Loft Hearts

di Ziseos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Voyager ***
Capitolo 2: *** Roommates ***
Capitolo 3: *** Nightmare ***
Capitolo 4: *** Pain ***



Capitolo 1
*** Voyager ***


Capitolo 1
Bon voyage!


Sente il battito aumentare, il cuore si muove nel petto sempre più veloce.
Il sipario si apre, il drappo rosso che la separa dagli sguardi del pubblico non può più proteggerla.
Silenzio.
Nessuno parla, tutti rimangono a guardarla, per un attimo il tempo rimane sospeso.
Lei non respira, trattiene il fiato, aspetta che il brivido dell’inizio la accolga.
Ad un tratto sente il suono che tanto attendeva, ed è come se il corpo rispondesse automaticamente a quel richiamo; la musica avvolge ogni cosa attorno a sé, le gambe si muovono seguendo il ritmo morbido della sinfonia, le braccia fluttuano e si muovono eleganti nell’aria.
Nessuno parla, gli sguardi sono tutti su di lei, la scrutano attenti esaminando ogni suo passo, il movimento dei suoi vestiti, la ciocca ribelle di capelli sfuggita all’intricata acconciatura.
Lei continua a danzare leggiadra, è innamorata della musica, la sente sulla sua pelle.
Un passo, due passi, salta ed atterra.
Di nuovo, ancora una volta, la serie si ripete.
Ma la magia non è eterna.
Continua a danzare ma sente qualcosa cambiare all’improvviso.
Prima il dolore è lieve, riesce ad ignorarlo e lo scaccia via come fosse qualcosa di fastidioso.
Ma il dolore non si ferma, comincia a tormentarla sempre più, la mente si offusca, la vista si annebbia; chiude gli occhi ma non serve a nulla, non può fermarsi , ormai è giunta al culmine.
Sente i violini suonare le note finali, è il momento della trasformazione, sente la variazione della melodia che aumenta di intensità.
D’un tratto, mentre si accinge a saltare per l’ultima volta, il vuoto la coglie ed il buio la rapisce.
Sente l’impatto con il palco, la testa è come in una morsa dolorosa, il cuore accellera nuovamente i suoi battiti; un grido profondo si fa strada nella sua gola,ma non riesce ad udirlo.
Il grido del cigno ormai trasformato, il quale sa che la sua vita è cambiata per sempre.
 
 
 
Tre anni dopo

Estate.
Adorava quella stagione, il clima caldo, le ore di luce fino a tarda sera, i profumi della brezza estiva la mattina.
Ricordava quando da bambina passava ore lontana da casa solo per godere appieno di quei momenti meravigliosi, sia che fosse assieme a qualcuno che da sola. Non le importava granchè.
Era un meraviglioso giorno di inizio estate, non di certo la giornata ideale per dire addio.
“Hai davvero intenzione di partire?”- sentì chiedere.
“Vedi forse altre alternative? Qui non c’è nulla per me.”- rispose richiudendo la pesante valigia.
“Ci sono io, lo sai..”- ribattè l’altra donna.
“Nojiko, sai bene cosa intendo. Non si tratta di te, sono io che ho preso questa decisione.”- disse la giovane infilandosi in spalla il vecchio zaino sgualcito.
“Credi davvero che possa cambiare qualcosa andarsene via da qui?”
“Non ho altra scelta.”
“Nami…”
Chi parte e chi rimane.
Avevano rimandato per troppo tempo quell’argomento, evitando di riportarlo a galla, ma ormai erano consapevoli entrambe che era arrivato il quel momento, il momento di dirsi addio, o uno sperato ‘arrivederci’.
Nojiko abbracciò la sorella, senza dire nulla.
Avrebbe voluto chiederle egoisticamente di restare, ma la amava troppo per chiederle qualcosa che sapeva avrebbe reso solo più difficile il distacco; si limitò a tenerla stretta a sé, imprimendo nella mente quel profumo che ormai conosceva bene da anni.
Casa.
Per entrambe “casa” voleva dire tutto.
Era tutto quello che avevano, quello che le aveva fatte incontrare e che le legava profondamente, loro stesse erano  parte della “casa”.
Fu Nami a sciogliere piano l’abbraccio, scostandosi leggermente dalla sorella.
Non voleva crollare davanti a lei un’altra volta, non avrebbe pianto di nuovo come una bambina impaurita di lasciare casa.
Sorrise, ed afferrò il manico della valigia, pronta a dirigersi verso il ponte di imbarco.
“Ti chiamerò non appena attraccheremo a Sabaody.”- promise appoggiandole una mano sulla spalla.
Si, forse era un gesto più da uomini che da ragazza poco più che ventenne, ma in quel momento il cervello era come scollegato dal corpo e si muoveva da sé in modo meccanico, cercando di non coinvolgere le proprie emozioni.
A differenza della sorella, Nami non era brava a gestire i sentimenti.
Non si somigliavano neppure nell’aspetto.
Nojiko, più grande di lei di circa tre anni, era una donna fatta e completa: corpo perfetto,pelle abbronzata, labbra carnose  e occhi blu la rendevano appetibile ad un gran numero di uomini;  Nami dal canto suo era altresì bella con i suoi lunghi capelli rossi, carnagione chiara, occhi color nocciola ed un corpo piccolo e snello.
La piccola gatta dell’isola, così era stata soprannominata.
Nojiko tossì,interrompendo il silenzio che era piombato di colpo
“Chiamami allora..”- disse sorridendo nuovamente alla sorella, sistemandole con fare materno una spallina cadente dello zaino.
“Spero troverai quello che cerchi.”
Nami fece un cenno con il capo in risposta abbozzando un sorriso, e si allontanò velocemente verso l’imbarco.
 
Erano passate giornida quando avevano lasciato l’isola di Cocoyashi, salpando verso l’arcipelago di Sabaody, e l’impazienza per l’arrivo cominciava a diventare palpabile.
Tutti i dubbi e le insicurezze relative al viaggio le continuavano a frullare nella testa dal momento in cui la nave si era messa in viaggio giorni prima, e avevano continuato a tormentarla persino di notte facendole passare completamente il sonno.
Dopo più nottipassata in bianco e il dopo mare tutt’altro che calmo, non poteva certo dire di avere una bella cera quella mattina.
Sospirando si passò una mano sul viso stanco e si stropicciò gli occhi, cercando poi di soffocare uno sbadiglio.
“Davvero fantastico..”- mormorò fra sé.
Come cominciare al meglio una nuova vita.
Mancavano finalmente pochi minuti all’attracco, così si tirò in piedi cercando di vedere oltre il cassero di poppa in cerca della terra ferma.
Ed eccolo comparire lì, finalmente davanti a sé, l’arcipelago Sabaody.
Nonostante fosse una delle metropoli più moderne e fosse una delle più importanti situate vicino alla Linea Rossa, serbava ancora un fascino antico, forse dovuto alle mangrovie Yarukiman su cui era stata costruito l’intero arcipelago.
Man mano che la nave si avvicinava, si riuscivano a distinguere i nove distretti dell’isola, tra cui il Sabaody Park,il distretto turistico, quello governativo e il distretto residenziale; ed era proprio a quest’ultimo che era diretta Nami, nella speranza di incontrare il suo contatto.
Sfilò dalla tasca il bigliettino spiegazzato che le era stato dato tre anni prima e che aveva custodito gelosamente fino a quel momento:  sulla carta immacolata era segnato solo un indirizzo, nient’altro.
Ricontrollò per l’ultima volta l’indirizzo segnato sopra, che ormai conosceva praticamente a memoria, dopodiché lo ripiegò nuovamente e lo infilò nella tasca del vecchio zaino.
Era  arrivato il momento di andare, il grido del capitano che dava l’ordine di scendere le arrivò forte e chiaro all’orecchio, raccolse la valigia e lo zaino, dopodiché si mescolò in mezzo alle centinaia di passeggeri intenti a sbarcare e giunse sulla terraferma di Sabaody.
Certo, ne aveva sentito parlare, ma vedere con i propri occhi l’immensità dei palazzi e delle altre costruzioni presenti nell’arcipelago era un’esperienza assolutamente mozzafiato per una ragazza come lei che, dopo anni vissuti su una piccola isola di pescatori e di agricoltori, si ritrovava catapultata di colpo in un ambiente così lontano dal suo concetto di casa.
Eppure, le piaceva, lo trovava bellissimo.
Uno spintone improvviso la riportò alla realtà.
Una giovane con capelli corti e cappello calato in testa, si voltò scusandosi  e si dileguò rapidamente tra la folla.
“Ehi!”- gridò Nami protestado per il trattamento brusco.
Non era abituata a tutta quella gente, se avesse sofferto di claustrofobia probabilmente si sarebbe sentita già soffocare.
Ritrovando la calma, si appartò ad un angolo della strada e sfilò dal vecchio zaino una mappa della città; ricordava ancora quando anni prima aveva cominciato a disegnarla lei stessa, animata dalla passione per il viaggiare e dal suo piccolo sogno di riuscire un giorno a raggiungere quella terra lontana.
“Dunque…”- ragionò a voce alta, facendo scorrere il dito sulla mappa e guardandosi intorno alla ricerca di punti di riferimento- “…secondo la mappa dovremmo essere…”
Davanti a lei sorgeva un’enorme edificio con la scritta “ZONA 10”.
“Ah fantastico…la zona malfamata dell’Arcipelago. Ci mancherebbe solo che mi …”
Quasi per scaramanzia si portò le mani alle tasche tastando in lungo e largo alla ricerca del portafoglio.
Un brivido le percorse la schiena quando, toccando i jeans, non sentì la rassicurante presenza del portamonete e il suo tintinnio.
“No…NO NO NO…”- ripetè ad alta voce impallidendo mentre prendeva coscienza di quello che era appena accaduto. “…NON PUO’ ESSERE MALEDIZIONE!!”
Derubata, al suo primo giorno.
Se ne sarebbe dovuta accorgere e invece…
“Quella ragazza…”- strinse i pugni cercando di trovare un contegno- “Oh se mi ricapita fra le mani…Dio sa cosa non le succede…”

Dopo essersi calmata, riprese a camminare verso la zona 70, passando questa volta attraverso la più sicura zona del Sabaody Park, che la portò al distretto residenziale.
Il distretto 70 si presentava come una ridente città nella città più grande, con piccoli borghi pittoreschi e zone residenziali più moderne.
“Dovrebbe essere qui vicino..” – disse ripetendosi mentalmente l’indirizzo al quale era diretta.
Percorse per quasi un’ora il distretto, chiedendo informazioni ed orientandosi nell’immensa cittadina, finchè finalmente davanti a lei non si palesò l’indirizzo segnato sul biglietto.
La casa si presentava esternamente come un vecchio edificio fatiscente, probabilmente tra i più vecchi costruiti sull’isola; a prima vista era esattamente quello che aveva temuto più di tutto di trovare, ma, stanca e scoraggiata com’era in quel momento pregò solo che almeno ci fosse un letto decente dove poter cercare di dormire quella notte.
Ma se il detto l’abito non fa il monaco valeva anche per le case, era ancora pronta a ricevere qualche sopresa.
Incamminandosi a fatica su per le scale trascinando la pesante valigia (con tanto di improperi ogni qualvolta le finiva il pesante trolley sui piedi), giunse davanti alla porta dell’alloggio e bussò alla vecchia porta di legno.
Sentì dei passi oltre la porta e si preparò a scoprire chi sarebbero stati i suoi compagni da quel giorno in poi, non nutrendo grandi speranze.
La porta si aprì e una luce brillante proveniente dall’interno la accecò per qualche istante…
“Ah…tu devi essere Nami.”

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Capitolo 2
*** Roommates ***


Capitolo 2
Roommates


La porta si aprì e una luce brillante proveniente dall’interno la accecò per qualche istante…
“Ah…tu devi essere Nami.”
Si schermò gli occhi con una mano, cercando di mettere a fuoco la figura controluce che aveva appena parlato.
Una volta abituatasi alla luminosità della stanza, riuscì a distinguere la persona di fronte a sè: appoggiata alla porta c'era una ragazza poco più bassa di lei, con lunghi capelli turchini e un'espressione amichevole in volto.
"Uh..si..si sono io."- rispose con fare stanco.
"Ben arrivata!"- l'accolse l'altra ragazza stringendola improvvisamente in un abbraccio- "Io sono Vivi, una dei tuoi compagni di stanza. Ti stavamo aspettando!"
Nami la guardò con un'espressione confusa dipinta in volto.
In che senso la stavano aspettando? Compagni di stanza?
Che diavolo stava succedendo?
Indietreggiò scostandosi dalla ragazza di nome Vivi e strinse a sè la pesante valigia che teneva al suo fianco, quasi come se questa potesse proteggerla da qualcosa.
"Aspetta...credo ci sia un malinteso, io non..."- rispose ditubante.
"Hai detto di essere Nami,no?"
"Certo, ma.."
"Allora non c'è nessun malinteso. Hai un posto prenotato in questo appartamento, ho anche il contratto che lo prova. Ecco, guarda..."- Vivi afferrò un foglio che teneva su un comodino lì vicino e le passò il contratto-"Controlla pure se vuoi."
Nami le prese il foglio dalle mani e scorse con gli occhi il contratto in lungo e in largo, cercando qualcosa che potesse smentire quanto detto da Vivi poco prima.
Con sua sorpresa invece, la ragazza non si era sbagliata.
Nell’ultima riga del contratto aleggiava una piccola scritta in grassetto:

 
“… si prega pertanto di liberare una delle camere, che a partire dalla
prossima settimana verrà riservata alla sig.na Nami.”

                                                                                                                                            G.T.

 
Continuò a fissare il foglio confusa, mentre nella sua testa si affollavano mille pensieri.
Non aveva mai richiesto di coabitare con qualcuno, tantomeno chi le aveva consegnato quel biglietto le aveva preannunciato nulla del genere; anzi, a dire il vero non ricordava neppure chi fosse stato a consegnarle quel vecchio pezzo di carta.
E poi, cosa potevano voler indicare quella G e quella T con cui si firmava lo stipulatore del contratto?
Strinse il foglio visibilmente irritata, nessuno l’aveva interpellata prima di prendere quella decisione per lei e tantomeno sapeva cosa fare da quel momento in poi.
“Qualcosa non va?”- chiese Vivi vedendola turbata.
“No..nulla.”- rispose Nami scrollando la testa.
‘ Maledizione!’- disse mentalmente fra sé e sé.
“Vuoi accomodarti? Invece di parlare qui alla porta, possiamo parlare dentro se preferisci.”- Vivi le sfilò la valigia dalle mani vedendo che Nami appariva sfinita sia dal viaggio che dalla pesantezza del bagaglio.- “Vieni, seguimi pure.”
Scossa e stanca come non mai, non rispose nemmeno e si limitò a seguirla dentro l’appartamento, sfilandosi poi lo zaino logoro dalla spalla e adagiandolo sull’uscio.

Appena entrata nell’ingresso, anche le sue speranze che almeno l’interno dell’edificio fosse in buono stato, vennero infrante in pochi secondi.
L’appartamento era sì grande, ma era stato ricavato da un vecchio magazzino situato nel piano più alto dell’edificio e conservava ancora le vecchie pareti spoglie che un tempo ospitavano scaffali contenenti chissà quali prodotti, il soffitto era solcato da molte crepe ed il pavimento di vecchio linoleum polveroso non si presentava certo meglio.
Per certi versi le ricordava la sua vecchia casa.
Ma certo,non avrebbe definito “casa” la topaia dove si trovava in quel momento.
Vedendo la sua espressione disgustata, Vivi si scusò timidamente, assumendosi la responsabilità di spiegarle la situazione.
“Sì mi rendo conto che forse non è il massimo come sistemazione… però posso assicurarti che vivendoci non è così male come sembra…”- raccolse una lattina mezza rovesciata da terra –“ Per il prezzo è conveniente, specie per gli studenti che vengono qui a studiare a Sabaody e che non hanno un gran sussidio economico.”
“Ma … chi affitterebbe mai una cosa del genere a qualcuno?!”- rispose Nami, posandosi una mano sul naso e la bocca,non appena un miasma fetido le arrivò diritto in faccia.
Grattandosi una guancia con fare imbarazzato Vivi si scusò di nuovo.
“Questo non ha a che fare tanto con l’appartamento in sé, quanto con chi vi abita. Gli altri inquilini diciamo che non sono del tutto… civili, ecco. O perlomeno non credo conoscano tutte le regole base della buona convivenza.”
‘Oh fantastico’- pensò Nami.- ‘Chissà chi sono gli elementi che vivono qui; che vengano da Zou? Lì sono tutti dei veri e propri animali…’
Come in risposta alle sue domande, la porta dietro di lei si spalancò di colpo, e quattro figure si palesarono all’uscio.
“Ho per caso sentito una voce di donna?!”- gridò uno di loro, fiondandosi subito dentro l’appartamento.
La rossa non fece nemmeno in tempo a chiedersi chi fosse, che di colpo si ritrovò ai suoi piedi un uomo intento a farle il baciamano.
“Oh Mademoiselle, ero certo di avere sentito una delicata e melodiosa voce di donna oltre a quella della sublime Vivi-chwan … !” – disse l’uomo chinandosi a baciarle il dorso della mano, che Nami sfilò via prontamente.
“Ma chi diavolo siete?”- chiese allontanandosi  e mettendosi al fianco di Vivi, la quale sembrava già abituata a quel tipo di spettacolo.
“Nami lui è Sanji, uno dei coinquilini.”- disse la giovane, indicando l’uomo inginocchiato davanti a loro.
Vivi-chwannn sono estremamente lieto che tu abbia portato in questo luogo indegno un’altra tale bellezza a deliziare questi occhi stanchi.”- rispose lui facendo un’inchino.
Nami prese ad osservare il nuovo arrivato, pur cercando di stargli lontana a “distanza di sicurezza”: era un giovane biondo, alto, con penetranti occhi azzurri, pizzetto e sottili baffi ben curati, doveva avere poco più che vent’anni come lei. I suoi modi di fare galanti e il suo vestito tirato a lucido, si addicevano più a quelli di un wannabe-principe che a un possibile abitante di quella catapecchia; tuttavia l’unica cosa che stonava con il complesso, era il sopracciglio non coperto dal ciuffo dorato, il quale rientrava tra quelli più bizzarri che avesse mai visto in vita sua.
Dietro di lui altre tre figure emersero fuori dal buio delle scale.
Tre ragazzi particolari quanto il primo, si disposero a ventaglio davanti all’uscio; il primo a farsi avanti fu il più basso di tutti, il quale doveva avere circa diciannove anni o giù di lì, con corti capelli neri,occhi altrettanto scuri ed una vistosa cicatrice sotto l’occhio sinistro; il piccoletto calandosi in testa un vecchio cappello di paglia, si fiondò ad abbracciarla sorridendo come un ebete.
La sua stretta, nonostante il suo fisico apparentemente mingherlino, era estremamente forte e Nami si sentì soffocare di colpo.
“L-levatemelo di dosso,maledizione.”- gridò cercando di allontanarlo piantandogli una mano in faccia.-“MA CHE PROBLEMI HAI?!!”
Sentendo che il suo benvenuto non era stato gradito, il ragazzo sciolse l’abbraccio pur continuando a ridacchiare fra sé e sé.
“Sono Monkey D.Luffy, ed un giorno sarò Re dei…”
Non riuscì a finire la frase che un pugno lo colpì alla testa, facendogli mordere di scatto la lingua;mentre il ragazzo presentatosi come Luffy continuava a tenersi la lingua morsicata e lamentandosi per il dolore con nessuno in particolare, chi lo aveva colpito si scusò per il comportamento dell’amico.
“Ah ecco, mi spiace per quanto successo,ma ogni volta che attacca con questa storia del diventare Re dei.. beh diventa piuttosto fastidioso diciamo.”- disse il terzo ragazzo nel presentarsi anche se quel naso che si ritrovava, a detta di Nami, non aveva bisogno di presentazioni.-“ Io sono Usopp, vivo qui assieme ai miei compagni di stanza.”
Capelli afro, naso a grissino e salopette ampia in tela. Un vero personaggio.

Quasi quanto l’ultimo a presentarsi, o meglio a non presentarsi e a snobbarla del tutto.
“E’ avanzato del liquore nella dispensa?”- disse rivolto a Vivi, passando accanto a Nami senza degnarla nemmeno di uno sguardo.
“Non credo “- rispose Vivi scuotendo la testa- “L’ultima bottiglia l’hai finita tu ieri sera, Zoro.”
“Ehhh? Impossibile, ce n’erano ancora ieri, lo ricordo benissimo!”- disse lui incredulo.
“Se sei ubriaco è facile che dimentichi cosa fai…”- mormorò Vivi sottovoce.
“Oi, ti ho sentita benissimo.”- controbattè lui scoccandole un’occhiataccia.
Zoro?
Ah dunque era quello il nome del gran cafone che l’aveva palesemente ignorata.
“Zoro… non ti sei nemmeno presentato alla nostra ospite..”- Vivi indicò la rossa, la quale stava in mezzo alla stanza con le braccia incrociate e lo sguardo severo.
“Ah? Chi quella?”- chiese Zoro indicandola- “Non c’è nemmeno bisogno di presentazioni, ancora un paio di giorni e se ne andrà via come le altre ragazzine prima di lei,è tempo perso.”- concluse scrollando le spalle, e stirando le braccia si avviò verso una delle stanze.
Tirò un grido di sorpresa quando due mani incredibilmente forti, lo trattennero per la maglia ed in men che non si dica, si ritovò faccia a faccia con la ragazza che aveva appena bistrattato, due occhi intensi color nocciola che ardevano di rabbia.
Inghiottì a vuoto.
‘Cosa diavolo..?!’
RAGAZZINA? TEMPO PERSO? QUELLA?!!! Caro il mio piccolo idiota, sappi che non ho fatto giorni di viaggio per venire fin qui, essere derubata, stanca all’inverosimile, ritrovarmi a mia insaputa a condividere la casa con perfetti sconosciuti e venire persino trattata in questo modo da un qualsiasi imbecille come te!”- concluse dandogli uno schiaffo sonoro che riecheggiò per le spoglie mura dell’abitazione.
“MA CHE DIAVOLO TI PRENDE?! SEI COMPLETAMENTE FUORI!!”- gridò lui di rimando tenendosi la guancia dolorante, dov’era rimasta impressa l’impronta della mano di lei.
Quella piccola strega sapeva dare ceffoni degni di un’uomo.
“Fuori? Non sono io quella ad avere i capelli simili ad un’alga.”- rispose Nami incrociando le braccia, con un sogghigno soddisfatto dipinto in volto.
“Maledetta..!”- Zoro si passò una mano fra i capelli, spazzolandoli come se la rossa con le sue parole li avesse offesi e lui dovesse rassicurarli.
Vivi si frappose fra i due separandoli.
“Ragazzi.. ragazzi, smettetela. Non mi pare il momento adatto per discutere. Stavamo dando il benvenuto a Nami,no?”
I due ragazzi si guardarono con aria di sfida.
Fu Zoro stranamente a cedere e a deviare lo sguardo.
“Bah. Fate quello che vi pare. Io vado a farmi una doccia”- prese la sua giacca dal divano lì vicino e si avviò verso il bagno, non prima di avere scoccato un’occhiataccia generale di avvertimento- “Guai a chi tocca il mio liquore, siete avvertiti.”
Richiuse a porta con violenza.

Sospirando, Vivi si rivolse a Nami e agli altri che erano rimasti a guardare.
“Zoro non sarà dei nostri a quanto pare, ma possiamo divertirci ugualmente fra di noi. Sanji, potresti preparare qualcosa per noi?”
Il biondo scattò subito sull’attenti.
“Certo ma’am, ai suoi ordini.”- rispose facendo un breve inchino e sparendo nella cucina.
“Vedi Nami, Sanji è il nostro cuoco, viene da lontano ed è venuto qui con la sua nave-ristorante, il Baratie. Tuttavia il suo patrigno vuole che si faccia un’esperienza qui da solo, quindi non lo ospita a dormire nelle cabine del Baratie.”
“Vivi noi come possiamo aiutare?”- chiese Luffy, infilandosi teatralmente un dito nel naso.
“Potreste preparare tu e Usopp la tavola, ma prima… levati quel dito e vai a lavarti, per favore.”
Annuendo i due sparirono verso la sala da pranzo, ignorando l’ultima richiesta.
Finalmente sole, Vivi si rivolse a Nami.
“Bene direi che puoi andare nella tua stanza…che è anche la mia comunque.”- disse indicandole la camera da letto- “Riponi pure le tue cose, ti aspetto qui, fai come fossi a casa tua.”
“Grazie.”- rispose Nami con un sorriso stanco.
Effettivamente non vedeva l’ora di potersi riposare un po’, era stata una giornata piuttosto intensa.

Improvvisamente si ricordò di una cosa importante.
“Nojiko!!...Maledizione, avrei dovuto chiamarla prima,ora sarà preoccupata…!”- entò nella stanza mentre componeva velocemente il numero della sorella.
Dopo secondi di attesa una voce familiare rispose dall’altra parte del telefono:
“Pronto, Nami?!”
“Nojiko..! Scusami ho dimenticato di chiamare, io..ho avuto qualche problema qui e..”
“Stai bene? E’ successo qualcosa?”
“Nulla di grave, non preoccuparti.”- disse ripensando a tutti i Berry rubati-“ La traversata è stata più lunga del previsto ma il resto del viaggio è andato liscio.”
“Dove sei ora?”
Bella domanda. Dove diavolo era finita?
“E’ una storia lunga. L’importante era farti sapere che sono arrivata, ci sentiamo presto.”
“Va bene Nami…chiamami al più presto. Ti voglio bene.”
“Anche io..”- chiuse la chiamata, e lanciò il telefono sul letto.
Casa.
Non avrebbe definito casa nemmeno quella stanza, ma perlomeno sembrava più pulita e arredata delle altre: una camera piccola, con due letti ai due opposti della stanza, un armadio per riporre i vestiti ed una scrivania fra i due letti.
Minimal, avrebbe detto un’arredatore di interni.
Meglio che nulla,pensò lei.
Disfò le valige mentre continuava a ripensare a quel contratto.
Chi diavolo era G.T?
Era stato lui a darle quel biglietto tempo addietro?
Provava a ricordare ma nessun ricordo le pervenne alla mente.
Meglio godersi l’attimo e gustarsi qualcosa in pace, avrebbe pensato al resto la mattina dopo.
 
Uscendo dalla stanza, trovò Vivi ad aspettarla.
“Pronta per la festa di benvenuto?”
“Festa?”
“Si abbiamo organizzato un piccolo rinfresco per te… beh non sarà certo una festa vera e propria,ma io e i ragazzi ci tenevamo a prepararti qualcosa.”
“Anche il Marimo scorbutico?”
“Zoro… è difficile. Ha un carattere duro ma sa essere una persona gentile. Quando non è ubriaco.”- concluse con una risata.
Vivi la prese per il braccio e la trascinò verso la sala da pranzo.
Nami si bloccò per lo stupore.
Nonostante lo squallore tutt’intorno, quella tavola pareva fosse arrivata direttamente da una delle sale da pranzo di Marijoa: tovaglie meravigliosamente decorate, stoviglie di qualità, e pietanze mai viste, dalle quali si propagava un profumo squisito ed invitante.
Sanji corse verso di loro, tenendo fra le mani un vassoio carico di stuzzichini.
Nami-swannnn, Vivi-Chwannn, è tutto pronto aspettavamo solo voi. ♥”
“Io…”- provò a dire Nami con un filo di voce- “…non so davvero cosa dire. E’ fantastico, davvero.”
Mai nella sua vita aveva ricevuto un pensiero inaspettato e gentile come quello.
“Ah ma figurati! Per noi è un piacere avere una nuova compagna a bordo.”
“Coraggio signorine ( e voi due scansafatiche)”- disse Sanji scoccando un’occhiata alle facce fameliche di Usopp e Luffy- “ servitevi finchè è caldo!”
 
“… e così vuoi diventare il Re dei…”
“Bahahah smettila.. lo sai che poi non smette più…”
“Eh ?? Chi sarebbe il fastidioso?”
“Tu ovvio… è da quando sei qui che rompi con questa storia..”
“Ragazzi..”
“Bah… intanto tu cosa vuoi fare? Le tue barzellette fanno schifo.”
“Almeno io non cerco il blu coso..come diavolo si chiama..”
“Ragazzi.”
“Le tue avventure sono un mucchio di balle.”
“Come ti permetti io sono…!”
“Io sarò Re dei..”
“RAGAZZI!”
Erano passate ore dalla festa per l’arrivo di Nami, e fra un drink  l’altro, qualche chiacchierata e bicchieri di vino, si era fatta tarda notte; tutti i ragazzi presenti erano ormai stanchi, ma il brio dell’alcool continuava a farli parlare nonostante i loro corpi fossero già andati a dormire da un pezzo.
Solo Nami e Vivi erano le più lucide, e tentavano di convincere i ragazzi ad andare a riposarsi da un’altra parte che non fosse il linoleum puzzolente del salotto.
“Coraggio Sanji…Luffy,Usopp… credo abbiate dato abbastanza per oggi.”- disse Vivi alzandosi e stitracchiandosi le membra intorpidite.- “Ti aspetto nella stanza… se mi trovi giàaddormentata, non preoccuparti, sono solo davvero stanca oggi.”
Rimasta sola in compagnia dei tre ragazzi semi-coscienti, si strofinò gli occhi stanchi.
“Forse è meglio che vade.”
Erano le 3:56 di mattina.
Decisamente sarebbe stato meglio andare a letto.
Fra la stanchezza e l’alcool, maledisse il solito principio di mal di testa, e a fatica si trascinò via dal divano.
“La stanza… uh…”- avanzò barcollando verso la prima stanza davanti a lei.
Aprì la porta schermandosi dalla luce della lampadina posta al centro del soffitto, che ad ogni occhiata le comportava un ulteriore pulsazione dolorosa in testa.
‘Vivi ?...’- si chiese guardandosi intorno. Della ragazza non c’era traccia.
‘Che sia in bagno forse..’- disse scrollando le spalle.
Beh, ovunque fosse non importava. L’unica cosa che voleva in quel momento era buttarsi su quel dannato letto e risvegliarsi se necessario,anche il giorno dopo.
Si lasciò cadere sul piccolo materasso che accogliendola, la lasciò cadere rapidamente tra le braccia di Morfeo.
 
Un rumore le fece aprire gli occhi.
Un lieve rumore di passi proveniente dalla porta si stava avvicinando alla stanza.
‘ Che sia Vivi?’- si domandò ancora tra il sonno e la lucidità.
La porta si aprì piano, i cardini arrugginiti scricchiolarono sinistri, lasciando qualcuno entrasse piano nella camera.
Non vedeva nulla percepiva solo la presenza di qualcuno, lo sentiva respirare piano come per non far rumore, il frusciare di qualche indumento che cadeva a terra.
‘ Vivi sei tu..?’
Sentì il suo respiro più vicino, qualcuno che cercava di insinuarsi nel letto.
Si irrigidì non appena una mano le sfiorò il fianco, e altrettanto fece l’altro individuo.
Cercò di spostare velocemente il lenzuolo per tirarsi a sedere, ed una luce improvvisa si accese, finendo per accecarla per qualche secondo.
Riaperti gli occhi non ancora abituati alla luce,riuscì solo a distinguere la sagoma di un uomo, con metà dei vestiti ancora addosso il quale sembrava la stesse fissando confuso.
“Chi..?”- pensò mettendosi a sedere.
“Quello è il mio letto. Tu chi sei?”

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Capitolo 3
*** Nightmare ***


Capitolo 3

Nightmare


“Quello è il mio letto. Tu chi sei?”

La persona che aveva appena parlato era in piedi dinanzi a lei, e la squadrava con lo sguardo.

Nami tirò a sé le lenzuola come per proteggersi da quella presenza intimidatoria.

“Mi dispiace…io… credevo fosse la mia stanza.”- rispose tirandosi nuovamente a sedere.

“Ti sei sbagliata. In ogni caso la questione è questa: tu sei nella mia stanza, precisamente nel mio letto. Come la mettiamo?”- disse la figura alzando un sopracciglio.

La giovane strizzò gli occhi cercando di mettere a fuoco la persona che aveva di fronte a sé.

Dalla voce poteva dedurre facilmente che si trattasse di un’uomo,e solo con il passare dei secondi, riuscì a distinguere anche il resto.

Un uomo alto, dal fisico asciutto e atletico nascosto sotto la sottile camicia bianca, continuava a fissarla con espressione impassibile.

Alzò lo sguardo e incontrò il suo.

Due occhi grigi e duri come l'acciaio fissavano impassibili la sua figura, erano come due lame di ghiaccio, penetranti e glaciali.

Aveva la carnagione olivastra resa ancora più scura dal pizzetto nero e dai folti capelli neri uniti alle basette che incorniciavano il suo volto stanco.

Nonostante fossero rimasti a fissarsi per poco tempo, Nami avvertì qualcosa di inusuale in lui, come se irradiasse attorno a sè una sorta di strana energia tanto da provocarle un brivido lungo la schiena.

 

 

“Dunque?”- chiese lui nuovamente, spezzando il silenzio che era caduto improvvisamente nella stanza.

Imbarazzata scese piano dal letto ancora assonnata, cercando di sistemarsi la sottile vestaglia che aveva addosso.

“Chiedo scusa, farò più attenzione.”- rispose sistemandosi una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio e raccogliendo i suoi vestiti rimasti a terra.

“Lo spero.”- disse in risposta lui, rimanendo sempre impassibile e socchiudendo gli occhi.

 Nami uscì dalla stanza ancora con quella sensazione di gelo addosso, che rimase anche quando l’uomo richiuse la porta della camera con un suono secco, mettendo fra sè e lei la stanza.

'Un'altro coinquilino...?'- pensò lei, ancora a mente non totalmente lucida, intorpidita dal sonno.

Poi le venne in mente un particolare a cui non aveva dato grande importanza prima di allora.

Quel pomeriggio appena arrivata, aveva notato una pila di libri sistemati sopra a una vecchia scrivania, che spaziavano dai tomi di botanica medicinale del sig. Heracles ai famosi saggi di medicina della celeberrima dottoressa Kureha, e tanti altri ancora.

Tutti i volumi erano rilegati perfettamente nonostante dalle pagine ingiallite si evincesse che non fossero recenti, ed erano stati impilati dal più grande al più piccolo con una cura maniacale.

Tuttavia, era sicura che non appartenessero a nessuno dei coinquilini che aveva conosciuto quel giorno: Sanji era un cuoco, il Marimo non aveva certo l’aria di essere un secchione acculturato e lo stesso potava dirsi per Luffy, mentre Usopp era un’artista quindi dedicava più tempo a pennelli e tele che ai libri.

Aveva pensato inizialmente che potessero appartenere a Vivi, la quale sembrava essere la più istruita del gruppo, ma quest’ultima proprio la sera prima durante la cena aveva affermato che stava studiando scienze politiche, pertanto i libri visti poche ore addietro non potevano appartenere nemmeno a lei.

Nella testa le era balenata l’idea che potesse effettivamente esserci un sesto coinquilino, ma nessuno durante la serata vi aveva nemmeno lontanamente accennato, perciò aveva quasi accantonato quell’idea.

Ora però aveva la certezza che la sua ipotesi fosse effettivamente fondata.

Ma chi era? Come mai nessuno degli altri le aveva parlato di lui?

Nonostante la sua curiosità fosse enorme, il sonno e la stanchezza della giornata precedente ebbero la meglio su di lei; non appena trovò la stanza sua e di Vivi, situata proprio accanto alla stanza del nuovo arrivato, si addormentò prima ancora che la testa toccasse il cuscino.

 

Anche quella sera sente il battito aumentare, il cuore si muove nel petto sempre più veloce.

Aspetta che il sipario si apra, ma non succede nulla.

Lei continua ad aspettare, attende per attimi infiniti, aspetta il drappo rosso che la separa da tutti si apra e che tutti possano vederla.

Ma non succede.

Di colpo sente un rumore metallico sopra la sua testa, alza lo sguardo per capire da dove provenga ma non appena prova a farlo, una pesante gabbia di ferro cade sopra di lei, imprigionandola.

Lei è confusa, non comprende perché stia succede do

Vaga disperata da una parte all’altra della sua immobile prigione, cerca una via di fuga.
Solo in quel momento, il sipario si apre, sì, ora il drappo rosso che la separa dagli sguardi del pubblico non può più proteggerla.
Questa volta non c’è il silenzio ad accoglierla.

Dapprima è solo una, debole e lontana.

Ma di colpo cominciano ad aumentare, più forti, sempre più forti.

Le risate agghiaccianti di quelle ombre scure dinanzi a lei la travolgono, la colpiscono lasciandola a terra, le prosciugano persino la voglia di rialzarsi e fuggire.

Dove potrebbe andare comunque?

Una sensazione gelida attorno al collo le manda un brivido lungo la schiena.

Porta le mani verso la gola e sente premuta sulla sua carne una pesante catena che la tiene prigioniera.

Ora non può correre da nessuna parte, le è concesso solo di rimanere lì alla mercè delle risate.

Li vede indicare qualcosa vicino a lei, sente un’ odore acre, ferroso e penetrante arrivare alle sue narici, una sensazione strana le accappona la pelle, percepisce un rivolo di liquido caldo e viscoso scorrerle lungo la schiena.

Con orrore dipinto in viso, si volta a guardare dietro di sé.

Un paio di ali, tagliate via dall’attaccatura alle scapole, giacciono sul palco sporco di sangue, immobili.

Un grido di dolore e spavento le si ferma in gola, sbarra gli occhi sconcertata, una paura si impossessa di lei, la tiene stretta in una morsa gelata.

Di nuovo, è successo di nuovo.

Si copre gli occhi, non vuole vedere, ormai conosce quella scena a memoria.

Sente una canna di pistola premuta contro la sua testa.

E’ arrivato il momento, ma non vuole guardare, tanto presto sarà finito tutto.

Non versa lacrime, non ne ha più nessuna da versare.

Chiude gli occhi, stringe le esili gambe a sé e accetta la fine. 

 

Un sottile raggio di Sole filtrava dalla finestra illuminando la piccola stanza spoglia, mentre al di fuori la brezza fresca proveniente dall’oceano smuoveva dolcemente le fronde delle alte Yarukiman che si stagliavano verso il cielo, divenute il nido preferito di centinaia di news coo.*

Il tepore del mattino riscaldava le guance di Nami che, abbracciata al suo cuscino, nascondeva la testa cercando di ripararsi dalla luce per poter dormire ancora un po’.

Erano anni ormai che non riusciva a concedersi le giuste ore di riposo, e lo si poteva evincere dalle scure occhiaie e lo sguardo stanco, più adulto e spossato.

A soli ventuno anni sentiva di sembrare molto più vecchia di quanto non fosse in realtà, e questo non poteva senz’altro giovare alla sua autostima che, per quanto fosse alta, rimaneva sempre quella di una giovane poco più che adolescente, con le sue piccole insicurezze e quant’altro.

Tutta colpa di quei maledetti incubi.

Per quanto tempo avevano ancora intenzione di perseguitarla?

Si tirò il lenzuolo sulla testa, nella speranza che il tessuto sottile riuscisse a schermare anche di poco la luce che continuava a darle fastidio, ma senza risultati.

'Bello schifo.'- commentò fra sé e sé.

Tanto valeva alzarsi e combinare qualcosa di utile piuttosto che rimanere lì a fare nulla di utile.

In ogni caso, quella mattina avrebbe dovuto chiarire alcune cose, a partire dai dubbi rimasi la sera prima.

Delle voci provenienti dalle stanze adiacenti e dal salotto indicavano che non era l’unica ad essere sveglia.

Si alzò stiracchiando le membra intorpidite e rimase ancora qualche secondo a fissare il pavimento in una sorta di stato catatonico.

‘Ho urgentemente bisogno di un caffè.’- mugugnò a bassa voce rivolgendo la frase a nessuno di preciso.

Come se qualcuno avesse sentito la sua frase, la porta si aprì di colpo ed un’ intenso aroma di caffè invase la piccola stanza raggiungendo subito Nami.

“Nami-swannnn!!”- disse Sanji entrando nella camera mentre teneva agilmente su di una mano un vassoio ricolmo di paste con una tazzina di caffè appena fatto- “Ho pensato di prepararti una speciale colazione da portarti a letto.”

Nami lo guardò sorpresa. Cos’è, aveva un’abilità telepatica forse?

“Ti ringrazio Sanji, ma non c’era bisogno che ti disturbassi così “- disse prendendo una pasta dal vassoio che il biondo le porgeva.

“Disturbo? Quale disturbo Milady? Servire qualcosa ad una tale bellezza è semplicemente un’ onore ed un privilegio per me!”- disse teatralmente inginocchiandosi dinanzi a lei continuando a porgerle il vassoio.

“SANJI! RIPORTAMI QUA I DOLCI, HO FAME!!”- gridò Luffy dalla cucina.

“TI SEI QUASI FINITO LA SPESA PER LA SETTIMANA, UN PO’ DI DIGIUNO NON CREDO TI FACCIA MALE!”- grdiò Sanji in risposta, per poi cambiare espressione e rivolgersi di nuovo a Nami in tono gentile.- “Nami-swannn chiedo umilmente scusa, ma il dovere chiama. Se dovessi avere bisogno di altro sono a tua completa disposizione.”

Con un inchino si congedò, ritornando verso velocemente la cucina.

Rimasta nuovamente sola si sedette sul letto, piluccando le paste lasciate da Sanji e bevendo in un sorso il caffè.

‘Decisamente meglio.’- pensò finalmente soddisfatta addentando un pasticcino allo Jerez.

Oh si, quelle paste erano decisamente veramente deliziose.

 

Seduta nel vecchio divano Vivi stava ricontrollando una grossa pila di documenti con calcolatrice alla mano e taccuino degli appunti accanto.

Nonostante fosse brava a mascherare la preoccupazione, era evidente dal suo sguardo che qualcosa non andava.

‘Non va affatto bene.’- disse ricontrollando l’ultimo foglio che aveva tra le mani. - “Per niente bene.”

Sospirando rassegnata appoggiò anche quel foglio su gli altri appoggiati lì vicino.

“Se non troviamo una soluzione adesso … sarà veramente tardi. Potessi solo fare qualcosa …”

La porta della sua stanza si aprì lasciando passare Nami che reggeva tra le mani uno dei vassoi usati solitamente da Sanji.

Vivi alzò la testa esibendo il suo solito sorriso cordiale.

“Buongiorno Nami. Hai riposato bene?”

“Abbastanza … “- rispose la rossa sbadigliando e sistemando nella cucina il vassoio vuoto.

“Il letto non è dei più comodi, me ne rendo conto …”

“No va benissimo, davvero. E’ stata solo una notte … movimentata, diciamo.”- disse Nami sedendosi accanto a lei.

“Qualcuno dei ragazzi era su di giri per caso?”- ridacchiò l’altra.

“Si abb- ... cosa?! Eh,no no aspetta, non intendevo quello!”- si affrettò a spiegare scuotendo le mani.

“Nami … ti stavo solo prendendo in giro, rilassati.”- si scusò Vivi ridendo.

“Piuttosto… “- disse Nami cambiando discorso ed indicando le lettere impilate a terra – “ Cosa sono quelle?”

Vivi si drizzò alla domanda.

“Ah, quelle? Niente di importante, tranquilla. Solo dei documenti da firmare per la casa. Sai, con tanti coinquilini c’è bisogno di qualcuno che tenga sotto controllo le spese e altro.”- rispose ritirando velocemente i fogli da terra.

Nami fu più lesta ad afferrare uno dei fogli che ancora giacevano a terra e a scorrerlo velocemente con gli occhi.

“… pagamento non avvenuto, pena la paga di pesanti sanzioni ed un conseguente …”- lesse velocemente.

Vivi si lanciò a sfilarle di mano il foglio.

“Una vecchia multa per Luffy! Aveva mangiato in uno dei locali vicino al quartiere della Marina e si era dimenticato di pagare, ma fortunatamente ero nei paraggi e ho provveduto a risarcire il danno! Vedi? Niente di che!”- disse sorridendo nervosamente.

“Ah … bene. Ma non hai detto che questi fogli hanno a che fare con le spese della casa?”

“Diciamo che tengo conto di tutte le spese, anche quelle esterne. Niente di cui preoccuparsi! Gestiamo tutti i coinquilini nel modo migliore, puoi stare tranquilla.”

“A proposito di coinquilini … “- fece Nami assumendo improvvisamente un’espressione pensierosa. – “Hai detto che qui ci sono cinque persone, giusto?”

“Si … anzi, più o meno. In verità siamo in sei qui, ma il sesto inquilino non ama molto socializzare per cui è come coabitare con un fantasma a volte. Sappiamo poco di lui e dal canto suo, non sembra che abbia l’intenzione di farci sapere molto su di sé, nonostante sia piuttosto conosciuto nell’arcipelago.”

“Chi è allora?”- domandò Nami sollevando un sopracciglio.

“Si chiama Law, Trafalgar Law. E’ uno studente di medicina e a detta sua è venuto a Sabaody per studiare nel famoso Ospedale dell’Arcipelago, anche se molti dicono che non sia quello lo scopo della sua permanenza qui.”

“Che vuoi dire?”- chiese la rossa incuriosita.

“Beh io non so se sia vero o siano solo dicerie o meno … “- rispose Vivi avvicinandosi a lei e parlando a voce bassa – “… ma ho sentito dire che abbia fatto qualcosa di grosso e sia nei guai con il Governo.”

“Che cosa? Un medico che commette crimini contro il Governo? E’ piuttosto strano.”

“Le voci dicono che sia per colpa del suo soprannome, pare che sia lui il famoso Chirurgo de-“

Entrambe si girarono di scatto appena sentirono la porta di una delle camere aprirsi di scatto, seguita da una voce arrabbiata che sbraitava frasi concitate.

Zoro si precipitò fuori dalla sua stanza, cercando disperatamente qualcosa.

“Bisogno di aiuto Mr. Bushido?”- gli chiese Vivi alzandosi.

“Nah … quel tipo ha di nuovo messo le mie spade da qualche parte.”

“Intendi il medico?”

“Ah quello. Si proprio lui. Cavoli, quel tizio mette i brividi solo a guardarlo! Ed è decisamente troppo ordinato per i miei gusti.”

“Probabilmente è per questo che preferisce dormire da solo.”

“E che stia solo! Chi diavolo vorrebbe ritrovarsi quel tizio in camera in piena notte?!”

Nami sobbalzò.

Effettivamente non era un’esperienza del tutto piacevole, e lei ne sapeva qualcosa.

“Abbi pazienza Zoro, non si fermerà ancora per molto.”

“Bah, lo spero.”- disse scoccando poi un’occhiataccia anche a Nami.- “ Spero anche non sia l’unico.”

Lei colse la sua frecciatina e rispose dandogli le spalle.

“Oh lo spero anche io. Chi vorrebbe avere come coinquilino qualcuno che spende i propri soldi solo in liquore e che si comporta da vero maleducato con i nuovi arrivati. Per non parlare poi dei capelli algati che sono un pugno in faccia ad ogni minimo di buongusto.”

Zoro si voltò di scatto furioso.

“Brutta strega…!”

“Non ne hai avuto abbastanza ieri?!”

“Ripetilo, avanti!”

“Quando vuoi.”

Nami si alzò andando dritta verso di lui.

Quell’idiota stava superando il limite.

Puntò il dito contro di lui pronta a mitragliarlo di insulti quando un lieve rumore di passi li fece voltare.

Da una delle stanze uscì la stessa persona incontrata da Nami quella stessa notte, questa volta perfettamente in tiro nel suo camice bianco e completo da lavoro impeccabile.

Ora riusciva a notare anche altri particolari del suo nuovo coabitante.

Portava due paia di orecchini dorati nascosti dai folti capelli scuri e dalle basette, mentre al di sotto della camicia lasciata semi-sbottonata sul petto riusciva ad intravedere un intricato tatuaggio nero dal disegno singolare quanto familiare.

Ma la cosa che la colpì di più, furono i tatuaggi su tutte le dita della mano, le cui lettere componevano la parola “DEATH”.

Morte.

Che razza di medico sano di mente avrebbe mai avuto l’idea di tatuarsi una roba simile addosso?

Sentendo il suo sguardo su di sé, il medico ricambiò guardandola dritta negli occhi, regalandole nuovamente un’occhiata gelida.

Nami distolse lo sguardo altrove.

Si sentiva estremamente a disagio e non sapeva dire il perché.

Vivi tossicchiò smorzando il silenzio che era calato improvvisamente.

“Buongiorno Law. Non ti abbiamo visto entrare ieri sera.”- disse alzandosi e rivolgendosi all’uomo.

“Sono rientrato tardi.”- rispose lui secco senza tante cerimonie.

“Se vuoi fare colazione credo siano avanzate alcune paste in cucina …”

“Non ho fame e sono in ritardo. Tornerò questa sera.”- rispose lui prendendo da terra una valigetta scura e incamminandosi verso la porta d’uscita, fermandosi poco prima di mettere piede fuori.- “Sarebbe utile mettere qualche indicazione per le camere, così da evitare sorprese di notte.”

Richiuse la porta dietro di sé.

Nella stanza calò il silenzio e l’unico rumore che si udiva era quello dei passi di Law mentre scendeva le scale.

 

Tutti quelli presenti in stanza si voltarono verso Nami.

Lei rimase impietrita sentendo lo sguardo di tutti puntato su di lei.

‘E con questo sono due. Grandioso.’

Perché diavolo ce l’avevano tutti con lei? Da quando era arrivata non erano passate nemmeno 24 ore e già due persone le avevano chiaramente fatto capire che sarebbe stato meglio non averla fra i piedi in quella casa.

Ora sentiva urgentemente il bisogno di pigliare qualcuno a cazzotti e sfogarsi una volta per tutte prima di esplodere del tutto.

“Conoscevi già quel tizio?”- chiese Zoro indicando con la testa la porta dalla quale era uscito il medico pochi minuti prima.

“No.”- rispose lei socchiudendo gli occhi –“ Non proprio.”

“Eppure quella frase sembrava proprio diretta a te. Che hai combinato?”

“Nulla che ti riguardi.”

“Poco acida eh?!”

“Oh quanto sei noioso. Ieri sera ho bevuto. Poco. Ero stanca ed ho confuso la stanza mia e di Vivi con la sua. Tutto qua.”

“Oooh capisco.”- ghignò Zoro. – “Vedere una strega in pigiama nel suo letto deve avergli fatto perdere quell’espressione apatica per qualche secondo. Devi averlo spaventato davvero eh?”

“Trafalgar ha visto Nami in pigiama?!!”- urlò Sanji dalla cucina- “Che lui sia maledetto!! SAREI DOVUTO ESSERCI IO!”.

Nami sospirò visibilmente scocciata.

La mattinata stava passando velocemente e non era ancora riuscita a combinare nulla di utile, se non a discutere con quell’idiota di Zoro e a chiarire l’identità del sesto coinquilino.

Voleva invece trovare una risposta a quel dubbio rimasto nella sua testa dalla sera prima.

Anzi, a due lettere.

G.T.

 

“Devo fare una cosa.”- annunciò improvvisamente.- “Vivi, potresti darmi quel contratto che mi hai mostrato ieri?”

“Si, certo … per cosa ti serve?”

“Nulla. Vorrei solo fare due chiacchiere con il nostro gentile padrone di casa. Ci sarà un indirizzo o cose simili dove possa essere contattato, no?”

“A dire il vero Nami, non credo.”

“Come sarebbe a dire?”- rispose sarcastica – “Chi non ha uno lumacofono di questi tempi? E poi qualcuno che riesce ad affittare una casa ad altre persone non penso sia così povera da non avere nemmeno una casa sua, specialmente se affitta case su questo arcipelago.”

“Capisco il tuo ragionamento, ha senso, ma quello che ti sto dicendo è la pura verità. Nessuno di noi conosce il padrone, né ci ha mai pagato.”

“Come avete fatto ad ottenere la casa allora?”

“Abbiamo contattato una delle sue assistenti, la signorina Baccarat. E’ stata lei a mostrarci la casa, e a consegnarci il contratto ma non ha fatto parola del padrone. Nessuno a Sabaody sembra conoscerlo.”

“Oppure non vogliono dire nulla.”- sentenziò Nami.

“Non capisco perché sei così sospettosa … ti hanno dato un posto in questa casa e sembra che la cosa ti dia fastidio.”

“No, affatto. Diciamo che sono … incuriosita. Mettiamola così.”- disse facendo spallucce.

Vivi sospirò sedendosi al tavolo e passandole il contratto.

“Non ti capisco Nami. Tuttavia se vuoi vedere tu stessa, il contratto è quello.”

Ringraziando Vivi con un cenno del capo, afferrò il contratto e lo intascò.

“Tornerò presto.”

Prese una borsa appoggiata precedentemente lì vicino e salutò con la mano tutti prima di uscire dall’appartamento.

 

Nascosta nell’oscurità della mansarda vecchia e cadente del palazzo, cercò di controllare il respiro, contando mentalmente finchè non trovò la calma.

Erano passati anni ormai, dall’ultima volta.

Era convinta davvero che fosse tutto finito, ma si era illusa come una povera stupida, ed ora la sua illusione rischiava di ucciderla per davvero.

Aveva sperato di essersi liberata una volta per tutte da quel fantasma del passato, eppure la sua ombra sembrava perseguitarla ancora, non solo più la notte.

Ma quella volta sarebbe stato diverso, non sarebbe scappata, avrebbe fatto lei il primo passo e avrebbe cancellato quella traccia sbagliata del suo passato.

Chiuse gli occhi pregando mentalmente per avere la forza di farcela, ma sapeva che nessuno avrebbe risposto anche quella volta.

Prese il lumacofono e sollevò la cornetta in attesa di una risposta.

Quando una voce profonda e minacciosa allo stesso tempo rispose alla chiamata, si fece forza riuscendo a pronunciare solo una domanda, che riuscisse ad esprimere la rabbia,il dolore e la confusione che provava in quel momento.

“Che cosa vuoi da me?”

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Capitolo 4
*** Pain ***


Capitolo 4

Pain




“Che cosa vuoi da me?"
Le parole uscirono di getto dalla sua bocca non appena la persona dall'altro capo del lumacofono rispose alla chiamata.
Secondi di silenzio seguirono quella domanda tenendo Nami con il fiato sospeso nell'attesa di una risposta, o anche solo di un segno che le permettesse di capire se il suo interlocutore l'avesse sentita o meno.
Il suo pugno chiuso tremava evidenziando ancora di più il palese nervosismo della ragazza, che ad ogni secondo passato senza ottenere una risposta cominciava a sentirsi sempre più confusa e sull'orlo di una crisi di nervi.
Dopo attimi di tempo che erano parsi più come ore interminabili, la stessa voce che aveva risposto inizialmente alla chiamata tornò a farsi sentire, preceduta da una risata gutturale che fece scorrere un brivido lungo la schiena di Nami.
"Quanto tempo... credevo quasi che mi avessi dimenticato."- disse la voce con calma.
Tuttavia Nami colse il sottile velo di minaccia celato dietro quelle parole.
'Chi dimentica è complice.' - disse fra sè.
"Non ho  dimenticato. Ora dimmi solo cosa diavolo vuoi."- rispose lei con tono secco, cercando di tenere sotto controllo la tensione crescente.
Un'altra risata sprezzante giunse alle sue orecchie.
"Con calma, con calma ... dopo tutti questi anni non ti va neppure di chiacchierare ? Non dirmi che non ti sono mancato nemmeno un pò."
"Stai zitto. Non sono qui per fare conversazione, voglio solo una risposta e basta."- la voce di Nami rischiò di tradire il suo stato d'animo.
Dall'altro lato del lumacofono si sentì uno sospiro rassegnato.
"Niente convenevoli dunque. Me lo sarei dovuto aspettare."- il tono derisorio iniziale aveva lasciato posto ad uno più duro.
Nami trasalì.
“Hai ricevuto il messaggio?”- chiese lui diretto.
“Si. Dimmi solo che cosa devo fare, dopodiché…”- Nami socchiuse gli occhi, fermandosi un’attimo prima di riprendere – “…tu sparirai per l’ultima volta. Farò quello che vuoi , ma solo a questa condizione. Chiaro?”
“Sparire dici? Hm … non è nel mio stile darmi alla fuga dopo aver concluso un lavoro. Credo piuttosto che dopo aver portato a termine il tuo compito, sarai TU quella che dovrà sparire.”
La giovane ebbe un tuffo al cuore.
“Sparire io? Perché diavolo dovrei farlo?!”- rispose lei alzando il tono della voce- “Non ho intenzione di scappare di nuovo per causa tua.”
Dall’altra parte l’uomo sogghignò crudelmente.
“Dimmi Nami …”- disse calmo rigirando tra le mani una vecchia pistola, facendola tintinnare contro i numerosi anelli che portava alle dita. – “Ti ricordi di dieci anni fa, vero?”
A quelle parole Nami si sentì trafitta.
Una morsa le strinse lo stomaco ed un senso di nausea l’avvolse di colpo, lasciandola senza fiato.
Avrebbe voluto vomitargli addosso tutto quello che pensava su di lui e di come si sentisse ancora dopo tanto tempo a causa sua, ma al ricordo di dieci anni prima, tutte le parole pronte ad uscire come un torrente in piena, le morirono in gola.
Era frustrante, si dilaniava interiormente, ma non poteva reagire in nessun modo, essendo completamente preda delle sue emozioni.
“Oh andiamo, non credo tu abbia bisogno che ti racconti di quando tua … “- proseguì lui in tono derisorio.
“STAI ZITTO. LASCIAMI IN PACE.”- urlò lei nel lumacofono stringendo il guscio con tutta la sua forza.- “Dimmi cosa vuoi, ma non ti azzardare a toccarli di nuovo. Nessuno di loro vive più nella tua ombra ormai, e così dovrà continuare ad essere. Queste sono le mie condizioni. Non cambierò idea.”
“Ora ti riconosco! Questa è la Nami che ricordo.”- rispose lui compiaciuto.-“ Condizioni dici, eh? Va bene, potrei anche accettarle …”
“Tu DEVI accettarle. Se vuoi il lavoro fatto devi accettare e basta. Non ci sono altre opzioni.”
“… ma  … tutto dipende da te. Porta a termine il tuo compito e io lascerò in pace tutti loro.”
‘Bene.’- pensò lei sentendosi appena sollevata.
Se lui avesse fatto qualcosa a lei, non le  importava.
Ma non agli altri.
Quell’uomo conosceva bene a cosa tenesse lei davvero, dove e come far leva sui  suoi sentimenti, per questo motivo era pericoloso.
“Cinquecento milioni di berry. Un’anno  di tempo.”- disse infine lui, accarezzando pigramente la superficie liscia e consumata della pistola.
“Cosa…?”- chiese Nami incredula.
“Cinquecento. Milioni. Di berry. Tra un’anno esatto.”- scandì l’uomo agitando in aria l’arma come fosse una bacchetta per dirigere un’orchestra.
“E dove diavolo li trovo tutti questi soldi ?! Non stiamo parlando di poche centinaia, è mezzo miliardo di berry! Neppure il governo ha quasi tutti quei soldi a momenti!”- sbraitò lei paonazza dalla rabbia.
“Non preoccuparti, non dovrai prenderli solo al Governo. Ci sono metodi anche più illegali per farlo, ma questo rientra già nel tuo campo mi pare,e sicuramente ne sai più di me in materia. Vero, Gatta Ladra?”- rispose lui accentuando di proposito le ultime parole.
‘ Sei un maledetto..!’
“Naturalmente, nel caso tu impiegassi più tempo …”- premette il grilletto della pistola e uno sparo rimbombò nella stanza, seguito da un gemito.
Il rumore dello sparo si propagò in tutta la soffitta dove si trovava Nami, continuando a spostarsi come un’eco per tutta la sua lunghezza.
‘No…’
“Una vita per un giorno. Saluti da casa.”- concluse lui abbassando la canna della pistola ancora fumante e riagganciando la  chiamata.
<>
 
I cinque minuti più lunghi della sua vita.
Era rimasta a fissare in silenzio il lumacofono ancora tra le mani per cinque minuti senza nemmeno accorgersene.
Aveva la bocca asciutta e lo sguardo perso nonostante stesse fissando costantemente lo stesso oggetto già da un po’.
Le sembrava di essersi dimenticata ogni movimento, le braccia non si muovevano, le gambe parevano essersi pietrificate al suolo.
‘B…’
Dalle labbra secche uscì solo una lettera.
Dai suoi occhi, una lacrima solitaria si fece strada scorrendo sopra ad una guancia fredda.
“Bast…”
La voce le tornò lentamente.
Sporadici e silenziosi singhiozzi la sorpresero non appena le sue mani tremanti lasciarono cadere a terra il lumacofono.
“Sei un bastardo.” -disse piano, senza forza nella voce flebile.
Si accasciò a terra ancora visibilmente turbata.
“Un maledetto bastardo.”- mormorò con voce spezzata.
Era stata una sciocca ad illudersi che i fantasmi del passato non sarebbero mai tornati a bussare alla sua vita, che sarebbe andato tutto bene, pensando di essere finalmente libera.
‘Una stupida … sono stata una stupida.’- strinse i pugni, convogliando in quella debole stretta tutto il senso di dolore e rabbia che  provava in quel momento
Che senso aveva tutta quella situazione?
Le era chiaro che era stato lui a fare in modo che lei potesse trovare un posto dove stare a Sabaody, illudendola di avere  una possibilità per ricominciare da zero quando in realtà, era stato un abile stratagemma per tenerla lontana da casa e costringerla a lavorare ancora una volta per lui ; ciò significava che sicuramente era in combutta con qualcun altro, forse un altro pezzo grosso, probabilmente il proprietario di quella casa.
Tuttavia non aveva la certezza che quelle fossero ipotesi fondate, anzi,  solo vaghe supposizioni.
G.T.’
Nonostante continuasse a pensarci, non ricordava minimamente di aver mai sentito quelle iniziali prima d’ora e soprattutto non capiva che collegamento potesse mai avere con quel bastardo.
Asciugandosi le guance bagnate di lacrime con il dorso della mano, tirò fuori il contratto che le aveva mostrato Vivi il giorno prima, fissando lo sguardo su quella firma al fondo del foglio.
‘G.T. … chi sei?”
 
Il sangue le scendeva lentamente lungo il braccio, impregnando la sottile camicia bianca che la copriva la ragazza, la quale era seduta a terra con le spalle contro una delle pareti della piccola stanzetta.
Un debole gemito sfuggì dalle labbra di Nojiko quando le sue dita sfiorarono il punto nella spalla dove il proiettile si era conficcato poco prima.
“Hai quasi lo stesso caratterino di tua sorella.”- commentò l’uomo seduto al tavolo dinanzi a lei, con i pesanti scarponi appoggiati sul vecchio mobile di legno.
“…”
“Non sei di molte parole oggi vedo. Beh, anche se provassi a parlare penso che ti  verrebbe difficile con quel foro che ti ritrovi. Fossi in te cercherei di fare qualcosa…”
“Sto benissimo.”- rispose lei socchiudendo gli occhi e cercando di rimettersi in piedi, gemendo debolmente ad ogni movimento.
“Non posso assicurarti per quanto.”- lui si limitò ad alzare le spalle rigirando tra le mani la pistola appena usata per spararle contro.- “Sei stata piuttosto coraggiosa, o meglio dire, sfrontata a metterti fra me e il vecchio.”
“Genzo ha già avuto abbastanza dai tuoi amici anni fa. Anche gli altri. Se vuoi prendertela con me sei libero di farlo.”
“Solo se ci trovo gusto nel farlo. E la tua sorellina farà bene a ricordarlo.”
 
Cinquecento milioni.
Nami passeggiava nervosamente per le vie del quartiere residenziale di Sabaody, mordicchiandosi distrattamente le unghie mentre rifletteva.
Una smorfia di dolore apparve di colpo sul suo volto quando notò una punta di sangue apparire sulle dita, sentendo di avere esagerato nuovamente con quel suo tic nevrotico.
Le brutte abitudini.
Ad ogni modo, nemmeno quello riusciva a distoglierla dal suo pensiero fisso, il quale le ricordava che fardello stesse portando.
‘Dove diavolo trovo tutti quei soldi? E soprattutto come?’
In tutta la sua vita non aveva mai visto così  tanti soldi quanti gliene chiedeva il suo aguzzino
Per un’attimo le balenò nella mente l’idea di scappare via da quell’arcipelago, di andare ancora più lontano dove lui non potesse nemmeno rintracciarla, o di far sparire per sempre le sue tracce, per liberarsi ancora una volta dalla sua ombra.
‘E se non mantenesse la promessa?’
No, l’avrebbe mantenuta.
Non era certo uno stupido, non avrebbe azzardato un passo falso.
Eppure nella sua testa risuonava ancora quel rumore secco di uno sparo, seguito da un rantolo di dolore ed un tonfo sordo.
Forse lo sparo era stato solo una strategia per confonderla, metterla in allerta, un’avvertimento di quanto considerasse questione di vita o morte la riuscita di quella missione.
‘Un’anno eh?’
C’era tempo, agli occhi di altri probabilmente sarebbe sembrato anche tanto, ma questo non impediva a Nami di sentire un profondo senso di angoscia.
Tirò fuori dalla borsa che portava a tracollo uno specchietto acquistato poco prima da un vecchio venditore ambulante, con il quale si era intrattenuta per qualche minuto solo per il gusto e l’abitudine di contrattare sul prezzo. E ovviamente, l’aveva spuntata anche quella volta.
Aprì il piccolo specchio portandoselo all’altezza degli occhi.
Rossi.
Trucco sbavato.
‘Oh grandioso.’- pensò sbuffando e richiudendo con un colpo lo specchietto.
Se fosse tornata a casa in quelle condizioni sicuramente l’avrebbero tempestata di domande, e in quel momento, era l’unica cosa che sperava con tutta se stessa di evitare.
Anche se effettivamente, prendere a pugni quell’idiota di Zoro sarebbe stato utile a sollevarle il morale.
Abbozzò un sorriso a quella prospettiva.
‘Non sarebbe una cattiva idea in fondo.’
Ma un’altra idea continuava a tornarle in mente, come se già non avesse abbastanza idee per la testa.
‘E se gli altri sapessero già tutto? Erano già stati avvisati del mio arrivo, perciò è probabile che sappiano qualcosa. Eppure … faccio fatica a credere che una persona come Vivi possa anche solo avere cercato di ingannarmi in qualche modo.’

Un piccolo stormo di news coo e di altre creature alate sfrecciò nel cielo roseo davanti a lei.
Aveva camminato fino al confine della zona residenziale con una parte intatta della foresta di Yarukiman, la quale conduceva verso una piccola zona portuale situata li vicino, e non si era accorta di quanto tempo fosse trascorso da quando si era lasciata alle spalle il vecchio edificio.
In lontananza tra i rami delle antiche mangrovie riusciva a distinguere lo scintillio del Sole all’ora del tramonto sull’Oceano.
Tutto ciò che la circondava era libero, a modo suo.
 
Tranne lei.

 Si sentiva imprigionata in quel posto, come se delle catene invisibili delle quali non possedeva la chiave, la tenessero lì senza possibilità di fuggire.
 ‘Non posso fidarmi di nessuno qui.’- mormorò continuando a guardare quella luce.
Che senso avrebbe avuto tornare di nuovo in quella casa?
Non aveva idea di cosa fare, la preoccupazione non le permetteva di essere lucida come avrebbe voluto.
‘E se loro non sapessero nulla? Se li stessi solo mettendo in pericolo io?’
La ragione non riusciva ad aiutarla, in quel momento l’unica cosa che si era impadronita di lei era la paura, e l’istinto continuava a guidarla verso quella luce distante.
‘Libertà’.
Avrebbe voluto scappare, andarsene via; non voleva che altri dovessero soffrire per causa sua, non sarebbe successo un’altra volta.
La luce continuava a chiamarla a sé, l’infinito dell’oceano sembrava prometterle qualcosa di più bello, prometteva la libertà.
In quel momento di smarrimento, sentiva solo di dover seguire la strada che aveva davanti.
Si voltò verso la casa, notando le luci accese nell’appartamento.
‘Mi dispiace.’
Voltandosi verso la strada che conduceva verso i quartieri più affollati, si dileguò tra le ombre delle case.
 
 

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