All I Want for Christmas Is...

di Yellow Daffodil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Deck the Halls ***
Capitolo 2: *** Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose ***
Capitolo 3: *** Everybody's Fault ***
Capitolo 4: *** The Value of a Life ***
Capitolo 5: *** Fresh Fish and Hot Thoughts ***
Capitolo 6: *** Holy Light ***
Capitolo 7: *** Monsters at the Diderot ***
Capitolo 8: *** Athens and Sparta ***
Capitolo 9: *** Heavens and Bell ***
Capitolo 10: *** A Lot of Things Together ***
Capitolo 11: *** Fatal Encounters ***
Capitolo 12: *** Save You to Save Me ***
Capitolo 13: *** All Kinds of Love ***
Capitolo 14: *** Omnia vincit amor ***



Capitolo 1
*** Deck the Halls ***


All I want - 1

Storia modificata in data 18/12/2016 rispetto alla sua prima versione del 2010. Enjoy :)

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Deck the Halls********


Jeremy Parker era un ragazzo di strada. Mediamente alto, capelli biondo cenere, occhi glaciali e sguardo di sfida. Nessuno sapeva se fossero di più le lentiggini sul suo viso o i crimini che aveva commesso in ventidue anni di vita, ma questo non oscurava di certo la sua bellezza esteriore. Peccato che la sua esistenza fosse un vero e proprio delirio: era pieno di guai fino al collo, non godeva di buona salute e, soprattutto, aveva un debito enorme con Edoardo Cordano. Il prezzo per saldarlo sarebbe presto diventato la sua rovina.

Alex Bell era il classico tutto muscoli e niente cervello, o perlomeno lo sembrava. Nessuno sapeva che frequentasse ancora Jeremy dopo essersi iscritto all'università di Bourton. Erano amici d'infanzia, ma un bel giorno i suoi gli avevano proibito di vederlo, spronandolo a cambiare strada. Così Alex fingeva di essere diventato un bravo ragazzo fidanzato con una brava ragazza, ma a dire il vero non era cambiato nulla: Jeremy era sempre stato il suo migliore amico e non avrebbe mai smesso di seguirlo nelle sue avventure, qualunque fosse stata la conseguenza.

Taylor Heavens era una ragazza introversa. Di piccola statura e dai tratti scuri, indossava sempre un velo di sarcasmo che la rendeva piuttosto ostile verso il prossimo. Nessuno poteva immaginare che dentro di sé trascinasse il peso della mancanza di un padre, l'amarezza del sentirsi ignorata, la consapevolezza di essere preferita ad altri, giorno dopo giorno. Ma Taylor aveva una madre e un’amica meravigliose e nascondeva, dietro quel paio di occhi tristi, un carattere spiritoso e tanto affetto da dare. Oltre a quello che aveva bisogno di ricevere.

Tessy Heavens era una virtuosissima ragazza perbene. Mora, ciglia lunghe e naso a punta. Nessuno aveva da ridire sul fatto che fosse una promessa della musica: suonava il violino da quand'era nata e il pianoforte da ancora prima. Era bella, fortunata e adorata. Tessy era perfetta. Amava la famiglia, la danza classica e il suo altrettanto perfetto ragazzo, aveva un sacco di hobby e un papà fantastico che la viziava ogni volta che poteva. Sentiva che niente avrebbe potuto rovinare la sua meravigliosa vita.

Edoardo Cordano era l'apoteosi del genere 'io ti faccio un favore, tu restituisci con gli interessi'. Di giorno, un uomo d'affari nella prestigiosa Money House di Bourton, di notte, mafioso di professione. Bazzicava di cittadina in cittadina alla ricerca di debiti da riscattare e vendette da attuare. Poteva sembrare innocuo nel suo smoking da banchiere, ma aveva già cambiato nome tre volte per fuggire alla polizia. Nemmeno Oliver, suo amico e capo di una vita, poteva immaginare i segreti di quell'uomo e la spiacevole sorpresa che aveva in serbo per lui.

Oliver Heavens era un padre orgoglioso. Viveva dell'abbondante stipendio che riceveva dalla Money House, una delle sue tante proprietà, e seguiva con interesse la carriera musicale dell'ultima figlia. Sposato due volte, aveva dunque due famiglie da mantenere, ma ci riusciva tranquillamente, vivendo tra gli agi nella sua villa di Bourton e le soddisfazioni del suo lavoro. Da quando aveva perso la testa per la sua seconda moglie e la bella vita, non si era più guardato indietro e aveva perso di vista Taylor e la sua grande tristezza.

Allyson Stuart era una ragazza solare e innamorata. Una pattinatrice provetta; alta, capelli boccoluti e sorriso affascinante. Viveva tra due fuochi che portavano lo stesso cognome: Taylor e Tessy Heavens. Le due sorelle si odiavano, ma lei voleva bene a entrambe, incondizionatamente, perché erano a tutti gli effetti le sue migliori amiche. Ovviamente il fatto che si detestassero la rendeva più una martire che un’amica, ma non si sarebbe arresa e avrebbe continuato a sperare che, un giorno, potessero diventare un terzetto. Magari avrebbe potuto far loro conoscere il suo nuovo ragazzo, Alex. 

Richard Stuart era un ragazzo imprevedibile. Era scappato di casa all'età di undici anni e da qualche tempo aveva assunto la professione del malavitoso. Lasciata la famiglia, si era dedicato al guadagno personale contro la legge ed era diventato la spalla del temuto Edoardo Cordano. L'unica cosa che lo legava al suo passato da bravo ragazzo, ormai irrecuperabile, era la sola persona per cui avrebbe dato la vita; sua sorella Allyson.



Ora, la nostra storia si svolge in un clima che conosciamo fin troppo bene: il Natale. Un Natale in piccolo, sentito e vissuto da un paesino lacustre a Sud dell'Inghilterra. Un Natale che coniuga il consumismo di questo secolo con le tradizioni di tanto tempo fa e tiene uniti gli abitanti, un Natale che si rispecchia sui laghi ghiacciati su cui pattinano i bambini e cade dai salici piegati dal peso della neve.

Era la terza domenica d'avvento e le campane stavano battendo i dieci rintocchi. Se si fossero alzati gli occhi verso il campanile, si sarebbero visti i giochi di luce che il sole creava riflettendosi sul metallo nel suo moto pendolare.

Le strade di Bourton-on-the-water, piccola cittadina nel Gloucestershire Cotswolds, erano così deserte che il suono rimbombava sugli edifici e sui marciapiedi innevati, scuotendo appena la neve dalle grondaie.

Le villette avevano le tende tirate, le scuole erano chiuse, tutti i cittadini si trovavano in chiesa per celebrare l’avvento.

Tutti, tranne tre.

Jeremy Parker stava correndo a perdifiato verso il bosco ai confini del parco. Si teneva stretto nella felpa grigia e si copriva come poteva con la sua vecchia sciarpa. Sperava sinceramente di non scivolare: l'atterraggio, per quanto attutito dalla neve, sarebbe stato alquanto freddo e doloroso.

Arrivato ai piedi di un albero, si appoggiò alla corteccia e si mise una mano sul cuore. Una di queste volte sarebbe esploso, constatò, sentendolo galoppare al di sopra delle sue possibilità. Aveva corso dal piccolo bed and breakfast che ormai considerava la sua casa fino a quel punto, per non essere intercettato dai due che aveva visto arrivare dalla finestra. Sapeva benissimo chi fossero; conosceva molto bene il più vecchio e poteva immaginare senza troppa fatica a cosa servisse il giovane energumeno che si portava appresso.

Spiò tra le fronte degli alberi gli scorci della città: non vedeva nessuno, non si muoveva nemmeno una foglia. Allora scelse di percorrere il sentiero che portava alla stazione, per poi ricansare, attraverso stradine nascoste, al bed and breakfast. Nutriva la speranza che, avendo mancato l'appuntamento, i due se ne fossero andati.

Percorse timidamente il primo tratto, ma poi il silenzio gli tornò amico e decise che poteva affrettarsi senza preoccupazioni per ritornare al caldo e al sicuro nella sua stanza. Stava giusto velocizzando il passo, quando due robuste mani gli si agganciarono alle spalle e lo sbatterono contro il muro di una vecchia casa, gelido contro il suo viso.

"Giochiamo a nascondino, Parker?"

Jeremy sentì il calore del suo sangue raggiungere le labbra ghiacciate e capì che con buona probabilità il suo naso aveva incassato un brutto colpo e, come di consueto, aveva preso a sanguinare.

"Che cosa vuoi?" cercò di divincolarsi.

"Fingi anche di non ricordartelo, Parker? Quanta ipocrisia." l'uomo si fece aiutare dal sopracitato energumeno e gli ordinò di voltare il ragazzo verso di lui per poterlo vedere in viso.

"Bel muso." ridacchiò quest'ultimo, eseguendo gli ordini e immobilizzando Jeremy per le braccia, mentre con modi poco ortodossi lo posizionava esattamente faccia a faccia con Cordano.

Era un ragazzone robusto, con un fare deciso e un perenne tono di scherno che Jeremy non sopportava. Ma capiva benissimo che senza di lui Cordano non avrebbe mai combinato nulla; quel ragazzo rappresentava la forza fisica di cui lui non era dotato. La natura gli aveva dato solo soldi, arroganza e una gran faccia di culo. Per il resto, era abituato a ottenere facilmente tutto ciò che gli mancasse, dunque l'armadio rappresentava una di queste estensioni.

"Vedo che hai chiamato i rinforzi, Ed." lo schernì Jeremy, per niente soggiogato dalla situazione. "Immagino che inizi a sentire la vecchiaia."

"Chiudi quella fogna, piccolo parassita della società." Cordano gli si avvicinò con sfrontatezza, senza riguardo nell'offendere quello che era poco più di un ragazzino. "Ti ricordo che se non fosse per me saresti in prigione da mesi e ne avresti ancora un bel po’ da scontare, prima di poter tornare a scorrazzare come un ratto delle sottovie di Bourton."

"Non ho chiesto io che pagassi la cauzione." ribatté il ragazzo.

Cordano ridacchiò, saccente: "Non sai cos’è la gratitudine, tu, eh? Hai rubato in casa mia e io ti ho fatto il favore di voler dimenticare tutto. Ho anche pagato per farti uscire, dato che sei solo a questo mondo e nessuno se ne sarebbe altrimenti preoccupato. Credo di averti reso un gran bel favore, no?"

"Un gran bel calcio in culo."

Jeremy si beccò una ginocchiata in pieno stomaco e si accasciò per quanto la stretta alle braccia potesse permetterglielo.

"Devi sempre disprezzare la mia generosità, piccolo topo di fogna."

"Avevi bisogno di me." mormorò Jeremy, a fatica. "Ti serviva qualcuno da ricattare liberamente per i tuoi lavori sporchi."

"Può darsi. Ma il vero punto della questione è: ce li hai questi soldi, Parker, oppure no?"

"Secondo te?" ribatté lui, sardonico.

"Richard, hai sentito?" l'uomo si rivolse al suo aiutante. "Il nostro amico non ha ancora i soldi del mio debito. Farebbero...quanto, Richard? Non mi ricordo."

La specie di orso dai capelli ricci ghignò, felice di essere stato chiamato in causa: "Duemilacinquecento."

"Erano duemila!" ribatté Jeremy, il viso contratto in un’espressione rabbiosa e la felpa macchiata del sangue che colava dal naso.

"Zitto!" e di nuovo gli arrivò un calcio allo stomaco, più ossuto, ma più cattivo, che gli fece immediatamente chiudere la bocca. "Duemilacinquecento sterline e giusto l'altra volta ti avevo detto che sarebbe stata la tua ultima possibilità. Ti piace giocare con il fuoco o hai solo voglia di prenderle, Parker?"

Jeremy strizzò gli occhi e inspirò una fitta di dolore, mentre nel suo addome si disperdevano l’ematoma e la paura.

"Cosa possiamo fare, Richard, per far capire al nostro amico che siamo stufi dei suoi giochetti e che vogliamo i soldi?" proseguì Cordano, passeggiando attorno ai due.

Il ricciolo mollò un braccio di Jeremy e, molto rapidamente, estrasse un oggetto dalla sua giacca. Lo lanciò all’uomo e poi tornò a immobilizzare il suo prigioniero.

"Ottima idea, Richard, porti sempre una ventata giovanile alle mie pratiche di giustizia." approvò Cordano, recitando palesemente una scenetta già studiata.
Lentamente, si avvicinò ancora di più al ragazzo e gli puntò la pistola sotto al mento, alzandogli il viso fino a poter incrociare i suoi occhi glaciali.

"Carino il tuo giocattolo, Ed." mormorò il giovane, sforzandosi di mascherare la paura.

"Non ti andrebbe di scherzare, se sapessi cos'ho intenzione di farci."

"Non sarebbe il tuo primo omicidio, giusto?"

"Chiudi quella cazzo di bocca!" Cordano premette il grilletto e Jeremy sussultò, serrando gli occhi e sentendo il cuore fremere di terrore.
Ma dalla pistola non uscirono colpi, né rumori.

Il malvivente sogghignò di nuovo: "Paura, Parker?"

Jeremy non rispose, limitandosi a guardarlo con astio attraverso i suoi occhi gelidi.
Pensò che nessuno si sarebbe mai frapposto tra lui e quel proiettile, se mai fosse partito per davvero, e quindi doveva stare molto più attento a come parlava. Molto di più.

L'uomo riprese: "Sono sei mesi che andiamo avanti così. Sono sicuro che non vedrò mai quei soldi, dico bene? Tuttavia, mi considero un uomo caritatevole e voglio darti un ultima possibilità." comiciò a caricare la pistola, ottenendo il silenzio che cercava da parte del suo debitore. "Conosci la Money House, non è vero? Tuo padre ci lavorava un tempo."

"Non nominarlo."

Cordano ghignò, divertito, come ogni volta che colpiva un punto debole del suo avversario: "Vedi, il proprietario della banca, l'illustre Oliver Heavens, sta pensando di effettuare dei cambi al personale. Mi giunge voce che non abbia più bisogno del suo amministratore, nonché amico fidato, nonché sottoscritto collega, e che voglia dare il posto a giovani innovativi con una carriera tutta ancora da costruire. Giovani intelligenti come la sua figlioletta prodigio, per capirci.”

Sputò a terra e Jeremy rabbrividì per quanto pazzo e deviato stesse sembrando in quel momento.

"Ora, caro Parker, non vorrai di certo che il tuo amico Cordano perda il lavoro. Sai che la tua felicità dipende dalla mia, quindi ho pensato: aiutami a uscire da questa spiacevole situazione. Facciamo prendere un po' di paura agli Heavens e nel frattempo facciamogli perdere anche un po' di grana. Vedrai che quell’idiota di Oliver cercherà di rivedere le sue priorità."

"E io che c'entro in tutto questo?"

"Facile: qual è la cosa più cara a Heavens, oltre i soldi?"

"La crema per il viso?" lo prese in giro Jeremy.

"Il tuo sarcasmo da adolescente svogliato è sempre più pungente, Parker." considerò lui, poi tornò serio e riprese il discorso: "La figlia."

Il ragazzo alzò un sopracciglio: "E che vuoi fare a sua figlia?"

"Io nulla." rispose con finta ingenuità, accarezzando la pistola. "Tu invece la rapirai e la terrai sotto sequestro finché non riceverai il riscatto."

"Sei pazzo."

"Al contrario, Parker. Funzionerà." rimbeccò lui, sicuro di sé. "Credimi se ti dico che quell'Heavens è a dir poco stupido. Vive nel lusso da anni, potrebbe farsi impaurire persino da un capello nel piatto e se noi gli portiamo via la figlia, lui sarà come creta nelle nostre mani, purché non le capiti nulla. Gli faremo venire un coccolone e mentre sarà disperato io sarò lì a gestire gli affari per lui come ho sempre fatto. Si renderà conto che ha bisogno di me e quando, da bravo amico, lo guiderò nel riscatto della figlia, lui non potrà far altro che vedermi come un salvatore. Sarà sconvolto, infinitamente grato e impoverito, tanto che non penserà neanche lontanamente a licenziarmi. Anzi, se lo conosco bene, mi cederà metà dell'azienda. E se giocheremo al massimo delle nostre possibilità, l’avrò addirittura tutta."

"E io dovrei fare il lavoro sporco per te." s’indignò Jeremy.

"Direi che è il minimo, dolce e innocente Parker. Oliver non deve e mai dovrà sapere che ci sono io di mezzo." rispose con ovvietà. "Se andrà bene, il tuo debito con me sarà saldato e ti darò parte del riscatto."

"Se andrà male, invece, finirò io nei guai." concluse Jeremy, amaramente. "Sapevo che non mi avevi tirato fuori di prigione per nulla. Tu vuoi mandare me a rapire sua figlia, nel caso qualcosa andasse storto. Ci avevi pensato sin dall’inizio."

"Ah-ah, ti correggo, ragazzino, niente deve andare storto. Non devi sbagliare."

"Non mi staresti dando questo compito, se non ti fidassi di me."

"Geniale, Parker. La tua logica mi sorprende." sorrise malizioso. "Il fatto è che tu e io siamo strettamente collegati e temo che se commettessi qualche errore, risalirebbero a me con facilità. Ma so anche che eseguirai gli ordini in maniera impeccabile, perché, dopo tutto, ne andrebbe della tua stessa vita." l'uomo prese un lembo della sciarpa umida al collo di Jeremy e gli ripulì il sangue che scendeva dal naso.

"Non toccarla, Cordano!" si divincolò temendo di rovinare la sciarpa. "Non ho detto che ci sto!"

"Oh, in tal caso, possiamo velocizzare le procedure." come se nulla fosse, Cordano alzò la pistola, questa volta carica, e la puntò contro il suo petto, esattamente dove stava il cuore.

"NO!" gridò Jeremy, pieno di paura.

Cordano rimase immobile, gli occhi scuri che trafiggevano quelli indifesi di Jeremy e le nocche bianche attorno al freddo metallo.

"Va bene, lo faccio." esalò il ragazzo, con la voce spezzata dalla rabbia e dal terrore. "Mi fai schifo, Cordano, ma la mia vita vale di sicuro più della tua, e, costi quel che costi, io non voglio morire! Men che meno prima di aver visto crepare te!"

"Bravo, soldatino. È questo lo spirito." l'uomo ripose la pistola in tasca, soddisfatto. "Lei si chiama Tessy Heavens, la troverai di sicuro a villa Heavens dopodomani, il 14 dicembre. I suoi ricchi e permissivi genitori la lasciano sola mentre darà una grande festa per i suoi diciott'anni, quindi sarà facile confondersi tra gli invitati. Ti do questa foto e qualche informazione essenziale."

"Meraviglioso, hai anche un completo elegante per immedesimarmi nella parte, già che ci sei?"

"Non scherzare, da adesso si fa sul serio." gli inflò un pacco di soldi nella tasca della felpa. "Questi dovranno bastarti per fare le cose fatte bene. Un errore, Parker, e userò il mio giocattolo per decretare la tua eliminazione dal gioco, tutto chiaro?"

Jeremy fece una smorfia: "Trasparente."

"E vedi di tenere a bada la ragazzina, deve ritornare al padre tutta intera, se vogliamo che il ricatto funzioni."

"È una ragazzina, Cordano, è l'ultimo dei miei problemi."





"Dio, doveva nevicare così tanto?!" si lamentò Tessy, uscendo dalla chiesa e ravvivandosi i lisci capelli castani.

"Cosa c'è di male nella neve?" sorrise Allyson, sognando un bel laghetto ghiacciato su cui pattinare. "Non c’è Natale senza neve, a Bourton."

"C'è che la neve è umida e l'umido increspa i capelli." rispose la mora storcendo il naso.

"Tessy, tesoro, tuo padre ci aspetta a teatro per il concerto con l'orchestra!" una donna vestita di pelliccia agitò la mano in direzione di Tessy. Si trovava vicino a una macchina scura e lucidissima, sicuramente molto costosa, e sembrava avere davvero fretta.

"Arrivo, mamma!" la rassicurò la ragazza.
Si chinò per dare i soliti tre bacetti sulle guance ad Allyson; era un rituale che usava come firma assieme alla sua ossessione per i capelli.
"Mi spiace che tu non possa vedermi oggi. Sarà uno dei migliori concerti di Natale in città." disse all’amica, in una specie di rimprovero.

"Lo so, Tess, ma ho promesso ad Alex. Non posso dargli buca."

"Lo conoscerò quest'Alex, prima o poi?" la mora fece una faccia maliziosa, sgomitando e ammiccando con entusiasmo.

Allyson sorrise timidamente, arrossendo: "L'ho invitato alla tua festa, martedì." guardò un attimo l'amica di sottecchi, pregando di non averla offesa e con suo sollievo la vide battere le mani, emozionata.

"Perfetto! So già dove dirottare la bottiglia quando sarà ora di giochi ambigui!"

"Davvero simpatica." commentò lei, imbarazzata.

"Ci vediamo, Ally. Non mi far pazzie con quell'Alex mentre non ti tengo sotto controllo." la ragazza ridacchiò e poi si diresse verso la macchina, attenta a non scivolare sulla neve. Salì con grazia, chiudendo la portiera, e la salutò dal finestrino.

Poi la macchina partì e sparì dalla visuale con una sgommata.

"Alex, eh?"

La voce alle sue spalle la fece sussultare: "Taylor!" esclamò voltandosi. "Mannaggia a te e alle tue comparse improvvise! Dove stavi nascosta?"

"Vicino alla quercia, non potevo perdermi i fondamentali tre bacini sulla guancia. Sono un’importante manifestazione anti-progressista." la ragazza, meno curata e agghindata della sorella, si infilò i guanti. "Devo conoscerlo anch'io questo Alex; è fantastico come scusa."

"Uno, non è una scusa, ma il mio ragazzo." sorrise la bionda."Due, martedì avrai finalmente l’onore di conoscerlo." buttò lì con finta nonchalance, cominciando la salita che portava al loro quartiere.

"Martedì? Viene a trovarti a scuola?"

"No, alla festa."

Taylor si bloccò, confusa: "Quale festa?"

"Ecco..." cominciò Allyson, ma fu bloccata dalla furia della sua amica.

"Non ci pensare nemmeno! Io non ci vengo a quel raduno di psicopatici placcati d’oro, nemmeno se mi ci costringi con la forza!"

"Taylor, ha vent’anni, potresti non fare la bambina?"

La ragazza incrociò le braccia: "Certo, mamma, e tu potresti, per una volta nella vita, piantarla con questa fissa della riappacificazione?"

"Non ci sarà nemmeno vostro padre."

"Non dire vostro. Il padre è di Tessy, non mio."

"Tay, vieni alla festa, supera questo muro. Che male potrà mai farti?"

Taylor sbuffò: "Ti posso elencare almeno una miriade di motivi per cui non ne valga la pena."

Allyson scosse la testa: "Arriveresti al massimo a un paio."

"D'accordo, allora senti qua: uno, ho già un importante appuntamento con le cose belle della vita, due, non ho vestiti da persona altolocata come la Heavens venuta bene, tre, non sprecherei nemmeno un penny per comprarle un regalo, quattro, al mio diciottesimo compleanno lei non si è nemmeno degnata di farmi gli auguri, cinque, in realtà non si è degnata di farlo nemmeno per tutti gli altri compleanni, sei, potrei rischiare di intravedere solo per sbaglio Oliver Heavens e quella pompata di sua moglie, sette-"

"Stop!" Allyson proruppe in una risata dispiaciuta. "Mi arrendo e ritiro la storia dei motivi. Ma, Tay." assunse l'espressione da cane bastonato sbattendo le ciglia dei sui grandi occhi nocciola. "Ci sarà Alex ed è l'unica occasione che ho per presentartelo, perché è sempre impegnato con l'università. Ho organizzato tutto per te."

Taylor si morse il labbro inferiore, segno che c'era una minima speranza che cedesse.

"Poi avrai l'occasione di ‘conciare per le feste’ la villa di tua sorella, non credi?" riprese Allyson. Quando poteva tornare utile, era grata del conflitto tra le due.

Al pensiero di qualche murales dadaista sulle pareti confettose di Tessy, un sorriso solcò il volto di Taylor: "Posso attingere dal tuo guardaroba e farmi pettinare da tua madre?"

Ally esultò: "Certo che puoi! Grazie grazie grazie!"

"Ehi, furia, datti una calmata" disse Taylor, aggrottando le sopracciglia. "Non ho ancora detto che ci sto."

"Oh, ma ormai io ti ho prenotato una seduta da mia madre." ridacchiò Allyson abbracciando l'amica e spupazzandola. "Non sai che comunico telepaticamente con lei? Non vorrai mica deludere una povera parrucchiera, la sua frustrazione poi potrebbe ricadere su di me."

"Ok, piovra, va bene." Taylor l'accontentò con uno sbuffo. "Ora però levati." l’allontanò goffamente, facendo una smorfia: "Puzzi ancora del suo profumo."

"Di Alex?"

"No, di Tessy."





"Di nuovo, Jeremy? Ti ritroverò senza naso la prossima volta." un ragazzo dai capelli neri stava aiutando il suo amico a ripulirsi del sangue sul mento e sui vestiti.

"Smettila di fare la mammina, Alex. Sto bene."

Il ragazzo gli diede un'occhiata generale: "Già. Scoppi di salute."

"E piantala!" Jeremy si liberò dalle cure di Alex e si sedette ai bordi del campetto da tennis, sulla neve, massaggiandosi lo stomaco.

Lui sospirò, arrendevole, e gli lanciò un pacchetto avvolto da della carta: "Prendi."
Erano i soldi che gli dava settimanalmente; venti sterline ogni domenica, per aiutarlo con le spese. Il suo amico attualmente non aveva un lavoro ed essendo solo, senza nessuno dei suoi parenti che si occupasse di lui, sopravvivere gli risultava complicato. Così Alex gli dava una mano, lo faceva da qualche mese, da quando Jeremy era stato licenziato. Non gli era stato chiesto, ci aveva pensato lui e non gli pesava per nulla. Gli pesava, piuttosto, vedere il suo amico in condizioni sempre peggiori, mentre il peso che portava dentro da anni minacciava di schiacciarlo assieme alla sua anemia.

Jeremy scosse la testa, lanciandogli indietro il pacchettino: "Mi spiace, Al, ma questa volta devo chiederti un favore più grosso."

Il ragazzo si sedette al suo fianco, un po' confuso: "Te ne servono di più?"

"No, non è quello." sospirò. "Hai presente il catorcio che i tuoi ti avevano regalato per Natale, un paio di anni fa?"

"La vecchia Betsie?" s’illuminò il moro. "Certo che ce l’ho presente! Nessuna viaggiava come lei; era un ammasso di ferraglia tenuto insieme da un miracolo, ma teneva testa a una Ferrari! L'ho cresciuta volendole un bene dell'anima, è stata il mio primo amore."

Jeremy sorrise. Il suo amico stravedeva per i motori e lui lo sapeva bene: "Beh, so che è ancora nel garage del tuo vecchio. Non è che potresti...?"

"No, Jerry, mi dispiace. Betsie non si tocca."

"Alex, mi serve!"

Lui scosse la testa energicamente: "Non se ne parla. Mettere Betsie nelle tue mani significherebbe mandarla a morte."

"Andiamo, Alex, ti prometto che ci starei attento come fosse una parte di me."

"Tipo il tuo naso?" il ragazzone si passò una mano tra i corti capelli scuri, sbuffando. "Non so, Jerry, significa un casino di cose per me."

Jeremy gli mise una mano sulla spalla, molto teatralmente, e lo guardò negli occhi cercando di esprimere pietà: "Ti capisco, Alex. L'amore per una vecchia fiamma a quattro ruote è qualcosa di magico e intoccabile, però stavolta si tratta di una concessione di vitale importanza. Non mi intrometterò nella vostra relazione, non rovinerò le glorie del passato. Dico sul serio."

Alex sembrò riflettere per la prima volta fino a quel momento: "Cosa devi farci?"

"Beh, qui arriva il perché del mio naso rotto." sospirò Jeremy, prima di prendere coraggio e raccontare tutto al suo amico.
Proponendo una trama leggermente semplificata, spiegò ad Alex quello che gli era successo quella mattina e quello che avrebbe dovuto fare per non essere ucciso da Cordano. Dirlo ad alta voce gli fece realizzare ancor di più l’assurdità in cui l’avevano cacciato e si sentì irrimediabilmente impotente di fronte alla sua stessa, incasinatissima, vita.

"E se non ci riesci?" domandò il moro, preoccupato. Non era estraneo ai coinvolgimenti di Jeremy in situazioni che uscivano dall’ordinario e andavano contro la legge, però non aveva mai raggiunto livelli di tale portata. Jeremy faceva qualche furtarello, aveva compiuto un paio di effrazioni e si associava a gente di mala fama, però non l’aveva mai sentito parlare di ‘rapimento’. Non avrebbe pensato che sarebbe arrivato a quel punto per doversi salvare la pelle e ciò smuoveva in lui un enorme senso di pena e dispiacere. "Jerry, che fai se non ci riesci?"

Jeremy temeva quella domanda, non sapeva dare una risposta: "Devo riuscirci, Alex."

Il moro, spaventato da quelle parole e da quel tono, decise di non indagare oltre e gli diede una pacca sulla spalla, tornando in piedi come una molla: "Betsie è tutta tua."

"Grazie, Alex."

"E io ti accompagnerò."

"No, Alex."

Alex sorrise come se l'amico non gli avesse appena rivolto un’occhiata omicida: "Sì, Jerry. Ti faccio da spalla."

"No." si impose lui con tono fermo. "Non se ne parla. Questa è una faccenda in cui tu non entri."

"Perché tu sì e io no? Dopotutto sono stato coinvolto pure io."

"La tua macchina è stata coinvolta, Bell, non tu. Quindi dimentica subito quell’idea di merda e vattene a casa. Mi porterai Betsie davanti al bed&breakfast quando te lo comunicherò."

"Io sarò in quell’auto, Parker, e non mi tirerai fuori da lì, dovessi incollare me stesso al sedile."

"E allora cambierò auto. Betsie non mi serve più."

"E chi ti aiuterà? Lo Spirito Santo?"

"Chiunque, ma non tu. È troppo pericoloso."

"Jerry." insistette Alex. "Ormai so cosa devi fare e dove devi andare. Verrò comunque, con o senza di te. A costo di seguirti e pedinarti, farò in modo di far parte di questa missione. Non ti lascio andare al suicidio da solo."

Jeremy sbuffò, contrariato, alzandosi in piedi e massaggiandosi la fronte. Aveva sbagliato a parlare con Alex, avrebbe fatto meglio a starsene zitto. Doveva prevedere che sarebbe successo questo; d’altra parte Alex non lo aveva mai lasciato solo quando era in difficoltà. Anzi, non lo aveva mai lasciato solo e basta.

"Eddai, Jerry, tutti i cattivi hanno bisogno di una spalla. Pure quel surrogato di merda di Cordano ne ha una. Non vorrai mica giocare ad armi impari?"

"Non si chiama spalla, Alex, si chiama complice. E io non voglio che tu diventi il mio complice. Hai già fatto abbastanza per me, hai già rischiato in altre occasioni. Stavolta no." ripeté. "E poi lo sappiamo che sei un rimbambito, faresti solo dei casini." tentò di demotivarlo in questo modo, ma Alex non perse quell'aria tranquilla.

"A che ora ci si trova e dove?"

"Alex."

"Rischierei comunque. Ti conviene avermi al tuo fianco, perché da solo mi farebbero fuori molto più facilmente."

Jeremy sospirò nuovamente, arrendevole e stanco: "Porca puttana, sei una palla al piede."

Alex sorrise, perché sapeva che a quel punto aveva la vittoria in pugno.
Non aveva scherzato nel dire che avrebbe seguito Jeremy comunque. Non si sarebbe mai dato pace se qualcosa fosse andato storto e lui non fosse stato assieme al suo migliore amico.

"Allora, quando ti passo a prendere?" civettò fieramente, incrociando le braccia.

"Martedì sera alle otto, davanti al mio B&B. Ti spiegherò tutto io la sera stessa, tu pensa solo a portare Betsie e...per l’amor di Dio, Alex, non fare cazzate."

"Martedì sera? Martedì 14?" chiese lui, pensando che quella data gli suonasse familiare.

"Esattamente."

Il moro fermò un attimo i ragionamenti, distratto dallo sguardo limpido dell'amico. Probabilmente era solo una data qualsiasi, si disse.
"Non è che hai qualche impegno?" ipotizzò Jeremy, notando l'aria da 'mi sto ricordando qualcosa che non riesco a ricordare' e sperando che questo qualcosa potesse impedirgli di andare con lui.

"No, niente impegni." gli assicurò l'amico.









Giusto una romantica storia di Natale per celebrare insieme queste feste <3
Fatemi sapere se vi piace!

Io faccio solo un po' di pubblicità, poi vi lascio proseguire al prossimi capitolo:
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie
Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!


Un estratto da
Io e te è grammaticalmente scorretto:

Pierpaolo emette un verso disgustato, prima di invitarci tutti all'interno:-Stasera si inaugura questo bugigattolo.- dice, lanciandomi un'occhiata:-Ho invitato gente dai vent'anni in giù.- confessa, eccitato come una mamma al primo compleanno di suo figlio.

-Un momento...non dicevi di odiare questo sgabuzzino per alcolisti che non vogliono farsi beccare dalla moglie?- chiedo:-E ti sto citando.-

-Proprio così. Per questo ho creato un evento su Facebook, ingaggiato un dj e rimodernizzato l'ambiente.-

-E i tuoi sono d'accordo?-

-I miei sono i promotori dell'iniziativa.-

-Ok, non lo sanno.-

-Brava, Marinella.-



Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà cliccare qui e io approverò la vostra iscrizione:
Grammaticalmente Scorretti 
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come  Daffy Efp
:)

Buon Natale,

Daffy

P.S. "All I want" è stata pubblicata in una sua prima versione nel lontano 2010, ma ad oggi (18/12/2016) tutti i capitoli sono stati modificati con aggiunta di parti importanti. Spero di aver fatto un buon lavoro :D


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Capitolo 2
*** Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose ***


All I want - 2

ALI WANT FOCHRISTMAS IS...



********Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose********


Jeremy era appostato in quell'umidissimo posto da ormai venti minuti. Non sentiva più i piedi, immersi nella neve semi-sciolta del giorno prima, mentre l'aria gelida della sera non rendeva di certo più facile il suo compito.

A quell’ora avrebbe dovuto trovarsi dentro la villa a festeggiare un compleanno a cui non era stato invitato, ma ci aveva riflettuto e aveva concluso che quel piano era più un suicidio che un tentativo di rapimento. D’altronde era il piano di Cordano.

Aveva deciso che avrebbe aspettato dietro a una vecchia quercia del giardino di villa Heavens, controllando l'andamento della festa dalla grande vetrata che scorgeva tra le fronde. Una volta terminata la baldoria, tutti se ne sarebbero tornati a casa ubriachi fradici e sarebbe stato un giochetto intrufolarsi senza che venisse notato. Rispetto agli altri, avrebbe avuto il vantaggio della lucidità, a quell’ora.

Avrebbe atteso nascosto da qualche parte, finché la casa non si fosse svuotata degli invitati e lui si fosse trovato solo con la ragazza. A quel punto, l’avrebbe addormentata col cloroformio e rapita. L'unica problematica di quel nuovo piano era che avrebbe avuto poco tempo prima che il padre di lei facesse ritorno, ma si era attrezzato abbastanza bene per riuscire a cavarsela in fretta.

In più, aveva concordato il segnale con Alex: un messaggio vuoto e lui avrebbe dovuto raggiungerlo con la macchina, uno squillo e avrebbe dovuto precipitarsi da lui, in caso di bisogno d'aiuto. Il suo amico, non appena aveva saputo che l'indirizzo a cui si stavano recando era casa Heavens, si era sbattuto la mano sulla fronte e aveva tristemente telefonato alla sua nuova ragazza per disdire il loro appuntamento. Jeremy aveva tentato per l’ennesima volta di dissuaderlo, ma Alex era proprio di coccio.
Ottimo inizio di relazione, aveva pensato Jeremy, ma d’altra parte gli era infinitamente grato per essere lì ad aiutarlo. Specialmente in quel momento, in cui l’agitazione gli stava facendo tremare le mani e gli aveva serrato la gola.

Era la prima volta che faceva qualcosa del genere e si era informato a fondo sulle procedure. Grazie a una sua vecchia conoscenza, era riuscito a procurarsi del cloroformio, un paio di manette e anche una piccola pistola, utile per eventuali minacce. Tuttavia, nonostante avesse tutto l’occorrente, aveva una paura tremenda di compiere quello che stava per compiere. Non solo era pericoloso per se stesso, ma anche per la sua vittima, la famosa Tessy Heavens. Se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stata lei a risentirne e Jeremy non era abituato a fare del male agli altri. O, per lo meno, non ad altri che non se lo meritassero.

Immergendosi fino al naso nella sciarpa, si concentrò sulla finestra, nella speranza di individuare la ragazza che Cordano gli aveva indicato nella fotografia.

Avrebbe dovuto avere capelli lunghi e scuri, un fisico asciutto, una statura media, arco e violino in mano, sorriso e sguardo orgogliosi. Una bellissima ragazza, pensò. Guardò più attentamente e non notò segni particolari. O forse sì, in effetti uno ce n'era: aveva le orecchie leggermente a sventola, esattamente come il signor Oliver Heavens. La avrebbe riconosciuta per quello, si disse.







"Non vedo l'utilità di questa pagliacciata, Ally."

"Oh, smettila. Ormai siamo qui, non puoi più tirarti indietro."

"Lo sto facendo." Taylor Heavens incrociò le braccia come una bambina, avvolta nel suo cappotto bianco e a disagio sui tacchi.

Allyson guardò la villa decorata da mille luci e poi puntò gli occhi da cerbiatta su Taylor: "Dovrò stare completamente sola. Prima mi abbandona Alex e poi tu. Oh, Tay, sono proprio sfortunata."

"Ecco la tragedia."

"Sai che ti dico? Forse è destino che io non sia felice."

"Ally, per favore. Che disagio."

"Forse è meglio così; almeno avrò più tempo da dedicare a Tessy."

La ragazza roteò gli occhi: "Tu sai proprio quali sono i miei punti deboli, eh?"

Allyson sbatté nuovamente le ciglia e Taylor cedette, lasciandosi trascinare per un polso lungo il vialetto umidiccio.

Ridendo per il pessimo equilibrio di Taylor, arrivarono fino al porticato e suonarono alla porta della festeggiata.





Tessy aprì all'ennesimo ospite, favolosa nel suo provocante abito rosso. Indossava una giaccia di pelliccia che non copriva la vistosa scollatura e le orecchie, in pendant con i polsi, erano adornate da due grandi cerchi dorati.

"Ally!" abbracciò l'amica e le diede come di consueto tre baci sulla guancia, facendo tintinnare tutti i suoi gioielli. "Ho saputo di Alex, mi dispiace davvero ta-" ma la sua voce si smorzò quando vide che Allyson non si era presentata sola. "Taylor."

La sorellastra, imbarazzata, allungò la borsa contenente il suo regalo: "Tanti auguri." recitò senza sentimento.

"Grazie." rispose l'altra, asciutta, lanciando un'occhiataccia all’amica. "Entrate pure."

Le accompagnò nell'immenso salone addobbato per Natale e le invitò a sistemarsi come meglio preferivano.
Sulla parete di fondo c'erano un piccolo palco con un pianoforte lucidato a dovere e un violino altrettanto scintillante, mentre al centro spiccava una pista da ballo. Ai lati della stanza, lunghi tavoli erano stati riempiti di cibi raffinati, tartine, bevande selezionate, ogni prelibatezza che potesse anche solo sembrare costosa. Tutto era sistemato con un gusto e un ordine impeccabili. C'erano anche dei palloncini rossi e, Taylor notò con invidia, centinaia di premi e medaglie con il nome di sua sorella vicino al numero 1. 

"Sono frutto di molti anni di studio. E ovviamente di talento." commentò Tessy, notando il suo sguardo.

"Ognuno ha un suo talento." le rispose Taylor, togliendosi la giacca.

"Peccato che pochi riescano a farne buon uso." la ragazza si ravvivò i capelli, tacendo l’invito ad appenderle il cappotto. "Bel vestito, comunque." aggiunse. "L'avrei scelto anch'io, fossi stata in te. Il nero snellisce."





Ci mancava davvero poco perché Taylor vomitasse sulle costose scarpe di qualche invitato; quella festa era un vero schifo.

Tessy era al centro dell'attenzione di tutti; non facevano altro che adorarla e complimentarsi con lei per la sua grande bellezza, la sua grande casa, il suo grande talento. 

Falsi, pensava Taylor.

In quel mondo basato sul valore delle banconote che le persone tenevano nel portafogli non c'era nulla di vero. Ragazze tirate a lucido e graziose che sfoggiavano un vocabolario raffinato, ma che non avevano la minima idea di cosa fosse la realtà. Ragazzi spacconi e abbronzati, che non avevano mai sentito parlare di sacrificio, essendo stati viziati fin dall'infanzia.

E pensare che avrebbe potuto esserci caduta pure lei in quella falsa realtà. Avrebbe potuto essere cresciuta con la mente annebbiata dalla vanità, dalla superiorità e dall'esteriorità, risultando la persona altezzosa che ora odiava così tanto.

Magari sarebbe stato meglio.

Anzi, a dirla tutta, se quello fosse stato il prezzo da pagare per avere una vera famiglia, avrebbe volentieri venduto la sua anima alla ricchezza. 

Certo, non che non considerasse sua madre la sua famiglia, ma vedendo cosa avrebbero potuto essere in tre, non poteva fare a meno di torturarsi. Provava rancore nei confronti di Oliver e rimpianto perché sul volto di sua madre non c’era lo stesso sorriso che c’era sul volto di Martha.

Sì, era spiacevole da dire, ma quella ferita non voleva smettere di bruciare. E lei la sopportava sempre meno. Non era una questione di orgoglio, ma di pura delusione e tradimento nei confronti di quel papà che non aveva mai avuto.

Un ragazzo nero in un contrastante completo bianco scese in quel momento dalla scalinata di marmo, sistemandosi la cintura. Taylor ne approfittò e gli chiese indicazioni per il bagno; aveva bisogno di allontanarsi un po' da quel girone infernale.

Seguendo le istruzioni, arrivò sul pianerottolo del primo piano e scorse la porta che il ragazzo le aveva descritto, leggermente socchiusa. Peccato che aprendola constatò che il bagno era già occupato da due fuggiaschi. Un ragazzo dai perfetti riccioli biondi e da un altrettanto perfetto naso a punta stava brutalmente pomiciando con una perfetta ragazza fulva, dall'obiettivamente perfetto didietro.

Evitando di sbattere i tacchi, Taylor sgusciò più in fretta possibile nella camera accanto, sorridendo all'idea che almeno altre due anime la pensassero come lei sul fatto che il tema di quella festa fosse davvero noioso.

Solo dopo pochi istanti il suo sorriso si affievolì.

Capì di essere entrata nella stanza di Tessy – era facile, data la vastità degli espositori di premi e il numero dei poster con sue foto alle pareti.

Subito una sensazione di freddo l'abbracciò. Lei odiava il freddo.

Si sentiva vuota in quella camera così piena e, sì, tremendamente invidiosa della fortuna di sua sorella. Ma ciò che le invidiava più di qualsiasi altra cosa era quella foto sul comodino alla destra del letto. Era chiusa in un rettangolo di legno e ritraeva la sua famiglia per intero.

Taylor si avvicinò lentamente, prendendo in mano la cornice e posando subito lo sguardo su suo padre. Aveva le sue stesse orecchie a sventola, cosa che amava trasmettere geneticamente a tutti, e una faccia da uomo realizzato. Orgoglioso. Felice. 

Guardava sua figlia come in quella foto in cui osservava la piccola Taylor sbadigliare davanti all'obbiettivo, diversi anni prima. Dolce e fiero.

Peccato che gli uomini andassero sempre verso la via più ammaliante, dimenticandosi di quella che già stavano percorrendo. Come si dice, mai lasciare una strada vecchia per una nuova, anche se Oliver, che l'aveva fatto, evidentemente non se n'era pentito.

Aveva avuto una figlia perfetta, quella carismatica e talentuosa che aveva sempre desiderato, e una moglie adatta a lui, bella, ricca e giovane.

La madre di Taylor non era riuscita a soddisfare le sue aspettative, non era stata all'altezza di competere con la famosa Martha Gellerd di Chicago, e lui l'aveva lasciata sola. Sola, a crescere la figlia scarsa di cui pagava il sostentamento una volta al mese.

Qualche telefonata di finto interesse, un paio di lettere di riconciliazione e venti biglietti di auguri. Poi basta, suo padre si poteva contare in quell’esiguo elenco di inutilità.
Almeno aveva la decenza di privarsi dei suoi amati soldi nella speranza di rimediare alla sua assenza. Ci riusciva solo in sterline, purtroppo.

Taylor sfilò la foto dalla cornice e, stringendola con dita tremanti, lesse ciò che c'era scritto dietro. Era datato 14 dicembre, di tre anni prima.

"Alla mia piccola perla, con amore, mamma
Al mio scintillante gioiello, con amore, papà
Buon compleanno"

Taylor non riuscì a trattenersi e strappò quella foto in un impeto di rabbia, cacciando indietro una lacrima impaziente di scendere. 

Sentì che era tutto tremendamente ingiusto e che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro, per quanto fosse l’ultima cosa che volesse.

In ogni caso, era meglio non farsi vedere da nessuno. Si alzò sentendo le gambe tremare, nascose i due pezzi nell'elastico dei collant e rimise a posto la cornice vuota, precipitandosi di sotto.

Zigzagò veloce tra gli invitati e, afferrato il cappotto, corse in strada incurante del gelo che le si insinuava nella scollatura e le bruciava le guance bagnate.





Tessy era al centro della sala da ballo, appoggiata al tavolino di vetro.

Stava aprendo i regali, accerchiata dai suoi invitati e dai calici che qualche minuto prima erano pieni di champagne. Alla sua destra, Allyson le faceva da cestinatrice di cartacce e alla sua sinistra Becky Sallivan continuava ad adularla, come al solito.

Da quando l’aveva conosciuta, Becky aspirava a diventare la sua migliore amica, ma quel posto era da sempre occupato da Allyson e questo non sarebbe mai cambiato. Solo che Becky era un po’ tonta e ci sperava davvero.

A Tessy restavano ancora tre pacchi: il primo era proprio quello di Ally. Conteneva un profumo al sandalo e vaniglia e un raffinato beauty case che sicuramente la ragazza aveva scelto appositamente pensando a lei. 

"Ally, il tuo gusto è sempre impeccabile." le sorrise provandosi il profumo.

"Lo so." sorrise lei di rimando e fu felice di aver fatto centro anche quella volta. Ormai conosceva Tessy così bene che avrebbe potuto essere lei la sua sorellastra.

La festeggiata aprì il secondo pacchettino, quello da parte di Eric, il suo secolare ragazzo. Rimase letteralmente a bocca aperta davanti a quella semplice catenina d'argento confezionata a regola d’arte. Non era da Eric fare regali così di gusto, di sicuro si era fatto aiutare da Allyson nella scelta.

Euforica, lo cercò con lo sguardo.
"Dov'è Eric?" chiese a Becky.

"Non lo so, Tess." fece lei, mortificata di non aver saputo dare una risposta al suo idolo.

Tessy fece di spallucce: "Lo ringrazierò dopo."

Decise di rimandare le smancerie con Eric a più tardi, per potersi dedicare all'ultimo pacchetto. Sul bigliettino c'era scritto un semplice 'Tanti auguri, da Taylor'.

Si chiese se l'avesse scritto col cuore e si rispose che no, non l'aveva fatto. Con tutte le probabilità era stata Allyson a obbligarla a scriverlo. Come l’aveva obbligata a comprarle un regalo e a venire alla festa, perché aveva la mania di tentare il riappacificamento ogni qualvolta potesse.

Ma Tessy non avrebbe accettato di condividere un'amica con la sua sorellastra, né tanto meno suo padre. Sapeva che lui aveva abbandonato la madre di Taylor quando lei aveva solo due anni, ma l'aveva fatto per dei buoni motivi, cioè lei, Tessy, e sua madre. Taylor non poteva fargliene una colpa e si indignava per la sua immaturità nel non aver mai saputo accettare questa scelta.

In ogni caso, quella ragazza non le piaceva a prescindere, perché non si comportava come tutti gli altri e perché la disprezzava. E lei odiava essere disprezzata.

Scartò il regalo e scoprì un libro al suo interno: 'Orgoglio e Pregiudizio'. Non l'aveva mai letto, e mai l'avrebbe fatto, ma aveva la netta impressione che non fosse un titolo scelto a caso. Fortunatamente, la sorellastra era sparita, così non avrebbe dovuto ringraziarla.

"Lo leggerai, vero, Tess?" le domandò Allyson, supplicante.

"Ally, mi domando ancora perché tu l'abbia invitata."

La ragazza le lanciò un'occhiata di rimprovero e finì di sistemare le cartacce dei regali assieme a Becky. 

Mentre alcuni ragazzi si servivano della torta, Tessy salì al piano superiore e si chiuse in bagno, di mal umore. Si accorse subito che tutto il ripiano della specchiera era in disordine, cosa che la fece infastidire ancora di più. Probabilmente qualcuno era salito a pomiciare e aveva lasciato il disastro come al solito.

Sbuffò. Sistemò velocemente il ripiano e poi si concentrò sulla sua immagine allo specchio. Ritoccò il rossetto e si rinvigorì le guance con un colpo di phard.

Era diciottenne e aveva una vita fantastica, eppure quella sera c'era qualcosa di strano nell'aria. Forse era la presenza di Taylor, forse era solo una sua impressione, forse era il suo nuovo profumo di sandalo e vaniglia. Non riusciva a spiegarselo.

Uscì dal bagno e sbatté addosso a qualcuno.

"Eric!"

"Tessy!"

Il ragazzo sembrava parecchio imbarazzato e, cosa ancora più preoccupante, aveva uno sguardo colpevole.

"Dov'eri, tesoro? Volevo ringraziarti per la collana." Tessy gli cinse i fianchi con le braccia e fece per baciarlo, ma lui si ritrasse.

"Prego." fece un sorriso tirato. "Tessy, devo parlarti."

Lei aggrottò la fronte: "D'accordo, andiamo in camera mia."

"No!"

"Perché no?" chiese, stupita e confusa.

"Perché...perché è una sorpresa di compleanno." biascicò, tentando di spingerla verso le scale. "È fuori. Ti sta aspettando fuori."

"Fuori?" disse sospettosa. "Fuori c'è freddo, Eric. Che cosa mi nascondi?"

Il ricciolino rise nervoso: "Niente, amore. Che cosa ti dovrei nascondere?"

"Beh, vediamo subito." rispose lei, pungente.

Senza indugiare, sgusciò dietro Eric e spalancò la porta della sua camera da letto. Scoprì dietro di essa un'imbarazzatissima ragazza dai capelli rossi, completamente spettinati, che reggeva goffamente le spalline del vestito come se l’avesse indossato nei precedenti due secondi.

Per lo shock, Tessy rimase immobile a fissarla con gli occhi spalancati, poi mollò la maniglia, quasi scottasse, e si volse verso Eric.

"Tu mi fai schifo!" gridò.

Lui abbozzò un timido passo verso di lei: "Dai, amore, ti posso spiegare…"

"Amore? Lei è il tuo nuovo amore!" lo aggredì, facendolo indietreggiare. "Non mi servono spiegazioni, è stata una bellissima sorpresa, anzi, sai che ti dico? Il più bel regalo di compleanno che potessi farmi!"

"Tessy, aspetta." cercò di difendersi lui. "Non è come pensi."

"Ma smettila di dire cretinate; guardala!" indicò la rossa, furente. "Sembra che le sia passato sopra un camion!"

"Senti, mi dispiace, è stato un momento di debolezza." spiattellò con la voce rotta e la disperazione nello sguardo. "Ma ci siamo solo baciati, niente di più."

"Niente di più?" ripeté Tessy, con gli occhi fuori dalle orbite. "Hai deciso di festeggiare il mio diciottesimo compleanno limonandoti Pippi Calzelunghe del ventunesimo secolo e ora hai il coraggio di venirmi a dire che non c’è stato niente di più. In questo caso, tanti complimenti Eric, sei un emerito stronzo e tu," si volse verso la ragazza impaurita. "Tornatene a Villa Villacolle e goditelo pure finché non avrà il suo prossimo momento di debolezza!"

Uscì dalla stanza prendendo contro Eric di proposito. Scese le scale correndo, passò per la cucina senza farsi vedere e uscì dal retro, al freddo della notte, scoppiando in lacrime come mai aveva fatto.




Jeremy sussultò quando vide la ragazza uscire di corsa dalla villa. Sembrava tutto così calmo visto dall’esterno, ma evidentemente si sbagliava.

La giovane percorse il vialetto per qualche metro, poi si nascose dietro alla quercia, non troppo distante dalla postazione di Jeremy. Si abbandonò su un’umida panchina di legno e si coprì il viso con le mani, intensificando quel disperato singhiozzare.

Sotto la fioca luce del lampione, Jeremy riusciva a vederla discretamente e provò dispiacere per lei, anche se non conosceva il motivo della sua tristezza. Sentire qualcuno piangere gli aveva sempre dato fastidio, perché odiava chi si mostrasse debole, tuttavia quel pianto convulso e infantile era diverso. Era talmente forte che provocava in lui una strana reazione. Una specie di immotivato odio verso la causa di quelle lacrime, qualsiasi essa fosse.

Si riscosse da quella sensazione, serio, e si impose di concentrarsi.

Osservò meglio la ragazza a pochi passi da lui e, nel farlo, scorse un dettaglio che accese un campanello d'allarme nella sua testa. Due pallide orecchie a sventola spuntavano dai ciuffi castani dei capelli.

Estrasse la foto che aveva ficcato in tasca e poi guardò la ragazza di fronte a lui. Nell'oscurità non riusciva a giudicare l’altezza e la corporatura, mentre il viso era nascosto tra le mani, ma senza ombra di dubbio le orecchie e i capelli erano gli stessi della foto. Ne era sicuro.

L'occhio gli cadde allora su qualcosa di scintillante al collo scoperto della ragazza. Era una catenina d'argento con una medaglietta a forma di T, che pendeva assecondando i sussulti del pianto.

Si trattava forse di un aiuto divino? Era stato l'Onnipotente a facilitargli quel compito mandando direttamente Tessy Heavens da lui? Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. No, un momento, stava confondendo le religioni. 

Lui non credeva in nessun dio, ma credeva nella fortuna e, forse, era stata lei a metterci lo zampino. Non poteva spiegarselo in nessun altro modo.

Prese il fazzoletto che aveva legato alla cintura e lo inumidì di cloroformio, poi lo nascose dietro la schiena, intento ad avvicinarsi alla ragazza. Proprio in quel momento, però, lei si alzò dalla panchina, asciugandosi gli occhi.

Stava per andarsene, ma Jeremy non se la sarebbe di certo fatta scappare.

"Tessy Heavens?"

La ragazza sobbalzò per lo spavento e puntò gli occhi verso la quercia che aveva di fronte. Scrutò il buio per qualche secondo e poi incrociò un paio di occhi glaciali che la fecero raggelare sul posto.

Un tizio sconosciuto mosse un cauto passo verso di lei e il cuore le balzò nel petto per la paura. Provò scappare, ma i suoi muscoli non risposero; si erano inchiodati in una morsa di panico.

"Chi sei?"
Cercò di costringere le sue gambe a muoversi e indietreggiare, ma finì solamente per sprofondare nelle sterpaglie e nel nevischio gelido.

"Chi sei?" ripeté più forte.

Jeremy non voleva che urlasse, ma lei sembrava proprio in procinto di farlo, così la afferrò saldamente per la vita, la immobilizzò e premette il fazzoletto sulla sua bocca.

Successe tutto in una manciata di secondi; i suoi mugolii si dispersero nell'aria senza che un'anima se ne accorgesse e ben presto esaurì l’energia per riuscire a protestare. Finché ne ebbe la facoltà, tentò di liberarsi dalla sua stretta, colpendolo in vari punti, ma poi il cloroformio fece il suo effetto. Jeremy sentì il freddo corpo della ragazza perdere nervo tra le sue braccia; i suoi occhi impauriti cedettero all’anestetico e la sua testa si abbandonò contro la sua spalla. Dovette reggerla per non lasciarla cadere sulla neve, così la prese in braccio e inviò il messaggio ad Alex.

Mentre si avviava verso la strada, si accorse che addosso non aveva che quel misero vestitino, così torno indietro e raccolse la giacca che aveva perso. Sospirò di sollievo per aver rimosso un possibile indizio e distese l’indumento sul corpo della ragazza, per ripararla dal freddo.

Nel compiere questo gesto, un odore familiare gli riempì le narici.

Si bloccò sul posto, stordito. 
Non poteva crederci, quel profumo era lo stesso che dava odore ai suoi ricordi. Credeva di averlo dimenticato per sempre.
 
Non riuscì a dominare la sua mente e vide un piccolo Jeremy aggrapparsi al maglione della madre per salire fino al collo, perfetto per ospitare le dimensioni della sua testa scompigliata. Le ciocche bionde della donna gli solleticavano il nasino, ma a lui piaceva, perché avevano un buon profumo.
-Che buon odore che hai, mamma.-
-E' il profumo della mia felicità.-
-E di cosa profuma la tua felicità?-
-Di te, Jeremy.-

La vecchia auto si parcheggiò rumorosamente davanti a lui e stemperò bruscamente l’immagine tra le luci dei fari. Jeremy strinse la ragazza a sé, trattenendo il fiato per non dover respirare ancora quel profumo di nostalgia. Salì in macchina più veloce di un fulmine, sistemando la giovane nel sedile posteriore e controllando di non essere osservato da nessuno.

Appena saltò sul sedile del passeggero, Alex premette l’acceleratore, diretto senza più possibilità di ripensamento verso i confini di Bourton.





Jeremy si sentiva stordito. Non era riuscito a reprimere quel ricordo, anche se era abituato a farlo da anni, ormai.

Ogni volta che gli si presentava alla mente un momento della sua infanzia, lo cacciava indietro stringendo i pugni, intransigente. Ultimamente si era allenato e riusciva a farlo con facilità, eppure quella volta non ci era riuscito. Com’era possibile?

Era bastato un po' di profumo per far abbassare le sue difese, per renderlo vulnerabile alla memoria e questo lo spaventava più del fatto di avere una ragazza che lui stesso aveva drogato nel sedile dietro.

"Jeremy, non ci posso credere!"

Alex leggeva il pensiero?
Si rivolse verso di lui, il viso sconvolto.
"Che c'è?" indagò, preoccupato.

"Sei un caso irrecuperabile, è un miracolo che tu ce l'abbia ancora attaccato alla faccia!"

Cercò di decodificare il linguaggio dell'amico, ma a volte era impossibile anche per lui, così si limitò a fissarlo ancora in uno stato confusionale.

Alex sbuffò, abbassò lo specchietto davanti a Jeremy e indicò il suo riflesso. Allora capì; aveva di nuovo il viso insanguinato per colpa del naso. Quella Heavens doveva averlo colpito ed essendo un punto sensibile (e piuttosto sfortunato, si direbbe) si era trasformato in rubinetto.

"Oh, dà qua, ci penso io." si offrì Alex prendendo una confezione di Kleenex dal portaoggetti.

"No, tu pensa a guidare. È meglio del sangue dal naso che finire sotto un tir." Jeremy estrasse tutti i fazzoletti dal pacchetto e si mise a testa in su, tamponandosi le narici.

"Vedi che sbagli? La testa la devi tenere all'ingiù e devi premere sul naso."

"Sì, così facciamo le cascate del Niagara."

"Tanto la macchina è mia."

"Ok, dottor Bell, allora procedo, poi se dici chiamo pure Noè a dividere le acque del Mar Rosso."

"Guarda che è Mosè, non Noè. Si vede che marinavi il catechismo."

Jeremy ridacchiò con voce nasale: "Tanto sono utili entrambi, perché se non è Mar Rosso, è Diluvio Universale."

"Immagino che quando andavi a confessarti, il parroco ti sottoponeva a degli esorcismi per le scemenze che dicevi."

"Era lo stesso parroco che consigliò a tua madre di tenermi lontano da casa vostra con l’aglio e l’acqua santa. Ti ricordi? Le diceva che saresti finito in viaggio verso l'inferno accanto a satana. Un profeta, era."

Un mugolio dal retro fece zittire improvvisamente entrambi.

Jeremy si voltò per controllare e vide che, fortunatamente, la ragazza era ancora addormentata. Respirava profondamente e di tanto in tanto bofonchiava delle cose; cose che non avevano senso e appartenevano senza dubbio a una dimensione onirica.

Aveva usato pochissimo cloroformio, perché gli avevano detto che era pericoloso. Aveva paura che si svegliasse troppo presto per capire ancora dove si trovassero, ma non poteva fare nulla, se non sperare e passare il resto del viaggio in silenzio.

La guardò un’ultima volta: aveva ancora il viso rigato di lacrime, ma un'espressione molto più serena in volto. Sperava che si sarebbe dimenticata il motivo del suo pianto una volta sveglia, anche se non lo credeva possibile.









Allora, vi sta piacendo? Haha XD Non vi preoccupate, se vi sembra ci sia un po' di confusione trai filoni, vedrete che fra poco diventerà tutto più chiaro!
La traduzione del titolo è: Foto rotta, cuore rotto, naso rotto. Chissà perché, eh XD #poveroJeremy

 
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Un estratto da 
Io e te è grammaticalmente scorretto 2:

Mattia sospira, concentrato, cercando di capire come ovviare il problema.
“Intanto è inutile che ti copri le tette.” posa la mano sul mio avambraccio e mi esorta a rilasciare la mia posizione a riccio, ma io gli oppongo resistenza.
“Ti vuoi rilassare un secondo?” domanda, spazientito.

“Ehi, mister addominali.” dico, riferendomi alla sua totale tranquillità nel rivelarsi al mondo a torso nudo. “Qui ci sono delle aree private da mantenere tali, ok?”

“Non ho mai detto di voler violare la tua privacy.” mi tranquillizza. “E poi, sto solo cercando di farti stare meglio più in fretta. Ti ricordi quando ti sei gentilmente presa cura della mia allergia con metodi nazifascisti? Ecco, sono sicuro che preferiresti che non lo facessi anch'io.”



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Buon Natale,

Daffy

P.S. "All I want" è stata pubblicata in una sua prima versione nel lontano 2010, ma ad oggi (18/12/2016) tutti i capitoli sono stati modificati con aggiunta di parti importanti. Spero di aver fatto un buon lavoro :D




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Capitolo 3
*** Everybody's Fault ***


All I want - 3

ALI WANT FOCHRISTMAS IS...



********Everybody's Fault********



L'effetto dell'alba sulla neve era sempre spettacolare nel Cotswolds, ma quella mattina era addirittura mozzafiato.


Jeremy guidava osservando la campagna imbiancata, mentre Alex, seduto di fianco a lui, dormiva beatamente con una mano dietro alla testa. Il silenzio che avvolgeva il loro viaggio era quasi celestiale, perfetto in abbinamento all’atmosfera color pastello e al profumo di freddo che entrava dai finestrini. Peccato solo per la vecchia Betsie, che, con ben sei ore di strada sulle ruote, si faceva sentire sferragliando di tanto in tanto.


Sebbene tutto sembrasse incantato e ipnotizzante lungo quella solitaria strada, Jeremy non riusciva a godersi il paesaggio, perché la sua mente non la smetteva di produrre pensieri.


Era la mattina del 15 dicembre, dunque mancavano solo dieci giorni a Natale. Questo significava che non gli rimanevano che dieci giorni per concludere il ricatto. Doveva riuscirci per forza, perché era la sua unica possibilità di sanare il debito con Cordano e, ovviamente, di rimanere vivo.


Come si era ridotto, pensava tra sé. Aveva già infranto la legge prima, ma questa volta era decisamente più pericoloso del solito e, sì, aveva paura. Paura di non farcela, paura di sbagliare, paura di avere a che fare con qualcosa di più grande di lui, paura di morire.


Accese la radio per distogliersi da quei pensieri e subito la voce di Michael Bublé riempì l'abitacolo. Si domandava perché quel cantante dovesse continuare a incidere brani natalizi quando ce n'erano già migliaia in circolazione e cambiò stazione, annoiato.
Buongiorno, Cotswolds, vi auguriamo un caldo risveglio in questa gelida mattinata di lavoro. Mancano solo dieci giorni alla nascita del Messia e-


Spense definitivamente la radio e sospirò tastandosi il naso, ormai insensibile alle sue dita. Se era pallido come un cencio, era solo colpa della bella addormentata sul sedile dietro che, con il suo dimenarsi spastico, gli aveva quasi rotto il setto. Aveva perso un bel po’ di sangue e ora sembrava uno spettro con le occhiaie e il naso viola. Forse c'entrava anche il fatto che fosse anemico e che avesse saltato la cura di quel mese per racimolare i soldi di Cordano, ma dettagli. Preferiva dare la colpa a quella mocciosa. Gli stava già antipatica.


Cordano, in ogni caso, era una vera catastrofe. Una maledizione, una piaga, un'oscura presenza che lo assillava ogni giorno della sua vita, psicologicamente e fisicamente.

 
Una mattina, circa sei mesi prima, aveva violato la sua proprietà di Bourton per rubare qualche soldo. La sua anemia aveva bisogno di essere controllata con apposite medicine, cure costose e necessarie come l'acqua, così si era visto costretto ad attuare quella soluzione. Dei soldi e un lavoro, purtroppo, non li aveva. Certo, nei mesi prima aveva lavorato per un po' da un suo amico meccanico, ma la sua cattiva fama e il suo stato cagionevole non l'avevano aiutato a mantenere la sua posizione. In più, lo stipendio non bastava comunque.


Dopo che fu licenziato, era ritornato a vivere di debiti e favori, per le strade e nel B&B della città. Di furto, nelle grandi ville della Bourton bene, si serviva solo quando le cose si mettevano male.


Quel
giorno di giugno aveva scelto la casa di Cordano, sapendo che il residente lavorava come amministratore alla Money House. Date le premesse, doveva per forza essere uno di quei personaggi abbienti che circolavano per Bourton con la Jaguar e dunque era proprio quel che faceva al caso suo. Gli avrebbe rubato giusto un gruzzolo e lui non se ne sarebbe nemmeno accorto, dato che le persone ricche tendevano a perdere il conto di ciò che possedevano.


Non sapeva di sbagliare, non sapeva di aver scelto la casa di un mafioso e di aver così firmato la sua condanna. Era entrato e aveva preso solo poche sterline, ma era stato scoperto dall'amante dell'uomo, che aveva avvertito le autorità con il disappunto del losco Cordano. La polizia lo aveva arrestato, ma il proprietario di casa aveva troppa strizza di essere scoperto, così aveva preferito pagare personalmente la cauzione di Jeremy e far dimenticare la faccenda, senza processi o procedure analoghe.


Jeremy sospettava di essersela cavata troppo bene e non si sbagliava. Cordano gli si era messo alle costole, minacciandolo per riavere tutti i soldi rubati più quelli della cauzione. Quando, tuttavia, aveva realizzato che con lui le sole minacce non bastavano, aveva sguinzagliato la sua arma segreta: il famoso Richard, di cui Jeremy ignorava ogni cosa eccetto il nome. Lo scimmione gli aveva fatto visita spesse volte per dargli una ripassata, ma anche quel metodo era risultato inefficace. Cordy e la sua arguzia, allora, avevano ben pensato di unire l’utile al dilettevole e avevano forgiato la vendetta più disumana della storia. Violenza, ricatto e rapimento, il tutto tenuto insieme da una pistola ben carica, puntata dritta al suo cuore.


A quel punto era arrivato al capolinea, non poteva più trovare strade alternative: ci era dentro fino al collo e, volente o nolente, ci sarebbe uscito. Vivo o morto, quello era tutto da vedere.


Dei colpi di tosse dal retro lo riscossero bruscamente dai pensieri. Si girò e vide il suo ostaggio muovere impercettibilmente le palpebre.


Preso da una leggera agitazione, tentò di svegliare Alex, ma il suo amico dormiva di sasso, beato come un angelo. Così decise di prendere dei respiri profondi e affrontare la situazione con fermezza. Dopotutto, lui era un rapitore.


La ragazza si mosse ancora un po’, poi schiuse faticosamente gli occhi, mugolando qualcosa di incomprensibile. La luce, anche se debole, le diede subito fastidio e si rese conto che la testa le faceva male come se avesse bevuto troppo la sera prima.


Dopo aver verificato di essere tutta intera e di avere ancora mobilità negli arti, si liberò del cappotto che le faceva da coperta e cercò goffamente di mettersi a sedere. Si guardò intorno, una vaga sensazione di nausea e di vertigini che rendeva tutto molto sfocato e difficile.


"Dove sono?" chiese, stordita.

Non sapeva nemmeno a chi si rivolgesse, ma in quel momento realizzava a stento chi fosse se stessa, quindi non era un gran problema.


"In una macchina." rispose Jeremy.


"Chi sei?"


"Un ragazzo."


Lei sembrava confusa, si portò una mano alla testa e la massaggiò: "Non capisco."


"Ti garantisco che non è così difficile da capire. Un po' di anatomia ed è fatta." la prese in giro il biondo, giovando del suo stato di intorpidimento.


Lei lo guardò meglio, non riuscendo a identificare quel volto pallido e lentigginoso, poi guardò la strada dal finestrino: "Si può sapere dove stiamo andando?"


"Gita fuori porta. Sei mai stata nelle campagne del Cotswolds?"


"Chi sei tu? Chi è lui?" indicò il moro sul sedile del passeggero, senza dargli retta. "Dov'è Allyson? Chi mi ha portata qui? Mia mamma lo sa?"


"Vuoi sapere anche la targa dell'auto, già che ci sei?"


"Jeremy, si è svegliata!" esclamò Alex in quel momento, rizzandosi sull'attenti e pulendosi la saliva che gli era scesa sul mento durante la dormita.


Entrambi gli puntarono lo sguardo addosso.


"Davvero? Grazie per avermi avvisato." commentò il biondo.


"Ma chi diavolo siete voi due?" la ragazza perse la pazienza, cominciando a sentire una sensazione di panico alla bocca dello stomaco. Adesso era leggermente più lucida e ricordò a tratti quello che era successo la sera prima. "Dove mi state portando? Cosa volete da me?"


"Non ti vogliamo fare del male, Tessy." spiegò Jeremy, immaginando con un vago senso di colpa come potesse sentirsi.


"Però sappi che se proverai a scappare te ne faremo molto." aggiunse Alex, imitando un'espressione minacciosa.


Jeremy lo guardò alzando un sopracciglio, domandandosi se quelle uscite fossero davvero pensate. 


"Lo dicono sempre nei film." si difese l'amico a bassa voce.


"Tessy?" domandò la ragazza, sempre più confusa. "Io non sono Tessy."


Jeremy e Alex si voltarono di scatto, il primo quasi perdendo il controllo dell'auto, il secondo sinceramente sconcertato.
Dai loro volti non si intuiva nulla di buono.


"Cosa significa 'non sei Tessy'?" chiese il biondo
con voce strozzata.


"Significa che non sono Tessy." ripeté spazientita, iniziando a intuire qualcosa di quell’assurda situazione. "Ti garantisco che non è così difficile da capire."


"Ma ieri notte tu...io…"


"Ieri notte?" un flash apparve alla mente della ragazza, e allora ricordò finalmente quel volto. La scorsa notte, la festa, la fotografia, le lacrime e poi lui.


Si ricordò che nel buio attorno a quella panchina lui l’aveva chiamata ‘Tessy’ e lei non aveva detto nulla, perché era sconvolta e sopraffatta dalla paura. Avrebbe dovuto rispondere ‘Non sono io’ e correre via, ma capì di aver fatto un errore. Anzi, capì che un errore ancora più grande l’aveva commesso quel ragazzo con gli occhi di ghiaccio.


"Oh, merda." mormorò lei.


"Sì, infatti." concordò Jeremy. "Tu chi cazzo sei?"


"Io sono Taylor e tu, caro idiota, hai rapito la persona sbagliata." rispose lei, inquadrando al volo come fossero andate le cose.


"Merda!" esclamò Jeremy, colpendo il volande.


"Sei sicura di chiamarti Taylor?" le domandò Alex in un impeto di speranza.


"Direi di sì."


"Tessy soprannome?"


"No."


"Tessy nickname sui social network?"


"No."


"Tessy per gli amici?"


"E piantala, idiota!" esclamò Jeremy, furioso.


Inchiodò bruscamente a lato della strada, facendo stridere la povera Betsie e provocando un
sussulto generale.


Tirò il freno a mano, estrasse la foto dalla sua tasca e la confrontò dal vivo con ragazza seduta sul sedile dietro. Per la prima volta poteva scrutarla alla luce del sole e dovette ammettere che di somiglianze con quell'immagine ne rilevava fin troppo poche.


C'erano le orecchie a sventola, quelle che l'avevano
depistato in primo luogo, i lunghi capelli castani e il naso leggermente a punta, ma...nient'altro. Niente che avrebbe potuto notare la scorsa notte, perché era buio e lei aveva avuto il viso coperto per tutto il tempo. In più, la fretta non gli aveva di certo fatto un favore.


"Sono un imbecille." mormorò, fortunatamente senza accorgersi che Alex stava annuendo.


Taylor riuscì a sbirciare la foto e le sue ipotesi furono confermate: era tutta colpa della sua sorellastra. Di nuovo. Sempre, come una maledizione.


Un moto di frustrazione e rabbia scosse tutto il suo corpo e non riuscì a trattenere la lingua. Spiegò a quel ragazzo come stavano le cose, in un tono sprezzante che non si addiceva al suo viso bambinesco, mentre Jeremy capiva di aver avuto tutt'altro che fortuna, la sera precente.


"Non mi avevano detto di te." commentò quasi a se stesso, quando lei ebbe finito di parlare.


"Non me ne meraviglio."


"Cosa facciamo, Jerry?" chiese Alex a quel punto.


Il biondo ci pensò su per qualche istante, massaggiandosi la guancia con il palmo della mano e fissando Taylor con sguardo perso: "Tu e Tessy Heavens siete sorelle." ricapitolò.


"Sorellastre."


"Quindi Oliver Heavens è anche tuo padre."


Lei annuì mestamente.


"Perfetto." dichiarò. "Allora non cambia nulla, si segue il piano come stabilito."


"Quale piano?" domandarono Taylor e Alex all'unisono.


"Tu non te ne devi preoccupare per ora." Jeremy si rivolse a Taylor e poi ad Alex. "E tu sei veramente scimunito."


"Ma, mia madre? Cosa avete intenzione di farmi?" la ragazza prese a tremare, avvolta improvvisamente dal panico e dalla preoccupazione per la povera Amanda Vallet. Il suo cuore si sarebbe spezzato, se non avesse avuto sue notizie al più presto.


"Ti ho detto che non ti faremo male, se eviterai di scappare. Vogliamo- voglio solo qualche soldo, tutto qua. Ma devi stare ai miei ordini, capito?"


Quel tono la spaventava, come anche quella situazione, così prese d’istinto il suo cappotto e infilò la mano nelle tasche, sperando di trovare il cellulare.


"Ferma." Jeremy allungò un braccio e le bloccò il polso. "Inizi male, Lor. Non troverai niente in quelle tasche, ho pensato personalmente a svuotarle."


Lei incrociò quegli occhi così freddi e così...azzurri. Pensò che fossero i più gelidi e severi che avesse mai visto, provò a tenervi testa esplorando quei crepacci nel ghiaccio attorno alla pupilla, ma poi non riuscì più a sostenere il contatto e abbassò i suoi.


"Bene." disse lui, mollando la presa. "Sono Jeremy e lui è-"


"Il tuo peggiore incubo." concluse Alex con sguardo minaccioso.


Jeremy si sbatté una mano sulla fronte e poi partì con destinazione Cirencester. 







Taylor avvertì un senso di nausea a qualche chilometro dall'arrivo. Troppe sensazioni insieme: l'agitazione, la paura, il mal di testa.


Dallo specchietto retrovisore, Jeremy notò che la ragazza aveva uno strano colorito, probabilmente si sentiva male e pensò che essendo in macchina da più di cinque ore, avrebbe ben presto vomitato sulla tappezzeria di Betsie. E quell'auto era già abbastanza sporca di suo.


"Ci fermiamo." annunciò, appena vide una stazione di servizio.


Parcheggiò in un'area piuttosto spoglia e le intimò, per l'ennesima volta, di non provare a scappare. La tenne sotto stretto controllo visivo mentre scese, chiedendosi se fosse saggio ammanettarla, e la seguì, finché non la vide appoggiarsi al muro del piccolo bar, evidentemente stanca. Alex era andato a pa
gare il benzinaio e la strada era completamente deserta.


"Come stai?" chiese Jeremy, notando l'espressione nauseata di Taylor.


Lei si strinse nel cappotto: "Ti interessa davvero?"


"No, ma non vorrei che sporcarsi la tappezzeria o che mi toccasse tenerti la fronte mentre vomiti."


Taylor sbuffò: "Mi sento come appena scesa da una montagna russa."


"Era solo una macchina." minimizzò Jeremy. "E non ho mai fatto più dei novanta."


Lei non rise, ma si massaggiò la testa facendo una smorfia di dolore.


"È l'effetto del cloroformio." le spiegò lui, allora. "Entro stasera sarà passato."


La ragazza sgranò gli occhi: "Cloroformio? Tu mi hai dato del cloroformio?"


"Come pensi che abbia fatto a calmarti?" le fece notare con una mezza risata. "Cantandoti una dolce ninna nanna? Scaldandoti una camomilla?"


"Mi hai drogata!" esclamò lei, indignata e preoccupata allo stesso tempo.


"Perspicace."


"Tu sei pazzo!" sbottò, incredula, portandosi le mani alla testa. "Mi hai drogata! Finiresti in prigione per questo!"


"E non solo. Ti ho derubata, sequestrata, rinchiusa in un luogo circoscritto e minacciata. Se in Inghilterra esistesse la pena di morte, dovrei iniziare a cercarmi un cimitero carino. Non ho soldi per l'avvocato."


Taylor trattenne un gemito di orrore. Con chi diavolo era capitata? Cosa diavolo le sarebbe capitato?


Osservò il profilo del ragazzo al suo fianco, in controluce, cercando di capire qualcosa sul suo conto.


Aveva un naso dritto e proporzionato, bello, si sarebbe detto, se non fosse stato leggermente viola. Qualcuno doveva averlo picchiato,
pensò, ma questo non la sorprese, perché aveva già comprovato di aver a che fare con un pericoloso malvivente dai metodi violenti.


Aveva i lineamenti simmetrici; la bocca, le sopracciglia e le orecchie, tutto era perfettamente spartito sul suo viso serio e squadrato. Uno così avrebbe potuto fare il ragazzo immagine o essere un figlio di nobili, forse anche membro della famiglia reale. Invece sapeva di strada, di aperto, di pioggia.


Gli occhi, poi, erano davvero incredibili. Così limpidi come due tondini di cielo, senza nuvole, né imperfezioni. Quelle erano tutte sulle guance. La miriade di puntini che costellava il suo viso lo rendevano effettivamente più giovane, simile a un bambino, a dire la verità. Chissà quanti anni aveva, si chiese Taylor. Non poteva averne meno di diciotto, ma neanche più di venticinque. Ma non osava chiederglielo, tanto meno conversare con lui. E che cavolo, l'aveva rapita e drogata!


Se l'avesse visto camminare per Bourton, in condizioni diverse, avrebbe sicuramente sognato di poterlo fare, perché era bello e intrigante. Ma, date le circostanze, il suo aspetto non l'avrebbe mai potuto salvare; ormai si era guadagnato un posto di tutto rispetto nella
sua lista nera, giusto un gradino più in su di Oliver e Tessy Heavens.


Anche se forse fino a quel momento non era stato quel che si diceva un cattivone, restava il fatto che l'avesse rapita. E drogata.


"Non ti lamenti più? Ti arrendi di già al destino?" la voce del ragazzo interruppe definitivamente i pensieri di Taylor. "Mi stavo quasi abituando alla tua disperazione da donzella mancata di rispetto."

Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una: "Vuoi?"


Taylor scosse la testa, domandandosi a che gioco stesse giocando. Perché la trattava abbastanza normalmente, se la stava rapendo?


"Ah, ho capito. Non fumi perché sei contraria alle emissioni di gas nocivi nell'atmosfera, vero?"


"Non fumo perché sono contraria alle emissioni di gas nocivi nei miei polmoni."


"Oh, non sai quanti ne ha emessi Alex di gas nocivi mentre dormivi."


Taylor aggrottò le sopracciglia: "Chi è Alex?"


Jeremy assunse un'espressione misteriosa e strafottente allo stesso momento: "Potrebbe essere chiunque."


La giovane capì di non essere stata molto logica. Alex non poteva che essere l'altro ragazzo, quello che si era presentato come 'il suo peggiore incubo'. Purtroppo per lei, tutta la situazione e il cloroformio che aveva in corpo la rendevano meno lucida e reattiva.
Sarebbe già stata a casa sua altrimenti, tra le braccia di sua madre, riuscendo a fare fessi quei due dementi.


"Non c'è bisogno di prendermi in giro." si lamentò. "Mi sento già abbastanza mortificata."


"E perché mai?" ghignò Jeremy sbuffando una nuvoletta di fumo.


"Beh, forse perché non so dove mi trovo, con chi e perché. E, soprattutto, non so quando ritornerò a casa."


"Se ritornerai a casa."


Taylor ammutolì, quel tono le era sembrato fin troppo serio. 
Jeremy la guardò negli occhi, assumendo all'improvviso una finta aria affabile: "Stai meglio, adesso?"


"Una meraviglia."





Tessy si soffiò il naso rosso e gonfio per la milionesima volta e poi, con lo stesso fazzolettino, si asciugò il viso bagnato.


Guardò in basso, sconsolata. Aveva già finito una vaschetta di gelato alla vaniglia e non era che alla metà del film. Avrebbe voluto andare in frigo e procurarsene un'altra, ma pensò che poi avrebbe dovuto considerare la palestra di Bourton come sua seconda casa.


"Tessy, amore, non dovresti guardare Titanic in queste condizioni." Martha Gellerd entrò nel salone vestita di tutto punto, la mani impegnate nella chiusura di un orecchino.


"Sono maggiorenne, mamma. Posso fare quello che voglio."


La donna scosse la testa, finendo di sistemarsi mentre afferrava la pelliccia dall’appendi abiti. Si fermò davanti al grande specchio per darsi un’occhiata e decise che era meglio ritoccare il rossetto.


Mentre affrontava la difficile operazione con esperienza, lanciò un’occhiata al riflesso di sua figlia. Solo a vederla di spalle, dava un’impressione di tristezza e decadenza che le fece provare un’enorme pena: "Ho sempre pensato che non valesse abbastanza per una come te."


"Se ti riferisci a Eric, sappi che per me valeva, invece." ribatté la ragazza, con voce tremante. "Era figo e venivamo divinamente nelle foto."


Martha roteò gli occhi: "Come se contasse qualcosa."


"Conta eccome." piagnucolò, affondando ancora di più nel divano.


Sua madre la raggiunse, allungando la mano verso il suo fortino di coperte e scoprendole il viso: "Oh, perlina." le disse, compassionevole. "Non puoi stare così."


"Non capisci, mamma." tentò di bardarsi ancora di più mentre la vaschetta vuota cadeva a terra assieme alla miriade di fazzolettini.


"Certo che ti capisco." le appoggiò una mano sulla spalla: "Non si tratta solo di venire bene in foto. Tu a quel ragazzo volevi davvero bene."


"
Lo amavo." precisò la ragazza. "A modo mio, ma lo amavo."


"Vedrai che ti passerà, perla mia. E poi ti renderai conto che è stato un bene che vi siate lasciati."


"Non ci siamo lasciati! Lui mi ha tradita e io l'ho lasciato! Così è molto più drammatico, mamma."


La donna le rivolse uno sguardo di commiserazione, senza però farci troppo caso. Sua figlia aveva sempre avuto la mania di teatralizzare qualsiasi cosa, soprattutto le situazioni che la riguardavano in prima persona. Sapeva che era stato un duro colpo per lei; d'altra parte quell'Eric era il suo ragazzo secolare, ma non credeva che sarebbe stata la fine del mondo.

Forse, invece, avrebbe dovuto parlare di più con sua figlia. Probabilmente si sarebbe accorta di quanto quella rottura stava significando, di quanto stesse veramente male.


Tornò allo specchio per prendere in mano le chiavi e darsi un’ultima controllata, prima di uscire. Per lei quella rottura era stata un bene, in quanto non intratteneva buoni rapporti con la famiglia di Eric. Anzi, a dirla tutta, trovava sua madre abbastanza rozza e suo padre troppo impudente. Tolse una sbavatura di rossetto e si riavviò i capelli, piccolo vizio che aveva trasmesso alla figlia.


"Dove stai andando?" le chiese quest'ultima, notando solo in quel momento l'aspetto della madre.


"Mi hanno chiesto di aiutare gli Hopkins con l'organizzazione della festa di Natale."


"Oh, alla festa degli Hopkins io ed Eric aprivamo sempre il waltzer di mezzanotte." disse lei stringendo il cuscino contro il petto e avvertendo la freddezza della medaglietta che proprio lui le aveva regalato il giorno prima.


Sul pendente era incisa la parola Teric, il nomignolo che i loro amici avevano dato alla coppia e con cui erano soliti identificarliAvrebbe dovuto strapparsela dal collo e gettarla via, ma non ci riusciva.


"Basta pensare a lui!" proruppe Martha, concitata. "Spegni quel film, se non vuoi affondare pure tu nelle tue lacrime. Esci un po', chiama Allyson."


"Allyson sa già tutto, ma ora è impegnata e non può stare con me. E poi, scusa, ma preferisco autocommiserarmi come una zitella davanti a Leonardo Di Caprio."


"Come vuoi, Tessy, ma cerca di sforzarti per non farti abbattere da quello stupido." le suggerì con fare materno. "Ci vediamo questa sera. Papà tornerà tardi e tu intanto studia quell'assolo per la vigilia!" uscì di casa sbattendo i tacchi con naturalezza e lasciò Tessy aggrappata al cuscino.


Sì, sua madre era una donna mondana e suo padre un uomo impegnato. E lei aveva un assoluto bisogno di un'amica.


Allyson era fuori città perché aveva ricevuto una chiamata da suo fratello Richard nella tarda serata del giorno prima. Non lo vedeva da due mesi e così era partita senza che i suoi lo sapessero per incontrarlo e passare una mattinata con lui. Aveva sempre pensato che lei si prodigasse troppo per quel ragazzo; in fin dei conti, era stato lui ad abbandonare la famiglia senza alcun valido motivo ed Allyson aveva comunque il coraggio di considerarlo il suo eroe. Inaudito.


Becky invece si era ubriacata la sera precedente e ora era a casa a vomitare senza sosta.
Le aveva telefonato, mortificata e malaticcia, scusandosi per essersi ridotta così e dicendole che le dispiaceva immensamente per quello che era successo con Eric. Lo sapevano già tutti, ormai.


Dopo Becky, non aveva nessun altro, nessuno che considerasse abbastanza amico da consolarla come si deve, nessuno che si sarebbe dato la pena di farlo.


Eppure, da un po’, il suo subconscio continuava a suggerirle il nome di una persona. Una persona che, in realtà, avrebbe potuto capirla molto meglio di chiunque altro. Dopotutto, etrambe erano state abbandonate, entrambe da un uomo a cui tenevano molto ed entrambe per un'altra donna.


Tessy pensò, per un solo istante, che era così che doveva essersi sentita Taylor dopo che suo padre l'aveva lasciata per lei e sua madre.


Una strana sensazione si appropriò di lei e accelerò il battito del suo cuore. Tentò di scacciarla e scacciare il volto di Taylor dalla mente, ma non ci riuscì. Si trattava di una sensazione molto insolita, raramente conosciuta da lei in precedenza. Senso di colpa, lo chiamavano?


Un nuovo moto di rabbia e solitudine la invase
e strinse la medaglietta di Eric, lottando contro altre lacrime. Si immedesimò in Taylor, nel suo sentirsi tradita da qualcuno che amava e nell'odio verso chi gliel'aveva portato via. Era brutto da provare, ma era forte e impetuoso, come un torrente in piena.


Si sorprese di sperimentare quello che la sorellastra doveva provare nei suoi confronti.
Era così che si sentiva, allora. Come lei verso quella sorta di Pippi Calzelunghe dei poveri. Arrabbiata. Delusa. Triste.


Tessy si sentì improvvisamente a disagio con se stessa.


Non sapeva più che pensare; era doppiamente disperata,
perché assieme alla delusione d’amore, ora c'era una nuova sofferenza che provava per la prima volta sulla sua pelle, nel suo cuore. Oltre al danno, anche la beffa!, pensò, amaramente. Non poteva sentirsi semplicemente tradita, ora si sentiva anche in colpa. E sola. Tremendamente sola.


Avrebbe dovuto parlare con Taylor, forse? Avrebbe dovuto chiederle scusa? Avrebbe dovuto confidarsi con lei riguardo Eric?


Non sapeva se avrebbe dovuto, ma sicuramente avrebbe potuto.
Poteva andare
da lei, chiederle se era davvero così che ci si sentiva, se potesse veramente fare così male o se, semplicemente, era solo il suo cuore che si stava spezzando.


Era l’unica cosa, ammise a se stessa, che avrebbe potuto farla sentire meglio.


Afferrò il telecomando e spense il televisore proprio nel momento in cui Jack faceva la fatidica domanda a Rose.
Ti fidi di me?

Si immaginò di essere al posto della rossa, con i boccoli al vento e un vestito favoloso, retta da un ragazzo del calibro di Jack Dawson, sospesa sull'Atlantico.
"No, Jack. Non mi posso fidare di te."
"Perché no?"
"Perché sei un uomo e gli uomini sono bastardi."


Cancellò dalla sua mente questa stupida fantasia, pensando che con ogni probabilità avrebbe risposto "sì" comunque. Insomma, Di Caprio era Di Caprio.


Si pulì le righe di mascara sulle guance, si coprì con il suo cappotto pesante e uscì chiudendo a chiave la porta. Camminando per il vialetto le ritornò in mente la sera precedente. Era rimasta quasi un'ora fuori a piangere, poi Allyson l'aveva trovata e l'aveva convinta a ritornare dentro. Eric se n'era già andato da un pezzo, cacciato proprio dalla sua amica, e gli altri invitati già rumoreggiavano su di loro e sulla loro possibile separazione.


Com'era umiliante essere al centro dell'attenzione, a volte. Avrebbe preferito rimanere fuori al freddo e al buio. Aveva sentito dei rumori dagli alberi vicino alla villa, ma non si era spaventata, anzi, aveva desiderato che fosse qualche malvivente pronto a rapirla per portarla lontano da quel dolore.


Magari avrebbe potuto chiuderla per sempre da qualche parte, cosicché tutti si sarebbero dimenticati di lei e della sua umiliante festa di diciottesimo compleanno.


Arrivò al piccolo condominio di Taylor prima di quanto sperasse e rimase a fissare il campanello 'Vallet - Heavens' con fare indeciso. Si era già pentita della sua iniziativa, ma ormai si trovava lì e aveva una questione da risolvere.


Più che altro, sentiva che lì avrebbe trovato un po' di umanità che in quel momento le mancava e la faceva sentire colpevole.


Suonò tre volte il campanello e attese una risposta, che non tardò molto ad arrivare.


"Chi è?"


"C'è Taylor? Taylor Heavens?"


"Chi la desidera?"


Tessy esitò un istante, mordendosi un labbro: "...Tessy. Tessy Heavens."


Anche dall'altra parte ci fu una pausa di silenzio. Tessy pensò che le avrebbero sbattuto il citofono in faccia da un momento all'altro, ma invece ci fu un suono metallico e la porta di vetro si aprì.


Salì le scale guardandosi intorno: non era un posto immenso, ma aveva un'aria piuttosto accogliente. Arrivò al primo piano e notò una porta aperta. Con il cuore in gola per la tensione, si fece strada all'interno dell'abitazione e vide una signora pallida, con due spessi occhiali, seduta al tavolo della cucina. Era Amanda, la prima moglie di suo padre.


"Buongiorno." disse timidamente. Non aveva mai parlato con lei, la vedeva spesso a messa e alcune volte alle feste di paese, ma fino a quel giorno, pur sapendo chi fosse, non ci aveva mai scambiato nemmeno un saluto.


"Ciao, Tessy, siediti." la signora dall'aria gentile indicò una sedia accanto a lei, dandole immediatamente confidenza.


Tessy si accomodò, sperando con tutto il suo cuore che Amanda non avesse del rancore represso e un coltello a portata di mano. Poi la guardò meglio e capì che non avrebbe potuto fare del male nemmeno a una mosca. Aveva un viso pieno e un'espressione dolce, anche se leggermente ansiosa.


"Taylor non c'è, adesso." esordì incrociando le mani, agitata. "A dire il vero, non so dove si trovi e sono molto preoccupata, perché non risponde al telefono. Ieri sera è venuta alla festa da voi, assieme ad Allyson, e poi non ho più avuto sue notizie. Vuoi del tè?"


"Ehm...sì, grazie."


Amanda si alzò e prese un paio di tazze dalla credenza, poi le riempì con la teiera che ancora scottava. Tessy la seguiva con difficoltà: parlava molto velocemente e sospirando nelle pause, ma comunque aveva capito il filo del discorso.


"Ho chiamato tuo padre, ma non sa nulla." proseguì la donna. "Ho chiamato gli Stuart, ma neanche loro sanno dove sia la figlia, dicevano che aveva un impegno con il pattinaggio e che non poteva rispondere al cellulare. Non è rimasta a dormire casa tua, per caso?"


Avrebbe dovuto capirlo nel momento in cui le aveva chiesto di Taylor al citofono, ma Tessy le sorrise comunque per rassicurarla: "No, non è rimasta da me. Molto probabilmente è partita con Allyson, ora provo a sentire."


Prese il cellulare dalla tasca e cercò in rubrica, poi premette la cornetta verde. Era quasi sicura che Allyson l’avesse coinvolta nel suo viaggio per farle conoscere il fratello, ma non poteva di certo far saltare la copertura della sua amica. Sapeva comunque che a lei avrebbe risposto e avrebbe rassicurato tutti in quanto all’assenza di Taylor.






"Ecco qui, sua altezza." Jeremy fece entrare Taylor nella stanza dell'hotel che aveva prenotato. "Cinque stelle, una per residente."


Aveva scelto un misero e semivuoto albergo nei borghi di Cirencester e si era fatto dare una camera da quattro, dove avrebbero alloggiato per qualche giorno. Sarebbero ripartiti di nuovo entro breve e poi ancora, avanti di luogo in luogo, fino a che non avessero raggiunto l'accordo con Oliver Heavens.


"Perché dovresti portarmi in un albergo?" chiese Taylor confusa. "Non è una soluzione che passa molto inosservata, sai?"


"Preferisci un sotterraneo con attrezzi per la tortura e ratti che corrono sul pavimento?"


Alex ridacchiò, chiudendosi la porta alle spalle.


"Semplicemente non capisco quali siano le tue intenzioni. Vuoi rapirmi o no? E se sì, perché?"


"Lor, Lor, Lor." Jeremy le si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla. "Non puoi avere accesso alle informazioni più interessanti, altrimenti che divertimento c’è? E poi, credi che qualcuno manderà la polizia a cercarti?" lei fece per rispondere. "È una domanda retorica."


"Questo trattamento è ingiusto." sbottò lei, irritata per l’ultima frase che si era sentita dire, fin troppo realistica per i suoi gusti. "Io non ti ho nascosto la mia identità. Avrei potuto farlo e il tuo stupido piano sarebbe andato a monte."


"Ma non l’hai fatto perché non sei abbastanza sveglia."


"Non ero abbastanza sveglia." lo corresse. "Ti ricordo che sono stata drogata. Anche se ora mi sto riprendendo piuttosto bene e pretendo delle spiegazioni."


Jeremy la scrutò per qualche istante, soppesando tutta quell’audacia con un sorrisetto, poi cercò lo sguardo di Alex in cerca di una tacita approvazione.


"Il piano a grandi linee è questo." esordì, dopo aver ricevuto il nulla osta. "Voglio dei soldi. E li chiederò in cambio della tua...preziosa vita, diciamo così. Se qualcuno di indesiderato interferirà tra me e la persona con cui contratterò, minaccerò di farti fuori. In questo modo nessuno saprà niente, tranne tu, Alex, io e il nostro misterioso finanziere."


"Ti fidi così tanto di questo finanziere? Ti fidi così tanto di me?" si indispettì Taylor, profondamente irritata dal modo di fare di Jeremy.


Prendeva tutto come se fosse l'operazione più facile del mondo, dava per scontato che nessuno avrebbe intralciato i suoi piani e, soprattutto, si aspettava che lei si comportasse come lui desiderava.


"Sempre che la persona con cui contratterai non sia più sveglia di te, potrei raccontare tutto io al ritorno." osservò, incrociando le braccia.


"Chi ha mai parlato di ritorno?" chiese Jeremy con aria innocente, ma profondamente irritante.


La ragazza strinse i pugni per la rabbia: "La vuoi smettere di minacciarmi?" s’innervosì, alzando la voce. "Chi è il finanziere? A chi credi di domandare tutti quei soldi? A mia madre? Lei non ha niente, stai facendo un buco nell’acqua. E poi sono sicura che tutto questo ha a che vedere con Oliver, non è vero?"


"Basta domande, ti ho già detto quello che hai bisogno di sapere."


"Non è vero! Ridammi il mio telefono! Fammi chiamare mia madre!"


"Chiudi quella bocca, Lor." sbuffò lui. "O te la dovrò chiudere io e non ho voglia di imbarcarmi in una tale impresa epica."


"Si può sapere chi ti credi di essere? Non mi fai paura con quell'aria strafottente!"


"Non alzare la voce."


"Sì, invece!" gridò lei, di proposito. "Che diritto hai di trattarmi come un oggetto? Chi ti autorizza a darmi un valore e soprattutto a giocare con la mia mia vita?"


"Lor, non alzare la voce."


"Io faccio quello che mi pare!" lo spinse con entrambe le mani,
facendolo barcollare all’indietro. "Non mi puoi togliere la libertà, non ne hai il diritto!"


"Ab
bassa quella voce, porca puttana, o ci sentiranno tutti!"


"NON DARMI ORDINI!" 


Jeremy alzò la mano di scatto e le diede uno schiaffo sulla guancia, tanto potente che risuonò nella stanza e la fece zittire all'istante.


"Jeremy..." mormorò Alex, rompendo l'assordante silenzio.


Lui non si scompose, continuò a fissare Taylor, arrabbiato, e poi, a bassa voce, disse: "Chi ti credi di essere tu, Heavens? Dovresti cominciare a stare al tuo posto, sei poco più che una bambina e, soprattutto, sei in una situazione diversa da come la stai facendo sembrare." si distanziò da lei di un passo, ritraendo la mano.


"Io ti ho rapita, Taylor. Cerca di comportarti bene, perché forse non ti è chiaro che non sto giocando." tirò fuori la pistola dallo zaino e la appoggiò sul tavolo, al centro della stanza. "Ti conviene davvero fare la brava. E non osare mai più disobbedire a quello che ti dico io."


La ragazza si morse il labbro inferiore, trattenendosi a stento dallo scoppiare in lacrime. Non voleva piangere, anche se tutto la induceva a farlo. Non voleva dare la soddisfazione a quel ragazzo stronzo e prepotente, privo della minima umanità e vuoto dentro, come solo un delinquente poteva essere.


Era troppo orgogliosa e infuriata per arrendersi e dargliela vinta, così gli voltò le spalle e sgusciò dentro il bagno, sbattendo la porta e girando la chiave


Dopo essersi chiusa all’interno della stanza, si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare fino a terra, con la testa fra le mani. La guancia le faceva male e il bruciore era alleviato solo dalle lacrime che, ora sì, potevano scendere copiosamente.


Perché proprio lei? Perché non Tessy?


In fondo, la sua sorellastra se lo meritava di più. Anzi, quel ragazzo avrebbe potuto metterla in riga e farle passare la mania di protagonismo che la distingueva. Ma lei? Cosa aveva fatto di male
lei per meritarsi di essere rapita?


Pensò a sua madre, a quello che avrebbe
fatto nella preoccupazione di poterla perdere. Amanda non aveva soldi sufficienti per pagare un riscatto ed era sicura che Jeremy non avrebbe fatto sconti per nessuno.


Nella sua vita ne aveva passate tante, aveva sofferto più di quanto volesse dimostrare, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco solo per sua figlia, solo per non farle pesare l'assenza di un padre. Non si meritava anche questo, ora. Non l'avrebbe retto e sarebbe crollata, sola, senza nessuno che la aiutasse.


Odiava Jeremy, lo odiava con tutto il suo cuore e sperava che ricevesse la giusta punizione per quello che le stava facendo. Se c'era qualcosa che detestava più della sberla che aveva appena ricevuto, era la possibilità che lui avrebbe fatto soffrire Amanda. Che le avrebbe dato il male peggiore al mondo e che lei non avrebbe potuto starle vicino.


Era tutta colpa di quel verme, quel rifiuto di mondo che se l'era presa con lei e che respirava ancora, impunito, nella stanza adiacente. 






Fuori dal bagno, Jeremy diede un calcio allo zaino e si mise a sedere sul letto.


Alex si posizionò accanto a lui, la mano che si grattava la fronte e l'aria nervosa: "Jerry, ci sei andato troppo pesante."


"Lo so." rispose. "Mi ha fatto perdere il controllo."


"È furba, Jerry, e sa come infastidirti. Ma le hai fatto male."


"Lo so." ripeté con uno sguardo dispiaciuto. "Dannazione."


Alex sospirò e si abbandonò con la schiena distesa sul materasso, stanco e provato dagli eventi. Il viaggio era sembrato interminabile e l'hotel non gli piaceva. Per giunta, Taylor non era una vittima accondiscendente e Jeremy non sembrava molto padrone della situazione. Lui, meno di tutti, poteva migliorare le cose.


"
È petulante." Jeremy si alzò e prese a camminare intorno alla stanza, irrequieto. "È molto intelligente e questo non va bene. Ed è molto irritante e questo va ancora peggio."


Alex rimase in silenzio: non sapeva se concordare con l'amico o dargli torto, ricordandogli che doveva mantenere il controllo. Fortunatamente il suono del suo cellulare gli risparmiò l'ardua decisione e fu costretto a rispondere: "Pronto?"


"Alex."


"Allyson, amore!"


Jeremy lo guardò di scatto, stupito. Pensava di non averlo mai sentito pronunciare la parola 'amore'. Non così colpevolmente, comunque.


La ragazza all'altro capo del telefono sembrava tranquilla: "Come sta tua nonna?"


"Bene, grazie."


"Oh, si è gia svegliata?"


"Beh, sono le undici, credo di sì."


"Ma, scusa, non era in coma?"


Alex si sbatté una mano sulla fronte, reprimendo un'imprecazione poco gradevole: "Ah, sì! Sì, hai ragione, amore, ma si è svegliata." cercò di riparare.


Doveva smetterla di usare sua nonna come scusa ai mancati appuntamenti, ormai era entrata in coma una decina di volte e otto di di queste non si era ancora svegliata.


"Che bella notizia, come sono contenta! Volevo proprio chiederti se ti andasse di venire a Bristol con me. Sai, mi trovo già qui e alle tre ho un appuntamento con mio fratello, così pensavo di fartelo conoscere."


"A-a Bristol? Ehm, beh...in realtà non posso." rispose, sentendosi terribilmente in colpa.


"Oh." il tono della ragazza era dispiaciuto. "Non puoi proprio? È un'occasione rara per lui, sai, non capita molto spesso da queste parti."


"È che si tratta ancora di mia nonna." mentì, deglutendo a fatica. Non sopportava di dover raccontare frottole ad Allyson, perché era una ragazza davvero buona, soprattutto con lui. Fin troppo, forse.


"Che cos'ha?" chiese, curiosa.


"Ehm...è caduta."


"Come ha fatto? Non si era appena svegliata dal coma?"


"Appunto. Lei ha...ha voluto scendere dal letto mentre i medici erano distratti ed è scivolata. Ora siamo all'ospedale di Cirencester e credo dovremmo rimanerci fino a..." lanciò un'occhiata a Jeremy che gli mimò 'Natale' con le labbra. "...Aprile."


"Aprile?"


"Sì, Aprile." Jeremy scosse la testa e agitò le mani per catturare la sua attenzione. "No, non Aprile."


Il biondo ripeté 'Natale', trattenendo a stento una risata, e per fortuna questa volta Alex capì correttamente.


"Mi dispiace davvero tanto, Alex." la sua voce tradiva un po' di delusione, ma poi proseguì decisa. "So che vuoi un bene dell'anima a tua nonna perciò le auguro di guarire presto e...spero che ritornerai un po' prima per stare con me."


Quel tono lo fece sentire davvero un verme: "Te lo prometto, Ally. Grazie, sei fantastica."


Anche se lui non poteva vederla, lei sorrise: "Grazie a te, Alex. Scusa, ho un'altra chiamata, adesso. Ci vediamo presto. Ti amo."


"Anch'io."


Alex premette la cornetta rossa, sospirando. Odiava essere in mezzo a due sentimenti così forti come l'amore e l'amicizia, lo faceva impazzire. Aveva scelto il secondo, solo perché con Allyson era insieme da poco, eppure ogni volta che pensava a lei rimpiangeva quella decisione e si chiedeva se per caso non avesse commesso un errore.


"Ehi, tutto bene?" gli chiese Jeremy, notando la sua espressione incupita.


"Forse lei è quella giusta, Jeremy." rispose lui, quasi parlando a se stesso, lo sguardo perso a contemplare l'immagine di Allyson nella sua mente. "Non lo so, è così diversa da Kate, Monica, Jilly, Nadine,…"


"...e le altre mille con cui sei andato a letto." concluse per lui.


Alex lo fulminò con lo sguardo: "Sono un ragazzo serio. Così non mi ci fai apparire."


Jeremy sorrise: "Scusami, ragazzo serio. Come si chiama questa ragazza? Edison?"


"Allyson."


"Mmm." finse di pensarci su. "Avete la stessa iniziale. Sicuramente è quella giusta."


Jeremy non era mai stato un asso con i consigli d'amore, anzi tutt’altro, si sarebbe detto. Tuttavia, si era sempre comportato da amico e non gli aveva mai voltato le spalle; nemmeno quando Alex aveva deciso di uscire con la figlia del poliziotto che gli dava perennemente la caccia.


Jeremy e Alex: quello era davvero un duo indissolubile. Non c'erano donne, né nonne che potessero frapporsi.


"Comunque." tossì il biondo. "Dovresti davvero smetterla con la scusa della nonna in coma. Va a finire che ci andrà sul serio."






Allyson interruppe la chiamata con Alex, massaggiandosi le tempie.


Si domandava se fosse davvero quello giusto per lei, se valesse la pena stare con qualcuno che non poteva dedicarle il suo tempo. Certo, c'era la storia della nonna, ma con Alex c'era sempre qualche storia.


Non stava con lui da molto, eppure sentiva come se fosse sfuggevole, come se le nascondesse qualcosa. Era innamorata, però, e non poteva fare a meno di trattenere un sorriso ogni volta che ascoltava la sua voce. Non poteva fare a meno di amare quel ragazzone tanto goffo quanto bello e generoso, una delle qualità che l’aveva conquistata sin dal principio.

Ally sospirò, pensierosa e insicura, ma decise di non soffermarcisi troppo. Aveva un'altra chiamata in attesa e un fratello da incontrare. Digitò il tasto per passare alla telefonata successiva e lesse il nome del mittente: "Pronto, Tessy?"



I titoli dei capitoli sono una delle cose che ho cambiato nella nuova versione di questa storia.
Quello di questo capitolo significa "La colpa di ognuno", dato che quasi tutti in questo capitolo commettono un errore, che passa da una bugia detta ai propri cari, a una svista determinante,  da un tradimento amoroso a uno schiaffo inopportuno.

Ogni titolo è in inglese, dato che tutta la storia si svolge in Inghilterra. Mi sembrava pertinente come scelta. Ditemi che è così, ho bisogno di conferme.



PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie
Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!


Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà cliccare qui e io approverò la vostra iscrizione:
Grammaticalmente Scorretti 
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come  Daffy Efp :)


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Capitolo 4
*** The Value of a Life ***


All I want - 4

ALI WANT FOCHRISTMAS IS...



********The Value of a Life********




Tessy ed Allyson aspettavano nervosamente fuori dall'ufficio.

Era tardo pomeriggio e il corridoio pullulava di segretarie indaffarate. Allyson osservava la più giovane di queste, una donna sulla trentina, piena di energie e con il sorriso stampato in viso. Si chiedeva a cosa stesse pensando; probabilmente al suo lavoro che andava bene o alla persona che amava e che l’avrebbe aspettata a casa al suo ritorno.


Tessy, invece, era intenta a ripassare mentalmente le note del suo assolo. Purtroppo, però, era piuttosto inutile, perché arrivava fino a metà e poi non riusciva più a continuare. C'era un senso di colpa che occupava non solo il suo cuore, ma anche la sua mente, deconcentrandola da qualsiasi altro pensiero.


"Tessy, non devi sentirti in colpa." disse Allyson, rompendo il silenzio. La conosceva talmente bene che sapeva come potesse sentirsi o lo poteva immaginare senza difficoltà.


Tessy ricambiò lo sguardo, leggendo a sua volta negli occhi dell'amica: "Nemmeno tu."


La ragazza si passò una mano sul viso, sospirando: "Avrei dovuto chiamarla. Avrei dovuto accorgermi della sua scomparsa, come ho potuto essere così disattenta?"


"Ma non è dipeso da te."


"Oh sì, invece. Sono stata io a insistere per trascinarla alla festa. Sono stata un’enorme egoista."


"No, Ally, è colpa mia se è scappata." snocciolò Tessy, come se si liberasse da un macigno. "È colpa mia. L'ho trattata male e non le ho detto grandi cose."


Allyson corrugò la fronte: "Come sarebbe a dire?"


"Sono stata un po' sgarbata, forse?"


"Tessy."


La mora sbuffò e si ravvivò i capelli: "L'ho presa in giro, ecco. Non ho pensato che potesse ferirla così tanto da farla scappare."


"Non è possibile." fece Allyson, secca e arrabbiata. "Non chiedevo che diventaste migliori amiche, ma, Tessy, lo sai, dovevi solo cercare di comportarti in modo civile con lei. Era così difficile? Non ti ho mai domandato grandi favori, se non questo."


"Lo so, Ally. Mi dispiace." la ragazza sembrava davvero sincera, e tesa, quasi in apprensione. Si torturava le talentuose mani, mentre il suo sguardo colpevole saettava da un angolo all’altro della stanza. "So di aver sbagliato, ma l'ho capito solo ora. E, lo so, è un po' troppo-"


"Tardi." completò Ally, dura.


Il fatto che la sua amica non avesse rispettato la sua unica richiesta le dava un tremendo fastidio. Più di quanto desse a vedere, a dire il vero. Innanzitutto, aveva tradito la sua fiducia e poi era stata la miccia di una grave esplosione, le cui conseguenze erano ancora tutte da vedere.


Ally conosceva bene Taylor; non c'era niente che potesse toccarla più della questione famiglia e aveva paura che avesse potuto combinare qualche stupidaggine. Certo, se lei non l’avesse costretta ad andare alla festa non sarebbe successo nulla, ma complice anche il comportamento di Tessy, ora la possibilità che Taylor fosse scappata era del tutto realistica.


Sospirò, preoccupata.


Appena Tessy le aveva riferito dell’incontro con Amanda, non aveva esitato a tornare a Bourton di corsa. Aveva rimandato l'appuntamento con suo fratello per poter arrivare in tempo alla Money House e parlare con Oliver assieme a Tessy. Le dispiaceva da morire per Richard, ma al momento l'agitazione per la sua amica era più grave.


La segretaria si avvicinò alle due ragazze: "Il signor Heavens può ricevervi in questo momento."


Senza scambiarsi una parola, si alzarono e la seguirono fino all'enorme ufficio tutto vista e mobili coordinati, che dava sul parco della città. Il signor Heavens stava comodamente seduto sulla sua poltrona girevole, minimamente turbato e con un espressione serena sul volto.


Sarebbe durata ancora per poco.


"Ciao, gioiello di papà!" accolse la figlia con un sorriso a trentadue denti: "Ciao, amica del gio
iello di papà!"


Era sempre così che Oliver salutava Allyson, facendole di solito scappare un sorriso, ma questa volta non successe.


"Allora, cosa vi porta qui? Avete una faccia." indicò le due poltroncine di fronte alla sua scrivania. "Volete che vi faccia portare una cioccolata? Oppure non avete fame perché l'altra sera ci avete dato dentro con i pasticcini?" scherzò.


Oliver Heavens era una persona estremamente positiva e ottimista. Adorava i colmi e le freddure e, grazie alle sue allegre battutine, era sempre stato un ottimo intrattenitore. Peccato che la sua parte razionale faticasse a uscire, dando di lui l'immagine del personaggio un po' vuoto e superficiale.


Aveva corti capelli sul grigio e due grandi orecchie a sventola che gli conferivano un'aria ancor meno seria. Era solito rasarsi e vestire elegante; rappresentava, insomma, l'immagine dell'uomo ricco e soddisfatto dalla vita.
Gli riusciva particolarmente bene, dato che lo era davvero.


I suoi occhi erano identici a quelli di Tessy, solo segnati da qualche ruga in più. Il sorriso, invece, era quello di Taylor.


"Papà, ti dobbiamo parlare." Tessy dissolse quell'atmosfera di serenità e si sedette facendo tintinnare i suoi costosi bracciali.


"Cosa c'è, gioiello?"


La ragazza non riusciva a trovare le parole, si sentiva nervosa e agitata. Non parlava mai della prima famiglia di suo padre con suo padre. E non ne sentiva mai parlare. Aveva paura che lui non avesse gradito affrontare argomenti legati alla sua prima moglie, men che meno riguardo alla sua prima figlia. Non sapeva come iniziare il discorso; l'imbarazzo e il senso di colpa le avevano annodato la lingua.


Stava giusto prendendo fiato per iniziare una frase, quando lui la bloccò: "Non mi dirai che tu ed Eric, insomma...che avete...gioiello mio, sei incinta?"


Allyson si lasciò scappare un sorriso; quell'Oliver era troppo ingenuo e protettivo per non pensare subito a una confessione del genere. Tessy invece trattenne un sussulto. A causa di tutto quel trambusto, aveva quasi dimenticato quello che era successo con Eric.


Sentirlo nominare le scosse il cuore per un secondo e dovette sforzarsi per deglutire via tutti quei brutti pensieri.


"No, papà, Eric non è più un problema ora. Si tratta di Taylor." sfiatò, a disagio. "Taylor, insomma, mia…"


"Sorella." finì Allyson per lei.


A queste parole, Oliver assunse un'espressione stupita che palesò quanto non si aspettasse di sentire quel nome: "Che cos'è successo?"


Allyson spiegò tutta la vicenda, tralasciando volutamente la parte in cui Tessy aveva preso in giro la sorellastra. Gli raccontò della festa, dell'avvenimento che aveva fatto sì che la perdessero di vista, della sua misteriosa scomparsa. Poi disse della visita di Tessy ad Amanda e della profonda inquietudine della donna.


"Oh, ma è terribile." commentò Oliver, la perenne mania di reagire come nei film. "Non risponde nemmeno ad Amanda?"


"No, ha il telefono spento." confermò Tessy, spaventata.


"Beh, è possibile che si sia allontanata. Non vi preoccupate, la farò rintracciare usando la scheda del suo cellulare."


"E se l'avesse perso?" chiese Allyson, assalita dal dubbio e dal rimorso.


Oliver guardò fuori dalla vetrata, pensieroso.
L'avrebbe fatto rintracciare comunque e poi avrebbe avvertito la polizia.
Sì, avrebbe fatto così.
E poi magari avrebbe parlato con quel suo amico alla centrale. E avrebbe coinvolto l'unità cinofila, se fosse stato necessario.


Ma era meglio non affrettare le cose e affrontare il problema con calma. Magari si era solo allontanata e sarebbe tornata entro sera. Sì, sicuramente era andata così.


Chissà come si stava sentendo Amanda,
però.


Il suo pensiero andò subito alla donna occhialuta e apprensiva da cui aveva divorziato parecchi anni indietro. La conosceva abbastanza bene da poter immaginare quanto fosse preoccupata in quel momento e pensò che era meglio andare a trovarla, appena finito il turno di lavoro.


Avrebbero aspettato Taylor assieme, le avrebbe fatto piacere avere lui accanto.


E poi, anche lui era in pensiero per sua figlia Taylor, anche se non le parlava da molto tempo. Sperava che si trattasse di qualche ripicca e che ben presto sarebbe tornata sui suoi passi. Si sentiva positivo a riguardo; probabilmente sarebbe successo proprio così.






"Ma non ti stanchi mai di blaterare?"


Jeremy non ce la faceva più.
Aveva passato una notte insonne a causa delle continue preghiere di Taylor. Preghiere autentiche, di quelle con genuflessione e palmi uniti, di quelle che, se solo non si fosse sentito in colpa per lo schiaffo, avrebbe zittito molto volentieri.


Pregava a bassa voce, a volte in lingue a lui incomprensibili e continuava a rivolgersi a Dio come se fosse stato la polizia ("Ti prego, trova delle tracce, segui il mio odore con i cani, arresta Jeremy e Alex,..."). Lei non aveva dormito e lui neanche. Solo Alex ci era riuscito, allietando le orecchie già disturbate di Jeremy con il suo beato russare. Una notte davvero piacevole.


Al mattino Taylor aveva passato mezz'ora in bagno e lui aveva dovuto minacciarla di alzare il prezzo del riscatto per farla uscire. Ora stava camminando con lei, mano nella mano –
e non nel senso romantico del termine – per un vicolo di Cirencester, con Alex alle sue spalle e la voce tartassante della ragazza costantemente nelle orecchie.


"La colazione è il pasto più importante della giornata, non lo posso saltare, oppure sarò nervosa e irritabile per tutto il resto della giornata."


"Oh, peggio di così non puoi di certo diventare."


"Mi stai sfidando? Quando sono nervosa parlo davvero moltissimo. Molto più di adesso, dico anche cose senza senso. Tipo, potrei affermare di essere una cantante pop molto famosa o un'icona del cinema. Una volta, a pensarci, mi è anche successo. Succede a molte persone, penso sia una sindrome o qualche patologia simile. Una volta un tizio che non mangiava da due giorni era convinto di essere Madonna e ha cominciato a cantare le sue canzoni a squarciagola per tutta la città. Forse lo hanno arrestato ed è finito sulla gazzetta di Bourton, ma poi-"


"Taylor!" esclamò Jeremy esasperato. "Basta, ti prego."


Lei sorrise compiaciuta. Non gli avrebbe lasciato pace finché non l'avesse liberata, era parte del suo piano malefico: "Te l'ho detto, è una condizione involontaria. Non ci posso fare nulla, è più forte di me. Pensa che ogni tanto ho pure dei cali di zucchero e lì sì che sono guai! Vado avanti a dire qualsiasi cosa mi passi per la mente. Ad esempio-"


"Dimmi, lo fai apposta?" la prese per le spalle e la fece fermare di fronte a lui. La guardò con una serietà tale che i suoi occhi sembrarono farsi più scuri, di un azzurro elettrico che minacciava potenti scosse al solo avvicinarsi.


"Può darsi." rispose lei, altezzosa. "Non so cosa dico, perché non ho fatto colazione e ho un calo di zuccheri."


Era difficile non cedere a quelle iridi cristalline, constatò. In più, lei non era mai stata capace di mentire.


Sperò che Jeremy non avesse intenzione di ripetere la performance del giorno prima, altrimenti gli avrebbe staccato le palle a morsi. Aveva deciso che non si sarebbe più fatta prendere alla sprovvista; non da lui, per lo meno.


"Non mi fai fesso facilmente, mocciosa."


Taylor sbuffò: quel ragazzo era tanto perspicace quanto indisponente. Lo odiava ogni secondo di più.


"Posso almeno sapere dove mi stai portando?" tentò, maledicendo il marciapiedi discontinuo che la faceva inciampare ogni due metri.


"Qui." rispose lui aprendo una cabina telefonica e spingendola malamente all'interno.


Fece segno ad Alex di rimanere fuori di guardia e poi entrò a sua volta, assicurandosi che la porta forse ben chiusa. Le mise una manetta al polso, mentre agganciò l'altra al suo, in modo che lei non potesse scappare. 


"Non ci credo, hai pure queste!" esclamò lei, stringendosi nell'angolo. "Non oso pensare che cosa conservi nel baule. Fruste e catene, forse. O un cadavere."


"No, il cadavere no, ma posso rimediare facilmente." le lanciò un’occhiata significativa.


"
Haha." disse, non troppo rilassata, cercando di evitare il contatto fisico con il ragazzo. Ma servì a poco, perché lo spazio era davvero piccolo. 


"Ahia, Heavens, mi hai pestato un piede con quei maledetti tacchi!"


"Scusa, non ti avevo visto." commentò lei, sarcastica.


"Davvero simpatica. Credo che userò quegli arnesi per cucirti quella bocca durante le prossime notti."


"
Allora sappi che pregherò col pensiero fino a entrare nel tuo subconscio."


"Io non ho subconsci." ribatté lui. "Ho solo un'anima al servizio del diavolo. Gliel'ho venduta per comprarmi le sigarette."


"Lo vedo da tutti quei punti demoniaci che hai sulla faccia, sono la firma del male."


Jeremy non l'ascoltò; infilò qualche gettone nell'apposita fessura e cominciò a digitare il numero.


"Chi stai chiamando, demone?"


"Ordino una pizza." la schernì lui, poi si fermò un secondo prima di premere l'ultimo tasto e prese un respiro.


"Lor, ascoltami bene." incatenò i suoi occhi a quelli della ragazza e si fece improvvisamente serio. "Adesso parlerai solo quando te lo dirò io e non farai scherzi, altrimenti saranno guai seri per te."


"Perché? Che stai facendo?"


"Non fare domande." la redarguì. "Fai la stupida e aumenterò ogni volta il prezzo di mille sterline."


"Non capisco."


"Sto per chiamare tuo padre." spiegò lui, in tono d'ovvietà.


Taylor per poco non scoppiò a ridere: "Mio padre?" era esilarata e stupita allo stesso tempo. "Senti, Jeremy, faresti prima a tornare a Bourton e rapire Tessy, perché io un padre non ce l'ho."


Il ragazzo la guardò confuso: "Non eri la sorella di Tessy Heavens? Oliver deve essere tuo padre."


Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo. Ecco, ora aveva nominato lui e tutto era precipitato nel baratro dell'imbarazzo, dell'inadeguatezza, della commiserazione.


"Oliver non sa nemmeno quanti anni ho." spiegò con voce sommessa. "L'unica cosa che sa di me è che sono nata per colpa sua e il nome che porto l'ha deciso lui, come del resto il cognome."


Non lo vedeva, ma si sentiva il suo sguardo puntato addosso. Sentiva che doveva temere anche lui, come aveva temuto tutti da quando aveva 'perso' suo padre e aveva dovuto spiegarlo alla gente. Temeva di essere compatita, non lo sopportava, perché andava solamente a infierire sul male che Oliver le aveva già fatto.


L'unico sollievo che provava
in quel momento era sapere che Amanda non c'entrava. Tutto lo spettacolino di Alex e Jeremy serviva per spillare qualche soldo a suo padre. Da una parte ne era felice, dall'altra non poteva esserlo del tutto, perché se le fosse successo qualcosa, sua madre avrebbe comunque sofferto. Ma almeno ora aveva capito il senso del loro piano, sapeva quale sarebbe stato il suo destino, e anche quello dei suoi rapitori.


"Mi spiace, Jeremy." disse alzando di nuovo gli occhi sui suoi e trovandoli inopportunamente curiosi. "Se erano soldi quelli che volevi, dovevi usare qualcun altro per averli. Lui non si preoccuperà mai per me."


Il ragazzo sentì di nuovo quella strana e invadente rabbia addosso. Era dalla sera in cui aveva rapito Taylor che non tornava a fargli visita e lui quasi se n'era dimenticato. Era qualcosa che si attorcigliava al suo petto, che non poteva controllare e nemmeno fermare. E più guardava Taylor, più stringeva.


Non riusciva a spiegarsi perché, ma in qualche modo maltollerava quelle parole, quello sguardo triste, quella sofferenza nella voce della ragazza che gli stava di fronte.


Come aveva fatto
quell’Heavens a indurre sua figlia ad odiarlo?
Com'era possibile che
lei avesse una tale opinione di lui?
Lui l'aveva visto Oliver di tanto in tanto,
per le strade di Bourton. Non gli pareva un tale stronzo. Certo non sarà stato il padre perfetto, ma non riusciva nemmeno a immaginare che uno così potesse essere cattivo. I padri cattivi erano tutto un altro genere.


Avrebbe voluto
parlarne con lei, capire di più, ma non avrebbe avuto senso. Non in quel contesto, almeno, non con quella razza. Taylor era solo una spina nel fianco e probabilmente stava inscenando tutto per impietosirlo e farla franca con classe.


Nuovamente provò rabbia, ma stavolta era nei confronti di quella mocciosa.


"Non è detto che tu abbia sempre ragione, Lor." disse premendo finalmente l'ultimo tasto.


--

Oliver camminava verso l'appartamento che non visitava da anni. Il vialetto con gli abeti, le cancellate arrugginite, le eliche che coprivano il terreno. Sembrava che per di lì il tempo non fosse passato.


Poi vide l'edificio lattiginoso, reso ancora più bianco dal freddo. Era strano pensare che in realtà l'avesse comprato lui. Era familiare, ma molto distante. 

Stava giusto riflettendo su come entrare e introdursi ad Amanda, quando il suo cellulare vibrò nella tasca.


"Pronto?" rispose, felice di dover scacciare quell'arduo pensiero.


"Parlo con il signor Heavens?" disse l’eco di una voce sconosciuta dall'altro capo del telefono.


"Ma certo!" rispose lui, allegro.


Probabilmente si trattava dell'ennesima offerta da parte dei suoi affiliati per rinnovare il logo della banca. Si dimenticava costantemente di inviare loro un’email, ma l'avrebbe fatto, perché a fine anno regalavano sempre un ottimo salmone norvegese.


"Non sarei così felice, Heavens, se avessi una figlia in pericolo di vita."


A sentire quella frase, l'immagine del salmone nella sua testa si dissolse bruscamente, lasciando posto a quella della piccola Taylor, come lui la ricordava, dispersa chissà dove. Il suo cuore batté più velocemente e si schiacciò il telefono all'orecchio per assicurarsi di aver capito bene.


"Taylor? Lei sa dov'è Taylor Heavens?" chiese, preoccupato.


Dall'altra parte sentì dei rumori di voci soffocate, ma poi ritornò a prevalere quella principale e gli diede una risposta per nulla piacevole: "Lo so e so anche dove finirà, se lei non mi darà quello che chiedo."


Deglutì a fatica. Nei suoi film quella non era mai una frase che portava felici avvenimenti.


"Ok...ok." inspirò a fondo, cercando di mantenere la calma: "Tutto quello che vuole, ma non le faccia niente."


"Non le hanno insegnato a dire 'per favore'?"


"Per favore." obbedì lui, come un cane agli ordini del padrone.


--

Jeremy roteò gli occhi: Oliver era proprio ingenuo come gli avevano detto.


Lentamente, guardandola negli occhi, levò la mano dalla bocca di Taylor e le fece cenno di parlare.


Taylor fu presa in contropiede.


Era spaventata, più da quella cornetta che da Jeremy. Non sapeva cosa dire.


Era strano e incredibile sentire la voce di suo padre dopo tanto tempo. Ma, soprattutto, la preoccupazione
che lui mostrava nei suoi confronti era indecifrabile, non sapeva se fosse vera o se recitasse. Non sapeva chi ci fosse dall'altra parte del telefono.


Jeremy
si spazientì e le intimò di parlare, mettendo una mano sul rigonfiamento della tasca, dove stava la pistola.


--

Quel silenzio era da cardiopalma per lui, povero banchiere non abituato a situazioni fuori dall'ordinario. Pensava che avrebbe avuto un infarto e che non si sarebbe mai aggiudicato quel salmone. Pensava che non sarebbe mai riuscito a salvare Taylor.


A un tratto, però, la voce di sua figlia gli fece tirare un sospiro di sollievo.


"Oliver."


"Taylor! Oh Gesù Bambino, stai bene?"


"Di' alla mamma che sto bene! Diglielo!" disse lei, prima che qualcuno la zittisse di nuovo.


"Ottimo." riprese la voce profonda e maschile che aveva guidato la telefonata fino a quel momento. "Per ora la mocciosa è tutta intera. Tuttavia…"


Oliver sentì un suono metallico che gli fece venire la pelle d'oca e poi
il mugolio sommesso di Taylor. Il suo cuore si fermò per un istante e credette davvero di morire.


--

Taylor incenerì Jeremy con lo sguardo.

Le aveva appena pestato un piede e continuava a muovere il polso per far tintinnare le loro manette vicino al ricevitore.


Era davvero furbo, anche se, a suo parere, avrebbe fatto prima a puntarle la pistola addosso. Non ci sarebbe stato bisogno di fingere che lei prendesse paura, perché era puramente terrorizzata da quell'arnese alla sola vista.


--

"Tutto ciò che deve fare." continuò allora la voce. "È trovare due milioni di sterline entro la vigilia di Natale."


Per poco Oliver non cadde lungo disteso sull'asfalto: "Du-due milioni??"


"E un penny." aggiunse lui.


"Ma io...io non ce li ho...no-non so dove...come…"


"Mi hanno detto che lei è un uomo ricco."


"Non così tanto, mio Dio!"


"Beh, le conviene rimboccarsi le maniche, allora, e soprattutto tenere le cose per sé." la voce si fece più minacciosa. "Mi ascolti bene, signor Heavens, non ne parli con nessuno, nemmeno con il suo gatto, nemmeno con il suo riflesso allo specchio di mattina. Nessuno deve sapere la verità, nessuno, altrimenti Taylor-"


Tu... tu... tu... tu... 


--

Jeremy riattaccò e tolse la mano dalla bocca di Taylor. 


"Sei un pezzo di merda!" gli urlò addosso la ragazza, finalmente a conoscenza del grande piano, cercando di sfilarsi la manetta dal polso e contemporaneamente di picchiarlo.


"Calmati un secondo, nana, ferma!" immobilizzò le mani della ragazza contro il vetro della cabina e si guardò attorno per controllare l'attività nella strada. "Dovresti solo ringraziarmi." sfiatò contro di lei, una volta accertatosi che fosse ancora deserta. "Ti sto facendo un favore."


"Davvero? Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi rapita!"


"L'averti rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."


"Lo fa perché ha paura, Cristo santo!" ruggì lei. "Ha paura che questa storia venga fuori, ha paura di fare una figuraccia con il mondo, con i suoi colleghi, con la figlia fortunata, che lo idolatra come un dio! Se tu mi uccidessi adesso, tirerebbe un sospiro di sollievo e ti pagherebbe un migliaio di sterline per nascondere il mio corpo in modo che tutta la faccenda venga dimenticata per sempre! Ma non può farlo! Non può perché ha una reputazione e un'immagine da difendere e aspetta che io ritorni da lui per raccontare alla stampa le sue gesta eroiche nell'avermi trovata!"


"Quante cazzate." commentò lui, seccato da quel comportamento infantile.


Aprì la cabina con un calcio, tirandosi dietro la ragazza, rossa di rabbia e con gli occhi lucidi: "Se tu sapessi cosa significa essere abbandonati da un padre, non diresti che sono cazzate! Non mi conosci, non hai la minima idea di quello che ho passato e non ti permetto di criticarmi!"


"Senti, Taylor." ribatté lui, strattonando il polso per costringerla a calmarsi. "Nemmeno tu conosci me, ok? Quindi smettila di fare la vittima. L'unica cosa che mi interessa sono quei soldi, tutto il resto può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte tuo padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila di-" avrebbe voluto dire molte cose, ma scelse la più diretta. "Scocciarmi."


Alex si avvicinò ai ragazzi: "Non vi si può lasciare soli un momento, voi due." scherzò, bonario.


Questa volta lo sguardo omicida arrivò da due paia di occhi, così troncò subito la voglia di scherzare e si schiarì la voce rivolgendosi al suo amico: "Fatto?"


"Sì, torniamo all'hotel. La principessa ha fame."








Oliver si sedette sul bordo della strada, sulle eliche, prendendosi la testa tra le mani.


Due milioni di sterline? Non li avrebbe mai trovati. Mai.

Cercò di fare qualche conto, comprendendo i suoi fondi e i suoi guadagni, ma la quota era comunque troppo bassa. E la vita di Taylor dipendeva solo da lui.


Perché proprio lui? L'uomo che affidava tutte le sue responsabilità a Katriona, la sua segretaria, e i suoi conti a Edoardo, il suo amministratore. L'uomo che come più grande aspirazione, solo pochi minuti prima, aveva di ricevere un salmone norvegese in omaggio.


Ora non sapeva cosa fare, cosa pensare. Non aveva nemmeno più il coraggio di presentarsi ad Amanda, pensando che avrebbe dovuto fingere di non sapere nulla.

Che cosa le avrebbe raccontato? Era bravo a copiare le battute, ma non era un attore.


Non poteva nemmeno tornare da Tessy ed Allyson, così fragili e preoccupate, sapendo di dover mentire. Avrebbe distrutto quattro cuori; cinque, se si comprendeva anche il suo.


"Oliver?" una voce femminile, bassa e stanca, gli fece alzare lo sguardo.


"Amanda!" esclamò trovandosi davanti l’ex-moglie e dipingendosi istantaneamente di bianco.


Ecco come si sarebbe introdotto
a lei. Così, come un padre che nasconde qualcosa su sua figlia, pallido in volto e con il culo dello smoking coperto di eliche.


"Stai male?" chiese la donna, notando subito la sua tensione e il colorito poco promettenti.


"Ehm, no. Non proprio. Stavo riflettendo."


"Riflettevi proprio qui?" alzò le sopracciglia. "Immagino che tu sia venuto perché Tessy ha parlato con te." disse, la voce colma di speranza e aspettativa.


"Sì, mi ha detto tutto." asserì.


Il problema più grande di tutta quella situazione era che Oliver non era mai stato capace di mentire. E su questo, Taylor aveva preso da lui.


"Oh, Oliver, farai qualcosa vero? Manderai la polizia a cercarla?"


"No!" gridò lui, quasi involontariamente.


"Come no? Pensavo che fossi preoccupato anche tu, che volessi aiutarmi."


"No, Amanda, intendevo dire che..." tentò di rimediare. "...che userò le mie risorse per trovarla."


"Le tue risorse?"


"Beh, sì, le mie-le mie conoscenze. Vedrai che...presto o tardi..." farfugliò sperando che la sua ex-moglie non volesse questionare oltre. Aveva già abbastanza a cui pensare, senza che lei diventasse un’ulteriore fonte di preoccupazione.


"Presto o tardi? Oliver, che cosa succede?"


L'uomo pensò che quella donna fosse fin troppo sveglia e che lo conoscesse fin troppo bene. Lui non era mai stato alla sua altezza e aveva sempre puntato ai sentimenti, perché non poteva battere la sua arguzia.


"Sono solo preoccupato."


Amanda lo guardò con dolcezza, come se fosse ancora il suo vecchio Oliver, che quando non sapeva cosa dire, faceva uno dei suoi larghi sorrisi e le sussurrava 'Ti amo', tenendole le mani. Sapeva che era veramente in pensiero, e questo le diede speranza.


"Anch'io lo sono." disse, prendendo coraggio. "È per questo che io ho bisogno di te. E Taylor ha bisogno di noi. Per una volta, Oliver, dopo tanto tempo."


"Già." lui si allentò il colletto del cappotto, la testa che iniziava a vorticare.


"Mi aiuterai a trovarla?"


"Ma certo, Amanda."


"Farai tutto ciò che è in tuo potere per aiutare nostra figlia?"


Lui deglutì a fatica. Con questo stava firmando la sua rovina, lo sapeva, ma dopotutto non aveva altra scelta.


Lo avrebbe fatto per Taylor e non l'avrebbe lasciata questa volta. Non avrebbe potuto; per lei, per se stesso, per Amanda, per Tessy e per Allyson. Avrebbe trovato quei soldi, in un modo o nell'altro, a qualsiasi costo.


"Lo farò, Amanda."






A Jeremy non piaceva per nulla quella situazione.


Si sentiva tremendamente in colpa nei confronti del signor Heavens, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora di prendere i suoi soldi e concludere l'affare. Voleva tornarsene a casa, voleva chiudere con quella storia.


Taylor gli stava dando troppi problemi ed era dannatamente insopportabile; ogni passo di quel piano rappresentava un’impresa per lui, sentiva che tutto andava giorno per giorno nel verso le sbagliato. E se doveva essere sincero, il futuro non si prospettava molto più promettente.


Odiava tutto di Taylor: il suo modo di fare, il suo essere così sfrontata e orgogliosa, la sua perspicacia, la sua furbizia. Gli dava fastidio in tutto il suo essere e ciò non andava per niente bene.


Lui era abituato a un rapporto distaccato con le persone, eppure con Taylor non riusciva a essere distaccato. Si faceva condizionare dal suo maledetto comportamento infantile e da quello sguardo di sfida. Rischiava sempre di perdere il controllo e rovinare tutto, come l’altro giorno, in cui per poco non si faceva sentire da mezzo vicinato nei pressi della cabina telefonica.


Lo mandava su tutte le furie, lo deconcentrava e lo raggirava con i suoi giochetti. Gli stava facendo sprecare troppe energie, sabotando indirettamente tutto il gran lavoro che lui doveva fare per mantenersi in vita.


E si sentiva stanco, tremendamente stanco. Di tutta la situazione, di Taylor, di se stesso. Voleva solo chiudere con quella storia, o chiudere gli occhi e dormire.


Si distese sul letto, accantonando la scatola vuota della pizza e fissò il soffitto, assopendosi piano piano.



--



Taylor si fermò ai piedi del letto. Era appena uscita dalla doccia, i capelli bagnati raccolti in uno chignon e addosso l’accappatoio che le avevano dato i ragazzi. Non sapeva a chi dei due appartenesse, ma voleva ben sperare che fosse di Alex.


Guardò Jeremy disteso supino sul letto, l'espressione serena e le labbra socchiuse dal sonno. 


Avrebbe potuto rimanere a fissarlo per ore, perché in quella posizione sembrava tutt'altro che l'odioso ragazzo che l'aveva rapita. Sembrava quasi un angelo, pallido e provato. Stanco di volare a fare miracoli.


Sorrise tra sé per l'amenità che aveva pensato; Jeremy un angelo,
tzè! Un demone, piuttosto. Un demone stronzo e lentigginoso.


Era sicura che nascondesse qualcosa di misterioso,
qualcosa di cui non parlava, ma che lo preoccupava a morte. Cos'era che spaventava Jeremy? Il guaio in cui si era cacciato? La possibilità che Oliver dicesse qualcosa? La polizia? Non lo sapeva e probabilmente non lo avrebbe saputo mai. Non era uno che si lasciava leggere facilmente.


Una cosa era certa, però: non lo sopportava. I suoi modi erano incivili, il suo atteggiamento inumano, il suo menefreghismo raggiungeva livelli
inauditi. Non riusciva a trovare nulla di buono in lui, nulla di giusto.


Sospettava che ormai fosse addormentato, perché il suo respiro si faceva sempre più lento e profondo, così buttò l'occhio sulla porta della camera. A pensarci, quella era davvero un'occasione d'oro. Ma gli lanciò un'altra occhiata indecisa e rimase immobile.


Perché si sentiva così combattuta tra lo scappare e il rimanere sua prigioniera in quello stupido hotel? Non avrebbe dovuto aver alcun dubbio, prendere la porta e scappare a gambe levate, eppure…


Temeva di fargli un torto, forse? Temeva la sua reazione?


Taylor si scrollò e pensò a sua madre. Alla sua adorata mamma e a quanto le voleva bene. Non poteva lasciare che si preoccupasse, non poteva permettere che Jeremy le facesse passare questo. Non poteva arrendersi.


Così si avvicinò alla porta molto cautamente e afferrò la maniglia, rabbrividendo per quel freddo contatto. Con la mano tremante, la abbassò cercando di non fare rumore e quando la serratura scattò, chiuse gli occhi e trattenne il fiato.


Non successe nulla. Controllò dietro di sé e fortunatamente il ragazzo non si era mosso di una virgola, continuava a dormire beatamente.
Spinse la porta lentamente, il fiato sospeso, fino ad aprirla del tutto.


"Dove pensi di andare, bambolina?"


Taylor sussultò e fissò la persona che aveva davanti a sé; questo non ci voleva. Il bel moro la guardava dall'alto con la solita espressione stupida, in attesa di una risposta.


"Al bagno." rispose lei, deglutendo sonoramente e sperando di suonare convincente.


"Ok." ribatté lui con un'alzata di spalle e la lasciò passare.


Non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso, lei passò oltre e senza destare sospetto, voltò l'angolo del corridoio.


--

Alex seguì la ragazza con lo sguardo ed entrò in camera, lasciando a terra lo zaino che aveva appena rifornito per la partenza del pomeriggio.


Era strano che
Taylor volesse andare al bagno quando era evidente che ne fosse appena uscita. Anzi, era strano che avesse avuto bisogno di uscire quando ne aveva uno proprio in camera.


"Oh, cacchio." mormorò ricevendo l’illuminazione.


Lanciò uno sguardo a Jeremy assopito sul letto mordendosi il labbro, poi uscì precipitosamente dalla porta: "Taylor!"


Corse lungo il corridoio, guardandosi a destra e sinistra per controllare che non si fosse nascosta. Non la vide e allora scese i gradini due a due arrivando fino al primo piano. Fortunatamente faceva molta palestra e il fiato non gli dava problemi. E, fortunatamente, i corridoi erano più vuoti di un deserto.


La vide mentre stava correndo verso la rampa di scale e riuscì a raggiungerla prima che lei le imboccasse. Le si parò davanti e in un rapido gesto, le immobilizzò le braccia.


"Lasciami andare!"


"Eh, no, bambolina. C'hai provato a fregarmi, ma io non sono così...poco furbo."


Lei si dimenò pestandogli i piedi e prese a urlare più forte: "Aiuto! Aiutatemi, AIUTO!"


Sperava che qualcuno aprisse la porta della sua camera per vedere cosa stesse succedendo, ma apparentemente in quell'hotel non c'era davvero un'anima.


"Ehi, dacci un taglio!" le intimò Alex, mettendole un braccio attorno alla vita e una mano sulla bocca.


Per tutta risposta, Taylor gli sferrò un calcio alle parti intime, gesto che gli fece istantaneamente mollare la presa sulle sue labbra.


"Mi hanno rapito e mi stanno facendo del male!" gridò lei. "Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti!"


Alex si accovacciò sputando maledizioni a raffica sulla mira delle donne; con una mano cercava di tenere Taylor più stretta possibile a sé e con l'altra, beh...quando fa male, fa male. 


"Che diavolo dici, Taylor?" mormorò quasi in una supplica, mentre lei non voleva sentire ragioni.


"Vi prego, qualcuno mi aiuti!"


Cercava di liberarsi da quello scimmione reggendo l'accappatoio che lentamente lasciava scoperte le spalle. Se c'era una cosa che proprio la faceva imbestialire, era essere anche solo sfiorata da quel tipo tutto fumo e niente arrosto: non aveva il minimo tatto, non aveva il minimo rispetto, non aveva la minima consapevolezza che lei fosse una ragazza e che non stessero facendo lotta libera.


"Che cazzo succede?"


Quella voce la fece letteralmente raggelare e guardò in su con il cuore che pulsava nella gola, per niente felice di incontrare la figura del suo rapitore numero uno sulle scale.


Alex gemette di dolore e si rivolse a Jeremy senza mollare la presa: "Ciao, Bella Addormentata. Ho appena subito una castrazione naturale."


Il biondo fissò di nuovo la scena nel complesso e aggrottò le sopracciglia: "Che cosa stavate facendo? Alex?"


"Stavamo giocando a carte, non vedi?" esclamò Taylor, facendo leva sul braccio del ragazzo attorno alla sua vita. "Lasciami andare, stronzo!"


"Hai provato a scappare, non è vero?" sibilò in direzione di Taylor. "E tu lasciala andare." disse ad Alex, riservandogli uno sguardo sprezzante. "Direi che non è proprio il luogo più adatto per certe cose."


Esaurì la distanza tra di loro in poche falcate, afferrò il polso della ragazza e Alex si accasciò finalmente a terra, dolorante. 


"La prossima volta se il letto è troppo occupato da me, svegliatemi, ok?" lanciò un altro sguardo di disgusto al suo amico e salì di nuovo le scale, trascinando Taylor dietro di sé.


"Senti, Tarzan della giungla, con Kerchak non è successo nulla, puoi stare tranquillo." gli disse mentre cercava di divincolarsi dalla sua stretta. "Magari invece di preoccuparti dei suoi impulsi sessuali, preoccupati della sua scarsa elasticità mentale. Ti sei scelto un braccio destro un po' monco, se devo essere sincera, per poco non mi accompagnava alla porta e mi chiamava un taxi."


"Heavens, puoi chiudere quella cazzo di bocca per un solo secondo?" Jeremy la inchiodò di colpo allo stipite della porta, facendola sussultare e fissandola con un odio che faceva quasi male. "Devi smetterla con questi giochetti, è chiaro?" il suo respiro congelò le gocce che aveva ancora sul collo e sui capelli. "Se provi ancora una volta a fare cazzate, giuro su Dio che ti ammanetto al termosifone e ti lascio morire di fame e di sete. Tu non hai idea di quello che stiamo rischiando qui, quindi adesso ti chiudi in questa stanza e stai zitta fino alla vigilia di Natale, mi sono spiegato? Non voglio più sentire la tua stupida voce e se ti azzardi a muovere un solo muscolo d'ora in poi, non esiterò a piantarti una pallottola nelle gambe."


Sopportando a fatica il suo sguardo terrorizzato, la spinse in camera e chiuse la porta a chiave. Poi, scese di nuovo al primo piano, il respiro affannato e il battito veloce, e rimase impalato a osservare Alex mentre cercava di ricomporsi.


"Questo è troppo." disse, il tono gelido.


"Lo so, Jerry, mi dispiace. Ma non c’era nessuno, non ci hanno visti, né sentiti. Avevi ragione; quest’albergo è proprio vuoto."


"Mi dispiace, Alex?" sbottò lui. "Mi dispiace lo dici alla tua fidanzata."


Il moro lo guardò perplesso: "Che cosa c'entra, adesso?"


Jeremy gli si avvicinò, furente: "Come hai potuto provarci con Taylor in una situazione del genere? E, soprattutto, che cosa le hai fatto?"


"Ehi, calmati amico, io non le ho fatto proprio niente!"


"Ah sì? Beh, sembrava davvero che te ne stessi approfittando per metterle le mani addosso, mentre era mezza nuda nell’accappatoio. Sarebbe anche molto da te, tra le altre cose."


"Jeremy, io la stavo solo trattenendo!" si difese. "Te lo posso giurare su Betsie, Jerry, stava provando a scappare e dovevo fermarla. Ma quella è davvero indomabile, Cristo santo, e non è colpa mia se le hai dato un accappatoio che non le sta nemmeno addosso! Se vuoi saperlo, e tra parentesi grazie per l’interessamento, è lei che ha fatto qualcosa a me, con quel calcio nelle palle che manco Chuck Norris."


"Forse non dovevi lasciarla scappare in primo luogo." ribatté lui, freddo. "O forse bastava che mi allertassi."


"Oh, ehi, scusami se non mi è avanzato il tempo di dirti che il nostro ostaggio stava tagliando la corda. Ma si può sapere che cazzo ti prende?!"


"Mi prende che Taylor è la mia vita, ok?" gridò lui, la voce tremante di rabbia. "E quando dico 'la mia vita' intendo in senso letterale. Forse la situazione non ti è ancora chiara, Alex, ma io qui rischio di morire ogni secondo che passa. Io dipendo da lei e se dovesse capitarle qualcosa, qualsiasi cosa, avrebbe dirette conseguenze su di me!"


"Oh, molto egoista, davvero, dopo che mi sono quasi ucciso in questa merda di scale per fermarla!"


"Non dovevi lasciarla scappare!"
lo aggredì lui, su tutte le furie. "E non dovevi nemmeno toccarla! Non deve succederle niente, niente, se non vuoi che succeda qualcosa a me!"


"
Ah sì, Jeremy? Allora ricordami chi di noi due le ha dato uno schiaffo in piena faccia, dato che ci tieni così tanto alla tua vita!"


Il ragazzo gli voltò le spalle e scese le scale furioso, senza proferire altro.


Jeremy rimase
impalato, guardandolo andare via, senza riuscire a muovere un muscolo. Aveva l'espressione di chi si è appena reso conto di aver esagerato alla grande e una confusione indicibile nella testa.

Che cosa aveva fatto?


"Porca puttana!" sibilò a mezza voce, contro se stesso, mentre dava un calcio alla moquette.


Ecco cos’era successo: aveva perso di nuovo le staffe. E di nuovo per colpa di Taylor. 


Quando aveva visto i due così aggrappati, lei quasi nuda, quella famosa morsa gli aveva attanagliato lo stomaco ancora una volta. Era stato più forte di lui. Non avrebbe dovuto arrabbiarsi, in fondo Alex era libero di provarci con chiunque, persino con Taylor, se voleva. E, comunque, aveva capito che non c'entrava il provarci, ma che l'aveva salvato da un eventualità ben più grave.


Era come se fosse stato accecato per qualche minuto. Non ci aveva visto più, non aveva capito più niente, e aveva reagito in modo completamente sbagliato.


Era vero che quando c'era Taylor di mezzo, c'era inevitabilmente pure lui, ed era tutto molto controproducente. Da una parte, il pensiero che fosse così legato a lei lo spaventava a morte, ma dall’altra, quella ragazza lo mandava fuori di testa e scatenava in lui le reazioni peggiori. Che fosse del tutto colpa di Taylor? No.


Il suo amico aveva ragione: la colpa era solo di Jeremy. Lui era stato il primo a darle uno schiaffo, lui e solo lui metteva costantemente a rischio la propria vita e ora se l'era presa ingiustamente. Era colpa sua e sua soltanto se era arrivato a quel punto. Non di Alex, non di Taylor, ma solo sua.


E
allora perché? Perché lei lo mandava così fuori circuito?






In macchina nessuno parlava. 


Si stavano allontanando da Cirencester per arrivare in un altro paesino nel Cotswolds. Alex era alla guida, Jeremy fissava fuori dal finestrino, assorto, mentre Taylor scarabocchiava qualcosa sul retro della cartina dell'Inghilterra.


Erano circondati dalla sera e qualche fiocco di neve cadeva pigramente sulla strada. La ragazza cominciava ad avere freddo, indossava lo stesso vestito che aveva alla festa di Tessy e la sua giacca bianca, ma i collant non offrivano tutto questo tepore.


Continuava a chiedersi che diavolo fosse successo tra quei due. Non si erano ancora rivolti la parola e, sebbene ipotizzasse che il recente avvenimento avesse fatto infuriare Jeremy, non capiva perché entrambi fossero così silenziosi e rigidi.


Non avevano mai litigato fino a quel momento, quindi non era abituata a considerarli come due individui in conflitto. Le faceva strano, le dava una bizzarra sensazione spiacevole. Forse era anche a causa della minaccia che gravava su di lei. Non aveva mai visto Jeremy così arrabbiato, nemmeno il giorno in cui le aveva dato uno schiaffo. Pensava che d’ora in poi non le avrebbe reso la vita facile e si sentiva allo stesso tempo furiosa e mortificata. Per questo nemmeno lei interagiva con loro, né osava blaterare come il suo solito per dare fastidio. Si limitava a disegnare e immaginare cosa stesse succedendo a Bourton, ad Allyson, a sua madre, a Oliver.


La suoneria di un cellulare la distrasse dal suo tentativo di ritrarre il paesaggio e si mise sull’attenti, osservando in silenzio ciò che succedeva davanti.


Jeremy scambiò uno sguardo preoccupato con Alex, dimenticandosi per un momento di tutte le tensioni: il suo cellulare suonava molto raramente e sempre per questioni negative.
Premette la cornetta verde, intimando alla ragazza sul sedile dietro di rimanere in silenzio.


"Che cosa vuoi?" fu il suo 'Pronto?'.


"Mio caro Parker, come mi diletta il suono della tua voce."


"Taglia corto, Cordano."


L'uomo dall'altra parte schioccò la lingua: "Hai fatto ciò che dovevi fare? Hai la ragazza?"


"Sì, è qui con me." lanciò un'occhiata a Taylor.


"E così dovrei crederti, Parker?" l’uomo rise, falso come un dado truccato. "Non sono stupido; Tessy Heavens è ancora a casa con suo padre, bella e tranquilla davanti al caminetto strepitante."


"Lo so. Infatti c sua sorella qui con me, Taylor Heavens." spiegò, serrando la mascella. Pensò che tutto ciò non fosse altro che il frutto di un suo banale errore. Un errore da pivello che non aveva fatto altro che complicare ogni singolo dettaglio di quel già impossibile piano.


"Oh." fu la risposta dell'uomo. Un 'oh' che poteva preannunciare una catastrofe, oppure un 'oh' di sorpresa. "Intendi la prima figlia di Heavens? Da dove l'hai tirata fuori, Parker? Dal capello magico?"


"Ti va bene oppure no, Cordano?"


"Mmm." l'uomo parve indeciso, ma interessato. "Dovrò accertarmi del fatto che tu stia dicendo la verità
e che non abbia assoldato un’attrice qualsiasi per recitare la parte."


"È vero quello che dico, Edoardo. È sua sorella." Taylor strizzò il naso a quelle parole. "Il padre ha già acconsentito a pagare il riscatto e ti basterà fare qualche ricerca in loco per accertartene."


"Non ti preoccupare, Parker, ti credo." asserì lui, ridacchiando sprezzante. "Naturalmente ho occhi ovunque ed ero già al corrente di tutto, ma volevo comunque sapere da te come stanno andando le cose."


"Oh, una meraviglia, puoi fidarti sulla parola."


"Sei partito con il piede sbagliato, Parker, non credi? Hai rapito una persona diversa da quella che ti avevo indicato e hai deciso di fare di testa tua. Devo confessarti che questo mi mette dei dubbi circa la tua motivazione e mi spinge a chiedermi: ce la farai a portare a termine la missione?"


"Sì."


"Senza più passi falsi?"


"Ovviamente."


"Ottimo, dunque non ti dispiacerà se manderò Richard un giorno di questi a farti visita. Voglio che si accerti personalmente che hai intenzione di rigare dritto, senza più fare cazzate."


"Beh, se potessi mandare un orsetto gommoso gigante, mi metteresti un po' più in soggezione, comunque il caprone andrà bene lo stesso. Non ho nulla da nascondere, men che meno a quel figlio di puttana."


Taylor si corrucciò nel sentire quel tono così volgare e aggressivo. Poteva giurare che ci fosse dentro anche della paura malcelata e che Jeremy non stesse parlando con delle persone di cui si fidava.


"Caprone, eh?" fece Cordano dall’altro capo del telefono. "Allora comunicherai la tua postazione con un messaggio al mio numero di cellulare e io ti dirò dove e quando tu e il caprone vi incontrerete. E vedi che ci sia anche questa ragazzina, Richard è davvero ansioso di fare la sua conoscenza."


"Signor sì, signore." rispose Jeremy, nauseato. "Mi farò sentire tra qualche giorno e nel frattempo puoi dire al tuo ritardato da passeggio che può cordialmente andarsene a fanculo."


Chiuse la telefonata, mentre Cordano ancora ridacchiava dilettato dal suo fastidio, e ritornò a guardare fuori, in meditabondo silenzio.


"Chi era?" domandò timidamente Taylor, dopo qualche minuto.


"Non sono affari tuoi." rispose lui, secco.


La ragazza si morse un labbro, infastidita ed estremamente curiosa. Non era giusto; voleva sapere, voleva capire.


"Senti, finché mi tenete in questo cesso di macchina contro la mia volontà, tutto quello che vi riguarda riguarda anche me." protestò, incapace di trattenersi. "Non sono così stupida, ho capito che dovremo incontrare qualcuno."


"Finché rimani in questo cesso di macchina tutto quello che devi fare è tacere, Heavens." ringhiò Jeremy, senza nemmeno voltarsi. "Mi sembrava di essere stato chiaro."


"Il tuo essere prepotente ha smesso di impressionarmi." Taylor incrociò le braccia in senso di sfida.


"E il tuo essere logorroica ha smesso di provocarmi." rilanciò lui. "Non mi faccio scrupoli a mantenere le promesse."


Taylor gemette per la frustrazione, incrociò le braccia e sbatté la schiena contro il sedile, esattamente come avrebbe fatto una bambina. Jeremy la osservò dallo specchietto e si fece spuntare un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.


Alex, allora, non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, di un riso un po’ isterico, ma liberatorio. Non seppe perché, ma aveva bisogno di sfogarsi e di allentare quell’orribile tensione che gli chiudeva lo stomaco e lo faceva sentire male.


Dapprima Jeremy lo guardò con perplessità, ma poi anche lui lasciò che il sorriso prendesse piede e si abbandonò all’immotivata ilarità, unendosi alla risata dal suo amico. Si guardarono negli occhi e per un momento tutto fu accantonato. Ci sarebbe stato tempo più tardi per le discussioni e anche per le scuse.


Come sempre, lo sapevano, avrebbero fatto pace. Anzi, l’avevano appena fatta.


Alex aveva capito che Jeremy non voleva essere cattivo. Si era accorto dell’influenza che tutta la situazione stava avendo su di lui e l’aveva perdonato. Jeremy, dall’altra parte, gli aveva chiesto scusa con quello sguardo smarrito e celatamente fragile. Tutto si era risolto in una risata e Taylor, immobile sul sedile dietro, non ci aveva capito assolutamente nulla.

Alex accennò con lo sguardo al cellulare di Jeremy, ma lui scosse la testa; gli avrebbe raccontato tutto più tardi. Non voleva far sapere nulla a Taylor, che, imbronciata come una bambina, si mise a continuare il suo disegno in religioso silenzio.



Il titolo, "Il valore di una vita", è da intendere sia in senso materiale, dato che scopriamo il valore di Taylor in sterline, sia in senso astratto, il valore della vita di Jeremy che corrisponde alla vita di Taylor. #ansia



PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie
Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!


Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
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Capitolo 5
*** Fresh Fish and Hot Thoughts ***


All I want - 5.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Fresh Fish and Hot Thoughts********

"Lor." Jeremy scosse delicatamente la ragazza addormentata nel retro della macchina.

Si erano fermati a Stroud, una piccola cittadina portuale sulla costa a Ovest dell'Inghilterra. Stranamente il cielo aveva regalato loro una giornata di sole, con i raggi caldi che filtravano dai finestrini della vecchia Betsie per distendersi sulla pelle di Taylor.

Mentre Alex era andato a procurare la colazione per tutti, Jeremy stava tentando di svegliarla, con scarso successo. Gli sembrava quasi un crimine non lasciarla riposare, ora che se ne stava zitta e buona. E poi, gli piaceva osservarla così serena.

Rimase a guardarla per un po', la portiera aperta che faceva entrare il freddo e i suoi ciuffi disordinati che si muovevano con l'aria, lasciando spuntare, di tanto in tanto, le due buffe orecchie. Non pareva sentire né il sole sulle palpebre, né la corrente sul viso, né, tanto meno, il respiro di Jeremy sulle sue guance. Eppure era così vicino; sospeso su di lei con un ginocchio appoggiato al sedile e la mano a far leva sul piantone dell'auto.

Una folata portò in alto il profumo di Taylor, di talco e di lavanda, e il ragazzo fu improvvisamente preso da un capogiro. Dovette aggrapparsi alla povera Betsie per non cadere sulla ragazza e prima che si riprendesse passò qualche secondo buono.

Sicuramente si trattava della sua anemia.

Sentiva che si stava aggravando; non assumeva del ferro da un po' di tempo e le pillole che aveva erano poche, doveva conservarle. Non poteva di certo usare i soldi di Cordano, ne avrebbe spesi troppi in un modo che avrebbe destato sospetti.

Le sue cure erano dispendiose e nella sua cartella clinica di quando era bambino era ben noto di che patologie soffrisse. D'altro canto, non osava chiedere nulla ad Alex, perché non voleva esporlo troppo e non voleva pesare ulteriormente, dopo tutto ciò che il suo amico stava già sopportando per lui.

Avrebbe stretto di denti, come aveva sempre fatto, sperando che non fosse accaduto nulla e che fossero venuti tempi migliori.

Si avvicinò ulteriormente e Taylor e le posò una mano sulla spalla per scuoterla. Ahimè, dovette fermarsi di nuovo mentre la testa vorticava e lui non poteva fare a meno di contemplare la dolcezza che esprimevano i lineamenti assopiti della ragazza.

Ma che gli stava prendendo?

Non stava propriamente benissimo, constatò. Non era lucido e faceva pensieri troppo strani. Si schiarì la gola, cercando di riprendersi. Forse era lui quello ad aver bisogno che qualcuno gli desse una bella scossa: "Lor, svegliati."

"PESCEEE! PESCE FRESCO ALLA GRIGLIAAAA!" un pescatore a pochi metri dalla loro macchina gridò così forte che Taylor si svegliò di soprassalto, sbattendo inevitabilmente contro la testa di Jeremy, fin troppo vicina alla sua.

"Ahia!" dissero all'unisono. Lei si massaggiò la fronte, lui si coprì il naso.

"Oh, scusa, scusami." mormorò la ragazza, ricomponendosi e mettendosi dritta sul sedile. Era decisamente sveglia, ora, ma disorientata; si era svegliata troppo brutalmente e per giunta in un paesaggio che non conosceva. Senza contare che vedere i magnetici occhi di Jeremy come prima cosa al risveglio era parecchio destabilizzante.

"Porca troia, Heavens."

Taylor fissò lo sguardo sul volto del ragazzo, allarmata: "Oddio, Jeremy." si ritrasse, inorridita. "Quello è sangue!"

"No, è ketchup. Sai, ne tengo sempre un po' di riserva nelle narici, non si sa mai che capiti un hamburger scondito." sbeffeggiò lui, cercando un fazzoletto o qualsiasi altra cosa potesse tappargli il naso.

In quella stupida macchina c'era solo ferraglia, nulla per pulirsi al di fuori della sua sciarpa. E non avrebbe di sicuro usato quella.

Taylor mugolò qualcosa e chiuse gli occhi, strizzandoli, come se Jeremy emanasse un'insopportabile luce naturale e lei non riuscisse a guardarlo.

"Non mi sembra il momento di giocare a mosca cieca, non pensi?" sbottò lui, infastidito.

"Ti prego esci da qui, non posso vedere il sangue! Non lo sopporto!" si lamentò, tenendo una mano alzata per occultare la visione di fronte a lei.

"Grazie mille, Lor. No, dico sul serio, mi sei davvero d'aiuto. Non so come farei senza di te."

"Hai fatto?"

"No, porca miseria, sto colando come una candela accesa! Dammi una mano!"

"Non ce la faccio, è troppo. C'è sangue dappertutto, Jeremy!"

"È una cazzo di emorragia dal naso, non sto morendo dissanguato!"

"Non ce la faccio!" pigolò, quasi sull'orlo delle lacrime.

"Appena mi libero da questo inconveniente, giuro che ti squarto. Si chiama terapia d'urto; risolve la tua fobia del sangue e la mia seccatura nell'averti appresso."

Taylor socchiuse un occhio, riluttante, e con sua grande gioia scorse attraversare la strada un ragazzo con un sacchetto di pasticceria in mano.

"Alex!" esclamò, presa dalla visione celestiale.

L'espressione sorniona del giovane si spense non appena realizzò la situazione. Si affrettò a raggiungere il marciapiedi, appoggiò il sacchetto sul cofano e aprì completamente lo sportello dell'auto: "Jeremy!"

"Dammi una mano." ordinò lui con una voce ridicola, risultato delle sue vie respiratorie ostruite.

L'amico gli offrì uno straccio che teneva nel portaoggetti e che usava solitamente per lucidare Betsie. Non era il massimo, lo sapeva, ma per lo meno avrebbe contenuto lo straripamento.

Ormai abituato a questo genere di operazione, Jeremy uscì sul marciapiedi e si mise a testa bassa, premendo sul naso.

"Si può sapere cos'hai fatto stavolta?" chiese Alex, aiutandolo come di consueto e reggendo lo straccio per lui. "Dovresti andare in giro con un naso gommoso, quello da pagliaccio. O forse a te sarebbe più utile un naso di stagno."

Taylor scese finalmente dall'auto e si avvicinò, leggermente preoccupata: "Stai bene?"

Jeremy le lanciò uno sguardo truce: "Sì, ma non grazie a te."

"Mi dispiace." mormorò, sincera. "Il sangue mi ha sempre messo ansia. Sono svenuta a ogni prelievo che ho fatto finora e quella volta in cui una mia compagna si tagliò con una forbice, alle elementari, le vomitai sulle scarpe."

"Hai fatto le elementari a Bourton?" si interessò Alex.

"Certo."

"Allora è Danielle Pevensy." dedusse, esperto. "Me la sono fatta."

Taylor gli lanciò un'occhiata offuscata, felice di aver avuto qualche anno in meno di lui e non esserci mai capitata in classe, poi tornò a rivolgersi a Jeremy: "Non sopporto il sangue. Davvero. Mi dispiace."

"Fa lo stesso, Lor." il sorriso di Jeremy si mascherò sotto la pezza che gli copriva la metà inferiore del volto. "Ci sono abituato. E poi non avrei voluto il tuo vomito sulle scarpe."

Taylor si abbandonò a un mezzo sorriso di sollievo, felice di sapere che Jeremy non se l'era presa troppo e che stava bene.

"Com'è che con lui ti scusi e con me no?" proruppe Alex, le sopracciglia corrugate nella direzione di Taylor. "Ieri per poco non mi asportavi l'organo riproduttore con quel calcio alla Kung Fu Kid."

"È Karate Kid." mormorò Jeremy, la voce ovattata.

Taylor alzò le sopracciglia sogghignando: "I tuoi modi, caro 'peggiore incubo', non sono stati troppo gentili."

"Ah, e quelli di Jerry sì?" ribatté il moro.

"Beh..." Taylor arrossì senza un apparente motivo. In effetti, non le piaceva Alex tanto quanto non le piaceva Jeremy, dunque non capiva perché si fosse sentita in dovere di scusarsi con quest'ultimo.

Avrebbe dovuto godere del suo malessere, specialmente dopo l'ultima intimidazione che le aveva gentilmente dedicato. E invece sembrava che non riuscisse a darvi il giusto peso. Non sapeva perché, ma aveva il presentimento che ci fosse un remoto sottofondo di insicurezza nelle sue minacce.

"A dire il vero non so nemmeno cosa ci facesse lì appiccicato al mio naso." disse, infine, diplomatica.

"Cercavo di svegliarti, senza sapere che il tuo sonno batte di gran lunga il cloroformio nel rapporto qualità-prezzo." rispose prontamente Jeremy, poi si rivolse all'amico, cambiando frettolosamente argomento. "Cos'hai portato per colazione?"

Lui sorrise come illuminato dal pensiero del cibo: "Ciambelle appena sfornate!" lasciò a Jeremy il compito di medicarsi, poi si sfregò le mani, contento, e fece il giro della fiancata.

"Sono proprio..." indicò il punto del cofano su cui aveva appoggiato il sacchetto, ma le parole gli morirono in bocca. "...lì."

"Oh, Alex." chiocciò Jeremy, previdente, in un misto di rassegnazione e sconforto.

"Io le avevo messe lì!" si difese il moro, mortificato. "Te lo giuro, Jerry, erano proprio lì sul cofano!"

"Non è possibile."

"No, infatti! Io ero sicuro di averle appoggiate! Qualcuno me le ha rubate, non c'è altra spiegazione!"

"Fantastico." il biondo si appoggiò contro un lato dell'auto, sbuffando. "Addio colazione, pasto più importante della giornata. Taylor ci stresserà con i suoi sproloqui e io morirò di stenti. Ottimo lavoro, Al."

Il ragazzo abbassò lo sguardo e strinse i pugni, arrabbiato con la sfortuna. Sfortuna, maldestria,...non sapeva se fosse davvero colpa di un fattore esterno. Molto probabilmente il vero problema era lui; mai una volta che ne combinasse una giusta, dannazione!

Dopo la tentata fuga di Taylor, ci pensava sempre più spesso. Forse Jeremy non lo voleva affatto con sé, forse non aveva mentito quando gli aveva detto che sarebbe stato solo di impiccio, forse non sarebbe mai riuscito a proteggerlo. L'avrebbe solo danneggiato ancora di più, come se già Cordano o Taylor non si stessero mettendo d'impegno per farlo.

Taylor si accorse del suo irrigidimento e provò un moto di tenerezza per Alex. Si sentiva quasi in colpa nei suoi confronti, per averlo aggredito e aver tradito la sua buona fede. In fondo, tentava solo di rendersi più utile che poteva. Non era stupido, era solo buono e ingenuo, non voleva fare del male a nessuno.

"Non importa." proruppe la giovane, improvvisando un tono allegro e cameratistico. "Vorrà dire che ci daremo dentro a pranzo, no?"

Visto da qualcuno al di fuori di quel terzetto, pareva davvero strano che fosse lei, la vittima della situazione, a motivare gli altri. Quasi sembrava volesse tirare su di morale i suoi rapitori. Che scena assurda.

Alex alzò lo sguardo, colto da un'improvvisa illuminazione: "Ehi, aspettate! Mi è venuta un'idea!"

Nemmeno il tempo che Jeremy riuscisse a dire 'lascia perdere' e Alex era già sparito.


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Tessy Heavens camminava avanti e indietro per la sua enorme stanza da letto. Allyson, assorta, fissava le sue ballerine blu seduta sul piccolo pouf. Nessuna delle due parlava, ma nelle loro menti c'erano mille voci e pensieri, indaffarati nel cercare di ricostruire gli eventi e di capire quale errore fosse stato il più grave.

"È impossibile che mio padre non sia ancora riuscito ad avere una sola traccia." Tessy ruppe il silenzio, nervosa. "Dispone di un triliardo di aggeggi tecnologici e ha conoscenze in ogni angolo di Bourton, è amico persino del senzatetto sotto la macelleria."

"Non è facile, Tess."

"Perché si ostina a non voler dir nulla alla polizia?"

La sua amica sospirò: "Non è colpa sua, lo sai. Sta cercando di agire accuratamente, perché non vuole essere troppo precipitoso e farsi sfuggire la situazione di mano. Sta solo cercando di non fare passi falsi, come ognuno di noi, d'altronde." Allyson fissò il muro, sconsolata.

"Sono passati giorni."

"Beh, almeno ora sappiamo che non può essere scappata di sua spontanea volontà."

"Ma non può essersi dissolta!"

Allyson non ribatté. Era evidente che dovevano esserci delle altre persone di mezzo, perché Taylor non sarebbe mai stata lontana da sua madre più di un paio di giorni. Non volontariamente, almeno, e non senza avvisarla. Nemmeno se fosse stata arrabbiata a morte, di questo era certa.

Nella sua testa c'erano mille interrogativi, il primo di essi riguardava chi avrebbe mai potuto avere interesse a rapire Taylor.

Non riusciva a darsi una risposta, non riusciva a capire. Non conosceva nessuno a cui Tay potesse aver fatto torti. Le stupide ipotesi che aveva fatto su vecchie fiamme o compagni di classe imbecilli non reggevano neanche esagerando con la fantasia e persino Amanda, nonostante gli sforzi, era stata capace di fornire anche un solo sospetto.

Taylor non aveva mai dato fastidio a nessuno.

Così Allyson si sentiva terribilmente in colpa per averla obbligata ad andare a quella festa. Sentiva che era stato quello il punto di svolta, che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Se non fosse stata così egoista e disillusa, probabilmente a quest'ora sarebbero state in camera sua, a ridere sui ritratti che Taylor faceva ad Alex, secondo come lo immaginava.

Già, Alex. Un altro bel punto di domanda. Si faceva sentire di rado, era sfuggevole e taciturno e lei stava cominciando a pensare che la storia della nonna fosse campata in aria, come del resto la loro relazione.

Un neo-coppia avrebbe dovuto passare un sacco di ore assieme, avrebbe dovuto coccolarsi e procurare sostegno reciproco. Una neo-coppia avrebbe potuto discutere di quel fatto, cercando delle soluzioni, e lei avrebbe dovuto essere consolata tra le braccia del suo ragazzo, invece che da un misero pouf, circondata dai sensi di colpa.

Tessy sbuffò, lasciandosi cadere sul letto e prendendosi la testa tra le mani: "Ho così tanta confusione in testa." pigolò. "Sembra un vero e proprio mistero e io sto pensando a un sacco di dettagli che mi sono lasciata sfuggire, che avrebbero potuto mettermi in allerta."

Allyson la guardò. Quella frase catturò la sua attenzione e si mise dritta sul pouf.

"Prova a dirmeli."

La ragazza fece di spallucce, indecisa se ritenere i suoi sospetti mere fantasie o utili informazioni: "Beh, per cominciare, quando sono uscita, quella sera, ho sentito dei rumori. Proprio vicino alla quercia sul retro."

"Dei rumori?"

"Sì, ma potrebbe essere stata qualsiasi cosa. Il vento, gli scoiattoli, le macchine sulla strada,... A un certo punto ho anche immaginato che fosse...ah, lascia stare." scacciò l'immagine del volto sorridente di Eric con fatica. "Però forse dovremmo controllare, non lo so."

Allyson si succhiò una guancia con fare indeciso. Lei era una ragazza poco avventurosa e intraprendente, sicuramente non il tipo che si sarebbe messo a fare Sherlock in autonomia, specialmente in un caso così avvolto dal mistero.

Tuttavia, era di Taylor che si stava parlando, della sua migliore amica di sempre, e se lei poteva contribuire in qualsiasi modo, allora lo avrebbe fatto. Si alzò dal pouf con rinnovata energia: "Dicono che tentare non nuoce."

Tessy le sorrise incerta, ma afferrò il cappotto in un muto gesto di accordo. Lanciò ad Allyson il suo e una volta che si furono coperte, uscirono nel giardino.

Fuori faceva meno freddo del solito, sebbene la quantità di alberi attorno alla villa di Tessy rendesse il tutto molto umido. La stradina dietro alla quercia era pulita, la neve si era sciolta e, anche se i passeri non cantavano, era lo stesso uno scenario molto verde, quasi primaverile.

Le due amiche camminarono fino alla panchina scansionando ogni singolo dettaglio; ogni filo d'erba, ogni sassolino, ogni traccia lasciata dagli animali. Sembravano quasi due turiste sprovviste di cartina, con un urgente bisogno di trovare un bagno pubblico. Nessuna delle due aveva idea di cosa cercare e soprattutto dove cercarlo.

"Non c'è nulla, Ally." disse Tessy, girando su se stessa per la terza volta. "Tutto ordinario, l'ennesimo buco nell'acqua."

"Forse non stiamo guardando bene."

"Non credo." sospirò Tessy, rassegnata. "Mi sento così stupida. Sto solo cercando di trovare un modo per non starmene con le mani in mano ad affrontare la mia colpevolezza. Forse i rumori che mi sembrava di aver sentito non sono che delle fantasie per convincermi che può esserci una soluzione. Alla fine, tutto va bene pur di dimenticare questo rimorso che mi assilla giorno e notte." si lasciò cadere sulla panchina di legno, cupa e rattristita.

"Ti capisco, Tessy. Anch'io mi sento così." l'amica le si sedette accanto, posandole una mano sulla gamba, incapace di essere dura con lei in un momento del genere.

Anche se era ancora amareggiata per il suo comportamento alla festa, non riusciva a tenerle il broncio. L'urgenza di trovare Taylor sovrastava qualsiasi altro sentimento e poi bastava guardarla negli occhi per capire che era davvero pentita.

"No, è diverso." ribatté Tessy, scuotendo la testa. "Tu sei una persona molto più buona di me, Ally. Non hai mai fatto nulla per ferire gli altri volontariamente. Nemmeno quella scimmia di tuo fratello, che, con tutto rispetto, è davvero un idiota."

Allyson le lanciò un'occhiata risentita, ma Tessy alzò le spalle come a dire che era vero e non ci poteva fare niente.

"Dopo quello che ha fatto alla vostra famiglia, io non potrei più nemmeno sopportare la sua vista." proseguì. "Anzi, io uno così lo odierei anche solo per l'infamia che rischia di gettare sul mio nome. Eppure tu no, Ally, tu sei diversa. Tu gli vuoi bene comunque e gli vorresti bene qualsiasi cosa capitasse tra voi. Io...io non riesco a essere così." sentenziò, sconfitta. "Non ho mai cercato di avvicinarmi a Taylor, anzi ho fatto di tutto per allontanarmi e allontanarla. L'ho sempre vista di cattivo occhio, ho sempre temuto che potesse rovinare la mia vita perfetta con la sua pesante aria di negatività e non mi sono mai chiesta perché con lei non fosse come con tutti gli altri. Sembrava a essere l'unica a disprezzarmi in quel modo e io mi sono sempre limitata a prendere il suo odio come l'ennesima prova che fosse una persona orribile." scosse la testa, guardando il cielo pallido e ascoltando il respiro di Allyson al suo fianco. "Forse avrei solo dovuto cercare capirla." concluse. "Avrei potuto essere meno superficiale ed egocentrica. Avrei potuto evitarle certe battute spiacevoli e magari tentare di non essere la strega che lei crede che sia. Ora capisco perché mi odia così tanto e se mai dovesse succedere qualcosa, lei avrà sempre un orribile ricordo di me. La sorellastra che le ha rubato il padre e che l'ha sempre trattata male."

"Oh, Tessy." Allyson l'abbracciò di slancio, commossa da quell'inaspettata e poco ortodossa presa di coscienza. "Taylor non ti ha mai odiata! Si fa vedere scontrosa, ma in realtà ha solo bisogno di aprirsi e sfogare la sua rabbia. Penso che le cose tra di voi potrebbero migliorare. Con tempo e pazienza, molta pazienza, ma potreste davvero diventare amiche."

"Se mai ne avremo l'occasione."

"Tessy, non dire così!" saltò su la biondina, improvvisamente animata dalla franchezza della ragazza. "Tay è intelligente e furba! Qualsiasi cosa succeda, se la caverà."

Si sentì scossa dalle parole dell'amica, sia per quanto riguardasse l'ammissione che aveva fatto, sia per aver guardato la realtà in faccia senza mezzi termini. Se mai ne avremo l'occasione. La strinse più forte nell'abbraccio, presa dall'euforia e dal panico assieme.

Se mai ne avremo l'occasione.

In un certo senso, era da anni che bramava di sentirselo dire, proprio perché non desiderava altro che far riappacificare le due sorelle. Peccato che sembrasse essere irrimediabilmente troppo tardi.

"Ehi, Allyson." lo sguardo della musicista si posò sullo spigolo della panchina. "Guarda."

La ragazza sciolse l'abbraccio per poter notare la piccola chiazza rossa sul legno.

"Oh mio Dio." sfiatò. "Credi sia...?" chiese, sconvolta.

"Ovviamente spero di no, ma potrebbe essere."

Le due si guardarono negli occhi, scambiandosi più informazioni di quante potessero essere dette a parole. Consultarono il silenzio per un po', poi Allyson prese fiato, la faccia distorta in una smorfia di agitazione e riluttanza.

"C'è un solo modo per esserne certe." si alzò in piedi, sentendo le gambe tremare.

"No, Ally. Papà ha detto che deve rimanere fra noi." disse Tessy, quasi automaticamente, quasi fosse un mantra che aveva imparato.

"Lo so." le diede ragione l'amica. "Ma questo riduce circa del novantanove per cento le nostre possibilità di aiutare Taylor."

È vero, prima aveva difeso la decisione dell'uomo sul procedere cautamente, ma ora si trovava di fronte a una svolta piuttosto sconcertante.

Avevano degli elementi in più: la sicurezza che Taylor non si fosse allontanata volontariamente, degli strani rumori la notte del 14 dicembre, una panchina nascosta dietro a una quercia e una chiazza di sangue. Non osava nemmeno avvicinare l'idea che quel sangue potesse appartenere a Taylor. Se così fosse stato, chi l'aveva rapita? Che cosa le avevano fatto? Che cosa le stavano facendo?

Non era più tutto solo un'ipotesi, ora. Dovevano immediatamente rivolgersi alla polizia.

"È vero, Ally, ma papà..." la mora parve per un attimo indecisa.

Non aveva mai questionato le decisioni di suo padre. Le erano sempre sembrate sensate e orientate a preservare il suo bene. Tuttavia, riconosceva che forse questa volta si stava sbagliando. Probabilmente anche Oliver non era nel pieno delle sue facoltà e non sapeva affrontare lucidamente il problema.

"Forse hai ragione. Dirlo a papà probabilmente non cambiebbe nulla." concluse, allora, pensierosa. "Continuerà a contattare persone e dire che troverà la soluzione. Se avvisiamo la polizia, si sentirà sottovalutato, ma poi ci ringrazierà. Di fatto, lui non pensa mai alle soluzioni più semplici." guardò l'amica negli occhi, con determinazione. "Andiamo alla polizia e spieghiamo ogni cosa. È la soluzione migliore."

"Sei sicura?"

"Sì." rispose fermamente. "Voglio davvero che trovino Taylor, non mi importa chi sarà a farlo."


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"Ti ho fatto tanto male?" chiese Taylor a Jeremy, mentre aspettavano Alex appoggiati alla macchina.

Il biondo parve riscosso da una riflessione: "Che cosa?"

"Dico, ti ha fatto male la botta sul naso?"

Lui se lo tastò, quasi ricordandosi solo in quel momento di possederne effettivamente uno: "Credo che a questo punto potrebbero tranquillamente prendermi a sprangate in faccia senza che me ne accorga; non me lo sento più."

Taylor arricciò le labbra: "Credo che così siamo pari."

Jeremy si voltò a guardarla. Era evidente che si riferisse alla storia dello schiaffo e lui si sentì in colpa come ogni volta in cui ci pensava. Ma non poteva di certo mostrarsi in torto con lei, non dopo quel discorso che aveva imbastito il giorno prima, dopo il suo tentativo di fuga. Non poteva permettersi di abbassare la guardia; doveva cercare di farle paura, doveva mostrarle chi comandava.

"Eh no, cara Heavens, mi dispiace tappare le tue alette in cerca di giustizia, ma ora sono io quello in svantaggio." le disse, sorprendendola.

"Prego?" incrociò le braccia, irritata. "Secondo i miei calcoli, siamo uno a uno e palla al centro, caro...come ti chiami di cognome?"

"I tuoi calcoli sono sbagliati, Einstein." il ragazzo scosse la testa, sorridendo divertito. "A onor del vero, la notte in cui ti ho rapita mi hai dato un pugno sul naso. Un altro." precisò. "Ero in bagno di sangue. Puoi chiedere ad Alex, se vuoi."

"Sei incredibile!" sbottò lei. "Permetti che avessi un attimo di panico addosso e il mio cervello non ragionasse nella paura di essere uccisa? Non è dipeso da me, non lo puoi contare, è stata solo colpa tua."

"Ti stai aggrappando sugli specchi, mocciosa." incalzò, osservando le sue guance che si coloravano di combattività. "Ti ricordo che il sangue che è sceso era il mio e per me ha piuttosto contato."

Taylor si sentiva presa in contropiede e non sapeva come contestare: Jeremy era davvero bravo a trovare le sue argomentazioni. Specialmente, era bravo a usare quegli occhi come arma di distruzione di massa.

"Game, set and match per Jeremy." gorgogliò il ragazzo, vittorioso. "Mia cara Lor, rassegnati, hai ancora un conto in sospeso con il rapitore più temibile della Britannia."

"Dunque staresti dicendo che uno schiaffo, assolutamente barbaro e volontario, può sostituire un colpo di legittima difesa in uno stato semi incosciente. Sono senza parole."

"Magari." gli occhi azzurri di Jeremy si fissarono su quel volto arrabbiato e offeso. "Lor, mi piacerebbe davvero continuare questa lieta discussione, ma sto iniziando a stancarmi, complice anche il fatto che ho delle cannucce vuote al posto delle vene, ormai. Perché non ammetti di avere la coscienza più sporca della mia e la chiudi qui, facendo un bel favore a entrambi?"

"Sei tu che mi hai rapita!" sbottò, esasperata. "Come faccio ad avere la coscienza più sporca della tua?"

Il ragazzo roteò gli occhi: "Quante polemiche."

"Se l'avessi saputo prima, avrei sbattuto più forte contro il tuo naso." ringhiò lei.

E dopo questa conclusione, i due piombarono finalmente in un esausto silenzio. Sul mare increspato si sentivano i gabbiani cantare e l'odore di salsedine rendeva il paesaggio molto suggestivo, benché fosse pieno dicembre. I pochi pescatori sulla riva si stavano dirigendo verso i marciapiedi per cercare di vendere il loro ricavato mattutino, elogiando tutte le qualità del pesce fresco. I negozi cominciavano ad aprire e i primi bambini uscivano di casa bardati come eschimesi per raggiungere la fermata dell'autobus.

Jeremy non aveva mai preso l'autobus da bambino.

Non gli piaceva, pensava che fosse troppo noioso. Piuttosto adorava sedersi nel sedile del passeggero nell'auto di sua madre e giocare assieme a lei durante il tragitto.

Di solito accendevano la radio e Jeremy aveva il compito di abbassare il volume per far sì che loro due potessero continuare la canzone senza la base. Dopo un po' doveva alzarlo per vedere se fossero riusciti a tenere il tempo.

Lui era molto bravo, aveva una buona memoria e spesso guidava sua mamma, stonata e fuori tempo come pochi. Alla fine, concludevano sfalsando tutto e scoppiando in grandi risate di cuore.

Jeremy sorrise, ricordando di quel giorno in cui erano stati così lenti che all'alzare il volume, stavano già trasmettendo un nuovo pezzo.

Taylor lo guardò di sottecchi. Evidentemente stava ricordando qualcosa di bello, perché aveva un'espressione davvero beata, che lo rendeva molto più umano del solito. Molto più bello. E già era bello, figuriamoci.

Improvvisamente, Jeremy parve ridestarsi dal ricordo e ritornò alla solita espressione distaccata.

Aveva appena realizzato che gli era capitato di nuovo. Ancora una volta la barriera che teneva a bada i suoi ricordi era stata neutralizzata dalla presenza di Taylor e aveva sprigionato una serie di sentimenti dolce-amari che credeva di aver rinchiuso in un luogo irraggiungibile.

Lo faceva impazzire, Taylor, lo faceva infuriare come non mai per questo. Perché quella ragazza aveva il potere di renderlo così vulnerabile? Era possibile che la sua sola presenza, e relativa vicinanza, incidesse così tanto sulla sua fermezza? Come riusciva a farlo sentire così spensierato da rifugiarsi in quella zona del suo cuore che andava rinnegando da tempo?

Sospirò, irrequieto e assalito dai dubbi.

"Senti, Lor." cominciò a parlare, senza saper bene cosa dire. Sperava che le parole gli uscissero spontaneamente di bocca, come quando dici qualcosa solo perché ne senti il bisogno ed esce come capita, anche senza che tu lo voglia. Ma quella volta non successe. La frase rimase in sospeso nell'aria, catturata dalla salsedine.

"Sì?" incalzò lei.

"Mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Non volevo." disse infine, secco.

Si chiese se era davvero quello che aveva in mente di dirle. Certo, non le stava mentendo e gli era dispiaciuto sul serio, però sperava di potersi sentire più alleggerito. Invece non era cambiato nulla.

"Ah." la ragazza sembrò sorpresa. Non si sarebbe aspettata di certo delle scuse da parte di Jeremy, non quando lui sembrava sempre così convinto di avere ragione. Si schiarì la voce: "Bene."

Ci fu qualche secondo di silenzio, poi lei prese fiato per parlare di nuovo: "Mi dispiace per aver ingannato Alex, lui non c'entra niente con la mia fuga."

"Lo so." disse lui, semplicemente. "Sei tu il problema. Ed è colpa tua anche se me la sono presa con lui."

"Ovvio." lei roteò gli occhi. "Però non credere che ci abbia provato con me o viceversa." aggiunse, seria. "In quanto al primo punto, Alex è molto più moralmente integro di te, dunque non gli si sarebbe neanche passato per la testa, mentre per te è stato il primo sospetto, dato che sei una creatura di satana, psicologicamente deviata e perversa. In quanto al secondo punto, io su Alex ci potrei anche fare un pensierino, ma lui sta dalla tua parte, quella del male, quindi no."

"Wow. Ora sì che mi hai precluso un sacco di possibilità."

"E comunque grazie per avermi minacciata a morte come punizione. Sei stato davvero troppo carino. A quando il prossimo accesso d'ira?"

"Io non ti ho-"

"Eccomi qua!" il bel moro comparve con tre cartocci fumanti e li distribuì tra di loro. Sembrava tornato da una sessione di lotta libera, i capelli arruffati e il fiatone. Ma aveva un sorriso soddisfatto che quasi univa un orecchio all'altro.

Jeremy strinse l'involucro e alzò il tovagliolo di carta, titubante, per spiare il contenuto.

"Allora?" chiese Alex con tono carico di aspettativa.

Lo sguardo di Jeremy rimbalzò dal cartoccio ad Alex e da Alex al cartoccio.

"Pesce alla griglia." disse solamente, il tono lugubre.

"Ovvio! Non sono geniale?" guardò Taylor in ricerca di approvazione.

Lei gli sorrise incoraggiante e poi tornò a fissare quella specie di sogliola unta e molle. Avrebbero dovuto ficcargliela in gola, prima che la mangiasse di sua spontanea volontà.

"Pesce alla griglia." tornò a ripetere il biondo. "Alle sette e mezzo del mattino?"

Alex soppesò il suo pesce con delusione: "Dubitavo che ti sarebbe piaciuto, ma l'ho preso comunque, per non lasciarvi completamente a pancia vuota."

Jeremy rivolse all'amico uno sguardo pentito. Faceva sempre di tutto per lui e lui non era mai abbastanza riconoscente. Anzi, come aveva detto a Taylor, spesso tendeva a prendersela e a caricarlo di mille colpe per nulla.

In realtà, lo usava come valvola di sfogo e sapeva che era un atteggiamento ignobile. Forse aveva bisogno che glielo ricordassero più spesso. Forse aveva bisogno degli sguardi indignati di Taylor, come quello che stava ricevendo in quel momento.

"Mi piace il pesce fritto, Alex." cercò di rimediare. "Anzi, a pensarci bene, non avresti potuto scegliere meglio, perché il pesce ha molte vitamine e per lo stato in cui mi trovo, sono davvero utili."

Taylor sorrise, soddisfatta. Jeremy mise in bocca un bel pezzo di sogliola per terminare credibilmente il monologo. Anche Alex sorrise e iniziò a divorare la sua colazione, mentre la ragazza, senza farsi notare, ne lanciava pezzetti ai gabbiani che si avvicinavano al marciapiedi.

Dopo aver finito, risalirono in macchina, in un'atmosfera di serenità probabilmente mai raggiunta prima.

"Dove andiamo?" chiese Taylor.

Jeremy mise in moto: "In un motel gestito da una ultraottantenne sorda come una campana. Lì saremo più sicuri che in una botte di ferro."

La ragazza sospirò: "E quando mi riporterete da mia madre?"

"A Natale, se farai la brava. Con un bel fiocco rosso in testa."

"Ha-ha."

L'auto si mosse in avanti di mezzo metro e produsse un rumore insolito, come se le ruote anteriori avessero schiacciato qualcosa di molliccio, avvolto da della carta.

Jeremy fermò la macchina, poi, molto lentamente, si voltò verso Alex: "Scusa, Alex, chi aveva rubato le ciambelle?"


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Oliver Heavens sfogliava distrattamente un depliant sul funzionamento delle nuove rate concesse dalla Money House. Seduto nel suo ufficio, una tazza di caffè nero sulla scrivania e una penna in mano, contemplava fuori dalla grande vetrata la città dipingersi dei colori del tramonto. Aveva tentato per due ore di fissare la sua attenzione su quelle maledette rate, ma nella sua testa continuava a comparire una cifra che gli rendeva il lavoro impossibile.

Due milioni di sterline. E un penny.

Nelle sue casse personali raggiungeva a malapena la metà e di certo non sarebbe riuscito a trovare un altro miliardo neanche in un paio di secoli. E poi c'era la retta del conservatorio di sua figlia, l'abbonamento di sua moglie al teatro, l'affitto della villa al mare, le bollette dell'impianto audio,...

E tutto dipendeva da lui. Tutto, soprattutto Taylor.

Non vedeva Taylor di persona da molti anni, se non rare volte in chiesa o per strada. Era palese che lei lo evitasse come la peste e lui, d'altro canto, non si era mai avvicinato, nemmeno per un semplice saluto.

Il ricordo più vivido che aveva di lei era di uno scricciolo di appena un anno con in mano una matita colorata e murales sulle pareti tutt'intorno. Non ci pensava mai, ma, se capitava, qualche rara volta mentre imbustava i soldi dei suoi alimenti, sorrideva prima di scacciare quell'immagine.

Non aveva mai smesso di volerle bene, neanche quando il suo cuore era stato rubato dall'amore per Martha e si era allontanato da Amanda. Aveva pensato alla sua bambina tutti i giorni, finché poi non era arrivata Tessy e si era fatto tutto più complicato.

Tessy aveva conquistato tutto il suo essere, perché in effetti Tessy era stato il coronamento di un amore perfetto e idilliaco e lui aveva formato una nuova famiglia che risplendeva di fortuna e bellezza. Era cambiato, o forse era sempre stato così, diceva la gente.

Dalla nascita di Tessy era sempre stato al settimo cielo, si era sentito completo e soddisfatto. Il dovere che aveva verso la sua prima famiglia non lo faceva stare male, anzi, lo adempieva diligentemente e senza rimorsi. Aveva continuato a pagare gli alimenti, l'istruzione e lo sport di Taylor. Di tanto in tanto le telefonava, ma lei gli raccontava poche cose successe alle elementari poi voleva riattaccare, nonostante la voce di Amanda in sottofondo la incoraggiasse a parlare.

Le inviava spesso delle buste con la mancia, forse più per Amanda che per lei, ed era convinto che avrebbe comprato quello che non poteva darle in altri modi. Era a posto con la coscienza. Era felice, non vedeva nient'altro attorno a sé.

Amanda era sollevata dal punto di vista economico, ma per tutto il resto sapeva che niente avrebbe mai colmato il vuoto lasciato da Oliver. Non tanto nel suo cuore, quello era consapevole da molto tempo ormai, ma in quello di Taylor. Nella vita di Taylor, che più cresceva più diventava insofferente nei confronti di quell'uomo. E lei non poteva farci niente. Non riusciva a spiegarlo a Oliver, non era riuscita a farglielo capire nemmeno nelle cento lettere che gli aveva scritto dopo il divorzio.

Come padre non era mai stato molto presente, un po' perché aveva altro a cui pensare, un po' perché non era nella sua indole. Da dopo la separazione, poi, era sparito definitivamente e quando Amanda glielo faceva notare, lui preferiva scacciare il pensiero e concentrarsi sulle cose belle della sua nuova vita.

Nuova...ormai aveva già diciotto anni.

Il suo tempo era impegnato nel lavoro alla Money House, nella crescita di Tessy e nella vita movimentata a cui aveva ormai fatto l'abitudine. Dopo un po' Amanda aveva smesso di assillarlo e lui aveva smesso di chiamare. Senza che se ne fosse reso conto, Taylor aveva smesso di essere una bambina.

Oliver non aveva mai avuto il coraggio di affrontare i suoi errori. Quello che aveva ora poteva benissimo compensare il suo vago e sporadico senso di colpa, se solo avesse evitato per sempre di guardarsi indietro. Finora ci era riuscito bene, ma sembrava che il suo piano stesse crollando definitivamente a picco.

Tutto sommato, lui a Taylor non aveva mai smesso di volere bene e adesso sì che si stava sentendo seriamente in colpa.

Si rendeva conto di aver trionfato come padre per Tessy, ma di aver allo stesso tempo fallito come padre per Taylor.

Sapeva anche che non avrebbe mai più potuto rimediare. Era tardi e aldilà della situazione, ormai Taylor era grande e si era fatta un'idea ben precisa di lui. Non l'avrebbe cambiata, nemmeno se lui fosse riuscito a tirarla fuori.

Però lui voleva tirarla fuori. Doveva. Perché anche se in fondo l'aveva già persa, non poteva lasciarla andare così. Il bene che le aveva sempre voluto e che non aveva mai dimostrato non glielo permetteva.

L'unica cosa che poteva fare, se mai ci fosse riuscito, era trovare quei due milioni di sterline.

Ma aveva la netta sensazione che non ci sarebbe mai riuscito.


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"Certo che questo motel è proprio triste." si lamentò Taylor circumnavigando il letto spoglio e sedendocisi sopra per soppesarne la comodità.

"Perché? Io lo trovo molto feng shui. Mi si addice." disse Jeremy, gettando il suo borsone su una sedia.

"Che?"

Il ragazzo la guardò con fare provocatorio: "Oh, il genio della situazione non sa che cosa significa feng shui. Questo sì che è uno scandalo di corte per una principessina del suo rango e la sua istruzione."

"Non lo so neanch'io, se è per questo." si intromise Alex.

"Su di te non avevo dubbi." ribatté Jeremy.

"Fortunatamente sei più brillante di noi, tu, erudito delinquente che ha rapito la persona sbagliata." lo canzonò Taylor.

"Erudito delinquente. Mi piace." sembrò pensarci su. "Avrei preferito Sommo Rapitore, ma andrà bene comunque. In ogni caso feng shui è giapponese e significa 'minimalista, essenziale'."

"Oh, dunque ti si addice perché ti senti giapponese. Dovevo sospettarlo dal modo in cui apprezzavi il pesce fritto oggi a colazione."

"Lor, non farmi sprecare la scorta giornaliera di risate finte." rispose lui mellifluo. "Naturalmente, mi si addice perché rispecchia la mia semplicità e raffinatezza. So che non è all'altezza delle tue mansioni reali appartenenti alla dinastia Tudor, ma ti ci abituerai. Non hai ancora visto la topaia in cui ho intenzione di portarti una volta che ce ne saremo andati da qui."

"Non mi impressioni, Jeremy, te l'ho detto."

"Questo Jeremy è troppo plebeo come nome. Sommo Rapitore andava benissimo. Anzi, gradirei mi chiamassi così, d'ora in poi."

"E tu smettila di chiamarmi Lor, principessa o mocciosa. Sono Heavens per te, e Taylor nei momenti in cui mi sento particolarmente magnanima."

"Oh, dimenticavo che preferirei mi dessi del lei."

"E che altro? Devo salutarla con l'inchino?"

"Oh, no, sua altezza, quello è un mio dovere di umile servo." e si inchinò con un'ampia riverenza.

Taylor gemette di rabbia e scattò in piedi, afferrando l'asciugamani in dotazione nella stanza: "Vado a farmi una doccia, qui l'aria sta diventando davvero insopportabile!"

"Posso venire con te?" ammiccò Jeremy, con l'intenzione di farla irritare ancora di più.

"Non ti vorrei nella mia doccia nemmeno se fossi bello e simpatico." si chiuse la porta del bagno dietro le spalle e diede un giro di chiave, lasciando Jeremy a fissare il legno con un sorrisetto sghembo.

"Accidenti!" commentò Alex, accompagnandosi con un fischio. "Ti tiene davvero testa, la ragazza."

Ricevette un'occhiataccia dal suo amico.

"Intendo, nei limiti del confronto." tentò di rimediare. "Solo un po'."

La testa di Jeremy soffrì di un improvviso capogiro, che lo fece barcollare all'indietro. Fortunatamente, Alex non notò nulla perché era di spalle, così si prese qualche secondo per inspirare e recuperare l'equilibrio.

Non voleva che Alex se ne accorgesse, avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni. Avrebbe dovuto confessargli che non si sentiva in forma e che era stanco. Avrebbe dovuto dirgli che, nonostante sorridesse e battibeccasse normalmente, aveva una fottuta paura di morire. O che lui morisse. O che capitasse qualcosa a Taylor.

Ma non poteva farlo. Perché lui era Jeremy. Forte, coraggioso, tutto d'un pezzo Jeremy. Indifferente alla situazione.

Eppure dentro di sé un'inquietudine enorme cresceva giorno dopo giorno, tappa dopo tappa di quell'estenuante sequestro on the road. Lo stress si intensificava sempre di più, l'anemia e l'inverno gli remavano contro e Taylor sembrava voler sabotare i piani alla radice, immischiandosi negli affari di Jeremy come stava facendo nella sua anima.

Aveva bisogno di scaricarsi, di uscire per un attimo da quella situazione, fingere di essere una ragazzo normale, solo per un momento.

Lo faceva da quando aveva incominciato a cavarsela da solo e aveva occupato illegalmente la microscopica stanza di un bed&breakfast a Bourton. La pagava facendo favori loschi al proprietario e così riusciva ad assicurarsi almeno un tetto sulla testa. Ma appena si sentiva soffocare da quelle quattro mura e dalla sua vita, usciva e se ne andava nel bosco oltre il parco. Camminava a vuoto e si fermava solo per ammirare gli specchi d'acqua. Adorava quando era inverno e poteva vederli ghiacciati, perché allora poteva immaginare di pattinarci sopra, di essere diverso, di divertirsi come i suoi amici quando erano piccoli, su un paio di pattini.

Aveva tanto bisogno di schiarirsi le idee.

"Senti, vado a farmi un giro fuori." comunicò ad Alex, appena si fu sufficientemente ripreso dal malessere. "Tu non ti muovere da qui e non farti scappare Lor. Chiaro?"

"Agli ordini."

Il ragazzo si avviò verso l'ingresso: "Ah." si interruppe, prima di uscire. "E non osare varcare la soglia di quella porta!" indicò il bagno dal quale proveniva il rumore di un getto d'acqua.

"Non lo farò." gli assicurò lui con uno sguardo d'intesa e rimase solo in camera.

Finì di sistemare le sue cose pensando a Jeremy e Taylor, poi si sedette sul letto ed estrasse il cellulare dalla tasca, vinto dalla tentazione. Digitò il numero della sua ragazza e attese una risposta.

Ciao! Sono Allyson e se era me che stavate cercando, avete scelto il momento sbagliato! Lasciate un messaggio dopo il bip, lo ascolterò il prima possibile!

Alex si schiarì la voce: "Ehm...ciao, Ally. Come stai? Sono Alex." sospirò. "Al momento sono ancora fuori Bourton. Nonna sta un po' meglio, ma la devono tenere in osservazione, quindi devo pensare a starle vicino." deglutì a fatica, era così difficile mentirle, aveva una voglia pazza di vederla. "Non sai quanto mi manchi, non vedo l'ora di tornare per recuperare il tempo con te." rimase in silenzio per un secondo, fissando la parete fatiscente di fronte a lui. "Ti amo."

Premette la cornetta rossa e si passò una mano sul viso. Non poteva continuare a lungo con quella storia, oppure l'avrebbe persa. Allyson era una persona d'oro e non poteva permettersi di lasciarla andare. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Pensò che ne avrebbe parlato a Jeremy, che si sarebbe allontanato per qualche giorno per andare a trovarla. Ma poi il terrore che il suo amico rimanesse solo, con una ragazza a carico e la pistola di Cordano puntata alla tempia lo fece sentire ancora peggio.

Se solo avesse potuto dire ad Allyson la verità, lei lo avrebbe capito. Lo avrebbe sostenuto. Ma era troppo pericoloso parlargliene. Avrebbe messo tutti quanti in pericolo, lei in primis.

Qualcuno bussò alla porta.

Alex si alzò e andò ad aprire sovrappensiero. Non chiese nemmeno chi fosse dall'altra parte, perché era convinto che si trattasse di Jeremy, tornato dalla sua passeggiata.

Ma fu qualcun altro a entrare, prendendolo alla sprovvista e sgusciando all'interno prima che lui potesse impedirglielo. Tentò di chiudergli la porta addosso, ma ormai era già entrato e Alex si era reso conto di aver combinato l'ennesima sciocchezza.

Un ragazzo robusto e poco più alto di lui lo stava fissando dal centro della stanza, la postura in tensione e una mano pericolosamente stazionata nella tasca.

"Chi cazzo sei?" esclamò Alex.

"Dovrei farti la stessa domanda." diede un'occhiata veloce in giro. "Ma credo di poter immaginare."

Alex si spostò impercettibilmente per assicurarsi una migliore posizione davanti alla porta del bagno.

"Non credevo che Parker si fosse evoluto a tanto." ghignò Richard squadrandolo con un sopracciglio alzato. "Tu e io siamo alter-ego, sai?"

"Non compararmi a te e alla feccia per cui lavori." ringhiò Alex, capendo finalmente con chi stava avendo l'onore di conversare. "Che cosa vuoi?"

Il riccio gli si avvicinò, minaccioso: "Dov'è la ragazza?"

"Non credo sia molto saggio dirtelo."

"Te lo devo chiedere per cortesia? Ti ricordo che la tua vita e quella del tuo amichetto sono nelle mani di Edoardo Cordano e io agisco per suo conto."

Alex lo guardò in cagnesco. C'era qualcosa del viso di quel ragazzo che gli era molto familiare, ma non riusciva a capire cosa. L'aveva già visto a Bourton, forse?

"Taylor è lì dentro." gli disse, gelido, accennando appena alla porta chiusa del bagno.

"Dovrei crederti?"

"Sì."

Richard schioccò la lingua: "Mi sembri troppo stupido per essere lasciato a custodire l'unica cosa che tiene in vita Parker. O anche lui è un idiota, oppure ignora di aver assunto un braccio destro che sa solo aprire porte al nemico."

Alex non rispose e abbassò lo sguardo.

"Voglio vederla." disse Richard.

"Al momento non può."

"Posso aspettare." ribatté lui. "Oppure posso togliermi subito il pensiero e dare un'occhiata."

"No!"

Richard cercò di avventarsi sulla porta, ma Alex si mise in mezzo, dandogli un forte spintone e facendolo cadere a terra.

Come una fortunata coincidenza, proprio in quel momento Jeremy comparve sulla porta d'entrata, ancora aperta, e si bloccò sullo stipite, ansimante e sorpreso dalla scena: "Richard! Alex! Che cazzo succede?"

Il riccio si alzò ripulendosi i pantaloni: "Oh, Parker, che gioia rivedere la tua lentigginosa faccia. So che mi aspettavi in un altro momento, ma sono capitato di strada prima e ho pensato di fare una sorpresa alla nuova coppia." lo schernì accennando ad Alex, teso dietro di lui. "Mi spiace, non ho portato fiori né cioccolatini. Ho solo la vecchia calibro 20 nella tasca, ma ho come l'impressione che i vostri gusti si discostino da certi tipi di presente, vero?"

Jeremy aggrottò le sopracciglia, confuso: "Come hai fatto a trovarci? Non ho scritto nulla a Cordano. Non eravamo d'accordo."

"Vi ho pedinati." rispose lui, con tono di superiorità. "Tornavo da Bristol e vi ho incrociati a Stroud. Dato che avevo del tempo libero, ho pensato che avrei fatto un piacere a Cordano anticipando la mia visita. Così ho seguito il vostro catorcio per un po', prima che il treno mi facesse rallentare. Pensavo di avervi persi, ma poi l'ho avvistato nel parcheggio davanti a questo cesso di albergo e ho aspettato nascosto finché non sei provvidenzialmente uscito da questa stanza. Peccato che di tutti gli indizi che avete lasciato in giro manchi quello fondamentale. Dov'è la ragazza?"

"La ragazza c'è, Richard." sentenziò Jeremy, asciutto. "Sta facendo la doccia, ma in ogni caso tu non la vedrai. Non mi fido di te e di quel verme, specialmente ora che so che hai una pistola."

Lo fissava con astio e voleva solo che se ne andasse al più presto. Quel ragazzo portava solo guai, lo sapeva benissimo.

"Paura del mio grilletto facile?" incalzò, estraendo l'oggetto e facendolo roteare nella mano. "Nah, è solo una diceria di paese. Come ho già detto, non credo finché non vedo, dunque mi basta un'occhiata e sarò soddisfatto. Cordano dice che sei ben consapevole del rischio che stai correndo e che non faresti cazzate. Ma onestamente, Parker, io credo che tu ne abbia già fatte fin troppe di cazzate. Non mi fido di te." di nuovo tentò di avvicinarsi al bagno, ma venne respinto dal ragazzo.

"Ho detto che sta facendo la doccia." ripeté, inflessibile.

"E allora?" domandò lui, un sorrisetto malizioso sulle labbra.

"E allora la lasci stare. La vedrai un'altra volta." lo aggredì Jeremy. "Magari quando deciderò io e quando lei avrà qualcosa addosso."

"Andiamo, Parker, voglio solamente vedere se è Taylor Heavens che nascondete là dietro." gorgogliò con un falso tono innocente. "Tecnicamente non avrò bisogno di guardare più in giù del collo per accertarmene."

Jeremy strinse i pugni sentendo il respiro farsi veloce e un'ormai familiare sensazione avvinghiarsi al suo stomaco.

"Però, a ripensarci, potrei controllare se anche la sua merce vale due miliardi di sterline o se l'abbiamo sopravvalutata."

"Chiudi quella cazzo di bocca!" Jeremy non riuscì a trattenersi e diede a Richard uno spintone che per poco non lo mandò di nuovo a terra.

Lui ritrovò stabilità ridendo sprezzante, mentre Jeremy camminava lentamente verso il borsone per prendere la sua pistola.

"Che maniere, Parker, era solo una battuta! Non ti ricordavo così ben intenzionato."

"Non sono ben intenzionato, non nei tuoi confronti." afferrò finalmente l'oggetto e, anche se perfettamente cosciente che non fosse carico, lo puntò verso Richard.

"La guardia del corpo, la pistola,...pare che tu abbia imparato qualcosa da Cordano, dopotutto." non perdeva mai quel tono di scherno; aveva capito che Jeremy aveva più punti deboli di quelli che mostrasse. "Ma a quanto pare hai ancora un'anima, tu, e questa fa da ostacolo alla realizzazione del mio compito. Non credo che Cordano ne sarà molto contento."

"Ugualmente non sarà contento del tuo insuccesso." ribatté Jeremy. "O della tua morte, se hai intenzione di inquinare l'aria di questo motel ancora un secondo di più."

"D'accordo, Parker, ora levo le tende." acconsentì, alzando le mani e facendosi indietro. "Ma permettimi di dire che il tuo galateo lascia molto a desiderare e non è così che si ricevono gli ospiti, specie se sono partner in affari."

"Vattene." ripeté, scuotendo la pistola, il braccio fermo come quello di una statua, mentre Alex gli si posizionava vicino a braccia conserte, il volto serissimo.

"Non è un addio, Parker." fece Richard, arrendendosi e impugnando la maniglia. "Riceverai notizie da noi molto presto. Ora che abbiamo fatto parte delle presentazioni, Edoardo e io non vediamo l'ora di partecipare una bella uscita a quattro." aprì la porta e mise un piede fuori, ma si fermò, per ritornare un secondo sui suoi passi. "Rettifico, cinque. E che la quinta sia veramente Taylor Heavens, oppure i vostri culi salteranno in aria ancor prima che vediate lei morire."

Mentre Richard percorreva il vialetto del parcheggio, Jeremy poteva già immaginarsi la conversazione telefonica tra lui e Cordano. Sarebbe stato pane per i denti del suo malvivente preferito. Avrebbe preparato una bella festa per lui.

Ma d'altra parte non si fidava nemmeno un briciolo di Richard. Per quanto lo conoscesse, sapeva che sarebbe stato capace di tutto. Con una mente come quella di Cordano alle spalle, poi, non c'era pericolo che le pratiche fossero svolte in maniera pacifica.

Aveva paura che Cordano lo facesse fuori e prendesse Alex e Taylor per continuare da sé la missione. Aveva paura che Taylor non gli andasse bene per quel compito, aveva paura della non-collaborazione di Oliver e dell'imprevedibilità di Richard. Aveva un sacco di paure e poche energie per affrontarle lucidamente.

"Ehi, che cosa succede?" la testa di Taylor sbucò dal bagno proprio mentre Alex chiudeva la porta con un calcio. Jeremy si voltò e nascose repentinamente la pistola dietro la schiena. La fece scivolare nella tasca posteriore dei pantaloni, mentre Taylor raccoglieva i capelli bagnati e si guardava intorno sospettosa.

Il moro, che sembrava essere appena sceso dalle montagne russe, aprì la bocca nell'intento di raccontare tutto, ma Jeremy lo precedette: "Niente, litigavamo."

"Ah sì? A me sembrava che ci fosse qualcuno."

"Ti immagini le cose, Heavens." se ne uscì lui, mentre Alex ammirava la sua inespressa abilità nel recitare e si chiedeva perché si ostinasse a tenerla all'oscuro di tutto.

"Come ti pare." sbuffò lei. "Senti, Jeremy, non so come dirtelo, ma il vestitino nero non è più sufficiente alle mie esigenze. Ho bisogno di qualcos'altro."

Il ragazzo la guardò come se avesse chiesto di cantarle un inno sacro: "Vuoi altri vestiti?"

"Ti aspetti che vada avanti con questo fazzoletto di finto raso?" indicò l'abito che stava indossando: "Fa freddo, qui sotto."

Jeremy sbuffò, lanciandole un'occhiata distratta, il pensiero che andava in direzioni più preoccupanti. "D'accordo, provvederemo a trovarti qualcosa. Intanto puoi mettere questa." si sfilò la felpa grigia e gliela lanciò con noncuranza. "E se non ti soddisfa, puoi sempre girare in mutande e reggiseno. Per quanto tu possa essere insopportabile e poco carina, una donna è sempre una donna."

Lei gli fece una smorfia: "Porco. E pure stronzo." disse, e si chiuse di nuovo in bagno portando la felpa con sé.

Quando il biondo si girò verso il suo amico, lui lo stava guardando con un'espressione a dir poco inquietante. Confusa, spaventata e compassionevole allo stesso tempo. Un mix davvero peculiare su una bella faccia come quella di Alex.

"Che c'è?"

"Hai appena rischiato di farti ammazzare da Richard perché lui ha alluso alla nudità di Taylor."

"Esatto."

"Spiegami meglio il punto."

"Alex, lui è un verme." disse, con semplicità. "Sai quanto esiterebbe a premere un grilletto? A mettere le mani su di noi? Su di lei? Io sono una persona per bene."

"Jerry." guardò il biondo negli occhi e poi fece un'espressione che spiegava il tutto meglio di qualsiasi altra parola. "Tu l'hai rapita."


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Il titolo, "Pesce fresco e pensieri bollenti", è giocato sia sul suono delle parole, sia, appunto, sui pensieri che iniziano a presentarsi alla mente di Jeremy e in più fa riferimento alle allusioni poco eleganti di Richard. Che ne pensate dei personaggi? Chi sono i buoni e chi sono i cattivi?



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Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

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Capitolo 6
*** Holy Light ***


All I want - 6.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Holy Light********

"Il vestitino nero non è più sufficiente alle mie esigenze. Ecco qui, principessa. Un intero negozio a tua disposizione."

"Scherzi, vero?"

Jeremy e Taylor si trovavano davanti a una vetrina che faceva angolo, nel bel mezzo di un incrocio deserto, alle nove di mattina. L'insegna cadeva a pezzi e l'entrata era sbarrata da una tavola di legno orizzontale.

"È un negozio che vende abiti di seconda mano." spiegò semplicemente lui. "Sua Maestà si troverà un po' a disagio, ma il servo non può offrirle di meglio. Nel caso decidiate di tagliarmi la testa vorrei lasciare la mia eredità, cioè nulla, ad Alex."

"Come diavolo hai trovato questo buco, si può sapere?"

"Ho cercato il meglio per te, Taylor."

La ragazza lo fissò con intenzioni omicide.

Jeremy ridacchiò divertito: "Una volta era una rinomata pellicceria e mia nonna ci veniva per farsi fare le pellicce su misura." rabbrividì al pensiero delle pellicce, poi al pensiero di sua nonna, poi al pensiero di sua nonna con una pelliccia. "Viaggiavamo da Bourton fino a Stroud sulla sua carriola piena di fumo solo per venire in questo posto. Un vero orrore. Poi la proprietaria morì e l' 'Emporio della pelliccia' non rimase che una vecchia gloria, sostituita dall' 'Emporio della seconda mano'. O 'Mporo dlla sconda ma', se vogliamo guardare l'insegna."

Taylor scoppiò a ridere e Jeremy ne fu sorpreso. Non si aspettava di divertirla con il suo racconto, ma ciò fece sorridere anche lui e sistemò la situazione in un'inconsueta atmosfera pacifica.

Si avvicinarono alla piccola bottega e Jeremy batté sul legno. Taylor si aspettava di non ottenere alcuna risposta, invece dopo qualche secondo una ragazza si affacciò all'entrata e sorrise: "Posso esservi utile?"

Per quanto Taylor riuscisse a vedere dalla fessura, notò che aveva un aspetto giovanile, anche se un po' trasandato.

"Dovremmo comprare dei vestiti." disse Taylor, un po' in soggezione dalla sbarra di legno. "Siete...aperti?"

La ragazza sgranò gli occhi scuri: "Siamo aperti? Uhm...beh, certo. Certo che siamo aperti."

Taylor e Jeremy si scambiarono un'occhiata.

La ragazza, sorpresa di avere davanti a sé un paio di nuovi clienti, levò il legno e controllò a destra e a sinistra come per accertarsi che non fosse uno scherzo: "Prego, entrate pure."

Si fecero avanti, Taylor più timidamente, ed entrarono attraverso una doppia porta. Il negozio era molto spazioso; si intuiva che in passato doveva aver ospitato un considerevole business, ma ormai le pareti erano annerite e gli angoli occupati da montagne di scatoloni accatastati. La merce era disposta al centro del negozio, in maniera ordinata lungo scaffali ed espositori. Taylor dovette ammettere che, a eccezion fatta per l'aspetto un po' decadente, quel negozio non sembrava poi così male. L'organizzazione e la varietà dei capi a disposizione risvegliarono in lei una voglia di shopping che negli ultimi giorni si era per forza di cose assopita.

"Sono molto lieta che abbiate scelto il nostro negozio. Posso...ehm, posso aiutarvi?" la ragazza, non abituata a trattare con clienti saltuari e sconosciuti, se ne stava in piedi davanti a loro, mentre si torturava le mani in grembo.

"No, grazie." le sorrise Taylor. "Darò un'occhiata."

Anche se abbastanza strana, pensò, quella ragazza le infondeva una certa simpatia.

Jeremy si allontanò verso un espositore di foulard dalla parte opposta della stanza; le aveva lasciato quaranta sterline e le aveva, come al solito, intimato di non parlare troppo, né di uscirsene con strane trovate. Non aveva avuto bisogno di ricordarle la sua promessa; Taylor l'aveva molto ben presente da quella sera all'hotel di Cirencester.

Da un lato, si sentiva in soggezione sapendo che Jeremy portava sempre con sé la sua pistola, dall'altro faticava a immaginare che, anche se l'aveva minacciata, sarebbe stato capace di usarla. Dopo quella chiacchierata al loro arrivo a Stroud la percezione che aveva di lui era leggermente cambiata. Secondo una sua personalissima teoria, la pistola serviva a Jeremy per difendersi e non per attaccare, perché, sempre per una sua personalissima teoria, Jeremy subiva molti più attacchi di quanti ne sferrasse.

Ma era sempre e comunque troppo misterioso, dunque tutte quelle di Taylor non erano che supposizioni. E non voleva esagerare con le supposizioni; dopotutto, Jeremy l'aveva rapita, drogata e minacciata di piantarle una pallottola nelle gambe.

"Scusami?" qualcuno bussò sulla sua spalla, facendola sobbalzare.

"Ehi, che paura!" sorrise alla commessa, mentre riponeva la maglietta sullo scaffale.

"Persa in qualche piacevole pensiero?" le chiese la giovane.

"Nah, solo indecisa." mentì Taylor, riferendosi ai vestiti.

Lei tese la mano cicciottella, scoprendo l'apparecchio per denti: "Mi chiamo Joanne."

Taylor rispose alla stretta, cercando di suonare amichevole e chiedendosi se per caso non ci fossero volantini sulla sua scomparsa e lei l'avesse riconosciuta: "Taylor." si presentò, quasi temendo la sua reazione.

"Credo che io e te abbiamo la stessa età, sai? Io ho vent'anni." esclamò, allegra.

"Diciannove."

"Figo e il tuo amico, invece?" s'informò Joanne incollando gli occhi alla figura di Jeremy che spuntava tra gli scaffali.

"Ehm...ventidue, credo." buttò lì Taylor. "Comunque non siamo propriamente amici."

"Oh. Capisco." Joanne rimase in attesa, sperando che Taylor si spiegasse meglio, ma la sua nuova cliente non aggiunse altro, così prese fiato e proseguì. "Sono davvero felice che abbiate scelto il mio negozio. Seriamente." sorrise facendo scintillare l'apparecchio.

"Sicuro." accondiscese Taylor, tornando a guardare i maglioni.

"Sai, noi non siamo troppo abituati a ricevere clienti 'normali', se mi passi il termine."

Taylor pensò che quella ragazza fosse fin troppo loquace e la guardò in modo scocciato, ma poi incrociò i suoi occhi bisognosi di compagnia e si dispiacque.

"Che intendi dire?" si sforzò di darle retta.

"Beh, solitamente vendiamo solo alla clientela che ci ha lasciato in eredità nostra nonna. Cioè, intendo, quello che ne è rimasto. Dopo che ha chiuso con la pellicceria, se ne sono andati via tutti e hanno continuato a comprare da noi solo quelli del mercato settimanale. Ogni tanto portiamo qualcosa alle ragazze del centro immigrati e ai bambini dell'orfanotrofio di Stroud, com'era solita fare nonna con le rimanenze di mercato."

"È comunque un nobile commercio." la incoraggiò.

"Sì, anche se il mio sogno è sempre stato di aprire un emporio come quello di nonna. Magari senza pellicce, però quando mi ha lasciato in gestione il suo lavoro, l'intenzione era di spopolare e attirare un sacco di clienti. Immaginavo che sarebbe venuto qualcuno di famoso e che mi avrebbe messo sul giornale, che avrei fatto della seconda mano la moda del momento. La verità, però, è che qui non passa mai nessuno ed è per questo che vi sono grata."

Taylor annuì, gentile: "In effetti è un po' nascosto, però è molto carino. Vendi prodotti buoni, forse dovresti lavorare un po' sull'esterno."

"Dici?" le si illuminarono gli occhi, come se aspettasse quel momento da una vita. "I vestiti li scelgo personalmente, dalle persone che me li portano. Beh...è da tempo che qualcuno non me ne porta di nuovi. Questi sono di qualche stagione fa." aggiunse indicando colpevolmente il maglione che Taylor aveva appeso al braccio.

"Sono comunque confortevoli." ostentò Taylor, definitivamente seccata. Insomma, voleva trovare dei vestiti, non chiacchierare con la commessa, anche se lei sembrava non avere la minima intenzione di lasciarla in pace.

"Allora se non siete amici, cosa siete?" se ne uscì Joanne.

"Come?"

"Voglio dire, tu e il ragazzo biondo...siete...?"

Taylor la fissò per qualche istante e poi scoppiò a ridere: "Insieme? No, figurati. Tutt'altro."

"Ah." si stupì. "Lui non ti piace?" chiese, quasi scandalizzata.

"No." rispose lei in automatico, ma si sentì stranamente in imbarazzo.

Le sembrò che Joanne tirasse un sospiro di sollievo: "Quindi...uhm...lui sarebbe...insomma, si può considerare libero?"

La fissò di nuovo, non riuscendo a trattenersi. Joanne ci voleva provare con Jeremy?

Il suo sguardo saettò proprio sul ragazzo, intento a esaminare le sciarpe con fare serio e soppesante. Jeremy e Joanne, questa sì che era bella! A Taylor venne da ridere solo al pensiero.

Jeremy, a cui veniva l'orticaria solo a sentir parlare troppo la gente, sarebbe morto con a fianco una come lei. Per quanto potesse essere carina e gentile, l'avrebbe sicuramente fatto impazzire con la sua logorrea cronica e lui sarebbe finito per impiccarsi dopo cinque secondi di dialogo.

A quel pensiero, un sorrisetto malvagio spuntò sul volto di Taylor.

Guardò di nuovo Joanne, poi Jeremy e poi decise che doveva cogliere la palla al balzo: "Se è libero? Liberissimo!" sorrise, maliziosa, abbassando la voce. "Anzi, Jo, se ti posso chiamare così, mi confidava giusto l'altro giorno che è in urgente ricerca di una fidanzata. Una matura, con le idee chiare, una che sa cosa vuole."

Gli occhi scuri della giovane si illuminarono e scambiarono un'occhiata con quelli furbi di Taylor.

"Sul serio?" si emozionò. "Oh mio Dio, potrei essere io!"

"Assolutamente."

"Lo pensi davvero?" trillò, speranzosa. "Oddio, è una vita che desidero presentarmi!"

"Una vita?" chiese Taylor, confusa.

"Sì, certo!" cinguettò, estasiata. "Non è la prima volta che lo vedo a Stroud, quando era bambino veniva sempre all'emporio di nonna, poi è sparito e ho iniziato a vederlo di nuovo da adolescente, all'orfanotrofio."

"All'orfanotrofio." ripeté Taylor, in un'implicita richiesta di conferma.

"Sì, quando andavo con nonna a portare le rimanenze di mercato lui era sempre lì. E com'era bello..." commentò con aria sognante. "Lo spiavo dal finestrino del furgone mentre stava a fumare di nascosto sul terrazzo."

"Ah."

"Non so nemmeno come si chiama. Come si chiama?"

"Jeremy."

"Jeremy! Oddio, che bel nome! Jeremy." ripeté come se stesse recitando una formula magica. "Quindi, secondo te, se ci vado a parlare..." buttò lì, sistemandosi la maglia sulla scollatura. "Se vado da Jeremy e mi presento, insomma...Joanne e Jeremy suona molto bene. Che ne pensi, ci vado? Oi, Taylor, ci sei?"

La ragazza si scrollò e annuì, incoraggiante: "Certo."

"Che figata. Allora io vado, eh."

"Vai." le fece l'occhiolino. "E ricorda che adora le ragazze curiose, che hanno molto da dire, perciò parla tanto e fagli un mucchio di domande."

"Ricevuto! Grazie, Taylor." le strinse nuovamente la mano e partì a passo di marcia.

La mora si appostò dietro un espositore di pullover e si godette la faccia seccata di Jeremy appena la ragazza gli porse la mano, interrompendo i suoi pensieri: "Ciao, Jeremy, mi chiamo Joanne."

Sperando che la vendetta di Jeremy non sarebbe stata troppo atroce, Taylor tornò a scarpe e maglioni e lasciò che Joanne si occupasse di lui. Aveva delle nuove informazioni su cui riflettere, uno spiraglio di speranza per iniziare a capire qualcosa del suo introverso e taciturno rapitore.

Ovviamente quella notizia l'aveva sconvolta, ma le aveva anche fornito una sorta di appiglio. Se Jeremy era lì, forse la ragione era da ricercare nel suo passato e Taylor l'avrebbe fatto. Perché sì, perché in fondo quel Jeremy l'aveva incuriosita sin dal primo momento e, ancora più in fondo, l'idea di sapere qualcosa di importante su di lui, inconsciamente, la attirava.

Dopo ben un'ora, Jeremy ricevette una chiamata di Alex, preoccupato che nessuno fosse ancora tornato, e fu proprio grazie a quella che riuscì a schiodarsi Joanne di dosso.

Le disse che dovevano andare all'ospedale per trovare un caro amico e che, purtroppo, non poteva più continuare quella piacevolissima conversazione. Uscirono dalla bottega con scarpe e vestiti nuovi per Taylor e un completo intimo in omaggio per Jeremy.


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"No, non ti faccio da palo." disse Jeremy a denti stretti mentre si avviavano verso la macchina, attenti a non scivolare sulla neve.

La sera precedente c'era stata una bella nevicata e loro dovevano attraversare tutto il parco prima di raggiungere il parcheggio della povera Betsie. Per questo motivo Taylor aveva appena chiesto a Jeremy che si fermasse e le facesse da appoggio mentre lei si cambiava quegli odiosi tacchi.Aveva appena comprato un paio di sneakers; le avrebbe volentieri sostituite a quelle trappole con la suola che Allyson le aveva prestato. O quello, o una rovinosa scivolata sul sentiero ghiacciato.

"Eddai, Jeremy, ti prego!"

"No."

"Perché no?"

"Perché sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più feroce di te e perché voglio vederti soffrire."

"Beh, sei uno stronzo." lo accusò.

Il ragazzo la guardò di traverso poi proseguì per il vialetto, dandole le spalle e lasciandola sola con il suo broncio.

"Sai cosa?" insistette lei, disperdendo l'eco nel parco deserto. "Joanne non ti meritava!"

"E io non meritavo te, ma il destino è crudele." alzò le spalle, continuando imperterrito a camminare mentre reggeva le borse dei nuovi acquisti.

"Jeremy, torna qui! Dammi una mano!" lo implorò Taylor, facendosi venire il broncio. "Se cado e mi faccio male che fai, eh? Come lo spieghi a Oliver?"

Il ragazzo si fermò di colpo e sbuffò espirando sonoramente. Quella ragazza ne sapeva una più del diavolo, dannazione. Si voltò e tornò sui suoi passi per accontentarla; sapeva che se non lo avesse fatto, lei avrebbe continuato a lamentarsi o si sarebbe fatta male di proposito. E allora sì che, come gli aveva appena ricordato, sarebbero stati guai.

"Questa me la paghi, mocciosa." disse piantandosi di fianco a lei con le braccia incrociate. "Soprattutto la trovata della commessa logorroica...come se tu non blaterassi già a sufficienza."

La ragazza non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò alla sua spalla sfilandosi la scarpa con sollievo.

"Sareste stati bene, assieme." lo provocò con un sorriso di sfida. "Lei sarebbe stata la metà socievole, buona, gentile e tu la metà stronza."

"Non credo sarebbe durata con uno come me."

"Tu non saresti durato."

"Oh, io ormai posso gestire gli sproloqui egregiamente, dato che grazie a te ho sviluppato un'ottima tolleranza." sorrise lui. "Però alla mia bellezza sconcertante il suo cuore non avrebbe retto."

"L'unica cosa di sconcertante che vedo in te è l'immodestia."

"Dici?" Jeremy si girò di scatto, fissando i suoi occhi maliziosi sul volto di Taylor, che si trovava a pochissimi centimetri da lui.

La ragazza, completamente impreparata a quel gesto diretto, arrossì e rimase impalata con la gamba a mezz'aria, il piede scalzo e una scarpa nella mano.

Vedere Jeremy così da vicino le sparò il cuore direttamente nella gola; un po' per la soggezione che provava nei suoi confronti e un po' per la sua – e sì, qui doveva ammetterlo – bellezza. Poteva osservare senza fatica le sue iridi immacolate e così azzurre da farle venir voglia di usarle per sostituire il cielo.

E poi sentiva il calore della sua bocca così vicino che di colpo l'inverno attorno a loro svanì. Poteva bearsi di quel tepore naturale, di quel respiro impalpabile e inebriante che avrebbe volentieri condiviso, di quel profumo autentico e complesso che non le avrebbe mai più ricordato niente di diverso da Jeremy.

"Lor." sussurrò Jeremy a un palmo di naso da lei, guardandola intensamente e facendo scivolare il suo respiro lungo i pendii delle sue guance.

"Sì?"

"Vaffanculo." Jeremy le posò un un dito sul petto e, senza staccare gli occhi dai suoi, la spinse all'indietro, facendole perdere l'equilibrio e facendola rovinosamente cadere nella neve.

"Jeremy!" strillò lei, soffrendo l'improvviso e spiacevole contatto col freddo, mentre Jeremy prorompeva in una grassa risata.

"Sei proprio uno stronzo! Come ti sei permesso?"

Cercò immediatamente di rialzarsi, piagnucolando e imprecando perché aveva le gambe e un piede nudi. Il ragazzo rise di gusto, divertito nel vederla dimenarsi goffamente e continuare a scivolare sulla neve, sbattendo ogni volta il sedere e lamentandosi.

"La vendetta va consumata fresca, principessina di ghiaccio."

"Vaffanculo!" Taylor non ci mise molto a creare una palla di neve e la scagliò senza pensarci due volte sul volto di Jeremy, beccando l'orecchio.

"Ahi! Che diavolo fai?" berciò lui, tastandosi il punto colpito e cercando di tirare via la neve, ma Taylor lo colpì di nuovo e stavolta lo centrò in pieno viso.

"Centro!" esultò lei.

"Dacci un taglio, Heavens!" tuonò Jeremy, senza riuscire a mascherare una risata che nacque nel suo stomaco.

Taylor non gli diede la minima retta e approfittò della sua temporanea cecità per improvvisare una raffica che lo fece indietreggiare.

Jeremy fu preso alla sprovvista e mollò la presa sulle borse, lasciandole cadere mentre cercava di difendersi con le braccia. Quando il suo metodo non fu più sufficientemente efficace, decise di passare al contrattacco e si lanciò su di lei, sfidando la pioggia di palle di neve.

Si gettò a terra cercando di afferrarla, ma Taylor indietreggiò, bagnandosi il sedere e ridendo dell'espressione irritata di Jeremy. Quando finalmente il ragazzo riuscì ad afferrare la sua caviglia, fu facile per lui tirarla e farla scivolare sulla neve finché non l'ebbe proprio sotto si sé, le guance e il naso arrossati, gli occhi che scintillavano per l'adrenalina e il divertimento.

Anche negli occhi di Jeremy c'era una luce diversa e quasi magica. Chi lo conosceva avrebbe detto che mai aveva visto una tale espressione disegnata sul suo volto duro e rigido. O per lo meno, mai in molti e molti anni. Sembrava essere tornato bambino, sembrava essere il bambino che non era mai stato.

Nel bel mezzo del parco la cui superficie innevata era ormai segnata dalla battaglia, ognuno di loro ascoltava il proprio cuore e lasciava che il pensiero fluisse liberamente, passando per i toni caldi color cioccolato delle iridi di Taylor e immergendosi in quelli congelati nel tempo di Jeremy.

Taylor aveva visto per la prima volta un lato del carattere di Jeremy che pensava non esistesse. L'aveva visto divertirsi e ridere spensieratamente, anche se solo per pochi minuti. Lei stessa era stata capace di dimenticare per un momento tutte le sue angosce e si era sorpresa di sentirsi così felice e serena. Non pensava che sarebbe mai stato possibile, fintanto che avesse avuto quel ragazzo tra i piedi, e invece le stava accadendo. Si stava sentendo bene; era così strano.

Al contrario, Jeremy stava pensando all'arcobaleno di emozioni che Taylor riusciva a fargli provare. Emozioni che non aveva mai provato o a cui aveva sempre resistito, come la paura, lo smarrimento, la confusione, la gioia, la serenità, la voglia di ridere. E passava così da un estremo all'altro, dall'emozione più bella a quella più insopportabile, senza avere la possibilità, in questo gran marasma, di decidere da sé. Rideva così, spontaneamente, e si arrabbiava, perché quando lei era con lui si sentiva bene e poi si sentiva male, e ancora, tutto daccapo. Era un'altalena di sentimenti contrastanti che lui non riusciva a gestire e che lo stavano lentamente portando, se lo sentiva, verso la rovina.

"Sei una mocciosa decisamente insopportabile." le disse con il fiatone, godendo della sua posizione di vantaggio sopra di lei.

"E tu sei un rapitore decisamente scarso."

"Però sono immensamente bello. Coraggio, ammettilo."

Lei scosse la testa, muovendo la neve incastrata tra i ciuffi castani che Jeremy sembrò notare per la prima volta. Gli piacevano i capelli di Taylor, davano l'aria di essere morbidi e fortunatamente più disciplinati di lei.

"Lor, non mi fai fesso facilmente." alzò un sopracciglio. "Non ti lascerò andare finché non ammetti che Jeremy Parker è il più bello, in gamba, magnifico e intelligente. A costo di vederti congelare sotto i miei occhi."

"Sempre ricatti, Jeremy."

"Oh, io adoro i ricatti."

"Chissà perché l'avevo notato."

"Con te funzionano."

"Beh, piaci molto più a Joanne che a me." bofonchiò lei, a disagio sotto quell'azzurro divertito e inquisitore. Poi le tornò alla mente qualcosa e decise di azzardare una proposta: "Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"

"Un ricatto sul ricatto? Carino."

"Jeremy." la ragazza deglutì indecisa su quale delle sue mille lentiggini posare lo sguardo, poi prese coraggio e glielo chiese. "Perché eri in un orfanotrofio?"

Il ragazzo, sorpreso da quella domanda, si ritrasse e spostò lo sguardo, come se di colpo quello di Taylor fosse diventato insostenibile. Pensò febbrilmente a come una tale informazione potesse essere giunta all'orecchio di Taylor e poi realizzò che doveva essere stata Joanne. Per forza doveva essere stata lei; in uno dei suoi mille racconti gli aveva accennato che era di Stroud e che l'aveva visto spesso da piccolo.

Ecco, aveva rovinato tutto. Quella domanda fu come una secchiata di acqua gelata in faccia; si rese conto che era nei guai fino al collo e che non stava facendo altro che lasciarsi condizionare troppo, esponendosi incoscientemente come mai si era permesso in vita sua. Lui non poteva assolutamente concedersi il lusso di essere vulnerabile, di far conoscere il suo passato. Non lo aveva mai fatto, era sempre riuscito a evitarlo e ora tutto stava crollando a causa di una semplice ragazzina. Lui stava crollando e lei sì, non era non era altro che una semplice ragazzina, da cui dipendeva tutta la sua vita.

Taylor lo vide tornare repentinamente serio, come se l'inverno fosse calato di colpo su di lui.

"Non sono affari tuoi." le rispose secco e si staccò da lei, rimettendosi in piedi in un batter di ciglia. Ecco il Jeremy di sempre, pensò, scontroso e prepotente. Era troppo bello per essere vero. "Andiamo, Alex ci aspetta." disse poi, raccogliendo le borse con i vestiti.

"Aspetta, Jeremy! Che ho detto di sbagliato? Jeremy!"

Ma lui non le diede retta, ormai si era già incamminato verso l'uscita del parco, le spalle rigide e contratte, gli occhi completamente svuotati da quella scintilla di magia.

Taylor si alzò a fatica, ripulendosi come meglio poté e finendo di indossare le sue nuove sneakers. Lo seguì in silenzio, arrabbiata e mortificata, guardando i suoi capelli bagnati ondeggiare secondo il ritmo dei passi. Non seppe perché, ma appena salì nel silenzio ostile dell'auto, pensò a Tessy e a cosa stesse facendo in quel momento, tutta sola a Bourton.


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"Papà?" Tessy bussò alla camera di suo padre, chiusa dalle sei di mattina. Di domenica mattina.

"Papà, devo uscire per le prove della messa."

La porta finalmente si aprì e rivelò un Oliver stanco e in disordine: "Ciao, gioiello."

Tessy gli sorrise, premurosa: "Va tutto bene?"

"Sì, certo. Ti accompagno." raccolse la sua giacca dall'appendiabiti e prese le chiavi della macchina.

"Che stavi facendo là dentro?"

"Lavoro." rispose lui con un'alzata di spalle.

Era da quando aveva saputo di Taylor che Tessy lo vedeva giù di morale. Si comportava in maniera strana, si chiudeva in camera per ore, tornava tardi da lavoro e, quando lei gli chiedeva notizie della sorella, evitava l'argomento o se ne usciva con un semplice "niente di nuovo".

A volte le veniva d'istinto rivelargli che non era solo in questo compito, che lei e Allyson avevano contattato la polizia e che si stavano muovendo con tutta attenzione sul loro caso, ma non trovava il coraggio. Aveva paura che lui si arrabbiasse e che pensasse che lei non gli desse abbastanza fiducia.

Non era una questione di fiducia, Tessy aveva piena considerazione delle capacità di suo padre, ma in un momento del genere bisognava assolutamente affidarsi a chi di mestiere. Non c'erano alternative e la situazione era molto più grave di quanto sembrasse, a detta della polizia.

Non capiva perché suo padre fosse contrario a farsi aiutare. Due giorni prima, in centrale, era stato un sollievo potersi rimettere nelle mani degli esperti. Lei e Allyson avevano parlato con Bob Gaynor, il responsabile della denunce per scomparsa; era stato molto professionale e aveva dato loro la speranza che cercavano.

Dopo essersi accertato che fossero maggiorenni, aveva chiesto loro di fornirgli più dettagli possibili e di indicargli ogni orario e conoscenza. Aveva registrato tutti gli appunti e, dopo essersi fatto dare i loro numeri di telefono, aveva garantito loro che avrebbe subito messo all'opera la sua squadra.

Entro pochi giorni avrebbero saputo fornire le prime notizie e lei doveva assolutamente avvisare suo padre. Solo che non sapeva come. Ci aveva provato già un paio di volte, ma lui era distaccato, distratto e non dava segno di voler entrare in argomento "Taylor".

Forse ne stava soffrendo più di quanto ci si potesse aspettare, aveva pensato, o forse era scocciato per il fatto che non riuscisse a trovarla con i suoi mezzi. Fatto stava che ora entrambi erano immersi in un silenzio tombale, all'interno della lussuosa auto nera.

La radio, che solitamente si trovava sintonizzata su un canale di musica classica, era muta e indifferente, il cielo grigiastro tutt'intorno non faceva che rendere l'aria ancor più deprimente. Inutile negare che Tessy fosse molto preoccupata; se c'era una persona con cui non si poteva andare in depressione, quella era proprio Oliver Heavens. Che gli stava succedendo?

"Eccoci qui, oggi verrà solo mamma alla messa, io devo sbrigare una faccenda in ufficio." disse fermando l'auto davanti alla chiesa.

"Va bene." rispose Tessy, prendendo il suo violino. "Buona giornata, papà."

"Buona giornata, gioiello."

Guardò la ragazza scendere e sorridere alla sua amica Allyson che la stava aspettando fuori dall'entrata. Riaccese il motore e si diresse alla Money House.

Sapeva che l'avrebbe trovata vuota, perché di domenica mattina tutti i banchieri rimanevano a casa, con la propria famiglia, il proprio letto e la propria tranquillità. Lui di tranquillità non ne provava da giorni, purtroppo. Né riusciva a dormire, né aveva tempo per la sua famiglia.

Pensava a un modo per trovare quei soldi e stava ore a fissare il telefono nell'attesa che una chiamata gli dicesse che era tutto uno scherzo, che ci era cascato e che aveva vinto due milioni di sterline per aver contribuito a far ridere qualcuno. Ma più il tempo passava, più questa speranza diminuiva.

Allora si concentrava a trovare un modo per far soldi su internet, a cercare gente disposta a spendere due milioni di sterline per un orologio d'oro o un impianto audio ben funzionante, ma non c'era nessuno pronto a fare un miracolo per lui. Doveva vendere la sua casa, la sua macchina e la baita in montagna. E forse avrebbe raggiunto quella cifra.

E poi? Poi avrebbe dovuto cambiare tutta la sua vita. Tessy avrebbe dovuto accontentarsi di un appartamento in centro, senza più la piscina, Martha avrebbe dovuto smettere di comprare pellicce e disdire tutti gli abbonamenti a quelle riviste su quale colore di smalto andasse più di moda.

Spense il motore sul suo posto auto, scese e sospirò ammirando l'edificio a più piani. Da lì riusciva vedere le vetrate del suo ufficio, al piano più alto, proprio sotto la H dell'insegna rossa "Money House". Avrebbe perso anche il posto di dirigente, una delle cose a cui teneva di più al mondo. Si sa, era un grado alto, che veniva dato a chi godeva di prestigio e buoni fondi.

Fortunatamente, sapeva già a chi lasciare le redini della Money House. Aveva tanti progetti per il suo business, ma li avrebbe riposti nelle mani di Edoardo, suo fidato collaboratore. Solo qualche giorno prima aveva in progetto per lui un trasferimento, data la sua età e l'esigenza di ringiovanire il personale, ma ora sarebbe stato felice – almeno l'unico in tutta quella faccenda – di mantenere il suo posto e di vedere una possibilità di ascesa nella carriera.

Salì in ascensore e si diresse all'ultimo piano, dove la solita segretaria era impegnata a sistemare palline e alberelli in ogni angolo.

"Buongiorno, Kate." salutò. "Al lavoro anche di domenica?"

"Sì." sorrise la ragazza, sistemandosi i ciuffi biondi. "Mia figlia Hannah è in montagna con un'amica e mio marito oggi è d'aiuto a ritinteggiare il ristorante, così ho pensato di venire ad attaccare qualche addobbo."

"Ottima idea." le sorrise ed entrò nel suo ufficio, sentendosi terribilmente in colpa anche per lei e per il suo destino. Avrebbe sostituito Cordano, se solo non fosse successo ciò che era successo. Le avrebbe fatto una bellissima sorpresa di Natale e avrebbe dato beneficio alla sua giovane famiglia. Ma ora realizzò che non sarebbe stato possibile; sarebbe rimasta ad addobbare stupidi alberelli all'ultimo piano di domenica mattina per altri innumerevoli anni.

Il suo ufficio era impeccabilmente pulito e in ordine. Una montagna di scartoffie lo attendeva per il lunedì, ma fece finta di non notarle e si sistemò al computer. Scrisse qualche e-mail agli affiliati, doveva assolutamente spedire gli auguri di Natale, e diede una controllata alle offerte per l'orologio. Tre mila sterline. Era questo il massimo che riusciva a ottenere?

La porta dell'ufficio si spalancò e un ometto basso e grassottello fece il suo ingresso reggendo alcuni fogli. Era poco più vecchio di Oliver, con un naso enorme e il viso sorridente: "Oliver! Speravo di trovarla qui!" esclamò raggiungendo la scrivania.

Lui oscurò il sito di vendite online e sorrise al suo collaboratore: "Buongiorno, Frank."

"Ottime notizie, Oliver, ottime notizie." annunciò l'uomo, tutto gasato. Rifilò il foglio sotto il naso di Oliver e gli disse di leggere attentamente.

Dopo pochi secondi, il suo capo alzò gli occhi e lo guardò smarrito: "Che roba è?"

"Ma non capisce?!" sbottò lui, risoluto. "È l'approvazione dell'Universal Credit. Siamo nei primi cinque della regione! L'affare è concluso, Oliver!"

Lui lo squadrò con i suoi occhi grigi: "L'affare? Vuoi dire quello a cui lavoriamo da nove mesi? Siamo in accordo con la Universal?"

"Può dirlo forte."

Oliver si lasciò cadere sulla sedia: "Siamo nei primi cinque!" esultò in un misto di incredulità e soddisfazione. Finalmente le sue orecchie sentivano una notizia positiva. "Ottimo lavoro, Frank."

"Oh, no, capo. Il lavoro è tutto suo." rilanciò l'altro, modesto e sincero. "Ma si rende conto? Ora godiamo di una sicurezza indiscutibile, siamo sotto l'ala della Universal! Lei è un uomo veramente in gamba, se lo lasci dire. Nessun dirigente in tutto il Cotswolds è riuscito a convincere quella banca, ma lei...lei è un oratore nato; un banchiere nato. Le siamo tutti grati, mi creda Oliver."

L'uomo gli sorrise, felice di ricevere quei complimenti, ma allo stesso tempo malinconico come poche volte in vita sua.

"Sa, Oliver, se decidesse di andarsene ora dalla Money House le darebbero almeno un miliardo di sterline. E da qui in avanti lei varrà ogni giorno di più! Al momento del suo congedo sarà riconosciuto con un premio impareggiabile." gli fece l'occhiolino, sinceramente ammirato dalla competenza e professionalità che Oliver non cessava mai di dimostrare. "Grazie a questo accordo la sua, e, diciamocelo Oliver, anche la nostra pensione sarà sufficiente a figli e nipoti finché non ci rinchiuderanno nella bara!"

Oliver lo fissò, rapito. Era rimasto al milione di sterline con sguardo da trota e il cuore che martellava. Aveva sentito bene?

"Frank, dici sul serio? C'è davvero un riconoscimento per i dirigenti?"

L'uomo si grattò il mento: "Com'è sempre stato, signor Heavens. A ogni buon dipendente la banca offre sempre un premio di congedo. A ogni buon dirigente, un gran bel premio."

Oliver si morse il labbro, riducendo i suoi occhi a fessure. Forse qualcuno gli stava servendo la soluzione su un piatto d'argento, perché un piano, ben delineato e funzionante, era appena apparso alla sua mente. Doveva solo trovare il coraggio di afferrare l'occasione senza ripensamenti.

"Tutto bene, capo? La vedo pensieroso."

"Bene, sì, bene." fece lui, alzandosi e lasciando la sedia a girare. "Credo che andrò a casa a meditare."

"Meditare? Su cosa, se posso permettermi?"

"Sugli errori a cui potrei ancora rimediare." recitò, solenne, guardando Frank, ma non vedendolo realmente. Aveva appena pronunciato un'altra frase da film; era un buon segno.

"Bene, allora...ehm, a domani, Oliver."

"Arrivederci, Frank."

E proprio come un attore che lascia il palco mentre cala il sipario, Oliver lasciò il suo ufficio, dirigendosi verso un posto in cui avrebbe potuto riflettere in libertà. Era ansioso di mettere a punto la sua idea e, sì, emozionato. Perché forse – forse, pensò piano nella sua testa – non tutto era perduto.


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"Oggi è domenica." Taylor ruppe il silenzio, mentre Alex e Jeremy addentavano i loro panini, concentrati a non lasciar cadere nemmeno una foglia di insalata.

"E allora?" borbottò il biondo.

"C'è la messa, no?" se ne uscì Alex.

"Grazie, Alex."

"Per la cronaca, la quarta messa d'avvento." precisò Taylor.

"E allora?" chiese di nuovo Jeremy.

"È l'ultima prima di Natale." gli rispose Alex masticando l'ultimo boccone.

"Grazie. Alex."

"È davvero importante, non ne ho saltata una da quando hanno iniziato a portarmi in chiesa da piccola." spiegò lei con aria saputa.

"Wow, che vita da sballo."

"Jeremy, la religione è una parte fondamentale della mia vita."

"E allora?"

"Sai, credo che voglia andare a messa oggi." disse Alex.

"No, vuole andare a pascolare le mucche sull'Himalaya! Certo che lo so, Alex, non sono un deficiente."

"E allora perché continui a dire "e allora"?"

"Alex, giuro che ti arriva un cazzotto, ok?"

"Oh, vuoi fare a botte? Non ti conviene, biondo. Ti spezzerei come uno stuzzicadenti con quelle gambe anoressiche che ti ritrovi."

"Ti prego, ricordami perché sei venuto con noi."

"Perché il bambino speciale aveva bisogno della sua balia."

"Oh, che divertente."

"Ragazzi!" li richiamò Taylor, troncando l'amorevole discussione con tono mellifluo. "Mi farebbe davvero piacere assistere alla messa."

"Scordatelo." la zittì Jeremy.

"Perché? Non faccio niente di male!"

"Se vuoi posso andare io con lei."

"Alex, te ne stai zitto per una volta?"

"Jeremy, ti prego." Taylor tentò di corromperlo con lo sguardo più indifeso che avesse. Allargò gli occhi scuri e sbatté le ciglia lentamente, mentre le sue sopracciglia pregavano di avere pietà. Non faceva mai gli occhi dolci per ottenere qualcosa, nemmeno con sua madre, ma sembrava che per sciogliere Jeremy non bastasse promettere di comportarsi bene.

"Lor, risparmiati il moscerino nell'occhio. Non ci andrai."

"Ma Jeremy." congiunse le mani, andando remissiva al suo cospetto. "Per me è davvero importante. Non hai mai avuto qualcosa di importante? Di assolutamente imperdibile? Qualcosa tipo l'unica cosa che ti desse speranza in un momento di sconforto?"

"La pizza."

"Allora mi capisci!"

"Sì, ma sono sempre stato troppo debole per rinunciare alla dipendenza dal fumo e comprarmela. Quindi falla finita e adeguati alla depressione."

"Oh, Jeremy, se mi vuoi bene, mi lascerai andare a messa!"

"Non ti voglio bene."

"Però merito un premio per essermi comportata bene ieri al negozio."

"E quello lo chiami comportarsi bene? Se vuoi domani ti compro uno zuccherino, ma non posso concederti di più. Il trauma legato a Joanne non si dimentica facilmente."

"Andiamo, non puoi essere così cattivo."

"Non hai ancora visto nulla."

Taylor sbuffò, esasperata. Si sedette sul pavimento della camera, raccogliendosi le ginocchia con le mani. Era una ragazza di Bourton e questo la rendeva anche una ragazza estremamente religiosa e praticante; era vero che non mancava quasi mai a messa di domenica mattina. Ma a parte il senso del dovere nei confronti della chiesa, Taylor sentiva che davvero partecipare all'avvento le avrebbe fatto bene. L'avrebbe sollevata dalla preoccupazione per sua madre, le avrebbe dato coraggio e speranza, le avrebbe permesso di rivolgere le sue domande a Dio, come le aveva insegnato sua madre sin da quando Oliver se n'era andato.

Alex stappò una bottiglia di birra, sorseggiando tranquillo, mentre Jeremy cominciava ad avvertire un maledettissimo senso di colpa farsi largo nel suo stomaco. Più guardava la ragazza con la sua espressione delusa e gli occhi bassi, più si odiava per esserne la causa. Come al solito quella strana serpe stringeva il suo cuore e lui non poteva farci nulla. Era completamente vittima di un indefinito e stupido sentimento; inaudito per uno come lui.

Alla fine posò il panino e incrociò le braccia al petto: "Ok, Lor. Dammi una buona ragione, una sola buona ragione, per andare in quel posto e io ti ci porto."

La ragazza alzò la testa e lo guardò, un po' colta alla sprovvista.

"Mi devi convincere, mocciosa." le intimò puntandole addosso la bottiglia di birra. "E ricordati che io non credo in niente e nessuno."

Taylor ci pensò per qualche secondo e poi decise che la verità sarebbe stata la via migliore: "Non si tratta di te, Jeremy, ma di me. Attraverso Dio posso comunicare a mia madre che sto bene, posso confidarGli quanto mi manchi e chiederGli di proteggerla al posto mio. Non posso farlo come si deve da qui. O comunque non mi sento sicura che mi ascolterebbe."

Jeremy sentì la stretta allo stomaco salire e prendersela di colpo col suo Pomo d'Adamo, rendendogli difficile deglutire. Taylor gli parve talmente indifesa e innocente da essere quasi illegale. Quel tono un po' bambinesco e quelle parole da Catechismo rivelarono quanto fosse piccola, quanto fosse inesperta del mondo e quanto la sua realtà non fosse che una costruzione che avevano creato attorno a lei senza che nemmeno se ne rendesse conto. Era così dannatamente tenera che gli fece male, che gli pugnalò il cuore e lo fece sentire parte di quella metà di mondo che faceva schifo, e nient'altro.

Quell'ingenuità avrebbe dovuto mandarlo su tutte le furie e invece l'aveva inondato di pena e dispiacere, forse invidia per non possedere quel modo di vedere così semplice e privo di malizia. Invidia per non essere stato protetto com'era stata lei, rabbia per aver dovuto crescere troppo in fretta, diventando lo scettico che era. Troppo grande ormai per poter credere, eppure troppo vulnerabile per non risentirne le conseguenze.

Era anche troppo cosciente per non rendersi conto di cosa stava succedendo. A Taylor sarebbe bastato un nonnulla per essere felice. E anche a lui sarebbe bastato un nonnulla, sia per farla felice e sia per distruggerla completamente. Avrebbe potuto rompere la sua sfera di cristallo con lo scetticismo, con l'asettico resoconto della realtà, con le parole dure e sprezzanti che in passato non aveva mai temuto di spendere sulla religione. Oppure avrebbe potuto semplicemente chiudere gli occhi e fingere. Fingere che lei non stesse vivendo in una menzogna, fingere che Dio avrebbe veramente protetto sua madre, fingere che andare a messa avrebbe avuto il minimo significato.

Taylor riusciva a toccarlo nel profondo semplicemente essendo se stessa, nel modo in cui era stata illusa, delusa e cresciuta, e fu per questo che lui decise di fingere. Di farla felice.

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo: "Preparati." disse semplicemente, e gettò nel cestino quei pochi avanzi di panino.

Alex, che capì il disagio che aveva provocato involontariamente Taylor, si offrì di accompagnarla da solo, ma Jeremy gli assicurò che era tutto a posto, che potevano partire insieme. In poco tempo tutti e tre furono davanti alla chiesa ed entrarono poco prima che la messa iniziasse.

"Sentimi bene, principessa, io non so come ti abbiano abituata, ma queste sono le regole." sussurrò Jeremy all'orecchio di Taylor. "Niente confessioni chiusa là dentro assieme al prete, niente comunione immersa nelle file di fedeli, niente buste con richieste d'aiuto nelle offerte."

"Wow, Jeremy, hai davvero fantasia."

"Eviterai di guardare in faccia la gente." proseguì, inscalfibile. "Starai a capo chino e non parlerai con nessuno. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è essere riconosciuti."

"Jeremy, siamo in una chiesa in piena campagna, ci sono dieci persone, dodici se consideri anche il prete e il chierichetto."

"Anche la peste inizia sempre con un malato."

Taylor gli lanciò un'occhiata sconcertata.

"Ah, e niente balli o riti sacri di qualsiasi genere. Che non ti venga nemmeno in mente."

Taylor ridacchiò: "Non facciamo riti sacri, Jeremy."

"Bene."

"Solo canti."

"Non azzardarti a cantare, mocciosa, non provarci neanche." sibilò lui, nel panico, ma la campanella di inizio cerimonia trillò prima che lei potesse ribattere.

Il ragazzo vide tutte le persone alzarsi e si guardò attorno, come se fosse su un altro pianeta. Non aveva che sfocati ricordi di una funzione e ora sentiva già il fiato mancare, nella pura angoscia di essere in una chiesa, con almeno dodici potenziali testimoni oculari del suo crimine. Aveva già detto che odiava quella Heavens?

Gli alieni eseguirono il segno della croce e lui pensò che prima o poi l'avrebbe portato definitavemente alla rovina.

"Sinistra, destra, amen." gli sussurrò Taylor, vedendolo in difficoltà.

"Grazie." disse lui e, guardandola con aria di sfida, ripeté. "Nel nome del Padre, del Figlio, sinistra, destra, Amen."

Taylor scosse la testa e desiderò sbatterla sulla colonna più vicina.

Si preannunciava una cerimonia molto lunga.


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Finalmente il sacerdote diede la benedizione e i fedeli si dileguarono lentamente verso l'uscita. Jeremy prese per mano Taylor, sollevato di poterla trascinare fuori da quel posto e andarsene per non ritornarci più. La ragazza, tuttavia, oppose resistenza e si intestardì per aspettare un momento.

"Lor, non ci voglio invecchiare qui dentro."

"Voglio accendere una candela." disse lei.

"Una che? Non c'è già abbastanza luce?"

"Jeremy, non fare il saccente. Voglio accendere un lumino per pregare."

"Ancora? Non ti sembra di averci già dato dentro in questi pallosissimi quarantacinque minuti?"

"Ti ricordo che siamo in chiesa, non si possono usare certi termini."

"Ora Dio ha scritto anche il vocabolario?"

"Smettila, Jeremy, è una cosa seria." si avvicinò a un banchetto pieno di candele accese e lo indicò al ragazzo, che la seguì più per inerzia che per interesse. "Vedi? Ognuna di quelle è una preghiera verso qualcuno di particolare."

"Interessante. Scommetto che c'è anche l'amante segreta del prete tra quelle persone particolari."

"Jeremy, che diavolo dici?" lo rimproverò a bassa voce, come se avesse appena bestemmiato e lei si vergognasse per lui. A Jeremy sembrava troppo ridicola, ma allo stesso tempo piacevolmente buffa e ingenua. "Non pensare nemmeno a una cosa del genere, è una grave mancanza di rispetto. I preti sono sposati con Dio!"

"Sapevo che quel tizio doveva essere gay. Aveva proprio la faccia."

Il ragazzo si beccò un pugno piuttosto forte sulla spalla, al quale ridacchiò. L'argomento sembrava pungere sul vivo Taylor e lui se la stava spassando alla grande nello stuzzicarla appositamente.

"Ehi, siamo in chiesa, non si possono fare certe cose." infierì continuando a godere del fastidio che provocava.

"Sei insopportabile, Parker." ammise lei cercando di far prendere fuoco a uno stoppino.

"Come fai a sapere il mio cognome?"

"Me l'hai detto ieri mattina, ricordi? Jeremy Parker, il più bello, in gamba, intelligente..."

"Oh, già." si ricordò lui, stupito. Era strano che avesse registrato un'informazione a cui lui non aveva nemmeno prestato attenzione; non credeva le importasse del suo cognome. Lui stesso non si era reso conto di averlo fatto conoscere. Forse intendeva semplicemente denunciarlo, era per quel motivo che di solito la gente cercava di sapere determinate informazioni su di lui. Ma lasciò correre e si schiarì la voce: "Bello, in gamba, intelligente. Amen." sospirò. "Ora che abbiamo pregato possiamo uscire?"

"Non era pregare, era decantare qualità inesistenti." finalmente la sua candela si accese e la appoggiò vicino alle altre. La guardò per qualche secondo, ipnotizzata dalla luce arancione, poi ne offrì una a Jeremy.

"No, grazie." rifiutò lui.

"Coraggio, non è un reato." insistette lei.

"So cos'è un reato, direi." le rivolse un'occhiata eloquente. "Non voglio e basta."

"Ma Jeremy-"

"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."

"Non dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno, qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."

Guardò il suo naso dritto e le guance arrossate e lo sguardo fiero e capì che doveva darle ragione per farla tacere. Come al solito.

"Da qua." le lanciò un'occhiata irritata e sofferente, poi, titubante, afferrò la candela e attinse dalla sua per accenderla. Quando fu pronta, la sistemò un po' più distante dalle altre e la guardò.

"E ora?"

"Ora fai finta che sia...che so, un cellulare per chiamare qualcuno molto lontano da qui. Avrai di certo qualcuno con cui parlare o a cui dedicare una preghiera, no?"

Il ragazzo annuì impercettibilmente. Era riluttante a quella situazione, eppure in qualche modo stava continuando a seguire gli ordini di Taylor. Lui, che seguiva gli ordini di Taylor. Quanto era fottuto quel ragazzo poteva saperlo solo lui.

Ma in realtà si chiedeva cosa ci fosse di così tanto speciale da spingere quella pazza a volerlo coinvolgere. Voleva capirlo, voleva sapere anche lui, voleva provare anche lui.

Stava facendo qualcosa di assolutamente nuovo, che rappresentava una specie di tentazione benigna a cui aveva sempre resistito per riuscire ad accettare il male in cui viveva. Stava cedendo, ahimè, e non c'era più una difesa che fosse abbastanza alta per fargli recuperare lucidità.

Non pensava seriamente a sua madre da anni. Per un attimo, ebbe davvero paura dei suoi stessi pensieri.

"Bene, ora chiudi gli occhi e non aver paura."

Furono quasi un sussurro, quelle ultime tre parole, e fecero fremere il suo respiro.

Chiudere gli occhi? Taylor gli stava chiedendo di avere fiducia. Gli stava chiedendo troppo forse, ma alla fine...per chi lo stava facendo? Per lei stessa o per lui? La testa aveva iniziato a vorticare e lui si sentiva definitivamente confuso.

Taylor riusciva a percepire la tensione di Jeremy. Non osava fargli domande, ma voleva che anche lui potesse essere aiutato da Dio. Che ci credesse o no, la sua preghiera sarebbe stata ascoltata e di questo ne era certa. Decise di imitare il temibile rapitore e calò le palpebre con un sorriso in volto, lasciando che l'immagine di sua madre comparisse nella sua mente.

Pochi secondi dopo gli occhi scuri di Taylor ritornarono a guardare quelli celesti di Jeremy, resi più caldi del solito forse per l'effetto della luce delle candele. Non li aveva tenuti chiusi nemmeno un secondo, constatò quasi ridendo tra sé. Aveva svolto un pessimo esercizio, ma almeno l'aveva svolto.

Sorrise amichevolmente e disgiunse le mani: "Grazie per aver provato." gli disse solamente.

"Non devi ringraziare me." rispose il ragazzo. "Io non ho fatto nulla, è a lui a cui chiedi tutti quei favori." fece, indicando una statua di legno raffigurante Gesù. "Immagino che debba averne davvero le palle piene."

Lei sorrise, ammonitoria: "Sì, è vero. Ma non sono tutti per me, i favori."

"E per chi, allora?"

"Per chi ne ha bisogno."

Jeremy assunse un'espressione corrucciata: "Ma non ha senso."

"Forse dovresti solo imparare il significato della parola 'preghiera'. Subito dopo quello di 'modestia', naturalmente."

"Sì, forse." abbassò lo sguardo, apparentemente preso dai pensieri.

Taylor lo vedeva per la prima volta realmente perplesso. Sicuramente aveva capito che la Fede era qualcosa a lui completamente estraneo. In particolare, non era abituato a pensare agli altri, quando era chiaro che per tanto tempo fpsse stato obbligato a concentrarsi solo su se stesso.

La ragazza non poté fare a meno di ridacchiare.

"Cosa c'è, ora?" le chiese lui.

"È facile, Jeremy. Devi solo trovare qualcuno a cui servirebbe qualcosa e chiederla per lui, cosicché possa averla più facilmente."

"E tu a chi avresti pensato, sentiamo."

"Beh, a mia mamma, alla mia migliore amica e..." ora fu Taylor ad abbassare lo sguardo, leggermente in imbarazzo. "A te."

Il ragazzo sollevò le sopracciglia in un'espressione stupita: "A me?"

Nessuno aveva mai pregato per lui.

"Io credo che Dio dovrebbe aiutare anche te." rispose, un po' impacciata.

"Davvero, non ci capisco più niente. Credevo che mi odiassi perché ti ho rapita."

"Difatti ti odio perché mi hai rapita, ma ho la sensazione che non sia stato tu a volerlo fare. Ho ragione, Jeremy?"

Ci fu un lungo, interminabile silenzio durante il quale gli occhi dell'una fissavano quelli dell'altro a pochi centimetri di distanza, come il giorno prima. Quel contatto non portava mai a nulla di buono, insegnava la storia.

Era davvero possibile che fosse stato così stupido da lasciar intuire la verità?, si chiese Jeremy. Quella ragazza aveva davvero un qualcosa di speciale, altrimenti come riusciva a leggerlo come se fosse stato un libro aperto, come nessun altro era capace di fare?

Avrebbe voluto lasciarsi andare a quel potere, confidarsi, liberarsi del suo peso, ma non poteva. Lui non poteva essere sincero. Lui doveva mentire, doveva dirle di no, che era tutta un'idea sua e che era tutta una questione di soldi. Doveva mentire costretto da un insulso ricatto, costretto da un uomo che l'aveva ficcato in quell'assurdo casino, in cui sentiva di annegare sempre di più.

Che cosa gli stava succedendo? Non riusciva a dire una semplice bugia di fronte a Taylor? Lui era un mago in queste cose, recitava benissimo, mentiva con una scioltezza innata. Ora invece sembrava quasi bloccato, sembrava insensibile e indeciso. Sembrava desiderare così tanto la giustizia, per una volta nella sua vita, invece di soccombere all'indifferenza della sua insipida esistenza.

Stava forse perdendo quella motivazione di cui Cordano parlava tanto?

"Senti, lascia stare. So che stai per rifarmi la ramanzina del 'devi stare al tuo posto', 'ti pianto una pallottola nelle gambe' e via dicendo, perciò...scusa, non te lo chiederò più." disse infine lei, il sospetto, memore del giorno prima, di essere andata oltre ciò che Jeremy aveva scelto di concederle. "Piuttosto, tu per chi hai pregato?"

'E' la giornata delle domande di merda?' pensò questa volta Jeremy. Non gliene andava bene una, stava realmente pensando che Taylor volesse fargliela pagare per averla rapita, attraverso subdoli giochetti psicologici.

"Non per te." rispose, diplomatico.

"Non avevo dubbi." ribatté lei, un po' delusa per non aver ricevuto una vera risposta. Le sarebbe davvero piaciuto sapere chi c'era nella testa di quel ragazzo.

"Ehi, non fare così, sei comunque importante." la canzonò lui. "No Lor, no soldi. No soldi, no sigarette. Tu e le mie sigarette siete legate da un legame indissolubile. E vitale."

"Haha, grandioso sillogismo." tagliò corto freddamente, riprendendo le distanze da lui. "Direi che è la conclusione migliore a questo insensato incontro spirituale."

Jeremy la scrutò perplesso. Aveva percepito un vertiginoso aumento di freddezza da parte della ragazza nei suoi confronti, intuendo che qualcosa nella sua battuta l'aveva fatta arrabbiare.

Effettivamente non era stato molto piacevole e si poteva dire che avesse rovinato un momento fin troppo gradevole per vedere come protagonisti loro due. Tuttavia, non era la prima volta che capitava e lei non se l'era mai presa prima. Aveva sempre risposto acidamente alle sue battute e si era dimostrata ammirevolmente impassibile.

Quando uscirono, Alex li accolse con un'aria spazientita: "Halleluja! Cosa stavate facendo là dentro, contavate le pagine della Bibbia?"

Taylor gli lanciò un'occhiata truce: "Siete proprio uguali, voi due." e si chiuse in macchina, sbattendo lo sportello.

Il ragazzo si girò verso Jeremy: "Cos'è successo?"

"Credo sia incazzata con me."

"Che tu ci creda o no, a questo ci ero arrivato anch'io. Perché?"

Il biondo scosse la testa: "Pensa che sia uno stronzo."

"Oh, benvenuta nel club, allora."


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Il titolo, "Luce sacra", sembra semplice, ma nella mia mente contorta ha vari significati (di cui non frega a nessuno, ma dettagli).

Si riferisce alla luce della candeline (a proposito, io sono una patita di Yankee Candle, dovevo dirvelo) che è da considerarsi sacra per ciò che rappresenta, ossia la preghiera. Si riferisce anche alla luce rara e genuina (per questo quasi sacra) che accende gli occhi di Jeremy quando è felice e poi, in scala più filosofica, per me pone una contrapposizione tra Holy, cioè la Fede, e Light, cioè la Ragione, che sono due valori opposti, rappresentati rispettavamente da Taylor e Jeremy. Forse, da Jeremy, più nei termini di realismo e scetticismo che di ragione. Ma vabbè. Sono solo i miei viaggi mentali.



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Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò la vostra iscrizione a Grammaticalmente Scorretti 

Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)

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Capitolo 7
*** Monsters at the Diderot ***


All I want - 7.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Monsters at the Diderot********

Jeremy si rigirò nuovamente sotto le lenzuola, finendo a pancia in su. Fissò il soffitto, la mente intasata di immagini. Gli faceva male la testa e, nonostante la stanza fosse riscaldata, aveva le mani e il naso congelati. Erano i sintomi della sua anemia in peggioramento, ulteriore pensiero che doveva aggiungere alla lista dei tormenti che gli impedivano di addormentarsi.

Mancavano solo sei giorni a Natale e, se tutto fosse andato per il verso giusto, avrebbe finalmente gettato una pietra sopra al suo debito con Cordano. Avrebbe intascato una parte del riscatto che, per quanto esigua, gli avrebbe comunque permesso di scappare lontano e non farsi vedere mai più. Se ne sarebbe andato da quello squallido bed&breakfast di Bourton e avrebbe ricominciato da un'altra parte, senza più furti, senza più minacce, e cercandosi un lavoro come si deve.

Sperava che si sarebbe congedato presto da Taylor; con lei tutto era diverso, e più difficile. Nonostante ci fossero momenti in cui le avrebbe volentieri attaccato del nastro adesivo sulle labbra, ogni tanto riusciva davvero a farlo sorridere, a renderlo spensierato. Poi si ritrovava a passare intere nottate insonni, ma l'altalenare del loro assurdo rapporto andava di pari passo con l'altalenare delle sue emozioni. Da quelle che spingevano più in alto a quelle che lo facevano capitolare di nuovo in basso in un batter di ciglia.

Ultimamente si era addirittura imbarcata nell'impresa di fargli mettere in dubbio l'esistenza di un Dio. Lei ci credeva così tanto che sembrava l'avesse incontrato di persona e lui, anche se non ci avrebbe mai e poi mai creduto, si era lasciato guidare dalle sue istruzioni, chissà se per farla tacere o perché desiderava, in fondo, lasciarsi andare solo per un po' al sapore della speranza.

Si passò una mano sul viso: se esisteva un Dio, allora perché l'aveva messo in una situazione del genere? L'avrebbe domandato molto volentieri a Taylor; a vedere se in quel caso avesse saputo dargli una delle sue filosofiche e bigotte spiegazioni, o se se ne fosse semplicemente rimasta zitta davanti alla realtà nuda e cruda.

Cambiò di nuovo lato. Era confuso e interdetto come mai in vita sua. Il tempo scorreva, quei soldi sembravano un traguardo così irraggiungibile e intanto davanti a lui si presentavano sfide sempre più difficili. Aveva messo in conto che non sarebbe stata una passeggiata in relazione al lato pratico, ma non si aspettava minimamente che ci sarebbe stato anche un lato morale. Né sentimentale, se i sentimenti esagerati e indefiniti che lo tormentavano potevano valere.

Ricordò la prima volta che vide Taylor, in lacrime sotto la luce di un lampione. Il suono del suo pianto l'aveva subito colpito ed era difficile ammetterlo, ma, anche se senza un'apparente ragione, l'aveva toccato. Aveva sentito l'istinto di prendersela con la causa della sua sofferenza e ora, ironia della sorte, era stato proprio lui a ereditare quel ruolo.

C'erano momenti, la notte specialmente, in cui si odiava per quello che le stava facendo, per averla allontanata dalla madre e per averla destinata a essere in continuo pericolo. Specialmente dopo l'inaspettata visita di Richard, questa preoccupazione si era decisamente acuita. Forse perché fino a quel momento c'erano stati solo lui e Alex e non aveva realizzato che Taylor, esattamente come lui, poteva essere sacrificabile come qualsiasi altra pedina nel gioco di Cordano.

Aveva anche immaginato di poter lasciarla andare, di come lei sarebbe stata felice nel riabbracciare la madre e di quanto sarebbe stata sollevata di potersi dimenticare di lui. Ma sapeva che questo avrebbe voluto dire una cosa ben precisa: Cordano l'avrebbe perseguitato finché non l'avesse visto morire sotto i suoi squallidi occhi. E allora era giusto ragionare in quel modo? Era umano veder soffrire lei al suo posto?

Si girò di nuovo, la testa scoppiante. C'erano troppe domande a cui sapeva rispondere, ma fingeva di ignorare, troppe cose a cui pensare, troppe emozioni da combattere. Forse non era tanto forte quanto pensava. Ce l'aveva sempre fatta da solo, aveva superato ogni ostacolo e lottato contro i più malintenzionati individui. E proprio ora che qualcuno aveva deciso di affiancargli l'essere più innocuo del mondo, si trovava davanti al rischio di perdere la partita più importante della sua vita.

Un possente tuono fece tremare i vetri all'improvviso, così ne approfittò per alzarsi e andare a controllare fuori. Tanto di dormire non se parlava proprio. La pioggia imperversava, mentre Alex, ignaro del temporale, stava disteso sul divanetto e riposava al ritmo di un ronfo leggero. Senza sorprendersi troppo, notò che la luce nella stanza adiacente era accesa e che la porta era socchiusa.

La sospinse cautamente, facendola cigolare, e spiò al suo interno: "Si può?" sussurrò per non svegliare Alex.

Taylor sussultò, colta di sorpresa, e alzò gli occhi da quella che sembrava una fotografia fatta a pezzi. Fissò Jeremy restando in silenzio.

Il ragazzo notò le palpebre arrossate di Taylor, ma entrò nella stanza facendo finta di niente. Esitò un attimo sulla foto e sui fogli di carta che la ragazza aveva sparpagliato al suo cospetto, poi accennò alla finestra con il mento: "Paura del temporale?"

"No." rispose lei semplicemente.

"Allora che fai ad occhi aperti?" tentò di suonare amichevole.

"Potrei farti la stessa domanda."

"Io li uso per controllare te." rispose prontamente.

Taylor sospirò: "Non riesco a dormire, ma non c'entra il temporale."

"E allora cosa?" si sedette sul letto, non troppo distante da lei.

La ragazza nascose i vari fogli dietro la schiena e abbassò lo sguardo. Non voleva dirgli che in realtà stava pensando a lui e al suo carattere di merda e che stava ammazzando il tempo cercando di copiare una foto su alcuni pezzi di carta trovati nel comodino e che stava lottando per non scoppiare a piangere e che era arrabbiata con suo padre e che avrebbe voluto fargli tante domande e che si sentiva ferita.

"Non riesco a...non mi viene bene un disegno, tutto qui." rispose con un'alzata di spalle.

Jeremy cercò il suo sguardo, ma lo trovò remoto e sfuggevole, arrossato come dopo un pianto e stanco, esattamente come il suo. Con una mossa repentina afferrò il foglio da dietro la sua schiena e si mise in piedi per potervi dare un'occhiata prima che Taylor lo agguantasse.

Scrutò la fotografia strappata, rinfusa come i pezzi di un puzzle, e poi la riproduzione che Taylor aveva fatto di essa. Era esattamente identica, proporzionata e viva, tra una sfumatura e l'altra creata con un moncone di matita, ora lasciato a se stesso sul comodino.

"Wow." fu tutto quello che riuscì a dire.

"Ridammeli subito!" sbottò lei, presa dal panico.

Tentò di prendere i fogli, ma Jeremy si spostò alla luce per guardare meglio: "Questo è tuo padre! E c'è anche tua sorella...Taylor, sei bravissima."

Era la prima volta che si sentiva fare un complimento da Jeremy e la prima volta che lo sentiva parlare spontaneamente, senza filtri e senza aver prima valutato cosa dire. Sembrava sinceramente ammirato, come i suoi vecchi compagni alle elementari quando lei disegnava sul banco o sugli angoli dei quaderni. Ma non si fece distrarre e continuò a insistere.

"Jeremy, dammelo!"

Lui si voltò a guardarla con un ghigno: "Lor, non mi sembra il caso. Qui e ora, con Alex proprio nella stanza accanto..."

"Non quello, pervertito! Il disegno! E anche la foto! Ridammi subito le mie cose."

Il ragazzo rise e alzò il braccio perché Taylor non arrivasse a raggiungerlo. Lei si alzò sulle punte e quasi si appoggiò a lui, ma fu tutto invano. Ottenne solo il suo sguardo fisso su di lei a pochi centimetri di distanza e un sorrisetto inquisitore che la metteva ancor più in disagio: "Lor, cos'è quella foto? Dietro c'è una dedica e tu non sei nel quadretto. Dove l'hai presa?"

"Non sono affari tuoi." ringhiò suonando tale e quale a lui.

"L'hai rubata a casa di Tessy, non è vero?"

"No."

"E l'hai strappata, ma ti dispiaceva e quindi la stai copiando."

"Non mi dispiace affatto, quella foto è un insulto! Ma in ogni caso, a te non deve importare, perciò dammi subito tutti i miei fogli e sparisci da qui!"

"Non mi ricordavo fossi tu a dare gli ordini." la fissò con il tipico sorrisetto di chi la sa lunga e la scrutò, divertito, beandosi del suo vivido rossore imbarazzato. Aveva capito cosa stava succedendo; era esattamente come aveva ipotizzato e sentì un vago moto di tenerezza nei confronti di quella ragazza. Intuiva l'invidia che l'aveva spinta a strappare una foto rubata e il senso di colpa che ora l'aveva obbligata a trovare un rimedio.

Era così da lei, così prevedibile. Jeremy si stupì di quanto stesse iniziando a conoscerla e a capirla al volo, si stupì di aver inquadrato una personalità che normalmente avrebbe disprezzato, ma che, al contrario delle sue aspettative, ora lo stava facendo sorridere.

"Se colori bene come disegni, tua sorella non se ne accorgerà mai." le fece l'occhiolino.

"Vaffanculo."

Taylor provò ad allungarsi di nuovo, ma Jeremy fece un passo indietro e appoggiò i fogli sopra un armadio impolverato, più alto persino di lui, impossibile per Taylor da raggiungere.

"Dimmi perché sei arrabbiata con me e te lo ridarò." le disse, serio.

Taylor lo guardò in cagnesco, l'amarezza ormai dissipata in favore di una motivata irritazione e del solito inspiegabile fervore che Jeremy le provocava. Ora voleva pure sapere il motivo della sua rabbia; era davvero incredibile.

Non credeva che gli importasse più di tanto e anche in quel momento pensò che fosse tutto parte del copione. Da quella risposta che lui le aveva dato in chiesa, aveva iniziato a vederla diversamente, a vedere Jeremy diversamente; non era altro che il mercenario senz'anima che non si sforzava di nascondere. Per questo, da quel giorno gli aveva rivolto la parola solo per chiedergli dove fosse il sale, imponendosi di rimanere ancorata alla realtà e smetterla di farsi illusioni.

Non avrebbe mai conosciuto un'anima nascosta dietro quegli occhi; Jeremy non era altro che un rapitore e lei la sua vittima.

Non sapeva perché si fosse illusa del contrario. Quel pomeriggio, forse a causa dell'odore d'incenso o forse per il tepore delle candele, aveva pensato solo per un secondo che Jeremy potesse essere diverso. Aveva visto oltre l'arroganza delle fragilità e oltre la freddezza della bontà. Ma molto probabilmente era stata solo una fantasia dettata dalla stanchezza e dalla disperazione: quel Jeremy che aveva intravisto era sparito ancora prima che potesse rendersi conto di quanto le sarebbe piaciuto.

Non c'era nient'altro che i soldi, lei non era nient'altro che un cumulo di soldi che sarebbe servito a quel ragazzo per commettere altri crimini e continuare a condurre una vita priva di qualsiasi buon proposito. Che fossero direttamente per lui o per qualcun altro, poco cambiava. Era un oggetto, Taylor. E forse fino a quel momento aveva finto di non crederci. Aveva sperato. Ma in quell'avventura, aveva capito, per la speranza non c'era posto.

"Se fossi a casa mia invece che in questo schifosissimo motel a rappresentare il valore di due milioni di sterline, starei meglio." si arrese infine, tagliente.

Jeremy annuì lentamente, aspettandosi una risposta del genere: "È per quella frase, giusto?"

"Di che cavolo stai parlando?" Taylor finse di cadere dalle nuvole, ma pensò che Jeremy non si lasciasse davvero sfuggire nulla.

"No Lor, no soldi." ripeté lui, divertito. "Dai, l'ha capito persino il campanaro che ti ha dato fastidio."

"Ah sì, era così? Non me la ricordavo più."

"Lor."

"Senti, Jeremy, non mi va di parlare con te."

"Ma io voglio parlarne."

"Io no. Per colpa tua, sono davvero molto impegnata a fare altro, come ad esempio odiarti."

Non seppe perché, ma quelle parole lo fecero sussultare. Abbozzò un sorriso di scherno: "Non credo che tu sia molto brava a odiare le persone."

"Hai ragione." gli concesse lei, lanciandogli uno sguardo rovente. "Ma tu non sei una persona. Quindi."

Il ragazzo si irrigidì. Quello era stato davvero un colpo basso e sferrato con quel tono colmo di rabbia e con quegli occhi arrossati, aveva fatto sì che lui l'accusasse più gravemente del dovuto.

"Che c'è?" riprese la parola lei. "Avrei dovuto essere più delicata? Scusami, a volte la realtà è impossibile da negare."

"Io non volevo offenderti con quella frase." disse lui, la voce bassa che si sforzava di nascondere il bruciore di una fresca, inaspettata ferita.

"Lo so. Hai solo detto la verità." disse lei. "E io ho detto la verità."

Jeremy rimase in silenzio, lo sguardo a terra, incapace di sostenere quello di Taylor un solo secondo di più; per la prima, vera volta, si sentiva di essere stato sconfitto.

Odiava doverlo ammettere a se stesso, ma l'opinione che Taylor aveva di lui e che gli aveva appena sbattuto in faccia senza mezzi termini non gli piaceva. Anzi, gli faceva schifo, e rabbia, e male. Erano le parole peggiori che avrebbe mai potuto rivolgergli, perché, in un certo senso, erano vere. E la verità faceva così male, accidenti.

"Giusto." sussurrò allora, avvicinandosi e alzando su di lei lo sguardo gelido e svuotato. "Io non sono una persona, sono un mostro. Ecco perché ho sbagliato a venire qui. Avrei voluto chiederti scusa per aver usato quella frase poco ortodossa e dirti che aveva uno scopo ben diverso dal ferirti. Ma, dopotutto, che senso ha? Un mostro non può chiedere scusa."

"Nemmeno io per te sono una persona." ribatté lei, altrettanto impassibile. "Sono solo un mucchio di stupidissimi, sporchi soldi."

"Già. Da oggi riprendiamo i nostri ruoli di non-persone, allora. Io sono il mostro e tu i miei due milioni di sterline. Io sono il rapitore e tu la ragazza sbagliata."

"Non siamo mai stati nulla di diverso."

"Sono d'accordo."

Jeremy le lanciò un'ultima occhiata fremente di rabbia, poi si girò e si diresse verso la porta.

"Il foglio, Jeremy." gli ricordò lei, imperativa.

Lui la guardò alzando un sopracciglio: "Ho detto rapitore, non maggiordomo." e se ne andò lasciandola alle prese con la mensola troppo alta.

Ancora una volta l'aveva messo ai ferri corti, o forse peggio. Stavolta l'aveva davvero accoltellato con le parole, gli aveva sbattuto in faccia la sua opinione nei suoi confronti. Non che la immaginasse diversa, ma forse sperava solo che non fosse così maledettamente dolorosa.

Probabilmente gli aveva solo fatto un favore, si disse. Ristabilendo le distanze da lei, non avrebbe corso il rischio di farsi sfuggire la situazione di mano. Sarebbe stato tutto più facile e disinteressato. Sarebbe stato meglio per lui, per lei, per Alex, per tutti.


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Il cellulare di Oliver squillò più volte prima che se ne accorgesse e rispondesse risvegliando la sua voce da un rauco torpore: "Pronto?"

"Oliver."

Il suo nome, pronunciato da quelle note basse e minacciose, gli fece raggelare il sangue nelle vene: "Sì?"

"Non vorrei farle pressione, ma il tempo sta per scadere."

L'uomo prese un gran respiro, lanciando un'occhiata alla marea di documenti che per poco non facevano esplodere la sua ventiquattrore: "Ho la situazione sotto controllo."

Jeremy parve sorpreso da quel tono sicuro. Davvero quell'uomo irrisoluto stava riuscendo a sbrogliarsi dalla situazione tutto da solo?

"Non mi dica...è sicuro che nessuno sappia, tranne lei?" domandò, stupito e sospettoso. "Perché altrimenti è ben cosciente di cosa potrebbe succedere, non è vero?"

"Sì, sì, lo so." deglutì lui. Era stato molto attento a non far insospettire nessuno, era stato così silenzioso e distaccato che quasi i suoi cari non lo riconoscevano più. Nessun indizio, nemmeno involontario, gli era sfuggito. Ne era completamente sicuro.

"Ottimo. Le saprò comunicare l'ora e il luogo, allora. Verrà da solo e con la somma in una borsa ben coperta. Non faccia scherzi, signor Heavens, perché le garantisco che finché non avrò quei soldi, lei non avrà sua figlia."

Oliver si allentò il colletto e rimase ad ascoltare il silenzio dopo che il telefono fu riattaccato.

Poi, determinato, rimise in tasca il cellulare ed entrò alla Money House. Sarebbe stato il suo ultimo lunedì.


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Jeremy riattaccò e si voltò verso Alex, che se ne stava nella cabina telefonica insieme a lui, trepidante. Taylor era chiusa nell'auto, il polso ammanettato allo sportello, mentre loro due avevano deciso di monitorare la situazione a casa Heavens.

"Ha trovato i soldi." annunciò, piatto.

Alex sorrise, sinceramente felice della notizia: "È magnifico, no?"

Jeremy abbassò lo sguardo, pensoso.

"Che c'è?" gli chiese l'amico.

"Non lo so, ma credo abbia fatto qualche pazzia per averli. Sembrava così...dispiaciuto."

"Nah, è un tizio straricco, non c'è niente che non possa avere." butto lì con un'alzata di spalle. "Probabilmente era solo in pena per Taylor."

"Già."

Una musichetta metallica proveniente dalla tasca di Jeremy riempì improvvisamente la cabina. Dopo aver scambiato uno sguardo significativo con Alex, il ragazzo estrasse il cellulare e premette la cornetta verde per rispondere.

Se non si era capito prima, ora era evidente, dal suo sbiancare improvviso, che stava per intrattenere una nuova piacevole conversazione col suo malvivente di fiducia.

"Parker, mi sono stancato di essere tenuto all'oscuro di tutto." disse la voce imperiosa di Cordano. "Voglio accertarmi di come sta procedendo. Voglio essere sicuro che quella mocciosa sia tutta intera e che tu la stia tenendo a bada come ti sei vantato di saper fare. E poi, è ora che mostri il tuo bel musino anche a Richard."

Da quelle parole, Jeremy intuì che il suo braccio destro doveva aver omesso la sua recente visita nei pressi del motel. Non sapeva se l'avesse fatto per la vergogna dell'insuccesso o perché temeva che Cordano lo avesse punito. In ogni caso, Jeremy concordò con Richard che il silenzio sarebbe stato utile a entrambi.

"Gli mando un selfie, se ci tiene tanto." sbuffò.

"Non ti conviene fare lo spavaldo." lo ammonì sopra al rumore della sua auto che veniva messa in moto, probabilmente per portarlo verso la Money House con il petto tronfio di vittoria avvolto dallo smoking. "Questa sera, Parker, al Diderot. Richard aspetta te e la tua allegra combriccola per una bella pinta di birra e, ah, offrirete voi, immagino."

"Che cosa? No, Cordano, non metterò piede in quel posto!"

"Oh, lo farai." ridacchiò l'altro.

"Scordatelo."

"Ti stai ribellando, Parker? Forse dovrei ricordarti cosa potrebbe accaderti, se non esegui i miei ordini." lasciò la frase in sospeso con tono teatrale.

Jeremy strinse con violenza l'apparecchio vicino all'orecchio: "Lei non può entrare lì dentro." sibilò.

"Gli unici a cui è vietato l'accesso sono gli sbirri, Parker. Se è vero che è con te, avrà una scorta più che valida."

"Non basta. La gente là è peggio degli squali, Cordano, è pericoloso." protestò tentando di farlo ragionare. "Sono armati e ubriachi. Quando vedono una ragazza, pensano solo a-"

"Sono argomentazioni banali, Parker." lo interruppe lui. "Basta che non la rubino e per me possono farle qualsiasi cosa. E sono abbastanza sicuro che, con quello che vale, non te la farai di certo rubare."

"Sei un bastardo!" gli urlò addosso il ragazzo, infuriato. "Non puoi trovare un altro posto? Non puoi fare in un altro modo?"

"Parker." pronunciò Cordano, monocorde. "Cosa c'è che ti preoccupa più del dovuto?"

"Quel posto mi preoccupa. Potevamo andare da qualsiasi altra parte."

"Invece è il luogo perfetto. La polizia non ci mette piede, perché non sa nemmeno della sua esistenza. In più, dato che non mi fido di te, non voglio che siate isolati, voglio che tu sia costretto a comportarti da bravo bambino in pubblico. E poi, lì nessuno parlerà, stanne certo. Se devono fare qualcosa, passano subito ai fatti." ridacchiò sapendo di star infastidendo il ragazzo.

"Non ce la porterò." disse, deciso.

"Allora devo dedurre che le cose non stiano andando come voglio io, Parker, e che tu mi stia nascondendo qualcosa. Richard è a Stroud con la sua amica pistola e sa anche dove alloggi. Potrei dirgli di passare a fartela conoscere in giornata."

Jeremy chiuse gli occhi assalito da un immagine di puro terrore. Sapeva che Cordano ne sarebbe stato capace. L'avrebbe trovato ovunque.

"La vedrà soltanto e poi ce ne andremo." disse riluttante, con gli occhi serrati e con il cuore in gola per il rimorso.

"Pare che il piccolo Jeremy si preoccupi un po' troppo del normale per la sua povera vittima."

Il ragazzo lanciò un'occhiata a Taylor attraverso il vetro. Aveva la testa appoggiata al finestrino e lo sguardo perso sulla strada ingrigita dalla nebbia.

"Non me ne importa nulla di quella mocciosa." disse, freddo. "Non voglio che qualcosa rovini il piano, tutto qui."

Dall'altra parte ci fu l'ennesima risatina arrogante: "Non hai perso tutto il tuo egoismo, Parker. O almeno spero. Sii puntuale alle dieci e vedi di avere la ragazza. Finché non metterò le mani su quei soldi, la tua vita dipenderà interamente da lei."

L'uomo riattaccò e Jeremy sbatté violentemente il cellulare contro una parete della cabina telefonica.

"Era Richard, vero?" Alex lo guardò preoccupato.

"No, era quel figlio di puttana del suo capo. Vuole che questa sera porti Taylor al Diderot."

Alex deglutì sonoramente. Raramente Jeremy usava termini pesanti in sua presenza e raramente l'aveva visto così arrabbiato. Doveva trattarsi di una faccenda poco promettente: "Jerry, chi diavolo è questo Diderot?" gli chiese.

"Un vecchio pub nella parte abbandonata della baia. Portare là una ragazza è come annunciare ai deportati di Auschwitz l'arrivo degli americani."

"Oliver!"

L'uomo si bloccò esattamente sull'ingresso della banca, la busta con la lettera di dimissioni in mano e l'espressione di chi spera che duemila sterline gli piovano miracolosamente dal cielo.

Seguì con lo sguardo la donna piccoletta che gli veniva incontro, infreddolita e nervosa, chiedendosi cosa diavolo ci facesse lì.

"Cosa diavolo ci fai qui?"

"È l'unico posto in cui sono sicura di trovarti." rispose con tono d'ovvietà. "Devo parlarti. Di persona."

"Non ora, Amanda. È tempo di cose più importanti."

"Sempre con queste frasi cinematografiche." sentenziò irritata. "A meno che non si tratti di Taylor, ho io la precedenza."

Oliver guardò la sua ex-moglie con occhi smarriti. Sì, si trattava di Taylor, ma, no, non poteva dirglielo. E poi, a essere sincero, quasi sperava che ci fosse qualche contrattempo. Se c'era l'occasione di ritardare le sue dimissioni, l'avrebbe colta al volo!

Salirono fino al suo ufficio, sotto il giudizio curioso dei colleghi, e si chiusero all'interno. Il riscaldamento non era stato acceso e le scartoffie ovunque diedero alla donna un'impressione di incuria davvero insolita.

"Posso offrirti un caffè?" chiese Oliver, togliendole galantemente il cappotto.

"No, grazie." rispose lei, declinando sia il caffè che l'invito a restare solo in maglione. Guardandosi attorno, notò le ultime modifiche all'ambiente dall'ultima volta in cui ci era entrata. Si era fatto più moderno e nei portafoto i soggetti erano cambiati.

Si riscosse e tornò a concentrarsi sul suo ex marito: "Sono venuta a chiederti cosa sta succedendo."

Oliver si abbandonò sulla sua poltrona in pelle, facendole fare un giro completo: "Oh, ehm...niente di importante."

"Qual è la tua definizione di importante?" rilanciò lei, incrociando le braccia con fare scocciato.

"Non ho novità su nostra figlia."

"Non ci credo." asserì Amanda, mantenendo una linea dura. "Non rispondi alle telefonate, non mi contatti per informarmi di come procede, sei praticamente sparito dalla circolazione! Oliver, io ti conosco. Sta succedendo qualcosa."

"No, sto solo lavorando al caso con molto impegno."

"È qualcosa di cui vuoi tenermi all'oscuro. Anzi, di cui stai tenendo all'oscuro tutti quanti. Dico bene?"

"Amanda, per favore." sbuffò, fingendo di massaggiarsi le tempie per scacciare un inesistente mal di testa.

"Qualunque cosa sia, Oliver, ti prego di dirmela ora, perché Taylor è la cosa più "importante" che mi è rimasta e ho la netta sensazione che potrei davvero rischiare di perderla."

Gli occhi grigi dell'uomo evitarono quelli autoritari di lei. Non aveva perso la capacità di accorgersi di ogni minimo dettaglio, non aveva smesso di scoprire la verità sotto qualsiasi bugia od omissione.

"Oliver." la voce di Amanda si fece meno sicura. "Se sai qualcosa su Tay che io non so, qualsiasi cosa, ti prego, dilla anche a me. Sto morendo di paura."

"Amanda, sai che la sto cercando." mise in piedi un tono innocente che aveva ormai già troppe pretese. "Cosa posso dirti di più?"

"Stai mentendo."

"No."

La donna gli si avvicinò e lo guardò dritta negli occhi, fermando la sedia girevole con un braccio: "Oliver Heavens, tua figlia è scomparsa e sua madre è qui di fronte a te. Smettila di fare il solito vile codardo."

Quando Amanda tirava fuori gli artigli di mamma orsa, Oliver sapeva che sarebbe finito in un vicolo cieco. Deglutì grattandosi il mento incolto: "Non vuoi proprio demordere, eh?"

"No."

"Beh, è vero che qualcosa sta succedendo, ma non è vero che io non stia facendo tutto quello che posso per trovare una soluzione. Il mio silenzio non è viltà, Amanda, ma prudenza. È una faccenda complicata, dovresti fidarti."

"Fidarmi di chi? Di te?"

Oliver accusò il colpo con una smorfia, ma pensò che se lo meritava: "Ti prego di non insistere e ti assicuro che sistemerò ogni cosa. Te lo prometto."

"Come posso non insistere?" esordì lei, la voce rotta dall'agitazione. "Cristo Santo, Oliver, è mia figlia! Lo so che forse non capisci il peso di questa parola, ma per me è tutto, d'accordo? Io non posso sopportare il pensiero di non poterla vedere mai più. Io non posso convivere con questa situazione! Ho paura che stia soffrendo, che mi stia cercando, che sia ferita, che sia morta, per la miseria!" i suoi occhi erano lucidi e pieni di terrore, la sua voce tremante, in accordo con un petto che batteva veloce. "E tu mi vieni a dire che non devo insistere e accettare il tuo silenzio."

"Oh, Amanda, mi dispiace così tanto." l'uomo si alzò in piedi e l'abbracciò di slancio, provando insieme pena, senso di colpa e preoccupazione. Si disse che in quel momento avrebbe voluto morire, che avrebbe preferito essere lui quello al posto di Taylor, che non sarebbe mai stato in grado di gestire una situazione così complicata.

"Amanda, giuro che vorrei dirti la verità, ma non posso." sfiatò con la gola annodata.

Amanda ricambiò quell'abbraccio di disperazione e capì che era un sentimento condiviso, un mal di vivere che non era la sola a provare e un peso che stavano condividendo entrambi, così disperatamente, per la prima volta.

"Oliver, ti prego, dimmi che cosa sta succedendo." implorò ancora una volta.

L'uomo si morse il labbro, frustrato, stanco e combattuto tra lo sfogarsi e il mantenere il segreto. Era così difficile, così snervante e ingiusto. Era un macigno enorme che sentiva il bisogno di dividere, ma era una minaccia così grave che tutto in lui urlava di non cedere.

Alla fine, però, sospirò sconfitto. Si era reso conto di essere arrivato alla fine del vicolo cieco.

Conoscere bene Amanda e sapere che non avrebbe mai mollato lo spinse a prendere la decisione. Era certo che lei gliel'avrebbe cavato di bocca in un modo o nell'altro quello stesso giorno e così, presa una boccata d'ossigeno, iniziò a raccontarle tutto ciò che sapeva.


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"Heavens." Jeremy entrò nella stanza di fretta e si avvicinò alla ragazza che rifaceva il letto.

"Che c'è?" domandò lei, fingendosi indifferente al fatto che lui non la chiamasse più Lor.

Il ragazzo gettò un cappotto sul letto: "Vestiti, usciamo."

Taylor guardò prima il capo di dubbia provenienza e poi lui, come fosse impazzito all'improvviso.

"Dove andiamo?"

Jeremy non rispose, si limitò a raccomandarsi affinché indossasse il cappotto e si vestisse in modo coprente. Le intimò di non usare tacchi e scollature e di lasciare i capelli sciolti sul viso. Taylor non ne capì il motivo e si confermò ancora confusa quando, allacciato l'ultimo bottone, Alex la strattonò fuori dicendo che erano in ritardo. In ritardo per cosa?

Pochi secondi dopo erano già in macchina, in un silenzio così glaciale che Alex non si azzardò nemmeno ad accendere la radio. Quella situazione non piaceva a nessuno, né in particolare né in generale, ma almeno facilitava la riuscita del piano. Ognuno di loro non voleva parlare, ognuno di loro aveva dei dubbi che lo tenevano occupato, ognuno di loro non vedeva l'ora di tornarsene a casa per smetterla di odiarsi.

Il viaggio non durò molto, i ragazzi si allontanarono dalla periferia per seguire la costa e, arrivati all'inizio del bosco, parcheggiarono per proseguire a piedi verso la baia abbandonata. La strada tra la vegetazione sembrò molto lunga a Taylor, Jeremy non si decideva a proferire verbo e sembrava che Alex lo imitasse in soggezione. A un certo punto, lei decise di rompere quel pesante silenzio: "Alex, Jeremy, dove cavolo mi state portando?"

Il biondo, preso da mille pensieri, parve accorgersi solo in quel momento della sua presenza. Avevano camminato per parecchi minuti a considerevole distanza, cosa che le avrebbe permesso di voltarsi e scappare senza che nessuno potesse trovarla in mezzo a quegli alberi circondati dal buio. Arretrò di qualche passo per affiancarla e, grato che non avesse ancora provato a ribellarsi, le strinse il polso: "Lo vedrai a breve. Seguici e non aprir bocca." le ordinò.

Apparentemente scocciata, la ragazza si allontanò da lui, lasciando che tra i loro corpi ci fosse la distanza delle loro braccia distese, unite dalla solo dalla sua stretta.

"Molto maturo." commentò Jeremy senza allentare la presa.

"Posso almeno sapere se vedrò sorgere il sole, domani?"

Alex sospirò: "Questo dipende da-"

Ma subito ricevette un calcio sullo stinco e si zittì completamente.

"Scusa." mormorò verso Jeremy.

"Voglio sapere cosa succede." si impose Taylor, il tono leggermente acuto, modificato dall'agitazione.

"Ti ho detto di non aprir bocca." ribadì Jeremy.

Ammetteva di essere fin troppo duro, ma ormai la conosceva abbastanza bene da sapere che fosse l'unico modo per tutelarla. Se le avesse fatto sapere i programmi per la serata, lei non avrebbe mai accondisceso a seguirli e, di certo, non aveva né le forze né il coraggio di costringerla. Allo stesso modo non poteva lasciar trapelare la sua inquietudine: non voleva spaventare Alex e non voleva che Taylor potesse far leva sulle sue sue debolezze.

Era meglio che si comportasse da vero rapitore. Se voleva essere convincente agli occhi di Richard, doveva per primo esserlo per Alex e Taylor. Specialmente per Taylor.

"E invece parlerò fino a che non me lo dirai." proseguì quest'ultima. "So che la mia abilità oratoria ti spingerà a farlo!"

Taylor aveva avvistato il pub tra le fronde degli alberi, scuro contro i riflessi chiari della luna sul mare e aveva capito che qualcosa non andava. Che non era uno di quei soliti cambi d'hotel che i ragazzi architettavano, né tanto meno una gita al negozio di vestiti.

"Jeremy, che cos'è quel posto? Dove mi volete portare?"

"Taylor, basta con le domande." sospirò lui, altrettanto morso dall'agitazione, ma di molti gradi più freddo. "Ti ho detto che tutto ciò che dovrai fare è seguirci e non parlare."

"Te l'ho detto, non mi farai stare zitta."

"Taylor!" di colpo, Jeremy le strattonò il polso, fino a farla sbattere contro di lui e poterla guardare dritta negli occhi, sotto la fioca luce dei lampioni.

"Ascoltami." sussurrò a pochissimi centimetri dal suo viso. "Stavolta devi fare quello che ti dico, che ti piaccia o no. Devi tenere quella cazzo di bocca chiusa e non aprirla nemmeno un secondo, a meno che non sia io a dartene il consenso."

Taylor trasalì per la vicinanza a quella lingua tagliente e a quella voce congelata. Si ricordò della sera all'hotel di Cirencester e rivisse la spiacevole sensazione di sopraffazione che aveva subito anche in quell'occasione. La percezione di quel ragazzo come di un essere senz'anima, di un mostro, per l'appunto, si impossessò di lei e le sigillò le labbra.

"Non devi azzardarti a fare domande e non muoverai un solo muscolo là dentro. Non fare nessuna stronzata, non farti venire idee e non provare, neanche per scherzo, a disobbedirmi. Hai capito?" la guardò intensamente. "Hai capito?"

Taylor annuì e s'irrigidì.

Aveva notato qualcosa nei suoi occhi che prima non poteva cogliere. Qualcosa che li abitava già da un po', ma di cui, forse a causa della rabbia che li dominava, non aveva mai nemmeno sospettato. Era preoccupazione, e ciò la fece letteralmente raggelare.

Si allontanò da lui, confusa e spaventata e seguì i ragazzi dentro a quel locale poco promettente, facendosi mille domande e rimanendo ben nascosta dietro ai due.

All'interno le luci erano soffuse, i pavimenti e i muri, interamente in legno, impregnati di un forte miscuglio di odori, i tavoli ricoperti di bicchieri vuoti. Il peggio era la clientela di quel pub, almeno una ventina di uomini sbronzi, soli o in gruppo, dall'aria tutt'altro che amichevole.

Il volume della musica era basso, superato dal brusio delle voci e dal tintinnio dei bicchieri. Non appena entrarono, facendosi strada tra la cortina di fumo, Taylor sentì la stretta di Jeremy farsi più salda e involontariamente si avvicinò a lui. Molto meglio il mostruoso Jeremy che quegli uomini.

Dovettero fare slalom tra sedie e tavolini per raggiungere il bancone del pub. Jeremy prese posto accanto a un robusto ragazzo e fece sedere Taylor tra lui e Alex, fermo come una statua in posizione eretta. Il giovane sconosciuto, abbigliato in modo disordinato, si girò piano verso di loro e fece un cenno, come se li stesse aspettando da una vita.

Taylor non lo aveva mai visto, ma se anche fosse stato il contrario, non lo avrebbe mai riconosciuto. Indossava grandi occhiali da sole e la barba rossiccia gli ricopriva tutto il mento e le guance. La sua testa era fasciata da un cappello ben calato sulla fronte.

"Parker." salutò, la voce così grave e sprezzante che fece tremare Taylor. "E...l'amico." aggiunse rivolgendosi ad Alex, poi il suo sguardo cadde sulla ragazza e si trasformò in un'espressione sarcastica. "E guarda chi ci porta la marea...cominciavo a pensare che vi sareste presentati da soli dicendo che la ragazza era ancora nella doccia."

Taylor sussultò e guardò Alex alle sue spalle, ricevendo in cambio un'occhiata colpevole.

"Chiudi quella bocca." lo zittì Jeremy, schifato. "L'hai vista, ora? Sei soddisfatto?"

"Estasiato." rispose lui, divertito, allungando una mano verso Taylor.

La ragazza indietreggiò spaventata, arrivando ad appoggiarsi completamente ad Alex, il quale attualmente rappresentava per lei un porto sicuro.

Richard scoppiò in una risata di scherno e si alzò in piedi per scansare i due ragazzi. Jeremy lo lasciò passare, riluttante, e incollò a lui gli occhi con il cuore che batteva furioso nella gola e nelle orecchie. Studiava ogni sua mossa e, assieme ad Alex, era pronto a scattare nel caso avesse fatto un passo falso. Se Richard avesse anche solo torto un capello a Taylor, Jeremy avrebbe perso ogni controllo.

La ragazza si era fermata con la schiena al bancone, non potendo far altro che rimirare il suo riflesso verde di paura sulle lenti dello sconosciuto.

Quando il ragazzo allungò di nuovo la mano, dovette trattenere un grido. Non mosse un muscolo; non seppe se per il terrore o perché Jeremy le aveva intimato di non farlo. Non ricambiò la sua stretta; si limitò a rimanere immobile e ricacciare indietro il senso di nausea che la situazione le stava provocando.

"Credevo che agli Heavens avessero insegnato l'educazione." ghignò lui.

"Basta così, lasciala stare." intervenne Alex, incapace di sopportare lo sguardo indifeso di Taylor un minuto di più.

"Tranquillo, alter-ego, non voglio farle assolutamente nulla." ribatté il ragazzo con un'ambigua bonarietà. "Voglio solo sentire la sua voce e avere l'onore di stringere la sua morbida manina. E' per metà nobile, dopotutto, no?" poi si rivolse di nuovo a Taylor. "Sei o non sei la figlia di Oliver?"

Taylor non riusciva nemmeno a schiudere le labbra, Alex sembrava a un passo dal voler ammazzare tutti, ma Jeremy, che era il più vulnerabile tra i presenti, tenne la situazione sotto controllo e rivolse a Taylor uno sguardo che si poteva interpretare come lontana freddezza, ma che in realtà era pieno di protezione: "Rispondigli, Taylor."

Lei si fidò ciecamente di Jeremy e mise assieme un tremante e rauco "sì".

Richard rise nuovamente, dilettato da tutta quella scenetta e sorpreso di quanta paura riuscisse a incutere. Era vero che non avrebbe fatto nulla alla ragazza, ma avere quei due sotto controllo come marionette lo faceva sentire incredibilmente forte.

"Ma Oliver non è nobile. È solo ricco." Taylor non riuscì a trattenersi e catturò l'attenzione di tutti e tre. Un paio di occhi erano allarmati, un paio infuriati, un paio oltremodo divertiti.

"E così non ti hanno ancora tagliato le corde vocali, eh?" rise Richard. "Scommetto che Jeremy non lo farebbe mai, ma se fossi in lui non avrei difficoltà a dominare quella lingua lunga. Parker, non hai insegnato al tuo ostaggio le regole?"

"Non è colpa sua." lo difese istintivamente Taylor.

"Oh, allora sei tu la ribelle. Voi Heavens avete proprio un bel caratterino, da quel che si sente in giro, ma mi sa che scegli la persona sbagliata con cui dimostrarlo." allungò il braccio per l'ennesima volta e sfoderò un sorriso malizioso sotto i peli ramati dei baffi. "Richard." si presentò.

Quel nome scosse per un attimo la memoria di Taylor, ma era così impaurita che non riusciva né a muoversi né a pensare. Perché non si era morsa la lingua? Perché non era riuscita a trattenersi? Doveva tacere, Jeremy l'aveva avvisata! Il problema era che si sentiva tropo impaurita per agire lucidamente.

La tensione e la frustrazione le stavano giocando brutti scherzi e aveva la netta sensazione che non sarebbe uscita viva da quel posto. Quel Richard sembrava fin troppo malintenzionato e nel suo cervello l'ipotesi che Jeremy potesse abbandonarla a lui si stava facendo strada, mozzandole il respiro.

"Taylor." la riscosse proprio quest'ultimo, invitandola a ricambiare la stretta con sguardo truce. Sapeva che lei non sarebbe rimasta zitta, l'aveva messo in preventivo, nonostante le sue raccomandazioni travestite da ordini. Sperava con tutto il cuore che la smettesse di dar contro a Richard, anche se lui stesso stava lottando per trattenere la mano sulla pistola.

La ragazza tese allora la sua mano, pallida e tremante e la unì a quella di Richard ricacciando indietro un conato di vomito.

"Che ti prende, smorfiosetta, ti fa schifo anche solo stringermi la mano?"

Successe tutto troppo rapidamente: Richard ringhiò questa domanda avanzando un passo verso Taylor, lei si piegò all'indietro finendo con il gomito sopra il bancone e così facendo, urtò diversi boccali che, a effetto domino, si ruppero lasciando che la birra scorresse per tutta la superficie.

A quel punto aveva catturato l'attenzione del barista e di un gruppo di clienti le cui birre erano finite sul bancone assieme ai cocci di vetro.

"Ehi!" esclamò uno di questi, voltandosi di scatto con un'espressione rabbiosa. "Ehi, brutti figli di puttana! Voglio sapere chi ha versato la mia birra. Chi è il pezzo di me-" ma non appena notò la tremante figura di Taylor, sgranò gli occhi puntandola come un segugio. "...raviglia."

Alex guardò subito Jeremy e, dalla sua espressione, capì che non sarebbe affatto stato facile uscire da quel posto. Taylor aveva involontariamente aizzato la bestia.

Il biondo si affrettò a interporsi tra Taylor e il sopracitato, sfoderando un tono tanto educato quanto terrorizzato: "La meraviglia si scusa per l'inconveniente e la lascia alla sua consumazione."

"La meraviglia non ha una voce propria?"

"No, la sua voce appartiene a me come tutto il resto del suo corpo." disse, tagliente.

Mentre Alex e Jeremy discutevano con l'omone e la sua compagnia, Richard ne approfittò per avvicinarsi a Taylor. La afferrò per un braccio e la trascinò in disparte, provvedendo a tapparle la bocca con la mano, prima che lei potesse gridare.

La fissò da dietro le lenti scure, quasi dispiaciuto di doverlo fare, ma sapendo che stava solo obbedendo agli ordini di Cordano, come aveva sempre fatto. Non gli era stato insegnato altro che seguire le istruzioni e da anni riteneva che fosse la cosa giusta. Forse, se avesse saputo che aveva tra le mani la migliore amica di sua sorella, non avrebbe saputo soffocare il dispiacere.

Forse, se si fosse ricordato di lei, quando la incrociava per il corridoio di casa sua, lui undicenne e lei un piccolo scricciolo di sette anni, avrebbe fatto un importante collegamento. Forse, se lei si fosse ricordata di lui, abbattuto dai rimproveri dei genitori, mentre lei ed Allyson giocavano con le bambole nella stanza accanto, avrebbe potuto cambiare ciò che sarebbe successo in un non troppo lontano futuro.

Ma Taylor aveva visto quel viso pochissime volte prima che scappasse di casa e non avrebbe mai potuto riconoscere i tratti morbidi di un bambino dietro a quei crespi peli ramati. Allo stesso modo, anche per Richard erano passati troppi anni e cambiate troppe cose; il suo passato, quello in casa Stuart, non era che un mucchio di dolorosi ricordi che era riuscito a schiacciare sotto l'immoralità della vita di strada.

"Sentimi bene, smorfiosa, io non credo che quel senza palle di Parker stia facendo il suo lavoro con te." le alitò addosso, l'alcol che le inzuppò la pelle e la cattiveria che le inumidì gli occhi. "A quest'ora avrebbe già dovuto tenerti a briglie salde, invece mi pare che ti lasci prendere fin troppe libertà. A te servirebbe una bella lezione, non credi?"

La sua stazza era così minacciosa su di lei che pensò volesse picchiarla. Così agì d'istinto; affondò le unghie sulle braccia di Richard e contemporaneamente gli morse la mano che lui teneva sulla sua bocca.

Grande passo falso. L'effetto fu che Richard la lasciò andare immediatamente, indietreggiando e bestemmiando a polmoni pieni per il dolore.

"Brutta troia!" le gridò addosso.

Immediatamente, tutti i presenti si voltarono verso il bancone. Anche Alex e Jeremy, assieme ai tre uomini, cessarono di discutere e nel pub cadde un silenzio agghiacciante.

"Taylor, che hai fatto?" soffiò Jeremy, il totale panico che ormai si non si trattenne più all'interno della sua gola.

Ma la sua voce fu istantaneamente sovrastata da altre più possenti. Grida ed esclamazioni si sollevarono dai tavoli, assieme alle persone e alla più virile eccitazione all'interno del pub.

"Guardate, il bastardo ha la tipa e non ci fa condividere!" alcuni clienti, sbronzi fino al midollo cominciarono ad avanzare verso il bancone.

Alcuni pensarono in automatico che Taylor fosse una prostituta portata nel pub da Richard, altri videro solamente una femmina da rendere propria, altri ancora avevano solo voglia di fare un po' di baccano.

Alex, distrattosi dalla discussione con gli uomini della birra, venne spinto indietro dagli stessi, mentre Jeremy tentò con scarso successo di raggiungere Taylor. Il barista gli si parò davanti e iniziò ad accusarlo per il danno fatto, mentre nel pub scoppiava l'inferno.

Il proprietario iniziò ad aggredire Jeremy, che si scansava nella vana impresa di soccorrere la ragazza. Mentre la folla maschile la circondava, Richard si dileguò e la lasciò sola con la schiena contro il bancone, davanti a una massa di squallidi pervertiti.

Gli epiteti con cui quegli uomini la chiamavano diventavano sempre più pesanti, mentre lei cercava disperatamente con lo sguardo i suoi rapitori. Strano a dirsi.

Si vedeva da lì a pochi minuti strattonata da quella moltitudine di sudice mani, i vestiti fatti a pezzi e il viso rigato di lacrime di vergogna. L'avrebbero stuprata e forse uccisa e tutto perché non aveva eseguito gli ordini di Jeremy. Ora capiva perché era tanto preoccupato e perché le aveva ordinato di non parlare e non farsi notare.

Uno degli ubriaconi la prese per un braccio, stringendolo senza misura e riversandole addosso la sua sete di malsano desiderio: "Vieni con me signorina, ti diverti tanto."

"No, lasciami andare! Lasciami!" cercò di liberarsi, ma altri provavano a rubarla a lui. La sua premonizione si stava avverando, era diventata un pezzo di carne con cui un branco di cani randagi stava litigando.

Era una situazione assurda. Nessuno l'aveva mai desiderata così tanto e lei non aveva mai desiderato così tanto che nessuno la desiderasse. Si sentiva davvero un pezzo di carne; era questione di minuti prima che, un morso da una parte e uno dall'altra, la dividessero in brandelli.

Mentre le grida intorno a lei si facevano sempre più forti, alcuni di loro avevano iniziato una rissa e un uomo aveva estratto una pistola.

Prima ancora che lei potesse gridare, quello sparò un colpo, senza mira né rimpianto.

Taylor si paralizzò. Nella sua testa sentì solo un forte fischio che durò per diversi secondi durante i quali le immagini scorrevano davanti a lei senza un suono. L'uomo l'aveva mollata per assalire qualcuno e lei vedeva spari partire da una parte all'altra del pub e chiazze rosse sul pavimento.

Le pistole e il sangue erano i suoi due peggiori incubi messi insieme.

A un tratto si accorse che qualcuno la stava scuotendo per una spalla, gridava verso di lei, con gli occhi sgranati, anche se la sua voce e la sua presenza sembravano lontani anni luce.

"Taylor! Taylor! Dobbiamo andarcene! Dobbiamo uscire da qui!"

Alex la prese per mano e la trascinò coprendola con il suo corpo. Una pallottola saettò proprio a due passi da loro e lei chiuse gli occhi, fidandosi solo della stretta del ragazzo. Per lei quei secondi durarono un'eternità, ma li visse quasi come uno spettatore, lontana persino da se stessa.

Forse per merito di un miracolo, riuscirono a raggiungere l'uscita e se ne andarono, correndo a perdifiato verso il bosco.

Quando furono abbastanza distanti, Alex si fermò e si piegò su se stesso: "Stai bene?" le chiese con il fiatone.

Taylor non gli rispose. Restava in piedi con le ginocchia tremanti e il viso trasparente per la paura.

"Senti, Taylor, mi dispiace, ma ti devo lasciare qui." disse, respirando con fatica. "Devo andare ad aiutare Jeremy, d'accordo? Nasconditi qui. Ti prego."

E senza aggiungere altro, si voltò e riprese a correre.

La ragazza annuì, come in trance, e guardò il moro dirigersi di nuovo verso il Diderot. Dopo il silenzio di alcuni secondi, mosse un passo in avanti e si accasciò a terra per vomitare tutto quello che aveva visto.

Mentre riversava sul terreno il suo shock, una domanda apparve prepotente nella sua mente. Cos'era successo a Jeremy?


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Chi sono i "Mostri al Diderot"? Il titolo, appunto, pone l'accento sulla parola "mostri", quasi a chiedere a voi lettori chi siano i veri mostri di questa storia. Jeremy che rapisce Taylor? Taylor che aggredisce Jeremy? Gli uomini del Diderot? Richard? A voi l'ardua sentenza.



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Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò la vostra iscrizione a Grammaticalmente Scorretti 

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Capitolo 8
*** Athens and Sparta ***


All I want - 8.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Athens and Sparta********

Jeremy uscì affannato e con la felpa imbevuta di liquore, ma fortunatamente tutto intero.

Si coprì con un cappotto che aveva rubato e si diresse a passo svelto lontano dalla baia, ai confini del bosco, controllando smaniosamente che nessuno lo stesse seguendo. Non molto tempo dopo, Alex spuntò dalla vegetazione, l'espressione da sono-appena-uscito-vivo-da-una-sparatoria-mortale-wow-che-forza.

I due amici si scambiarono uno sguardo sollevato e poi sospirarono sonoramente, come se si fosse trattato di qualcosa che facevano spesso e anche questa volta fossero riusciti a cavarsela. In realtà non era affatto così, ma a nessuno dei due andava di ricordare l'ovvio.

Dall'esterno si sentiva il trambusto, le grida e gli spari sembravano non cessare, così i ragazzi si allontanarono alla svelta e raggiunsero Betsie. Alex assicurò a Jeremy di aver portato in salvo Taylor e gli spiegò dove l'aveva lasciata.

"Grazie, Alex." disse il biondo, stringendogli il braccio con un sentimento ancora più intenso della gratitudine. "Dobbiamo recuperarla e spostare Betsie da qui, prima che qualcuno chiami la polizia e rischiamo di essere avvistati."

"D'accordo, sali."

"Alex. Piccolo particolare."

Alex sorrise soddisfatto, estraendo qualcosa dalla tasca: "No, caro mio, non le ho perse le chiavi!"

Jeremy alzò un sopracciglio: "Non puoi guidare dentro al bosco."

"Giusto." ribatté l'altro perdendo la sua enfasi.

"Vado io da Taylor." disse il biondo guardandosi alle spalle, verso la vegetazione. Quel muro di legno nero spaventava pure lui e a ogni minuto che passava temeva che a Taylor potesse accadere ogni genere di disavventura. "Sempre che sia ancora dove l'hai lasciata." aggiunse con una punta di agitazione che fece passare per scetticismo.

"Allora tu vai e io porto via Betsie."

"D'accordo. Ricorda di non stazionare in un punto solo, muoviti attorno alla città e tieni gli occhi aperti."

"Tutto chiaro."

"Ci incontriamo più tardi, ti mando un messaggio."

"Ok."

"E grazie di nuovo."

"Prego, Jerry, e..."

I due ragazzi si guardarono un attimo nel buio della notte.

"Cosa?"

"Niente." il moro scosse la testa. "A dopo."

Alex salì nell'auto e la accese rumorosamente. Jeremy, senza esitare nella fiducia per il suo amico, gli diede le spalle e si diresse veloce verso il bosco. Percorse un sentiero non troppo definito, un po' a tentoni, ingannato dal buio. Sentiva i suoi passi contro il terriccio umido e coperto di aghi e, sempre più in lontananza, il trambusto al Diderot. Cercò di orientarsi fino al punto che Alex gli aveva descritto, ma quando lo raggiunse, di Taylor non c'era nemmeno l'ombra.

Il panico lo assalì di nuovo e la testa iniziò a vorticare. Camminò per una ventina di minuti tra gli alberi, chiamando la ragazza ad alta voce e insistentemente, aggrappandosi a quel nome per non disperare. A ogni secondo che passava senza una sua risposta, era certo di averla persa.

Persa, oppure lasciata in balia di qualche ubriaco sfuggito dal pub. O peggio ancora, nelle mani di Richard; ignara di tutto e indifesa come solo Taylor appariva ai suoi occhi. Possibile che fosse scappata? Quella era l'ipotesi migliore. Avrebbe potuto farlo tranquillamente, perché quello non era un bosco fitto, anzi, gli alberi erano molto radi e spogli e si potevano scorgere la baia e il Diderot da qualsiasi punto. Le sarebbe bastato dirigersi in direzione contraria e seguire la luce della luna. L'erba era bassa e il cielo, quella notte, non troppo scuro. Nulla che facesse paura, insomma, tranne il fatto che lei non ci fosse da nessuna parte.

Dopo un'altra decina di minuti persi a girovagare tra i tronchi, sentì finalmente qualcosa. Erano dei rumori soffocati, provenienti da un punto poco più avanti. Avrebbero potuto essere il lamento di qualche animale, tanto gli apparivano sommessi e indefiniti, ma si avvicinò comunque, con speranza e cautela.

Finalmente raggiunse l'albero dietro cui sentiva quel pianto e con grande sollievo vide Taylor, sana e salva, seduta su una radice e tutta rannicchiata sotto le fronde. Gli sembrò, in quel momento, che la Terra riprendesse a girare.

"Taylor!" esclamò, quasi commosso per averla trovata.

La ragazza sussultò e non appena alzò gli occhi su di lui, Jeremy notò che erano spaventati a morte e colmi di lacrime.

"Jeremy!" gridò, disperata. "Sei qui!"

Senza che lui potesse prevederlo, la ragazza si alzò di scatto e gli corse incontro travolgendolo letteralmente con tutta la sua irruenza. Il ragazzo dovette reggersi bene a terra per non cadere all'indietro, ma fu pronto a ricevere la sua esile figura tra le braccia ed assicurarla a sé in quella che si poteva definire una stretta di puro sollievo.

Nell'istante in cui Taylor affondò la testa nel suo petto e prese a singhiozzare ancora più forte, Jeremy non seppe fare altro che tramutare quel contatto in un triste abbraccio, lasciando che le sue mani sostenessero quella fragile schiena tremante e che il suo collo ospitasse le lacrime salate di una bambina fin troppo coraggiosa.

Si rese conto di quanto fosse fragile e forte contemporaneamente e di quanto lui la stesse mettendo alla prova. Giorno dopo giorno era la causa di una nuova sofferenza per lei; colui che l'aveva strappata dalla sua vita tranquilla e messa di fronte ai pericoli del mondo.

"Mi dispiace." le sussurrò chiudendo gli occhi.

Quello era il suo peggiore incubo: la ragazza che odiava sentir piangere che piangeva tra le sue braccia e quel dannato profumo che gli invadeva le narici e la mente.

Era colpa sua. Tutta colpa sua. Non avrebbe potuto sentirsi peggio di così.

Per lo meno lei stava bene, ma al momento sembrava solo una magra consolazione. Non sembrava stare poi così bene, dopotutto.

"Mi dispiace, Lor." le ripeté come se quelle uniche tre parole che sapeva usare per scusarsi potessero veramente calmarla.

"Pensavo...ve ne foste...a-andati..." singhiozzò lei, stringendo più forte i pugni sotto il cappotto di Jeremy, avvinghiandosi alla sua felpa, come se ciò potesse non farlo allontanare mai più.

"Senza di te? Che senso avrebbe?" disse lui, posando timidamente la mano sulla sua testa.

"Dov'è Alex? Co-come sta?"

"Sta bene. Va tutto bene, Taylor. Calmati, ti prego."

"No, Jeremy...io...pensavo che- che mi avreste lasciato qui. Pensavo che...non sareste più tornati."

"Perché, Lor?"

"Credevo che vi fosse successo...qualcosa di grave...mio Dio, Jeremy, è stato orribile!"

Taylor si sfogò ancora e ancora, facendo del petto di Jeremy la sua unica consolazione e versando tutte le lacrime che aveva da versare. Apprezzava quel contatto e quel calore umano come mai prima di allora e si lasciava cullare dal suo rapitore come se l'avesse sempre fatto, senza dire una parola o avanzare un'accusa. Dopo svariato tempo, lentamente i singhiozzi si calmarono e lei si allontanò da quel posto in cui per la prima volta si era sentita a casa, anche se non lo era per niente.

Guardò Jeremy nell'azzurro cielo che appariva infinitamente dispiaciuto e si rese conto di ciò che era successo. Avevano rischiato la vita tutti e tre e aveva avuto paura che Jeremy e Alex non ce l'avrebbero fatta. Sarebbe stata in parte colpa sua e il pensiero l'aveva fatta stare male per ore, incurante del fatto che fossero stati proprio loro a rapirla, in primo luogo, e portarla in quel pub, poi.

Non capiva perché quell'eventualità le aveva causato tanto turbamento, non capiva se fosse normale o se qualcosa in lei non andasse. Sapeva solo che le era sembrata l'ipotesi più orribile del mondo, finché non aveva rivisto lui, sano e salvo, tornato apposta per riprenderla.

Ora lo guardava con un sollievo enorme, come se non aspettasse altro, se non la presenza di quel ragazzo, se non la certezza di non essere sola, di vederlo di nuovo. Non aveva ancora metabolizzato tutti gli shock di quella nottata, ma sembrava che l'assenza dei ragazzi fosse stato finora il più destabilizzante per lei.

Nel frattempo, la testa di Jeremy sembrava non volersi fermare e l'adrenalina iniziava a scemare per trasformarsi in stanchezza. Così, decise di sedersi ai piedi di un albero, trascinando Taylor vicino a lui. Nonostante lei avesse obbedito al quel tacito ordine senza proteste, prendendo posto accanto a lui in silenzio, era ancora ben evidente quanto fosse scossa e quanto quella notte l'avesse profondamente segnata, forse per sempre.

Jeremy si appoggiò al tronco sospirando, sollevato di saperla incolume, ma al contempo attanagliato dal rimorso per tutto il male che le stava facendo.

"Non avrei dovuto portarti laggiù." disse quasi tra sé, prendendosi la testa fra le mani. "Mi dispiace. Avrei dovuto trovare un altro modo."

Taylor decise di essere diretta e sgusciò la sua curiosità senza mezzi termini, la voce ancora rotta dal pianto: "Chi era quel tale, Jeremy? Che cosa voleva da noi? Perché siamo andati lì? Voglio saperlo."

Il ragazzo parve indeciso tra il raccontare la verità e l'ennesima bugia, ma poi si trovò di fronte a quegli occhi feriti e arrossati e capì che davanti a loro non sarebbe più riuscito a mentire.

"È solo uno dei tanti nemici che ho." rispose in un sospiro intriso di tristezza. "Doveva accertarsi che il rapimento stesse filando liscio, che tu stessi bene e che avessi tutto sotto controllo. Piccoli particolari che mi pare di non aver affatto dimostrato, tra le altre cose."

"È stato lui a scegliere il posto?"

Jeremy schioccò la lingua, arrabbiato con se stesso al ricordo di quanto poco avesse insistito per far cambiare idea a Cordano riguardo al Diderot: "Più o meno."

"Capisco." disse solamente lei, tirandosi le maniche fino alle nocche e soffiando sulle mani a coppa per scaldarsi le dita. Dopo un po' di silenzio, prese un respiro e guardò il ragazzo con fare serio. "Non sei stato tu a volermi rapire." pronunciò in una vera e propria costatazione, indignata, arrabbiata e piuttosto sicura. "Ti hanno costretto."

Jeremy sorrise e scrollò le spalle, poco impressionato dalla sua prevedibile deduzione, ma divertito dal tono battagliero di quello scricciolo.

"Io sono un benefattore, Lor. Avevo il dovere morale di salvare i tuoi cari dalla tua insopportabile presenza."

"Jeremy."

"Guarda come mi hai ridotto in pochi giorni. Non oso immaginare che succede a loro che ti hanno da una vita. Non credi che abbia fatto un favore a tutti?"

Taylor capì che non poteva domandare oltre, così si accontentò di quella non negazione. Jeremy avrebbe sempre cercato di dissimulare la situazione, ma a lei era parso ben chiaro, quella notte, che ci fosse qualcun altro dietro a tutto quel trambusto.

"Credo di sì, Robin Hood." ribatté allora, fissandosi mestamente le scarpe. "Anche se dovevi giocare meglio le tue carte. Rubare ai ricchi per dare ai poveri, ma scegliere i ricchi giusti, non gli stronzi come Oliver."

"Ehi." Jeremy corrugò la fronte. "Non dire così, tuo padre sta facendo di tutto per riportarti a casa."

"Sì, certo."

"Heavens." Jeremy la fissò con un cipiglio di rimprovero che lei trovò quasi inopportuno da un tale pulpito.

"Cosa?"

"Piantala con il sarcasmo. Tuo padre è un brav'uomo. Sta dando tutto per te."

Lei scosse la testa: "Non per me, Jeremy, per lui." contestò. "Oliver ha paura di perdere la sua fama e il suo prestigio, tutto qui. Sta solo aspettando che io ritorni per avere una storia da raccontare, l'ennesimo motivo per cui farsi adorare da sua moglie, da Tessy, dai giornali...solo...per fare l'eroe, come nei suoi adorati film, come ha sempre fatto."

"Dici così solo perché ce l'hai con lui. Se sentissi la sua voce al telefono, non saresti del parere."

"Oh, andiamo, è ovvio che sia preoccupato! Che figura ci farebbe con il mondo se un superuomo come lui non riuscisse nemmeno a salvare la sua figlioletta abbandonata?"

"Ti avrà anche abbandonata in passato, ma non ti sta abbandonando adesso!"

"Sono solo cazzate!"

"Perché non lo vuoi perdonare?!"

Jeremy fissò Taylor con il respiro affannato e le sopracciglia corrugate. Era un argomento che gli stava a cuore, si sorprese di realizzare.

La ragazza non capiva perché proprio lui si ostinasse così tanto: "A te che importa?"

"Voglio sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."

"Mi ha abbandonata quando avevo un anno, Jeremy!" sbottò lei. "Ti basta?" non aspettò nemmeno che rispondesse e proseguì presa dall'impeto di far sapere anche a lui le gesta insensibili del cosiddetto padre. "Ha fatto vivere una vita orribile a mia madre, l'ha presa in giro e ha ignorato le sue suppliche per diciotto anni! Io la sentivo piangere alla notte e vedevo il suo mento tremare quando lo incontravamo in giro e a mano con quella stupida riccona rifatta! Lui è uno stronzo e tu mi chiedi di dargli una seconda possibilità. Di credere che Oliver sia un uomo migliore di quello che sembra."

"Di sicuro ti ha fatto male, Taylor." rispose lui, lentamente e con una serietà insolita. "Ma sai cosa diceva sempre la mia di mamma?"

La ragazza rimase in silenzio, scrutando quelle iridi chiarissime concentrate sulle sue.

"Diceva: se Sparta piange, Atene non ride." deglutì a fatica, come se gli costasse molto raccontare quell'aneddoto. "Ne aveva molti di detti, ma questo era uno dei più quotati e mi ha sempre fatto riflettere. Guardare le cose da più prospettive."

Vide che Taylor aveva finalmente abbracciato la politica del silenzio, così proseguì e si spiegò meglio: "Se tu e tua madre avete vissuto anni difficili, le difficoltà sono spettate anche a chi ne è stato la causa. Non credo che tuo padre abbia lasciato una moglie e una figlia senza un minimo di rimorso e se anche non ti è sembrato, probabilmente è perché ha lottato per nasconderlo. Pensa a quanto deve aver sofferto per quella scelta."

"Nessuno l'ha costretto a scegliere."

"La vita, Taylor. A volte si fanno delle cose che siamo spinti a fare, le facciamo per sopravvivere, ma non sempre sono cose che ci fanno felici. Possono essere anche scelte che in realtà ci distruggono e fanno soffrire altre persone, ma siamo obbligati per il nostro bene a seguire una determinata strada." sembrava quasi che stesse parlando di se stesso.

"Quindi stai dicendo che la vita ha obbligato Oliver a preferire Martha a mia madre?"

"In un certo senso sì." confermò lui. "Non sto dicendo che sia giusto, Lor, sto solo dicendo che, dal suo punto di vista, è stato necessario. La vita l'ha messo davanti a un bivio. I sentimenti, ma ancora più in profondità i suoi bisogni e i suoi istinti l'hanno costretto a prendere una decisione."

"Beh, allora avrei dovuto essere io la sua scelta! Non Martha!"

"Per l'uomo di allora non era quella la strada da intraprendere. Non ne sai tutti i motivi, ma non puoi nemmeno escludere che non si sentisse pronto abbastanza per te."

"E allora perché per Tessy è stato pronto?"

"Perché una volta fatta una scelta, Lor, non si può sempre tornare indietro. Dopo essersi allontanato da te la sua vita è andata avanti in un altro modo e forse in quell'occasione ha sviluppato le capacità per sapersi gestire."

"Avrebbe potuto tentare di riallacciare con me in qualsiasi modo."

"Gliel'avresti permesso?"

Taylor tacque e abbassò lo sguardo, presa in contropiede.

"Con il tuo caratterino, non credo che gli avresti reso le cose facili." Jeremy le sorrise, intenerito. "Figuriamoci da preadolescente isterica. Ma, in ogni caso, forse non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. Però magari con gli anni si è pentito davvero, magari ha capito, magari sta capendo solo adesso. È un umano e, dopotutto, ha sbagliato."

"Ha sbagliato di grosso."

"Certo, Lor." le diede ragione il biondo, a sua volta incapace di immaginare come una persona potesse avere il cuore di far soffrire così tanto quella ragazza. "Ma a prescindere da tutto, ora lui c'è."

Taylor era colpita da quelle parole, colpita per come veramente aprissero una prospettiva su un aspetto diverso, che mai l'aveva sfiorata. Non l'aveva mai vista dal punto di vista del carnefice, suo padre, non aveva mai preso in considerazione che anche lui avesse potuto star male e che avesse dovuto scegliere in quel modo.

E allora si chiedeva: come poteva qualcuno essere costretto da se stesso per se stesso? Si chiamava egoismo o felicità?

Nonostante la nuova visione delle cose, non riusciva nemmeno a pensare di poter perdonare Oliver. Solo per il male che aveva fatto ad Amanda, non si meritava una seconda possibilità. L'avesse anche tirata fuori da quel guaio, lei non gliel'avrebbe mai concessa.

"Mi è mancato davvero tanto un papà." si lasciò sfuggire, prima che potesse frenare quest'intima confidenza. Aveva sempre faticato, in passato, ad ammetterlo persino con sua madre o con Ally.

"Lo so." rispose semplicemente Jeremy.

Rimasero così in silenzio a fissare il cielo spruzzato di poche stelle di fronte a loro.

Taylor non osava fare domande o dire nulla di più. Era grata a quel ragazzo perché era stato il primo a non farla sentire la solita abbandonata dal mondo. Quando parlava con gli altri, reagivano tutti sempre allo stesso modo: dispiacendosi per lei e lamentandosi assieme a lei.

Jeremy, invece, le aveva dato contro – come al solito, dopotutto – ma le aveva fatto capire che una medaglia aveva sempre due facce. Per una volta aveva fatto sentire un po' colpevole pure lei e questo aveva, in una minima, infinitesimale, atomica parte, redento un pochino il crudele Oliver.

Certo, la rabbia e la delusione c'erano ancora e Oliver restava pur sempre il nemico numero uno. Ma Jeremy sapeva quando mostrare compassione e quando, invece, scatenare la sua vena insensibile a fin di bene. Chissà se finora non si era sempre comportato così nei suoi confronti.

Jeremy la guardò e si chiese se veramente l'amore per una donna potesse portare a perdere qualcosa di tanto grande e importante. In un certo senso si sentiva alleato di Oliver, perché diciotto anni fa si era comportato come lui si stava comportando ora. Come aveva fatto Oliver in passato, Jeremy stava rinunciando a qualcosa di importante come la sua pace e la sua libertà pur di salvare qualcosa di fondamentale, ovvero la sua vita, mettendone in gioco tante altre. Facendone soffrire tante altre.

Tuttavia, non sapeva se avrebbe resistito fino alla fine, perché stava diventando tutto sempre più confuso e difficile. Taylor lo aveva influenzato in modo troppo inaspettato e si sentiva un verme al pensiero dell'incubo che le stava facendo vivere. Erano veri e propri sensi di colpa quelli che sin dall'inizio lo avevano attanagliato e che ora si stavano mettendo prepotentemente in mezzo ai suoi piani.

All'inizio lei gli era sembrata così forte e indipendente, ma poi si era accorto che era più debole di quanto si potesse immaginare. Le fragilità che cercava di mascherare erano tante ed era così sola e ferita a causa di un passato che lui non faticava a comprendere. Per la prima volta, in tutta quell'avventura, si chiese se stesse facendo tutto ciò per felicità o per egoismo.

"Lo sai per chi ho pregato, Lor?" le chiese improvvisamente, sapendo di star completamente distruggendo tutti gli sforzi di anni e anni, ma sentendo un disperato bisogno, da dentro di sé, di condividerlo con lei.

La ragazza scosse la testa, anche se poteva immaginarlo.

Lui prese un profondo respiro: "La mia mamma."

Tre parole che non usava mai insieme.

Taylor lo guardò senza parlare, in attesa, in dubbio. Quasi impaurita di poter respirare in modo sbagliato e vanificare il peso di ciò che lui aveva, visibilmente a fatica, appena confessato.

"Volevi tanto saperlo, no?" incalzò lui.

"Jeremy, io...se non ti va di parlarne, fa lo stesso, era solo..."

"Tranquilla." la interruppe, sorridendole. "Mi sa che te lo devo."

Taylor gli rivolse un sorriso che a lui parve bellissimo, ma non ci si soffermò troppo. In quella situazione sapeva benissimo di aver già calato abbastanza difese e il peggio stava giusto per arrivare.

"Voglio che anche tu sappia quanto le volevo bene, quanto fosse speciale e brava in tutto quello che faceva. Quanto mi manca e quanto cavolo mi è mancata." si passò una mano tra i capelli, un po' imbarazzato, ma fiero di quelle parole.

Taylor apprezzò infinitamente lo sforzo di Jeremy e lo vide per la prima volta in estasi, completamente innamorato della persona di cui stava parlando. Era davvero bellissimo, così. Era perfetto.

"Dimmi com'era." domandò curiosa ed emozionata a sua volta.

Lui si passò di nuovo la mano nei capelli, quasi per darsi forza, e decise di imbarcarsi in quel discorso che sapeva naufragare sempre in porti aridi e sconsolati. Ma aveva gli occhi di Taylor davanti e sentiva che forse loro avrebbero potuto salvarlo dal dolore di quel luogo, o per lo meno capirlo.

"Si chiamava Miriam ed era una donna bellissima." cominciò. "Aveva i capelli lunghi, biondi, e la pelle piena di lentiggini. Le odiava con tutto il cuore, ma la capisco, dato che su questo ho preso sicuramente da lei. Con la differenza che a lei, invece, stavano davvero bene. Le sarebbe stato bene qualsiasi difetto."

"Io le trovo carine le tue lentiggini."

"Lor. Io sono meraviglioso a prescindere. Posso non piacere solo a me stesso."

"Ok, torniamo a parlare di tua madre." tagliò corto lei, imbarazzata. "Sono sicura che non ti ha trasmesso la modestia, vero?"

"Nah."

"Dimmi che facevate. Com'era di carattere."

"Passava tutto il tempo con me, perché non lavorava. Era la mia migliore amica, la mia compagna di giochi, la mamma migliore che un bambino potesse desiderare. Sai, tipo quelle dei film o delle pubblicità. Anche se detestavo quando lo faceva, si preoccupava sempre per me e quando mi faceva male qualche parte del corpo, lei ci posava un bacio, facendomi miracolosamente passare ogni dolore. Comodo, eh? Ogni volta che riusciva a farmi salire in macchina per portarmi all'asilo doveva tornare a prendermi qualche ora dopo perché facevo il disastro pur di tornare con lei. Una volta ricordo di essermi addirittura infilato sotto la sottana di una suora e quella volta si è arrabbiata sul serio, dicendomi che non avrei cenato...non avrei avuto comunque fame, dopo quello che avevo visto." sorrise leggermente al ricordo. "Alla fine invece aveva preparato le crêpes con il cioccolato e mi aveva costretto a mangiarle mentre guardavamo Sister Act, facendomi cantare assieme alle suore per punizione." fece una pausa e poi il suo sguardo s'incupì.

Taylor lasciò passare qualche secondo. Avrebbe voluto chiedere 'e poi?', ma sapeva che Jeremy ci sarebbe arrivato. Un'introduzione così felice non avrebbe spiegato nulla di quel ragazzo, se non ci fosse stato un però.

"Mio padre tornava tardi. Molto tardi." proseguì allora, il biondino. "Lavorava alla Money House e di sicuro se chiederai a Oliver, si ricorderà di quel bastardo. Tradiva di continuo mia madre, beveva, litigava. Lei mi metteva a dormire presto, ma io rimanevo sveglio per sentire le loro discussioni e poi i bicchieri che si rompevano e le urla di mamma. Le sentivo e piangevo, mi tappavo le orecchie con le mani, mi infilavo sotto alle coperte e nei miei incubi vedevo sempre quelle scene spaventose. La faccia di mamma impaurita e io sulle scale con le orecchie coperte." i suoi pugni erano serrati e il suo respiro iniziava ad affannarsi. "E poi successe una cosa orribile."

Ecco, c'era arrivato. Guardò Taylor e la vide trasalire davanti all'espressione del suo volto. Superato quel punto, Jeremy sapeva che avrebbe riaperto un sacco di ferite e che il dolore sarebbe stato molto più che lancinante.

"Era il tredici settembre e io avevo sei anni. Il giorno successivo avrei dovuto cominciare le elementari e per l'occasione mamma mi aveva comprato uno zaino nuovo, quello che avevamo visto in una vetrina e mi era subito piaciuto. Quando lui lo vide cominciò a urlarle addosso cose irripetibili, dicendo che era l'unico della famiglia a portare a casa soldi e lei non faceva altro che sperperarli in inutilità...era...molto più ubriaco del solito." la sua voce si incrinò in quel momento e Taylor chiuse gli occhi, incapace di reggere l'immagine di delle labbra tremanti di Jeremy. "Lei gli aveva detto che se non poteva lavorare era a causa sua, che non gliene fregava nulla di avere un figlio da accudire e che era un marito ingrato. Gli disse che sapeva dei suoi tradimenti e...altre cose che non ricordo, ma che all'epoca mi sembrarono terribili. Inizialmente sembrava una discussione come tante altre, ma la differenza era che quella volta io ero lì e mi resi conto subito che mio padre aveva perso il controllo. Ero lì davanti a loro quando la chiamò 'puttana', ero lì davanti a loro quando lei mi gridò di salire in camera, ero lì davanti a loro quando sentii il suono delle porcellane frantumarsi sotto il peso della mia mamma, spinta violentemente contro il mobile del salotto."

Jeremy guardò la terra come fosse il vecchio pavimento bianco di casa. La riga tra le mattonelle che si riempiva lentamente di liquido rosso.

"Ero lì davanti a loro quando mio padre mi ha detto di dire a tutti che la mamma era caduta dalle scale ed era morta. E fu l'ultima volta che lo vidi."

Taylor sussultò e si coprì la bocca con entrambe le mani. Voleva chiedere a Jeremy di smettere, non voleva ascoltare oltre, non voleva più sentire la potenza del dolore inconsolabile che sgorgava dalla sua gola.

Ma lui continuò, lo sguardo fisso al terreno, vuoto e tremendamente ferito: "Lei era...era stesa a terra e io volevo credere che mi stesse facendo uno scherzo. Che stupido, mio Dio, ero proprio un bambino scemo. La scuotevo come un idiota, come se potesse aprire gli occhi sorridente come al solito e chiedermi di rimettere in ordine tutto che era tardi e l'indomani c'era la scuola...mi ricordo...mi ricordo che le presi una mano sanguinante e la baciai...ma lei non si muoveva...pensavo di poterla guarire anch'io con un bacio...che stupido." ripeté, strusciando il palmo contro lo zigomo per mandare via una gelida lacrima.

Ma quella fu solo la prima di tante altre, che da quel momento in poi Jeremy non riuscì più a trattenere. Erano lacrime che desideravano scendere da moltissimo tempo e che finora era stato capace di dominare sotto una maschera d'indifferenza.

Senza che potesse impedirlo, gli tornarono alla mente tutte le immagini che aveva oscurato fino ad allora; vedeva la madre sorridere, riempirlo di solletico sul divano, i suoi baci sulla fronte, le sue boccette di profumo ordinate sulla specchiera...e poi la vedeva lì, gli occhi chiusi e tutte quelle lentiggini che, come luci sul fare dell'alba, stavano esaurendo la loro brillantezza. Sentiva la sua stessa voce, confusa e spazientita, chiamare inutilmente.

Mamma? Mamma? Mamma!

Ma la sua mamma non gli avrebbe più risposto.

Anche Taylor stava piangendo. Come poteva pensare che un ragazzo così apparentemente freddo come Jeremy avesse patito tanta sofferenza per tutta la sua vita? Era sconvolta. Era arrabbiata, furiosa, voleva uccidere quell'uomo! Voleva prenderlo, sbatterlo al muro e urlargli: perché?

Perché aveva rovinato la vita di suo figlio? Perché gli aveva pugnalato il cuore con tutta quell'indifferenza? Perché gli aveva tolto la felicità?

Ma non poteva fare nulla se non, come Jeremy, immaginare la giovane Miriam, bionda e bellissima, distesa esanime sul pavimento. E accanto a lei, piccolo e indifeso, un bambino riccioluto, che voleva solo la mamma. Voleva solo, come tutti al mondo, essere felice.

Senza parlare, appoggiò la testa sull'incavo del suo collo e lo ascoltò piangere silenziosamente, il petto che si sforzava per trattenere i singhiozzi e la postura che, con gran contegno, non si abbandonava al dolore.

Teneva sempre duro, Jeremy, non si scomponeva, ma soffriva e basta. Taylor sentiva le sue lacrime calde caderle sui capelli e poi una sua mano accarezzarli, quasi fungessero da calmante. Avrebbe voluto essere più utile di così, ma non avrebbe saputo che dire o cosa fare. Anche lei era impotente di fronte a quell'enorme ingiustizia.

Passarono minuti, forse ore, nei quali nessuno voleva spezzare il suono della natura. Rimasero in quella posizione: l'una adagiata all'altro, vicini fisicamente per ingannare il freddo, vicini spiritualmente per ingannare il vuoto.

"Non volevo farti piangere di nuovo." esordì Jeremy, che aveva sentito sulle guance della ragazza l'empatia che provava verso di lui.

"Di nuovo? Che intendi dire?"

"So che hai pianto l'altra sera. Mentre disegnavi quella foto."

"Oh."

"E il giorno in cui ti ho dato lo schiaffo. E quando ti ho minacciato per essere scappata."

Taylor sorrise: "Beh, se Sparta piange, Atene non ride."

Anche Jeremy, tra le lacrime, sorrise. Pensò che quella ragazza avesse qualcosa di speciale; solo lei avrebbe potuto farlo ridere e piangere allo stesso tempo! E quanto aveva cambiato di lui in così poco tempo, senza che nemmeno se ne fosse accorto. Era riuscita ad aprire delle porte che lui teneva sigillate e continuava a sorprenderlo, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Le voleva bene, troppo forse, anche se non l'avrebbe mai ammesso. Il suo orgoglio e la sua missione glielo impedivano.

"E quindi io sarei Atene o Sparta?" le domandò, cancellandosi le lacrime dalle guance.

"Sparta. Sicuramente Sparta."

"Sono d'accordo."

"Senti, Jeremy." proruppe lei, curiosa, ma discreta. "Ma poi che ne è stato di tuo padre?"

"È finito in prigione, a Windsor, dov'era scappato. È morto due anni dopo mia madre; all'inizio pensavano a un suicidio legato al rimorso, ma lui non provava rimorso, non l'ha mai provato. È morto perché la sua anemia non veniva curata da molto tempo e, francamente, non ho provato nulla quando me l'hanno riferito. Non sono nemmeno andato al funerale."

"È stata la scelta giusta."

"Quella di mia madre è stata sbagliata, invece. La peggiore. Mi domando sempre come avesse fatto ad amare quell'essere. Come avesse potuto scegliere lui. Era una donna così buona e così intelligente e lui..."

"Credo valga lo stesso discorso che hai fatto su Oliver."

Jeremy fissò di nuovo il terreno, incantato e triste: "Credo di sì."

"E tu? Che ne è stato di te? Della tua istruzione...che hai fatto poi?"

"Ti chiedi come faccia a essere così colto, eh?" scherzò lui, leggermente più sereno nonostante si sentisse completamente svuotato. "Beh, subito dopo l'omicidio, sono stato affidato a nonna Angelina, che mi ha fatto fare le elementari da privato e le medie alle scuole pubbliche di Bourton, ma che mi ha detestato per ogni singolo giorno in cui mi ha avuto in casa sua. Ero un bambino problematico, come potrai immaginare. Quando si è trasferita in Australia per sbarazzarsi di me, è riuscita a farmi prendere dall'orfanotrofio di Stroud, dove ho fatto le superiori e vissuto i miei migliori anni da preadolescente teppistello. Sai? Bruciavo i letti e mettevo le lucertole morte nelle ciabatte del direttore."

"Sei uno stronzo!"

Jeremy ridacchiò, compiaciuto di se stesso: "A diciassette anni mi sono stancato di quel lager gestito da ss sotto le spoglie di monache e me ne sono andato definitivamente. Diciamo che ho imparato a cavarmela da solo, gestendo autonomamente un po' tutto."

"Intendi facendo il ladro?"

"Non rovinare la poesia, Taylor. Ho studiato da solo quello che mi serviva sapere. Sono stato in biblioteca di tanto in tanto, ma mai in chiesa." precisò.

"Wow, non ti facevo un tipo da biblioteca."

"Mi piaceva fingere di studiare, mentre guardavo le tette della bibliotecaria. Erano gli anni della pubertà, non so se mi spiego."

"Ora capisco la vera motivazione dietro i tuoi studi."

"E tu? Com'è che sei così brava a disegnare?"

La ragazza arrossì lievemente. Non sapeva se lo pensasse davvero, ma quella domanda l'aveva indubbiamente lusingata. Non era frequente sentirsi dedicare belle parole da parte di Jeremy.

"Davvero mi reputi brava?"

"Fenomenale, Lor. Mi piacciono i tuoi disegni." confermò lui, in sincerità. "E guarda che io mi interesso di arte; ho studiato tutti i maggiori pittori europei dal Medioevo."

"Tra una tetta e l'altra."

"Simpatica. Le mie critiche sono fondate e obiettive. Anche se persino un bambino capirebbe che hai davvero talento."

Taylor arrossì ancora di più: "Un giorno ti farò un ritratto, allora." fu il suo modo di ringraziarlo per il complimento.

Tuttavia, entrambi si resero subito conto dell'impossibilità di quell'affermazione e spensero l'entusiasmo del loro dialogo. Per l'imbarazzo che aveva generato, la discussione perse subito il suo ritmo e si tramutò in significativo silenzio.

"Allora, principessa, ha deciso di approvare questa nuova sistemazione?" propose Jeremy, cambiando argomento per sdrammatizzare.

"Nuova sistemazione?"

"Il mio stomaco." il ragazzo sfoderò finalmente il buon vecchio tono strafottente. "Non sarà alla sua altezza, ma mi pare di capire che è comodo."

Taylor rimase per un po' interdetta, ma poi convenne con lui che tra tutti i posti che avevano cambiato finora, quello era in assoluto il più confortevole. Anche se c'era freddo, anche se erano stessi per terra, anche se non c'era nulla sopra le loro teste, se non un cielo con poche stelle.

Arrossì e non rispose, ma si sistemò meglio sulla sua spalla e si raggomitolò accanto a lui, infilando una mano sotto la sua giacca per tenerla al caldo.

Jeremy si irrigidì per la sorpresa di quel gesto: "Credo sia un sì." biascicò, prima di decidere finalmente di rilassare i muscoli.

Taylor stiracchiò le gambe accanto a quelle distese del ragazzo, meravigliandosi di quanto bene si sentisse. Così vicino a lui non c'era più freddo e avrebbe potuto rimanere in quella posizione per ore, a sorridere della piega che aveva preso la nottata.

Si concentrò e percepì il cuore di Jeremy sotto il suo palmo battere un po' più lentamente del normale. Non si stupì di ciò; tutto di lui era una sorpresa. In qualche modo, era speciale.

Dal canto suo, se ripensava a quello che era successo negli ultimi minuti, Jeremy non poteva che realizzare di essersi esposto irrevocabilmente. Ormai era ufficiale: Taylor lo aveva cambiato, lo aveva rivoltato come un calzino, era riuscita a farlo ridere, piangere, preoccupare, arrabbiare, tutto nella stessa notte, come nessuno mai aveva fatto prima.

Sentiva la mano della ragazza premere sul cuore e sorrideva perché era stata capace di aprirlo, riconoscendo la serratura meglio di quanto lui potesse fare. Strana la vita a volte.

Chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo di talco e lavanda a pieni polmoni. Si lasciò trasportare da esso completamente; per la prima volta, senza opporre resistenza. Permise a tutti i ricordi di risplendere sotto le sue palpebre serrate, mentre con la testa appoggiata al tronco di un albero aspettava che fossero rivestiti di un nuovo senso di accettazione.

"Jeremy?"

"Sì?"

"Puzzi di liquore."

"Vorrei poter dire la stessa cosa di te, Lor."

"In che senso?"

"Nulla. Lascia stare."

Taylor decise di non questionare oltre; era esausta e in un tale senso di pace che non voleva rischiare di rovinare un solo atomo di quell'atmosfera. Tutta la tensione e la paura che aveva immagazzinato in una sola sera fluirono distanti dal suo cuore e, nel calore di un contatto così unico, decise di dar pace ai suoi occhi doloranti per il pianto. Li chiuse e si addormentò sul petto di Jeremy, con un sorriso sulle labbra e un nuovo sentimento nel cuore.


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"BRUTTI IDIOTI!"

Il grido, grave e potente sulle loro teste, rimbombò tra gli alberi e fece aprire a Taylor un occhio assonnato.

"Deficienti! Razza di stronzi!"

La ragazza distinse, contro i raggi del sole, il dolce profilo di Alex e, facendo leva con il braccio sul terreno, alzò il busto per guardarlo meglio. Era sporco un po' ovunque e portava una lugubre espressione, segnata da due spaventose signore occhiaie.

"Buongiorno..." mormorò cercando di pararsi con una mano dalla luce.

"Buongiorno una bella merda!"

Jeremy ricevette quel delicato fraseggio direttamente nelle orecchie e sembrò riconoscere l'amico ancora prima di destarsi: "Alex?"

"Sì, Alex, quello stronzo che vi cerca da cinque fottutissime ore!"

Jeremy aprì gli occhi a fatica e si guardò intorno confuso, la memoria che faticava a ingranare. Non appena rimise in sequenza logica gli eventi della notte precedente, rizzò il busto con un sussulto: "Alex!" si sbatté una mano in fronte. "Cazzo, scusami, ho dimenticato di-"

"Farmi sapere che non sei morto? Sei un pezzo di merda!" gridò allora il moro, puntandogli contro un minaccioso indice. "Tu mi hai fatto girare come una trottola tutta la notte! Ho setacciato ogni angolo di Stroud, sono finito persino nei tombini di questa cittadina del cazzo e vi ritrovo a dormire, no dico, dormire, in mezzo al bosco! Io ti ammazzo a mani nude, Jeremy Parker del cazzo!"

"Mi dispiace, Al." cercò di scusarsi il biondo, alzandosi in piedi ancora un po' scombussolato e con un pesante mal di testa. "Mi è proprio passato di mente...io...davvero..."

"A me no, invece! Ho passato una notte d'inferno pensando che ti fosse capitato qualcosa, che avessi perso la ragazza! Ti rendi conto che stavo per chiamare la polizia? Io?!"

Jeremy lo guardò inorridito: "Dimmi che non l'hai fatto."

"Ci sono andato vicino, mi è venuto in mente mentre attendevo in linea. Comunque non è questo il punto!"

Jeremy tirò un sonoro sospiro di sollievo.

"Dici tanto a me, ma tu sei un emerito deficiente!" lo accusò di nuovo il moro.

"Al..."

"In realtà." li interruppe Taylor, alzatasi in piedi con assoluta calma e compostezza, mentre si puliva il retro dei pantaloni. "È stata colpa mia, Alex."

Il ragazzo fece una smorfia in sua direzione, ma tacque e alzò il mento per ascoltare la sua spiegazione.

"Jeremy stava giusto per chiamarti, ma poi abbiamo cominciato a litigare e io ho tentato di scappare. Nella fretta di fermarmi si è scordato di avvisarti." lo disse con un'espressione carica di falso rimpianto.

"Oh." il moro smise di agitare le mani verso Jeremy e squadrò la ragazza, ricordando dello stato in cui l'aveva vista per l'ultima volta la sera precedente. Capiva benissimo perché avesse provato a scappare, lui l'avrebbe fatto molto prima di quella notte, se fosse stato nei suoi panni.

"Mi dispiace." le disse solo.

"È tutto ok, Alex." sorrise lei. "Ora so che non è colpa vostra. Non scapperò più, non prendertela con Jeremy."

"E va bene." grugnì lui, incrociando le mani al petto. "Alla fine l'importante è che vi abbia trovati."

Il biondino si diresse verso di lui e gli mise una mano sulla spalla: "Al, cosa farei senza di te?"

Il ragazzone, non abituato a sentirsi importante, fu preso alla sprovvista dalle parole del suo amico e si limitò ad abbassare lo sguardo, compiaciuto. Jeremy lanciò un'occhiata in tralice a Taylor e le sorrise, ringraziandola silenziosamente. Era così strano pensare che tra loro tre si fossero, di fatto, formate delle dinamiche.

"Signori, io ho bisogno di una capatina al cespuglio." annunciò lei, mentre si ravviava i capelli come aveva visto fare mille volte alla sorella. "Mi promettete che non ci saranno sbirciatine?"

"Promesso!" esclamò Jeremy mostrando provocatorio le dita incrociate.

Nonostante il malessere, si sentiva stranamente allegro, più leggero.

La ragazza gli rispose con un sorrisetto saccente e si allontanò verso alcuni alberi più radi.

Jeremy era così incantato a seguirla che si accorse solo dopo, con un sussulto, che due occhi neri lo stavano squadrando.

"Che c'è?" domandò.

Alex lo guardò con aria ponderante e poi sospirò la risposta: "Non ti ho mai visto in questo stato, nemmeno dopo una rissa con Cordano."

Jeremy si passò nuovamente una mano sul volto, scostando i capelli biondi dal viso: "La mia anemia sta peggiorando."

"Ma non è solo quello, vero?" Alex affondò i suoi occhi in quelli di Jeremy e lo mise direttamente con le spalle al muro. Lo conosceva meglio di chiunque altro; sebbene fosse un po' fessacchiotto, su certe cose non sbagliava mai.

"Stanotte ho raccontato tutto a Taylor." snocciolò allora lui.

"Le hai svelato il piano di Cordano?"

"Certo, Alex, poi le ho anche dato le chiavi della macchina e la pistola, giusto per sicurezza."

"È sarcasmo, vero?"

"Ovviamente."

"Ma allora...." Alex si concesse una brevissima pausa di riflessione, poi sgranò gli occhi, stupito. "Le hai raccontato di tua madre?"

Jeremy annuì ripensando alla scorsa notte: lui e Taylor avevano pianto e parlato assieme, senza litigare, come fossero amici, come se tra loro non esistesse, di fatto, un'enorme e incolmabile differenza. Ma era stato incredibile.

"Sul serio?" chiese il moro, ancora incapace di credere a quell'affermazione.

"Già." confermò Jeremy, grattandosi la nuca.

"Oh."

Inutile negare che Alex ne fosse profondamente sorpreso. Sapeva che quello era l'argomento che Jeremy considerava in assoluto più intimo. Quando l'aveva conosciuto, in prima media, non immaginava che potesse avere un tale segreto alle spalle: gli aveva detto che viveva con la nonna, perché i genitori lavoravano in America ed era riuscito a tenere in piedi quella storia con tutti i suoi compagni. Piano piano aveva preso confidenza con Alex, ma gli ci erano voluti ben quattro anni prima che si decidesse a raccontargli la verità.

Si ricordava di quel giorno, era estate e Bourton era deserta perché tutti erano in vacanza. Lui e Jeremy erano al lago e avevano appena provato la loro prima sigaretta. Era stato Jeremy a convincerlo e se sua madre l'avesse saputo, l'avrebbe punito per un anno intero: dovevano ancora iniziare la seconda superiore e già si comportavano da ragazzacci.

Dopo essersi sciacquato la bocca da quel gusto infernale, Alex era tornato coi piedi a mollo accanto a Jeremy e l'aveva fatto ridere a crepapelle, come spesso capitava. Dopo un po', tuttavia, il suo amico era diventato di colpo triste e gli aveva annunciato che a settembre non sarebbe ritornato a scuola con lui, perché sua nonna lo avrebbe portato all'orfanotrofio.

Alex si disperò più di quanto Jeremy avesse immaginato e gli chiese il perché, insistendo a smettere, nel caso fosse stato uno scherzo, e implorandolo affinché facesse cambiare idea alla nonna. Così Jeremy gli disse che era impossibile e decise, finalmente, di spiegargli il perché.

Quella confessione, se possibile, lo legò ancor di più a quel teppistello dagli occhi di ghiaccio. Dopo il suo trasferimento a Stroud, continuò a vederlo di nascosto, anche se i suoi lo ammonivano sul fatto che avrebbe subito la sua negativa influenza. Andò avanti a scappellotti e punizioni finché non diventò adolescente e Jeremy, finalmente, ritornò a vivere da solo a Bourton.

In quegli anni, Alex aveva imparato a capire quanto il suo amico avesse sofferto incessantemente dal giorno in cui sua madre fu uccisa. Quanto la ferita che portava dentro lo avesse influenzato nel suo crescere e quanto preferisse tenerla nascosta al resto del mondo sotto un cerotto di freddezza in continuo perfezionamento. Il fatto che si fosse aperto a Taylor in così poco tempo sembrò per Alex un vero e proprio miracolo.

Qualcosa nel suo amico stava forse cambiando?

"Perché gliel'hai detto?" gli domandò, sapendo persino meglio di lui la risposta.

Jeremy si chiuse nelle spalle: "Non lo so, io...l'ho fatto e basta, non c'è un perché. Sicuramente non avrei dovuto."

"Perché? Non ti fidi di lei?"

"Sì che mi fido. Molto di più di quanto lei si fidi di me, ma forse è proprio questo il problema..."

"Non per fare l'avvocato del diavolo, ma nemmeno io mi fiderei di te dopo un rapimento."

"Sei un amico fantastico, Alex." esclamò lui, sarcastico.

"Lo so." constatò Alex. "E in qualità di amico fantastico, mi sento in dovere di dirti che, data la piega che hanno preso certi eventi, tu ti stai innamorando."

Per un attimo il cuore di Jeremy smise di battere.

Quell'osservazione gli arrivò come una secchiata d'acqua gelida in piena faccia. Era quello che non aveva mai ammesso, quello che mai avrebbe voluto sentirsi dire, specialmente da una persona la cui opinione contava così tanto. Se era vero che si stava innamorando, allora poteva suicidarsi all'istante. Non sarebbe cambiato molto. Non poteva e non doveva innamorarsi: non in quel momento, non in quel modo, non di Taylor.

"Non dire stronzate." se ne uscì piatto. "Piuttosto, hai una sigaretta?"

"Morirai, se continui a trattarti così."

"Stron-za-te." sillabò, rovistando nelle tasche per trovare il suo pacchetto.

Estrasse la sigaretta con le dita che tremavano. Era vero; le sue condizioni fisiche lasciavano molto a desiderare, con l'anemia che peggiorava a vista d'occhio, il freddo che continuava a sopportare e l'incessante stress sulle sue spalle. Ma ciò che lo preoccupava di più erano le condizioni mentali in cui si trovava. Un altro passo falso in quella direzione gli avrebbe dato il colpo di grazia, ne era sicuro, avrebbe dato a Cordano i mille più uno motivi per farlo definitivamente fuori. Non doveva più lasciare spazio ai sentimenti. Non doveva innamorarsi.

"Ragazzi, correte!" la voce di Taylor riecheggiò tra gli alberi, fin troppo lontana per non destare preoccupazione.

I due si scambiarono uno sguardo irrequieto; Jeremy lasciò cadere la sigaretta senza nemmeno avere il tempo di accenderla e corsero subito verso il punto da cui avevano sentito il suono. Quando lo raggiunsero, in una radura non troppo distante, capirono che, per fortuna, stavolta non li attendeva nessuna minaccia.

Taylor era appoggiata con i gomiti a una vecchia staccionata. Il legno coperto di muschio circondava un laghetto completamente ghiacciato, mentre gli alberi tutt'intorno davano un tocco magico a quel luogo, quasi fosse lo scenario di una fiaba invernale.

Alex affiancò la ragazza con un'espressione fanciullesca e si sporse alla sua destra, per rimirare la natura specchiata su se stessa. Jeremy invece si sistemò alla sinistra di Taylor, ancora più bello in quell'atmosfera congelata che faceva risaltare i tratti armonici del suo viso. Tutti e tre rimasero a contemplare il panorama, più suggestivo che mai, forse perché l'ansia che aveva abitato ognuno di loro era passata e quella nottataccia, ormai, aveva ceduto il posto al mattino.

Strano a dirsi, eppure, tra quei ragazzi dalle storie simili e contemporaneamente diverse, si era creato un legame particolare, quel genere di legame che si viene a creare un po' per forza un po' per necessità nelle situazioni difficili, un legame che forse era tenuto saldo per miracolo, ma che, a loro insaputa, stava diventando più forte di quanto potessero immaginare.

"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare." disse Jeremy ad un tratto, il bianco del giaccio riflesso sulle impenetrabili iridi.

"Che cosa?" chiese Taylor guardandolo rapita.

"Pattinare." rispose lui. "Dev'essere bello."

"Qui nel Cotswolds non sei nessuno se non sai pattinare." disse Alex, prendendolo un po' in giro.

"Lo so. Quand'ero più piccolo, le suore ci portavano spesso a pattinare e io ero l'unico a starmene con le mani in mano per tutta la gita. Tutti i ragazzini del mio collegio si divertivano un mondo, mentre io rimanevo in disparte a guardarli perché non sapevo farlo."

"Non te l'hanno insegnato?" domandò Taylor.

"No, perché ero uno stronzo. Mi odiavano tutti."

"E Alex?"

"Ehi, so pattinare, ma non sono un maestro." si difese il moro.

"Alex non è del tutto tagliato per le spiegazioni." precisò lui, sorridendo all'amico. "Ma in ogni caso d'inverno non ci vedevamo spesso. Mi obbligavano sempre a stare con quelli del collegio e prima delle superiori nonna non ha mai voluto comprarmi dei pattini. Sarebbe stato così bello sfrecciare sul giaccio, senza pensieri, senza regole...quanto mi piacerebbe saperlo fare."

"Nemmeno io ci riesco." ribatté Taylor. "Mi piacerebbe, ma la realtà è che sono un vero e proprio disastro su ghiaccio."

"No, tu?" Jeremy sorrise leggermente.

Taylor gli fece il verso, poi assunse un'espressione malinconica: "La mia migliore amica ha cercato spesso di insegnarmi, ma a quanto pare sono una capra. Almeno lei è bravissima."

"Sul serio? E non la invidi?"

"Al contrario, la ammiro molto. Sai, lei...sa come muoversi, sa fare un sacco di figure, è semplicemente fantastica." disse, con una nota di nostalgia nella voce.

"Anche la mia ragazza è bravissima a pattinare." sospirò Alex, unendosi all'atmosfera deprimente.

"Davvero? Hai una ragazza?" si interessò Taylor.

"In teoria sì, ma in pratica non lo so più." fece lui, abbattuto. "Credo di aver sprecato ogni possibilità che mi ha dato, ormai."

"Hai fatto qualcosa di sbagliato?"

"Le ho mentito." rispose, visibilmente pentito. "E l'ho trascurata troppo."

Taylor ripensò ad Allyson e al suo volto deluso la sera della festa di Tessy; quando il suo ragazzo le aveva dato buca. Avrebbe voluto ammonire Alex sul fatto non si dovrebbe mai trascurare una ragazza, che la presenza, sia fisica che sentimentale, è fondamentale per il funzionamento equilibrato di una coppia.

Lo ripeteva sempre, Allyson, specialmente da quando si era fidanzata con quel nuovo tizio. Sperava stesse andando bene fra loro; le mancavano da morire le loro chiacchierate, le sue sfuriate perché lui non la capiva e la sua faccia sognante quando raccontava dei loro incontri. In generale, le mancava Allyson.

La sua unica consolazione era sapere che non fosse sola. Al contrario di Amanda, Allyson aveva un uomo su cui contare, uno che, nonostante le imperfezioni, lei amava davvero e con tutto il cuore. Non aveva mai avuto l'occasione, Taylor, di conoscerlo, un po' perché erano insieme da pochissimo, un po' perché studiava fuori città, ma da come Allyson gliene parlava costantemente, aveva capito che poteva essere il ragazzo giusto per lei.

Per averla colpita così profondamente, immaginava fosse un tipo molto semplice. Uno buono, uno altruista e genuino. Per farla sorridere tanto, doveva essere davvero innamorato, e divertente. Uno un po' sbadato e magari sulle nuvole...uno...uno tipo Alex.

"Oh mio Dio!" Taylor si sbatté una mano in fronte e guardò Alex, come illuminata da una rivelazione. "Tu sei Alex!"

"Perspicace." commentò Jeremy.

Il moro le porse una mano divertito: "Taylor, giusto? Molto piacere."

"Tu!" esclamò lei, puntandogli contro l'indice. "Tu sei quell'idiota!"

"Ehi!"

In una sconvolgente serie di flash, le connessioni tra ciò che sapeva e ciò che stava accadendo si manifestarono nella mente di Taylor. Le descrizioni di Allyson, il nome del suo ragazzo, Alex, la sua assenza alla festa di Tessy. Ogni secondo che passava, era sempre più convinta che la sua amica stesse assieme a uno dei suoi rapitori. Tutto combaciava.

"Allyson!" proruppe. "Tu sei il ragazzo di Allyson!"

Alex sgranò gli occhi, sorpreso.

"Allyson sta con te!" ripeté lei, inorridita.

"Come fai a sapere che Ally..."

"Ti prego, dimmi che non è vero." se ne uscì Jeremy, effettuando il collegamento prima di Alex. "Dimmi che la sua ragazza non è la tua migliore amica."

Come se già la confusione non fosse abbastanza, il cellulare di Alex squillò e il mittente della chiamata non poteva essere nessuno, se non esattamente Allyson Stuart.

"È lei." avvisò il moro con un'espressione quasi nauseata.

Prontamente, Jeremy afferrò Taylor per la vita e con una mano le tappò la bocca: "Mi spiace, Lor, devo farlo." sussurrò prevedendo la voglia della ragazza di parlare con lei.

Come previsto, infatti, cercò di divincolarsi, lamentandosi e mugolando per poter dire anche una sola sillaba alla sua migliore amica. Non gliene importava nulla in quel momento; voleva che Allyson sentisse la sua voce, che sapesse che stava bene, che aveva conosciuto Alex, che le mancava e che aveva voglia di riabbracciarla.

"Pro-pronto?" balbettò Alex, sotto pressione.

"Ho ascoltato il tuo messaggio." rispose la ragazza dall'altro capo, piatta e distaccata in un modo tale che Alex poté quasi sentire il suo stesso cuore creparsi.

"Ally, io..."

"Dove sei, Alex?" sospirò esasperata. "Con chi sei? Che cosa fai?"

"Sono da nonna, no? Te l'ho detto..."

"Io non ti capisco più, non capisco più! Mi chiami e mi dici che ti manco, eppure non ti vedo da settimane! E la scusa della nonna? Alex, io..."

"Allyson, ti prego."

"Lo so che devo fidarmi, ma è più difficile di quanto credi."

"Tornerò presto, Ally, te lo prometto."

"Non me ne faccio niente delle tue promesse! Sono giorni che continui a promettere!" ci fu un momento di silenzio, poi la ragazza riprese. "Scusami. Non volevo gridare. Però non hai idea di cosa stia passando, qui. La mia migliore amica è sparita, tu sei sparito, comincio a pensare cose strane, comincio a sospettare che tu non mi stia dicendo la verità."

Il ragazzo si morse un labbro cacciando indietro il nodo alla gola: "Ally, ti prego...dammi solo qualche altro giorno e poi tornerò...dammi un'ultima possibilità."

"Mi dispiace, Alex" pronunciò, tetra e triste fino al midollo. "Non ti credo più. Non posso farlo." disse, e chiuse così la telefonata.

Ci fu qualche secondo di silenzio tra i tre. Un silenzio di tomba, un'immobilità irreale e gelida come il ghiaccio che li osservava dal lago.

Poi Alex parlò e fu come se quel ghiaccio si rompesse, imitando il suono del suo cuore che si frantumava in mille pezzi.

"Andiamocene." disse seccamente, volgendo loro le spalle e facendo strada verso il punto da cui erano arrivati.

Taylor si divincolò da Jeremy e prese a correre verso di lui: "Aspetta! Alex, aspetta!"

Lo raggiunse, nonostante il suo passo fosse fin troppo veloce: "Alex, mi dispiace." disse, avendo intuito il succo della telefonata.

"Anche a me dispiace." ribatté lui, atono, senza nemmeno voltarsi indietro.

"Alex, Allyson...per quanto mi faccia davvero strano che voi due siate voi due, lei ti ama veramente." gli disse, sperando potesse servire in qualche modo da consolazione. "Te lo posso assicurare."

Conosceva la sua amica e sapeva che qualsiasi cosa stesse facendo, la faceva perché era preoccupata. Era comprensibile che stesse agendo in quel modo, ma era indubbio che il suo atteggiamento fosse dettato dalla paura e dalla sofferenza. Probabilmente se fosse stata con lei in quel momento, lei stessa le avrebbe consigliato di lasciare Alex senza esitazione. Ora, però, riuscendo a guardare da entrambe le prospettive, poteva capire sia l'una che l'altro.

"Magari mi amava, Taylor." sibilò, arido nel tono e nei sentimenti. "Ma ora non mi ama più. È troppo tardi."

Accelerò ancora di più il passo e, senza mai voltarsi alle spalle, si distanziò ulteriormente da tutto e da tutti.

Jeremy se ne stava dietro di loro a guardare e sentire con orecchie proprie cosa aveva combinato. Stava rovinando tre vite per una sola e sentiva di non poterlo più sopportare.

Taylor si voltò a guardarlo, in cerca di qualche appoggio da parte sua, ma lui non riuscì a dire nulla, capendo in quel momento che si stava presentando davanti a lui la scelta più dura che si fosse mai ritrovato a prendere: da una parte l'amicizia e l'amore, dall'altra la sua vita.


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Ho un debole per questo capitolo, "Atene e Sparta", perché come da titolo ci fa vedere molte cose da una prospettiva diversa. E voi chi siete, Atene o Sparta?




PUBBLICITA':

Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò la vostra iscrizione a Grammaticalmente Scorretti 

Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)

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Capitolo 9
*** Heavens and Bell ***


All I want - 9.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Heavens and Bell********

Jeremy mollò lo zaino ai piedi di Taylor, che alzò la testa dal foglio e lo scrutò senza parlare.

"Ce ne andiamo." disse.

Dietro di loro, Alex aprì la porta del motel, trascinando il suo borsone noncurante del rischio che si potesse sporcare. Sembrava non importargli di nulla, in quel momento. Aveva il muso lungo e le labbra serrate da giorni.

"Dove andiamo?" fu la naturale domanda della ragazza, a cui sembrava di star rivivendo un dejà-vu.

"Una mia vecchia conoscenza ci lascia la sua casa in periferia a Cheltenham." spiegò il biondo, iniziando a riempire lo zaino con le poche cose di Taylor. "Staremo lì fino a Natale."

"Mancano solo cinque giorni a Natale. E poi che faremo?" si lasciò sfuggire Taylor, impaziente di sentire buone notizie.

"E poi, se tutto andrà come dovrebbe andare, sarai libera." le rispose lui, più seccato che gentile.

Taylor sorrise d'istinto, anche se non avrebbe voluto. Aveva così tanta voglia di rivedere i suoi cari che non poté ignorare l'euforia che fomentava dentro di lei. Allo stesso tempo, però, non riusciva a immaginarsi in assenza di Jeremy e Alex. Ormai poteva dire di essersi abituata a quei due, alla loro presenza, ai loro ritmi, alle loro voci attorno.

Era così strano, ma in qualche modo erano diventati una parte di lei; una parte che non sapeva se amare od odiare, ma che indipendentemente da tutto, la rendeva completa. Sembrava assurdo a dirsi, ma attualmente Taylor Heavens si trovava tra due fuochi: la sua famiglia, da una parte, e i suoi rapitori, dall'altra. Due fuochi così ardenti, uno dei quali avrebbe potuto bruciarla in qualsiasi momento.

Doveva ammettere che da quando Jeremy le aveva parlato di sua madre, aveva iniziato a considerarlo diversamente. Non riusciva più a vederlo solo come un rapitore o come una persona che faceva del male volontariamente, ma piuttosto come un ragazzo solo e sofferente, che si comportava in un determinato modo perché nessuno gli aveva mai dato la possibilità di agire diversamente.

Avrebbe voluto abbracciarlo perché era sicura che meritasse un po' d'affetto nella vita. Avrebbe voluto dirgli che era riuscita a comprendere i motivi dietro le sue scelte e che le dispiaceva di avergli detto certe cattiverie. Avrebbe voluto ammettere che provava qualcosa di strano e diverso per lui. Qualcosa di inspiegabile, che andava oltre la compassione e la logica. Avrebbe voluto, ma non poteva.

Da una parte non ci riusciva, perché sapeva che i suoi sentimenti erano insensati e privi di buon senso, oltre che sicuramente non ricambiati. Dall'altra non osava nemmeno immaginare che la situazione potesse prendere risvolti più rosei e felici. Era troppo complessa e sbagliata per lasciar spazio a ipotesi di miglioramento.

"Non racconterò di voi alla polizia." esordì, decisa.

"Lo so." ribatté Jeremy con un mezzo sorriso.

All'inizio pensava che sarebbe dovuto ricorrere alle minacce con lei. Era sicuro che l'avrebbe terrorizzata, in modo tale che la verità sarebbe rimasta per sempre un segreto e lei avrebbe raccontato ai suoi familiari una storia messa a punto per far quadrare ogni cosa e non destare sospetti su i veri responsabili.

Tuttavia, col tempo aveva capito che non era necessario. In qualche modo era giunto a fidarsi più di Taylor che di se stesso e si era accorto che tra loro tre era nato qualcosa. Un rapporto, lo poteva definire, che gli dava la sicurezza che Taylor non lo avrebbe mai messo nei guai più di quanto lo era ora. E lo stesso discorso valeva per Alex. Poteva starne certo.

"Ehi, non essere così sicuro di te." Taylor si alzò in piedi e guardò il ragazzo con occhi maliziosi. "Potrai anche essere un sommo rapitore, ma io sono pur sempre la ragazza sbagliata, ricordi?" sussurrò.

Anche Jeremy le sorrise, seguendola con lo sguardo, mentre preparava le sue cose: "La peggiore di tutte."

"Avete finito di tubare, voi due? Possiamo andare?" la domanda secca e indolente di Alex riportò i ragazzi alla realtà e li spinse a tacere e darsi una mossa per finire di prepararsi.

Alex non aveva perso quel tono dalla mattina in cui Allyson lo aveva lasciato e Jeremy doveva ammettere che era arrivato a mettergli una certa paura. Non l'aveva mai visto in quello stato.

Salirono in macchina senza dirsi nient'altro, ognuno immerso nei propri pensieri e nei canti melensi delle voci bianche alla radio. Jeremy guidò per qualche ora e nessuno cambiò stazione finché non arrivarono a destinazione, accolti dal pallido sole del primo pomeriggio. Pareva che i canti di Natale scaldassero i cuori di chiunque.

La casa che avevano raggiunto era nascosta in periferia, piccola e accerchiata dal bosco, collocata alla fine di una trascurata stradina sassosa. Il genere di posto in cui si sarebbero potuti tenere segreti centinaia di contrabbandi, osservò Taylor. Il genere di posto che solo uno come Jeremy poteva conoscere.

Quando entrarono, la prima cosa che Taylor avvertì fu uno strano tepore, come se quella casa fosse solita ospitare delle persone. La mobilia all'interno era piuttosto antica, ma nel complesso comoda: un letto a castello nell'angolo, una cucina essenziale, un divanetto con una tv della grandezza di una scatola da scarpe. Sulla parte più lontana, una massiccia porta in legno che presumibilmente portava al bagno. Modesta sì, ma era finora il posto più confortevole che Taylor avesse visto. Dopo il petto di Jeremy, ovviamente.

"Hans è partito due giorni fa. Credo sia in un altro Paese, probabilmente in cerca di un permesso di soggiorno per i suoi figli." spiegò Jeremy riferendosi alla vecchia conoscenza di cui aveva parlato. Gettò lo zaino sul divano e aprì la finestra, facendola scricchiolare per tutto ghiaccio che le si era attaccato.

Taylor faticava a pensare che il proprietario di quella baracca potesse farci stare anche dei figli, ma non si pose troppe domande.

"Non è male." commentò, sistemando le sue poche cose sul letto. "Il tuo amico è stato gentile."

"È lo stesso che mi ha venduto il cloroformio per te."

"Il tuo amico è uno stronzo."

Jeremy rise, ricordando quanto Taylor l'avesse rimproverato, indignata, per aver cercato di drogarla. Fu una delle prime volte che la trovò davvero buffa e che lo fece ridere di gusto. Era normale che sentisse quasi un senso di nostalgia?

Alex, non troppo distante da loro, si affacciò alla finestra e prese una sonora boccata d'aria guardando malinconicamente le fronde degli alberi pressate dal peso della neve.

Jeremy smise all'istante di trafficare con lo zaino e posò gli occhi preoccupati sul suo amico. Avrebbe voluto consolarlo, spendere delle parole utili per lui, ma non aveva idea di cosa dire o fare. Era come bloccato; come non era mai stato capace di dargli consigli d'amore, altrettanto era negato per queste situazioni e in più aveva la netta sensazione che ora Alex lo odiasse.

Per come lo aveva sentito parlare, gli era sembrato che quella Allyson fosse davvero la ragazza giusta per lui e se ora lo aveva lasciato, la colpa non era che di Jeremy. Aveva capito benissimo che il motivo per cui Alex aveva dovuto mentirle era il guaio in cui l'aveva personalmente coinvolto e l'aveva trascurata per non lasciare solo lui. Era un amico fantastico, Alex, e lui non era che un inutile, ingrato peso per le vite altrui.

Taylor lanciò al tormentato amante uno sguardo di compassione e provò ad avvicinarsi a lui. Se anche in precedenza le aveva fatto capire di non avere la minima intenzione di ascoltarla, lei non avrebbe mollato. Ci aveva riflettuto in macchina: lui ed Allyson sarebbero stati una bellissima coppia. Non potevano perdere il potenziale che avevano.

Così si appoggiò alla cornice della finestra e gli parlò, cauta: "Sai, ho sempre pensato che l'Alex di cui mi parlava Ally non fosse altro che un borghesotto universitario tutto fumo e niente arrosto." confessò con un mezzo sorriso.

Il moro proruppe in un verso di scetticismo: "Te ne parlava bene, allora."

"Alex." Taylor si issò sul davanzale della finestra per guardare in faccia il ragazzo e Jeremy provò un po' d'invidia per non essere al suo posto. Ma non disse nulla; si limitò a seguire il dialogo di quei due da una colpevole distanza, sentendosi se possibile ancora più inutile e dannoso.

"Quando mi parlava di te, i suoi occhi splendevano come quando mi parlava dei suoi pattini." proseguì Taylor. "Diceva che eri quello giusto ed eri semplicemente perfetto, così io mi ero fatta quest'idea di te. Una specie di dio molto ricco che regalava il suo fascino a belle ragazze come Allyson solo per portarsele a letto."

Ci fu un secondo, un breve istante, in cui Alex e Jeremy si scambiarono un'impercettibile occhiata significativa.

"Avevate torto entrambe." si sminuì il ragazzo, tornando a concentrarsi su di lei.

"E invece sai che ti dico?" continuò lei, senza dargli retta. "Che avevamo torto entrambe!"

Alex allargò le braccia eloquentemente.

"Non sei perfetto e non sei nemmeno un borghesotto universitario tutto fumo e niente arrosto."

"Ehm...grazie?"

"Sei molto di più. Sei simpatico, divertente, buono, gentile, altruista, ma, sopratutto, sei leale. Tu sei un amico vero, il migliore che si possa avere e il più prezioso. La tua umanità e la tua abnegazione sono tanto forti quanto quelli di un vero eroe e, se solo Ally avesse avuto l'occasione di capirlo, ti ammirerebbe come tale."

"Io? Un eroe?"

"Alex, tu faresti qualsiasi cosa per gli altri." era sicura di ciò che aveva appena detto; lo pensava da quando lui l'aveva afferrata nel mezzo della folla impazzita del Diderot, e, rischiando la sua stessa vita per lei, l'aveva portata in salvo. L'aveva fatto per lei e per Jeremy, ma era piuttosto convinta che l'avrebbe fatto per chiunque.

"So che è una pazzia, perché dopotutto tu mi stai rapendo, ma è questo che penso di te." affermò, sorridendogli.

Il ragazzo non era del tutto convinto di aver afferrato il punto, ma si sentiva davvero onorato per la considerazione che Taylor aveva di lui.

"All'inizio, non ti avrei dato una lira." assicurò lei.

"Vorresti dire che le opinioni cambiano?" tentò di indovinare.

"No, voglio dire che Allyson non conosce la vera persona che sei e appena lo farà, se ne innamorerà ancora di più. Vedrai." gli appoggiò una mano sul braccio, accarezzandolo con fare materno.

Lui assunse un tono pieno di amarezza e rimorso: "Ma ci siamo lasciati, Taylor."

"Sottovaluti la bontà di Allyson; in un certo senso, voi due siete molto simili. E poi, tutti meritano una seconda occasione." gli fece l'occhiolino e saltò giù dal davanzale, lasciandolo a fissare fuori con un'espressione perplessa.

Jeremy aveva osservato la scena con gli occhi di un bambino affascinato. Ringraziava mentalmente Taylor, che con la sua dolcezza era riuscita a rasserenare Alex, ma allo stesso tempo era geloso di lui. Il modo in cui Taylor gli aveva parlato era carico di affetto, di rispetto e ammirazione. Cosa che con lui no aveva mai fatto.

Aveva la netta impressione che alla ragazza piacesse molto di più Alex. Sotto tutti i punti di vista, il suo amico era migliore: aveva un fisico più scolpito, era bruno e molto piacente, non era uno stronzo e agiva sempre seguendo il suo cuore. Era chiaro che lui avesse un effetto positivo su una persona sensibile come Taylor, mentre Jeremy non faceva che nausearla e spaventarla.

Si riscosse di colpo dai pensieri, allibito.

Che cosa gli passava per la mente? Era forse diventato pazzo? In una situazione del genere, si ritrovava ad avere uno stupido attacco di gelosia, mentre la sua vita andava a rotoli, assieme a quella del suo migliore amico. Gli sembrava di essere tornato indietro a quand'erano a Stroud e aveva fatto quella scenata davanti ad Alex. Che diavolo di ragione aveva per essere invidioso di chiunque intrattenesse rapporti con Taylor?

Accese la televisione per distrarsi, scoprendo che l'unico canale visibile era quello a emissione regionale. Sbuffò davanti allo schermo e lasciò, sconsolato, la trasmissione sui bambini del Cotswolds che – tanto per cambiare – si erano riuniti davanti al municipio di Winchcombe per cantare carole in compagnia del sindaco.

Tutto ciò gli metteva ansia: Natale era ormai vicino e con lui la fine di tutto quel trambusto. Avrebbe rilasciato Taylor, incassato una percentuale – forse – della refurtiva, estinto i suoi debiti e poi...basta. Avrebbe ricominciato a vagare per i borghi malfamati d'Inghilterra, rubando ai fruttivendoli e aiutando di tanto in tanto le nonnette che attraversavano la strada, per sentirsi meno cattivo. Cordano non gli avrebbe lasciato una somma generosa, ma almeno non avrebbe mai più avuto a che fare con lui. Alex sarebbe tornato da Allyson e con un po' di fortuna si sarebbero messi di nuovo insieme e avrebbe ripreso gli studi all'università.

Sarebbe rimasto di nuovo solo e quel che era peggio, suo malgrado, era che non avrebbe mai più rivisto Taylor. Sbuffò di nuovo cercando di scacciare quel malessere dal cuore e quei pensieri dalla testa, mentre si eclissava in cucina per preparare qualcosa di caldo.

Taylor stava nel salotto a disegnare, di buon umore, con il blocchetto che aveva trovato a Stroud ben sistemato sulle gambe. Alex, animato da una nuova speranza, scribacchiava su una cartaccia trovata in giro: voleva comporre una lettera di scuse per Allyson.

Improvvisamente, però, i bambini smisero di cantare e la sigla del notiziario speciale riempì le mura della casetta. L'annuncio proveniente dal conduttore fece sussultare tutti e tre.

Jeremy finì col rovesciare il latte bollente a terra.

Alex scattò in piedi.

Taylor calciò il blocco in disparte e si appiccicò allo schermo della tv.

"Nuovo aggiornamento relativo alla misteriosa scomparsa della diciannovenne di Bourton. Dopo ulteriori indagini, pare che la giovane Taylor Margaret Heavens, figlia dell'appena dimesso direttore della Money House, sia ufficialmente vittima di un rapimento. Abbiamo notizie di un suo avvistamento lo scorso diciotto dicembre a Cirentester e, a seguire, il risultato delle indagini della polizia sui due presunti rapitori. Ma vediamo prima il servizio del nostro inviato Stanley Finnigan, da Cirencester."

Jeremy sentì il cuore smettere di battere per un secondo e fece un passo indietro, per lasciarsi sostenere dalla parete.

Alla televisione un giovane impacciato parlava alla telecamera mostrando la stanza dell'hotel in cui avevano alloggiato nei giorni precedenti e poi intervistava un tizio che nessuno di loro aveva mai visto, ma che, apparentemente, aveva visto loro. Probabilmente, pensò Taylor venendo attanagliata da un assurdo senso di colpa, l'aveva sentita urlare quando aveva provato a scappare.

L'uomo descrisse sommariamente Taylor e i suoi due accompagnatori, sostenendo di averli visti entrare e uscire dalla hall più di una volta, poi prese a criticare lo scadente servizio dell'hotel finché l'inviato non lo congedò frettolosamente. Diede di nuovo la linea allo studio, augurando a Taylor di essere ancora viva.

Taylor fissava la tv a bocca aperta, Alex tratteneva il respiro, Jeremy pensava che il suo personale conto alla rovescia fosse appena iniziato.

"Passiamo allora alle notizie più recenti. Dopo il sopralluogo della polizia di ventiquattrore fa, sarebbero state ritrovate alcune tracce di sangue all'esterno di villa Heavens. Non si dispone ancora di un referto ufficiale da parte dei medici, ma dall'intervista rilasciata stamani dal dottor Bowels, il sangue risulterebbe appartenere a un giovane residente di Bourton."

"Cazzo." commentò Jeremy, vedendo una sua foto non troppo recente comparire sullo schermo.

Anche Alex emise un gemito, sconvolto da quello che stava sentendo.

"Jeremy David Parker, ventiduenne pregiudicato e senza fissa dimora, sembra non avere alcun apparente collegamento con la vittima, ma rimane finora l'indagato numero uno. Sentiamo il servizio in diretta di Maria Ross."

L'inquadratura mostrò una signora ben vestita, che, sullo sfondo della stazione di Bourton, si teneva l'auricolare e raccontava a tutto il Cotswolds ciò che Jeremy temeva di più al mondo: "Sì, buonasera, mi trovo qui nel cuore di Bourton dove sta per arrivare il sindaco di Cirencester in vista della riunione col nostro sindaco, l'onorevole Darren Grisham. In queste ultime ore le forze dell'ordine hanno indagato sui dati di Parker, trovando un unico precedente che lo vedrebbe coinvolto, assieme a un impiegato della Money House, in un caso di furto. Si parlerebbe di Edoardo Cordano, proprio il neo appuntato presidente dell'azienda. Giusto trentasei ore fa, Oliver Heavens avrebbe ceduto la sua carica all'uomo, elemento che ha spinto le indagini ad andare più a fondo. Cordano risulterebbe, infatti, coinvolto nello scarceramento di Parker, avvenuto nel luglio di quest'anno, come persona a carico del pagamento della sua cauzione. L'elemento sconcertante sembra essere proprio il luogo in cui Parker avrebbe compiuto il furto, ovvero la mansione di Bourton appartenente a Cordano."

Jeremy pensò di stare morendo: si accasciò sul divano esalando una soffocata imprecazione, mentre anche la fotografia di Edoardo compariva sul lato destro dello schermo.

"L'uomo sarebbe strettamente legato all'ex-dirigente aziendale, nonché padre della vittima, che avrebbe personalmente fatto il suo nome come sostituto. L'indagato al momento risulta non rintracciabile, in particolare dopo la perquisizione della sua residenza a Bourton. Le prove rilevate durante l'ispezione rimanderebbero a una piuttosto certa attività mafiosa da parte dell'indagato. Attualmente, si ipotizza che Edoardo Cordano e Jeremy David Parker siano i rapitori della giovane e che abbiano un interesse comune a riscattare la quota per il suo rilascio. Sono già state inviate le pratiche di ricerca in tutta la regione e l'atmosfera, qui a Bourton è più che irrequieta. Ma lasciamo spazio alle interviste di Georgia Calls."

Sullo schermo apparve l'immagine di una Amanda Vallet in lacrime, al centro di polizia, accerchiata da mille microfoni e registratori. Il suo nome comparve sotto l'inquadratura, accompagnato dall'indicazione di parentela che aveva con Taylor.

"Conosce quegli uomini, signora? Pensa che sia colpa del suo ex-marito se sua figlia è scomparsa?"

"No..io...non so nulla."

"Amanda, che cosa direbbe a sua figlia, se potesse sentirla?"

"Oh, Tay, ti voglio bene e ti giuro che qui stanno facendo di tutto per trovarti...tieni duro, piccola, tieni duro."

"Oh mio Dio." Taylor si era portata una mano alla bocca e aveva gli occhi colmi di lacrime.

Il nome dell'intervistato cambiò in "Allyson Stuart, amica" e comparve una ragazza sotto un ombrello, che guardava spaesata alla telecamera.

"Stuart, un'ultima domanda, è stata davvero lei a ritrovare la traccia di sangue vicino a quella panchina?"

"Sì, io e Tessy."

"Che cos'ha pensato quando l'ha vista?"

"Beh, abbiamo avuto paura che Taylor fosse stata ferita e siamo corse a riferirlo alla polizia. Adesso che sappiamo chi sta cercando di farle del male, sono sicura che la troveremo presto. Ce la faremo, Tay, mi manchi da morire."

La ripresa seguente raffigurava una porta che si sbatteva in faccia alla telecamera per nascondere Oliver Heavens dai flash.

Il conduttore tornò allora al centro dell'inquadratura e passò alla notizia successiva.

Alex si affrettò a spegnere il televisore, facendo piombare la casa in un lugubre, nefasto silenzio.

Non passò nemmeno un minuto, e il cellulare di Jeremy squillò.


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Oliver si sbatté la porta alle spalle, girando la chiave nella toppa e appoggiando la schiena al gelido metallo della doppia mandata.

Era appena sfuggito a una marea di giornalisti e non aveva idea di come avesse fatto, ma aveva il fiatone e pensieri molto più neri a cui dedicarsi.

Il suo salotto ampio e freddo gli parve un carcere in attesa di essere riempito dai suoi sensi di colpa, che per quella giornata avevano già sovraffollato la sua gola. Senza nemmeno togliersi il cappotto, si lasciò scivolare lungo il legno della porta, rompendo quel chiassoso silenzio con un singhiozzo.

Aveva fallito.

Come padre, come marito e come uomo. E nemmeno per la prima volta.

Aveva fallito quando aveva lasciato Amanda e Taylor, aveva fallito quando aveva trascurato Tessy e aveva fallito quando non aveva saputo gestire un'altra vita, oltre la sua. Ecco cosa, lui non sapeva gestire nient'altro al di fuori di se stesso. Soldi, lavoro, piacere, fama...tutto quello che lo rendeva orgoglioso era individuale, egoistico e solo finché non lo stancava, riusciva a giostrarlo al meglio.

Lacrime salate iniziarono a solcargli le guance deperite.

Adesso si rendeva conto che la sua vita non era un film, che non c'era alcun regista dietro le quinte, che era lui l'unico a doversi accertare che tutto fosse perfetto per andare in scena. Capiva che aveva sbagliato fin dall'inizio. Il suo copione adesso era bianco, in attesa della battuta giusta per uscire di scena senza sacrificare nessuno.

Non era riuscito a salvare Taylor prima che la polizia si intromettesse. Era stato troppo lento e ora il rapitore avrebbe rispettato la sua orribile promessa.

Avrebbe voluto morire, Oliver.

L'aveva detto ad Amanda e lei si era arrabbiata. Non con lui, ma con la vita. Con il mondo, così crudele con lei, e lui era rimasto ad ascoltarla, pensando che era stato l'origine di ogni male. La sua ex-moglie aveva pianto lacrime amare tante volte e lui non le aveva mai viste fino a quel lunedì nel quale le aveva rivelato che sua figlia era stata rapita.

Certo, l'aveva consolata, e si era sentito un verme. Nessuno l'aveva mai consolata quando lui se n'era andato. O forse sì. Taylor, che ora stava rimettendo per tutti gli errori di un padre troppo superficiale. La Taylor a cui non aveva mai smesso di volere bene, come lo voleva a Tessy e a Martha, solo che non lo aveva mai dimostrato. Né a lei, né a se stesso.

Il cuore gli sfondava la gabbia toracica: aveva un'enorme, dannata, paura. Aveva paura di perdere una figlia che aveva già perso. Aveva paura che Taylor potesse morire.

Cos'avrebbe fatto a quel punto? Non avrebbe mai avuto l'occasione di parlarle e di dirle quanto sordo e cieco fosse stato in quegli anni, non avrebbe potuto chiederle scusa e si sarebbe sentito un assassino. Il cuore di Amanda avrebbe ceduto per la seconda volta e probabilmente anche il suo non ce l'avrebbe fatta.

"Papà." la candida voce di Tessy gli fece alzare il capo.

La guardò frastornato, preso dai mille pensieri.

"Ti avevo detto che avrei fatto da solo. Non ti sei fidata di me, Tessy."

La ragazza aveva gli occhi colmi di lacrime: "Papà, non è questo. Io...papà, io mi fido di te. È che ho avuto paura e mi sono sentita in colpa per lei."

Oliver si alzò in piedi quasi barcollando e le offrì il posto tra le sue braccia: "Lo so, Tessy. Ti capisco. Scusami."

"Perché ti scusi, papà?"

L'innocenza con cui sua figlia gli porse quella domanda era quasi disarmante. Lo abbracciava e non sapeva, non aveva idea di quanto lui c'entrasse in quella situazione. Di quanto la sua incapacità avesse permesso che il caso non si fosse risolto prima e senza il bisogno che altri s'intromettessero. Di quanto quella che lei reputava una nuova speranza non era che l'ufficiale condanna a morte della sua sorellastra.

"Perché sono un buono a nulla. È tutta colpa mia." rispose.

"No!" Tessy si animò. "Non hai rapito tu Taylor, papà! La colpa è solo di quei bastardi e sono sicura che la polizia li troverà! Ci puoi scommettere che li metteranno dentro! E che Taylor sarà salva."

Lo sguardo grigio di Oliver divenne ancora più angosciato.

"È troppo tardi, Tessy." ribatté, scuotendo la testa. "Troppo tardi."

E sì, poteva anche sembrare una frase da film, ma purtroppo non lo era.


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Taylor era rannicchiata in un angolino del divano, silenziosa e muta come se uno stato di trance si fosse impossessato di lei. Stringeva un cuscino impolverato, lo sentiva aderire al suo corpo e premeva ancora di più, poi ci appoggiava sopra le labbra e soffocava un umido sospiro.

Alex sbuffò alzandosi in piedi e facendo cadere qualche libro per la foga.

"Smettila." le ordinò.

Ma il suo imperativo risuonò molto più come una malcelata supplica. Non aveva il polso di Jeremy, lui. Taylor gli lanciò un'occhiata offuscata e decise di fingere di non averlo sentito, come volevasi dimostrare.

"Se non la finisci di fare così, me ne vado." fu il secondo tentativo del moro.

La ragazza tirò su col naso: "Così come?"

"Così...triste."

"Scusa, Alex. Non riesco a non essere triste dopo quello." esalò a mezza voce, indicando con la testa il televisore spento.

"Mi dispiace." ribatté lui. "Ma mi stai facendo sentire un mostro."

Taylor si stropicciò gli occhi con la manica del maglione, pensando a quella parola, mostro, e sentendosi sempre più confusa. Poi, inspirò profondamente e riprese la calma. Mille domande affollavano la sua mente dopo quel telegiornale.

"Alex, voi siete dei bravi ragazzi. Perché tutto questo? Che cosa ve lo fa fare?"

Alex si passò una mano sul viso, trattenendo un fiume di scuse e spiegazioni che Jeremy gli avrebbe sicuramente impedito di dare: "Noi...beh, Taylor, non dipende del tutto da noi."

"Questo l'avevo capito." sbuffò lei. "Ma perché? Perché siete arrivati a questo punto? Chi c'è davvero dietro a tutto questo?"

"Beh, Jeremy, lui..."

"Non è Jeremy. E nemmeno tu. È quel Cordano, vero? È lui che vi ha ingaggiati per il lavoro."

Alex si sentiva sopraffatto da tutte quelle domande e iniziava davvero a capire Jeremy con le sue crisi isteriche nei confronti della ragazza.

"Taylor, ti prego."

"E ora che vi stanno cercando che cosa succederà? Jeremy era sconvolto!"

"Non lo so."

"Perché vi siete messi in questa situazione? Che cosa ci guadagnate? Mi chiedo cosa diavolo vi abbia promesso quel verme per convincervi ad abbassarvi a tanto."

"Ehi." Alex la interruppe, seriamente offeso. "Jeremy non si sarebbe mai cacciato in questo casino, se non fosse stato strettamente necessario, ok?" non riusciva a trovare le parole per rimanere discreto, ma si sentiva in dovere di difendersi da quelle accuse. "Quindi per lui è strettamente necessario. E di conseguenza lo è anche per me. Fine della storia."

Taylor rimase molto colpita da quella risposta e abbassò subito gli occhi, come riconoscendosi in torto. In realtà, Alex era una persona così genuina che qualsiasi suo rimprovero non poteva che essere fondato su un valido motivo. Anche se non sapeva ancora quale fosse, si accontentò. Paradossalmente, si faceva impressionare più da lui che da Jeremy.

"Scusa, Alex." proruppe.

"Scusa tu." borbottò lui, incrociando le braccia, incapace di rimanere arrabbiato persino con chi lo attaccava personalmente.

"Io potrei aiutarlo."

"Anch'io vorrei poterlo fare." ribatté il moro, frustrato. "Ma, vedi, il punto con Jeremy è che è del tutto inutile. Aiutarlo è quello che provo a fare da anni, ma è così testardo che l'unico capace di tirarlo fuori da questa vita di merda non può che essere lui stesso. Io lo aiuto come posso, ma non sarà mai abbastanza e così è il massimo che posso." concluse indicandosi insoddisfatto.

La ragazza rifletté per qualche istante e convenne con Alex che era aveva ragione. Si era accorta anche meglio dei diretti interessati quando Alex donasse l'anima e il corpo per il suo amico. Quanta stima e quanto affetto provasse per lui, volendo rischiare qualunque prezzo, senza chiedere nulla in cambio, accettando anche gli insulti e subendo il caratteraccio di Jeremy.

Ma non serviva a nulla: Jeremy non era quello ragionevole. Sebbene paresse l'esatto contrario, Jeremy era quello stupido, folle, che seguiva l'istinto prima che il pensiero e che avrebbe nascosto le sue debolezze a qualsiasi costo. Jeremy era quello a cui era mancata una vita e quello che ora tentava di tenerne in piedi una in completa assenza di fondamenta.

Alex ci era arrivato prima di lui. Alex l'aveva capito ormai da molto, molto tempo e aveva accettato silenziosamente che il suo orgoglio e la sua caparbietà non gli avrebbero mai permesso di rendergli la vita migliore.

E nonostante tutto, era ancora al suo fianco.

"Sei davvero una brava persona, Al." sussurrò Taylor.

Il ragazzo sorrise: "Anche Jeremy lo è, te lo assicuro. Anche se non lo dimostra, lui è l'unico che mi abbia sempre rispettato per quello che sono. L'unico che mi insulterebbe per ore intere, ma che, alla fine dei conti, darebbe volentieri la vita per me."

Taylor lo guardò ammirata e ipnotizzata; era difficile credere a quella visione così positiva di Jeremy, ma era altrettanto commovente ascoltare con quanta gratitudine e sicurezza Alex parlasse del suo amico. Alex le aveva appena rivelato un lato davvero dolce del suo carattere e lei non poté fare a meno di sentirsi come una mamma orgogliosa del proprio figliolo.

"Grazie, Alex."

Scrollò le spalle: "Di che?"

"Di avermi dato speranza. E di essere così come sei." rispose con un sorriso contro il cuscino. "A volte non ti daresti mai la pena di conoscere persone da cui in realtà si può imparare molto."

Alex la guardò con un mezzo sorriso: "A volte fai dei discorsi davvero incomprensibili."

La ragazza si lasciò finalmente scappare una risata, ma venne spezzata sul nascere dalla porta che si apriva di colpo, portando nella stanza il gelo dell'esterno.

Taylor e Alex si voltarono a guardare Jeremy, curiosi e impazienti di sapere il verdetto della telefonata.

Il suo viso era se possibile ancora più pallido, l'unico accenno di colore stava nei contorni degli occhi, rossi di capillari e viola per le profonde occhiaie. Era evidente che fosse infreddolito, i muscoli tesi e le mani nelle tasche. In realtà, le teneva ben nascoste lì dentro per non far vedere ad Alex e Taylor che stavano tremando.

Il suo sguardo distaccato si spostò in giro per la stanza, per poi finire deciso sulla figura del suo migliore amico: "Alex, devi tornare a casa."

Il moro alzò le sopracciglia con fare confuso: "A casa...a Bourton?"

"Sì." sembrava che Jeremy stesse prendendo quella decisione al momento. "Sì, prendi Betsie e torna a casa."

"Pure Betsie? E tu?"

"Non mi serve."

"Ma-"

"Niente ma." Jeremy suonò spaventosamente serio, in un modo che nessuno dei due aveva mai sentito, né visto sul suo volto. "Devi tornare dalla tua famiglia e da Allyson, devi far deviare tutti i possibili sospetti da te, perché se non ritorni subito, ti scopriranno."

"Non ti lascio da solo!" esclamò Alex, capendo ben poco di ciò che il biondo gli stava spiegando. L'aria di dicembre gli aveva per caso congelato la ragione?

"Non sarò solo, Taylor sarà con me." ribatté lui, lanciando una fugace occhiata alla ragazza, due passi più distante da loro e con un aspetto terribile.

"E cos'hai intenzione di fare con lei? Usarla come guardia del corpo?" sbottò Alex, sentendosi quasi tradito dall'amico.

"Alex, lo faccio per te, te ne devi andare. Qui rischi solo di essere riconosciuto come mio complice."

"Perché lo sono." sbottò lui. "E lo sono stato fino ad ora, è un rischio che grava sulla mia testa da un po', se non te n'eri accorto."

"Allora forse non eri in questa stanza quando mi hanno trasmesso alla tv!"

"E che cosa cambia una tua stupida fotografia?!" gridò il moro, arrabbiato. "Fino ad ora non potevano riconoscere Taylor? Non potevano sospettare di me a Bourton? Pensa ai miei e ad Allyson! Per la miseria, Jeremy, sono stato nella merda dal primo minuto che ho passato in giro con te, che diavolo è cambiato adesso?"

Qualsiasi cosa gli avessero detto al telefono, era impensabile che d'un tratto avesse deciso di sbrigarsela da solo. Che diavolo gli era successo? Di punto in bianco non aveva più bisogno di lui? Magari era lui a non capire, eppure non sopportava l'idea che in qualche modo Jeremy lo stesse liquidando.

"Allora sei proprio stupido." gli sputò contro il biondo. "Adesso che la polizia pensa che il mio complice sia Cordano, è il momento perfetto per te per uscire da questa situazione."

"Ma io non voglio uscire!"

"Alex!" la voce profonda di Jeremy risuonò oltremodo aggressiva. "Quelle persone non sono così stupide! Quanto pensi che ci voglia prima che qualcuno se ne esca con il tuo nome? Ci siamo fatti vedere ovunque, manchi da Bourton da svariati giorni, ma, soprattutto, io e te siamo amici da una vita!"

Ad Alex quella sembrò quasi un'accusa e allora indietreggiò, confuso e ferito dalle parole dell'amico.

"Finché credono che i rapitori siamo io e Cordano, tu sei salvo, Alex. È la copertura perfetta e se non cogli l'occasione, durerà troppo poco."

"È vero. Ma se io non sto con te, come faccio ad assicurarmi che vada tutto bene?"

Jeremy sospirò: "Andrà tutto bene." gli uscì come una cantilena.

"Non posso saperlo, se non ci sono. Non posso aiutarti."

"Devi fidarti di me."

Alex si morse il labbro, il respiro che usciva pesante dalle narici e gli occhi che pizzicavano fastidiosamente: "Che cosa pensi di fare?"

Jeremy non osò incontrare gli occhi di Taylor. Non sapeva cos'avrebbe fatto; sapeva solo che non avrebbe mai permesso che Alex venisse coinvolto più del dovuto e quindi doveva assolutamente rinunciare al suo aiuto. Subito. O sarebbe stato troppo tardi per lui.

Quando sarebbe rimasto solo con la ragazza, avrebbe davvero pensato al da farsi.

"Taylor e io ce ne andremo di qua." rispose solamente. "Aspetterò fino a nuovo ordine."

Il moro mostrò un'espressione sempre più agitata e incredula: "Fammi capire: Cordano ti ha telefonato semplicemente per dirti di aspettare un nuovo ordine?"

"Non...non era Cordano." disse Jeremy, abbassando gli occhi.

"E chi, allora?"

"Oliver."

Taylor sussultò: "Oliver? Che cosa ti ha detto?"

"Nulla." tagliò corto lui, gelido, senza nemmeno degnarla di uno sguardo, poi tornò a concentrarsi sul suo amico. "Alex, ti prego. Torna a casa, inventati qualcosa che funzioni e riguadagna la fiducia di tutti. Dopotutto, mi sarai d'aiuto anche da Bourton." aggiunse, sperando di convincerlo. "Ho bisogno che qualcuno mi aggiorni su come procedono le cose là; posso fidarmi solo di te."

Ci fu qualche istante di profondo silenzio. Il silenzio improvviso e inerte che precede una dolorosa separazione, che segna una lenta presa di consapevolezza, un silenzio deluso e carico di dispiacere. Alla fine, però, Alex annuì.

Era abituato agli ordini di Jeremy, ma questo aveva un che di solenne. Un ordine che avrebbe potuto sembrare maleducato e ingrato, ma che sotto sotto sapeva di supplica. Jeremy voleva che lui andasse via e anche se non aveva ancora afferrato il perché, capiva che avrebbe dovuto ascoltarlo. Si era sempre fidato del suo migliore amico e non se n'era mai pentito. Jeremy sapeva sempre cosa fare.

Si diresse verso il letto a castello e senza troppi sforzi afferrò il suo zaino. Raccolse le sue cose sparse per la stanza, fece mucchio in malo modo di tutti i foglietti che aveva scritto poco prima e si infilò una felpa scura, quella con cui Taylor l'aveva visto per la prima volta.

Fece tutte queste cose sotto lo sguardo di due paia di occhi; uno caldo e prosciugato di lacrime, ma non di voglia di versarne, uno freddo e piegato dalla forza che il mondo esercitava su di lui.

Si avvicinò per primo a Taylor, la scrutò dall'alto del suo metro e ottantacinque e le sorrise: "Ehi, Tay." la salutò dandole una leggera pacca sulla spalla.

"Alex..."

Lei era ancora frastornata. Tutto stava succedendo così velocemente, aveva ancora una miriade di domande vorticanti per la testa e ora si trovava a combattere una sensazione tanto inaspettata quanto orribile. Era il rifiuto di veder Alex partire, la sofferenza nell'immaginare quell'inedito trio senza una delle sue parti. Mai avrebbe immaginato che si sarebbe affezionata così tanto a un tale idiota.

"Ehi, Taylor, non fare quella faccia." sorrise lui. "Jeremy è bravino, ma resto sempre e comunque io il tuo peggiore incubo, ci puoi scommettere!"

"Ma per favore." fu l'unica cosa che riuscì a dirgli, la voce alterata dal nodo in gola.

"Stai bene, Taylor." le augurò, sincero. "Vedrai che andrà tutto bene! E poi, se dico ad Ally che mia nonna è risorta, magari torna con me." scherzò lui.

Sempre il solito.

Si voltò verso Jeremy, non ancora mossosi dalla sua posizione. Il biondino era poco più basso di lui e aveva un aspetto molto più trascurato. Magari guardandoli la gente non avrebbe creduto che tra di loro scorresse quel legame incredibile, ma la verità era che non avrebbero mai smesso di essere amici. Mai, nemmeno se un mafioso si fosse messo tra di loro, nemmeno se il destino li avesse voluti separare a tutti i costi, nemmeno se uno dei due avesse rischiato la vita.

Si sarebbero sempre dati man forte, perché anche se erano diversi e in qualche modo appartenevano a due realtà opposte, formavano un duo che non sarebbe mai diventato un singolo. Jeremy e Alex, era così che quei due nomi erano sempre stati pronunciati assieme, come Stanlio e Ollio, come Timon e Pumbah, come Dolce e Gabbana...beh, forse era meglio che non sentissero del paragone con Dolce e Gabbana o avrebbero di sicuro protestato.

"Ti chiamo quando arrivo, Jerry." gli disse.

"Sempre se non ti perdi per strada." sorrise lui, debolmente. "Teniamoci in contatto. Appena sai qualcosa, avvertimi."

Alex annuì ed estrasse un pacchetto di fazzoletti di carta dallo zaino: "Tieni." li porse all'amico. "La prossima volta che il tuo naso sarà in piena dovrebbe bastarti il pacchetto intero."

"Davvero divertente." Jeremy aveva voglia di ridere, ma il fatto che quello fosse un addio glielo impediva e lo faceva sentire come se qualcuno gli stesse strappando le braccia e le gambe dal corpo. "Sei stato di aiuto, Al."

"Credevo non l'avresti mai detto." esultò, soddisfatto. "Ci vediamo tra cinque giorni."

Jeremy si limitò a spostare gli occhi dal suo viso e fu a quel punto che Taylor capì che stava nascondendo qualcosa.

Ma Alex non si fece troppe domande e, zaino in spalla, aprì la porta per uscire. Salutò di nuovo entrambi e poi imboccò il vialetto sassoso, verso l'albero sotto cui se ne stava parcheggiata la vecchia Betsie.

Non appena Taylor e Jeremy rimasero soli, il biondo spostò gli occhi su di lei e sentì che non ci sarebbe più stato nemmeno un minuto in cui si sarebbe sentito bene.

"Che cosa nascondi?" lo aggredì subito Taylor.

"Niente, principessa. Ormai conosce tutta la verità grazie ai fottutissimi mass media."

"Non è vero. Perché stai mandando via Alex?"

"Te l'ho detto, Taylor. L'ho fatto solo per il suo bene."

Taylor fece spola tra le sue iridi e non trovò traccia di falsità riguardo quell'ultima affermazione.

"Beh, ti mancherà." disse allora, semplicemente.

"Ha parlato Capitan Ovvio." commentò lui, saccente.

"Se è così ovvio, perché non gliel'hai detto?" la sua voce suonava piena di indignazione e tristezza.

Quale amico si reputava, se non riusciva neanche a dire qualcosa di carino? Non aveva nemmeno perso il suo tono da sergente di ghiaccio e ora Alex se ne stava andando via assieme alla probabilità che si rivedessero.

"Perché non è affar tuo." rispose lui.

"Beh, sai una cosa?" esordì la ragazza. "Alex non ti merita."

Jeremy s'irrigidì di colpo. Non era vero. Non poteva dirgli questo!

"Vaffanculo, Taylor." sibilò.

Lei gli voltò le spalle e presa la decisione di non dargli retta, ascoltò il suo cuore e si diresse di corsa verso la porta.

"Alex!" gridò uscendo nel vialetto.

Il moro, che ormai aveva raggiunto la macchina e stava per montarci, si voltò, sorpreso.

"Aspetta!"

Taylor, anche se vestita solo di un maglione troppo grande, gli corse incontro e prima ancora che lui potesse dirle qualcosa, si gettò tra le sue braccia.

Il moro sorrise, preso un po' in contropiede, e la abbracciò a sua volta, stringendola con fare fraterno: "Ehi."

"Sì, rimarrai per sempre la mia più grande paura." incalzò con voce tremula. "E a Jeremy mancherai da morire. Sono venuta a dirtelo io, perché lui è troppo stronzo."

Alex ridacchiò, sorpreso e vagamente felice.

"Grazie. Solo che è strano che sia tu a fermare me, questa volta."

A Taylor tornò in mente il suo tentativo di fuga dall'hotel di Cirencester. Quel giorno Alex aveva dovuto rincorrerla e trattenerla perché non scappasse e ricordava ancora molto bene i suoi lamenti dopo che lei gli aveva sferrato un bel calcio nel luogo sacro. Ricordava anche di aver pensato cose cattive su di lui e di averlo giudicato male. Era contenta di essersi ricreduta, ma triste di averlo fatto troppo tardi.

Una flebile risata uscì dalla sua bocca, assieme a una solitaria lacrima sul viso schiaffeggiato dal freddo.

"Stai piangendo per me?" Alex si stupì.

"Sì, stupido." rispose la ragazza. "Mi mancherai."

"Anche tu, Taylor." la strinse di nuovo, ancora più stretto di prima e grato nei suoi confronti. Pensò che forse Jeremy non era l'unico a volergli bene e, tutto sommato, Taylor aveva ragione. Alex non era del tutto inutile; c'erano delle qualità in lui.

Si era davvero affezionato a Taylor e riteneva che Allyson fosse fortunata ad averla come migliore amica. Forse anche lui avrebbe potuto considerarla un'amica, un giorno. Forse, a pensarci, erano amici già da tempo; da quando, quella mattina a Stroud, lui le aveva portato pesce alla griglia per colazione e lei gli aveva sorriso per ringraziarlo. Aveva addirittura mangiato tutto il pesce.

"Salutami Allyson." disse Taylor, sciogliendo finalmente l'abbraccio.

"Certo, lo farò."

"No, Alex!" Taylor si sbatté una mano in fronte. "Non puoi farlo, lei non deve sapere che tu hai a che fare con me!"

"Oh. Giusto."

Era incredibile; lei doveva insegnare a lui come rapirla! Cose da Alex.

"Grazie, Taylor." Alex salì in macchina e la mise in moto, poi chiuse la portiera e abbassò il finestrino, sporgendosi leggermente e rivolgendo a Taylor un sorriso fraterno. "Proteggi Jeremy, ok? Anche se sei gracile e scoordinata."

"Ci provo." ribatté lei, gli occhi ancora lucidi. "E tu non fare cazzate."

"Io? Ma quando mai?" le fece l'occhiolino e se ne andò.


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Jeremy poggiò il piatto sul tavolo e aspettò che la lancetta segnasse i dieci minuti. Alzò il coperchio della pentola e ammirò il suo primo vero purè: una soluzione di acqua e polverina giallognola con tanto di simpatici grumi galleggianti. Sbuffò sonoramente e spense il fuoco, versando nel lavabo quello che qualsiasi altra persona avrebbe fatto diventare commestibile mediante le quattro semplici regole scritte nella confezione.

Jeremy odiava cucinare.

Non solo non ne era capace, ma sembrava addirittura che anche i piatti già pronti gli venissero male.

Diede un'occhiata all'uovo, perlomeno quello aveva un aspetto sano: bastava solo distruggerlo in malo modo sulla padella, cosa che sapeva fare benissimo, data la sua consolidata esperienza nel distruggere le cose.

Con l'aiuto del cucchiaio di legno riempì il piatto di frittata e la coprì con una manciata di spezie che trovò nel ripiano a destra. Si era bruciato un dito e aveva rotto un uovo sul fornello, ma tutto sommato poteva vantare un discreto successo nella preparazione della cena di Taylor.

Già, Taylor...non le aveva più rivolto la parola da quando era rientrata. Aveva seguito la scenetta dell'abbraccio dalla finestra con una morbosissima serpe attorno allo stomaco, ricacciando indietro la voglia di dare un pugno al muro. Era invidioso del suo amico per l'affetto che aveva ricevuto da Taylor e allo stesso tempo era arrabbiato per non essere riuscito a salutarlo come si doveva.

Certo, Taylor l'aveva fatto al suo posto, ma ora aveva il dubbio che Alex potesse davvero pensare di non meritarsi un amico come lui. Non poteva dirgli che lo aveva cacciato perché gli voleva un bene dell'anima, e aveva paura che per questo lui non l'avrebbe mai saputo. Ma Jeremy sarebbe per sempre rimasto in silenzio, o Alex sarebbe tornato indietro, lo sapeva.

E non avrebbe nemmeno fatto parola del tormento che stava affrontando nella sua anima. Di quanto si sentisse disperato, incazzato e frustrato. A causa di quell'addio, a causa di quella maledetta telefonata, a causa di Taylor.

Il pensiero orribile del futuro che stava per vivere svanì bruscamente quando il tè bollente straripò dalla tazza e gli bruciò per la seconda volta il dito.

Corse verso il getto d'acqua del rubinetto per anestetizzare la scottatura e di colpo pensò a sua madre e a quanto anche lei fosse irrimediabilmente maldestra ai fornelli.

Ricordava torte scoppiate nel forno, polli troppo ripieni, lasagne talmente poco cotte da essere croccanti e caffè salati. Sì, il gene della negazione per l'arte culinaria era ereditario, ma Jeremy non ricordava occasioni in cui sua madre non sorridesse degli errori. Anche se era una totale frana, ci metteva il cuore ogni volta, perché lo faceva per lui, lo faceva per la persona che amava.

Si fanno tante cose per le persone che si amano, pensava Jeremy, a volte cose che si odiano completamente. E aver mandato via Alex era una di quelle, anche se non l'avrebbe mai saputo.

Sospirò sistemando il piatto e il bicchiere di tè sul vassoio e vivendo la consapevolezza che ormai i ricordi di sua madre fossero diventati quotidiani.

Lei, per esempio, gli avrebbe detto di mangiare, perché doveva mantenersi in forze e crescere robusto, ma Miriam non c'era e non poteva vedere come il figlio fosse debole e stanco...e lui non avrebbe mangiato. Non aveva fame, non poteva averne, dato che aveva lo stomaco annodato in mille e più modi, dato che la paura e la preoccupazione condizionavano ogni suo gesto. Non avrebbe mangiato, ma come sua madre per lui, voleva che Taylor lo facesse.

Sì, era arrabbiato con lei, sì, non avevano più scambiato una parola dal pomeriggio e sì, l'aveva abbandonata a se stessa chiudendosi in cucina, ma questo non aveva impedito che il suo cuore si preoccupasse ancora per lei.

Dannazione! Ormai non era più capace di ricacciare tutto indietro, di convincersi dei contrari, di affermare sempre "non è vero".

Ormai era il cuore ad avere la meglio sul cervello e i sentimenti, proprio quelli che aveva soffocato per sedici anni, si stavano abbattendo su di lui come un uragano improvviso e incontrollabile. Non riusciva spiegarsi il perché. Oppure sì, ma sapeva che comunque ammetterlo sarebbe stato inutile.

"Bella fregatura, Jeremy." si disse parlando da solo come i matti.

Afferrò saldamente il vassoio e si diresse nel piccolo salotto, dove assieme al camino, Taylor aveva acceso anche la tv.

"Lor, ti ho portato la-"

Non finì la frase perché non si aspettava la scena che si trovò davanti.

Taylor era seduta a terra, la schiena appoggiata al divano, e dai suoi occhi sgorgavano lacrime accompagnate da potenti singhiozzi.

Appoggiò il vassoio a terra e guardò lo schermo del televisore: era in onda uno speciale sulla storia della ragazza scomparsa a Bourton.

Stavano raccontando la sua vita, la sua infanzia, e il presentatore usava termini come 'abbandono', 'sofferenza' e 'solitudine', che solo a Jeremy diedero i brividi. Figuriamoci a Taylor.

In primo piano c'era una fotografia ritraente Oliver e la sua seconda moglie, assieme alla piccola Tessy Heavens, poi un video: un compleanno di Tessy e la voce che raccontava che da quel giorno Oliver smise di mantenere la corrispondenza con Amanda.

E ancora la fotografia di Amanda, una 'mamma single', la definirono, che aveva sacrificato tutto pur di crescere al meglio la sua bambina. Un' immagine di Taylor ed Allyson abbracciate, che sorridevano entrambe adolescenti e con l'apparecchio, mentre veniva ricordato agli spettatori che mentre frequentava le scuole medie, Taylor non partecipava alla vita sociale di Bourton. Che passava il tempo a studiare, ma che in realtà alla notte piangeva d'invidia verso le amiche che arrivavano a scuola accompagnate dai loro papà. E verso la sua sorellastra, che le stava mostrando il passato che sarebbe spettato a lei. Seguì l'ennesima sfilza di fesserie sentimentali su un accompagnamento di violini e pianoforte.

Taylor aveva gli occhi rossi come il naso, la sua figura tremante e fragile davanti a quel melenso racconto non faceva altro che aumentare la voglia che Jeremy aveva di prendere a calci la causa della sua sofferenza.

Ma tutto, su secondo esame, riconduceva a lui come vera e singola causa di ogni male. Se non l'avesse rapita, tutto sarebbe proceduto senza drammi. Taylor si sarebbe fortificata con gli anni e sarebbe cresciuta indifferente al suo passato e sicura del presente.

Preso da un potente moto di rabbia, staccò la spina del televisore e le si parò davanti agli occhi.

"Perché guardi quella roba?"

"Perché la stanno trasmettendo. Lasciami guardare."

"Credo che sulla tua stessa vita sappia più cose tu e non quello stupido documentario."

"E quindi?"

"Ti stai solo facendo del male."

"Non mi importa."

"Che stronzate." la sua voce suonò sprezzante e fredda.

La ragazza reagì con ancora più singhiozzi: "Non sono stronzate! Quella lì è la mia famiglia!"

"Quale famiglia, Taylor? Quella che non hai mai avuto?"

Jeremy si pentì subito di quello che aveva detto. Non ragionava più, era sopraffatto dalla frustrazione. Non sopportava vedere Taylor in quello stato, non sopportava che piangesse per colpa sua e il fatto che non riuscisse a farla sentire meglio lo mandava in tilt. Con il conseguente risultato di farla stare ancora peggio.

"Scusami." tentò di rimediare. "Non volevo."

Jeremy credeva nella famiglia di Taylor.

Era solo arrabbiato per il passato che le aveva fatto vivere, ma non per questo pensava che non avrebbe rimediato. Certo, se Oliver fosse stato più svelto, ora Taylor non sarebbe così nei guai, ma non poteva biasimare nemmeno lui. Sapeva quanto impegno ci avesse messo, sentiva quanto stesse dando se stesso, quanto si stesse pentendo per ogni singolo errore. Purtroppo, però, quello sarebbe bastato a Jeremy e non a Cordano. Per quell'essere immondo, Oliver era stato troppo lento e basta.

"No, Jeremy. Hai ragione." lo contradisse lei, issandosi sul divano e sedendosi con le ginocchia rannicchiate al petto. "La mia vita fa schifo, è quello che dicono alla tv, in tutti i canali. La vita della mia mamma fa schifo e vederla sullo schermo fa ancora più schifo. Oliver è uno stronzo. È colpa sua se sono qui."

"No, Taylor. È colpa mia se sei qui." il ragazzo sentiva un fuoco ardergli dentro. La verità era che lui le aveva reso la vita uno schifo. Nessun altro.

Le si avvicinò e si sedette accanto a lei, prendendosi la testa tra le mani e ascoltando quel pianto che lo stava lentamente uccidendo. Ogni lacrima della ragazza era come un coltello infilato nel suo petto; avrebbe voluto fare qualcosa, farle ritornare il sorriso, farle scodare quell'orribile esperienza, tornare indietro nel tempo. Ma non poteva, ovviamente.

Si sentiva impotente e inutile, tanto quanto le sofferenze che le stava impartendo.

Lei, d'altro canto, stava odiando mostrarsi così debole e infantile e si asciugava le guance con il palmo della mano, sperando invano che cessassero di venire bagnate.

Che scena paradossale; Taylor rannicchiata accanto a Jeremy, in lacrime, ma disposta a concedergli fiducia nonostante tutto quello che stesse passando, Jeremy confuso e distrutto dalla consapevolezza di essersi innamorato della persona a cui stava rovinando la vita.

"Spero solo che non stia soffrendo troppo." soffiò lei, ripensando ad Amanda, che, sola, non avrebbe mai saputo sostenere una situazione di tale portata.

Jeremy la guardò e la vide così fragile e indifesa che gli venne spontaneo avvolgerla in un abbraccio. Un abbraccio protettivo, che andava oltre il contesto, un abbraccio attraverso il quale voleva urlarle quanto fosse stupido e quanto gli sarebbe piaciuto poter nutrire dei sentimenti senza i limiti che gli impedivano di farlo.

Ma l'avrebbe riportata a casa, l'avrebbe protetta a qualsiasi costo e avrebbe fatto in modo che il suo incubo finisse, anche se questo implicava che il suo non sarebbe mai finito. Era il minimo che potesse fare per lei.

"La rivedrai presto, Taylor, e starete bene entrambe." le disse in un soffio all'orecchio. "Cambierete idea riguardo a Oliver, te lo prometto."

Strinse la sua schiena tremante, la tenne stretta a sé e inspirò a fondo quel profumo di ricordi, immergendo il viso nei suoi capelli e desiderando di non essersi mai innamorato di lei. Era una condanna, una dolce condanna che più s'intensificava, più portava le cose verso un finale inevitabile.

Sentì i pugni di Taylor stringersi attorno alla sua maglietta, sentì le sue lacrime bagnargli il petto e la sua bocca muoversi contro la sua pelle fredda per dirgli grazie. Lei che ringraziava lui? Per cosa? Per averle fatto conoscere l'inferno?

Non sapeva che Taylor con quel "grazie" intendesse "grazie di essere qui". Nonostante tutto, si sentiva protetta tra quelle braccia, si sentiva a casa, si sentiva amata. Non era un caso che il suo cuore battesse così forte.

Aveva già capito da tempo la vera persona che era Jeremy, aveva capito che non era lui a volere questo per lei e, anzi, aveva capito che stava tentando di renderle quella tortura più sopportabile. Il problema era che nel farlo le aveva fatto provare emozioni così intense che aveva paura che fossero amore. Sì, aveva paura, perché se fosse stato amore, sarebbe stato uno di quei classici amori impossibili, in cui tutto avrebbe fatto in modo che non succedesse nulla.

A lei capitavano sempre questo genere di controsensi. Se ci pensava, tutta la sua vita fino a quel momento era stata un controsenso, anche se doveva ammettere che Jeremy era il migliore che le fosse capitato.

Si lasciò cullare in silenzio, memorizzando il ritmo dei suoi respiri e dei battiti lenti del suo cuore. Recuperò l'ossigeno che le mancava e si rilassò contro il petto di quel ragazzo così irritante, stronzo e misterioso. Così pessimo da essere forse il migliore.

Poco a poco ritornò la Taylor calma e razionale di sempre, con una nuova consapevolezza però, quella di essersi innamorata di Jeremy Parker, il ragazzo che l'aveva rapita. Tanto per gradire.

"Perché lo fai?" gli chiese, sciogliendo quell'abbraccio impacciato.

Gli occhi azzurri titubanti cercarono una via di fuga da quelli inquisitori della ragazza, ma non riusciva più a scappare da lei: "Fare cosa?"

"Il cattivo." rispose, disarmante come una bambina. "Il cattivo di una storia in cui credi di essere quello che prende le decisioni, quello che domina. Quando in realtà sai benissimo che non è così e ti lasci dominare dalla rabbia, dal rimpianto e dal rancore."

"È la mia vita, Taylor."

"Non è una vita, questa!" protestò lei. "Vuoi dirmi che non hai mai sofferto, non hai mai desiderato di cambiare?"

Oh, eccome se l'aveva fatto. Ma ovviamente non poteva parlarne a lei.

"Nessuno è mai contento di nulla." disse, alzando le spalle. "Vuoi dirmi che tu sei contenta?"

"No." gli diede ragione. "Non se ho davanti agli occhi tutto questo, senza poterlo cambiare. Vorrei poter fare qualcosa per te."

"Non puoi."

I loro volti erano così vicini che avrebbe voluto baciarla. Aveva il suo respiro leggero adagiato in ogni piega del suo viso, il suo profumo caldo in ogni vuoto della sua gola e c'era una promessa sulle sue labbra che avrebbe tanto voluto assaporare. Ma era il suo buonsenso, quello assopito da tempo, che gli intimava di non farlo.

"Ma tu mi stai aiutando, Jeremy. Perché non posso farlo anch'io? Non è giusto."

"Tante cose non sono giuste. La mia vita è compresa tra queste. E, credimi, non sto facendo nulla di speciale per te."

"Invece sì. Molto più di quello che pensi."

Gli occhi dell'uno erano immersi in quelli dell'altra, così diversi, come le realtà a cui appartenevano, ma con un passato simile e sofferto. Curioso come talvolta il destino giocasse con le vite delle persone e le facesse scontrare nella maniera più impensabile, per poi creare dei legami che nessuno avrebbe mai potuto aspettarsi.

"Che cosa starei facendo per te, Taylor?" domandò lui, in un sussurro.

"Beh, innanzitutto, non mi hai ancora cucito la bocca come avevi promesso."

Sul viso di Jeremy si disegnò un sorriso.

"E poi non mi lasci mai sola."

"Ovviamente. Credi che mi fidi a lasciarti sola con tutto quello che combini?"

"Non pensi anche tu che forse sarà orribile essere di nuovo soli?" gli chiese a bruciapelo, aprendosi al suo sorriso, così vicino e confortevole. "Quando ci separeremo, non dispiacerà un po' anche a te?"

In quel momento, davvero, avrebbe voluto risponderle di sì, e abbracciarla di nuovo, e baciarla.

Ma anche se Jeremy era un ragazzo irrazionale e istintivo, quando doveva fare una scelta così importante, usava sempre pensarla in tutte le sue sfaccettature.

Scegliere di baciare Taylor, o comunque di mostrarle i suoi veri sentimenti, avrebbe comportato una disfatta completa. Non poteva mostrarsi debole, specialmente in quel momento, specialmente se gli era stato imposto di essere forte, o meglio, si era imposto di essere forte. Tutto stava per finire e non doveva fare altro che resistere finché ogni cosa non fosse tornata al suo posto. Lo doveva fare per Taylor.

Se avesse compiuto un solo passo falso, avrebbe firmato la sua condanna. Per salvarla, doveva essere il Jeremy di sempre. O forse il Jeremy di sempre era quello che aveva sempre represso?

Non importava: era il Jeremy arido e insensibile quello che serviva adesso.

"No, Lor." sussurrò. "A me non dispiacerà."

Mentì guardandola dritto negli occhi. Si sentì un codardo e un egoista, ma sapeva che in fondo lei avrebbe fatto presto a dimenticarsi di lui. Le stava rendendo le cose ancora più facili, si stava dimostrando il mostro che le lo aveva sempre accusato di essere.

Era l'unico modo di renderle tutto più facile.

Taylor non riuscì a sostenere quello sguardo denso e duro, per cui abbassò gli occhi e si scostò un po' da quel petto tiepido che ormai era diventato la sua seconda casa: "Lo immaginavo." disse con un filo di voce e un falso sorriso. "L'hai sempre detto che non mi sopporti."

"Per quello servono doti da martire."

"Già." restò al gioco con un sorriso, poi si ritrasse definitivamente da lui e fece per alzarsi. "Scusa se mi sono comportata da bambina."

Ma Jeremy, preso da un moto di profonda tristezza, la fermò, trattenendola per un polso.

"Lor, tu sei una bambina." era un'affermazione quasi dolce e una presa in giro. "Perciò mangia e poi lavati quelle lacrime dal viso. Ti aspetto qui."

Taylor annuì.

Pensò che, anche se lui non provava le stesse cose per lei, aveva comunque la capacità di farla sentire bene. Era meglio così: era meglio che non provasse niente. Meglio per lui, meglio per entrambi. Questo di certo non le impediva di essere delusa, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco.

Quindi fece quello che lui le aveva detto e quando tornò in salotto, non si era mosso da quella posizione sul divano.

Fu ben felice di coricarsi accanto a lui e trovare di nuovo l'incavo del suo collo per appoggiare la testa. Sembrava che il corpo del ragazzo avesse la forma complementare al suo, come i pezzi di un puzzle, come un materasso in lattice che si modella perfettamente alla persona che vuole dormirci sopra.

"Jeremy, qualsiasi cosa dovesse succedere..." iniziò prima che potessero addormentarsi. "Sappi che nonostante tutto, credo che tu sia..."

"Che cosa?" lo sentì sorridere, come ogni volta che stava per umiliarla.

"Bello."

"Questo già lo sapevo, principessa."

"Intendo bello dentro, Jeremy, hai capito. Puoi sembrare uno stronzo quanto vuoi, ma io so, perché l'hai dimostrato, che nascondi qualcosa di buono sotto tutta quell'indifferenza." le costava ammetterlo.

In fondo lui era pur sempre un idiota e non avevano fatto altro che litigare da quando si erano conosciuti, però non poteva nascondere la verità. Era irritante, strafottente e prepotente, ma nonostante tutto era lì con lei e guardandosi indietro, Taylor si era accorta che c'era sempre stato.

Forse lui non sentiva quello che sentiva lei e forse era meglio per entrambi, però una cosa era certa e voleva che anche lui lo sapesse: "Non è vero che Alex non ti merita. Forse sei uno stronzo di prima categoria, ma lui sa come sei davvero e per questo ti vuole bene. E...anche io te ne voglio."

Il biondino chiuse gli occhi e prese un lungo respiro, senza ribattere.

Rimase ad ascoltare l'eco di quelle cinque parole nella sua testa, memorizzandole come una bellissima canzone e sorridendo per aver avuto la fortuna di ascoltarle. Tacque finché non fu certo che Taylor si fosse addormentata e poi, quasi in un sussurro, le rispose.

"Io ti amo, invece."

Con un braccio le cinse la vita; sapeva che in futuro non avrebbe più potuto farlo. Strofinò il naso contro i suoi capelli e inspirò il profumo che non avrebbe mai dimenticato; quello di sua madre, quello dei suoi ricordi, quello della sua Taylor. Come fosse diventato così sentimentale non riusciva a spiegarselo, ma sapeva che in parte era dovuto alla telefonata su cui, tanto per cambiare, aveva mentito.

Era stato Cordano in persona, infuriato e aggressivo come non mai, a chiamarlo qualche ora prima. Anche lui aveva avuto modo di vedere il maledetto servizio al telegiornale e a quel punto non gli rimaneva altro da fare che rispettare la sua promessa.

Jeremy ricordava benissimo la minaccia che da settimane vorticava nella sua mente:

Un errore, Parker, e userò il mio giocattolo per decretare la tua eliminazione dal gioco. Cordano aveva deciso di metterla in pratica.

Gli aveva detto che gli avrebbe concesso ancora cinque giorni. Entro Natale avrebbe dovuto risolvere quell'enorme problema, oppure l'avrebbe ucciso personalmente.

E qual era la soluzione al problema? Quando Cordano gliel'aveva detto, si era accasciato contro la parete della casa e aveva sentito la terra mancare da sotto i suoi piedi.

"Non possiamo più continuare con la storia del rapimento, Parker."

"E allora che cosa facciamo?"

"Che cosa farai tu, Parker! Da questo momento in poi il problema è solo tuo e come lo risolverai è molto semplice: ucciderai Taylor Heavens e farai sparire le sue tracce entro Natale, oppure sarai tu a dover dire addio a questo mondo una volta per tutte."

"Che cosa? Sei fuori di testa, Cordano!"

"Chiudi quella merda di bocca, lurido Parker! Se quella ragazzina non sarà morta nel giro di cinque giorni , ti verrò a cercare personalmente e porrò fine alla tua insulsa vita del cazzo! Hai capito oppure no, Parker? Da adesso quella stronza non è che la vittima di uno psicopatico assassino, cioè te. La farai fuori e rivelerai te stesso come unico, pazzo responsabile. Ogni singolo sospetto su un rapimento o su di me dovrà essere smentito, e, se non farai quello che ho detto, ti verrò a cercare con tutti i mezzi di cui dispongo e ti farò soffrire le pene dell'inferno prima di poter finalmente infilare una pallottola nei tuoi stupidi polmoni!

Sono stato chiaro, Parker?

Sono stato chiaro?!?"

Jeremy aveva sentito scivolare la vita dal suo corpo e finire nel nevischio del bosco, persa per sempre nella freddezza di quell'inverno. Era questa la scelta a cui era stato messo di fronte. Due vite, una sola da salvare.

Avrebbe dovuto portare Taylor in un posto nascosto e ucciderla, per poi liberarsi di lei. A quel punto avrebbe potuto denunciarsi, come aveva ordinato Cordano, oppure scappare lontano da Bourton e da quell'uomo, cominciando tutto d'accapo.

Qualsiasi cosa avesse fatto, se non l'avesse fatta entro cinque giorni, sarebbe morto.

Riportare Taylor a Bourton e scappare? Sarebbe stato plausibile, se solo Richard non lo stesse aspettando al varco in previsione di qualsiasi suo tentativo di fuga.

E allora doveva davvero ucciderla. Doveva sacrificare la vita di Taylor per la sua. Ora non era più come prima: la libertà, per una vita, la felicità, per una vita. Ora era una vita per una vita. Non gli rimaneva alternativa alcuna, se non quella di compiere la scelta più grande di sempre.

Era più importante la vita di Taylor Heavens o quella di Jeremy Parker? Ormai cominciava seriamente a dubitarne.


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Anche questo titolo presenta più piani di lettura: nomina Taylor e Alex come rappresentativi dell'intero capitolo e infatti sono le due persone su cui si giocano le scelte più importanti di Jeremy. Ma sono anche due persone dal rapporto "Heaven and Hell", frase che richiama sonoramente il titolo. Inizialmente le loro interazioni erano negative, poi estremamente positive e poi, col proseguire della storia, si vedrà. Sicuramente questo titolo vi tornerà alla mente.

Allo stesso modo, paradisiaca e infernale è l'esperienza che sta vivendo Jeremy e anche il rapporto che lo lega a Taylor e Alex.



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Capitolo 10
*** A Lot of Things Together ***


All I want - 10.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********A Lot of Things Together********

Taylor si svegliò quando la luce biancastra arrivò a pungere il suo naso all'aria. Aprì gli occhi pesanti e rimase immobile in quella comoda posizione. Le sembrava una di quelle domeniche sotto Natale di anni fa in cui si risvegliava al calduccio delle coperte e aspettava che Amanda tirasse le tende per controllare fino a dove la neve fosse arrivata a coprire il vetro.

Si voltò per vedere se Jeremy stesse ancora dormendo e con un vago senso di delusione trovò il posto accanto al suo vuoto. In compenso c'era una coperta di lana a coprirla perché non prendesse freddo e un vassoio ai suoi piedi. Sorrise alzandosi e guardando con un sopracciglio inarcato il tentativo di succo d'arancia che il ragazzo le aveva lasciato. C'era un bicchiere con dentro quelle che sembravano interiora di qualche animale miste al suo sangue, ma comunque apprezzava lo sforzo.

Si sentiva bene, un po' stordita, ma felice.

Sul letto di Jeremy c'erano un paio di felpe di cui una un po' sbiadita, gialla, che prese in prestito perché sapeva che l'avrebbe tenuta al caldo. Infilò le sneakers che aveva raccattato in quel negozietto di Cirencester e si specchiò sull'anta dell'armadio vuoto. Raccolse i capelli in una coda e fece una smorfia: no, non la convincevano. Provò a lasciarli cadere, ma sembravano due drappi da teatro senza alcun significato. Sbuffò.

Quand'era stata l'ultima volta che si era preoccupata seriamente dei suoi capelli? Probabilmente nemmeno alla festa di Tessy le era importato così tanto.

Optò per una treccia laterale e invano cercò qualche traccia di cosmetico nella casa. Zero. In genere un po' di matita e mascara le avrebbero dato un tocco femminile e le sarebbe davvero servito in quel momento.

D'improvviso si rese conto che si stava davvero preoccupando di essere carina. In una situazione del genere. Stava dando i numeri.

Uscì scrollando la testa e seguendo il rumore di un motore proveniente dal retro della casa.

Di Jeremy riusciva a vedere solamente le gambe coperte dai jeans, dato che il resto del corpo era nascosto sotto una macchina che faceva un rumore infernale. La scrutò cercando di capirne il modello, ma rinunciandoci non appena notò che il volante era a sinistra.

Un modello europeo e per giunta senza targa, color grigio topo e con un'ammaccatura sul lato destro. Insomma, girare con quella equivaleva ad avere un insegna luminosa sul capo fatta apposta per insospettire la polizia.

Una sgradevole imprecazione uscì da sotto la macchina assieme a una nuvoletta di fumo.

"Che cosa stai facendo?" chiese Taylor avvicinandosi all'auto rombante.

Jeremy uscì a fatica da lì sotto: "Buongiorno, principessa." la salutò pulendosi il viso dalla cenere.

Taylor fece una smorfia: "Buongiorno. Che cosa stai facendo?"

"Non vedi? Mi sono sempre interessato di botanica, quindi sto dando un occhio al giardino."

Davvero irritante, la notte non l'aveva cambiato.

Forse Jeremy notò la sua faccia, forse pensò che nonostante si divertisse un mondo a prenderla in giro, lei non era nella giusta modalità: "Cerco di resuscitare questa vecchia carriola." spiegò.

Taylor diede un'occhiata attraverso i finestrini e storse il naso: "Non sembra che tu te la stia cavando alla grande."

"Vuoi provare tu?" propose passandole quella che doveva essere una chiave inglese.

Gli riservò un'occhiata fosca che esplicitava un convintissimo "no".

"D'accordo, principessa, non sia mai che sporchi quella meravigliosa felpa. A proposito, potresti prestarmela di tanto in tanto. Sembra fatta apposta per me."

Taylor arrossì lievemente: "Scusa, non te l'ho chiesta."

Fece di spallucce e ritornò a macchinare: "Non preoccuparti, tanto è orribile."

Taylor emise un silenzioso commento di disappunto; tutti i suoi sforzi smontati da un misero "tanto è orribile". Com'erano gratificanti i complimenti di Jeremy.

"Che c'è?" chiese, notando quella sua espressione assorta.

"Niente." rispose la ragazza. "Posso darti una mano?"

"Nah...si muore di freddo qui, rientra pure, ci metterò un attimo."

"Mmm."

Jeremy la guardò con sufficienza. Quel "mmm" esprimeva tutto il disappunto di Taylor sulle sue doti restauratrici e sicuramente gli stava rimproverando quell'atteggiamento troppo spavaldo.

"Abbiamo un meccanico affermato qui? D'accordo, Lor. Sali e premi l'acceleratore quando te lo dico."

La ragazza annuì, felice di poter essere utile e, diciamolo, rimanere in sua compagnia.

"Dove andremo con questa?" chiese timidamente, sperando di non ottenere un nuovo muro di ghiaccio.

"Il piano è questo, principessa." cominciò, sbrigativo, appoggiandosi alla porta dell'auto. "Appena abbiamo riesumato il catorcio, ce ne andiamo e ci dirigiamo verso Burford, un paesino a una manciata di kilometri da Bourton. Percorreremo tutte le strade secondarie possibili e una volta lì ti rifugerai nella chiesa, dove svelerai ai frati chi sei e ti farai riaccompagnare a casa. Ovviamente prima di ciò, mi darai il tempo di andarmene dal Cotswolds e possibilmente dall'Inghilterra. Se riusciamo a fare tutto senza che nessuno ci metta i bastoni tra le ruote, ognuno di noi tornerà alla normalità. O perlomeno, tu lo farai e io mi eviterò parecchi guai."

"Oh." Taylor fissò il volante in pelle, riflettendo sul "e dopo?" che Jeremy aveva palesemente lasciato intendere.

Jeremy ci aveva pensato tutta la notte, non aveva mai chiuso occhio perché a ogni nuova possibile soluzione si presentava un nuovo possibile problema. Alla fine aveva convenuto con se stesso che per salvare la pelle di entrambi avrebbe dovuto giocare sul fattore fortuna.

Bourton era una zona inavvicinabile sia per lui che per Taylor, Dio solo sapeva quanti seguaci di Cordano erano in attesa di un suo arrivo, quindi aveva optato per la cittadina lì accanto. Certo, era sicuro che le "sentinelle" non si limitassero a controllare Bourton, ma che fossero seminate un po' dovunque, anche a Bruford. Ma almeno Bruford era una città piccola e che Jeremy conosceva a memoria; poteva sfruttare questi fattori per rendersi meno visibile e in più era abbastanza sicuro che il caro Cordy non avrebbe sprecato troppi uomini per quella macchietta di case dimenticate da Dio.

Come luogo dove mettere Taylor al sicuro, la chiesa era perfetta; la chiesa di Bruford, che era popolata da frati e vecchie pettegole, ancora di più. Avrebbero riconosciuto Taylor in un battibaleno e, prima di ogni cosa, si sarebbero preoccupati di accertare la sua salute. L'avrebbero curata e messa al caldo e quando sarebbe stata pronta, avrebbero ascoltato la sua storia. Era certo che Taylor avrebbe fatto in modo di dargli il vantaggio temporale che le aveva chiesto. Quando la polizia di Bourton avrebbe raggiunto la chiesa di Bruford per portare la ragazza a casa, lui sarebbe stato lontano già da un po'.

Avrebbe corso il più velocemente possibile fino al porto e si sarebbe imbarcato sulla prima nave in partenza per qualsiasi altro posto, dove avrebbe finto un'altra identità. Nessuno avrebbe potuto fare del male a Taylor una volta circondata da altre persone, e lui se ne sarebbe andato con questa sicurezza. Triste e malinconica per lui, che non l'avrebbe mai più rivista, ma almeno era una sicurezza.

"Premi." le disse da sotto l'auto.

Il rombo del motore sovrastò un tentativo di parola da parte di Taylor, ma quando finì, ripeté: "Farò in tempo a farti gli auguri di Natale?"

La voce di Jeremy le arrivò ovattata, ma riuscì comunque a capire: "Sai che non credo in quelle cose."

"Beh, io sì."

"Premi."

Taylor spinse di nuovo l'acceleratore con uno sbuffo.


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"Da tempo che non ci si vedeva, Bell." la barista sorrise ad Alex porgendogli la bottiglia di birra che aveva ordinato e facendogli spudoratamente l'occhiolino.

"L'università mi ha tenuto parecchio impegnato." rispose lui, disinvolto.

La ragazza annuì comprensiva: "Non ti prendi una piccola pausa natalizia?"

"Da quando mia nonna è morta non ci sono più pause per me."

"Oh, Alex...io...non credevo, mi dispiace."

Il ragazzo alzò una mano scuotendo la testa: "Meglio non piangere sul passato, Katherine."

"Crystal."

"Proprio come mia nonna! Scusa, ho bisogno di uscire."

E fu così che si congedò dalla bella barista, ritornando sulla strada imbiancata di Bourton. Bevve un sorso della sua birra ghiacciata e alzò la lampo della giacca, diretto all'asilo. La cosa poteva sembrare paradossale, tuttavia il motivo che lo spingeva a raggiungere quel luogo con un mazzo di fiori in mano era proprio Allyson.

Sapeva che sarebbe uscita da lì entro pochi minuti, dopo aver dato una mano alla zia che faceva la maestra. Era in quel posto che tutto era cominciato, pensò con amarezza. Erano i primi di ottobre e pioveva a dirotto; Alex aveva parcheggiato lì davanti per riconsegnare un libro alla biblioteca giusto di fronte, ma nello scendere dall'auto aveva trascinato con sé il suo blocco degli appunti facendo svolazzare foglietti per tutto il viale.

Allyson arrivava proprio in quel momento diretta all'asilo, l'ombrello a ripararla e una certa fretta data dal ritardo. Non appena aveva visto il rimbambito che imprecava sotto l'acqua con gli appunti fradici sparsi ai piedi, aveva provato un moto di pietà e l'aveva aiutato. Non l'avrebbe fatto, se avesse riconosciuto il famoso Alex Bell, donnaiolo per fama, eppure era stato proprio quando i loro occhi si erano incontrati sotto le fitte gocce che era scoccata la scintilla.

Sì, proprio come nei film, lei era ammutolita e lui le aveva sorriso. Poi le aveva anche fatto l'occhiolino e le aveva chiesto come si chiamasse, ricevendo in cambio un chiarissimo invito ad andare a quel paese in quanto i due avevano svolto parecchi laboratori assieme, durante le scuole medie.

Depresso al massimo, Alex era risalito in macchina inzuppato fino all'osso, ma era stato fermato da Allyson e dalla sua infinità bontà d'animo. Lei lo aveva portato al coperto dentro all'asilo e gli aveva trovato un cambio asciutto. Da quel giorno avevano cominciato a uscire insieme fino agli inizi di dicembre quando lui, innamorato tanto quanto era impregnato sotto la pioggia di ottobre, le aveva proposto di ufficializzare la cosa.

Ebbene, erano passate solo tre settimane da quando si erano fidanzati e in quest'arco di tempo era riuscito a mandare all'aria tre mesi di dura conquista. Quel che era peggio era che per Alex, se lo sentiva, quella Allyson era la ragazza giusta.

Moriva dalla voglia di vederla, voleva baciarla di nuovo, sentire la sua delicatezza e la sua dolcezza sulla pelle. Non poteva accettare di perderla.

Aspettò cinque, dieci, venti minuti sulle scale della scuola materna, ma nessuno uscì e allora, vinto dall'impazienza, decise di entrare.

All'interno sembrava scoppiata la terza mini-guerra mondiale. Migliaia di nanerottoli correvano come impazziti vestiti da personaggi della natività, tutti in fermento per quella che Alex intuì essere la recita.

Ricordava di aver partecipato a una di quelle rappresentazioni da bambino. Lui faceva l'asino mentre Jeremy aveva ottenuto la parte dell'arcangelo Gabriele, solo perché era biondo e carino. E tenero a suo tempo, aggiunse mentalmente con un sorriso.

Una bimbetta si schiantò sulle sue gambe, rovinando a terra assieme al suo vestitino da pallina di Natale.

"Oh, scusa, scricciolo." ridacchiò Alex, allungandole una mano per aiutarla ad alzarsi. Ma non appena la piccola alzò gli occhi, gridò di paura e scoppiò a piangere.

"Shh...zitta, pallina di Natale, non piangere. Su, per favore."

La bambina pianse ancora più disperatamente: "Sei cattivo! Mi hai fatto cadere!"

"No, non è vero."

"Sì!"

"Tecnicamente sei stata tu a venirmi addosso."

"No, sei stato tu, perché sei cattivo!"

"E vabbè, adesso diamo un giudizio alle persone così, solo perché pensiamo di essere dalla parte della ragione."

La bambina raggiunse il culmine della disperazione.

Si alzò a fatica e corse a mo' di pinguino fino al primo adulto che trovò: una ragazza che stava sistemando le orecchie da asino a un bambino imbronciato. Le tirò il vestito e non appena ricevette la sua attenzione, le indicò Alex, aumentando i suoi singhiozzi e pulendosi il naso con la mano.

Quando Allyson si accorse che l'incriminato non era altri che Alex, il suo Alex, le si accese lo sguardo e sembrò che una scintilla illuminasse il salone.

La ragazza sussurrò qualcosa alla bambina che, rivolta un'ultima occhiata d'odio ad Alex, se ne andò facendogli la linguaccia. Alex rispose con lo stesso gesto, mentre anche il piccolo con le orecchie da asino se la svignava dalle cure di Allyson.

Fu inevitabile che i due ragazzi decidessero di avvicinarsi, cautamente, per trovarsi giusto a qualche centimetro di distanza. Satavano in piedi a specchiarsi l'uno negli occhi dell'altra, in mezzo a quel tripudio di bambini e colori e decorazioni, dopo giorni che nemmeno si vedevano.

"Che cosa ci fai qui?" chiese la ragazza, la voce che un po' tradiva l'emozione.

"Consegna diretta." rispose, porgendole il mazzo di fiori.

Allyson guardò i fiori titubante, senza sapere a quale delle mille opzioni che le presentava la mente dare retta.

"Sono fiori, Ally. Se non vuoi accettare le mie scuse, almeno accetta questi, perché li ho scelti pensando a te e a quel poco che so sui tuoi gusti."

Allyson si perse in quelle pozze scure, la prima cosa che l'aveva catturata quando aveva conosciuto Alex. L'aveva amato dal primo giorno e aveva sofferto così tanto quando aveva dovuto prendere la decisione di lasciarlo, che si era ripromessa che non si sarebbe mai più fatta ingannare da un paio di pupille. Peccato, sembrava non riuscire a mantenere certe promesse.

"Grazie." disse infine, prendendo il mazzo. "È gentile da parte tua."

"Allyson, non è per niente gentile, lo so. Non fingere di essere educata con me, so che vorresti prendermi a schiaffi."

"Oh, Alex."

"Io lo farei." si morse il labbro, attanagliato dalla rabbia contro se stesso. "Io volevo dimostrarti che posso essere molto di più. Sono imbecille e stupido, molto stupido, ma avrei voluto farti vedere anche dell'altro."

"C'è stato poco tempo..." mormorò lei con gli occhi bassi e un nodo alla gola.

"Non è vero, Ally." sospirò lui. "Ce ne sarebbe stato a sufficienza, ma è colpa mia. Non l'ho saputo usare bene. Non l'ho saputo usare affatto."

"E come lo useresti, se potessi tornare indietro?"

"Farei la cosa più bella del mondo; starti accanto." rispose di getto e con la voce tremante. "Ti farei conoscere il meglio di Alex Bell, ti farei sorridere quando inciampo sui miei stessi piedi, ti racconterei tutta la vera storia di mia nonna. Vorrei sembrare intelligente a tutti i costi, per non fare brutte figure con te, finendo per farne comunque e per fermarmi a fissare le tue bellissime guance rosse e la tua espressione felice. Rimedierei a tutti i miei errori e ogni singolo secondo, Ally, lo regalerei a te."

La ricciolina lo stava ad ascoltare senza riuscire a reprimere il sorriso, le guance rosa increspate dall'emozione. Nemmeno lei avrebbe mai voluto perdersi tutte quelle cose; per tutti i giorni in cui lui non era stato al suo fianco aveva sentito la sua mancanza come qualcosa di opprimente e insostenibile. Il tempo, aveva pensato, era il regalo più bello che qualcuno potesse fare a qualcun altro.

E la notizia felice in tutto ciò era che il loro tempo non si era mai davvero esaurito; ne avevano ancora tanto davanti e avevano la possibilità di riprenderlo in mano, adesso, ricominciare di nuovo.

Non voleva perdersi tutto quello che Alex aveva di speciale e ora che era di nuovo lì con lei, sentiva che sarebbe stato tutto più facile. Era stata ferita da lui, ma non riusciva a stargli distante. Non se lui si preparava un discorso del genere solo per chiederle scusa.

"Ally, Sam mi ha tirato i capelli, è cattivo!" la pallina di Natale le tirò di nuovo il vestito, stavolta con meno lacrime agli occhi, ma la stessa faccia arrabbiata.

"Un momento, Clarisse, sto parlando."

"Ma lui è cattivo!"

"Senti, pallina." Alex si abbassò sulle ginocchia per raggiungere la piccola Clarisse. "Per favore, puoi lasciarmi solo un minuto per dire una cosa ad Allyson? Poi ti prometto che sarà di nuovo tutta per te. Voglio solamente dirle che sono stato un idiota e che non mi merito un solo grammo del suo amore, ma che io la amo. E non importa se finora gliel'avevo detto solo un paio di volte: l'ho pensato ogni notte in cui dormivo distante da lei e ogni mattino in cui mi svegliavo senza il suo profumo sotto il naso. Voglio dirle che quello che provo per lei è stato qualcosa di puro fin dal primo istante in cui l'ho guardata e che, anche se ho sbagliato, i miei errori e le mie bugie non hanno corrotto i miei sentimenti. Io amo Allyson, piccola pallina di Natale. Credi che anche lei ami me?"

"Sì."

La testa di Alex si alzò per guardare la ragazza, ai cui occhi si erano affacciate delle lacrime di commozione. Era stata lei a rispondergli e fu come se gli avesse ridato la vita.

Anche la bambina sorrise e allora Alex tornò a concentrarsi su di lei: "Grazie, pallina, per avermi lasciato quel minuto. Credi che mi perdonerà per tutti i guai che ho combinato?"

La bambina si aprì in un sorriso sdentato e annuì. Gli stava simpatico ora, Alex.

"Ti perdono, Alex." confermò la ragazza.

Il ragazzo si alzò e abbracciò Allyson di slancio, sollevandola da terra e facendole fare una giravolta per la gioia.

"Ti amo, Allyson!" esclamò. "Ti amo."

Il viso della ragazza si colorò come non succedeva da giorni e si appoggiò a quello di Alex, avvicinandosi alle sue labbra e coronando quel meraviglioso momento con un bacio. Il più dolce che si fossero mai scambiati, il più vero che Alex avesse mai dato, il più bello che Allyson avesse mai ricevuto.

Clarisse aprì la bocca e sgranò gli occhi, dimenticandosi del suo amichetto Sam e fissando la scena come se di fronte a lei stesse accadendo l'apocalisse.

La mano di Alex percorse la schiena di Allyson in una carezza che voleva essere la promessa di non andarsene mai più. No, non avrebbe più rischiato di perderla e le avrebbe sempre e per sempre raccontato la verità.

Certo, avrebbe aspettato il ritorno di Jeremy per dire tutta la verità, ma era già un grande passo.

"Che schifo! Suor Mary! Suor Maaaaary!" Clarisse si coprì gli occhi sgolandosi per richiamare l'attenzione della donna, una vecchia suora che bazzicava per l'asilo da quando c'erano solo le fondamenta.

Il viso rugoso e un'espressione hitleriana, suor Mary si fece largo per mettere le mani addosso a coloro che stavano generando un vago senso di scompiglio in un luogo in cui lo scompiglio già regnava sovrano.

"Cosa succede qui?" domandò la donna, portandosi le mani ai fianchi.

Faticosamente e con grande disappunto, Alex allontanò da sé la sua ragazza e si ricompose assumendo uno sguardo innocente: "Buongiorno."

"Buongiorno un corno!" gracchiò suor Mary. "Allyson, per l'amor di Dio, chi è quest'uomo? Hai forse perso il buonsenso?"

La ragazza si liberò in una risata così cristallina, così tipica della vecchia Allyson allegra che la suora sgranò gli occhi, stupita.

"È un bravo ragazzo, suor Mary. Un po' scemo di tanto in tanto, ma..."

"Quel figliolo che frequentavi qualche mese fa?" la interruppe la suora, abbastanza contrariata all'idea. Di lui non aveva che una brutta considerazione e lo sfocato ricordo dei pomeriggi in cui si presentava per scroccare qualcosa da mangiare alla mensa.

"Esatto, è Alex. Ora siamo insieme. Di nuovo." le sorrise Allyson di rimando, radiosa.

"L'avevo notato. Gesù...le dimostrazioni pubbliche fuori di qui." intimò puntando un dito inquisitore contro Alex.

Lui indietreggiò vagamente inquietato.

"Mi prendo una pausa, allora." decise Allyson. "Posso, suor Mary?"

Suor Mary la scrutò pensando che fosse matta. Da qualche settimana a quella parte la ragazza aveva passato cupi pomeriggi interi senza mai uscire dall'asilo. Sempre assorta o in combutta con la vecchia amica, figlia del celebre Heavens. Sapeva di tutta la faccenda della sua amica Taylor e sapeva che Allyson stava soffrendo, per questo aveva continuato a sentirsi impotente di fronte alla sua tristezza.

Aveva provato a tirarla su in tutti i modi, ma non aveva mai mostrato alcun segno di serenità, nemmeno un sorriso. E ora, proprio ora, come un dono di Natale dopo chili di amaro carbone, arrivava questo scapestrato manifestatore della sua avidità sessuale (o perlomeno questo era ciò che pensava di lui) e la faceva letteralmente rifiorire. Non capiva, per questo era felice di aver scelto Dio.

"Certamente, lo dico a tua zia, se ti cerca." rispose infine.

"Suor Mary, il tipo cattivo gli ha dato un bacio con la lingua! Bleah!" pigolò Clarisse tirando la veste della suora.

"Si dice le ha dato..." gracchiò quest'ultima, prendendo per mano la pallina di Natale con le gambe e allontanandola al più presto da quel pessimo esempio che era Albert o come diavolo aveva detto di chiamarsi.

"Vecchia zitella." commentò lui per l'appunto, non appena suor Mary fu abbastanza distante da non sentire.

"Non è zitella, Alex, è sposata con Dio."

"Ha scelto l'unico che non potesse rifiutare."

Allyson ridacchiò, avvolgendosi nella calda sciarpa di lana: "Ti amo anch'io, Alex. Non sai quanto mi sei mancato."

Alex le sorrise, ricordando improvvisamente le parole di Taylor.

Sottovaluti la bontà di Allyson. Tutti meritano una seconda occasione.

Aveva ragione.

"Sai cosa ti dico?" proruppe cingendole la vita con la mano e accompagnandola fuori dall'asilo. "Che sono sicuro che la tua migliore amica tornerà a Bourton sana e salva. In fondo, se è tua amica, è senza dubbio in gamba come te. E poi quel Jeremy di cui parlano tanto alla tv dev'essere un tipo a posto, nonostante le malelingue."

Allyson gli riservò un sguardo un po' sarcastico. Di certo Alex aveva una discreta fantasia.

"Lo spero davvero, Al. Grazie per l'ottimismo, comunque." aggiunse lasciandogli un delicato bacio sulla guancia.

Si allontanarono a piedi verso il parco imbiancato di Bourton, l'uno abbracciato all'altra mentre la neve ricominciava a scendere per creare un'atmosfera sempre più natalizia. Avevano molte cose da raccontarsi.


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"Jeremy!"

Il ragazzo prese paura e sussultò, rischiando di uscire di carreggiata. Era così sovrappensiero che persino la familiare voce di Taylor era riuscita a fargli prendere un colpo.

"Che succede?" domandò ritrovando il contegno e sbirciando il sedile posteriore.

"Guarda cos'ho trovato!" la nota d'eccitazione che accompagnava l'esclamazione della ragazza gli fece desiderare di essere lì dietro con lei e godersi la sua espressione bambinesca.

"Dev'essere qualcosa che vale almeno un milione di sterline, o un milione di sterline vero e proprio, da come hai preso la notizia."

La sentì armeggiare e sbuffare per qualche istante, poi un sospiro soddisfatto gli fece finalmente voltare la testa all'indietro per osservare la grande scoperta.

Taylor tentava di rispolverare un paio di pattini da ghiaccio di colore bianco. Sembravano vecchi e trascurati, ma la sua faccia era totalmente meravigliata, come se li avesse trovati nuovi nuovi e impacchettati a mo' di regalo di Natale.

Dovevano essere dei figli di Hans, l'amico che aveva prestato l'auto a Jeremy, e Taylor doveva averli scovati sotto il suo sedile durante un'esplorazione dettata dalla sua fastidiosissima e incontentabile curiosità.

"Wow, Lor. Dovresti avvisarmi la prossima volta che trovi un tale tesoro. Potrei rimanerci secco dalla sorpresa." il ragazzo rise tra sé.

"Non eri tu quello che voleva imparare a pattinare, di grazia?"

"Ti sembra che quei cosi mi vadano bene, di grazia? Al massimo ci andranno dentro i tuoi preziosi piedini, principessa."

Taylor scosse la testa, esasperata per quel perenne tono canzonatorio. E va bene, Jeremy aveva ragione e quei pattini sarebbero alla meglio andati bene su di lei. Senza contare che il modello era femminile ed era piuttosto sicura che Jeremy non li avrebbe messi ai piedi nemmeno se gli fossero calzati a pennello. Eppure a lei quella scoperta era sembrata bellissima; se Jeremy avesse saputo lasciarsi andare, ogni tanto, avrebbe vissuto una vita più felice.

"Devono appartenere della figlia di Hans." spiegò lui. "Sai, è una tua coeta-"

"Jeremy?"

Le parole si erano smorzate nella gola del ragazzo non appena aveva avvertito una fitta al fianco destro, così potente da annebbiargli per un secondo la vista e fargli mollare la pressione sull'acceleratore.

Si riprese con fatica, prendendo un paio di lunghi respiri e deglutendo tutto il dolore con la speranza di eliminarlo in quel modo.

"Jeremy." Taylor si sporse in avanti, fino ad arrivare all'altezza del ragazzo.

"...nea. Una coetanea." continuò lui a denti stretti, come se non fosse successo nulla.

"Jeremy, sei tutto pallido. Ti senti male?" domandò, preoccupata.

"No, Lor, sto benissimo. Piantala di dirmi che sono pallido, lo sono sempre stato."

La ragazza si ritirò arrendendosi al solito barbarismo nei suoi confronti. Era solamente, inevitabilmente, allarmata. Come una mamma con il suo bambino, come una ragazza con il suo...

Ecco, lo stava pensando di nuovo! Da quando, la notte prima, aveva in qualche modo esternato il suo affetto per Jeremy, non riusciva a distrarsi. Era come se dicendolo ad alta voce lo avesse ammesso anche a se stessa e ora lo sentisse ancora di più.

Il bene che gli voleva, la rassegnazione che dirlo non era servito, la consapevolezza che fosse solo una stupida. Una povera adolescente innamorata che non era capace di realizzare la situazione, ecco cos'era. Si era fatta così tanti castelli in aria che avrebbe potuto dare domicilio a tutti i senzatetto del mondo! Che le era passato per la testa?

Che stava succedendo al suo cuore?

Jeremy abbassò gli occhi sulle sue mani, bianche e gelide, aggrappate al volante come se fosse la sua ultima speranza. Stavano tremando e quando si accorse che, alzando lo sguardo, anche la strada sembrava tremare, frenò. Convenne con se stesso che se non si fosse fermato all'istante, sarebbe svenuto rischiando di fare il doppio favore a Cordano.

Accostò vicino alla zona boschiva di Lake Baenue, riconoscendo il piccolo lago che si trovava in linea d'aria esattamente a metà tra Cheltenham e Burford. Sì, avrebbe potuto permettersi un ritardo sulla tabella di marcia. Una breve pausa, giusto per recuperare le energie per terminare quel maledetto viaggio.

"Lake Baenue?" chiese Taylor. "Non è dove c'è quello storico chiosco di cioccolata calda?"

Ricordava i giorni di San Valentino passati con Amanda a riscaldarsi lo stomaco mentre una Allyson di dieci anni già volteggiava sul laghetto ghiacciato, supportata dal padre.

"Sarebbe davvero utile che ci fosse ancora." biascicò Jeremy uscendo dall'auto e inspirando a pieni polmoni il freddo ossigeno emanato dagli alberi lì intorno.

Si appoggiò alla fiancata con la schiena e si passò una mano tra i capelli biondi mentre con l'altra si sfiorava il petto all'altezza del cuore. I suoi battiti erano sempre stati piuttosto lenti, ma quando l'anemia da cui era affetto non veniva tenuta sotto controllo, questi sembravano quasi inesistenti.

Si sentiva debole e sotto pressione, sfinito.

I medici, quando ancora qualcuno si prendeva cura di lui e si preoccupava di accompagnarlo all'ospedale, gli avevano sempre raccomandato una pastiglia ogni due settimane perché il suo caso era uno di quelli gravi e non doveva prendersi sotto gamba.

Senza abbastanza zucchero e ferro in corpo sarebbe svenuto e con un taglio avrebbe rischiato di morire per dissanguamento. Naturalmente era sempre riuscito a scamparla rubacchiando qua e là confezioni del medicinale, ma ora che le pastiglie erano finite, come anche tutte le energie che gli rimanevano in corpo, sentiva che anche l'anemia stava diventando uno dei suoi innumerevoli nemici.

Sarebbe almeno riuscito a mettere in salvo Taylor?

"Che ti succede?"

Trovarsela davanti agli occhi l'aveva fatto ancora una volta sussultare.

"Niente."

La ragazza lo guardò così male che rivide per un attimo quella strega travestita da suora a cui aveva alzato la sottana quando andava all'asilo. Ottimo, ora aveva anche le visioni.

Taylor si alzò sulle punte e si allungò verso la sua fronte. In un gesto che lo sorprese, ci posò sopra le sue labbra. Ecco, ora sì che il cuore batteva veloce.

"Che cosa...?"

"Sento se hai la febbre. Hai la febbre." decretò lei, senza ombra di dubbio nella voce.

"Sciocchezze."

"Ti sei fermato perché ti senti male."

"No."

"Guido io."

"Che cosa??"

Lo sguardo sconcertato di Jeremy si posò su di lei come se si fosse appena proposta di accompagnarlo in una scampagnata sulla Luna.

"Hai un aspetto terribile, Jeremy." spiegò corrucciando le sopracciglia.

"Grazie per il complimento." ritornò stabile sui suoi piedi e le prese le spalle. "Ma brutto o bello, sono io quello che guida. Non voglio morire spappolato contro un albero."

"Divertente."

"E poi non sai neanche la strada. E non mi fido di te."

"Bene. Allora rimaniamo qui a trasformarci in ghiaccioli malati e orgogliosi."

"Senti." tagliò corto lui, pensando alla soluzione più saggia. "Io ho bisogno di una di quelle cioccolate di cui parlavi e sono sicuro che tu vuoi provare i tuoi nuovi pattini sul lago. Tutti e due ora prendiamo una pausa e poi si riparte con destinazione Burford. Basta con le iniziative patriottiche, Giovanna D'Arco."

"Perché mi parli come se fossi una demente?" si divincolò lei, irritata.

"Giovanna D'Arco era una demente."

"Giovanna D'Arco era un'eroina!"

"Sentiva le voci."

"E ha salvato la Francia."

"Ed è morta bruciata."

"Ma ora tutti la ricordano."

"...come una povera demente."

"Come un'eroina!"

Taylor lo guardò offesissima, ma parve che ciò lo dilettasse molto, per cui, dopo essersela spassata con una risata, la prese per un polso e la guidò fino al chiosco di cioccolato caldo, cominciando già a sentirsi meglio.

Quando cadde per la terza volta, Taylor desiderò di sprofondare nell'acqua gelida, piuttosto che ascoltare la risata melodicamente divertita di Jeremy.

Sbuffò e a fatica ritornò alla posizione eretta che difficilmente riusciva a mantenere per due minuti. Fortunatamente erano i soli in quel posto, salvo per il vecchio Sullivan, il proprietario gentile del chioschetto.

Era bastato che si nascondessero dietro sciarpe e cappucci perché l'ormai ottantenne sdentato non li riconoscesse e dopo aver finalmente riempito i loro stomaci con qualcosa di caldo e dolce, facesse pure lo sconto per loro.

Dopo quell'ottima cioccolata, Taylor aveva indossato i pattini e, convinta che fosse fattibile, si era precipitata sulla superficie ghiacciata del Baenue. Pessima idea.

Non aveva fatto i conti con la sua goffaggine e la totale mancanza di coordinazione. E ovviamente il ghiaccio scivoloso.

"Dai, dammi la mano." Jeremy l'aveva raggiunta e le aveva offerto un appiglio, prevedendo a breve un'ennesima rovinosa caduta. Forse non serviva nemmeno tentare di salvarle la vita, perché continuando così, si sarebbe ammazzata da sola.

Ma a Jeremy ciò faceva ridere e la trovava di una tenerezza disarmante, purtroppo.

"Ce la faccio." bofonchiò lei tentando di avanzare graziosamente.

Al biondo riusciva davvero difficile trattenersi; non avrebbe voluto riderle in faccia, ma Taylor era semplicemente negata. Persino aggrappata come un'ancora al suo braccio vacillava sui suo stessi piedi.

"Non mi aiuti prendendomi in giro, sai?" ringhiò lei cercando di sembrare disinvolta. Si sarebbe davvero scompisciata dalle risate a vedere lui nella situazione inversa, invece che con le sue comodissime scarpe a suole piatte.

"Credo che tu abbia un talento nascosto." ribatté Jeremy, tenendole saldamente la mano mentre molto lentamente lei pattinava in avanti. "Molto nascosto."

"Nascosto come il tuo senso dell'umorismo?" la ragazza rispose a tono.

Jeremy stava per controbattere qualcosa di altrettanto arguto, ma il ghiaccio lo tradì e lo fece scivolare all'indietro, facendolo finire con la schiena a terra e con una ragazza sulla pancia. Nella caduta, infatti, aveva trascinato con sé la povera Taylor, che se fino a ora si era presa della scoordinata, per lo meno adesso aveva avuto la sua rivincita.

Il biondo, schiacciato dal peso della ragazza e dolorante per la botta contro il durissimo suolo, le era almeno servito da cuscino e ora si trovavano esattamente l'una sopra l'altro, petto contro petto.

Taylor, preoccupata, tentò di rialzarsi, ma ottenne solo un ulteriore scivolone per ripiombare sopra la pancia di Jeremy.

"Sei un elefante coi pattini!" sbuffò lui, respirando a fatica.

"Certo, sono stata io a trascinarti per terra, vero?"

"Beh, sicuramente non sei un modello di agilità e leggerezza."

"Senti che stronzo!" lo guardò infuriata per scoprire che a sua volta anche lui la stava osservando come quel giorno a Stroud, in cui si era meravigliata di vedere per la prima volta Jeremy divertirsi.

Non seppe perché, ma quell'espressione serena la contagiò e si aprì in un sorriso che di arrabbiato aveva ben poco.

Ben presto finirono entrambi con le lacrime agli occhi dalle risate; la scena davvero paradossale era ciò che ci voleva per allentare tutta quella tensione e, sì, tutti e due avevano bisogno di lasciarsi andare così, come se fossero due semplici ragazzi a un semplice appuntamento.

"Lor, mi stai spappolando un polmone." riuscì a dire Jeremy, tra un respiro affannato e l'altro.

Così si misero d'impegno per districarsi e sedersi a bordo lago, l'una ancora con i pattini, l'altro con un ritrovato rossore sulle gote e l'aria tutta felice.

Eh sì, a quanto pareva un po' di zucchero e la presenza di Taylor erano bastati come toccasana per il suo fisico e aveva deciso di godersi appieno quegli ultimi momenti di spensieratezza, sperando di conservarli per sempre anche quando sarebbe tutto finito.

Magari avrebbe fatto come con sua madre, avrebbe cercato di dimenticare in fretta e mettere per sempre da parte le emozioni, ma era sicuro che non ci sarebbe mai riuscito. Non una seconda volta.

"Non imparerò mai a pattinare." esordì lei avvolgendosi le ginocchia in un abbraccio.

"Mai dire mai, principessa." ridacchiò lui. "Ricordati che ho bisogno di un insegnante."

"Jeremy, tu hai bisogno di un miracolo." ribatté sarcastica.

Jeremy infilò la mano nella tasca dei jeans e ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino. Fumare, un vizio che gli aveva trasmesso un senzatetto ancora quando aveva quattordici anni. Una delle poche cose, seppur anch'essa sbagliata, che lo faceva sentire un comune ventiduenne.

"Vuoi?" chiese offrendone una a Taylor e ricordando immediatamente il primo giorno di quella avventura, al distributore automatico. Sapeva da quella volta che lei l'avrebbe rifiutata.

"Sei scemo, Jeremy?"

"È vero, è vero...gas nocivi nei tuoi polmoni." la citò roteando gli occhi.

"No, Jeremy. Sei scemo perché sei malato e ti metti a fumare. Già che ci sei fammi guidare la tua macchina e lascia che ti spappoli contro un albero, tanto che differenza fa?"

Jeremy non poté fare a meno di alzare le sopracciglia e guardarla con una certa sorpresa. Sembrava quasi...arrabbiata?

"Ehi. È solo una sigaretta." la svalorizzò accendendola ed emettendo la prima densa nuovoletta di fumo.

Taylor non poteva sapere quanto gli piacesse. Certo, Jremy non poteva fumare molto spesso, se non aveva l'occasione di rubare le sigarette, ma quando ne aveva qualcuna tra le mani, poteva dirsi felice. Per lui fumare una sigaretta era un momento di cui godere, un tempo brevissimo in cui essere tranquilli, normali, in pace. Jeremy adorava soffermarsi a osservare i ghirigori biancastri che vorticavano davanti ai suoi occhi per sfumare e confondersi con il colore del cielo. Era il suo momento di quiete, non aveva nient'altro che la sciarpa di sua madre e le sigarette rubate.

Taylor tossì, coprendosi il naso con la manica: "Perché sei così masochista?"

Jeremy rise di nuovo, trovando quasi irritante che fosse adorabile anche mentre cercava di fare la mammina. A pensarci bene, non trovava occasione in cui non fosse adorabile.

"Dovresti provare a sentire il sapore del fumo, Lor." le suggerì, sapendo, per com'era fatta, che non avrebbe mai osato. "È un sapore così contro le regole, ma che allo stesso tempo lascia il buono in bocca."

La ragazza si tolse la sciarpa dal naso e si avvicinò a lui per testare quel fantomatico sapore, ma l'unica cosa che sentì fu un fastidioso odore di cenere insidiarsi nei polmoni e tossì di nuovo: "È disgustoso."

"Non ho detto odore, Lor." ripeté lui dolcemente, osservando la punta arrossata del suo naso. "Il sapore è totalmente diverso."

"Oh, certo." lo prese in giro. "Il sapore della cenere e del pericolo di morte devono essere favolosi."

"A volte con il pericolo di morte puoi giocare. Se sei bravo abbastanza, non muori."

"Jeremy, tu mi sembri proprio sull'orlo della morte."

"Eppure sono qui." sorrise, enigmatico. "Forse è proprio perché volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."

"Il sapore di una sigaretta è così buono da mantenerti in vita?"

"Il sapore di tante cose assieme."

"Non ti credo."

"Allora prova."

Taylor avrebbe voluto dire a quell'idiota masochista che lei non avrebbe mai osato provare a fumare, ma non ci riuscì. Perché Jeremy si sporse dolcemente sul suo viso e la baciò.

Sembrava impossibile, ma era l'unica persona oltre a lei in quel lago e quindi il bacio non poteva che essere suo. Era così sorpresa che per un attimo fu presa dal panico, ma la sensazione passò subito, per il semplice fatto che il tocco di Jeremy era il più dolce che avesse mai sentito.

I suoi occhi si chiusero per assaporare al meglio quell'inaspettato contatto e si sentì improvvisamente pervasa da un'emozione intensa come lo scoppio di un fuoco d'artificio; un'esplosione di gioia che le fece quasi male al cuore e benissimo all'anima.

Stava baciando Jeremy Parker.

Le labbra del ragazzo erano morbide e calde contro le sue e il suo respiro le accarezzava il viso così delicatamente che le venne spontaneo allungare una mano per stringerla attorno a un lembo della sua giacca, una silenziosa preghiera che quel contatto durasse il più a lungo possibile.

Le stava piacendo più di quanto avrebbe potuto immaginare e aveva improvvisamente capito a cosa si riferisse Jeremy con quel sapore di tante cose assieme.

Il suo cuore sembrava voler rompere la gabbia toracica, così forte che il battito le invadeva le orecchie e la mente, sempre più inebriata dai modi e dai ritmi di Jeremy. La mano fredda del ragazzo era scivolata lentamente tra i suoi capelli, sciogliendo la treccia che si era fatta quella mattina e facendo scendere i ciuffi sulla sua pelle, la voglia di essere scaldato e di sentire la morbidezza di Taylor ovunque potesse.

La attirò ancor più a sé, mentre le loro lingue si accarezzavano sapendo di essere perfette le une per le altre, come due pezzi complementari di un puzzle, ritrovati in mezzo a mille altri.

Non ce l'aveva fatta, Jeremy.

Aveva permesso che la parte debole di sé avesse il sopravvento su quella forte e si era lasciato trasportare da un sentimento nuovo per lui, finalmente, dopo giorni che desiderava farlo.

Il profumo di Taylor gli invase le narici, colpendogli la memoria, colpendo il cuore, che adesso sembrava traboccare di vita.

Sentiva le gambe molli, ma non per l'anemia: la causa era Taylor e quella sovrabbondanza di amore che si era ritrovato a provare per lei. Quasi gli veniva da ridere; sembrava tutto così semplice con lei accanto, sembrava tutto così bello e buono, sembrava che niente avrebbe mai potuto andargli storto, per il semplice fatto che lui era innamorato.

Che buffo, Jeremy si era innamorato, qualcosa che suonava talmente inadeguato a lui!

Eppure, smise di baciarla solo perché era a corto di fiato.

"Allora, principessa. Che cosa ne pensa di questo sapore?" quasi sussurrò, posando le sue iridi chiarissime sul viso confuso di Taylor, le palpebre ancora socchiuse e le labbra arrossate.

Lei ci mise un po' per riprendersi: ancora la mente era scollegata, immersa nel tepore di una sconvolgente sensazione e nella consapevolezza di aver amato quel bacio dal primo all'ultimo istante.

Si schiarì la voce, cercando una certa stabilità per poter almeno mettere in fila una manciata di parole: "Come...come dicevi tu. Così contro le regole, ma che...che allo stesso tempo lascia il buono in bocca."

Le sorrise, afferrando di nuovo il pacchetto e porgendoglielo: "Vuoi una sigaretta?"

"Una sigaretta no, ma magari un altro bacio sì." Taylor non riuscì a trattenersi e quando capì di averlo detto davvero, arrossì di botto. Un applauso alla sfacciataggine, si disse.

Jeremy rise e la guardò in un certo senso compiaciuto, ma anche consapevole che così facendo stava solo complicando la situazione.

"Perché sei così masochista?"

"Perché mi hai baciata?"

Aprì la bocca per rispondere, ma di fatto da quelle labbra non uscì che una nuovoletta di ossigeno condensato. C'erano mille motivi che potevano essere riassunti in due bravissime parole, ma di certo non poteva pronunciarle. Non proprio ora che era arrivato fino a quel punto.

"Io...credo che sia stato un addio opportuno." disse deglutendo la voglia di prendersi a schiaffi.

Taylor abbassò lo sguardo, annuendo appena, mentre il vento muoveva i ciuffi castani sul suo viso: "Ho sempre odiato gli addii."

Il ragazzo si trovò assolutamente d'accordo: "Anch'io."

"Jeremy, tu...non provi nulla per me?"

Ecco, gliel'aveva chiesto. Diretta come un proiettile, mirando al punto. Era una domanda senza scampo, per cui una volta saputa la risposta, avrebbe potuto mettersi finalmente il cuore in pace.

"No." fu la risposta di Jeremy, altrettanto diretta.

Annuì di nuovo, stavolta trattenendo una lacrima: "E se tu...se non fossimo in questa maledetta situazione, tu proveresti qualcosa per me?"

Sembrava quasi una supplica, la voce sommessa e lo sguardo tremulo, lucido, immerso nel suo. Provava a leggere la vera risposta nei suoi occhi, cosa in cui era diventata piuttosto brava, ma sembrava davvero dannatamente impossibile questa volta.

Jeremy si era già enormemente pentito per quel bacio. Aveva ottenuto solo sofferenza, sofferenza in più da aggiungere a tutta quella che già le aveva impartito. Era uno stupido, un idiota, un povero maschio che si faceva mettere k.o. dai sentimenti.

Forse fu per quello che le rispose di no, anche se la vera risposta sarebbe stata sì. Sì, avrebbe provato qualcosa per lei e lo avrebbe fatto incondizionatamente dal dove, il come e il se. Purtoppo però, in quel momento erano tre incognite fondamentali e non poteva certo trovare una soluzione non sapendo il loro valore.

Non poteva dirle che l'amava, perché sennò né lei e né lui sarebbero sopravvissuti.

Taylor sorrise amaramente come aveva fatto la sera prima e si portò i capelli dietro all'orecchio: "Sei un rapitore orribile, Jeremy."

Anche lui assunse la medesima espressione: "E tu sei la ragazza più sbagliata del mondo. Avrei davvero voluto rapire Tessy, almeno non sarebbe stata così bella, così gentile e così intelligente da farmi sembrare uno stupido mostro senza sentimenti."

Taylor alzò gli occhi su di lui e gli regalò lo sguardo più bello del mondo.

Non disse nulla, ma capì molto e sentì l'impulso di ritrovare quel contatto di labbra.

Portò una mano dietro il collo del ragazzo e attirò a sé il suo viso con l'altra.

Al contrario di ciò che si sarebbe aspettata, lui non si oppose a quel bacio, ma lasciò che tutto il suo corpo si infiammasse di nuovo, come benzina fredda che aspetta solo che il suo fiammifero le cada sopra.

Labbra roventi in quel gelido dicembre che anche solo sfiorandosi, emanavano lingue di fuoco. Si accarezzavano prima dolcemente, poi con passione, senza mai staccarsi le une dalle altre, perché il freddo non piaceva a nessuno dei due, ma ancora di più perché non c'era nessuno a impedirlo.

Nessuno che volesse separarli in quel momento, solo loro due e quel bacio, molto meno innocente del primo, che non voleva mai finire. Jeremy non si era mai sentito così nel baciare una ragazza, non aveva mai sentito quella reazione chimica che si aveva solamente tra due determinati elementi.

"Ci sono cose che capisci dopo averle provate sulla tua stessa pelle" gli diceva sua madre e ora lui aveva colto il senso della frase. Certo, Madre Natura era stata piuttosto stronza a scegliere proprio Taylor come suo elemento compatibile.

Se all'inizio gli avessero detto che Taylor Heavens, l'irritante principessina, sarebbe riuscita a cambiarlo così tanto in meglio, si sarebbe fatto una grassa risata. Non lo credeva ancora possibile, in effetti, il modo in cui era riuscita a sconvolgergli la vita. Anche se niente si era ancora risolto, sentiva che qualsiasi cosa fosse accaduta, gli sarebbe comunque rimasto quel ricordo, quell'amore che l'aveva migliorato, che l'aveva fatto ridere e aveva colorato il grigio in cui viveva da anni.

Forse un semplice "grazie" non sarebbe mai bastato. Forse non le avrebbe mai detto "ti amo", non direttamente, ma era quello che sentiva e che avrebbe sempre portato con sé, come un polo con il suo polo opposto, come un lucchetto con la sua chiave.

"Promettimi una cosa." sussurò Taylor appoggiando la fronte alla sua, il fiato corto. "Promettimi che qualsiasi cosa dovesse succedere, ti farai aiutare. Che cercherai di migliorare la tua vita. Sono certa che quando mamma e Oliver sapranno la verità, saranno disposti a darti una mano e-"

"Te lo prometto." la zittì prima che parlasse oltre.

Sapeva che non l'avrebbe mantenuta, quella promessa, ma ormai era abituato a dire bugie importanti. Avrebbe fatto il possibile perché lei si dimenticasse di lui per sempre e viceversa. Punto e basta.

"Ok..." annuì la ragazza, sollevata. "Ok, Jeremy."

"Andiamo." disse allora lui, scostandosi finalmente da lei con enorme rammarico. "Si sta facendo tardi."

Si alzò in piedi e le porse la mano, aiutandola a mantenere l'equilibrio sui pattini, finché non poté indossare di nuovo le scarpe. Ritornarono alla macchina così, mano nella mano, persi ognuno nei propri pensieri, a loro volta persi in quel sapore di tante cose assieme che era rimasto nelle loro bocche.


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"Pronto?"

"Edoardo Cordano?"

"Dipende."

"Stanno andando via da qui."

Il silenzio dall'altra parte fece intendere che l'interlocutore si aspettava maggiori informazioni per essere sicuro di poter parlare.

"Lake Banue, sono diretti a Nord."

"Sullivan, sei tu, vecchia carcassa!" Cordano parve sollevato, ma anche arrabbiato. "Quante volte ti devo dire di farti riconoscere subito quando mi telefoni?"

Di sicuro una chiamata dalla polizia era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento e aveva paura che sarebbe capitata a momenti.

"Scusami, Edoardo, ma avevo fretta di parlare." rispose il vecchio, seguendo con lo sguardo il ragazzo biondo che faceva salire la Heavens in macchina con fare premuroso. "Non puoi credere a quello che ho appena visto."

"Sono tutto orecchi, Sullivan."

"Sembra che il caro Parker abbia veramente un problema ad eseguire il tuo semplicissimo ordine."

"Ovvero? Non giocare a fare il misterioso, vecchio della malora. Sai che sono nella merda fino ai capelli per colpa di quel figlio di-"

"Sono innamorati."

"...prego?"

Il vecchio cioccolatiere ridacchiò mettendo in mostra gli ultimi tre denti che componevano il suo sorriso: "Cosa ti aspettavi? Sono due giovani, Cordano. Sono predisposti a credere nell'amore eterno e puttanate del genere, non hanno ancora capito che a questo mondo contano solo i maledettissimi soldi."

"Sei sicuro di quello che dici, vecchio?"

"Ti può bastare sapere che si sono baciati e che si tengono per mano?"

"Dove hai detto che sono diretti?"

"Verso Nord, con una Fiat ammaccata di almeno due secoli fa."

Dall'altoparlante del telefono si sentì il rombo di un'automobile messa in moto.

"Hai intenzione di seguirli?" chiese Sullivan, divertito dall'astio che traboccava dal fare di Cordano.

"Sì." rispose quest'ultimo. "Ho in mente per la nuova coppia un regalo bello da morire."


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"Tante cose insieme" credo che si spieghi da solo XD

Anche per questo capitolo ho un debole e credo che il primo bacio tra i due sia il più romantico che io abbia mai scritto nella storia della mia vita.

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Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò la vostra iscrizione a Grammaticalmente Scorretti 

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Capitolo 11
*** Fatal Encounters ***


All I want - 11.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Fatal Encounters********

Allyson si svegliò sentendo suonare il suo telefono.

Si sporse sul comodino e lo afferrò per non perdere la chiamata: "Pronto?"

Si mise a sedere tirandosi le lenzuola per coprire il petto nudo, stando attenta a non svegliare Alex, angelicamente addormentato con la bocca socchiusa e una mano sul suo cuscino.

"Ally, sono io. Come stai?"

"Richard!" gioì a bassa voce. "Credevo che non potessi chiamarmi prima di domani."

"Come si fa a stare lontani dalla tua voce?" ridacchiò il fratello.

"Il solito adulatore." Allyson scosse la testa sorridendo. "Come stai?"

"Alla grande, sono di turno a Bourton e mi chiedevo se avessi tempo per passare a prendere il tuo regalo di Natale."

Alex si mosse leggermente, spostando la mano dal cuscino e portandosela accanto al viso. La ragazza scese lentamente dal letto, coprendosi con la prima vestaglia che trovò nei paraggi e uscendo dalla camera. In salotto la luce della vigilia di Natale filtrava attraverso le tende e, scostandole, osservò il paesaggio fuori, imbiancato in una suggestiva giornata di sole.

"Certo che verrei. Molto volentieri, Richie." rispose appoggiandosi al vetro e seguendo con gli occhi i due bambini che si prendevano a palle di neve sulla strada, ricordando quando quei due bambini erano lei e suo fratello, congelati fino all'osso, ma troppo felici di trovarsi nella neve fino alle ginocchia.

"Che ne dici di trovarci al nuovo caffè? Quello che ha appena appena aperto vicino alla stazione."

"Perfetto. Tra una mezz'ora ti raggiungo. Ti devo assolutamente presentare una persona, Richie." squittì, eccitata.

Richard si morse il labbro. Aveva sempre paura di fare conoscenza con persone sbagliate, ma non riusciva a dire di no ad Allyson: "Spero solo che non sia un pezzo di stronzo, oppure sai che faccio presto a spaccargli-"

"Sempre con queste manie da patriarca, Richard!" alzò la voce, in difesa del suo Alex, che di stronzo aveva ben poco: "Vedrai che farete amicizia in quattro e quattr'otto."

"Allora è davvero un ragazzo..."

"A dopo." sbuffò lei scuotendo la testa e chiudendo lo schermo del cellulare con uno scatto. Questo aspetto del carattere di Richard le aveva sempre dato fastidio. Non serviva a nulla fare l'iperprotettivo quando era stato lui il primo ad abbandonarla quando era una ragazzina innamorata del suo fratellone!

Si pentì subito del suo egoistico pensiero. In fondo, lui gliel'aveva sempre detto che sarebbe scappato per vivere la vita che voleva. Che colpa poteva fargliene?

"Ally." Alex entrò in cucina con i capelli neri arruffati e il cuscino ancora stampato in faccia, incurante di indossare solo un paio di boxer.

Per quanto la vista del suo ragazzo a petto nudo la allietasse, Allyson decise di voltargli le spalle e scaldare un buon tè: "Buongiorno, Bella Addormentata. Dormito bene?" gli domandò.

Il ragazzo diede un'occhiata fuori, riavvolgendo il nastro fino alla sera scorsa, quando, dopo aver chiamato Jeremy per tenerlo aggiornato da Bourton, era salito da Allyson, la casa vuota perché i genitori erano partiti qualche giorno verso una località montana.

"Beh, si può dire che ho preferito la parte prima del dormire."

Allyson sorrise, arrossendo: "Effettivamente è piaciuta molto anche a me..."

La raggiunse cingendole la vita e lasciandole un bacio sul collo, mentre lei riempiva le due tazze: "Chi era al telefono?" sussurrò solleticandole l'orecchio.

"Mio fratello." rispose lei. "Oggi te lo faccio conoscere."

Alex storse il naso: "Spero che non sia il tipico fratello geloso."

Allyson smise all'istante di versare il tè nelle tazze.

Si divincolò dalla stretta del ragazzo e sbatté la teiera sul ripiano, irritata: "Voi maschi siete tutti caproni uguali!" esclamò prima di andarsene nella stanza a fianco sbattendo sonoramente la porta. Alex pensò che fosse in quel periodo del mese, non vedeva altre soluzioni.


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Jeremy diede un'occhiata al contachilometri, calcolando che ce l'avrebbe fatta senza problemi a raggiungere Burford nei tempi che aveva prestabilito.

Mancavano solo un paio d'ore e poi sarebbe tutto finito.

Jeremy amava Taylor. L'aveva capito nel momento in cui l'aveva sentita piangere sulla panchina di villa Heavens, l'aveva rinnegato tutte le volte che si era sentito bene con lei e l'aveva accettato solo la sera prima, quando l'aveva baciata.

Gli sarebbe piaciuto farlo di nuovo e continuare a farlo per tutta la sua vita, ma la sua vita era un fottuto casino e non poteva uscirne così per magia.

E adesso, proprio adesso che aveva aperto gli occhi, avrebbe dovuto forzatamente richiuderli e tutto perché non era concepito che lui fosse felice.

Aveva preso una decisione: aveva deciso che avrebbe considerato quel bacio come una piccola défaillance, che avrebbe dimenticato la sensazione che gli aveva invaso il cuore, che avrebbe finto che quel periodo della sua vita non fosse mai esistito e forse sarebbe stato capace di continuare senza fare appello al passato.

Si sarebbe concentrato su se stesso e non avrebbe mai più lasciato che una persona influenzasse la sua esistenza, mai più. Sarebbe ritornato il vecchio Jeremy egoista, che non si preoccupava di nessuno fuorché di se stesso e che non usciva di senno per una semplice ragazza.

Taylor si mosse sul sedile e con un sonoro respiro aprì gli occhi.

Il ragazzo le lanciò una rapida occhiata, senza dire nulla. Era ancora nel pieno della fase di rinnego dei sentimenti.

"Che ore sono?" biascicò lei, stropicciandosi gli occhi.

"Le dieci."

Taylor si sistemò sul sedile, guardando la strada e riconoscendo la statale che conduceva alla parte a Nord della regione: "Nevica da molto?"

"No."

"Sarai stanco di guidare."

"No."

"D'accordo..." la ragazza lo guardò strano, per accertarsi del suo stato. Sembrava normale, se si considerava quel persistente pallore una cosa normale.

"Ehi, oggi è la vigilia!" sorrise, cercando di rendere quell'atmosfera tesa un po' più allegra.

Nemmeno lei si sentiva in vena di festeggiamenti: al solo pensare che entro poco avrebbero dovuto separarsi le si annodava la gola, ma da persona speranzosa quale era, si augurava, fino all'ultimo, che lui cambiasse idea una volta arrivati a Burford.

Ecco, sperava di essere lei a convincerlo a rimanere, aiutandolo a superare tutte le sue difficoltà. Ovviamente Taylor non aveva idea dell'enorme caos con cui Jeremy doveva destreggiarsi per la salvare la propria vita e non solo, non sapeva che per Jeremy, di rimanere, non se ne parlava proprio.

"Ho...qualcosa per te." aggiunse, sorridendo ed estraendo un foglietto ripiegato dalla tasca del cappotto. Glielo porse, notando il suo sguardo smarrito, reso ancora più celeste dal bianco di fuori. Forse non si aspettava che lei avesse un regalo per lui, ipotizzò compiaciuta.

Jeremy prese il foglietto, titubante, e lesse il suo nome su uno dei due lati.

Possibile che stesse davvero ricevendo un regalo di Natale dopo anni?

Lo aprì tenendo un occhio sulla strada e quando vide il suo ritratto disegnato a matita, rimase profondamente colpito dalla perfezione con cui era stato riportato su carta. Se c'era una cosa che non potesse essere rinnegata era il talento di Taylor. Si chiedeva come avesse fatto a intrappolare nella matita tutti quei minimi dettagli che insieme davano un'inconfondibile immagine di un Jeremy sorridente. Era bellissimo; sia il disegno che il soggetto, naturalmente.

"Grazie...wow...beh, è..." difficilmente gli rimanevano in bocca così poche parole. "Non me lo aspettavo."

Taylor sorrise, soddisfatta di aver fatto affluire un po' di sangue a quelle guance.

"D'accordo, sì, me lo aspettavo." la smontò lui. "Erano giorni che ti vedevo disegnare e quando mi hai dato il foglio, ho capito perché. Ma non pensavo fossi così brava. E non pensavo stessi disegnando me."

"Ebbene sì." rimbeccò lei. "Sai com'è, certi sorrisi sono più unici che rari, per cui ho pensato di immortalarne uno per quando sarai il solito stronzo. Sappi che agli altri piaci quando sorridi."

Il ragazzo scosse la testa ridacchiando: "Mi sa che piaccio specialmente a te, mh?"

Taylor arrossì e proiettò lo sguardo sulla carreggiata, fuori dal finestrino.

Era impossibile restarle indifferente, pensò Jeremy, con un ghigno quasi rassegnato e allo stesso tempo divertito nell'osservare come si vergognasse.

"Ehi, ti capisco...è normale perdere la testa quando si ha una meraviglia davanti." rincarò la dose, tanto per vedere l'effetto delle sue parole su di lei. Effetto che amava, perché qualsiasi reazione di Taylor, per lui, era sempre interessante.

La ragazza avrebbe voluto sprofondare. La stava facendo sentire così sciocca: "Io non perdo mai la testa, Jeremy. So sempre quello che faccio."

"Quindi sei consapevole del fatto che io ti piaccia da morire."

"Finiscila!" intimò incrociando le braccia. "Sei tu che mi hai baciata."

"Il passato è passato." la prese in giro.

Lei sgranò gli occhi, offesa e oltraggiata: "Beh, anche quel disegno allora è passato! Ma guarda tu..."

"No, questo lo voglio tenere!" esclamò infilando il foglio sotto al maglione per evitare che lei lo riprendesse. "Immagina quale utilizzo potrebbe farne la polizia, se tu decidessi di farne mostra. Le uniche immagini che hanno di me sono quelle in cui sono un marmocchio con i denti davanti mancanti; non vedono l'ora di farmi un servizio come si deve, magari con un bello sfondo a strisce bianche e nere."

"Sei un barbaro!" esclamò lei, alterata. "Una cosa che ti manca oltre alla gratitudine è il tatto!"

"Però non mi manca il fascino, vero?"

"No, quello no. Ne hai tanto quanto l'autostima. Ehi, potresti aprire il finestrino? Il tuo ego mi sta soffocando."

"Certo, principessa." l'aria gelata irruppe nel piccolo abitacolo rimbalzando contro la faccia della ragazza, spettinandole i capelli.

"Chiudi il finestrino!" pigolò, mentre cercava di tenere a bada i ciuffi volanti.

"Sai usare qualche altro verbo oltre all'imperativo?"

"Sì: vai a quel paese. Imperativo esortativo."

Jeremy rise, alzando finalmente il finestrino e riportando una certa stabilità all'interno dell'auto: "Sei così irritante quando fai la saputella."

"Sei così irritante quando fai lo strafottente."

"Comunque grazie per il disegno."

La ragazza scosse la testa: "Prego, Jeremy." ribatté sarcastica.

Rimasero in silenzio; l'uno con il sorriso (forse era l'unico che i litigi mettessero di buon umore, oppure erano una cosa così normale da fargli scordare tutti gli anormali problemi che doveva sopportare), l'altra a braccia incrociate, buttata giù da una versione del ragazzo che niente aveva a che vedere con quella del giorno prima.

Continuò a pensarci per svariati minuti, godendo del momento di tacita pace che si era venuto a creare: in fondo anche litigare le accendeva quella piccola scintilla nel cuore.

Come i baci, come gli sguardi, come i pianti. Ogni cosa che facessero assieme risvegliava in lei un sentimento nuovo e ininterpretabile. Una specie di bibitone di tutte le emozioni esistenti, una voglia di non fermarsi mai perché quel mix le dava energia.

Gli lanciò un'occhiata, notando che anche lui era distrattamente immerso in qualche pensiero e poi ritornò a concentrarsi sulla strada.

Per fortuna lo fece.

"Jeremy!" gridò, afferrando il volante e sterzando, mentre lui frenava di colpo. I loro corpi vennero bloccati dalla cintura e la botta non fu poi così forte, ma il tonfo che avevano sentito non preannunciava nulla di buono.

"Taylor! Stai bene?"

"Sì, e tu? Chi diavolo era quell'idiota in mezzo alla strada?!"

Jeremy si sporse per vedere meglio chi aveva investito, poi sbuffò seccato: "Un travestito con la barba. Aspetta qui." le intimò slacciandosi in fretta la cintura e scendendo dall'auto.

Si avvicinò all'uomo disteso lungo la carreggiata, vicino al marciapiedi, e si accovacciò su di lui, verificando di non aver fatto danni seri: "Signore, tutto bene?" domandò, più seccato che preoccupato.

Un imbecille travestito da Babbo Natale era l'ultima cosa che gli serviva, dato che si trovava sul filo del rasoio di una missione che non aspettava altro di essere mandata a rotoli da un dettaglio insignificante. Come quell'imbecille travestito.

La vittima tossicchiò rialzandosi a fatica a causa della imponente massa del suo corpo, sputacchiando la neve che gli era entrata in bocca: "La gamba..." si lamentò.

Jeremy controllò l'arto che l'uomo gli aveva indicato. Non scorse nulla di troppo traumatico e dopo essersi accertato che riuscisse ancora a piegare le giunture, si rilassò, tentando di rimettere in piedi quell'omone imponente.

"Ti serve una mano?" la voce di Taylor suonò fin troppo vicina al suo orecchio destro.

"Quale parte di "aspetta qui" non comprendi?" le domandò, mentre issava l'uomo e sbuffava per la fatica.

La ragazza roteò gli occhi e aiutò a sorreggere Babbo Natale, che ben presto ritornò sui suoi piedi, zoppicando leggermente.

"Sono desolato, sono davvero un disastro." tentò di scusarsi. "Sono di fretta perché devo consegnare questi regali e scivolo continuamente sul dannatissimo ghiaccio."

"Ho notato." fu il commento di Jeremy.

"Ero caduto in mezzo alla strada e non riuscivo a fare altro che trascinarmi all'indietro. Ma voi siete arrivati prima che riuscissi a raggiungere il marciapiedi e io un giorno o l'altro la inizierò questa maledetta dieta. Vi ringrazio di aver frenato in tempo."

"Non si preoccupi, piuttosto torni a casa e si faccia controllare da un medico, per sicurezza." gli consigliò Taylor, apprensiva, guadagnandosi un grugnito nell'orecchio da parte di Jeremy. Dopo quella nottata al Diderot, non aveva ancora perso il vizio di parlare a vanvera.

"Non posso." scosse la testa il signore.

"Perché?"

"Beh, perché è la vigilia di Natale e io sono vestito da Babbo Natale." rise lui, facendo vibrare le sue grosse corde, poi prese il naso di Taylor tra l'indice e il medio e lo strinse amorevolmente. "Non è solo un impegno, ci sono venti bambini che mi stanno aspettando da un anno intero con un sorrisone sdentato. Non potrei mai deludere quei sorrisoni."

A Taylor quell'uomo sembrò davvero il Papà per eccellenza e gli sorrise, stregata dal suo modo di fare: "Andrà nelle scuole a dare le caramelle?"

Quando era piccola e andava alle elementari, adorava quel momento.

L'uomo scosse la testa: "No. Sono per i bambini dell'orfanotrofio."

Taylor lanciò una rapida occhiata a Jeremy, che aveva alzato le sopracciglia per la sorpresa. Improvvisamente quell'uomo gli era diventato simpatico.

Lo ringraziò mentalmente a nome di tutti quei ragazzini, a cui si sentiva inevitabilmente vicino, e poi si incantò a guardare i mille pacchi sparsi per il marciapiedi. Taylor avrebbe dato oro per congelare quell'attimo e avere il tempo di immortalare l'espressione di Jeremy in un ritratto. Non gliel'aveva detto, ma aveva fatto due copie del suo regalo. Una l'avrebbe conservata per sempre così da non dimenticare mai il suo volto.

Jeremy si disincantò con un colpo di tosse, poi si diresse verso il regali e li raccolse senza dire nulla, riponendoli frettolosamente nel sacco per restituirli a Babbo Natale.

"Grazie, ragazzo." sorrise lui, mettendo a posto la barba finta e il cappellino rosso. "Non so come scusarmi con voi."

"Non ce n'è bisogno." ribatté. "Riesce ancora a camminare?"

"Oh sì, tutto questo lardo ha attutito la caduta." rise di gusto con quel vocione profondo da perfetto Papà Natale, sistemandosi poco elegantemente i calzoni e rimettendosi il sacco in spalla per andarsene.

Ma quella risata contagiosa si affievolì non appena i suoi occhi appannati dalla neve si soffermarono nuovamente sul viso di Taylor. Rimasero sul volto della ragazza per un po' e poi, come preso da un'intuizione, il suo sguardo saettò verso Jeremy. Poi l'espressione cambiò radicalmente.

"Sa, cara, lei assomiglia talmente tanto a..."

"È vero, glielo dicono tutti. Non è così, Tracy?" Jeremy lo precedette, cingendo la vita di Taylor, sorridente.

"Sì, è vero..." rispose lei, sperando di intuire al più presto il gioco di Jeremy.

L'uomo li guardò confuso e sospettoso: "...a quella ragazza..."

"Già, Tessy Heavens, lei sì che ha talento." proseguì Jeremy, cercando di deviare i sospetti dell'uomo. "Come lei il violino non lo suona nessuno. Strano che la mia Tracy non sia di Bourton, avrebbero potuto essere parenti!"

L'uomo annuì, a corto di parole.

Ritornò a guardare la giovane, che tanto somigliava alla ragazza che era stata rapita nella sua città. In effetti non sembrava tanto una che era stata rapita, così amorevolmente avvolta nelle braccia di quella faccia d'angelo. Sembrava davvero in pace con se stessa, felice, si direbbe, al suo fianco.

Lui gli era sembrato un po' freddo e distante; gli aveva ricordato quel ragazzino che qualche anno prima vedeva sempre all'orfanotrofio durante il suo rituale giro di regali. Era uno dei più grandi e se ne stava sempre in disparte. Assisteva alla sua recita da un angolo con le braccia incrociate e non si lasciava mai avvicinare, nemmeno per riceve il dono che gli spettava. L'uomo aveva sempre intuito la sua voglia di volersi lasciare andare come gli altri e l'enorme bisogno d'affetto che reprimeva. Gli dispiaceva per lui, ma le suore gli avevano sempre detto che era fatto così e non c'era niente da fare.

Era sparito anni fa e non l'aveva più visto, anche se ora gli sembrava di averlo di fronte di nuovo: chissà forse anche lui, come quel ragazzino, era solo una facciata dura, ma non nascondeva nulla se non un amore profondo. Sicuramente per quella ragazza, si disse.

"Tracy non saprà suonare il violino, ma per me rimane la miglior artista del mondo." rincarò Jeremy, per rinforzare la copertura. "Non per niente è la mia ragazza. Vero, Tracy?"

I suoi occhi limpidi andarono a pregare quelli di Taylor perché capisse. Poi si sporse sul suo viso per lasciarle un fugace bacio a stampo sulle labbra, che lei ricambiò con piacere.

"Sei sempre così ammaliante, Ludwig." Taylor sbatté le ciglia, sorridendo esageratamente. "Ma è per questo che ti amo così tanto."

"Ludwig." protestò lui, sibilando a denti stretti mentre sfoggiava un sorriso forzato.

L'uomo li guardava come fossero due pazzi, ma comunque il suo cuore smise di agitarsi per i sospetti e la tensione si sciolse con una bella risata. Era un vecchio miope e sulle nuvole, che aveva appena subito uno shock; il suo sospetto non poteva che essere un'allucinazione. E poi, era sicuro che chiunque avesse avuto davanti non avrebbe potuto rappresentare l'unione di un rapitore con la sua vittima. C'era così tanto amore solo nello sguardo di quei due che come minimo dovevano essere fidanzati da anni.

"Oh, perdonatemi di nuovo." si scusò, allora. "Siete proprio una bella coppia."

"Meravigliosa." commentò Jeremy, guadagnandosi un pizzicotto da Taylor.

Dopotutto lei gli stava facendo un enorme favore; aveva l'occasione di farlo finire dietro le sbarre davanti agli occhi, travestita di rosso e bianco, e non la stava sfruttando. Aveva scelto di fare quella stupida sceneggiata, piuttosto di confermare i sospetti dell'uomo.

"Buon Natale, signore." cercò di congedarsi. "Si riguardi."

"Aspetta, ragazzo!" lo chiamò il Babbo, frugando nel sacco. "Non posso non ringraziarvi almeno con un piccolo dono. I bambini dell'orfanotrofio e io vi auguriamo buonissime feste." sorrise cordiale da dietro le lenti e con le guanciotte rosse, porgendogli un'elaborata sfera con un pupazzo di neve all'interno, abbellita da un fiocco rosso e un ramo di vischio. Era il regalo che aveva sempre tentato di porgere a quel ragazzino prima che sparisse dall'orfanotrofio. Ora l'avrebbe dato a Ludwig, che tanto gli somigliava e a cui augurava davvero il meglio.

"Grazie." soffiò Jeremy, abbassando gli occhi e non facendosi sentire nemmeno da lui.

Il Babbo Natale se ne andò zoppicando e lasciando Taylor con due occhioni dolci e lacrimosi, come una bambina commossa dal regalo più bello che potesse aspettarsi.

Jeremy la guardò, il solito atteggiamento indifferente: "Cos'è, mai visto un tipo che si traveste?"

"No, è che...è stato così carino e gentile..."

"Oh, principessina dell'universo." le cinse le spalle e la strinse a sé con fare divertito. "Domani festeggerai anche tu con regali e travestiti con la barba...te lo prometto."

Tralasciando il fatto che l'avesse chiamata "principessina dell'universo" e che suonasse molto come una presa in giro, Taylor lo guardò da quella posizione, con una voglia pazza di poggiare la testa lì sul suo petto e rimanere ad ascoltare il suo cuore.

"Mancherà comunque qualcosa." si limitò a dire, sperando che Jeremy cogliesse il riferimento.

"Lo so." ribatté lui, fingendo invece di non capire. "Il regalo di Ludwig."

Staccò la foglia di vischio dalla sfera e la infilò nella tasca del cappotto di Taylor: "Fanne buon uso, Lor."

Lei finse una risata, quando invece avrebbe volentieri lasciato che la malinconia s'impadronisse di quella scena: "Grazie."

Risalirono in macchina, un po' infreddoliti e amareggiati. Taylor sapeva che non avrebbe potuto farne così buon uso. Le sarebbe piaciuto vedere quel vischio sopra le loro due teste, ma il fatto che Jeremy le avesse indirettamente suggerito di utilizzarlo con qualcun altro l'aveva rattristita enormemente. Non sarebbe mai successo.

Jeremy mise in moto e sospirò.

Burford era vicina. Il momento in cui avrebbero dovuto dirsi addio ancora di più.


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"Mi raccomando, Alex." la voce di Allyson era in qualche modo minacciosa. "Niente battute ingrate, niente occhiate troppo lunghe e niente domande strane."

Il ragazzo annuì, salendo la vietta che conduceva alla caffetteria.

"Comportati bene e sicuramente vi piacerete a vicenda."

Si passò una mano nei capelli forse un po' troppo lunghi per lui e annuì ancora.

"Hai capito, Alex?"

"Sì, perbacco, Ally." esclamò allora, sbuffando. "Che sarà mai, un mangiafidanzati?"

La ragazza gli lanciò un'occhiata truce e si fece strada camminando più velocemente fino a raggiungere la porta che era stata decorata con una scritta di buone feste: "Non mi fare pentire di essere tornata assieme a te."

Lui le fece il verso, pensando che nonostante tutto, a volte fosse proprio paranoica.

La seguì nel caldo ambiente di paese, riempito da qualche anima in giro per gli ultimi affrettatissimi acquisti di Natale e avvolto in un invitante aroma di caffè.

Al bancone stava seduto un ragazzo robusto, con una barba di parecchi giorni e i capelli ricci e crespi spettinati sulla fronte. Sembrava avere gli spilli sulla sedia, stava come pronto allo scatto, impaziente di vedere la sorella dopo tempo che non si incontravano.

Aveva un pacchetto rosa in mano, contenente un grazioso cappello di lana del medesimo colore, che aveva scelto con l'aiuto di ben due commesse per paura di deluderla. Era agitato il triplo del solito: non solo aveva una paura folle che Allyson sospettasse che lui fosse coinvolto nel rapimento della sua migliore amica, ma doveva inoltre sopportare la presenza di un intruso.

La sola idea che qualcun altro potesse condividere con lui la sua intoccabile sorella gli faceva rivoltare lo stomaco e il fatto che molto probabilmente questo individuo sarebbe stato addirittura più presente di lui nella sua vita gli faceva venire voglia di prenderlo a sprangate a priori.

In più, da quando l'aveva vista piangere alla televisione a causa in minima parte sua, si era ammattito così tanto che aveva quasi cambiato idea sul fronte rapimento. Ovviamente il mirabile Cordano non gli aveva lasciato scelta e quindi ora si trovava lì con un senso di colpa grande quanto quella caffetteria.

"Richie!"

La sua testa si girò di scatto per incontrare l'esile figura della ragazza, radiosa nel suo cappotto beige. Si alzò e le corse letteralmente addosso, abbracciandola con impeto e stringendola così forte che i suoi piedi si sollevarono da terra e incominciò a tossicchiare: "Non sono un orsacchiotto di peluche, Richie. Potresti rompermi."

Allentò la presa baciandole la fronte: "Mi sei mancata, Ally."

Alex li raggiunse in quel momento, non aveva voluto rovinare il melodrammatico incontro, ma appena si fece più vicino i suoi occhi si assottigliarono, seguendo quel profilo barbuto e scannerizzando quell'immagine stranamente familiare.

"Anche tu." sorrise la ricciolina, poi accennò ad Alex. "Ecco, lui è ragazzo che ti volevo presentare, Richie. Si chiama Alex."

Fu una specie di esplosione atomica l'incrocio tra gli sguardi dei due ragazzi. Un silenzio tombale piombò nel bar, come in ogni film che si rispetti, e persino l'aria sembrò gelare all'istante. Qualcuno avrebbe potuto giurare di aver sentito un tuono all'esterno.

"Tu." una sola sillaba che sembrava traboccare di disprezzo da parte di Richard.

"No, dimmi che non è vero..." era impossibile per Alex accettare che quel verme avesse lo stesso sangue dell sua Allyson. Non voleva credere ai suoi occhi.

Proprio quest'ultima impallidì e fece spola con lo sguardo tra la figura dell'uno e l'altro.

"Quel Richard." ringhiò Alex sentendosi sormontare dalla rabbia e dal rancore di quel giorno all'hotel in cui aveva dovuto ricorrere alle mani per impedirgli di aprire la porta del bagno mentre Taylor stava facendo una doccia.

"Quell'Alex." a dire il vero Richard non ricordava nemmeno il suo nome, ma il viso di quello stronzo lo aveva irritato la prima volta che si erano visti e continuava a irritarlo anche in quel momento con crescente intensità.

"Dimmi che questo porco non è davvero tuo fratello." Alex si rivolse ad Allyson, facendole aprire la bocca con incredulità.

"Non ti permettere!" s'indignò lei.

"Allyson, se ti sei davvero fidanzata con questo coglione, hai perso la ragione."

"Richard! Siete impazziti?"

"Coglione, eh?" Alex lo raggiunse con una sola falcata, puntandogli addosso lo sguardo più astioso che avesse. "Prova a ripetere, stronzo."

Richard non ci vide più, era totalmente sopraffatto dalla rabbia, e fu incontrollabile la reazione che lo spinse a colpire il ragazzo dritto al volto, facendolo cadere all'indietro per l'urto.

"Oh mio Dio!" esclamò Allyson correndo in soccorso del suo ragazzo.

Lui la allontanò, scattando in piedi e pulendosi il labbro. Ripagò Richard con la sua stessa moneta, sferrandogli un fortissimo pugno allo stomaco.

La rissa che si scatenò qualche secondo più tardi fu inevitabile. Mentre Allyson e il proprietario della caffetteria pregavano perché la smettessero, i due ragazzi si colpirono a vicenda senza pietà, entrambi non riuscendo a sopportare il fatto che l'altro fosse in qualche modo legato alla ragazza.

Incredibile la voglia che avesse Alex di essere aggressivo con quell'essere, incredibile anche il rancore che provasse nei suoi confronti, non essendo abituato a quel tipo di sentimento. I suoi modi rozzi e pesanti lo nauseavano e l'ipotesi che avessero potuto essere rivolti alla sua Allyson incrementava sempre di più la forza con cui dava pugni a raffica.

"Uscite da qui, oppure chiamo la polizia!" tuonò il proprietario, ottenendo finalmente un po' di ascolto da parte dei due. La polizia non sarebbe stata d'aiuto a nessuno dei due, sicuramente.

Si fermarono guardandosi intorno e notarono le svariate paia di occhi puntate su di loro. Una su tutti, la più sconvolta, ferì profondamente entrambi. Richard avrebbe preferito sprofondare sotto terra.

"Grazie davvero a tutti e due." Allyson aveva un tono che traboccava di delusione, verso entrambi i fronti. Diede loro le spalle e uscì dalla caffetteria con passo veloce e deciso, sentendosi esterrefatta e irrimediabilmente tradita.

Senza pensarci molto, i ragazzi la seguirono, per uscire assieme dalla porta e chiamarla invano, mentre lei non abbandonava i suoi passi.

Alex fece per correrle dietro, ma Richard lo trattenne per la giacca, facendolo cadere di nuovo a terra.

"A lei pensiamo dopo." ringhiò guardandolo dritto negli occhi.

"Immagino che tu sia abituato a pensare a lei dopo."

Alex si beccò un pugno più violento dei precedenti che gli fece sanguinare copiosamente il labbro. Gli aveva fatto male, ma non si era pentito della frase che aveva detto.

"Non azzardarti mai più a dirlo, pezzo di merda!" gli intimò il ragazzo, ormai vinto dalla rabbia.

"È la verità!" si difese Alex, gridando. "Sei uno sporco doppiogiochista, dove trovi la forza di fingere davanti a lei come se nulla fosse?"

"Oh, quindi deduco che tu le abbia raccontato tutto, vero, pezzo di stronzo?" Richard gli si avvicinò, afferrandolo per il colletto della giacca.

Alex tentò di divincolarsi, ma la stretta del ragazzo non ammetteva obiezioni.

"Il tuo amico ti ha scaricato qui perché non gli servi più?"

Richard rise di nuovo, nella sua proverbiale cattiveria: "Che c'è, braccio destro del cazzo, il tuo compagno segreto di scopate ha realizzato che eri un peso morto? Ti ha lasciato in pasto agli squali per potersi dedicare meglio al suo lato etero?"

Alex non rispose, ma gli sputò dritto in faccia; quelle gli sembravano solo cattiverie gratuite. Jeremy non lo aveva abbandonato. Non poteva sapere che Richard era a Bourton.

Richard si ripulì senza smettere di ridere amaramente: "Ti avverto, feccia, prova solo a toccare mia sorella e io ti farò pentire di essere nato."

"A quanto pare tieni davvero tanto a tua sorella, eh? Così tanto che non ti importa di essere un gran pezzo di merda nei suoi confronti."

"Non permetterti di parlare di Allyson e non dirmi come devo comportarmi."

"Certo che ne parlo, invece. Sono il suo fottutissimo fidanzato e la capisco molto meglio di te." lo sfidò, allora, riuscendo finalmente a liberarsi dalla sua stretta. "Lei ti ama perdutamente, ti venera e ti difende. E tu invece non sai e non puoi far altro che nasconderle la verità, farla soffrire e prenderti gioco della sua fiducia. Se è questo il tuo modo di dimostrarle quanto ci tieni, beh allora lasciati dire che non vali niente come persona e come fratello."

Gli occhi nocciola di Richard lampeggiarono e un altro lamento di dolore sfuggì dalla bocca di Alex, dopo essere stato colpito violentemente.

"Chiudi quella bocca, feccia! Tu non sai un cazzo di come tratto Allyson!" gridò guardando il ragazzo a terra in modo quasi spaventato.

Forse le sue parole non erano così insensate, ma erano indicibili. Non era disposto ad ascoltare, tanto meno ad accettarle.

"Beh, a giudicare da come tratti gli altri, Richard..." ribatté il moro rialzandosi in modo traballante.

"Quella ragazza non ha niente a che vedere con Allyson." fu la sua ragione.

Alex rise sprezzante: "No? Sono amiche, sono coetanee e si conoscono da una vita. Se ci fossimo sbagliati e avessimo rapito Allyson? Eh?"

Quella domanda riecheggiò nell'aria, mentre il traffico sembrava essere scomparso e persino la neve aveva preso a scendere più soavemente.

"Se non avessi conosciuto Ally e avessimo preso lei? Se fosse stata lei quella minacciata di non rivedere più la sua famiglia?

E se i rapitori non fossimo stati noi, ma qualcuno di molto più esperto e senza scrupoli?" il petto di Alex si alzava e abbassava a corto di fiato per la lotta, mentre quello di Richard si muoveva alla stessa maniera, in cerca disperata di ossigeno. Le immagini che gli stavano scorrendo nella mente erano a dir poco disarmanti.

"E se fosse stata Ally quella a trovarsi faccia a faccia con uno stronzo della tua portata, in un pub di maniaci alcolizzati, senza la certezza di nulla se non quella di poter morire?"

Lui, a differenza del moro, era molto più pratico del mestiere e conosceva persone davvero capaci di tanto. Aveva visto cose sgradevoli e aveva riso per scongiurare quell'amarezza che ogni volta gli avevano suscitato. In quel momento l'idea che tutto quello che era in progetto per Taylor Heavens avesse potuto riguardare Allyson gli faceva venire i brividi.

"È una merda, vero?" lo riscosse Alex, avvicinandosi.

"Stammi lontano!" gli ordinò, quasi fosse un appestato.

Si stava davvero sentendo male; un senso di angoscia si era insidiato nel suo cuore e non riusciva a scacciarlo. Più pensava alle parole di quel ragazzo, più la sua testa vorticava in preda al terrore e ai sensi di colpa.

"Anche io la amo." continuò Alex. "Non sopporterei che le succedesse qualcosa di brutto. Taylor poteva essere Allyson e sai una cosa? Neanche Taylor se lo merita. Immagina quanto male è stata lontano dalla sua famiglia, immagina la paura che avuto, immagina quella sera al Diderot, Richard."

Il ragazzo indietreggiò di un passo, lo sguardo perso nel ricordo. Aveva scoperto solo pochi giorni prima che quella Taylor era così legata ad Allyson, e si era sentito un verme. Ma non tanto quanto il momento in cui si era rivisto darle della troia e farle assumere un'espressione terrorizzata.

Si era davvero comportato da maiale. Non aveva idea che la ragazza fosse la migliore amica di sua sorella, allora. Forse se l'avesse saputo, qualcosa sarebbe cambiato. Forse no. Forse immaginare Allyson al suo posto, ora, glielo stava facendo capire. Forse realizzare quanto male stesse causando alla sorella lo aveva distrutto sin da quando aveva visto il telegiornale e ora era arrivato al punto in cui non riusciva a sopportarlo.

Ma si era anche reso conto della sua stupidità: chiunque avrebbe potuto essere Allyson e il suo lavoro era proprio quello di rendere la vita difficile a chiunque.

Gli spari, la rissa nel pub, le persone colpite dai proiettili: una ragazza che non c'entrava nulla avrebbe potuto essere uccisa. Perché? Per un capriccio di un animale come Cordano e della bestia che aveva come assistente.

"Immagina che Allyson fosse stata al posto di Taylor." insistette Alex, un rivolo di sangue che scese dal labbro tagliato. "Immagina che uno di quei vermi l'avesse presa e l'avesse violentata."

"Ho capito, basta!" lo bloccò il ragazzo, alzando le mani di fronte a lui come per fermarlo. Era incapace di ascoltare di più. La testa gli stava scoppiando e sentiva un'opprimente sensazione di rimorso e di paura per tutto quello che sarebbe potuto succedere. "Basta." ripeté, in un sibilo straziato.

Alex rimase in silenzio. Per una manciata di secondi si sentì solo il suono dei loro respiri pesanti.

"È vero, ho sbagliato. È questo che vuoi sentirti dire?" quella di Richard era una preghiera perché Alex la smettesse di farlo sentire così sporco e colpevole.

"Sì."

"D'accordo, allora. Lo ammetto. Ho sbagliato."

"Mi sembra impossibile che siate fratelli, perché tu non sei come lei?"

"Che domanda del cazzo, Alex, il braccio destro stupido." s'innervosì di nuovo. "Anche i miei genitori se lo sono chiesti per anni, ma nessuno ha mai capito la semplice e chiara risposta. Io non sono come loro, come gli altri, io sono diverso punto e basta. E tu sei l'ennesimo deficiente che non lo capisce."

"Lo capisco, invece." rispose Alex. "Anch'io sono diverso. Non sono brillante o intelligente come altri, faccio casini in continuazione, ho deluso spesso i miei genitori e...le persone che amo. Ma Allyson è stata capace di farmi sentire speciale lo stesso. Io voglio stare con lei, Richard, anche se a te non va bene. E non mi importa se mi farai pentire di essere nato, sopporterei anche questo per lei."

Richard rimase in silenzio, con uno sguardo impassibile.

"Se per te vale lo stesso, lascia che lei ti migliori." suggerì il moro. "Lascia perdere quella schifezza in cui ti sei lasciato trascinare da Cordano. Fallo per Allyson."

Il riccio si avvicinò ancora ad Alex, che, dolorante e troppo stanco, si lasciò prendere per il colletto senza difendersi: "Sai una cosa, Alex?" gli sputò in faccia con cattiveria, ma con una certa insicurezza nella voce. "Ti credevo inutile, invece sei davvero una spina nel fianco."

Alex alzò le sopracciglia: "Dovrei forse prenderlo come un complimento?"

"Assolutamente no." gli rispose l'altro, recuperando il suo ghigno divertito. "Non ti sopporto e mi fai schifo dal primo secondo in cui ti ho visto, ma se mia sorella ha scelto te come fidanzato, allora deve aver avuto delle ragioni." sorprendentemente gli aveva fatto un sorriso sghembo. "Solo un passo falso, amico, e questa non sarà stata l'ultima rissa tra me e te."

"Idem per te, amico." ribatté Alex, sfidandolo.

"Lo faccio solo per Allyson." tornò a ripetere Richard.

"Io pure."

Sembrò quasi che fosse avvenuto un miracolo. In realtà Richard aveva semplicemente convenuto con le parole di Alex. Aveva esagerato, aveva permesso troppe ingiustizie ed era stato artefice di cattiverie che non sarebbe più stato in grado di ripetere, nemmeno se avesse voluto. In più, c'era qualcosa che gli era venuto in mente, qualcosa con cui davvero poteva dimostrare quanto tenesse a sua sorella e magari impedire che tante persone soffrissero.

"Alex?"

"Sì?"

"Avvisa il tuo amico, non gli rimane molto tempo."


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Mentre la radio trasmetteva il concerto natalizio di una famosissima orchestra a Londra, anche il cellulare di Jeremy suonò, rovinando una bellissima "Silent Night" di viole e flauti.

Taylor si sporse per abbassare il volume e lui rispose, senza nemmeno controllare il numero del mittente.

"Non andare a Burford!" fu la prima cosa che sentì dall'altoparlante.

Allora sì, staccò il cellulare dall'orecchio e controllò di aver riconosciuto bene la voce.

"Alex?"

"Dove siete, Jeremy? Non dovete andare a Burford, allontanatevi subito, non imboccate neanche la statale!"

"Alex, ormai sono all'entrata della città." rispose lui, confuso. "Che succede?"

"Merda. Devi deviare!" gli ordinò l'amico, il tono ansioso e preoccupato. "Hanno capito che ti saresti diretto lì e Cordano ha seminato gente da tutte le parti."

"Come ha capito che...? Che cosa stai-"

"Vogliono uccidervi, porca puttana!" gridò, disperato.

Jeremy trattenne il respiro; si aspettava una cosa del genere, ma non in quel momento, non con Taylor ancora al suo fianco. Pensava di avere il piano perfetto, ma evidentemente c'era stata qualche falla.

"Che cazzo ho sbagliato?!" rimproverò quasi a se stesso. "Sai dove sono?"

"Ci sono circa dodici persone a Burford, come minimo quattro saranno alle porte della città. Ha piazzato gente anche lungo l'autostrada: devi completamente cambiare rotta, Jeremy. Adesso."

Il ragazzo lanciò un'occhiata a Taylor, che cercava di capire qualcosa scrutandolo. Doveva pensare in fretta, ma era difficile pensare in una situazione di quella portata. Ogni possibile soluzione che gli saltava alla mente veniva scartata nemmeno un secondo dopo.

Quando, però, consultò lo specchio retrovisore, ogni singola soluzione esistente diventò impossibile.

Mentre il sangue gli si gelava nelle vene e il cielo gli crollava sulla testa, anche i suoi occhi si inumidirono: non seppe se per la frustrazione o per la consapevolezza che tutto era finito in quell'istante. Non c'era più speranza.

Edoardo Cordano si era appena immesso nella statale e con un'accelerata l'aveva raggiunto, standogli esattamente alle calcagna.

"Grazie, Alex." biascicò mentre tratteneva il nodo della sconfitta nella gola.

"Ti prego, Jerry, allontanati da lì il più in fretta possibile. Anche Cordano è sulle tue tracce, perciò è meglio che tu sparisca del tutto. Ti daremo una mano da qui e appena sarai da qualche parte correrò da te. Hai capito?

Jerry, hai capito?"

"Certo che ho capito." la voce di Jeremy tremò. "Ti sembro forse scemo?"

"Beh, no. Fammi sapere qualcosa senza lasciar passare un'eternità." rispose Alex. "Non farmi preoccupare troppo, ok?"

Jeremy faticò a trattenere una lacrima, mentre il sorriso sprezzante di Cordano si rifletteva sul suo specchietto.

"Ti voglio bene, Alex."

Terminò la telefonata senza aggiungere nient'altro. Non gliel'aveva mai detto prima e se ne pentì.

"Jeremy, che cosa succede?" domandò Taylor, che aveva seguito tutto intuendo che qualcosa di irrimediabile stava per succedere.

Jeremy guardò la diramazione dell'autostrada nelle sue diverse uscite, scartando quella contrassegnata dal cartello "Burford", poi tornò a guardare Cordano, sempre dietro di loro.

No, non aveva più scelta, ma fu in quel momento che capì che c'era una cosa che avrebbe cercato di salvare a tutti i costi. Qualcosa che importava più della sua stessa vita. Qualcosa, anzi qualcuno, che aveva importato più della sua stessa vita per tutto quel tempo.

Guardò Taylor e decise: il volante girò, le ruote stridettero e Jeremy imboccò l'unica strada che conduceva a Bourton.


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Gli "Incontri Fatali" qui sono tanti: quello di Richard con Alex, quello di Jeremy e Taylor con Babbo Natale, ma, soprattutto, quello di Jeremy con Cordano.

A quale piano avrà pensato Jeremy?? Ma, SOPRATTUTTO, voi credete a Babbo Natale? (adesso mi ammazzano)

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Capitolo 12
*** Save You to Save Me ***


All I want - 12.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Save You to Save Me********

"Jeremy, che diavolo-" Taylor non riuscì a finire la frase, perché la brusca inversione a u dell'auto le fece prendere uno spavento apocalittico.

Più che inversione a u le era sembrata un'inversione a i, da quanto fosse stata rapida e completamente fuori di testa.

"Sei impazzito?!" strillò, mentre Jeremy accelerava senza controllo, senza nemmeno darle retta.

Le macchine che prima sembravano viaggiare tranquillamente, ora sfrecciavano accanto a loro come proiettili. Sembravano uno sciame di insetti impazziti, ma l'unico vero pazzo lì in mezzo era il ragazzo accanto a lei.

Il grido di Taylor si unì ai vari clacson, ma il ragazzo sembrava non sentire, concentrato sulla carreggiata.

"Jeremy, ci schianteremo!" Taylor si coprì gli occhi e si strinse involontariamente a se stessa, mentre la loro vettura sfiorò di poco un tir nella direzione opposta. Si vedeva già spalmata a terra prima ancora di capire cosa diavolo fosse saltato nella mente malsana di Jeremy.

Un'altra macchina passò così vicino che sentì il suono del clacson come se fosse stato all'interno della sua testa.

Per scansare l'ennesimo autista che rischiavano di centrare in pieno, la macchina strisciò contro un cartello stradale che indicava la corsia d'immissione per Bourton. Quindi, oltre al terribile stridio nelle orecchie, Taylor avvertì la sensazione che si stesse verificando un drastico cambio di programma.

"Perché stai andando lì?" cercò di farsi rispondere alzando la voce, ma il biondo continuava a dare attenzione solamente a quello che succedeva dietro di loro, controllando gli specchietti retrovisori ogni tre nanosecondi, poi si mordeva il labbro e premeva più forte l'acceleratore.

La ragazza ebbe un attimo di sollievo quando invece di proseguire per un percorso trafficato, lui scelse una strada secondaria.

Ma il sollievo durò fino a che non cominciarono a capitare sopra le buche disseminate lungo la strada battuta, facendo tremare la vettura come se fosse stata una maracas e loro i sonagli al suo interno.

Taylor non riuscì a contare quante volte sbatté la testa e quante volte la cintura si oppose così forte al suo corpo da segnarle il collo. Non era nemmeno riuscita ad afferrare il perché Jeremy stesse percorrendo le più assurde stradine dimenticate, anche se l'aveva l'intuito.

Stava chiaramente circumnavigando la città senza una meta, quindi stava cercando di seminare qualcuno. Sperava solo di non morire spiaccicata sull'asfalto ancora prima di scoprire perché.

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Cordano l'aveva visto fare quella pazza manovra e l'aveva imitato, seguendolo finché non aveva imboccato una via imbevuta di nebbia e di solitudine. Voleva mantenere il passo, ma il ragazzo andava troppo veloce e conosceva la Bourton di periferia meglio di lui. Ciò che vedeva davanti a sé era solo quella maledetta nebbia e la stradina disconnessa di campagna, diramata in migliaia di modi possibili, attraverso i quali Parker si divertiva a giocare a nascondino. Se ne sarebbe pentito a breve, pensò, altamente irritato.

L'aveva perso di vista, ma l'intenzione di raggiungerlo non se la sarebbe di certo lasciata sfuggire. Era stanco di farsi prendere in giro, ormai era diventata una questione personale e voleva risolverla il prima possibile.

Cercò di pareggiarlo andando a intuizione, mentre ignorava la seconda chiamata di fila dal suo cellulare. Girò a destra, costeggiando un lago e cercando di rintracciare l'altra auto con lo sguardo.

Ma Jeremy sembrava ormai sparito.

Il suo cellulare squillò di nuovo.

"Che cazzo vuoi, Richard?!" ringhiò all'altoparlante, concentrato sulla strada davanti a sé.

"Parker è arrivato a Burford." rispose la voce del suo tirapiedi.

"Ah sì?"

"Raggiungi la città, sarà lì nei paraggi."

Cordano ridacchiò con tutto l'intento di denigrarlo: "La tua ignoranza non ti smentisce mai, Richard."

Dall'altra parte della cornetta il ricciolino espresse il suo disappunto con un gestaccio, forte del fatto che non potesse vederlo.

Visto che Alex era corso a recuperare Allyson, lui era rimasto solo nella cabina telefonica e probabilmente i passanti l'avrebbero preso per pazzo.

"Sono proprio qui a Bourton, Richard, ce l'ho a un palmo di naso." gli riferì l'uomo, una punta di agitazione nella voce. Non vedeva l'ora di farla finita una volta per tutte e non poteva proprio lasciarsi scappare una tale occasione.

"Ti stai sbagliando." tentò di deviarlo il ragazzo. "Mi hanno riferito di averlo appena visto a Burford."

"Sul serio, Richard. Mi credi stupido?" Cordano si chiedeva cosa prendesse a quell'ammasso di inutilità e capelli.

"No, Edoardo." sospirò Richard.

Chiaramente non si era illuso di poterlo ingannare, ma almeno sapeva di potergli far perdere tempo, cosicché ne potesse guadagnare Jeremy. Sarebbe bastato anche solo distrarlo; qualsiasi fastidio potesse dargli avrebbe dato un vantaggio a Parker.

Incredibile; stava davvero parteggiando per il nemico. O almeno questo era quello che gli avevano messo in testa, ma dopo quel tête à tête con Alex non ne era più così sicuro. Forse il nemico era sempre stato quello di fianco a lui, solo che se n'era accorto troppo tardi.

"E allora cosa?" gli ringhiò addosso, snervato. "Parker è a Bourton e io sto per raggiungerlo e lui si sta dirigendo verso il capolinea. Dove cazzo sei tu, piuttosto? Mi servi e anche in fretta."

Richard pensò che almeno poteva farsi dare delle coordinate e tentare il tutto per tutto assieme ad Alex.

"Dimmi dove siete precisamente e arrivo."

Cordano spiegò tutti i dettagli a Richard poi lo ammonì di muoversi e portare anche la sua pistola.

"Ok, senti." tentò il ragazzo. "Aspettami fermo dove sei e fra al massimo dieci minuti sono lì."

Cordano rimase per un attimo in silenzio e Richard temette che avesse capito tutto.

"Fermo dove sono?" sillabò l'uomo. "Richard, che cazzo ti è preso?"

"A Bourton hanno disseminato sbirri in ogni angolo, non ti conviene farti notare. Rimani in quel punto e-"

"Senti, Stuart, chiudi quella merda di bocca, mi stai solo dando noia." sputò lui. "L'ho sempre detto che quando fai quelle riunioncelle di famiglia con la tua sorellina del cazzo ti rincretinisci più del solito. A volte mi domando cosa me ne faccio di te, dal momento in cui sei veramente inutile."

Cordano sterzò per un'altra via secondaria, continuando però a non vedere nessuno. Non poteva farsi distrarre proprio in quel momento, così chiuse la telefonata appuntandosi un urgente cambio d'assistente.

Era deciso a farla pagare a Parker, costasse anche la gattabuia.

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Ti voglio bene, Alex.

Il moro era rimasto a fissare il telefonino con aria frastornata. Jeremy non si era mai sbilanciato così tanto con lui, era in assoluto la prima volta che gli diceva una cosa del genere e, se si voleva tener conto del contesto, non era affatto un buon segnale.

"Anch'io." aveva risposto dopo qualche attimo, ma non si era accorto che lui aveva già attaccato.

Scuotendo la testa aveva riposto l'apparecchio nella tasca e aveva dato un'occhiata all'ora.

L'avrebbe richiamato entro mezz'ora perché innanzitutto aveva un bruttissimo presentimento sulla faccenda e poi perché non sarebbe riuscito ad aspettare ulteriormente senza la conferma che i due se la stessero cavando.

Richard gli aveva raccontato il piano di Cordano e ad Alex era sembrato che a questo giro le speranze per il suo amico fossero davvero esigue.

Avrebbe voluto essere lì assieme a loro. Magari non sarebbe stato utile, d'altra parte raramente lo era, ma almeno avrebbe potuto essere lì. Il rischio che potesse succedere qualcosa di assolutamente negativo da un momento all'altro non faceva che aumentare quel senso di inquietudine che si era abituato a provare da quando non aveva il suo amico sotto controllo.

Paura? Sì, aveva paura. Ma d'altra parte contava moltissimo su Jeremy e forte del fatto che gli avesse dato indicazioni utili, sperava fortemente che riuscisse come sempre a togliersi dai guai.

Lui e Richard si erano già messi d'accordo: avrebbero spiegato tutto ad Allyson mentre si dirigevano verso Burford. Grazie a Richard, avrebbero raggiunto Cordano e l'avrebbero fermato, dando il tempo a Jeremy di scappare e a non dover imbattersi mai più in quell'abominio di uomo. Sì, non era impossibile: ce l'avrebbe fatta, ora aveva un alleato.

Ma prima doveva nuovamente portare dalla sua parte anche Allyson.

"Allyson!" finalmente riuscì a trovare la ragazza. Si era allontanata a piedi dal caffè dove aveva avuto luogo la spiacevole rissa e se ne stava imbronciata appoggiata a un lato di Betsie.

"Allyson!" dovette chiamarla diverse volte perché lei si decidesse a prestargli attenzione.

Era palesemente delusa e arrabbiata per il suo comportamento e quello del fratello.

Assolutamente comprensibile che volesse rimanere sola, pensò il ragazzo, ma non era proprio il momento. Ora, Alex voleva raccontarle la verità: Richard gli aveva assicurato che lei avrebbe capito e che era l'unico modo per finire quell'enorme farsa.

D'altronde, la verità sarebbe servita a spiegarle il perché di tutto il trambusto che avevano causato nel caffè e per rassicurala (relativamente) sull'amica Taylor. Avrebbe preferito tenerglielo nascosto per sempre, ma prima o poi Taylor sarebbe tornata e qualcuno l'avrebbe informata, suscitando come minimo la sua ira funesta. Meglio prevenire che curare, si era sempre sentito dire.

La affiancò lungo il marciapiedi che lei aveva iniziato a percorrere a grandi falcate, lo sguardo fisso sull'asfalto.

"Hai ragione." le disse, mentre i loro respiri condensati si scontravano nell'aria. "Siamo stati due stupidi, idioti, infantili..."

"Risparmiatelo." tagliò corto lei, apparentemente disinteressata alle scuse, e continuò a camminare.

"Lo so, lo so, è che...veramente, Ally, adesso è tutto a posto. È stato solo un piccolo incidente di percorso che abbiamo prontamente risolto." cercò di rassicurarla.

Lei si fermò in mezzo al passaggio per dirgli qualcosa, ma poi si accorse del suo aspetto, squadrandolo con cipiglio esasperato: "Se questo è il modo di farmi vedere come avete risolto..."

I suoi occhi passarono in rassegna il labbro ancora sporco di sangue e lo zigomo violaceo del ragazzo. Se fossero riusciti a penetrare sotto i vestiti, avrebbero visto anche qualche livido a livello dello stomaco. Decisamente un'immagine non promettente.

Alex sorrise imbarazzato: "So che non sembro troppo integro, ma ti posso assicurare che abbiamo fatto pace. Mi dispiace per aver fatto a botte."

Allyson sospirò: "Mi dispiace, mi dispiace...Alex, l'ho sentito troppe volte da te."

"Senti, Ally, stavolta ti assicuro che sarà l'ultima. La verità è che-"

"La verità?" sbottò lei, alterando la sua voce calma. "Non credo esista davvero e comunque quasi quasi preferisco un'unica bugia bella e buona, perché sono stufa di sentire duecento verità diverse!"

"Vuoi sentire qual è stata finora l'unica bugia bella e buona, allora?" propose lui, speranzoso.

"No!" esclamò lei, ancora più esasperata. "Possibile che non capisci, Alex? Io mi sento presa in giro da te!"

"Non..." Alex faceva davvero fatica a organizzare un discordo quando aveva troppe cose da dire. "Non ti sto prendendo in giro. Sei la cosa più importante che ho, cavolo, e lo sei altrettanto per Richard."

"Non lo sembra più di tanto."

"Abbiamo sbagliato entrambi, ok? Ma avevamo una ragione. Ragione che forse non ti piacerà sentire, ma..."

"Non la voglio sentire!" stavolta la sua voce sembrò appartenere a qualcun altro, tant'era insolito quel tono profondamente arrabbiato e deciso in una persona paziente e tranquilla come lei. Si voltò per proseguire verso il marciapiedi, ma Alex la seguì, testardo.

"Richard e io ci siamo conosciuti mentre ero a Stroud."

"Ho detto che non ti voglio ascoltare, Alex!" strillò la ragazza, guardandolo dritto negli occhi. "Non mi interessa se hai nuove mirabolanti storie da raccontarmi, mi sono stancata. Tu mi hai illusa fino a ora e io ho continuato a darti possibilità su possibilità. Credevo fossi sincero questa volta, almeno questa, ma a quanto pare non lo sei. Mi fidavo di te, ero sicura che dopo averti perdonato non avresti più giocato con i miei sentimenti e invece..." lasciò cadere la frase, facendo un eloquente gesto con le mani ed evitando di suonare triste come si stava sentendo. "Non ce la faccio ad andare avanti così, lo capisci?"

Gli occhi scuri del ragazzo cercarono di cogliere la dolcezza perduta di quelli nocciola di Allyson, ma non ce n'era l'ombra: era davvero seria.

Alex sentì per l'ennesima volta di aver sbagliato tutto e di aver combinato un enorme casino. Avrebbe voluto gridare contro se stesso e prendersi a pugni per quanto era stupido.

"Anche a me dispiace, Alex. Più che a te." concluse lei, distogliendo lo sguardo.

"Non puoi fidarti di me ancora una volta? Ho bisogno che ascolti perché è successo tutto questo e allora capirai." tentò.

"No, lo so io perché. Perché tu e Richard siete uguali: nessuno dei due mi prende mai sul serio, non sapete fare altro che abbandonarmi e quando tornate siete solo bravi a incasinarmi la vita."

"Non è vero e questo lo sai, Allyson!"

"Provamelo, allora!" lo fissò con gli occhi umidi, al limite dell'esasperazione. "Lo vedi? Sei coperto di sangue, Alex. Avete appena fatto a botte a dimostrazione di cosa? Della felicità di ritrovarsi per la prima volta tutti insieme?"

Il ragazzo sospirò, frustrato: "Se solo mi lasciassi spiegare."

"Non voglio sentire le tue favole." scandì bene ogni parola, avvicinandosi a lui in modo che gli fosse chiaro. Si dice che le persone buone di natura siano difficili da far arrabbiare, ma che, nello sfortunato caso in cui dovesse succedere, siano capaci di scatenare un uragano.

"Non sono favole!" si difese Alex. "Smettila di accusarmi in questo modo, voglio semplicemente raccontarti le cose come stanno."

"Beh, perdonami, credevo l'avessi già fatto. Più e più volte, aggiungerei."

"L'ho fatto, è solo che mi mancano dei particolari."

"Particolari che non mi piaceranno, secondo quello che hai detto. Particolari che hai omesso, che hai voluto nascondermi. Che razza di ragazzo vuoi essere per me, Alex?" ribatté lei. "Ti comporti proprio come uno stupido."

Il ragazzo indietreggiò, come colpito da quelle parole: "Per te sono uno stupido?"

"Sì, Alex. Me lo hai dimostrato tu stesso." le costava dire certe cattiverie, ma la situazione e quel minimo di amor proprio che le era rimasto glielo imponevano.

Alex si sentì più ferito che mai. Sono tante le critiche che una persona può ricevere, ma sono i criticanti a fare la differenza. Che era stupido glielo avevano detto in tanti e quindi ormai lo pensava anche lui di se stesso, ma dentro la sua testa si era insidiata la convinzione che Allyson fosse l'unica a non condividere ciò. Si sbagliava di nuovo, a quanto pareva.

A spezzare quell'imbarazzato e teso silenzio fu la suoneria del cellulare di Allyson.

Combattuta tra l'ignorare e l'accettare la chiamata, decise di premere la cornetta verde e rimase in attesa di ascoltare quello che il fratello avesse da dirle. Si aspettava una specie di sipario come quello a cui aveva appena assistito e invece, con sua somma sorpresa, la richiesta fu tutt'altra.

"Alex è lì con te?" né un ciao, né uno scusa, solo quella domanda.

"Sì."

"Ho assolutamente bisogno di parlargli."

Incredula e sempre più irritata tese la mano verso il suo ragazzo e gli passò il cellulare.

Oltre a un "Pronto?" e un "Che cosa?!?", quest'ultimo non disse nient'altro, ma quando riattaccò il suo sguardo era, se possibile, ancora più preoccupato di prima.

"Che cosa ti ha detto?" gli chiese, confusa e infastidita.

Il ragazzo non rispose, ma la prese per mano e la trascinò per il marciapiedi da dove erano venuti.

"Dove cavolo stiamo andando?!"

"Dobbiamo andare a salvare il culo di quei particolari di cui ti parlavo prima. Tu seguimi, ti spiego strada facendo."

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Quando Jeremy spense il motore, Taylor poté riprendere a respirare.

Non aveva mai sfiorato così da vicino la possibilità di fare un epico incidente in una desolata strada di campagna.

Ansimava provata dalle turbolenze in auto e aveva una faccia pallida e tesa: cosa stava succedendo? Guardò Jeremy, anche lui con il fiato corto e quella costante espressione nervosa, in attesa di qualcosa. Il ragazzo incrociò il suo sguardo e lei ci lesse un mare di cattive notizie.

"Scendi." le disse, inespressivo.

Eseguì gli ordini, uscendo dalla vettura e dandosi una rapida occhiata intorno: riconosceva quel posto. Erano al limite del parco di Bourton, sul bordo più lontano del laghetto, da cui, passato il muro di alberi, ci ritrovava giusto di fronte alla stazione.

Si chiedeva cosa ci facessero lì in mezzo, così vicini al pericolo di essere visti dalla polizia...per fortuna (o forse no?) non c'era anima viva nei dintorni.

Alle loro spalle non c'era altro che l'umida campagna, coperta di erba incolta e neve. A terra, vicino a loro, faceva da decorativo un logoro pino di plastica con qualche festone natalizio ancora impigliato tra i rami e circondato da palline sbiadite e crepate.

Si immaginava che qualcuno usasse quella zona come discarica o che bande di ragazzini ci andassero per fumare senza essere beccati. Di sicuro non avrebbe mai immaginato di poterlo visitare il giorno della vigilia di Natale, mentre tutte le famiglie stavano al calduccio a casa propria a indaffararsi per il gran pranzo del giorno dopo.

"Jeremy, vuoi spiegarmi perché hai cambiato strada?" chiese, impaziente, mentre lo seguiva scendere dall'auto.

Lui la raggiunse senza nemmeno preoccuparsi di abbottonarsi il cappotto o avvolgersi la sciarpa al collo, lasciandola così a penzoloni sulla felpa in quel freddo insopportabile.

Aveva un aspetto orribile, non perché avesse perso i suoi gradevoli tratti, ma perché la tensione e la paura glieli avevano deformati. Lo sguardo affascinante e intenso dei suoi occhi era distante e freddo, come un muro di ghiaccio che voleva difendere una fortezza di emozioni. Piuttosto debole come muro, ma non troppo da scoraggiarlo.

Era determinato a portare a termine quella decisione, costasse quel che costasse. Non gli importava se poi la fortezza sarebbe stata completamente abbattuta, l'importante era salvare il salvabile.

Si avvicinò alla ragazza, il viso di lei rivolto in alto verso il suo, in attesa di una risposta. La differenza tra le loro altezze era abbastanza da permettergli di sembrare molto più forte e imponente di quanto in realtà fosse.

"Stammi a sentire, Taylor." iniziò, più serio che mai. "Non devi fare altro che eseguire i miei ordini, ora. E senza domande."

Certo, era una frase ricorrente da quando l'aveva conosciuto, però al momento avrebbe preferito una piccola spiegazione. Giusto due parole sull'argomento. Aggrottò le sopracciglia, confusa, e fece per parlare, ma lui non glielo consentì.

"Sai come arrivare alla stazione da qui?"

"...sì." annuì non molto convinta.

"Bene, allora tutto quello che devi fare è correre più veloce che puoi e raggiungerla. Una volta lì devi entrare e trovare un'autorità. Da quel momento in poi potrai raccontargli quello che ti pare, e sarai fuori pericolo." spiegò, conciso.

Questo era quello che Taylor chiamava "essere precipitosi", difatti sgranò gli occhi, incredula: "Che cosa?!"

"Andiamo, Heavens." sbuffò lui. "Che cosa non ti è chiaro?" chiese spazientito, come se stesse parlando a qualcuno con problemi di ricezione.

Gli sarebbe piaciuto che Taylor avesse accettato senza obiettare, ma non ci aveva sperato molto. Ormai sapeva benissimo che sarebbe dovuto arrivare agli estremi.

"Heavens?" si stupì lei, lasciando che la voce prendesse un'intonazione ferita.

"È il tuo cognome, se non ricordo male. Hai capito o no quello che ti ho detto?"

"No...cioè, sì che ho capito, ma..."

"Allora muoviti."

Taylor si sentiva smarrita, non sapeva cosa pensare. Come mai era stata catapultata nel passato, durante i primi giorni vissuti con una versione perfida di Jeremy?

"Jeremy, stai dando di matto?" gli domandò allora.

Lui le mise le mani sulle spalle.

"Non sto dando di matto." disse, la voce grave e profonda. "Ma lo farò se continui a fare domande come i bambini. Fai quello che ti ho detto e basta."

"Perché?"

"Ti ho detto di non fare domande come i bambini!"

La ragazza si ritrasse, testarda e decisamente avversa a eseguire quegli ordini: "Scusa se non comprendo il tuo atteggiamento. Non capisco perché mi dai questi ordini, ora."

"Pensavo fosse abbastanza chiaro." le disse eloquentemente, accennando alla strada dietro di loro, quella che avrebbe portato al cuore di Bourton.

Lei guardò verso quella direzione, poi di nuovo Jeremy: "Mi stai...ordinando di tornare a casa e raccontare tutto?"

"Cavoli, che genio."

"Cavoli, che pazzo. Non era questo il piano; chi ci ha inseguiti?"

Jeremy incassò con un sorriso che sperava nascondesse il disappunto. Eccola qui Taylor; troppo testarda e incosciente per decidere di ascoltarlo senza fare domande. Troppo intelligente per sottostare a un ordine senza saperne le motivazioni.

Lanciò un'occhiata alla stada da dove arrivavano: Cordano non ci avrebbe messo molto a trovarli. Altrettando, Jeremy avrebbe dovuto essere veloce – e furbo – a convincere Taylor.

"Perché guardi sempre indietro?" domandò intercettando la direzione del suo sguardo. "Chi diavolo è? E quel Cordano? È venuto per prendere me?"

Dirle la verità? Sarebbe stato possibile, ma era anche sicuro, Jeremy, che sapendola Taylor non l'avrebbe lasciato da solo.

Era sicuro, come poche volte nella vita, che quella ragazzina sarebbe stata così stupida da non volersene andare. Sarebbe rimasta con lui, avrebbe cercato insensatamente di trovare una via diversa, avrebbe solo dato a Cordano la possibilità di uccidere anche lei.

E questo Jeremy non l'avrebbe permesso.

"Vuoi chiudere quella cazzo di bocca una buona volta?" esclamò lui. "Perché semplicemente non taci e te ne vai, eh? Ti sto dando quello che volevi dall'inizio, sei libera, vai!"

"Non mi stai dando alcuna libertà, Jeremy!" ribatté lei, rifiutandosi di seguire le istruzioni che continuava a darle.

Il momento in cui avrebbero dovuto separarsi era arrivato all'improvviso e decisamente non come lei se l'era aspettato, perciò si stava trovando lì su due piedi con le sue contorte idee e una speranza che sembrava di secondo in secondo più vana.

Sentiva che qualcosa non quadrava.

Jeremy rise amaramente, come per prenderla in giro: "Ecco il tuo problema, cara principessina, tu vuoi troppe cose e non sai godere di nulla. Non hai fatto nient'altro che lamentarti per tutto il tempo: di tuo padre, della tua famiglia, della tua sfortuna, del rapimento, di me, di Alex. E adesso cambi di nuovo idea e fai i capricci. Non posso esaudire tutti i tuoi desideri!"

Taylor sentì la forza della rabbia bruciarle la gola e farle salire le lacrime agli occhi: "Io non mai preteso che esaudissi i miei desideri. Voglio solo sapere perché mi stai cacciando così e perché mi nascondi la verità."

"Perché io a te non devo proprio niente, Lor. Nemmeno la verità."

Taylor accusò malamente il colpo e si ritrasse ancor di più: "E cosa credi di fare? Come pensi di cavartela?"

"Senza di te? Alla grande."

"Non doveva andare così."

"E come, sua maestà?" Jeremy ghignò, cattivo, e la guardò sfidandola con il suo gelo. "Ti aspettavi un romantico bacio d'addio? Ti prego, smettila di fare la mocciosa piagnucolona e vattene."

"No."

"Vattene, Taylor."

"No, Jeremy, non ti lascio da solo. C'è qualcosa che non va, non sono stupida."

Taylor non voleva demordere e il tempo stava scorrendo troppo veloce e inesorabile.

Jeremy ancora una volta aveva immaginato di poter arrivare a questo punto e ciò che stava per fare gli causava un dolore lancinante in mezzo all'anima. Ma era l'unico modo.

Sapeva che non avrebbe convinto Taylor, altrimenti. Sapeva che lei era troppo buona e innamorata per non decidere in quel modo, per non decidere di rinunciare a tutto per lui. Quanto l'amava, si disse. Quanto l'avrebbe odiato, e lui l'avrebbe amata comunque e per sempre.

"Non me ne frega un cazzo di quello che vuoi o non vuoi." le riversò addosso con freddezza. "Le cose stanno così punto e basta. Tu ora vai via e io penso ai fatti miei, com'è sempre stato e come sarà per sempre."

"Non è vero!" ribatté lei, alzando il tono di voce. "Tu hai promesso che ti saresti fatto aiutare!"

Il ragazzo scosse la testa, gelido come il ghiaccio: "Era una bugia."

"Non era una bugia, Jeremy." agonizzò con la gola ostruita da un grosso nodo. "Me l'hai promesso."

"Sai quante promesse ti avrei fatto pur di farti tacere?" rise. "Ma che cosa credevi, Taylor? Che fossi così coglione da giocarmi la vita per una mocciosa come te? Che mi fossi sul serio innamorato?"

Una lacrima calda scivolò sulla guancia gelata della ragazza, spargendo l'amarezza che avevano scatenato quelle parole aride come un deserto.

"Hai detto e fatto molte cose per me."

"Oh, ma certo. E ne avrei fatte finché avessi continuato a fare la brava bambina. Oh, Taylor." rise di nuovo, così sprezzante e impersonale che la ragazza non poté fare a meno di rabbrividire. "Non mi sono mai capacitato di quanto fossi stupida."

"Non posso credere che sia stato tutto una recita." disse volendo sembrare convinta, ma aveva la voce incrinata. Dentro di lei qualcosa stava crollando. Forse una certezza che si era costruita da sola?

"E cosa ti rende così convinta del contrario?" fu la sua risposta. "Non me ne è mai fregato nulla dei tuoi moralismi e dei discorsi da ragazzina illusa. Sei una bambina e per me i bambini vanno accontentati, oppure si mettono a piangere e attirano l'attenzione."

Il singhiozzo di Taylor spezzò l'aria e il cemento si bagnò delle sue lacrime che erano cadute come le sue ultime certezze. Sentiva un dolore lancinante al cuore, una fitta che racchiudeva in sé tutte le più negative sensazioni e di colpo le sembrava di essere ritornata una bambina di qualche anno davanti al padre che distruggeva tutte le cose belle a cui era abituata.

Il mondo quella volta le era caduto sulle spalle e sembrava che la storia si stesse ripetendo.

"Mi hai baciato, Jeremy..."

"Oh, sì." ridacchiò lui. "E ti avrei anche scopato, se ne avessi avuto l'occasione. Mi sembrava di avertelo già detto, no? Per quanto tu possa essere insopportabile e poco carina, una donna è pur sempre una donna."

Quella frase uccise Taylor. Quasi si accasciò, sentendo che mai niente al mondo avrebbe potuto chiudere l'enorme ferita che Jeremy, solo aprendo la bocca, le aveva impartito.

Non sembrava nemmeno dispiaciuto. Al contrario di ciò che era accaduto nei giorni precedenti, non stava facendo nulla per impedirle di piangere. Anzi, la stava guardando soffrire e rincarava costantemente la dose, come se lo divertisse, come se non avesse progettato nient'altro, per tutto quel tempo, se non ferirla in quel modo.

"Pensavo che fossi sincero, Jeremy. Pensavo che avessi deciso di non mentirmi da quel giorno in cui mi hai raccontato di tua madre."

"Ti sbagli, ho solo imparato a farlo meglio."

Taylor stava pensando che mai niente e nessuno l'avesse fatta sentire in quel modo: voleva arrabbiarsi e urlargli addosso, ma la sua voce interiore era soffocata dal dolore per essere stata umiliata e tradita. Non si capacitava che la persona dolce e altruista che le aveva dimostrato essere Jeremy fosse in realtà una maschera. Avrebbe dovuto capirlo prima, forse, ma lui era stato un eccellente attore, tanto da farla innamorare follemente del suo personaggio. Com'era stato possibile? Com'era possibile?

Faceva così male da alimentare le lacrime e i singhiozzi, come il legno buttato sul fuoco.

Era stordita, come quando da piccola guardava i fuochi d'artificio e ne aveva allo stesso tempo il terrore. Si sentiva proprio così: stava ammirando un meraviglioso fuoco d'artificio e non si spiegava perché una cosa così bella potesse fare così tanta paura con quel potente chiasso. Voleva che lui la smettesse al più presto di sparare a raffica quelle frasi cattive, voleva vedere i colori senza il frastuono, voleva che le fosse mostrato solo quel lato romantico e sensibile che tanto amava, ma a quanto pareva si era dissolto come le luci colorate che ritornano polvere.

"Adesso vattene." pronunciò quelle parole stancamente, ma senza distogliere le sue iridi turchesi dal volto della ragazza.

Lei scosse la testa debolmente, tirando su con il naso: "Non puoi farmi questo, Jeremy. Lo sai che mi sono innamorata di te...lo sai..."

"Innamorata?" incalzò lui, sprezzante. "Non siamo in un romanzetto rosa, Taylor. Cresci un po', ti prego."

"Non lo stai dicendo sul serio. Dimmi che non lo stai dicendo sul serio..." sembrava quasi lo stesse implorando, gli occhi serrati per trattenere quel fiume di tristezza.

Jeremy stava soffrendo come non mai nella sua vita. Gli sembrava di star accoltellando una colomba: più vedeva le lacrime solcare il viso di Taylor, come sangue scarlatto che sporca le piume immacolate, più si sentiva un assassino, una persona orribile che stava distruggendo la cosa più bella e pura.

Si ripeteva continuamente che lo stava facendo per lei, ma sembrava non funzionare. La amava, come avrebbe potuto sopportare un solo minuto in più quella patetica recita in cui affermava tutto il contrario?

Decise che era arrivato il momento del tutto per tutto. Ormai non c'era uscita che per quella aberrante e imperdonabile strada.

Con immensa fatica, infilò la mano nella tasca interna della giacca e prese un profondo respiro.

"Ti prego, Jeremy." tremò la ragazza. "Ti prego."

E non sapeva per cosa lo stesse pregando, ormai, ma ammutolì non appena vide l'oggetto che lui aveva estratto e che le stava puntando contro.

Indietreggiò fissandolo con gli occhi ancora colmi di lacrime: "Non...non..."

Lo guardò smarrita e piena di paura. Fu come se da quel gesto in poi il suo cervello avesse smesso di funzionare e in lei fosse rimasto solo il primordiale sentimento del terrore.

La mano di Jeremy tremava stretta alla pistola, pallida e gelata.

Anche lui aveva una fottuta paura, mille volte più grande di quella di Taylor. Le puntava l'arma addosso, consapevole che lei ne fosse terrorizzata e si faceva schifo e avrebbe preferito morire che essere protagonista di quella scena. Ma l'avrebbe fatto per salvarla. L'avrebbe fatto per lei.

"Tu...tu non lo faresti mai....Jeremy?" la voce le uscì flebile e tremante, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente e indietreggiava sul nevischio, come un animale in fuga dall'umano malintenzionato.

Ma Taylor non voleva scappare. Si sentiva morire, eppure preferiva rimanere. Voleva sapere se veramente Jeremy sarebbe stato capace di tanto. Se non gli fosse importato di lei a tal punto da premere il grilletto.

Lo guardò negli occhi, quei meravigliosi ritagli di cielo che l'avevano affascinata dal primo momento, e rivide tutti quei sorrisi e quei pianti che avevano condiviso, insieme.

Si rivide litigare con lui il giorno in cui, svegliandosi di soprassalto, gli aveva dato una testata e lo aveva fatto sanguinare, si rivide trattenersi dalle risate mentre lui tentava di approcciarsi alla religione con scarso successo, si rivide sorridere affettuosamente all'immagine di due candele accese, particolarmente significative.

Quella notte in cui aveva condiviso le lacrime amare di quel ragazzo e a sua volta si era commossa per la sua difficile infanzia, quel mattino in cui lo aveva assillato fingendo di essere logorroica e quel pomeriggio in cui aveva assaporato le sue labbra e la sua insolita dolcezza.

In quegli occhi leggeva se stessa, ma non la solita se stessa, piuttosto quella che aveva scoperto un mondo, quella che aveva imparato a guardare entrambe le facce di una medaglia, quella che aveva messo da parte l'orgoglio e che si era messa in un mare di guai solo perché farlo con Jeremy l'aveva fatta sentire bene.

Quegli occhi rubati al cielo si lasciarono sfuggire una lacrima e subito dopo, nell'aria gelida di Bourton, si udì uno sparo.

Un proiettile colpì un punto del terrenp non molto distante dalla ragazza, facendole perdere l'equilibrio e facendola cadere a terra per lo spavento.

Il braccio di Jeremy rimase rigido nella sua direzione, come era stato un tempo per difenderla, mentre lei si alzava scivolando sulla neve e ansimando tra le lacrime. I suoi occhi erano allucinati e terrorizzati come quelli di un coniglio davanti al cacciatore.

Gli rivolse un'ultima occhiata carica di dolore e poi corse via.

Scivolò di nuovo e si rialzò in fretta, perché quel suono duro e metallico non avrebbe smesso per molto tempo di riecheggiare nella sua mente.

Solo quando fu completamente sparita da quello spiazzo, Jeremy lasciò cadere la pistola e si accasciò a terra, tremante.

Ce l'aveva fatta. Taylor non era più a rischio. Aveva seriamente temuto di non riuscirci, ma ora era sicuro che non sarebbe più tornata indietro. Si era spinto così in là che non sarebbe tornata mai indietro. Ma era certo che, se le cose fossero andate diversamente, lei sarebbe rimasta. Le avrebbero fatto del male e piuttosto che ciò succedesse, aveva preferito essere lui a farle del male. Aveva preferito il suo odio alla sua morte.

Però ora Jeremy era vuoto. Jeremy non era più nessuno.

Gli sembrava di stare sulla punta di una montagna, la valle da una parte, una ripida parete rocciosa dall'altra: aveva appena spinto Taylor giù per la valle e aveva usato così tanta forza che ora per il contraccolpo stava precipitando per la parete rocciosa. Ne era consapevole, ma non pensava potesse fare così male.

Gli aveva detto che si era innamorata di lui. Non che non se lo fosse aspettato, ma sentirselo dire chiaro e tondo era stata una coltellata in pieno petto, perché sapeva che cosa si provasse. Lui sentiva le stesse cose di cui parlava Taylor e di conseguenza poteva benissimo immaginare quanto le sue parole cattive l'avessero ferita.

Sperare che in un futuro si sarebbe innamorata di qualcun altro? No, non ci riusciva. Non ci riusciva perché sapeva che non avrebbe mai trovato nessuno migliore di lui nel proteggerla, ma sopratutto nell'amarla.

Amore, sì...davvero uno schifo.

Esalò un sospiro, di quelli a cui generalmente seguono un mare di lacrime, ma di lacrime Jeremy non ebbe il tempo di versarne.

"Parker!"

Lo sapeva. Era lì per aspettare quel momento e nonostante stesse per diventare il peggiore della sua intera e breve vita, era immensamente felice di non doverlo condividere con Taylor.

Che smielosamente altruista che sei, Jeremy, si disse, e in quel momento ebbe la percezione di quanto profondamente fosse stato cambiato.

Un'auto frenò di scatto a pochi metri dallo spiazzo, sollevando un sacco di neve che sembrava messa lì apposta, per attutire la scena. Il rumore dei freni non fu niente in confronto a quello della portiera che sbatté violentemente, ma Jeremy non si mosse.

Rimase immobile, a guardare con occhi vitrei quello che gli succedeva attorno. Neanche volendo avrebbe potuto tentare qualcosa: Cordano gli teneva la pistola ben puntata contro. E Cordano aveva un'ottima mira, dopotutto.

"Bastardo...sei un bastardo!" gridò l'uomo, furioso. "L'hai fatta scappare!"

Jeremy sorrise: "E fidati, non è stato facile."

"Sei un gran pezzo di merda!" l'uomo rise, pazzo e sprezzante: "Dovresti davvero vederti, Parker, sei diventato così debole che mi fai quasi pena. Guardati! Sei ridotto come un cane, sei piegato a metà! Che cazzo ti ha fatto quella sgualdrina? È questo quello per cui l'hai ritenuta così importante? È per questo che stai accettando di morire?"

"Cordano, tu non capirai mai un cazzo."

"Quindi era questo che volevi sin dall'inizio. Salvare quell'insulsa ragazzina, perché ti sei innamorato. Beh, complimenti, ce l'hai fatta: lei vivrà la sua vita innamorandosi di qualcun altro e costruendo la famiglia che tu non hai mai avuto, mentre tu morirai ventenne in mezzo a un mucchio di neve. Furbo, non c'è che dire."

Il ragazzo strizzò gli occhi per mandare giù il colpo: "Ho accettato il compromesso."

"Fammi indovinare." incalzò Cordano giocherellando con quell'odioso arnese. "La sindrome di Stoccolma ha contagiato anche te?"

"Sindrome di Stoccolma...?" nonostante non avesse la minima voglia di farsi prendere in giro da quella carogna, Jeremy voleva sapere di quali diavolerie stesse blaterando.

"È semplice, Parker: due persone costrette alla convivenza forzata, in genere rapitore e vittima, che sviluppano una sorta di...sentimento? Una cosa malata, totalmente irrazionale e priva di qualsiasi senso. Specialmente nel momento in cui lei si fa fottere dal poliziotto che la salva e lui muore." si divertiva davvero, perché aveva trovato in Jeremy un punto ancora più debole della paura di morire. Lo stesso che, colpito, aveva trasformato il Jeremy indifferente ed egoista con cui era venuto a conoscenza diversi mesi prima. Quel punto si chiamava Taylor Heavens.

Ma Jeremy realizzò subito le intenzioni di Cordano e gli lanciò un'occhiata truce: "Non c'è nessuna sindrome, Cordano, solo la tua sudicia e maledetta presenza nella mia vita. Smettila con i tuoi giochetti e fai quello che devi fare."

Cordano rise di nuovo, di un riso amaro e crudo: "Lascia che ti illustri la cosa, piccolo Romeo dei bassi fondi. Avresti potuto intascare poco meno di un milione di sterline, risolvere tutti i tuoi casini da orfano dimenticato dal mondo e andartene da questo posto a cui sei incatenato da quando quella bestia di tuo padre ha ucciso tua madre."

"Non-"

"Lasciami finire, Parker!" l'uomo era a dir poco furioso. Furioso per i guai che Jeremy gli aveva fatto passare dal giorno in cui aveva fatto irruzione in casa sua, furioso per tutti quelli che sarebbero arrivati da lì a poche ore, se non minuti.

"Quando ci siamo conosciuti, la tua misera vita ti ha dato l'occasione di riscattarti dalla merda che David Parker ti aveva gettato addosso e tu cos'hai fatto? L'hai bruciata, l'hai mandata a puttane per un'insulsa bambinetta viziata. Perché, Jeremy? Perché ti sei innamorato." ripeté.

"Me l'ha insegnato mia madre!" esclamò Jeremy, la gola annodata. "Me l'ha insegnato mia madre ad amare, prima che quella bestia di mio padre la uccidesse!"

"Oh, ma amare è un'altra cosa, mio caro Parker." ghignò lui. "Infatti a quanto pare tua madre non è mai stata ferrata sull'argomento e ha insegnato pure a te come si fa a farsi prendere per il culo dagli stronzi."

Jeremy si avventò su di lui, sopraffatto dalla rabbia.

Si scagliò con tutta la forza che gli era rimasta, ma l'uomo era preparato e lo bloccò facilmente con un potente calcio all'altezza dello stomaco. Il ragazzo cadde a terra piegandosi in due e sputando sangue.

Fece fatica a riprendere fiato, ma riuscì comunque a rispondergli: "Non...parlare così...di lei."

"Di chi? Di Taylor o di tua madre?" Cordano rise amaramente."Dio, Parker, tutto questo è davvero incomprensibile."

Jeremy fece cadere un'altra lacrima, di dolore e di frustrazione: "Non preoccuparti. Magari lo comprenderai durante il lungo periodo di tempo che avrai per meditare dietro le sbarre."

Il mafioso lo raggiunse con una falcata e, afferrato saldamente il colletto della sua felpa, lo fece ritornare in piedi, puntandogli la pistola dritta dritta sul ventre.

La felpa di Jeremy si era sollevata e il contatto tra il ferro gelido e la sua pelle nuda lo fece rabbrividire.

In quel preciso momento, la sua mente ripercorse a ritroso quei giorni in cui tutto era cambiato. Vedeva un ragazzo coperto da una sciarpa bianca, la stessa che ora penzolava sul suo petto, slegata. Il suo naso era coperto di sangue perché era stato picchiato e Cordano gli puntava la pistola sotto il mento. Quel giorno aveva firmato la sua condanna, ma potendo, sarebbe tornato indietro? Non sapeva rispondersi. C'era qualcosa che non avrebbe mai potuto perdersi, nonostante stesse per perdere tutto.

"Va bene, Parker. Le tue ultime parole."

Quel giorno, quel ragazzo aveva affermato che tenere a bada una ragazzina sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi. Quando si dice 'le ultime parole famose'.

"Vaffanculo, Cordano." rispose, flebile come la fiamma della sua stessa vita, che si stava per spegnere. "E buon Natale."

Quel giorno quel ragazzo aveva detto a Cordano che sperava di morire dopo di lui, perché la sua vita valeva molto di più e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il possibile l'aveva fatto, ma aveva trovato una vita che valeva ancora di più della propria.

"Nonostante tutti i tuoi inutili sforzi, morirai da solo, Parker. Buon Natale."

Quel giorno quel ragazzo aveva pensato che nessuno si sarebbe mai frapposto tra lui e il proiettile.

E aveva ragione.

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Il rumore insopportabile dello sparo tormentava le orecchie e la mente di Taylor da diversi minuti, ma era quasi sicura di averne appena sentito un altro dal luogo da cui era scappata.

Si asciugò gli occhi con il palmo delle mani, tremante, e alzò lo sguardo sulla vietta innevata.

Non ce l'aveva fatta ad arrivare fino alla stazione, si era fermata prima, si era raggomitolata su una panchina di legno sotto un albero spoglio e aveva pianto tutta la delusione e il dolore che l'avevano sopraffatta. Come aveva fatto all'inizio di quella stupida avventura. Se avesse potuto, sarebbe tornata indietro e avrebbe cambiato molte cose.

Non aveva ancora smesso di sfogare tutte le sue lacrime, ma quell'odioso rumore, impossibile per lei non udirlo, aveva fatto scattare un campanello d'allarme.

Proveniva indubbiamente dallo spiazzo abbandonato, ma quale poteva essere la sua causa, se Jeremy era rimasto solo?

Jeremy...un singhiozzo risuonò nell'aria. Se lui fosse stato lì, lei non lo sapeva, non avrebbe sopportato la sensazione che gli provocava il suo pianto. Se lui non le avesse detto un mare di bugie, lei non si sarebbe messa a piangere. Si era immaginata, era stata così presuntuosa da immaginarsi, di poter cambiare quel ragazzo.

Cosa le aveva fatto credere di riuscire ad attenuare l'egoismo, l'orgoglio, la strafottenza, il menefreghismo? La risposta era facile: lui gliel'aveva fatto credere. L'aveva baciata, si era preso cura di lei in una maniera così dolce che non cascarci con tutte le scarpe sarebbe stato impossibile.

E continuava a non capire come avesse fatto a recitare così bene. Perché a lei quei baci e quelle cure erano sembrati veri. Troppo veri per non esserlo.

Chi aveva sparato? Il suo cuore cominciava ad agitarsi. Magari era stato lui stesso per accertarsi che non fosse tornata indietro...magari no.

Non era pronta all'azione, lei era sempre rimasta a guardare gli altri che agivano davanti ai suoi occhi. Spesso era impotente, quindi era abituata a lasciar correre ed essere vittima, come era accaduto con suo padre e con sua sorella e ora con Jeremy. Forse sarebbe stato meglio se fosse rimasta lì a soffrire in silenzio e avesse fatto finta di niente.

Ma se Jeremy si fosse trovato in pericolo?

Dalle sue parole, lui non aveva bisogno di lei, quindi poteva benissimo smetterla di arrovellarsi tanto per una persona del genere. Peccato che si fosse innamorata di una persona del genere, anzi, esattamente di quella.

Quando si è innamorati, innamorati davvero, si tende a respingere le proprie obiezioni di coscienza per il bene dell'altro.

Fu forse per questo che Taylor, contro quello che le imponeva il cervello, si alzò e a passi incerti ripercorse la stradina in pendenza che conduceva alla piazzola. Più ci si avvicinava, osservando intimorita i dintorni deserti, più sentiva chiaramente dei rumori...qualcuno che apriva la portiera di un'auto, la chiudeva e il motore che partiva. Sperava che fosse Jeremy che se ne stava andando. Sperava di non trovare nessuno, lì.

Sbucò nello spiazzo nell'esatto momento in cui l'auto partì sgommando in retromarcia. La seguì con gli occhi per un istante, per poi abbassare lo sguardo e sentire il suo cuore perdere un battito.

A terra, non lontano dal piccolo alberello di Natale, giaceva inerme il corpo di Jeremy, supino e con una mano sul ventre.

La mano pallida contrastava il rosso vibrante che si era espanso sul suo petto e sulla neve attorno a lui. Generalmente Taylor si sarebbe pietrificata sul posto, completamente congelata, ma senza dare retta alla sua stupida paura, si precipitò verso di lui sentendosi ancora più stupida per averlo abbandonato.

Si accovacciò accanto l suo corpo immobile e si sforzò con tutta la volontà che aveva di non lasciarsi prendere dal terrore: "Je-Jeremy. Oh mio Dio. Jeremy!"

Il ragazzo mosse di poco la testa e schiuse gli occhi come se le sue palpebre pesassero un quintale. Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco il volto, mentre il vero fuoco si diramava dal suo fianco per tutto il corpo, raggiungendo ogni estremità in un tripudio di dolore.

"Lor."

Gli uscì come un soffio di sorpresa, mentre gli occhi della ragazza si riempivano di lacrime.

"Sei uno stronzo." fu tutto ciò che riuscì a dirgli. "Sei un grandissimo stronzo, Jeremy."

Il ragazzo raccolse le forze per farle un sorriso, ma ne uscì solo una smorfia sofferente: "Sempre delicata come una rosa, principessa..."

Lei si strofinò gli occhi offuscati dal pianto, presa dal panico e dal rifiuto per ciò che aveva davanti. Poi, prendendo un grosso respiro, cercò di soppesare il danno, constatando che la pozza di sangue si era ingrandita e le mani di Jeremy erano più fredde della neve su cui era disteso.

Respirava sempre più lentamente ed emetteva gemiti sofferenti, muovendo il bacino spasmodicamente per assecondare il dolore.

Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche se aveva una dannatissima paura e quasi non riusciva a muoversi.

"Non dovevo lasciarti da solo." parlò tra le lacrime, mentre lui tremava per il freddo e la debolezza sempre più opprimenti. "Non avrei dovuto crederti, Jeremy. Perché finisco sempre per darti retta, eh? Perché ti ascolto? Se fossi rimasta con te, avrei potuto fare qualcosa...qualsiasi cosa."

"Sì...con la tua stazza imponente...e la tua forza bruta..." anche in quelle condizioni riusciva a prenderla in giro.

Lei si fece forza e gli sfilò la sciarpa bianca dal collo. Con le mani tremanti, alzò il lembo della sua giacca, trovando malamente ripiegato il suo disegno, il regalo di Natale che aveva fatto per il ragazzo. Ormai era completamente macchiato di sangue, perciò lo lasciò cadere sulla neve e con tutta la delicatezza possibile per il suo stato di ipertensione, sollevò la felpa e affrontò la ferita direttamente.

Avrebbe vomitato anima e corpo seduta stante, se solo il rifiuto di vedere Jeremy in quello stato non fosse stato più forte di qualsiasi altra emozione o sensazione. Con estrema cautela gli legò la sciarpa attorno alla vita, in modo che fungesse da improvvisata benda.

"Che cosa fai?" chiese flebilmente lui. "È la sciarpa di mia mamma."

"È il modo più utile in cui tu l'abbia utilizzata finora."

"Lascia perdere, Taylor..." la esortò, quasi dolcemente, come se stesse riprendendo un bambino impegnato in qualcosa di inutile e stupido.

Lei scosse il capo, testarda, e tirando su con il naso continuò a concentrarsi sul suo lavoro. Ma le mani tremavano sempre di più e le lacrime scendevano sul viso, scivolando via lentamente...esattamente come stava facendo la vita di Jeremy sotto i suoi occhi.

"Beh, almeno non è vero." tossicchiò lui, tentando un altro debole sorriso.

"Non è vero cosa?"

"Che morirò da solo."

La ragazza si bloccò: "Che-che cosa dici, Jeremy?" balbettò, lo sguardo basso. "Tu non...non morirai."

"E poi dici che sono io quello che dice le bugie...sei proprio una mocciosa, Lor."

"Devo solo...ho solo bisogno di un cellulare..." mormorò la ragazza tra le lacrime, tastando la giacca di Jeremy. "Dove...dove cavolo...?"

"Smettila." con uno sforzo immenso, la sua mano gelida si posò su quella di Taylor, sporca di sangue e intenta a perlustrare spasmodicamente una tasca.

Lei nascose il viso dietro il braccio, un patetico tentativo di non farsi vedere mentre frignava. Si sentiva così inutile!

"Taylor, guardami." la implorò Jeremy. "Per favore..."

Finalmente incrociò i suoi occhi. I suoi occhi che stavano quasi per chiudersi, di cui scorgeva l'azzurro intenso, quello che non era mai cambiato, che non si era mai affievolito e che le sembrava ingiusto dover perdere così, per una stupida vendetta. Lei amava quell'azzurro. Non era giusto.

"Promettimi che comunque vada, cercherai di riconciliarti con tuo padre." era una richiesta formulata debolmente, ma lui ci credeva nell'amore di quel singolare uomo per Taylor. Sapeva che l'amava, riconosceva in lui i suoi stessi sintomi.

Taylor annuì nei singhiozzi.

"Promettimi che...se non potrò farlo io...farai in modo che Alex...non combini cazzate..."

Le scappò un sorriso tra le lacrime: "L'impegno ce lo metto, Jeremy."

"Promettimi che...imparerai a pattinare."

"Ok. Lo prometto." sospirò, incapace di aggiungere altro.

Silenziosamente, allungò la mano per stringere quella di Jeremy, odiando tutto e tutti quelli che si erano messi tra di loro, contro di loro.

Lui era sempre stato quello forte, quello determinato. Anche se faceva qualcosa contro la sua volontà, eseguiva tutto perfettamente. Dei tre era sempre stato l'unico a sapere a cosa andasse incontro, ma non l'aveva mai detto.

Aveva affrontato i suoi problemi con il coraggio di un leone che protegge gli animali più deboli e ora che il leone era stato colpito da un proiettile, gli animali più deboli non potevano fare altro che stare a guardare e sentirsi impotenti. Avrebbe voluto essere al suo posto e non capiva perché Dio stesse facendo questo proprio a lui. Non aveva già sofferto abbastanza?

"Stai pensando...al tuo Dio...vero?"

"Sì." rispose lei. "Sì, lui...non doveva farti questo."

"No, Lor." la contraddisse. "La mia preghiera ha funzionato."

Gli lanciò uno sguardo sconvolto e interrogativo.

"Quel giorno, a Stroud." disse. "Avevo chiesto...che..." respirava a fatica, i polmoni che lo stavano abbandonando, stanchi. "Che andasse tutto bene..."

"Oh, bel modo di fare andare tutto bene! Niente è andato bene, Jeremy! Guarda!"

"Non è vero." Jeremy tossì, stringendo forte la mano di Taylor. "Mi sono innamorato anch'io, Lor."

Il rumore di una brusca frenata a pochi metri da loro spezzò la catena di sguardi, ma chiunque fosse, arrivò troppo tardi. In quel momento Jeremy chiuse gli occhi, esausto, e mollò la presa sulla mano di Taylor.



"Taylor!" Allyson corse incontro all'amica, gettandosi con le ginocchia sulla neve e abbracciandola forte.

La ragazza rispose all'abbraccio come fosse un automa, rimanendo in silenzio perché non aveva nemmeno la forza di pensare.

Svenne poco dopo, oppressa da quel sovraccarico di eventi ed emozioni, ricordandosi solo la voce di Alex che chiamava un'ambulanza e quella di Richard che dopo aver discusso con la sorella, aveva deciso di inseguire Cordano finché non l'avesse raggiunto e fatto arrestare.

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Il titolo, "Salvarti per salvarmi", mi sembra alquanto emblematico. Per questo non vi rompo troppo le ballotte e vi lascio subito al prossimo capitolo.

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Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io e te è grammaticalmente scorretto , e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!

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Capitolo 13
*** All Kinds of Love ***


All I want - 13.2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********All Kinds of Love********

"Sei sicura di volerlo fare?"

"Sì, mamma." ripeté Taylor per l'ennesima volta, mentre si sistemava la coda di cavallo con l'impressione di sembrare in disordine.

Prese un profondo respiro e appoggiò la mano sulla maniglia della portiera, ma venne bloccata dalla donna.

"Tay, aspetta!" Amanda strinse il suo braccio per trattenerla.

L'ultima volta che si era allontanata, non l'aveva più rivista per venti giorni: quel pensiero la spaventò. Sembrava fosse stata lontana per una vita e ora, dopo solo un giorno dal suo ritorno, doveva separarsene di nuovo.

"Che c'è?"

La donna la guardò negli occhi, uguali ai suoi, scuri e profondi.

"Sono davvero felice che tu stia bene." le disse, il tono tremante di chi ne aveva passate tante e aveva paura di ammettere che finalmente fosse tutto finito.

Taylor sorrise, ripensando a quanto aveva sofferto la mancanza della la madre. Aveva avuto paura di non poterla più rivedere o abbracciare, aveva avuto paura che lei sarebbe rimasta sola. E ora non doveva più averne, poteva guardarla e stare tranquilla, perché erano lì, insieme. E a casa, finalmente.

"Avevi dubbi?" le ripose sorridendo allegramente, poi le lasciò un veloce bacio sulla guancia e scese dalla macchina. Sua mamma era sempre stata forte per lei, ora era tempo di ricambiare il favore.

Amanda abbassò il finestrino facendo entrare l'aria pungente di fine dicembre: "Mi raccomando, Tay." la redarguì. "Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi, anzi, se preferisci che io resti qui fuori con l'auto..."

"Mamma." la interruppe dolcemente la ragazza. "È solo una cena di Natale, la cosa peggiore che possa capitarmi è che il tacchino sia poco cotto."

Amanda le lanciò un'occhiata in tralice, non così amichevole come ci si potrebbe aspettare: "Davvero spiritosa. Torno all'ospedale, allora, ti chiamo se ho notizie. Va bene?"

"Grazie, mamma."

"E, Tay?"

"Mh?"

"Credo che tu abbia fatto bene ad accettare, solo...non essere troppo acida, eh."

"Mamma!" ridacchiò lei, quasi divertita da tutte quelle raccomandazioni. "Sono in missione di pace!"

La donna alzò le sopracciglia: non si capacitava ancora di come in poco più di ventiquattr'ore dal ritrovamento di sua figlia avesse scoperto così tanti cambiamenti in lei. E non erano proprio cambiamenti di poco conto.

"Stai attenta, ok? Ti ricordo che dovresti stare ancora a riposo, secondo i medici."

"Non riposerò finché i medici non mi daranno qualche buona notizia." fu la risposta della ragazza, ricca di emozioni che Amanda riusciva benissimo a immaginare.

Abbassò lo sguardo, tanto dubbiosa quanto preoccupata per sua figlia e tutto ciò che in quel momento le stava tanto a cuore: "Tu cerca di distrarti, mh? Ti voglio bene, ci vediamo più tardi."

La ragazza annuì e salutò con la mano sua madre, mentre partiva per lasciarla sola davanti a villa Heavens. C'era un freddo penetrante e ghiaccio sui marciapiedi, ma le strade erano lo stesso molto popolate. Specialmente da chi stava andando a riunirsi per l'irrinunciabile cenone natalizio.

D'altra parte, era il 25 dicembre e l'atmosfera non poteva essere più adatta. Non per tutti, naturalmente, ma nessuno dei passanti pensava a cose brutte, quella sera. D'altronde la loro vita negli ultimi quindici giorni si era svolta regolarmente: pacchetti, addobbi, alberi, messe, canti...

Si voltò e si trovò faccia a faccia con la visione della sontuosa residenza Heavens, elegante e altera nella zona elitaria della piccola Bourton. Aveva sempre guardato con meraviglia le fattezze di quel quartiere: le sue abitazioni grandi e curate, i suoi viali spaziosi e alberati, i parchi e le zone boschive che trasmettevano pace e tranquillità.

Molta all'apparenza, ma aveva appreso che effettivamente l'apparenza inganna.

Si fece coraggio e, stringendosi nel cappotto per conservare quel poco calore che era riuscita a recuperare, si avviò verso la porta. L'ultima volta che era stata lì era stato l'inizio del caos, perciò faceva un certo effetto tornarci di nuovo.

Da una parte quasi desiderava che quell'esperienza si potesse ripetere, dall'altra voleva fortemente che non fosse mai successo nulla. Una serie di desideri e rimpianti si intrecciavano ai suoi ricordi, rendendoli ancora più vividi, ma non era tempo di mettersi a pensare, quello.

Era da più di ventiquattr'ore che continuava incessantemente a torturarsi; adesso, però, doveva assolutamente portare a termine quella missione con nervi saldi e tempra forte. Gliel'aveva chiesto Jeremy.

Non fece nemmeno in tempo a suonare che l'entrata si spalancò all'improvviso, rivelando una Tessy meravigliosa nel suo vestito rosso, impeccabile e vibrante.

Taylor s'irrigidì. Pensava di essere pronta per quel momento, ma scoprì che non lo era affatto. Ottimo inizio.

Cos'era? Nervi saldi e tempra forte?

Ma la vera sorpresa fu Tessy, che al contrario di lei, sembrava essere ben determinata nell'accoglierla con un abbraccio. Che doveva fare? Era indecisa tra voltarsi e scappare prima che riuscisse a prenderla o urlare come se non ci fosse un domani. Forse era meglio la prima.

Invece, prima che riuscisse a fare qualsiasi cosa, venne avvolta in un forte profumo di sandalo e vaniglia e contemporaneamente stretta da un corpo tanto esile quanto caldo. Era strano quel contatto, pensò.

Forse era l'abitudine a un altro tipo di abbraccio; più forte, più protettivo, forse era la non abitudine al corpo di Tessy, che non conosceva, che aveva sempre rifiutato di conoscere. Le piaceva, tutto sommato; sapeva di casa, sapeva di normalità.

Appena la sorellastra si staccò da lei, la guardò con un sorriso imbarazzato: "Perdonami, ehm...non so quanto tu avessi voglia di un abbraccio da parte mia, è solo che...sono davvero felice che tu ce l'abbia fatta, Taylor." sembrava sincera e la sua espressione comunicava sollievo e gioia. "Ti sembrerà strano detto da me, però...in tutto questo tempo ho avuto davvero paura e ti voglio chiedere scusa. Scusami, Taylor, per le tante volte in cui avrei dovuto essere matura e invece ho continuato a fare la stronza."

Questo sì che era essere precipitosi, ma Taylor, commossa da quelle inaspettate parole, si lasciò andare in un sorriso e si schiarì la voce: "Tutt'altro rispetto ai commentini su quanto sia grassa."

Anche Tessy sorrise, stavolta più rilassata nel vedere che Taylor non sembrava poi così arrabbiata con lei: "Sappi che non lo pensavo."

"Che bugiarda" ridacchiò Taylor. "Metà della colpa è senza dubbio mia." ammise con fatica e tornando seria. "Credo che Allyson avesse ragione: noi due non abbiamo mai voluto conoscerci veramente, io per prima. Mi dispiace." le costava davvero tanto dirlo ad alta voce, però aveva capito, negli ultimi giorni, che farsi condizionare dal rancore e dalla vendetta per gli screzi passati non portava mai a nulla di buono. Glielo aveva sempre detto la sua migliore amica e lei non le aveva mai dato ascolto, ora però sapeva che non si sbagliava.

"Senti, facciamo che da oggi si ricomincia e come proposito per l'anno nuovo cercheremo di accontentare la povera Allyson." sorrise Tessy, animata dal desiderio di ricominciare tutto da capo e rimediare alle mancanze. "Niente più ostilità."

"Nei limiti del possibile. Ho mille commentini alle spalle da smaltire."

"Naturalmente. Anch'io ho la mia parte di fastidio da tenere a bada."

"Affare fatto."

Le ragazze si sorrisero e si strinsero la mano, forse per la prima volta in tutta la loro vita.

Dalla porta si faceva strada un profumino davvero invitante, così non esitarono a entrare in casa e farsi avvolgere dall'atmosfera natalizia, con tanto di caminetto strepitante, luci dorate, candele accese e un tavolo perfettamente imbandito per quattro persone.

Taylor sorrise, euforica per la prima volta dopo ore di pianto incessante. Tutto quel calore, quella sensazione di familiarità, di pace...le mancavano proprio e le servivano. Ne aveva davvero bisogno, in quel momento.

"Oh, Taylor, benvenuta!" esclamò una donna vestita di tutto punto, dalle forme sinuose e prosperose e dal sorriso raffinato.

Appoggiò il vassoio di tartine sul tavolo e la baciò sulle guance: "Sei fredda, tesoro, vuoi una coperta?"

"No no, si sta bene qui. Grazie per il benvenuto e buon Natale." le sorrise.

Era una bellissima donna, Martha Gellerd. Aveva i capelli rossi e la pelle chiara, giovane, per quanto l'età lo permettesse. Chissà se Amanda ne era mai stata invidiosa, si chiese, e poi si meravigliò di quanto poco, in realtà, conoscesse la seconda famiglia di suo padre. Ma era lì per rimediare, giusto?

"Mamma, per favore, non viene dalla Lapponia." la liquidò Tessy. "Va' a chiamare i Robins, devi ricordare loro che quest'anno non li riceveremo prima delle dieci."

"Giusto, hai ragione. Speriamo che Judith non sia curiosa come al solito." cinguettò lei tornando in cucina.

Tessy rivolse uno sguardo di scuse a Taylor e si sedette sulla poltrona: "Mamma ha invitato mezza Bourton dopo cena per la tombola di Natale."

"Potevate avere i vostri ospiti anche a cena." ribatté lei. "Non volevo essere d'intralcio."

Tessy alzò le sopracciglia: "Quel branco di zitelle in crisi di mezza età? Credimi, loro sarebbero state d'intralcio a noi. E poi non voglio nessuno; questa dev'essere una cena di famiglia e la famiglia siamo noi. Mi spiace che Amanda non sia qui, a proposito."

Taylor pensò a sua madre che ora doveva essere già arrivata all'ospedale di Bourton. L'avrebbe chiamata se avesse avuto notizie, l'aveva detto lei. Non doveva rimuginarci troppo.

E poi Tessy aveva appena detto qualcosa di assolutamente inaspettato: la famiglia siamo noi. Taylor non si era mai sentita famiglia...ed era sicura che Tessy non la volesse nella sua. Forse in fondo aveva più pregiudizi di quanto pensasse.

"Sono stata io a chiederle di rimanere a casa." spiegò allora. "Avevo bisogno di stare sola con voi. Questo non significa che non sarebbe stata felice di essere presente." aggiunse con un sorriso.

Pensò all'opera di convinzione che aveva dovuto fare per guadagnare la fiducia di Amanda, quando le aveva proposto di andare completamente sola. Amanda era molto scettica sulla stabilità fisica e sentimentale della figlia. Tuttavia, nei giorni della sua assenza, aveva ricominciato a tessere buoni rapporti con persone che prima credeva di non poter nemmeno avvicinare. Ora toccava a Taylor e capiva che non volesse alcuna interferenza, per quanto d'aiuto potesse esserle.

Tessy stava per ribattere quando il campanello suonò.

La ragazza roteò gli occhi: "Lo sapevo, quegli zotici dei Robins non riescono a stare lontani dai pettegolezzi. Perdonami un secondo." si alzò e si avviò a passo sostenuto verso la porta, pronta a spiegare chiaro e tondo a quelle persone che avrebbero dovuto farsi una vita invece di bazzicare sempre dove c'era del gossip.

Ma alla porta non trovò esattamente chi si aspettava.

Un ragazzo della sua età, biondo e di bell'aspetto, la stava guardando con il naso congelato, mentre soffiava all'interno delle mani congiunte per farsi un po' di caldo.

"Ehi."

Tessy lo guardò con fare titubante. Era un'apparizione oppure era lì veramente? Quanto tempo era passato da quanto si erano rivolti la parola per l'ultima volta?

"Tu..." pareva confusa e spiazzata nel vederlo lì davanti.

"Mi si iberna il cervello qui fuori...posso entrare?" domandò scrutando all'interno.

"Ehm...veramente..."

"Beh, credo che l'ibernazione non sia affatto una buona idea." intervenne Taylor, comparsa all'improvviso per dare man forte alla sorellastra apparentemente confusa e a disagio.

Tessy parve riscuotersi: "Ecco, in realtà io stavo parlando con Taylor. È la prima volta che la vedo da quando è tornata, quindi si dal caso che necessiti di un po' d'intimità e non mi sembra altrettanto il caso che tu ricompaia dopo tutto questo tempo proprio la sera di Natale."

"Seguo le orme di Gesù." fu la battuta alla quale nessuna delle due rise. "Ciao Taylor, io sono Eric." le tese la mano coperta dai guanti. "Ho sentito di te al tg e...sono davvero contento che tutto sia andato per il meglio."

"Grazie." rispose lei con un finto sorriso. Per il meglio un cavolo, pensò.

"Sentite, io vi lascio discutere a quattr'occhi da soli, eh?" aggiunse. "Vado a chiedere a Martha cosa si mangia." e con un'occhiataccia da parte della sorellastra si dileguò verso la cucina. Naturalmente non aveva intenzione di sparire, infatti si appostò dietro una colonna con tutta la volontà di spiare la conversazione.

Quell'Eric non le ispirava un granché, però aveva l'aria del disperato, di uno che aveva l'impellente bisogno di essere perdonato. E sperava che Tessy glielo avrebbe concesso, che gli avrebbe dato una seconda occasione. Aveva imparato che tutti hanno storie diverse alle spalle, così come poteva averne anche lui.

Eric era entrato e si era fiondato davanti al camino, Tessy lo guardava a braccia conserte, irritata e nervosa. Non sapeva che avesse combinato, ma aveva una vaga idea di chi fosse e quindi poteva dedurre che non scorressero più buoni rapporti tra i due.

Era giusto sul punto di lasciarli veramente soli, quando, voltandosi, andò a sbattere contro qualcuno che stava camminando e parlando contemporaneamente, e non si era accorto di lei.

"Scusi."

Alzò gli occhi sulla figura che le stava davanti e si bloccò come una statua.

Anche l'altro rimase immobile a guardarla, il fuoco del camino riflesso sulle sue pupille grigiastre.

Era distratto e non si aspettava uno scontro con Taylor, in quel preciso istante. Come la figlia, pensava di essere pronto a fronteggiare una persona, ma nel momento in cui era accaduto aveva realizzato di non esserlo affatto.

Lei non osava muovere un muscolo: erano anni che non si trovava così vicino a suo padre, anni che non parlava con lui faccia a faccia, anni che aveva passato a odiarlo. E ora era lì, a un palmo di naso da lei, sempre uguale nel suo elegante smoking grigio, eccetto per un pugno di rughe in più nel volto.

Dopo essersi schiarito la voce, fu lui ad ammorbidire l'espressione e regalarle un sorriso: "Taylor."

Aveva detto il suo nome, niente di più, però aveva detto tutto. Le aveva fatto sentire quella voce che era sempre mancata alle sue orecchie; la voce di un uomo, di un padre, le aveva fatto sentire come il suo nome doveva essere detto, perché era stato proprio lui a comunicarlo per la prima volta all'infermiera perché venisse scritto sul suo braccialetto di riconoscimento e successivamente sulla sua carta d'identità.

"Oliver..." ricambiò lei a mezza voce, come un saluto che non sapeva se rimanere tale o prendere intonazioni diverse.

"La cena è pronta!" annunciò Martha sovrastando il sottofondo musicale che riecheggiava per la casa assieme alla discussione di Eric e Tessy.

Oliver sorrise e fece un cenno con la testa verso il tavolo apparecchiato: "Avrai fame, no?"

Taylor annuì e lo seguì verso il salone, dove Eric si stava rivestendo.

"Oh, Eric, che piacere!" lo salutò Oliver. "Buon Natale, figliolo."

"Buon Natale, Eric." gli fece eco Martha lanciando un'occhiatina a Tessy, la quale era rimasta nella sua posizione con sguardo severo.

"Non resti per cena?" chiese Oliver, come ci si sarebbe potuto aspettare da uno che neanche lontanamente ricordava tutta la diatriba svoltasi tra lui e sua figlia. In fondo, a Eric aveva sempre voluto bene. Oliver voleva bene a tutti.

"No, Eric non resta." lo fece tacere Tessy, aprendo la porta e invitando il ragazzo rifarsi vivo solo quando avrebbe trovato qualcosa di più efficace di un semplice "scusa".

Il ricciolino uscì a testa bassa, sconfitto, chiudendo la sua breve comparsa con un augurio di buon Natale poco convinto. Ma lasciò la casa in una strana quiete, al contempo piacevole e ricca di aspettative.

I quattro si sedettero a tavola e, dopo aver pregato ringraziando per quel giorno così speciale, Martha cominciò a servire la zuppa, blaterando sul fatto che Tessy fosse sempre così poco cortese con gli ospiti.

"Ci siamo", pensò Taylor, che si sarebbe aspettata qualche discorso da parte di Oliver, ma che era grata che alla fine nessuno si fosse lanciato in certi formalismi.

In realtà, apprezzava che tutti stessero facendo del loro meglio per far scorrere gli eventi nella direzione in cui dovevano andare. E ora era arrivato il momento di ricominciare da zero.

La prima cena con la famiglia che non aveva mai avuto.

Nonostante l'atmosfera, si sentiva così spaventata e a disagio che in una situazione normale non avrebbe esitato ad alzarsi e scappare a gambe levate per tornare da sua madre.

Ma questa volta non poteva. L'aveva promesso e se non riusciva a farlo per se stessa, almeno doveva farlo per lui.

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Amanda scivolò nel corridoio cercando di fare meno rumore possibile: era tardi e molte persone si erano addormentate sulle sedie di plastica. Un bambino dalle guanciotte arrossate ronfava sulle gambe del papà e una signora sussurrava qualcosa di incomprensibile al telefono. Raggiunse la porta doppia e la socchiuse pian piano, sgusciando dentro e poggiandola di nuovo.

La piccola saletta era deserta e ancora più silenziosa, quasi inquietante se non fosse stato per quell'unica giacca a vento raggomitolata su una sedia di plastica blu. Si avvicinò e notò che sotto di essa c'erano un Blackberry e un mazzo di chiavi contrassegnato da un pendente a forma di A.

Pensò che Allyson avesse dimenticato le sue cose e le sistemò sul tavolino lì di fronte, così almeno le avrebbe ritrovate in ordine se fosse venuta a riprenderle. Si svestì ringraziando che ci fosse il riscaldamento: se freddo, quel posto sarebbe stato il massimo della tristezza.

Prese un profondo respiro e si affacciò alla finestrella che dava sulla sala adiacente a quella in cui si trovava. Si aspettava di vedere sempre la stessa scena: un lettino bianco, infiniti macchinari e un ragazzo dal viso angelico disteso a lottare contro la morte. Invece questa volta vi era un particolare in più. Un ragazzo bruno stava seduto accanto a Jeremy Parker e si teneva la testa con entrambe le mani.

Amanda entrò cautamente, ma non abbastanza da non essere sentita da Alex, che alzò lo sguardo arrossato su di lei e sussultò.

"Ciao." salutò lei in un bisbiglio delicato, sorridendogli.

Lui non rispose, impassibile. Si limitò solamente a seguirla con gli occhi mentre camminava verso di lui.

"Alexander Bell, giusto?" gli chiese fermandosi accanto al lettino. "Pensavo che qualcuno avesse dimenticato le sue cose in saletta, invece c'eri tu qui."

Alex abbassò lo sguardo sull'orologio, rendendosi conto di essere lì da molto più tempo di quanto credesse: "Avrei voluto rimanere giusto una decina di minuti, ma..." s'interruppe sospirando e passandosi una mano sul volto.

Amanda gli rivolse uno guardo di comprensione, molto simile a quello che anche Taylor gli aveva rivolto non molti giorni prima e poi s'incantò a osservare tutte quelle macchine che lampeggiavano e producevano uno strano suono.

A pensare che poteva esserci sua figlia sopra il lettino si sentiva mancare, poi guardava quel biondino e non poteva fare a meno di commuoversi.

Aveva salvato la vita di sua figlia sacrificando la propria: come avrebbe mai potuto essergli abbastanza riconoscente? Non sapeva chi fosse, eppure da quando l'aveva visto nella foto alla tv aveva pensato che somigliasse davvero a un angelo.

Ricordava di essersi chiesta come potesse un ragazzo tanto bello e dai tratti tanto gentili essere capace di un rapimento, un gesto così cattivo e immorale. Aveva avuto ragione a metterlo in dubbio e quasi le dispiaceva non aver pensato subito che doveva esserci qualcosa di più sotto a tutta quella storia. Qualcosa che lo obbligava a essere quello che non era.

"Da quanto sei qui?" chiese al moro, ritornando a focalizzarsi su di lui.

Alex scosse la testa, andando a ritroso nel tempo e non ricordando nemmeno in che altro modo l'avesse passato se non lì, sempre concitato nell'attesa di qualcosa, di una buona notizia.

"Ti ho visto ieri mattina quando hanno portato qui Jeremy e Taylor." proseguì la donna. "Ti ho visto ieri notte, ti ho visto questa mattina e anche nel primo pomeriggio. Non dirmi che non sei ancora tornato a casa."

Alex sbuffò: "Sì che ci sono tornato."

"Quando?"

"Non lo devo dire a lei, non è la mia di madre."

Seguì un silenzio a questa frase, rotto solo da qualche sporadico bip.

"Mi dispiace." si scusò lui, poco dopo. "Non volevo essere maleducato."

"No, Alexander, hai ragione." rispose Amanda soffermandosi sul volto di Jeremy, così pallido da fare risaltare tantissimo le lentiggini cosparse sul naso e sulle guance, come stelle al contrario; nere in un cielo luminoso.

"Mi chiami Alex."

"E tu non darmi del lei." gli sorrise. "È che mi sono preoccupata così tanto per Taylor da farmi venire naturale preoccuparmi per chiunque...anche per te, benché tu sia quasi uno sconosciuto." fece una smorfia in segno di scuse.

"Come sta Taylor?" si preoccupò il ragazzo, quasi ricordandosi solo in quel momento della ragazza.

"Le hanno detto che poteva uscire solo questo pomeriggio, senza esagerare, ed è già andata a una cena di Natale con suo padre. Fino a un minuto prima non aveva ancora smesso di piangere, mia figlia è una vera incosciente! Allyson ha anche cercato di farla ragionare, ma lei era determinata ad andare a quella cena da quando ha ricevuto l'invito questa mattina. D'altronde nemmeno Oliver riusciva ad aspettare; desidera vedere Taylor con tutto se stesso. Non l'avevo mai visto così euforico e consapevole." Amanda scosse la testa e sospirò, lanciando un'occhiata a tutti macchinari attorno a Jeremy. "Spero che almeno si distragga un po'."

Alex annuì. Chissà cosa dovevano aver passato i signori Heavens. Non si era mai posto il problema, a dir la verità. Di una sola cosa era certo: se avesse in qualsiasi modo potuto prendere le lancette dell'orologio e riportarle indietro a quel giorno, quando sul campetto da tennis aveva promesso a Jeremy che l'avrebbe accompagnato nella sua avventura, avrebbe cambiato molte cose. Compresa la sofferenza che avevano causato a tutta quella famiglia.

Sospirò esausto, stropicciandosi gli occhi doloranti: "È stata anche mia la colpa per tutto questo casino."

"Ma cosa dici?" sbottò Amanda, seriamente contrariata dalle sue parole. "Non devi sentirti responsabile; Taylor mi ha raccontato tutto quello che è successo, per filo e per segno, e la polizia ha preso coscienza di chi ci stava dietro e in che misura. Tu e lui non avete colpe e, anche se avete fatto alcune cose sbagliate, vi siete fatti perdonare."

Quei due ragazzi potevano anche aver sbagliato, ma ogni loro errore era stato riconosciuto e rimediato da loro stessi. E adesso eccoli lì, per aver voluto ribaltare una situazione che sembrava doversi concludere in maniera tragica per la vittima, ma che aveva invece reso vittima il carnefice.

"Avrei perlomeno potuto dissuaderlo dal fare questa stupidaggine, avrei potuto cercare di capire che cosa stava veramente succedendo, avrei potuto rimanere insieme a lui invece di tornarmene a Bourton...un sacco di cose che non ho fatto e che avrebbero potuto impedire che lui..." la sua voce venne rotta da un singhiozzo e la sua mano andò a coprire il volto, già segnato da altre lacrime.

Amanda si avvicinò al ragazzoe gli cinse le larghe spalle con un braccio: "Sarebbe accaduto comunque. Cordano l'avrebbe trovato nonostante tutti gli aiuti possibili. Conosco quell'uomo, perché lavorava con il mio ex marito da quando ancora non erano che semplici dipendenti. Non si fa fermare da nulla, finché non ottiene ciò che vuole."

Alex inspirò profondamente, mentre si tormentava le mani tremanti: "Giuro che lo ucciderò." la sua voce era colma di rabbia e di odio, di quelli puri, che possono sgorgare solo dal cuore più buono.

"No..." sussurrò Amanda pazientemente e dolcemente, con lo stesso tono che usava Taylor quando cercava di calmarlo. "Di lui ora se ne occuperanno i giudici, per ciò che ha fatto e per ciò che aveva già fatto. Non sporcarti le mani come ha fatto lui, pensa a Jeremy e stagli vicino, però prenditi anche un momento per te...vai dalla tua famiglia, stai con Allyson...in fondo oggi è Natale e con lui c'è sempre qualcuno qui, vedrai che andrà tutto per il meglio."

Alex annuì deglutendo a fatica e abbozzando un sorriso che faticava a distendersi completamente: "Grazie...ci proverò." non che ne fosse davvero convinto, ma apprezzava la premura di Amanda e si sentiva in qualche modo di doverle almeno un po' di considerazione.

Amanda gli offrì un fazzolettino e poi si alzò in piedi: "Aspetto lì fuori nella saletta." disse incamminandosi verso la porta. "Finché Taylor non torna, io non me ne vado. Così Jeremy sarà in compagnia."

Alex la guardò senza parlare, finché non chiuse la porta alle sue spalle e lo lasciò di nuovo solo con Jeremy...nel silenzio, nella paura.

Andarsene via? No.

Lui doveva stare lì. Lì con Jeremy.

L'unica volta in cui se n'era andato, era successo tutto questo.

Quindi non l'avrebbe lasciato mai più solo.

Voleva solo poter tornare a ridere di nuovo con lui, a litigarci, a rimproverarlo per il suo naso costantemente sanguinante. Aveva paura di non poterlo fare più.

Jeremy era il suo migliore amico e nella sua mente era sempre stato l'invincibile Jeremy, quello che se la cavava sempre, quello che ce la faceva per il rotto della cuffia e che finiva per sorridere trionfante e dargli una pacca sulla spalla accompagnata da un orgoglioso "Te l'avevo detto che sarebbe filato tutto liscio!".

Però stavolta non era successo, stavolta c'era stato un intoppo nel cammino e aveva portato a una conclusione a cui Alex non era pronto. Insomma, non era preparato all'eventualità che l'invincibile Jeremy potesse essere vinto. Era come leggere un'avventura di Peter Pan e aspettarsi la vittoria di Capitan Uncino: impensabile. Ma stavolta c'era Wendy e proprio lei aveva fatto vacillare così tanto Peter Pan da renderlo una preda più facile per Uncino.

Chi si sentiva lui in tutta questa storia? Beh, strano a dirsi, ma si sentiva molto la piccola Trilly.

Jeremy l'aveva accantonato per Taylor, a un certo punto gli aveva detto di non necessitare più del suo aiuto e, chissà, forse pensava che gli sarebbe bastata la ragazza di cui si era innamorato.

Era da quando erano arrivati all'ospedale che non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa: nonostante cercasse disperatamente di non darlo a vedere, provava rabbia nei confronti di quella ragazza che aveva fatto sbandare Jeremy, che aveva fatto abbassare le sue difese, che lo aveva distratto. All'inizio pure lui la trovava una cosa positiva e talmente insolita da essere quasi tenera.

Ma dopo si era reso conto di quanto seria fosse la faccenda e quanto poco avesse contato lui, nonostante fosse da sempre l'unico ad avere il rapporto più profondo con il biondino. Taylor aveva rovinato tutto, aveva rotto tutti gli equilibri.

Più lo guardava, inerme e senza forze, più la rabbia nei confronti di Taylor cresceva. Jeremy aveva preferito l'amore all'amicizia ed ecco cos'era successo! C'era quell'orribile pensiero, che lui provava invano a scacciare, che fosse Taylor la responsabile dello stato del suo amico. Se lui non si fosse innamorato di lei, sarebbe stato lì a lottare contro la morte?

Sbuffò stropicciandosi di nuovo gli occhi; era esausto e confuso. Non doveva pensare così, Jeremy lo avrebbe ammazzato. E a lui importava di Jeremy, che lo considerasse ancora il suo migliore amico o meno.

Gli poggiò una mano sulla spalla mentre una nuova lacrima scendeva dai suoi occhi: "Deve filare tutto liscio, Jerry, anche stavolta."

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Tutta la tavolata scoppiò a ridere per la gaffe di Martha.

Aveva appena fatto un doppio senso orribile che includeva guanti in lattice e il retto di un tacchino. Era simpatica quella Martha, constatò Taylor, non se lo sarebbe mai aspettato.

E non si sarebbe mai aspettata nemmeno che la tensione si allentasse tanto da scomparire: la cena era proseguita di bene in meglio e ora che stavano mangiando il classico budino si poteva dire soddisfatta e divertita. Aveva riso degli aneddoti di Tessy sui tradizionali ospiti di queste occasioni presso casa Heavens, aveva ascoltato i racconti di Oliver sugli attori che chiedevano esorbitanti prestiti alla Money House per rifarsi i nasi e si era addirittura appuntata un paio di ricette di Martha da riprodurre per sua madre. Sì, si era davvero scaldata, sia fuori che dentro. Finalmente.

Mentre Tessy si sventolava con il tovagliolo, immersa nelle risa, lei si concentrò sullo sguardo di Oliver, tutto preso dalla figura della moglie che agonizzava nell'imbarazzo. Com'erano felici, quegli occhi, com'erano rapiti e innamorati.

Era una scena quasi adorabile a vedersi. Quasi, però, perché dentro Taylor albergava costante quel senso di malinconia che un po' modificava il quadretto, incupendolo.

Probabilmente qualche tempo fa quello sguardo era stato rivolto a sua madre, ma ora non più. Ora aveva la piena consapevolezza che quei tempi non sarebbero più potuti tornare e che quella scintilla si era semplicemente spenta.

Oliver Heavens si era innamorato di Martha Gellerd, anzi no, lui amava Martha e Taylor sapeva bene quanto forte ed esplosivo e incontrastabile potesse essere un sentimento del genere. Si disse che era ora di familiarizzare con il fatto e di smetterla di andarci sempre contro. In fondo Oliver voleva riallacciare i rapporti con sua madre, era evidente, e si era proclamato volenteroso a essere presente, a colmare i vuoti che aveva sempre lasciato in disparte.

Con questa nuova determinazione, Taylor si pulì la bocca e andò in bagno, per rimanere un po' sola a riflettere. Si sciacquò le mani e il viso, sentendosi ancora nel bel mezzo di un turbine di eventi, uno più destabilizzante dell'altro, ma sorridendo per la prima volta allo specchio.

Sì, stava sorridendo, forse per lo champagne bevuto, forse per il tepore che finalmente si era riappropriato del suo corpo, forse per quella sensazione di euforia nel suo cuore. Sentiva come se qualcosa si stesse rimettendo a posto, come se un pezzo di puzzle che componeva il suo cuore si stesse riavvicinando dopo essere stato strappato via.

Uscì a prendere una boccata d'aria sul davanzale, coprendosi col cappotto per non prendere un malanno.

Avevano smesso da poco di tenerla sotto osservazione: i suoi valori non erano del tutto equilibrati, era ancora in uno stato piuttosto debole e avevano riscontrato una forte percentuale di stress che la opprimeva. Però adesso stava bene e aveva voglia di tornare a respirare quell'aria pungente dell'inverno che aveva vissuto così intensamente negli ultimi giorni.

Non era ancora uscita all'aria aperta da quando, la mattina prima, era stata portata all'ospedale nella stessa ambulanza in cui qualche dottore che ricordava in maniera confusa cercava freneticamente di assistere Jeremy, di fermare l'emorragia, di estrarre il proiettile.

Ricordava le loro parole, non i loro volti. Ricordava la sensazione di bagnato sulle guance, che l'aveva accompagnata per tutto il giorno e tutta la notte e ora sfiorava con le dita le sue palpebre sensibili perché le facevano male.

Aveva pianto così tanto da irritare la pelle, ma era ben cosciente che tutte quelle lacrime non erano servite a nulla. Non era piangendo, né pregando che era riuscita ad aiutare Jeremy. Non ci stava riuscendo e questo le creava un senso di smarrimento difficile da combattere.

Allora aveva deciso di provare. Di provare a fare quello che Jeremy le aveva chiesto. Forse così, si diceva, lui ce l'avrebbe fatta.

"Ehi." una voce la distolse dall'immagine della panchina nascosta in mezzo agli alberi lì sotto di lei. Si voltò per vedere Oliver che le sorrideva allungandole una sciarpa bianca: "Sei uscita senza la tua sciarpa, pensavo che avessi freddo."

Taylor la prese sorridendo: "In realtà l'ho lasciata lì apposta, non ce l'ho per metterla."

"Oh, capisco." Oliver sembrava essere a disagio.

"Ma grazie comunque." rimediò subito Taylor infilandola nella tasca e sorridendogli di nuovo.

Oliver si rilassò avanzando verso di lei e posizionandosi non molto distante, appoggiato alla ringhiera. Si guardò intorno per prendere tempo, indeciso se parlare o meno e cosa dire nel caso avesse scelto la prima opzione. Si era addirittura annotato qualche riga quel pomeriggio, ma non ricordava nemmeno la metà delle parole che avrebbe voluto dire.

Alla fine, però, il bisogno di far uscire tutto quello che da giorni schiacciava all'interno del suo cuore si fece troppo forte e lo convinse a farsi coraggio. Non resistette più e parlò: "Non sono qui solo per la sciarpa, comunque."

Taylor si concentrò su di lui, il volto illuminato dalle lucine a intermittenza che si alternavano in mille colori attorno al terrazzo.

"Sono qui per parlare con te, Taylor."

Parole che quasi temeva ad ascoltare, ma che si aspettava. In fondo, in cuor suo ci sperava davvero in un momento così.

Sperava di poter ritrovare suo padre, anche solo per una volta, anche solo per una manciata di minuti, ed era una speranza che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, conservava sin dal primo giorno in cui aveva lasciato la sua famiglia.

Certo, non poteva nascondere di avere paura: Oliver era pur sempre un pressoché sconosciuto ed era stato la causa della sofferenza di sua madre. Però era stanca di vivere in un groviglio di fili. Ora aveva bisogno di districare la sua vita, filo per filo, partendo dal più grosso.

Prese un profondo respiro e si disse che il momento era arrivato. Finora tutto era filato liscio: la cena, la compagnia, le risate...adesso però arrivava il momento della verità, quello che lei aspettava, ma contemporaneamente non voleva sentire, quello che Jeremy le aveva chiesto di tenere in considerazione.

No, non aveva solo paura, aveva il terrore di quello che sarebbe potuto succedere e la causa dipendeva proprio da lei: non era mai riuscita a capire cosa provasse nei confronti di suo padre. Odio? Amore? Non lo sapeva, però si fidava di Jeremy e se c'era una cosa che aveva capito, era che lui credeva che ci potesse ancora essere una famiglia. Inspirò a fondo e si mise ad ascoltare Oliver.

"Vedi, Taylor, in questi giorni ho avuto un'opportunità." inizio molto da film, ma non sarebbe stato Oliver Heavens, se non avesse pensato a un discorso del genere. "Beh, di opportunità ne ho quasi quotidianamente: dai buoni sconto che arrivano per posta alle super offerte delle filiali della Money House, ma stavolta non è stato di certo quel genere di opportunità." sorrise alla figlia per stemperare la tensione poi tornò di nuovo serio. "Quello di cui parlo io è un momento che piomba all'improvviso quando la tua vita sta semplicemente viaggiando per il suo corso naturale, un momento che arriva quando sei ignaro, quando meno te lo aspetti. All'inizio fatichi a rendertene conto, durante quel momento faresti di tutto pur di ritornare su quel corso naturale e poi, solo alla fine, realizzi la grande, immensa opportunità che hai ricevuto. Il corso naturale della mia vita è cambiato ed è stato possibile perché quello che è successo mi ha indotto a esaminare quello che ero. Dico "ero" perché non voglio esserlo più, Taylor. Non voglio più essere un uomo che persegue la felicità senza accorgersi dell'infelicità che sparge attorno a lui, non voglio più essere chiamato "papà" senza veramente essere un papà e non voglio più piombare dalle nuvole se qualcuno mi dice: "Tua figlia Taylor è in pericolo, sei tu che devi salvarla"."

Si schiarì la voce, esaminando per qualche istante il viso di Taylor, poi riprese: "Ti giuro, bambina mia, che ho passato ore a disperarmi e non solo perché non riuscivo a trovare il modo per aiutarti, ma anche perché più il tempo stringeva più mi rendevo conto della grandezza dell'errore che ho commesso nei tuoi confronti." si fermò ancora, forse commosso, forse solo affannato.

Taylor non si era ancora mossa, anche se dentro di lei si stava scatenando una tempesta. Sembrava come se ogni suo organo vibrasse a ogni parola pronunciata dal tono caldo e grave di suo padre. In particolare due parole le avevano ostruito la gola; bambina mia, e ora quasi faticava a deglutire. Nessun uomo l'aveva mai chiamata così...e quanto lei l'aveva silenziosamente desiderato!

"Credo che chiederti scusa non basterà mai." proseguì Oliver, il tono da attore completamente dissolto, ora c'era un tono stanco e paterno. "Tu non sei come Amanda: lei è una donna che si è scontrata con l'uomo sbagliato e anche se non mi perdonerà mai, perlomeno ha accettato di provare a ricostruire qualcosa, per il bene di tutti. Lei è stata ferita e ha dovuto curarsi da sola, ma alla fine è riuscita lo stesso a cavarsela. Tu no, Taylor. Tu non ti sei solamente scontrata con l'uomo sbagliato, ma ci sei anche cresciuta. Sei cresciuta con l'immagine di un papà traditore, menefreghista, cattivo. E proprio negli anni in cui avresti dovuto ricevere il massimo dell'amore e dell'affetto, sia da una mamma che da un papà. Io...avrei dovuto spiegarti il perché delle mie scelte. Avrei dovuto farti capire che ti ho sempre amato tanto quanto amo Martha e Tessy...e invece eccomi qua. Preso dalla bella vita, dal lusso, dal successo. Sono un uomo fallito, Taylor." sospirò massaggiandosi il naso.

"Perché non me l'hai mai detto?" soffiò Taylor, avvolta nell'emozione.

Oliver scosse la testa: "Non lo so...o forse l'ho capito solo in questi giorni. Il mio problema è che sono un superficiale, sono...sono solo uno schiavo del benessere e della ricchezza. Forse semplicemente sono sempre stato talmente soddisfatto della mia vita attuale che non ho mai avuto il coraggio di guardare indietro. Il terrore di perdere il mio presente mi impediva di fronteggiare gli errori e i problemi del passato."

Ecco quello che non voleva sentire: quello che le faceva male i timpani e il cuore. Le parole di Oliver la sollevavano e poi tutto a un tratto la buttavano di nuovo a terra.

"Mi consideri un errore del passato, Oliver?" chiese con un filo di voce, tremante.

L'uomo sgranò gli occhi guardando la figlia: "Che cosa? Ma come ti viene in mente, Taylor!" sembrava quasi un rimprovero, un rimprovero pieno di paura. "Non ho mai voluto dire questo!"

"Ma è così...che..." la sua voce era incrinata, faticava a parlare. "Che mi sono sentita, Oliver...sempre...ogni volta che ti aspettavo e non arrivavi, ogni volta che ti chiamavo nel sonno e non rispondevi, ogni volta che piangevo e non eri lì per asciugarmi le lacrime...ogni volta che a scuola i miei compagni scrivevano "ti voglio bene" nelle letterine natalizie al papà e io non potevo, perché non avevo nessuno a cui portare quella lettera e se anche avessi voluto portartela, avrei sempre avuto paura di sentirmi dire "Io invece non te ne voglio, io ho un'altra famiglia e un'altra figlia adesso, tu sei stata solo uno sbaglio"!"

Oliver agì d'impulso e chiuse quella ragazza in un abbraccio così stretto da impedirle di divincolarsi. Taylor fu presa alla sprovvista: tentò di scostarsi, spinse con le braccia e si agitò, ma lui non le lasciava via d'uscita.

"Io non ho mai sbagliato a darti la vita, Taylor! Questo te lo devi mettere in testa, ok?" piangeva Oliver, le lacrime che bagnavano i capelli della sua bambina così grande, che ce l'aveva fatta da sola quella volta, che ce l'aveva fatta da sola sempre. "Quello che ho sbagliato è averti abbandonata perché stavo pensando solo a me stesso! Non ho mai fatto nient'altro, se non pensare a me stesso e me ne sono accorto troppo tardi! Ho sacrificato te per me, Taylor. Non sono come quel ragazzo, che ha capito prima cosa significasse veramente amare, no...io l'ho capito dopo, l'ho messo in secondo piano perché sono stato accecato dall'egoismo. Mi dispiace, bambina mia, mi dispiace così tanto..."

Taylor si lasciò vincere dal pianto e affondò nella giacca a vento di suo padre, le mani che stringevano le sue braccia, il viso appoggiato al suo petto. Era la piccola Taylor che voleva un papà, che voleva sfogarsi e fare tutto quello che le era sempre stato negato. Era la Taylor di qualche anno che stringeva il maglione di Oliver, ignara che quella sarebbe stata l'ultima volta, come se quel giorno la sua vita fosse stata messa in pausa e solo in quel momento qualcuno avesse premuto di nuovo "play".

Rimasero abbracciati per un po', finché la ragazza si calmò e si scostò per guardare Oliver in viso: "Se io non fossi stata rapita, tu non te ne saresti mai accorto."

Oliver scosse la testa e abbassò lo sguardo: "È per questo che parlo di opportunità, Taylor. Certo, è stata un'esperienza orribile, sia per me che per te. Soprattutto per te." disse accarezzandole dolcemente il viso e scostandole un ciuffo dalla fronte. "Ma è stata così forte che mi ha fatto aprire gli occhi e sarei disposto a ripeterla solo per farti capire quanto ne avevo bisogno. Ho avuto tanta paura per te, Taylor. E vedere che ora sei qui e stai bene mi fa più contento di qualsiasi vecchio film girato nel Bronx, di qualsiasi remunerazione lavorativa, di qualsiasi altra stupida cosa a cui ero legato." la guardava quasi come se potesse legarla al suo sguardo per non doversene separare più: aveva veramente capito.

Taylor tirò su con il naso, ancora scossa: "Non so se riuscirò mai a perdonarti, Oliver."

L'uomo sorrise e le baciò la fronte: "Non devi perdonarmi, Taylor. Non devi nemmeno chiamarmi "papà" o sforzarti per farmi un piacere. Io ti capirò, se vorrai continuare a starmi lontano, però l'unica cosa che mi importa è che dovunque andrai, con chiunque sarai e qualsiasi cosa starai facendo, saprai e avrai la certezza che io ti amo e io ti ho sempre amato, che casa mia è sempre aperta per te e Amanda, che tu e Tessy siete le mie bambine e che dovessi anche vendere il mio nome, farò di tutto perché non vi facciano mai del male."

La ragazza sorrise, commossa. Guardò suo padre con gli occhi della bambina abbandonata il cui sogno finalmente si realizza e si fece scappare l'ultima lacrima, prima di asciugarsi il viso e calmarsi.

Chi l'avrebbe mai detto, a qualche giorno prima di Natale, che quella ragazza ferita e sconsolata si sarebbe trovata, qualche giorno dopo, sul balcone di villa Heavens a piangere perché suo padre le aveva chiesto scusa?

Lei non lo avrebbe mai immaginato e se glielo avessero detto quel giorno, prima di entrare alla festa dei diciott'anni di Tessy, si sarebbe messa a ridere amaramente, della stessa amarezza che aveva usato dentro alla cabina telefonica quando Jeremy le aveva rivelato il suo piano.

"Ti sto facendo un favore."

"Davvero? Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi rapita!"

"L'averti rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."

Aveva ragione. Jeremy aveva sempre avuto ragione.

"Torniamo dentro adesso. Ti prenderai un accidenti." disse Oliver accennando alla porta a vetri.

Taylor annuì e seguì l'uomo all'interno, venendo nuovamente avvolta da un piacevole calore.

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Amanda aveva lasciato l'ospedale a mezzanotte, dopo aver passato una mezz'ora con Taylor. La ragazza era tornata alle undici passate dalla sua serata, aveva raccontato tutto alla madre e poi aveva deciso di rimanere ancora un po', tanto casa sua non distava molto e comunque avrebbe sempre potuto dormire lì.

Tornare in quel luogo dopo la serata che aveva appena passato le metteva quasi angoscia.

Per un momento era riuscita a mordere la felicità, ma era stato solo un piccolo boccone in confronto alla torta di tristezza che l'aspettava al Moore Cottage Hospital.

Ripensò alla conclusione positiva della cena, che avrebbe raccontato anche a Jeremy e non vedeva l'ora di farlo.

"Grazie davvero della serata e buon proseguimento. Divertitevi alla tombola." aveva baciato sulle guance Martha temendo di venire soffocata dai quintali di profumo che aveva addosso.

La donna le aveva fatto l'occhiolino: "Grazie a te per la compagnia, fammi sapere come ti verranno le mie ricette!" per un attimo aveva visto l'immagine di lei a mo' di Gordon Ramsay che le gridava che era tutto crudo, poi si era convinta che non era altro che una donna come tante altre. Doveva piantarla di mitizzarla.

"Certo!" le aveva sorriso Taylor, poi aveva abbracciato Tessy e si erano date gli immancabili tre bacetti.

"Ci sentiamo per Capodanno, eh." le aveva detto la ragazza. "Magari vengo un giorno di questi in ospedale."

"Mi farebbe piacere." aveva risposto Taylor, girandosi poi verso Oliver e tendendogli la mano.

L'uomo le aveva sorriso e gliel'aveva stretta: "Buon Natale, Taylor. Porta i miei auguri anche ad Amanda, mi raccomando." si erano guardati negli occhi un attimo ancora, poi avevano sciolto la stretta.

Taylor aveva salutato tutti di nuovo e aveva aperto la porta per andarsene. Stav per imboccare il vialetto a passo sicuro, quando qualcosa le aveva fatto prendere un colpo.

Lo stesso tizio ricciolino che si era presentato lì all'inizio della serata era seduto sopra una slitta illuminata da una miriade di lucette e trainata da un paio di cavalli, davanti all'entrata della villa. Martha per poco non ci lasciava le penne, Oliver batteva le mani rapito.

"Buon Natale!" aveva gridato il ragazzo agitando la mano. "Ehi, Tessy! Avevi detto che avrei dovuto trovare qualcosa di più efficace di un semplice scusa e io ho rubato la slitta di Babbo Natale!" aveva indicato l'aggeggio tutto compiaciuto. "Ti avrei portato anche le renne, ma Rudolph aveva il naso che colava e loro non viaggiano mai senza un compagno!" nessuno aveva riso alla battuta, tranne, naturalmente, Oliver.

Alla palese non reazione di Tessy, il ragazzo aveva sospirato.

"Senti, Tess!" aveva urlato di nuovo smontando dalla slitta. "Io ti amo." aveva allargato le mani. "E...so che stavolta ho fatto parecchio il coglione, perché credevo di essere stanco di noi. Invece mi manchi, Tessy, mi manca la nostra Teric. Era la cosa più bella che avessi e la più bella che potrò mai avere e ho capito che non sarò mai stanco di te. Se mi era sembrato di esserlo, è stato solo perché le cose serie mi spaventano. Voglio essere serio, però, da oggi in avanti. Voglio stare seriamente con te e se i signori Heavens me lo permetteranno, voglio anche chiederti di sposarmi...tra qualche annetto, eh, non mi morite." aveva aggiunto ridacchiando per la faccia di Martha.

Taylor e Tessy si erano scambiate una rapida occhiata, poi Taylor si era schiarita la voce: "Ehm...sarà meglio che io me ne vada, anche stavolta. Buone feste, Eric." aveva aggiunto rapidamente rivolta al ragazzo.

"Aspetta!" l'aveva fermata Tessy. "Vengo anch'io."

Eric l'aveva guardata con occhio da trota, i dubbi, la paura e la speranza tutti mescolati insieme in quel verde pieno di buoni propositi.

Poi Tessy gli aveva sorriso: "Un giretto gratis sulla slitta di Babbo Natale la notte di Natale non mi sembra un regalo da buttare."

Eric si era illuminato, anche più raggiante delle sue lucine e aveva offerto la mano a Tessy per farla salire. Oliver aveva sorriso come davanti a una commedia natalizia ed era rientrato in casa tenendo la mano di Martha.

Era contenta di come aveva lasciato le cose ed era infinitamente riconoscente a Jeremy: se non fosse stato per lui, non l'avrebbe mai fatto.

Jeremy...in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli "grazie". Quale altra parola sarebbe stata più adatta?

Aprì la porta ed entrò nella sala dove era tenuto sotto osservazione giorno e notte, apparentemente addormentato, ma in realtà in costante lotta contro la morte. Camminò piano fino a raggiungere il suo letto e si fermò a pochi passi da lui per osservarlo: anche se cercava disperatamente di trovarne, non vedeva alcun segno di miglioramento.

Il suo viso leggermente inclinato sul cuscino era pallidissimo, gli occhi chiusi appoggiati su due occhiaie profonde e le mani immobili abbandonate sul lenzuolo bianco, prive di vita.

Aveva rischiato tanto, Jeremy, e per chi ne sapeva di più sembrava che il peggio dovesse ancora venire. Appena era arrivato in ospedale tutti avevano pensato che fosse troppo tardi per lui, invece, dopo ben due ore di intervento erano incredibilmente riusciti a salvare il salvabile. Ma meno di un'ora dopo il suo quadro clinico era crollato a picco di nuovo e aveva dovuto subire una grossa e complicata trasfusione di sangue.

Durante la procedura il suo cuore si era fermato facendo temere il peggio a tutti, poi qualcosa lo aveva salvato, di nuovo.

Da quel momento la diagnosi non era più cambiata e, a detta dei medici, non era destinata a cambiare o, se avesse dovuto, sarebbe stato solo in peggio: Jeremy soffriva di anemia grave e non curata da troppo tempo per rendere possibile il compenso di tutto il sangue che aveva perso.

Di per sé quella ferita d'arma da fuoco sarebbe stata curabile, ma i medici ritenevano che fosse già un miracolo che il ragazzo non fosse morto, nelle condizioni in cui si trovava. Era debole, malato ed era arrivato lì in uno stato di ipotermia avanzata: il coma era la conclusione migliore che ci si potesse aspettare in un contesto del genere.

Non sapevano cosa gli avesse permesso di sopravvivere: se della fortuna o delle semplici coincidenze, forse l'accortezza di Taylor di ridurre al minimo l'emorragia bendandolo con una sciarpa, forse il tempestivo arrivo di Richard, Alex e Allyson. Ma quel che era certo era che le sue condizioni non erano destinate a un miglioramento e temevano, anzi, che non ce l'avrebbe fatta entro l'inizio del nuovo anno.

Taylor non voleva crederci, nonostante la diagnosi dei medici, nonostante il pessimismo di alcuni stupidi giornali locali, nonostante fosse attaccato a un respiratore e altre mille diavolerie che non facevano altro che fare bip e registrare numeri incomprensibili.

Anche lei, in cuor suo, coltivava una paura indescrivibile, però non voleva essere costretta a dire addio a Jeremy, come non lo era mai stata nel corso di quell'avventura che veniva dal concludersi. Aveva avuto tante occasioni per scappare da lui, anche quando stava attraversando un momento di puro odio nei suoi confronti, eppure non lo aveva mai fatto.

Si lasciò scappare l'ennesima lacrima, ma la scacciò subito con la mano. Voleva smettere di piangere, era stanca. Sperava che forse reagire avrebbe aiutato Jeremy, per cui si avvicinò al comodino di fianco al letto per posarvici sopra un pacco regalo rosso.

Sapeva di avergli già fatto un regalo, ma visto com'era finito, aveva deciso di fargliene un altro: "Buon Natale, Jeremy." sussurrò sedendosi sulla sedia di plastica lì accanto e tracciando con gli occhi il contorno del suo viso, così magro eppure ancora così bello, angelico.

"Direi che ora tocca a te regalarmi qualcosa." gli suggerì. "Insomma, non crederai che mi farò bastare un misero rametto di vischio, vero? Coraggio, apri gli occhi." era scettica, Taylor, non aveva mai creduto ai film in cui la gente sussurra cose alle persone in coma sperando che loro riescano a sentire.

Tuttavia, erano quasi due giorni che stava lì a piangere disperatamente, oppure in religioso silenzio, senza dire né fare molto. Non le rimaneva altra scelta e voleva trovare un modo per fargli aprire gli occhi, per tornare a vedere quell'azzurro immacolato che l'aveva affascinata fin da subito, così freddo e austero, ma in realtà così buono. Voleva solo vedere un sorriso su quelle labbra, ora che non aveva più nemmeno un ritratto per potersene ricordare.

Labbra che avrebbe voluto poter scaldare. Sì, avrebbe voluto togliergli quella stupida mascherina e baciarlo di nuovo nella speranza di sentire ancora quel sapore di tante cose insieme che aveva sentito la prima volta. Così contro le regole, che allo stesso tempo lascia il buono in bocca.

"Ti prego..."

Avrebbe voluto prenderlo a sberle per quello che aveva fatto per lei e poi avrebbe voluto dirgli grazie e che lo amava. Ma lui ora aveva cose più importanti a cui pensare, come lottare tra la vita e la morte e vincere, perché lui aveva sempre perso nella vita e adesso era giusto che ottenesse una vittoria, almeno per una volta. Era giusto.

Taylor fece avanzare la sua mano e strinse quella del ragazzo: gelida e magra al contatto con le sue dita calde. Era lei a stringere lui ora, ma avrebbe preferito il contrario. Avrebbe preferito sentire quella stretta forte e sicura che non la voleva lasciare andare, che la voleva trascinare ovunque e che la guidava quando si sentiva persa.

Avrebbe volentieri fatto scambio con Jeremy...alla fine lui non se lo meritava di essere lì. Non aveva mai fatto altro che subire la cattiveria delle persone: di suo padre che aveva ucciso sua madre davanti ai suoi occhi, della gente che lo aveva abbandonato a se stesso, di Cordano che lo aveva minacciato fino a tentare di ucciderlo. Che cosa aveva fatto di male quel ragazzo al mondo? Che torto aveva arrecato così grande da essere ripagato in questo modo? Lui che di amore ne aveva così tanto da dare, pur non avendone mai ricevuto.

Non era giusto.

Taylor sentì il rumore della porta che dietro di lei si apriva e sobbalzò. Si voltò e, inaspettatamente, incrociò lo sguardo stanco di Alex.

Gli fece un debole sorriso, poi diede un'occhiata all'orologio alla parete: "È tardissimo, Alex. Che ci fai qui?"

Lui scosse la testa e si avvicinò a lei: "Non riesco a dormire. E ho dimenticato qui queste." disse sollevando il mazzo di chiavi. "Com'è andata?"

"Oh, bene." rispose lei, un po' impacciata, ritraendo la sua mano. "A dire il vero è andata inaspettatamente bene, anche se ero la sola a non aspettarmelo." aggiunse accennando al biondino. "Sai, è stato lui a convincermi. Sapeva fin dall'inizio che le cose avrebbero potuto iniziare a sistemarsi, piano piano."

Lui annuì senza dire nulla, immerso nei pensieri.

"C'è qualcosa che non va?" gli chiese cercando di capire la sua espressione. Sembrava avere il volto quasi scuro, incupito da chissà quali idee.

Alex si limitò a scuotere la testa e continuare a fissare un punto indefinito sul display accanto al letto.

Era strano, Alex. Non aveva ancora avuto modo di stare con lui senza che si trovasse in un mare di lacrime, ma ora che lo osservava con più calma notava che non era il solito Alex. Beh, chiaramente non si aspettava un pagliaccio tutto scherzi e allegria, dopotutto anche lui era in un grande stato di preoccupazione, ma Taylor pensava ci fosse dell'altro oltre a quello. E non si sbagliava.

"Lo so che sei preoccupato per Jeremy." disse, cercando di suonare più dolce possibile. "Non piango più ora, ma lo sono anch'io."

Gli occhi scuri del ragazzo si spostarono repentinamente su di lei, come ad assicurarsi che stesse dicendo la verità. Fu un gesto quasi fulmineo, ma lei lo notò rimanendone colpita, così continuò per rassicurarlo.

"Vorrei che non avesse mai fatto quello che ha fatto. Vorrei che fosse meno coraggioso e che non avesse mai voluto proteggermi."

"Beh, anch'io." fu la secca risposta di Alex.

Taylor lo guardò alzando le sopracciglia e lui si rese conto di non essere riuscito a trattenersi.

Anche il muro di Alex stava iniziando a creparsi.

Si alzò facendo un gran sospiro e raccolse in fretta e furia le sue cose: "Scusami, devo andare."

Taylor cercò di uscire dal suo stato di confusione e si affrettò a fermarlo: "Aspetta, Alex! Che cosa c'è che non va?"

Lui scostò la mano che aveva posato sul suo braccio e scosse la testa: "Lascia stare."

"No che non lascio stare, si può sapere che ti prende?"

Alex sbuffò e lasciò cadere il mazzo di chiavi su una sedia appoggiata al muro. Stava provando a controllarsi, ma tutta quella situazione lo stava infastidendo troppo ed era stanco di asciugare lacrime altrui, quando era il primo che ne avrebbe avute in abbondanza: "Vuoi sapere cosa c'è che non va? Farei prima dirti cosa c'è che va."

"Alex..." Taylor sospirò. "Guarda che io ti capisco benissimo; lo so che sei deluso, preoccupato, arrabbiato. Vorresti solo spaccare tutto e gridare con tutta la voce che hai in gola. Lo so, credimi. Ed è totalmente comprensibile che tu ti senta come se nulla andasse per il verso giusto."

"Forse perché è così." la interruppe aggrottando le sopracciglia, nervoso. "Niente va per il verso giusto. Questa situazione è davvero una merda."

"Lo è." gli diede ragione. "Ma sono sicura che Jeremy non potrebbe sopportare che continuiamo a piangerci addosso, invece di-"

"E tu che cazzo ne sai di cosa sopporta o no Jeremy?!" la sua domanda risuonò nella piccola stanza, la voce rotta sul nome del suo amico e subito dopo un silenzio quasi fastidioso, intervallato regolarmente dai bip elettronici.

Taylor si ritrasse di qualche passo: "Non lo so...penso che sia così."

"Beh, forse ti sbagli. Forse non lo conosci abbastanza per saperlo. Forse non l'hai mai conosciuto abbastanza e basta."

Taylor era stata presa alla sprovvista: "Che cosa vorresti dire?"

"Che-" iniziò la frase con impeto, rischiando davvero di far uscire tutto quello che aveva dentro, ma poi si bloccò e sospirò passandosi entrambi le mani sul viso. "Senti, sono stanco ed Allyson ha provato a chiamarmi già sei volte. Devo andare."

"No!" Taylor lo fermò di nuovo, pentendosi di aver dovuto alzare la voce. "C'è qualcosa che devi dirmi e io non sono stupida, Alex." disse con il respiro affannato di chi sta cercando di trattenere le parole. Entrambi erano al limite, era palese.

"Non devo dirti nulla, ok? Lasciami stare."

"Sei arrabbiato con me per quello che è successo a Jeremy?" la sua domanda era secca, ma decisiva. Tra tutte quelle che avrebbe potuto fare era esattamente quella che Alex non voleva essere costretto ad affrontare.

Il ragazzo sospirò e guardò il pavimento, ma la sua mano, chiusa attorno alla maniglia della porta, strinse più forte, fino a che le nocche non diventarono bianche.

"Perché se credi che sia solo colpa mia, non devi fare altro che dirmelo. Ormai che tu lo creda o no, ti conosco abbastanza bene." proseguì la ragazza, la voce che tradiva profonda delusione e un sempre più forte senso di colpa. "Se mi odi perché pensi che ti abbia rubato Jeremy e l'abbia ridotto in questo stato, voglio che me lo dici in faccia." ormai la sua voce era incrinata e gli occhi lucidi, pieni di rimorso, di dolore per quello che Alex le stava per rinfacciare. Una delle sue poche sicurezze che andava in pezzi, l'ennesima.

Il ragazzo alzò lo sguardo che andò a colpire esattamente in mezzo al cuore di Taylor. Era uno sguardo traboccante di rabbia, duro, gelido. Tutta un'altra cosa rispetto agli sguardi protettivi e di rispetto reciproco che si erano scambiati durante la loro avventura.

"Sì, Taylor." rispose, una voce talmente seria che non sembrava nemmeno la sua. "E non avevi nessun diritto di farlo."

La sua risposta suonò dentro la testa della ragazza come potrebbe suonare un bicchiere di cristallo nell'esatto momento in cui entra in collisione con il pavimento.

Nemmeno Taylor, allora, riuscì più a trattenersi e lasciò che altre lacrime solcassero il suo viso: "Non avrei mai voluto che Jeremy salvasse me al suo posto, mai. Non gli avrei mai fatto questo volontariamente. Se solo potessi tornare indietro, Alex, ti giuro che cambierei le cose." ed era la verità, nuda e cruda. "Ma se c'è qualcosa su cui hai completamente torto è che Jeremy abbia preferito me a te. Sei il suo migliore amico, Alex, e niente e nessuno potrà mai cambiare ciò. Lui non ha fatto altro che proteggerti per tutto questo tempo, pensava sempre prima a te che agli altri, infatti ha voluto che te ne andassi per non farti finire in mezzo a questo casino, perché sapeva che ti saresti cacciato in ogni situazione per lui e ha voluto prevenirlo! Vedi, Alex, lui non ti ha cacciato perché non aveva bisogno di te, ma perché ne aveva troppo. Ha scelto di-"

"Ha scelto di morire per te!" gridò lui, la voce colma di rabbia.

"L'avrebbe fatto anche per te! L'hai detto tu stesso.Alex!"

"Non mi importa cos'avrebbe fatto per me, mi importa che nessuno e dico nessuno lo aveva mai ridotto così, nemmeno la gente di merda con cui ha sempre a che fare. Se non fosse per te, Taylor, nessuno di noi sarebbe qui! Ti sei...ti sei intromessa! E l'hai fatto lasciando le peggiori conseguenze possibili e ora non posso fare a meno di pensare che..." si interruppe prendendosi la testa fra le mani, esasperato. "Che vorrei solo che te ne fossi rimasta dove dovevi stare."

Un moto di rabbia salì fino allo stomaco di Taylor e diede voce ai suoi pensieri: "Beh, notizia dell'ultima ora: siete stati voi a rapirmi, Alex, non l'ho chiesto io! Non ho chiesto io di conoscervi, non ho chiesto io di essere strappata via da dov'ero e, soprattutto, non ho chiesto io di vedere Jeremy e te in questo stato!"

"E allora avresti dovuto startene zitta e buona senza interferire con i nostri piani! Avresti dovuto...avrebbe dovuto andare diversamente."

"Mi sono innamorata, Alex! Non l'ho fatto per interferire o per chissà quali ragioni, è semplicemente successo. E quando succede ti giuro che, anche se vorresti, non ci puoi fare nulla. Dovresti capirmi, quando parlo di amore."

"Oh, certo, amore. Beh, guarda che amore!" gridò al culmine della rabbia, indicando sprezzante Jeremy.

Taylor si zittì di colpo, completamente devastata da quella cattiveria. Sentì nitidamente il piccolo frammento rimasto del suo cuore andare in mille pezzi e non ce la fece più.

Sopraffatta da tutta la tensione, dal rimorso e dal senso di colpa, lanciò un'ultima occhiata a Jeremy con le parole di Alex che le rimbombavano nelle orecchie, poi scappò via a sonori singhiozzi, lasciando nella stanza un pensante e insopportabile silenzio, rotto solo, e ancora una volta, dai regolari bip dei macchinari.

Alex chiuse gli occhi e si abbandonò contro il muro, lasciandosi cadere fino a sedersi sul pavimento.

Era scosso, frustrato, arrabbiato, esausto. Non riusciva più nemmeno a pensare e sentiva come se l'avessero spinto dalla cima di una montagna giù per un precipizio. All'inizio non si era nemmeno reso conto di stare cadendo, ma ora che era arrivato in fondo, non si aspettava che la caduta sarebbe stata così veloce. Sospirando, raccolse le ginocchia al petto e pianse tutto quello che aveva vissuto finora.

Solo Jeremy non stava sentendo nulla di tutto ciò, eppure era da lui che dipendeva ogni cosa.

Era stato il Natale peggiore di tutte le loro vite.

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Allyson camminava lungo i corridoi ascoltando l'eco prodotto dai suoi passi. Non amava attirare l'attenzione, ma apparentemente lì ci riusciva benissimo, nonostante avesse in piedi un paio di mount boot ancora sporche di fango che producevano un rumore abbastanza molesto.

Forse, comunque, non era esattamente il rumore a far rizzare le antenne a quella gente, quanto il fatto che una ragazza giovane e di bell'aspetto vagasse per quel posto inusuale.

Tuttavia, Allyson non guardava e seguiva a testa bassa la guardia che le faceva strada.

Svoltato un angolo pieno di asciugamani da lavare tra cui una donna di servizio stava frugando, la guardia si fermò ed estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca.

La massiccia porta di ferro si aprì non senza produrre un fastidioso cigolio e l'immagine di una sala abbastanza grande si stagliò di fronte agli occhi della ragazza. Al centro vi erano tre lunghi tavoli con delle panche incorporate e una delle pareti era divisa orizzontalmente tra muro e vetro. Il colore dominate era un verdino acido, abbastanza sgradevole, sui tavoli e sulle pareti.

In ogni caso, non era quello a risaltare, ma piuttosto l'arancio vivo della divisa di Richard Stuart, che si trovava seduto al tavolo centrale, assorto in chissà quali pensieri, poco prima che Allyson entrasse.

Non appena sentì il rumore delle chiavi nella toppa, rizzò la testa repentinamente e, riconosciuta la sorella, si alzò in piedi con tutta l'aria di un fuoco d'artificio che sta per esplodere.

"Ally!"

"Richard!"

La guardia non ebbe nemmeno il tempo di trattenere la ragazza per un braccio, che questa era già saltata al collo del fratello, i piedi sollevati da terra e il viso affondato nella sua spalla.

Non ce la fece quell'uomo a sgridarla o ad ammonire il ragazzo, distolse semplicemente lo sguardo come se non si fosse accorto di nulla. D'altronde sapeva la storia del neo-detenuto e, non appena aveva dato un'occhiata alla scheda del visitatore, ossia Allyson, aveva previsto che sarebbe stato un incontro toccante. Era raro, per il carcere di Bourton, detenere gente così giovane.

"Oh, Ally..." sussurrava il ragazzo che la guardia vedeva di spalle, mentre non poteva notare come accarezzasse dolcemnete i morbidi ricci della sorella.

Allyson allentò la stretta solo per guardare Richard negli occhi e riconoscervi un'inaspettata serenità. Al contrario, però, il ragazzo si era accorto già da qualche istante che gli occhi di lei erano tutt'altro che tranquilli.

Le passò una mano sulla fronte per spostare i riccioli ribelli e poi dolcemente percorse il profilo della sua guancia con il pollice: "Ehi."

"Richard, sei stato un incosciente." disse a bassa voce, con un'espressione preoccupata e confusa. Doveva ancora capire molte cose, Allyson.

"Tutt'altro." spiegò lui pazientemente. "La mia è stata una presa di coscienza."

"Sì, lo capisco, ma..."

"Per la prima volta ho fatto qualcosa di giusto, Ally. Lo dovevo fare." cercò di tranquillizzarla. "Per Parker, per Taylor, per te e...soprattutto per me."

"Ma adesso...?" la ragazza gli rivolse uno sguardo vuoto, gli occhi che impiegarono pochissimi istanti a riempirsi di lacrime.

"No, non devi piangere." la sgridò portando entrambe le mani sul suo volto.

Facile a dirsi, pensava. Da tre giorni a quella parte era stata bravissima: non aveva versato mai nemmeno una goccia, né per la disperazione di Taylor, né per la rabbia di Alex. Non si era fatta sopraffare da nessuna emozione, nessun pianto l'aveva contagiata, era come se per 32 ore fosse stata completamente apatica.

In realtà, non era apatia, ma coraggio. Era sempre stata forte per gli altri, senza che nemmeno avessero dovuto chiederglielo. Avrebbe potuto unirsi ai singhiozzi della sua amica, o avrebbe potuto rimprovevrare la scontrosità del suo ragazzo, ma non l'aveva mai fatto.

Dopotutto, anche se nessuno se n'era accorto, il dramma aveva toccato anche lei.

Dopo che la macchina di Richard aveva frenato sulla neve, la mattina della vigilia di Natale, Alex e lei erano scesi di gran carriera per soccorrere i loro amici. Richard, invece, era rimasto immobile nell'abitacolo, le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti a sé.

Allyson era inginocchiata a terra, occupata a sorreggere Taylor, quando aveva intuito che qualcosa non andava. Si era voltata verso di lui e, sconvolta per gli eventi, ma ancora lucida, gli aveva chiesto cos'aveva in mente. Lo aveva già capito, prima ancora che lui le rispondesse, ma in quel momento sperava con tutta se stessa che avesse cambiato idea.

Invece Richard le disse di resistere finché non sarebbe arrivata l'ambulanza; lui sarebbe tornato entro qualche ora.

Non gli aveva creduto, Allyson, e aveva fatto bene perché l'avrebbe rivisto solo dopo qualche giorno, in prigione. Così, dopo una breve discussione, lo aveva salutato per l'ultima volta, incapace di dire o fare qualsiasi cosa per fermarlo. Qualche ora...dicono sempre così, gli uomini, non hanno la minima misura del tempo.

Richard aveva percorso l'autostrada ai 150, violando chissà quante leggi in una trentina di minuti. Aveva passato Cirencester, Stroud, Bath e si dirigeva verso Sud, sapendo esattamente dove sarebbe finita la sua corsa.

Fuori dal Cotswolds c'era una città portuale, Bristol, in cui una barca non autorizzata aspettava Cordano qualora avesse avuto bisogno di darsela definitivamente a gambe. Lo sapeva solo Richard e riteneva che questo fosse il momento giusto far tesoro di quel segreto. D'altronde era sicuro che il suo caro maestro fosse sulla strada della fuga decisiva.

Così accelerava ed evitava per un pelo un sacco di possibili incidenti, perché sapeva che se Cordano avesse raggiunto quella barca, non ci sarebbe stato modo di fermarlo. Certo, aveva già avvisato la polizia portuale di Bristol perché lo intercettasse, ma quell'uomo aveva un numero infinito di risorse e Richard era sicuro che occuparsene personalmente sarebbe stata l'opzione migliore.

In fondo, aveva passato quattro anni a fargli da spalla e, sebbene da una parte avesse appreso quanto scaltro e intuitivo fosse quell'uomo, dall'altra aveva anche imparato quali fossero i suoi punti deboli. Una medaglia ha sempre due facce, dopotutto.

Richard era sempre stato grato a Edoardo. Nonostante tutto, non poteva negare che quell'uomo l'avesse formato. L'aveva preso come un ragazzino spaventato e arrabbiato e lo aveva trasformato, anche se con metodi poco ortodossi, in un ragazzo forte e indipendente. Grazie a lui aveva imparato a farsi valere, a difendersi. Adesso che era anche diventato consapevole, però, aveva capito che Edoardo gli aveva insegnato tutto tranne l'amore e il rispetto per il prossimo, così, ciò da cui doveva realmente difendersi ora era lui, il suo maestro. E nel comprenderlo, Richard era diventato un uomo.

Aveva raggiunto il porto ed era riuscito a intercettarlo per un pelo: stava percorrendo un molo secondario, ormai in disuso da anni, a cui attraccavano solo i pescatori.

Aveva gridato il suo nome e, senza mai smentire se stesso, Cordano si era girato con un sorriso sulle labbra. Un sorriso cattivo, corrotto da troppo tempo. Un sorriso che sarebbe stato molto difficile far tornare puro e spontaneo.

Per un secondo Richard ebbe paura di quel sorriso, ma poi ricordò perché era giunto fin lì lasciando tutto ciò che aveva a Bourton, compresa la sua futura libertà.

Non aveva armi con sé, quindi non poteva concedersi il lusso di temporeggiare, così passò subito alle maniere brute e si gettò contro Edoardo, badando bene a bloccargli le mani in modo che non afferrasse quella pistola che utilizzava con tanta facilità. Edoardo era più basso, magro e debole di lui, per cui riuscì ad avere subito la meglio e lo fece cadere di schiena contro il legno umido del molo.

In quel momento Edoardo Cordano, senza la sua pistola e senza alcuno scagnozzo che gli guardasse le spalle, sembrava indifeso. Eppure solo una mezz'ora prima aveva sparato a un ragazzo di ventidue anni per vederlo morire assieme all'amore che per la prima volta aveva vissuto.

Per circa un minuto rimasero stesi sul pontile a evitare i reciproci colpi, finché Richard non afferrò la schiena di Cordano e, portando tutto il suo peso da una parte, fece in modo di trascinarlo con sé dentro all'acqua.

Lo schiaffo gelido che ricevettero li bloccò per qualche istante, ma Richard, che era più giovane e in forma, ebbe per primo la prontezza di afferrare le spalle dell'uomo e spingerlo in basso, più a fondo nel mare ghiacciato dell'Inghilterra meridionale. Sperava, in quel momento, che Cordano sentisse la stessa morsa che aveva attanagliato Jeremy quando si era ritrovato inerme e senz'aria sulla neve.

Sperava che per una volta nella sua vita Cordano capisse cosa non era giusto. Cosa non era umano.

Lasciò la presa solo quando il freddo cominciò a penetrargli nelle ossa e, nell'istante in cui l'uomo risalì in superficie per respirare, la polizia navale di Bristol raggiunse il molo, portando con sé armi a sufficienza per far perdere a Cordano qualsiasi voglia di fare il furbo.

I due furono caricati sulla barca attrezzata e, dopo essere stati ammanettati, ricevettero una coperta e una maschera per l'ossigeno. Cordano non aveva uno sguardo sconfitto, né deluso. Aveva uno sguardo rassegnato. Forse solo allora Richard capì che quel sorriso, quello che Cordano gli aveva rivolto appena l'aveva visto, non era un sorriso di scherno, ma di rassegnazione. E si ricordò dell'ultima telefonata che avevano avuto.

Era da quel momento che Cordano si era rassegnato. Era più vecchio di lui e sapeva come andavano certe cose. Prima di diventare quello che era, pure lui era stato giovane e allora aveva potuto capire molto da quei pochi minuti di conversazione. Aveva capito che la sua rovina non sarebbe stata Jeremy, bensì Richard. E anche se avesse dovuto farcela dopo quella storia, prima o poi quello Stuart l'avrebbe fatto ammanettare.

Forse non era stato abbastanza bravo a mettergli in testa certe idee, forse semplicemente non aveva previsto che alla fine di tutto l'amore, quello di cui blaterava Jeremy, avrebbe toccato anche i più apparentemente immuni. Forse, tutto sommato, era proprio lui, Edoardo Cordano, ad aver fatto male i suoi calcoli. E non perché non avrebbe dovuto fidarsi delle persone, ma perché avrebbe dovuto capire che le persone non si sarebbero mai fidate di lui.

"Non ce la faccio, Richard." sospirò Allyson lasciando affondare il viso nell'incavo della spalla del fratello. "Non ce la faccio senza Alex e senza di te."

Adesso al ragazzone spettavano quindici anni di reclusione, per tutto quello che aveva fatto in passato, durante la sua vita da giovane ribelle sotto l'influenza di Cordano. Sapeva a cosa sarebbe andato in contro esponendosi così tanto per fermare quel criminale, ma ormai non gli importava. Lo doveva a Jeremy e Taylor. E anche ad Alex. Ma, soprattutto, lo doveva a sua sorella.

E sapere che ora Edoardo Cordano era condannato all'ergastolo alleggeriva di un po' la sua pena.

"Shh." lui la strinse inspirando il profumo del suo balsamo. "Sarebbe andata così, lo sapevamo. Mi hai insegnato tanto, Ally...e come fratello maggiore non mi aspettavo di imparare da te. Pensavo che saresti stata tu, un giorno, ad ammirare quello che il tuo fratellone faceva. Volevo essere il tuo eroe, ma avevo sbagliato completamente il modo in cui esserlo."

"No, Richie." la ragazza lo guardò, anche se non voleva fargli vedere i suoi occhi pieni di lacrime. "Tu sei il mio eroe. E anche se Tessy mi ha sempre detto che ero pazza, lo sei sempre stato. Non ho mai perso la fiducia in te."

Sorrisero entrambi, guardandosi. Gli stessi occhi nocciola che si specchiavano e si ammiravano. Si erano sempre voluti bene Allyson e Richard, indipendentemente dalle circostanze, e nemmeno adesso sarebbe cambiato qualcosa. Anzi, il loro amore fraterno non avrebbe fatto altro che fortificarsi sempre di più.

Richard la accarezzò di nuovo e le diede un bacio sulla fronte: "Per una volta sento di meritarti."

Era una frase forte e strana pronunciata da un ragazzone così imponente e all'apparenza grezzo, ma fu una frase che sciolse il cuore di Allyson. Non aveva fatto nulla per lui, eppure aveva fatto così tanto. Aveva cambiato suo fratello, l'aveva fatto diventare un uomo migliore e che importava se ora avrebbe dovuto pagare per gli errori passati? Tutto sommato era lì a Bourton, a pochi passi da casa sua. Gli sarebbe sempre stata vicino, l'avrebbe visto ogni giorno.

"So a cosa pensi." le disse nascondendo un sorriso divertito. "Sarà più bello, adesso. E dovrai abituarti a vedermi sempre."

"Sì, però tu non sarai felice..."

"Lo sarò finché sarai a fianco a me, come lo sei stata finora." garantì con un buffetto sulla sua guancia. "E poi così potrò tenermi aggiornato sulle mosse di quell'Alex."

Il volto di Allyson si incupì: "Non credo che ce ne sarà bisogno."

"Perché?"

Lei abbassò gli occhi, cercando di evadere l'argomento.

"Ehi, Ally. Non mi dirai che ti ha lasciato? Devo pestarlo?"

"No, Richie, sono stata io ad allontanarlo. Di nuovo."

"E ripigliatelo, no? Di nuovo."

Allyson scosse la testa mestamente, triste e affranta: "Non credo che vorrà tornare da me ancora una volta."

"È impossibile che qualcuno voglia stare lontano da te."

"Lo dici solo perché non hai sentito come l'ho trattato. L'avevo lasciato una prima volta e poi lui è tornato per convincermi di nuovo. Ma dopo la vostra rissa mi sono arrabbiata, non ho voluto dargli ascolto e gli ho detto delle cattiverie che non pensavo. Praticamente, l'ho lasciato una seconda volta, ma non volevo farlo davvero! Insomma..."

Richard sorrise: "Si vede che quel ragazzo ti fa proprio perdere la testa."

"Richie, ti prego." alzò gli occhi su di lui ed erano lucidi. "Non sai quanto male mi sento. Se solo gli avessi dato un po' di fiducia, avrei potuto capire le sue motivazioni. Invece c'è stato bisogno che Taylor tornasse e che fosse lei a raccontarmi che meravigliosa persona ho ferito così profondamente."

"Ally." Richard agì contro le sue simpatie, ma si sentì in obbligo di difendere Alex, perché, nonostante tutto, aveva dato prova persino a lui di essere una bella persona. "Vedrai che lui sarà disposto ad ascoltare le tue scuse. Vedrai che ti capirà."

"Non ne sono così convinta..."

"Allyson." disse Richard, il tono fermo. "Alex ti ama."

La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati. Non si sarebbe mai aspettata che Richard potesse pronunciare quelle parole. Per nessun uomo, per Alex ancor meno.

"Ti ama." ripeté lui. "Posso anche non sopportarlo, ma è impossibile non riconoscerlo. Quel giorno mi ha fatto capire che non ci potrà mai essere nessuno di più adatto a te, se non lui."

Allyson era così colpita da quelle parole che ammutolì.

"Vedrai che ti capirà e ti perdonerà. Come anche tu hai capito e perdonato lui, in passato." la rassicurò.

"Sei sicuro?"

"Certo." disse. "Parlaci, ok? Non lasciare che i casini di Cordano influiscano anche su voi due."

"Mmm...va bene."

"Me lo prometti, Ally?"

"Promesso."

"Bene." sorrise lui beffardo. "Proprio ora che mi ero illuso del fatto che non avrei avuto un cognato così idiota!"

Ad Allyson finalmente scappò una risata. Offesa, ma pur sempre una risata.

"Richard! Sei sempre il solito!"

Richard la abbracciò con forza, strinse le sue braccia attorno alla sua esile vita ed espirò contro i suoi capelli, sorridendo.

"Sì, sempre, Ally."

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Si dice che allo scoccare della mezzanotte a cavallo tra il 31 dicembre e il primo gennaio sia buona consuetudine indossare qualcosa di rosso, per buon auspicio.

Ad Alex questo particolare sfuggiva ogni anno, eppure, fino a quel momento, si poteva dire che fosse filato tutto liscio. Forse, aveva pensato, il fatto che non avesse mai indossato nulla di rosso la notte di Capodanno aveva accumulato la sfiga fino a quel punto e ora lo spirito del 'qualcosa di rosso' si stava vendicando facendogli passare l'inferno.

La sua ragazza cercava continuamente di comunicare con lui, ma lui la evitava per paura di essere lasciato di nuovo, Taylor lo odiava a morte per tutto quello che le aveva sputato addosso circa una settimana prima, il suo migliore amico non dava alcun segno di miglioramento e il mondo, per lui, sembrava essersi ridotto a una stanzetta asettica e silenziosa.

Aveva perso tre chili e parecchio colore in viso, tornava a casa a orari improbabili, dopo essere stato malamente cacciato dalle infermiere, e non aveva ancora dormito più di due ore senza fare incubi insopportabili. Al contrario di Taylor, o delle altre persone coinvolte nella faccenda, Alex non riusciva a farsi aiutare. L'unica reazione che gli veniva spontanea era quella di respingere chiunque, persino Allyson.

Si chiudeva in se stesso, nei pensieri, nei ricordi e allora realizzava che fino a quel giorno non aveva avuto altro che Jeremy. Si conoscevano dall'età di undici anni, dopotutto.

Al tempo Jeremy era il ragazzino che in classe stava sempre zitto e non aveva amici, mentre Alex era il fighetto che faceva colpo sulle compagne. Jeremy era timido e non conosceva nessuno, mentre Alex era amico di quasi tutti i ragazzini della scuola. Bourton era piccola, eppure era come se Jeremy si fosse appena trasferito lì, mentre Alex era di casa in qualsiasi famiglia.

Jeremy tornava a casa a piedi e veniva accolto da sua nonna, che gli domandava se si fosse ricordato di comprarle il giornale, mentre Alex veniva accompagnato dai genitori, nella lussuosa Bmw nera che faceva invidia a tutti. Jeremy se la cavava abbastanza in matematica, mentre Alex sapeva giocare a basket.

Allora un giorno Alex chiese a Jeremy di dargli una mano in matematica, così poi si sarebbero fatti una partita a basket nel suo cortile. Non seppe bene perché chiese a lui, tutto sommato molti altri suoi compagni erano addirittura più bravi e socievoli, ma con il tempo realizzò che era perché aveva una faccia simpatica e gli dispiaceva che uno con una faccia così rimanesse solo a fissarsi le scarpe.

Infatti, il giorno in cui gli parlò per la prima volta, quel bambino di appena undici anni con una massa di capelli biondi spettinati e la faccia cosparsa di lentiggini si stava guardando i piedi, pensando a chissà cosa.

"Jerry." lo chiamò allegramente il ragazzino dai tratti mediterranei.

Il biondino alzò la testa e gli rivolse uno sguardo che lo colpì. Non si aspettava di scontrarsi con occhi tanto chiari e freddi, non li aveva mai osservati così da vicino. Era come quando si guardava un film, tutti presi da una scena cupa, e tutt'un tratto lo schermo diventava chiarissimo e luminoso, tant'è che faceva addirittura male guardare.

Ed era strano perché non se lo aspettava. Vedeva Jeremy Parker ogni giorno a scuola, quindi avrebbe dovuto sapere che aveva uno sguardo del genere, invece quel giorno era come se lo vedesse veramente per la prima volta. Due occhi chiarissimi, pieni di pensieri e sorpresi. Però non sembravano sorpresi in senso negativo; sembravano piuttosto speranzosi.

"Alex?" rispose quello osservandolo a metà via tra il dubbioso e il curioso, chiedendosi perché Alex Bell si prendesse tanta confidenza con lui, ma rispondendosi subito che lo faceva perché era un tipo stupido e tendeva a trattare tutti da amiconi. Probabilmente gli avrebbe chiesto di unirsi a lui per fare qualche ludica e interessante attività ricreativa.

"Perché non ti unisci a noi per una partita di basket con il sacchetto della merenda di Lynn?"

Ecco appunto.

"Mi spiace, non mi va." tagliò corto tornando ai suoi pensieri. Tipo al giornale dimenticato che gli avrebbe causato un pomeriggio di rimproveri e lamenti. Se sua nonna non l'aveva ancora mollato per strada per trasferirsi in Australia, l'avrebbe fatto quel giorno. Glielo diceva che era stanca di lui e anche se non gliel'avesse ricordato ogni santa volta, l'avrebbe capito da solo. Quasi quasi era meglio l'orfanotrofio che vivere con la mamma di suo padre. Sapeva che lei l'aveva preso in cura solo per soldi. E che, tra l'altro, se n'era pentita.

"Non verresti nemmeno per vedere William che imbratta la bici nuova di Stevenson?"

Jeremy fece no con la testa senza riuscire a reprimere la voglia di alzare un sopracciglio. I suoi coetanei erano davvero stupidi e infantili, ma quel Bell li batteva tutti.

"A dire il vero contavo più che altro che saresti venuto da me questo pomeriggio. Sai...per fare due tiri a basket e un po' di matematica." propose allora un po' deluso per l'impassibilità dimostrata dal compagno.

Non seppe se fu per la sorpresa di quella richiesta, per l'insistenza, oppure per l'opportunità di evitare un pomeriggio con sua nonna, ma Jeremy gli concesse un secondo di attenzione in più, mossa che fece comparire un gran sorriso sulla faccia da bambino di Alex. Jeremy l'uomo di ghiaccio sembrava interessato a passare un pomeriggio assieme a lui.

"Ti riaccompagnamo noi a casa!" aggiunse come se ciò potesse obbligare il suo compagno ad accettare definitivamente. Come se la batteria di pentole inclusa potesse essere ciò che determina l'acquisto di una nuova cucina.

Jeremy aprì la bocca per ringraziare, ma declinare l'invito. Tuttavia, nel momento in cui avrebbe dovuto farlo, si ritrovò invece a chiedere se avesse potuto prestargli il telefono per avvisare sua nonna.

Ne erano ancora entrambi inconsapevoli, ma in quel momento stavano legando assieme due vite. Due sole parole scambiate durante una ricreazione stavano dando vita a un'amicizia indissolubile, che sarebbe andata oltre tanti pericoli e complicazioni.

La signora Angelina Twain Parker concesse entusiasticamente al nipote di passare un pomeriggio dall'amico e telefonò in men che non si dica al salone "Claire's" per prenotarsi una benedetta messa in piega. Pareva che quella strana situazione avesse messo il buon umore a un sacco di gente.

Così i genitori di Alex, suonata la campanella delle 12.40, accompagnarono i due ragazzini fino alla casetta gialla di Birch Street, costellata di tulipani fucsia e viola nei davanzali e provvista di un piccolo campo rettangolare nel giardino, come si confaceva alle case delle famiglie benestanti di Bourton.

Passarono il pomeriggio come aveva previsto Alex, se non meglio ancora. Svolsero i compiti di matematica, presero il tè che la signora Bell, londinese di nascita, non si faceva mai mancare e uscirono sotto il sole delle cinque. Sudarono un bel po', ma non si stancarono per ore.

Giocarono un po' a basket e poi a qualcosa che Jeremy aveva inventato. Qualcosa di avventuroso che stupì Alex e lo fece sentire soddisfatto di aver voluto stringere amicizia con lui. Sì, perché quel bambino così timido si era lentamente aperto durante la giornata, come quell'origami che, a contatto con l'acqua, sboccia come un fiore. E l'acqua per Jeremy era stato Alex.

Dopo essere usciti, gli era spuntato in viso un sorriso entusiasta e un po' malizioso, che Alex non si aspettava e che gli fece venir voglia di fare tante domande al suo compagno, perché ora sapeva che gli avrebbe risposto.

Ma fu troppo preso dal gioco che fecero per tutto il pomeriggio e si dimenticò di interrogarlo. D'altronde, aveva vissuto un'avventura bellissima; fingendo di essere un esploratore in un'isola selvaggia, il suo quartiere, e visitando, di fatto, luoghi di cui aveva da sempre ignorato l'esistenza. Anzi, a essere precisi, Alex conosceva a occhi chiusi ogni angolo di Birch Street, ma con Jeremy gli era parso che tutto fosse nuovo, diverso, più bello.

Prima che scendesse dall'auto per fare ritorno alla modesta casa della nonna, parecchi isolati più distante dalla sua, gli chiese di dargli il cinque. Jeremy lo guardò stranito, le pupille rimpicciolite per scrutare quella mano aperta davanti al suo viso, esitante per chissà quale motivo. Perché avrebbe dovuto dargli il cinque? Non erano amici e glielo disse.

"E invece io voglio che tu sia mio amico." lo esortò Alex, prendendo la sua mano senza nervo e facendola sbattere contro la sua, per poi sfoggiare un sorriso soddisfatto, nonostante Jeremy non avesse mosso nemmeno un muscolo.

"Il mio amico." ripeté Alex.

Ma Jeremy non voleva un amico. Troppo diverso da lui, pensava, troppo felice per poter condividere qualcosa della sua vita. Non avrebbe mai potuto capire. E invece Jeremy non lo sapeva, ma quattro anni dopo avrebbe deciso di condividere la sua storia con lui, rendendolo la prima e unica persona al mondo a sapere del suo passato. E gli avrebbe fatto un bene incredibile.

Alex desiderava con tutto il cuore quell'amico. Voleva quel Jeremy, perché credeva di potergli far cambiare idea sul suo conto. Credeva di potergli dimostrare che non era stupido come tutti pensavano e che avrebbe potuto farlo sorridere, un giorno. Alex era sempre stato un cuore buono.

E, infatti, non era stato un caso che, tra tutte le persone che conosceva, avesse scelto di diventare il migliore amico della più triste.

Sapeva che Jeremy non era come lui. Sapeva che tutto sommato lui non ci teneva così tanto ad avere amicizie con i ragazzini di Bourton, ma preferiva fare il solitario, voleva -o doveva- arrangiarsi.

Tuttavia, dopo quel famoso pomeriggio, non aveva mai più declinato un suo invito. Certo, sfoggiava la solita espressione seccata ogni volta che lo vedeva avvicinarsi, ma poi chiudeva sempre il libro che stava leggendo e acquisiva uno sguardo che tradiva, giorno dopo giorno sempre di più, la sua maschera di freddezza. Anzi, più si vedevano più gli pareva che fosse contento, sollevato. Non aveva mai capito se fosse merito suo o dei giochi avventurosi per Birch Street o del tè di sua madre, però non gli serviva saperlo. Gli bastava vedere che stava bene e ridere assieme a lui. Troppo buono Alex, sempre troppo buono.

Sospirò togliendo un filo ribelle dal suo maglione rosso. Gliel'aveva prestato Allyson durante la solitaria nottata che avevano passato insieme e lui non aveva più avuto il coraggio di restituirlo. Gli sembrava più significativo che mai, quella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio. Anche se a queste cose non credeva per niente.

Allungò una mano verso quella inerme di Jeremy e la posò sopra. Non voleva stingerla, quello spettava casomai a Taylor. Alex voleva solo fargli sentire che, nonostante tutto, come sempre, lui c'era. E gli sembrò per un attimo di tornare a quel pomeriggio in cui con la stessa volontà gli aveva offerto una mano forte e determinata per dare il cinque alla sua, debole, impassibile e priva di energia, proprio come ora.

"Mi dispiace, Jeremy." disse con un filo di voce. Non c'era nessuno lì dentro, non serviva parlare forte. E poi, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato per dar contro a Taylor, con il risultato di farla scappare in lacrime.

"Non volevo trattare così Taylor. Ho sbagliato."

Si sedette sulla sedia accanto al letto e rimase in silenzio a osservare il viso del suo amico.

Non era più tondo e roseo come quando era piccolo, ora si notavano bene gli zigomi e la forma un po' spigolosa della mascella. Se solo avesse potuto tornare indietro a quando ancora gettavano palline di carta in testa alle signore che passeggiavano per il parco di Bourton, non avrebbe esitato un solo secondo! Avrebbe avuto tempo.

Adesso, invece, sentiva di non averne più. Ed era per quel motivo che si era comportato come un lunatico isterico con tutti, era per quel motivo che il buon Alex sembrava cattivo. Alex aveva solo paura di perdere il suo migliore amico.

"Le ho detto quelle cose perché ero fuori di me." spiegò quasi in un sussurro. "Però non ci credo veramente. Lei è...lei...voi due state bene insieme. Voglio dire, tu sei un ragazzo con la testa a posto e...beh, insomma, sì, hai la testa a posto, ma sei comunque scapestrato...ma meglio, voglio dire, è una cosa che piace alle donne. Poi Taylor è tutta...beh...è tutta lì..." sagomò l'aria come per dire che Taylor era piccoletta e graziosa. "Questo è sicuramente positivo, perché...è come se vi compensiate, no? Nel senso, non che tu sia alto e lei bassa...sì, comunque sei alto. Però lei non è bassa. È minuta, ecco...e secondo me ti si addicono le ragazze minute."

Sospirò continuando a fissare invano le palpebre immobili del suo amico. Nessun segno.

"Mi dispiace." disse in un sospiro sconsolato. "So quanto lei sia importante per te...e anche per me. In fondo, è diventata mia amica. E io sono suo amico. Ti prometto che mi farò perdonare da lei, però tu devi esserci, Jerry." e nel pronunciare il suo nome, la sua voce si incrinò. "Devi esserci per vedere quanto bella è la tua Taylor quando fa pace con le persone, ma anche quando è furiosa, specialmente se l'oggetto della sua furia sei tu, perché ti assicuro che i suoi occhi omicidi sono un vero spettacolo. Devi esserci per sentire il tono dolce di quella bestia di Richard quando parla di Allyson, devi esserci per darmi dell'idiota e fare delle espressioni disperate quando non capisco cosa vuoi dire. Devi esserci, Jerry. Io..." fece pressione con la mano sopra la sua e fissò gli occhi sul suo volto mentre una lacrima gli rigava la guancia. "Ho bisogno di te."

Purtroppo era troppo fragile e stressato per riuscire a essere forte come tutti gli dicevano. Purtroppo non aveva il carattere della sua ragazza o del suo migliore amico e nelle situazioni negative si lasciava sopraffare dagli eventi. Purtroppo non era disposto ad accettare di non avere più tempo da spendere con Jeremy.

Come era sempre successo, Alex non avrebbe lasciato Jeremy. Alex lo avrebbe sempre cercato. Alex si sarebbe sempre preoccupato per quel bambino orfano che si fissava le scarpe. Sempre.

Perciò scoppiò a piangere per l'ennesima volta davanti all'immagine del suo migliore amico che non dava segni di vita, se non artificialmente indotti, e si accasciò sul suo addome nascondendo il viso nelle maniche di quel maglione rosso.

Andò avanti a lungo, senza nemmeno accorgersi della mezzanotte che scoccava e dei festeggiamenti di Capodanno dalla finestra. Non fece gli auguri a nessuno, non rispose alla chiamata di Allyson, rimase in balia di profondi e incontrollabili singhiozzi e lacrime bollenti che si perdevano nella sua barba di qualche giorno e cadevano sul bianco del lenzuolo.

Contemporaneamente, più distante e nel buio della sua camera, Taylor soffocava il pianto nel bianco della sciarpa di Jeremy. Con quale faccia si sarebbe presentata in ospedale la mattina seguente, sapendo che aveva promesso a tutti che l'avrebbe piantata di essere così debole? Il correttore faceva miracoli con i brufoli, ma con occhi gonfi e arrossati no.

Sua madre si sarebbe preoccupata, Allyson l'avrebbe sgridata, Tessy l'avrebbe compatita e Oliver l'avrebbe spronata a tenere duro. E Jeremy? Cos'avrebbe pensato di lei il suo Jeremy?

Questo pensiero fece aumentare l'intensità dei suoi singhiozzi. Magari avrebbe potuto trasformarsi in un orso scontroso come aveva fatto Alex e permettersi di esprimere la sua disperazione come e quando le pareva, oppure avrebbe potuto continuare a fare buon viso a cattivo gioco. Così si sarebbe ridotta, come da una settimana a quella parte, a passare delle ore con lui, parlargli, sorridergli, accarezzarlo, e poi piangere nella sua solitudine. Lei voleva essere forte, ci provava, ma più si sforzava, più soffriva in seguito. Come quando bevi tanto da diventare euforico e le conseguenze si fanno sentire solo dopo, in proporzione all'alcol ingerito.

Strinse quella sciarpa contro il suo petto, poi la fece salire per strofinarcisi la guancia e infine vi posò sopra le labbra nel ricordo di un bacio che avrebbe riassaporato più di ogni altra cosa al mondo.

Il caldo delle labbra di Jeremy che vinceva il freddo dell'aria su ogni singolo centimetro di pelle. Tutto l'amore, il bello della vita e la felicità concentrati nell'unione bollente di due paia di labbra congelate. E un cuore grande, grande da morire.

Ormai era il primo gennaio e, secondo i medici, Jeremy non avrebbe resistito oltre.

Proprio quel cuore così grande batteva sempre più lentamente, il suo respiro era ogni giorno più debole e la speranza che potesse salvarsi era flebile come il battito che, in silenzio, appoggiandosi al suo petto, Taylor ascoltava spesso.

Così diverso da far male dal battito che l'aveva cullata una notte non troppo lontana, dopo la sparatoria in uno squallido locale di Stroud.

Era stata la prima volta in cui aveva sentito di essere a casa, tra le braccia di Jeremy. La prima volta in cui un pensiero davvero bizzarro le aveva attraversato la mente: di provare qualcosa per quel gradissimo stronzo che l'aveva rapita.

E da perfetta isterica, Taylor sbottò in una risata solitaria che riecheggiò nella stanza. Si ricordò di quando aveva provato a scappare dall'hotel di Cirencester, sfruttando l'ingenuità di Alex e irritando Jeremy a tal punto da fargli pensare che il suo amico volesse provarci con lei in una situazione del genere. E poi era stato lo stesso cretino a innamorarsi come un barbagianni.

Poi si ricordò di quella mattina in cui l'aveva trascinato in chiesa e di quando gli aveva dato una testata facendogli sanguinare il naso o ancora di quel giorno in cui avevano investito un uomo travestito da Babbo Natale e avevano finto di chiamarsi Tracy e Ludwig e di essere una coppia e tutto ciò la faceva ridere perché si era divertita. Era stata davvero felice, come mai lo era stata prima di allora.

E adesso Taylor aveva la sensazione che il tempo le stesse scivolando dalle dita, assieme a Jeremy. Il suo Jeremy. Il Jeremy che amava e che non l'avrebbe mai saputo.

Perché Jeremy aveva usato tutta l'energia che gli rimaneva per dirle che si era innamorato di lei, andando contro tutto e tutti, consapevole di ogni rischio. Mentre lei che, paradossalmente, era quella che aveva sempre rischiato di meno, non aveva trovato il modo per farlo. Ed era irrimediabilmente tardi.

Mentre di sotto una bottiglia di champagne veniva stappata tra schiamazzi e risate, la porta della sua stanza si spalancò e la luce artificiale che la illuminò di colpo svelò un aspetto terribile, l'aspetto della paura.

Oliver non disse nulla, chiuse semplicemente la porta alle sue spalle, posò il bicchiere e il piatto di pudding sulla scrivania e in due ampie falcate raggiunse Taylor.

Si sedette cauto sul piumone accanto a lei, si allungò in avanti e la avvolse in un abbraccio grande, caldo, protettivo, paterno. Taylor tremò e intensificò il suo pianto abbandonandosi sul petto del suo papà.

Erano circa le quattro quando la ragazza venne rapita da un sonno disperato, a cui lei era riluttante, ma a cui aveva dovuto soccombere.

Un sonno che le faceva dare calci e pugni alla coperta che Oliver le aveva adagiato sopra, perché quella coperta non era il corpo di Jeremy.

Un sonno che l'aveva presa contro il suo volere, un altro rapimento, che però stavolta non avrebbe portato a nulla di buono.

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Alex, invece, era già sveglio da mezz'ora. Aveva dormito un paio d'ore abbondanti sull'addome di Jeremy e si era svegliato di soprassalto sognando di soffocarlo con il peso della sua testa.

Si era alzato più intontito che mai, con le ginocchia che tremavano per la stanchezza e un lato del viso rigato dai segni lasciati dal lenzuolo. Aveva pianto e sbavato, così si era diretto verso il comodino e aveva elegantemente usato l'acqua dei fiori che avevano portato a Jeremy per rinfrescarsi il viso.

A quel punto si era ritrovato con la faccia bagnata e aveva risolto di asciugarsi, naturalmente, con il lenzuolo del lettino.

Stava giusto sfregandosi gli occhi, quando qualcosa catturò la sua attenzione. Si asciugò bene le ciglia per assicurarsi che non fosse il riflesso delle gocce e si rese conto che il suo sguardo non lo aveva ingannato. Così si avvicinò con timore e mise a fuoco mentre il suo battito cardiaco accelerava pericolosamente.

Appena si accertò di ciò che stava succedendo, sentì il seme del panico diffondersi dal suo petto e paralizzare tutti i muscoli.

Una goccia di sangue, densa e scura, quasi nera, stava scendendo dal naso di Jeremy, avanzando con una lentezza sconcertante e destabilizzante. Alex rimase per un millesimo di secondo a osservarla, fintanto che la sua concitata e preoccupata concentrazione non fu scossa da un improvviso rumore dei macchinari.

Un suono acuto lo aveva spaventato a morte e si era messo a scandire un ritmo dal significato sconosciuto, ma che continuava a velocizzarsi e rallentare, irregolare come la pioggia spinta dalle raffiche di vento durante una burrasca.

Tutto ciò ebbe l'effetto di paralizzarlo completamente e gli mozzò il respiro. Nella sua mente esplose il pensiero che Jeremy stesse per morire, che il suo cuore stesse per fermarsi e che lui dovesse assolutamente correre ad avvisare i medici. Ma non ci riusciva, perché sembrava che i suoi muscoli si fossero fossilizzati nella loro posizione.

Non respirava bene, o forse non respirava più. E questa frase si adattava molto bene per descrivere sia Jeremy che Alex.

Quest'ultimo, preso da un vero e proprio attacco di panico, non poteva fare nulla se non fissare con occhi sbarrati il sangue che ora, a corposi fiotti, scendeva dal naso di Jeremy, colava sulla sua mascherina e macchiava la coperta e il petto nudo del ragazzo.

Ma fu proprio quando il sangue penetrò nelle fessure della mascherina che Alex finalmente si disincantò.

Come sbloccato da un incantesimo di Medusa, corse di filato a togliergli quell'arnese dalla faccia, mentre lui iniziava a rantolare a causa del liquido che gli era entrato nella bocca e lo stava soffocando.

Alex slacciò il nodo dietro il collo e nell'attimo in cui sfilò la mascherina dalla bocca di Jeremy, pensò che se il suo amico fosse morto per colpa di quella sua ennesima stupidaggine, non si sarebbe mai dato pace e sarebbe morto anche lui.

Ma Jeremy, liberato da quell'obbligazione, sputò sangue e saliva, tirò un lungo respiro e aprì gli occhi.

Alex, che aveva lo sguardo fisso sulla sua faccia, sembrò essere abbagliato come quel giorno a scuola, quando osservò i suoi occhi per la prima volta. Così ora si stupì immotivatamente di quel colore, di quella luminosità e di quella chiarezza.

Jeremy si pulì la bocca con l'avambraccio e, alzandosi leggermente con il busto, si tappò il naso con i dorso della mano e si mise a testa in su, per contenere l'emorragia.

Poi spostò gli occhi sul suo amico, immobile a fianco a lui, una mano a mezz'aria con in mano la sua mascherina per l'ossigeno e l'altra a grattarsi la guancia, l'espressione tipicamente tra l'ebete e l'infinito.

"Alex." lo chiamò.

"Jerry?" biascicò lui, incapace di pensare.

"Alex, dai, prendi uno straccio, qualcosa. Sto facendo un casino qui, muoviti."

Il moro lo guardò se possibile ancora più stupito e si girò lento come uno zombie per cercare quello che gli era stato chiesto.

Rimediò una federa azzurrina che piegò in quattro e pose sotto il naso del ragazzo, muovendosi sempre come in una moviola e guardandolo poco, cercando di assimilare prima il tutto nella sua mente.

Era esattamente come quella volta in cui aveva preso una A in fisica. Gli ci era voluto un po' prima di realizzare che fosse capitato veramente, e soprattutto a lui.

Finalmente, dopo svariati secondi che Jeremy aveva più saggiamente impiegato ad asciugare la perdita si sangue, se ne uscì con qualcosa di intelligente.

"Chiamo il dottore." disse.

"Eh, direi." rispose Jeremy, sorridendo. "Ma prima dammi una mano qui."

Non ancora totalmente lucido e preda degli eventi, Alex diede priorità al problema presente e si sedette sulla sedia lì accanto, reggendo la federa per Jeremy.

"Devi stare a testa in giù e premere sul naso." gli disse, come ogni volta che si trovava ad affrontare questi episodi, talmente frequenti con Jeremy fin da quando aveva undici anni.

"Sì, così facciamo le cascate del Niagara."

Alex si fermò e sorrise immediatamente nel sentir giungere quella frase alle sue orecchie.

In quel momento aveva realizzato di aver preso una A. In quel momento, si era reso conto che Jeremy era vivo.

Jeremy era tornato con lui. Il suo migliore amico, di cui lui aveva bisogno, era lì. Era vivo. Non l'aveva abbandonato, nemmeno questa volta. Perché lui era Peter Pan e nessun Capitan Uncino del cazzo gli avrebbe mai messo i piedi in testa.

Lo guardò commosso e si aprì in un gran sorriso traboccante di sollievo, che si trasformava da istante a istante in euforia, mentre il suo cuore batteva forte.

Anche Jeremy ricambiò, le guance che incominciavano miracolosamente a prendere colore. E quello, si poteva dire, era davvero un miracolo.

Alex si alzò in piedi: "Vado ad avvisare i medici." disse, ma in realtà era impaziente di dirlo a tutti, al mondo intero. Doveva correre da Taylor e darle questa notizia ed era sicuro che allora l'avrebbe perdonato, poi doveva farlo sapere ad Allyson e Richard e doveva raccontare a Jeremy di Cordano e della punizione che si era meritato.

Ma in quel momento la domanda più sorprendente e martellante nella sua mente era "Che cosa è successo?". Com'era stato possibile che Jeremy ce l'avesse fatta? Cosa l'aveva salvato? Le sue parole di quella notte? L'amore di Taylor? L'amore per Taylor?

Allora prima di uscire, si rivolse di nuovo all'amico, incredulo e felice: "Ma cos'è successo, Jerry?"

Il biondo, anche se debole e decisamente provato, gli sorrise, felice che tutto fosse andato per il meglio.

"A me lo chiedi?" rispose sorridendo.

L'unica cosa che sapeva era che, quella terza domenica d'avvento, Cordano e Richard l'avevano inseguito per le strade di Bourton, e poi l'avevano picchiato fino a farlo finire in ospedale, per non aver ancora sanato il suo debito di duemila sterline.

Da lì in poi non ricordava più nulla.



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Vi prego, non m'accoppate.

Il titolo, "Tutti i tipi di amore", descrive, appunto, tutti i modi in cui, in questo capitolo, il sentimento si manifesta. L'amore di una mamma per la figlia, quello di un papà per la figlia, quello di un uomo per una donna, quello di una ragazza per un ragazzo, quello di un amico nei confronti del suo migliore amico. Evviva l'ammmore.

Vi piacerebbe leggere anche l'ULTIMO capitolo di questa storia? Beh, restate in attesa, lo vedrete sullo schermo del vostro PC il 1 gennaio 2017, come regalo di Natale da parte mia e augurio a tutti di un meraviglioso anno nuovo.

Buon Natale!


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Capitolo 14
*** Omnia vincit amor ***


All I want - 14 .2

ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...

********Omnia vincit amor********

"Allora, adesso ti ricordi?"

"No."

Alex sospirò, deluso, mentre Jeremy fece la smorfia di rituale e si alzò dalla sedia.

"Dove vai, aspetta!" lo fermò l'amico. "Non ti ho ancora raccontato della parte in cui Taylor mi ha dato un calcio nelle palle e tu-"

"Alex, ti prego." sospirò Jeremy, voltandosi appena verso di lui. "Sono stanco."

"Ma, Jeremy."

Il rimprovero del ragazzo sembrò quasi fuori luogo. Assurdo richiedere a uno che si era svegliato da un coma solo due giorni prima di ascoltare cento volte sempre la stessa storia.

Jeremy era davvero stanco. Aveva solo voglia di fare una passeggiata per il corridoio e poi tornare a guardare fuori dalla finestra sperando sempre che il giorno dopo sarebbe stato quello in cui l'avrebbero dimesso.

Ma sapeva che era una speranza bella grossa.

I medici gli avevano spiegato per filo e per segno tutto quello che il suo corpo aveva dovuto sopportare ed erano stati piuttosto chiari sul fatto che, per non sprecare il miracolo che aveva ricevuto, avrebbe dovuto passare lì dentro almeno un mese. Un mese di esami, di cure, di riposo,...di noia.

E poi c'era Alex.

Alex che da tre giorni a quella parte non era ancora riuscito a mettersi l'anima in pace. Passava l'intera giornata al suo fianco e non faceva altro che raccontare, raccontare, raccontare...

I medici avevano confermato che, a causa del lungo periodo in coma, qualcosa in Jeremy non aveva ripreso a funzionare correttamente. D'altronde era il minimo che potessero mettere in conto: non avrebbe potuto sopravvivere senza almeno un effetto collaterale.

E l'effetto collaterale in questione fu che la sua memoria aveva resettato una porzione della sua vita: precisamente dalla domenica d'avvento in cui Cordano e Richard l'avevano obbligato a rapire Tessy Heavens, fino al suo risveglio. Di quelle ultime tre settimane non ricordava assolutamente nulla.

E sì, chiaramente aveva già sentito milioni di volte la storia di com'erano andati i fatti. Lui aveva chiesto aiuto ad Alex, da veri idioti, avevano rapito Taylor anziché Tessy e, da vero idiota, lui si era innamorato di questa Taylor. C'erano poi un sacco di altri dettagli, che Jeremy ascoltava più per far contento il suo amico che per altri motivi.

Ma, ancora una volta, di quella Taylor e di tutta quella storia non sapeva altro che i fatti riportati.

Alex gli aveva fatto guardare ore di telegiornali registrati, aveva disegnato uno sproposito di schemi riassuntivi e gli aveva anche propinato degli assurdi esercizi per la memoria. Ma non era servito a niente.

Secondo i medici, Jeremy avrebbe potuto recuperare la memoria come anche perderla per sempre. Sarebbero potuti passare giorni, anni, oppure l'eternità intera. Non poteva prevederlo nessuno; solo il suo cervello sapeva se e quando si sarebbe riattivato.

Tuttavia, Alex era convintissimo che, non appena Jeremy avrebbe rivisto Taylor di persona, si sarebbe ricordato di ogni cosa, di ogni sentimento, di ogni singolo secondo che era intercorso dal momento in cui l'aveva addormentata col cloroformio a quello in cui i ruoli si erano scambiati e lui era svenuto tra le braccia di lei.

Alex, d'altronde, lo desiderava più di ogni altra cosa: per il suo amico, ma soprattutto per Taylor. Il giorno in cui Jeremy si era svegliato, ovvero il primo di gennaio, era stato lui a fare la chiamata. E così al telefono l'aveva ascoltata gridare di gioia e di sorpresa e poi si era preso l'ingrato compito di darle la notizia che avrebbe ammazzato brutalmente la sua neonata speranza.

Ma era l'unico a poterlo e doverlo fare.

L'aveva informata sulla perdita di memoria di Jeremy: Taylor era rimasta in silenzio e, Alex ne era sicuro, era appassita come un girasole in un giorno d'improvviso inverno.

Ma i dottori erano stati chiari: vedere la ragazza avrebbe potuto essere un trauma positivo per Jeremy, perciò doveva accadere quando sarebbe stato completamente in forze e, nel frattempo, Alex si era preso carico della sua, come l'aveva nominata, 'preparazione.'

Non aveva mai cessato, neanche un solo secondo, di impegnarsi per Taylor e Jeremy. Alla prima lo doveva, per essere stato un completo stronzo con lei e per ringraziarla del bene che aveva fatto a lui e al suo amico. Al secondo voleva donare di nuovo la felicità. Non poteva accettare che vivesse il resto della sua vita vuoto di tutto quello che aveva imparato. Aveva ricevuto un dono enorme, un dono che, ne era sicuro, l'avrebbe reso una persona migliore e felice, un dono che si meritava dopo anni e anni di ingiustizie. Non poteva aver smarrito quel dono.

Il miglior futuro che avrebbe desiderato per Jeremy era quello a fianco di Taylor. Non poteva neanche ipotizzare che tornando a essere il Jeremy di prima di quell'avventura, avrebbe vissuto bene. Certo, avrebbe creduto di vivere bene, ma Alex, e tutto il Cotswolds ormai, sapeva che non sarebbe stato così.

Per questo si alzò e seguì Jeremy lungo il corridoio del reparto, mentre, camminando al suo fianco, gli raccontava di quella volta in cui Taylor gli aveva dato un calcio nelle palle e lui aveva fatto una gran scenata di gelosia.


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Era passata una settimana.

Da quando Jeremy aveva aperto gli occhi, per sette giorni non aveva potuto fare niente e vedere nessuno. Eccetto Alex e sua nonna. Per una settimana intera.

Ma ora, finalmente, lo facevano uscire nel giardino dell'ospedale e poteva godere, per qualche ora ben distribuita nella giornata, del senso di libertà di cui si era sempre sentito padrone.

Era uscito per la prima volta quella stessa mattina, aveva preso un po' d'aria e passeggiato per una mezz'ora e poi era rientrato, sentendosi già quasi completamente guarito. Era incredibile come il riposo forzato gli costasse, mentre muoversi lo facesse sentire meglio.

Non gli avevano ancora tolto la fasciatura all'addome, ma la ferita aveva smesso di sanguinare. Aveva fatto tutti gli accertamenti possibili e immaginabili e ormai ricordava quasi a memoria tutti i valori del suo sangue. Anche i dottori erano soddisfatti dei suoi miglioramenti, ma lui era già troppo stanco di aspettare.

Senza dar retta ai mille progetti di Alex, aveva già deciso cosa avrebbe fatto una volta uscito.

Sua nonna era ricomparsa dal nulla qualche giorno prima, presentandosi nella sua camera d'ospedale con una faccetta falsamente pentita e un mucchio di scartoffie da firmare. Aveva sentito di lui al telegiornale; forse si era veramente sentita in colpa, ma le era anche venuta un'idea.

Così era tornata a Bourton-on-the-water dall'unico nipote che aveva; per dirgli che gli avrebbe lasciato una buona parte della sua eredità e che gli avrebbe comprato una casa. Jeremy ne era rimasto molto contento, ma non si era commosso: la nonna non era di colpo diventata una santa; voleva solamente guadagnarsi un po' di popolarità, comparendo nelle interviste al tg come inedita buona samaritana.

Si era solo messa in testa che sarebbe stato meglio riscattare la sua immagine di nonna cattiva che i media avevano fornito nei vari racconti della vicenda.

Ma ciò che importava a Jeremy, ora, era avere un'opportunità. Con questa inaspettata riapparizione della signora Twain, ora aveva dei soldi e una casa: non sapeva ancora bene dove, ma si sarebbe finalmente stabilito.

"Allora, Jerry, sei pronto?"

Il ragazzo guardò l'amico, fremente sullo stipite della porta.

Si guardò allo specchio e ponderò le sue occhiaie, poi si spettinò un po' i capelli con la mano e si rivolse ad Alex: "Lo faccio solo perché me lo chiedi tu, sia chiaro."

Alex aggrottò le sopracciglia e guardò il ragazzo con profonda rabbia: in quella settimana aveva potuto rendersi conto che uno dei tratti che aveva sempre caratterizzato Jeremy era quello dell'indifferenza e la freddezza. Una volta ci era abituato, ora non più, ed era abbastanza palese che non riuscisse a sopportarlo come un tempo.

Nelle settimane passate, Taylor era riuscita a mitigare di molto i tratti più duri di Jeremy e l'aveva reso una persona più sensibile ed empatica, tanto che Alex vi si era spontaneamente abituato.

Ora sembrava che tutto si fosse dissolto nel nulla. Perché la memoria di Jeremy aveva scelto di cancellare proprio quel periodo? Proprio quei miglioramenti? Proprio Taylor?

"Lo fai per te stesso." lo corresse Alex, poi si affrettò a coprirsi con la giacca e scendere nel giardino assieme a Jeremy.

Il giardinetto dell'ospedale di Bourton era piccolo e curato.

Aveva una forma quadrata e, lungo il suo perimetro, un muretto bianco e fatiscente lo rendeva molto chiuso, quasi intimo. Al centro stava una fontana spenta, piena di aghi di pino e pigne, e lungo i quattro sentieri ghiaiati che si diramavano da essa, erano piazzate delle panchine in legno, su cui Alex e Jeremy presero posto.

Al giardino si poteva accedere dall'interno, oppure da un piccolo arco di marmo che serviva da entrata secondaria all'ospedale. Proprio lì, appena fuori dall'arco, si trovavano Allyson e Taylor, l'una piena di carica, l'altra avvolta da un misto di emozioni che l'aveva lasciata muta da una settimana a quella parte.

Finalmente stava per rivedere Jeremy.

Aveva vissuto un arcobaleno di emozioni, dalla più positiva alla più negativa, in meno di due minuti, quando il primo gennaio aveva ricevuto la chiamata di Alex.

In quei giorni, poi, aveva avuto il tempo di trarre le proprie considerazioni e, ora che finalmente si trovava a pochi passi da lui, sembrava non aver concluso proprio nulla. Oltre al perenne contrasto tra sollievo e tristezza che provava nel cuore, non sapeva minimamente che avrebbe fatto o cosa gli avrebbe detto.

Non sapeva se essere positiva a riguardo o se rassegnarsi al peggio, sapeva solo che la voglia di rivedere quegli occhi era più grande di qualsiasi altro istinto avesse mosso le sue gambe fino all'ospedale. E l'aveva agognato così tanto che ora quasi si sentiva svenire.

"Coraggio, Tay." le disse Allyson, posandole una mano sulla schiena. "Vedrai che andrà tutto bene."

La ragazza annuì e si lasciò guidare dalla spinta di Allyson mentre varcavano l'entrata del giardino e si dirigevano verso la fontana spenta, vicino cui erano seduti i due ragazzi.

Allyson si fermò a metà strada, nello stesso momento in cui Alex si alzò dalla panchina e corse verso le due, lasciando Jeremy da solo. Era la prima volta che vedeva entrambe, dato che nemmeno lui era mai uscito da quell'ospedale.

La prima cosa che fece fu lanciare un fugace sguardo ad Allyson, concedendosi un millesimo di secondo per godere di quell'innata purezza e quei grandi occhi dolci. Non avevano ancora chiarito dopo la famosa litigata, non gliene aveva dato modo, perché era sicuro che lei gli avrebbe detto di troncare definitivamente la loro relazione.

Allyson rispose allo sguardo con uno altrettanto addolorato. Sapeva di aver ferito Alex profondamente e capiva che quello era il motivo per cui aveva smesso di parlare con lei. Sapeva che avrebbe dovuto dare ascolto a Richard, ma si sentiva troppo in errore per sperare che Alex avrebbe accettato le sue scuse.

Alex allora staccò gli occhi da lei e si rivolse a Taylor, avvolgendola con in impeto in un forte e protettivo abbraccio.

"Mi dispiace così tanto, Taylor."

La ragazza fissò le rughe di stanchezza ed empatia del suo volto e si sentì catapultata nel passato; a quando la gente la guardava in quel modo e si dispiaceva per quello che Oliver le aveva fatto. Era un po' abituata a sentirsi compatita, ma ne era anche stanca e avrebbe voluto che Jeremy fosse lì per farla sentire diversamente.

Beh...Jeremy era lì. Solo che probabilmente non aveva alcuna intenzione nei suoi confronti, se non quella di finire presto i convenevoli e tornarsene alla sua vita.

"Taylor." la richiamò Alex. "Ti prego, devi reagire."

La ragazza gli sorrise: "Certo. Non è che sia morto."

"No." soffiò lui, notando tristemente che le sue iridi castane erano liquide di pianto.

"E comunque ho sbagliato, Tay, non sai quanto mi dispiace. A litigare con te, intendo. A dirti quelle cose orribili...non le pensavo."

La ragazza gli riservò un altro sorriso: "Sì che le pensavi."

Alex fu preso in contropiede. Lui ed Allyson si guardarono per un attimo.

"È giusto che fossi arrabbiato con me." proseguì lei. "Ho capito le tue ragioni, Alex, e sulla maggior parte di esse non posso che essere d'accordo."

"Era solo gelosia. Immotivata." la corresse lui. "Non è che io ami Jerry, sia chiaro, ma ero geloso che ti fossi messa tra di noi. Sono sempre stato abituato ad avere Jerry solo per me, e viceversa per lui."

"Questo non è mai cambiato. Quello che rappresenti per Jeremy, Alex, non è cambiato di una virgola indipendentemente dalla mia presenza."

"Lo so. E, in ogni caso, l'ho capito dopo che tu per lui sei stata un miracolo. Hai fatto un favore anche a me. Aldilà delle sue amicizie e dei suoi ragionamenti da kamikaze, innamorarti di lui è stato il miglior regalo che potessi farci."

"Davvero?"

"Certo!" sorrise stringendole il braccio. "È per questo che ora devi andare da lui e fargli ricordare tutto. Fallo di nuovo, il tuo miracolo. Per favore."

La ragazza annuì flebilmente, come poco prima aveva annuito ad Allyson. Poi spostò gli occhi oltre il corpo di Alex e lo vide.

Jeremy era lì, apparentemente spensierato e in salute, seduto su una panchina di legno a fissarsi le scarpe.

Alex ed Allyson le sorrisero e lasciarono che avanzasse distanziandosi da loro. Convennero, senza doverlo esprimere, che sarebbe stato meglio lasciare il giardino, cosicché Jeremy e Taylor potessero rimanere soli.

E allora Taylor prese un profondo respiro e camminò verso la fontana con il cuore che le batteva fortissimo e un enorme nodo in gola. Quando Jeremy la vide avvicinarsi, si alzò subito in piedi e le tese la mano con un sorriso un po' nervoso.

Secondo Alex, quello avrebbe dovuto essere un momento fondamentale per lui e avrebbe dovuto stare concentrato al massimo. Gli aveva intimato di non comportarsi da stronzo, di ascoltare attentamente quello che Taylor gli avrebbe detto e di dare un'opportunità, a lei e a se stesso, di farsi aprire il cuore.

Jeremy non si ricordava che il suo amico fosse mai stato così fuori di testa, perciò decise che l'avrebbe fatto, se non per nessun altro, solo per lui. Per dargli soddisfazione e sperare che la piantasse di assillarlo.

Sinceramente, non aveva mai preso tutta quella storia sul serio. Certo, era convinto che gli fosse accaduto davvero, ma l'idea che l'avesse cambiato così profondamente era a lui incomprensibile. L'idea di essere arrivato ad amare perdutamente una persona gli risultava fiabesca e inverosimile.

Ogni volta che glielo raccontavano, pensava che fosse stato figo, ma rimaneva sempre e comunque un curioso racconto a cui si sentiva totalmente estraneo.

"Ciao." le disse, sperando che l'imbarazzo non avrebbe piegato prima lui di lei.

Taylor gli prese la mano e la strinse mostrandogli inevitabilmente quanto stesse tremando.

"Ciao." rispose con una faccia così tirata che Jeremy la trovò addirittura diversa dalle foto che aveva visto sui giornali e in tv.

"Come stai?"

"Bene." rispose lei, la voce acuta e instabile. "Mi fa davvero piacere sapere che è lo stesso anche per te."

"Diciamo così." sorrise lui.

"Senti, Jeremy, io..." Taylor prese un profondo respiro e Jeremy si fermò un attimo a osservarla, come gli aveva suggerito di fare Alex.

Gli aveva detto che se si era innamorato di lei, allora sicuramente doveva piacergli, così ascoltò quel consiglio e studiò il viso della ragazza. Era rotondo e pallido, le guance e il naso erano arrossati per il freddo e sotto agli occhi anche per lei erano previste due occhiaie violacee.

Le sue ciglia erano folte e tutte disordinate, come se si fosse sfregata gli occhi per scacciare le lacrime, mentre i capelli erano ben pettinati e lucidi, evidentemente preparati per un'occasione importante.

Se le piaceva? La trovava gradevole. Aveva delle fattezze minute, come il naso e il labbro superiore, mentre gli occhi erano grandi e caldi, le stavano bene incorniciati dai ciuffi dello stesso colore.

E poi aveva delle mani piccole che gli ricordavano quelle di una bambina, come d'altra parte la sua statura e la sua voce per niente imponente o prepotente.

Sì, era carina, ma l'aveva guardata come si guarda una persona che non si conosce. Senza sapere niente su di lei, o su di loro.

"Io volevo ringraziarti." disse la ragazza, stringendosi le mani al petto. "Anche se non te lo ricordi, hai fatto qualcosa di grande valore per me. E per mia madre e i miei amici. Tutti ti sono grati per avermi salvato la vita, io in primis."

"Dovere." rispose lui, un po' a disagio, ma cercando comunque di suonare disinvolto. "Grazie anche a te per...ehm..."

Alex gliel'aveva ripetuto un milione di volte, ma ancora non gli sembrava verosimile dirlo!

"Per avermi aiutato coi miei problemi." concluse.

Quella conversazione sembrava così falsa che a Taylor venne la nausea. Voleva andarsene e scappare subito; non avrebbe retto ancora un secondo così. Il suo Jeremy era davanti a lei ed erano perfetti sconosciuti.

"Senti, sediamoci un po'." propose lui, invitandola a prendere posto al suo fianco.

La ragazza obbedì e si sedette in silenzio, osservando l'erba ingiallita del giardino e guardando di sottecchi, ogni tanto, quel bellissimo azzurro che sarebbe stato clinicamente impossibile da dimenticare.

"Allora, dimmi." incalzò di nuovo Jeremy. "Che piani hai per il futuro?"

"Che...piani?" Taylor sembrò indecisa.

Non aveva nessun piano. A dire il vero, in quei giorni non era mai riuscita a vedere oltre quello stesso momento. Forse aveva sperato troppo in un miracoloso recupero della memoria da parte di Jeremy?

"Non hai nulla in mente ora che tutto questo casino è passato?"

Tutto questo casino. A Taylor salì un nuovo un conato di vomito.

"Io, per esempio, voglio comprare una casa." proseguì il ragazzo, allegro. "Certo, devo almeno lasciar passare un paio di mesi per rimettermi in sesto, ma poi mi trasferirò."

"Sul serio?"

"Sì." confermò lui.

"E dove?"

"Non lo so con precisione, ma mi attirava l'Australia. Ho una nonna che-"

"Sì, so di tua nonna." Taylor lo interruppe bruscamente.

Quella notizia l'aveva colta impreparata. Jeremy non poteva andarsene da Bourton! Non poteva andarsene da lei!

"Ah." sorrise lui, gentilmente. "Beh, mi sembrava giusto approfittare della sua offerta e magari in Australia riprendere gli studi e trovare un lavoro."

"E Alex?" era l'unica persona che avesse e di cui si ricordasse lì a Bourton, perciò Taylor tentò di proporlo come contro.

"Ovviamente non è d'accordo." ghignò Jeremy, divertito. "Ma so che alla fine mi capirà."

Jeremy vide Taylor abbassare gli occhi sotto le folte ciglia e stringere le mani che aveva in grembo in un pugno nervoso. Gli dispiacque davvero molto e sentì come una morsa allo stomaco, per essere la causa della sua sofferenza.

"Ehi." cercò di distrarla. "Tornerò comunque spesso a Bourton per passare del tempo con Alex e, se lo vorrai, potremmo vederci in quelle occasioni."

"Vederci?" a Taylor sembrò un'ipotesi assurda.

Lei non poteva vedere Jeremy di tanto in tanto, lei voleva passare ogni secondo accanto a lui! Certo, era felice che fosse sopravvissuto e che stesse bene, ma, volendo essere egoista, le sembrava solo una misera consolazione.

"Sì, uscire insieme qualche volta. Con Alex, Allyson e tua sorella."

Il fatto che avesse dovuto specificare anche la presenza di altre persone, la buttò ancora più giù. Ma certo...che si aspettava? Che Jeremy volesse uscire con lei? Che chiedesse un appuntamento a una completa sconosciuta? Doveva metterselo in testa; lei per Jeremy non era più nessuno, ora.

Ok, avrebbe potuto raccontargli dei momenti che avevano passato insieme, del loro primo e unico bacio, dei sentimenti che avevano provato,...ma sarebbe servito davvero? Allyson le aveva ripetuto che sarebbero sicuramente stati d'aiuto, lei le aveva creduto, ma aveva cambiato idea non appena aveva visto Jeremy.

L'aveva sentito così freddo e distaccato, così lontano da quella persona calda e confortevole che aveva conosciuto. Ecco cosa le sembrava quel Jeremy che aveva davanti: un quadro bellissimo e di incommensurabile valore, che era stato irreparabilmente rovinato da una secchiata di vernice nera.

"Va bene." rispose semplicemente.

"Taylor." quando Jeremy disse il suo nome, il cuore della povera ragazza sussultò ancora una volta. Le era mancato così tanto sentirlo pronunciato da quel timbro e da quell'intonazione!

Jeremy proseguì: "Non vorrei che stessi così male. Lo so che è colpa mia, Alex mi ha raccontato un bel po' di cose."

"E sono solo la metà di tutte quelle che so io."

"Vuoi parlarne?"

"No." quella risposta le costò uno sforzo enorme. "Non credo che servirebbe, tu che dici?"

Jeremy abbassò lo sguardo: "Non lo so."

Taylor si sentiva mortificata e sconfitta. Pensava a quanto tempo le fosse servito perché Jeremy le aprisse il suo cuore, a quanti sforzi e quanti litigi e a quanto tutto ciò fosse stato vanificato in un soffio.

Ma si schiarì la voce e, come sempre, tenne duro: "Tieni." disse, estraendo dalla borsa la sciarpa bianca di Jeremy. "È ora che te la restituisca."

Jeremy guardò a quell'oggetto con un po' di sorpresa e di dolore e lo prese senza dire nulla.

Poi inspirò a fondo e si fece coraggio: voleva ascoltare Alex e fidarsi del suo consiglio. Fece quello che gli sembrò più decisivo, per scongiurare ogni possibile rimpianto futuro: si allungò verso Taylor, girò il suo volto con una mano e la baciò.

Fu un bacio breve e non troppo intenso, che lasciò Taylor spiazzata e Jeremy indifferente come prima.

Solo un po' intontito dal suo profumo di talco e lavanda.

"Perché...?" gli chiese Taylor, gli occhi ancora più lucidi e feriti.

Jeremy alzò le spalle: "Ho tentato, Taylor. Mi dispiace."

"Capisco."

"Grazie per la sciarpa."

"Prego." disse lei, tremante, alzandosi dalla panchina come se ora scottasse. Il fiato le mancava ed era chiaro che stesse per scoppiare in lacrime.

Anche Jeremy si alzò, dispiaciuto più per la ragazza che per se stesso, e le tese di nuovo la mano: "Non sarà un addio." tentò di consolarla. "Mi piacerebbe che restassimo amici. Magari potremmo scriverci, di tanto in tanto."

"Certo." ribatté lei, immobile e con i pugni serrati nelle tasche.

"Mi dispiace." ripeté lui, senza sapere che così facendo la stava uccidendo definitivamente, gli occhi che si trattenevano, ma il cuore che si era abbandonato a un pianto straziante già da un po'.

Jeremy ritrasse la mano e le rivolse quello che lei sapeva essere l'ultimo sorriso: "Riguardati, Taylor, va bene?"

"Lo farò."

E detto ciò la ragazza gli voltò le spalle e percorse il vialetto dell'ospedale con la consapevolezza che quella parentesi di amore e felicità nella sua vita si era chiusa per sempre.


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Il giorno di San Valentino, Tessy Heavens era uno splendore.

Aveva indossato la pelliccia bianca che Martha le aveva regalato per Natale, poi si era spruzzata il profumo al sandalo che le piaceva tanto e, una volta agganciata la collana Teric dietro al collo, era salita sulla sua nuova Bmw per passare a prendere Allyson e Taylor.

Avrebbe dato un passaggio alle ragazze fino a Lake Baenue, dove si sarebbero fermate per passare un pomeriggio all'insegna della spensieratezza. L'ultimo, prima che Taylor partisse.

Certo, da questo punto di vista le dispiaceva, ma d'altra parte non poteva essere più eccitata: grazie all'aiuto di Eric e Richard era riuscita a convincere anche Alex a venire.

Lei, Eric e Taylor avrebbero fatto in modo di lasciare lui ed Allyson in intimità ed erano sicuri che si sarebbero riappacificati.

Come avevano fatto ad ottenere l'aiuto di Richard?

Beh, Tessy era andata a trovarlo assieme a Taylor e, da brave sorellastre complottiste, gli avevano raccontato degli ultimi sviluppi nella storia tra Alex e sua sorella. Richard aveva assoldato Eric affinché minacciasse corporalmente Alex di prendersele: se quell'istupidito di Bell non avesse fatto l'uomo e affrontato Allyson direttamente, Eric sarebbe stato l'estensione della violenza di Richard.

Così, una volta ricevuto l'invito da parte di Taylor e Tessy, Alex fu "più che felice di accettare". In realtà, lo era davvero, e sapeva che quelle di Richard erano minacce a fin di bene. Se tra lui ed Allyson doveva finire; almeno si sarebbe tolto di scena dignitosamente e avrebbe così sperato di strapparle almeno un ultimo bacio.

Fu il primo dei ragazzi ad arrivare a Lake Banue e li aspettò al chiosco di cioccolato caldo che ora aveva cambiato gestione. Mentre ordinava cinque tazze con panna montata, si maledì per non essere riuscito a ordinare anche la sesta; quella che sarebbe spettata a Jeremy.

Credeva di poterlo convincere, ma si era sbagliato di grosso; per quanto ci avesse provato, Jeremy non aveva voluto partecipare a quell'uscita. Da cinque giorni era stato dimesso e si era temporaneamente stabilito a casa di Alex, ma non faceva altro che parlare della sua partenza, del suo futuro, della sua voglia di ricominciare e bla bla bla. Non aveva la minima intenzione di stare a sentirlo.

Aveva passato tutti quei giorni a programmare la sua partenza, che sarebbe stata il 21 febbraio, giusto due giorni dopo quella di Taylor. Non importava quante e quali motivazioni gli avesse fornito Alex per andare a Lake Baenue con lui; Jeremy era stato irremovibile, e una vera spina nel fianco, avrebbe aggiunto.

Ciò che non sapeva del suo amico, però, era che il suo no aveva una precisa motivazione. Dopo il giorno in cui aveva parlato con Taylor Heavens, infatti, Jeremy aveva deciso che non l'avrebbe mai più voluta vedere. Non perché non gli sarebbe piaciuto, tutto sommato, l'aveva trovata una persona piacevole, ma perché aveva visto quanto solo la sua presenza la facesse soffrire e non intendeva avere quel ruolo nella vita di nessuno.

Sapeva che non avrebbe mai dato a Taylor ciò di cui aveva bisogno. Lei voleva che la sua memoria tornasse, ma Jeremy non poteva prevedere se e quando sarebbe successo e nel frattempo le loro vite sarebbero andate avanti. Non voleva accontentarla giusto per darle l'illusione del prima o poi.

Quell'avventura di cui non ricordava nulla, se non altro, aveva costituito per lui un nuovo punto di partenza e non poteva sprecare l'occasione. Non sarebbe rimasto indietro per quella ragazza, anche se le stava simpatica e gli dispiaceva.

Sarebbe andato avanti coi suoi progetti e, per non sentirsi in colpa, né far soffrire lei, non l'avrebbe più rivista. Se c'era una cosa che aveva intuito di Taylor, era che fosse una ragazza intelligente. E lui non era un bravo attore. Si sarebbe accorta che forzare il loro rapporto sarebbe stata solamente una finzione destinata a deludere molti cuori.

Così aveva detto no ad Alex, senza dargli troppe spiegazioni, sperando che anche lui, un giorno o l'altro, si sarebbe messo il cuore in pace.

Ma Alex non ebbe il cuore in pace nemmeno un secondo per tutta quella giornata. Quando i ragazzi arrivarono, salutò Tessy comunicandole con lo sguardo che non era riuscito a convincere Jeremy e anche lei si dispiacque. In fondo sperava che, oltre ad Allyson, anche Taylor avrebbe trovato un po' di sollievo. Invece non sarebbe successo nemmeno quella volta.

Bevvero insieme, parlarono e chiacchierarono di argomenti tranquilli, che non potessero toccare livelli più sensibili a cui, con maggiore o minore intensità, tutti erano soggetti.

Tessy sgusciò la sua scusa prima ancora del momento pattuito; si avvinghiò a Eric e lo trascinò da qualche parte nel boschetto per amoreggiare indisturbata.

Taylor allora si affrettò a sparire dalla scena per completare il piano concordato con la sorella: indossò i suoi pattini da ghiaccio – quelli che Hans le aveva regalato, dopo aver saputo di Jeremy e della loro avventura – e si isolò sul lago ghiacciato per far pratica.

Essendo senza pattini, Allyson l'aveva semplicemente seguita e si era seduta su un tronco traverso per osservarla dal bordo del lago e darle, di tanto in tanto, qualche consiglio.

"È diventata brava, eh?"

La domanda di Alex, alle sue spalle, la spaventò, ma poi sorrise e tornò a guardare l'amica: "Se la cava bene." commentò.

"Se stata tu a insegnarle?"

"In realtà, le ho mostrato solo le nozioni di base. Per il resto è stata la sua determinazione. Si è allenata tutti i giorni, per ore e ore, anche se era tardi, anche se era sola, anche se cadendo si faceva male."

"È davvero testarda Taylor."

"Vuole solo mantenere una promessa." spiegò Allyson, sentendosi mortificata e dispiaciuta per la sua amica. In un solo mese era riuscita a padroneggiare i pattini in modo ammirevole: certo, non aveva ancora imparato nulla di difficile, ma per essere partita da sotto zero, aveva fatto dei progressi incredibili. Non aveva mai detto ad Allyson perché tenesse tanto a imparare, ma lei aveva capito che, come per la riappacificazione verso Tessy e suo padre, lo doveva a Jeremy.

Alex si sedette accanto a lei sul tronco e sospirò: "Peccato che quel demente di Jeremy non lo apprezzerà mai."

Allyson guardò Alex di sottecchi, quasi timorosa di riscoprire uno dei qualsiasi tratti che amava di quel ragazzo. La voce bassa e un po' roca, gli occhi scurissimi, la mascelle forti, e contratte, ora che era arrabbiato. O agitato.

"Io ho apprezzato quello che hai fatto tu per Taylor." soffiò.

Alex alzò le sopracciglia: "Davvero?"

"Certo." confermò la ragazza.

"Ma non è servito a nulla. Alla fine Taylor se ne andrà e Jeremy pure."

"Non mi riferisco solo ai tuoi tentativi di far recuperare la memoria a Jeremy." precisò lei. "Ma a tutto quello che hai fatto mentre lei era a con voi. Ai gesti di premura che hai avuto nei suoi confronti, alla protezione che le hai offerto."

"Ma l'ho rapita."

"Taylor mi ha detto che non si è mai veramente trattato di rapimento." sorrise involontariamente al ripensare a tutti gli aneddoti che l'amica le aveva riportato. A quanto era stato goffo il suo fidanzato e quanto corruttibile Jeremy. A quanto poco, di fatto, fossero assomigliati a un rapitore e il suo complice. "E poi tu nemmeno la volevi rapire, non è così? Hai solo voluto aiutare Jeremy. Non credevo aveste quest'enorme legame."

"Non ho mai fatto in tempo a parlartene. Tu e io eravamo insieme solo da una settimana."

"Sì, lo capisco. Nemmeno io avevo fatto in tempo a parlarti di Taylor e Tessy. E a presentarti Richard."

"Se l'avessimo fatto, sarebbero cambiate molte cose."

"Sembra sempre che abbiamo troppo poco tempo noi due, eh?"

I due ragazzi si guardarono e poi Allyson prese di nuovo la parola: "In ogni caso, ti ringrazio. È anche grazie a te se ora Taylor è di nuovo qui."

"Credevo fossi arrabbiata con me per questo."

"Non ti premio per aver deciso di compiere un crimine, ma non sono arrabbiata. Paradossalmente, sono molto più arrabbiata con me stessa, per non aver saputo ascoltarti, per essere saltata subito a delle conclusioni sbagliate e per averti chiamato 'stupido'."

Alex abbassò lo sguardo e lo incollò al terreno: "È quello che sono."

"No, non è vero, Alex!" sbottò, facendolo sussultare. "Smettila di permettere alle persone di offenderti in questo modo, smettila di accettare questa critica non vera!"

"Non la accetto da parte delle altre persone, Ally, ma da te sì." le disse, piano, facendola sentire tremendamente in colpa. "Io sono stupido, perché l'hai detto tu."

La ragazza si sentì un verme, profondamente sconvolta per la ferita che aveva inflitto ad Alex. Proprio lei, che per lui rappresentava così tanto.

Così prese un sospiro e gli fece una carezza sulla guancia; lenta, piena di amore, che attraversò la sua barba ispida per fargli girare il volto verso di lei. A quel punto lo guardò dritto negli occhi.

"Vorrei essere perfetta per te, Alex, ma non lo sono." disse. "Ho sbagliato a chiamarti così e, dato che tutti facciamo degli errori, dovresti perdonarmi. Non penso che tu sia stupido; l'ho detto perché sapevo che ti avrebbe fatto male."

"E allora perché ci siamo già lasciati due volte?"

"Perché non è facile." rispose lei. "Non è facile quando ami qualcuno così tanto per la prima volta."

Alex la fissò, colpito dalle sue parole e dal suo viso bellissimo e innamorato.

Quello che aveva detto era forse la spiegazione che cercava da tempo: se tra lui ed Allyson c'erano stati così tanti alti e bassi era perché, per la prima volta nelle loro vite, si erano ritrovati ad amare davvero.

Prima di lei, Alex aveva avuto molti rapporti. Ma non lo avevano mai fatto soffrire così tanto, sebbene, logicamente, fossero tutti terminati. Non aveva mai avuto paura della parola 'fine'. Con Allyson, invece, si era addirittura ridotto a ignorarla, pur di non correre il rischio.

E il senso di colpa quando le diceva una bugia, l'importanza che avevano le sue opinioni, la rabbia che aveva provato ogni volta che aveva sentito di deluderla. Il coraggio che aveva avuto di affrontare, per lei, la scontrosità di Richard e di dire per la prima volta un vero 'ti amo'.

Sì, ora tutto tornava.

Non poteva immaginarlo, perché non l'aveva mai provato prima, ma l'amore era quello. E, a quanto pareva, non era toccato solo a lui, ma anche ad Allyson.

"Visto che sorridi, immagino tu sia d'accordo." tentò la ragazza.

"Sei troppo intelligente." ribatté lui, scuotendo la testa con una smorfia allegra.

I due ragazzi assunsero un'espressione sollevata e si rivolsero un sorriso che confermava il perdono di entrambi.

Guardarono in avanti, verso Taylor che pattinava rapidamente sul lago, e decisero che non serviva darsi un bacio. L'avrebbero fatto quella sera, prima di passare la notte insieme, l'una tra le braccia dell'altro. Però si diedero la mano e le loro dita si allacciarono, assieme ai loro cuori, per sempre, su un tronco traverso di Lake Banue.


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Era il 19 febbraio, Bourton era ancora congelata e le campane suonavano mezzogiorno.

Jeremy aveva appena avuto una brutta litigata con Alex, ma non ci fece troppo caso, perché in quell'ultimo periodo le brutte litigate trai due erano all'ordine del giorno.

Il motivo era sempre lo stesso: da un mese e mezzo a quella parte, Alex non aveva ancora gettato la spugna e lo assillava giorno e notte sull'argomento Taylor Heavens. Jeremy aveva provato di tutto: a fargli capire che era una questione fisica, che forzare le cose non avrebbe portato a nulla di buono, che nessun articolo di giornale gli avrebbe dato una miracolosa illuminazione.

Ma Alex era irremovibile e tentava qualsiasi via, in qualsiasi momento, anche a costo di sentirsi urlare contro. Jeremy era infinitamente grato ad Alex per la sua dedizione, senza ombra di dubbio, ma si arrabbiava con lui perché non sapeva farsene una ragione.

Persino la diretta interessata, Taylor, ci era riuscita.

Lei, infatti, se ne sarebbe andata il giorno stesso, sarebbe partita lasciandosi tutto alle spalle. Si sarebbe trasferita a Newcastle, nel Nord dell'Inghilterra, per iniziare degli studi universitari, con la prospettiva di viaggiare poi in Europa. Il trasferimento sarebbe stato definitivo; dopo un anno anche Amanda, sua madre, l'avrebbe raggiunta e avrebbero proseguito la loro vita lì.

Ovviamente quell'argomento era stato l'oggetto della recentissima disquisizione con Alex.

Il ragazzo riteneva che per un evento del genere Jeremy dovesse a Taylor almeno un addio, ma lui non era del parere. Era rimasto fedele alla sua decisione, soprattutto dato che si sarebbe trattato di un addio. In fondo lo faceva anche per Taylor, ma questo ragionamento ad Alex era sembrato ipocrita e inconcepibile.

Forse non avrebbero mai trovato un punto di incontro, ma almeno da quel giorno in poi Taylor sarebbe stata distante e non avrebbe più costituito motivo di insistenza da parte di Alex. In più, anche Jeremy sarebbe partito nel giro di due giorni.

Il suo trasferimento non sarebbe stato definitivo come quello di Taylor, perché doveva tanto ad Alex e non l'avrebbe piantato in asso così. Avrebbe creato il suo nuovo nido in Australia, ma sarebbe tornato a Bourton una volta ogni due mesi per passare qualche giorno a casa di Alex – e, un domani, a casa di Alex ed Allyson.

Poi avrebbe spesso fatto visita a Oliver Heavens, al quale aveva chiesto infinite volte scusa per tutto il disagio che aveva causato. Ma non era stato così necessario: Oliver non aveva mai serbato rancore nei confronti di Jeremy. L'unica persona a cui l'aveva seriamente fatta pagare era stato Cordano; che, non si sa come, aveva fatto finire nell'ala più malfamata del carcere di Bourton, assicurandosi che venisse trattato come lui aveva sempre trattato gli altri.

Dopo che Oliver aveva ottenuto nuovamente il posto come direttore della Money House, aveva addirittura offerto un lavoro a Jeremy, ma quest'ultimo aveva rifiutato. Allora gli aveva offerto il suo aiuto ogni volta che ne avesse avuto bisogno e lo aveva redarguito sul fatto che Martha l'avrebbe aspettato a cena almeno una volta ogni due mesi.

Jeremy non aveva idea di come avesse fatto a meritare tutto questo, ma ne era immensamente grato e gli dispiaceva solamente che il lato negativo della medaglia fosse spettato a Taylor.

Un messaggio di Alex lo avvisò che il treno di Taylor sarebbe partito entro mezz'ora e che era ancora in tempo per cambiare idea e salutarla per l'ultima volta. Aveva anche aggiunto un paio di 'stronzo' e 'brutto deficiente', ma, lo stesso, Jeremy preferì non rispondere e spense il telefono.


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Amanda e Taylor si trovavano sulla grande gradinata della stazione centrale di Bourton.

Era un imponente edificio in marmo bianco che si ergeva opposto al dispersivo parco della città; guardiano dei laghetti ghiacciati e dei bambini che per tutta la stagione invernale ci andavano per giocare con gli amici.

Attorno a loro, in piedi sui gradini, c'erano Alex ed Allyson, Oliver, assieme a Martha e Tessy, ed Eric, che si era offerto di aiutare con le valige.

Il treno per Newcastle sarebbe partito entro pochi minuti e l'unica persona contenta di ciò, tra i presenti, era Taylor. Non c'era da stupirsi che tutti i suoi cari la stessero salutando con un gran muso lungo: a partire da Alex, nessuno di loro era mai riuscito ad accettare la sua idea di andarsene da Bourton.

Ma, d'altra parte, non potevano insistere più di tanto, perché l'avevano capita. Il punto di stallo in cui era finita tutta la recente vicenda del rapimento era piuttosto chiaro; da quella situazione non sarebbero mai usciti né lei né Jeremy e, per quante svolte positive avesse procurato a entrambi, la ferita più grande per Taylor sarebbe per sempre rimasta incurabile.

Bourton rappresentava per lei la famosa parentesi che si era aperta e poi richiusa; ora doveva guardare oltre, o sarebbe rimasta a osservare il suo passato tentando di rompere un muro che l'avrebbe per sempre lasciata al di fuori.

Non che non ne avesse sofferto, o che quel dolore fosse mai cessato, ma in fondo Taylor era una persona ragionevole e aveva capito, prima che chiunque altro glielo dicesse, che il modo migliore per affrontare quello che il destino le aveva riservato era accettarlo silenziosamente e ripartire da zero.

Non l'avrebbe voluto fare, ovviamente, ma doveva, perché nessuno le avrebbe mai ridato la felicità che aveva assaporato. Almeno, pensava, avrebbe fatto qualcosa di utile per sua madre. Si sarebbe concentrata in tutto e per tutto sugli studi e poi avrebbe trovato un lavoro, per regalare ad Amanda una vecchiaia tra gli agi e l'orgoglio.

Era contenta di come tutto si fosse sistemato con la famiglia di suo padre: aveva promesso a Martha che avrebbe imparato a cucinare come lei, a Tessy che le avrebbe scritto e l'avrebbe ospitata nella sua residenza universitaria, a Eric che avrebbe pensato a lui ogni volta in cui avesse visto una slitta di Natale.

Poi era arrivato il momento dei saluti e aveva abbracciato Allyson così forte da toglierle il respiro: "Tu verrai a trovarmi a Newcastle, vero?"

"Ogni volta in cui avrai bisogno di me, Taylor." le aveva risposto l'amica, lo sguardo determinato e pieno dei migliori auguri per lei e la sua nuova vita. "Ci sarò sempre per te, ricordatelo."

"E tu?" Taylor aveva guardato Alex e si era abbandonata a un sorriso pieno d'affetto.

Ma Alex aveva le lacrime agli occhi e cercava in ogni modo di nascondere il viso, incapace, al contrario di Allyson di essere forte per lei. Era forse quello che aveva sofferto di più per le decisioni di chi gli era stato intorno nei momenti importanti della sua vita.

Non capiva il perché e si sentiva impotente. Taylor gli sarebbe mancata da morire.

La ragazza gli si avvicinò e gli prese delicatamente una mano: "Alex."

Lui cercò di rifuggire il suo sguardo, ma non ci riuscì.

"Devi essere il fidanzato perfetto per Ally, ok?"

Annuì debolmente.

"Sai che ho sempre creduto in te." aggiunse, sorridendogli. "E in voi. E adesso che c'è Ally, so che ti impedirà di fare cazzate quando non ci saremo io e Jeremy a controllarti."

Vedendo che lui ancora non si decideva ad aprir bocca, gli si mise davanti e allargò le braccia, stavolta coperte da un cappotto ben pesante: "Mi puoi abbracciare?"

Ovviamente Alex non poté resistere a quella richiesta e, vinto dall'affetto che provava per lei, cedette e la strinse fortissimo, come quel giorno in cui le impedì di scappare e quel giorno in cui si salutarono a Celtenham, prima che lasciasse lei e Jeremy soli.

"Mi mancherai, Taylor." disse sperando che nessuno vedesse le sue lacrime. "Sei la mia migliore amica, lo sai?"

Taylor si stupì di quella frase e intensificò l'abbraccio con ancora più orgoglio: "E tu sei il mio migliore amico." ricambiò. "Non cambiare mai, Al. Ti voglio bene."

Quando l'abbraccio si sciolse, Taylor si allontanò di poco dal gruppo per salutare le ultime due persone che avrebbe lasciato a Bourton: i suoi genitori.

Anche se Amanda l'avrebbe raggiunta nel giro di un anno, sapeva che le sarebbe mancata tantissimo e, allo stesso modo, ora che aveva riscoperto la presenza di Oliver, le dispiaceva doversene separare per l'ennesima volta.

Ma era una sua scelta e sia Oliver che Amanda l'avevano compresa senza dire nulla.

Solo che adesso per Amanda era difficile salutare la sua bambina, dopo così poco che l'aveva riavuta indietro dal pensiero di poterla perdere per sempre. Così le fece una carezza e la ringraziò, perché l'aveva sempre fatta sentire una donna realizzata, nonostante tutto, e perché indirettamente era stata la causa della sua riappacificazione. Con Oliver, ma in primis con se stessa.

Ora sembrava tutto di nuovo in assetto; c'era un clima di concordia, anche se nulla era stato cambiato. Amanda credeva che servisse una rivoluzione per riportare tutto alla tranquillità, invece aveva scoperto che non era così. Doveva solo accettare il presente e dopo che Taylor le aveva fatto un lungo discorso su Sparta, Atene e la doppia faccia di una medaglia, ci era riuscita.

Ora lei e Oliver erano amici; anzi, avevano un legame più speciale dell'amicizia. Erano una squadra, uniti di nuovo per il bene della figlia. Amanda aveva anche scoperto che la moglie di Oliver era una persona squisita e aveva l'impressione che, durante quell'ultimo anno in cui sarebbe rimasta a Bourton, sarebbero diventate amiche.

Taylor fece un timido passo verso Oliver e gli allungò una serie di lettere e foglietti tenuti insieme da un elastico.

"Sono tutte le lettere e i biglietti che ci facevano fare a scuola, in occasione delle feste." spiegò, notando lo sguardo sorpreso di Oliver verso quel mucchio di fogli. "Li ho tenuti per anni e anni, sognando inconsciamente, un giorno, di poterteli dare."

Oliver alzò gli occhi inumiditi su Taylor e non seppe parlare, se non per dirle che li avrebbe letti tutti e che le voleva bene.

"Anch'io ti voglio bene." ammise lei, rivolgendogli un sorriso.

Le sembrò un saluto opportuno; dopotutto Oliver le era stato accanto sempre da quando era tornata, ed era sicura che non avrebbe mai dimenticato la loro chiacchierata durante la sera di Natale. Come non avrebbe nemmeno scordato la notte di Capodanno, in cui, finalmente, dopo tanti anni in cui aveva desiderato farlo, si era sfogata sul suo petto e si era addormentata tra le sue braccia. Era contenta di aver collezionato quei ricordi, che, seppur pochi, erano finalmente dei bei ricordi del suo papà.

Taylor alzò la mano e salutò affettuosamente tutti quanti, poi salì la gradinata ed entrò nella stazione per andare verso un futuro senza Jeremy.


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Il campanello suonò insistentemente per qualche secondo, senza lasciare a Jeremy il tempo di spegnere il fornello. Avrebbe bruciato l'ennesimo tentativo di frittata, se lo sentiva.

Roteò gli occhi non appena sentì quel rumore acuto e insistente: se si trattava di Alex che era venuto a implorarlo di cambiare idea, l'avrebbe ammazzato a mani nude.

E invece la persona che trovò aldilà della porta sembrava uno sconosciuto.

Spiò dall'occhiello, finse di non essere in casa e se ne tornò alla preparazione del suo pranzo.

Ma il tizio non aveva alcuna intenzione di demordere: o si trattava di un postino accanito, oppure Alex aveva mandato qualcuno a intercedere per la sua volontà. Tanto la casa era sua e Jeremy aveva come l'impressione che non gli sarebbe importato se qualcuno l'avesse sfasciata pur di convincerlo ad andare alla stazione.

Nel dubbio di qualche lettera urgente o pacco da ritirare, Jeremy sbuffò e andò di nuovo alla porta strascicando i piedi.

"Chi è?" chiese pigramente al citofono.

"Signor Parker? Jeremy Parker?"

"Veramente questa residenza appartiene alla famiglia Bell, quindi non vedo come possa esserci Jeremy Parker al suo interno."

"La prego, signor Parker, devo parlare con lei."

Jeremy assottigliò gli occhi.

Tirò il chiavistello verso destra, inserì la catena e aprì la porta di giusto dieci centimetri. Fissò l'uomo aldilà della soglia e si maledì perché non aveva l'uniforme del postino.

"Lei chi è?" grugnì, senza alcuna implicazione di buone maniere.

Doveva per forza essere una trovata di Alex.

"Mi chiamo Gabriel Arch." disse l'uomo, inclinando le sopracciglia in un'espressione apprensiva. "Noi ci conosciamo già, signor Parker, e io sono venuto per poterle parlare."

"Se l'ha mandata Alexander, può anche andarsene." ringhiò Jeremy, oltremodo irritato da tutta quella situazione.

"Io non so chi sia il signor Alexander. O meglio, l'ho visto alla tv, ma non ho mai avuto la fortuna di parlarci o di conoscerlo di persona." spiegò l'uomo. "Tuttavia, ho saputo della sua molto prossima partenza e la pregherei ascoltare cosa ho da dirle in merito."

Jeremy lo guardò ancora per qualche secondo e poi, improvvisamente, ricordò.

La forma piena delle guance e gli occhi infossati sotto le sopracciglia folte gli portarono alla memoria l'immagine dello stesso uomo che aveva davanti, qualche anno più giovane e travestito di bianco e rosso, con un sacco di regali sulle spalle.

"Non si ricorda di me?"

Jeremy gli sbatté la porta in faccia.

L'uomo rimase per un attimo spiazzato, ma poi tornò alla carica. E Jeremy, che aveva fatto solo mezzo passo verso la cucina, si sentì così equilibratamente in colpa e arrabbiato che non seppe se urlargli di andarsene o dispiacersi per le sue maniere.

Alla fine il campanello smise di suonare e lui si trovò il faccione di quell'uomo spiaccicato alla finestra. Bussò sul vetro diverse volte, finché Jeremy, trattenendo un'imprecazione, non scostò la tenda.

"Che diavolo vuole?"

Il signore gli fece cenno di aprire l'anta e Jeremy eseguì roteando gli occhi: "Senta, questa non è nemmeno casa mia, non mi costringa a chiamare i proprietari, oppure-"

"Jeremy." lo interruppe Gabriel, appoggiando entrambe le mani al davanzale. "Mi dica se si ricorda di me."

Jeremy inspirò a fondo, chiedendosi che diavolo fosse preso alle persone, che tutto un tratto, come aveva fatto sua nonna, avevano allegramente deciso di tornare dal passato e ricomparire nella sua vita.

"È quell'uomo che anni fa veniva al mio orfanotrofio, travestito da Babbo Natale." disse, riluttante.

"Sì." confermò lui, poi fece un cenno a qualcuno dietro le sue spalle e una ragazza, timidamente, fece capolino davanti alla finestra di casa Bell. "E questa è mia figlia Joanne."

Jeremy le lanciò uno sguardo confuso, poi tornò a guardare lui.

Ma che diavolo volevano quegli sconosciuti?

"Né io né Joanne abbiamo mai avuto il coraggio di parlarle, signor Parker, prima di incontrarla un mese fa."

"Oh mio Dio." si lamentò Jeremy. "Siete qui anche voi per la storia del rapimento."

"Esatto." intervenne la ragazza. "E, Jeremy, devi ascoltarmi se ti dico che-"

"Basta." la interruppe freddo. "Smettetela tutti quanti. Sono stanco di sentirmi ripetere le stesse cose da mesi, sono stanco di rivedere gente con cui non ho mai avuto uno straccio di rapporto e che ora pretende di conoscermi da una vita e di sapere più cose di me sul mio conto!"

Joanne si ritrasse, cercando nel padre la stessa tristezza che provava lei a sentir parlare così Jeremy. In fondo, era vero, non si conoscevano e non si erano mai parlati, salvo per un unica volta. Ma sia per lei che per Gabriel era stato così folgorante che avevano capito tutto ciò che lui e Taylor avevano impiegato settimane per capire.

"La prego, non lasci che quella ragazza se ne vada via da lei per sempre. Non parta." insistette Gabriel.

"Non mi dica quello che devo fare." rispose a tono Jeremy, poi si rivolse verso Joanne. "E tu, non so nemmeno chi diavolo tu sia!"

"Tu e Taylor siete venuti al mio emporio. Abbiamo parlato e mentre cercavo di raccontarti qualcosa di me il tuo sguardo cercava sempre lei, non lasciavi mai che la tua attenzione ricadesse su nient'altro e avevi una tale preoccupazione in quegli occhi che non ho mai pensato, nemmeno per un secondo, che qualcun altro avrebbe mai potuto interessarti di più."

"E poi il giorno della vigilia avete incontrato me." proseguì Gabriel. "E io lo sapevo che eravate quei due della tv! Ma lei mi ha convinto del contrario, signor Jeremy, perché amava così tanto quella ragazza che non sarebbe stato possibile considerarvi un rapitore e la sua vittima."

"Oh, smettetela!" Jeremy chiuse la finestra con impeto e sentì il legno scricchiolare.

Si massaggiò la testa, che aveva iniziato a dolere, e serrò il vetro con la maniglia. Poi, come se il nervoso non fosse abbastanza, avvertì la puzza di bruciato sotto al naso e corse a spegnere il fuoco.

Ormai le uova si erano carbonizzate e con un'imprecazione le gettò malamente nel lavandino.

Il campanello riprese a suonare.

"Vi ho detto di andarvene!" gridò Jeremy.

"Non ce ne andremo finché non ci vorrà ascoltare, signor Parker!" si sentì ribattere da dietro la porta.

Allora sospirò, frustrato e arrabbiato, e corse in camera. Aprì l'armadio in cui Alex gli faceva tenere le sue cose, afferrò una valigia e la riempì alla rinfusa.

Cacciò dentro tutti i suoi vestiti stropicciati, le scarpe, lo spazzolino, mentre il campanello non cessava di strillare e l'odore di bruciato gli dava ancora di più alla testa. Prese la cartella zeppa dei suoi referti medici e la infilò tra un capo e l'altro, poi, appoggiò la sua sciarpa bianca, e fu l'unica cosa che maneggiò con cura.

La appiattì con le mani e si rese conto che qualcosa era cambiato nel tessuto: era più morbida e di un bianco meno intenso. Così la guardò meglio e non notò nulla di diverso: non poteva saperlo, ma il suo sangue e le lacrime di Taylor l'avevano sbiadita.

Aveva un buon odore, però, lo stesso che aveva sentito addosso a Taylor quel giorno nel giardino dell'ospedale e che in quel momento gli sembrò un sollievo rispetto alla puzza che aleggiava nella casa.

Fu forse perché si soffermò troppo a respirare quel profumo che la sua testa subì un improvviso giramento, facendogli perdere l'equilibrio.

Il rumore, l'odore e il nervosismo lo stavano facendo sentir male e non aveva di certo il fisico per affrontare lo stress. Così controllò di aver preso tutto: in fondo all'armadio restava solo un pacco regalo avvolto da una carta rossa.

Jeremy lo afferrò, di fretta, e lo ficcò nella valigia senza nemmeno darsi la pena di chiuderla per bene.

Scese le scale di corsa, si coprì solamente con la sua felpa e aprì finalmente la porta.

Davanti agli sguardi combattivi di Gabriel e Joanne, sfoggiò la sua espressione indifferente e non esitò a rivolgersi nuovamente a loro con tono strafottente: "Dato che non ve ne andate, me ne andrò io. Lontano da voi, lontano da Bourton, lontano da tutte queste cazzo di rotture."

Chiuse la porta e scese i gradini che lo separavano dal vialetto per uscire dal giardino di Alex.

"Perché scappa sempre, signor Jeremy?" si infervorò l'omone, cercando di aiutare il ragazzo con la valigia.

"Mi lasci stare!" gridò lui. "Lei non mi conosce!"

"E invece sì!"

"Papà." lo pregò Joanne, che vedeva in tutta quella sceneggiata ormai il capolinea. Erano andati a cercare quel ragazzo di persona per aiutarlo, ma era lampante che non volesse farsi aiutare e che non fossero una presenza gradita.

Le sarebbe dispiaciuto più di ogni altra cosa vedere Jeremy e Taylor non poter rimanere insieme, specialmente dopo aver sentito la loro storia per intero e aver verificato di persona la grandezza e l'intensità del loro legame.

Ma, dopotutto, lei e suo padre non erano che intoppi trovati lungo il cammino, di cui Jeremy aveva dimenticato e che, senza Taylor al suo fianco, non avrebbero mai più significato nient'altro. Solo la presenza di quella ragazza poteva rendere Jeremy diverso, solo lei aveva la chiave per aprire il forziere della sua anima.

"Sì che ti conosco, invece!" sbottò Gabriel mettendosi davanti a Jeremy e bloccandogli il passaggio su quel vialetto ghiacciato. "Sei quel bambino triste e solo che non ha mai voluto festeggiare il Natale, che non si è mai concesso di accettare un dono e che ha sempre preferito scappare dalla felicità."

Jeremy lo guardò, inevitabilmente ferito da quelle parole, le sopracciglia corrugate e la mascella serrata.

"Ho capito che quel bambino eri tu, quando hanno raccontato di te al tg il giorno di Natale, ma l'ho sospettato dal primo momento in cui ti ho visto. Quando ti sei presentato come Ludwig, ricordi?" proseguì concitato. "E la persona che ho conosciuto quel giorno era diversa: stava festeggiando il Natale, si era concessa di accettare un dono e stava mordendo la felicità."

"Non ricordo niente di tutto ciò."

"La ragazza che avevi accanto ti stava rendendo felice."

"Non me lo ricordo."

"E allora fidati, Jeremy!" lo implorò l'uomo. "Fidati di chi ha visto l'amore dentro al tuo sguardo, di chi, pur non conoscendoti, è venuto a casa tua per dirti quanto tu sia stupido a lasciare andare tutto e di chi non vuole più rivedere l'infelicità sul tuo volto."

"Non lasciare che il passato vinca su di te." aggiunse Joanne, guardandolo da distante con affetto.

Quelle parole colpirono Jeremy in modo troppo diretto e non fecero altro che aumentare la sua rabbia e la frustrazione, la sensazione che tutti fossero impazziti e la nostalgia dei tempi in cui la gente lo evitava e preferiva lasciarlo perdere.

"Ha già vinto su di me." sputò, sterile e freddo come il terreno su cui stava in piedi. "Taylor è già partita per Newcastle e io sono felice di non vederla mai più, mi sta solo dando noia."

Con una spallata, fece da parte Gabriel e, sorpassandolo, lo guardò negli occhi: "Ora me ne vado anche io, così potrò togliere di mezzo voi, Alex, e le altre mille seccature che tutti mi state dando."

Detto questo, recuperò il passo spedito con cui era uscito di casa, ma l'inverno di Bourton e la suola piatta delle sue scarpe lo tradirono di nuovo.

Jeremy scivolò all'indietro sul ghiaccio e trascinò con se la sua valigia, che gli piombò sulla pancia, aprendosi e spargendo tutto il suo interno per il vialetto.

Gabriel e Joanne si precipitarono ad aiutarlo, ma Jeremy intimò loro di stargli lontano. Si alzò con la schiena e la testa doloranti e raccolse le sue cose in fretta, senza nemmeno alzare gli occhi sulle due persone che stavano a pochi metri da lui.

Solo quando una mano gentile gli mise sotto gli occhi il pacchetto rosso che era caduto dalla valigia, lui si degnò di fermarsi.

"Si è rotto." gli fece notare l'uomo, il dispiacere nella voce.

Jeremy portò l'oggetto a sé e accertò con una certa riluttanza che la carta si era strappata e la scatola si era aperta da un lato.

Era il regalo che Taylor gli aveva lasciato in ospedale la notte di Natale. Non l'aveva mai aperto e l'aveva accantonato dentro all'armadio con l'intenzione di lasciarlo per sempre così. Gli dispiaceva gettarlo, ma allo stesso tempo trovava inutile e insensato aprire un dono che non avrebbe avuto significato.

Purtroppo, ormai, l'involucro era completamente distrutto, così decise di eliminarlo del tutto, svelandone il contenuto.

Nella scatola Taylor aveva confezionato un paio di pattini da ghiaccio; nuovi, brillanti, della taglia giusta per Jeremy.

"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare."

"Che cosa?"

"Pattinare. Dev'essere bello."

Jeremy mollò la scatola all'istante, come se avesse improvvisamente iniziato a scottare.

Che cosa era successo?

O se l'era immaginato, oppure aveva appena sentito delle voci e visto un paio di volti pallidi.

"Non imparerò mai a pattinare."

"Mai dire mai, principessa. Ricordati che ho bisogno di un insegnante."

"Jeremy, tu hai bisogno di un miracolo."

Di nuovo.

Jeremy strizzò gli occhi e contemporaneamente deglutì.

Tentò di scacciare quei pensieri che di colpo avevano riempito le sue orecchie, mentre l'immagine di un lago ghiacciato sbiadiva, astratta, nella sua memoria a breve termine.

"Promettimi che...imparerai a pattinare."

Sembrava non servire; la sua mente stava facendo tutto da sola e lui non riusciva a riprenderne il controllo.

Preso dal panico, allora, guardò in basso. Dall'impatto col terreno, un altro oggetto era scivolato fuori dalla scatola; si trattava di un rametto di vischio, a cui Taylor aveva attaccato un biglietto. Lo lesse, mentre Gabriel tratteneva un sussulto: 'È il miglior uso che potessi farne'.

"Mancherà comunque qualcosa."

"Lo so. Il regalo di Ludwig. Fanne buon uso, Lor."

Jeremy gettò anche questo a terra e si coprì il volto con entrambe le mani, mentre quello che sembrava un attacco di panico se la prese con il suo stomaco.

Che gli stava succedendo? La testa pulsava, l'odore di quegli oggetti era lo stesso che aveva annusato prima sulla sua sciarpa e che gli stava causando una serie di gravi capogiri.

Si sentiva male, vedeva sfocato e respirava a fatica.

Afferrò i pattini e il vischio per chiuderli frettolosamente nella scatola rotta, ma nel fare quest'operazione, qualcosa scivolò tra le sue mani.

Erano due fogli, pinzati insieme.

Jeremy lì fissò per un attimo con il petto che si alzava e si abbassava velocemente.

Sul primo era ritratto lui, in bianco e nero, con un sorriso che mai si era visto in volto, ma che lo faceva apparire bellissimo.

"Sai com'è, certi sorrisi sono più unici che rari, per cui ho pensato di immortalarne uno per quando sarai il solito stronzo. Sappi che agli altri piaci quando sorridi."

"Mi sa che piaccio specialmente a te, mh?"

Guardò il secondo foglio, sperando di non capirci niente e, invece, anche stavolta il suo cervello ricevette una scossa. Ritraeva una famiglia con un padre, una madre e una bambina. Era sempre disegnato a mano, ma imitava una fotografia e sul retro c'era scritta una una frase; era una dedica per Tessy Heavens.

"Lor, cos'è quella foto? Dietro c'è una dedica e tu non sei nel quadretto. Dove l'hai presa?"

"Non sono affari tuoi."

"L'hai rubata a casa di Tessy, non è vero?"

"No."

"E l'hai strappata, ma ti dispiaceva e quindi la stai copiando."

"Non mi dispiace affatto, quella foto è un insulto! Ma in ogni caso, a te non deve importare, perciò dammi subito tutti i miei fogli e sparisci da qui!"

Ancora un altro flash e Jeremy non riuscì a scacciarlo, non potendo fare a meno di soccombere a quella raffica di ricordi.

"Taylor, guardami. Per favore... Promettimi che comunque vada, cercherai di riconciliarti con tuo padre."

Il respirò di Jeremy si mozzò e fu come riceve un pugno in pieno stomaco. La sua testa girò vorticosamente, e dovette accasciarsi al suolo per non cadere.

"Lor."

"Senti, Jeremy, non mi va di parlare con te."

"Ma io voglio parlarne."

"Io no. Per colpa tua, sono davvero molto impegnata a fare altro, come ad esempio odiarti."

"Non credo che tu sia molto brava a odiare le persone."

Sentì le mani forti di Gabriel far presa sulle sue braccia per alzarlo, ma lui rimase inerte e con lo sguardo sbarrato, perso nel vuoto, l'azzurro del ghiaccio che, forse, si stava scongelando.

"Nemmeno io per te sono una persona. Sono solo un mucchio di stupidissimi, sporchi soldi."

"Già. Da oggi riprendiamo i nostri ruoli di non-persone, allora. Io sono il mostro e tu i miei due milioni di sterline. Io sono il rapitore e tu la ragazza sbagliata."

"Non siamo mai stati nulla di diverso."

La voce di Joanne ripeteva il suo nome, preoccupata, e chiedeva al padre se fosse il caso di chiamare un'ambulanza.

"Cosa significa 'non sei Tessy'?"

"Significa che non sono Tessy."


"Mi hai drogata!"

"Perspicace."

"Tu sei pazzo! Mi hai drogata! Finiresti in prigione per questo!"

"E non solo. Ti ho derubata, sequestrata, rinchiusa in un luogo circoscritto e minacciata. Se in Inghilterra esistesse la pena di morte, dovrei iniziare a cercarmi un cimitero carino. Non ho soldi per l'avvocato."


"Che diritto hai di trattarmi come un oggetto? Chi ti autorizza a darmi un valore e soprattutto a giocare con la mia mia vita?"

"Lor, non alzare la voce."

"Io faccio quello che mi pare! Non mi puoi togliere la libertà, non ne hai il diritto!"

"Abbassa quella voce, porca puttana, o ci sentiranno tutti!"

"NON DARMI ORDINI!" 


"Senti, Taylor. Nemmeno tu conosci me, ok? Quindi smettila di fare la vittima. L'unica cosa che mi interessa sono quei soldi, tutto il resto può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte tuo padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila di scocciarmi."


"Senti, Lor." "Sì?" "Mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Non volevo."


"Eddai, Jeremy, ti prego!"

"No."

"Perché no?"

"Perché sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più feroce di te e perché voglio vederti soffrire."


"Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"

"Un ricatto sul ricatto? Carino."

"Jeremy. Perché eri in un orfanotrofio?"


"Coraggio, non è un reato."

"So cos'è un reato, direi. Non voglio e basta."

"Ma Jeremy-"

"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."

"Non dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno, qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."

"Da' qua."


"Perché non lo vuoi perdonare?!"

"A te che importa?"

"Voglio sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."


"Lo sai per chi ho pregato, Lor? La mia mamma.

Volevi tanto saperlo, no?"


"Perché lo fai?"

"Fare cosa?"

"Il cattivo. Il cattivo di una storia in cui credi di essere quello che prende le decisioni, quello che domina. Quando in realtà sai benissimo che non è così e ti lasci dominare dalla rabbia, dal rimpianto e dal rancore."


"Lo immaginavo. L'hai sempre detto che non mi sopporti."

"Per quello servono doti da martire."

"Già. Scusa se mi sono comportata da bambina."

"Lor, tu sei una bambina."


"Oh, certo. Il sapore della cenere e del pericolo di morte dev'essere favoloso."

"A volte con il pericolo di morte puoi giocare. Se sei bravo abbastanza, non muori."

"Jeremy, tu mi sembri proprio sull'orlo della morte."

"Eppure sono qui. Forse è proprio perché volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."

"Il sapore di una sigaretta è così buono da mantenerti in vita?"

"Il sapore di tante cose assieme."

"Non ti credo."

"Allora prova."


"Hai detto e fatto molte cose per me."

"Oh, ma certo. E ne avrei fatte finché avessi continuato a fare la brava bambina. Oh, Taylor. Non mi sono mai capacitato di quanto fossi stupida."


"Non posso credere che sia stato tutto una recita, Jeremy."

"E cosa ti rende così convinta del contrario? Non me ne è mai fregato nulla dei tuoi moralismi e dei discorsi da ragazzina stupida. Sei una bambina e per me i bambini vanno accontentati, oppure si mettono a piangere e attirano l'attenzione."


"Pensavo che fossi sincero, Jeremy. Pensavo che avessi deciso di non mentirmi da quel giorno in cui mi hai raccontato di tua madre."

"Ti sbagli, ho solo imparato a farlo meglio."


"Beh, almeno non è vero."

"Non è vero cosa?"

"Che morirò da solo."


"No, Lor. La mia preghiera ha funzionato. Avevo chiesto...che... Che andasse tutto bene..."

"Oh, bel modo di fare andare tutto bene! Niente è andato bene, Jeremy! Guarda!"

"Non è vero. Mi sono innamorato anch'io, Lor."


Jeremy prese una boccata d'ossigeno come fosse il primo respiro della sua vita .

E, infatti, fu come nascere di nuovo.

Si liberò dalla stretta di Gabriel, si alzò in piedi e raccolse il ramo di vischio. Poi guardò Joanne e suo padre: "Qualcuno di voi ha una macchina?"


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L'auto inchiodò a pochi metri della stazione e Gabriel si portò la mano al cuore.

"Lei mi deve un anno di vita, signor Parker." sfiatò, con gli occhi sbarrati. "Prima mi investe e poi guida ai cento per il centro abitato."

Jeremy tirò il freno a mano: "Le devo molto più di un anno di vita, signor Arch."

Scese dall'auto e prima di chiudere la portiera, si affacciò dentro all'abitacolo: "Grazie di tutto, davvero. E, Joanne?"

"Sì?"

Jeremy le fece l'occhiolino e lei andò in brodo di giuggiole: "Sei fantastica."

Il ragazzo chiuse la portiera e si girò verso l'orologio della stazione: mancava un quarto all'una e lui era arrivato in ritardo.

"No..." sussurrò guardandosi intorno con fare smarrito.

Chissà, sperava forse che l'orologio fosse rotto e segnasse l'orario sbagliato?

Il suo sguardo scese sulle scalinate all'esterno della stazione e vi trovò un gruppo insolito: Alex, Allyson, Tessy e il fidanzato, Oliver, Martha e Amanda. Ma Taylor non c'era.

Allora l'orologio non si era rotto e lui era davvero arrivato troppo tardi.

Sentì il sangue salire alle guance e accenderle di rabbia e gli occhi pizzicare: non ce l'aveva fatta. Non era riuscito a fermare Taylor. O solo a dirle addio. O solo a guardarla per l'ultima volta.

Si avvicinò alla gradinata lentamente e scandendo i suoi passi al ritmo della sconfitta. La prima persona che si accorse di lui fu Allyson, che, un po' distante dal resto del gruppo, stava tenendo la mano di Alex e gli aveva appena dato un bacio.

Jeremy pensò che Taylor avesse mantenuto anche la terza promessa che gli aveva fatto; qualora lui non avesse potuto, avrebbe trovato il modo di assicurarsi che Alex non facesse cazzate. E in vista della partenza di Jeremy, Taylor il modo l'aveva trovato: Allyson.

Sorrise alla biondina, che, staccatasi dal volto di Alex, lo guardò stupita e fece cenno al suo ragazzo di voltarsi.

Appena Alex girò il viso, incontrò la figura di Jeremy prima con altrettanto stupore e poi con rabbia.

"Brutto deficiente!" lo apostrofò, alzandosi bruscamente e andando verso di lui a passo di marcia. "Adesso ti presenti? Idiota! Ti ho mandato duecento messaggi!"

"Scusa." disse Jeremy, semplicemente, non ricordando nemmeno dove avesse ficcato il cellulare dopo il primo messaggio di Alex.

Se pensava a tutti gli sforzi che il suo amico aveva fatto, incessantemente, ma invano, gli veniva da vomitare. Quanto del suo tempo gli aveva regalato? Quante energie aveva speso per la sua causa?

"Che cosa ci fa qui?" gli chiese Alex, facendo uscire una nuvoletta di condensa dalla bocca, poi prese un cipiglio severo. "Jeremy, hai addosso solo la felpa."

"Sì, lo so, mi spiace."

"Ci sono due gradi, cazzo! Si può sapere che cazzo ti prende? Perché non mi hai risposto?"

Alex e Jeremy si guardarono per qualche istante, l'uno di fronte all'altro, senza che nessuno dei due dicesse nulla.

E allora Alex sgranò gli occhi, come quel giorno all'ospedale, quando aveva ricevuto la gioia più grande della sua vita nel vedere il suo amico risvegliarsi dal coma.

Jeremy si lasciò scappare un debole sorriso e pronunciò con le labbra, senza dirlo a voce e perché solo lui lo vedesse, un 'grazie'.

A quel punto Alex mandò al diavolo qualsiasi contegno e si gettò su di lui per abbracciarlo forte; suo fratello non di sangue che finalmente era tornato a casa.

Jeremy ricambiò la stretta, commosso, e fu il primo abbraccio delle loro vite. Si strinsero così saldamente che fu chiaro come niente al mondo avrebbe mai potuto sciogliere quell'unione. A dispetto di tutto, non si erano mai abbandonati e avrebbero sempre e volentieri dato la vita l'uno per l'altro.

Il loro fu l'abbraccio di due uomini che erano finalmente diventati adulti, che avevano finalmente ammesso di volersi bene.

"Grazie, Jeremy." fu il turno di Allyson, che aveva capito tutto e aveva posato una mano sulla spalla del ragazzo.

I due amici sciolsero l'abbraccio e Jeremy sorrise ad Allyson: "Grazie a te per non aver mai lasciato Alex. Definitivamente, intendo."

La riccia rise e, mentre si aggrappava al braccio del suo ragazzo, lanciò uno sguardo che a Jeremy sembrò il più felice e gioioso del mondo: "Taylor non è ancora partita." svelò, incapace di contenere la sua positività. "Il capotreno ha posticipato la partenza di mezz'ora."

"Sul serio?!"

"Sì."

"Ma Taylor..."

"Ha voluto a tutti i costi fare una passeggiata." si intromise Tessy, che si era avvicinata ai ragazzi assieme a Oliver e Amanda. "Ha detto che preferiva andare da sola per godersi l'ultima mezz'ora a Bourton e salutarla a modo suo." spiegò, accennando al parco di fronte alla stazione.

Sul viso di Jeremy si disegnò la stessa espressione che c'era su quello di Allyson: la consapevolezza di avere ancora un'ultima possibilità, ancora qualche minuto per riuscire a tornare indietro nel tempo e riportare il passato nel presente.

Prima che decidesse di muovere un solo passo, i suoi occhi andarono sui volti di Oliver e Amanda, formulando un'implicita richiesta di consenso.

Amanda fece per aprire la bocca ed esporre la sua preoccupazione riguardo alla possibile reazione di Taylor, ma Oliver la precedette.

"Vai, figliolo. Vai."

Amanda tacque e dopo poco sorrise: in fondo, sì, Taylor le aveva insegnato che a volte era possibile sperare fino all'ultimo.

Jeremy si rivolse ad Allyson: "Quanto tempo ho ancora?"

"Quindici minuti prima che il treno parta."

Annuì e poi guardò di nuovo Alex, la cui ultima parola sarebbe stata fondamentale.

Il ragazzo gli fece solamente l'occhiolino e Jeremy capì che ce l'avrebbe fatta.


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Corse a perdifiato per tutto il parco, con l'aria fredda che gli entrava nella felpa e leniva il bruciore della ferita sotto sforzo.

Le sue gambe sembravano più forti di quel giorno in cui si era ritrovato a compiere la stessa azione per sfuggire a Cordano. Forse perché la spinta che veniva loro data era più forte del senso di sopravvivenza. Era amore e Jeremy lo sapeva bene, perché ora se lo ricordava.

Fortunatamente non fu difficile trovare Taylor.

Aveva portato con sé i suoi pattini e ora stava sfrecciando sulla superficie di un laghetto ghiacciato; volteggiava un po', poi barcollava, ma si riassestava in un battibaleno e tornava a provare una piroetta. Era così che aveva deciso di salutare Bourton.

Vederla per lui fu scioccante; dopotutto, era la prima vera volta dopo quasi due mesi.

Era bellissima, la sua Taylor, e anche bravissima. Si chiese come avesse fatto a imparare così bene, ma si rispose che sicuramente anche lei era stata spinta dal suo stesso sentimento. E quindi la capiva. O almeno sperava che fosse così; che fosse ancora così, dopo tutto il dolore che le aveva causato.

Si fermò a bordo lago e rimase a guardarla per qualche istante. Era vero che aveva poco tempo, ma era impossibile non incantarsi e, dopotutto, un po' di fifa ce l'aveva.

Aveva paura che la volontà di Taylor fosse cambiata, che i suoi sentimenti si fossero persi, che il progetto per il suo nuovo futuro l'avesse ormai allontanata. Aveva paura che avrebbe preso quel treno, alla fine, nonostante tutto.

Ma ciò che successe lo costrinse ad agire; Taylor si era accorta di lui ed era rovinata a terra per la sorpresa.

Così Jeremy si affrettò ad andare verso di lei per aiutarla a rialzarsi.

"No, no. È tutto a posto." disse lei, rimettendosi in piedi con inaspettata maestria e pattinando verso lo spiazzo d'erba su cui si era fermato Jeremy.

Tutto era bianco, azzurro e verde intorno a loro, fatta eccezione per i flebili raggi dorati che filtravano attraverso la vegetazione. Le fronde degli alberi cadevano rasenti alle loro teste, uno di quelli era probabilmente lo stesso dietro cui Jeremy si era nascosto in quella domenica d'avvento in cui si era fermata la sua memoria.

"Ciao." la salutò Jeremy non appena lei fu abbastanza vicina.

Con i pattini ai piedi guadagnava qualche centimetro in altezza e poteva guardarla in modo più diretto; godendo del calore che trasmettevano le sue iridi sotto quelle ciglia perennemente spettinate.

"Ciao." ricambiò lei, sconvolta e sorpresa di vedere proprio lui davanti a sé. "Che cosa ci fai qui?"

"Beh, Alex mi aveva avvisato che saresti partita e allora..."

"Avrei dovuto partire venti minuti fa."

"Lo so." fece una smorfia. "Sono leggermente in ritardo."

La ragazza lo osservò con le sopracciglia inarcate, talmente confusa da non riuscire nemmeno a ipotizzare le motivazioni di quella situazione.

"Volevo solo salutarti." spiegò allora Jeremy. "E augurarti buon viaggio. Mi sembrava doveroso."

"Certo." affermò lei, impacciata.

"Anche se è un addio, credo sia giusto così."

"Ah, io odio gli addii." non poté fare a meno di dire e Jeremy nascose un sorriso. "Comunque, grazie." si riscattò in fretta. "Buona partenza anche a te per dopodomani."

"Grazie." sorrise lui.

Abbassò gli occhi per guardare la linea che separava il terreno dal ghiaccio; da una parte lui con le sue scarpe a suola piatta, dalla parte opposta lei con i pattini che aveva consumato a suon di cadute.

Quando alzò di nuovo gli occhi e li posò sul viso da bambina di Taylor, erano più azzurri che mai e lei ne fu così colpita che non poté trattenere un sussulto.

"Sai, Taylor." disse Jeremy. "Non ti ho mai ringraziato per il tuo regalo di Natale."

La ragazza non si aspettava di certo quell'uscita e arrossì di botto. Sgranò gli occhi, agonizzando nel panico più totale: "Oh, quel regalo! ...beh, io...era solo un presente per...insomma, non farci caso, ok? Erano solo delle sciocchezze che avevo tenuto per-"

"Non mi avevano mai comprato un paio di pattini." commentò lui, mostrando un sorriso sornione e malizioso.

Taylor deglutì e se possibile, arrossì ancora di più, desiderando di poter indietreggiare sul ghiaccio e sparire nel bosco dietro di loro.

"Lo so." le uscì stridulamente.

Non aveva idea che Jeremy avesse aperto il suo regalo e, soprattutto, che gliene avrebbe parlato dopo due mesi. L'aveva appoggiato sul comodino accanto al suo letto d'ospedale, ancora quando lui era in coma, la notte di Natale. E dopo tutto quel trambusto, anche lei aveva smesso di considerarlo importante e se n'era dimenticata.

"Hai avuto un gran bel pensiero."

"Jeremy, ti prego." pigolò lei. "Avresti capito il loro significato, se fossimo stati in un contesto diverso."

"Beh, devo dire che anche il ritratto che mi hai fatto è stupendo."

"...grazie."

"Sembra che ti piacessi davvero molto."

"Jeremy, il mio treno parte tra meno di dieci minuti, credo sia ora che vada e-"

"Ehi, ti capisco. È normale perdere la testa quando si ha una meraviglia davanti."

Lo sguardo di Taylor, finora reticente, scattò sul viso di Jeremy e lo trovò fin troppo bonario e disteso per non accorgersi che l'imbarazzo che c'era stato tra di loro quel giorno all'ospedale si era inspiegabilmente dissolto. I suoi occhi si erano improvvisamente accesi di una luce che Taylor credeva non esistesse più.

E poi quella battuta non l'aveva già sentita?

"Il disegno della tua famiglia è reso così bene che non riesco a trovare le differenze con una vera fotografia." proseguì Jeremy. "E la dedica sul retro è davvero ingiusta, perché tu non sei nemmeno nominata."

"Era un simbolo Jeremy." balbettò Taylor, presa dall'imbarazzo e dalla sensazione di essere presa in giro. "Regalandoti quella foto ti avrei fatto capire che avevo riallacciato i rapporti con Oliver. Era per dirti che avevo mantenuto la...ah, lascia stare."

"La promessa?" incalzò lui, divertito. "Mi avevi fatto delle promesse?"

"Senti, Jeremy, io ho un treno che sta per partire, ok?" cercò di zittirlo, infastidita. "Devo proprio andare."

Si chinò e si slacciò i pattini, per poi toglierli frettolosamente e calzare di nuovo le sue sneakers.

"Solo un attimo, sua altezza." le disse, facendola sussultare nuovamente e costringendola ad alzare gli occhi su di lui. "C'è ancora una cosa che non ho capito."

Taylor rimase in attesa di sapere cosa e Jeremy estrasse dalla tasca della felpa un oggetto.

Poi lo alzò in aria e lo fece penzolare sopra le loro teste.

"Che diavolo significa che è il miglior uso che potessi farne?"

Taylor fissò il rametto di vischio diventando color lampone e poi tornò su Jeremy, inorridita.

Il ragazzo non trattenne un tenero sorriso davanti all'espressione che aveva imparato ad amare e fece un passo verso Taylor, che era tornata alla sua normale statura.

Così l'ebbe a un palmo di naso dal suo viso, le teste inclinate con la giusta angolatura per potersi incastrare perfettamente in un bacio sotto il vischio.

"È...è..."

"Lo so cos'è, Lor."

"No, non lo sai." tentò lei. "Jeremy, non vorrei davvero che pensassi male. Il vischio rappresenta-"

"Il bacio che vorrei tanto darti in questo momento."

"Il...cosa?"

"Lor." sussurrò lui, dolcemente, abbassando il braccio e usandolo per attirare Taylor a sé. "Se ti dicessi che non puoi prendere quel treno perché voglio che resti per sempre con me, che cosa risponderesti?"

La ragazza per poco non svenne: Jeremy era così bello, così vicino e così se stesso. Ma soprattutto così se stesso.

"Jeremy?" chiese allora, le iridi che si spostavano velocemente nel tentativo di leggere quelle di lui.

"Direi che Sommo Rapitore va meglio."

A quelle parole, la bocca di Taylor si aprì nel tentativo di dire molte cose, ma la domanda che uscì fu la più sciocca, dettata dallo stupore e dall'incredulità.

"Ti è ritornata la memoria?"

"Se il ricordo di un'irritante, piccola mocciosa che mi mette il bastone fra le ruote è corretto, allora sì."

"Oh, Jeremy!" quell'esclamazione uscì con voce rotta, accompagnata da un paio di occhi che si riempivano di lacrime e commozione. Taylor si portò entrambe le mani alla bocca, nella più totale sorpresa ed espressione di gioia. "Stai dicendo sul serio?"

"Sì, Lor. Ma ora basta domande."

Jeremy le prese i polsi e glieli scostò delicatamente, poi circondò il suo viso con entrambe le mani e la baciò.

Fu il bacio più agognato e romantico della loro esistenza. Mai più, nemmeno nel futuro, avrebbero sentito tutta quella vita scorrere dalle labbra di una a quelle dell'altro. Fu come restituirsi a vicenda un'anima, un cuore, la speranza.

E si ritrovarono così; in un sapore indescrivibile di tante cose insieme, così contro le regole, ma che lascia il buono in bocca. Le loro lacrime che si mescolavano assieme al giusto e incontestabile trionfo dell'amore sul male. Così tanto atteso da lui, così tanto insperato da lei.

Taylor si sentiva interdetta: Jeremy era davvero tornato? Era davvero di nuovo lì con lei? Quel bacio le diceva di sì, ma l'assurdità della situazione rendeva difficile crederlo. E allora lo strinse più forte e lo baciò pensando che non avrebbe mai più vissuto, senza di lui. Come la prima volta in cui si erano baciati, implorò silenziosamente che quel contatto durasse per sempre.

Chiaramente non poteva essere così, ma il loro amore, quello sì, sarebbe durato per sempre. E le loro vite, da quel momento, sarebbero proseguite nella stessa direzione, insieme. Non potevano vedere nel futuro, ma se ci fossero riusciti, ne avrebbero avuto la conferma. A Jeremy, però, non importava sapere cosa sarebbe successo poi.

L'importante per lui era il presente. Recuperare ogni secondo che aveva perso; riprendersi la sua Taylor centimetro per centimetro, carezza dopo carezza. E fu così che ancora una volta posò la mano dietro la nuca della ragazza, sciolse la sua treccia e giocò con i suoi morbidi ciuffi come giocava con le sue morbide labbra.

Non aveva mai dimenticato di amarla, quella consapevolezza era rimasta sempre nel profondo del suo cuore: dal giorno in cui l'aveva sentita piangere sotto la quercia di villa Heavens a quella mattina in cui aveva aperto il suo regalo di Natale. Si staccò da lei e la guardò negli occhi.

"Ti amo." le disse, riuscendo finalmente ad ammetterlo ad alta voce.

"Oh, Jeremy, ti amo anch'io!" Taylor travolse il ragazzo con un abbraccio e pianse contro la sua spalla, come aveva fatto quella notte fuori dal Diderot, quando aveva pensato che lui l'avesse abbandonata. "Avevo paura che non sarei mai riuscita a dirtelo."

"Mi dispiace."

"Pensavo che mi sarei dovuta rassegnare sul serio."

"Non ti sei mai rassegnata, nemmeno quando stavo per morire. Non sai quanto ti sono grato per questo."

"Jeremy, tu stavi per morire due volte, per me." proruppe in un singhiozzo guardandolo come se avesse potuto andarsene di nuovo da un momento all'altro. "La prima volta fisicamente, la seconda come persona."

"Non l'ho fatto, alla fine. E non lo farò mai, Taylor." Jeremy guardò quelle gote arrossate benedicendole, e sorrise. "Forse è proprio perché volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."

Taylor fece per dire qualcosa, ma il fischio lontano di un treno bloccò le sue parole.

"Il mio treno sta per partire..." osservò, il tono distante, come i pensieri che riguardavano la sua partenza.

"Non andare."

Taylor cercò di riflettere, nella fretta e nella confusione del momento, il cuore che batteva fortissimo e il profumo fresco di Jeremy che l'abbracciava come la promessa di una vicina primavera: "Ma tu...? Anche tu partirai fra due giorni."

"Non più, Lor." disse lui. "Voglio restare qui a Bourton. Voglio comprare una casa e viverci con te. Voglio iniziare a lavorare alla Money House e imparare a essere un uomo. Voglio farlo al tuo fianco, perché solo tu sei la ragazza sbagliata per me."

"La ragazza sbagliata..." sorrise lei, gli occhi sognanti sotto le ciglia umide e arruffate.

"Ti prego, Lor." Jeremy la implorò, prendendole la mano e guardandola dritto negli occhi.

"Ma ho già fatto l'iscrizione all'università di Newcastle e prenotato la stanza nel condominio studentesco." obiettò lei, condividendo lo stesso desiderio di Jeremy, ma molti più dubbi sull'immediato futuro. "E cosa dirò a mia madre? Cosa dirò a tutte quelle persone?"

"Lor."

Sul volto di Jeremy era improvvisamente comparso un ghigno divertito, che a Taylor non suggerì nulla di buono.

"La risposta è molto semplice." sorrise, facendo risplendere i suoi occhi azzurri. "Dirai loro che ti ho rapito di nuovo."

E detto ciò, circondò la vita di Taylor con un braccio e se la caricò sulle spalle. Ridendo ai suoi lamenti e alle sue infondate minacce, la portò lontano dalla stazione e, stavolta davvero, la rapì per sempre.


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"Omnia vincit amor", l'amore vince su tutto, ricordatelo sempre e specialmente in questi giorni di festa.

Io vi ringrazio infinitamente per aver seguito questa storia fino alla fine e spero almeno di avervi regalato una gioia.
Colgo l'occasione anche per salutare tutti voi che mi conoscete da poco o che mi avete sempre seguito e che avete reso possibile la realizzazione dei miei sogni (*accompagnamento di violini in mi bemolle*). Per me il 2016 è stato un anno meraviglioso e non posso che ringraziarvi con l'augurio che il 2017 lo sia anche per voi!

Siete il motivo per cui tante cose belle mi sono successe e quindi vi dedico questo capitolo <3

Se vi va, andate a sbirciare anche Io e te è grammaticalmente scorretto e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se poi vorrete unirvi al gruppo Grammaticalmente Scorretti  vi accoglieremo volentieri.

Detto ciò, auguro a tutti un felici e serene feste e che, anche per voi, come per Taylor e Jeremy, l'amore vinca su tutto.

Buon anno,

Daffy



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