Flashfic scritta
per il contest "Tutto
fa un po' male –
anche 500 parole"
indetto sul forum di EFP.
Numero
di parole (con il contatore Utelio
): 499, titolo
escluso.
Nick
EFP e FORUM:
Monique
Namie
(su
EFP), M.Namie
(sul
forum)
Fandom scelto: Ritorno al futuro
Contesto: Terzo
film
Coppia
(se presente): Het
Rating: Giallo
Avvertitimenti/Note:
What
if?
Citazione utilizzata per intero:
(n.16.) "Amare
è così
breve, dimenticare è così lungo". –
Pablo Neruda
Note
Autore:
Seguono
il testo.
Mia amata Clara
I
Il dottor Emmett Brown
era sempre stato
convinto che viaggiare nel
tempo fosse pericoloso. Tuttavia, solo più di recente era
arrivato alla
conclusione che fosse soprattutto doloroso.
Da quando era tornato
nel futuro, dopo la sua breve permanenza nel
1885, non riusciva a pensare ad altro se non a lei, Clara Clayton. Si
era
innamorato come un ragazzino ed era diventata per lui l’unico
grande mistero
dell’universo.
Aveva vagato per Hill
Valley fermandosi nei luoghi in cui
cent'anni prima era stato con lei: la piazza davanti all'orologio della
torre,
il prato – ora coperto d'asfalto – dove si erano
baciati sotto il cielo
stellato... Di concreto non gli era rimasto niente: né una
foto, né la spilla
con il rametto di fiori che Clara gli aveva regalato. Non aveva nemmeno
una
tomba da visitare e a cui confidare i propri tormenti.
Un uomo come lui, che
aveva dedicato tutta la propria vita alla
scienza, ora si ritrovava a fare i conti con il cuore a pezzi per colpa
di
qualcosa di irrazionale come l’amore. Martin era stato saggio
tentando, fin dal
primo momento, di fargli capire che avrebbe dovuto agire seguendo la
testa e
non le emozioni, ma ormai era troppo coinvolto.
La DeLorean era andata
distrutta
subito dopo il ritorno nel 1985, travolta da un treno; per ricostruirla
gli ci
sarebbero voluti anni, ma lui non aveva più tempo. Si
maledisse per aver
lasciato Clara indietro come qualcosa di inutile. E si maledisse al
pensiero di
non essere riuscito a convincerla che la sua storia era vera. Avrebbe
dovuto
insistere, bussare a quella porta che gli aveva chiuso in faccia
finché non
avesse riaperto, e poi trovare il coraggioso di sfidare il continuum
temporale
chiedendole di seguirlo nel futuro.
Prese il pezzo di
carta che aveva davanti e si mise a scriverle
una lettera. Iniziò così: “Mia amata
Clara”. E poi un flusso di emozioni si
riversarono come un fiume in piena sul foglio. Quando ebbe finito si
alzò di
scatto, indossò l’impermeabile e mise in tasca la
lettera.
Fuori era buio e
diluviava. Inforcò la bici e, senza curarsi di
prendere l'ombrello, si mise in strada.
Arrivato al passaggio
a livello in cui la DeLorean
era
stata distrutta, abbandonò il suo mezzo e
continuò a piedi lungo le rotaie, in
direzione del precipizio. Completamente fradicio superò
l’indicazione “Burrone Shonash”
e
proseguì fino al dirupo.
Quella voragine,
formatasi in milioni di anni, lo aveva separato
dalla felicità, da un’esistenza piena vissuta
accanto alla donna che amava.
Immaginò Clara dall’altra parte del burrone che lo
guardava con aria affranta.
Forse aveva deciso troppo tardi di credergli e quel giorno lo aveva
rincorso
inutilmente vedendo, infine, la macchina del tempo svanire.
Il 1985, quel
presente ora più che mai vuoto e arido, era
diventato un'angusta prigione piena di tormento. “Amare
è così breve,
dimenticare è così lungo”,
pensò tra sé. Dopodiché tiro fuori
dalla tasca la
lettera, la accartocciò e la lanciò nel vuoto.
Avanzò di un altro passo. Chissà
se in futuro avrebbero ribattezzato quel burrone con il suo nome.
Note
autore:
Non è da me scrivere cose
drammatiche, io che quasi senza volerlo inserisco piccole dosi di
speranza in
ogni mio racconto. Eppure, questa volta, il contest per cui ho scritto
la
storia chiedeva qualcosa di angst,
malinconico,
drammatico, dark. Inoltre, la sfida di creare qualcosa di intenso ed
emozionante in sole 500 parole mi è sembrata abbastanza
accattivante. E allora
ci ho provato.
Visto il modo in cui Doc ha
reagito quando Clara si è arrabbiata e gli ha chiuso la
porta in faccia (e cioè
andando a parlare di cose del futuro alla gente del saloon,
deprimendosi e
perdendo il sonno e la ragione), mi è sembrato plausibile
che si comportasse in
modo disperato anche dopo essere tornato nel 1985.
Questo
racconto © Monique Namie è distribuito con Licenza
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