Mer Og Mer - Sempre di più di Snow Rain (/viewuser.php?uid=125119)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Bones ***
Capitolo 2: *** We Found Love ***
Capitolo 3: *** Family Portrait ***
Capitolo 4: *** Certain Things ***
Capitolo 5: *** Fingers Crossed ***
Capitolo 6: *** Edge ***
Capitolo 7: *** Run ***
Capitolo 1 *** Prologo - Bones ***
Ciao
a tutti,
questa
è la prima storia che pubblico dopo anni. Ci è
voluto Skam, con William e Noora che, per ragioni personali, hanno
risvegliato in me delle cose che non potevo non mettere nero su bianco,
per convincermi a riprendere in maniera pubblica una delle mie grandi
passioni.
Dal
momento che per me l'unico grande errore di Skam è stato il
modo in cui hanno gestito la storyline di William e Noora nella terza
stagione (so che William non ci sarebbe potuto essere a causa
dell'assenza di Thomas Hayes, ma avrebbero potuto inventarsi qualcosa
di meglio per gestire questa assenza, e avrebbero dovuto dare risposte
alle domande che erano rimaste aperte alla fine della seconda stagione,
come ad esempio: come va a finire l'udienza di William in tribunale?),
ho deciso di ripartire dalla fine della 2x12 per quanto li riguarda.
Preciso che per quanto riguarda gli altri personaggi nulla
cambierà, quindi gli Evak sono salvi, anche
perché non avrei avuto il fegato di interferire con qualcosa
di così bello.
Cliccando
sul titolo di ogni capitolo sarete rimandati alla canzone che ne
è la colonna sonora. Alcuni capitoli avranno più
canzoni, che verranno linkate all'inizio, in mezzo al capitolo, o alla
fine, in base a quando penso che sia il momento giusto per farle
partire.
Questa
storia viene pubblicata anche sul mio account Wattpad, dove mi chiamo
KateShadow (@KateShadow, link nella mia pagina).
La
smetto di tediarvi e vi lascio al breve prologo. Dal primo capitolo in
poi torneremo indietro nel tempo.
Grazie
per essere qui.
Snow
Rain
Prologo
– Bones
[Urban Strangers]
1
gennaio 2017
Aveva così freddo che ormai non sentiva più il
dolore alle mani.
Poteva quasi percepire le lacrime cristallizzarsi lungo le sue guance
mentre il dolore, invece, bruciava nel petto. Tutto in quella notte
folle era una contraddizione, anche la forza che usava per stringere
in mano i borsoni con cui era andata via di casa era in contrasto con
la debolezza immensa che si sentiva dentro.
Si guardò intorno alla ricerca di un indizio su dove si
trovasse.
Quando era uscita in fretta e furia, poco dopo la mezzanotte, Noora
non aveva prestato attenzione alla direzione che stava prendendo,
aveva semplicemente iniziato a camminare per le vie di Oslo, nella
speranza che non si sarebbe persa.
Ma era stata una vana illusione, perché lei si era
già persa da
parecchio tempo.
Aveva creduto che dopo l'estate tutto sarebbe andato per il verso
giusto. Aveva provato la sensazione di scoprire per la prima volta se
stessa insieme ad un'altra persona con l'anima prima che col corpo.
Aveva sperato di essere abbastanza per colmare tutti i suoi vuoti.
Ma nessuna di queste cose era durata abbastanza a lungo da sembrare
reale adesso.
Era incredibile quanto potesse fare male ciò che poco prima
sembrava
essere il bene più prezioso.
Noora e William avevano vissuto dei mesi intensi, in cui era sembrato
che fosse lecito essere felici e fosse possibile scendere a
compromessi sulla base della convinzione che l'amore conquista tutto.
Ma alla fine la realtà era tornata a reclamare la sua libbra
di
carne.
Entrambi erano maledetti fin dalla nascita: famiglie inesistenti,
incontri sbagliati e il bisogno di trincerarsi dietro le proprie
convinzioni per evitare ulteriori sofferenze. Erano dovuti diventare
grandi troppo presto. Poi, per un tempo che era sembrato
un'eternità
mentre lo avevano vissuto, avevano potuto respirare un po' di
serenità, ma adesso Noora poteva vedere chiaramente quanto
fosse
stato stupido lasciarsi andare in quel modo, perché nulla
bruciava
in maniera più straziante di quelle nuove ferite, nessun
dolore
passato ci si avvicinava minimamente.
Continuò a camminare fin quando non si accorse di qualcosa
che la
lasciò senza fiato. Dall'altra parte della strada,
affacciata sulla
parte più bassa della città, c'era la panchina su
cui si era
consumato il loro disastroso primo appuntamento, quando le barriere
erano ancora alte, o almeno così lei credeva ai tempi.
Qualcosa si ruppe definitivamente dentro di lei a quella vista, e
mentre attraversava la carreggiata per andare a sedersi proprio
lì,
decise che la sua nuova vita sarebbe cominciata proprio in quel
posto, sulle ceneri di quella che doveva essere una grande storia
d'amore, e invece era stato il suo più grande fallimento.
* * *
William si guardò intorno, ancora immobile dove lei lo aveva
lasciato. Si passò una mano tra i capelli, domandandosi per
quale
motivo non l'avesse seguita.
Perché non l'aveva afferrata per un braccio per poi
stringerla, come
accadeva ogni volta che doveva convincerla che stare insieme era
l'unica cosa giusta nella loro vita così piena di sbagli,
loro e
altrui?
Si immaginava Noora vagare nel gelo della notte, per le strade
affollate da chi stava festeggiando l'ingresso nel nuovo anno.
Ciò che aveva visto nei suoi occhi lo stava consumando
dentro. Non
c'era più il fuoco che gliel'aveva fatta notare sin dalla
volta in
cui l'aveva vista fradicia nel giardino di Eva, quella sera in cui
era andato a prendere Vilde. Era passato poco più di un anno
da
allora, ma nel frattempo avevano iniziato una vita che sembrava
lontana anni luce da quei momenti. E adesso dovevano affrontare una
nuova partenza, da soli.
Prese un respiro, poi un altro e un altro ancora.
Tentò di rimettere insieme i pezzi della sua mente per
riuscire ad
elaborare ciò che era accaduto.
Era rimasto da solo, ad affrontare un dolore che non era pronto a
sentire. Era sempre stato preparato al dolore, sapeva che nella vita
prima o poi arriva, e si era sempre impegnato a fare in modo che
giungesse il più tardi possibile, ma era consapevole che
fosse
inevitabile.
Eppure non credeva che in quel che aveva con Noora ci fosse altro
spazio per quell'agonia.
Quando la consapevolezza gli esplose nel petto come un proiettile,
non riuscì a contenere l'urlo che gli risalì su
per la gola e
concentrò le ultime forze che gli rimanevano nel pugno che
scagliò
contro il muro del salotto.
Quel dolore non lo sentì.
Poi si accasciò sul pavimento e pianse.
Del loro amore rimanevano soltanto le ossa, e ormai si stavano
raffreddando anche quelle.
|
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Capitolo 2 *** We Found Love ***
Capitolo
1. We
Found Love [Rihanna]
4
giugno 2016
Life
Is Now – If The Kids
Era
mezzogiorno inoltrato quando Noora aprì gli occhi e
controllò il
cellulare. Come al solito la schermata di blocco era piena dei
messaggi mandati dalle ragazze sul gruppo di Messenger.
Sbloccò lo
schermo e iniziò a scorrere i primi, tutti messaggi in cui
la
prendevano in giro perché lei e William non erano
più tornati alla
festa dopo essersi chiusi in camera. Probabilmente qualcuna di loro
era persino rimasta a dormire lì in casa, a festa conclusa.
Sorrise
al pensiero di come avevano concluso la giornata. Non si era mai
sentita così in pace con se stessa come in quel momento.
Aveva
appena imparato che cosa volesse dire fare l'amore, ma, come ogni
cosa che riguardava lei e William, le sembrava che non fosse qualcosa
di nuovo, da cui essere sorpresi o meravigliati. Era stato
semplicemente giusto, e quella sensazione per lei voleva dire tutto.
Lì, in quel momento, non esistevano fratelli psicopatici,
bottiglie
spaccate in testa e tribunali. Soltanto lei e William. Sentiva il
corpo rilassato, il calore pervaderle l'anima, la mente chiusa in una
bolla in cui non erano inclusi doveri e problemi di alcun genere, ma
soltanto i suoi desideri.
E in
quel momento desiderava svegliare William.
Si
voltò verso di lui, senza curarsi di rimanere coperta.
William
dormiva ancora profondamente, in posizione supina, coperto fin sotto
il mento. Avevano dormito allacciati l'uno all'altra fino all'alba,
poi Noora si era alzata per andare in bagno, e quando era tornata e
l'aveva trovato in quella posizione rilassata, non aveva avuto il
coraggio di toccarlo e rischiare di svegliarlo.
Noora
sorrise, prevedendo i mugugni che lui avrebbe emesso, come ogni volta
che lo svegliava pizzicandogli il fianco. La divertiva infastidirlo
in quel modo, perché sapeva che William come prima cosa
l'avrebbe
immobilizzata contro il suo petto.
Fu
così anche quella volta. Tra il pizzicotto di Noora e
l'assalto di
William non ci furono altro che un lamento e una folata d'aria
sollevata dalla coperta che volava per aria mentre lui si rigirava
con uno scatto e la chiudeva nella morsa delle sue braccia.
“Per
quanto tu sia carina, devi smetterla con questa cosa”, la
rimproverò, ridacchiando sul suo collo.
Rise
anche lei, contenta di aver raggiunto il suo obiettivo.
“William,
se mi molli ti do un bacio”. La stava stringendo
così forte che le
mancava l'aria, senza contare che aveva la faccia schiacciata contro
i suoi pettorali. Non che lei avesse qualcosa da ridire sui suoi
pettorali e il suo odore, ma l'aria rimaneva realisticamente
più
importante.
Lui
la allontanò per poterla guardare in faccia e le diede un
bacio
veloce.
“Ti
vendi per poco, Miss Femminista”, la canzonò.
Prese a sistemarle i
capelli dietro l'orecchio, in un gesto lento e pigro.
Come
accadeva in continuazione, rimasero a fissarsi negli occhi per un
tempo indefinito.
Ad
un certo punto, William sollevò la coperta dal corpo di
Noora e
sbirciò ciò che c'era sotto.
“Visto?
Lo dicevo che era una questione di tempo. Sei nuda nel mio
letto”.
Noora
lo spinse via da sé e gli scaraventò il proprio
cuscino in faccia.
“Stronzo”.
Lottarono
e si baciarono per un po', poi sentirono un tonfo provenire da un
punto imprecisato della casa.
“Dobbiamo
andare a vedere in che condizioni è il mondo fuori da questa
stanza”, sbuffò Noora.
“E
dobbiamo dire ad Eskild e Linn che vieni a vivere qui. Oggi”,
continuò lui, con un sorriso furbo.
Noora
lo guardò sorpresa, arricciando le labbra in un modo che
fece venire
a William la voglia incontenibile di darle un altro bacio. La
attirò
a sé per la nuca, e quando si staccò aveva
un'espressione seria,
gli occhi, però, esprimevano felicità.
“Oggi”,
confermò.
“Sei
sicuro di voler vivere qui?”.
“Con
te, sì”.
La
baciò per l'ennesima volta.
* *
*
Dopo
che si furono rivestiti, cercarono di raccogliere la volontà
necessaria a mettere piede fuori da quel paradiso che si erano
creati, e finalmente si avventurarono per l'appartamento. Ovviamente
trovarono disordine e rifiuti sparsi ovunque, per non parlare delle
persone addormentate nei posti più improbabili, una delle
quali era
Vilde, rannicchiata ai piedi di un mobile del soggiorno. Come potesse
dormire in quella posizione scomoda sul pavimento, era un mistero.
Eva
dormiva seduta al tavolo della cucina, con la testa appoggiata alle
braccia.
Chris,
il migliore amico di William, era sdraiato sul divano, schiacciato
contro la schiena di Sara. Erano coperti, ma era facile intuire che
non avessero soltanto dormito dalle gambe nude che spuntavano dal
fondo del plaid e i loro vestiti sparsi ai piedi del divano.
Il
tonfo che avevano sentito era stato provocato dalla chitarra, che,
spinta dal braccio di Chris penzolante oltre il bordo del divano, era
caduta rovinosamente. Noora si affrettò a verificare che non
avesse
subito danni. Era particolarmente affezionata a quello strumento.
William
alzò gli occhi al cielo. Chris era come un fratello, ma era
il suo
esatto opposto: mentre William era introverso, aveva un'aria da duro
che ha sempre la situazione sotto controllo e faceva sempre in modo
di rimanere al di sopra di qualsiasi situazione, Chris era un uragano
che si buttava a capofitto in qualunque circostanza, non badava
minimamente alle vittime che mieteva al suo passaggio e trovava
sempre il modo più spettacolare di farsi notare.
Noora
guardò William, e poi entrambi guardarono la postazione iPod
sul
mobile della televisione. William, senza esitare, fece partire la
musica elettronica più martellante che trovò
nella playlist al
massimo del volume, e tutti si svegliarono di soprassalto.
Eva
urlò.
“Ma
che cazzo?”, bofonchiò Chris, strofinandosi gli
occhi.
William
e Noora ridevano, mentre lei lo raggiungeva e lui le passava un
braccio attorno alle spalle. Quel giorno non c'era nulla che non li
divertisse.
“Colazione,
poi il dormitorio chiude”, avvisò William dopo
aver spento la
musica, ancora ridacchiando.
Noora
si staccò da lui per andare in cucina, con un sorriso enorme
stampato sul volto.
Quella
giornata sarebbe stata più surreale della precedente.
* *
*
Non
fu facile buttare Eskild giù dal letto, quando arrivarono a
casa di
Noora due ore dopo. Sia lui che Linn stavano dormendo, ma Noora
riuscì a tentarli con la sua abilità ai fornelli,
e in poco tempo
furono entrambi seduti al tavolo della cucina insieme a William,
mentre Noora portava in tavola della pasta.
Eskild
continuava a spostare lo sguardo da lei a William in silenzio, con un
sorriso malizioso che non lasciava spazio ad alcun dubbio: stava per
dire qualcosa di totalmente fuori luogo. Noora tentò di
lanciargli
degli sguardi ammonitori, che non scalfirono minimamente i suoi
propositi.
Infatti
poco dopo si schiarì la voce, trattenendo una risata.
“Non
ti ho mai vista così rilassata, Noora. Te l'avevo detto, che
avevi
bisogno solo di una cosa per scaricare tutta la tensione”. La
fissò
mentre lei si sedeva, tentando di mantenere un'espressione neutra per
non dargli soddisfazione.
William
se la rideva come sempre. Eskild era in grado di mettere Noora in
imbarazzo in una maniera adorabile. Decise che era quello il momento
giusto per sganciare la bomba, in modo che dopo Eskild e Linn
sarebbero stati troppo concentrati sul cibo per pensare alla
novità
e fare le obiezioni che sicuramente ci sarebbero state.
“Noora
viene a vivere da me. Oggi”. Lo disse con la stessa
convinzione con
cui l'aveva detto a Noora.
Eskild
lo guardò per un attimo, confuso. Boccheggiò per
un istante alla
ricerca delle parole da dire, poi si voltò verso Noora con
gli occhi
sgranati.
“Sei
già incinta?”, chiese, in preda ad un finto shock.
Noora
sospirò profondamente, rassegnata al fatto che il suo
coinquilino
non fosse in grado di prendere sul serio quasi nulla.
William
scoppiò di nuovo a ridere, questa volta sollevato. Era tutto
più
facile del previsto.
“No,
niente bambini, Eskild”, gli rispose, riportando l'attenzione
del
ragazzo su di sé.
Incredibilmente
fu Linn ad intervenire, rivolgendosi direttamente a Noora.
“E
dov'è finito il tuo spirito da ragazza indipendente?
Incontri uno e
due mesi e mezzo dopo che vi mettete insieme ci vai a vivere? Non hai
neanche diciassette anni”.
Rimasero
tutti interdetti davanti al fervore con cui aveva parlato. Linn, la
depressa e perennemente stordita Linn, che agiva come se avesse
ancora qualche emozione umana, era uno degli avvenimenti più
straordinari a cui ognuno di loro avesse mai assistito. Nessuno se lo
sarebbe mai aspettato.
Noora
fu la prima a riscuotersi, punta sul vivo da quella reazione. Quando
William le aveva chiesto di trasferirsi con lui, aveva pensato subito
che sarebbe stato avventato accettare, perché erano troppo
giovani,
stavano insieme da troppo poco tempo ed entrambi avevano troppi
problemi a cui far fronte, per non parlare del fatto che andava
contro ogni sua idea dell'essere responsabili ed agire sempre nel
modo più razionale. Ma stare sempre con lui era tutto
ciò che
voleva, e alla fine, spinta definitivamente dalle parole di William,
aveva detto sì. Poi era spuntata fuori la storia
dell'indagine della
polizia e non aveva più avuto il tempo di pensare a che cosa
fosse
giusto o sbagliato.
Ora
le parole di Linn avevano scoperto nuovamente quel nervo.
William
lo intuì dalla sua espressione, che si era fatta
improvvisamente
triste, e decise di limitare i danni. Se Noora avesse ricominciato a
far andare i suoi pensieri in quella direzione, si prospettavano
altri drammi, altre discussioni e quella giornata sarebbe diventata
un inferno. Invece, lui voleva far durare il più possibile
il clima
di spensieratezza che si era creato. Non ce la faceva più a
vederle
in volto quell'angoscia che l'aveva consumata dalla sera della rissa
e che era andata crescendo fin quando non si erano ritrovati, poco
prima del suo viaggio mancato a Londra.
“Può
essere indipendente anche se sta con me. Non ho intenzione di farle
da padrone”, asserì risolutamente.
“Linn,
lo so che ti preoccupi, ma non ce n'è bisogno. Io e William
abbiamo
tutto sotto controllo. Lui vive da solo, io vivo lontana dai miei
genitori già da due anni... non sarà molto
diverso dalla situazione
in cui mi trovo adesso. Eviteremo soltanto di fare avanti e indietro
da un appartamento all'altro, tanto alla fine dormiamo sempre
insieme. Cambierà solo che voi mi mancherete”, le
spiegò Noora,
una volta scacciate dalla mente le preoccupazioni per il futuro.
William
le fece un sorriso che le ricordò ciò che l'aveva
convinta a
lanciarsi in quell'ignoto. Lui la guardava come se fosse la sua
famiglia.
“Ragazzi”,
cominciò Eskild, questa volta serio. “State
attenti”, disse
soltanto.
Noora
annuì, grata che almeno lui le risparmiasse altri discorsi
scomodi.
Eskild sapeva che lei era capace di tormentarsi benissimo da sola.
Ritornò allegro come sempre e cominciò a mangiare
la sua pasta,
imitato dagli altri.
“Ora
mangiamo e poi io e Linn vi aiutiamo col trasloco, così
potete
tornare a fare i conigli ASAP”.
“Eskild!”.
A quell'ennesima battuta sulla sua vita sessuale, Noora perse la
pazienza.
William,
invece, sghignazzò. Inaspettatamente, gli sarebbe mancato
vivere con
quei due, anche se la convivenza era durata soltanto una settimana.
Abituato a stare da solo, com'era ormai da anni, non gli era
dispiaciuto condividere qualche settimana prima con Chris e poi con
quegli squilibrati dei coinquilini di Noora.
D'ora
in poi sarebbe stato tutto diverso.
D'ora
in poi avrebbe chiamato l'appartamento in cui viveva, fino ad allora
intriso di drammi passati e solitudine, casa.
* *
* * * * * * * * * * * * *
8
Giugno 2016
I primi giorni di convivenza li trascorsero in una bolla di sapone.
Non uscirono di casa se non per l'ora necessaria ad andare a fare un
po' di spesa e tornare indietro.
Il trasloco di Noora non aveva richiesto più di mezza
giornata, così
sabato sera avevano già sistemato tutto nell'appartamento,
come se
lei avesse sempre vissuto lì.
A William piaceva vedere le loro cose mischiarsi; finalmente quella
casa fredda e impersonale, dove per anni si era sentito un ospite,
gli appariva come un luogo in cui voler tornare. Un nuovo calore si
era insinuato tra quelle mura, e non trovava una ragione valida per
cui la decisione di vivere insieme potesse essere sbagliata.
Dal canto suo, Noora cercava di tenere la propria
razionalità a
bada, in modo da non creare inutili tensioni in quei giorni di
assoluta pace. In fondo, sentiva che non stavano soltanto cercando di
vivere appieno la loro relazione nel presente, ma che avevano gettato
le basi per costruire un futuro a tempo indeterminato. Inoltre,
quando c'erano i sentimenti di mezzo, non esisteva nessuna logica che
potesse prevedere come sarebbero andate a finire le cose.
Per tre giorni non fecero altro che fare l'amore e poltrire.
Il mercoledì, tuttavia, decisero di ritornare con i piedi
per terra,
così accesero i cellulari che avevano spento sabato sera.
Dove
cazzo sei finito, brutto stronzo? Sarà meglio che ti
presenti alla
festa di fine anno, o ti do fuoco alla macchina. Sai che ho il codice
del garage.
L'ultimo dei quattordici messaggi che Chris aveva mandato a William
in quei giorni, non lasciava spazio a dubbi sul fatto che l'amico
fosse quantomeno irritato per la sua sparizione improvvisa.
“Chris è incazzato come una bestia”,
esordì William, guardando
Noora dal capo opposto del tavolo a cui si erano seduti a fare
colazione. Lei sedeva con le spalle alla finestra, e il sole la
colpiva mettendo in evidenza la chioma ancora arruffata dopo il
sonno. Era adorabile quando era così in disordine, ma
William non
glielo fece notare, altrimenti li avrebbe sistemati subito.
Noora voltò il proprio cellulare verso di lui, mostrandogli
un
messaggio da parte di Vilde.
Non
so dove tu sia finita, ma alla festa dobbiamo esserci tutte,
altrimenti che Bus siamo?
“Se dovessi mancare, Vilde darebbe di matto. Quando mette di
mezzo
il Bus significa che non accetta rifiuti”, gli disse.
“Quindi questa sera andiamo alla festa”, concluse
William.
“Andiamo alla festa”, confermò Noora.
William sapeva che a Noora non piaceva andare spesso alle feste
affollate, ma quella sera sarebbe stato anche peggio, perché
per la
prima volta si sarebbero presentati ufficialmente insieme ad un
evento. Non che la loro relazione fosse più un segreto
ormai,
considerando anche che venerdì non si erano risparmiati baci
e
carezze davanti ai loro amici, ma questa volta sarebbe stata presente
una gran parte degli studenti della Hartvig Nissen, e per Noora non
sarebbe stato facile esporsi in quel modo. Benché non si
vergognasse
di farsi vedere con lui, data la reputazione e la popolarità
di
William, si sarebbe trovata al centro dell'attenzione, per non
parlare del confronto con tutte le ragazze che avevano avuto a che
fare con lui prima che arrivasse lei. Erano semplici paranoie dettate
dalle sue insicurezze, eppure avrebbe preferito di gran lunga
rintanarsi in casa con lui come avevano fatto fino ad allora.
Inoltre, l'unica volta in cui avevano interagito come coppia davanti
a tutta la scuola era stato il giorno in cui Nikolai aveva mentito a
William dicendo di essere stato a letto con Noora, e lei lo aveva
rincorso disperatamente attraverso il cortile. Da allora le voci sul
loro conto erano passate dal pettegolezzo a tinte rosa, alla cronaca
nera. Noora era diventata la primina fedifraga che aveva fatto
innamorare e poi sparire dalla faccia della Norvegia William
Magnusson.
William allungò una mano per sistemarle una ciocca di
capelli dietro
l'orecchio, approfittandone per sfiorarle la guancia con le nocche.
“Ti amo”, le disse, per dissipare i suoi brutti
pensieri.
Noora sorrise, un sorriso che le illuminò il viso
all'inverosimile.
“Ti amo anch'io”.
* * *
Turn
Down
For What – DJ Snake, Lil Jon
Arrivarono
alla festa che erano passate le dieci e il locale era già
pieno di
adolescenti ubriachi, ma non per questo passarono inosservati.
Avevano attirato parecchie occhiate e bisbiglii curiosi, ma William,
notando il disagio di Noora, l'aveva stretta a sé ed
accompagnata
fino al tavolo a cui erano sedute le sue amiche, dove lei gli aveva
chiesto di darle un po' di tempo per parlare con le ragazze.
Il locale era un club che aveva aperto da poco, arredato in modo da
richiamare in parte un'atmosfera vintage.
La musica elettronica era assordante, ma non abbastanza da impedire a
Noora di sentire l'esclamazione acuta di Vilde quando disse alle
ragazze che si era trasferita da William.
“Eh?”.
Noora sospirò, scrutando l'espressione esterrefatta
dell'amica.
“Lo so, ragazze, può sembrare presto,
ma...”, cominciò a
spiegare, ma Sana la interruppe.
“Lo sapevo”, asserì con un sorrisetto
stampato in faccia.
“Lo sapevi?”, chiese Eva, stringendo in mano un
bicchiere pieno
di rum e cola.
“Be', è sparita per tre giorni e anche di William
non si è più
saputo nulla. Eskild non ha voluto dirmi niente, quando l'ho
chiamato... ho subito pensato che si fossero chiusi nell'appartamento
di William, dal momento che ne aveva uno tutto per
sé”, spiegò
Sana, come se fosse ovvio.
“Vai così, ragazza!”, Chris diede il
cinque a Noora, che a quel
punto si rilassò, ma notò le espressioni ancora
perplesse di Vilde
ed Eva.
Sana era imperscrutabile come al solito, sembrava che stesse ancora
cercando di inquadrare bene la situazione.
“Sentite”, riprese Noora, “so che pensate
che sia una follia,
io e William stiamo insieme da due mesi e abbiamo passato la
metà
del tempo ad affrontare un problema dopo l'altro. Ma ho questa
sensazione, come se lui fosse la mia famiglia. Nessuno si era mai
preso cura di me come fa lui, e all'inizio pensavo di non averne
bisogno e di non poter accettare che un ragazzo, soprattutto uno del
genere a cui credevo che William appartenesse, assumesse il ruolo del
protettore nei miei confronti. In più lui sembra sempre
pensare il
contrario di quello che penso io, a volte è estenuante. Ma
poi ho
realizzato che io e lui ci proteggiamo e ci sfidiamo a vicenda, non
c'è niente di unidirezionale fra noi. In ogni caso, la
nostra non è
stata una relazione convenzionale sin dall'inizio, quindi
perché non
provarci?”. Disse alle sue amiche ciò che aveva
ripetuto a se
stessa nel corso di quei giorni.
Sana aggrottò le sopracciglia, come se stesse cercando le
parole
giuste da dire.
“Se qualcuno guardasse me come William guarda te,
probabilmente
vorrei sposarlo. Mi hai detto che non c'è niente che ti
sembri più
importante che stare con lui, e sono stata la prima a consigliarti di
seguire il tuo istinto. Però hai diciassette anni Noora,
quella che
hai con lui è la tua prima relazione significativa e avete
entrambi
addosso tutte le emozioni dell'ultimo mese... non so se siate del
tutto lucidi. Se senti che questa cosa ti fa stare bene, allora vai
avanti, ma cercate di non giocare alla famiglia, prendete questa
convivenza con leggerezza. Capisci che cosa voglio dirti?”.
Noora annuì seria, comprendendo pienamente il messaggio di
Sana, che
aveva una capacità empatica mille volte più
grande di quanto
volesse mostrare. Le stava dicendo di tenere a mente il punto della
vita in cui si trovavano lei e William e i cambiamenti continui che
avere la loro età comportava. Bastava pensare all'udienza in
tribunale che si sarebbe tenuta entro la fine del mese e che avrebbe
potuto avere come esito l'arresto di William. O al fatto che lui
ormai era diplomato, e ciò significava che stava per entrare
nel
mondo degli adulti, mentre lei sarebbe rimasta bloccata nella routine
scolastica almeno per altri due anni.
Senza preavviso, Eva si alzò dalla propria sedia e la
strinse in un
abbraccio, a cui si unì anche Vilde.
“Siamo contente per te”, le disse quest'ultima.
“Però ogni tanto uscite di casa”, la
canzonò Eva.
Risero tutte quante, e per una volta Noora non si sentì in
imbarazzo.
* * *
In contemporanea, al bancone del bar William era impegnato in una
scomoda conversazione con Chris.
“Che cazzo significa che le hai chiesto di venire a vivere
con
te?”.
Chris era ancora arrabbiato per il silenzio a cui lo aveva sottoposto
William negli ultimi giorni, e non prese per niente bene la notizia.
La sua incredulità era surclassata soltanto dal
disorientamento
causato dai comportamenti che aveva avuto il suo migliore amico negli
ultimi mesi. Erano amici da che ne aveva memoria, ma mai William
aveva perso la testa come negli ultimi tempi. Gli sembrava di avere a
che fare con un estraneo.
William appoggiò sul ripiano la birra che stava bevendo e si
passò
le dita tra i capelli, nel tentativo di raccogliere la pazienza
necessaria a rispondere. Sapeva dove sarebbe andata a parare quella
discussione, perché era già successo in
precedenza.
“Chris, sei il mio migliore amico, ma su questa cosa non hai
voce
in capitolo. Okay?”.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno assorto nei propri
pensieri, mentre entrambi cercavano di dissipare il nervosismo. Ma
Chris non riuscì a lasciar correre la questione, e
all'improvviso
sbottò con irruenza.
“No. Cristo, sono mesi che ho l'impressione che ti sia bevuto
il
cervello. Prima inizi a trascurare il Bus e manchi alla metà
dei
festeggiamenti del Russetiden – e quando ci sei sembra che tu
voglia essere da un'altra parte –, poi vai fuori di testa e
te ne
vai a Londra senza dire niente a nessuno. Quando torni sei incazzato
e depresso come non ti ho mai visto e ti accampi a casa mia in attesa
di trasferirti definitivamente a Londra. Alla fine, quando ti sto
accompagnando in aeroporto, cambi idea perché hai avuto una
conversazione di dieci minuti con quella ragazzina, che ti ha anche
spinto a confessare la storia della bottiglia alla polizia. Adesso
sparisci nel nulla e te ne esci dicendomi che vivete insieme? Scusa
se non sono felice. Porca troia, William, stai per farti dei fottuti
mesi di prigione perché ti sei fatto condizionare da una
ragazza”.
Alla fine della sua invettiva, Chris respirò profondamente
per
calmarsi, senza troppo successo.
Quella conversazione, in toni più pacati, era già
avvenuta qualche
settimana prima, quando Chris aveva tentato di convincere William a
restare ad Oslo. In quel frangente non c'era stato nulla in grado di
farlo ragionare, e adesso sarebbe andata nello stesso modo, Chris lo
sapeva bene.
William era sempre stato quello più deciso tra i due, era un
leader
naturale, e ascoltava i consigli soltanto quando non intaccavano la
sua idea di partenza.
“Cresci un po', Chris, e ragiona. Ho avuto soltanto te e i
ragazzi
per tutta la vita, ed è stato abbastanza, ma con lei
è un'altra
cosa. Non è una qualunque, non è un passatempo.
La voglio con me, e
lei vuole stare con me. Fine della discussione”.
“Dici a me di crescere, quando tu ti stai comportando come un
bambino. Chi è quello che ragiona col pisello adesso, tra
noi due?”.
A quell'uscita così da Chris, William non riuscì
a trattenere una
risata, e tutta la tensione del momento andò scemando quando
quell'ilarità contagiò anche l'amico.
“Andiamo a cercare Julian e Alexander. Volevano fare un
brindisi o
qualcosa del genere tutti quanti insieme”, disse poi,
cambiando
argomento.
Recuperò la sua birra ed entrambi si incamminarono in mezzo
alla
folla. Passando, incrociarono Mari, che li salutò con un
sorriso e
un cenno del capo. Lei era una delle poche ragazze con cui William
aveva un genuino rapporto di amicizia, nonché tra le poche
persone
che conoscevano alla perfezione la sua situazione familiare.
Poco più avanti vide qualcosa a cui non poté
rimanere indifferente.
Noora stava ballando insieme alle sue amiche al margine della pista,
i capelli che svolazzavano al ritmo in cui si muoveva, un sorriso
dipinto sulle labbra, mentre con gli occhi chiusi si faceva
trasportare dalla musica.
Si incamminò nella sua direzione senza curarsi di avvisare
Chris del
cambiamento di programma, e quando la raggiunse, la fece voltare
afferrandola per una spalla. Lei non ebbe il tempo di chiedersi che
cosa stesse succedendo, perché lui la baciò
spegnendo qualunque
protesta sul nascere.
Non si limitò ad un bacio superficiale, avendo come
obiettivo
proprio quello di dare spettacolo.
Noora lo intuì e dopo un po' riuscì a trovare la
forza per
interromperlo. Lanciando una breve occhiata intorno a sé,
notò che
le sue amiche non erano le uniche a guardarli ridacchiando. Alle
spalle di William diverse ragazze erano già impegnate a
commentare
la scena a cui avevano appena assistito.
“William!”. Lo fissò mordendosi le
labbra per tentare di
arginare il sorriso che le si stava formando spontaneamente alla
vista dell'espressione impertinente che lui stava esibendo.
“Noora!”, le fece eco, premendole le guance con i
propri indici
in maniera giocosa.
“Eri così carina, non ho potuto
resistere”, le sussurrò poi
all'orecchio.
Noora arrossì, ma alla penombra del locale nessuno avrebbe
potuto
accorgersene. Si scostò per guardarlo negli occhi, e dopo
qualche
istante fu lei a baciarlo mettendogli le braccia intorno al collo,
proprio mentre la canzone che il DJ stava mixando arrivava al famoso
ritornello: “Noi abbiamo trovato l'amore in un luogo
senza
speranza”.
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Capitolo 3 *** Family Portrait ***
Capitolo
2. Family
Portrait [Pink]
10
Giugno 2016
È incredibile come il tempo sembri scorrere lento e
sfrecciare
veloce insieme quando si è felici. Sorridere è
quasi una costante,
affrontare le giornate è considerata una benedizione e tutti
i
problemi rimangono lontani dalla propria coscienza.
Ci sono pace e serenità, senza complicazioni.
Ma basta un solo istante perché il cielo crolli come un
soffitto
senza travi. Basta un evento insignificante per turbare la
beatitudine del paradiso. Un attimo, e tutto diventa confuso, i
tormenti tornano a pervadere la mente, e si comincia a fingere di
stare bene davanti alle persone da cui si è circondati.
Eppure né Noora né William avrebbero potuto
prendere in giro se
stessi abbastanza a lungo da dimenticare i carichi pendenti sulle
loro teste. Li ignoravano, ma erano proprio lì, come
fantasmi, ad
infestare le loro vite nel momento in cui queste erano più
luminose
che mai.
Quel giorno però, gli spettri avrebbero preteso nuovamente
una parte
della loro attenzione.
Per ogni minuto di felicità, bisogna pagare con una scheggia
piantata nella propria anima.
* * *
William aveva chiesto a Noora di andare con lui al pub in cui si
sarebbe visto con i ragazzi, ma non lo aveva detto a Chris, e sapeva
che presto l'avrebbe pagata cara per questo.
Il suo migliore amico non era ancora riuscito ad entrare nell'ottica
del fatto che adesso avesse una ragazza, e la sera prima si era
presentato all'appartamento con una loro compagna di scuola senza
avvisare, chiedendogli se potessero passare la notte lì, dal
momento
che entrambi avevano i genitori a casa. Succedeva spesso che Chris
portasse le sue ragazze da William.
Quando ancora i due erano sulla porta e William stava spiegando a
Chris che non era più il caso che facesse quelle
improvvisate, Noora
era comparsa dietro di lui e li aveva salutati perplessa.
L'espressione di Chris si era inasprita, come se avesse mangiato un
limone, e William aveva capito che finché non gli fosse
passata
quell'invidia infantile nei confronti della sua ragazza, sarebbe
stato difficile passare del tempo con lui.
Perciò non gli aveva detto di aver deciso di portare Noora a
quella
serata. Voleva che lei conoscesse meglio i suoi amici, dal momento
che si erano sempre incontrati alle feste, e una sera più o
meno
tranquilla a bere una birra gli sembrava la soluzione migliore. Se
avessero voluto far funzionare quella relazione, avrebbero dovuto
condividere ogni aspetto delle proprie vite, e gli amici per lui
erano sempre stata la parte più importante.
Quando Noora uscì dal bagno, vestita e truccata in modo
semplice
come sempre, i capelli lisci ad incorniciarle il viso, lo
trovò
seduto sul divano ad aspettarla, con maglietta e pantaloni neri che
creavano un contrasto delizioso con la sua pelle nivea.
Inclinò
leggermente il capo a destra e gli sorrise.
“Pronta”, annunciò.
Lui si alzò dal divano e le tese una mano, ricambiando il
sorriso.
“Andiamo”.
* * *
Scendendo dalla Porsche di William, improvvisamente Noora fu colta
dall'agitazione. Non era da lei essere in ansia al pensiero di cosa
pensassero altre persone sul suo conto, solitamente non le importava.
Ma quei ragazzi erano quasi una famiglia per lui, ed era fondamentale
che si creassero dei rapporti almeno civili.
Passandole un braccio intorno alle spalle, William le diede un bacio
tra i capelli e la rassicurò.
“Li hai già visti: non mordono. Abbaiano
soltanto”.
“Ah-ah. Il solito spiritoso”, replicò
lei cercando di spingerlo
via, ma con scarsi risultati, perché lui la strinse ancora
di più.
Il locale in cui entrarono era il tipico pub di stampo irlandese.
Bancone in legno scuro, segnato dal tempo e dagli avventori, tavoli
ricavati da grossi barili e sgabelli alti. Gli amici di William, che
lei riconobbe tutti come membri del Riot Club, erano disposti intorno
a tre tavoli ed avevano già tutti un boccale tra le mani.
Notò con
piacere che c'erano anche altre due ragazze, una delle quali era
Mari, seduta accanto ad una mora che Noora aveva visto qualche volta
a scuola. Almeno non sarebbe stata un'imbucata ad una serata tra
ragazzi.
Quando li videro entrare dalla massiccia porta del pub, iniziarono
tutti a salutare William con urla e cori da stadio, tra cui Noora
distinse un motivetto che faceva: “Magnusson del nostro
cuor”,
cantato a gran voce da un ragazzo che ricordava chiamarsi Alexander,
e non poté fare a meno di ridere.
William scoppiò a ridere a sua volta e, tenendola per mano,
si
avvicinò a quel gruppo di scalmanati, iniziando a salutarli
con
strette di mano e pacche sulle spalle. Tutti tranne Chris rivolsero
un saluto anche a Noora.
Né a lei né a William sfuggì questo
dettaglio.
Noora salutò Mari, che le presentò anche l'altra
ragazza, Liv.
“Ehi, vanno bene le cose adesso, a quanto pare”, le
disse Mari
con un sorriso, accennando a William che stava prendendo posto sullo
sgabello accanto a Chris, proprio di fronte alle ragazze.
“Sì, non mi lamento”, le rispose, la
gioia evidente nel suo
tono. Poi raggiunse William e si sedette accanto a lui, Alexander
alla propria destra.
Scoprì che le piaceva la compagnia degli amici di William.
La
divertivano, e in un certo senso loro la consideravano una sorta di
eroina per essere riuscita ad incastrare in una relazione l'unico fra
loro che in genere faceva in modo di non frequentare per più
di due
settimane la stessa ragazza. Le raccontarono diversi aneddoti
interessanti, uno più compromettente dell'altro, mentre i
boccali di
birra continuavano a svuotarsi e ad essere riempiti nuovamente.
William li lasciò fare, dal momento che non aveva scheletri
nell'armadio in quell'ambito, ma dovette ricredersi quando Chris, che
fino a quel momento era stato stranamente in silenzio,
disseppellì
un ricordo legato all'estate precedente che lui aveva completamente
rimosso.
“Ricordi quella scommessa che abbiamo fatto con tuo
fratello?”.
“Chris!”, lo ammonì William,
irrigidendosi e stringendo la mano
di Noora, ma lui continuò lo stesso.
“Che saremmo riusciti a scoparci tutte quelle della sua
classe
delle superiori entro la fine dell'estate? E cazzo se ci siamo
riusciti”, concluse con soddisfazione.
Noora inorridì e si voltò di scatto a guardare
William, con la
speranza che smentisse quella storia assurda. Una cosa era usare il
sesso come passatempo, ben altro renderlo una sorta di gioco
d'azzardo.
Lui prese a fare dei movimenti circolari col pollice sul dorso della
mano che le stringeva, per tranquillizzarla, e incenerì
Chris con lo
sguardo. Aggrottò la fronte e scosse il capo come a
chiedergli che
cosa gli fosse preso, e l'amico gli restituì uno sguardo
innocente.
“Ah, Magnusson, sei sempre stato un pezzo di
merda”, intervenne
Alexander in tono drammatico, per stemperare la tensione palpabile.
Tutti risero e la conversazione si spostò su argomenti meno
spinosi,
ma Noora rimase in silenzio, sulle sue. Smise di interagire anche con
le ragazze e si chiuse in se stessa, la mano abbandonata mollemente
in quella di William. Lui tentò un paio di volte di
includerla nel
discorso, ma lei si limitò ad annuire.
“Noi andiamo un attimo fuori, mi fumo una
sigaretta”, annunciò
allora William al resto del gruppo, facendo alzare Noora e
trascinandola verso la porta.
Lei lo seguì senza protestare, ma quando furono all'aria
aperta
ritrasse la mano bruscamente e prese le distanze.
Senza scomporsi fece un lungo respiro, lo guardò negli occhi
e gli
chiese: “Perché l'hai fatto? È una cosa
assurda quella che ho
sentito là dentro. Scommesse sul sesso?”.
William scosse il capo e si guardò intorno, mentre cercava
le parole
giuste da dire.
“Noora, è come per la bottiglia, non
c'è niente che possiamo
farci adesso. Per la maggior parte della mia vita ho fatto lo stronzo
con tutti tranne i miei amici. E adesso non lo sto più
facendo con
nessuno. Perché non riesci a fartelo bastare?”,
chiese. Sapeva che
Noora non avrebbe mai accettato le scelte che aveva fatto in passato,
ma pensava che ormai fossero andati oltre la fase delle
recriminazioni, che apprezzasse quanto si stesse impegnando per lei.
“Lo so, William... ma...”, non riuscì a
terminare. Non sapeva
che cosa dire, perché lui aveva ragione. William non era
cambiato,
nessuno cambia all'improvviso, però si stava sforzando per
riuscire
a controllarsi, e lei avrebbe dovuto stargli vicino e spronarlo a far
uscire la sua parte migliore. Ma era difficile sapere che la persona
che amava era stata capace di certe azioni e non esserne in qualche
modo spaventata.
Lui si avvicinò con cautela e le mise le mani intorno alla
vita.
Ritrovandosi premuta contro di lui, Noora dovette alzare la testa per
riuscire a guardarlo ancora negli occhi. Scrutarono a lungo l'uno lo
sguardo dell'altra, tentando di trasmettersi tutto ciò che
non
potevano dire a parole e cercando le risposte di cui necessitavano
per superare anche quel momento.
Ad un certo punto, il cellulare di William iniziò a
squillare nella
sua tasca, ma lui lo ignorò e strinse finalmente Noora in un
abbraccio riparatore, a cui lei si arrese immediatamente.
Dopo diversi squilli andati a vuoto, il telefono smise di suonare,
per poi riprendere con insistenza qualche istante più tardi.
“Dovresti rispondere”, disse Noora contro il suo
orecchio.
Lui si scostò per estrarre l'iPhone dalla tasca e
controllare chi
fosse a quell'ora. Quando vide il mittente della telefonata la sua
espressione si fece scura, come se all'improvviso qualcuno avesse
spento un interruttore.
“È mio padre”, le spiegò,
prima di allontanarsi da lei per
rispondere.
“Pronto?”.
“Ciao, William”. La voce di Havard Magnusson
riusciva stillare
contrarietà anche pronunciando un semplice saluto.
“Ciao, papà”, gli fece eco il figlio,
immaginando il motivo
della telefonata. La stava aspettando dal giorno della dichiarazione
fatta alla polizia. Non sapendo bene come muoversi in quella
situazione, aveva chiamato lo studio legale a cui si rivolgeva suo
padre ad Oslo, ed era consapevole che lo avrebbero avvisato, dal
momento che quella mansione sarebbe stata addebitata sul suo conto.
“Non mi piace quello che mi hanno detto oggi, ragazzo
mio”.
Havard non si preoccupò minimamente di informarsi su come
stesse suo
figlio. Nessuna traccia di affetto nel suo tono, nemmeno il minimo
accenno di sentimento.
Noora notò la tensione nelle spalle di William e si
accostò a lui,
prendendogli la mano libera e intrecciando le dita alle sue. Si
voltò
verso di lei e le rivolse un breve sorriso che non raggiunse gli
occhi.
“Che cosa ti hanno detto oggi?”, chiese, dopo un
attimo di
esitazione. Adesso la rabbia cominciava a farsi strada dentro di lui,
come ogni volta che si trovava a fronteggiare la totale assenza di
interesse dei suoi genitori.
“Mi ha chiamato l'avvocato di Oslo per dirmi che hai chiesto
di
essere difeso da lei ad un'udienza per una rissa. A quanto pare hai
pensato bene di spaccare una bottiglia in testa ad un ragazzo mentre
qualcuno ti riprendeva”.
“Sì, è vero. Quindi?”, chiese
William, tentando di mostrarsi
indifferente al disprezzo che trasudavano le parole del padre.
“Non mi serve un figlio che va in giro a farsi accusare di
lesioni.
Se qualcuno qua venisse a saperlo, diventerei lo zimbello della
società, e sai che sono ad un passo dal diventare
presidente.
Qualunque tipo di pubblicità negativa potrebbe costarmi quel
posto”.
Ed ecco che tutto si riduceva sempre al suo lavoro.
“Che cosa c'entra quello che faccio io ad Oslo con il tuo
lavoro a
Londra?”.
Vedendo che William stava iniziando a perdere la calma, Noora gli
accarezzò una guancia, facendolo abbassare per appoggiare la
fronte
contro la sua.
“Non tentare di usare la tua logica da quattro soldi con me,
William. Sai che cosa voglio dire. Stai superando il limite in questo
periodo, a partire da quella tua idea mai andata in porto di
trasferirti qua. Non mi hai neanche voluto dire che cosa sia
successo, ma immagino nulla di buono”. Havard fu quasi
derisorio
nel fare quell'insinuazione, come se fosse ovvio che da suo figlio
non potesse aspettarsi niente di positivo. Come se fosse ovvio che
non sarebbe mai stato in grado di combinare niente che fosse degno di
nota nella sua vita.
“Non è un tuo problema”,
ribatté William lapidario.
“Lo è, visto che sono io a mandarti tutti i soldi
che spendi. Ora
che sei diplomato, dovresti iniziare a pensare a quello che devi fare
della tua vita”.
“Va bene, non dobbiamo parlarne adesso. Volevi
altro?”, tentò di
tagliare corto.
“L'avvocato ha detto che ti arriverà una
comunicazione a casa, ma
che le hanno già fatto sapere che l'udienza si
terrà il trenta
giugno. Stai attento, William, sto perdendo la pazienza con te. Ti
comporti sempre più come tuo fratello”. Di tutte
le parole che
avrebbe potuto usare, suo padre scelse quelle che sapeva avrebbero
fatto breccia nella mente del figlio. Essere paragonato a Nikolai era
l'incubo a cui William tentava di sfuggire da anni.
“Buonanotte, papà”, tagliò
corto, e chiuse la telefonata senza
dargli la possibilità di rispondere.
Sospirò di sollievo e lasciò che per qualche
minuto Noora spazzasse
via il suo nervosismo con le sue carezze. Immerse il viso nell'incavo
del suo collo e inspirò il suo profumo, pensando che a fine
serata
l'avrebbe portata a casa e avrebbero fatto l'amore, e tutto sarebbe
ricominciato a girare per il verso giusto.
Si scostò e la baciò in maniera profonda,
lasciandola andare
soltanto quando ebbero entrambi bisogno di prendere aria.
“Torniamo dentro?”, gli chiese lei, con un sorriso
di
incoraggiamento.
William annuì e insieme tornarono dai suoi amici.
* * *
10
Gennaio 2007
Era
il suo decimo compleanno, ma alle otto di sera ancora nessuno in casa
gli aveva fatto gli auguri.
Sua
madre se ne andava in giro con un bicchiere sempre pieno di vino
rosso in mano, suo padre non era rientrato dal lavoro e Nikolai era
ancora chiuso in camera sua dopo la scenata che aveva fatto appena
tornato da scuola. Aveva smesso da poco di piangere e urlare, ma
nessuno ormai ci faceva più caso.
Era
passato poco più di un anno dall'incidente in cui avevano
perso
Amalie, e se prima Nikolai era invisibile agli occhi dei genitori,
adesso era diventato meno di un'ombra nelle loro vite.
William
era un caso a parte. Lui era il gemello fortunato, quello che era
rimasto illeso, e sua madre non perdeva occasione per ricordarglielo
e farlo sentire in colpa per questo. Se fosse stato per lei, avrebbe
barattato entrambi i suoi figli maschi per riavere la sua
principessa.
William
prese dallo zaino il bigliettino di auguri che gli aveva dato Mari
quella mattina a scuola, poi scavò più a fondo e
tirò fuori il
videogioco che gli aveva regalato Chris. Fu tentato di provarlo in
quel momento, ma non voleva attirare l'attenzione della madre ubriaca
accendendo la televisione, così rimise tutto nello zaino e
si
preparò per andare a letto, sebbene ancora non avesse
cenato. Sapeva
che sua madre si era dimenticata anche quella sera di preparare
qualcosa, e aveva paura di incontrarla quando lei beveva,
così
mettersi a dormire gli sembrò la soluzione migliore.
Mentre
spegneva la luce e chiudeva gli occhi su quella giornata orribile,
pensò a quando lui e Amalie sgattaiolavano fuori di casa
mentre
mamma e papà litigavano per colpa di Niko.
Gli
mancava sua sorella, la sua metà. Adesso era rimasto da solo.
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Capitolo 4 *** Certain Things ***
Ciao
a tutti, finalmente riesco a pubblicare il nuovo capitolo. Purtroppo
la sessione esami non mi dà tregua, in più questo
capitolo è stato bello tosto da scrivere. Anticipo che
è un capitolo di passaggio (quante volte ho già
usato la parola capitolo?), ma necessario per chiudere la parte
introduttiva della storia, infatti è un po' più
lungo degli altri. Era indispensabile che i nostri due ragazzuoli
mettessero bene in chiaro delle cose tra di loro, per essere pronti a
quello che avverrà da qui in poi. Spero che non vi annoi,
perché a me è piaciuto tantissimo scriverlo, mi
ha aiutato ad entrare un po' di più nei personaggi.
La
smetto con i miei sproloqui e vi lascio alla lettura.
Grazie
per essere qui. :)
Capitolo
3. Certain
Things [James Arthur]
28
Giugno 2016
Quel martedì William e Noora si alzarono presto, nonostante
non
avessero nessun impegno. Volevano godersi gli ultimi giorni che li
separavano da quel tribunale che avrebbe deciso che cosa ne sarebbe
stato delle loro vite per i prossimi mesi. Se fosse stato condannato
– ed era molto probabile che ciò avvenisse, anche
se non
severamente –, William avrebbe portato il segno indelebile di
quella vicenda per tutta la vita.
Entrambi ebbero l'idea di tornare ad Ekeberg per approfittare del
panorama offerto dalla loro splendida città dall'alto e
sedersi di
nuovo su quella panchina alla luce del sole, senza la tensione e le
barriere dell'ultima volta in cui ci erano stati.
Per un po' oziarono in silenzio, appagati dalla reciproca compagnia e
dal tepore del sole. Noora era così rilassata che stava per
addormentarsi appoggiata a William, quando lui decise che era
arrivato il momento di mettere in chiaro esplicitamente tutto il
necessario perché potessero far fronte a ciò che
sarebbe venuto da
lì in poi.
“Quando ci siamo messi insieme... ero già
innamorato di te”,
esordì, in tono incerto. Aprirsi in quel modo
così diretto non era
nelle sue corde, ma sapeva che lei aveva bisogno di sentirsi dire
quelle cose, e voleva che non avesse assolutamente alcun dubbio su
quanto di se stesso stesse investendo nella loro relazione.
Noora si scostò per guardarlo in faccia, temendo di non aver
sentito
bene. “Eh?”.
William inspirò ed espirò lentamente, cercando il
coraggio di fare
quell'ultimo passo che lo avrebbe messo completamente a nudo. Le
prese una mano e intrecciò le dita alle sue, per avere
qualcosa di
concreto a cui aggrapparsi. “Quel giorno, quando sono venuto
a
prendere Vilde da Eva e tu hai inventato quella scusa per sua madre,
non so che cosa mi sia successo. La mattina dopo ho cercato il tuo
profilo su Facebook e da lì sono riuscito ad avere qualche
notizia
su di te. Qualche tuo amico spagnolo ha menzionato il tuo secondo
nome in un commento ad una vecchia foto profilo. Amalie, come mia
sorella. Non ci potevo credere”. Scosse la testa, ancora
incredulo.
“Già... Amalie, come la mia nonna
materna”. Sorrise, perché
quando aveva saputo da Mari di Amalie, anche lei non aveva potuto
fare a meno di notare la coincidenza.
“Non riuscivo a togliermi quel dettaglio dalla
testa”, aggiunse
lui.
“Ma è soltanto un nome, William”.
“Sì, è vero. Penso che fosse un modo di
metabolizzare quello che
sentivo, perché all'inizio non riuscivo ad
accettarlo”, ammise.
“Eppure hai cercato il mio numero di cellulare e hai iniziato
a
scrivermi”, gli ricordò.
William rise divertito al ricordo del momento in cui aveva deciso di
farsi avanti. “Quello è successo dopo che ti ho
vista tirare fuori
le unghie per difendere Vilde. La biondina più carina della
scuola,
quella che odiava attirare l'attenzione su di sé, per la
seconda
volta si stava esponendo per il bene di una sua amica. A scuola non
sono molte le persone che si sarebbero messe contro di me, lo
sappiamo entrambi”.
“Oh, perché William Magnusson è
così figo”, scherzò lei,
scimmiottando un'espressione di ammirazione.
Lui si fece serio. Era stato toccato un nervo scoperto. “Non
mi ci
sono messo io, in quella posizione, Noora”.
“In parte hai ragione, ma ci hai sguazzato parecchio da
quello che
ho visto. Le ragazze non aspettavano altro che ricevere cinque minuti
delle tue attenzioni, mentre i ragazzi ti vedevano come il loro
leader, e a te stava bene così”, gli rispose lei,
con la sua
stessa serietà. Parlare di quell'argomento le ricordava
tutti i
motivi per cui aveva pensato che fosse una pessima idea lasciarsi
coinvolgere da lui. Quando aveva realizzato di provare dei sentimenti
per l'unico ragazzo per cui credeva che non avrebbe dovuto, si era
sentita quasi intrappolata, sconfitta. D'altro canto, lui adesso
voleva spiegare quella parte di sé fino in fondo, e Noora lo
avrebbe
ascoltato.
“È comodo essere considerati in quel modo, quando
hai un carattere
come il mio. Tu puoi tenere d'occhio tutti, ma quasi nessuno riesce
ad avvicinarti veramente”, le fece notare.
“Lo so. Devi esserti sentito così
solo...”. Se lei aveva una
certezza, era quella. William non aveva fatto altro che circondarsi
di vuoto e solitudine, con la sola eccezione dei suoi amici, a cui
aveva voluto bene in una sua maniera personale, ossia tenendoli
lontani dalla propria anima, ma avendo cura della loro.
Lui rimase in silenzio per qualche istante, stringendo i denti per
non dare a vedere il dolore che portava con sé
quell'affermazione.
“Comunque, in quel momento ho voluto convincermi che sarebbe
stato
divertente provare a conquistarti, ma in realtà sapevo
benissimo che
mi era scattato dentro qualcosa che non potevo ignorare. I miei amici
non riuscivano a credere che te l'avessi fatta passare liscia, ma non
ero stato in grado di dirti nulla. Mi faceva sorridere il tuo modo
schietto di dire esattamente quello che pensavi, però ho
capito
subito che quella parte di te veniva fuori soltanto quando non eri il
soggetto della conversazione. Avrei dovuto sentirmi offeso, e invece
continuavo a pensare ai tuoi occhi puntati nei miei, senza vacillare
nemmeno per un secondo, mentre mi davi del frustrato”.
Noora abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa per aver
calpestato i
suoi sentimenti nello stesso modo in cui lui aveva fatto con quelli
di Vilde. William aveva avuto ragione a dirle che non era stata
più
corretta di lui. “Quel giorno mi sembravano le cose giuste da
dire,
adesso invece credo di non essere stata migliore di te”.
William le sollevò il mento e puntò gli occhi nei
suoi. “La
differenza è che tu stavi difendendo Vilde e le tue
convinzioni, io
cercavo il modo più veloce di far allontanare la tua amica
da me”.
Non la convinse del tutto, ma lei lasciò cadere la
questione. Ciò
che le premeva capire ora era altro.
“Perché mi stai dicendo queste cose proprio
adesso, William?”
“Perché devi sapere senza alcun dubbio che
qualunque sarà la
sentenza fra due giorni, tu rimarrai la mia priorità. Ho
capito che
lo eri nel momento in cui mi sono fatto convincere a scusarmi con
Vilde, ma lo sei stata dalla prima volta in cui ti ho vista rimanere
senza parole per un mio complimento. E forse lo eri già
diventata
quel giorno in cui ti ho sorpresa ad ascoltare Justin Bieber, quando
ho visto la ragazza che eri sotto la corazza che indossavi. Non
c'è
niente che sia più importante per me che stare con te, ma
verrà
sempre prima il tuo bene. Capisci che cosa ti sto dicendo?”.
Si
assicurò di mettere in quella dichiarazione tutta la
determinazione,
tutta l'intensità, che voleva trasmetterle. E tutte le sue
intenzioni.
Lei si innervosì visibilmente, quindi William
cominciò a disegnare
dei cerchi sulla sua mano con il pollice per cercare di
tranquillizzarla.
“Non ho intenzione di lasciarti se dovrai passare del tempo
in
prigione. Pensavo che ormai avessimo superato la fase in cui cerchi
di proteggermi allontanandomi”.
“Io non smetterò mai di proteggerti,
così come tu non smetterai
di proteggere me”, ribatté lui, come se fosse la
cosa più ovvia.
Lei alzò gli occhi al cielo, ma poi si rilassò.
“Ci sono alcune
cose che non si possono cambiare, eh?”.
“Noi dobbiamo essere una di quelle”.
Rimasero incantati a guardarsi negli occhi e sorridersi per un po'.
“Finalmente cominci a dire qualcosa di sensato,
Magnusson”.
“Devi sempre fare la saputella. Neanche questo si
può cambiare”,
le disse con un sorrisino provocatorio, poi la conversazione si
spostò su temi più leggeri, sebbene Noora non
riuscisse ad
archiviare qualcosa che prima aveva notato soltanto distrattamente,
ma che adesso la stava ossessionando.
“Non avevi mai nominato tua sorella prima”, disse
infine, non
avendo più la forza di trattenersi.
Vide William sbiancare, come se avesse appena visto un fantasma.
“Sicuramente sai già tutto. Non è un
segreto quello che è
successo”, cercò di tagliare corto.
“Ma lo è il tuo punto di vista”,
insisté lei.
William sospirò prima di iniziare a raccontare l'unica
storia di cui
tutti conoscevano la trama, ma della quale non aveva mai fatto parola
con nessuno, nemmeno con Chris.
Noora si preparò ad ascoltare tutto ciò che lui
le avrebbe detto,
sapendo che se l'avesse interrotto anche solo per un istante, lui si
sarebbe nuovamente chiuso a riccio.
“Io e Amalie stavamo facendo i compiti. Di solito ci aiutava
la
ragazza alla pari, ma quella volta aveva ricevuto una telefonata
urgente ed era dovuta andare via, così siamo rimasti da soli
con mia
madre e Niko. Mia madre era troppo impegnata con il vino come al
solito per badare a noi. Ad un certo punto Niko è venuto da
noi,
euforico, e ci ha detto che aveva avuto una bella idea. Io ed Amalie
eravamo d'accordo con lui ancora prima che ce ne parlasse, non
succedeva quasi mai che Niko ci coinvolgesse in qualcosa, di solito
teneva le distanze da tutti noi, sempre troppo arrabbiato per
tollerare la presenza della sua famiglia. Noi due stravedevamo per
lui, era il nostro fratello maggiore, volevamo assomigliargli, ma lui
ci respingeva sempre. Quella volta lo abbiamo seguito senza
esitazione”. Si interruppe per ingoiare il groppo che gli si
era
formato in gola. Rivangare il passato era un'agonia che aveva evitato
per tutti quegli anni.
“Dopo che la macchina è finita giù da
quella collina, io sono
svenuto e mi sono svegliato soltanto quando mi hanno tirato fuori.
Niko non ha ripreso conoscenza finché non è
arrivato in ospedale.
Amalie, invece... lei è morta sul colpo”.
Noora gli strinse la mano, poi lo abbracciò rifugiandosi
contro il
suo petto, per distogliere lo sguardo dal suo in modo da lasciargli
gestire il dolore in maniera privata e allo stesso tempo fargli
sentire che era vicina. Lui in risposta la strinse forte.
“Era la mia gemella, sai cosa significa? Che nessuno dei due
era
mai esistito senza l'altro. Io nel vero senso della parola,
perché
sono nato qualche minuto dopo di lei”. Un sorriso appena
accennato
spuntò sulle sue labbra a quel pensiero. Amalie gli mancava
ancora,
sempre con la stessa intensità del primo giorno, eppure
ormai gli
sembrava il ricordo di un'altra vita. Era un pezzo di lui che si era
staccato per non ritornare mai più, e con lei si era portata
via
tutto il calore. Ma quel calore era tornato con Noora, e questa
consapevolezza gli diede il conforto indispensabile a proseguire il
racconto.
“Da quel momento la mia famiglia non è
più esistita. Mia madre ha
iniziato ad aggiungere ansiolitici e antidepressivi al vino, mio
padre a non tornare a casa neanche nel weekend, ora so che il lavoro
non era l'unica ragione. Se prima non gli importava niente di Niko, a
quel punto ha iniziato ad odiarlo. Per quanto riguarda me, sono
semplicemente diventato invisibile, come se fossi morto insieme a mia
sorella. Ogni volta che potevano mi ricordavano che io ero vivo e lei
no. Alla fine ho iniziato ad evitarli il più possibile. Per
ironia
della sorte mi sono avvicinato a mio fratello, ma era già il
bastardo che è adesso. Quando mi sono accorto che tutto
quello che
faceva aveva lo scopo di farmi vivere nella sua stessa miseria, mi
sono allontanato anche da lui”. Le diede un bacio tra i
capelli e
la avvicinò ancora di più a sé, per
quanto fosse possibile. Noora
si ritrovò con il viso contro l'incavo del suo collo. Chiuse
gli
occhi e inspirò il suo profumo, infilando una mano tra i
suoi
capelli. Era felice che lui l'avesse coinvolta fino a quel punto
nella sua vita, e sapeva che prima o poi anche lei avrebbe dovuto
tirare fuori dall'armadio gli ultimi scheletri rimasti. Ma non
adesso, per quel giorno era già stata messa abbastanza carne
al
fuoco.
Tuttavia desiderava dargli le stesse certezze che le stava dando lui.
“William, anche tu sei la mia priorità. Non dovrai
più affrontare
niente di tutto questo da solo, che sia una telefonata di tuo padre o
una qualche recriminazione da parte di tua madre. Tuo fratello per un
bel po' non potrà fare altre stronzate”.
“Niko non sarà mai innocuo, ma non aveva mai
dovuto fare i conti
con le sue azioni in questo modo, forse mi lascerà in
pace”,
concordò.
“Anche se dovesse tornare a tormentarti, adesso non
dovrà
affrontare solo te”.
Noora sentì le mani del suo ragazzo stringersi in due pugni
contro
la sua schiena.
“Più penso a quello che ti ha fatto e
più mi sento stupido per
come ho reagito. Mi sono fatto manipolare. E in fondo, anche senza
aver letto i tuoi messaggi, lo sapevo che non poteva essere come
diceva lui, ma mi sono spaventato così tanto per il modo in
cui mi
sono sentito al pensiero che...”.
“Non ha più importanza adesso”, lo
interruppe.
“Sì, ne ha. Ne avrà sempre. La paura ha
preso il sopravvento come
ogni volta. Non riuscivo a pensare lucidamente, era tutto
così
confuso: l'intensità del dolore al pensiero che tu avessi
potuto
tradirmi; la delusione per il fatto che non ti fossi fidata
abbastanza di me da condividere la tua angoscia, quando ho capito che
non potevi aver fatto una cosa del genere di tua volontà;
l'orrore
al pensiero che se Niko ti aveva coinvolta nei suoi giochi mentali la
colpa era mia, per averti fatta entrare nella mia vita; e il terrore
per aver realizzato di non avere il minimo controllo sui miei
sentimenti per te... È stato troppo, ma avrei dovuto
stringere i
denti e rimanere ad ascoltarti, rispondere alle tue chiamate, leggere
i tuoi messaggi. Invece ogni volta che arrivava una notifica da parte
tua cancellavo la conversazione senza aprirla. Non ho ascoltato
l'unica persona che amo. Avevi ragione a non fidarti di me”.
Si
tormentava per non essere stato all'altezza della persona leale che
credeva di essere, e per aver abbandonato nel momento del bisogno la
ragazza a cui aveva promesso che non le avrebbe mai fatto del male.
“E adesso da dove viene tutta questa insicurezza?”,
gli chiese
lei, tentando di sciogliere la tensione nelle sue spalle facendo
scorrere le mani su e giù sulla sua schiena.
“Cazzo, Noora, abbiamo passato un mese a fare finta che
andasse
tutto bene, io non ce la faccio più”,
sbottò William,
districandosi all'improvviso dal loro abbraccio.
Noora rimase impietrita.
“Non ce la fai più a fare cosa?”, chiese
incerta.
“A fingere. A lasciare da parte la rabbia che sento quando
penso
che fra due giorni tutto si complicherà ulteriormente
proprio quando
la mia vita è esattamente come vorrei che fosse”,
confessò
abbattuto. L'angoscia era chiara nei suoi occhi lucidi.
Noora riprese la sua mano fra le proprie e se la portò al
viso.
Doveva rassicurarlo, non era abituata a vederlo così
combattuto,
William era la persona più forte e decisa che avesse mai
incontrato.
“Lo abbiamo sempre saputo che sarebbe arrivato il momento di
affrontare questo casino una volta per tutte, e lo abbiamo accettato.
Entrambi. Sei solo spaventato. Di nuovo”, gli disse
serenamente,
come per trasmettergli la pace con cui accoglieva quella situazione e
tutto il bagaglio emotivo che portava con sé.
“Hai ragione”, sospirò lui.
“Non si rovinerà niente tra me e te, William. Te
lo prometto”.
“Dio, quanto ti amo”, le disse, attirandola in un
impeto per
darle un bacio.
“Sarà meglio, perché ti amo
anch'io”, gli rispose lei
maliziosa, citando quasi testualmente un suo vecchio SMS.
“E qui arriviamo al punto in cui ti ricordo che dicevi che
non ti
saresti mai innamorata di me”, la rimbrottò
scherzosamente.
Noora sentì l'entusiasmo svanire. Quella conversazione stava
diventando la prova che anche la più innocente delle battute
poteva
attivare mine ancora inesplose tra loro, matasse che era necessario
sbrogliare una volta per tutte.
“Come potevo pensarla diversamente? Tu ti comportavi come se
fossi
il re del mondo, e io è tutta la vita che cerco di stare
alla larga
da quel genere di persone. Mi arrivavano voci di te che prendevi a
pugni qualcuno ogni weekend, spuntava sempre fuori una ragazza
diversa che narrava la sua avventura con il decantato William
Magnusson. Anche se riuscivo a intravedere qualcosa di reale in te
tra le crepe, la mia parte razionale non riusciva ad accettare che
potessi provare qualunque tipo di emozione o sentimento per te.
Semplicemente non c'era nulla che riuscisse a convincere la mia mente
che io fossi qualcosa di più di un altro trofeo da vincere.
So di
essere considerata una ragazza carina, non ho mai finto il contrario,
ma non ho mai voluto che questo mi definisse, e avvicinarsi al
ragazzo più popolare della scuola non aiutava la mia causa.
Non
volevo essere il tipo di ragazza che si fa incastrare dal primo
fascinoso pieno di sé che pensa che il mondo sia ai suoi
piedi. Per
il resto sai bene che cosa pensavo di te all'inizio e cosa credevo di
pensare ancora quando ci siamo messi insieme. E il modo in cui ti
comportavi con Vilde... quello confermava le mie convinzioni, non mi
serviva altro. Sei andato a letto con lei e non hai neanche usato il
preservativo, 'perché io di solito faccio così',
da quanto ha detto
lei. Che razza di idiota fa una cosa del genere? Poteva essere
incinta”.
“Mi aveva detto che prendeva la pillola”,
tentò di giustificarsi
lui, con poca convinzione.
“Questo non importa, William. Nemmeno la conoscevi ed era la
sua
prima volta. E poi le hai detto quelle cose orribili. In quel momento
mi hai ricordato il ragazzo con cui stavo a tredici anni”.
Finalmente glielo aveva detto. Quel tarlo che scavava sin da quel
giorno in cui lo aveva affrontato nel cortile della scuola adesso se
ne stava tra loro due in attesa di essere schiacciato.
Lui chiuse gli occhi un istante per mettere in ordine le idee. Quando
lei gli aveva confessato perché fosse tanto restia al sesso,
si era
sentito morire dentro, e allo stesso tempo aveva dovuto lottare per
trattenere la collera. Non solo i suoi genitori l'avevano trattata
come se non avessero mai provato affetto nei suoi confronti, ma
quello stronzo da cui lei aveva cercato un contatto umano sincero si
era portato via l'ultima speranza che le era rimasta di sentirsi
meritevole di amore.
“Mi dispiace, Noora. Io...”, inizò
William, ma lei lo
interruppe.
“Ora so che tu non sei così. Ma non puoi
biasimarmi se all'inizio
ho pensato quelle cose di te. Era quello che avevi scelto di far
vedere a tutti”.
“Sto provando a comportarmi diversamente, perché
adesso ho capito
che non serve. Ma ci saranno momenti in cui senza rendermene conto
ritornerò ai vecchi schemi, è quasi inevitabile,
questo lo sai?”,
cercò di spiegarle.
“E io sarò lì a ricordarti che non
è quella la persona che vuoi
essere”, annuì lei.
“A meno che non sarai tu la persona che
ferirò”.
“So che non lo farai, non intenzionalmente. Però
niente più
bottiglie in testa alla gente”. Tentò di
strappargli un sorriso,
riuscendo nell'intento.
“Va bene, cercherò di essere più
creativo”, le promise,
scompigliandole i capelli.
Noora allontanò il suo braccio con un colpo secco.
“Spiritoso”.
William la afferrò per i fianchi, sollevandola per farla
sedere
sulle sue gambe. Le diede un bacio per prepararla a quello che stava
per dirle – qualcosa che avrebbe chiuso con il giusto spirito
quella mattinata di confessioni –, poi sganciò
l'ultima bomba che
aveva in serbo per quella giornata.
“Non sei mai stata come le altre per me”.
“Eh?”, disse lei, presa di nuovo in contropiede.
“Nemmeno per un istante ti ho vista come un passatempo. E la
prima
volta che ci siamo baciati... appena ti ho toccata ho capito tutto.
Quando sto con te in quel modo è come se sapessi
perfettamente chi
sono. Prima quando toccavo una ragazza lo facevo per perdermi, con te
lo faccio per ritrovarmi”. La sincerità e
l'abbandono nei suoi
occhi erano così disarmanti, che Noora non seppe fare altro
che
ripagarlo con il medesimo dono.
“È lo stesso per me. Non mi facevo toccare da
nessuno perché
avevo paura di perdermi di nuovo, come qualche anno fa. Quando ho
lasciato che tu lo facessi, invece, mi sono sentita come se
finalmente fossi del tutto presente a me stessa”.
“Non pensare a noi come se esistessero un modo giusto e uno
sbagliato di gestire le cose. È stato chiaro fin dall'inizio
che tra
di noi non poteva funzionare in maniera ordinaria. Devi pensare a
ciò
che ti fa stare bene”, la pregò William, con la
fronte accostata
alla sua.
“Non lo faccio più da un pezzo, William”.
“Sarà difficile, ma ce la faremo”, la
rassicurò.
“Ne sono convinta anch'io”.
E ne era certa davvero. La speranza brillava in lei più
splendente
che mai.
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Capitolo 5 *** Fingers Crossed ***
Rieccomi
ancora qui con i miei deliri. Questo capitolo avrebbe dovuto essere ben
più lungo di così, ma per non prolungare l'attesa
ho deciso di dividerlo in due, così la parte dedicata al
famigerato 30 giugno arriverà nel prossimo. Qui
però faremo la conoscenza di un personaggio che
sarà la benzina della storia, in futuro capirete
perché. Spero di riuscire a postare il prossimo capitolo
entro il 12 febbraio, dopodiché non assicuro di riuscire a
postare più volte a settimana, ma a seconda del tempo che
avrò, della lunghezza e complessità dei capitoli,
prometto che posterò almeno
una volta a settimana. Detto ciò vi lascio, nella speranza
che questa storia continui a piacervi. Ah, presto rivedremo anche gli
altri personaggi della serie, molti dei quali saranno fondamentali per
William e Noora nei prossimi tempi.
Ora
vi lascio davvero, grazie di essere qui, come sempre.
Capitolo
4. Fingers
Crossed [Billie Eilish]
29
Giugno 2016
Rimaneva soltanto l'ultimo giorno di quiete. Un altro giorno e il
loro mondo avrebbe cambiato colore per l'ennesima volta.
Da qualche ora continuavano ad oscillare in uno stato tra il sonno e
la veglia, consapevoli che appena avessero messo un piede
giù dal
letto, avrebbero dovuto guardare in faccia quella realtà
scomoda che
li attendeva.
William era impegnato a dare dei baci pigri e leggeri sulla spalla di
Noora, ancora con gli occhi chiusi, mentre lei gli passava le mani
tra i capelli per stringerlo di più a sé, quando
sentirono un
rumore di passi avvicinarsi ed entrare nella stanza.
“Sapevo che ti avrei trovato ancora a letto.
Alzati!”, sbottò
l'intruso.
Noora trasalì e si sedette di soprassalto, presa
completamente alla
sprovvista da quella visita. Capì subito di chi si
trattasse. Se non
fosse bastato il suo intuito, un'occhiata allo sconosciuto sarebbe
stata sufficiente. La linea della mascella, il naso e gli occhi erano
identici a quelli di William, così come la carnagione chiara
e i
capelli castani – sebbene questi ultimi fossero inframmezzati
da
parecchi fili grigi. Anche l'atteggiamento e la postura sicuri
rispecchiavano quelli del figlio. Gli unici particolari a
distinguerli erano l'età e il completo di alta sartoria che
il più
anziano portava come segno del suo status.
Stava facendo la conoscenza del padre del suo ragazzo mentre era a
letto – poco vestita – con lui. Realizzando la
velocità con cui
si era messa a sedere, si affrettò a sistemare la spallina
della
canottiera che William aveva fatto scivolare lungo il suo braccio
poco prima.
Anche William si tirò su, ma con calma, ormai abituato agli
atteggiamenti dominanti del padre.
“Manda via la tua amica, abbiamo delle cose da fare
oggi”, ordinò
Havard in tono autoritario. Non c'era nemmeno un accenno di calore
nella sua voce, era come se stesse impartendo istruzioni ai comandi
vocali del cellulare.
Il figlio sospirò, stringendo i denti per non cedere alla
tentazione
di dare sfogo all'irritazione che provava.
“Papà, Noora. Noora, mio padre”, fece le
presentazioni, senza
distogliere gli occhi da quelli di Havard.
“Buongiorno, signor Magnusson”, disse lei, ma
Havard aveva già
ricominciato a parlare.
“Va bene, adesso però ho bisogno di rimanere da
solo con mio
figlio. Se vuoi scusarci”, le intimò.
“Cazzo”, soffiò William tra i denti,
alzando gli occhi al
soffitto, una mano stretta a pugno tra le coperte.
Noora, non sapendo come gestire la situazione, guardò
William in
cerca di un suggerimento.
Lui si limitò a restituirle lo sguardo e le
appoggiò una mano sul
braccio per trattenerla, poi si rivolse di nuovo a suo padre.
“Noora non va da nessuna parte. Vive qui”.
Sputò in faccia ad
Havard quell'informazione ben consapevole delle conseguenze che
avrebbe provocato. Infatti vide l'espressione dell'uomo passare dal
leggermente infastidito all'oltraggiato nello spazio di un istante.
“Mi stai prendendo in giro?”.
“No. È la mia ragazza e vive qui, con me. Ora esci
da camera
nostra, ti raggiungo subito”, lo invitò, tentando
di tenere sotto
controllo la voglia di cacciarlo dall'appartamento. Legalmente quella
casa era di suo padre, di conseguenza c'era poco che potesse fare in
proposito.
Quella circostanza rappresentava perfettamente le sue dinamiche
familiari: una madre sempre assente e un padre che riappariva
soltanto nei momenti in cui l'integrità del suo nome veniva
messa in
discussione da uno dei due individui che portavano malauguratamente
il suo cognome. Una volta sistemata la faccenda a modo suo, sarebbe
ritornato nel proprio mondo a sei zeri, dove avrebbe continuato a
delegare alla sua assistente l'onere di assicurarsi che William e
Niko avessero abbastanza soldi da non scocciarlo fino al prossimo
disastro.
“Da quando?”, chiese Havard, ancora sorpreso.
“Dalla fine della scuola”, rispose William, mentre
si alzava e
infilava velocemente i pantaloni della tuta e la maglietta che erano
rimasti sul pavimento, dove li avevano gettati nella foga il
pomeriggio precedente.
Noora assisteva al loro scambio di battute in un misto di imbarazzo e
irritazione. Se non avesse saputo quanto fosse importante per William
rendersi forte e indipendente agli occhi di quell'uomo, si sarebbe
già intromessa nella conversazione, senza porsi il problema
di fare
una buona impressione, dal momento che lui palesemente non era
affatto interessato a conoscerla.
Quell'uomo aveva in sé la freddezza che William per anni
aveva
soltanto finto di possedere.
All'improvviso Havard scoppiò in una fragorosa risata.
“Quindi è per questo che tutto ad un tratto hai
abbandonato il
progetto di venire a lavorare per me? Perché ti sei
attaccato alla
gonna di una ragazzina?”.
Noora avvertì con chiarezza l'ultimo frammento di pazienza
di
William andare in frantumi. Gli vide negli occhi la stessa collera
con cui aveva scagliato la bottiglia in testa al ragazzo della
Yakuza, e si preparò allo scoppio d'ira imminente.
Tuttavia non accadde nulla, lui si limitò a stringere di
nuovo i
denti e sbattere le palpebre un paio di volte, come per relegare la
rabbia in un angolo della sua mente in cui avrebbe potuto essere
custodita. Non avrebbe dato a suo padre la soddisfazione di vederlo
in quello stato.
“Papà, sul serio, aspettami in cucina”,
gli intimò nuovamente,
e per sottolineare quelle parole lo accompagnò fuori dalla
camera da
letto per il braccio, poi tornò da Noora.
“Adesso capisco chi ti ha trasmesso la passione per i
cliché”,
esordì lei, tirando un sospiro di sollievo. Ora che se n'era
andato,
l'ingombro della sua presenza si percepiva in tutta la sua
pesantezza.
William non riuscì a ridere di quella battuta, troppo preso
dai
propri pensieri. Si passò una mano sul viso, rassegnato.
Sapeva che
suo padre si sarebbe presentato per l'udienza e che avrebbe provato a
muovere qualche filo tra le sue conoscenze per impedire che venisse
condannato, ma non si aspettava di vederlo fino alla mattina
successiva, quando ormai il dado fosse stato tratto. Quella visita a
sorpresa aveva appesantito di ulteriori complicazioni una situazione
che era già di per sé dura da affrontare.
Aveva sperato di riuscire a tenere Noora lontana dal veleno della sua
famiglia almeno sino alla risoluzione della sua situazione
giudiziaria, visti i trascorsi con Niko, ma aveva dimenticato quanto
sapesse essere pessimo il tempismo di suo padre.
“Ti direi di rimanere qui mentre parlo con lui, ma so che non
lo
faresti, quindi è meglio se ti vesti anche tu. Prima capiamo
che
cosa vuole da me e prima se ne andrà”, le disse.
Lei si alzò dal letto e gli andò incontro.
“Ehi”, disse, allungando un braccio per prendergli
una mano. “Va
tutto bene”. Accompagnò quelle parole con un
sorriso, poi lo
lasciò per vestirsi e insieme raggiunsero il signor
Magnusson in
cucina.
* * *
Dopo una veloce chiacchierata in cucina, durante la quale Noora
lasciò ancora che William se la vedesse da solo col padre,
tranne
quando venne tirata in causa, i due uomini uscirono per andare a
parlare con l'avvocato che si occupava della difesa di William,
mentre lei rimase a casa. In preda al nervosismo, iniziò a
pulire e
riordinare, nonostante fosse già tutto al proprio posto.
Quando rimase a corto di faccende da sbrigare e decise di sdraiarsi
sul divano in attesa che William tornasse, non fece in tempo a
prendere in mano il telecomando del televisore che lo schermo del suo
cellulare si illuminò segnalandole una notifica.
Si trattava di un messaggio di Vilde sul gruppo delle ragazze.
Vilde:
“Come
procede, Noora?”.
Noora:
“Il
padre di William è
arrivato poco prima dell'ora di pranzo, adesso è con lui
dall'avvocato”.
Chris:
“Il
padre? È un figo anche
lui?”.
Vilde:
“Datti
una calmata, Chris. Hai
un ragazzo adesso”.
Chris:
“Ho
solo chiesto”.
Sana:
“Non
perdete la
concentrazione, si stava parlando d'altro”.
Eva:
“Ha
ragione Sana. Però è
importante riuscire ad immaginarcelo mentre ne parliamo.
Com'è?”.
Sana:
“Noora,
di' qualcosa tu,
altrimenti cominceranno a saltarmi fuori dallo schermo i loro
ormoni”.
Noora rise di cuore. Sapeva che le sue amiche stavano cercando di
tirarle su il morale come potevano, perciò stette al gioco.
Noora:
“Sembra
William fra
trent'anni. E non mi è sembrato una persona simpatica, ma
non si sa
mai”.
Vilde:
“Da
quello che si dice in giro
non è il padre dell'anno”.
Noora:
“Un
po' gelido”.
Eva:
“Come
ti ha trattata?”.
Noora:
“Come
se non ci fossi”.
Chris:
“Fagli
vedere chi comanda,
sis”.
Noora:
“Lascio
che se la veda William
con lui. Non voglio essere invadente”.
Sana:
“Ricordati
solo di non
arrabbiarti se lui farà il cretino in sua presenza. Sai in
che
rapporti sono”.
Noora:
“Non
lo farà e io non mi
arrabbierò”.
Dopo quell'ultima risposta, mise da parte il telefono e chiuse gli
occhi, addormentandosi poco dopo.
Si svegliò un paio d'ore dopo, quando sentì la
serratura della
porta d'ingresso scattare. Ebbe giusto il tempo di mettersi a sedere
prima che William e suo padre la raggiungessero.
Ignorò quest'ultimo e chiese al suo ragazzo: “Cosa
ti ha detto
l'avvocato?”.
Lui si sedette accanto a lei, mentre Havard se ne andò in
cucina con
la sua ventiquattrore senza dire una parola.
“Quello che già sapevamo e che mio padre ha voluto
sentirsi dire
per l'ennesima volta. Non ci sono tante possibilità che me
la cavi
con qualche sanzione alternativa, per il nostro codice è un
reato
relativamente grave quello che ho commesso”. Tentò
di nascondere
l'angoscia concentrandosi sulla morbidezza della pelle di Noora
mentre le carezzava una guancia col dorso della mano.
“Quindi dovrai andare in prigione”. Non era una
domanda.
William si chinò in avanti, appoggiando i gomiti alle
ginocchia, poi
si voltò a guardarla.
“Per poco, ma sì. Mio padre ha messo in moto le
sue conoscenze,
anche se gli avevo detto di non farlo, ma non è servito a
niente. A
quanto pare i suoi amici hanno l'onestà che a lui
manca”.
“Voleva darti una mano, William. Di questo devi dargli
atto”.
Noora si rendeva conto che non era proprio così, ma volle
tentare di
dissipare un po' dell'astio che lui nutriva nei confronti di suo
padre.
“Bel tentativo, Noora”, replicò infatti
lui, alzandosi per
raggiungere il padre e capire quali fossero i suoi piani per la
serata. Visto come si erano messe le cose, William aveva intenzione
di portare Noora a cena fuori, e di certo Havard non sarebbe stato
invitato. Si chinò a darle un bacio tra i capelli, e in quel
momento
suonò il campanello.
“Vado io”, disse Noora, affrettandosi alla porta.
Aprendo si ritrovò davanti un ragazzo con un cappellino
giallo e la
divisa blu di una società che si occupava di logistica.
“Salve,
ho una busta da consegnare alla Signorina Noora Sætre”,
disse.
“Sono io”. Firmò la nota di
consegna e prese la busta che le venne allungata, poi il ragazzo la
salutò e scomparve giù per le scale.
Una volta chiusa la porta girò
la busta per leggere il mittente e rimase di sasso. Veniva dai suoi
genitori, da cui solitamente riceveva soltanto un bonifico mensile a
cui lei faceva seguire una telefonata di ringraziamento.
“Chi era?”, chiese William,
comparendo alle sue spalle. Le circondò i fianchi con le
braccia da
dietro e appoggiò il mento sulla sua spalla, sbirciando
ciò che
aveva in mano.
“Un
corriere, mi ha consegnato questa da parte dei miei”. Mentre
parlava iniziò a strapparla per vederne il contenuto. Dentro
trovò
un'altra busta, con l'intestazione del Tribunale di Oslo, e un foglio
ripiegato. Diede la precedenza a quest'ultimo. Era un biglietto
scritto con la grafia di sua madre.
Ciao
Noora,
ci
hanno notificato questa comunicazione dal Tribunale di Oslo. Non
abbiamo voluto aprirla, se vorrai sarai tu a dirci di cosa si tratta,
sai che abbiamo molto rispetto per la tua indipendenza.
Ti
vogliamo bene,
Mamma
e Papà
Come al solito, nascondevano il
loro disinteresse nei suoi confronti dietro alla facciata di genitori
rispettosi dei confini. Non riuscivano a vedere che quei confini li
avevano costruiti loro stessi.
“Credo di avere un'idea di cosa
potrebbe trattarsi”, disse William, togliendole di mano la
lettera
del tribunale e aprendola.
Infatti diceva proprio ciò che
si aspettava: era stata fissata l'udienza a Niko, ed era richiesta la
partecipazione di Noora affinché desse la sua testimonianza
in
quanto parte lesa. Dal momento che si trattava di una minore, la
comunicazione era arrivata ai genitori, che volenti o nolenti quel
giorno avrebbero dovuto accompagnarla.
“Quando?”, chiese lei,
essendo arrivata alla stessa conclusione di William.
“Il quindici di luglio”.
Parlavano a bassa voce per non
farsi sentire da Havard.
“Tu non ci sarai”. Quella
consapevolezza la colpì forte allo stomaco, rendendo
improvvisamente
reale tutto ciò che fino a quel momento aveva solo temuto.
William
non avrebbe potuto esserci in uno dei momenti più difficili
della
sua vita.
“Non starò via a lungo, però.
Ho confessato, quindi ridurranno quasi sicuramente la pena al
minimo”, la rassicurò.
“Come ti senti davvero,
William?”, gli chiese. Se non gli avesse fatto una domanda
diretta,
probabilmente lui avrebbe continuato a fingere indifferenza.
William la guardò negli occhi
per qualche istante, poi la cinse con le braccia e appoggiò
la
fronte alla sua.
“Sono pronto. Ho paura, ma sono
pronto. Voglio solo che finisca presto”, le
confessò.
Le diede un bacio leggero sulle
labbra, poi un altro. Alla fine non resistette e approfondì
il
contatto, inumidendole il labbro inferiore con la lingua e
domandandole gentilmente l'accesso. Da lì in poi ci fu ben
poco di
gentile in quel bacio. Ogni volta che si toccavano la sensazione era
la stessa, ma in qualche modo diversa. Le mani iniziavano a muoversi,
a volte frenetiche, a volte lente; a volte soffermandosi sul viso e
il collo dell'altro, altre andando ad esplorare i loro corpi, che
fossero coperti dai vestiti oppure no. E non c'era modo che si
stancassero mai – avrebbero potuto andare avanti all'infinito
– o
che sentissero di essere abbastanza vicini. Non era mai abbastanza,
ma allo stesso tempo era troppo. Troppe emozioni, troppe sensazioni
tutte insieme.
In quel bacio specifico forse ci
fu un po' di disperazione, di certo ci misero entrambi tutto l'amore
che sentivano, quella era la principale costante.
“È meglio che mio padre non lo
sappia”, le disse William quando riuscirono a separarsi.
“Niko
non si rivolgerebbe mai ai suoi avvocati come me, quindi ancora non
lo sa. Non abbiamo bisogno di altri drammi in questo momento”.
“Okay”, concordò Noora.
“Andiamo, ti porto fuori a
cena. Mio padre ha detto che starà nell'altro appartamento
di Oslo”,
la informò, circondandole le spalle con un braccio e
conducendola
dall'entrata verso il soggiorno.
“Mi sistemo e andiamo. Ma
quante case avete in giro per il mondo?”. Non riusciva a
capacitarsi di quanto fosse benestante la famiglia di William.
Lui ridacchiò. “Non lo so”,
rispose compiaciuto.
“Stupido ragazzino spocchioso”,
lo prese in giro.
“Ha parlato la ragazzina
repressa”.
Per tutta risposta, Noora gli
rifilò una pacca sul sedere, facendolo scoppiare a ridere
fragorosamente.
“Stai diventando volgare,
Noora”.
“Detto da uno che faceva parte
di un bus che si chiamava The Penetrators è un
complimento”.
“Appunto”, rise ancora
William, scompigliandole i capelli.
Avevano tanto per cui essere
spaventati, ma insieme sarebbero sempre riusciti a trovare un motivo
per ridere.
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Capitolo 6 *** Edge ***
Capitolo
5. Edge
[Gracie Abrams]
30
Giugno 2016
Erano passate ore da quando William era entrato insieme a suo padre e
ai suoi amici dentro il tribunale. Noora si era dovuta accontentare
di aspettare appostata fuori dall'ingresso al pubblico insieme alle
ragazze e ad Eskild. Ai minori non era consentito entrare solo per
assistere alle udienze.
Sebbene fosse cosciente di che cosa aspettarsi, l'ansia la stava
devastando. Avrebbe voluto essere con William, sapeva che lui
l'avrebbe voluta con sé in quell'aula.
Era passata migliaia di volte davanti a quell'edificio così
imponente, impossibile da ignorare, ma non le era mai parso tanto
spaventoso come in quel momento. Per come la vedeva lei, quella
mattina aveva inghiottito William e a breve lo avrebbe espulso dalle
proprie viscere diverso da come era entrato, perché era
ovvio che la
sentenza avrebbe aperto una nuova ferita che in carcere non avrebbe
avuto modo di cicatrizzarsi, nonostante tutte le riflessioni e la
preparazione che avevano preceduto quel giorno.
Sana e Chris tentavano di distrarla commentando dei post su
Instagram, mentre gli altri chiacchieravano del più e del
meno nella
speranza che qualche discorso catturasse la sua attenzione. Era tutto
inutile, niente avrebbe potuto alleviare il senso di impotenza e
l'irrequietudine che sentiva.
“Smettila di toccarti i capelli. William ha una cattiva
influenza
su di te”, le disse Eskild, quando la vide ravviarsi il
caschetto
biondo per l'ennesima volta.
Non si era resa conto di quanto quel gesto fosse tipico di William.
In genere non lo faceva, ma in quel momento suppose che fosse un modo
come un altro per sentirlo vicino.
“Devo sapere che cosa sta succedendo là dentro,
Eskild. Sto
impazzendo. Sono più di tre ore che vanno avanti. Ha
confessato
tutto, che cosa avranno da discutere?”, si lasciò
cadere seduta
sul marciapiede, stringendo la borsetta e le ginocchia al petto. Le
era così difficile respirare che pensava di essere sull'orlo
di un
attacco di panico.
Nonostante la giornata fosse sufficientemente calda da andarsene in
giro in top senza maniche e pantaloni di cotone leggero, Noora
sentiva un gelo tremendo propagarsi dalla sua pelle fin dentro le
ossa. Intorno a lei le persone camminavano e sfrecciavano sulle loro
auto riempiendo l'aria dei suoni della città, ma non
riusciva a
percepire niente di tutto questo. Voleva essere forte, riuscire a
gestire la situazione senza perdere la calma, ma era impossibile
starsene con le mani in mano mentre il ragazzo che amava con tutta se
stessa si sentiva dire che sarebbe andato in galera.
Eva si sedette accanto a lei e le appoggiò la testa su una
spalla.
“Vedrai che fra poco uscirà da quella porta e non
sarà andata
così male”, tentò di rassicurarla
l'amica.
“So già come andrà, entrambi lo abbiamo
accettato da tempo. La
domanda non è se, ma quanto.
In ogni caso, non ci sarà
modo di cancellare questa faccenda dalla sua fedina penale e dovremo
stare lontani per mesi. Non è che io non sia più
capace di stare da
sola, è che voglio stare con lui,
soprattutto dopo quello che
abbiamo passato per arrivare a questo punto”,
confessò. Non aveva
avuto il coraggio di dire quelle parole a nessuno fino a quel
momento. Non le piaceva mostrarsi così vulnerabile, era
più il tipo
di persona che si prendeva cura degli altri e teneva per sé
i propri
problemi. Quello era uno dei tanti tasselli di lei che era andato a
posto grazie a William.
Le passarono per la mente mille modi in cui avrebbe potuto tentare di
entrare in tribunale, ma era cosciente che nessuno avrebbe
funzionato, erano solo i vaneggiamenti di una ragazzina esausta di
vivere sul filo del rasoio. Era come se tutta la tensione accumulata
negli ultimi mesi quella mattina fosse esplosa e non riuscisse
più a
imbrigliarla.
Adesso stava diventando tutto maledettamente reale nella sua testa:
un'azione commessa in un momento di rabbia e paura aveva cambiato per
sempre le loro vite. Se quella bottiglia non fosse mai stata
scagliata, Noora non avrebbe mai chiesto una pausa a William, non
sarebbe mai andata a casa sua per poi ritrovarsi vittima della follia
di Niko e adesso non sarebbe stata fuori da quell'edificio a
chiedersi quanti ostacoli ancora ci sarebbero stati nella loro
relazione.
Tutte quelle circostanze li avevano portati a comprendersi meglio a
vicenda e a smussare gli spigoli del loro carattere, eppure sentiva
che a quel punto avrebbero potuto anche formarsi altre crepe.
“Eccoli”.
Fu riscossa dalla voce di Vilde e si voltò verso le scale da
cui
William stava scendendo, nel completo blu che suo padre l'aveva
costretto ad indossare, seguito dall'avvocato, da Havard e da Chris e
Alexander. Non aveva voluto tutti gli amici al seguito, soltanto loro
due. Sul viso aveva la sua solita espressione di indifferenza, ma lei
si accorse dell'ombra nei suoi occhi.
Era chiaro che fosse diretto da lei, così Noora
accorciò la
distanza e si fermò di fronte a lui, l'angoscia evidente in
ogni
molecola del suo corpo.
Non si toccarono, né si parlarono per un lungo momento.
Rimasero
immobili, occhi negli occhi, senza sapere che cosa volessero davvero
trasmettere l'un l'altro.
“Com'è andata?”, chiese Noora in tono
esitante, quando non ce la
fece più a tollerare il silenzio.
William si riscosse e notò l'angoscia che la stava
consumando.
Allungò una mano e le passò il pollice tra le
sopracciglia, per
distendere la ruga che le si era formata per la preoccupazione, poi
proseguì con la carezza fino a posare la mano a coppa sulla
sua
guancia e ad attirarla a sé per darle un bacio in fronte.
Noora alzò il viso verso di lui e gli diede un bacio veloce
sulle
labbra.
“Allora?”, insisté, non riuscendo ad
interpretare il suo
comportamento.
Lui si prese qualche altro istante per emettere un lungo sospiro e
chiuderla in un abbraccio di cui sentiva un bisogno disperato.
Era scattato qualcosa in lui, mentre il giudice leggeva la sentenza,
a cui non sapeva ancora dare un nome. Di certo non aveva realizzato
quanto gravi fossero state le sue azioni fino ad allora.
Continuava a chiedersi se non potesse essere altro che quel ragazzo
violento e tormentato, se sarebbe stato in grado di controllarsi e di
rimanere sul lato sano del confine la prossima volta che si fosse
trovato ad affrontare la propria collera. E la cosa peggiore era che
ancora una volta stava trascinando Noora a fondo insieme a lui,
inesorabilmente.
Strinse gli occhi, nel tentativo di ritrovare la voce. Gli si era
formato un nodo in gola.
“Tre mesi. Mi devo presentare lunedì mattina o mi
verranno a
prendere”, fu tutto ciò che riuscì a
dire contro i suoi capelli.
Respirare il suo profumo lo aiutava a riprendere contatto con la
realtà.
Noora lo strinse forte, le braccia incrociate dietro al suo collo.
Sentì gli occhi inumidirsi, un peso posarsi sul suo petto.
“Passeranno in fretta. Devono passare in fretta”,
gli sussurrò.
Consapevoli delle persone che li aspettavano a pochi passi da loro,
sciolsero l'abbraccio, ma William volle comunque rimanere aggrappato
a lei, così le prese una mano e intrecciò le dita
alle sue, poi la
condusse dal gruppo dei loro amici. Suo padre e l'avvocato erano
impegnati in una conversazione a poca distanza da loro.
Nessuno chiese nulla, Chris e Alexander dovevano averli già
informati, perché era calato un silenzio carico di sconforto.
“Vuoi andare a pranzo da qualche parte, amico?”,
domandò Chris
per spezzare il silenzio.
William scosse la testa. “No, mi serve rimanere da solo per
un
po'”.
“Tu vieni con noi?”, intervenne Eva, rivolta a
Noora.
Lei fece per rispondere, ma William la precedette. “Intendevo
da
solo con lei, ovviamente”. Forse fu un po' brusco, ma in quel
momento non aveva il controllo delle proprie emozioni come al solito.
Chris alzò un sopracciglio, ma si astenne dal commentare.
Credeva
che l'ultima cosa di cui avesse bisogno il suo amico fosse
rinchiudersi in una bolla insieme a Noora, però non gli
sembrò
opportuno tirare fuori la faccenda in quel frangente.
Poco dopo l'avvocato salutò William e suo padre con una
stretta di
mano e se ne andò, poi Havard si avvicinò al
figlio con
l'espressione più contrariata che lui gli avesse mai visto.
“Prega che questa faccenda non mi costi la candidatura alla
presidenza della holding, William. Perché se dovesse andare
diversamente, non sai in che guaio ti cacceresti”. Detto
ciò se ne
andò su tutte le furie.
Rimasero tutti interdetti per qualche secondo, William fu l'unico a
limitarsi ad alzare gli occhi al cielo. Non aveva aspettato altro che
liberarsi di suo padre per tutta la mattina, poco gli importava che
avesse scelto un'uscita di scena nel suo stile.
Lui e Noora scambiarono ancora due chiacchiere con i ragazzi, poi li
salutarono e si incamminarono verso la Porsche di William. Una volta
in macchina, non si guardarono più e non si rivolsero la
parola. Lui
mise in moto e partì nel totale silenzio, mentre Noora si
voltò
verso il finestrino.
Nessuno dei due aveva idea di come gestire le emozioni che stava
provando senza travolgere l'altro.
Era tutto semplicemente troppo.
* * *
Non andarono all'appartamento, rinchiudersi fra quattro mura o andare
a mangiare era fuori discussione. Nessuno dei due aveva fame,
così
alla fine optarono per una passeggiata al parco di St. Hanshaugen.
Tutto ciò di cui avevano bisogno era respirare,
perché entrambi
avevano l'impressione di stare affondando nelle sabbie mobili.
Camminarono in silenzio per più di un'ora, a volte tenendosi
per
mano, altre rimanendo talmente vicini da sentire il calore dell'altro
sulla propria pelle, ma non abbastanza da sfiorarsi.
William aveva lasciato in macchina la giacca del completo e la
cravatta, e si era arrotolato le maniche della camicia bianca fino ai
gomiti, dopo averla sfilata dai pantaloni. Il sole quel giorno era
caldo, ma non abbastanza per loro.
Alla fine si sistemarono sull'erba, all'ombra di un albero, e William
fece sedere Noora tra le sue gambe. Lei si adagiò contro il
suo
petto, voltando un po' la testa in modo da appoggiare l'orecchio
contro il cuore di William. Sorrise quando iniziò a
percepirne il
battito regolare, poi le venne da ridere.
“Quindi anche qui c'è del suono, non è
solo la chitarra ad essere
vera”, lo prese in giro.
William ridacchiò, e anche quella vibrazione si
propagò fin dentro
di lei.
“È sempre stato tutto vero fin dall'inizio, eri tu
a non volerci
credere”, ribatté lui.
“Allora dimmi qualcosa di vero anche adesso”.
Noora sentiva i suoi occhi su di sé, come una coperta spessa
e calda
durante una nevicata. Quando lei era nel suo campo visivo, William
non riusciva a fare a meno di guardarla. Anche quando qualcosa lo
distraeva dalla sua presenza, non passava molto prima che tornasse a
cercarla. Senza rendersene conto, si soffermava su particolari
all'apparenza insignificanti, come il modo in cui i capelli le
incorniciavano il viso in un determinato momento o la curva dolce
degli zigomi mentre rideva di gusto. Adesso ad attrarre la sua
attenzione era stata la spallina azzurra del suo top, che si era
leggermente increspata e spostata verso l'esterno quando lei si era
appoggiata a lui, standosene adagiata mollemente sulla sua spalla
nivea. Adorava che non fosse una di quelle ragazze a cui piaceva
abbronzarsi.
“Mi piace stare qui seduto a guardarti, anche se mi sta
venendo il
torcicollo in questa posizione”. Iniziò a parlare
in tono serio,
ma nella seconda parte non riuscì a trattenersi dal
ridacchiare.
A Noora scappò una risatina, poi si spostò in
modo da sdraiarsi
sull'erba perpendicolarmente a lui e appoggiare la testa sul suo
grembo. Così potevano guardarsi negli occhi. William
cominciò una
carezza lenta e regolare sui capelli di Noora.
“Devi chiamare i tuoi, Noora”, esordì
dopo qualche minuto.
Noora si riscosse dallo stato di torpore in cui era caduta.
“Dovranno
esserci al processo di Niko, lo so”, rispose esitante. Aveva
capito
che cosa William le stesse suggerendo in realtà, ma sperava
che lui
avrebbe capito che non le andava di ritornare su quell'argomento.
Tutto ciò che aveva da dire sulla sua vita familiare era
già stato
messo in chiaro qualche mese prima.
“Parla con loro. Provaci”, rimarcò lui.
Noora lo implorò con lo sguardo per un lungo istante. Alla
fine tirò
un sospiro e decise di affrontare quel mostro una volta per tutte.
“Non ho mai avuto un rapporto di nessun genere con i miei
genitori,
William. Tu più di tutti dovresti sapere che cosa
significa”.
Lui temporeggiò prendendo una ciocca dei suoi capelli biondi
e
iniziando ad arrotolarsela intorno all'indice. Scosse leggermente la
testa e corrugò le sopracciglia.
“Noora, se i tuoi genitori non ti avessero voluto, tu non
saresti
qui. Tua madre è una sessuologa e tuo padre uno psicologo,
non
suonano come due che non sanno come gestire una gravidanza
indesiderata. Io penso che loro ti abbiano sempre amata, ma l'abbiano
fatto nel modo sbagliato o non siano stati in grado di dimostrarlo
con i fatti. Ti avranno lasciata andare perché hanno creduto
che tu
ne avessi bisogno. I miei genitori, invece, hanno deciso che io e
Niko fossimo di troppo nelle loro vite e hanno continuato senza di
noi, non scriverebbero mai un biglietto come quello che hai ricevuto
tu con la lettera del tribunale”.
Quello che William sapeva per certo, era che una persona come Noora
non poteva passare nella vita di qualcuno senza lasciare un minimo
segno. Anche se lei non faceva nulla per mettersi sotto i riflettori,
emanava un'energia impossibile da non percepire, oltre al fatto che
fosse di gran lunga la ragazza più bella che William avesse
mai
visto.
Non poterla vedere e toccare per tre mesi sarebbe stata un'agonia,
peggio di quando lei non faceva altro che respingerlo.
Noora rifletté attentamente su ciò che le aveva
detto. Lui non
conosceva i suoi genitori, non aveva idea di quante sere si fosse
ritrovata a cucinarsi la cena da sola, quando ancora andava alle
elementari, perché loro due avevano deciso di fermarsi in un
ristorante lungo la strada al ritorno dal lavoro; non sapeva quante
notti avesse passato a trattenere la pipì da bambina per
paura di
sorprenderli a fare sesso sulla strada per il bagno, o quante volte
avesse avuto bisogno di un loro consiglio e invece si fosse sentita
dire che doveva imparare a gestire le difficoltà usando la
propria
testa.
“So che potrei venire a trovarti in prigione, ma il tribunale
deve
prima firmare un permesso. Dal momento che sono minorenne, la
richiesta dovrà partire dai miei. Posso iniziare da
lì, ma non ti
prometto nulla”, gli concesse, per il semplice fatto che non
avrebbe mai potuto passare tutto quel tempo senza assicurarsi coi
suoi occhi che lui stesse bene.
A William venne da sorridere, ma cercò di trattenersi e
continuò ad
accarezzarle la pelle morbida del viso con l'indice, mentre
contemplava il colore assurdo dei suoi occhi alla luce del sole,
così
limpido e brillante.
“Non devi venire per forza”, le disse serio.
Noora sorrise e allungò una mano verso l'alto per
sistemargli il
ciuffo come al solito.
“Io voglio. Non c'è niente di
pericoloso o terribile nel
venire a farti visita, e almeno ricorderò ancora che faccia
hai
quando tornerai a casa”, scherzò.
William si finse offeso e le pizzicò il naso tra pollice ed
indice.
“Ti basterebbero tre mesi per dimenticarti la mia
faccia?”, le
chiese, fintamente oltraggiato.
“Vorrei respirare, William”. Le uscì una
voce tanto nasale che
non poterono fare a meno di scoppiare a ridere entrambi.
* * *
Erano le sei del pomeriggio passate quando rincasarono. William
digitò il codice per sbloccare la porta dell'appartamento e
lasciò
che fosse Noora la prima ad entrare. Sperava che tutto andasse
secondo i piani, altrimenti avrebbe avuto un motivo in più
per fare
fuori Chris. Gli aveva dato disposizioni precise, in modo che tutto
fosse pronto per quando lui e Noora fossero rientrati. Inizialmente
il programma era pranzare con i loro amici e poi mandare Chris a
predisporre tutto, mentre lui avrebbe portato Noora da qualche parte,
ma dopo l'udienza aveva sentito la necessità di allontanarsi
da
tutti con lei.
Tolsero le scarpe all'entrata e si diressero verso la cucina.
Passando per il salotto, lei notò un oggetto insolito
appoggiato
accanto al televisore. Avvicinandosi vide che era un rastrello
fucsia. Lo afferrò e se lo rigirò tra le mani,
mentre William
rimase a guardarla appoggiato allo stipite della porta.
“E questo da dove spunta?”, gli chiese lei.
William sorrise e si avvicinò a lei.
“Non lo so”, rispose con aria innocente.
Noora gli rivolse un'occhiata scettica, intuendo che ci fosse
qualcosa sotto. Capì che quello doveva essere un indizio e,
dal
momento che non si trattava di un rastrello da giardinaggio, le venne
un'illuminazione.
Sgranò gli occhi e iniziò a guardarsi intorno,
poi rivolse di nuovo
l'attenzione verso il suo ragazzo.
“William, hai preso un gatto?”, chiese sbalordita.
Quello che
stringeva tra le mani era decisamente un arnese per pulire la sabbia
dei gatti.
Il sorriso gli scomparve dalla faccia, sostituito da un'espressione
leggermente delusa.
“Sarebbe un problema?”, domandò cauto.
Noora rimase a bocca aperta, alla ricerca delle parole da usare.
“Dipende”.
“Da cosa?”.
“Be', non lo so. Non me lo aspettavo”, rispose lei,
ancora
incredula.
William alzò gli occhi al cielo. Da quando aveva conosciuto
Noora
sembrava che non facesse altro. Era orgogliosa, cocciuta e teneva
sempre la guardia alzata, il che voleva dire che per farle ammettere
di essere contenta di qualcosa era necessario prima attraversare le
fiamme dell'inferno.
In quel momento sentirono un miagolio flebile provenire dalla cucina.
Subito, Noora si precipitò in quella direzione. Per terra,
sotto
alla scala a chiocciola che portava al piano di sopra, era sistemata
una cuccia azzurra, all'interno della quale spiccava una macchia
scura che tentava di nascondersi tra le increspature di una coperta
gialla.
“O Dio, è un gatto nero!”,
esclamò accovacciandosi accanto
all'animale e prendendolo delicatamente tra le mani. Era ancora molto
piccolo, ma il folto pelo nero lo faceva apparire meno fragile di
quanto fosse.
Noora non poté fare a meno di aprirsi in un sorriso radioso.
I gatti
neri erano i suoi preferiti, e non capiva come William avesse potuto
saperlo, non ricordava di averglielo mai detto.
“I gatti neri mi sono sempre piaciuti più degli
altri”, disse
lui alle sue spalle, come se avesse potuto sentire che cosa lei
stesse pensando. Tirò un sospiro di sollievo, era stato
più facile
del solito farla cedere.
Forse erano tutte le emozioni negative di quella giornata a rendere
meno impenetrabili le difese di Noora, e lui aveva intenzione di
sfruttare quel piccolo vantaggio fino in fondo quella sera, per farle
sentire quanto la ritenesse importante.
Si accovacciò accanto a lei e iniziò ad
accarezzare la testa del
gatto, che si era pian piano rilassato e si faceva coccolare in
equilibrio precario sulle ginocchia di Noora.
“Una cosa che abbiamo in comune finalmente”, lo
prese in giro.
William si sporse e le afferrò la nuca per avvicinarla. Si
incontrarono a metà strada per un bacio veloce.
“Non ha ancora un nome”, le disse poi, a pochi
centimetri dalla
sua bocca.
Immediatamente uno scintillio di malizia si accese negli occhi di
Noora.
William si bloccò mentre si grattava distrattamente il lato
del naso
e la guardò di traverso.
“Noora, no!”, la ammonì in tono
perentorio. Qualcosa gli diceva
che erano malauguratamente sulla stessa lunghezza d'onda in quel
momento.
“È maschio, giusto?”, chiese divertita.
Non riusciva a contenere
l'ilarità, così dovette mordersi le labbra per
evitare di ridere.
Si schiarì la voce e attese che William le rispondesse.
“Sì”. Gli venne fuori in maniera
più incerta di quanto avesse
voluto.
Noora sorrise trionfante e si rivolse al gatto.
“Benvenuto, Willhelm!”.
William scosse la testa sconfitto, ma niente avrebbe potuto far
scemare l'entusiasmo che provava al pensiero di aver alleviato un po'
della sua angoscia. Aveva raggiunto il suo scopo, e in più
Noora non
sarebbe stata da sola in quella casa fin quando lui fosse tornato.
* * *
Dopo aver passato un po' di tempo a giocare insieme al gatto,
decisero di mangiare, così Noora preparò del
pollo al curry.
Mangiarono in silenzio, la tensione di nuovo in crescendo man mano
che la giornata volgeva al termine. Potevano avere dei momenti di
leggerezza, ma la spada di Damocle era sempre lì a pendere
sulle
loro teste. Nonostante ora sapessero che cosa li attendeva con
esattezza, il peso che avevano sulle spalle non era diminuito.
William voleva che lei sapesse quanto significasse per lui averla
vicino in quel momento. Voleva che sentisse con tutta se stessa di
essere la parte migliore e più importante della sua vita,
l'unico
scoglio sicuro in un mare in tempesta.
Guardò verso Willhelm, che dormiva beato nella sua cuccia,
poi verso
Noora che stava finendo di pulire la cucina in maniera ossessiva.
Decise che per quella sera era tutto abbastanza pulito, quindi si
alzò dalla sedia su cui era ancora seduto dalla cena e
andò a
toglierle dalle mani lo strofinaccio che stava passando sul piano
cottura.
“Vieni con me”, le disse, prendendola per mano. La
guardò negli
occhi con un'intensità che le bruciò fin
nell'anima.
Si sentì nuda. Non era una sensazione fastidiosa, era quella
che
William le aveva insegnato ad apprezzare. Il modo in cui la fissava,
partendo dagli occhi, come a chiederle il permesso, per poi scendere
verso le labbra e il collo, la faceva sentire al sicuro, come se non
esistesse al mondo niente di più bello e desiderabile di lei.
C'era sempre forza e decisione nei gesti di William, ma anche
delicatezza e adorazione. La desiderava tanto da perdere la ragione,
eppure riusciva sempre a farle intendere che al primo posto venivano
le sue esigenze.
Noora vide i suoi occhi farsi torbidi, il cioccolato delle sue iridi
fondersi in preda alla fiamma delle sue intenzioni, mentre con la
mano libera le afferrava un fianco e la attirava a sé.
Non riuscì a dirgli nulla, si limitò ad
assecondare l'istinto che
si risvegliava quando lui la toccava in quel modo.
William si abbassò fino a sfiorarle un orecchio con le
labbra.
“È impossibile non amarti, lo sai?”,
sussurrò. Da qualche
giorno gli riusciva più facile dare voce a pensieri come
quello. La
paura, l'adrenalina, la mancanza di lei che già sentiva, gli
toglievano ogni inibizione. Non che gliene fossero rimaste molte da
quando l'aveva incontrata.
Noora chiuse gli occhi e si crogiolò in quelle parole.
Sentirle le
dava un senso di liberazione, come se un macigno venisse sollevato
dal suo petto. Le si strinse il cuore. Nonostante i dubbi che aveva
avuto e la resistenza che aveva opposto, era la franchezza uno degli
aspetti di William che l'aveva catturata. Non aveva mai esitato ad
esporre il proprio interesse per lei davanti ai loro amici e
all'intera scuola, anche quando lei lo trattava come se non fosse
altro che una gomma da masticare appiccicata sotto ad una scarpa. Sin
dall'inizio aveva mostrato sicurezza e determinazione nell'ammettere
di volerla, tanto quanto lei era stata sicura e determinata nel
negare che fosse bastato guardare una volta nei suoi occhi per capire
che cosa ci fosse sepolto sotto la coltre di ghiaccio con cui si
proteggeva.
“Io sono disposta a lasciarmi amare, fin quando lo sarai
anche tu”,
gli disse in un soffio. Poi cominciò a guidarlo verso la
camera da
letto, dove era certa che fosse diretto anche lui quando le aveva
chiesto di seguirlo.
Non arrivarono che al corridoio, perché a quel punto la
pazienza di
William si esaurì. Spinse Noora contro il muro, a
metà strada tra
la porta della camera e quella del bagno. Le assalì la bocca
come se
non riuscisse più a respirare. Quel bacio non aveva uno
scopo, se
non quello di sentire, di dare e ricevere fin quando non fosse
rimasta altra scelta che abbandonarsi a tutto ciò che non
avrebbero
mai potuto esprimere in altro modo.
Le mani di William finirono sotto il tessuto leggero del top di Noora
senza che lui dovesse pensarci, quelle di lei si fecero strada tra i
suoi capelli, stropicciando e a tratti tirando, quando le dita di lui
raggiungevano punti che la facevano rabbrividire.
Da quel momento in poi, Noora non ebbe più coscienza del
susseguirsi
degli eventi. Fu un turbine di vestiti lanciati per aria, respiri
accelerati, baci umidi sul collo, occhi che la scrutavano famelici e
mani che la sollevavano. Percepì di essere in movimento, ma
quasi
non si rese conto di dove William l'avesse portata, fin quando non
sentì il marmo freddo del piano del bagno sotto di
sé.
Aprì gli occhi e lo vide dirigersi verso l'enorme doccia,
addosso
solo i boxer neri.
Ebbe modo di soffermarsi sulla sua figura per l'ennesima volta. Non
importava quante volte lo vedesse, rimaneva sempre affascinata da
William, e non ci si abituava mai. Non era il fisico slanciato e
definito a colpirla di più, ma il suo atteggiamento, la sua
noncuranza nel mostrarsi, la sicurezza che emanava con ogni muscolo
che muoveva. Aveva l'espressione tipica di chi è concentrato
a
compiere una missione, e allo stesso tempo sembrava che si fosse
momentaneamente perso in una dimensione parallela.
William aprì l'acqua nella doccia e tornò
indietro da lei. Si
posizionò in mezzo alle sue gambe e rimase a contemplarla
per
qualche istante, sfiorandole una spallina del reggiseno con un dito.
Lei gli poggiò le mani sul petto e lo guardò a
sua volta, beandosi
di tutti i particolari che l'avevano attratta sin dall'inizio. Niente
in William era banale, nemmeno la sua bellezza. Aveva le labbra
sottili, il naso troppo grande e un taglio di capelli che su chiunque
altro sarebbe stato improponibile, eppure quelle stesse
caratteristiche che avrebbero dovuto renderlo meno attraente, lo
rendevano straordinario, abbinate ai tratti duri e mascolini del viso
e all'intensità mozzafiato dei suoi occhi. Quelli erano
sicuramente
la parte di lui che preferiva. Quando William guardava qualcuno, era
come se stesse sondando la sua anima. Riusciva a trasmettere
autorità
con un solo sguardo, facendo sentire il suo bersaglio completamente
soggiogato.
Ciò che Noora non sapeva era che lui si sentiva nello stesso
identico modo quando lei puntava i suoi occhi chiari su di lui, e che
lei era l'unico essere umano in grado di far uscire allo scoperto le
sue debolezze e trasformarle in una forza che non aveva mai avuto
prima.
Entrambi avevano i capelli arruffati e le guance arrossate. Finirono
con calma di spogliarsi a vicenda, poi William la prese in braccio
reggendola per le natiche e la portò sotto la doccia.
La adagiò delicatamente, stando attento che non scivolasse,
poi
iniziò a darle dei baci a partire dal punto sensibile dietro
l'orecchio. Scese sempre più giù lungo il collo,
tra i seni e sullo
stomaco, fino ad inginocchiarsi ai suoi piedi, poi guardò
verso
l'alto, verso il viso angelico della ragazza che amava.
“Dimmi che dobbiamo stare insieme”, la
implorò, la voce intrisa
di un desiderio disperato.
Noora gli carezzò una guancia, il respiro spezzato per
l'emozione e
l'eccitazione.
Erano entrambi al limite, fisicamente così come
emotivamente. Mai
come in quel momento, Noora avvertì la separazione imminente
come
una minaccia, un tempo durante il quale avrebbero potuto trovare
delle ragioni per avvicinarsi ancora di più con la stessa
probabilità con cui avrebbero potuto trovarne per
allontanarsi
inesorabilmente.
Non sentendo nessuna risposta, William riprese a baciarle il ventre,
per farle perdere anche l'ultimo barlume di razionalità.
Noora si aggrappò ai suoi capelli, le gambe malferme.
“Noi dobbiamo stare insieme”, gli concesse infine,
con voce
tremante.
Tutto ciò che successe dopo – la bocca di William
che la esplorò
ovunque, lui dentro di lei, i graffi di lei sulla
schiena di
lui – fu soltanto una ripetizione all'infinito di quelle
parole.
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Capitolo 7 *** Run ***
Finalmente
ce l'ho fatta. Da questo in poi, i capitoli saranno più
brevi, per il semplice fatto che così posso almeno sperare
di riuscire a pubblicare una volta a settimana. Questo
capitolo è di passaggio, getta le basi per ciò
che verrà. Stiamo per entrare nel vivo della storia.
Cominceremo a vederne delle belle, quindi abbiate fede.
Grazie
di essere qui a leggere. Se vi va, lasciate un segno del vostro
passaggio, per me i vostri pensieri sono importanti. :)
Alla prossima.
Capitolo
6. Run
[Snow Patrol]
4
Luglio 2016
Le prigioni norvegesi erano tra le più umane e confortevoli
al
mondo. Noora, seduta sul sedile posteriore dell'auto di Chris,
continuava a ripeterselo, mentre fuori dal finestrino il mondo
sfrecciava veloce e la distanza tra loro e il carcere di Ila si
accorciava.
Il sole era comparso da poco, ma la sua luce le sembrava già
accecante.
Erano da poco passate le sette e
mezza del mattino. William avrebbe dovuto consegnarsi entro le nove,
ma avevano preferito muoversi con anticipo per essere sicuri di
arrivare in tempo.
Noora e William avevano trascorso
il fine settimana a prepararsi per quel momento, rimanendo insieme
tutto il tempo ed ignorando quasi totalmente il mondo esterno.
Soltanto sabato sera si erano concessi di uscire qualche ora
perché
William potesse salutare i suoi amici.
Adesso se ne stava appollaiato in
silenzio sul sedile del passeggero, un piede appoggiato al cruscotto
e una sigaretta fumata a metà tra le dita. Non era qualcosa
che
faceva spesso, ma il nervosismo era troppo da sopportare e aveva
bisogno di un modo per continuare a mostrare la solita
impassibilità
a beneficio di Noora.
Dal canto suo, lei era ben lungi
dal farsi ingannare dalle dissimulazioni del suo ragazzo. Da sabato
mattina non faceva che mostrarsi sereno e in pace col proprio
destino, ma era capitato più volte che lei lo avesse
sorpreso con lo
sguardo perso nel vuoto o con le spalle curve e la testa tra le mani,
preso in un vortice di pensieri angoscianti che lei poteva solo
immaginare.
Il finestrino aperto per lasciar
uscire il fumo permetteva ad un fiotto di aria fresca di entrare a
tagliare l'atmosfera densa che aleggiava all'interno dell'abitacolo,
tuttavia non era sufficiente a rendere più facile respirare.
Noora, dal suo posto dietro a
Chris, vedeva la spalla sinistra di William contrarsi un po' di
più
ogni volta che portava la sigaretta alla bocca, le sue labbra
chiudersi intorno al filtro, la mascella scolpita resa più
evidente
dalle guance che si incavavano. Quando soffiava fuori il fumo, il suo
corpo non si rilassava, tratteneva tutta la nuova tensione
incanalata, rendendo la sua posa sempre più rigida. Il suo
sguardo
era rivolto davanti a sé, ma era chiaro che non stesse
realmente
vedendo nulla.
Da un lato, lei avrebbe voluto
rimanere a casa, salutarlo sulla porta come se stesse uscendo per
ritornare qualche ora più tardi e fingere fino all'ora di
andare a
letto di non essere rimasta da sola per l'ennesima volta nella sua
vita, sebbene si trattasse di una solitudine temporanea.
Anche in quel momento, provava
l'istinto di spalancare la portiera e lanciarsi fuori dall'auto in
corsa. Le ferite avrebbero fatto meno male dell'angoscia di William,
che sentiva come se fosse la propria. Non era da lei fuggire senza
affrontare i problemi, ma il peso che le gravava sul petto minacciava
di schiacciarla e non sapeva più come gestirlo. Tutto
ciò che
desiderava era che William stesse bene.
Come se avesse percepito il suo
smarrimento, William allungò il braccio sinistro verso di
lei e la
invitò a prendergli la mano. Noora intrecciò
immediatamente le dita
alle sue, ed entrambi strinsero la mano dell'altro come se non
esistesse un altro modo per arrivare vivi fino in fondo a quel
viaggio.
“Puoi telefonare una volta a
settimana, giusto?”, chiese Chris, spezzando il silenzio.
William aspirò un'ultima boccata
dalla sigaretta e poi la spense nel posacenere dell'auto.
“Sì, devo solo comunicare
l'intestatario del numero che chiamo. Posso ricevere visite in giorni
prestabiliti, ma dovete registrarvi e chiedere un permesso”,
spiegò
meccanicamente, usando quasi le stesse parole che l'avvocato gli
aveva detto per telefono sabato.
Chris non disse più nulla, si
limitò ad annuire continuando a guidare.
Allora William si voltò verso
Noora. Per lei fu un colpo sentire di nuovo i suoi occhi addosso,
quella mattina non era riuscito a trovare la forza di guardarla negli
occhi neanche una volta. Il rischio, se lo avesse fatto, era di
perdere il controllo, ma ora era necessario.
“Se hai bisogno di qualunque
cosa, rivolgiti a Chris. Okay?”. Era cosciente che Noora non
fosse
incline a chiedere aiuto a nessuno, meno che mai al suo migliore
amico, che aveva dimostrato più volte di non provare una
profonda
simpatia nei suoi confronti. Per questo usò il suo tono
autoritario,
quello da capo del Riot Club, che non ammetteva repliche. Aggiunse
una vena di supplica al suo sguardo, sapeva che Noora non avrebbe
saputo che cosa ribattere di fronte a quella piccola dimostrazione di
vulnerabilità.
Infatti rimase in silenzio, così
come Chris, che era impietrito, dal momento che William non aveva mai
accennato al suo ruolo da babysitter in quella faccenda. Strinse i
denti ed evitò qualsiasi commento. Era troppo arrabbiato con
la
biondina per dare corda al suo amico.
William capì l'antifona e non
insisté ulteriormente, sapeva che Chris non sarebbe stato in
grado
di negargli nulla. Doveva solo farsi passare quell'astio del tutto
irrazionale nei confronti di Noora.
“Il numero dell'amministratore
del condominio e tutti i numeri che ti potrebbero servire sono
segnati su un biglietto che ho lasciato sul bancone della
cucina”,
continuò, sempre rivolto alla sua ragazza.
Noora lo guardava di rimando,
tentando di non trasmettergli la tempesta che aveva dentro.
“Okay”, si limitò a
rispondere, con voce incerta.
Qualcosa si stava lentamente
sgretolando all'interno della sua gabbia toracica, non avrebbe saputo
dire se si trattasse del cuore o dei polmoni. Ogni metro macinato
dalle ruote della station wagon teneva per sé un po' del suo
coraggio.
“Noora”, la incalzò William,
vedendola sull'orlo delle lacrime.
Noora non piangeva mai, lui non
avrebbe permesso che cominciasse proprio ora.
Lei si morse le labbra per un
istante e scosse il capo. Non sarebbe crollata, non in sua presenza.
“Posso tenere il bracciale del
Tryvann?”, gli chiese, rigirandoglielo intorno al polso.
William sorrise e le lasciò la
mano per poterlo sfilare. Noora allungò il braccio destro
nello
spazio tra i due sedili anteriori, in modo che lui potesse infilarlo
al suo polso e stringerlo affinché non lo perdesse.
Quel bracciale era un ricordo del
suo periodo Russ che avrebbe dovuto depositare in matricola insieme
agli altri oggetti personali una volta messo piede in carcere. Per
questo motivo aveva lasciato sul comodino della camera da letto il
cellulare, l'orologio e il portafogli, ma di quella fascetta si era
dimenticato, dal momento che non l'aveva mai tolta da quando l'aveva
ottenuta all'ingresso del festival. Il pensiero che avrebbe passato i
successivi tre mesi al sicuro, indossata dal polso sottile di Noora,
invece che in una bustina trasparente, lo aiutò a sentire di
meno il
distacco da lei che aveva iniziato a patire da quando si era
svegliato.
Senza curarsi della presenza di
Chris, che probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, William
avvicinò la mano di Noora al proprio viso e le diede un
bacio
leggero, prima di lasciarla andare.
Gesti come quello sarebbero stati
impensabili per lui fino a qualche mese prima. Da qualche tempo aveva
cambiato prospettiva su tutto.
Pochi minuti dopo raggiunsero la
strada antistante l'entrata del penitenziario di Ila. Alla loro
destra una fila di alberi li separava da una distesa d'erba verde,
mentre alla loro sinistra un'alta recinzione correva a partire dai
lati di una piccola costruzione di un beige sporco e sbiadito, con
due finestre e una porta rigorosamente blindate, andando a
racchiudere al suo interno tutte le strutture e i terreni che
componevano il centro di detenzione.
Chris parcheggiò l'auto in
un'area indicata come posteggio per i visitatori, ma quando il motore
fu spento nessuno dei tre si mosse.
William si passò una mano tra i
capelli, Noora lo guardò come se avesse dovuto dirgli addio.
Associare William al concetto di
prigione le era ancora impossibile. Le sembrava di essere in un
incubo. Ancora una volta le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma
le ricacciò indietro.
In quel momento il suo telefono
iniziò a squillare. All'inizio pensò di
ignorarlo, ma l'insistenza
con cui continuò a suonare la convinse a rispondere.
Inoltre, se
qualcuno la chiamava alle otto del mattino, doveva essere una cosa
importante. Lo estrasse dallo zainetto e rispose senza fare caso al
numero sul display.
“Parlo con Noora Sætre?”,
chiese la voce profonda di un uomo all'altro capo della linea.
“Sì, sono io”.
“Sono Erik Dahl,
dell'Aftenposten”,
si presentò l'uomo. “Come sai, l'articolo che hai
scritto per il
diciassette maggio ha fatto sì che venissi inserita tra i
candidati
per lo stage estivo. Tu ed un altro studente della tua scuola siete
stati selezionati. Se accetti, inizierai la prossima settimana e fino
alla fine delle vacanze estive lavorerai con noi in
redazione”.
Era incredibile quanto sapesse
essere crudelmente ironico il destino.
Quando il suo professore di
norvegese le aveva proposto di scrivere l'articolo era emotivamente a
pezzi, si sentiva colpevole e violata allo stesso tempo, sola come
mai prima, nonostante avesse una schiera di persone su cui contare.
Ora, quello stage arrivava
proprio nel momento in cui non pensava di poter gestire ulteriori
pressioni. Tuttavia, quasi senza esitazione, dichiarò di
essere
disponibile e prese accordi per presentarsi in redazione il
lunedì
successivo.
Chiuse la telefonata in fretta,
sentendosi gli occhi di William addosso.
“Mi hanno presa per lo stage
all'Aftenposten”, gli spiegò.
Avrebbe dovuto essere
entusiasta, invece lo disse come se fosse una notizia di poca
importanza, la voce incolore, gli occhi rivolti verso le mani che
teneva in grembo.
William la guardò di sottecchi,
un sorrisetto stampato sulle labbra. Non gli piaceva che Noora
sminuisse ciò che le stava accadendo per colpa sua.
“Oh, la mia piccola
giornalista”, finse di prenderla in giro, sperando di
strapparle un
sorriso.
Gli angoli della bocca di Noora
si flessero leggermente verso l'alto e lui le sfiorò una
guancia con
le dita per farle alzare lo sguardo.
“Andrà tutto bene, Noora”,
la rassicurò, facendosi serio.
Noora annuì poco convinta e posò
la propria mano su quella di lui.
Chris, che era rimasto in
silenzio per tutto il tempo, aprì lo sportello e scese dal
veicolo.
Non che si sentisse in imbarazzo – non era nella sua indole
–, ma
sapeva capire quando il suo amico aveva bisogno di spazio, e
ultimamente era successo spesso.
Appena lo sportello si richiuse,
William fece segno a Noora di raggiungerlo sul sedile anteriore. Lei
si intrufolò nello spazio tra i due posti e si
sistemò sulle sue
gambe, passandogli le braccia intorno al collo. William prese a
scorrere le mani su e giù lungo i suoi fianchi.
“Guardami”, le intimò,
vedendo che lei fissava un punto oltre la sua testa.
Noora chiuse gli occhi e quando
li riaprì si ritrovò immersa nel calore di quelli
di William. In
quell'istante lui non era l'arrogante diciannovenne che si aggirava
per la Hartvig Nissens come se fosse il re del mondo, né il
teppista
che sarebbe divenuto un detenuto non appena avesse varcato la porta
blindata a poca distanza da dove avevano parcheggiato. Era solo
William, il ragazzo intelligente e sicuro di sé di cui si
era
innamorata, il ragazzo che l'amava tanto da preoccuparsi per lei
anche adesso che era lui quello che stava per iniziare una delle
esperienze più difficili della propria vita.
L'intensità del suo sguardo era
più insostenibile del solito.
“Adesso scendo dalla macchina e
tu rimani qui, okay?”.
Lei si riscosse, scioccata. “Non
posso neanche accompagnarti alla porta?”.
“No, Noora. Questa cosa devo
farla da solo, davvero. Ti chiamerò e ci vedremo non appena
avrai il
permesso. Ora hai bisogno di andare a casa”.
Lei fece per protestare, ma
William la zittì con un bacio.
Entrambi lasciarono andare la
paura, per trovare in quel gesto tutto il coraggio e la
determinazione di cui avevano bisogno. Si aggrapparono l'una
all'altro come se non dovessero vedersi mai più, con una
dolcezza di
cui avevano scoperto di essere capaci soltanto dopo essersi trovati.
In ogni carezza delle loro
lingue, in ogni sfiorarsi e sfregarsi delle labbra e in ogni piccola
pressione dei loro denti, era presente una promessa: niente di quello
che sarebbe accaduto avrebbe potuto allontanarli. Mai.
Suggellata quella promessa, si
staccarono e ripresero fiato, l'uno nella bocca dell'altro.
“Ti amo”, sussurrò lei.
“Ti amo anch'io”, ricambiò
lui, perso nel verde liquido delle sue iridi.
Pochi istanti dopo, aprì lo
sportello e scivolò via da sotto di lei. Quando fu in piedi,
si
chinò un'ultima volta per darle un altro bacio veloce,
premendo
forte le labbra sulle sue, poi si tirò indietro e richiuse
lo
sportello con forza.
Noora lo osservò allontanarsi e
andare a recuperare il borsone dal bagagliaio. Lo seguì con
lo
sguardo mentre andava a salutare Chris con un abbraccio, per poi
premere un pulsante vicino alla porta del piccolo edificio, la quale
si aprì automaticamente pochi secondi più tardi.
William non si voltò indietro
prima di varcare quella soglia.
Non appena lui scomparve alla
vista, Noora fece ciò che non si era concessa di fare per
molto
tempo.
Una lacrima le solcò il viso.
Lei l'asciugò e, come sempre, strinse i denti e
andò avanti.
La vita correva e lei aveva
intenzione di stare al suo passo.
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