. Il giorno prima, dopo aver bloccato l’appartamento in città, aveva indugiato un momento sulla cartella denominata tesi che aveva archiviato mesi prima convinto che mai l’avrebbe riaperta. Colto da un momento di pura nostalgia, aveva cliccato sulla cartella e aveva riaperto il file word che conteneva una prima bozza del risultato delle sue analisi. Non aveva apportato nessuna modifica al testo scritto in precedenza, si era solo limitato a rileggere parte dell’introduzione ricordando quanta fatica gli fosse costato produrre quelle pagine.
“Hai hackerato il mio pc?” domandò nonostante fosse già certo della risposta.
“E mi stupisco di come tu non te ne sia accorto prima. Avevo sentito dire che eri intelligente.”
La perfidia di quell’uomo non aveva limiti e Percy si domandò quante altre cose suo padre sapesse sul suo conto; se il suo computer era sotto controllo da mesi allora era altamente probabile che suo padre sapesse tutti i dettagli del suo trasferimento.
“Davvero pensavi di potermi sfuggire?” ridacchiò l’uomo. “monitoro la tua vita da più tempo di quanto tu possa immaginare. Conosco i tuoi spostamenti, ho accesso alle tue mail e al tuo cellulare, posso ascoltare le tue chiamate e leggere i tuoi messaggi.”
“Questo non è possibile” azzardò Percy scioccato da quelle dichiarazioni.
“Tutto è possibile quando hai i miei soldi” ridacchiò Poseidone. “C’è un GPS sotto alla tua macchina, una cimice sopra il frigorifero, un programma altamente sofisticato che connette il tuo PC al mio e un’applicazione fantasma che mi dà accesso al tuo cellulare.”
Percy fece scivolare una mano nella tasca e afferrò saldamente il suo telefono. “Stai mentendo, non puoi aver messo mano al mio cellulare, non ne hai mai avuto l’occasione e poi è…”
“Un regalo di Rachel, sì lo so…” disse Poseidone mentre un ghigno soddisfatto si faceva strada sul suo volto.
Un brivido investì Percy senza preavviso e per un attimo si sentì mancare.
“Non ti sei mai chiesto come mai la vostra storia si sia conclusa all’improvviso?”
Percy sentì una morsa all’altezza dello stomaco, certo che se l’era chiesto, quel gesto aveva finito per sconvolgergli la vita.
“Davvero credevi che una ricca ereditiera potesse innamorarsi di uno come te?” continuò l’uomo visibilmente divertito.
“Sei stato tu!” Esclamò Percy sconvolto, “sei sempre stato tu!”
“Bingo” Gridò Poseidone per poi scoppiare a ridere. “Rachel faceva parte dei miei piani fin dal giorno in cui vi siete conosciuti, ha sempre lavorato per me. Sono stato io a fornirgli quel cellulare affinché te lo regalasse. Avevo bisogno di una persona che arrivasse dove io non potevo, e lei ha svolto meravigliosamente questo compito. Quando mi sono reso conto di avere tutto ciò che mi occorreva le ho detto di scaricarti e, anche in quel caso, lei ha eseguito alla perfezione i miei ordini.”
“Non avevi il diritto di violare la mia privacy” esalò Percy affranto.
“Ce l’ho eccome invece, dal momento che se non fosse per un mio errore tu nemmeno esisteresti.”
Percy scrollò le spalle esasperato, aveva perso il conto delle volte in cui suo padre gli aveva rinfacciato il fatto di averlo messo al mondo, ma era stata la notizia di Rachel a devastarlo completamente. Una mano salì istintivamente a coprire l’avambraccio tatuato, come se quella porzione di pelle avesse preso a bruciare terribilmente. L’idea che lei avesse recitato per tutto quel tempo era straziante e lui si sentì un idiota per aver sofferto come un cane a causa sua per tutti quei mesi.
“Se sai già tutto della mia vita perché sei qui?” Sputò fuori Percy tentando di rimandare la questione Rachel a più tardi.
“Per darti un ultimo avvertimento ovviamente.”
Percy s’irrigidì, ciononostante si sforzò di sostenere lo sguardo del padre per quanto quell’uomo lo disgustasse.
“Abbandona per sempre quella tesi e gli studi connessi alla mia compagnia.”
“È un semplice file su un computer, avresti potuto distruggerlo o rubare direttamente il pc” rifletté Percy che non si spiegava le azioni del padre, “per quale ragione non l’hai fatto?”
“Perché sono un uomo d’affari, non un ladro.” Fu la gelida risposta di Poseidone. “Ancora una volta dimostri di aver ereditato da me solo ed esclusivamente l’aspetto fisico.” Gracchiò l’uomo alzandosi di scatto dalla sedia. “Nessuna traccia di onore, lealtà, rispetto…”
“Rispetto?” sbraitò Percy che aveva ormai esaurito tutto il suo autocontrollo, “la tua compagnia di crociere sta alterando in modo irreversibile i nostri ecosistemi marini, il tasso d’inquinamento nelle aree portuali in cui attraccano le tue navi è aumentato del 5% negli ultimi vent’anni e ha già compromesso irrimediabilmente le popolazioni di alcune specie endemiche del mediterraneo, quindi non venirmi a parlare di rispetto! E non parlarmi nemmeno di onore perché, nel caso in cui tu non te ne fossi reso conto, offrire dei soldi a mia madre per convincerla ad abortire non è esattamente un gesto che ti fa onore!”
“Non farti nemici che non sei in grado di affrontare” gli suggerì Poseidone sperando di persuaderlo definitivamente.
“Esci di qui” gli intimò Percy, “adesso!”
“Sei uno stupido Perseus Jackson, non hai nemmeno i mezzi per metterti contro di me, come puoi pensare di spuntarla?”
“Ho detto fuori!” Sbraitò Percy che ormai aveva perso del tutto le staffe.
“Ok, ti stai rivelando più testardo di quanto mi aspettassi” confessò Poseidone mettendosi nuovamente seduto. “Quanto vuoi?” domandò annoiato mentre estraeva il libretto degli assegni dalla tasca della giacca.
A Percy sfuggì una risata. “Cosa?”
“Hai sentito bene, ti ho chiesto quanto vuoi.”
“Non voglio i tuoi soldi” sibilò Percy disgustato all’idea che suo padre pensasse di comprarlo.
“Tutti vogliono i miei soldi, quindi non farmi perdere altro tempo e dimmi che cifra devo scrivere su questo assegno.”
“Puoi scrivere quello che ti pare perché non incasserò mai quell’assegno, non voglio avere nulla a che fare con qualsiasi cosa porti il tuo nome.” Dichiarò Percy fiero.
Poseidone rimase fermo immobile un istante, la punta della stilografica ad un millimetro dalla carta. Percy lo vide sollevare il capo e fare un sorriso di circostanza, poi richiuse la penna e rimise il libretto degli assegni in tasca. “Molto bene” disse alzandosi, “un giorno ti pentirai di aver dichiarato guerra ad un uomo del mio calibro.”
“Hai altre frasi da film hollywoodiano da recitare?” fece Percy stappando una birra, estremamente orgoglioso di aver dato una lezione al padre circa quello che i soldi possono e non possono comprare.
“Bello l’appartamento in via dei caduti 7” dichiarò Poseidone un attimo prima di uscire, “dal quarto piano hai un bel panorama e poi le travi a vista sono molto di moda” aggiunse abbozzando un ghigno.
Percy sorrise deciso a non dargli nessun tipo di soddisfazione, ormai aveva capito che suo padre sapeva ogni cosa in merito al suo trasferimento e mostrarsi sorpreso o preoccupato non sarebbe servito a niente.
 
Talia, Annabeth e Piper stavano caricando le valige nel bagagliaio con qualche difficoltà quando Jason e Leo fecero la loro comparsa dal fondo della via.
“Serve forse una mano?” domandò Jason galante notando Piper che litigava con la maniglia del suo trolley che faticava ad abbassarsi.
“Ciao” fece lei visibilmente sorpresa. Lui notò il suo stupore e si affrettò a dire: “davvero pensavi che non sarei venuto a salutarti?”
Piper fece spallucce. “Con quelli come te non si sa mai” scherzò lei decisa a provocarlo fino all’ultimo istante di quella vacanza.
Poco più in là Annabeth fece vagare lo sguardo in cerca di Percy, anche se si sarebbero rivisti entro pochi giorni non poteva pensare di partire senza averlo salutato. Aveva provato a chiamarlo già due volte ma il suo telefono risultava staccato.
“Dannazione, è già tardi!” Esclamò Talia guardando l’orologio allibita, “dobbiamo sbrigarci o troveremo coda!”
Jason caricò il trolley di Piper sotto lo sguardo vigile della ragazza che gli intimava di fare attenzione a non rovinarlo mentre Annabeth temporeggiava a salire in macchina.
“Mio cugino è un ritardatario cronico” fece sapere Talia notando il suo atteggiamento, “farai meglio ad abituartici.”
Annabeth sorrise nervosamente, non era il ritardo in sé a preoccuparla, la verità è che aveva una gran voglia di vederlo e di abbracciarlo.
“Voi due pensate di poter sopravvivere l’uno lontano dall’altra per qualche giorno?” Ironizzò Talia più che decisa ad interrompere il bacio tra Piper e Jason.
“Buon viaggio” le disse lui ignorando bellamente la sorella che sbuffava.
“Grazie” sorrise Piper raggiante.
Jason arretrò di qualche passo, leggermente imbarazzato, come se non sapesse cos’altro aggiungere, poi si fece forza e aggiunse: “allora ci sentiamo, ok?”
Piper annuì sorridendo, non aveva la minima idea di cosa l’aspettasse; tutto ciò che c’era stato con Jason era un enorme punto di domanda e non aveva aspettative precise per il futuro. Salì in macchina dalla parte del passeggero e collegò l’mp3 allo stereo pregando che Talia non avesse intenzione di ascoltare uno dei suoi cd con cui le aveva già deliziate all’andata.
Dopo aver salutato Jason e Leo, Talia rivolse un ultimo sguardo ad Annabeth.
“Va bene, andiamo.” Si arrese lei dopo aver guardato un’ultima volta il fondo della via. Aprì la portiera e s’infilò sul sedile posteriore mentre Talia metteva in moto. Fu proprio in quel momento che ad Annabeth sembrò di sentire un rumore famigliare; erano le ruote dello skate di Percy che sfrecciavano sull’asfalto irregolare della strada.
“Eccolo” Esclamò un attimo prima che Talia potesse mettere il piede sull’acceleratore. Spalancò la portiera dell’auto e corse incontro a Percy che era appena saltato giù dallo skate. Si gettò tra le sue braccia e lui l’avvolse in un tenero abbraccio.
“Perdona il ritardo” le disse dopo averle dato un bacio.
“Cosa è successo? Ho provato a chiamarti ma avevi il telefono spento.” domandò Annabeth cercando di leggere il suo sguardo.
“Lo so, e lo sarà ancora per un po’ ma…”
“Percy, cosa è successo?”
A Percy passarono una serie di risposte che non l’avrebbero obbligato a dire la verità su suo padre per la mente, ma poi si ricordò della richiesta di Annabeth di essere sempre sincero con lei e scelse la verità.
“Ho ricevuto una visita inaspettata” ammise in tono neutro.
Annabeth si accigliò un istante. “Di nuovo tuo padre?” chiese preoccupata.
“Sì, ma è tutto ok, non mi ha fatto del male e se n’è andato.”
“Cosa voleva da te?”
“Credo che le tue amiche ti stiano aspettando” fece Percy spostando lo sguardo in direzione dell’auto, “tra due giorni sarò in città anch’io e ti spiegherò tutto con calma, ma nel frattempo promettimi che non ti preoccuperai.”
“Ma come faccio a…”
“Ehi” la bloccò prendendole entrambe le mani e avvicinandosi a lei per guardarla intensamente negli occhi, “mi hai fatto promettere di non mentirti su nulla e ti ho detto la verità, ora sono io che ti sto chiedendo di farmi una promessa, non voglio che ti preoccupi.”
Annabeth sospirò. “Te lo prometto” disse a fatica, a quegli occhi non avrebbe mai saputo dire di no.
“Ora è meglio che tu vada perché se trovate coda Talia avrà un motivo in più per odiarmi!” Scherzò Percy deciso a lasciarsi le preoccupazioni alle spalle.
Annabeth unì le loro labbra un ultima volta e poi tornò verso la macchina mentre Percy la osservava a distanza, un sorriso impresso sul viso.
“Sarà strano vederti in città” disse lei aprendo la portiera e sparendo dalla sua vista.
Aveva ragione, adattarsi nuovamente alla vita di città sarebbe stato strano e sicuramente difficile, ma grazie all’ultima visita di suo padre aveva capito di essere finalmente pronto a fare tabula rasa.
Osservò la macchina di Talia svoltare a sinistra in direzione dell’autostrada mentre Jason gli porgeva il suo cellulare dicendo: “tua mamma dice che hai il telefono spento.”
Percy trasalì e afferrò il telefono del cugino.
“Ciao mamma, ho una bella notizia da darti” disse con entusiasmo.



Angolo dell'autrice: Ciao a tutti e grazie per essere arrivati a leggere queste righe nonostante il mio ritardo nell'aggiornare sia inclassificabile. Come vi avevo già anticipato la storia è alle battute finali e, per quanto la cosa mi rattristi, non potevo fare altrimenti... penso che siamo tutti d'accordo sul fatto che non posso far proseguire una vacanza al mare fino ad ottobre! Scherzi a parte, manca solo l'epilogo ma gran parte dei pezzi del puzzle sono già andati al loro posto. Mi riferisco in particolar modo alla rivelazione di Poseidone circa Rachel, non so se qualcuno di voi l'aveva già capito ma spero che adesso sia tutto chiaro. In pratica volevo che Percy capisse che l'universo non è contro di lui; tutto quello che gli è accaduto di male e in generale tutti i suoi problemi (il litigio con sua madre per aver abbandonato l'università, la storia d'amore finita male con Rachel, l'ordinanza restrittiva e tutto il resto) sono in realtà generati da un unico grande problema: la relazione con suo padre. Mi spiego meglio: se non fosse stato per Poseidone lui non avrebbe mai conosciuto Rachel, che quindi non l'avrebbe lasciato e di conseguenza lui non avrebbe abbandonato l'università litigando con sua madre e di certo non sarebbe finito al mare a rimediare un'ordinanza restrittiva. In generale penso che la morale di tutta questa storia sia legata al fatto che tante volte non si fa altro che elencare tutti i problemi che ci affliggono senza però rendersi conto che sono connessi tra loro o che addirittura sono un problema solo, è un po' come quando basta aggiungere una virgola per cambiare il senso di una frase. A volte per rendercene conto basta cambiare punto di vista mentre altre volte abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a capirlo. Forse questo è stato in parte il ruolo di Annabeth che, nonostante inizialmente fosse tutta concentrata su sé stessa a causa di ciò che le aveva fatto passare Luke, trova una persona che ha un problema più grosso del suo e finisce per diventarne la "cura". Ok, non so se quello che ho scritto per voi ha un senso ma sono abbastanza certa che lo ha nella mia testa e più ci penso più mi rendo conto di aver scritto questa storia per dire qualcosa d'importante a me stessa, se poi è stata spunto di riflessione anche per voi non posso che esserne felice. Vi ringrazio infinitamente per aver letto anche questo capitolo e spero di leggere commenti positivi anche in questo caso nonostante il capitolo sia un po' più corto della media. Vi aspetto per l'epilogo.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Epilogo ***


Angolo dell'autrice: è con un po' di tristezza ma con grande soddisfazione che vi comunico che siamo finalmente giunti alla fine di questa storia. "Siamo", avete letto bene, perchè per me siete stati dei fedeli compagni lungo questo lunghissimo percorso che è durato più di un anno e che in qualche momento ho temuto non vedesse una fine. Vi ringrazio per aver pazientato quando gli aggiornamenti si sono fatti attendere e vi ringrazio ancora di più per le belle parole che avete speso per questa FF, per le mie idee e per il mio modo di metterle nero su bianco. Rileggendo questa storia ho imparato tante cose su me stessa e mi ritengo molto soddisfatta del risultato. Quello che state per leggere è solo un epilogo quindi non stupitevi se sarà breve, è solo un qualcosa che mi si era palesato nella mente molti mesi fa e che mi sembrava potesse essere una conclusione carina per questa storia. Spero che sia di vostro gradimento perchè, arrivata a questo punto, non potrei mai perdonarmi un passo falso. Chiudo questo 2016 con un enorme grazie a tutti voi. Spero che il 2017 mi riservi tanta ispirazione e soprattutto tanto tempo per scrivere qualcosa di bello. Vi auguro il meglio.





EPILOGO

 
 
Percy raggiunse il terzo piano facendo i gradini tre alla volta, il fiato corto e il cuore che batteva a mille. Aveva volutamente ignorato l’ascensore per evitare la coda e senza essersene accorto aveva seminato Annabeth a metà del secondo piano. Davanti a lui c’era una porta munita di maniglione antipanico sul quale era affisso un cartello con numerose indicazioni, ma lui aveva troppa fretta per soffermarsi a leggerle tutte. Spalancò la porta e imboccò il corridoio che gli si parò davanti senza saper bene dove andare. C’era molta gente e nonostante parlassero tutti con un tono di voce abbastanza alto alle sue orecchie giungeva solo un brusio confuso e fastidioso.
Camminò per qualche metro guardandosi intorno e proprio in quel momento una voce conosciuta spiccò tra le altre.
“Percy alla reception hanno detto reparto C!” Era Annabeth, l’aveva finalmente raggiunto e solo dopo aver afferrato la sua mano gli fece notare che stava andando nella direzione sbagliata.
“Cosa?” fece Percy disorientato cercando di ritrovare un barlume di lucidità.
“Il reparto C è di qua” ripeté Annabeth indicando il cartello sopra la porta che conduceva ad un altro corridoio affollato.
“Sì, giusto” convenne Percy riprendendo a camminare a passo svelto mentre Annabeth lo seguiva sorridendo.
La chiamata era arrivata all’improvviso e da quel momento Percy era andato in tilt. Era stato il suo patrigno a chiamare, dicendo che Sally aveva le contrazioni e che Charlie sembrava aver deciso che il tre di settembre era un buon giorno per venire al mondo.
“Percy!” Esclamò Jason dal fondo del corridoio, “finalmente ce l’avete fatta!”
“Dov’è?” domandò lui avvicinandosi di corsa, l’adrenalina che aumentava ad ogni passo.
“In sala parto” spiegò Talia facendogli cenno di sedersi, “Paul è appena entrato, penso che ci vorrà ancora un po’.”
“Quindi non è ancora nato?” s’informò Percy che sembrava incapace di rilassarsi.
“Ancora no” lo rassicurò Talia facendogli nuovamente segno di sedersi.
“Eravamo dall’altra parte della città e c’era traffico” spiegò Percy a Jason che se ne stava in piedi appoggiato al muro smanettando con il cellulare.
“La verità è che quando è arrivata la chiamata di Paul, Percy non ha capito più niente” sussurrò Annabeth all’orecchio di Talia, “era così agitato che non riusciva a distinguere il freno dall’acceleratore e ci ho messo dieci minuti a convincerlo che era meglio se guidavo io… ma tu non dirgli che te l’ho detto.”
Talia soffocò un risolino e afferrò Percy per un braccio costringendolo a mettersi seduto.
“Scusa ma in piedi mi metti ansia!” disse in risposta al suo sguardo interrogativo.
Percy incrociò lo sguardo di Annabeth che gli sorrise incoraggiante. “Andrà tutto bene” gli assicurò prima di baciarlo dolcemente sulle labbra.
Decise di credergli. Annabeth aveva lo straordinario potere di infondergli sicurezza grazie alla sua saggezza e alla sua razionalità. Sapeva essere rassicurante e in quel caso Percy era più che certo che lei avesse ragione, sarebbe andato tutto bene. Non gli restava che aspettare, conscio del fatto che da un momento all’altro non sarebbe più stato figlio unico.
L’attesa era snervante, la tensione era palpabile e nel silenzio della sala d’attesa Jason pensò bene di ascoltare un messaggio vocale che fece trasalire tutti quanti. Era la voce squillante ed inconfondibile di Leo che diceva di non poterli raggiungere perché era andato al mare per trascorrere qualche giorno con Calipso, a quanto pare la loro storia era più seria di quanto chiunque di loro immaginasse.
“E Piper?” Domandò Annabeth che in tutto quel trambusto non aveva ancora notato la sua assenza.
“Ha un esame… dovrebbe finire entro un’oretta, appena sarà fuori la chiamo.” Rispose Jason cogliendo Annabeth di sorpresa.
“Quindi vi state frequentando ancora” constatò Annabeth ammirata.
“Così pare” Jason fece spallucce.
“Sono sconvolta quanto te” le bisbigliò Talia all’orecchio.
Paul uscì dalla sala parto venti minuti più tardi annunciando che Charlie pesava tre chili e duecentocinquanta grammi e che stava bene. Aveva le gote arrossate, gli occhi lucidi e ancora visibilmente carichi di lacrime di gioia. Percy incrociò lo sguardo del suo patrigno e corse ad abbracciarlo affondando il viso nella sua spalla deciso a mascherare le lacrime che stavano per tradire tutta la sua emozione. Paul lo strinse forte e poi gli assestò una serie di pacche sulla spalla.
“È giunto il momento di conoscerlo” gli disse Paul sciogliendo l’abbraccio e facendo un cenno con il capo in direzione delle porte che lo separavano dal fratello.
Percy si voltò a guardare gli amici, come se avesse bisogno della loro approvazione e quando li vide sorridere incoraggianti si decise a varcare quella porta. Annabeth notò la sua commozione e felicità e ripensò al ragazzo che aveva conosciuto al mare solo pochi mesi prima, quello che non riusciva a cambiare lo sfondo del cellulare perché era ancora innamorato della ex e che a causa sua aveva rimediato un’ordinanza restrittiva, quello che passava il suo giorno libero a smaltire i postumi di una serata triste trascorsa al bancone di un bar privo di compagnia. Quello che, in un modo che ancora le era sconosciuto, era riuscito a risvegliare in lei il desiderio di amare e le aveva fatto trovare il coraggio di provarci di nuovo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3273436