Just Friends - solo amici

di Wendy96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Clocks ***
Capitolo 3: *** 2 - Missing Pieces ***
Capitolo 4: *** 3 - As Long Time Ago ***
Capitolo 5: *** 4 - Minigolf ***
Capitolo 6: *** 5 - The Secret Inside Myself ***
Capitolo 7: *** 6 - I'll Stand By You ***
Capitolo 8: *** 7 - Together In London ***
Capitolo 9: *** 8 - A Little Taste of Your World ***
Capitolo 10: *** 9 - Troubles ***
Capitolo 11: *** 10 - Graffiti ***
Capitolo 12: *** 11 – As A Brother ***
Capitolo 13: *** 12 - Nobody Knows ***
Capitolo 14: *** 13 - Upside Down ***
Capitolo 15: *** 14 - Over Again ***
Capitolo 16: *** 15 - Ink ***
Capitolo 17: *** 16 – Learn: Don’t Eavesdrop ***
Capitolo 18: *** 17 - Kneeling By You ***
Capitolo 19: *** 18 - Close Distance ***
Capitolo 20: *** 19 - Different Routine ***
Capitolo 21: *** 20 - Aussie Trip (parte prima) ***
Capitolo 22: *** 20 - Aussie Trip (parte seconda) ***
Capitolo 23: *** 21 – Lullalby ***
Capitolo 24: *** 22 - Cold Ice ***
Capitolo 25: *** 23 – No Way ***
Capitolo 26: *** 24 - Escaper ***
Capitolo 27: *** 25 - New Dawn ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Estate 1998

Era un pomeriggio caldo e afoso come tutti gli altri in quell’estate, ma questo non avrebbe mai impedito alla piccola Darcy Gray di passare la giornata dondolarsi oziosamente sull’altalena del parco giochi vicino a casa incurante del sole ustionante o del fatto che fosse sola. Tutto ciò che le importava era farsi cullare lievemente dall’altalena con la flebile brezza che le scostava dal visino i capelli sfuggitele dalla coda che ondeggiava seguendo i suoi movimenti.
La madre la teneva sotto stretta osservazione seduta su una panchina sotto le fronde di un alto arbusto in compagnia di un buon libro godendosi quegli attimi di pace e silenzio lontana dal trambusto dell’ufficio.
Fissandosi le scarpe, notò un’ombra sconosciuta parsi davanti a lei. Alzò lo sguardo accigliata posandolo sul bambino dai capelli a caschetto che, con l’aria intimidita, le domandò «Posso?» indicandole l’altalena accanto a lei ed occupando il posto vuoto solo quando la bambina acconsentì con un cenno del capo.
Non si parlarono né si scambiarono uno sguardo di sbieco, rimasero entrambi con il capo dritto davanti a loro dondolandosi ognuno seguendo il proprio ritmo.
«Ti… ti va se andiamo a giocare con la palla? L’ha presa la mia mamma» ruppe il silenzio lui fermandosi all’improvviso.
«Sì» rispose lei con semplicità osservando lo sconosciuto che alzò lo sguardo verso di lei regalandole un sorriso timido. «Mi chiamo Darcy» si presentò alzandosi in piedi e tendendo il braccio ritto verso al bambino proprio come fanno gli adulti.
«Harry» rispose lui stringendole la mano.
Si scambiarono un veloce sguardo d’intesa, poi cominciarono a correre insieme nel parco vuoto.
Quello non era un ozioso pomeriggio estivo come ogni altro, era l’inizio di qualcosa di più grande.
 

2000, Primo giorno di scuola

«E se poi i miei compagni mi stanno tutti antipatici?» chiese con voce squillante Darcy ai genitori stringendogli le mani.
«Sei una bambina simpatica, vedrai che piacerai a tutti» la incoraggiò il padre.
Non aveva mai frequentato una scuola pubblica, l’infanzia l’aveva passata tra la casa dei nonni e il baby club privato nell’ufficio della madre, trovarsi tra tutti quei bambini pressoché sconosciuti le diede senso di smarrimento. 
Tutti tacquero nell’attesa di sentir chiamare i propri nomi durante la difficoltosa pratica dello smistamento classi.
Darcy era ansiosissima di entrare. Per tranquillizzarsi diede un veloce sguardo in giro sperando di scorgere qualche viso famigliare, ma niente, erano tutti estranei ai suoi occhi.
Si specchiò in una vetrata dell’edificio dandosi una sistemata al cerchietto verde che portava sul capo seguita da una veloce risistematina all’abito dello stesso colore, poi si soffermò a fissare il suo riflesso sulle scarpe in vernice nera. Era tutto in ordine e si sentiva pronta ad incominciare.
Attese a lungo finché non sentì finalmente chiamare il suo nome e, una volta strette le mani di mamma e papà, entrò nell’edificio. Il cuore le batteva a mille.
Nella nuova classe c’erano già alcuni bambini dai volti sconosciuti e occupò un posto laterale nella lunga fila di banchi messi a U concentrandosi su ogni minimo dettaglio dell’aula.
«Day, guarda chi c’è in classe con te…» le sussurrò ridendo la madre invitandola a portare lo sguardo sulla porta d’ingresso, e lei sorrise quando riconobbe la figura del bambino dagli occhi verdi con il quale giocava al parco giochi ogni pomeriggio.
Riconoscendola tra tutti gli altri, Harry le sorrise precipitandosi ad occupare il posto rimasto vuoto al suo fianco.
 

2004, Holmes Chaple Comprehensive School

«Hai scommesso, Styles, ora non puoi più tornare indietro» disse ridacchiando Darcy con la schiena appoggiata alla parete in cemento.
Ogni volta che suonava la campanella dell’intervallo i due passavano tutto il tempo a loro disposizione in cima a una rampa di scale lontano dagli altri bambini che giocavano nel cortile della scuola. Era il loro “nascondiglio segreto” non segreto quanto credessero.
«No, Jane è brutta. Non posso fare qualcos’altro?» ribatté il bambino con tono lamentoso. «Poi nemmeno tu hai vinto, non hai avuto il coraggio di rimanere nella grotta da sola.»
«Ma io sono una femmina!» si difese lei alzando le mani come in segno di resa.
«Che c’entra?! Io Jane non la bacio se tu non fai pipì nel bagno dei maschi!»
«Che schifo! Mai!» disse con tono disgustato Darcy.
«Hai scommesso, lo hai detto tu.»
«E se trovassimo qualcos’altro da fare?» suggerì la bambina.
Seguì un momento di silenzio nel quale entrambi pensarono a cosa fare che venne poi rotto da Harry che azzardò un «E se ci baciassimo tra di noi? Tu non sei brutta…» arrossendo appena.
Darcy si stupì della proposta e ci rifletté su qualche istante.
«Okay, ma non lo diciamo a nessuno, promesso?» disse mostrando il mignolo.
«Promesso» confermò lui intrecciando il suo mignolo a quello dell’amica. «Ora… non ti muovere…» disse timidamente.
Darcy chiuse gli occhi e distese le labbra rimanendo in quella posizione immobile attendendo che succedesse qualcosa finché non sentì premere sulle labbra.
Aprendo gli occhi, vide quelli di Harry vicinissimi ai suoi. Si staccò dal contatto osservandolo ancora con aria confusa.
«Che schifo!» esclamò Harry strofinandosi con forza le labbra con la manica della felpa.
«Bleah! Il bagno era meglio!»
Darcy prese l’amico per mano e corsero giù dagli altri ridendo come matti.
Nessuno dei due parlò mai più dell’accaduto.
 

2008, band battles

«Che dici, Day, andiamo bene?» le domandò Harry riferendosi a tutto il gruppo. Indossavano tutti una camicia bianca o a righe, e avevano scelto dettagli coordinati, sembravano davvero una vera rock band.
«Sembrate i Blues Brothers con un non so che da gang del Bronx, siete… fichi. Ora mettetevi in posa che scatto» disse Darcy prendendo tra le mani la sua macchina fotografica e, una volta trovata la posa adatta fermi davanti ad una parete di mattoni, scattò la foto.
«Com’è venuta?» chiese Will, il batterista della band nonché migliore amico di Harry, cercando di strapparle la macchina dalle mani.
«Poi la vedrai, no? E ora andate che tra poco tocca a voi» li esortò a raggiungere la mensa.
Harry non seguì il resto del gruppo, rimase fermo alle sue spalle con le mani in tasca a fissarla come se aspettasse qualcosa.
«Tu non vai, rock star?» chiese Darcy voltandosi verso di lui con un sopracciglio alzato.
«Beh? Non mi fai gli auguri?»
«Non ne hai bisogno, Styles, e lo sai, ma se ci tieni tanto… auguri.»
«Tutto qui? Il tuo migliore amico sta per salire su un palco e cantare davanti a tutta la scuola, con rischio figuraccia colossale, e tu dici semplicemente “auguri”? Sei un’amica pessima!»
«Okay, okay, ho capito! Facciamo così…» Darcy si slacciò dal collo sottile una catenina con un piccolo aereoplanino di carta in argento. «Se ti fa sentire più sicuro, questa mi ha sempre portato fortuna.» Si sporse in avanti e l’allacciò al collo dell’amico.
«Grazie, Day!» Sorrise prima di abbracciala, poi corse alla ricerca del resto del gruppo.
Darcy scosse la testa dirigendosi nella mensa pronta ad assistere allo show.
Li aveva sentiti provare molte volte, era certa che avrebbero fatto un successo com’era sicura che era quello il destino di Harry: salire su un palco e cantare.
 

2010, Manchester

«Mi raccomando, mantieni la calma e fa sentire a tutti quanto vali. Io credo in te e sono certa che ce la farai.»
«Sei mia madre, è ovvio che pensi ch’io sia il migliore.»
«Sei il mio bambino, tu sei il migliore.» Anne strizzò l’occhio passando una mano tra i capelli del ragazzo con l’intento di sistemali, gesto che Harry non apprezzò scuotendosi il capo tra le mani e sistemandosi i ribelli ricci all’indietro.
Darcy ridacchio vedendo l’ennesima amorevole scenetta tra Anne e il figlio. Loro erano sempre così affettuosi, e un po’ tutto ciò la ingelosiva: i suoi rapporti con la madre erano a livelli glaciali.
Finalmente Harry si era convinto ad iscriversi ad un’audizione importante e ora erano tutti lì ad aspettare che salisse sul palco davanti ai giudici. Era irriconoscibile tutto teso e tremante, l’esatto opposto di quello che era di solito.
«Day, tu non dici niente?» disse rivolgendosi alla ragazza che fino a quel momento era rimasta in silenzio con le braccia strette al petto.
«Lo sai come la penso, non ho altro da dirti se non spacca tutto.» Sollevò le spalle inclinando lievemente la testa.
«Sei sempre la migliore a fare i discorsi…» Improvvisamente sembrò essersi ricordato di qualcosa che lo fece sussultare. «Sono mesi che continuo a dimenticami di questo…» disse infilandosi una mano nello scollo della maglietta estraendo la collana che gli aveva prestato lei anni prima. «Questa è tua.»
«Oddio, ce l’hai ancora?»
«L’ho sempre indossata.» Le sorrise dolcemente.
Calò un brevissimo istante di silenzio tra loro due e Darcy si sentì arrossire quando si rese conto di avere gli occhi del resto del gruppo puntati addosso.
«Ti ho detto che mi ha sempre portato fortuna e ora mi sembra che quella serva più a te che a me. È un regalo, idiota, non la rivoglio indietro.»
Harry la strinse in un abbraccio tanto stretto quasi da farle mancare l’aria e le sussurrò velocemente all’orecchio «Ascolta le parole. Quello è il mio regalo per te.»
Le stampò un bacio in fronte e si diresse sul palco per eseguire l’audizione più importante della sua vita.
Isn’t she lovely: non avrebbe potuto scegliere una canzone più personale.
E con quella dedica alla migliore amica, Harry lanciò definitivamente la sua carriera nel mondo della musica.
 
 
Estate 2010

«Darcy! Ci hanno presi, Darcy, siamo nel programma!» esultò Harry strillando nel telefono.
Dall’altro capo del telefono l’amica fece del suo meglio per far sembrare la voce il più entusiasta possibile. Non condivideva il suo stesso stato d’animo, o almeno non del tutto.
«Wow! Harry, è meraviglioso! Riuscirò a vederti ancora prima che ti trasferisca là?»
«Sì, sto tornando a Holmes Chapel proprio ora. Ci vediamo stasera?»
«Perfetto, vengo da te.»
 
Harry l’aspettava seduto sul marciapiede davanti a casa con l’aria sognate e un sorriso fanciullesco in volto, un sorriso che si accese ancor più quando vide Darcy arrivare in lontananza con il suo solito passo ciondolante, ma la sua espressione non era di certo felice.
«Ehi, Day, va tutto bene?» le chiese quando lei si sedette al suo fianco.
«Sì…»
«Darcy, ti conosco troppo bene, so che menti. Cosa ti prende?»
«Ecco… c’è una cosa che non ti ho detto, io…» cercò le parole ma senza risultato.
«Hai paura che possa raggiungere una certa fama e dimenticarmi di te? Lo sai che per me sei come una seconda sorella, non succederà mai.»
«Questo non c’entra. Okay, è un po’ strano che ora tutti nel Regno Unito ti sentano cantare mentre prima lo facevi solo per me, però sono davvero felice per te perché questo è il tuo sogno. Ma c’è dell’altro…»
«Cosa, Darcy? Che c’è che non va?» domandò ancora ingenuamente.
«C’è che mi trasferisco!» urlò. Gli occhi presero a pizzicarle per l’imminente pianto.
«C-cosa?!» Era sbalordito, sperava di trovare tracce di finzione nello sguardo della ragazza, che fosse tutto uno scherzo. Non poteva credere che lei fosse seria.
«Sì, Harry, mi trasferisco lontano da qui, a Liverpool.»
«Ma… perché?! Tu sei nata qui, sei cresciuta con me, io… Non puoi!»
«Oh avanti, Harry, ormai sei sulla buona strada per diventare qualcuno e lo farai con o senza di me.» Una lacrima le scese amara da un occhio rigandole la guancia sottostante.
«Darcy…»                                                             
«Grazie, Harry, grazie per tutto ciò che hai fatto per me finora» disse abbracciandolo fermandosi dal parlare per via della voce rotta dal pianto. «Ogni volta che sentirò la tua voce per radio mi ricorderò di tutto ciò che abbiamo fatto insieme e ti prometto che ci rivedremo prima o poi. Realizza il tuo sogno, Harry Styles, canta, e ogni volta che lo farai io sarò con te. Sarò qui» indicò il ciondolo che ancora bandiva al collo, «qui» indicò il suo cuore, «e qui…» Appoggiò le labbra sulle sue come fecero per gioco tanto tempo prima, ma quello fu un bacio diverso. C’erano mille emozioni in uno sfiorarsi di labbra.
Lo strinse ancora immersa tra i singhiozzi, poi corse via lasciandolo lì inerme e sconvolto da quella notizia inaspettata.
 
Tutto era iniziato in un’oziosa giornata estiva anni prima, e fu lo stesso tepore estivo a separarli come foglie sospinte dalla brezza della sera.

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Capitolo 2
*** 1 - Clocks ***


Oggi…


“Valige chiuse, la macchina carica e pronta per partire, … Dimentico qualcosa?”
Un miagolio sommesso mi fece ricordare che sì, stavo dimenticando qualcosa.
«Mel, hai visto Misfit?» domandai alla mia coinquilina uscendo dalla camera da letto.
«È qui con me. Vuoi che lo metta nella gabbietta?» mi urlò in risposta dal salone.
«Mi faresti un immenso piacere.»
Andai nella stessa stanza da dove proveniva la sua voce squillante e assistetti alla scena di lei che lottava contro il mio gatto grigio nel tentativo di infilarlo dentro il suo piccolo trasportino (Smith è un amante della libertà) e, una volta dopo esserci riuscita, me lo porse asciugandosi un rivolo di sudore dalla fronte.
«Mi mancherai, Day, lo sai vero?» disse con già gli occhi lucidi per l’imminente pianto che non si attardò ad arrivare, «E mi mancherà anche questo stupido gatto che mi odia» aggiunse dando un calcetto al trasportino.
«Ehi, sta’ tranquilla, sto solo tornando a Holmes Chapel per rivivere un po’ la mia infanzia, non vado mica in guerra!» la rassicurai col sorriso sulle labbra.
«Sicura di voler tornare nella tana del lupo proprio ora? Insomma, lì non è dove…»
«Ma che c’entra? Sono passati anni, Mel, sono cresciuta e le cose hanno preso una piega completamente diversa da quella di allora. Andrà tutto bene, vedrai.»
Come potevo sperare di rassicurarla? Lei sapeva davvero tutto di me e mi aveva tirata su di morale tante di quelle volte che ormai avevo perso il conto. Lo sapeva meglio di me che nemmeno io ero convinta che sarebbe andato tutto bene.
«Lo spero per te. Comunque vada, io ti aspetto qui» disse incrociando le braccia al petto.
«Tornerò, vedrai, ma fino ad allora mi farò sentire tutti i giorni, te lo prometto» dissi abbracciandola un’ultima volta.
«Allora, buon viaggio, Darcy»
Afferrai la gabbietta di Misfit che miagolò non appena si trovò a dondolare per aria e uscii dalla porta d’ingresso salendo poi sulla mia auto grigio metallizzato. Dopo un lungo sospiro misi in moto e partii.
La macchinina sfrecciava lungo la strada mangiando l’asfalto e lasciandosi alle spalle la città che mi aveva accompagnato durante quegli anni per riportarmi sul famigliare paesaggio di casa.
Certo che ne erano davvero passati anni dal giorno in cui ero stata costretta a lasciare la mia città natale per andare lì, a Liverpool, ed ero cambiata io in tutto quel tempo.
Chissà com’era diventata Holmes Chapel, chissà se qualcuno si ricordava ancora di me, chissà se avrei rincontrato Harry…
“No, Darcy, cancellati questo pensiero dalla mente! È praticamente impossibile che lui sia lì o che abbia voglia di vederti dopo che sei sparita all’improvviso e non hai più risposto a nessuna delle sue chiamate.”
Sapevo che quella mia scelta di tagliare del tutto i ponti tra di noi fosse stata ingiusta e meschina, ma quello era l’unico modo per voltare pagina. Tenermi legata a qualcuno che si trovava a chilometri di distanza non era certo un atteggiamento positivo per me e, soprattutto, non lo era per lui che ora era sulla vetta del mondo.
Riportai la mente all’interno dell’abitacolo dell’auto quando sentii suonare alla radio le prime note decise di Clocks dei Coldplay. Quella canzone faceva parte della colonna sonora della storia di una ragazzina e del suo migliore amico.
Un ricordo mi riportò indietro a quando avevo solo quattordici anni, in un pomeriggio passato con Harry in camera sua:
 
«Questa canzone è stupenda! Alza la radio, veloce!» strillai prendendo a spingerlo per incitarlo ad accontentarmi.
«Agli ordini…» rispose con tono lamentoso alzandosi dal letto e dirigendosi verso la stereo, poi tornò a stendersi accanto a me. Restammo spalla a spalla a fissare il soffitto avvolti dalla musica.
«Adoro i Coldplay, e Clocks è bellissima» dissi spezzando la contemplazione silenziosa.
«Te la dedico, Day.»
Mi voltai a guardarlo e, mettendosi a ridere, cominciò a cantare.
 
«Confusion never stops, closing walls and ticking clocks, gonna come back and take you home, I could not stop that you now know, singing» canticchiai conoscendo quel testo alla perfezione.
Che fosse un segno? Al momento l’unica cosa che m’importava era arrivare a destinazione il più in fretta possibile.
Ricordavo che il viaggio fosse più lungo, invece i verdi prati della mia città comparvero solo alcune ore dopo. Holmes Chapel era esattamente come la ricordavo, così tranquilla e accogliente, l’esatto opposto della movimentata Liverpool.
Parcheggiai l’auto davanti al vialetto che conduceva alla casa che i miei genitori avevano deciso di lasciarmi in affitto sapendo quanto amassi quella città e per me fu quasi un sollievo trovarmi lì davanti. Ero di nuovo a casa, finalmente.
Mi affrettai a scaricare almeno una delle valige e a prendere Misfit per recarmi davanti alla porta d’ingresso in legno lucido poi, dopo aver preso l’ennesimo lungo respiro della giornata, infilai la chiave nella toppa ed aprii. La casa era esattamente come me la ricordavo fatta eccezione per alcuni mobili spostati dagli ultimi inquilini, e l’odore, quell’odore inebriante che a Liverpool non c’era, m’invase le narici.
«Casa dolce casa» mi dissi dandomi una veloce occhiata intorno.
Lasciai cadere il trolley a terra e appoggiai la gabbia del gatto sopra un tavolo prima di tornare all’auto e svuotarla completamente, dopodiché mi dedicai a risistemare la casa. Aprii tutte le finestre cambiando l’aria, spazzai il pavimento, misi tutte le miei cose al loro posto e, ovviamente, liberai Misfit sicura che sarebbe rimasto chiuso in casa nei giorni avvenire per ambientarsi al nuovo luogo.
Quando finalmente finii tutti i miei compiti era ormai giunto il crepuscolo, così decisi di farmi una passeggiata nei dintorni ripercorrendo i luoghi a me cari incominciando da uno in particolare, il più “sacro” di tutti…
Era vuoto il mio parco giochi, non c’era anima viva a quell’ora seppur fosse estate inoltrata. I miei sensi mi guidarono verso la piccola altalena dove occupai il seggiolino nero sulla destra. Essere di nuovo lì mi riportò alla mente il giorno in cui un bambino dai capelli castani e gli occhi verdi era timidamente entrato a far parte della mia vita. Allora non sapevo quanto sarebbe stato importante per me.
Per un certo momento cominciai a sperare che lui arrivasse ad occupare il seggiolino vuoto al mio fianco, poi mi diedi della sciocca per averci pensato, ma mi era inevitabile farlo. Dio solo sa quanto mi fosse mancato ogni singolo giorno.
Tornata a casa, mi gettai sul divano a guardare un po’ di tv con Misfit che non faceva altro che fare le fusa sulle mie ginocchia bisognoso d’affetto e cominciai a fare zapping girando tutti i canali presenti sulla rete. Sembra quasi assurdo che proprio in quel momento dovessero passare un’intervista del gruppo su uno dei numerosi canali musicali che mi apprestai a cambiare, anzi, optai per l’idea che fosse una scelta migliore spegnere definitivamente la tv e andare a letto.
Dovevo essere fresca e riposata per il giorno dopo, il giorno in cui avrei rimesso piede giù in città e avrei cercato un lavoro.
“Questo è il primo giorno della tua nuova vita, Darcy Gray.”
 
Al primo richiamo della sveglia spalancai gli occhi pronta ad affrontare la dura giornata che mi aspettava. Mi diressi stiracchiandomi verso la cucina con indosso solo la larga maglietta grigia rubata ad un amico tempo prima ora adibita a pigiama e dei calzettoni. Diedi da mangiare a Misfit mentre aspettavo che il caffè salisse nella moka.
Al termine del pasto lampo, mi ritirai nel bagno dove mi feci una veloce doccia, m’infilai gli abiti accuratamente scelti il giorno prima, passai un veloce velo di trucco in viso cercando di accentuare l’attenzione sugli occhi nocciola, infine inforcai gli occhiali da sole e uscii di casa.
«Smith, io vado. Ti ho lasciato una ciotola di latte e una d’acqua fresca in cucina mentre la lettiera è nel bagno. Sei un gatto intelligente, so che riuscirai a trovarla.»
Raggiunto il centro della città, feci subito tappa alla Holmes Chapel Comprensive School. Era lì il luogo dove avevo vissuto le prime libertà, le prime cotte, i primi baci, … Baci. A quel pensiero mi sfiorai le labbra con le dita e sorrisi in ricordo di quell’innocente bacio ricevuto a dieci anni. Ricordai anche le splendide giornate passate con i ragazzi, i White Eskimo, e mi chiesi ora che fine avessero fatto.
“Beh, hai tutta la vita davanti per scoprirlo.”
Passai l’intera mattinata a girare per i negozi in cerca di lavoro e, una volta stanca della scarsa ricerca, acquistai un panino e mi sedetti su una panchina per gustarmelo appieno in compagnia di un buon libro. Sembravo mia madre in uno di quei pomeriggi in cui sostava a leggere sotto la grande quercia del parco giochi prima ch’io conoscessi Harry e lei cominciasse a stare in compagnia di Anne.
«Darcy? Darcy Gray?» mi sentii chiamare da una voce nota alla mia destra. Mi voltai verso lo sconosciuto incontrando il volto di un ragazzo dai capelli castani.
«Ti ricordi di me? Sono…»
«Will Sweeney» completai la frase per lui. «Come potrei mai dimenticarmi di te?» dissi sorridendo e facendogli posto sulla panchina prima di stringerlo in un abbraccio una volta seduto.
«Wow, è una vita che non ti vedo! Ma devo ammettere che non sei cambiata di una virgola. Che ci fai qui?» Era chiaramente sorpreso di vedermi e dal sorriso radioso mi parve di capire che era piuttosto contento dell’incontro. Io lo ero, mi era mancato immensamente.
«Sono tornata a casa» dissi con un’alzata di spalle.
«Beh, bentornata! Ma quanto tempo è passato? Sono successe così tante cose dalla tua assenza. Hai più visto…»
«No, ho rotto i legami una volta trasferitami» risposi amaramente abbassando lo sguardo.
«Viene qui ogni volta che può, penso che gli farebbe piacere rivederti. Non l’ha presa bene la tua partenza senza preavviso, e ha sofferto a lungo della tua assenza.»
«Ti prego, non dirgli niente» dissi appoggiandogli una mano sulla spalla quasi in segno di supplica, «Non mi sento ancora pronta…»
«Appena lo sarai, fammi un fischio.» Mi sorrise strizzando l’occhio. Era rimasto il solito Will, per fortuna.
«Ma dimmi, che hai intenzione di fare qui?»
«Vuoi la verità? Non ne ho la minima idea!» dissi ridendo. «Sto cercando un lavoro, uno qualsiasi. Sai se qualcuno ha bisogno di aiuto?»
«Ho sentito che alla panetteria cercano qualcuno con esperienza, ma conosci Barbara, con te farà sicuramente uno strappo alla regola. Vieni, ti ci accompagno.»
Si alzò in piedi e mi tese la mano aiutandomi a tirarmi su.
«Come se non ricordassi a memoria la strada.»
Mi raccontò tutto ciò che era successo in quegli anni, che la band si era sciolta, cosa aveva fatto dopo la scuola, chi si era fidanzato con chi, insomma, proprio tutto quello che mi ero persa e, tra una parola e l’altra, la piccola panetteria comparve davanti ai nostri occhi.
Quella era la sua panetteria, il luogo in cui prima del successo passavamo la maggior parte dei nostri pomeriggi.
Un altro ricordo mi riaffiorò alla mente.
 
«Allora, Harry, la forza è…»
«Qualcosa che riguarda la Terra?» domandò titubante.
«Insomma! Come pensi di passare il test di fisica se non sai nemmeno queste cose basilari?!» lo rimproverai.
Stavamo studiando in quello stesso negozio: lui preparava l’impasto del pane per il giorno dopo e io leggevo la lezione ad alta voce dai miei appunti seduta su un mobile di legno ricoperto da un telo bianco alle sue spalle.
«Almeno sai la definizione di fisica quantistica?» chiesi abbassando il livello delle domande.
«Domanda di riserva?»
«Sei un disastro, e questa è un’affermazione!» esclamai picchiandogli il quaderno sul capo riccioluto, «Se non lo passi ti bocciano! Poi che farai?»
«Se non lo dovessi passare vorrà dire che farò il panettiere per tutta la vita, ma io lo passerò lo stesso perché ho l’amica migliore del mondo che mi farà copiare. Apri la bocca e chiudi gli occhi» m’invitò cercando di cambiare argomento.
«No!»
«Avanti…»
Roteai gli occhi sbuffando ed eseguii la richiesta tenendo gli occhi chiusi finché non sentii un oggetto salato rotondeggiante appoggiarmisi sulla lingua e, una volta averne riconosciuto il sapore, lo addentai avidamente.
«Allora? Sarei o no il miglior panettiere di tutta Holmes Chapel?»
«Decisamente» risposi ingollando la pizzetta. «Ma potresti essere anche un ottimo cantante. Ti ci vedo bene a tappezzare i muri delle camerette delle ragazzine con quella faccia da schiaffi che ti ritrovi» dissi pizzicandogli le guance con pollice e anulare della mano.
«Già, sarebbe un sogno…»
 
«Day? Vuoi stare ancora lì impalata per molto?»
«Oh, scusami. Sai, i ricordi affiorano...»
«Come ti capisco… andiamo, Liverpool.» Utilizzò scherzoso il nome della mia città per riferirsi a me, e in tutta risposta arricciai il naso in una smorfia.
Spinsi la porta a vetri d’ingresso sentendo tintinnare il campanello e, poco dopo, comparì da dietro il bancone la bassa donna dai capelli rossi.
«Posso esserv… Darcy?!»
«Buongiorno, Barbara. Lieta di rivederla.» Sorrisi.
«Come sei cresciuta e ti sei fatta bella!» Sorpassò il bancone per venire a stringermi in un abbraccio estremamente dolce. «Qual buon vento ti porta da queste parti?»
«Nostalgia di casa…»
«Signora B, ha per caso un lavoretto da offrire alla nostra bella Darcy, non è vero?» s’intromise il moro cingendomi le spalle con un braccio.
«Sì, ma non saprei se… oh, al diavolo! Benvenuta a bordo, bambina mia!»
«Davvero? Grazie infinite!» dissi abbracciandola, «Giuro che non la deluderò!»
«Ne sono certa, ma ti prego, smettila di darmi del lei, mi fai sentire ancora più vecchia di quello che sono! Ora mettiamoci subito al lavoro che ci sono tante cose che devo insegnarti, ma se ce l’ha fatta il tuo amico sono certa che anche tu ce la farai.» Mi strizzò l’occhio
La donna si avviò sul retro pronta ad insegnarmi tutto quello che dovevo sapere.
«Will» lo fermai prima che uscisse lasciandomi al mio nuovo lavoro, «ti devo un favore.»
«Nah, non ce n’è bisogno, prendilo come il mio regalo di bentornata. Buon lavoro, Darcy.»
Essere lì mi fece ricordare molte cose e, beh, mi spinse anche a prendere una drastica ma opportuna decisione…

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Capitolo 3
*** 2 - Missing Pieces ***


I miei piedi calpestavano sicuri il terreno come se non avessero mai smesso di percorrere quella strada. Era incredibile come il ricordo fosse rimasto nitido nella mia mente nonostante fossero passati anni; avrei potuto chiudere gli occhi e continuare a camminare, non avrei di certo sbagliato strada.
Non riuscivo a sollevarmi lo sguardo dai piedi, non ricordo un altro momento in cui la mie scarpe siano state tanto interessanti.
Quando finalmente mi decisi ad alzare il capo, i miei occhi si fissarono su quella casa a me troppo famigliare legata insolubilmente ai miei ricordi. Non riuscivo a muovermi, mi strinsi nella felpa tirandomi il cappuccio sopra la testa rimanendo a fissarla come per controllare che non fosse cambiato niente, che il bianco del piano superiore della casa fosse rimasto tale, chiaro e ben distinto dalla parte inferiore in mattoni, che le aiuole fossero ancora squadrate e perfette, che le auto fossero parcheggiate nel vialetto, che le luci fossero accese… Era ancora così, tutto era rimasto esattamente come me lo ricordavo, come se fosse congelata nel tempo. Una cosa sola era cambiata: lui non abitava più lì.
Presi un respiro profondo e mi avviai lungo il vialetto fermandomi nuovamente davanti alla porta d’ingresso laccata di bianco.
“Smettila, Darcy! Vuoi sul serio rovinarti il primo giorno che hai messo piede in questa città?! Lascia che tutto avvenga a suo tempo, torna a casa.”
Quella fottuta vocina nella mia testa aveva ragione, così feci per tornare sui miei passi quando, in un gesto quasi inconscio, mi voltati e bussai ripetutamente alla porta. Orami non potevo più andarmene, ero troppo grande per fare il classico “suona e scappa”.
Attesi qualche minuto ferma sulla soglia, in balia di una lotta che mi dilaniava dall’interno: una parte di me avrebbe voluto che la casa fosse vuota, un’altra fremeva dalla voglia di entrare.
Non potete immaginare la delusione che provai vedendo uscire dalla porta d'ingresso una signora di circa sessantacinque anni, bassa e con degli spessi occhialoni da vista gialli sul naso.
«Posso esserti ulite?» mi domandò guardandomi confusa.
«Oh, ecco… stavo cercando delle persone ed ero certa che vivessero qui…»
«Anne e Robin, intendi?» Sollevò lo sguardo sospirando profondamente.
«Sì» Probabilmente urlai quel "sì", infatti la donna fece un piccolo salto indietro. Chissà cos'avrà pensato, "che ci fa ‘sta squilibrata urlatrice nel mio portico a quest'ora?!".
«Vivono fuori città, nella campagna.»
«Potrebbe darmi l’indirizzo, sempre se ce l'ha» insistetti. Orami mi ero decisa ad incontrali quella sera.
«Penso che non sia la cosa migliore, si sono trasferiti per un motivo» cercò di farsi intendere.
«Oh, non è come pensa! Non sono una fan del figlio, loro mi conoscono da anni, posso provarglielo!» Tirai fuori dalla tasca posteriore dei jeans il portafoglio in cui custodivo, insieme ai documenti, una vecchia foto di me e mia madre con Harry ad Anne al parco l’estate che ci conoscemmo. «Vede? La signora nella foto è la vecchia proprietaria, Anne, e questa sono io.» Indicai prima lei e poi me. «L’ho convinta?»
«Certo…» fece insicura sul da farsi, ma almeno mi accontentò. Dopo essere rientrata titubante in casa, uscì stringendo un fogliettino tra le mani. «Non è molto vicino da qui, quindi…»
«Non si preoccupi, è stata più utile di quanto immagina!» dissi prima di correre via. Conoscevo il nuovo indirizzo, e sì, era lontano da lì, quindi dovevo correre, e anche veloce!
Diciamo che presentarmi davanti a casa loro con il fiatone e i capelli incollati alla fronte per via del sudore non era proprio come avevo immaginato, ma mi accontentai di esserci arrivata in meno di mezz'ora.
Bussai alla porta d'ingresso e attesi che qualcuno venisse ad aprire.
«Sì?» domandò la donna aprendo la porta stringendosi nello scialle color crema che le avvolgeva le spalle.
Notai immediatamente l’espressione di incredulità che le comparve in volto quando mi vide e si portò una mano sulle labbra.
«Anne, sono Darcy» dissi timidamente mordendomi il labbro inferiore sorridendo appena.
Scosse lentamente in capo e mi abbracciò nello stesso amorevole modo con cui una madre stringe a sé un figlio da tempo lontano da casa.
«Darcy, che bello rivederti! Ma che ci fai qui? Perché non ci hai avvertiti?!»
«Sono appena arrivata, Anne, sono qui solo da un giorno.»
Si sciolse dall’abbraccio tenendo comunque le braccia tese davanti a sé appoggiate sulle mie spalle e, sorridendo radiosa, disse «Ben tornata, Day. Tu non immagini quanto ci sia mancata! Ma come hai fatto a trovarci?»
«Sono andata alla vostra vecchia casa e, quando non vi ho trovati, ho chiesto dove vi foste trasferiti.»
«Strano che la signora Arpher te l'abbia detto, non è una molto… socievole.»
«L'ho notato, ma avrà pensato che fossi pazza e che fosse meglio assecondarmi.»
Rise scuotendo il capo, poi si voltò verso la porta lasciata aperta e urlò «Rob, Gemma, venite un po’ a vedere chi si è fatto vivo!»
Sentii dei passi frettolosi provenire dall’interno, poi la sagoma famigliare di Gemma che, nel vedermi, fece un mezzo urletto e mi abbracciò facendomi quasi mancare l’aria.
«Oddio, Darcy? Sei proprio tu? Mi sei mancata così tanto!»
«Anche tu, Gem. Mi siete mancati tutti così tanto.»
Non potei trattenermi dal piangere, rivedere quelle persone così importanti e con le quali avevo condiviso tutta la mia infanzia mi fece sentire incredibilmente felice. Mi sentii finalmente a casa e uno dei grossi pesi che mi portavo addosso sparì facendomi sentire più leggera.
M’invitarono ad entrare, volevano sapere tutto di me e dei miei genitori e per rivangare il passato insieme.
«Che ti ha spinto a tornare?» mi chiese Robin porgendomi una tazza colma di thè bollente. In quel suo gesto notai lo scintillio prodotto dalla fede all’anulare sinistro. Si erano sposati, finalmente.
«Nostalgia di casa e non sopportavo più Liverpool. C’è troppa gente lì!»
«Ammettilo, eri stufa delle troppe avance dei ragazzi di città» scherzò Gemma dandomi una lieve gomitata sul fianco e facendomi cadere alcune gocce di thè sui jeans.
«E i tuoi? Sono venuti con te o…»
«Diciamo che sapevano che prima o poi avrei mollato tutto per venire qui, però hanno lasciato che lo facessi da sola. Non potevano perdere il lavoro per un mio capriccio» risposi alzando le spalle.
«Se vuoi ti adottiamo, abbiamo una stanza libera» disse ridendo Robin, ma capì di aver toccato un tasto dolendo quando mi vide abbassare gli occhi sulla tazza.
«Oh, che stupida! Dobbiamo assolutamente chiamare Harry! Lui sarebbe…»
Il solo sentir pronunciare il suo nome mi fece sussultare.
«Non credo che sia la cosa migliore da fare, mamma» la fermò Gemma, «È piuttosto tardi, non credi?» Mi lanciò un’occhiatina d’intesa.
“Grazie, Gemma. Ti devo un favore immenso.”
«Grazie per l’ospitalità, rivedervi è stato fantastico» li ringraziai alzandomi in piedi.
«Te ne vai già?» chiese Anne con aria dispiaciuta.
«Tra trasloco e il nuovo lavoro sono un po’ stanca…»
«Ti accompagno io, così noi ragazze possiamo chiacchierare ancora un po’.» Gemma mi sorrise, e mi parve di leggere nei suoi occhi di cosa avremmo parlato.
Salutai i signori Twist (beh, ora Anne aveva preso il cognome del nuovo marito) e seguii Gemma in auto.
«Non ti è ancora passata, vero?» mi chiese poco dopo, mentre eravamo per strada.
«Cosa?»
«La cotta per mio fratello. Ho visto come hai reagito quando si è cominciato a parlare di lui.»
«Non parlerei di cotta, quella appartiene al passato, ma è che mi è mancato terribilmente e sono un po’ in ansia all’idea di rivederlo. Non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a lui.»
«Non ho mai capito perché hai deciso di uscire dalle nostre vite così. Ne abbiamo sofferto tutti.»
«Sono dovuta partire così, senza preavviso, e ho fatto in modo di sparire, mi sembrava la cosa più giusta.»
«Nei primi tempi è stato difficile, aveva addirittura pensato di non cominciare nemmeno X Factor, ma poi lo abbiamo fatto ragionare e stare con il gruppo lo ha aiutato a distrarsi. Ogni volta che veniva qui, la prima cosa che faceva era controllare se fossi tornata, il tuo nome era il più frequente a casa nostra e continuava a chiedere a chiunque se avesse notizie di te. Ci è voluto parecchio tempo prima che si autoconvincesse di non poter fare nulla per riaverti indietro, ed ha lasciato perdere.»
«Pensavo fosse la scelta migliore per entrambi» dissi sollevando le spalle. Non ne ero convinta nemmeno io di quello che stavo facendo allora.
«Secondo me è stata una stronzata, ma ti capisco, eri piccola e innamorata, cercavi di proteggerti.»
«Non ero…»
«Mio fratello mi ha detto che lo hai baciato prima di partire, non mi nasconde mai niente.» Voltò il capo verso di me mettendomi con le spalle al muro.
Okay, mi aveva spiazzata e mi sentii le gote avvampare.
«Neanche lui ha mai smesso di pensare a te» aggiunse tornando a guardare dritta davanti a sé. Casa mia era a pochi metri di distanza.
«Ogni tanto, quando torna a casa, esce la sera tardi e viene fino a qui a piedi. Semplicemente esce di casa in silenzio e si fa due passi da solo. Credo che lo aiuti.» Sospirò.
La cosa mi spiazzò. Avevo sempre pensato al mio di dolore, non mi ero mai chiesta se anche lui ne avesse sofferto, se avesse pensato a me tanto quanto io ripensavo a lui.
«Grazie per avermi accompagnata, Gemma» dissi aprendo lo sportello dell'auto.
«Sei come una sorellina per me, e poi volevo farmi questa chiacchierata sola con te. È stato bello rivederti, Day, promettimi che non sparirai di nuovo nel nulla.»
«No, mai più.»
Ci stringemmo in un altro lungo abbraccio prima che scendessi dall’auto.
Entrai in casa e mi lasciai sprofondare sul divano; i miei pensieri erano un turbinio senza controllo.
Non pensavo che gli avessi fatto quell’effetto, insomma, per un momento ha pensato di mandare a puttane la sua carriera! Mi sentii terribilmente in colpa.
Misfit comparve miagolando nel buio e mi saltò sulle ginocchia facendo le fusa in cerca di coccole. Per quanto strano fosse, quel gatto sapeva sempre quando avevo bisogno di compagnia.
Ripensai a tutte le persone riviste in quella giornata, ad Anne e Robin, alla chiacchierata con Gemma, e senza che me ne rendessi conto sprofondai in un sonno profondo su quello scomodo divano impolverato.
I pezzi stavano tornando tutti al loro posto come i tasselli di un puzzle, e ora ne mancava solo più uno, il più duro da sopportare, ma ormai ero certa che presto avrei fatto i conti con quel fantasma del passato che aveva vissuto nei miei ricordi fino a quel momento rendendo la mia vita un continuo “e se…”
Ero pronta?
 
***Squillo del telefono…***
«Pronto?»
«Harry, mi senti?»
«Cosa?! Aspetta…»
Attesa. Dall’altro capo del telefono si sentono solo delle voci distanti e della musica ad alto volume in sottofondo. Forse si trova in un locale con gli amici.
«Ora ti sento. Che c’è?»
«È tornata in città.»
«Chi?»
«Darcy. È qui.»
Altra attesa, ma questa volta l’unico suono proveniente dalla cornetta dell’interlocutore è il suono del suo respiro spezzato e quello di un ingoio di saliva. Probabilmente la notizia deve averlo spiazzato.
«Da quanto tempo?»
«Ieri, o forse oggi… non lo ricordo.»
«O-okay. Grazie per avermelo detto.»
«Mi sembrava giusto lo sapessi.»
***Fine della chiamata***

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Capitolo 4
*** 3 - As Long Time Ago ***


Era tarda mattinata e Misfit, da gatto abitudinario, iniziò a spazientirsi per via della sua ciotola ancora vuota. Lo sentii salire sul letto per acciambellarmisi sul petto e miagolò per svegliarmi. Il mio ignorarlo dovette indispettirlo, perché al terzo miagolio sfoderò le aguzze unghie piantandomele nella pelle.
Venni svegliata così.
«Buongiorno anche a te, stupido felino» sbottai lanciandolo a terra e voltandomi su di un fianco tirandomi le coperte sopra la testa.
Era già passata una settimana da quando la mia vita aveva ripreso il suo corso nel mio paesino nel Cheshire tra la gente con la quale ero cresciuta. Avevo rivisto tutti, o quasi…
Mi misi seduta sul materasso e mi sorpresi nel notare che mi ero infilata nel letto indossando ancora i pantaloni stretch neri e la maglia monospalla verde smeraldo dalla festa della sera prima.
“Però, dovevo essere davvero fusa stanotte…”
Non ricordavo molto della serata, solo che c'era stata una festa e Will aveva insistito perché ci andassi con lui. Era venuto a prendermi con l'auto, poi mi aveva portata a casa di un vecchio amico, Peter Roof, che aveva approfittato dell’assenza dei suoi per invitare un po’ di amici a sbronzarsi in compagnia.
C'erano tutti, ma proprio tutti, compresa Abigail, una mia cara amica dai tempi delle elementari, però avevo comunque preferito passare la serata con Will e gli altri ragazzi dei White Eskimo. Avevo bevuto un paio di bicchieri di vino, è vero, ma non mi è mai sembrato di esagerare… Ed invece eccomi lì, nel mio letto, e non avevo idea di come ci fossi entrata.
Presi il telefono e ci trovai un messaggio: -Darcy, ti ho riaccompagnata io a casa dopo che ti sei addormentata. Fammi sapere come stai-
«Oh, Will, ti sei sempre preso così cura di me» dissi tra me e me mentre un sorrisetto mi si apriva in viso.
-Mi sono appena svegliata. Come farei senza di te, Sweeney? x-
Il cellulare vibrò segnalandomi l'arrivo di un messaggio. -Non saresti arrivata sana e salva fino ad ora. Ci vediamo-
Dovevo alzarmi, il lavoro mi aspettava.
Dopo essermi scottata una mano con il manico rovente della moka e di conseguenza essermi rovesciata il caffè addosso, mi buttai sotto la doccia, poi misi dei semplici jeans chiari e un maglione bianco.
Non bastò il graffio del gatto, l’aver dormito con i vestiti della sera prima, la mano scottata e il caffè rovesciato addosso a rendermi difficile quella mattina, no, si aggiunse al tutto anche un piede finito a mollo in un’enorme pozzanghera.
«Okay, Darcy Gray, questa non è giornata…» sussurrai a denti stretti avanzando a pugni serrati e passo spedito per giungere a destinazione il più veloce possibile.
«Darcy!» mi salutò Barbara non appena misi piede nella panetteria, «Oggi sei arrivata prima del solito. Qualcosa non va?»
«Giornata no» dissi indicando la mia Converse sinistra un tempo bianca.
«Succede a tutti di vivere una giornata del genere, ma vedrai che si aggiusterà tutto.» Sorrise.
«Speriamo. Mi metto all’opera.»
Andai nella cucina dove mi lavai accuratamente le mani per almeno cinque minuti buoni, indossai il grembiule granata e occupai il mio solito posto dietro al bancone dove servii tutto il giorno con il solito sorriso di circostanza.
«Day, ti dispiacerebbe chiudere tu il negozio stasera? Ho un impegno…» domandò avvicinandosi alla porta a vetri del locale.
«Tranquilla, Barbs, finisco qui e poi vado anch’io.»
Sentii la porta chiudersi e spostai lo sguardo sull’orologio da parete: l’orario di chiusura era passato da circa due ore e io avevo ancora le mani affondate nell’impasto per il pane del giorno dopo; l’ultima stupida pagnotta e finalmente sarei potuta tornare a casa e lasciarmi quell’orribile giornata alle spalle.
Ma quel giorno non era destinato a concludersi così.
La porta scampanellò e udii i passi di qualcuno avanzare verso il bancone.
«Spiacente, siamo chiusi e abbiamo finito tutto. Può passare domattina» dissi senza voltarmi e sbattendo l’impasto sul bancone per passarmi della farina presa dal mobiletto sopra di me con l’intento di staccarmi alcuni pezzetti di pasta dalle mani e riprendendo il mio lavoro.
Sentii la persona avanzare ancora e poi lo sentii tamburellare con le dita sul vetro del bancone. Era sera, ero nervosa e odiavo quel ticchettio continuo e fastidioso.
«Siamo chiusi, davvero. Non ha visto il cartello all'ingresso?» “Più che altro, non hai niente di meglio da fare che rompere le palle a me a quest’ora?!”
«E chi l’ha detto che sono qui per il pane?» rispose ridacchiando.
Mi bloccai all’improvviso, le mani affondate dentro quella soffice pasta lievitata.
“Quella voce… Oddio, quella voce…” Così roca, calda e suadente poteva appartenere solo a una persona.
«Come ha detto, scusi?» La domanda mi uscì con tono insicuro, perché quello era il mio stato d’animo. Ero certa che fosse lui, ma dovevo averne la conferma.
«Ora mi dai pure del lei? Oh, Darcy Gray, come siamo diventate formali» continuò ridendo.
«H-Harry?» balbettai sentendomi stupida per averlo fatto.
«Però, certo che sei cambiata molto in questi anni, o meglio, la tua parte posteriore l’ha fatto.»
A quell’affermazione, mi alzai di scatto sbattendo la testa contro lo spigolo dell’anta lasciata aperta poco prima. Mi partì un’imprecazione sommessa e mi voltai tenendomi una mano sulla nuca e con il viso rosso per l’enorme figura di merda che mi ero appena fatta.
«No, mi rimangio tutto, non sei cambiata per niente!» disse tra una risata e l’altra.
Harry era lì, davanti ai miei occhi con una camicia di jeans effetto slavato aperta dalla quale spuntava la maglietta bianca sottostante, un sorriso in viso e i ribelli ricci tirati indietro. Era cresciuto dall’ultima volta che me l’ero trovato davanti anni addietro, ora era un uomo.
Rimasi impala ad osservarlo senza parlare e lui fece lo stesso.
«C-come mi hai trovata?» dissi spezzando l’imbarazzante silenzio.
«Arrivi a Holmes Chapel dove ci conoscono tutti, passi le giornate con i miei amici, ti presenti a casa mia e ti chiedi ancora come abbia fatto a trovarti? Abiti in un buco, non è stato difficile come credi.» Alzò gli occhi al soffitto scuotendo il capo. «Beh? Non mi saluti?»
Avanzai lentamente uscendo da dietro al bancone e mi fermai a pochi passi di distanza da lui con sguardo indagatore squadrando ogni centimetro di quel corpo molto diverso da come lo ricordavo. Tutto era cambiato, fatta eccezione per due cose: i suoi occhi e il sorriso.
«Ce la facciamo entro oggi oppure devo accamparmi qua dentro?» continuò facendosi sfuggire un risolino. Tutta quella mia incertezza doveva davvero divertirlo.
«Non so che dire, come comportarmi, io…»
Ci pensò lui a frenare il mio imbarazzo venendomi incontro e stringendomi in un abbraccio, e ricambiai stringendolo più forte che potessi. Affondai con il viso contro il suo petto respirando il suo profumo intenso.
Negli ultimi anni non mi ero mai sentita tanto bene come in quel momento.
«Mi sei mancato, tu non t’immagini quanto mi siate mancati tu e le tue stronzate!» gli sussurrai senza allentare la presa sul suo corpo.
«Sono sempre stato qui» disse allontanandomi e asciugandomi la lacrima che mi scese dall’occhio destro. «Promettimi che non sparirai più all’improvviso.»
«No, basta.»
«Hai finito qui? Avrei fame.»
«Aspetta…» dissi prima di ritirarmi nel retrobottega e tornare con una fetta di pizza. «Mangia questa, l’ho fatta io.»
Sfoderò uno dei suoi sorrisi e addentò la fetta mentre io mi apprestavo a terminate il lavoro. Lasciai quella pagnotta a metà, non vedevo l’ora di uscire di lì e stare con lui.
Chiuso il negozio ci avviammo a piedi fino a casa mia.
«Che hai fatto tutto questo tempo?» chiese ingollando un boccone mentre ci avviavamo verso casa.
«Studiato, lavorato, … Beh, il solito direi. È inutile che chieda lo stesso a te.»
«Sicura?» disse dandomi una lieve gomitata.
«Come se non lo sapesse già tutto il mondo…» Sospirai chiudendo gli occhi, ma lo assecondai, «Che cosa hai fatto in questi anni?»
«Oh, Darcy, è tutto così fantastico! Sai, dopo che io e i ragazzi, siamo entrati ad X Factor…» Cominciò a raccontami vita, morte e miracoli della band con quella particolare luce negli occhi che lo accompagnava fin dai tempi dell’infanzia e prendendo a gesticolare come suo solito, e tutto ciò mi riportò indietro a quando due ragazzini camminavano fianco a fianco su quelle stesse strade nei pomeriggi dopo scuola.
«Che c’è? Perché ridi?» disse interrompendo il racconto.
«Diciamo che per il mondo tu sei Harry Styles, il ragazzo sexy dai ricci ribelli, leader di una delle più grandi boy band di sempre, ma per me sei e sarai sempre il bambino del parco giochi» dissi cingendogli il constato con entrambe le braccia e appoggiandogli la testa sulla spalla senza rallentare il passo. «Per favore, continui a raccontare?»
Sospirò e riprese il racconto di quegli ultimi anni.
Mi era mancato il suo modo di parlare, le sue espressioni, il suo strano modo di gesticolare, la sua camminata dalle falcate ampie, …
Mi era mancato Harry Styles.

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Capitolo 5
*** 4 - Minigolf ***


Un fascio di luce entrava dalla finestra battendomi sugli occhi, e questo mi costrinse a svegliarmi.
Mi ero di nuovo addormenta con i vestiti addosso, quella volta avevo addirittura ancora le scarpe ai piedi, e come se non bastasse nella notte mi si era totalmente indolenzito il braccio sinistro. Era in definitiva morto e senza sensibilità, come se fosse staccato al resto del mio corpo, però ero certa che fosse appoggiato su qualcosa di duro. Tastai con la mano stringendo del soffice tessuto e sentii un lieve lamento.
“Cosa?!”
Spalancai gli occhi mettendomi seduta stringendomi la mano al petto e incontrai la sagoma di Harry sdraiato supino accanto a me, l’espressione serena di uno che si è fatto una gran dormita. “Che cavolo ci fa Styles ancora qui?”
In effetti, pensandoci bene non ricordavo che se ne fosse andato, anzi, non ricordavo affatto che ci fossimo spostati in camera mia e addormentati.
Erano successe così tante cose in quella che era cominciata come una giornata davvero pessima, perché lui era tornato.
Dopo essere usciti dalla panetteria, eravamo arrivati fino a casa mia raccontandoci quello che ci eravamo persi l’uno dell’altra durante quegli anni; avevamo riso, ricordato il passato e, a quanto pare, dovevamo esserci addormentati fianco a fianco senza che nemmeno ce ne fossimo resi conto.
Sfregai i piedi sfilandomi le scarpe e mi sollevai mettendomi seduta sul materasso incrociando le gambe con uno scricchiolio delle ginocchia. Mi soffermai a guardarlo nonostante la vista ancora un po’ annebbiata dalla dormita, fissandomi nella memoria ogni suo dettaglio di quel momento. Mi tornarono alla mente tanti ricordi della nostra infanzia, di tutte quelle volte che avevamo dormito insieme.
 
«Mamma, posso dormire da Harry stanotte?»
«Ed ecco qui la mia piccola Darcy che va a dormire dal suo fidanzatino.»
«Non è il mio fidanzato!»
 
Quanto ci arrabbiavamo quando le mamme ci definivano fidanzati!
Ricordo che ci prendevano anche in giro dicendo che prima o poi Harry si sarebbe effemminato a forza di passare tutto quel tempo con me, ma non ricordo che si sia mai fatto problemi a trovarsi una ragazza, anzi, quella ad essere diventata un maschiaccio ero io, adoravo rotolarmi nei prati e arrampicarmi sugli alberi insieme a lui e a tutti i nostri amici del parco.
Crescendo le nostre mamme erano diventate più diffidenti a lasciarci dormire insieme, avevano paura che facessimo chissà cosa, ma più che addormentarci dopo aver passato la notte a guardare film cariandoci i denti mangiando popcorn pieni di zucchero le nostre serate erano piuttosto tranquille.
Era cambiato, forse troppo dall’ultima volta che mi ero svegliata con lui al mio fianco: allora era un ragazzino dal viso tondo con la testa piena di ricci che gli ricadevano scomposti sulla fronte, ora invece era un uomo alto e slanciato dalle spalle larghe e il viso squadrato, il tipo di ragazzo che non puoi non voltati a guardare quando ti passa accanto lasciando anche qualche commento sulla sua bellezza perché, ammettiamolo, è bello, almeno ai miei occhi lo è sempre stato.
«Day, se mi fissi troppo finirai col consumarmi» disse sorridendo senza aprire gli occhi.
“Cazzo! Ma da quant’è che è sveglio?”
«Scusami, Mr. Celebrità, non pensavo che la disturbasse.»
«Non mi dà fastidio, mi metti in soggezione.»
Aprì gli occhi puntandoli su di me mentre si metteva a sedere sbadigliando.
«Tu, l’uomo del momento, messo in soggezione? Da me poi!» Scoppiai a ridere.
«Appunto, sei tu a mettermi in soggezione.»
«Se vuoi me ne vado…» Finsi di alzarmi dal letto per andarmene, ma lui mi prese per il polso obbligandomi a restare.
«E dai, non serve che metti il muso, però smetti di fissarmi mentre dormo che sei inquietante.»
Tornai a sdraiarmi accanto a lui con la pancia appoggiata sul materasso e le mani accavallate sotto al mento per tenermi più in alto la testa permettendomi di guardarlo in faccia.
«Ieri ti ho raccontato la mia vita fino ad oggi, ora tocca a te.»
Mi passò una mano tra i capelli spostandomi il ciuffo spettinato dietro all’orecchio sinistro.
«Che c’è da dire? Sono rimasta a Liverpool a studiare e poi ho deciso di tornare qui. La storia della vita di Darcy Gray lontana da Holmes Chapel è finita.»
«E da quando sei diventata così riservata? Voglio sapere qualcosa in più su di te, conoscere meglio quella che sei ora.»
“Davvero vuoi conoscere la nuova Darcy, Harry? Ci sono così tante cose che sono cambiate da quando ci siamo separati, è tutto così cambiato…”
«Io… è lungo da raccontare.»
«Lo sai che sono un buon ascoltatore.»
«Sì, mi ricordo, però… senti, forse è meglio che tu lo veda con i tuoi occhi.»
«In che senso?»
«Ti porto nei posti preferiti della Darcy di Liverpool, così capirai.»
«Perché, esiste una versione alternativa di te lì rispetto a quella che ho davanti?» Scoppiò in quella sua risata fragorosa che riempì la stanza.
«Beh, diciamo che una parte di quella vita è rimasta dentro di me, ma il resto… non hai che scoprirlo.»
Gli diedi un buffetto sul naso e andai verso la cucina intenta a mettere qualcosa sotto ai denti.
Ero convinta di mostragli quella che ero diventata? No, non proprio, ma ero certa che lui avrebbe accettato di me anche quell’aspetto, o almeno ci speravo…
«E no, ora mi spieghi.» Mi arrivò alle spalle pizzicandomi i fianchi con le dita facendomi fare un salto dallo spavento che suscitò la sua ilarità.
«Non è importante, semplicemente conoscerai qualcuno dei miei amici di lì e saprai qualcosa in più su di me» tagliai corto. «Vuoi del caffè insieme al toast?»
«Un succo di mele, e so che ce l’hai» disse puntandomi il dito contro mentre si sedeva su uno degli sgabelli foderati in pelle rossa davanti al bancone.
Non si sbagliava, si ricordava ancora quanto mi piacesse il succo di mela, da bambina se non ne bevevo almeno un bicchiere al giorno andavo in astinenza, come con la cioccolata d’altronde.
«Non ti sfugge niente, vedo…»
Mi voltai verso il frigorifero alzando gli occhi al soffitto per prendere la bottiglia di succo che gli lanciai.
«Mai» rispose prendendola al volo. «Cosa facciamo oggi?»
«Mi fa strano sentirtelo dire, è come essere tornati indietro.»
«In effetti è un po’ strano…»
«Minigolf?» buttai lì spezzando il silenzio imbarazzante.
«Mi hai letto nel pensiero, Day!»
«Non è leggere nel pensiero: ti conosco, so che sei un pensionato e il minigolf ti ha sempre fatto impazzire.»
«Senti chi parla! Chi è quella che ci sarebbe andata una volta a settimana fino a qualche anno fa?!»
«Scusami se ero brava e mi piaceva stracciati almeno in quello.»
«Ma se ti lasciavo sempre vincere!»
«Io mi ricordo che tu facessi solo i capricci perché perdevi…»
«Chi vince offre la cena.» Si sporse in avanti sul tavolo tendendomi la mano con fare di sfida.
«Andata.» Afferrai la sua mano stringendola energicamente. «È un problema se lo chiedo anche a Will? È grazie a lui se in queste sere non mi sono sparata un colpo.»
«Certo, facciamo la rimpatriata del magico trio!»
Trascorremmo la colazione ricordando ancora qualche bel momento passato noi tre insieme a vivere avventure incredibili nel verde delle campagne del Cheshire.
 
«Non ricordavo fosse così lontano il minigolf» dissi appoggiandomi con i gomiti su entrambi i sedili davanti dove sul sinistro c’era seduto Will con in testa un cappellino da baseball rosso e nero e al posto di guida Harry tutto stretto contro al volante.
«Non ricordavo fossi così rompicoglioni quando saliamo in macchina» ribatté il riccio guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore con un sorrisetto in volto.
«Ho capito, sto zitta.»
Stizzita dalla risposta, tornai ad appoggiare la schiena al sedile incrociando le braccia al petto e portando lo sguardo verso il finestrino.
«Ma dai, Day! Non ti sarai mica offesa?» Si mise a ridere lanciandomi una seconda occhiata dallo specchietto.
«No, non sono offesa.» Ma chi volevo prendere in giro? Sono sempre stata permalosa.
«La solita vecchia Darcy» disse Will rivolto a Harry scuotendo il capo.
«Sempre che ti metti in mezzo, eh Sweeney?»
Mi sporsi in avanti e gli sfilai il cappellino con l’intento di mettendomelo in testa.
«Ridammelo! Mi dà fastidio il sole!»
Gli feci il verso e lui si voltò verso di me iniziando una lotta per la conquista del cappellino.
«Ragazzi, basta, non riesco a guidare!» si lamentò Harry in seguito all’ennesima spallata di Will.
«Scusaci, mamma» disse il ragazzo riferendosi all’amico tornando seduto composto.
«Ora promettiamo che faremo i buoni» aggiunsi mettendogli il cappello tanto conteso sui bei ricci e schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Tanto oramai siamo arrivati…»
Mise la freccia e si parcheggiò davanti all’ingresso del minigolf, il nostro minigolf.
Era quasi assurdo trovarsi lì davanti dopo anni che non ci mettevo piede, e non vedevo l’ora di entrare, di calpestare il terreno colorato e liscio delle buche cercando di fare centro usando solo una mazza che sarà stata sì e no lunga quanto la mia gamba.
«Day, ma dove corri?» mi urlò alle spalle Will ridendo.
«Non sto correndo!» obiettai fermandomi e voltandomi a guardarli.
I loro sguardi e la distanza tra di noi mi fece capire che sì, stavo correndo, o almeno camminando più in fretta del solito.
«Ragazzi, non vedo l’ora di entrare!»
«Quand’è che cresci?» disse Harry affiancandomi e cingendomi le spalle con un braccio.
«La vita è troppo breve per diventare grandi» risposi appoggiandogli la testa sulla spalla continuando a camminare.
Una volta dentro, lasciai che loro andassero a prendere tutto il necessario per cominciare la partita mentre io procedetti decisa verso la buca numero diciotto, quella con il fossato pieno d’acqua intorno, la più difficile nonché l’ultima.
Lì davanti c’era uno dei tanti alberi della pineta e, vedendolo, mi ricordai che fosse successo proprio in quel punto. Mi ci avvicinai sfiorando con le dita della mano destra la ruvida corteccia sulla quale splendevano delle sottili strisce di resina appiccicosa, poi mi voltai di schiena appoggiandomi al tronco. Scivolai verso il basso fino a sedermi sugli aghi imbruniti sparsi al suolo stringendomi le ginocchia al petto e chiusi gli occhi.
È incredibile pensare che tutti i ricordi di quel giorno affiorarono alla mia mente così velocemente, era come se fossi realmente tornata indietro a tanti anni prima: sentivo le risate di noi ragazzini, vedevo distintamente Molly Dalton provarci spudoratamente con Harry che invece non perdeva occasione di fare l’idiota come al solito, Will con la sua prima ragazza, … ricordai di quel primo bacio che mi aveva finalmente aperto gli occhi.
«Lo sapevo che ti avrei trovata qui.»
«Sono così prevedibile?» Riaprii gli occhi puntandoli su Harry che si sedette accanto a me, e anche lui portò lo sguardo in avanti perso tra i mille ricordi.
«Solo un po’.»
«Dovevo vedere una cosa…»
«Cos’è? Tornare qui ti ha fatto venire voglia di David Row? Se vuoi ti do il suo numero.» Mi diede una scherzosa spallata.
«Ma smettila!» Scoppiai a ridere appoggiando una mano contro la scapola di Harry per farmi leva e tirami in piedi. «Però è stato importante, ho capito molte cose quel giorno» aggiunsi tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Hai capito che fosse un pessimo baciatore, o almeno così mi dicesti.» Si voltò a guardami con un sorriso rimettendosi in moto sulla stessa strada percorsa per venirmi a cercare.
«Non dimentichi nulla, eh?»
«Non le cose di cui parlavo con la mia migliore amica» disse ammiccando.
In realtà quel pomeriggio avevo capito qualcosa in più oltre al fatto che David baciasse malissimo: avevo finalmente accettato il fatto che dopo dodici anni di amicizia con Harry qualcosa fosse cambiato per me.
Mi ero innamorata del mio migliore amico in quel minigolf.
 

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Capitolo 6
*** 5 - The Secret Inside Myself ***


“Okay, non si vede niente, posso mettermi un vestito” pensai tra me e me prima di annuire in cenno d’assenso osservando il mio riflesso in intimo sulla superficie dello specchio in camera di Melanie.
Odiavo farlo, guardarmi era un’accettazione di tutto quello che mi era successo, compresa la mia stupidità nell’essermi fidata troppo delle persone sbagliate.
Per quanto qualcosa ci stia scomoda, il passato non si cambia.
“Rassegnati, Gray, è andata così.”
Io e Harry avevamo passato una giornata intera in giro per Liverpool dove lo avevo portato in tutti i posti a me più cari, e lui era rimasto stupito nel sentire alcune delle storie di quei luoghi, delle mie trasgressioni.
Quando ci eravamo separati ero una ragazzina timida e tranquilla, ma quel cambio improvviso di vita mi aveva portata a crescere in fretta per tirare fuori un po’ di grinta. È difficile essere la ragazza nuova a scuola, se non impari a cavartela non ne sopravvivi.
E ora ero di nuovo nel mio vecchio appartamento, pronta a preparami per l’imminente serata. Melanie era uscita prima che noi arrivassimo, ma ci aveva dato appuntamento nel nostro locale preferito.
Indossai un abito nero dalle maniche a tre quarti in pizzo lungo fino a metà coscia e con un profondo scollo a U sulla schiena, semplice ma elegante, e scelsi delle decolté beige che tra tacco alto e plateau color mogano mi sollevavano di parecchio in altezza, poi passai ai capelli che legai sulla nuca in una specie di chignon spettinato, infine mi dedicai al trucco limitandomi a passare una linea di eyeliner, uno spesso strato di mascara, un velo di blush sugli zigomi poco pronunciati per darmi un po’ di colore e, per finire, il mio immancabile rossetto rosso acceso che faceva contrasto con la carnagione nivea.
Guardandomi nello specchio mi ritrovai faccia a faccia con quella che ero stata, con quel passato che stavo cercando di dimenticare.
Tornai nel salone e mi resi conto di essere ancora sola. Harry non c’era, era uscito per fare benzina mentre mi stavo cambiando.
Polly, la cagnolina di Melanie, scodinzolò vedendomi lì e abbaiò per attirare la mia attenzione, e mi sedetti sul divano accanto a lei
«Che dici, Polly, la prenderà bene? Come glielo dico?» dissi prendendo a farle dei grattini sulla schiena. «No, non glielo dico. Però se poi lo scopre…»
Abbassai lo guardo su di lei appagata dalle mie carezze, e mai desiderai tanto fare a cambio con lei come in quel momento.
Sentii il suono prolungato di un clacson provenire dalla strada che mi fece sobbalzare, e nello scatto anche la povera Polly si spaventò tanto da scappare via veloce guaendo lamentosamente.
«Scusami, piccola!» le urlai avvicinandomi alla finestra per guardare cosa fosse successo. Non appena scostai le tendine vidi l’auto nera di Harry parcheggiata sotto casa e lui che mi salutava scuotendo una mano dal finestrino aperto.
«Quel deficiente, nemmeno il decoro di suonare il campanello …»
Presi il trench beige come le scarpe dall’appendiabiti accanto alla porta, la borsetta ed uscii in strada chiudendo la porta di casa.
«Scusami, ci ho messo un po’ più del previsto.»
«E così per non perdere tempo hai deciso di far prendere un colpo a tutto il palazzo suonando il clacson invece che suonare il citofono come le persone normali?» risposi tenendo il capo basso intenta ad allacciare la cintura di sicurezza. «Ti perdono solo perché so come sei fatto.»
«Sei molto carina stasera, dovrei portarti fuori più spesso.»
«Devo ringraziare Mel per l’outfit. Ti sarebbe piaciuto vivere qui con me, con le mie amiche era sempre così.»
«Cosa stiamo aspettando ancora qui?»
Premette il piede sull’acceleratore e partì a razzo.
Avevamo già fatto un lungo viaggio da Holmes Chapel a lì, ma non avevo fatto caso a quanto andasse veloce, ed era così serio mentre guidava. Non mi sembrava nemmeno di avere lui al mio fianco, ed era dura ammettere quanto fosse diventato grande, quanto lo fossimo entrambi.
«Qual è la prossima tappa del tour, Darcy di Liverpool?» domandò dopo un po’.
«Conoscere i miei amici» dissi con semplicità facendo spallucce.
«Mi devo preoccupare?»
«Sei Harry Styles, di cose strane ne hai già viste abbastanza in questi anni, niente dovrebbe più spaventarti ormai.»
«Forse» rispose sorridendomi mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
Quando realizzai che stavamo davvero andando a conoscere i miei amici cominciai a sentire l’ansia crescere. Andare a Coco Shore poteva avere solo due esiti: potevamo passare una bella serata oppure potevamo incontrare le persone sbagliate.
In un modo o nell’altro ormai eravamo lì, avrebbe scoperto ogni cosa quella sera, e mi spaventava l’idea che potesse lasciarmi da sola.
Non avrei sopportato l’idea di perderlo un’altra volta.
«Dove devo andare ora?» mi chiese abbassando la radio.
«Destra, poi va’ sempre dritto fino all’incrocio.»
«Poi?»
«Sinistra.»
Più procedevamo lungo quella strada che avrei potuto descrivere anche tenendo gli occhi chiusi, più sentivo quell’orribile sensazione di nausea farsi sempre più forte.
«Ancora a destra. All’insegna blu in fondo alla strada siamo arrivati.»
La nausea aumentò ancora, sentii che avrei potuto vomitare da un momento all’altro. Mi sentivo lo stomaco in gola.
Appena accostò l’auto sul marciapiedi, spalancai la portiera tenendomi una mano premuta sulle labbra e uscii di corsa, ma l’unica cosa che fuoriuscì dalla mia bocca fu solo un verso prodotto da uno spasmo allo stomaco. Per fortuna prima di uscire non avevo mangiato.
Harry corse fuori dalla macchina e si precipitò verso di me allarmato.
«Darcy! Tutto bene?» disse appoggiandomi una mano sulla schiena massaggiandola con lenti movimenti lungo tutta la lunghezza mentre ero ancora piegata in avanti.
«Sì, sì, non preoccuparti, devo aver patito la macchina» mentii rimettendomi dritta e sorridendogli.
«Potevi dirmelo se andavo troppo veloce, avrei rallentato!» Mi guardò con sguardo torvo lasciando emergere la graziosa piega tra le sopracciglia che gli compare ogni volta che aggrotta la fronte.
«Non sei tu, probabilmente mi è rimasto qualcosa sullo stomaco. Non eri impaziente di entrare?»
«Sicura che non vuoi prendere un po’ d’aria prima?»
«Non mi serve che qualcuno mi faccia da mamma anche adesso.»
Dallo sguardo che mi lanciò capii di aver sbagliato i toni. Voleva solo essere carino, l’avevo fatto preoccupare.
«Scusami, Harry. Sei un tesoro, non volevo aggredirti.»
Lo presi per mano con un sorriso rassicurante e lo portai dentro al locale.
Le luci soffuse, la musica ad alto volume con i bassi che ti scoppiano nelle orecchie, i drink con colori quasi fluorescenti per via dei led e tutte quelle persone accalcate le une sulle altre ci resero invisibili, e sentii Harry rilassarsi.
«Gray?!»
Mi sentii chiamare, e prima che potesse riconoscere la voce venni strattonata in un abbraccio dalla mia amica Melanie.
«Mel!» Ricambiai l’abbraccio lasciando la mano del mio amico che rimase in silenzio a guardarci. «Hai visto? Ti avevo promesso che sarei venuta!»
«Quando ho letto il tuo messaggio oggi pomeriggio non potevo credere ai miei occhi! Scusa, ma quello non è mio?» disse indicando l’abito.
«È il mio grande ritorno, non potevo venire in jeans e maglione» mi giustificai.
«La solita scroccona… Comunque, vedo che non sei sola.» Mi fece un cenno alle mie spalle.
«Oh, scusate! Harry, lei è Mel, la mia migliore amica. Melanie, Harry.»
Notai gli occhi ambrati di lei illuminarsi mentre stringeva la mano al mio amico, e poi spostò lo sguardo su di me come a dirmi “Che ti avevo detto? Lo sapevo che sarebbe finita così”.
«Posso offrirvi da bere?» ci chiese cortesemente Harry urlando per sovrastare la musica.
«Per me un sex on the beach, per Day è meglio lasciar stare per un po’, eh» disse Melanie abbracciandomi da dietro.
Mi pietrificai. Davvero l’aveva detto?!
“E adesso cosa dico?! Harry mi sta guardando!”
«Ehm… Mel sa che non reggo molto bene. Sai, ci sono stati imbarazzanti precedenti causati dall’abuso di jack e cola…» cercai di giustificarmi, poi aspettai che fosse andato verso al bancone per girami furiosa verso di lei. «Che cosa ti è saltato in mente?!»
«Cerco di prendermi cura di voi? Oh, aspetta… non lo sa?!»
«N-non ancora…» balbettai lanciando un’occhiata in direzione del bar.
«Non gliel’hai ancora detto!»
«Non ho avuto l’occasione.»
«Cosa vuol dire che non hai avuto occasione di farlo? Non credo che sia tanto difficile! Lo guardi è dici “Harry, sono…”»
«Cosa sei?» domandò lui ridacchiando arrivandomi alle spalle e passando il drink a Melanie che lo guardava con gli occhi sbarrati.
«Sono… molto contenta di averti conosciuto, Darcy mi ha parlato così tanto di te» buttò lì prima d’infilarsi le due spesse cannucce nere tra le labbra e prendendo una lunga sorsata del cocktail.
«Fa piacere anche a me» rispose il riccio sorridendo e lanciandomi un’occhiata carica di sospetto.
“Merda, Mel! Perché non stai mai zitta?”
«Darcy, vieni, di là ci sono gli altri.» Melanie mi fece un cenno di seguirla e, non appena si girò cominciando a farsi largo tra la folla, mi aggrappai al braccio di Harry. Il momento si stava avvicinando…
Ed eccoci lì, davanti al tavolino di vetro circondato da un lungo divanetto ad angolo in lucida pelle bianca sul quale sedevano i miei ex compagni di baldoria notturna. Tutti e sei ci guardarono sorpresi, ma non so se per la mia apparizione o per la presenza di Harry al mio fianco; fatto sta che ci vollero una manciata di secondi prima che Ruby si alzasse e mi stringesse in un abbraccio.
«Darcy! Ma che cavolo ci fai tu qui?»
«Pensavate di esservi liberati di me?»
«Grazie a Dior no!»
Mi abbracciò ancora più forte, e dopo di lei anche tutti gli altri si apprestarono a salutarmi.
«Come stai, mammina
«Rob! Mettimi giù!» Scalciai ridendo obbligando il ragazzo moro a rimettermi con i piedi per terra. Quasi dimenticai quello che aveva appena appena detto. Non era la prima volta che mi chiamava così, ma il fatto che ci fosse Harry complicava tutto.
«Hai preso una decisione finalmente?» continuò accarezzandomi entrambe le guance.
Sentii una mano appoggiarmisi sulla spalla sinistra seguita da un rapido strattone che mi costrinse a voltarmi.
«Di che cosa sta parlando? C’è qualcosa che dovresti dirmi, Darcy?» disse Harry inchiodandomi con lo sguardo. Non era uno stupido, ero certa che l’avesse capito.
«Harry, c’è una cosa che…»
Proprio quando stavo per confessargli tutto, vidi una sagoma alle sue spalle che attirò la mia mente altrove.
Come potevo non notarlo in mezzo a tutti gli altri? Jason, il ragazzo che mi aveva fatta innamorare e poi mi aveva gettata via come un clinex usato alla minima difficoltà, si era fatto largo tra la folla per raggiungerci, e ora mi guardava con la solita aria menefreghista di sempre. Era quel tipo di persona arrogante e fondamentalmente strafottente, chi gli avrebbe impedito di farsi scappare l’occasione di avermi a tiro ora che ero in compagnia?
«Ma guarda un po’ chi si fa viva dopo essere sparita! La mia cara Darcy!» Sottolineo per bene il “mia cara” in modo ironico, sapeva di aver toccato un nervo ancora scoperto.
«Ciao, Jason» risposi abbassando lo sguardo. Non riuscivo più a guardare quei suoi occhi gelidi come l’acciaio, così incredibilmente chiari che vi avresti potuto vedere il tuo stesso riflesso ma non i suoi pensieri.
«Hai deciso di tornare per raccontare ancora un po’ di cazzate in giro? Non ti è bastata?» ghignò.
«Jason, qui non sei il benvenuto, vattene» disse in tono minaccioso Alex, un altro ragazzo del mio gruppo, affiancandomi e portando un braccio davanti al mio corpo in un gesto protettivo. Cominciai a sudare freddo e strinsi maggiormente l’avambraccio di Harry al quale ero aggrappata.
«Perché? Non posso più parlare con una mia ex ora che non è più un mio problema?» Scoppiò a ridere guardandomi dritto in faccia.
Il braccio di Harry s’irrigidì. Aveva serrato il pugno, e la cosa non prometteva bene.
«Buona fortuna, riccio, ora sono tutti tuoi» aggiunse dandogli due buffetti sulla guancia prima di allontanarsi.
«Andiamo, Harry, voglio uscire» dissi tirandogli il braccio.
«Sì, andiamocene.»
Cominciammo a camminare in direzione della porta e Harry non perse occasione di passare accanto a Jason tirandogli una spallata piuttosto violenta. Era furioso, e non l’avevo mai visto così, mi spaventava l’idea di parlarci.
Accelerò il passo facendosi largo tra la folla trascinandomi dietro di sé desideroso sia di allontanarsi da Jason sia di fare luce su tutta questa storia.
«Allora? Vuoi spiegarmi cosa succede?!» disse alterato una volta lontani dal locale. «Chi era quello?»
«Il mio ex.» Mi appoggiai con la schiena contro la fredda parete in mattoni dell’edificio di fronte al locale. Tenevo il capo abbassato perché incapace di sostenere il suo sguardo
«E tu mi avresti portato fino a qui solo per farti insultare? Avanti, Darcy, dimmelo.»
Il tono della sua voce era imperativo, duro.
«Cosa vuoi che ti dica?»
«Perché dovresti essere “un mio problema”.»
«Non penso che ci sia bisogno di dire altro» dissi guardando altrove.
«Voglio sentirtelo dire.» Mi si avvicinò inchiodandomi con lo sguardo. «Dillo.»
«Harry, io sono… Jason mi ha lasciata perché…» inceppai nelle parole, temporeggiai.
«Darcy!»
«Sono incinta!»
Sospirò pesantemente chiudendo gli occhi come in cerca della calma che in quel momento l’aveva completamente abbandonato, poi si guardò un po’ intorno prima di tornare con gli occhi nei miei.
«È lui il padre?»
«È l’unico che ho frequentato negli ultimi due anni, ma non vuole credermi.»
Serrò la mascella creando due righe dure ai lati del mento e mi guardò carico d’odio, gli occhi scuri per la collera.
«Io lo ammazzo.»
Si voltò di scatto lasciandomi andare e si diresse verso il locale con passo spedito costringendomi a togliermi le scarpe per cercare di stargli dietro, ma quando realmente lo raggiunsi aveva già tirato un pugno in faccia a Jason dando inizio a una vera e propria rissa.
Cosa potevo fare? Potevo solo sperare che non si facesse troppo male, ma non era mai stato un tipo da risse e si vedeva dal modo in cui Jason l’aveva sottomesso mettendolo con la schiena al pavimento colpendolo da sopra di lui che, nonostante tutto, cercava di difendersi al meglio.
Intervennero entrambi i buttafuori per separarli e quando riuscii a trascinare Harry in auto aveva uno zigomo gonfio, le nocche delle mani escoriate e il labbro spaccato oltre a chissà quanti lividi brandiva sul resto del corpo.
«Perché cazzo non me l’hai detto subito?!» mi urlò una volta dentro l’abitacolo della macchina.
«Per evitare tutto questo!»
«Vedo che l’hai evitato bene» fece critico.
«Non sapevo cosa fare, okay? Secondo te perché sono scappata da tutto e tutti?»
«Io ti avrei aiutata!» mi urlò addosso facendo uno scatto verso di me.
Sussultai indietro ritrovandomi contro al finestrino, arrabbiata da quell’affermazione vacua.
«E come? Prendendo una macchina del tempo e cancellando tutto? Non credo sia ancora possibile o l’avrei già fatto!»
Non potei trattenere le lacrime che cominciarono a scendermi dagli occhi.
Mi strinse a sé in un abbraccio e mi lasciai totalmente andare a quel pianto che reprimevo da mesi.
«Scusami, Darcy, non avrei dovuto reagire in quel modo…» disse quando la collera l’ebbe abbandonato facendo posto alla compassione nel vedermi sprofondare nel suo petto tra le lacrime.
Quando mi sentì meno scossa dai singhiozzi riprese a parlare.
«Da quant’è che lo sai?»
«Tre mesi quasi. Sono così spaventata…» ammisi asciugandomi l’occhio destro ritrovandomi il dito nero per il rimmel.
«Non dovresti, lo sai che non ti lascerò sola.»
«Tu non ci sarai per sempre» risposi scostandomi dal suo corpo. «Tra quanto tornerai in giro per il mondo? Due settimane? Un mese?»
«Ti prometto che non ti lascerò mai sola, ma devi promettermi che lo terrai.»
«Come possiamo fare un patto del genere? Tu stesso sai che non è possibile!»
«Darcy…»
Quello sguardo… Sapevo di potermi fidare di lui, non mi avrebbe abbandonata perché era una persona migliore di Jason, forse una delle migliori che tutt’ora conosca.
«Prometto.»
Mi sorrise e mi baciò la fronte con le labbra umide di sangue abbracciandomi ancora, poi misi in moto e mi tornammo ad Holmes Chapel, a casa.
 
E da qui, la nostra storia ha finalmente inizio.

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Capitolo 7
*** 6 - I'll Stand By You ***


Una volta entrati in Holmes Chapel, imboccai subito la strada che conduceva verso casa di Harry, quindi fuori città.
«Dove stai andando?»
«Ti riporto a casa, no?» risposi con ovvietà sollevando le spalle.
«Sbaglio o forse ho detto che sarei stato sempre con te?»
«E lo stai facendo!»
«Andiamo da te, Gray.»
«Cosa?!»
Inchiodai con l’auto in mezzo alla strada (ma tanto chi volete che ci fosse in giro in quel buco di città alle 3 di notte?). «Hai forse intenzione di stare con me in quel modo? Intendo sempre sempre?» Aggrottai la fronte e lo guardai con aria confusa, ero del tutto incredula che ci fosse quella possibilità.
«Ti starò addosso per evitare che tu faccia stronzate. Ora gira a destra» imperò.
Mi scappò da ridere: avevo rincontrato Harry appena due giorni prima e avevamo già passato tutto il tempo possibile insieme, sapeva della mia gravidanza, aveva fatto a botte per la sottoscritta e ora si stava trasferendo da me per aiutarmi. Questo sì che è un vero amico.
Fermai l’auto davanti al vialetto di casa, presi le scarpe ancora abbandonate sotto al mio sedile e mi diressi verso casa a testa bassa. Non guardai Harry in volto forse perché una parte di me dubitava che fosse tutto reale.
«Oddio, Harry!» esclamai portandomi le mani sulla bocca una volta dopo aver acceso la luce all’ingresso e essermi voltata a guardarlo.
«Che c’è? Hai dimenticato qualcosa? Non torniamo a prenderlo, sappilo.»
«La tua faccia!»
Lo trascinai poco più avanti lungo al corridoio fino all’ampio specchio da parete in ottone. Jason l’aveva conciato peggio di quanto pensassi: lo zigono era piuttosto gonfio al punto da costringerlo a tenere l’occhio lievemente chiuso, sul sopracciglio sovrastante si era formato un piccolo taglio dal quale era sceso giusto un rivolo di sangue ora secco sulla sua tempia e il labbro inferiore, spaccato, era rosso e gonfio.
«Si vede tanto che non sono bravo a fare a botte, eh?» commentò distendendo l’angolo sinistro delle labbra in un sorrisino sghembo.
«Hai voluto fare l’eroe, te le sei prese, e non negarlo perché ti abbiamo visto tutti steso a terra con il ginocchio di Jason sul petto, però ora ridi. Io non ti capisco, Styles» dissi alzando gli occhi al cielo. «Possibile che con i tuoi amici non abbiate mai litigato al punto da mettervi le mani addosso?» aggiunsi dirigendomi verso la cucina.
«Ogni tanto facciamo la lotta, ma nulla di più. Siamo una band tranquilla che risolve i problemi con razionalità.»
«Fate la lotta… sei regredito, piccolino.»
«Ammettilo, non sono stato tanto male.»
«Okay, sei stato bravino. Apprezzo moltissimo il gesto, nessuno aveva fatto una cosa del genere per me, Jay è… difficile da stendere.»
«Sinceramente non so cosa mi sia preso, quando mi hai raccontato quello che ha fatto non ci ho più visto. Non che ora ci veda molto dall’occhio destro, ma ne è valsa la pena.»
Non ero mai stata la classica donna che lecca le ferite al proprio ragazzo dopo una rissa, quando capitava che Jason ne venisse implicato ne usciva sempre illeso, non sapevo cosa fare per aiutare Harry in quel momento.
Aprii il frigo e trovai, nascosta dietro il resto della mia spesa, una bistecca che non saprei dire da quanto fosse là dentro, ma non aveva proprio il solito odore di carne al sangue di prima scelta quando la tirai fuori dalla confezione.
«Tieni, magari funziona.» Gli feci posto su una sedia e gli sbattei la fettina di carne sull’occhio.
«Puzza» commentò con una smorfia.
«Lo so, ma tienila lì e non fare il bambino, grande eroe. Vuoi un po’ di thè?»
«Perché no.»
Mettendo nel bollitore l’acqua, riempii anche un bicchiere al quale aggiunsi un paio di cucchiai di aceto per medicare le varie ferite in assenza di disinfettanti veri.
«Stingi i denti» lo avvertii.
«Perc… cazzo!» Quasi urlò quando gli premetti un fazzoletto impregnato di soluzione sulle labbra.
«Ecco perché… Se stai fermo farò in frettissima, prometto.»
Continuò a lamentarsi, ma almeno lo fece in silenzio dandomi la possibilità di finire il mio lavoro.
«Fatto. E speriamo solo di non aver peggiorato la situazione.»
«E che mia madre non lo scopra. A volte sa essere troppo… apprensiva.»
«Sei comunque il suo bambino, Anne è fatta così» dissi togliendo il bollitore dai fornelli.
«Mi hai detto che sai di essere incinta da quasi tre mesi, ma non mi hai detto come lo hai scoperto» disse quando gli passai una tazza di semplice thè English breakfast.
«Non mi sono più arrivate, ogni singolo odore m’infastidiva e ancora ora la mattina mi sveglio con la nausea, ho fatto due più due e ho scoperti di avere una pagnotta nel forno. Come vuoi che l’abbia scoperto?»
«Grazie, Sherlock, ma intendevo, non so, sapere se è successo qualcosa, come ti sei sentita.»
Riflettei qualche istante. In effetti non ci avevo mai ripensato, da quando lo avevo scoperto sembrava essere passata un’eternità.
Ricordando tutto quello che era capitato in quella strana giornata mi sfuggì un risolino.
«Sai, ora che ci penso è piuttosto divertente. Ero a casa con Mel quando, facendo i conti, mi sono resa conto di avere un ritardo di due settimane. Ci siamo messe occhialoni, cappellini da baseball con la visiera il più in basso possibile, dei vestiti larghi e siamo andate a una di quelle macchinette fuori da una farmacia in un paese vicino per prendere tre test di gravidanza, tutto con molta calma, come se si trattasse di un banale raffreddore.»
«Tre?!» s’intromise nel racconto.
«Non si è mai abbastanza sicuri. Li ho fatti in tre ore diverse senza mai leggere il risultato, li facevo e poi li mettevo nella scatolina del primo e li nascondevo in modo che a nessuna delle due venisse la tentazione di andare a dare un’occhiata.»
«Come hai fatto fare tutta quella pipì?»
«Ho bevuto non sai quanti litri d’acqua. Ora vuoi stare zitto così finisco di raccontare?»
«Chiudo la bocca, per quanto mia sia possibile farlo» disse alludendo al labbro dolorante.
«Una volta fatto anche l’ultimo, ci siamo sedute entrambe sul pavimento del bagno e li abbiamo finalmente guardati: tutti positivi. Non sai la mia reazione! Ho iniziato a piangere come una disperata, non sapevo cosa fare, cosa dire, cosa sarebbe successo, e non so cosa avrei fatto se Melanie non fosse stata insieme a me. Mi ha aiutata a ritrovare il sorriso pensando che avrei condiviso quell’esperienza con il ragazzo che amavo.
Ho subito prenotato una visita ginecologia per il giorno dopo, poi sono andata dai miei per informarli. Erano del tutto spiazzati, si sono limitati a chiedermi se fossi felice e mi hanno assicurato che avrebbero appoggiato ogni mia decisione anche se lo shock mi ha causato il rinnego della parola da parte di mio padre per qualche tempo. Infine mi è toccato dirlo a Jason e, beh, non credo che ci sia bisogno di spiegare, hai visto abbastanza.»
«Ti ha trattata tanto male?»
«Mi ha dato della puttana sostenendo che fosse impossibile che fosse lui il padre, che in quegli anni di me non gliene fosse fregato un cazzo e che non ero un suo problema, proprio come ha ribadito al Coco Shore poco fa…»
«Quel bastardo, avrei dovuto suonargliele più forte!»
«Non mi sembra che tu sia stato proprio il vincitore della rissa.»
«È solo perché ci hanno separati. Vedrai se non si sentirà un merda quando si guarderà allo specchio, l’ho fatto nero!»
«Ah, perché tu sei molto carino in versione Rocky Balboa…»
«Perché? Non sono sexy anche così?»
 Salì in piedi sulla sedia sotto di lui mettendosi ad urlare il mio nome imitando Silvester Stallone nella celebre scena del film facendomi ridere così tanto che fui costretta a correre in bagno per evitare di farmela addosso.
Vivere con Harry? Se fosse stato sempre così allora era l’inizio della fine, la mia.
                     
«Perché non parli?»
«Perché non ho niente da dire.»
«Non è forse perché sei agitata?» alluse indicandomi con lo sguardo la mano con la quale picchiettavo ritmicamente le unghie sul tavolino in metallo di quel bar in una piccola città lontana dal nostro paesino.
Non ero solo agitata, peggio! Avrei voluto scappare urlando!
«È solo che… non so cosa aspettarmi! In tre mesi questa è la prima volta» riposi timidamente abbassando lo sguardo.
«Ehi, andrà tutto bene, è solo un’ecografia» disse appoggiando la mano sulla mia obbligando a fermare il mio ticchettio nervoso.
«Sì, andrà tutto bene.» Il suo sorriso riuscì a far calare parte della crescente ansia che mi pesava sulle spalle dal momento in cui eravamo usciti di casa. «Me la prendi un’altra brioches?»
«Ma ne hai già mangiate due!»
«Non c’è due senza tre. Ti prego.» Feci il labbro tremulo certa che avrebbe ceduto.
«Va bene, ma poi non prendertela con me se ti nascerà un bambino di 15 kg» disse alzandosi.
«Al cioccolato, eh!» gli urlai mentre varcava la porta del bar.
La prima ecografia, e lui ci sarebbe stato. Avevo sempre rimandato per paura e perché l’idea di affrontarla da sola non era molto rassicurante, però Harry mi aveva completamente convinta ad accettare tutto quello che mi era successo, poi dovevo decidermi a fare questo benedetto primo controllo, per quanto ne sapevo io dentro potevo avere un bambino come quattro, oppure un piccolo mutante con sei braccia e un occhio solo, era ora che mi decidessi a guardare in faccia quel esserino!
«Eccola, piccola, però mangiala mentre andiamo, non vorrai arrivare in ritardo» disse Harry passandomi la brioches coperta da un tovagliolino con il nome del bar scritto sopra.
«Sto morendo di fame!» La addentai avidamente alzandomi in piedi. «Dov’è l’ospedale?» biascicai masticando.
«Cammina.»
Mi prese la mano e mi fece strada.
Lungo la strada molte ragazzine si voltavano a guardarci, ma solo poche si avvicinarono per chiedere a Harry una foto o un autografo, e mi sorprese il fatto che non negasse nulla a nessuna di loro, anzi, se poteva ci scambiava anche due chiacchiere.
Aveva tenuto i piedi per terra, per fortuna.
«Salve, siamo qui per un’ecografia» disse Harry una volta raggiunto il punto informazioni nella sala all’ingresso dell’ospedale.
«Primo piano. Seguite le frecce gialle a terra e dovreste raggiungere un corridoio. Dovete andare in ostetricia» rispose con tono seccato l’infermiere brizzolato quasi senza staccare gli occhi dal computer davanti a lui.
«Grazie.»
Seguimmo le sue indicazioni alla lettera e poco dopo raggiungemmo un corridoio ben più lungo di quanto mi aspettassi dove, davanti alla porta che brandiva il cartello con scritto “Ecography”, sedute su una fila di seggiole vermiglie attaccate alla parete attendevano in silenzio due donne molto più incinte di me con i rispettivi mariti, fidanzati, compagni o qualunque cose fossero.
“È davvero questo che mi aspetta?” pensai lanciando una veloce occhiata alla donna più vicina a me: il viso, dai tratti ammorbiditi dalla gravidanza che la rendevano ancora più bella e radiosa di quanto non fosse già, era illuminato da un sorriso molto dolce forse legato al gesto dell’uomo accanto a lei che le aveva appena lasciato una tenera carezza sul ventre pieno.
Che scema, io sarò una fantastica ragazza rotonda come una palla che tutti si volteranno a guardare perché giovane, incinta e sola…”
«Te l’immagini quando anche tu sarai così?» mi sussurrò all’orecchio il mio vicino distraendomi dai miei pensieri, «Già non sei molto alta, così sembrerai una pallina!» mi sbeffeggiò.
«Che stronzo!» ribattei cacciandogli un pugno sulla spalla accennando un sorriso. «Sono incinta e suscettibile, bell’amico che sei.»
«Saresti carina anche così.»
«Carina?!»
«Una bella mammina, contenta?»
«Passabile» risposi incrociando le braccia al petto e riportando lo sguardo davanti a me.
«Chi è il prossimo?» domandò una donna dai capelli biondi acconciati in una crocchia sulla nuca facendo capolino dalla porta.
Entrambe le donne sedute si voltarono a guardarci con un sorriso.
«Le signore sono…»
«No, noi siamo qui per altro, l’ecografia e vostra» m’interruppe la donna accanto a me.
«O-okay, grazie.» Mi alzai in piedi e mi addentrai nella stanzetta scura con Harry pochi passi dietro di me.
«Facce giovani, vedo» ci accolse la donna bionda chiudendosi la porta alle spalle. «Piacere, sono la dottoressa Waither.»
«Darcy Gray.» Le tesi la mano stringendo la sua gelida.
«In che periodo sei, Darcy? Te lo ricordi?»
«Se non sbaglio 8+2» dissi titubante.
«Questa è la prima, eh? Sei agitata?»
«No.»
«Sì che lo è, ma le piace fare la dura» s’intromise Harry cingendomi le spalle con un braccio. Mi sentii avvampare.
“Perché queste battutine non te le tieni mai per te, Styles?!”
«Non ce n’è bisogno» disse la Waither con un risolino. «Vedrai che sarà questione di un attimo. Sdraiati sul lettino.»
Mi avvicinai al lettino color grigio ghiaccio e mi ci stesi sopra dopo un respiro profondo. Harry, in piedi accanto a me, mi sorrise e non rifiutò la mia mano che si strinse alla sua così forte che quasi gliela piegai a metà.
«Il gel è un po’ freddo, ma non è poi così terribile.»
“Un po’ freddo?! È congelato!” pensai imprecando dentro quando la dottoressa spalmò una spruzzata gel azzurrino sulla pancia.
«Siete giovani, vi spaventa l’idea di diventare genitori?» domandò per spezzare la tensione cominciando a setacciarmi il ventre con uno strumento bianco.
«No, possiamo farcela» rispose fulmineo Harry.
«Lui non è il padre» precisai.
«Beh, l’importante che ci sia amore.» Si accorse di aver parlato troppo quando mi vide arrossire e Harry trattenne a stento una risata. «Scusate, mi rimangio tutto. Ora, guardando il monitor alla vostra sinistra, potrete vedere il piccolino che cresce qui dentro.»
Credo che solo una donna nella mia stessa condizione possa capire ciò che provai nel preciso istante che il mio sguardo incrociò la sagoma chiara di quel fagiolo un po’ sfocato al centro del monitor.
«Guarda, Darcy! Guardalo!» esclamò Harry forse ancora più entusiasta di me.
«Harry, è…»
«Volete sentire il battito cardiaco?» propose la dottoressa sorridendo alla nostra reazione.
«Sì!» rispondemmo in coro.
Ancora oggi chiudendo gli occhi e concentrandomi a fondo posso sentire netto nelle mie orecchie il flebile suono prodotto dal battere del suo cuore così incredibilmente rapido. Mi sembrò una melodia che si è incisa nei miei ricordi come fosse la mia canzone preferita.
Finita la visita ci stampò due piccole foto in bianco e nero di quella prima ecografia e ci congedò fissandoci un altro appuntamento a due mesi di distanza e mi riempì di regolamenti e una lista di alimenti, vitamine e ferro da assumere perché il mio piccolo fagiolo crescesse nel modo migliore.
Quando varcammo la porta d’uscita dell’ospedale trovandoci sotto al sole sulla piazza lì davanti, mi girai verso Harry e gli buttai le braccia al collo stringendolo in un abbraccio che ricambiò e scoppiammo a ridere.
«Io non ci credo! L’hai visto? No, dico, l’hai visto?! È bellissimo!» esplosi.
«Come la mamma. Non vedo l’ora che nasca!» disse asciugandomi la piccola lacrima di gioia sfuggita al mio controllo che correva lenta lungo la mia guancia.
Mi prese in braccio compiendo una serie di giri su se stesso. Nulla ci avrebbe più potuto togliere il sorriso quella mattina.
 
«E questa la attacchiamo al frigo.» Harry prese una calamita e attaccò la foto dell’ecografia sul frigorifero in acciaio.
«E segniamo tutte le date da ricordare. Quand’è la prossima ecografia?»
«Il 15 Novembre. Il parto è previsto per…»
«Il termine è previsto intorno al 7 Marzo»
Presi in mano il calendario appeso alla parete e segnai con una X rossa entrambe le date.
«Darcy, io non posso restare sempre qui, presto dovrò tornare a Londra…»
“Ed ecco il castello di cristallo che va in frantumi…”
Mi sembrava amareggiato nel dirlo, però era giusto affrontare quel discorso, sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe tornato nel suo mondo di cui non facevo parte.
«Lo so, ma non preoccuparti, hai già fatto molto.»
«E lasciami finire! Voglio che tu venga a stare da me.»
Rimasi a bocca aperta.  «Cosa?! Harry no, io… non posso, non puoi, non è giusto.»    
«Certo che posso, e non te lo sto chiedendo, te lo impongo. Tra due settimane ti porto a Londra con me, Day.»
Quella giornata non poteva essere più felice di così.
«Questo povero bambino crescerà disturbato, me lo sento.» Alzai gli occhi al soffitto fingendomi affranta.
«Lo devo prendere per un sì?»
Iniziai a canticchiare “God save the Queen”, allusione al fatto che presto io e la cara Elisabeth II avremmo condiviso la stessa città.

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Capitolo 8
*** 7 - Together In London ***


«Day, sicura di aver preso tutto?» mi urlò Harry dal piano inferiore.
«Qui non c’è più niente. Tu controlla ancora sotto, ma non dovresti più trovare nulla in giro.»
«Con te non si sa mai.»
Gli feci il verso girandomi di nuovo verso la mia valigia aperta sul letto. “Ma come ho fatto a portarmi via tutta questa roba?! Non sta chiusa!” pensai vedendola mezza aperta per via della pila di vestiti che saliva oltre il bordo. Con un saltello, ci zompai sopra chiudendola con uno sbuffo.
«Willy bello, mi daresti una mano qui?» invitai il ragazzo in camera con me ad aiutarmi lasciando l’obbligo tra le righe.
«Come se non avessi fatto altro fino ad adesso…» disse chinandosi un po’ e tirando faticosamente la lampo chiudendo definitivamente anche la seconda grossa valigia.
«E anche questa è andata. Londra, sto arrivando!» esultai saltando giù con le braccia sollevate. «Ora carico questa e si parte.»
«Forse è meglio se la carico io» disse lui sfilandomela dalla mano, «Niente movimenti bruschi, ricordi, mammina?»
«Per una valigia non credo che qualcuno qui dentro decida di farsi un viaggetto lungo l’utero» ribattei sollevandomi la T-shirt abbastanza da scoprirmi l’ombelico e bussando sul ventre con il pugno. «È sopravvissuto a una sbornia, sopporterà anche una valigia.»
«Oh, Darcy! Ti ho fatta ubriacare una sera mentre eri qui!» Si passò, colpito, una mano tra i capelli tirandoseli indietro. Con tutto quello che era successo nell’ultimo periodo se l’era scordato.
«Ma sì, al massimo gli mancherà un neurone o due, gli stessi danni che si provocherà da solo da adolescente» ironizzai sperando di farlo sorridere. Ovviamente non ci riuscii.
«Avrei dovuto impedirtelo.» Si sedette pesantemente sul letto sorreggendosi la testa con ambo le mani, il senso di colpa dipinto in viso.
«Ancora non lo sapevi.» Mi piegai sulle ginocchia per abbassarmi alla sua altezza. «Tu mi hai protetta, Will, mi hai riportata a casa sana e salva e mi sei stato vicino da primo giorno che ho rimesso piede qui. È stato troppo divertente stare ventiquattro ore su ventiquattro con te ed Harry.»
«Mi sento in colpa…» Si alzò in piedi e si avviò lungo la tromba delle scale con gli occhi bassi.
«Senti, vuoi davvero proteggermi? Allora promettimi che non dirai cos’è successo quella sera ad Harry, sai che lui si preoccuperebbe per nulla nello stesso modo in cui lo stai facendo tu adesso, solo amplificato a livelli che non ha mia raggiunto nemmeno mia madre» dissi appoggiandogli una mano sulla spalla intimandogli di fermarsi nel bel mezzo della scala.
Si voltò verso di me sforzando un sorriso. In tutta risposta, gli buttai le braccia al collo stringendolo in un lungo abbraccio sorprendendolo al punto da fargli lasciar andare la valigia che ruzzolò fino a terra per ricambiare la stretta. Per una volta eravamo alla stessa altezza grazie a quel gradino di differenza sul quale ero ferma; mi fece ricordare la scuola elementare.
«Sì, anch’io vi voglio bene…» disse Harry comparendo nel salone appoggiato contro il mancorrente della rampa. «Pensavo che qualcuno si fosse fatto male, e invece…»
«Geloso, Styles?»
«Sì, Sweeney, e pure molto.»
«Dai, ricciolino, tu dovrai sopportare me e questo coso come minimo per i prossimi cinque mesi, lasciami godermi qualche attimo in compagnia del mio amicone!» dissi liberandomi dall’abbraccio del ragazzo e sorpassandolo per andare verso Harry e abbracciare anche lui che, però, mi fermò a pochi passi di distanza.
«Non chiamarlo “coso”. Questo» mi appoggiò una mano sul ventre, «è una delle cose più belle che mi siano capitate ultimamente, non dimenticarlo. Ora andiamo, se no non partiamo più.»
«Sì. Scusa…» Mi lasciai scendere le braccia lungo i fianchi.
Mai avrei pensato che potesse parlare così, come un uomo.
Finimmo di caricare le ultime cose in auto e poi, dopo aver rifatto per la millesima volta un giro della casa e averla chiusa, mi concedetti un ultimo salutino a Will.
«E vedi di venirci a trovare, almeno quando sarò a casa tutta sola e abbandonata perché questo qui» indicai Harry alle mie spalle, «sarà in giro per il mondo.»
«Ehi!» protestò e io risi stringendo ancora Will. «Ma che poi cos’è ‘sta fissa di usa “questo” con tutto? Questo qui, questo coso, …» continuo a borbottare risistemando una borsa nel bagagliaio prima di chiuderlo con un tonfo.
«Promesso, ma tu tienimi aggiornato e fatti sentire ogni volta che puoi.» Will mi prese il viso tra le mani accarezzandomi entrambe le gote con dei lievi movimenti dei pollici prima di chinarsi e baciarmi la fronte.
Mi sentii come se stessi per separami da un fratello. 
«Sempre. Chi altri dovrei stressare chiedendo che cosa mi stia meglio per uscire a fare la spesa?»
«Okay, per queste cose inutili chiedi a Harry.» Rise.
«Ehi, Sweeney, ti aspettiamo» disse Harry stingendogli la mano, ma Will lo tirò verso di sé abbracciandolo come si deve. Gli scattai una foto.
«Che fai, Day?»
«Vi faccio una foto, un ricordo di due degli uomini più importanti per me insieme. Ora siete anche sul mio sfondo» risposi raggiante mostrandogli orgogliosa il nuovo sfondo del menù del mio telefono.
«Donne…»
«Styles, vedi di trattarmela bene» “minacciò” Will.
«Perché? L’ho mai trattata male?»
«Ogni tanto…»
Scuotendo il capo, Harry salì al posto di guida ma, prima che io potessi seguirlo in auto, Will mi prese per un polso in segno che volesse che mi fermassi.
«Che fai? Ti manco già?» mi voltai con un sorriso.
«Day, non innamorarti di nuovo, ora non puoi più scappare, non te lo permetterebbe.»
“Cosa?! E adesso che dico?” «Ma di che… cosa stai dicendo? Non essere sciocco!»
«Darcy, sai di che parlo. Lo sapevo, tutti lo sapevamo, solo lui non ci era ancora arrivato oppure l’ha negato a se stesso, ma ora non hai più sedici anni, sarebbe tutto diverso.»
«Io… ci proverò.» Deglutii.
«Fa’ la brava.» Mi diede un ultimo bacio tra i capelli e mi lasciò salire in auto.
“Perfetto, questo viaggio parte già male…”
Neanche il tempo di allontanarci quel tanto che bastasse per vedere il mio caro amico fermo davanti a casa mia con ancora il braccio teso per salutarci, che Harry mi chiese «Ma ti piace Will?»
«No! Cioè, sì, ma non nel modo che intendi tu! Ma poi che domanda eh?!» Mi sentii avvampare per l’imbarazzo.
«Così, tanto per saperlo… Potevamo chiedergli di venire con noi.»
«Ha un lavoro ora, e non credo che sarebbe molto felice di lasciare tutto, qui lui ci è cresciuto.»
«Tu l’hai fatto.»
«È diverso.»
Silenzio, nessuno dei due parlò, così lasciammo morire quel discorso, forse perché sapevamo entrambi che saremo finiti a parlare della nostra adolescenza insieme, argomento un po’ scomodo.
«Harry?»
«Sì?»
«Ma cosa sto venendo a fare io a Londra?»
«Stai con me» rispose con semplicità.
«Non mi sembra una gran risposta, ti pare?»
«Ormai voglio vederlo dal vivo questo bambino, e poi voglio recuperarmi tutti gli anni che ci siamo persi» continuò.
«Sei carino» dissi sorridendogli, ma mi lasciai travolgere dalla felicità e gli saltai praticamente in braccio facendolo sbandare lungo la strada.
«Ma che fai! Stavi per farci finire fuori strada! Volevi ammazzarci tutti e tre?» alzò il tono della voce sorpreso e irritato per la mia inaspettata irruenza.
«Oh, dove lo trovo un altro migliore amico come te?» Strusciai la guancia contro la sua.
«Se fai altri scatti come questo, probabilmente in un cimitero…»
«Cinico» Tornai al mio sedile con le braccia conserte strette al petto. Ovviamente notò subito la mia finta arrabbiatura, perché nei due minuti successivi fu lui a tirami verso di sé stringendomi un braccio intorno alle spalle e lasciandomi un bacio tra i capelli.
«Amo i tuoi ormoni, ti rendono adorabile!»
«Sì, adorabile… Ora pensa a guidare, Styles, che mia nonna va più veloce di te.»
Non l’avessi mai detto… Sentendosi sfidato premette a fondo l’acceleratore cominciando a sfrecciare in autostrada nemmeno ci trovassimo in un film di Fast and Furious sorpassando le auto e facendomi sballottare da una parte all’altra. Penso di non aver mai patito tanto un’auto in vita mia.
I miei ormoni mi rendono “adorabile”? Oh, le mie continue nausee non di certo, e il tappetino dell’auto l’ha provato sulla sua stessa gomma.
 
«Eccoci a casa» annunciò tirando fuori dalla tasca dei jeans il telecomando che fece aprire un cancello in ferro battuto non appena premette uno dei bottoni.
«Casa? E tu tutto… questo lo chiami casa?!» Ero sbalordita dalla bellezza di quella specie di regga costeggiata sulla sinistra da un giardino ad angolo.
«Dai, è carina.»
«Non ho detto il contrario, penso solo che la playboy maison sia un buco a confronto.»
«Sì, non esageriamo… Comunque, se fosse come dici, perché non ho ancora visto le play mates? Ahia!» si lamentò in seguito ad un mio pugno sulla sua spalla.
«Era un invito a farmi andare in giro per casa con un body nero, la coda a pallina e delle orecchie da coniglio?»
«Sarebbe carino.»
Altro pugno sullo stesso punto, però risi immaginandomi la scena di una me enorme con un body striminzito.
Una volta spento il motore dell’auto, mi affrettai ad uscire fuori di corsa e mi fermai al confine tra il curato giardino e il terreno lastricato in mattonelle. Anche lo spiazzo verde, nonostante fosse piccolo, era stupendo e curatissimo. Non mi sembrava vero che avrei vissuto in un posto come quello.
“Ma come fa a permettersi tutto questo? Ah, già, dimentico la band…”
«Cosa… stai cercando» mi parlò all’orecchio destro fermandomisi alle spalle.
«Mi chiedevo, se quello che ho davanti è l’Eden, dove sono Adamo ed Eva? Devono essere qui da qualche parte» ironizzai.
«Probabilmente Eva è nel mio letto.»
«Styles!» Mi voltai di scatto verso di lui con sguardo critico, «Sei pessimo!»
«Ammettilo, era carina!» si difese ridendo.
«No, era bruttissima! Non posso permettere che mio figlio cresca con un individuo del genere. Io me ne vado.»
«Non credo proprio.»
Mi prese in braccio come una sposa sollevandomi come se non pesassi nulla e senza lasciarmi possibilità di obiettare iniziò a camminare verso l’ingresso.
«Mettimi giù!»
«Quante storie anche per vedere casa nostra
“Casa nostra”. Che strano da sentire, ma era proprio così.
Aprire la porta risultò più difficoltoso del previsto con me in braccio, ma volle lasciarmi a terra solo una volta raggiunto l’ingresso.
Se all’esterno la villa era bella, oh, dentro era meravigliosa! Tutto, dalla tinta calda del parquet agli arredi chiari o in vetro, rendevano gli interni luminosi ed estremamente sofisticati.
«Wow, è…»
«L’ho arredata bene, eh?»
«Vuoi dirmi che questo» dissi voltandomi a guardarlo facendo roteare gli indici verso l’alto in modo da indicare il tutto, «l’hai fatto tu?»
«Beh, sì. Mi hanno aiutato, ma la maggior parte è merito mio.»
«Sei assurdo, dove lo nascondevi tutto questo buon gusto?» gli urlai mentre passavo da una stanza all’altra del piano terra.
Era rimasto fermo nell’ingresso, sapeva quanto mi piacesse esplorare.
«La cucina è fantastica, ma la cosa di cui mi sono veramente innamorata è il tuo divano» dissi tutta pimpante tornando da lui dopo aver completato il giro d’ispezione, «Ma quanto cavolo è grosso!»
«Lo so, me lo dicono sempre tutti» rispose ammiccando.
«Mi stai scadendo sempre di più…»
«Vuoi vedere le altre stanze?»
«Certo! Sono molte? Avrei un po’ male hai piedi…»
«Come se avessimo camminato tutti il giorno, vomitina.»
«Non so se ti ricordi che stai parlando con una donna incinta. Le caviglie s’ingrossano e fanno male.»
«Touché. Day, di sopra hai un lettone tutto per te, ti riposerai appena ci arriviamo.»
Anche il piano di sopra era molto luminoso e non c’erano poi così tante stanze, alcune delle quali camere da letto per gli ospiti, una piccola palestra e la stanza della musica. Non si fermò a mostrarmi tutte le stanze, tagliò corto finché non arrivammo ad una con la porta chiusa.
«Bene, Darcy, questa…» disse piegando la maniglia in ottone verso il basso, «è la tua.»
In tutta la mia vita non ricordo di aver mai avuto una stanza tanto grande. Entrai dentro calpestando la soffice moquette tortora guardandomi intorno finché non raggiunsi il letto coperto da un bel copriletto indaco e mi ci accasciai sopra.
«Ti piace?» domandò stendendosi accanto a me.
«Harry, io l’adoro! Sei un amico fantastico!» Rotolai su un fianco trovandomi sopra di lui e lo abbracciai. Si stava occupando di me incinta e mi aveva pure accolta in casa sua, come avrei mai potuto ringraziarlo abbastanza?
«Sei felice, piccola?»
«Euforica, cazzo!» dissi prendendogli le gote tra le mani pizzicandogliele leggermente.
«Sono felice che tu sia qui. Ora se vuoi riposati un po’, io scarico la macchina.»
«Non ti va di restare qui con me? Come ai vecchi tempi.» Mi stiracchiai stendendo le braccia oltre la testa e arricciando il naso nel tentativo di tenere la bocca serrata durante lo sbadiglio.
«Ti muore il gatto.»
«Giusto, Smith… Però poi torna qui, ci conto.»
«Agli ordini, capo.»
Mi tolsi dal suo corpo dandogli la possibilità di tornare al piano inferiore e aspettai una decina di minuti in silenzio prima di vederlo ritornare.
«Hai fatto in fretta.»
«Ho solo aperto la gabbia ad un gatto, non mi sembra un lavorone.» Si stese di nuovo al mio fianco espirando pesantemente col naso.
«Conoscendo il mio gatto…»
Parlammo per un po’, poi crollammo tutti e due in un sonno profondo. Tra il viaggio e l’aver sbaraccato casa mia ad Holmes Chapel eravamo distrutti.
 
Dopo aver passato il resto della giornata a svuotare scatoloni e scherzare con Harry, dopo cena mi ero stesa sul divano davanti alla tv e mi ero addormentata sfinita, ma il mio pisolino venne disturbato da alcuni rumori sospetti e quando riaprii gli occhi mi ritrovai circondata da quattro estranei.
«Oddio! Styles!» urali tirandomi la copertina in pile sopra la testa. Non mi ero minimamente accorta che ci fosse altra gente in casa, e tanto meno non pensavo che fossero tutti intono a me.
I ragazzi scoppiarono a ridere e mi sentii sprofondare ancora di più.
“Complimenti, Gray, facciamoci subito riconoscere, mi raccomando…”
«Ragazzi, vi avevo detto di non svegliarla!» li rimproverò Harry raggiungendo il resto del gruppo.
«Ma noi non abbiamo fatto niente!» si difese quello che dalla voce riconobbi essere Louis.
Mi scoprii il viso consapevole di essere paonazza e mi misi a sedere civilmente guardando i quattro ragazzi di poco prima.
«Ehm… Piacere, Darcy…» dissi timidamente, anche se in realtà avrei voluto dire “scusate per l’immensa, colossale figura di merda”.
«Niall» rispose al saluto il biondo alzando una mano. «Non volevamo svegliarti.»
«Tutto a posto, avevo appena chiuso gli occhi.» Sorrisi.
«Davvero? Devi avere proprio le palpebre di piombo, li hai chiusi mezz’ora fa!» precisò Harry fingendosi sorpreso. Voleva rincarare la dose della figuraccia. Lo fulminai lo sguardo mentre gli altri ridacchiavano.
«Finalmente ti conosciamo, famosa Darcy» disse Liam.
«Famosa?»
«È una lunga storia» tagliò corto.
«Non starete già andando via!» Il mio tono di voce non tradì la mia delusione, ma come potete darmi torto? Era la prima volta che li incontravo, avrei voluto fare almeno due chiacchiere.
«No, siamo appena arrivati.» Zayn alzò le spalle e mi sorrise.
Stavano cercando di mettermi a mio agio, e ci stavano riuscendo senza troppo sforzo.
«Ragazzi, volete qualcosa da bere?» chiese Harry vedendo la mia espressione confusa.
Gli altri accettarono e ci spostammo in cucina. Io mi trascinai dietro la coperta tenendomela sulle spalle come fosse un mantello, avevo troppo freddo per andare in giro solo in canottiera.
Harry aprì l’enorme frigo in acciaio e tirò fuori una cassa di birre, così mi avvicinai a lui e mi piegai sotto il suo braccio che teneva aperta una delle due ante con l’intento di estrarre un limone dallo scomparto più in basso che poi tagliai a spicchi per inserirli nel collo delle bottiglie. In fondo cos’è una Corona senza una fettina di limone?
«Fai già la brava padrona di casa?» chiese abbassando lo sguardo su di me.
                                                                                                                                        
«Ho già iniziato male, non credi? Cerco di rimediare» risposi in rimando cercando di sussurrarglielo per non essere sentita.
Presi il limone più brutto che avessi visto e gli diedi una sciacquata prima di tagliarlo e passare gli spicchi ai ragazzi seduti al tavolo.
«Grazie» mi ringraziò Liam con un sorriso che ricambiai sedendomi accanto a lui.
«Darcy, non ci racconti niente di te? Per ora sappiamo solo che ti piace dormire sui divani e ti spaventi facilmente» disse Louis ingollando una sorsata di birra.
«Buonasera a tutti, mi chiamo Darcy Gwendoline Gray, classe 1994, da Liverpool, e con oggi è più di un mese che non tocco un goccio d’alcol.» Scattai in piedi facendo una presentazione molto alla “primo incontro agli Alcolisti Anonimi” facendo scoppiare tutti a ridere e a battermi le mani proprio come fossimo ad una seduta.
“Rimediato” pensai soddisfatta.
«Allora per premiarti dovresti fare un brindisi con una bella bionda, sempre se non ti schifi» continuò il moro porgendomi la bottiglia a metà.
«Se proprio insisti…» accettai la proposta e allungai il braccio verso di lui.
«Darcy, no» mi ammonì Harry afferrandomi saldamente per il polso e tirandomi il braccio verso il basso.
Il mio sguardo fulminante fu più diretto di mille parole.
«E da quando impedisci alle belle ragazze di bere, Haz?» disse ridendo Zayn. «Mi sembra abbastanza grande per farlo» aggiunse strizzando un occhi nella mia direzione.
«Sarebbe meglio se non lo facesse, non ora.» Mi guardò serio.
«Avanti, Harry!» mi lagnai facendo roteare gli occhi.
«Styles, non credo che con un po’ di birra possa ubriacarsi, se è questo a preoccuparti» tentò ulteriormente Niall, ma il riccio era irremovibile, non mi lasciò nemmeno andare il polso.
«Non può. Il caso è chiuso.»
«Cosa ci sarà di tanto grave?»
Gli lanciai un’occhiata con la quale gli feci intendere che non volevo parlasse, ma lo fece comunque… 
«È incinta» fece brusco inchiodandomi con lo sguardo.
Piombò il silenzio sul gruppo, i loro occhi balzavano da Harry a me come saette. Erano del tutto sbigottiti dalla sua affermazione.
«Harry, che cosa…» azzardò Liam.
«No, lui non c’entra. Non è il padre, è solo un pazzo che ha deciso di prendermi sotto la sua protezione, tutto qui» spiegai facendo spallucce.
«Quindi vuoi dire che…»
«Sono qui perché vuole controllarmi mentre divento una mongolfiera e per farmi assistenza mentre imparo a cambiare pannolini, sì.»
«No, questa non la puoi decisamente bere» disse Louis liberatosi dallo stato di trance prima di riappoggiarsi la bottiglia sulle labbra e finendone il contenuto.
«Sei un ingordo!» Gli diedi un colpetto sul braccio in segno di scherno.
«L’ho fatto per te.» Mi sorrise strizzando uno dei sottili occhi grigi.
«Posso?» chiese timidamente Niall. Il tono della sua voce mi fece intendere che ci avesse messo un po’ a raccogliere il coraggio per chiederlo.
«Ehm… sì?» dissi titubante. Sul momento ero incerta riguardo alle sue intenzioni.
Si alzò cauto dalla sedia lasciando la bottiglia mezza vuota sul tavolo e avanzò verso di me. Mi guardò da capo a piedi, si chinò in avanti e mi appoggiò una mano sul ventre facendomi subito sobbalzare, poi arrossii ed infine gli sorrisi calorosa. Nessuno lo aveva ancora fatto, non con la sua stessa dolcezza e delicatezza.
«Non si direbbe che tu sia incinta, sai? Ma Harry ti fa mangiare?»
«Sì, forse anche troppo.» Mi coprii la bocca ridendo, «Non si nota ancora molto perché è presto, però si sente. Guarda.» Appoggiai la mano sulla sua e gliela spostai su tutta la superficie della mia pancia in modo da fargli sentire meglio la rotondità per quanto lieve fosse. Sorrise quando se ne accorse e sollevò lo sguardo. Gli occhi gli brillavano come ad un bambino la mattina di Natale.
«È bellissimo, sai? Sarà bello avere un altro bambino nella nostra famiglia.»
Vidi subito qualcosa di speciale in quel ragazzo, il suo intero essere mi diede la carica per autoconvincermi che, in fondo, essere lì non fosse poi tanto sbagliato, e che non sarei mai stata sola.
«Sai già il sesso? Ti prego, dimmi che è maschio, qui nascono solo bambine!» fece Zayn.
«A me lo dici che sono praticamente l’unico uomo di casa dalle mie parti?» sbottò scherzoso Louis.
«È ancora presto per saperlo, ma appena me lo diranno…»
«Ce» mi corresse fulmineo Harry.
«Ce lo diranno» ripresi a parlare, «sarete i primi a saperlo, prometto.»
«Un bambino nelle mani di Harry… Prevedo guai.»
“A chi lo dici, Niall.”

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Capitolo 9
*** 8 - A Little Taste of Your World ***


Il letto era così caldo e comodo, troppo invitate per essere lasciato vuoto… perché doveva venirmi quella stramaledetta voglia di muffin? Era nuova questa cosa, le voglie. Qualcuno mi spiega a cosa servono?!
Sbuffando, scesi dal letto e andai in cucina con quella voglia sempre più insistente. Aprii tutti gli scomparti della cucina alla ricerca di qualcosa che contenesse anche solo una minima percentuale di cioccolato, ma tutto ciò che trovai fu una scatola di cacao in polvere che, in mancanza di latte, cominciai a mangiare ad ampie cucchiaiate tossendo di tanto in tanto quando un po’ di quella delizia mi andava per traverso.
«Ma hai la bronchite o cosa?»
Mi voltai al suono di quella voce roca alle mie spalle incontrando la sagoma di Harry con maglietta stampata e pantaloni della tuta, i ribelli ricci gli cadevano scomposti sulla fronte.
«Buongiorno» lo salutai posando il cucchiaio sul tavolo e pulendomi il mento con un dito. «Ti ho svegliato?»
«No, è stato un tricheco con la tosse a farlo. Non te l’hanno mai detto che il cacao in polvere va sciolto nel latte?» disse sarcastico sedendosi a tavola di fronte a me.
«Mi sono svegliata con una voglia terribile di cioccolato, di muffin, ma c’era solo questo e ho dovuto fare di necessità virtù.» Presi un’ultima cucchiaiata dalla busta che ingurgitai avidamente.
«La cioccodipendenza non ti passerà mai.»
Sbuffai e continuai a mangiare il cacao direttamente dalla scatola mentre lui, appoggiando la testa sul tavolo, riprese il sonno che gli avevo interrotto.
Muovendomi silenziosamente per non svegliarlo, mi alzai in direzione del frigo e staccai dalla superfice il fotogramma dell’ecografia. Dovevo fare qualcosa per quel bambino e per Harry, non potevo solo stare a casa a oziare dalla mattina alla sera.
Ero sempre stata una intraprendente, quindi presi la mia decisione.
«Oggi si esce alla ricerca di un lavoro, poco ma sicuro» dissi a me stessa.
Andai prima in bagno per completare la mia routine di “bellezza mattutina” lavandomi denti, viso, spazzolarmi i capelli e completando tutto con il consueto leggero make-up, poi mi spostai in camera dove indossai una gonna bianca a pois neri lunga qualche centimetro sopra al ginocchio (una gentile e inconsapevole concessione di Melanie), dei collant neri e un dolcevita nero con sopra un cardigan in calda lana di diverse sfumature di grigio, necessario per sopravvivere al venticello freddo di Londra a novembre. Infine, legai i capelli in cima alla nuca in uno chignon spettinato, giusto perché non avevo voglia di stare a combattere con loro che, quella mattina, non ne volevano sapere di starsene al loro posto.
Quando tornai in cucina, trovai Harry ancora addormentato con la testa sul tavolo, e ciò mi fece sorridere. In quella casa non ci sarebbe stato sono un bambino, ce n’era già un altro che mi stava dormendo davanti agli occhi russando leggermente.
«Non pensi che un letto sia più comodo per schiacciare un pisolino?» gli sussurrai all’orecchio piegandomi su di lui. Sussultò in avanti e mi dovetti scansare per evitare di ricevere una testata.
«Non stavo dormendo.» Si mise a sedere sbattendo ripetutamente le palpebre prima di guardarmi.
«Ah no? Allora hai incominciato a russare anche da sveglio, ricciolo.»
Fece roteare gli occhi e si mise in piedi allungando le braccia sopra le testa per stirarsi. Non doveva essere comodo dormire sul piano di un tavolo.
«Perché sei già vestita? Esci?»
«Uhm… sì, stavo pensando di farmi un giro in centro e magari fare un salto all’ufficio di collocamento. Vorrei trovarmi al più presto un lavoretto.»
«Aspettami. Ti accompagno in giro, ma per il lavoro lascia stare.»
«Non mi sembra giusto nei tuoi confronti, voglio contribuire con le spese!» insistetti.
«Ma a che serve? Mi fa piacere darti una mano.» Mi sorrise accarezzandomi una guancia.
«Vuoi darmi una mano? Aiutami a cercare un lavoro.»
Quando Darcy Gray si fissa su qualcosa, allora Darcy Gray può risultare più irremovibile di quanto si possa pensare.
Sbuffò contrariato da tutta quella mia determinazione. «Se proprio ci tieni…»
Sparì su per le scale e io rimasi in salone ad aspettarlo dopo essermi infilata una paio di inglesine in pelle marrone nei piedi.
Mi sedetti sul bracciolo del divano e sollevai le gambe dritte per portarle all’altezza del mio viso.
“Okay, le mie caviglie gonfie fasciate dai collant sembrano due cotechini, ma chi se ne frega, mi piace come sono vestita, e poi chi vuoi che guardi le caviglie della gente per strada?”
Chi è l’idiota che insinua dire che le donne siano lunghe a prepararsi non ha mai vissuto con Harry Styles, poco ma sicuro. Rimasi ad aspettarlo per venti minuti buoni pensando a quale lavoro mi potessero proporre.
«Alla buon’ora!» esclami rivolgendo i palmi delle mani e gli occhi al soffitto quando lo vidi scendere le scale.
«Hai fretta, bambina?» chiese con nonchalance inforcando un paio di Ray-Ban.
«Sei peggio delle donne come lentezza a prepararti, te l’hanno mai detto?» dissi critica superandolo per uscire nel giardino.
«Può darsi.»
Lo precedetti fuori dal cancelletto poi, dopo essermi accovacciata a terra per rifare il nodo a una delle scarpe, mi alzai scrollandomi la gonna con le mani e mi diressi all’auto.
«Che fai?»
«A te che sembra? Un caffè, è ovvio» dissi sarcastica senza staccare la mano dalla maniglia del Range Rover nero.
«Andiamo di là.» Mi fece un cenno del capo nella direzione opposta e s’incominciò con le mani nelle tasche dei jeans.
«Non ti farò domande, ma sappi che dentro mi sto chiedendo dove vuoi andare» dissi affrettando il passo per affiancarlo.
«Siamo in città, Darcy, qui noi ci spostiamo con i mezzi» rispose con ovvietà.
«Sarà, però io resto affezionata alla comoda e spaziosa macchina, ma se tu preferisci il pullman…»
«Metro. C’è una fermata dell’Underground qui vicino.»
Lo seguii guardandomi intorno. Il giorno prima non mi ero accorta che ci fossero tante ville enormi a mano a mano che camminavamo verso una zona più abitata!
«Styles, ma… sono io che sono diventata un Umpa Lumpa o in questo quartiere ci sono solo case immense?»
«Sei a Hampstead Health, è una delle zone più ricche di Londra» disse cingendomi le spalle con un braccio e scompigliandomi il corto ciuffetto di capelli che, come al solito, mi era scivolato dall’acconciatura scendendomi davanti alla faccia (maledetta Melanie e i suoi tentativi da hair stylist!). «Comunque sì, tu sei rimasta bassa.»
«Ehi!» esclamai togliendomi il suo braccio di dosso, «Sono quasi 1,70 m!»
«Quasi» aggiunse squadrandomi.
«Che stronzo!» sentenziai dandogli uno spintone facendolo finire fuori dal marciapiede, «Guarda che sei tu quello sproporzionato! Ma sul serio ti reggono quelle gambette? Ci sono modelle più muscolose di te!»
«Sì, mi reggono, e funzionano pure piuttosto bene.»
«Sei capace di non fare battute a sfondo sessuale?» lo rimbeccai aggrottando la fronte.
«Intendevo che non mi creano problemi, stupida pervertita.»
Frecciatina, e quella volta mi aveva sul serio chiusa.
«Touché…. Quindi qui ci sono molti vip» tornai sul discorso di partenza.
«Ti ricordo che vivi con uno di loro.»
«Vuoi dirmi che David Beckham vive qui? Oh, Dave, fa’ di me la miglior giocatrice incinta della prima divisione femminile!» dissi con le braccia aperte e la testa indietro come fosse un’invocazione.
«Cammina. Non è questa la sua zona, e mi metti in imbarazzo.» Mi prese per il polso con fare paterno costringendomi a riprendere il cammino. «Appena posso dovrei farti conoscere Nick» disse più a se stesso che a me.
«Carter?» domandai speranzosa.
«Grimshaw. Ascolti ancora i Backstreet Boys?»
«Mai smesso, anche se ora ho una nuova boy band nel cuore.» Gli sorrisi strizzando un occhio.
Raggiungemmo la fermata della metro e, dopo aver fatto il biglietto, lo seguii sul vagone senza chiedermi dove mi stesse portando di preciso. Mi stupii la sua indifferenza contraccambiata da chi ci stava intorno, poi pensai “okay, lui è Harry Styles, ma alle 10 del mattino di giovedì credo che la maggior parte delle sue fans siano ancora a scuola”.
“Tanto meglio, oggi tutto tranquillo.”
«Ti spiace se con noi viene anche Niall? Mi ha chiesto se sono a casa» mi chiese dopo aver girato il telefono verso di me per farmi leggere il messaggio.
«Certo che non mi spiace, anzi! Sono contenta di passare un po’ di tempo con i ragazzi, d’altronde staremo parecchio insieme in questi mesi.» Ed ero felice sul serio, adoro Niall!
«Okay, glielo dico» rispose con un sorriso prima di rimettersi a smanettare col telefono.
Rimanemmo in silenzio finché non mi fece un cenno col capo verso la porta per farmi capire che quella era la nostra fermata e, dopo essermi quasi persa per via della folla, riuscimmo a risalire le scale e spuntammo in strada, anzi, ma che strada! Piccadilly Circus, la Piazza di Londra!
 
«Come al solito è in ritardo…» Harry scosse la testa dopo dieci minuti che stavamo impalati appoggiati alla ringhiera della fermata dell’Underground. «Horan, sei un caso perso.»
«Può succedere, dai, poi nemmeno tu sei Mr. puntualità» gli feci notare ottenendo una linguaccia in rimando. “Bambino…”
«Ehi, ragazzi!» ci sentimmo chiamare alla nostra sinistra, ed ecco arrivare verso di noi un ragazzo con una felpa grigia e gli occhiali da sole sul naso.
«Sempre in orario, eh?» fece Harry con tono lamentoso ricevendosi una mia occhiataccia.
«Cos’è la puntualità?» disse ironico il biondo. «Buongiorno, Signorina Darcy.» Mi si avvicinò appoggiandomi una mano sul fianco per abbassarsi a baciarmi le guance.
«Buongiorno a lei.»
«Come state oggi?» domandò alludendo a me e, beh, a “ignoto” dentro di me.
«Vogliosi.» Mi guardò storcendo il naso trattenendo una battuta. “Allora il trovare doppi sensi in tutto è di famiglia…” «Nel senso che mi ha buttata giù dal letto perché avevo voglia di cioccolato.»
«Sì, sì, avevo capito.» Rise.
«Ah, se sei come questo qui» indicai Harry col pollice piantandoglielo in mezzo allo sterno, «immagino quanto avessi capito… Dove andiamo?»
«A farti vedere Londra, no?» disse il riccio massaggiandosi il punto dove l’avevo “colpito”. «Mi hai fatto male!»
«Esagerato.» Feci roteare gli occhi.
Niall scoppiò a ridere. «Siete fantastici insieme, sembrate sposati da vent’anni!»
«Cosa?! Con lui? Che incubo!»
«Grazie, Gray…»
«Mi spiace, Styles, ma è la verità.»
Finalmente si decisero a portarmi a spasso, e mi divertii un mondo! Se reputavo Harry un pazzo, in confronto a Niall poteva anche passare per una persona “normale” (meglio metterlo tra virgolette). Risi così tanto che in più di un’occasione rischiai di farmela addosso, e quante lacrime! Il make-up se ne andò letteralmente a puttane, per fortuna che in quella specie di valigia che mi porto dietro c’è sempre un pacchetto di salviettine struccanti e un mascara per ogni emergenza, così mi risistemai mentre loro ordinavano alla cassa del Nando’s anche per me che, invece, partii alla ricerca di un posto dove sederci.
Mi aveva stupito il fatto che per tutta la mattina fossimo passati quasi inosservati? Ecco, da quel momento finì la magia: la gente ci fermava spesso per strada, e mi sentivo a disagio, come se fossi invisibile in confronto a loro, ma sotto i riflettori per quelli che ci si avvicinavano. Harry e Niall mi sembravano tranquilli, sorridevano a tutti e non rifiutavano nessuno, erano molto carini e gentili.
Dopo essermi sistemata ad un tavolino libero piuttosto appartato e aver rimesso il beauty-case in borsa, mi misi a giocare con il telefono per ammazzare il tempo (e distrarmi dalla fame, mi sarei mangiata i panini di quelli seduti al tavolo accanto se ne avessi ascoltato lo stomaco) finché non mi trovai sotto agli occhi un vassoio strapieno di cose buone, e non vorrei esagerare dicendo che per un attimo mi parve illuminato da un fascio di luce divina.
«Ragazzi, non sono mai stata tanto felice di vedervi» gli sorrisi fingendo di asciugarmi una lacrima invisibile di commozione. «Ma… qual è la mia?»
«Tutto questo vassoio è tuo, e mi hai sbancato, stronza!» disse Harry sedendosi pesantemente sulla sedia azzurra davanti a me e spingendomi più vicino il vassoio.
«Ti perdono l’insulto gratuito solo perché mi stai nutrendo» ribattei controllando che non mancasse nulla: nuggets, patatine medie, hamburger con una sostanziosa fetta di pollo alla piastra e salsa mediamente piccante e una bottiglietta d’acqua naturale per, beh, tenermi “più leggera”.
«Affamata, la ragazza» commentò Niall divertito nel vedermi addentare avidamente un morso di panino.
«Oh, credimi, non ho preso tutto questo solo perché ora mangio per due» precisai.
«Confermo. Quando ci vedevamo per passare la sera insieme dovevo sempre ordinare tre pizze perché una sola non le bastava» intervenne Harry riportandomi alla mente tutte le nostre “serate cinema” del venerdì sera. «Ah, Day, ti ho preso anche questo.» Spostò i due bicchieri maxi delle bibite facendo comparire un enorme muffin al cioccolato. Si era ricordato della mia voglia di quella mattina!
Mi sporsi in avanti e gli presi entrambe le guance nelle mani. «Te l’ho mai detto che ti amo?»
«Non direttamente» fu la sua risposta sfacciata.
Sbarrai gli occhi. E quella da dove gli era uscita?!
Per non destare sospetti, gli diedi un colpetto sulla guancia e tornai a sedermi e a mangiucchiare prima che mi si freddasse tutto.
«Voi non siete mai stati insieme, vero?» domandò Niall ingollando un boccone. Forse si era sentito un po’ escluso da quella scena, e come dargli torto?
«Solo amici» precisai.
«E in tutti quegli anni di amicizia non vi è mai successo di provare nulla per l’altro?» Sollevò le sopracciglia assumendo un’espressione incredula e sorpresa al tempo stesso.
«Ci sono certe amicizie che vanno bene così, non si cerca altro» disse Harry con un’alzata di spalle.
Mi limitai ad annuire, ma sollevando lo sguardo incrociai gli occhi di Niall che mi parvero dire “lo so che non me la conti giusta”, ma che potevo dire? Tanto era tutto diverso, noi eravamo diversi, ammettere che per me non era stato sempre così sarebbe stato stupido.
Will aveva ragione, quell’idiota del mio migliore amico non l’aveva ancora capito, nemmeno a distanza d’anni. Era un caso disperato…
«Scusate?» Ci voltammo tutti e tre al suono di quella voce tremante e incrociammo il viso di due ragazzine che stringevano tra le mani quello che presupposi fossi il loro diario di scuola. «P-potete farci un autografo?»
«Certo! Come vi chiamate?» disse con un sorriso di circostanza Harry prendendo la penna della bambina.
«Lucy, e lei è la mia amica Mina» presentò entrambe quella che aveva preso parola fino a quel momento, l’altra aveva tutta l’aria di una che sarebbe potuta svenire da un momento all’altro.
Entrambi firmarono i due diari e si alzarono in piedi per stringerle in un abbraccio mentre io ero rimasta seduta a guardarli con ammirazione. Ci tenevano davvero ai loro fans.
«Scusami la domanda, ma… tu chi sei?» Quella volta Lucy si rivolse a me.
«Ehm… Darcy Gray» risposi tendendole la mano in modo formale. «Solo un’amica, giuro.»
«Okay, Darcy, ci puoi fare una foto?» Mi porse il telefono con un gesto timido.
«Certo! Dai, mettetevi in posa, cerco di fare un bel lavoro.»
Scattata la foto, gliela feci vedere chiedendole se così le andasse bene (insomma, era una foto con i loro cantanti preferiti, magari non avrebbero più avuto un’occasione come quella, volevo che le rimanesse un bel ricordo). Per ringraziarmi la ragazzina abbracciò anche me facendomi quasi mancare il fiato per lo stupore, quasi mi scese una lacrima per la commozione.
Si allontanarono continuando a voltarsi verso di noi mantenendo il contatto visivo costante.
«Darcy Gray, solo un’amica» mi fece il verso Niall quando rimanemmo di nuovo soli. «Hai intenzione di farlo con tutte le fan che incontriamo?»
«E voi avete intenzione di passare ancora il resto della giornata in un Nando’s?» risposi inacidita.
«Va bene, andiamo.»
Harry e Niall sparecchiarono il tavolino e ci avviammo lungo la scala che conduceva al piano inferiore con l’intento di uscire. Chi si aspettava tutta quella gente là fuori?
«Merda! E adesso?!»
Niall non era tranquillo, aveva i nervi a fior di pelle, e per me era lo stesso, odio le folle!
«Basta che non ti fai prendere dal panico e ne usciamo tutti e tre, va bene?» fu la risposta di Harry. Come faceva ad essere così tranquillo?! Niall mi prese dolcemente un polso e, quando mi voltai verso di lui, abbozzò un sorriso cercando di rassicurarmi.
Il titolare, senza far entrare nessuno nel locale, ci portò sul retro delle cucine e ci diede la possibilità di usufruire di un’uscita secondaria più tranquilla, ma la nostra fuga non procedette di certo meglio, infatti poco dopo ci trovammo chiusi dentro un negozio della linea Top Shop ad aspettare che il loro management venisse a prenderci. Avrò visto centinaia di volte scene del genere, di personaggi famosi bloccati in un bagno di folla, ma viverla quella situazione è decisamente diverso.
Al difficoltoso arrivo del management sgomitante tra la folla accalcata davanti al negozio, venni definitivamente scandalizzata, insomma, a chi piacerebbe essere scortati su un’auto dai vetri oscurati passando in mezzo ad un gruppo di ragazze in lacrime che spingono e scalciano come matte (per non parlare degli insulti che ti volano addosso, ma questo discorso lo affronteremo più avanti). Non è piacevole, specie se si è nella mia condizione del periodo, mi sentivo mancare l’aria come fossi stata prigioniera di una trappola. L’unica cosa che mi permise di continuare a camminare fu la mano di Harry che non lasciò mai andare la mia neanche per un istante. Non credo che ce l’avrei fatta se non ci fosse stato lui con me.
Ci sedemmo tutti e tre pesantemente sui sedili dell’auto e rimasi ancora con lo sguardo fisso su tutta gente ancora incredula di aver vissuto quell’esperienza: quella era pura follia, ma era la realtà per le celebrità, e non credo possa essere definita vita, anche se fa parte dell’aspetto meraviglioso e spaventoso della fama.
Dopo avermi cinto le spalle con un braccio, Harry mi si avvicinò all’orecchio sussurrandomi «Coraggio, Day, vai a stringere la mano a tutte loro.»
Mi voltai a guardarlo trovandomi i suoi occhi fissi nei miei cogliendo una nota di preoccupazione nei miei confronti prima sfuggitami. Provai a ribattere, ma mi mancavano le parole.
Parlavo dei fan, giusto? Magari fossero tutti carini come Lucy e Mina! Non è così, e la folla impazzita era solo un assaggio di quello che mi aspettava da quel giorno in avanti.
Il peggio doveva ancora venire…

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Capitolo 10
*** 9 - Troubles ***


Erano passate alcune settimane da quella nostra fuga in città, e le cose peggioravano giorno per giorno.
La foto delle nostre mani strette insieme era impazzata sul web proprio come quella scattata per caso pochi attimi prima: ritraeva lui voltato verso di me che, invece, mi guardavo intorno persa. In quel momento aveva capito che se non avesse fatto niente non avrei mosso un passo ed era intervenuto per rassicurarmi, ma ad occhi esterni poteva rappresentare altro. E così ero diventata la nuova e criticata amante di Harry.
Uscire anche solo per fare la spesa era diventato più difficile del previsto e per un po’ ci eravamo ritirati ad una vita di clausura, l’unico lato positivo era passare serate intere a casa con i ragazzi, un modo meraviglioso per dimenticarmi di tutto. Stare con loro era come essere portata lontano da tutto, come se fossero gli amici di sempre con cui puoi farti grosse risate ed essere semplicemente te stessa.
Ogni tanto dimenticavamo sul serio di quello che ci succedeva intorno, ma bastava accedere a qualsiasi social per ricordarmi gli svantaggi di vivere con una celebrità, lì era pieno di foto o “news” su di noi, sulla nostra presunta relazione. Tutto ciò che facevo o scrivevo diventava oggetto di chiacchiera per milioni di ragazzine in giro per i mondo.
I guai non fecero che aumentare in una mattina di metà novembre.
Era un giorno come un altro e si congelava, però c’era il sole e io dovevo stendere il bucato appena lavato se non volevo rischiare di dover andare in giro in mutande (cosa che sarebbe successa se avessi aspettato che lo facesse il mio coinquilino). Svuotai la lavatrice e andai saltellando verso il balcone con in mano la bacinella carica di vestiti bagnati; addosso avevo solo dei pantaloni felpati e una maglietta, i piedi scalzi come mio solito.
«Gesù!» urlai nel preciso istante in cui poggiai un piede sulle gelide mattonelle del bacone lasciando cadere a terra la bacinella che si trascinò dolorosamente dietro le cuffiette del telefono.
«Amen!» fu la risposta che ricevetti da Harry che, proprio in quel momento, stava passando davanti alla porta aperta.
Dato che mi trovavo nella sua stanza, aprii l’armadio presi una felpa grigia a caso che mi copriva fino a metà coscia. Con i vestiti larghi come quella il mio pancino sempre più rotondo e gonfio si notava meno, sembravo solo un po’ più in carne, quindi avevo preso l’abitudine di andare in giro vestita con abiti di qualche taglia in più o di Harry anche se si trattava solamente di un’inutile copertura a tempo determinato, ancora un mesetto e tutti si sarebbero accorti della gravidanza anche se avessi indossato la XXL.
Presi anche un paio di orrendi calzini blu a pois rossi per evitare che i miei piedi gonfi cadessero per la cancrena, poi rimisi le cuffie e tornai in balcone a finire il mio lavoro.
Mentre stavo canticchiando indaffarata non mi accorsi minimamente di Harry che mi arrivò alle spalle e mi diede uno scossone per farmi uno scherzo. Feci un salto e mi sfuggì un gridolino prima di voltarmi e dargli a mia volta una spinta, ma mi bloccò i polsi ridendo come un matto per la mia reazione. In quel momento eravamo molto vicini.
«Cretino, mi sono spaventata a morte! Non te l’hanno mai detto che non si devono spaventare le donne incinte?»
«Non mi ero accorto che avessi le cuffie» osservò togliendomene una dall’orecchio.
«Ah, perché ora mi metto a saltellare e canticchiare sul balcone così, per provare a scaldarmi…»
«Lascia stare col canto, non fa per te.» Mi baciò una guancia e tornò da dov’era venuto. «Ti sta bene quella felpa. Tienila se ti piace.»
«Secondo te avevo intenzione di ridartela? Negativo, bello!»
Mi voltai verso la strada pinzando il colletto di una camicia e mi accorsi di un movimento sospetto, di un tipo che correva in auto e sfrecciava lontano, ma non ci diedi peso. Non ci diedi peso e tornai a canticchiare.
Forse avrei dovuto farlo, pensare che si trattasse di qualcosa di banale intendo, ma me ne resi conto solo il giorno dopo…
Mi svegliai verso le 10 e lasciai un bigliettino appeso alla porta d’ingresso per avvertire che sarei andata a comprare qualcosa da mangiare in un discount in cui avevamo fatto la spesa in quei giorni e uscii indossando le cuffiette. Mi sentivo a disagio ad andare in giro da sola senza la musica sparata a palla nelle orecchie fin da quand’ero ragazzina.
Mi strinsi nel mio pesante parka e mi coprii per bene il collo con una lunga sciarpa granata prima di uscire. Non nevicava, ma c’era il tipico odore nell’aria che precede la caduta della neve, e non vedevo l’ora!
Salii su un pullman e scesi qualche fermata dopo trovandomi non molto distante dal centro, in una zona tranquilla dove potei fare i miei acquisti in tutta calma (forse perché non ero in compagnia di quella calamita di persone che chiamo migliore amico?), poi uscii e fu solo passando davanti al chiosco di un giornalaio che lo notai: c’era una rivista con in copertina una foto di me e Harry in balcone il giorno prima scattata nel momento in cui mi ero girata verso di lui che mi teneva ferme le mani ridendo.
Sgranai gli occhi e presi violentemente la rivista dallo scomparto su cui era esposta per leggere cosa dicesse l’articolo “Nuova fiamma per Harry Styles? Scopritelo a pagina 52”, e sapete cosa c’era a pagina 52? Una serie di foto scattate sul balcone e alcune che ci ritraevano fuori casa e in macchina insieme oltre a quelle delle nostre mani intrecciati fuori dal Top Shop.
«Ma che…?!» mi uscii con qualche ottava al di sopra del mio consueto tono di voce mentre mi portavo una mano davanti alla bocca. Comprai la rivista e nascosi le altre in modo che non potessero essere viste prima di apprestarmi a tornare a casa. Harry doveva vederla, lui avrebbe saputo cosa fare.
Stavo camminando lungo il vialetto che conduceva verso casa quando mi accorsi, tra una canzone e l’altra, di essere seguita, così misi in pausa per rendermi conto se si trattasse di una mia sensazione o meno, e purtroppo non mi sbagliavo. Mi voltai lievemente trovandomi alle mie spalle due uomini con in mano delle grosse reflex che scattarono nel preciso istante che rivolsi il viso verso di loro. Ero spaventata, credo che chiunque non abituato a quel genere di attenzioni lo sarebbe stato, così cominciai a correre verso casa e, una volta chiusami la porta alle spalle, lasciai cadere le borse della spesa a terra e lo chiamai.
«Ehi, Da…» mi salutò venendomi incontro lungo il corridoio con un accappatoio addosso e i capelli ancora bagnati per la doccia, ma non lo lasciai finire perché mi lanciai tra le sue braccia.
«Harry, guarda! Guarda!» Gli aprii la rivista davanti al naso e notai una nota di sorpresa comparirgli in viso leggendo l’articolo.
«Ma questa sono tutte cazzate! È un equivoco!»
«Sì, ma è sbattuto sulla copertina di quella rivista e di chissà quante altre! E ora che facciamo?» Sentivo l’imminente attacco di panico pervadermi il corpo e il respiro prima affannoso mancarmi sempre più, i polmoni stretti in una morsa, la testa in sovraccarico.
«Intanto ci calmiamo» disse assumendo un tono pacato e facendomi accomodare sul divano piegandosi sulle ginocchia per continuare a guardarmi in viso, «agitarsi non serve a niente, rischi solo di farti del male.»
«Ma…»                  
«Niente “ma”, non sei la prima che diventa improvvisamente la mia nuova fiamma solo perché vengo visto in giro con una ragazza.»
Era così tranquillo, perché per me non poteva essere lo stesso?
«Mi hanno seguita a casa! Magari sono ancora là sotto!» Scattai in piedi prendendolo per il braccio e trascinandolo alla finestra più vicina.
Due? Quelli si erano moltiplicati!
«Cazzo! Day, sta’ tranquilla, ora esco e cerco di spiegare.»
“Non sei più tanto sicuro di te, grand’uomo” «Ah, se esci così capiranno di sicuro…» dissi alludendo al fatto che indossasse solo un accappatoio.
Entrò in camera sua e ne uscì con un paio di jeans neri e una maglietta diretto verso l’esterno. Lo seguii, ma rimasi dietro alla porta mentre lui veniva abbagliato dai flash continui oltre al cancelletto, e c’era un casino! Ovviamente, tutto ciò che provò a dire non venne minimamente ascoltato perché la sua voce era coperta dalle urla dei paparazzi così, presa dalla rabbia, gli spuntai alle spalle e urlai «Ma voi non ce l’avete una vita privata?! Santo Dio!» poi trascinai Harry dentro casa sbattendo la porta.
«Complimenti, Darcy, gli hai appena fornito un sacco di materiale per gossip.» Mi applaudì sarcastico.
«Almeno ora se ne andranno.»
«Ah, tu credi?»
E infatti verso sera erano ancora là fuori seppure in meno rispetto a quando avevo trascinato Harry in casa dopo il mio rientro.
Ero seduta sul bracciolo sinistro del divano in pelle a sorseggiare una tazza di coccolata, ma nonostante avessi fatto il possibile per rilassarmi mi sentivo ancora un po’ ancora in ansia per quanto accaduto quella mattina. Vidi il riccio alzarsi dal divano per andare a sbirciare la situazione intorno alle mura domestiche attraverso le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza.
«Com’è?» domandai non appena ebbe raggiunto il monitor.
«Meglio. Tra poco se ne saranno andati tutti.»
«Domani sarà tranquillo, non è vero?»
Annuendo, tornò sul divano e continuò a guardare la tv.
Lo guardai un attimo aspettando una sua reazione, ma rimase con gli occhi incollati allo schermo ancora apparentemente seccato dopo quella giornata infernale.
«Non ricordi cosa dobbiamo fare domani…» Scossi il capo guardandolo con un sopracciglio sollevato.
«Che… cosa dobbiamo fare domani?»
«Mi sembra che abbiamo un appuntamento importante fissato per il 20 Novembre…» Guardandolo in faccia capii che non ci era ancora arrivato (a volte mi chiedo lo faccia apposta ad essere così poco intuitivo), allora congiunsi le braccia e mimai il gesto di cullare un bambino.
«Giusto! Domani scopriamo cos’è!»
«In teoria» lo corressi.
Mi zompò praticamente addosso sollevandomi la maglietta e prendendomi il ventre tra le mani sorprendendomi a tal punto che mi ustionai la lingua con l’ultima sorsata di cioccolata bollente.
«E domani vi porto a festeggiare con i soldi che i tuoi zii mi faranno vincere, sai piccola?»
“Non ci credo! Sta… sta sul serio parlando con la mia pancia?!” Di tutte le cose provate in gravidanza, quella era la più dolce e stupida in assoluto!
«Piccola? Così convinto sia femmina?»
«Ho sempre detto di volere una figlia femmina.»
Spalancai la bocca. «Figlia? Ehm, non mi sembra che sia opera tua.»
«Mi sono solamente perso la parte divertente del lavoro.»
«Ehi!» Gli diedi uno scappellotto sulla nuca, ridendo come lui.
«È come se lo fosse» aggiunse massaggiandosi il punto in cui lo avevo appena colpito.
«Ma poi, cos’è ‘sta storia dei soldi?»
«Ho scommesso con Louis e Zayn. Secondo loro è maschio.»
«Uomini…» Mi alzai dal divano in direzione della cucina.
«Comunque, hai già pensato al nome?» domandò appoggiandosi con gli avambracci al bordo dello schienale del divano.
Nome? Era l’ultimo dei miei pensieri! Dargli un nome era come… come concretizzare che l’avrei tenuto, e ancora non ero certa di farlo, ma lui questo non lo sapeva.
«Tu l’hai fatto scommetto.» Tornai il salone con un bicchiere d’acqua e mi sedetti accanto a lui.
«Ci vorrà uno organizzato in questa nostra… relazione.»
«Relazione?!» gli feci eco aggrottando la fronte.
«Convivenza? Collaborazione? Due cuori e un pannolino? Ah! Definiscici come vuoi!»
«Direi grandi amici e coinquilini. Ma non sviare, avanti, dimmi a cos’hai pensato.»
«Okay. Forse è un po’ scontato, ma… Gemma?»
«È un bel nome, e adoro tua sorella, ma non credo sia il nome adatto. Lenah?» provai.
«Schifo. Un altro?»
«Non fa schifo, è carino!» Gli lanciai un cuscino in faccia. «Audrey?»
Arricciò il naso. «Qualcosa di più…»
«Ester?»
«Questo è il peggiore di tutti, è da vecchia!»
Cominciammo a dire un nome dopo l’altro, presi dallo sconforto guardammo anche degli elenchi con tutti quelli più gettonati o quelli particolari finché Harry non fece la sua ennesima proposta.
«Grace? È un bel nome per una bambina, è elegante.»
Non aveva tutti i torti in effetti. «Mi piace. Sì, Grace è quello giusto.»
Stava bene sia con il mio cognome che con quello del padre (sempre se l’avesse riconosciuta una volta nata). «Grace Gray sta bene, e pure Grace Dover.»
Mi parve contrariato al solo sentir pronunciare il cognome di Jason, però non pronunciò parola al riguardo.
«E se fosse maschio? Spero di no, ovviamente.»
«Mi piacerebbe fosse maschio, sarebbe più semplice da crescere per molti versi… Comunque sono irremovibile: Alexander.»
Nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea, quel nome era un chiodo fisso nella mia mente da quand’ero bambina.
«Harold sarebbe un bel nome» disse con fare trionfante.
«No, Harry, quello sì che è da vecchio, senza offesa.» Gli accarezzai una guancia e lui mi regalò una fantastica smorfia degna del bambino dentro di lui. «Non cambierò idea, è deciso.»
«Okay, okay. Piace anche a me, allora.»
«Ora abbiamo tutto quello che ci serve, e domani sapremo se sarà Alexander o Grace.»
Per via di tutta la giornata ero sfinita, così mi stesi sul divano e appoggiai la testa sulle sue ginocchia rivolgendo lo sguardo alla tv mentre lui prendeva a lasciarmi dolci carezze tra i capelli.
«Sono curiosa» fu l’ultima cosa che ricordo di avergli detto prima di sprofondare in un sonno profondo.
 
«Vediamo un po’» disse la dottoressa Marin, la mia nuova ginecologa, mentre il radiologo passava lo scanner. «Se siamo fortunati, sapremo che cosa vi aspetta.»
«E se ho vinto un po’ di soldi…» sussurrò impercettibilmente il riccio ottenendo una mia lieve gomitata. «È importante per sapere cosa comprare» si corresse a voca alta questa volta.
«Ecco l’immagine. Direi che ci troviamo davanti a… un maschietto!»
«Maschio? Sul serio? Evvai!» esultai.
Harry invece sbuffò. «Mi ero già abituato all’idea di avere una piccola te in casa.»
«E invece sarà un piccolo me. Louis e Zayn si arricchiranno oggi, cioè, saranno più ricchi.»
La Marin finì i controlli col sorriso a sentire i nostri discorsi (dovevano essere buffi in effetti) poi spense la macchina e c’invitò ad accomodarci alla scrivania per eventuali domande.
«Mi sembra che sia tutto in regola per una ragazza al quinto mese di gravidanza. Il piccolo è sano e ho visto che i primi esami gli hai già fatti ed è tutto nella norma. C’è qualcosa che vorreste chiedermi?» domandò incrociando le corte dita paffute.
«Se tu non hai problemi, Day, io sono a posto» disse Harry rivolgendosi a me.
«Io pure. Odio le voglie, ma il resto va alla grande. Se continua così dovrei arrivare felice e contenta fino a che non deciderà di nascere» dissi schietta.
«Sicuri di non avere proprio nessuna domanda? Siete una coppia giovane al primo figlio, è normale che ci possano essere alcune cose che ci si vergoni a chiedere.»
Mi scambiai una rapida occhiata con Harry, entrambi perplessi da quell’enigmatica affermazione.
“Solo io ci vedo qualcosa di malizioso in questa frase?
Quando nessuno dei due aprì bocca ma, anzi, accorgendosi che la stavamo guardando perplessi, si porse da sola domanda e la risposta. «Sì, potete avere dei rapporti in gravidanza. Non è un tabù, ogni coppia ne ha e non crediate al fatto che causi danni al feto, anzi, gli dà sollievo.»
Entrambi sgranammo gli occhi. E chi aveva mai accennato al fatto che noi volessimo… oddio!
«Anche al termine vanno bene, ma c’è il rischio d’induzione al parto.»
«O-okay, grazie… Arrivederci, dottoressa Marin» spezzai il gelo polare che si era creato nella stanza e mi alzai dalla sedia stringendole la mano.
Né io né Harry parlammo più finché non raggiungemmo l’auto.
«Bene. Darcy, vuoi che t’ingaggi un amante? Farebbe bene al bambino» disse lui scoppiando a ridere, come me del resto.
«Dai, H, smettila! È stato il momento più imbarazzante della mia vita!»
«Più di quando cadesti nella pozzanghera davanti a scuola in seconda media?»
«No, quella non la supererà mai niente, e grazie per avermelo ricordato… e avermi spinta in quella pozzanghera immensa, stronzo.»
«Ho sempre amato farti fare colossali figure di merda. Stasera tieniti libera, si va a festeggiare.»
«Perché esco senza di te tutti i giorni, mi dicono…»
 
«Allora» mi domandò Zayn con impazienza una volta sceso dall’auto di Niall.
«Allora cosa?»
«Ragazzi, preparatevi perché la vostra boy band sta per accogliere un nuovo membro!»
«Magari sostituirà quello che abbiamo perso…» fu il commento sarcastico di Niall.
«Maschio?» chiese per avere piena conferma Zayn dopo aver fulminato con lo sguardo l’amico.
Quando annuii sorridente, mi abbracciò stretta a sé con un sorriso.
«È bellissimo, Day! Louis, stasera offre il riccio!»
«Aspettiamo un maschietto? Grande!» Anche Louis venne verso di me e mi abbracciò, «Sono più bravo con le bambine, ma cercherò di essere un bravo zio» disse dandomi un colpetto sul naso.
«Non avevo dubbi! Liam?»
«Ora arriva, è con Jennie» rispose alla mia domanda Harry rimettendosi il cellulare in tasca. «Avrai anche un po’ di compagnia femminile.»
«Perdona la mia domanda, con chi viene?»
«Jennie. È la sua nuova ragazza, escono insieme da un paio di mesi.»
Neanche due minuti dopo, venimmo illuminati dai fari di un’auto che parcheggiò accanto a noi e ne scesero Liam accompagnato da una ragazza mora e riccia più o meno alta quanto me.
«Ehi, ragazzi, cosa festeggiamo?»
«Il nostro nuovo compagno di band» disse Niall toccandomi la pancia.
«Day, è fantastico!» Anche Liam mi abbracciò, poi prese Jennie per la mano e l’avvicinò a me, «Jen, lei è Darcy, la migliore amica di Harry. Day, Jennie»
«Piacere.» Le sorrisi afferrandole la mano, «Non vedevo l’ora di conoscere qualche altra donna.»
«Piacere mio, Liam mi ha parlato di te.» Mi sorrise timidamente ricambiando la stretta.
A primo impatto mi sembrava una ragazza molto dolce.
«Ehm, vogliamo scambiarci altre effusioni qui fuori oppure ci spostiamo dentro?» s’intromise Louis cingendo con le braccia le spalle di entrambe.
«Certo, Tomlinson, non vorrei mai che ti prendessi un accidenti» ribattei scompigliandogli i capelli
Il locale? Un bel posto molto fuori città dall’aspetto rustico e in cui c’era la possibilità di fare karaoke. Che occasione per sfottere tutti quelli che salgono sul palchetto brandendo il microfono come fossero Freddie Mercury in persona e sentendosi dei veri divi anche quando, in realtà, gli escono dalla bocca solo note che nemmeno i cani sentono.
«Io adoro questi locali!» esclamai sentendo l’ennesima ragazzina cantare un pezzo di Adele. Allungai una mano verso il boccale di Niall che lo spinse verso di me complice sperando che Harry non si accorgesse di nulla. E invece mi bloccò la mano.
«Day, per favore!»
«Solo un goccetto, che sarà mai? È per festeggiare» tentai di convincerlo.
«Poi ora sappiamo che aspetta un ometto, è giusto che si abitui alla birra» mi diede manforte Liam.
«D’accordo, ma solo per festeggiare» si convinse e mi passò il suo boccale.
Non ricordo di aver mai bevuto birra più buona, ma probabilmente lo pensai solo perché non ne toccavo un goccio da mesi. Anche il piccolo parve gradire, infatti riuscii a stento a trattenere un rutto.
«Come lo chiamerete?» domandò cortese Jennie.
«Alexander.»
«Bella scelta, complimenti! Già me lo vedo Styles che impazzisce dietro un bambino uguale a lui! Almeno saprai cosa si prova ad averti intorno.»
«Ehm, Harry non è il padre… e non stiamo insieme» precisai. Ormai era diventata una routine spiegare a tutti come stavano realmente le cose.
«Oh, scusa, credevo fosse suo…» disse arrossendo imbarazzata per la gaffe.
«È come se lo fosse» disse Harry cingendomi le spalle a facendomi l’occhiolino.
La ragazza che stava ancora cantando sul “don’t forget me, I pray” di Someone Like You, lanciò un gridolino che fece venire la pelle d’oca a tutti.
«Oddio, che qualcuno ponga fine alle sofferenze di quella povera ragazza in agonia!»
«Ma sentiti! Day, credi che sapresti fare di meglio?» Zayn si sporse lievemente verso di me per essermi più vicino mentre mi lanciava quella piccola scommessa.
Inclinai la testa fissandolo intensamente negli occhi facendomi sfuggire un piccolo risolino. Se c’è qualcosa al quale non so dire di no, quello sono proprio le sfide.
«Mi stai per caso sfidando, Malik?»
«Puoi scommetterci. Ti offro una birra tutta tua se ora sali su quel palco.» Si sporse un po’ in avanti sul tavolo per avvicinarsi a me.
«Prepara il portafoglio e chiama il cameriere, bello, stai per ordinarmi da bere.»
E detto questo, tra gli applausi e le risate del gruppo, mi alzai in piedi e mi diressi verso il palco, salii e, dopo aver preso in mano il microfono, dissi «Se credevi che mi sarei fatta questa figura di merda da sola, caro Zayn, beh, mi spiace dirti che ti sbagliavi. Raggiungimi, tesoro.»
«La sfida è annulla se vengo io con te» mi gridò in rimando.
Nel locale si alzò un gran baccano per incitare uno del gruppo a raggiugermi (o forse erano solo alcune persone che li conoscevano e non vedevano l’ora di caricare un nuovo video sul web), e Louis, da bravo persuasivo quale è, convinse Harry a raggiungermi tra gli applausi della folla.
«Cosa cantate?» ci chiese il proprietario del locale.
Harry mi guardò e mi venne l’idea «Best Song Ever?»
«Cosa?! Perché?»
«Perché è quello che tutti vorrebbero che cantassi. Non preoccuparti, tu fai tutte le tue parti, io mi occupo del resto. Non vedo l’ora di sbattere in faccia a Zayn il suo stesso acuto!»
Ci divertimmo come matti tra balletti, saltelli e toccatine varie. Lui mi tirò a sé come nel video ufficiale fa con Zayn vestito da segretaria, e io sapevo come reggergli il gioco. Il pezzo più dolce fu quando, nell’assolo di Louis, mi si piazzò alle spalle facendomi dondolare seguendo il suo ritmo; lì sentii il mio cuore perdere un battito.
Quando arrivò il turno dell’acuto finale, prima di farlo guardai dritto in faccia Zayn come per dire “adesso vedi”. Chiusi gli occhi, dilatai il diaframma come mi era stato insegnato durante le lezioni di canto alla middle school e assunsi una posizione retta con la testa lievemente indietro per permettere alla voce di uscire il più chiara possibile.
Scoppiarono gli applausi non solo perché la collaborazione non riuscì affatto male, ma perché nonostante le mie doti canore non siano affatto sviluppate riuscii miracolosamente a reggere per intero l’acuto facendo andare in visibilio anche Zayn stesso che si alzò in piedi dando il via ad una vera e propria standing ovation.
Con questo, ovviamente, non sto insinuando che il mio tentativo possa essere paragonato alle sue performance, affatto, ma almeno ci provai e tutti apprezzarono il gesto.
La mia più grande soddisfazione di quella serata fu portarmi la bottiglia alle labbra assaporando a pieno il gelido gusto amaro della birra nera reso più dolce dalla mia vittoria.

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Capitolo 11
*** 10 - Graffiti ***


4 mesi al parto…
«Day, io esco» esordì Harry passandomi alle spalle e fermandosi solo per darmi un rapido bacio sulla guancia e poi dirigendosi verso la porta d’ingresso sistemandosi la sciarpa.
«Dove vai?» domandai intingendo un biscotto mezzo mangiucchiato nel latte.
«Devo… ho un impegno.»
«Vabbè, non starò a chiederti come si chiama quest’impegno, tanto non vuoi dirmelo…» fu la mia risposta stizzita.
Non prendetemi per un’invadente, è solo che mi piace sapere dove vada un mio coinquilino quando esce, con Melanie funzionava così.
«Esco con Louis. Più tranquilla?!» disse seccato voltandosi verso di me a pochi passi dalla porta.
«Sì, lo sono. Salutamelo.»
Uscì sbattendo la porta e sospirai. Ero sola in casa.
«Bene, Smith, restiamo solo tu ed io» mi rivolsi al gatto acciambellato alla sedia accanto alla mia lasciandogli una carezza sulla testa mentre mi alzavo per mettere la tazza ormai vuota nel lavello. Avevo appena terminato la frase che subito sentii un calcetto come a ricordarmi che in casa non c’eravamo solo io e il gatto.
È una sensazione strana quella di ricevere colpetti da dentro, ai primissimi calcetti m’immobilizzavo appoggiandomi alla prima cosa che mi capitasse a tiro nemmeno fossi nel bel mezzo di un terremoto.
«Mi correggo: io, te ed Alexander.»
Quella del primo movimento che ho sul serio sentito è una storiella divertente: ero intorno alla sedicesima settimana ed erano circa le 2 del mattino (c’era Notting Hill in seconda serata, sarei stata sveglia anche tutta la notte pur di vederlo) quando nella scena finale, il momento in cui Hugh Grant raggiunge Julia Roberts alla conferenza stampa, sentii un lieve colpetto al ventre che mi lasciò di sale, ma solo dopo al secondo mi alzai di corsa dal divano e corsi in camera di Harry che già dormiva da un pezzo.
«Harry! Cazzo, Harry!» urlai saltandogli sul letto e togliendogli il piumone di dosso.
«Nessuno te l’ha mai insegnato che c’è modo e modo per svegliare le persone? Dio!» si lamentò coprendosi gli occhi col dorso della mano destra.
«È importante! Si è mosso e l’ho sentito, capisci?! Devo preoccuparmi secondo te?» bofonchiai confusa avvicinandomi al suo viso.
In tutta “risposta” mi fece un agguato tirandomi a letto con lui ritrovandomi così stesa su un fianco e con il suo torace contro la mia schiena, le braccia a circondarmi completamente in un abbraccio.
«È normale, non stai per morire stupida ipocondriaca che non sei altro. Ora però smettila di parlare e lasciami dormire.»
Ci riflettei un po’ su finché non giunsi alla conclusione che sì, in effetti era una cosa del tutto normale, così ritrovai la calma e chiusi gli occhi anch’io.
«Harry?»
«Mmh» mi rispose con un versetto rotto.
«Ho lasciato la TV accesa.»
«La spegniamo domani. Dormi.»
 
Ma tornando a noi, quella mattina non ne volevo sapere di stare a casa da sola, così afferrai il telefono dando una rapida occhiata a tutti i contatti e soffermandomi sul contatto della persona che avevo voglia di vedere.
-Ehi, Zy, hai già impegni per la giornata??-
Attesi una decina di minuti, ma la risposta arrivò.
–Beyoncé! Oggi sono solo, perché? Tu e Harry avete progetti? -
Odiavo mi chiamasse Beyoncé, ma ormai quel nomignolo mi era rimasto da dopo il karaoke, quindi… –Anch’io sono sola soletta…-
–Allora oggi facciamo coppia tu ed io. Ti passo a prendere tra mezz’ora, fatti trovare pronta, baby–
“Andata!” pensai soddisfatta dirigendomi in camera mia per prepararmi. M’infilai un paio di leggins blu a stampa floreale e una camicia di jeans effetto slavato, mi strinsi sotto al seno una sottile cintura in cuoio marrone abbinata alle mie solite inglesine (anche se ormai non mi vedevo quasi più i piedi). Feci il solito immancabile trucco e decisi di lasciare i capelli liberi di scendere oltre le spalle tristemente lisci.
Guardando il mio riflesso allo specchio mi soffermai sulla mia nuova figura sempre meno longilinea e sorrisi. Alcune fan molto carine e gentili mi avevano bollata come “l’amica grassa di Harry Styles” e per qualche tempo ne avevo sofferto, ora non m’importava più. Ero una madre, nasconderlo non avrebbe più avuto senso.
Quando sentii suonare alla porta mi precipitai fuori ed abbracciai Zayn dandogli i consueti due baci sulle guance ispide per la barba. È incredibile come quel ragazzo sia bello come il sole anche a telecamere spente.
«Sei bellissima oggi, sei sexy.» Mi sorrise allungando il lato destro delle labbra tenendomi ancora stretta tra le sue braccia.
«Sexy, io? Non so quale sia il tuo metro di paragone, ma il mio sex appeal mi è lentamente sceso sotto le scarpe» ironizzai facendo roteare gli occhi.
«Ma smettila!» mi rimproverò dandomi uno scappellotto mentre chiudevo la porta di casa. «Dove la porto, signorina?»
«Anche solo a casa tua mi sembra perfetto. Non avevo voglia i stare sola oggi.»
«E infatti sono qui per te» disse cingendomi le spalle con un braccio e facendo sbattere piano la sua testa contro la mia in un gesto amichevole. «Ci guardiamo un filmetto tranquillo con un gelato? So che qui c’è una ragazza che ama il cioccolato.»
«Oh, non poteva venirti un’idea migliore!»
Salimmo in macchina e lui partì diretto verso casa.
«Ma…perché Harry è uscito senza di te?»
«Perché ha una vita sua? Non stiamo insieme, Zy, è libero di fare ciò che vuole.»
«Se la mia migliore amica fosse incinta non la lascerei mai a casa da sola, potrebbe sempre avere bisogno di me.»
Sorrisi abbassando lo sguardo e sistemandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. «È molto dolce quello che dici.»
«È la verità» disse volgendo il viso verso di me, gli occhi allungati che esprimevano sincerità. «Allora, dov’è andato lo stronzo lasciando una così dolce fanciulla a casa da sola?»
«Non so. È con Louis, ed è vero perché l’ho visto, ma non mi ha detto altro.»
«Ricordami di fargli il culo quando lo vedo.»
Fermò l’auto e abbassò il freno, eravamo arrivati. Lo seguii in casa e, una volta in salone, mi lasciai sprofondare sul divano togliendomi le scarpe per incrociare le gambe senza sporcare il tessuto bianco.
«Che film guadiamo?»
«Quello che vuoi. Vai in camera mia e scegline uno.»
«Okay, ma devi dirmi dov’è» dissi balzando in piedi sul tappeto e facendo scrocchiare le caviglie.
«Lungo il corridoio, terza stanza a destra.»
Partii alla ricerca della camera, ma mi fermai poco prima di averla raggiunta perché la mia attenzione venne attirata da altro: c’era un grosso quadro in street art pieno di scritte e disegni colorati realizzato con pennellate cariche di colore in modo da creare profondità, e se non fosse stato per quelle sarebbe sembrato realizzato su una parete di mattoni. Rimasi a contemplarlo in silenzio cogliendo sempre più dettagli ogni volta che mi concentravo su un punto diverso della tela, e notai che doveva essere stato realizzato da un artista per Zayn, perché scorsi alcuni elementi personali.
Feci per avvicinarmi alla tela per sfiorarla con le dita quando, riflessa nello specchio lì accanto, intravidi uno squarcio di stanza provenire da una porta mezza aperta. Tutto quel colore mi spinse ad entrare e rimasi affascinata dai disegni che vidi tingere le pareti. Quella stanza era viva, potevo vedere in ogni centimetro quadrato Zayn spruzzare colore dimenticandosi di tutto il resto al di fuori di quelle quattro mura.
«Vedo che hai trovato la mia stanza preferita» disse entrando nella stanza e affiancandomi.
Notai alcune bombolette in piedi e altre rovesciate sotto ad una parete su sui era visibile un tratto di vernice ancora umido, come se avesse lasciato il lavoro a metà.
«Zayn, stavi disegnando prima che ti scrivessi?»
«Lo faccio sempre quando ho del tempo per me.»
«Questo sarebbe un sì? Scusa, non volevo disturbarti nel tuo giorno libero! Adesso mi siedo qui in silenzio e tu continui a disegnare.» Mi lasciai cadere sgraziatamente al suolo con le gambe aperte.
«Day, non dire cazzate! Così ti annoieresti.»
«Vedo il “Zayn cantante famoso” ogni giorno, mostrami il ragazzo di Bradford per una volta» insistetti sporgendomi in avanti prendendo la bomboletta più vicina a me.
Soffiando pesantemente col naso in segno di rassegna, prese la bomboletta, accese una radio sul tavolino alla sua sinistra e mi accontentò voltandosi verso la parete e continuando il disegno di poco prima.
La maggior parte dei disegni presenti erano insensati, ma spruzzi di colore incredibilmente affascianti che esprimevano ciò che Zayn è realmente. Erano pura poesia espressa in un linguaggio diverso dalle parole, tratti indelebili costantemente modificati da ciò che gli passava per la mente.
Lui era così naturale e a suo agio che parva quasi che si fosse dimenticato della mia presenza. Quello è qualcosa che ama.
“I got my first real six string bought it at the five and dime…”
Riconobbi subito le prime parole di quella canzone alla radio, come potevo non farlo? Summer of ’69 faceva parte di me, o almeno così era stato fino al 2010.
«Ah, questa canzone!» se ne uscì dal nulla Zayn fermando la mano, «Quel bastardo di Harry me l’ha messa in testa.» Si voltò abbozzando un sorriso.
E pensare che ero stata io a farla conoscere a lui…
A quattordici anni passai un periodo a scavare tra vecchie cose dei miei genitori tra soffitta e cantina giusto per scoprire qualcosa in più su di loro, e in quell’occasione trovai in uno scatolone pieno di dischi in vinile. Mia madre era fan di Bryan Adams da sempre (passione che poi ha trasmesso a me insieme quella per i grandi gruppi rock come Rolling Stones, Pink Floyd o i Queen, questi ultimi da mio padre), quindi presi quel suo disco con la copertina tutta rovinata, lo misi a girare e bang! Quella canzone è stata la colonna sonora della nostra amicizia. La cantavamo ovunque: in bicicletta con lui che pedalava col fiatone e io me ne stavo tranquillamente seduta sul manubrio con la schiena appoggiata a lui, oppure ballandola per la camera con la musica che faceva vibrare i vetri delle finestre invece che studiare. Smisi di ascoltarla quando la cantarono ad XFactor. Piansi tutte le mie lacrime raggomitolata sul letto di una cameretta vuota illuminata solo dalla TV, il giorno che m’imposi di porre fine a tutti quegli anni di noi.
«Those were the best days of my life» sussurrai come in trance.
«Day, stai bene?» domandò vedendomi incantata verso la finestra.
«Ehm… ero sovrappensiero» tagliai corto riportando lo sguardo su di lui sbattendo ripetutamente le ciglia.
«Non mi piace vederti seduta lì a far niente. Prendi una bomboletta e ti metti a spruzzare con me.»
«Cosa?! Ma non so disegnare!»
«Tutti sanno fare due righe storte.»
Mi mise una mascherina a coprirmi naso e bocca perché, a detta sua, “non fa bene respirare la vernice a piombo” e bla bla bla.
Non credeva che sapessi disegnare? Bene, ormai il mio sgorbio lilla sul muro se lo terrà sempre (volevo disegnare un uccellino… tentativo fallito).
Pranzammo velocemente con due toast, poi tornammo nella stanza dove passammo tutto il pomeriggio tra schizzi, chiacchiere e tante risate.
«Finisco la sigaretta e ti porto a casa. Harry sarà tornato» disse spirando una nume biancastra fuori dalla finestra aperta.
«Sinceramente non m’importa. Mi ha risposto male oggi, può anche starsene fuori tutta la sera con una delle tante… oche che gli girano attorno.» “Quanta acidità, Gray.”
«Che colpo basso!» sgranò gli occhi facendo un gesto con la mano agitandola in verticale, «Non pensavo l’avessi presa così male.»
«Non l’ho presa male.»
La sua espressine gridava “mi stai prendendo per il culo?”, e mi fece capire che in effetti mi ero offesa. «Okay, forse solo un pochino.»
«Un pochino?! Sei gelosetta, amica.»
«Infastidita. Mi piace sapere dove vanno le persone con cui vivo.»
«Se lo dici tu…» disse spirando l’ultima boccata di fumo e lanciando la sigaretta dalla finestra. «Dai, ti riporto a casa, sarai stanca.»
Durante il viaggio di ritorno lo chiamò sua sorella Doniya e lui collegò il telefono all’auto in modo che il vivavoce si sentisse bene e potessi scambiare due parole con lei.
«Day, chiamami ogni volta che vuoi, disegnare in due è più divertente.»
«Sì, soprattutto se una pazza ti rovina la stanza. Grazie, Zayn.»
Gli schioccai un bacio sulla guancia sorprendendomi per l’inaspettato abbraccio in cui mi stinse prima di lasciarmi scendere dal veicolo. Rimasi un attimo ferma sul vialetto seguendo con lo sguardo la sua auto sparire in strada, quindi entrai in casa.
Buio totale e silenzio, l’unico suono veniva dal piano di sopra, per il resto era come se casa fosse vuota.
Salii le scale arrivando fino alla stanza lasciata libera accanto alla mia da cui provenivano delle voci, quella di Harry e… una femminile?
«Adesso mi sente!» dissi a denti stretti e fiondandomi sulla porta. «E meno male che oggi dovevi uscire con Lou…»
Non finii la frese, non potevo farlo.
«No, Day! Hai rovinato tutto!» Louis si alzò in piedi lasciano cadere a terra un oggetto.
«Co-cosa significa?»
«Uhm, si vede direi…» rispose Harry aprendo le braccia in gesto di rassegna.
Stava finendo di montare un mobiletto in rovere, e già montati c’erano un piccolo armadio, una sedia a dondolo sotto la finestra e una culla, quella a cui Louis stava cambiando la biancheria con una azzurra decorata da piccoli aeroplanini rossi, gialli e verdi. Accanto a lui c’era anche una ragazza con in mano una copertina e un peluche (almeno non mi ero sbagliata riguardo alla voce femminile di poco prima).
«Voi… avete sul serio fatto tutto questo oggi?»
«Volevamo farti una sorpresa visto che manca sempre meno alla nascita» disse Louis con un’alzata di spalle, «ma ce l’hai rovinata.»
«Oh, ragazzi, me l’avete fatta comunque! Venite… venite qui!» li invitai ad abbracciarmi aprendo le braccia e loro due si strinsero a me mentre la ragazza ci guardava sorridendo.
«Vi voglio bene, lo sapete?»
«Anche noi. Stai piangendo?!» Harry si staccò dall’abbraccio guardandomi sorpreso.
«Sono questi stupidi ormoni, scusate!» dissi asciugandomi gli occhi, poi portai lo sguardo sulla mora. «Oh! Non mi sono neanche presentata! Piacere, D…»
«Darcy, l’amica di Harry.» Mi precedette lei tendendomi la mano. «Sono…»
«Eleanor, la ragazza di Louis» feci come lei poco prima, e mi lanciò un’occhiata stupita. «Posso dire di conoscerti almeno un pochino tra varie riviste e Facebook.»
«Hai capito Darcy che ci pedinava su Facebook? Non l’avrei mai detto» mi schernì Louis cingendomi le spalle con un braccio.
«Non vivo mica fuori dal mondo, piccolo idiota.» Gli diedi un colpetto sulla guancia.
«Stasera però conoscerai meglio Eleanor, perché andiamo a cena tutti e quattro.»
«Lou, non ce n’è bisogno. El è appena arrivata e già vi ho trascinati con me all’Ikea, uscite voi due» disse Harry.
«Tutti e quattro» insistette Louis imperativo, poi salutò entrambi e lui e Eleanor andarono via dandoci appuntamento in un ristorante per le 8.30 p.m. di quella sera.

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Capitolo 12
*** 11 – As A Brother ***


Doccia.
Ecco una cosa che amo alla follia: una doccia bollente. Litri di acqua calda che ti scivolano addosso insieme allo shampoo e al bagnoschiuma con quel profumo forte da uomo, ma che stranamente non mi nauseava. La doccia è per me un momento sacro, il mio tempio di vetro opaco e acqua scrosciante dove rinchiudermi per distaccarmi dal mondo e uscirne immacolata (sono una di quelle persone fissate con l’igiene, sì).
Ero lì tranquilla a canticchiare un pezzo dei The Fray seduta a terra con le ginocchia il più possibile strette al petto quando sentii la porta del bagno aprirsi e, schiudendo un occhio, vidi entrare Harry come se niente fosse.
«Che ci fai qui?! Fuori!» gli urlai strofinandomi l’occhio in fiamme per lo shampoo entratoci dentro
«Mi scappa!»
«La fai dopo.»
«Darcy, non abbiamo più dodici anni, ho visto più donne nude di quante credi, una in più non mi cambia la vita.»
«Mi dà fastidio.»
«Chiudo gli occhi» disse parandoseli con una mano. «Più tranquilla?»
Con un mugugnato annuii.
Chiusi il getto d’acqua e immersi tre dita nel barattolo del balsamo che poi spalmai per bene sulle punte cercando di districare i capelli a nido di rondine.
«Pensavo che poi te ne saresti andato» osservai vedendolo sedersi sulla tavoletta del WC chiusa rivolto verso della doccia, «E ti sei scoperto gli occhi.»
Ignorò completamente la mia lamentela. «Ho voglia di parlare un po’. Dove sei stata oggi?»
«Da Zayn. Abbiamo fatto graffiti a casa sua tutto il giorno.» Sorrisi al ricordo.
«Oh, ma perché a me non lo fa mai fare?!»
«Styles, ti conosce troppo bene.»
Riaprii il getto d’acqua sciacquandomi per l’ultima volta corpo e capelli.
«Che poi non ho capito perché hai chiamato Zayn.»
«Non volevo stare solo ed ero arrabbiata con te, dovevo sfogarmi.»
«Io faccio una cosa carina per te e tu ti arrabbi. Ah, continuo a non capire voi donne!» Scosse il capo sospirando.
«No, caro, non stiamo parlando di donne, qui stiamo parlando solo di me» accentuai bene l’ultima parola. «Ora chiudi gli occhi, devo uscire.»
«Ma esci e basta, no?»
«Harry, fallo!»
Non volevo essere vista così, già m’imbarazzava essere vista nuda in generale, figuriamoci incinta con le smagliature ovunque, le caviglie a cotechino e il pancione che m’impediva di vedermi i piedi!
Svogliato, si girò dall’altro lato permettendomi di uscire gocciolante e fasciarmi il corpo con un asciugamano verde piuttosto lungo, poi mi fermai un attimo a guardarlo in silenzio immaginando come sarebbe stata la nostra convivenza se non fossi stata in attesa.
“Magari sarebbe entrato a farti compagnia rendendo la doccia ancora più bollente… No! Devo reprimere questi pensieri!”
«Fatto. Puoi girarti.»
Fissò lo sguardo su di me squadrandomi da capo a piedi prima che mi girassi verso lo specchio alle mie spalle cominciando a spazzolarmi i capelli.
«Bene, ora che hai finito tocca a me.»
Si sollevò in piedi, si sfilò la maglietta e la gettò a terra. Vidi il suo viso contorsi in un’espressione dolorante e poi si portò una mano sulla spalla sinistra prendendo a tastarla. Ha sempre avuto mal di schiena, e credo che tutto lo stress di quel periodo non gli facesse affatto bene.
«Ehi, hai ancora male alla schiena?»
«Sempre.»
Gli presi un polso e lo feci appoggiare al lavandino mettendomi dietro di lui.
«Vediamo se sono ancora brava…» dissi afferrandogli le spalle fredde con le mani bagnate e rattrappite dall’acqua. Presi a compiere una serie di movimenti circolari con i pollici e facendo pressione con le dita sui punti che sentivo più rigidi per la contrattura, ma più facevo pressione e più lo sentivo sciogliersi.
«Come ho fatto tutto questo tempo senza le tue mani? Le usi da dio!» disse con tono decisamente carico di piacere.
«Sì, lo so, sono brava.» Ridacchiai soddisfatta.
«Brava?! Potrei avere un orgasmo da un momento all’altro!» Piegò la testa in avanti fissando il lavello.
Per fortuna non poteva vedere il colore delle mie guance! Non so cosa mi prese, se per gli ormoni, l’astinenza o cosa, ma il contatto delle mie mani sulla sua schiena nuda cominciò a farmi provare piacere nel farlo, eccitazione a dirla tutta, e cominciai ad avvampare sempre più, il respiro si fece affannoso e sentii la solita strana sensazione tra le gambe. E poi era lui a parlare di orgasmi…
«Ehm… d-devo andare» bofonchiai staccandomi da lui ed uscii praticamente di corsa da bagno per evitare di fare danni. «Cazzo, Gray, ma che ti prende? Passi anni a dimenticarlo e poi ti lasci andare con un massaggio? Sei seria?! Nemmeno lo avesse fatto lui a te!» mi rimproverai in un sussurrò andando verso camera mia pensando a cosa avrei indossato.
Non avevo la minima idea di dove saremmo andati quella sera, Louis ha gusti semplici, ma adora coccolarsi un po’, e Eleanor non mi sembrava da meno, quindi optai per qualcosa di elegante ma senza esagerare: trovai in fondo all’armadio un abitino nero con scollo a barchetta e le maniche a tre quarti lungo fino a metà coscia che stranamente mi entrava ancora, misi un paio di calze velate nere a piccoli pois, dei calzettoni neri alti fino al ginocchio e, per non sembrare un becchino (quello è già il look preferito di Harry), indossai un lungo cardigan stampato.
I capelli, non avendoli asciugati, avevano la solita “piega” non liscia e decisamente non mossa che sistemai facendo uno chignon con la ciambella, poi trucco ed ero pronta.
Andai in bagno certa che lo avrei trovato lì, e non mi sbagliavo, solo che si era vestito anche lui con jeans neri, una camicia nera (diciamo trasparente con una lieve puntina di nero) una giacca elegante anch’essa nera e una sciarpina grigia messa lì per cambiare un po’ colore.
«Perché sembri sempre un becchino quando usciamo?» constatai.
«Tu invece sei carina quando usciamo la sera.»
«Allora andiamo, sono le 8:15.»
Uscimmo e partimmo in macchina verso quella che sarebbe stata una serata… sorprendente.
Non mi sbagliavo, figuriamoci se Tomlinson ci avrebbe portati in un locale scialbo. Il The Ivy era veramente in centro alla citta, sulla West Street, davanti al St. Martins Theatre. Un alto palazzo angolare molto lungo e fuori affollatissimo tra turisti che si fermavano a scattare una foto alla struttura o speranzosi di ritrarre uno dei loro VIP preferiti uscire dopo una bella mangiata. L’angolo con l’insegna è molto particolare, con una finestra dai vetri scuri con uno spicchio di luna bianca, e sopra c’è un bell’orologio dal quadrante bianco con la bordatura rosata.
Sulla fiancata destra del locale ci aspettavano un po’ appartati Louis e Eleanor, e potei vedere nettamente lui avvicinarsi a lei per schioccarle un bacio sulle labbra.
«Oddio, come sono carini!» esclamai entusiasta tirando la manica del cappotto di Harry.
«A volte anche troppo carini, soprattutto da quando si sono rimessi insieme, ma lo sono solo quando sono soli. In gruppo ci si diverte con loro.»
Lei mi dava l’impressione di essere una ragazza sempre ben vestita e molto carina, ma comunque una divertente con la quale si può parlare. La immaginavo proprio come Louis insomma, solo più semplice.
«Ragazzi! Siete arrivati!» ci salutò Eleanor con entusiasmo vedendoci avvicinarci (probabilmente più che un saluto era un modo per richiamare Louis che ci dava le spalle chiudendola al muro).
Si voltò rapido lasciando scendere la mano dal fianco della ragazza.
«Darcy, come sei carina!» osservò lui abbracciandomi e dandomi i soliti baci sulle guance.
«Anche voi due lo siete, dico sul serio! V’invidio da morire!» dissi facendo arrossire Eleanor.
«Sentito, riccio? Coccolala un po’ che se lo merita.» Louis gli diede una gomitata facendolo gemere prima di girarsi prendendo la mano della ragazza ed entrando del locale.
Se fuori aveva un certo fascino, oh, dentro il The Ivy è tutta un’altra storia! Non è affatto un locale chic, anzi, ha il tipico aspetto di un pub, solo più tranquillo e con classe. Le luci soffuse creavano un’atmosfera molto intima, e la cosa migliore fu che nessuno ci disturbò al nostro tavolino verso al fondo del locale.
Tra una risata e l’altra, al momento del dessert finimmo anche sull’argomento matrimonio, tema a noi molto vicino per via di alcuni nostri amici già sistemati o prossimi al grande passo, e ognuno disse la sua.
«Non lo so, credo che per come stanno le cose adesso sposarsi sia un azzardo» disse Louis togliendomi le parole di bocca.
«Sì, da un lato hai ragione, ma se ci si ama e si hanno le possibilità è giusto che farlo.»
«La penso come El. È tutta questione di possibilità e, soprattutto, di tempo» intervenne Harry scrollando le spalle.
«Beh, mi sembra ovvio! Ci vuole tempo per decidere questo genere di cose, se non si finisce come mia madre con Tr… mio padre» si corresse immediatamente Louis non chiamando il padre col nome di battesimo. Si vedeva benissimo che fosse ancora arrabbiato con lui, e non aveva tutti i torti ad esserlo. «E con questo» si voltò verso Eleanor alla sua sinistra, «amore, sto dicendo che non ho intenzione di sposarti per ora. Ti tocca aspettare.»
«Che novità… Finirà che si sposeranno tutti tranne noi che, a conti fatti, siamo la coppia più longeva.» Fece roteare gli occhi. «Anche loro due varcheranno la navata prima che io potrò finalmente essere la signora Tomlinson» continuò indicandoci.
«Poco ma sicuro! Il mio bambino ha bisogno di un padre, e io non voglio stare sola per sempre.»
«Punto uno, non sei sola. Punto due, il tuo bambino ha già un padre, ed è pure piuttosto sexy» rettificò Harry come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
«Stai forse dicendo che mi sposeresti?» Mi girai verso di lui con un sopracciglio alzato e la bocca semi aperta, indecisa se reggergli l gioco o mandarlo a stendere.
«Perché non dovrei?» rispose stendendo il lato sinistro delle labbra facendo spuntare la profonda fossetta su quel lato.
«Quante cazzate spari ogni giorno.» Scossi la testa ridendo e portai lo sguardo sul piatto. Per quanto fosse stata una risposta scherzosa, sentirlo dire da lui mi riempii il cuore. Quando sollevai lo sguardo, incontrai gli occhi dolci di El che mi scavarono dentro e mi sorrise.
«Ragazzi, devo andare in bagno» disse lei alzandosi in piedi.
«Perché devi sempre annunciarlo come se interessasse a tutti?» fece Louis prendendo in giro la fidanzata.
«È per chiedere a Day se deve andare anche lei, idiota!» Gli sbatté il tovagliolo verde in faccia.
«In effetti me la sto facendo addosso, quindi…» E anch’io mi alzai in piedi.
«Che poi non l’ho ancora capita questa cosa che le ragazze hanno paura di andare in bagno da sole, esiste un blocco per tenere la porta chiusa» praticamente ci urlò dietro Harry, e noi due ci voltammo contemporaneamente fulminandoli con lo sguardo prima di continuare a camminare verso il bagno.
Una volta dentro, io mi chiusi in uno dei piccoli bagni dalle mattonelle caffè latte (sarei scoppiata se non avessi fatto pipì!), e quando uscii mi trovai Eleanor a risistemarsi il trucco davanti allo specchio dove l’avevo lasciata poco prima.
«El, non dovevi andare?»
«Era più che altro una scusa per parlare senza quei due.»
«Mhm… parlare di cosa?»
«Da quanto tempo sei innamorata di Harry?»
Spalancai gli occhi, spiazzata. “E adesso che faccio?! Io mi faccio la mia vita tranquilla e arriva lei che mi smonta tutto in una sola sera?
«Ehm… El, noi siamo amici.»
«Day, sono una ragazza, capisco questo genere di cose. Tranquilla, lui non lo sa un po’ perché è un uomo e un po’ perché è Harry Styles, la persona meno intuitiva che conosca.» Rise rassicurandomi appoggiandomi una mano sulla spalla in una carezza.
«Okay, forse provo qualcosa per lui, ma non credo sia amore» ammisi più per convincere me stessa che lei, sempre più certa della sua ipotesi.
«Sicura di non volerne parlare? A volte il consiglio femminile aiuta, lo dico per esperienza.»
«Davvero, non penso ci sia nulla da dire, probabilmente sono un po’ confusa perché abbiamo ripreso la nostra vita da dove l’avevamo lasciata un secolo fa e sto confondendo il volergli molto bene con la cotta che aveva per lui allora. Sei molto carina ad avermelo chiesto, grazie.»
«Se lo dici tu…» disse aprendo la porta.
«El?» la richiamai e attesi che si voltasse a guardarmi interrogativa, «Quello che ci siamo dette… vorrei rimanesse tra noi.»
«Non ne parlerò, prometto.»
Tornammo al tavolo dagli altri due che si stavano tranquillamente facendo i fatti loro.
«Allora? Andiamo?» ordinò El appoggiando le mani sullo schienale della sedia di Louis.
«Signori, attenti, il generale Calder è arrivato… agli ordini, capo.»
«Ma il conto?» chiesi guardando il riccio.
«Baby, è cosa fatta.» Mi strizzò l’occhio in un gesto d’intesa.
«Harry! Perché fai sempre così! Che odio!»
«Ehi, non prendertela con me! Ha fatto tutto Tomlinson, io volevo scappare e far pagare a voi.»
«Lou!»
«Piccola, dovresti farti viziare un po’ ora che puoi» disse lui strizzandomi l’occhio.
Uscimmo fuori e ci guardammo tutti e quattro come a dire “ora che si fa?”.
«Ragazzi, Nick chiede se lo raggiungiamo in un locale. Vi va? È da un po’ che non lo vedo» se ne uscì Harry dando una veloce occhiata al telefono. Notai subito l’occhiatina che si lanciò l’altra coppia, e non prometteva nulla di buono.
«Scusa, Harry, ma sono un po’ stanca. Lou, se vuoi va’ con loro…»
«No, dai, ti faccio compagnia» disse dandole un affettuoso bacio sulla tempia cingendole le spalle con un braccio. «Ragazzi, divertitevi anche per noi.»
Strinse la mano come al solito a Harry e baciò me, poi Eleanor mi abbracciò e mi sussurrò «Se ti annoi, abbiamo il telefono acceso, e tu hai i nostri numeri.»
Inizialmente non capii a cosa si riferisse, ma questo lo scoprirete dopo.
Ci separammo ed Harry mise in moto la macchina verso questo famoso locale di cui non avevo mai sentito parlare.
Quello sì che era un posto veramente affollatissimo! Già dall’esterno si capiva che posto fosse, uno di quelli pieni di celebrità in cui la maggior parte delle persone mi guardavano male, mentre Harry era come un re là dentro: tutti lo salutavano e gli sorridevano.
«Harry, c’è qualcosa che dovresti dirmi?» gli urlai per sovrastare il volume della musica.
«Ci sono venuto molte volte con gli amici, qui c’è bella musica e i cocktail sono fantastici. Nick!» Si fermò all’improvviso e abbracciò un ragazzo con un bicchiere a metà in mano.
«Styles! Allora è vero che ti sei fatto vivo! Mi sei mancato, amico!»
“È una mia impressione o mi ha appena scaricata?”
Mi schiarii la voce e tirai un calcetto allo stinco di Harry ricordandogli che purtroppo per lui ero ferma al suo fianco.
«E lei è Darcy, la mia migliore amica» mi presentò dandomi una spintarella sorridendomi.
«Enchanté» fece il ragazzo con la T-shirt stampata baciandomi la mano. «Nick Grimshaw.»
«Ragazzi, aspettate un attimo qui, torno subito» disse di sfuggita Harry lasciandoci soli.
Non mi piaceva quel ragazzo, non so il perché, ma aveva qualcosa che non mi convinceva.
«Allora… Darcy» ruppe l’imbarazzante silenzio il ragazzo, «che ci fai tu a Londra?»
«Visita di cortesia ed un vecchio amico, e bambino in arrivo» risposi stendendo indietro i vestiti per rendergli più visibile la mia rotondità.
«Oh, ma dai! Allora non è sempre così attento come crede!» Rise svuotando il bicchiere.
«Non è suo, si è solo proposto di aiutarmi.»
Mi si avvicinò per sussurrarmi all’orecchio con l’alito caldo d’alcol «Com’è vivere sulla celebrità degli altri?»
Sgranai gli occhi. “Come si permette? Nemmeno mi conosce!”
«Il tuo visino pulito è su tutte le riviste di gossip. Ti fa sentire importante, dolcezza?»
«Ti rode che passi più tempo con me, eh Grimshaw?» gli risposi per le rime e lui mi si allontanò guardandomi con un ghigno e le mani sollevate.
«Touché.»
Harry spuntò all’improvviso senza giacca e con la camicia aperta in modo da scoprire completamente le rondini sul petto, le maniche arrotolate a scoprire gli avambracci.
«Andiamo a ballare!» c’incitò prendendo i polsi a entrambi tirandoci verso la pista, ma io mi scansai.
«Andate voi, ho un po’ male hai piedi.»
«Day!» obiettò lamentoso.
«Dopo vengo, te lo prometto.» Gli sorrisi.
Mi baciò la fronte e si allontanò dicendomi «E vedi di non bere in mia assenza.»
Resoconto della serata: tutto il tempo al bancone del bar a sorseggiare chicissimi cocktail analcolici massaggiando con Louis e El che, per farmi ingelosire un po’, continuavano a mandarmi foto di loro in pigiama sdraiati sul letto a guardare film, ma almeno mi aiutarono a superare la serata.
«Un altro Caribbean Cocktail, principessa?» mi chiese gentilmente il barman davanti al quale avevo passato tutta la serata, un bel ragazzo dai cortissimi capelli biondi e gli occhi grigi risaltati da un contorno d’eyeliner.
«Così mi vizi, biondino» accettai l’ennesimo drink analcolico offertomi da lui.
«Almeno ti faccio parlare un po’, il tuo amico ti ha abbandonata.» Indicò la pista con un’alzata del mento asciugando una serie di bicchieri.
«Vado a riprendermelo, sono stanca. Se non dovessi ritornare, chiama aiuto.»
Bevvi una lunga sorsata e mi diressi in pista alla ricerca del mio riccio.
Dovetti sgomitare a lungo tra la folla sudata ed esaltata prima di trovarmi Harry seduto su un divanetto rosso in un’area chiaramente riservata del locale. Nick bevve una sorsata dalla bottiglia stretta nella sua mano che poi passò ad Harry che fece lo stesso prima di sollevare il viso di una ragazza praticamente sdraiata su di lui intenta a lasciargli languidi baci sulla porzione di pelle lasciata scoperta dalla scollatura della camicia e appiccicare le labbra su quelle di lei suscitando l’ilarità del gruppo.
Sparsi sul basso tavolino di fronte a loro c’erano una serie di bottiglie vuote e bicchieri sparsi qua e là, tutti segni che mi fecero capire quanto fossero carichi d’alcol.
«Harry! Harry!» lo richiamai raggiungendolo. Sospirai perché già immaginavo quanto avrei dovuto penare per convincerlo a seguirmi.
«Darcy! Finalmente anche tu ti unisci a noi!» fece euforico per l’alcol in corpo, e tutti esultarono.
«No, voglio andare a casa.»
«Così presto? Sciogliti un po’.»
«Sono le 4, il concetto di “presto” ora è relativo. Per favore.» Mi avvicinai a lui stringendogli il polso tirandolo leggermente sperando che capisse quanto fossi stanca. Invece rimase a guardarmi totalmente impassibile con un sorrisetto stampato in viso.
«Ah! È uscita proprio la tua amichetta!» gridò Nick e tutto il gruppo rise, anche Harry.
Inizialmente non capii, poi vidi la bottiglia rovesciata sul tavolo che puntava proprio me.
«Sul serio? Non siete un po’ cresciuti per questo tipo di gioco?» “Che tristezza…”
«No, è uscita lei! Devi baciarla!» continuò a sbraitare Nick dando uno scossone a Harry.
«Non posso, lei è la mia… Darcy» fece lui aggrottando le sopracciglia.
Stavo morendo di sonno, volevo un letto e avrei fatto qualsiasi cosa per andarmene. Mi sporsi in avanti afferrando Nick per il coletto della T-shirt avvicinandolo a me avendo ormai chiaro che in quel momento fosse lui ad aver pieno controllo del mio amico
«Se lo bacio mi prometti che mi lascerete andare a casa?» sibilai a denti stretti.
«Tutto quello che vuoi, bimba, sempre se lui è d’accordo.» Fece un cenno del capo verso Harry che mi guardava con un misto tra il divertito e il confuso prima di annuire.
«E va bene, facciamolo.» Sospirai alzando gli occhi al soffitto. «Spostati!» intimai alla ragazza incollata ad Harry occupando il suo posto. Rimanemmo qualche istante occhi negli occhi, e lessi la confusione sul suo viso, come se in realtà non capisse cosa stesse per succedere.
«Day, ma che…» biascicò spalancando gli occhi.
«Stiamo giocando, no? E giochiamo allora.»
Avvolsi le dita alla sua sciarpa tirandolo verso di me premendo le mie labbra sulle sue.
Fu un bacio molto innocente, eppure sentii qualcosa scattare in me, in entrambi. Anche se durò appena una manciata di secondi e le mie intenzioni fossero ben diverse, si tramutò in qualcosa di intimo, non un casto bacio tra fratelli, ma qualcosa di più.
Quando percepii il mio cuore accelerare i battiti, allontanai Harry da me e portai l’attenzione su Nick alle sue spalle. «Contento, vostra maestà?»
«Permesso accordato. Sei libera, Daisy
«Buona serata, Neal.» Storpiai a mia volta il suo nome per non dargli la soddisfazione di ripeterglielo come se lo avesse davvero dimenticato e lui, avendo capito il mio gioco, sollevò un bicchiere nella mia direzione in un brindisi a me.
Sollevai praticamente di peso Harry dal divanetto e lo trascinai fuori. Non me ne fregava nulla che avesse lasciato lì la giacca, l’avremo ripresa il giorno dopo.
Fuori dal locale venimmo accecati dai flash dei paparazzi accalcati attorno a noi. Ero nel panico, ma per fortuna Harry ritrovò un momento di lucidità e spinse via un uomo che mi era venuto contro urlandogli in faccia l’unica cosa che non avrebbe dovuto dire.
«Stai indietro, così non la lasci respirare! Non vedi che è incinta?»
La fine. Si accalcarono ancora di più, ma grazie all’intervento dei buttafuori riuscimmo a salire in macchina sigillandoci dentro.
Avevo il fiatone, mi mancava letteralmente l’aria presa dal panico causato dalla reazione a quella sua rivelazione ai media.
«Darcy, tranquilla. Respira» continuava a ripetermi accarezzandomi la schiena, e piano piano ritrovai la regolarità nel respiro.
«Non avresti… dovuto dirlo» mi uscì in un ansimo.
«Prima o poi se ne sarebbero accorti. Possiamo parlarne domani? Sono a pezzi.»
«Va bene, basta che non vomiti, ti prego.»
Si addormentò all’istante, nemmeno il tempo di partire con l’auto ed era già era andato; se ne stava tutto raggomitolato sul suo sedile come un bambino, troppo ubriaco per tenere gli occhi aperti.
Vi risparmio la storiella di me che praticamente lo trascino in casa, lo porto su per le scale fino in camera sua e cerco di togliergli i vestiti per poi rinunciarci e lasciarlo con i jeans addosso, e dovette anche metterlo a letto.
La mia ricompensa? Quella notte faceva più freddo del solito, e il corpo di chi ha bevuto in genere è più caldo. Funzionò come un’efficiente coperta termica.

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Capitolo 13
*** 12 - Nobody Knows ***


Come avevo predetto, il night della sera precedente verso le 10 del mattino era aperto. Li conoscevo bene quei posti, ci avevo anche lavorato per un certo periodo (il Revolution, bei tempi quelli), e sapevo che la mattina in genere erano aperti per risistemare dopo delle serate piene come quella passata, così approfittai di questa mia piccola conoscenza per andare a riprendere la giacca che quel testone di Harry aveva abbandonato chissà dove.
Bussai alla porta che mi venne aperta da un calvo omone di colore con indosso una maglietta ornata solamente della cubitale scritta “staff” sull’ampio torace muscoloso.
«Desidera?»
«Salve. Forse lei non si ricorda di me, ma ero qui ieri sera con Harry Styles, e ha dimenticato la giacca. Sa se ne hanno trovata una da qualche parte?»
Mi metteva un po’ in soggezione l’amicone davanti a me, mi guardava come fossi un alieno!
«Certo, dimmi se la riconosci» disse dopo un momento in cui rimase zitto a scrutarmi prima di decidersi di spostarsi permettendomi di entrare nel locale buio.
Non mi ero accorta di quanto fosse grande, ma ora che in giro c’erano solo alcuni dei vari camerieri intenti a pulire tutto il disastro lasciato dai clienti faceva decisamente un’impressione diversa.
«Ti ricordi che giacca fosse?»
«Ehm… sì, più o meno. Taglio classico, nera, probabilmente di qualche grande marca conoscendo il proprietario, una Gucci o Yves Saint Laurent credo, ed ha tre bottoni, o quattro forse … scusi, non lo ricordo con certezza, ma se la vedo la riconosco di sicuro.»
«Vedo cosa riesco a trovare» disse sorridendo a quel mio goffo tentativo di compiere un gesto carino. «Vuoi sederti?»
«Sì, grazie.» Mi facevano male le gambe, e sapendo che avrei dovuto camminare anche dopo accettai di buon grado quel invito.
L’uomo mi condusse fino ad un divanetto dandomi la possibilità di sedermi e mi porse un bicchiere d’acqua fresca con un sorriso.
«Aspettami qui, cercherò di fare in fretta.»         
Una volta lasciata sola bevvi una lunga sorsata d’acqua e distesi le gambe doloranti in avanti tendendo la punta dei piedi facendo scrocchiare le caviglie. Quale sollievo fu riposarmi in un posto caldo!
«Tu non sai quanta fatica mi costi, Alexander. Mi hai resa un rottame» sussurrai abbassando lo sguardo sul mio ventre e accarezzandolo.
«Ci conosciamo?»
In effetti quella voce non mi era nuova, così mi voltai incontrando un ragazzo con la cassa di un impianto stereo tra le mani. Era il barman di quella notte!
«Come no, mi hai riempita di Caribbean Cocktails tutta la sera.»
«Ehi, principessa!» si ricordò di me, «Ben tornata.» Posò la cassa a terra e si avvicinò a me che non feci lo sforzo di alzarmi in piedi, però mi scostai lasciandogli posto a sedere. «Che ti porta di nuovo in questo covo di matti? Non mi sembra che ti sia proprio divertita stanotte.»
«Il mio amico si è dimenticato un pezzo.»
«E tu hai pensato di venire a prenderglielo? Che carina che sei» disse puntandomi una guancia con l’indice. «Bella dentro e fuori. Il tuo amico deve ritenersi molto fortunato» continuò ad elogiarmi facendomi arrossire.
Era proprio un bel ragazzo, soprattutto ora che si era tolto l’eyeliner rendendo più vividi gli occhi chiari. Un velo di barba bionda gli ricopriva le guance scavate e gl’incorniciava le labbra rosee in quel momento tese a scoprire una fila di denti bianchi.
«È questa?»
L’uomo dell’ingresso tornò nella sala principale tenendo un indumento in mano. Mi alzai in piedi faticando un po’ per verificare se fosse proprio quella. Ne riconobbi subito il tessuto al tatto e il modello, ma la conferma mi venne data dalla traccia di profumo rimasta ancora intrisa sul colletto di quella.
“Hermès. Chi l’avrebbe detto?” «Sì, è proprio lei. Grazie.» Sorrisi riconoscente.
«Di niente, se fosse rimasta qui se la sarebbe intascata qualcun altro.»
«Arrivederci, e grazie ancora.»
Mi diressi verso la porta rinfilandomi il berretto di lana per proteggermi le orecchie dal gelo.
«Aspetta, principessa!»
«Ma perché continui a chiamarmi così?» dissi esasperata dal nomignolo fermandomi con una mano sulla porta che dava all’esterno.
«Perché hai fatto l’altezzosa tutta la sera, ma se mi ritenessi degno di dirmi il tuo nome, forse…»
«Darcy» risposi voltandomi verso il ragazzo.
«È davvero un bel nome. Alec» rispose lui prendendomi la mano e lasciandoci un pezzetto di carta dentro. «E questo è per tutte quelle volte che varrai un Caribbean Cocktail» disse ammiccando prima di rimettersi al lavoro.
Uscii fuori e aprii il bigliettino rimanendo piacevolmente sorpresa di vederci scritto sopra un numero di telefono a caratteri cubitali.
“Però! Complimenti, Darcy, riesci ancora a rimorchiare in discoteca anche se con qualche chiletto in più.”
Percorsi una decina di metri a piedi fino alla fermata del bus intenta a dirigermi al Charing Cross Hospital per un mio piccolo chiarimento, e stranamente mi ricordai che il mese precedente per raggiungerlo mi era bastato scendere a Hemmersmith prendendo l’N11.
Salii in ginecologia e attesi il mio turno in silenzio. Fui veramente contenta di trovare la dottoressa Marin all’interno.
«Signorina Grey, non l’aspettavo» mi salutò sorpresa.
«Salve, dottoressa. Devo ammettere che speravo proprio d’incontrarla.» Le tesi la mano stringendo la sua prima di sedermi sulla sedia imbottita in tessuto blu di fronte alla scrivania di questa.
«Perché è qui? Non ricordavo avessimo un appuntamento.» Controllò l’agenda.
«No, infatti, è solo che… vorrei che mi parlasse del programma d’adozione.»
Mi sentii in colpa a pronunciare quelle parole che fino a quando non mi decisi a sputare fuori nella mia testa risultavano come un eco lontano. Più che altro, mi sentii una madre orribile.
«Oh… dai discorsi tra lei e il suo amico la scorsa volta pensavo che foste decisi a tenerlo…» Il suo tono era amareggiato, sorpreso di certo.
«Non sto parlando di una decisione in definitiva, è solo per valutare un po’ le alternative.»
«Se è quello che vuole, posso farla entrare in un programma d’adozioni in modo che venga trovata la famiglia idonea per la crescita del bambino. In pratica, una volta trovata, ci saranno degli incontri con i genitori adottivi così da conoscerli e prendere tutte le decisioni opportune insieme, per esempio se potrà essere attivamente partecipe nella vita del bambino oppure no, e dovrà fornire loro tutti i dati necessari riguardanti la sua vita privata. Non faranno domande né la giudicheranno, ma una volta dato alla luce il bambino sarà sotto la loro tutela e lei non avrà voce in capitolo. In alternativa può lasciarlo in ospedale alla nascita e verrà trovata una famiglia, ma non avrà l’occasione di avere contatti con lui.»
Le sue parole mi fecero sentire terribilmente vuota. Se davvero avessi preso quella decisione, avrei sempre avuto una lacuna incolmabile dentro di me, probabilmente avrei passato ogni giorno della mia vita a chiedermi se quella decisione fosse stata veramente giusta oppure no, ad immaginare come sarebbe stato Alexander da grande, se mai avrebbe perdonato quella madre che lo aveva lasciato da solo quando più aveva bisogno di lei.
Immediatamente pensai ad Harry. Aveva preso a cuore tutta quella faccenda e si sentiva già legato al bambino in arrivo, se avesse saputo per quale ragione ero tornata in ospedale avrebbe pensato che fossi impazzita.
«Darcy, è davvero sicura di quello che dice? Lo so, è giovane e inesperta, e la nascita del primo figlio spaventa tutte, ma che il mondo è pieno di madri con quindici o sedici anni e se la cavano bene comunque. Lei è più matura, e non è sola. Mi è bastato vederla con il suo amico…»
«Harry» precisai ricordandole il nome.
«Lei ed Harry qui insieme la scorsa volta per rendermi conto di quanto questo bambino sarebbe stato bene. Se posso darle un consiglio da donna a donna, non prenda decisioni affrettate perché spaventata.»
Mi parlava come una madre, diceva tutte le parole che forse avrei dovuto sentirmi dire dalla mia.
«C-ci penserò su.»
Mi sorrise soddisfatta e mi passò una serie di dépliant informativi sulla questione adozione e il suo numero per parlare di qualunque cosa prima di congedarmi con un «Non sei sola, ricordalo.»
“No che non lo sono, vivo con forse l’unica persona alla quale abbia mai dato importanza. Lui saprà cosa fare.”
 
«Day, posso?»  Harry spuntò dalla porta dandoci dei leggeri colpetti.
Sobbalzai e nascosi tutti i dépliant sparsi sul letto nella borsetta che lanciai sulla poltrona sotto la finestra per evitare li vedesse anche solo di sfuggita.
«Ehm… sì. Stavo solo… leggendo» mentii fingendo di leggere il libro davanti a me messo strategicamente come copertura in caso fosse entrato nella stanza (come accadde, appunto).
«Tutto bene? È da quando sei tornata che ti sei chiusa qui dentro. Ah, grazie per la giacca.»
«Ti pare? Almeno le tue commissioni devo fartele visto che mi mantieni senza niente in cambio.»
Mi spostai dal centro del letto e lui si sdraiò supino accanto a me che chinai la testa per guardarlo in faccia. «Anche se non te lo meritavi visto come ti sei dimenticato di me ieri sera per il tuo amico Nick.» Dissi il nome del ragazzo arricciando il naso.
«Già… Scusami, mi sono fatto un po’ prendere. Simpatico Nick, eh?»
«Sì, simpatico… come un calcio in culo!»
«Ma come! Ieri vi ho visti anche ridere quando siamo arrivati!»
Sembrava davvero perplesso per da quella mia affermazione. Allora è vero che a intuito è ai minimi livelli storici!
«Quello era sarcasmo. Mi detesta!»
«Nah, perché dovrebbe?» Aggrottò la fronte.
«Sostiene che mi piaccia vivere del tuo successo. Già non lo sopportavo alla BBC, ma ora che l’ho conosciuto lo odio proprio. Per fortuna c’erano Lou e El a tenermi compagnia, oltre ad Alec.»
«Chi?!» Inarcò le sopracciglia guardandomi torvo.
«Il barman. Mi ha offerto drink tutta la sera mentre tu eri con il tuo amichetto.»
«Oh, e quindi per ammazzare il tempo flirtiamo col barman, furbetta!»
«Dubitavi del fatto che potessi ancora fare colpo, riccetto?» Gli passai una mano tra i capelli scompigliandoglieli, cosa che ha sempre odiato, così in tutta risposta mi afferrò per le spalle facendo leva per farmi finire sotto di lui con la schiena contro il materasso e prese a farmi il solletico, cosa che sono io ad odiare.
«Ti prego, smettila! Lo detesto!» riuscii a dire tra una risata e l’altra. «Mi metto ad urlare!» minacciai.
«Okay, okay, la smetto…» disse fermando le mani ma senza alzarsi, rimase a guardarmi dall’alto steso sopra di me. «E scusami se ieri ti ho esasperata, non deve essere stato facile trattare con me su di giri o portarmi fino in camera.»
«Infatti non lo è stato, però collaboravi quando ti ordinavo di fare le cose, e stranamente mi hai dato retta.»
«E scusami anche per… il dopo.»
«Calcolando la mia immensa fobia per il vomito, mi devi un colossale favore per stanotte, un bel Tiffany magari. Ah! Una domanda: a te e ai tuoi amici non sembra di essere un po’ cresciuti per fare il gioco della bottiglia?»
«Cosa?! Davvero? Non me lo ricordo!» Rise prima di passarsi la lingua tra le labbra leccandosi il labbro inferiore. Un gesto di sua consuetudine, ma che trovai sexy.
«Tu forse no, ma io lo ricordo più che bene! Ho dovuto baciarti per portarti a casa!» Sollevai gli occhi e sospirai con noncuranza.
«Non ci credo!» Scoppiò a ridere. «Menomale che non mi ricordo, mi sarei imbarazzato da morire!»
«Per un bacio? A me poi? È stato come baciare mio fratello.»
Sollevai la testa dal materasso e premetti le labbra sulle sue come la sera prima. «Visto? Niente.» dissi sollevando le spalle, mentre lui sgranò gli occhi. Non si aspettava che lo facessi, non con tutta quella naturalezza.
«Non pensavo che avessi il bacio così facile, Darcy Gray» fece con aria critica.
«Con le amiche di Liverpool un bacio a stampo era la prassi per salutarsi.»
«Uh, baci tra ragazze… eccitante!»
«Vedi di non eccitarti sopra di me, schifoso!» Lo spinsi via ridendo facendolo tombolare sdraiato accanto a me.
«Stasera vengono i ragazzi qui dopo cena, va bene?» cambiò discorso.
«E devi chiedere? Certo che va bene! Digli di portare anche le ragazze, però.»
«El ti piace, eh?»
«Mi piace? L’adoro! È divertente e ci si può parlare liberamente. Diventeremo buone amiche, già lo so.» Mi alzai dal letto avviandomi alla porta.
«Dove vai?»
«In un magico regno chiamato bagno» dissi appoggiandomi allo stipite voltandomi a guardarlo prima di spartire oltre la porta.
«Vuoi che ti tenga la porta?» scherzò ritornando sul discorso del ristorante della sera prima facendomi scoppiare a ridere.
Una volta raggiunto il bagno, mi chiusi dentro e mi lasciai scivolare lentamente con la schiena contro la porta in legno fino a terra dove mi strinsi le ginocchia al petto.
«Ma cosa sto facendo?!» mi rimproverai prendendomi la testa tra le mani.
“È stato come baciare mio fratello”? Quella sì che era una cazzata, non potevo considerarlo tale! È sempre stato il mio punto fermo, una spalla su cui piangere, l’unico su cui avrei potuto scommettere tutto, ma un fratello non lo era mai stato.
È quel tipo di persona che riesce a rapirti inchiodandoti con un solo sguardo, lo stesso che avevo messo anni a dimenticare, o meglio, a provare a farlo, ma che in realtà avevo continuato a cercarlo in tutti quelli che mi circondavano. Per questo avevo perso tutto quel tempo dietro a Jason, c’erano diversi aspetti in comune con Harry come il modo di parlare facendo pause interminabili intervallando una serie di “ehm” ogni due parole, l’estroversione, il fatto che sapesse sempre attirare l’attenzione su di sé, il gesticolare delle mani, ma più di tutto erano i suoi occhi a riportarmi ad Harry: certo, quelli di Jason erano glaciali, ma il taglio era lo stesso, e trasmettevano la stessa fanciullezza quando mi sorrideva. Beh, era così prima che mi lasciasse in mezzo ad una strada…
Anche se io avessi cercato di autoconvincermi che non fosse così, nel preciso istante in cui mi strinsi tra le braccia del mio migliore amico dopo anni della sua assenza mi resi conto che nulla era cambiato da quell’estate del 2010: non avevo mai smesso di amarlo.
Ma che potevo fare?
 
«Ragazzi, vi dispiace se esco un attimo?» dissi alzandomi dalla sedia e sollevando il telefono per fargli intendere il motivo per cui volevo uscire.
«Figurati. Vuoi che venga con te?» domandò Niall alzando lo sguardo dalla sua pessima mano a poker.
«Sei molto carino, ma passo.» Gli sorrisi lasciandogli una carezza sulla guancia e mi diressi verso l’esterno. Ovviamente notai lo sguardo preoccupato di Eleanor, ma non ci diedi importanza.
Uscii dalla porta d’ingresso sedendomi sugli scalini gelidi stringendomi per bene nella felpa per ripararmi dal freddo pungente di dicembre.
Feci partire la chiamata premendomi l’apparecchio contro l’orecchio sotto al cappuccio ben calato sugli occhi. Uno squillo… due… tre…
«Pronto?»
«Ciao, mamma.»
«Tesoro! Come stai?» fece lei entusiasta nel sentire il suono della mia voce.
«Come una mongolfiera, ma bene. Tu e papà?»
«Al solito. Londra deve essere bellissima in questo periodo.» La sentii sorridere.
«Molto di più! Vedessi Harrods, è splendido!»
«Immagino.» Sospirò. «Melanie chiede sempre di te.»
«Dille che basta prendere una rivista di gossip per ragazzine e scoprirà tutto quello che vuole.»
«E secondo te perché ci chiede di te? Fosse per lei sarebbe lì con voi. Sono contenta che tu sia con Harry, ti è mancato così tanto…»
«Mamma, parliamo d’altro, per favore…» Deglutii pesantemente. Era andata a colpire l’unico tasto dolente, e lo capì immediatamente cambiando discorso.
«Perché hai chiamato? C’è qualcosa che vorresti dirmi?»
Scarlett Gray è sempre stata una donna molto intuitiva, e conosce alla perfezione sua figlia, come potevo nasconderle qualcosa?
«Niente di che, volevo solo sapere come stai. Ogni tanto anch’io ho nostalgia di casa.»
Fino a poco tempo prima ero sicura che le avrei spiattellato tutta la storia dell’adozione in faccia, lei mi avrebbe aiutata a prendere la decisione giusta, ma mi mancò il coraggio di parlare. Lei è stata una madre modello quand’ero bambina, mi ha sempre dato fiducia e io non ho mai avuto paura di parlare con lei raccontandole qualunque cosa; era stata severa se necessario e ancora oggi riesce ad avere le parole giuste sempre. L’avrei delusa, e non potevo farlo a lei.
«Darcy…»
«Mamma, sto bene, davvero.» Cercai di mantenere la voce ferma mentre le lacrime si facevano largo sul mio viso. «Ora devo andare, c’è tutta la band a casa, ci stiamo divertendo.»
«Non ne ho dubbi. Divertiti anche per me. Vorrei vederti.» Non nascose un filo di nostalgia nella voce, erano mesi che mi chiedeva di andare a trovarli.
«Ti prometto che cercherò di venire a Liverpool, ma dopo che il tuo nipotino sarà nato. Sarete i primi a conoscerlo, tu e papà.»
«Poco ma sicuro! Fa’ la brava e salutami Harry, digli che ci è mancato in questi anni!»
«Sarà contento di saperlo. Ti voglio bene, mamma.»
«Anch’io, tesoro.»
Staccai la chiamata per non farle sentire i singhiozzi ormai troppo forti da nascondere e mi lasciai andare al pianto. Ero una delusione di figlia, ne ero convita.
Rimasi per un po’ fuori al freddo desiderando di poter sparire o di cancellare l’ultimo anno della mia vita: addio bambino, addio relazione sbagliata con Jason, addio amore per Harry…
«Darcy?!» mi sentii chiamare e la porta d’ingresso chiudersi. «Ti senti bene?»
“Fantastico… e adesso?”
Mi asciugai gli occhi con la manica della felpa, ma non mi voltai verso il ragazzo alle mie spalle «Sì, sì, perché non dovrei?»
«Uno non piange se va tutto bene» Si sedette accanto a me votandomi verso di lui e togliendomi il cappuccio della felpa. «Con due occhi così o ti sei appena fumata un cannetta o hai pianto.»
Inutile, non riesco a nascondere le cose a Liam, lui m’infonde sicurezza.
«E va bene, ho pianto.» Sbuffai riportando lo sguardo sulla strada davanti a me. Ovviamente la mia risposta non gli bastò, e lo dimostro facendomisi più vicino dandomi una spintarella sul ginocchio col suo. «È che… non so cosa fare, sono così confusa, Liam! Cinque mesi fa ero libera, uscivo ogni volta che mi andava, tutti volevano essermi amici e l’unica persona di cui m’importasse veramente ero io, poi è successo tutto questo… casino. La mia vita è cambiata troppo in fretta, mi sono ritrovata sola finché non siete arrivati voi che mi avete accettata, mi avete fatto tornare il sorriso e…»
«Arriva al punto, Day.» M’invitò a tagliare corto.
«La verità è che non penso che sarei una buona madre! Ho paura che…»
Non mi lasciò finire. Vedendo i miei occhi riempirsi di nuovo di lacrime mi abbracciò lasciando che mi aggrappassi a lui piangendogli sulla spalla, il corpo scosso dai singhiozzi. Prese a sussurrarmi parole di conforto facendomi scorrere la mano lungo la schiena per calmarmi, e ci riuscì piuttosto velocemente.
«Liam.»
«Shhh, non parlare se non te la senti.»
Rimasi ancora in silenzio mentre il mio respiro riprendeva la solita regolarità.
«Sto pensando di darlo in adozione» dissi tutto d’un fiato.
S’irrigidì di colpo, ma dopo un sospiro trovò le parole da dirmi. «Se pensi che sia la cosa migliore per entrambi è giusto che tu lo faccia, ma vorrei che pensassi che ora ci siamo noi, c’è Harry, e sono certo che non sarai mai sola se è questo a spaventarti. Sei una donna forte, Darcy, e saresti un’ottima madre, devi solo provarci. Con questo non ti sto dicendo che dovresti tenerlo se non ti senti pronta a farlo, però che sei arrivata fino a qui, stai facendo dei sacrifici per questo bambino che è parte di te più di quanto tu lo creda. Non vorrei che finissi per rimpiangere per sempre una decisione affrettata.»
Aveva ragione, perfettamente ragione. Era un segno che lui fosse uscito proprio in quel momento, perché dovevo parlare con qualcuno e lui mi si presentò al momento giusto.
Mi allontanai dal suo corpo sciogliendomi dall’abbraccio ma tenendo comunque le sue mani strette nelle mie fermandomi a pochi centimetri di distanza, gli occhi negli occhi.
«Liam, sei un amico fantastico, sarei scoppiata se non avessi parlato con qualcuno.»
«Ehi, non ringraziarmi, per gli amici questo ed altro» disse sorridendomi in modo rassicurante. «Ora però rientriamo, sto gelando e tu tremi.»
Ci alzammo in piedi e lui aprì la porta.
«Liam» lo fermai prendendogli un polso, «grazie.»

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Capitolo 14
*** 13 - Upside Down ***


2 mesi al parto…
«Harry, muoviti! Okay che sei famoso, ma l’aereo non ti aspetta comunque!» gli urlai dal piano di sotto tamburellando impaziente il piede a terra.
«Arrivo, mamma, tranquilla…» rispose scendendo le scale con in mano una valigia nera dall’aria pesante. «Ti preoccupi per me? Che carina» continuò sorpassandomi e pizzicandomi una guancia.
«No, mi preoccupo per tutto il management che vi segue. Si fanno un culo pazzesco per voi quattro e i vostri impegni, mi spiace che gli sballiate tutto.»
Chiusi a chiave la porta d’ingresso e lo affiancai davanti al bagagliaio aperto dell’auto.
«Preso tutto?»
«In teoria… Ma sì, se ho dimenticato qualcosa lo prenderò là. Tu sei sicura di voler restare qui per tre settimane? Puoi venire con me, lo sai.»
«So cavarmela da sola, non sono una bambina.»
«Però la babysitter ce l’hai.» Soffocò una risata chiudendo il portellone con un colpo.
«E che babysitter! In un certo senso non vedo l’ora che te ne vada.» Sogghignai.
«Come liquidi in fretta il nostro amore» citò la frase di un film visto la sera prima.
«Decisamente. Sali» ordinai sedendomi al posto di guida ignorando le sue lamentele.
Certo che mi sarebbe mancato! Gli Stati Uniti non sono certo dietro l’angolo, ma questo è il suo lavoro, lui va dove gli dicono di andare e fa quello che ama. Ero certa che avrebbe fatto carriera, ma mai avrei pensato che sarebbe stato sempre fuori casa, sbalzato da un lato all’altro del globo. Lui era felice di questo, e lo ero anch’io.
Gli lanciai un’occhiatina di sbieco mentre guidavo lenta in mezzo al traffico. Se ne stava tranquillo seduto sul sedile accanto al mio con una camicia rossa a quadri sicuramente di qualche taglia superiore alla sua che gli ricadeva morbida sulle spalle larghe, l’aria concentrata nel contemplare il suo riflesso nello specchietto del parasole intento a sistemarsi i capelli indietro con una mano che poi abbassò sul lato destro del viso per grattarsi via una crosticina da una guancia.
Erano i momenti come quello che mi ricordavano che, in fondo, eravamo solo due ragazzi come tutti gli altri.
Rimasi anche ammaliata nel contemplarlo. Negli anni era diventato veramente bellissimo, più che in molti photoshoot che si trovano in giro per il web.
«Smettila di torturarti la faccia!» lo rimproverai dandogli uno schiaffetto sulla mano abbassandogliela dal viso, «Sei carino anche con due brufoli, sembri più umano.»
«Mi dava fastidio… Ma poi che vuoi saperne tu?»
«Stai parlando con una che a diciassette anni al posto del viso aveva una grattugia. So cosa vuol dire, Styles.»
«Veramente?!»
«Oh sì, non sai che sacrifici ho fatto per farli sparire! È stata una tortura, ma poi ho vinto smettendo di pasticciarmi la faccia, non come… Ehi!» Gli tirai di nuovo via la mano dal viso, «Sei impossibile, è come parlare con un muro!»
Sbuffando, sbatté il parasole contro il tettuccio dell’auto e si rimise seduto composto calandosi gli occhiali da sole sugli occhi fissi davanti a sé.
«Mhm! Che nervi quando fai i capricci!»
«Dovresti ringraziarmi invece, ti sto facendo abituare a sentirli per il resto della vita» disse lanciandomi addosso un oggetto rosso ritornando di nuovo a sorridere.
Abbassai lo sguardo tra i pedali per capire cosa fosse riconoscendo la figura di un accendino che raccolsi mostrandoglielo con un sopracciglio inarcato. «Adesso fumiamo anche, eh?»
«Non è mio, è di Louis» si difese.
«Louis è la tua scusa per tutto? Povero ragazzo.» Scossi il capo.
«Ma è suo sul serio! Vivo in mezzo a una band di fumatori che seminano accendini ovunque, non è l’unico in questa macchina, credimi. Io non fumo.»
«Io sì, e non sai come vorrei una sigaretta proprio ora» ammisi assaporandone il gusto.
«Che madre pessima.»
«Ma cosa! Ho smesso per lui, sono una madre idilliaca!»
«E ‘sta parolona da dove l’abbiamo tirata fuori?»
«Da un posto molto carino che si chiama cervello. Non credo che tu ne sia dotato» lo freddai fermando l’auto nel parcheggio di Heathrow. Tra l’altro, rischiai di dover vendere un rene per pagare la sosta.
«Day, dobbiamo muoverci, mi stanno già mitragliando di messaggi per chiedermi dove sia!» Affrettò il passo costringendomi quasi a correre per raggiungerlo.
«Non prendertela con me, sei tu quello più lento delle donne a prepararsi.» Lo raggiunsi aggrappandomi al suo avambraccio tatuato scoperto dalle maniche arrotolate della camicia e lui rallentò vedendomi annaspare. Mi lanciò un’occhiata strana per poi sorridermi e fermarsi mettendomi una mano dietro la nuca per avvicinarmi a lui e stamparmi un bacio sulla tempia.
«Styles? Stai bene?» “Gesti di dolcezza gratuita, così… Dobbiamo venire più spesso in aeroporto!”
«Non posso ringraziare la mia migliore amica perché mi fa da tata ogni giorno?»
«Sì, puoi ma muovendo il culo» rispose per me una voce fuori capo seguita dall’avvicinarsi a noi di Mark che gli diede un colpetto sulla testa. «Sempre l’ultimo, eh?»
«I migliori arrivano sempre per ultimi» Strizzò l’occhio facendo spuntare le fossette sulle gote lisce allungando le labbra in un sorriso.
«Muoviti, migliore…» Ci sorpassò ridendo e raggiungemmo il resto del gruppo. C’erano anche Eleanor e Jennie con loro, e corsi ad abbracciarle lasciando il braccio di Harry.
«Jen! Quanto tempo!» la salutai per prima.
«Sei tu che non hai mai voglia di uscire, ma ora che ti vedo capisco il perché… Non deve essere facile andare troppo in giro.» Alluse alla mia evidente massa sempre in crescita.
«No, non lo è. Ormai sul divano c’è la mia sagoma.»
«Ma in queste settimane conosco una ragazza che ti costringerà a fare un po’ di movimento» disse El dandomi una fiancata.
«Ricordami perché ho accettato di farti fare la mia babysitter?» Mi finsi atterrita.
«Perché mi adori e perché da sola Harry non ti lascia, e neanch’io.» Mi abbracciò.
«Mi distruggerete casa, già lo so» disse lui tirandosi indietro i capelli.
«E dai, riccio, falle divertire un po’ mentre noi siamo a divertirci in giro.» Liam cinse le spalle con un braccio ottenendo una gomitata dalla fidanzata sentendo quell’affermazione.
«Ragazzi, è ora» annunciò qualcuno della security (credo si chiamasse Robert).
Abbracciai uno per uno i ragazzi partendo da Liam e Louis per poi lasciarli alle rispettive ragazze, poi finito il giro strinsi Harry il più vicino che la mia pancia mi permettesse.
«Sicura che non vuoi venire anche tu? Possiamo andare a casa e prendere tutto quello che ti serve, non cambia se prendo il volo successivo» mi sussurro tra i capelli.
«Ne abbiamo parlato stamattina: sarei solo un peso inutile. Poi qui sono in buone mani» dissi slegandomi dall’abbraccio e indicandogli col mento Eleanor che in quel momento si stava scambiando effusioni con Louis.
Guardando quella scena mi sentii lo stomaco annodarsi. Tutti quei gesti, quelle carezze e quei baci così naturali per due persone che si amano, beh, o che almeno si ricambiano l’un l’altra… Abbassai lo sguardo portando la mia attenzione altrove, cosa che ovviamente Harry notò, e forse fu proprio quello che fece scattare qualcosa.
«Vieni.» Mi prese la mano staccandosi un po’ dal gruppo portandomi dietro ad una scala mobile vicino a noi, in un luogo coperto.
«Harry, che fai? Vai dagli altri!»
«Fammi parlare.» Ammutolii all’istante rimanendo ferma a guardarlo. Raccolse per un attimo i pensieri prima di riprendere a parlare. «Tempo fa c’era una ragazzina non molto alta e con… mezza testa tinta di un orrendo rosa» iniziò ridendo al ricordo dei miei capelli all’età di sedici anni accarezzandomi una guancia compiendo movimenti circolari col pollice.
«Erano magenta, e li avevo fatti solo sotto, non metà testa!» precisai con un sorriso.
«Chi se ne importa di queste cose, erano orribili comunque! Posso continuare?»
«Prego, signor narratore.»
«Dov’ero rimasto… Ah! Una ragazza con i capelli magenta che andava in giro con felpe più grosse di lei e che mi diceva sempre di non smettere di sognare, che lei per me ci sarebbe stata, ma poi un giorno sparì proprio quando i miei sogni cominciavano a diventare realtà.»
«Ma ora sono qui, dove vuoi che vada in questo stato? Il massimo che posso fare e rotolare in giro per Londra. Ora però n…»
Portò la mano che prima si trovava sulla mia guancia oltre il mio orecchio intrecciandomela tra i capelli e si abbassò su di me premendo le labbra sulle mie.
Spalancai gli occhi. Non ci potevo credere, era troppo assurdo per essere reale!
Non si fermò a quel semplice bacio casto, lo capii subito, così azzardai la mossa successiva dischiudendo le labbra e, sentendo le nostre labbra allacciarsi le une alle altre, chiusi gli occhi afferrandogli due lembi della camicia stringendolo a me il più possibile in quell’istante che inconsciamente aspettavo da anni, quel momento in cui eravamo solo io e lui, quel bacio tanto atteso, come un segreto mai svelato lasciato libero.
Quando si allontanò da me, rimase a fissarmi appoggiando la fronte alla mia guardandomi con un sorriso che ricambiai sentendomi quasi una ragazzina. Ero così felice.
«Che cosa significa questo?» domandai aggrottando la fronte.
«Che questa volta quando tornerò a casa tu sarai lì. È una promessa.»
«Prometto.»
«Brava, piccola» disse prendendomi il viso con entrambe le mani e stampandomi un altro leggero bacio a fior di labbra, poi mi prese la mano e lo accompagnai fino al cheek-in dove lo aspettavano gli altri.
«Ti chiamo appena arrivo, prometto.»
Cominciò a camminare all’indietro tenendo ancora la mia mano che lasciò scivolare lentamente dalla sua una volta che le nostre braccia furono tese davanti a noi.
Salutai i ragazzi un’ultima volta con un gesto della mano mentre si dirigevano verso il gate, poi sparirono dalla mia visuale e sospirai.
Mi sentivo lo stomaco invaso da una miriade di farfalle, così leggera che avrei potuto comminare a due metri da terra. Scoppiavo di felicità perché finalmente tutto cominciava a girare nel verso giusto: Harry mi aveva baciata, mi aveva fatto delle promesse, e… che importava d’altro? Per un istante, tempo di una decina di minuti, era stato mio soltanto. La me sedicenne stava facendo le capriole urlando come una pazza.
«Ti vedo felice, piccola Darcy… C’è qualcosa che vorresti, anzi, dovresti dirmi?» disse maliziosa Eleanor spuntandomi alle spalle.
«Mhm… no, niente di che, sono solo felice.» Volevo tenermi quello che c’era stato per me.
«Felice? Ti prego, dimmi come fai.» Jennie si asciugò l’ultima lacrima guardandomi.
«Penso che stia partendo per inseguire il suo sogno, ed è questo a rendermi felice.»
Eleanor con lo sguardo mi disse “so che c’è dell’altro, ma lascerò che sia tu a parlare”, ma dalla bocca le uscì «Che ne dite di andare felicemente a fare un giro in centro?»
 
Era passata appena una settimana dalla partenza della band, e con Eleanor ormai eravamo praticamente diventate come sorelle. La mattina, la prima che si alzava preparava la colazione anche per l’altra, poi lei usciva per andare a lavoro o in alternativa stavamo tutto il giorno per casa col pigiama addosso a guardare film, ci facevamo un giro in centro o ci dedicavamo anche solo ad attività per ragazze includendo Jennie e, quando poteva, Gemma. Una sera eravamo anche uscite con gli amici di Eleanor, e mi avevano trattato come se mi conoscessero da sempre.
Harry, come promesso, mi chiamava via Skype ogni sera anche solo per sapere come stessi o per farmi fare un saluto veloce dai ragazzi (Niall lo faceva tutte le sere). Non potete immaginare come questa cosa mi facesse sentire speciale, quasi amata dal modo in cui mi parlava e mi sorrideva.
Mai avrei immaginato che sarebbe successo quello che accadde.
«Day, questo lo devi provare!» esclamò Eleanor richiamandomi in un reparto del negozio prémaman non molto distante da dove mi trovavo io.
«Hai trovato qualcosa di carino?» Spuntai dalla fila di abiti che ci separava mettendomi sulle punte.
«Decisamente!»
La raggiunsi e lei mi mostrò una maglia nera a pois bianchi a maniche lunghe con scollo a V non esageratamente profondo. Il tessuto morbido dava l’impressiono di non essere di quelli che fasciano troppo le forme, inoltre sotto al seno era compresa una sottile cintura in vernice color ocra tendente al beige.
«È splendida, Calder!» La raggiunsi prendendogliela dalle mani facendola ridacchiare, «E la potrei mettere con dei jeans…»
«Neri, assolutamente» finì la frase per me. «Ne ho visti di carini più in là. Vediamo che riusciamo a trovare.»
Trovati anche i pantaloni, dei classici jeans dall’aria comoda con la solita fascia elasticizzata a vita alta, provai il tutto. Che dire se non che stava proprio bene!
«Direi che è fantastico, ma manca qualcosa…» dissi aprendo la tenda del camerino e cominciano a vagare scalza per il negozio scavando tra i veri scomparti finché non trovai un cardigan nero e, dulcis in fundo, delle scarpe in vernice rossa. «Ora è perfetto!» esultai facendo un giro su me stessa entusiasta.
«Gusto impeccabile, Gray, te lo riconosco!» mi elogiò battendo lentamente le mani.
Tornai in camerino per cambiarmi e comprai tutto quanto (tanto offriva Styles).
«Look per andare a prendere Harry in aeroporto: cheek.» Mi diede una leggere gomitata ammiccando appena fuori dal negozio.
«Beh, non solo.»
«Hai ragione, vestita così sei uno schianto! Ma dovrà stare attento, se no rischia che qualcun’altro ti porti via.»
«Il mondo è pieno di ragazzi che smaniano per scappare con una mezza donna incinta…»
«Sì se quella mezza donna è carina quanto te.»
«Ma smettila, scema!» Le diedi uno spintone scoppiando a ridere.
«Scusate?»
Ci voltammo in contemporanea incontrando tre ragazze con l’uniforme della scuola. «Siete Eleanor e Darcy, vero? La ragazza di Louis e l’amica di Harry dei One Direction.»
«Sì» rispose prontamente El, «Vi serve qualcosa?»
«Possiamo fare una foto?»
Io e la mora ci scambiammo uno sguardo interrogativo, poi risposi «Certo!»
Ci stringemmo in una foto che scattò una di loro, poi prima di andarsene una mi porse una domanda per lei innocua ma che mi sconvolse quel periodo di estasi. «Darcy, ma è vero che Harry si frequenta di nuovo con Kendall Jenner? Ci sono delle foto, però nulla è certo.»
«Cosa?!» sollevai il tono della voce. “No, ditemi che è una cazzata, è impossibile! Non avrebbe fatto quello che ha fatto in aeroporto, o almeno me l’avrebbe detto!” «N-non saprei, è da qualche giorno che non ci sentiamo…» mentii riprendendo il controllo della mia voce.
«Peccato… Grazie comunque, ragazze.»
Rimasi immobile, lo sguardo vacuo sentendomi sprofondare.
«Day, è solo un rumors, non è la prima volta che gli attribuiscono una relazione che non c’è» cercò di rassicurami Eleanor mettendomi una mano sulla spalla.
«Me l’avrebbe detto…»
Presi il telefono dalla tasca e cercai informazioni al riguardo su internet trovando un’infinità di foto, avvistamenti e notizie varie. C’era anche un’immagine che presumeva d’immortalare i due baciarsi, e l’aprii. E con quella il mio castello di cristallo andò in frantumi…
«El, sono loro… q-quel giubbotto l’ha comprato con me…» Sentii gli occhi cominciare ad inumidirsi, le lacrime premevano per uscire.
«Tesoro.» Mi abbracciò stringendomi per entrambe visto che io rimasi ferma con lo braccia lungo i fianchi e lo sguardo perso.
Mi sentivo tradita anche se non aveva senso che mi sentissi così, d’altronde non stavamo insieme, tutta quell’illusione me l’ero fatta da sola.
«Vuoi tornare a casa?»
«Sì, ti prego…»
Tornammo in silenzio e, una volta in casa, andai al piano superiore sussurrandole un veloce «Vado di sopra, devo stendermi» senza che mi seguisse, aveva capito che volessi stare sola.
Entrai nella sua stanza buttandomi sul suo letto stringendo al petto quel cuscino spennacchiato sul quale c’era l’impronta del suo profumo fingendo che si trattasse davvero di lui.
Avrei tanto voluto piangere ma non ci riuscivo, il mio cervello era tempestato dall’immagine di quel bacio che continuava ad apparirmi davanti agli occhi e dalle parole di “Half a Heart” che, non so per quale ragione, fu l’unico suono che la mia mente riusciva a trattenere.
«I miss everything we do, I’m half a heart without you…»
 
Quando riaprii gli occhi mi sorpresi di essermi addormentata, evidentemente ero così scossa che nemmeno mi ero resa conto di essere sprofondata nel sonno. Mi sollevai lentamente guardandomi intorno una volta seduta con le gambe distese davanti a me e cominciando a riflettere su tutto quello che era successo in quei sette mesi soffermandomi poi con lo sguardo sul mio ventre tondo. Quel bambino non poteva crescere chiedendosi chi realmente fosse suo padre, non me lo sarei mai perdonata.
Fino a poco tempo prima m’immaginavo mio figlio tra le braccia di Harry, di vederli seduti a tavola insieme o fare la lotta nel salotto, non avevo messo in conto che la vita del mio “amico” non fosse intrecciata alla mia, che prima o poi avrebbe avuto una donna al suo fianco, dei figli magari, ma che io non sarei stata inclusa in tutto ciò.
«Avrai un padre, te lo prometto, piccolo» giurai stringendomi il ventre tra le mani.
Andai di sotto trovando Eleanor sul divano con una tazza di thè in mano.
«Ciao» dissi per avvertirla che mi ero decisa a scendere.
«Darcy!» Si voltò di scatto lasciando la tazza sul tavolino davanti a lei tirando giù i piedi dalla superficie del piano. «Come… stai?»
So che non era la domanda che voleva farmi, ma in quel momento forse fu l’unica cosa che le venne in mente.
«Bene.»
Andai in cucina riempiendo una tazza di latte e cacao prima di sedermi accanto a lei.
«Ti va di parlarne?» domandò timidamente spegnendo la tv.
«Non c’è niente da dire. Sono stata una stupida ad innamorarmi di lui e lo sono stata ancora di più a pensare che tra di noi ci sarebbe potuto essere qualcosa. Avrei dovuto evitare quel bacio all’aeroporto, è stato la cosa che mi ha illusa di più permettendo alla notizia di oggi di darmi il colpo di grazia.»
Non mi chiese nulla riguardo a quello che le avevo detto, aveva capito che era meglio evitare il discorso, ma nulla le impedì di abbracciarmi in silenzio, la cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
«Vedrai che troveremo una soluzione a tutto, ne sono certa! In alternativa ti garantisco che mi occuperò io stessa alla castrazione di Styles, così impara a giocare col cuore delle ragazze!»
Riuscì a strapparmi un sorriso, e mi ci voleva proprio.
«El, come avrei fatto senza di te in questi giorni? Sei un’amica, davvero.»
Passammo il resto della serata tra di noi a scherzare e mangiare un po’ di schifezze per tirarmi definitivamente su di morale fino a notte fonda, come due ragazzine ad un pigiama party.
Prima di addormentarmi mi ricordai della promessa fatta ad Alexander, quindi presi il telefono e mandai un messaggio al quale non avrei tollerato una risposta negativa.
 
-Jason, non m’interessano più le tue bugie o tutto quello che hai detto in giro di me. Sono passati mesi dal nostro ultimo incontro e le cose sono decisamente cambiate, e spero che anche tu l’abbia fatto mettendo la testa a posto. Dobbiamo parlare di cose serie e non accetto un no. Darcy-

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Capitolo 15
*** 14 - Over Again ***


Tirai per bene giù le maniche del cardigan guardando il mio riflesso. Mi sentii bella per la prima volta dopo mesi, con i vestiti comprati due giorni prima e il trucco ben fatto.
«Vai già via?» mi chiese Eleanor mettendosi seduta sul letto, i capelli scompigliati dopo la notte.
«Prima parto, prima arrivo.» Mi voltai a guardarla.
«Hai messo i vestiti nuovi» osservò inclinando la testa di lato, «Pensavo li volessi tenere per quando torneranno i ragazzi, per Harry.»
«E a che scopo? Tanto vale metterli per incontrare Jason.»
«Sicura che non vuoi venga con te? Dammi dieci minuti e sono pronta.»
«Vado da sola, è meglio così.»
«Okay… Per qualsiasi cosa chiamami» disse con un sorriso forzato mentre mi apprestavo ad abbracciarla prima di uscire dalla stanza.
Era strano il modo in cui avevamo legato da subito: lei si preoccupava per me in ogni istante, soprattutto in quei giorni in cui mi serviva davvero una spintarella per tenere duro. L’aveva capito quanto soffrissi per la storia di Kellan o come si chiama, ed era riuscita comunque a non farmi sentire sola. Le dovevo un favore immenso.
Parcheggiata nel garage mi attendeva la mia auto portatami da Gemma durante una visita qualche mese prima. Salii e partii immediatamente determinata ad affrontare qualunque cosa.
Lungo la strada, mi tornò alla mente il viaggio inverso, quello da Liverpool a Holmes Chapel, e tutto il periodo che avevo passato lì con i vecchi amici. Soprattutto, mi ricordai dell’ultima cosa dettami da Will prima di partire…
-Ti avevo fatto una promessa, ma non sono stata in grado di mantenerla. Avrei dovuto darti retta… - scrissi rapida sulla tastiera del telefono, e premetti “invio”.
Neanche cinque minuti dopo sentii suonare il cellulare.
«Darcy, che vuoi dire? Stai bene?»
Dovevo averlo allarmato più del previsto…
«Sì, sì, sto bene. Ho solo bisogno di sentirmi fare una ramanzina da te, mi mancano.»
Sospirò avendo collegato tutto. «Da quando?»
«Non è mai passata, Will, ma non mi va di parlarne ora, sto guidando. Devo parlare a Jason.»
«Perché?!»
«Sono passati mesi dall’ultima volta che l’ho visto e spero che ora abbia messo la testa a posto. Se lui non crede di essere il padre di nostro figlio non m’importa, ma voglio mettere in chiaro che comunque lui si assumerà le sue responsabilità. Non mi faccio mettere i piedi in testa di nuovo.»
«Tosta la ragazza! In alternativa lo ammazzo» fece in tono minaccioso.
«E io ti do una mano. Quand’è che ti rivedo?»
«Il prima possibile, devo vederti!»
«E che bello spettacolo… Mi manchi.»
«Anche tu.»
Dopo gli ultimi saluti, staccai la chiamata continuando il viaggio accompagnata dalle note dell’album “The Greatest Hits II” dei Queen, mi dava il ritmo giusto per tirare dritto fino a Liverpool che raggiunsi circa cinque sfiancanti ore più tardi.
Decisi di far prima tappa a casa per fare una sorpresa ai miei, erano quasi sei mesi che li sentivo solo per telefono o via Skype, mia madre era impaziente di vedermi!
«Sono a casa!» urlai aprendo la porta con il mio personale mazzo di chiavi annunciandomi nello stesso modo in cui facevo tornando a casa dalla Comprensive School.
Gli occhi straniti di mio padre mi colpirono immediatamente, non sapeva come comportarsi avendomi davvero lì davanti. «Darcy, sei…»
«Sì, papà, sono qui.»
Presi l’iniziativa andando ad abbracciarlo. Non pensavo di trovarlo a casa, in genere l’avvocato Derrick Gray era in ufficio all’ora di pranzo, ma fui felice di averlo lì.
«Ti vedo in forma.»
«Devo esserlo per entrambi.»
Dal suo accenno di sorriso, mi parve di capire che finalmente l’avesse accettato. Subito non era estasiato dalla notizia, non mi aveva rivolto parola per giorni.
Sentimmo sbattere la porta del seminterrato.
«Der, non trovo l’apri barattoli. Puoi…» Mia madre non finì la frase, vedermi la mandò in tilt facendole cedere il barattolo che teneva in mano spargendo sugo ovunque.
«Darcy…» disse in un sussurro coprendosi la bocca, impietrita, «Sei… sei bellissima, tesoro!»
Mi corse incontro stringendomi in un caldo abbraccio, le lacrime di gioia sgorganti dagli occhi celesti.
Vollero sapere tutto di me: cosa avessi fatto fino a quel giorno, se avessi trovato un lavoro, di Holmes Chapel, dei ragazzi, se avessi nuovi amici, … Ovviamente vollero sapere tutto anche di Alexander, così gli mostrai le foto delle ecografie scattate col cellulare, come anche quelle della cameretta.
Mia madre andò in soffitta e tornò poco dopo con due scatoloni pieni di oggetti che mi sarebbero tornati utili di quand’ero piccola io oltre che una valigia di miei vecchi vestitini.
Lei era forse più eccitata di me, non vedeva l’ora di vedere il visino del mio bambino, di sentire i suoi suoni, di diventare nonna.
Finito il breve spuntino sostitutivo al pranzo che mi ero persa, salutai i miei genitori facendogli promettere che sarebbero venuti a trovarmi subito dopo la nascita e mi recai al luogo dell’incontro prestabilito con Jason. Ero pronta.
Raggiunsi a piedi Seel Street. Il BrooklynMixer era su quella strada, ed ero certa che lui mi stesse già aspettando all’interno.
Infatti non mi sbagliavo, era già seduto all’interno con il cellulare tra le mani per ammazzare il tempo.
Ricordo ancora ora lo sguardo incredulo che mi lanciò quando mi vide entrare accompagnata dallo scampanellio della porta a vetri. Per un momento i suoi occhi ripresero la vitalità di sempre.
«Jason» salutai mantenendomi distaccata raggiunto il tavolo a cui sedeva.
«Darcy» ricambiò saltando le solite moine tra amici, perché non l’eravamo. «Sei…»
«Nella stessa condizione di quasi quattro mesi fa, direi. Come stai?»
«Bene. Di che hai bisogno di parlare tanto urgentemente?»
«Fatti due domande…» feci sarcastica indicandomi il ventre pieno con l’indice. “Cominciamo già bene… molto bene…”
«Pensavo che avessimo chiarito.»
«No, non abbiamo chiarito un cazzo, sei tu quello che ha tratto conclusioni affrettate. Pensi di non esserne il padre? Bene, questo non m’interessa, non ho paura a sottoporre questo bambino ad un test del DNA per il semplice gusto di sbatterti in faccia il risultato e riscattarmi da tutte le cose orribili che hai detto su di me.»
«Perché dovei farlo?» Fece roteare gli occhi, seccato dalla mia insistenza.
«Perché dovresti?! Perché preferisco che mio figlio sappia chi è quell’uomo che gli ha voltato le spalle presentandogli dei documenti scritti in modo che possa odiarti per una ragione concreta! Ti ho amato, Jason, ti ho amato davvero, non avrei mai creduto che potessi essere quel tipo di persona che scappa alla prima difficoltà.» Ero certa di averlo ferito nell’orgoglio, perché era lì che volevo colpire. «Ciò che voglio chiederti è se sei disposto a far come minimo parte della sua vita oppure dovrò inventarmi qualche storia assurda su di te.»
Abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare, indugiando. Riconobbi subito sul suo screen, quella vecchia foto di noi che avevo impostato io quando ancora stavamo insieme. Ma perché non l’aveva ancora cambiata? Se davvero ero stata una fidanzata pessima e fedifraga come andava dicendo, perché tenere una foto di me, di noi due insieme?
«Visto che non rispondi, credo di aver capito. Con questo, il test lo farai di tua volontà o senza, ci penseranno i miei legali a trascinarti in un ospedale, ma non ti azzardare minimamente ad avvicinarti a mio figlio
Mi alzai dalla sedia scostandola rumorosamente da sotto al tavolo intenta ad andarmene.
«Aspetta…» mi fermò quand’ero già diretta alla porta. «Aspetta, Darcy. Voglio farlo, esserci intendo.»
Sorrisi alla porta fiera di me per aver ottenuto quello che volevo.
«Ho parlato con Melanie, mi ha spiegato ogni cosa e riconosco il mio errore. Ero spaventato e ho reagito sulla difensiva. Mi dispiace
La sua ammissione di colpa fu la più grande vittoria della mia vita.
Presi un respiro profondo e mi voltai a guardarlo. «Lo vedrai una volta al mese finché sarà ancora troppo piccolo, un weekend al mese quando invece non sarà più dipendente da me. Per il resto lo decideremo nel corso degli anni, se è quello che vuoi.»
«Sì.»
«Grazie» dissi afferrandogli riconoscente la mano accennando un sorriso prima di recarmi nuovamente alla porta. «È un maschio, lo chiamerò Alexander.»
«È un bel nome, Alexander Dover.»
«Il cognome sarà Gray» affermai decisa.
Avevo valutato a lungo quell’alternativa, se avrebbe avuto il mio cognome oppure il suo una volta riconosciuto, ma mai come in quel momento mi ero resa conto di come fosse giusto che avesse il mio cognome. Ero la sua mamma, e così saremmo stati una cosa sola.
«È giusto così.»
Uscii felice di aver chiuso anche quel capitolo. Ora mio figlio aveva finalmente ottenuto la benedizione dell’uomo che l’aveva generato nonostante non l’avrebbe poi considerato un vero padre.
 
«El, sono tornata!» mi annunciai sbattendo la porta d’ingresso. Era in cucina, o meglio, così dedussi visto che la sola fonte di luce proveniva da lì.
«Ed è andato tutto beniss… Will?!»
«Ho fatto un salto per farti un saluto.» Mi sorrise alzandosi dal tavolo per venirmi ad abbracciare mentre Eleanor rideva per la mia espressine di stupore nel vederlo lì. «Sei splendida!»
«Non pensavo che saresti venuto, non dovevi…»
«Per telefono ti ho sentita un po’ sconvolta. Ho fatto un salto a Londra, e non pensavo di trovare in casa un’altra bella ragazza al posto tuo» alluse a Eleanor strizzandole l’occhio ottenendo un risolino in rimando.
«Che fai? Ci provi? Guarda che è fidanzata!» dissi dandogli una botta scherzosa sulla spalla.
«È bello farsi adulare ogni tanto» fece lei in tono malizioso.
«Eleanor Jane Calder!» la riproverai, e lei mi fece una linguaccia.
«Okay, io vado di sopra così vi lascio un po’ soli. Buonanotte, ragazzi» annunciò Eleanor salendo al piando superiore dopo aver dato un bacio sulla guancia ad entrambi. «Will, è stato un piacere.»
«Anche per me, bellezza.»
Appena uscì dalla stanza, Will si sedette su una delle sedie intorno al tavolo invitandomi a prendere posto su quella davanti alla sua.
«Avanti, spiegami cos’ha fatto Harry ‘sta volta.»
Vuotai il sacco, a lui non potevo nascondere nulla. Ero certa che mi avrebbe aiutata ad affrontare la situazione una volta per tutte.
«Non posso dirti che devi smettere di amarlo, perché so che è impossibile, ma valuta le circostanze e chiediti “quanto ho bisogno di lui adesso?”» se ne uscì alla fine del mio discorso. Ci eravamo spostati in salotto sedendoci sul divano, seduti uno di fronte all’altra.
«Ma io non ne ho bisogno, Will, io lo amo e… mi sento una completa idiota ad aver creduto che per lui fosse lo stesso!» Mi presi la testa tra le mani arrabbiata con me stessa per via dei miei sentimenti.
Mi appoggiò le mani sulle spalle e mi diede una lieve scrollatina «Day, guardami.» Mi costrinse ad alzare il capo, «Ehi, non incolparti, non si sceglie chi amare!» M’inchiodò con gli occhi chiari. «Tu sei arrabbiata, ed è giusto sia così. Vuoi davvero un mio consiglio? Smettila di pensarci, lascia che le cose si mettano a posto una volta che anche Harry sarà qui. Hai capito?»
Lui sapeva di non essere bravo con le parole, ma nonostante tutto riusciva ad esprimere molto più di quanto credesse.
«Certo che ho capito. Hai ragione, Will, devo parlarne con lui, devo affrontarlo.»
«Sì, ma appendi i guantoni ad un chiodo, boxer.» Rise.
Finsi di tirargli un gancio destro nello stomaco. «Primo round: Darcy vince!» esclamai buttandomi tra le sue braccia in un ennesimo lungo abbraccio.
 
«Non fare i capricci e allaccia la cintura, Darcy.»
«Ma non ci voglio venire all’aeroporto! Che senso ha?» obiettai allacciandomi la cintura come da richiesto.
«Ritornano i ragazzi, mi sembra un motivo validissimo» rimbeccò partendo a manetta. Ecco una cosa che in pochi sanno di Eleanor: quand’è al volante si sente Nicky Lauda. Non che la cosa mi turbi, sono abituata ai “rally” di mio padre per le strade, lui sì che ha l’acceleratore facile, ma vi posso assicurare che quella ragazza è un pericolo pubblico.
«Totale: per colpa tua dovrò per forza rivederlo non appena avrà messo piede in Inghilterra…»
«Meglio toglierselo subito il dente, e so che muori dalla voglia di…»
«Staccargli la testa? Sì, assolutamente.» Trovai il completamento secondo me perfetto.
«Abbracciarlo» mi corresse. «Perché non hai messo i vestiti nuovi? Ti stanno benissimo.»
«È tanto se mi sono fatta trascinare fuori casa da te, accontentati di leggins e felpa.» Incrociai, imbronciata, le braccia al petto.
Per fortuna, le gambe non avevano risentito tanto della gravidanza, i leggins mi stavano ancora bene ed erano tra i capi d’abbigliamento più comodi che avessi nell’armadio.
L’esterno dell’aeroporto era ghermito di fan, ma riuscimmo comunque a passare inosservate ed a entrare dentro pronte a correre incontro ai ragazzi, cosa che appunto accadde.
«Niall!» urlai felice raggiungendo rapida il biondo che lasciò cade la valigia a terra per abbracciarmi. «Oddio, non sai quando mi sia mancato!» dissi prendendogli il viso tra le mani e baciandogli ripetutamente una gota barbuta.
«Day, sembri mia madre!» riuscì a dire tra una risata e l’altra.
Passai ad abbracciare anche gli altri dopo che, ovviamente, avevano riabbracciato le rispettive fidanzate.
«Ma quanto diavolo pesi?!» domandò scherzoso Louis sollevandomi da terra.
«Scusi, signor Tomlinson, non sono stata io a chiederle di prendermi in braccio.» Strinsi la presa sul suo corpo prima di lasciarlo definitivamente andare.
«Manca qualcosa? Possiamo andare?» domandai e tutti annuirono, fatta eccezione per l’unico rimasto escluso dal gruppo che si schiarì la voce per attirare la nostra attenzione.
«Ehm, sicura di non aver dimenticato nulla?» Il riccio sorrise spalancando le braccia come a dire “okay, me l’hai fatta. Ora vieni qui”.
Lo guardai con un sopracciglio alzato e le labbra serrate. «No, non direi.»
Mi voltai sotto gli sguardi di tutti per andarmene, ma Harry mi tirò indietro per il polso. «Day, che c’è? N-non… capisco.»
«Che c’è da capire? Ti sei divertito in America?» risposi dura.
Il suo sguardo lasciò trapelare un misto di sorpresa e confusine, ma quando aprì bocca per parlare Liam lo precedette dicendo «Avanti, Styles, non è stupida. Lei sa.»
«Grazie, Payne.»
Nel caso non l’avesse ancora capito, ora era chiaro a tutti che fossi quanto meno arrabbia per la presunta relazione oltreoceano. Non disse più nulla, si morse il labbro inferiore in silenzio.
Ci riaccompagnarono a casa Eleanor e Louis, visto che all’andata noi ragazze eravamo insieme.
«El, è stato un piacere vivere con te, anche se per poco» la salutai fuori casa.
«Quando vuoi sai che posso buttare Louis fuori casa e rapirti per un anno o due» disse abbracciandomi ignorando le proteste del ragazzo.
«A proposito, Louis» mi rivolsi al moro, «io terrei sotto controllo questa dolce fanciulla, ama un po’ troppo flirtare» mi riferì a qualche giorno prima, alla visita inaspettata di Will.
«Non posso proprio lasciarti sola un attimo che mi rimpiazzi, eh stronzetta?» disse cingendole la vita con un braccio attirandola a sé.
«Mai» rispose parlandogli sulle labbra.
Dopo un ultimo saluto alla coppia, ci lasciarono soli.
“E ora a noi, Styles”
Mi avviai lungo la scala in silenzio, quasi come se lui non fosse lì.
«Darcy, parliamone» disse non appena ebbe lasciato il bagaglio nel salotto.
«E di cosa? Non c’è nulla da dire
Raggiunsi rapida la mia stanza da letto fingendo di cercare qualcosa in un cassetto dell’armadio.
«Sì invece, dobbiamo» insistette entrando anche lui. «Cosa sai?»
«Abbastanza da volerti spaccare qualcosa in faccia. Pensi che il portatile sia abbastanza doloroso?»
«Stai esagerando, e lo sai.»
«Ah, e sarei io quella che esagera?!» Sbattei pesantemente il cassetto voltandomi a guardarlo. «Non ricordo di essere stata io a giocare con i sentimenti di qualcun altro, o sbaglio?»
«Cosa sai?» ripropose la prima domanda avvicinandosi a me coi pugni serrati lungo i fianchi, segno che si stava innervosendo.
«Ti piacciono le modelle brune, eh? Mi raccomando, fatti beccare meglio la prossima volta che hai voglia di succhiare le labbra di qualcuna in giro, non si hanno abbastanza notizie su chi ti porti a letto» feci schietta dandogli due colpetti sulla guancia.
«Non ti ho giurato amore eterno in aeroporto» si difese, ferendomi non poco.
«Oh, certo che no, ma l’ho scoperto troppo tardi.»
«Mi lasci finire le frasi, cazzo?!» sbottò.
Feci il gesto di cucirmi le labbra e sollevai le mani in segno di resa.
«Non era un gesto d’amore, è vero, più che altro una cosa improvvisa, ma uscire con Kendall in quei giorni mi ha aiutato a capire che voglio provarci.» Mi strinse un braccio dietro la schiena attirandomi contro al suo petto costringendomi a sollevate il capo per continuare a guardarlo negli occhi. «Dobbiamo provarci.»
Detto ciò, si fiondò sulle mie labbra provando a farle schiudere con le sue, come all’aeroporto, ma con meno dolcezza.
«No, smettila!» gli ringhiai ancora a contatto con lui. «Che fai?!» Lo spintonai via contrariata.
«Non sto giocando, sono serio.»
«Oh, no di certo» feci del sarcasmo stringendo le braccia al petto, «Tu che fai quello che vuoi con i sentimenti degli altri non si è mai visto…»
«In questo momento mi sembra che sia tu quella che sta giocando con me.»
«Per quel che importa…» Ruotai lo sguardo al letto per evitare di guardarlo.
«Se davvero non t’importa baciami, avanti» m’invitò allargando le braccia, «Dimostrami che non te ne frega niente, fa’ come quella volta al locale.»
Lo guardai con fare di sfida, poi avanzai contro di lui prendendogli le guance e baciandolo con passione.
M’importava, eccome se m’importava! E non riuscii a fermarmi lasciando che mi spingesse fin sul materasso e finii per ritrovandomi stesa sotto di lui con le sue gambe ai lati delle mie facendo leva con le braccia puntate sul materasso per evitare di pesarmi sul ventre.
«No, Darcy, non t’importa, eh?» sussurrò a fior di labbra.
«Zitto» sussurrai languida tirandolo ancora più a me passandogli una mano sulla nuca intrecciando le dita tra i suoi ricci sempre più scompigliati.
Si sollevò facendo leva sulle braccia inchiodandomi con gli occhi vogliosi. «Dimmi che ci proveremo. Mentimi se credi che non funzionerà, ma proviamoci.»
«Harry, non credo che…»
«Non m’importa cosa pensi, per una volta scollega quel fottuto cervello!»
Pensai a tutti gli anni senza di lui, a come mi sentivo completa tra le sue braccia, quanto mi mancasse quand’era lontano anche solo per un paio d’ore e da quanto aspettassi quelle parole dette da lui. Pensai a quel contatto classificato quasi come proibito, solo una fantasia di una ragazza nei confronti di un amico. Ma era tutto vero, non potevo lasciarmelo sfuggire.
Mi sporsi in avanti afferrando il suo labbro inferiore tra le mie e lasciandolo lentamente andare. «Sì» fu tutto quello che riuscii a dire prima che si fiondasse di nuovo sorridente sulla mia bocca con affanno.
Gli sfilai la camicia di jeans e la T-shirt grigio fumo sottostante lasciandolo col petto coperto solo dall’inchiostro dei tatuaggi, e anche la mia felpa se ne andò ritrovandomi solo con il reggiseno, pelle contro pelle. Ribaltai le posizioni mettendomi sopra di lui che prese a succhiarmi un lembo di pelle nel raccordo tra la mia scapola e la spalla prima che mi liberassi delle sue labbra spostandomi più in basso cominciando a lasciare baci e piccoli morsi sui tatuaggi che ornavano il suo petto, e mi trovai a sorridere sentendogli emettere un gemito provocato dal piacere.
Quando strinsi la fibbia della cintura che gli teneva sui jeans scuri per levargli anche quell’indumento, mi prese la mano bloccandola.
«Non posso» riuscì a dire nonostante l’eccitazione che l’avrebbe spinto ad andare fino in fondo.
«Lasciati andare, so che lo vuoi» dissi languida risalendo il suo petto fino a raggiungere l’altezza del suo viso con l’intento di mordicchiandogli il lobo dell’orecchio sinistro.
«Non… ce la faccio, mi sembra di fare qualcosa di sbagliato, per te intendo.» Si costrinse ad allontanarsi da me spingendomi via da lui premendomi una mano nella valle creata tra i seni gonfi e facendomi cadere con un rimbalzo sul lato opposto del materasso.
«Perché? Ricordi cos’ha detto la ginecologa? Fa bene al bambino.» Tentai di convincerlo.
«Darcy, non rendermi le cose più difficili.»
Si mise seduto sul bordo del letto con la testa bassa e le mani strette al copriletto, lasciandomi ansimante sul materasso, fredda per via del suo calore strappatomi dalla sua forza di volontà.
«Scusa. Sai, l’astinenza si fa sentire…» Mi sentii arrossire. Era imbarazzante il solo ammettere quanto mi mancasse una dose di sesso e che mi sentissi attratta da lui.
«Non avrei dovuto spingermi a tanto.» Si voltò a guardarmi con un mezzo sorriso, poi si stese accanto a me che mi aggrappai a lui allacciando le braccia al suo torace.
«Quindi ora che si fa?»
«Sto con te e tu stai con me, vediamo che succede.» Mi sorrise prendendo a giocare con una ciocca dei miei capelli sudaticci.
«È dall’età di sedici anni che voglio sentirtelo dire.» Ammisi leggermente imbarazzata.
«È all’età di sedici anni che avrei dovuto dirtelo.» Il suo sguardo scuro per l’eccitazione in corpo si addolcì a quelle confidenze.
Si chinò a baciarmi ma, mettendosi su un fianco, lo vidi assumere un’espressine corrucciata, sofferente direi, e poi si alzò dal materasso.
«Dove vai?» domandai aggrottando la fronte. Volevo che stesse ancora un po’ con me, scambiarci un’altra dose di coccole e confessioni.
Ci rifletté una manciata di secondi prima di aprir bocca e parlare per espormi quale fosse il suo reale problema, forse alla ricerca delle parole giuste da dire in quel momento.
«Diciamo che tutto questo… movimento ha prodotto qualcosa di non molto piacevole visto il contesto, e ora dovrei, come dire… li-liberarmi.» Abbassò lo sguardo verso il basso per indicare a cosa si riferisse.
Emulando il suo gesto, mi concentrai sulla zona che aveva voluto indicarmi notando che il cavallo dei suoi pantaloni fosse più tirato di quanto mi ricordassi.
Scoppiai a ridere come una pazza mentre lui invece, imbarazzato, cominciò ad arrossire fin sulla punta dei capelli.
«Wow, non credevo di essere ancora in grado di fare questo effetto.»
«Non è divertente, Darcy, e in questo momento la cosa si sta facendo anche un po’ scomoda. Ti dispiace se continuiamo il discorso sulle cose che sei ancora in grado di fare e quelle che non puoi più tardi?»
«Va bene, va bene, non ci scaldiamo. Vuoi una mano?» dissi maliziosa.
«Ehm… no. Ne ho due, faccio da me. Dieci minuti e torno.»
Sparì in direzione del bagno lasciandomi stesa sul materasso a ridere all’impazzata.

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Capitolo 16
*** 15 - Ink ***


Guardai Harry sistemarsi il colletto del cappotto mentre, oziosa, stavo seduta sul divano con le gambe conserte davanti a me, sempre più stanca ogni giorno che passava.
«Darcy, sicura di non voler venire?» domandò per l’ennesima volta venendo verso di me e inginocchiandosi ai piedi del divano. «C’è il management che può tenerti compagnia.»
«Sono veramente stanca, scusa. Perché insisti tanto?» Sbuffai.
«E se succedesse proprio mentre non ci sono?»
“Ed eccolo che ricomincia…” «Manca una settimana, Harry, perché dovrebbe succedere proprio oggi? Certe volte mi metti un’ansia addosso…» Roteai gli occhi esasperata.
«Sono io quello in ansia!» Sottolineo bene il soggetto della frase. «Sarei più tranquillo non sapendoti a casa completamente sola.»
«Ehi, andrà tutto bene» cercai di rassicurarlo accarezzandogli una gota appena sbarbata. «Quando tornerai a casa mi ritroverai esattamente dove sono ora, su questo divano.»
Annuì per autoconvincersi a lasciarmi sola per l’intero pomeriggio e si alzò in piedi lasciandomi un dolce bacio sulle labbra. Si soffermò poi a guardarmi appoggiando la fronte sulla mia, occhi negli occhi. «Ci vediamo dopo» sussurrò prima di portarmi una mano sul ventre, «e tu non fare scherzi» si riferì ad Alexander.
Uscì di malavoglia di casa strappandomi un sorriso.
Non mentivo dicendo di essere stanca, era dalla mattina che mi sentivo a terra, e c’era una specie di elettricità tutt’intorno a me, una sorta di quiete prima della tempesta. Tutto mi sembrava strano, io stessa mi sentivo strana, ma lui non si sarebbe mosso di casa se gli avessi parlato di quella sciocca sensazione, e se lo avesse fatto il suo comportamento sarebbe stato inaccettabile: la band ha dei doveri, e uno di questi è cercare di partecipare a trasmissioni televisive o radiofoniche al completo. Non gli era concesso assentarsi per me.
Le due ore successive le passai avvolta in una calda coperta attenta a seguire l’intervista in diretta sul canale della BBC che cominciò due ore più tardi ridendo di gusto alle loro battutine e prendendoli in giro per tutti quei gesti quotidiani che in TV, un po’ perché sottopressione e un po’ per mettersi a loro agio, ripetevano amplificati.
Misfit miagolò dalla cucina, e il fatto che il suono provenisse da quella stanza scaturì un movimento dentro di me, l’ennesimo quella mattina.
«Ah, ecco perché ti agiti tanto! Hai fame!» parlai al bimbo alzandomi dalla mia calda nicchia.
Presi un tubo di Pringles da uno dei mobiletti della cucina e mi appoggiai con la schiena al bancone dietro di me per continuare a guardare la tv.
Non credo che ora renderò bene l’idea nel raccontare questo, è una cosa complicata da spiegare a parole, ma ci provo: successe tutto talmente in fretta che non me ne resi nemmeno conto, e quando abbassai lo sguardo sul pavimento la pozza lucida che vidi formarsi sotto ai miei piedi mi sembrò frutto della mia immaginazione.
Lasciai cadere il tubo delle patatine a terra, il cuore perse un battito.
«Oh cacchio» fu tutto quello che riuscii a dire troppo sconvolta e in preda ad una specie di attacco di panico per aggiungere altro. «E adesso?»
Harry era in pieno programma, i miei erano decisamente fuori mano, Eleanor era tornata a Manchester, non avevo veri a propri amici lì e, beh, non me la sentivo di guidare in quello stato.
Cosa potevo fare? Delle contrazioni fino a quel punto nemmeno l’ombra, ma potevano cominciare in qualsiasi momento.
«Fanculo la trasmissione, io chiamo Harry!» esordii prendendo il cellulare.
Lo vedevo sullo schermo della tv, l’aria preoccupata per le mie continue chiamate alle quali non poteva rispondere. Cominciò a tamburellare il pavimento col piede, non riusciva a stare fermo e se avesse continuato a morsicchiarsi ancora un po’ quel labbro inferiore se lo sarebbe staccato.
Non mi restava che aspettare tranquilla che fosse lui a chiamare me.
 
Harry’s POV
Ricordo ogni cosa di quel giorno di fine febbraio, ogni microscopico dettaglio ce l’ho tatuato nella mente oltre che sul braccio sinistro.
Già quella mattina non ero tanto sicuro di lasciare Darcy a casa da sola, ma poi stare con i ragazzi mi diede modo di stendere i nervi e rilassarmi.
Tutto procedeva al meglio finché il telefono non cominciò a vibrarmi senza sosta nella tasca dei jeans. D’estinto lo estrassi per leggere chi mi cercasse tanto insistentemente, e mi sentii sprofondare quando lessi il suo nome.
Corsi fuori dallo studio non appena annunciarono la pausa ignorando lo sguardo preoccupato di Niall fino a quel momento seduto accanto a me.
«Darcy! È successo qualcosa? Perché mi hai chiamato?» dissi tutto d’un fiato quando rispose.
«Harry, ti prego calmati, se no fai agitare anche me e ora non è proprio il momento.»
«I-il momento?» Ingoiai un groppo in gola. Quel inizio non prometteva bene. «È successo qualcosa?»
«Mi si sono rotte le acque.»
«….»
Non sapevo cosa dire, rimasi immobile appoggiato ad una parete. “E adesso?!”
«Harry? Ci… sei?»
«Sì, ehm… sono qui. Vengo a prenderti» risposi d’impulso.
«Sto bene, ancora niente contrazioni, posso chiamare un’ambulanza ed aspettare ancora un po’. Se cambiano le cose, ti chiamo e vieni a prendermi.»
«No. Vengo ora.»
Staccai la chiamata per evitare i suoi tentativi di fermarmi e tornai in studio nel momento in cui suonò la campanella che indicava la ripresa della trasmissione.
«Amico, tutto bene?» domandò Liam vedendomi arrivare rigido.
Non risposi, andai diretto da Claire, la conduttrice.
«Oh, Harry. Vuoi dire qualcosa?» disse ridendo pensando che scherzassi.
«Io… devo andare, scusate.»
Ricevetti una serie di schiamazzi contrariati dal pubblico, e nemmeno Mark vicino all’uscita mi sembrava molto contento del mio annuncio.
«Cos’è successo? Non ti sto simpatica?» chiese ancora la mora fingendo un broncio.
«Sono serio, devo andare. Sto per…» “E come lo spiego ora?!”
«Stai per…» mi fece eco lei per spingermi a finire la frase.
«Sto per diventare padre» sputai fuori strizzando gli occhi.
Mi resi conto che fosse vero nel momento in cui lo dissi, fino a quel momento non lo avevo ancora realizzato del tutto, mi sembrava una cosa lontanissima.
«Cosa?!» Niall scattò in piedi guardandomi con la bocca aperta.
«Il bambino sta arrivando, sto per diventare padre!» Esplosi a sorridere, quasi mi commossi.
«E allora va’, idiota!» mi esortò Louis facendomi notare che stavo fermo come un deficiente.
Cominciai a correre accompagnato dagli applausi del pubblico.
Ero pronto?
 
Darcy’s POV
«Sono serio, devo andare. Sto per…»
«Stai per…»
«Sto per diventare padre!»
«Oddio, l’ha detto!» Mi coprii la bocca sentendo il suo “discorso” alla tv scoppiando a ridere istericamente. Quando mi ricomposi, mi rialzai dal divano e ricontrollai che nella valigia preparata tempo prima con tutte le cose per l’ospedale non mancasse nulla. Harry era stato efficientissimo, era perfetta!
Passò circa mezz’ora fatta di silenzio, preoccupazione e tanta attesa prima che sentissi il suono di un’auto arrivare sgommando in strada, una portiera sbattere e Harry fece precipitoso il suo ingresso in casa. Non mi chiese come stessi, non disse nemmeno “ciao” a dire la verità, si limitò a prendermi in braccio e mettermi seduta sul sedile del passeggero, poi tornò a prendere la valigia e partì a razzo in direzione dell’ospedale. Non l’ho mai visto tanto in ansia come in quel momento.
«Ciao, Harry. Ciao, Darcy. Stai bene? Sì, sto in gran forma, grazie. E tu?» improvvisai una conversazione. «Non si usa più salutare?»
Non l’avessi mai detto… Cominciò a bombardarmi di domande senza darmi nemmeno il tempo di rispondere ad una; parlava a raffica sputacchiando più del solito.
«Li stai facendo gli esercizi di respirazione che ti hanno insegnato al corso? Inspira col naso, ed espira con la bocca aperta» fu l’ultima cosa che disse prima di mettersi a fare delle inutili respirazioni che servivano più a lui che a me.
«Harry, santo cielo, vuoi calmarti?» sbottai esasperata.
«Come faccio a calmarmi?!»
«Smettila di urlare!»
«Non sto urlando!»
«Sì invece. Mi stai facendo agitare!» Sovrastai la sua voce e facendolo ammutolire. «Sto bene, davvero. Se ti ricordi cosa ci hanno detto a quello stupido corso, finché non arrivano le contrazioni abbiamo tempo.»
«Scusami, sono preoccupato.»
«Andrà tutto bene» dissi sporgendomi verso di lui appoggiandogli una mano sul ginocchio, e mi sorrise più che altro per darmi un contentino.
In ospedale mi fecero sedere su una sedia a rotelle dove mi scortarono, come nei film, in una stanzetta nella quale, nel letto accanto al mio, c’era una ragazza dai tratti orientali con un giovane ragazzo della sua stessa etnia con un paio di occhialoni rotondi sul naso e i capelli tirati indietro. Ci sorrise vedendoci entrare mentre stringeva la mano alla compagna nettamente sofferente.
Il resto del pomeriggio lo passai tristemente a letto con la tipica camicia che danno negli ospedali, un indumento terribilmente scomodo che non faceva altro che appiccicarmisi alla pelle. Approfittai di un momento in cui Harry era sceso a firmare scartoffie (e qualche autografo, suppongo) per cominciare a vagare senza meta per il reparto invaso da bambini e dagli urletti sommessi di qualche donna prossima a diventare madre. Decisi di uscire dalla stanza quando la ragazza accanto a me cominciò a contorcersi per il dolore. Era troppo da sopportare, non riuscivo a credere che sarei stata nella stessa condizione da un momento all’altro.
Raggiunsi silenziosa la nursery soffermandomi sui visi dei bambini protetti dalle piccole vaschette in plastica sotto lo sguardo delle famiglie riunite per quel lieto evento. Inizialmente m’ingelosì, ma poi mi scappò un risolino: mio figlio avrebbe avuto una madre, un padre che avrebbe visto almeno un weekend al mese, tanti zii, quattro nonni come tutti gli altri e un ragazzo sicuramente più infantile di lui che se ne sarebbe preso cura come fosse figlio suo. Cosa potevo volere di più?
Sentii una fitta dentro di me, una diversa, un dolore nuovo.
“Iniziamo a ballare, piccolo.”
«Day, eccoti!» mi sentii chiamare da una voce che riconobbi essere quella di Harry.
Mi raggiunse fermandosi anche lui alla vetrata, poi mi strinse in un abbraccio mentre all’orecchio mi sussurrò «Che tu ci creda o no, non sono mai stato così eccitato in vita mia.»
«Calcolando le ragazze bellissime che frequenti, mi è difficile da credere…»
Mi diede una spinta scherzosa, ma poi entrambi tornammo seri. «Non hai paura di quello che succederà?»
«Non se siamo insieme. Andrà tutto bene, lo prometto.» Mi baciò la fronte, un gesto protettivo e amorevole al tempo stesso.
Sentii un’altra contrazione, più forte, e lui se ne accorse. «Tutto okay?»
«Sono più frequenti adesso, e più dolorose.»
«Andiamo in stanza, è meglio» disse stringendomi un braccio intorno alla vita ed accompagnandomi in silenzio.
 
«Uccidimi! Ti prego, fallo per me: uccidimi!» urlai contorcendomi sul materasso in seguito all’ennesima dolorosissima contrazione.
«Darcy, sai che non posso commettere un omicidio, inciderebbe troppo sulla mia carriera» disse ridendo Harry. Ormai scherzare sperando di tirami su era il suo ultimo asso nella manica.
Mossa sbagliata, infatti scattai in avanti prendendolo per il colletto della camicia tirandolo rabbiosa a me.
«Ti sembra che stia ridendo, eh?! Ma che cazzo ne sai tu come sto! Soffro come un cane perché… per colpa tua! Tu me l’ha fatto tenere, bastardo!» urlai tirandogli pure uno schiaffo in pieno volto al quale non reagì perché troppo sconvolto.
«Avanti, signorina Gray, so che è doloroso, ma si sopravvive. Ora vediamo un po’ la dilatazione» intervenne l’infermiera (per fortuna di Harry, rischiò di essere squartato quella volta). «Sette centimetri. Dai che manca poco, stringa i denti.»
«Cosa?! Tiratelo fuori, vi prego, non ce la faccio più!»
A Harry squillò il telefono ed uscì fuori seguito da un mio «Avevi promesso di non lasciarmi mai, stronzo!»
«La prego, faccia qualcosa, sto malissimo» implorai l’infermiera prendendole il polso con gli occhi pieni di lacrime.
«Vuole fare l’epidurale? La somministrazione più essere dolorosa, ma dà sollievo.»
«Qualsiasi cosa, basta che questa tortura finisca.»
La donna sparì per poi tornare poco dopo con tutto l’occorrente e un documento in mano. «Sei maggiorenne, vero? Se non mi serve il consenso di un genitore.»
«Sono nata il 14 Maggio del 1994, sono più che maggiorenne» dissi mettendomi seduta e firmando il documento, poi mi fece stendere su un fianco e praticò la dolorosa iniezione. Subito non cambiò nulla, ma dopo… mi sentivo rinata!
«È successo qualcosa?» chiese Harry allarmato all’infermiera non sentendomi più urlare.
«L’epidurale. Così starà più tranquillo, signor Styles.» Gli sorrise lasciandoci soli.
«Piccola, come ti senti?» Si rimise seduto accanto a me.
«Quella droga è fenomenale. Sai, dovresti fartene fare un po’ anche tu, sei teso. Chi era?» allusi alla chiamata. Devo ammette che mi sentivo un po’ fatta, ma almeno il dolore era sparito.
«I ragazzi. Volevano venire a trovarti, ma gli ho detto che al momento uno spirito parecchio incazzato aveva preso il posto della mia ragazza e stavamo cercando un buon esorcista.»
«Quando sei scemo» dissi dandogli un pugnetto sul braccio.
«Ora non senti più nulla?»
«Ho le gambe totalmente andate, guarda!» Sollevai la sinistra con la mano e la lasciai cadere pesantemente sul materasso. «Morta!» Scoppiai a ridere.
«Ti rendi conto che da domani in casa nostra saremo in tre? Ci sarà una nuova cosa urlante in più, più rumore e sicuramente non staremo mai fermi. È…»
«Spaventoso? Sì. E tutti quei pianti, io... non so se sono pronta.»
«Guarda che la cosa urlante di cui parlavo sei tu, anche se finora hai già dato il meglio te.»
«Non immagini quanto potesse essere doloroso! Allora, i ragazzi vengono?» chiesi speranzosa.
«Quando sarà nato, hanno paura che tu possa aggredirli.»
«Chissà cosa gli hai detto…» Feci roteare gli occhi.
«Gli è bastato sentirti urlare mentre rispondevo. Ah, visto che sono tanto stronzo, poi sono tornato indietro.»
Passammo il resto della sera così finché verso mezzanotte l’infermiera mi venne a svegliare per un ennesimo controllo della dilatazione.
«Sono 9.5 centimetri. Direi che ci siamo» disse con un sorriso.
«C-cosa?! Non sono pronta spiritualmente!» Sobbalzai sul letto svegliando Harry.
«Non essere sciocca! Andiamo.»
Spinse il mio letto dotato di rotelle fino alla sala parto senza ch’io lasciassi mai andare la mano ad Harry. Un’ondata di panico m’invase, non sapevo se fossi più spaventata per il parto o per tutto quello che sarebbe successo dopo.
Lo fecero cambiare perché io non avevo intenzione di entrare da sola, e continuai a stringergli la mano ad ognuna delle insensibili spinte. Sì, insensibili, perché l’epidurale mi rendeva tutto insensibile, una sensazione davvero strana.
Continuavo a spingere come una dannata, ma il bambino non ne voleva sapere di uscire, stavo cominciando a preoccuparmi.
«Darcy, più forte o non uscirà mai!» mi rimproverò l’ostetrica.
«Ma è quello che sto facendo!»
«Non abbastanza. Stringi i denti, tesoro, ormai ci siamo.»
«Day, ehi» disse Harry scuotendomi la mano richiamando la mia attenzione su di lui, «ci sei quasi, spingi forte.»
«Ci sto provando, più di così non ce la faccio, io…»
«Sono qui con te.»
Indugiai sul suo viso. Quello sguardo stanco era così sincero e pacato, m’infuse la forza che al momento mi mancava. Strinsi gli occhi e spinsi con tutta me stessa.
«Perfetto! Un’altra così e ci siamo!» disse l’ostetrica. E così feci.
Isolai ogni suono, nella mia testa si fece largo solo un pianto acuto.
«Ce l’hai fatta, Day! Ce l’hai fatta!» esclamò Harry stampandomi un bacio mentre, con sguardo vigile, osservavo un’infermiera lavare mio figlio.
«Ed eccolo qui. È bellissimo, Darcy.»
La dottoressa mi lasciò il bambino tra le braccia, quel mucchietto dalla pelle raggrinzita e arrossata mi guardò dal basso verso l’alto con gli occhi che riconobbi essere identici a quelli di Jason. Certo, il colore per ora era ancora incerto, ma il taglio era il suo.
«Benvenuto al mondo, piccolo Lex.» Baciai delicatamente la soffice testolina colma di radi capelli chiari quasi avendo paura di romperlo.
«Avete già il nome?»
«Alexander» pronunciai fiera senza staccare gli occhi da lui.
«Cognome?»
«Styles» disse prontamente Harry.
«Grey» lo corressi, «avrà il mio.»
Mi sorrise fiero di quella mia decisione. Avrebbe voluto che venisse riconosciuto come figlio suo, ma capì le regioni della mia scelta.
Presi di nuovo parola «Il nome completo è Alexander Harry Gray.»
 
Alexander, Harry Gray
02-28; 00:14 (Londra)
3.2 Kg; 49cm
 
«Ragazzi, per favore, tenetelo bene» mi rassicurai mentre Alexander passava tra le braccia di tutti i presenti. Ero veramente preoccupata, sentivo come se la vita del mio cucciolo fosse ancora troppo fragile lontana dalla mia protezione costante, e mi stupii di scoprire che, invece, a lui non turbava affatto: passava di persona in persona senza emettere un fiato.
«Non preoccuparti, Day, sono esperto di neonati» disse Louis prendendolo dalle mani di Niall con la massima cura. «Sai, ho un sacco di fratellini, e un figlio.»
«Okay, paparino, sei bravo con i bambini, ma ora ridiamo questo alla sua mamma che mi sembra piuttosto in apprensione» intervenne Eleanor lasciando un tenero bacio sulle labbra del ragazzo mentre gli sfilava Alexander dalle braccia per ridarlo a me. Tirai un sospiro di sollievo.
Zayn si sedette sulla sedia accanto al mio letto. «È bellissimo, Darcy. Ti somiglia molto.»
«Tu dici? Al momento mi sembra solamente… una patata americana ammaccata.»
«I tratti del viso sono i tuoi.» Sorrise mentre Lex gli stringeva l’indice nella manina paffuta.
«Gli occhi no, ed era quello che più mi premeva ereditasse da me.»
«Non puoi pretendere che sia la tua esatta fotocopia. Magari crescendo non ti faranno più lo stesso effetto.»
Incredibile come Zayn avesse sempre le parole giuste da dire al momento giusto, ed ero molto felice che fosse venuto anche lui.
Sentimmo vociare lungo il corridoio, la voce dell’infermiere del reparto e quella di una ragazza che non misi molto a riconoscere.
«Signorina, non può entrare al momento, è una stanza privata.»
«Quante altre volte dovrò dirtelo che conosco la madre? È una mia amica!»
Non appena mise piede nella stanza, fui certa che fosse lei. «Melanie!»
«Darcy!» esclamò correndomi incontro ignorando il fatto che non fossimo sole.
I suoi capelli erano ritornati mori lasciandosi il biondo alle spalle, si era presentata molto semplice con un bel maglioncino e un paio di jeans, gli occhi ambrati incorniciati da un sottile strato di matita dai pigmenti smeraldini, e notai immediatamente che fosse dimagrita.
«Quanto mi sei mancata!»
«Anche tu, amica.» La stinsi lasciando che mi scendesse una piccola lacrima.
«E ora fammi vedere un po’ questo topolino» disse scostando il lenzuolino che ricopriva Alexander per vederlo bene nonostante dormisse. «Darcy, cazzo! È splendido!»
«Sì, mi sono impegnata.»
«Beh, mamma bellissima, papà bono, non poteva che venirne fuori una meraviglia.»
Quando Liam alle sue spalle si schiarì la voce per attirare l’attenzione, vidi Mel sbiancare nel ritrovarsi dall’altro capo del letto Zayn che la guardava stranito e intorno a lei il resto della band sbalordita dall’esuberanza di lei.
«Bene, Mel, ora che ti sei tranquillizzata permettimi di farti notare che non siamo sole.» Risi.
«Ragazzi… scusate, ho già iniziato col piede sbagliato» cercò di rimediare alla figuraccia.
«Figurati, è stato bellissimo vederti entrare come una pazza» cercò di rassicurarla Niall scoppiando a ridere, e questo l’aiutò a distendere i nervi e lasciarsi andare non pensando al fatto che nella stessa stanza ci fosse quella band per la quale aveva speso intere ricariche telefoniche nel periodo di XFactor.
 
Passammo tutti insieme i giorni successivi, con me sempre più fiduciosa nel lasciare Alexander tra le braccia di tutti loro, e Harry a svolgere tutte quelle funzioni che più si addicono ad un padre. In quei brevi due giorni annunciai anche a Will e Eleanor che loro sarebbero stati padrino e madrina di mio figlio in quanto fossero forse le due persone le quali, ero certa, si sarebbero prese cura di lui.

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Capitolo 17
*** 16 – Learn: Don’t Eavesdrop ***


Entrai nella camera di Harry, o meglio, quella che da qualche mese era diventata camera nostra, e lo trovai addormentato sul fianco sinistro nel bel mezzo del letto con il braccio steso in avanti sotto al quale stava Alexander, assopito dopo la mangiata di poco prima. Quel quadretto mi fece emozionare: i miei due uomini insieme, addormentati fianco a fianco.
Mi avvicinai a loro prendendo il telefono dalla tasca della mia salopette nera per scattare una fotografia da poter condividere anche con i fan di Harry certa che avrebbero gradito: adoravano vedere delle foto di lui intento a spingere la carrozzina o tenere Alexander in braccio durante le uscite pomeridiane.
“Who’s the baby, dude?” scrissi su Instagram come didascalia all’immagine che ricevette da subito migliaia di commenti e like, poi mi chinai sul letto baciando il capo ad entrambi prima di concedermi qualche momento per me stessa approfittando di quel attimo di tranquillità.
Era una bella giornata soleggiata di fine maggio e io ero decisamente ancora troppo pallida, avevo bisogno di un po’ di tintarella! Prima però volli approfittare di quella pace per farmi una lunga e rilassante doccia, all’abbronzatura ci avrei pensato più tardi (un po’ di sole avrebbe fatto bene anche ad Alexander).
Mentre attendevo che l’acqua si scaldasse rimasi a guardare il riflesso del mio corpo nudo nello specchio: il ventre si era ritirato in fretta merito soprattutto dei miei esercizi mattutini per rimettermi in forma, e gli unici segni rimasti evidenti erano i miei fianchi addolciti dal peso sopportato e alcune smagliature.
Mi accarezzai il ventre sorridendo al ricordo ancora nitido nella mia mente dei movimenti di Alexander che si agitava dentro di me. Mi sentivo un mostro ad aver anche solo pensato di porre fine alla sua esistenza, e solamente il pensiero di saperlo nelle mani di sconosciuti mi faceva rabbrividire. Mi era impossibile pensare ad una vita senza i suoi occhi freddi fissi su di me, quel sorriso stendato farsi largo sul visetto paffuto quando incontrava una faccia familiare o senza i gesti troppo apprensivi di Harry sempre pronto a criticare anche me come fosse l’unico in grado di tenere in mano un bambino.
Sotto l’acqua scosciante mi sentii immediatamente rinascere.
Ero così rilassata e persa nei miei pensieri che neanche mi resi conto dell’aprirsi della porta alle mie spalle. Solo voltandomi distrattamente verso la parete di vetro opaco dell’abitacolo riconobbi la sagoma poco nitida di Harry. Subito non mi chiesi che ci facesse lì, era la normalità entrare in bagno per fare le proprie cose mentre c’era già l’altro, ma sentii il mio cuore fare un tuffo quando capii che si stava sfilando la maglietta.
«Harry, ma…» tentai di dire quando anche lui entrò nella doccia guardandomi fissa negli occhi con uno strano bagliore.  Mantenni il contatto visivo indietreggiando di qualche passo finché con la schiena non mi trovai contro la parete di gelide mattonelle. Ero ingabbiata tra il suo corpo e il muro.
«Shh» mi zittì infilandomi una mano sotto i capelli fradici per prendermi una gota e sollevarmi il viso verso al suo sigillando la mia obiezione in un incontro tra le nostre labbra.
Sentii dentro di me accendersi come un fuoco che rese la doccia ancora più bollente, il desiderio farsi intenso per tutti quei mesi d’attesa e la paura di un dolore nuovo e sconosciuto, ma se si tratta d’amore, quello che provavo per lui da anni ormai, è l’amore ad attenuare ogni pena.
Intrecciai le dita tra i suoi capelli non più ricci a causa del peso dell’acqua e mi strinsi a lui il più possibile.
«Scusami, Day, scusami…» mi sussurrò tra un bacio e l’altro lasciato lungo tutto il profilo del mio collo per poi fermarsi tra i miei seni turgidi, e gemetti nel momento in cui li sfiorò con le labbra. Feci pressione con la mano con la quale gli cingevo entrambe le spalle per fargli capire che lo desideravo, che volevo ancora assaporare le sue labbra. Tornò a baciarmi ansimando leggermente chiudendomi con la schiena contro l’angolo della doccia. L’acqua scorreva su di noi incessante ma era come se non ci fosse, nella mia mente c’era solo il nostro respiro affannoso e spezzato.
Era il momento, non potevo più aspettare: mi strinsi ancora di più a lui e gli cinsi la vita con la gamba sinistra in modo che i nostri bacini aderissero alla perfezione e lui potesse finalmente scivolare in me con un gesto lento.
Annaspai e sputai una boccata d’acqua che gli scivolò oltre la spalla irrigidendomi all’istante a quella sensazione di completezza che provai e riprovai ad ogni spinta sempre più intensa e decisa.
«S-stai bene?» mi domandò ansimante poco dopo interrompendo il ritmo e prendendomi il viso tra le mani forse preoccupato dal fatto che non emettessi un fiato.
In risposta, lo baciai con foga sussurrandogli un eccitato «Non fermarti» prendendogli il labbro inferiore tra i denti.
Si fermò in definitiva uscendo da me poco prima che succedesse il peggio e poi finimmo, sfiniti, accasciati a terra sul piatto doccia, lui con la schiena dove prima ero appoggiata con un braccio intorno alle mie scapole mentre io gli stavo con la schiena contro il petto, le nostre gambe piegate in avanti, entrambi affannati e incredibilmente appagati da quell’impeto di passione.
«Scusami, Day, non ho resistito.»
«Non devi scusarti, in un certo senso sei stato più paziente di quello che credessi, e anche molto previdente.»
«Abbiamo già un bambino, non volevo raddoppiare nel giro di tre mesi» disse ridendo ottenendo una mia schienata contro il petto. Proprio in quel momento sentimmo un pianto provenire dallo stesso bagno.
“Ma che cavolo?!” pensai confusa, ma Harry spiegò tutto alzandosi di scatto.
«Ho portato qui il baby monitor nel caso servisse.»
Uscì rapido dalla doccia lasciando una serie di piccole pozze d’acqua a terra ad ogni passo ed ebbe giusto il tempo di prendere un asciugamano da legarsi intorno alla vita prima di correre verso Alexander lasciato incustodito.
Ridacchiando, mi misi in piedi sentendo un piacevole brivido farsi largo lungo il mio corpo e, istintivamente, mi portati una mano sul petto sentendo il cuore battere all’impazzata costringendomi a fermarmi a prendere un respiro prima di scoppiare a ridere per la troppa gioia, poi chiusi il getto dell’acqua ed uscii sfregandomi ripetutamente il corpo con l’asciugamano precedentemente lasciato sul lavandino e, infine, lo strinsi intorno ai capelli e m’infilai l’intimo e l’enorme camicia a stampa che Harry aveva abbandonato sul pavimento.
«L’ho messo nel suo lettino e si è ipnotizzato a guard… Ti sei già cambiata?!» domandò Harry con una nota di delusione nella voce ritornando nel bagno.
«Pensavi che sarei rimasta lì dentro a fare la muffa?» indicai l’abitacolo con un pollice. «Sono sufficientemente pulita, direi.» Mi voltai di nuovo allo specchio sfregandomi i capelli nell’asciugamano blu che poi misi ne lavandino e cominciai a pettinarmi.
Harry mi arrivò dietro appoggiandomi le mani sul basso ventre avvicinando il mio bacino al suo e si mise con il mento nell’incavo tra i miei collo e spalla.
«Te l’ho mai detto che trovo incredibilmente sexy il fatto che la mia ragazza indossi i miei vestiti dopo un po’ di sano sesso?»
Ruotai in modo da trovarci faccia a faccia. «Non abituartici troppo, Styles» finsi un tono severo accarezzandogli il viso e avvicinandolo al mio baciandolo dolcemente. Anche in quella situazione la differenza d’altezza mi costrinse a mettermi sulle punte dei piedi.
«Secondo round?»
Prima che potessi rispondere, sentimmo il trillo del citofono e lui buttò amareggiato la testa all’indietro. «Direi che questo è un no.»
«Oppure un “a più tardi”» lo corressi ammiccando fissandogli indietro i capelli bagnati con un gesto della mano ed uscendo di corsa diretta alla porta.
 
«Ehi, raggio di sole» mi sorrise Louis una volta fatto scattare il cancelletto d’ingresso e apertagli la pesante porta. «Ho interrotto qualcosa?» domandò con malizia prendendo un capo della camicia.
«Può darsi» dissi schioccandogli un bacio sulla guancia. «Scusa la domanda, ma che ci fai qui?»
«Sinceramente non l’ho ancora capito… Harry mi ha detto di venire per parlare di qualcosa, ma sai com’è fatto, certe volte mi chiedo se almeno lui si capisca quando parla.» Rise.
«Già, sa essere contorto quando vuole.»
«Dov’è il mio piccolo?» chiese guardandosi intorno avanzando di qualche passo diretto verso le scale del pano di sopra.
«Styles? Sotto la doccia.»
Mi guardò critico inarcando un sopracciglio. «E quando mai l’avrei chiamato “il mio piccolo”? Mi riferivo ad Alexander» disse scoppiando a ridere.
Mi sentii sprofondare per la gaffe. «Ehm… è di sopra, in bagno.»
Mi avviai lungo le scale rossa in viso e Louis, per rincarare la dose, mi cinse la vita facendosi vicino a me per dirmi «Beh, direi che in questa casa piace a tutti la pulizia. Passata bene la scopa in bagno, signorina?»
«Oddio, Tomlinson, fatti i fatti tuoi!» Lo spinsi via scoppiando a ridere. «Pensa a pulire casa tua!» lo ammonii, ma tanto non mi stava più ad ascoltare, ormai era preso da Lex che gli sorrise nel momento in cui lo sollevò dal lettino tenendolo sollevato verso l’alto.
Louis è davvero incredibile con i bambini, ha un tatto eccezionale e sapeva sempre come tenerlo quando anche con me non c’era verso di farlo calmare. È sicuramente un ottimo padre.
«Quanto ha ora?» tornò a rivolgersi a me dopo una lunga serie di parole senza senso e versetti prodotti per far ridere il bambino.
«Tre mesi la settimana prossima, il vent’otto.»
«Incredibile» disse sorridendo al pavimento. «Mi sembra ieri che ci chiamavi urlando per farci sentire i suoi movimenti.»
«E voi mi assalivate come bufali facendo a gara a chi schiaccia di più la povera Darcy» ricordai scoppiando a ridere. Louis mi diede Alexander tra le braccia che subito si appoggiò con la testa sul mio petto afferrandomi una ciocca di capelli. Gli baciai il capo colmo di radi capelli scuri.
«Sei una mamma fantastica» osservò
«Ce la metto tutta, ma non sarei un niente senza l’aiuto di Harry.»
«Ah, ragazzi, siete qui!» disse il riccio entrando nella stanza con una maglietta e i jeans di prima, i capelli umida dalla doccia.
«Parli del diavolo…» sussurrai a Louis che ammiccò diretto a me, poi si voltò verso al riccio.
«Ora mi vuoi spiegare perché mi hai fatto correre qui, Styles?»
«Devo parlarti di una cosa.» Si fece di colpo serio. «Da soli» aggiunse guardandomi.
«Okay, ho capito, lascio che voi ometti ve la sbrighiate da soli. Se mi cercate sono in giardino a prendere un po’ di sole.»
Presi un cappellino verde dall’armadio di Lex ed uscii lasciando soli i due ragazzi.
“Chissà di cosa deve parlargli” cominciai a corrucciarmi mentre mi spalmavo la crema abbronzante e con la punta di un piede davo dei lievi colpetti alla sdraietta sulla quale stava il bambino ben riparato dall’ombra di una pianta. “E perché ha voluto che me ne andassi?! Ci conosciamo da quanto? Beh, da più di una ventina d’anni direi, e ormai siamo ufficialmente una coppia da qualche mese, perché mi ha chiesto di lasciarli soli? Magari devono parlare di qualcosa che riguarda il tour, ma no, non può essere, non si fanno problemi a parlarne davanti a me o alle altre ragazze… Ah, fanculo!” Terminai il mio monologo interiore buttandomi, sbuffando, contro allo schienale della sdraio calandomi il cappello di paglia sugli occhi.
Nel momento in cui stavo per assopirmi al sole con addosso la camicia aperta e un paio di shorts presi prima di uscire, sentii il trillo del telefono di Harry provenire dalla portafinestra della cucina lasciata aperta. Non smetteva di suonare e quell’idiota non dava il minimo cenno di voler rispondere. Che cavolo, lo so pure io che le chiamate al suo cellulare sono per la maggior parte legate al lavoro che fa, dovrebbe averlo sempre vicino, o almeno muoversi a rispondere!
«Harry, il telefono!» urlai sperando che mi sentisse. Nulla. «Harry, rispondi!» tentai ancora.
Due minuti e tre giri di squillo più tardi, mi sollevai scocciata dalla sdraio, presi tra le braccia il bambino e mi diressi pestando i piedi per terra verso la cucina. Sorpresa delle sorprese, il mittente molesto era il caro Grimshaw, quindi non ci pensai due volte ad attaccargli brutalmente il telefono in faccia.
Sentii vociare nella stanza accanto e mi avvicinai per portare il telefono ad Harry, ma rimasi bloccata sul posto quando colsi alcuni frammenti del discorso tra i due.
«Lei ha sempre detto che quando sarebbe stata autosufficiente mi avrebbe lasciato vivere la mia vita, ma per come stanno le cose adesso non posso lasciarla andare via
«Haz, è un bel impegno, te ne rendi conto?»
«Ormai ci sono troppo dentro.»
“Ma di che accidenti stanno parlando?!” Ero confusa e allarmata al tempo stesso, piombare lì e sentire solamente degli stralci di conversazione non è proprio il massimo, non riuscivo a seguire il filo del discorso!
«Beh, che devo dirti, mi sembra che tu abbia deciso, no?» Louis sospirò dopo un attimo di silenzio, «Se lo farai sul serio, sappi che ti appoggio, è un gesto molto nobile.»
«È la mia migliore amica prima che la mia ragazza, voglio fare il possibile per renderle la vita un po’ più facile e credo che…»
Prima che potesse finire di parlare (e magari farmi capire qualcosa in più), Alexander cominciò a lamentarsi del fatto che avessi smesso di dondolare le braccia attirando così l’attenzione degli altri due.
“Merda! Beccata!” «Harry, quante volte te lo devo dire di non lasciare il telefono in giro? Odio la tua stramaledetta suoneria del cavolo!»
Uscii dal mio “nascondiglio” dietro allo stipite della porta e piombai in salotto agitando l’apparecchio fingendo di essere appena arrivata.
«Oh, scusa Day, non l’ho sentito.»
Capii subito dall’espressione che sperava non avessi sentito nulla, cosa che in effetti era successa, sentire due parole era servito solo a confondermi.
«Sei sempre con la testa per aria, ecco perché!»
Louis rise e guardò prima Harry e poi me. «Ragazzi, vi lascio finire quello che avevate iniziato. Scusate l’intrusione» se ne uscì poi passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
«Te ne vai già? Speravo ti fermassi almeno un pochino…»
«C’è mia sorella Charlotte da me, e ora è sola a casa, mi spiace farla aspettare.»
«Oh, okay… salutami Lottie allora» disse Harry con un sorriso.
Il ragazzo venne da me e mi diede un bacio sulla guancia, e prima di uscire lanciò un’ultima occhiata d’intesa all’amico che lo salutò con un cenno del capo.
«Ma di che dovevi parlargli di tanto urgente?» domandai ad Harry una volta soli.
«Niente di che, cose del gruppo» si giustificò rubandomi Lex dalle braccia.
«Non vuoi dirmi proprio niente niente?»
«Fammici pensare?» Fece una pausa d’effetto. «No» rispose stampandomi un bacio liquidandomi così, senza una reale spiegazione.
E secondo lui me la sarei sul serio bevuta? No di certo, avevo sentito abbastanza per capire che stessero parlando di me, e adesso mi stava nascondendo qualcosa, ma cosa?!
“È la mia migliore amica prima che la mia ragazza, voglio fare il possibile per renderle la vita un po’ più facile. Cosa significa, Styles?!”

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Capitolo 18
*** 17 - Kneeling By You ***


«Per favore, ricomincia da capo.»
Niall si fermò nel bel mezzo del vialetto sterrato di Hide Park fermando anche me prendendomi per una spalla.
«Ma di nuovo?! Con questa è la terza volta che mi chiedi di ricominciare, Horan!» Mi voltai verso di lui alzando gli occhi al cielo.
«Non è colpa mia se parli troppo spedita quando sei nervosa! Dai, facciamo una pausa e cerca di farti capire.»
Rielaborai al meglio le idee che mi turbinavano impazzite nella testa cercando le parole giuste dalle quali incominciare.
«Allora» esordii prendendo un lungo respiro, «ieri pomeriggio è venuto a casa nostra Louis dicendomi che Harry doveva parlargli di qualcosa, e non ha voluto che sentissi. Così sono andata in giardino per farmi i fatti miei.»
«E fino a qui ci sono» intervenne lui, «È dopo che ti complichi.»
«Sono entrata in casa per portare il telefono ad Harry e ho per caso…»
«Sì, per caso» s’intromise mimando le virgolette con le dita.
«Niall, sono seria!» lo rimproverai, e lui si zittì cogliendo la preoccupazione nel mio sguardo. «Ho sentito lui e Louis parlare di qualcosa d’importante che riguarda Lex e me, il nostro futuro…»
«Ricordi le parole esatte? O almeno approssimativamente quali sono state?»
«Harry ha detto che non vuole che me ne vada quando Alexander sarà abbastanza grande da potermi permettere di crescerlo da sola, poi ha parlato del fatto che sono la sua migliore amica oltre che la sua ragazza e vorrebbe fare il possibile per rendermi la vita più semplice. Okay, il succo del discorso è che ha in mente di fare qualcosa di folle, come gli ha fatto notare Louis a grandi linee, ma sembra intenzionato a portare avanti la sua idea» spiegai rapida.
«E di cosa si tratta?»
«Non ne ho la minima idea! Quando Harry stava per dire qualcosa di più che, magari, mi avrebbe aiutata a capire, Lex si è messo a piangere e si sono accorti della mia presenza!»
«Sei proprio un maschietto, inizi già a fare danni quando non dovresti, eh piccoletto?» disse con un sorriso Niall agitando il sonaglio in spugna colorata nella carrozzina davanti al viso del bimbo che sollevò le mani nel vano tentativo di afferrarlo.
«Niall, di cosa pensi si tratti? Mi devo preoccupare? No, perché è da ieri pomeriggio che non penso ad altro, sto impazzendo!» Ero così disperata che pensai quasi di mettermi in ginocchio ed implorarlo perché mi desse una mano.
Calò un silenzio imbarazzante tra di noi ancora fermi sotto alle fresche fronde dell’alto arbusto nel quale supposi che Niall stesse rielaborando le informazioni appena ricevute. In seguito, dopo una rapita grattata al mento, vidi un sorriso esplodergli da un capo all’altro del viso, e mi abbracciò fino a quasi farmi mancare l’aria.
«Ma come! Non ci sei ancora arrivata, piccola idiota?» domandò con fare retorico scoppiando a ridere rimettendomi con i piedi per terra. Io ero sempre più confusa.
«No! Ti prego, penso che tu ormai capisca meglio di me che cosa passa per quella sua testolina soffocata dai ricci» chiesi ulteriormente spiegazioni vedendolo così felice e sicuro di sé. «Dimmelo chiaro e tondo senza sparare che ci arrivi da sola. Sono troppo in ansia per stare a pensarci.»
«Darcy! Vuole chiederti di sposarlo!» esclamò esplodendo di felicità stringendomi ancor più di prima.
Okay, se fino a quel momento ero preoccupata, dopo quell’affermazione andai nel panico più assoluto!
«C-cosa?!» quasi urlai spingendolo via da me, «Stai scherzando, spero!»
«Mai stato più serio!»
Lui sprizzava gioia da tutti i pori, avesse potuto mi avrebbe già organizzato un matrimonio coi fiocchi in quattro e quattr’otto. Purtroppo io non condividevo il suo stesso stato d’animo.
«Day, che c’è che non va? Non sei felice?»
«Certo che lo sono, al momento non ci sarebbe nient’altro che potrebbe rendermi più felice.»
«Ma c’è un ma.» Sospirò anticipando le mie stesse parole.
«Esattamente» dissi amareggiata ruotando lievemente il capo a sinistra, gli occhi puntati al suolo.
«Darcy, ehi!» Mi prese il mento voltandomi a guardarlo, «Non ce n’è bisogno. Anche se tu non lo vuoi ammettere per orgoglio o qualsiasi altro motivo stupido, lo vediamo tutti che sei innamorata di Harry.»
«Niall, io…»
«Non guardi nessun’altro nello stesso modo in cui lo guardi, non ha bisogno di dire una parola che capisci immediatamente se c’è qualcosa che possa fare per lui oppure no, e poi c’è quel sorriso che fai solo quando ne parli, quello destinato solo ed esclusivamente a lui.» Continuò a versare verità che pensavo di aver nascosto bene fino a quel momento, ma lo fermai con il mio solito raziocinio.
«Niall, noi non poss… Io non posso farlo, non posso permettere che lui lo faccia, è una cosa stupida farlo ora, è troppo presto e non voglio compromettere in nessun modo la sua carriera, quella viene prima di tutto» sputai tutto d’un fiato.
«Darcy, per una volta ragiona! Pensa alla tua felicità, pensa ad Alexander e vedrai che ti renderai conto che dovresti mettere voi due prima di tutto il resto.»
«È una follia.»
«È una sua scelta, e se pensa di poterlo fare perché impedirglielo? Harry non è uno sprovveduto e, anche se non sembra, ha la testa sulle spalle. Un matrimonio è un giuramento serio che si fa tra due persone, e se lui sembra tanto sicuro perché non puoi esserlo anche tu? Sta a te decidere.»
Era incredibilmente serio, stava tentando di persuadermi.
«Ma noi…»
«Prometti che ci penserai.»
Al mio cenno d’assenso mi abbracciò ancora per rassicurarmi, poi continuammo la nostra passeggiata chiacchierando di argomenti il più lontani possibile dal tema matrimonio.
Non aveva tutti i torti, avrei dovuto lasciarmi andare per una volta e seguire il cuore, ma perché continuavo ad avere la netta sensazione che fosse tutto sbagliato? Ero certa che mancasse qualcosa, o semplicemente che fosse troppo assurdo per essere vero, eppure Niall sembrava così sicuro… Decisi di smetterla di pensarci oppure il cervello avrebbe cominciato a colarmi dalle orecchie.
Dovevo lasciare che tutto seguisse il suo corso e se davvero mi avesse fatto questa fantomatica proposta avrei valutato sul momento se dirgli di sì e prepararmi a passare il resto della mia vita, certo, sotto i riflettori di tutto il mondo, ma almeno in compagnia di una persona che amavo da troppo tempo, oppure se proporgli di prenderci del tempo per riflettere.
Solo una cosa era certa: lui teneva a me e non mi avrebbe permesso di andarmene, cosa che non ero più intenzionata a fare.
 
Quella sera eravamo tutti invitati a cena da Liam, un piccolo raduno solo nostro prima dell’inizio del tour (e quello sì che avrebbe complicato le cose).
Dopo tempo che non lo facevo, decisi di osare di più nell’abbigliamento mettendomi in risalto le nuove forme con un paio di pantaloni a zampa molto fascianti abbinati ad un top stampato, e ai piedi le Dr. Martens. Per la prima volta dopo quasi un anno decisi di mettermi il mio rossetto rosso preferito, quello che era stato il mio portafortuna in alcune serate importanti, e rimirandomi nello specchio mi sentii di nuovo me stessa.
Dopo essermi anche acconciata i capelli, andai nella cameretta lì accanto trovandomi Harry intento a cambiare Lex alla bene e meglio (i pannolini non erano il suo forte).
«Invece che stare sulla porta, perché non mi dai una mano» chiese senza sollevare lo sguardo.
«Per un pannolino due mani bastano, Styles.»
Scosse la testa e finì con calma. «Ecco fatto!» esultò sollevando il bambino ora vestito con un paio di piccoli pantaloni blu e una felpa colorata. «Wow…» gli sfuggì guardando me.
«Vado bene?» Feci una piroetta.
«Era da un po’ che non ti vedevo così, non sono più abituato.» Mi sorrise venendomi incontro per darmi un bacio. «Sarà una gran serata.»
A quell’affermazione, mi ricordai il discorso del pomeriggio con Niall e del fatto che lui pensasse mi avrebbe chiesto di sposarlo, e m’irrigidì. Fu difficile anche mandare giù il groppo di saliva fermo in gola.
«P-perché lo pensi?»
«Così. Staremo tutti insieme prima di partire per il tour, lo sarà per forza di cose. Ora andiamo, Day, siamo sempre gli ultimi.»
Mi prese la mano e, dopo aver preparato la carrozzina per Alexander all’ingresso, salimmo in macchina diretti verso casa Payne.
L’ansia si faceva sempre più intensa, cresceva alimentata dalle stupide parole di Niall. “Darcy! Vuole chiederti di sposarlo!”. Che assurdità!
Al contrario di quanto aveva supposto, arrivammo sul posto prima di Louis ed Eleanor lasciando di stucco tutti gli altri. Da brava padrona di casa e amica, Jennie mi venne incontro per abbracciarmi e dicendomi parole in proposito a quanto tempo non ci vedessimo e a come mi trovasse bene.
«Ciao, Darcy.» Niall mi affiancò con nonchalance dandomi un colpetto con una delle mani infilate nelle tasche dei jeans. «Ci sono… novità di cui dovrei essere informato?»
«Sì, che mi hai buttato addosso un’ansia incredibile, pezzo d’idiota!» risposi seccata.
«Ancora niente anello al dito, vedo» osservò prendendomi la mano portandosela all’altezza degli occhi. «Strano, pensavo che Styles fosse il tipo di romanticone da diamante e belle parole.»
«Niente anello perché ancora non mi ha chiesto nulla.» Ritrassi la mano.
«Ma lo farà, ne sono più che sicuro.» Sorrise strizzandomi l’occhio. «Gli è sfuggito altro che possa farti capire quando?»
Pensai alle parole dette da Harry prima di uscire e a quanto le avessi trovate strane. «Ha detto che questa sarà una gran serata, ma non ne ha specificato il motivo.»
«Allora è fatta, Day!» Alzò il tono della voce abbracciandomi per la millesima volta quel giorno attirando su di noi l’attenzione di tutti.
«Fatta cosa?» domandò Liam con un sopracciglio inarcato. Nemmeno mi ero accorta che ci avesse affiancati con i cartoni delle pizze in mano.
«Ehm… oggi avevamo scommesso una cosa e…» Cercai di trovare al più presto una scusa per quanto stupida potesse rivelarsi. «Beh, Niall dovrà chiedere il numero alla ragazza dei gelati in un chioschetto ad Hide Park» buttai lì.
«Okay, non farò altre domande al riguardo. La volgiamo mangiare ‘sta pizza o no?» disse il nostro interlocutore curioso dando uno scossone alla pila di scatole.
Anche durante la cena continuavo a sentirmi tesa, sobbalzavo ogni volta che Harry, alla mia sinistra, mi appoggiava una mano sulla coscia accarezzandola con dei lenti movimenti del pollice o si voltava a guardarmi con un sorrisino sghembo accentuando la già marcata fossetta su quel lato.
Mi sentii chiamata in causa soprattutto quando Louis pronunciò la parola “matrimonio” riferito a quello imminente di un amico, e Niall scoppiò a ridere notando la mia reazione.
Stavo dando troppo nell’occhio, presto tutti si sarebbero accorti della mia tensione come dall’inizio della cena aveva fatto Eleanor che non faceva altro che lanciarmi brecciatine e piccoli calcetti sotto al tavolo.
«Liam, dove posso andare a… Alexander deve mangiare» “E io nascondermi per dieci minuti” gli domandai avvicinandomi alla sua sedia.
«Dove sei più comoda, piccola. Conosci la casa, fa come fosse la tua.» Mi sorrise certo di quale stanza avrei scelto.
Presi Lex in braccio e mi avviai a passo spedito fino alla sua stanza da letto. Mi chiusi dentro e sprofondai sul comodo letto portandomi poi il bambino al petto perché potesse cenare anche lui.
Quando Lex cominciò ad allentare la presa sul mio seno, segno che fosse pieno, completai il “rito della pappa” dandogli due colpetti sulla schiena per farlo digerire e poi pulii il piccolo rigurgito sfuggitogli dalle labbra.
«Presto o tardi scopriremo la verità, ma cosa devo fare?» domandai al bambino tenendolo sollevato davanti a me, gli occhi negli occhi.
Spesso gli parlavo di me e delle cose che avremo fatto in futuro, e lui manteneva sempre quella stessa espressione accigliata e seria, come se davvero mi stesse ad ascoltare.
Lasciata la stanza, mi diressi lungo il corridoio per raggiungere gli altri che nel frattempo si erano scompostamente spostati in salotto per giocare all’X-box dandosi spintoni come bambini mentre le ragazze se ne stavano sul divano accanto a giocare a “il mio ragazzo è peggio del tuo” ridendo alle loro stupidaggini.
«Ehi, ragazzi, che mi sono persa?» esordii pimpante arrivandogli alle spalle.
«Solamente quattro bambinoni che giocano alla Play» m’informò Jennie.
«È una X-box, amore» la corresse il ragazzo senza staccare gli occhi dallo schermo.
«E sono solo in due a giocarci…» aggiunse Niall incrociando le braccia al petto.
Harry si alzò dal tappeto affiancandomi. «Possiamo parlare un attimo?»
«Certo. Che c’è?» Mi finsi sorpresa voltandomi a guardarlo.
«Non qui.» Mi fece un cenno con capo in direzione della cucina e capii.
«Ragazze, potete fare voi da babysitter? Non sballottatelo troppo, ha appena mangiato.»
«Tranquilla, è in buone mani.» Jennie lo prese in braccio, «Con zia Jen tutti i bambini sono in buone mani» aggiunse strofinandogli il naso sul suo facendolo ridere.
Ignorando le occhiatine e i gesti di Niall che si stava praticamente sbracciando sul divano per attirare la mia attenzione, seguii Harry oltre la cucina fino al giardino sul retro, e per tutto il breve tragitto il mio cuore non la smise di martellarmi nel petto.
 
Harry’s POV
Avevo riflettuto a lungo sulla decisione da prendere, e quella mi sembrava la più giusta per tutti. Anche Louis, il giorno prima, mi aveva fatto capire che non stavo sbagliando: loro avevano bisogno di me e volevo esserci sempre, lo dovevo a Darcy.
Torturandomi le mani sudate, aspettavo impazientemente il momento giusto seduto accanto a Niall sul raffinato tappeto persiano guardando Louis fare a pezzi Liam giocando a Fifa.
«Tutto bene, Harry?» domandò il mio vicino lanciandomi una patatina, «Sei teso.»
«Certo che sto bene, perché non dovrei?» Sforzai un risolino rilanciandogli la patatina indietro.
«Non saprei, è una serata importante, una delle ultime tutti insieme.» Accentuò un po’ troppo la parola “importante”, e il suo sorrisetto non mi piaceva.
“Se Louis ha parlato giuro che lo ammazzo!”
«Horan, smettila di agitarti! Mi deconcetri!» ringhiò Liam continuando a lottare con il joystick sperando in qualche miracoloso goal per non concludere la partita 15-6 a sfavore.
La vidi rientrare con Alexander in braccio e capii che quello era il momento di agire. Mi alzai sentendomi addosso gli insistenti occhi di Niall e le arrivai alle spalle.
«Possiamo parlare un attimo?»
«Certo. Che c’è?» chiese sorpresa spalancando i grandi occhi nocciola.
«Non qui» aggiunsi indicandole con un cenno il giardino sul retro.
Aspettai che lasciasse il bambino tra le braccia di Jennie e le feci strada con le mani in tasca.
C’eravamo solo più noi, potevo dirle tutto.
«E siamo qui, in un giardino… da soli.» Cominciò lei spezzando l’imbarazzante silenzio.
Stavo rielaborando i pensieri per costruire un discorso sensato, quando sono agitato non sono bravo con le parole. Mi appoggiai con la schiena alla piglia in legno bianco delle scale del porticato esattamente di fronte a lei, vicini, ma non abbastanza per permetterle di vedere quanto fossi agitato.
«Uh, che gelo…» fece sospirando
«Vuoi?» le chiesi cominciando a sfilarmi la giacca, e lei scoppiò a ridere.
«No, Styles! Era un’allusione al fatto che in questa gran conversazione è calata in un gelo polare.»
«Darcy, sto cercando di fare un discorso serio!» Mi spazientii e la vidi irrigidirsi e spalancare di nuovo gli occhi. Non si aspettava che alzassi la voce, e nemmeno io.
«Scusami…»
«No, scusami tu.» Presi un respiro profondo e cominciai a parlare. «È da un po’ che ci penso, e credo che sia la scelta giusta da fare. Mi sono informato, e possiamo farlo se tu sei d’accordo. Basta che accetti e ti prometto che ci sarò sempre anche se le cose dovessero andare male perché tu per me sei importate. Sei la prima persona di cui mi sia mai fidato, la mia prima amica, migliore amica, e ora sei la mia ragazza. Non siamo più dei bambini e penso di essere in grado di prendermi cura di te e Alexander. Te lo meriti, e con il mio lavoro posso garantirti tutto ciò che ti serve e…»
«Harry» mi fermò appoggiandomi l’indice sulle labbra, «ma di cosa stai parlando?!»
 
Darcy’s POV
Seguii Harry fino al giardino sul retro, lui davanti a me con le mani in tasca ed io a rosicchiarmi le unghie. Entrambi eravamo in un teso silenzio.
Una volta fuori, rabbrividii al fresco vento di quella sera e rimpiansi il non aver messo qualcosa di più pesante addosso, quindi per scaldarmi mi strinsi le braccia al petto e mi avvicinai il più possibile alla piglia in legno del porticato.
«E siamo qui, in un giardino… da soli.» Aprii bocca sperando di stimolarlo a dire qualcosa, il silenzio si stava facendo troppo imbarazzante. «Uh, che gelo…» commentai prendendo a sfregarmi le mani sugli avambracci per scaldarmi.
«Vuoi?» domandò gentilmente sfilandosi la giacca. Sempre il solito galantone!
«No, Styles! Era un’allusione al fatto che in questa gran conversazione è calata in un gelo polare.»
Scoppiai in una fragorosa risata isterica.
«Darcy, sto cercando di fare un discorso serio!» Alzò il tono della voce.
Non pensavo reagisse in quel modo… Evidentemente non ero solo io quella tesa.
«Scusami…»
«No, scusami tu.»
Sospirò pesantemente chiudendo gli occhi che fino a quel momento (rimprovero escluso) erano rimasti fissi al suolo e, riaprendoli, li puntò nei miei cominciando un lungo discorso confusionario totalmente privo dell’oggetto, un classico discorso alla Styles insomma.
Più parlava, più avevo l’impressione che quel discorso fosse unilaterale, eppure non capivo a pieno quale fosse l’argomento centrale, continuava a parlare a raffica! Dovevo trovare un modo per fermarlo e metterlo con le spalle al muro.
«Harry, ma di cosa stai parlando?!» lo bloccai premendogli l’indice sulle soffici labbra. «Non ci sto capendo niente! Sii più chiaro!»
«È una cosa difficile da spiegare! Non ho la certezza che tu accetti, è un discorso delicato, non trovo le parole!» Cercò di giustificarsi gesticolando come un matto.
«Fermati due minuti, pensaci su e riparti da capo, per favore.»
Mi strinsi entrambe le tempie in una mano massaggiandole lievemente mentre lui si allontanava verso il centro buio del giardino, poi ritornò spedito sui suoi passi riprendendo a parlare.
«Darcy, vorresti…»
“No! No! No! Non lo stai facendo!” «No!» Praticamente urlai smorzando il suo entusiasmo. «Per l’amor di Dio, non possiamo, è sbagliato!»
Mi guardò confuso. «Ma non sai nemmeno cosa voglia chiederti!»
«L’ho capito, e la mia risposta è un no per adesso!»
«Se davvero lo sai, dimmi cosa voglio chiederti allora.» Assunse un’aria superiore incrociando le braccia al petto, chiaramente indignato dalla mia reazione frettolosa.
«Non possiamo sposarci, Harry!»
Subito mi guardò spiazzato, aprì bocca come per dire qualcosa e poi scoppiò a ridere al punto che gli occhi cominciarono a lacrimargli, e si portò una mano sulla pancia piegato in due per il troppo ridere, addirittura si batté una mano sulla coscia e si appoggiò alla pigia alla sua sinistra.
«P-perché ridi? Sono seria, lo faccio per te.»
«Day, non hai capito niente come al solito!» riuscì a dire ridendo ancora senza sosta.
«Cosa?»
«Non ti stavo facendo una proposta di matrimonio! Volevo chiederti se ti andasse di nominarmi tutore di Alexander!»
Spalancai occhi e bocca arrossendo per la sorpresa e per la tremenda figura di merda che mi ero appena fatta.
“Giuro che appena becco quell’idiota di Niall gli faccio rimpiangere di aver anche solo pensato ad una proposta di matrimonio!” «Harry, è bellissimo, ma…»
«Ho già pensato a tutto io, devi solo accettare e a tutto il resto ci penseremo più avanti, sono solo alcune scartoffie da firmare e siamo a posto» disse con entusiasmo avvicinandomisi e prendendomi entrambe le mani nelle sue stringendo le nostre dita insieme. In piedi sull’ultimo scalino ero alta quasi quanto lui e potei vedere la sincerità nei suoi occhi verdi.
«Lo sai questo cosa comporta? È un gran bell’impegno, non voglio che pesi su di te.»
«Sono disposto ad accettare tutto. Per me ci sei stata sempre, ricambiare così mi sembra il minimo.»
Non potevo credere che davvero fosse disposto a farlo, gli sarebbe pesato sulle spalle per sempre e lo avrebbe praticamente reso genitore di un figlio non suo. Questo era una specie di dichiarazione a qualcosa di più?
“Avanti, Gray, lui è un pazzo, ma la pazza sei anche tu, quindi…” «Ci sto» sussurrai quasi impercettibilmente abbassando lo sguardo.
«Day?»
«Ci sto!» dissi ancora con un sorriso da un orecchio all’altro scoppiando di felicità.
Mi prese il viso tra le mani stampandomi un lungo bacio. «Darcy, ti prometto che non vi lascerò mai soli. Mai!» disse tra un bacio lasciato su ogni centimetro del mio viso e l’altro. Entrambi ridevamo senza sosta.
«Quindi non t’inginocchierai?» chiesi facendo il labbro tremulo.
«Perché dovrei?»
«Oramai mi ero abituata all’idea di vederti in ginocchio con una scatolina in mano. Sarebbe carino…»
Roteando gli occhi, s’inginocchiò a terra tenendomi una mano nelle sue, si schiarì la voce e, trattenendosi a stento dal ridere ancora, pronunciò «Darcy Gwendolyn Gray, vorresti rendermi l’uomo più felice della Terra lasciando che tuo figlio diventi anche il mio?»
«Oh, certo che lo voglio, Styles!»
Si tirò su per baciarmi nuovamente sollevandomi da terra e facendo un giro prima di rimettermi con i piedi per terra e tornare dentro mano nella mano.
«Toglimi una curiosità.» Mi fermò a pochi passi dal salotto dove ci aspettavano gli altri.
«Dimmi.»
«Ma la storia del matrimonio… non è tutta tua, vero?»
«Ti ho sentito parlare con Lou, e poi… idea di Niall» ammisi alzando le mani in segno di rassegna.
«Lo sapevo! Quell’irlandese cerca sempre il lieto fine in ogni cosa!»
«L’ho segnato sulla mia lista nera per l’immensa figuraccia che mi ha fatto fare.» Soffiai verso l’alto per scacciami il solito ciuffo di capelli via dal viso.
«Ti sei fatta una figuraccia, ma non immensa come credi.» Rise. «Ti piacerebbe sposarti?»
«Perché no? Ogni bambina sogna il proprio matrimonio perfetto. Tu?»
Dopo un’occhiata piuttosto intensa, gli scappò un sorriso e riprese a camminare diretto verso il salotto. «Magari più avanti, eh!»

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Capitolo 19
*** 18 - Close Distance ***


Aprii gli occhi trovando il vuoto accanto a me, il passaggio di Harry era segnato solamente dal lenzuolo spiegazzato e la sua impronta sulla federa scarlatta del cuscino sul quale, ora, vi era appoggiato un foglietto di carta strappato probabilmente da un quaderno.
-Day, se stai leggendo questo vuol dire che non sono ancora tornato a casa. Scusami per non averti svegliata, dormivi così bene, era un peccato farlo. Lex è con me, riposati fin che puoi. Harry xx-
Scossi la testa sollevando gli occhi al cielo e poi misi il bigliettino tra le pagine del libro sul mio comodino per conservarlo quasi fosse un tesoro, e ne approfittai per dare un’occhiata alla sveglia: erano le 11:23 a.m.
“Ho dormito abbastanza, direi.”
Mi stesi di traverso sul materasso allungandomi per bene facendo scrocchiare ogni mia singola vertebra e i gomiti indolenziti per la posizione rannicchiata assunta nel sonno prima di decidermi a scendere definitivamente dal letto. Per coprire il corpo nudo, mi fasciai con il lenzuolo che mi adattai addosso a mo’ di tunica che trascinai lungo tutto il corridoio e le scale fino alla cucina dove mi concedetti una “colazione” a base di succo alla mela e una scatoletta di tonno.
«Che vuoi?» domandai al gatto che mi guardava acciambellato su una sedia. «È così strano vedere la tua padrona con un lenzuolo addosso mangiare tonno prima di pranzo?»
Gli lanciai il tappo della bottiglia facendolo correre via con un miagolio stridulo. Povero gatto, sempre sotto le torture di una padrona meschina.
Suonarono il citofono e feci scattare l’interruttore del cancello d’ingresso senza guardare dalla telecamera chi fosse, a quell’ora poteva essere solo una persona, pensai, e mi recai correndo verso la porta d’ingresso pronta ad abbracciare il mio uomo. E invece…
«Ehi, teso… Gemma?!»
Provai invano a nascondermi dietro la porta socchiudendola, paonazza in viso per l’imbarazzo provato davanti alla sua espressione divertita.
«Day, quanto tempo!» esclamò spalancando la porta per buttarmi le braccia al collo stringendomi in un abbraccio che ricambiai pienamente prima di farla entrare tirandosi un pesante trolley.
«Gem, scusami se te lo chiedo, ma che ci fai qui?» domandai perplessa.
«Parto anch’io, un po’ di shopping per LA ci vuole ogni tanto.» Mi strizzò l’occhio.
Quando ricordai di essere “vestita” in modo poco decoroso, mi portai istintivamente una mano a tirare su il lembo del lenzuolo sopra al petto ancora più in alto di quando non fosse già sperando che non notasse fossi nuda.
«Ehm… ti dispiace se vado di sopra? Questione di un attimo.»
«È casa tua, sei libera di fare ciò che vuoi» disse lasciandosi cadere di spalle sul divano.
Mentre mi apprestavo a salire per le scale, mi urlò dietro «Comunque carino il lenz… il vestito, Bird» trattenendo una risata.
Mi fermai un attimo per poi raggiungere la mia stanza con un sorriso. Probabilmente soltanto più la famiglia Styles mi chiamava con quel soprannome, Bird, nato quando ancora andavo alle elementari e la mia maglietta preferita, presa in un parco naturale, raffigurava sul fronte diverse specie protette di uccelli e sul retro la scritta “bird’s friend” costatami non solo quel nomignolo ridicolo, ma anche una serie di prese in giro da parte di Harry hai tempi della Middle School.
Mi limitai ad indossare un paio di pantaloni felpati, una T-shirt con il logo della Coca-Cola e a legarmi scompostamente i capelli in cima alla testa in uno chignon spettinato.
Strascinando i piedi scalzi sul parquet di casa, tornai in salotto trovandomi Gemma chinata a terra intenta a grattare il ventre peloso di Smith, e non ebbi tempo di prendere parola che lei mi precedette.
«Oddio, Darcy, come hai fatto?!» Spalancò lo bocca sorpresa.
«Fatto cosa?»
Venne spedita verso di me prima tastandomi la pancia sopra la maglietta e poi sollevando l’indumento percorrendo tutta la circonferenza della mia vita facendomi solletico.
«Smettila, Gem, lo patisco!» Le allontanai le mani.
«È incredibile! Qui non c’è… niente! Non ha lasciato traccia, sei una sagoma!»
«Sì, una sagoma… ero una trentotto, cara!»
«Ma se avrai preso appena una taglia in più!»
«Due» la corressi.
«Fatto sta che sei pazzesca, nessuna si riprende così in fretta! A proposito… dov’è mio nipote?» Solo a pensarci le si illuminarono gli occhi.
«Con tuo fratello non so dove.» Sollevai gli occhi al cielo.
«L’ho sempre pensato che sarebbe stato un buon padre, anche se di un bambino non tutto suo.»
«Già, non tutto…»
«Quindi è ufficiale.»
«Ufficiale?»
«State insieme» disse retorica.
«S-sì, credo…»
«È ufficiale, e sono contenta. Mille volte meglio te di tutte quelle modelle fissate col fitness.» Fece svolazzare la mano per aria in un gesto teatrale.
«Cos’hai contro le povere modelle?» Risi. «Ne hai anche conosciuta qualcuna?»
«Harry non porta mai a casa nessuna, salvo rare eccezioni.» Mi strizzò l’occhio. «Comunque non mi piacciono, non ci trova nulla di eclatante.»
Proprio in quel momento, sentimmo il tintinnio di un paio di chiavi alla porta che preannunciò il ritorno di Harry che sgattaiolò all’interno in silenzio. Si accorse della nostra presenza solo dopo aver chiuso lentamente la porta.
«Darcy, buongiorno! Quando sei arrivata, Gem?»
«Una ventina di minuti fa. Ciao, fratellino» disse lei andando incontro al ragazzo schioccandogli un bacio. «Sei uscito a fare il bravo paparino con questo bellissimo ragazzo qui?» Si piegò in avanti per accarezzare Alexander che non la smetteva di fare versetti.
«Qualcuno si meritava un po’ di riposo, passa spesso le notti in bianco, e non sempre per colpa del figlio» disse Harry ottenendo una mia smorfia in rimando.
«Se qualcuno mi aiutasse andando ogni tanto a vedere perché Alexander piange invece di rigirarsi dall’altra parte del letto sarebbe d’aiuto» ribattei inacidita voltandomi verso il bancone della cucina con le braccia al petto.
Ci vollero circa due minuti perché mi corresse incontro ignorando la presenza della sorella per abbracciarmi da dietro. Ecco spiegata la ragione di tutte le mie finte incazzature: le suppliche di Harry da classico uomo pentito.
«Stavo scherzando!»
«Davvero? Io no di certo, la notte non mi aiuti mai.» “Darcy, non scoppiare a ridere… non ridere.”
«Vorrei essere più presente… Scusa.»
Capii che l’aveva preso sul serio, e mi sentii in colpa. «Sono io quella che scherza, stupido!» Mi voltai lasciando libere le risate represse fino a quel momento.
«Sei una grandissima stronza!» Mi spinse giocosamente via.
«Ah, ti adoro quando vieni strisciando da me se mi fai arrabbiare.» Gli cinsi il collo con le braccia avvicinandomi a lui, come se fossimo soli in casa.
«Io non striscio, piccola.»
«Il fatto ch’io sia nata tre mesi e tredici giorni dopo di te non ti dà il diritto di chiamarmi piccola.»
«Sta’ zitta, piccola.» Mi biascicò quasi sulle labbra mentre si avvicinava lento per posare le sue sulle mie in un tenero bacio.
Flash. «Scene di puro romanticismo domestico compiute come se non ci fosse nessun’altro in casa. Questo mamma deve vederlo, impazzirà!» disse Gemma entusiasta scattandoci una foto col cellulare.
«Gemma, sei un’impicciona!» Si lamentò il fratello lanciandole dietro un canovaccio umido abbandonato su uno dei pianali della cucina alla sua sinistra.
«Ti voglio bene, fratellino» rispose lei facendogli la linguaccia.
 
«So di essere ripetitiva, te l’ho già detto tre mesi fa, ma odio gli aeroporti!» fece in tono lamentoso Jennie, l’unica ragazza seduta accanto a me sulle fredde sedie in metallo in attesa che i ragazzi facessero il check-in e prendessero le carte d’imbarco. «Ogni volta che vengo qui significa che non vedrò Liam per un bel po’.»
«A me piacciono» dissi con un’alzata di spalle. In seguito ad un suo sguardo interrogativo, aggiunsi, «La maggior parte delle persone partono per raggiungere luoghi che desiderano vedere, e poi ci sono i ricongiungimenti: il sorriso di un padre al figlio che non vede da tempo, l’abbraccio di due innamorati, … Sono queste le cose che ti migliorano la giornata. È bello» dissi spostando lo sguardo su un punto indefinito davanti a me.
«È molto poetico da parte tua» disse lei con un sorriso appoggiandomi una mano sul ginocchio.
«E poi ho dei bei ricordi qui» terminai voltandomi a guardarla strizzando l’occhio alludendo al bacio ricevuto mesi prima, quello che aveva segnato l’inizio di quella mia relazione.
«Ah, mi sembrava ci fosse dell’altro, ragazza!» Mi diede una leggere gomitata.
«Basta! Non li sopporto già più!» disse Gemma venendo verso di noi pestando i piedi per terra, esasperata. «Non sanno nemmeno fare due carte d’imbarco come persone civili. Che bambini!»
«Gemma, hai scelto tu di partire con loro» rimbeccai.
«Mi stanno facendo passare la voglia.» Si sedette pesantemente accanto a me incrociando le braccia al petto e sbuffando.
«Day, toglimi una curiosità» cambiò discorso Jennie, «ma ce la farai per tutti questi mesi da sola?»
Non nascose la preoccupazione evidente nella sua espressione.
«Sì, non ci saranno problemi.» Le sorrisi per rassicurare sia lei che Gemma. «Per un paio di mesi verrà a trovarmi una mia cara amica da Liverpool per darmi una mano con Lex finché non sarà più grande e potrò portarlo in un asilo nido, così potrò andare a lavoro senza problemi.» Portai lo sguardo sul bambino nella carrozzina che mi guardava con gli occhietti vispi.
«Cosa?! Darcy, ma un lavoro non ti serve!» fece Gemma sorpresa.
«Gemma, odio vivere mantenuta da Harry, trovarmi un lavoro è il minimo che possa fare per lui. È in una caffetteria e comincerò tra due settimane, un lavoro part-time con un buon reddito, così non sarò obbligata ad utilizzare solo i soldi di tuo fratello. Ti prego, non dirglielo!» implorai la ragazza prendendole le mani.
«Se è una tua decisione, non dirò niente, prometto…» disse per farmi contenta, ma comunque contrariata.
Poco dopo, ci raggiunse anche Louis passando a Gemma quella che riconobbi essere la carta d’imbarco menzionata da lei poco prima.
«Ringraziami, te l’ho fatta io.» Allungò il lato destro delle labbra in un sorriso sghembo.
«Grazie, Lou, stavo per commettere un fratricidio.»
«L’ho fatta anche a lui.» Le strizzò l’occhio.
«Solo perché non mi hai dato il tempo di farlo, Tomlinson» cercò di difendersi Harry raggiungendoci con passo spedito.
Louis non ribatté, si limitò a fargli il verso facendomi scappare un risolino che notò subito.
«Non ridere tu! A noi è capitato, tu te lo sei scelto, signorina Gray.»
«Touché» ribattei sollevando le braccia in segno di resa.
«Ragazzi, ora dobbiamo proprio andare» intervenne Mark guardando sia me che Jennie con aria dispiaciuta. Anche lui aveva una famiglia, sapeva quanto fosse dura lasciare chi si ama a casa.
Dopo avermi salutata con un abbraccio, Liam prese la ragazza per mano staccandosi dal gruppo e prendendo a dirle parole di conforto.
Abbracciai tutti loro a turno sentendo le lacrime salirmi agli occhi, non riuscivo ad immaginare sei mesi senza di loro. Erano diventati la mia quotidianità, mi sarebbero mancati.
«Piccola, non dimentichi qualcuno?» mi chiamò alle spalle Harry spalancando le braccia lasciando mi ci tuffassi in mezzo per stringermi più forte che potesse. «Sicura di non voler venire? Sarà più facile per te, per noi» tentò ancora di persuadermi.
«Harry, ne abbiamo già parlato, non posso. Il tuo mondo non è adatto ad un bambino tanto piccolo, e questi sei mesi saranno importanti per il suo sviluppo, voglio che stia tranquillo.»
Sospirò guardandomi con un velo di tristezza negli occhi quasi grigi per i neon dell’aeroporto.
«Sono questi i momenti in cui vorrei poter vivere una vita normale. Potrei aiutarti, stare con voi e non perdermi nulla.»
«Ehi, questa è la tua vita, è giusto sia così» dissi afferrandogli il mento con due dita e chinandolo verso di me. «Hai sempre avuto un gran talento e ami quello che fai, sei più fortunato di quello che credi. Io sono qui, non succederà nulla.» Gli sorrisi anche se avrei voluto scoppiare a piangere.
Dopo uno scambio di sguardi che mi parve durare un’eternità, esordì dicendo «Quasi me la dimenticavo, di nuovo!» S’infilò la mano nella tasca dei jeans e mi mise nella mano un oggetto che riconobbi benissimo.
«A casa di Liam ti sei accontentata di vedermi in ginocchio, e questa non è un anello, ma sono sicuro ti piaccia di più.»
«Ce l’hai ancora?» Guardai la catenina ridendo.
«L’ho sempre avuta» disse piazzandomisi alle spalle e chiudendomi il gancetto della collana intorno al collo.
Presi il ciondolo a forma di aeroplano tra le mani sfiorando l’argento freddo. «Ti avevo detto che era un regalo per portarti fortuna.»
«Sei tu che ora starai per mesi sola con un bambino. Di fortuna me ne ha portata abbastanza, direi, ora quella serve a te.»
Mi limitai a stampargli un bacio sulle labbra. «Grazie.»
«Harry! Muoviti!» gli urlò Niall battendo un piede a terra.
«Solo due minuti, Horan!» gli risposi io.
«Darcy» mi richiamò Harry voltandomi il viso verso di lui. «Ti amo
Quello sguardo era il più vero avessi mai visto, i suoi occhi erano fissi nei miei ed erano diversi da com’erano quelli di Jason quando me lo disse la prima volta. Dai suoi traspariva sincerità, amore.
«C-cosa?» feci titubante per accertarmi di aver sentito bene.
«Ho detto che ti amo, Day. Forse ho capito di essere innamorato di te quando te ne andasti a sedici anni, da quel bacio, ma solo oggi ho il coraggio di dirlo. Ti amo.»
Lo baciai con foga per fargli capire che per me fosse lo stesso.
“E ora come faccio a lasciarti andare?”
«Day, ora devo proprio…»
«Chiamami quando arrivi» dissi con il fiato corto cercando di reprimere il pianto imminente.
«Tutte le sere. Te lo prometto.»
Mi sfiorò ancora le labbra con le sue e poi cominciò ad allontanarsi leggermente continuando a guardarmi.
Jennie, in lacrime, mi affiancò cingendomi le spalle con un braccio. Cercava conforto, e io pure, dovevamo farci forza a vicenda.
Ci voltammo dirette verso l’uscita, ma dopo pochi passi sentimmo bussare sul vetro che separava il gate dal salone in cui ci trovavamo noi, e vidi Harry battere all’impazzata. Quand’era certo di avere la mia piena attenzione, si portò una mano aperta sul petto mimandomi con le labbra la parola “I”, la spostò sul cuore stringendola a pugno, “Love”, e poi la allungò verso di me, “You”.
Ridendo, feci lo stesso e mi baciai le dita della mano destra soffiandoci sopra per mandargli un bacio volante che lui finse di afferrare portandosi di nuovo la mano al petto.
Almeno con quel nostro giochetto infantile era riuscito a strapparmi un sorriso.
«Jen, se ti va stasera possiamo mangiarci una pizza insieme» le proposi raggiunte le nostre auto nel parcheggio.
«Sì, almeno ci facciamo un po’ di compagnia tra di noi. Vieni da me?»
«Va benissimo. Ci sentiamo per l’ora.»
Ci abbracciammo e poi ognuna salì sulla sua macchina in silenzio, l’aria amareggiata all’idea di quei mesi senza di loro.
Dopo essermi assicurata che Alexander fosse ben fissato sul seggiolino, sprofondai sullo schienale guardandolo fisso sospirando.
«Noi ce la faremo. Qualunque cosa succeda noi ce la faremo, è una promessa» dissi pizzicandogli una delle paffute gote prima di mettere in moto e tornare verso casa abbandonandomi ad un pianto silenzioso, centinaia di lacrime sfuggitemi involontariamente dagli occhi che per mesi sarebbero andati avanti senza riflettersi in quel del ragazzo che amavo.

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Capitolo 20
*** 19 - Different Routine ***


La routine era diventata la stessa da quattro mesi: sveglia alle 7 ogni giorno e giù dal letto senza proteste, preparazione della colazione con pancakes e caffè, sveglia e colazione per Alexander e via al lavoro.
«Buongiorno» mi salutò sbadigliando Mel sedendosi al tavolo alle mie spalle.
«Buongiorno! Dormito bene?» Voltai lievemente la testa verso di lei senza, però, staccare gli occhi dalla padella sfregolante sul fornello.
«Ho fatto un sogno pazzesco! Ma te lo racconterò più tardi, ora voglio solo mangiare qualcosa.»
«Sempre la solita… ormai sono la tua cameriera.»
«Esattamente, amica. Vivere qui è come stare in un resort cinque stelle: alloggio in una zona esclusiva di Londra con tanto di cameriera personale che mi prepara pancakes ogni mattina…»
«I migliori pancakes della zona, tesoro» aggiunsi mettendogliene tre nel piatto.
«Non ti elogiare troppo, che questi sono forse l’unica cosa commestibile che ti riesca. La vera cuoca tra le due sono io, cara» disse con aria compiaciuta spalmandosi una cucchiaiata di miele solo su due frittelle calde nel piatto.
«Ancora a dieta?» osservai.
«Mai smessa. Sono quattro mesi che vivo qui, Day, possibile che non ti sia resa conto che, eccetto a colazione, faccio la fame?»
«Scusa, Mel…»
Mi diede un calcetto sotto al tavolo vedendomi rabbuiata. «Ti stai facendo in quattro, il fatto che tu non abbi notato che stiamo facendo entrambe una dieta è irrilevante.»
«Mi stai facendo fare la tua stessa dieta?!» Mi cadde la forchetta di mano.
«Chi è il master chef ai fornelli della baracca?»
«Master chef… addirittura?» Risi.
«Ovvio» fece incrociando le braccia al petto e serrando gli occhi, smorfiosa.
«Almeno si è spiegato il mio improvviso calo di peso! Harry non sarà contento di non potersi più appendere alla mia ciccietta sui fianchi.»
«È un uomo, preferisce un bel culetto sodo e la pancia piatta alle maniglie dell’amore, fidati, e comunque nemmeno prima non ne avevi, stronza.»
Dopo un minuto di silenzio passato a mangiucchiare, Melanie aggiunse «Devi amarlo molto.»
«Più di quanto immagini, e in questi anni non ha fatto altro che crescere sempre più» dissi trovandomi a sorridere e ad arrossire leggermente.
«L’ho sempre saputo.»
Ricambiai il suo amorevole sorriso. «Ora, se non ti dispiace, vado a prendere l’altro amore della mia vita che per quanto mi riguarda ha dormito a sufficienza» annunciai alzandomi dal tavolo e dirigendomi al piano superiore.
Steso sul mio letto, sul lato del materasso abitualmente occupato da Harry, riposava ancora il mio bambino avvolto dalle lenzuola stampate. Cresceva a vista s’occhio sano e forte, e la somiglianza con il padre era così forte da farmi quasi impressione, ma in lui rivedevo molti dei miei atteggiamenti.
Salii sul letto avvicinandomi a lui che aprì immediatamente gli occhi chiari.
«Buongiorno, piccolino.» Sorrisi al bimbo prendendolo tra le braccia. Si lamentò strizzando gli occhioni che poi aprì rivelandomene il grigio delle iridi, e il suo sguardo s’illuminò riconoscendo la sua mamma.
Lo cambiai il più in fretta possibile e lo portai in cucina sedendolo sul seggiolone giallo, le gambette tozze a penzoloni e un’espressione compiaciuta perché già a conoscenza dell’imminente pasto.
«Mel, è un problema se oggi gli dai tu da mangiare?»
«No, per niente!»
«Grazie mille, tesoro, sono di corsa!»
Presi la borsa abbandonata sul tavolo e baciai la testa ricoperta di radi capelli scuri di mio figlio prima di correre fuori in direzione della fermata della metro.
Raggiunsi la caffetteria con appena cinque minuti di ritardo, un dettaglio futile se messo a confronto con la mia quotidiana puntualità, ma a quanto pare ciò non importò a Lois, la mia superiore.
«Sei in ritardo, Gray» fece non sollevando nemmeno lo sguardo dalla macchina del caffè. Il locale fino a quel momento era ancora pressoché vuoto e Fletch, il mio collega, era arrivato prima di me, in due potevano benissimo gestire la situazione nonostante la mia assenza in quei cinque minuti.
«Scusami, Lois, ho avuto di problemi con Alexander stamattina e…»
«Non m’interessano le tue paturnie da ragazza madre, se hai un orario lo devi rispettare. E ora ti do due minuti per cambiarti, uno di più e ne risentirà il tuo stipendio.»
Filai nella stanza sul retro infilandomi alla svelta la maglietta e un berretto con il logo della caffetteria borbottando tra me e me parole di odio rivolte verso di lei chiedendomi perché mai ci trattasse tutti così male (appena la settimana precedente Amy, un’altra ragazza anche lei in servizio lì, aveva rischiato il posto per aver confuso un’ordinazione).
Mi diressi al bancone legandomi in vita il triste grembiule marrone affiancando Fletch intento ad esporre dentro la teca una fila di cupcake appena sfornati.
«Iniziamo bene, eh?» ironizzò rivolgendomi un sorriso.
«Come al solito la principessa ha una parolina di conforto per tutti.»
«Te lo dico io, quella è a bocca asciutta da mesi.»
«Fletch!» Spintonai il ragazzo assumendo l’aria disgustata al solo pensiero di un uomo stretto tra le cosce secche di Lois. «Sei meschino!»
«Ma realista.» Chiuse lo sportello di vetro puntando gli occhi nocciola su di me. «È una donna come te e tante altre là fuori, anche voi dovrete pur soddisfare i vostri appetiti, se no sareste tutte delle stronze come lei.»
«Già, appetiti…» Sospirai pensando alla mia ancora lunga solitudine.
«Perché tu non sei isterica?»
«Come, prego?»
«Se è vero che stai con uno di quella band che fa saltare gli ormoni alle adolescenti mestruate e che ora è da qualche parte per il mondo, dovrebbero essere mesi che non scopi.»
«George Fletcher, non sono cose da chiedersi! Fatti i fattacci tuoi!» dissi fingendo un tono di offesa dirigendomi a prendere le ordinazioni ad un tavolino.
“Però ha ragione, ragazza, anche tu hai dei sani appetiti che dovresti soddisfare…” Scacciai immediatamente quel pensiero, non era il posto né il momento giusto per autocommiserarmi.
Tornai al bancone apprestandomi a preparare un cappuccino e a sistemare su due piattini quadrati in carta una coppia di muffin ai frutti di bosco.
«Ecco a voi, ragazzi. Vi serve altro?» Poggiai il vassoio sul tavolo e passai ai due ragazzi le loro ordinazioni con un accenno di sorriso di circostanza.
«Il tuo numero, bambolina» fece uno di loro lanciandomi un sguardo ammiccante mentre mi afferrava il polso con il quale gli avevo passato il bicchiere di cappuccino pochi secondi prima.
«Mi spiace, non è sul menù.» Mi liberai della sua presa voltandomi stizzita verso il bancone.
«Peccato, ci tenevo proprio ad assaggiare un pezzetto della tua mercanzia.»
Mi diede un’inaspettata pacca sul sedere che m’immobilizzò all’istante. Ne avevo sopportate tante in quei mesi, di umiliazioni soprattutto, ma quella mi fece proprio uscire dai gangheri! Se aveva intenzione di toccare le cameriere doveva andare in un nightclub, nel mio contratto non era implicato che mi facessi occasionalmente palpeggiare dei clienti!
Mi girai con i nervi a fior di pelle intenta a dirgliene quattro quando Fletch mi arrivò alle spalle parlando al posto mio. Conosceva il mio brutto carattere, voleva proteggermi.
«Ehi, lei non è un oggetto. Chiedile scusa» imperò con tono autoritario.
«Oh, scusa, non avevo intenzione di offendere la tua ragazza.» Sollevò le mani fingendo un gesto di resa suscitando l’ilarità del ragazzo con lui. «Ma dovresti insegnarle ad essere meno sensuale, lancia messaggi inappropriati.» Mi strizzò l’occhio.
Dopo di quello non ci vidi più. «Stronzetto che si crede Dio sceso in Terra, quali messaggi lancerei?!» dissi alzando il tono della voce sbattendo i palmi delle mani sul piano del tavolo facendo non solo saltare loro per il mio improvviso scatto, ma suscitando anche una reazione rabbiosa in Lois che, sentendomi sbraitare, piombò nella sala con le mani poggiate sui fianchi.
«Gray!»
«Qualcuno è nei guai.» Sussurrò il ragazzo all’amico rincarando la mia dose di odio nei suoi confronti.
«È legittima difesa!»
«Fareste meglio ad andarvene, ragazzi» li invitò Fletch, e i due si alzarono in direzione della porta.
«Comunque» disse lo spaccone guardandomi dritto negli occhi poco prima di uscire, «bel culetto, bambolina.»
Senza indugiare, Fletch si tirò su le maniche della polo e sferrò un pugno sullo zigomo del ragazzo che poi uscì rapido infierendo contro di lui.
«Fletcher! Sei…»
«Licenziato, lo avevo già capito. Grazie Lois.» Si massaggiò le nocche della mano destra andando verso lo stanzino sul retro adibito a spogliatoio con me dietro.
«Non pensavo fossi in grado di compiere gesti da uomo.»
«Nemmeno io, mi ha distrutto la mano.» Mi guardò dolorante aprendo e chiudendo ripetutamente la mano.
«Ci hai rimesso il posto, mi dispiace…»
«Nessuno dovrebbe permettersi di trattare una donna in quel modo, e non è stato tanto male liberarsi di Lois l’arpia.» Rise sfilandosi il grembiule. «Ti passo a prendere quando hai finito il turno, ci facciamo un giro.»
«Dimentichi che ho un figlio di sei mesi a casa. Non posso e non voglio lasciarlo troppo da solo.»
«Bene, sarà una cosa a tre, e sai che quelle m’intrigano.»
«Punto uno, sei un porco. Punto due, saremo in quattro contando anche Melanie, un’amica.»
«Ancora meglio. Ci vediamo alle 4 p.m., Grupie.» Mi baciò la fronte ed uscì definitivamente dalla caffetteria facendo il saluto militare a Lois.
Vi risparmio la ramanzina che la rossa mi riservò riguardante la mia “cattiva condotta nei confronti dei clienti” e il mio “pessimo temperamento” che mi avevano messa sul filo del rasoio, l’unica cosa che le aveva impedito di licenziarmi fu il suo “buon cuore per la mia situazione difficoltosa” (molto modesta anche lei…).
 
Alla fine del mio turno, uscii legandomi i capelli in uno chignon spettinato in cima alla testa per cercare di proteggermi un pochino dal caldo torrido di agosto e, senza che sentissi i suoi passi, una persona mi coprì gli occhi con le mani.
«Fletch, non sei divertente.» Sbuffai.
«Che noiosa che sei quando fai la seria.» Si lamentò lui facendo scendere le mani dalla mia faccia e dandomi un bacio sulla guancia. «Ti sono mancato?»
«Da morire! Non augurerei a nessuno un turno da solo con Lois» dissi abbracciandolo.
«Ma ora lei non c’è e io devo portare una bella ragazza a spasso per la città. La tua amica?»
«Dobbiamo passare a prenderla. Metro o…»
«Ho una fantastica Ford che ci aspetta.» Sollevò un paio di chiavai davanti ai miei occhi.
Lo guidai fino a casa lasciandolo a bocca aperta quando si rese conto che effettivamente sia per la zona che per la grandezza della villa quella doveva essere l’indirizzo di qualche celebrità e, quindi, che io dovevo esserne la fidanzata.
«Cazzo, ma allora non mentivi dicendo di stare con quello della band!»
«Dubitavi?»
«Certo! Non fraintendermi, tu sei splendida, ma mi chiedevo che ci facesse uno che volendo potrebbe farsi tutte quelle che vuole con una ragazza normalissima, con un pupo per di più.»
«Grazie per aver abbassato la mia autostima a livelli storici…»
«Devi avere delle invidiabili doti nascoste.»
«Non credo proprio… Muovi il culo ed entra, stronzo.»
Dentro casa Melanie era già pronta per uscire, e rimase a bocca aperta nel vedere Fletch. Alexander, seduto sul tappeto con un cubo di plastica colorata tra le mani, sorrise e allungo le braccia verso di me quando mi vide entrare.
«Tesoro, lui è il mio ex collega Fletch. Fletch, la meravigliosa creatura con una camicia azzurra è il mio bambino, l’altra è Melanie.»
«E pensare che mi ero illusa parlassi di me con “meravigliosa creatura con una camicia azzurra”…» disse lei facendomi notare che effettivamente indossava una graziosa blusa color cielo. «Piacere, Melanie» si presentò poi al mio amico con un sorriso ammaliante, ovviamente con l’intento di fare colpo.
“Lo sapevo, non ci è ancora arrivata. La lascerò fare la civetta tutta la sera, sarà bellissimo quando le dirò che ci ha provato con un ragazzo che con una ragazza può soltanto farci shopping o decretare di chi sia il culo più sexy dell’anno.”
Corsi di sopra a cambiarmi e mi presentai al piano terra poco dopo con un vestitino floreale e un paio di sandali decorati, e poi ci recammo in centro città per fare un giro tra i negozi e aperitivo insieme.
Quando si avvicinarono le 9 p.m. cominciai a distaccarmi dai divertenti discori con i miei amici perché in fremito per l’imminente chiamata da Harry. Può sembrare banale, ma in quei tre mesi mi era mancato così tanto che anche una stupida chiamata di una decina di minuti mi bastava per tirarmi su di morale e sentirlo più vicino a me.
«Darcy, metti via quel maledetto telefono! Non è cortese quando si è con altri» mi ammonì il mio amico con fare scherzoso riferito al fatto che stessi guardando per l’ennesima volta il display del cellulare.
«Lascia stare» Melanie prese le mie parti consapevole di quanto quella chiamata fosse importante per me, e anche lui capì. In fondo gli avevo raccontato mille volte di noi due.
Come previsto, il telefono squillò e io corsi via come una ragazzina per parlare con lui da soli (per quanto fosse possibile farlo, con me in centro Londra e lui con sicuramente almeno un ragazzo della band a origliare e fare commenti di cattivo gusto).
«Ehi!»
«Day! Hai visto? Ce l’ho fatta anche stasera.» Lo sentii ridere dall’altro capo del telefono soddisfatto di se stesso.
«Ieri è andata tutto bene? Ti sei ripreso dal calo di voce?»
«Non proprio, ma non se n’è accorto nessuno, urlando hanno coperto le stecche.»
«Allora oggi riposati e fai i fumenti, e vedrai che stasera andrà meglio.»
«Si vede che sei una mamma.»
«Perché?»
«Ti preoccupi per me. Sei dolce.»
«Mi manchi» ammisi rendendomi da subito conto di non averglielo mai detto in mesi di assenza.
«Anche tu. Ma ci vediamo il mese prossimo.»
«Styles, essere fuori casa ti ha fatto dimenticare la matematica? Se siete in tour per sei mesi e ora ne sono passati appena quattro, a me sembra che ce ne siano ancora due prima del tuo ritorno, o sbaglio?»
«No, non sbagli, ma questo non cambia che ci vedremo.»
«Hai sviluppato il teletrasporto?» Risi.
«No, stupida! Quest’anno i VMA sono a Sydney e vorrei che ci fossi anche tu.»
«Harry, è bellissimo, ma…»
«Niente “ma”, voglio che tu ci sia, ho bisogno che tu ci sia. Partirai con Eleanor, e finalmente staremo un po’ insieme.»
Sentii un vociare sommesso in sottofondo, segno che qualcuno gli stesse facendo il verso o comunque lo stava prendendo in giro e poi la voce di Harry discostarsi dal telefono per insultare l’origliatore che se ne andò offeso. «Dicevamo?»
«Che vuoi che venga a Sydney per i VMA. D’accordo, verremo.»
«Davvero?!» La sua voce non mi nascose la gioia.
«Davvero.»
«Scusa, ma devo proprio andare, sai, le prove…»
«Non preoccuparti, è già tanto che mi chiami tutti i giorni!»
«Non vedo l’ora di averti qui, e anche Lex, chissà com’è cresciuto! Ti amo, piccola.»
«Anch’io.»
Attaccai la chiamata e tornai al tavolino degli altri camminando ad almeno dieci centimetri dal suolo e con un sorrisino da ebete stampato in faccia.
«Allora? Che ti ha detto a parte le solite cose mielose che ti sento dire ogni giorno quando ti chiama?» fece quella curiosona di Melanie.
«Melanie! Non dovresti origliare, impicciona!»
«Non stai parlando, Gray» m’invitò a parlare Fletch ancora più curioso di sapere cosa ci eravamo detti di lei.
«Tenetevi forte, ragazzi: a settembre andrò a Sydney per i VMA!»

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Capitolo 21
*** 20 - Aussie Trip (parte prima) ***


«Mamma, hai preso tutto?»
«Si, tesoro. Abbiamo ricontrollato insieme appena cinque minuti fa, ricordi?»
«Sì… Fammi dare solo più un’ultima occhiata» dissi aprendo la lampo del borsone da me preparato accuratamente e cominciando a frugarci dentro.
Quel mio gesto indispettì mia madre che mi prese le mani portando la mia attenzione su di sé. «Darcy, santo cielo! So cosa serve ad un bambino, e penso che se mancasse qualcosa qui dentro io e tuo padre saremo in grado di procurarcelo, non credi?»
«Ma…»
«Niente ma. Hai una decina di giorni di meritata vacanza che ti aspettano, ora pensa solo a goderteli come una qualsiasi ragazza della tua età divertendoti con i tuoi amici e il tuo ragazzo. Te lo meriti.»
«O-okay, forse hai ragione.»
«Forse?!»
«Hai ragione, mamma. Grazie per il favore» dissi stringendola in un abbraccio.
«Grazie a te per farmi passare un po’ di tempo con il mio bellissimo nipotino.» Si voltò verso il box alle nostre spalle sorridendo al bambino che stava rumorosamente giocando con alcuni dei suo giocattoli colorati.
Per me era difficile pensare di passare così tanti giorni senza Alexander, ma l’idea di portare un bambino tanto piccolo a compiere un viaggio così lungo seguito poi da appuntamenti in luoghi pieni di celebrità e paparazzi in ogni dove non mi sembrava affatto una buona idea, così i miei avevano colto la palla al balzo offrendosi per occuparsi di Alexander in quei giorni di vacanza.
Mi avvicinai al box andando a prendere il bambino che al solo vedermi sollevò in alto le braccia paffute. Un sorriso sdentato gl’illuminò il viso.
«Vedi di fare il bravo. Conosco i tuoi nonni e so che con te saranno molto più permissivi di come lo sono stati con me, ma non per questo devi approfittartene facendoti viziare.»
«Mi dispiace, tesoro, ma sul dargli vizi non garantisco nulla» fece mio padre alle mie spalle.
Baciai la testolina di Alexander un’ultima volta. Sospirai profondamente prima di lasciarlo tra le braccia di mio padre.
«Chiamatemi tutti i giorni, non importa il fuso orario diverso. Ho bisogno di vederlo almeno una volta al giorno.»
«Non sarò mai una madre apprensiva, dicevi…» mi fece il verso mia madre guardagnandosi un’occhiataccia. «Ti prometto che lo faremo, ma ora vai.»
Salutai ancora entrambi e mi apprestai ad uscire ignorando il pianto che mi seguì chiudendo la porta d’ingresso.
 
Io ed Eleanor partimmo da Heathrow quella sera stessa. La prima parte del viaggio si concluse a Singapore dove facemmo scalo. Dopo tutte quelle ore di volo fu un vero sollievo rimettere i piedi a terra e fare due passi per sgranchirci le gambe intorpidite passeggiando avanti e indietro dentro all’enorme aeroporto.
Arrivammo al Sydney Kingsford Smith Airport poco prima di pranzo.
«Oh mio Dio! Sia-siamo sul serio arrivate?!» dissi sussultando sentendo l’aereo appoggiare i carrelli a terra con un tonfo.
«La mia schiena ringrazia» fece Eleanor distendendosi sul sedile con un’espressione dolorante.
L’aereo ci mise una decina di minuti a fermarsi completamente, e poi passò una mezz’ora buona tra l’attesa dell’arrivo dei bagagli e gli ultimi controlli dei documenti prima che potessimo uscire dal gate.
Sorpresa delle sorprese: non c’era nessuno ad aspettarci.
«Magari avranno sbagliato uscita» ipotizzò la mia compagna di viaggio quando rimanemmo solo più noi due come unici i passeggeri del volo appena atterrato.
«Oppure hanno trovato traffico» tentai ancora io.
Ci andammo a sedere poco distanti attendendo quanto meno un messaggio per giustificare la loro assenza.
«Signorine.» Una voce bassa e con un forte accento australiano attirò la nostra attenzione verso la fonte, e così ci trovammo entrambe a guardare un alto uomo dai capelli biondi tirati indietro. Indossava un completo che gli dava un’aria distinta ed osservai che avesse un viso gentile e rassicurante. «Siete le signorine Calder e Gray?»
«Sì» disse Eleanor titubante. «Come… fa a saperlo?»
«Ho tirato ad indovinare. Posso vedere dei documenti?» Si avvicinò a noi due abbozzando un sorriso e tese una mano perché gli dessimo quanto richiesto.
Entrambe ci scambiammo un’occhiata perplessa, ma poi frugammo nella borsetta alla ricerca dei portafogli per passare all’uomo i nostri passaporti.
«C’è qualcosa che non va?» domandai poco dopo.
«No, affatto. Seguitemi.»
Ci fece un cenno col capo e noi scattammo in piedi cominciando a camminare dietro di lui. Ci condusse fin davanti ad una porta sorvegliata da un secondo uomo che si scansò quando ci vide arrivare.
«Andate sempre dritte, e quando arrivate in fondo al corridoio troverete un’uscita secondaria davanti alla quale vi aspetta un’auto che vi porterà all’albergo dove vi aspetta la band. Buona permanenza a Sydney, ragazze» spiegò rapidamente aprendo la porta che ci mostrò un lungo corridoio costeggiato da una vetrata sul lato sinistro.
Lui non entrò con noi, ci lasciò da sole in quel luogo completamente deserto e silenzioso. Ci sembrò insolito per essere dentro ad un aeroporto.
«Day, mi è arrivato un messaggio. Aspetta un attimo che cerco il telefono nella borsa, magari è di Lou.» Eleanor si fermò in mezzo al corridoio per rovistare nella borsa alla ricerca del cellulare.
Anche a me arrivò un messaggio, così mi voltai nella direzione opposta a quella della mia amica per appoggiare lo zainetto sopra la valigia alla ricerca del cellulare. Era la compagnia telefonica che mi dava il benvenuto in Australia.
Sbuffando per la scarsa attenzione nei miei confronti da parte del mio ragazzo, rimisi il telefono nello zaino.
«Ricordami di dire ad Harry che…» dissi voltandomi e rimasi sorpresa di non trovarmi Eleanor alle spalle. Era sparita nel nulla. «Ehm… El? Non sei divertente» commentai guardandomi intorno sperando di vederla. Niente, il silenzio più totale.
«Bene, Darcy Gray, noi andiamo alla porta e vedrai che Eleanor salterà fuori» dissi tra me e me cominciando ad avanzare rapida e silenziosa.
Passata un’ampia colonna, sentii un lieve rumore di passi dietro di me. Aumentai il passo ma non servì a molto: fulmineo, il mio inseguitore mi piombò alle spalle stringendomi con un braccio le braccia bloccandomele lungo i fianchi e premendomi una mano sulla bocca soffocando l’urlo che ne fuoriuscì. Ero paralizzata, e non solo da quel inaspettato aggressore ma anche dallo spavento.
«Dove va una così bella ragazza tutta sola? Sei sexy sai, Bird
M’irrigidii alla voce bassa e sussurrata della persona alle mie spalle. Presi coraggio e misi in pratica alcune delle mosse apprese ad un corso di autodifesa fatto alle superiori con Melanie: iniziai pestandogli violentemente un piede con il tallone destro in modo che allentasse la presa sulle mie braccia, poi gomitata nello stomaco ottenendo la libertà e quando mi girai colpendogli la guancia con un violento ceffone mi trovai davanti Harry piegato in due.
«Harry?!» praticamente urlai coprendomi la bocca con le mani. Mi sentii avvampare per l’imbarazzo.
«Buongiorno anche a te, amore» gli uscì in un gemito mentre ancora si teneva una mano premuta sul ventre dolorante.
«Oddio, scusami!» Gli presi il viso tra le mani vedendo il segno delle mie cinque dita tingergli di rosso la guancia abbronzata. «Non pensavo fossi tu!»
«Non pensavo avessi questi riflessi. Forse posso evitare di mandare una scorta a prenderti, karate kid.» Cercò di sorridermi.
Da dietro le sue spalle comparvero Eleanor e Louis. Entrambi ridevano a crepapelle per la scena.
«Day, sei fenomenale!» disse lui venendomi incontro battendo le mani prima di stringermi in un abbraccio.
«Tu lo sapevi?» chiesi rivolta ad Eleanor.
«No, certo che no! Quando mi sono fermata ho visto i ragazzi nascosti dietro una colonna e mi hanno fatto cenno di seguirli senza fare rumore. Volevano fare uno scherzo ad entrambe, ma come sempre li ho beccati.»
«Guastafeste.» Louis fece una smorfia alla fidanzata che ribatté con una linguaccia. «E invece lo scherzo lo hai fatto tu ad Haz» aggiunse rivolgendosi di nuovo a me.
«Sarete stanche, vi accompagniamo in albergo.» Harry prese in una mano il manico della mia valigia e nell’altra la mia mano, e poi tutti e quattro ci dirigemmo verso l’uscita secondaria.
«Ma come hai fatto a non riconoscermi?»
«Sai com’è, mi sei arrivato alle spalle e mi sono spaventata, ho pensato solo a trovare un modo per scappare» mi giustificai.
«Ma se ti ho chiamata Bird!»
«Potevi benissimo essere un rapitore ben informato.»
«Tu e le tue stupide teorie del complotto…»
Aprì la porta davanti a noi lasciando che un caldo fascio di luce investisse tutti e quattro. «Benvenute in Australia, bambine.»
 
Dividevo una suite con Harry, e nel mio primo giorno in Australia vidi solo il letto della camera in cui dormii per quasi tutto il giorno. Dire che dopo il volo fossi distrutta è riduttivo, e da quello che mi disse Eleanor a cena, anche lei non aveva fatto altro che dormire.
Il giorno seguente, invece, Harry si offrì di portarmi in centro a Sydney per farmi scoprire qualcosa in più su quella meta che avevo sempre ritenuto irraggiungibile, e mi sembrò veramente eccezionale l’idea di passeggiare per l’Harbour Bridge e poi di trovarmi ai piedi dell’Opera House, per non parlare del centro della città. Fino a quel momento non avevo mai superato i confini europei, ai miei occhi l’Australia appariva come uscita da un altro mondo.
Mi bastò quella sola giornata da “felice coppietta in vacanza insieme” per recuperare tutti quei mesi di assenza: mi erano mancati il suo sorriso, le sue mani grandi e pesanti, il suo modo di parlare, i baci, … ma non solo le cose romantiche, certo che no! I nostri continui battibecchi su ogni cosa, l’essere l’uno con le idee all’opposto dell’altra, questo mi era sul serio mancato di lui!
«Dove hai detto che andiamo stasera?» urlai dall’interno del bagno sfregandomi i capelli in un asciugamano.
«Una festa sulla spiaggia. Non preoccuparti, una cosa tranquilla, giusto poche persone, però voglio vederti vestita da festa sulla spiaggia.»
«E come dovrebbe essere?» Lo guardai interrogativa mentre passava davanti alla porta aperta.
«Hai mai visto delle ballerine di hula?» Annuii. «Ecco, così.» Sorrise malizioso continuando a camminare.
“Fantastico, dovrò tirare fuori dall’armadio qualcosa di accettabile…” Sbuffai, ma poi mi bastò il pensiero di quella festa in spiaggia a consolarmi: non vedevo l’ora di passare un po’ di tempo con i ragazzi.
 
«Poche persone? Ma che concetto hai della misura, spiega?!» Guardai Harry accigliata dopo essermi accorta che il luogo esatto in cui si teneva la festa: un locale niente male costruito sì sulla spiaggia, ma ben lontano dal mio ideale (con “festa sulla spiaggia” io intendevo un falò in riva al mare, ma a quanto pare le celebrità hanno un’idea un tantino diversa da quella dei comuni mortali).
«Siamo in un posto in cui tra cinque giorni si terranno i VMA e questo vuol dire che in zona è pieno di cantanti famosi o persone di quel calibro. Le voci si spargono…»
«E “una cosa tranquilla” diventa la serata di cui tutti parleranno domattina. L’importante è stare con voi e divertirci.»
«Poco ma sicuro.» Mi prese per la mano ed entrammo insieme.
Il tema era stato rispettato da tutti i presenti, ma con il mio look composto solo da un abito floreale blu cobalto, una collana con fiori bianchi in tessuto e conchiglie comprata in un negozio del centro e un paio di sandali decorati mi sentii veramente fuori posto, soprattutto se paragonata agli abiti bellissimi e appariscenti delle altre donne partecipanti.
Raggiungemmo gli altri ad un tavolo e notai che anche Eleanor era piuttosto semplice con una lunga gonna color cipria alla quale aveva abbinato una cintura decorata con vari fiori dai toni sabbiati, colore presente anche nel pezzo superiore del bikini che indossava (floreale come il mio abito) e la collana hawaiana.
Nonostante il disagio iniziale, vedere di nuovo i ragazzi mi fece quasi esplodere il cuore per la gioia!
Era una festa, una festa piena di VIP e sembrava che la band fosse l’attrazione della serata, quindi non furono poche le occasioni in cui io e Eleanor rimanemmo tra di noi in disparte, e questo ci diede la possibilità di conoscere un gran numero di persone, anche se uno degli incontri più “interessanti” lo feci da sola.
Mi allontanai da Eleanor e da un gruppo di ragazze conosciute lì nel locale per spostarmi al bancone e ordinare l’ennesimo cocktail della serata.
Mentre attendevo il mio turno seduta su uno sgabellino del bar, mi diedi una rapida occhiata intorno alla ricerca di Harry o di almeno uno dei ragazzi visto che si erano praticamente smaterializzati, ma gli unici occhi che riuscii a rintracciare furono quelli di un gruppetto di ragazzi seduti ad un tavolo riservato. Gli sorrisi e poi mi voltai di nuovo verso il bancone in attesa che il barman si accorgesse della mia presenza.
«Sei di nuovo qui?» osservò divertito il barman fermandosi davanti a me.
«Te l’ho detto, ho un arretrato di più di un anno.» Sghignazzai.
«Cosa vuoi provare adesso?»
«Mhm… vediamo un po’…» Mi chinai sulla carta dei cocktail attaccata al pianale in legno del bancone cominciando a scorrerli tutti.
Ero così presa dalla mia ricerca che non diedi minimamente peso alla cameriera che mi aveva affiancata per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
«Lascia stare, signorina “arretrato”, c’è già qualcuno che ha scelto al posto tuo» m’informò il ragazzo mettendomi un bicchiere davanti agli occhi.
«E sarebbe?» Sollevai lo sguardo su di lui.
«Sea breeze. Vodka, succo di mirtilli rossi e pompelmo.»
«Allora alla tua scelta, Barney.» Alzai il bicchiere per brindare a lui e bevvi una lunga sorsata. La vodka si sentiva decisa, scendeva come fosse in fiamme lungo la mia gola, ma quella sensazione era immediatamente sostituita dal gusto acidulo di mirtilli e pompelmo. Fresco e dissetante.
«Non è da parte mia. Ringrazia quelli del tavolo laggiù.» M’indicò qualcuno alle mie spalle, e seguendo le sue indicazioni vidi i ragazzi di poco prima sorridermi, così li ricambiai scuotendo le dita di una mano nella loro direzione mentre prendevo una seconda sorsata del drink.
Poco dopo avergli di nuovo voltato le spalle, mi accorsi di presenza che mi si piazzò accanto appoggiandosi con i gomiti sul piano del banco, ma non ci diedi affatto peso continuando a sorseggiare la bevanda ghiacciata.
«È buono?» mi chiese la voce di quello che a quanto pare sarebbe diventato il mio nuovo interlocutore. Colsi un accenno di sorriso nella sua voce.
«Delizioso, te lo consiglio» risposi volandomi a guardarlo, e mi stupii di trovare al mio fianco uno dei quattro ragazzi del tavolo.
«Ero certo ti piacesse. Guardare questa bellezza con un abito azzurro mi ha fatto pensare al mare, e poi ho pensato a una passeggiata sulla spiaggia con te dopo aver letto il nome del cocktail. Scommetto che saresti bellissima con i capelli scompigliati dalla brezza di stasera.»
Tutt’ora mi chiedo come abbia fatto a stare serio mentre diceva quella serie di frasi squallide da rimorchio, ma lo trovai dannatamente carino, così stetti al gioco.
«E io scommetto ti piacerebbe scoprirlo.» Posai il bicchiere vuoto sul tavolo.
«Mi permetti di offrirtene un altro?»
«C’è l’open bar, puoi stare qui a rifilarmi un bicchiere dopo l’altro tutta la sera se vuoi.» Soffocai una risata.
Scuotendo il capo divertito ordinò un altro giro, ma questo per entrambi.
«Calum» si presentò tendendomi la mano.
«Darcy. Mi piace il tuo nome, è… fuori dal comune.»
«Grazie. Anche a me piace il tuo, un nome bellissimo per una ragazza bellissima, ma tu riusciresti a rendere bellissimo anche il nome… Seraphina.» Buttò lì il primo nome che gli saltò per la testa, e a stento riuscii a trattenere una risata.
«Ah, ma davvero? Pensa che quello è proprio il nome di mia sorella» mentii. Nemmeno ce l’ho una sorella, ma volevo vedere come avrebbe reagito. E infatti andò nel pallone.
«D-davvero? Insomma, non intendevo dire che tua sorella abbia un nome orrendo… scusa, non molto bello. Era un modo per dire che…» Arrossì di colpo per l’imbarazzo.
«Ehi! Ti sto prendendo in giro!» Scoppiai a ridere dandogli una pacca sulla spalla.
«Mi hai impanicato da morire!» Anche lui si abbandonò alle risate. «Però penso davvero che il tuo nome sia bello, adatto per la ragazza più bella della serata.»
«Sei divertente, ragazzino.»
«E chi l’ha detto che sono un ragazzino?» Mi si avvicinò ancora di più leccandosi le labbra carnose.
«I tuoi occhini, e hai l’aria innocente anche se sei piuttosto sexy, te lo concedo.»
«Allora siamo in due ad essere sexy» fece strizzandomi l’occhio destro. «Ti va di ballare?»
Stavo per accettare quando sentii un braccio pesante cingermi le spalle. Calum sgranò gli occhi impallidendo per la sorpresa.
«Ciao, Cal. Vedo che hai conosciuto Darcy, la mia ragazza.»
Sollevai lo sguardo su Harry che aveva il suo fisso negli occhi dell’altro ragazzo.
«Scusami, Harry, non pensavo fosse lei» si giustificò lui. Era davvero dispiaciuto, e anche il riccio se ne accorse addolcendo il tono.
«Non fa niente, non l’avevi mai vista, capita di sbagliare. Day» disse rivolto a me, «vieni, ti presento il resto della band.»
Gli altri tre ragazzi al tavolo si erano spostati e Calum guidò me ed Harry fino su un terrazzo all’aperto dove trovammo chi stavamo cercando, e così feci la conoscenza di tutti i membri del gruppo che per alcuni anni aveva accompagnato i ragazzi per il mondo.
Mentre stavamo chiacchierando uscì anche Niall che, dopo essersi anche lui intrattenuto in nostra compagnia, si scusò con me e chiese ad Harry di seguirlo dentro.
«Va’ pure, tra dieci minuti torno dentro anch’io» lo congedai. Volevo godermi ancora un po’ quella tranquillità che si respirava lì.
Mi diede un bacio sulle labbra e venne trascinato all’interno del locale dal biondo.
Mi soffermai ad osservare rapita l’oceano che si estendeva davanti ai miei occhi. Le onde, illuminate a largo dalla luce della luna, s’infrangevano impetuose l’una sull’altra producendo un borbottio costante che se ascoltato attentamente riusciva a sovrastare la musica e il vociare dei presenti, e concentrandomi intensamente su quel suono sentii un senso di calma farsi largo dentro di me. Non mi sentivo così in pace da molto tempo.
Presi un lungo respiro riempiendomi i polmoni della fresca brezza marina.
«Scusami per prima, Day, davvero non lo sapevo» disse Calum sfruttando un momento in cui rimanemmo soli.
«Tranquillo, fortunatamente Harry non è un fidanzato eccessivamente geloso.» Gli diedi un giocoso buffetto sulla guancia paffuta.
Dentro ad un vaso decorato posto su un grosso piedistallo alla sua sinistra c’era una pianta d’ibisco dalla quale stacco un fiore bianco dal centro rosso.
«Comunque prima ero serio.» Guardò il fiore mentre lo faceva girare tenendo lo stelo tra due dita.
«Riguardo a cosa?»
«Dicendo che penso tu sia la ragazza più bella della serata.»
Con un sorriso, m’infilò lo stelo del fiore dietro l’orecchio fissandolo con attenzione.
Conservo ancora quel fiore tra le pagine di un libro.
 
«Bird, mi spalmi la crema?» chiese gentilmente Harry sollevando la testa dal telo sul quale s’era sdraiato supino.
«Certo.» Me ne spalmai una dose abbondante sulle dita e cominciai a stendergliela con dei movimenti circolari sulla pelle già abbronzata della schiena.
«Perché la chiami Bird?» domandò incuriosito Liam seduto all’ombra di una pianta alle nostre spalle. Con lui c’era Jennie arrivata qualche giorno dopo di Eleanor e me.
«È una lunga e imbarazzante storia. Lasciamo stare» tagliai corto.
Sentii Harry ridere sotto di me prima d’incominciare ad intonare il ritornello di quell’imbarazzante canzoncina che lui e Will avevano inventato in seconda media per prendermi in giro, una stupida filastrocca che comincia con “Darcy is a girl and she has a passion for birds” e poi va avanti. In tutta risposta gli diedi una manata su un punto delle spalle in cui si era bruciato. Gemette, ma almeno la smise di canticchiare.
«Oh! Scusami, amore, mi è scivolata una mano.»
Fece leva sulle braccia tirandosi su e poi mettendosi in piedi. «Anche a me sta per scivolare qualcosa, la mia ragazza dentro l’Oceano Pacifico.»
Prima che potessi aggrapparmi a qualsiasi cosa intorno a me che potesse tenermi ancorata a terra, Harry mi prese tra le braccia cominciando a zompettare sulla sabbia ustionante in direzione dell’acqua.
«No! Harry, no! È pieno di squali!» protestai scalciando e agitandomi come una pazza.
«Nah! Ci sono delle reti di protezione apposta più a largo.»
«E se si fossero rotte?»
 Si fermò sul bagnasciuga guardandomi indifferente. «Beh, hai fatto testamento?»
Riuscii a scivolargli via dalle braccia sfruttando la scivolosità dalla crema sul suo corpo cominciando a correre in direzione della spiaggia, ma la mia corsa fu prontamente arrestata da Niall a poca distanza da me che mi sollevò e, dopo una bella rincorsa dentro l’acqua, mi lanciò in avanti. Nel ricadere in acqua urtai con la spalla la schiena di uno dei ragazzi del gruppo che già da tempo tra le onde.
«Siete dei bastardi, tutti e due» dissi sfregandomi gli occhi dall’acqua salata una volta riemersa. Mi voltai verso il poveraccio che avevo colpito. «Scusami, Mike. Niall ha una pessima mira.»
«Non fa niente, Day, mi hai solo portato via mezza schiena, ma va bene lo stesso» disse sarcastico sollevando al cielo i grandi occhi azzurri. «Come te la cavi con l’apnea?» domandò dal nulla lanciando un’occhiata d’intesa a Luke accanto a lui che sorrise beffardo.
«Perc…» Mi premette la mano sulla testa facendomi di nuovo finire sott’acqua.
Due braccia mi presero per le ascelle tirandomi fuori. «Povera piccola Darcy, tutti che ti buttano sott’acqua solo perché sei bassina.»
Ruotai la testa su Luke alle mie spalle guardandolo torvo. «Ehi! Non sono bassina, mi mancano appena due centimetri al metro e settanta!» protestai. «Poi porta rispetto a quelli più grandi di te.»
«Oh, sei davvero altissima se ti mancano solo due miseri centimetri» disse scoppiando a ridere. «Quindi ci spostiamo dove l’acqua è più alta.»
Cominciò a nuotare più a largo trascinandomi con lui, e poi mi rimise con la testa sotto. Maledii Niall per avermi buttata vicino a quei ragazzi.
«Ragazzi, così me l’annegate.»
Sentii la voce famigliare di Harry e nuotai nella sua direzione aggrappandomi sulla sua schiena.
«Se sei venuto a fare il cavaliere dall’armatura scintillante sappi che sei in ritardo, c’è già metà del Pacifico dentro il mio stomaco.» Tossii e feci ridere tutti i presenti.
«E dai, Day, ci stavamo divertendo.»
«Parla per te, Clifford!» Lo zittii con uno sguardo truce.
«Non giochiamo più a “anneghiamo Darcy”?» domandò Niall.
«Perché non facciamo a chi mette più volte la testa sotto all’irlandese? Comincio io!» Con uno slancio, mi spinsi via da Harry saltando addosso a Niall inabissandolo. Chi si aspettava che si sarebbe stretto al mio polso tirandomi sotto?
Dopo quasi un’ora a mollo a giocare come bambini tornammo, esausti, a stenderci sulla spiaggia con gli altri.
Vi starete sicuramente chiedendo “come fanno due band tanto famose a starsene tranquillamente indisturbate su una spiaggia?”. La vostra domanda è assolutamente sensata, e ora cercherò velocemente di spiegare: se si mettono insieme spiaggette ben nascoste che solo i residenti conoscono con una security ben preparata e numerosa, beh, anche se foste un’anguria in una vasca di uova risultereste invisibili.
Dopo un rapido pasto a base di panini, venni colta da un’incredibile voglia di cioccolato.
«Ehm… australiani, dove posso prendermi qualcosa di dolce? Tipo un gelato o qualcosa del genere» domandai timidamente.
«Ma dove lo metti tutto quel cibo? Sei impressionante!» fece Louis dandomi un colpetto sul ventre.
«Avrò sviluppato una tasca raccogli cibo con la gravidanza.» Feci spallucce e mi rivolsi nuovamente ai quattro ragazzi del posto. «Allora? Dove posso andare?»
«C’è un chiosco poco distante, basta tornare da dove siamo venuti e attraversare la strada. Se vuoi ti ci accompagno» propose Calum con un’alzata di spalle.
«Saresti un tesoro.» Gli sorrisi riconoscente.
Stavo per mettermi in piedi quando sentii una mano stringersi intorno alla mia. Mi voltai incontrando lo sguardo di Harry: mi guardava corrucciato e stinse le labbra probabilmente per trattenere le parole che implicitamente mi stava dicendo.
“E da quando saresti un fidanzato geloso tu?” pensai sfidandolo con gli occhi. La sera precedente sembrava avesse accettato l’equivoco, ma in quel momento mi fece capire che non fosse affatto così. Era più geloso di me di quanto volesse far credere agli altri.
«Lascia stare, Cal, conosco un posto sulla stessa spiaggia, ed è più vicino di quello che dici tu. Vieni, Day, ti ci accompagno.»
Penso che non fossi stata la sola a notare la tensione creatasi, e con quell’invito Ashton salvò la situazione.
Harry lasciò la mia mano e mi fece un cenno verso il ragazzo come a dirmi “con lui sì”.
Mi infilai rapidamente il vestito color cipria e seguii il ragazzo che camminava a pochi passi davanti a me. Dovevamo risalire un sentiero piuttosto ripido e sdrucciolevole per via della sabbia, e infatti mi scivolò un piede e caddi a terra rompendomi una delle infradito. Per fortuna eravamo nascosti tra gli alberi rispetto al resto del gruppo evitando possibili prese in giro da tutti loro.
«Attenta!» Ashton si fermò sentendo il tonfo e scoppiò a ridere in modo buffo. «Come fa una ragazza così piccola a cadere così frequentemente?»
«Equilibrio instabile. Grazie, ma mi tiro in piedi da sola.» Diedi un colpo sulla mano che Ashton mi aveva porto per aiutarmi a rialzarmi. Si accigliò ritirandola.
Continuammo a camminare e lui non mi disse null’altro. Doveva aver capito che il suo precedente commento mi avesse irritata.
Risalita la corta scarpata, mi guidò attraverso la strada fino ad un piccolo chiosco popolato da ragazzi giovani e abbronzati intenti a rinfrescarsi con bibite ghiacciate e gelati.
Non feci commenti sul fatto che la strada fatta con Ashton fosse la stessa descritta prima da Calum, capii da me quale fosse stato il suo intento, ovvero evitare gelosie ulteriori da parte di Harry se fosse stato l’altro ragazzo ad accompagnarmi lì.
Ovviamente alcuni di loro (ragazze per lo più) riconobbero il mio accompagnatore e si fermarono per una foto o un autografo. Delle ragazze riconobbero anche me, e il vederci insieme fece sorgere in loro palesi dubbi: alcune avevano lo sguardo ammiccante di “se c’è anche lei vuol dire che deve esserci Harry in zona”, mentre altre erano più turbate, probabilmente pensavano stessi facendo il doppio gioco.
«Rimaniamo qui per un po’, poi ritorniamo alla spiaggia da un’altra strada. Evitiamo inseguimenti indesiderati» mi sussurrò mentre entrambi ci mangiavamo un gelato seduti ad uno dei tavolini del chiosco. «Come ti sembra l’Australia?» domandò poco dopo.
Ashton non è il tipo di ragazzo che ama i silenzi imbarazzanti, o comunque è quel tipo di persona che non ce la fa proprio a stare zitto e fermo, ha bisogno di trovare un punto d’intesa con chi gli sta intorno.
«Bella, selvaggia, affascinante. Ho solo una domanda: dove li tenete gli ornitorinchi?»
«Ornitorinchi?! Sul serio t’interessano?» Scoppiò a ridere.
«Beh? Ho una fissa per quegli animali. Sono così… graziosi.»
«Sei la prima ragazza che pensa che quei mezzi mammiferi siano graziosi. Comunque ti basta andare lungo le rive dei fiumi, si trovano in quelle zone. O in alternativa in un qualsiasi zoo.»
«Fantastico! So dove costringerò Harry a portarmi.» Gli strizzai l’occhio. «Spero solo che non s’ingelosisca anche per un innocente animaletto.» Soffocai un risolino leccando il gelato.
«In che senso?»
«Nel senso che questo posto sta tirando fuori un lato di lui che ancora non conoscevo. Non dirmi che non hai notato come ha reagito prima che ci allontanassimo.»
«Certo che l’ho notato! Cal ci è rimasto malissimo.» Si alzò dalla sedia e mi fece cenno di seguirlo.
«Non ho capito perché abbia reagito così.»
Arrestò il passo guardandomi con un sopracciglio inarcato. «Perché non lo chiedi a te stessa? Ti piace ottenere qualche attenzione extra, ragazza.»
Dal modo in cui rise capii che la sua affermazione fosse ironica, ma mi sentii ferita nell’orgoglio.
«Stai dicendo che quella ad aver sbagliato sono io?»
«Ho detto solo che non dovresti cedere al primo corteggiamento se hai già un ragazzo. Calma, non volevo offenderti.»
«Beh, l’hai fatto.»
Sbuffò forse seccato dalla mia reazione e continuammo a camminare. Si fermò solo una volta raggiunta la scarpata dove all’andata mi ero inciampata.
«Day, dammi la mano. Ti aiuto a scendere.»
«Ce la faccio benissimo da sola, grazie.»
La ciabatta rotta alla prima caduta si sfondò di nuovo e scivolai in avanti. Ashton fu pronto e riuscì a mantenersi in piedi nonostante mi fossi appena schiantata contro il suo petto, e tenne in piedi entrambi.
«Equilibrio molto instabile.» Mi sorrise beffardo.
«Ammetto che sia stato più difficile di quanto pensassi.» Scrutai ogni centimetro del suo viso da quella posizione proprio sotto di lui: mi ricordava Harry in qualche modo.
Mi allontanò da sé assicurandosi che il punto più ripido fosse già passato. «Forse non dovremo rischiare che qualcuno ti trovi troppo addosso a me, non vorrei rischiare di litigare con un amico per un malinteso» disse riprendendo a camminare lasciandomi di sasso.
Non riuscivo a capirlo quel ragazzo: un minuto prima era carino e premuroso, e quello dopo non faceva altro che irritarmi. Mi faceva a dir poco saltare i nervi.

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Capitolo 22
*** 20 - Aussie Trip (parte seconda) ***


Il suono della sveglia mi riportò indietro dal mondo dei sogni catapultandomi in una realtà che, tutto sommato, non era poi così lontana da un sogno.
Una volta sveglia realizzai che tipo di giornata fosse quella che mi si presentava: erano anni che guardavo i VMA anche a costo di dovermi svegliare nel pieno della notte per la diretta, chi lo avrebbe mai detto che un giorno anch’io avrei avuto la possibilità di assistervi dal vivo?
Mi strinsi maggiormente nell’abbraccio di Harry alle mie spalle. Il suo leggero russare inspirando l’aria col naso mi fece intendere che, al contrario di me, l’inizio improvviso di quella melodia polifonica non l’avesse minimamente turbato.
Mi voltai verso di lui senza però scivolare via dalle sue braccia, e mi soffermai a guardarlo dormire: bisogna ammettere che nessuno di noi sia proprio uno spettacolo di prima mattina, eppure lui con i capelli sparsi scompostamente sulla fronte, le labbra dischiuse e l’aria serena, aveva quel qualcosa in più. A pensarci bene, probabilmente lo pensai per il semplice fatto che lo amassi da impazzire.
«Harry, tesoro, è ora di alzarsi» dissi dandogli un lieve scossone. Strizzò gli occhi senza però aprirli né accennando a muoversi. «Non costringermi ad usare le maniere forti» tentai successivamente facendo discendere una mano dal suo costato fino ai fianchi prendendo a fargli il solletico.
Si rannicchiò avvinghiandosi a me come un boa e finendo con il viso tra i miei seni coperti solamente della maglietta del pigiama.
«Odio quando mi chiami “tesoro”, sembri mia madre» sentenziò con la voce più bassa del solito, ovattata per via del contatto col mio corpo.
«Buongiorno anche a te, amore.» Ridacchiai cominciando a lasciargli delle piccole carezze tra i ricci. Continuava a tenere gli occhi chiusi, era una visione così infantile e famigliare. «Pronto per la giornata di oggi? Ci aspettano grandi progetti.»
«Se con “grandi progetti” intendi dire che dovrò uscire da qui, allora no. Ho altre cose grandi per la testa, e due di queste me le stai sbattendo in faccia.» Sogghignò.
«Definire grandi queste è un parolone.» Abbassai, ridendo, lo sguardo su di lui ancora stretto intorno al mio corpo. «Dai, rockstar, è ora di alzarsi.»
Aumentò la presa su di me come segno di protesta ed emise un grugnito.
«Facciamo così: ora mi lasci andare, ordino la colazione in camera, aspetto che ce la portino su, poi torno nel letto e ti trovo sveglio, seduto composto e con il sorriso su quella tua bella faccia da schiaffi. D’accordo?»
«Doppio bacon per me» fu l’unica cosa che disse lasciandomi definitivamente libera.
Come mi aspettavo sarebbe successo, tornando in camera spingendo il carrello con la colazione mi trovai Harry addormentato in mezzo al materasso, e russava di nuovo.
 
Diedi una seconda passata di eyeliner nero, mi assicurai che il rossetto nude fosse impeccabile e poi guardai il mio riflesso allo specchio: le onde erano venute bene, l’abito stile impero scarlatto dall’accentuato scollo a V comprato qualche giorno prima con Eleanor e Jennie era un incanto, e la cinturina argentata come il retro delle spalline del vestito mi stringeva la vita quel tanto che bastasse per farmi sembrare più magra.
Per la prima volta mi sentii anche io una star pronta a calcare il red carpet.
«Sei pronto?» domandai uscendo dal bagno ritrovandomi nella camera da letto. Harry si stava sistemando la giacca davanti all’altro specchio accanto all’armadio.
«Sì, ho fatto. Sei bellissima» commentò guardandomi attraverso lo specchio.
Mi avvicinai a lui e gli chiusi un paio di bottoni della camicia aperta fino a metà petto.
«Forse è meglio se chiudiamo un po’ questa camicia, non vorrai mostrare troppa mercanzia.»
«E se fosse proprio quello il mio intento?» Scacciò le mie mani per riaprirla come prima.
«Come vuoi.»
Cogliendo la mia stizza, chiuse un bottone in più rispetto a come l’aveva aperta fin dall’inizio. «Abbiamo raggiunto un’intesa?»
«Sì, te lo concedo.»
Scendemmo nella hole dove avevamo appuntamento con gli altri e subito mi spaventai sentendo le urla delle fan provenienti da fuori.
«Dov’è Niall?» chiese Jennie.
«Non ne ho la minima idea, ma è meglio per lui che arrivi in fretta» disse Liam a denti stretti guardando fissa la porta dell’ascensore.
A sorpresa di tutti, lo vedemmo arrivare pochi minuti dopo dall’uscita di emergenza infilandosi la manica destra di una camicia a quadretti rossi e neri sicuramente di una taglia superiore alla sua.
«Ragazzi, venite di sotto!» Il suo tono era affannoso, doveva aver corso parecchio.
«Alla buon’ora!» Louis scattò in piedi battendosi le mani sulle cosce, «Dove cavolo eri?»
«Sono andato ad una festa con gli australiani, ho conosciuto una ragazza e il resto è storia. Mi sono svegliato a casa di Luke con la giacca macchiata, non fate domande» tagliò corto arrossendo lievemente.
«Non ho ancora capito come faccia a fare tanti danni quando beve. Insomma, è irlandese!» sussurrò Louis mettendosi tra Eleanor e me strappandoci un sorriso.
«Ti ho sentito, Tomlinson» ribatté il biondo seccato.
Andammo nel garage con tutta calma, e si alzò un boato tra i fan appena fuori dai cancelli. I ragazzi, cortesemente, si avvicinarono a loro per firmare alcuni autografi e farsi fare qualche foto, ma questo non a tutte bastò…
Mentre noi ragazze aspettavamo più distanti chiacchierando del più e del meno con i 5SOS venuti al nostro albergo in compagnia di Niall, sentimmo un forte rumore di passi, e poi vedemmo arrivare gli altri di corsa.
«Correte!» disse affaticato Liam, quello in testa al gruppo, prendendo Jennie per la mano e dirigendosi verso una delle tre macchine dai vetri oscurati poco più avanti.
Ancora non potevo vedere cosa fosse successo, ma sentendo un forte vociare unito a una serie di passi pesanti capii che alcuni dei fan erano riusciti ad entrare, molti fan, e ora stavano correndo.
Sono una ragazza piuttosto maldestra, lo ammetto, e ormai la gente che mi circonda ha fatto l’abitudine di vedermi inciampare e cadere in qualsiasi cosa, ma continuo a sostenere che quel tacco rotto sia stato una punizione divina.
Ruzzolai a terra scivolando in avanti e, come se non bastasse, mi tagliai un polso strisciandolo contro il paraurti di un’auto vicina a me.
«Oh, porca… Darcy! Ti sei fatta male?» Harry si fermò immediatamente chinandosi su di me per aiutarmi a rialzarmi e quantificare i danni.
«Come sta il vestito?» chiesi senza aprire gli occhi.
«Ehm… il tuo vestito…»
Abbassai lo sguardo fissandolo su quello che un tempo era il mio abito rosso sul quale, ora, spiccava una lunga strisciata nerastra: un misto di pneumatici consumati, olio motore colato e lo sporco accumulato negli anni.
La mia finezza se ne andò letteralmente a farsi fottere, ma vi risparmio la lunga serie di parole poco femminili che mi sfuggirono per la rabbia.
«E-e adesso? Che faccio adesso?!»
«Torniamo di sopra, così ti cambi.»
«Non possiamo, non puoi!»
«Ha ragione, Harry. Non puoi non essere con noi all’ingesso» gli ricordò Liam tornato indietro per vedere se stessi bene. «Ti sei fatta male, Darcy?»
«No, no, sono okay. Sono scarpe e vestito ad aver risentito della mia caduta.»
«Liam, non la lascio venire da sola, non se ne parla!» protestò duramente.
«Te la riporto io, se ti fidi.» Ci voltammo tutti e tre verso la persona che aveva parlato: Ashton. «Tu vai, cercherò di fare il più in fretta possibile.»
Harry si voltò verso di me in cerca di un mio cenno d’assenso.
«Vai. Faremo veloce, vedrai.»
Mi sorrise e mi portò una mano sulla nuca attirandomi più vicina a sé per stamparmi un bacio sulla fronte prima di seguire Liam a bordo delle vetture che partirono rapide.
Da qualche minuto regnava il silenzio del garage. Poco prima che cadessi la sicurezza era riuscita ad intervenire, ma ero certa che la mia catastrofica caduta stesse già impazzando su internet.
Mi sedetti a terra ed aprii i laccetti delle scarpe.
«E tanti saluti al mio outfit studiatissimo.»
«Riuscirai ad essere carina comunque. Vieni, Day.»
Ashton si chinò alla mia altezza prendendomi da sotto le ascelle per aiutarmi a rimettermi in piedi.
Tornammo alla hole dove potemmo prendere l’ascensore e raggiungere il piano dove si trovava la mia suite e, quando vi entrai, lanciai le scarpe rotte in un angolo.
«Vado a fare una doccia. Tu aspetta qui.»
«Una doccia? Siamo di fretta!»
«Ho tutte le gambe sporche.» Sollevai la gonna fin sopra le ginocchia mostrandole macchiate con le stesse sostanze del vestito. «Sarò veloce, prometto.»
E infatti feci piuttosto in fretta, nel giro di cinque minuti mi presentai di nuovo nel salone con il corpo stretto un asciugamano in soffice spugna bianca.
«Visto? Già fatto.»
«Chiedo venia per aver dubitato delle tue capacità.» Sorrise alzandosi dal divano prendendo ad avanzare verso di me. D’istinto mi tirai più in alto l’asciugamano sentendomi improvvisamente vulnerabile e stupida ad essermi presentata a lui così.
«Che fai?!» mi lamentai quando mi prese la mano togliendomela dal “indumento”.
«Ti sei tagliata.»
Diedi una rapida occhiata al polso e mi stupii nel trovare un rivolo di sangue disceso dal taglio. Si portò una mano su una delle tasche posteriori dei jeans prendendo il portafoglio dal quale tirò fuori un cerotto che poi applicò sulla mia ferita.
«Mi stupisci, in genere i ragazzi tengono altro nel portafoglio.»
«Chi ti dice che non abbia anche altro?» disse strizzandomi un occhio. «Hai solo l’asciugamano addosso, vero?»
«Sì, ma sto andando a mettermi qualcosa di più appropriato.»
«Mi piacciono gli asciugamani. E se cadesse?» scherzò con una punta di malizia nella voce.
«E se ti fotti?» fu la mia risposta.
Scoppiò a ridere, ma rimase comunque a guardarmi senza spostare lo sguardo dal mio. Ashton è un ragazzo piuttosto galante, lasciar cadere gli occhi sarebbe stata mancanza di rispetto nei miei confronti.
«Sai cos’altro mi piace?»
«Farmi imbestialire? Lo avevo capito.»
«Anche quello, hai ragione. Mi piacciono le ragazze come te.»
Stava flirtando senza un secondo fine, era una specie di gioco.
«Anche tu mi piaceresti» dissi facendo “camminare” indice e medio sul suo petto assumendo a mia volta un tono da flirt, «ma ho un ragazzo, e devo ammettere che mi piaccia molto» conclusi dandogli un colpetto sotto al mento con una di quelle due dita.
«Con permesso.» Lo superai spostandomi in camera alla ricerca di qualcosa da mettere.
«Continuo a dirlo: ti piace troppo giocare con gli uomini, ragazza» mi urlò dietro con fare di scherno.
 
Nulla. Non c’era niente che potesse andare bene per l’occasione, in più con la caduta mi ero anche procurata due grossi lividi sulle ginocchia e questo mi rendeva inutilizzabile metà del mio guardaroba.
Continuando a rovistare nell’armadio mi capitò tra le mani una semplice gonna bianca in lino lunga fin sotto al ginocchio dal taglio tubolare, decorata sul fondo con un bordo in pizzo avorio. “Semplice ma efficace” pensai.
Essendo a vita alta avrei potuto abbinarci un qualsiasi top colorato, ma pensai di rendere il look più personale. Aprii la parte di armadio impegnata da Harry e vi trovai la camicia blu a cuori bianchi che lui tanto amava e pensai di utilizzarla legandola appena sotto al seno in un grosso nodo lasciando così scoperta una piccola porzione di pelle tra quella e la gonna. Era perfetta.
Ashton fece capolino dalla porta. «Serve una mano?»
«Dovrei essere pronta.»
Legai i capelli in una coda bassa e indossai dei grossi orecchini a cerchio; il trucco era ancora a posto.
«Come sto?» domandai dopo aver chiuso il laccetto intorno alla caviglia degli alti sandali.
«Sei molto carina. Quella non è di Harry?»
«Camicie tanto brutte solo lui le può indossare.» Scoppiai a ridere. «Non gli dispiacerà vedermela addosso.»
«Siete tutte uguali voi donne innamorate.» Scosse il capo.
«Cinico.»
«Può darsi. Ora dobbiamo correre, fidanzata perfetta.»
Avevamo appena messo piede nel grande ascensore quando Ashton esordì con un’imprecazione.
«Che hai?»
«Sono venuto qui in macchina con Niall e gli altri, la stessa che li ha portati via mezz’oretta fa.»
«Concordo su quanto hai detto prima: merda! E ora?»
Dopo un istante di silenzio, vidi un sorriso esplodere sul viso del ragazzo accanto a me che, con uno scatto, mi prese entrambe le spalle nelle mani facendomi fare un salto.
«Ho un cugino che abita poco distante. Ci presterà sicuramente una macchina.»
«Mi fido, ma smettila di fare scatti improvvisi, mi farai prendere un infarto!» Mi portai una mano sul petto sentendo il cuore ancora su di giri per lo spavento.
Usciti da una porta secondaria sul retro, prendemmo un taxi per percorrere più velocemente il breve tratto di strada e, una volta scesi, Ashton cominciò ad avanzare rapido e sicuro di sé incurante del fatto che ad un suo passo ne equivalessero cinque miei da donna munita di vertiginosi trampoli. Ero decisamente più lenta.
«Ma grazie per aspettarmi, Ash…»
Voltandosi, si rese conto che tra noi c’erano circa tre metri di distanza. «Oh! Scusami, Day» disse fermandosi. «Ci siamo quasi, ma se vuoi puoi aspettarmi qui.»
«Ma va! Vengo con te.»
Mi si piazzò alle spalle e con l’indice m’indicò una villetta tinta di giallo sul versante opposto della strada, circa a un centinaio di metri da noi.
«La vedi la casa laggiù? Mio cugino abita lì, e ti garantisco che ci arriverò prima senza avere una tartaruga con dei trampoli ai piedi.» Non mi diede tempo di ribattere che riprese parola, «Arriverò prima di quanto tu possa pensare.»
Lo guardai dirigersi verso la sua meta sedendomi sul muretto della casa alle mie spalle, e quella sosta fu un sollievo per i miei piedi a pezzi.
Mi sfuggì una risata isterica quando lo vidi di ritorno a bordo di un rumoroso motorino.
«Ash, stai scherzando, vero?» Lo indicai mentre apriva il vano sotto al sellino.
«Niente macchina. Deve accontentarsi, signorina» disse passandomi un casco dorato.
«Gonne e motorini non vanno molto d’accordo, non te l’hanno mai detto?»
«Sali!» Mi prese la mano tirandomi più vicina al mezzo.
Sbuffando m’infilai il casco scarlatto e, dopo aver aperto alcuni dei bottoncini sul fronte della gonna e poterla tirare su e sedermi, salii titubante a bordo prendendo le distanze dal suo corpo.
«Ti sembra questo il modo di sederti su un motorino?» Allungò le braccia indietro prendendomi per le cosce nude e tirandomi in modo che il mio corpo si schiantasse contro il suo. La gonna era salita così tanto da coprirmi solo fino a metà coscia. Mi sentii avvampare.
«Dovresti tenerti a me.» Come poco prima, mi prese le mani allacciandosele intorno alla vita. Lo sentii ridere certo di avermi messa completamente a disagio, e poi partì.
Passai metà del viaggio a cercare di tenere la gonna in basso perché, a contatto con l’aria, non faceva che gonfiarsi e minacciava di far vedere a mezza Sydney che tipo di intimo indossassi, e l’altra metà a farmi tirare continuamente da Ashton le braccia intorno al suo corpo.
«Sappi che ti odio!» gli urlai avvicinandomi al suo orecchio mentre sfrecciava per le strade.
«Ti sei avvinghiata troppo a me per odiarmi» mi fece notare. In effetti ero così stretta a lui che visti dall’esterno potevamo sembrare un’unica persona.
«Posso avvinghiarmi ancora un po’, giusto per dimostrarti tutto il mio affetto.» Strinsi maggiormente la presa sulla sua vita affondandogli le unghie nella pelle.
«Troppo stretta, troppo stretta!» si lamentò, e lasciai andare.
Lo vedemmo da lontano il luogo i cui si sarebbero tenuti i VMA quell’anno: si sentivano a metri di distanza gli schiamazzi della folla radunata attorno all’ingresso.
Ashton si fermò davanti ad un parcheggiatore, e non gli servì tirare fuori i pass di entrambi perché ci facessero entrare, gli organizzatori lo riconobbero all’istante.
«Siete in ritardo, ragazzi» ci fece notare una Pr.
Mi stavo passando una mano tra i capelli arruffati quando vidi Ashton abbassarsi lievemente e, senza che potessi chiedergli cosa stesse facendo, mi sentii mancare la terra sotto i piedi ritrovandomi a penzoloni sulla sua spalla.
«Che fai?! Mettimi giù!» imperai sconcertata dal suo gesto.
«Siamo già in ritardo, non voglio perdermi troppo lo spettacolo.»
Avanzò rapido dietro le quinte senza perdere l’equilibrio e mi lasciò scendere solo una volta raggiunto l’ingresso.
Avevo immaginato in modo completamente diverso il mio primo ingresso su un tappeto rosso.
«Scusami, Day.»
«Corri!» Gli presi il polso e ci buttammo all’intero della sala colma di gente.
Lo spettacolo di apertura era già finito, ma questo non c’importò più di tanto: dovevamo trovare il nostro gruppo.
Riuscii a riconoscere Harry tra il pubblico mentre si guardava intorno con sguardo smarrito.
«Là» dicemmo in coro io ed Ashton entrambi indicando lo stesso punto.
Non ci fu particolarmente difficile raggiungerli, e tutti i ragazzi ci fecero applausi ironici accompagnati da battutine poco eleganti.
Presi posto alle spalle di Harry. «Ce l’ho fatta, visto?» dissi allungandomi in avanti facendo scendere le braccia lungo il torace del mio ragazzo che voltò la testa verso di me con un sorriso.
«Non avevo dubbi.» Mi baciò le labbra e poi entrambi ci dedicammo allo spettacolo divertendoci con gli altri riducendo al minimo baci ed effusioni pubbliche.
 
«E poi siamo venuti fino a qui sul motorino di mio cugino Russel. È stato fantastico far imbarazzare Darcy» raccontò Ashton al resto del nostro numeroso gruppo.
Alla fine dei VMA e del after party ci eravamo concessi una birra tutti insieme al piccolo bar presente all’interno dell’albergo dove alloggiavamo.
«Fatemi capire bene» disse Jennie guardando prima Ashton e poi me confusa, «tu l’hai portata qui su un motorino, e lei ha la gonna…»
«L’ho anche portata fino all’arena tenendola a penzoloni su una spalla, bambolina.»
Harry sputò in avanti la sorsata di birra che aveva in bocca scoppiando a ridere come un matto.
«Oh, ma grazie, Styles…» fece ironico Niall dopo la “doccia” che l’amico seduto davanti a lui gli aveva appena regalato. «Scusami, Luke, ti devo una camicia.»
«Te la sei caricata addosso e sei riuscito a farle aprire le gambe in meno tempo di quanto ci abbia messo io? Sei il mio idolo, Ash!» esordì Harry ignorando totalmente Niall e battendo il cinque al ragazzo poco distante di lui, e tutti risero per la battuta del riccio.
«Harry!» lo rimproverai accigliata dandogli uno scappellotto sulla nuca.
«Darcy ha fatto vedere le mutandine a tutta Sydney!» Liam, un po’ più “allegro” del solito, mi cinse le spalle con un braccio e scoppiò a ridere.
«Veramente ho fatto in modo da non farle vedere a nessuno…»
«Non ci sono mai quando dovrei esserci, cazzo!» se ne uscì Mike dal fondo del tavolo.
«Ehi! Le mutandine della mia ragazza le devo vedere solo io!»
«Ragazzi! E basta parlare di mutande!» disse Eleanor, anche lei con le gote arrossate dall’alcol.
«Tu le tue tienile ben nascoste» l’ammonì Louis. In tutta risposta, lei si alzò dalla sedia e fece scendere la spallina del top scoprendo una parte della coppa del reggiseno suscitando gli schiamazzi dal gruppo e una reazione da fidanzato geloso da parte di Louis che le si piazzò alle spalle coprendola con la sua stessa giacca nera.
«Forse è meglio se la porto a dormire… Buonanotte, ragazzi» salutò il gruppo trascinandosi dietro
Eleanor nonostante le sue proteste.
Dopo l’ennesimo sbadiglio, mi alzai dalla sedia decisa ad andare in camera anch’io. «Ragazzi, dopo questa giornata movimentata…»
«E di atti osceni in luogo pubblico» aggiunse Calum facendo scoppiare a ridere Luke davanti a lui.
«Mi ritiro nelle mie stanze» finii dopo aver fulminato il moro con lo sguardo.
«Vengo anch’io, Day.»
Io e Harry salutammo il resto del gruppo e ci avviammo verso la hole.
L’ascensore aveva appena cominciato il suo percorso in salita quando il riccio si volto verso di me comprimendomi tra sé e la parete alle mie spalle cominciando a baciarmi voglioso. Potevo leggere il desiderio nei suoi occhi ora più scuri del solito.
«Adoro come ti sta la mia camicia» disse con voce affannata prendendo il colletto di quella con una mano, «Togliamola.»
La aprì slegando il nodo e cominciò a baciarmi il collo scendendo sulla scapola mentre con una mano mi carezzava la porzione nuda della schiena.
«Harry…» lo fermai in un sussurro sentendo l’ascensore arrestare la sua corsa, e poco dopo le porte aprirsi con tintinnio.
L’atrio era deserto e, nonostante ciò, noi procedemmo verso la nostra suite sì a passo più spedito del solito, ma con nonchalance evitando troppe effusioni, e fu difficile dopo quant’era iniziato poco prima. All’attrazione non si può resistere.
Harry aveva appena chiuso la porta d’ingresso che io gli ero già alle spalle intenta a mordicchiargli il collo, cosa che so lo fa impazzire.
Si voltò verso di me prendendomi il viso nella mano destra per riprendere il bacio interrotto nell’ascensore mentre, con la mano lasciata libera, scese sulla mia coscia.
«Adesso voglio vederle anch’io le famose mutande che hai sbandierato in giro per la città» disse con un bagliore nello sguardo.
Mi allontanai da lui chinandomi per sfilarmele, e poi lasciai che mi scivolassero lungo le gambe mentre avanzavo lenta e ancheggiante verso la camera da letto. Una volta che mi arrivarono alle ginocchia, le sfilai definitivamente lanciandogliele.
«Ora le hai viste.»
Le prese in mano rimanendo a contemplare il pizzo bianco di quei semplici slip.
«Pensavo che osassi di più.»
«Posso farlo, se vuoi.» Strizzai un occhio e lui capii immediatamente le mie intenzioni, infatti si apprestò a raggiungermi e trascinarmi nella camera da letto.

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Capitolo 23
*** 21 – Lullalby ***


La vacanza era finita, ma la settimana di pausa prima dell’inizio del tour in Oceania e nell’estremo Oriente permise ad Harry di prolungarla ritornando a Londra con me.
Tornammo a casa con un aereo privato per accorciare i tempi di volo di almeno un paio di ore oltre che per la nostra comodità personale, ma nonostante la dormita durante il viaggio il fuso orario completamente diverso e la temperatura meno bollente rispetto a quella australiana ci pesarono sulle spalle tanto da farci sentire due pezze da piedi.
Passammo il nostro primo giorno a Londra standocene costantemente stesi a letto sonnecchiando ogni tre per due disponendoci nelle posizioni più disparate o standoci addosso per scaldarci a vicenda. Lasciammo il materasso solo in due occasioni: andare a ritirare le tre pizze consegnateci in tarda notte e per i vari bisogni fisiologici. Stare abbracciati sul letto in una stanza completamente buia nel vano tentativo di guardare un film dopo l’altro era uno dei miei passatempi preferiti.
Una volta tanto c’eravamo solo noi due, il suo mondo era esterno e lontano.
Il giorno successivo non potemmo passarlo oziando, avevamo il dovere di andare a riprenderci il bambino lasciato ai nonni per troppi giorni a mio avviso.
Ognuno di noi conosce i propri genitori meglio di chiunque altro e può riuscire a prevedere le loro reazioni in ogni situazione, eppure non mi sarei mai aspettata che mia madre avrebbe raggiunto una tale euforia nel rivedere Harry dopo tanti anni.
«Oh mio Dio, sei tu!» esclamò trovandoselo davanti alla porta d’ingresso, e mi scansò piuttosto brutalmente per stringere il ragazzo tra le braccia.
Non gli diede nemmeno il tempo di salutarla che lei aveva già cominciato a tastagli e tirargli guance e riccioli complimentandosi per quanto fosse diventato bello, alto, di come ricordasse la madre e per il suo immenso talento.
Harry era totalmente in imbarazzo, non sapeva come comportarsi e lasciò sfogare mia madre mentre io, accanto a lui, ero piegata in due dalle risate.
«Signora Gray, la trovo bene anch’io» rispose cortesemente con le guance ancora lievemente arrossate per i suoi pizzicotti di poco prima e l’imbarazzo.
Lei continuava a fissarlo con un sorrisetto ebete e compiaciuto.
«Ci sono anche io, mamma. Grazie per l’interessamento…»
«Sì, lo so.» Spostò lo sguardo su di me, «Ti sei abbronzata, tesoro.»
«In Australia è primavera adesso, e fa un caldo bestiale!»
«Mi piacerebbe andarci un giorno. Non vorrete fare la muffa qui fuori!» c’invitò ad entrare, e così facemmo.
Trovammo mio padre intento ad apparecchiare il tavolo nella sala da pranzo, e anche lui fu molto contento di rivedere Harry dopo anni. Era bello quel calore, il modo in cui lo accolsero parlandogli nella stessa maniera affettuosa di quand’era un ragazzino, e sorrisi vedendo mio padre dargli una serie di colpetti sulla spalla sinistra. Quella scena era quasi come curiosare nel futuro che avrei voluto per me, per noi.
La serie di vagiti provenienti dal salone principale mi portò in quella stanza dove trovai Alexander seduto sul tappeto davanti alla tv intento a giocare.
«Amore» lo chiamai, e lui rivolse il capino nella mia direzione cominciando a sorridere e gattonare verso di me. Ora il mio quadretto era veramente perfetto. «Mi sei mancato, mi sei mancato da morire, piccolo mio!» dissi prendendolo in braccio cominciando a lasciargli baci ovunque sul viso. Nonostante fossi la sua mamma e non mi vedesse da tempo, l’attenzione del bambino era interamente rivolta verso qualcun’altro alle mie spalle sicuramente più interessante di me.
Non ricordo di averlo mai visto sorridere così, era radioso il mio bambino ritrovandosi davanti quel ragazzo per lui tanto importante e che non vedeva da mesi. Pensavo che non si sarebbe quasi ricordato di lui perché era davvero piccolo quando Harry l’aveva visto l’ultima volta, e invece scoppiò di gioia.
«Ehi, piccoletto!» Il riccio mi si avvicinò ad ampie falcate sfilandomi il bambino dalle braccia sollevandolo verso l’alto facendolo ridere. «Ha sette mesi ora, giusto?»
«Sette compiuti, sì» confermai passandomi una mano sul ventre ricordandomi dei calcetti che percepivo dentro di me quando aveva la stessa età (se così posso definirlo).
«È davvero passato tanto tempo?» Io annuii flebilmente. «Avrei voluto essere più presente…» Abbassò il capo chiaramente demoralizzato prima di mettere il bimbo nel box poco distante da noi ignorando i suoi pianti e lamenti contrariati.
«Volevo evitare che ti sentissi in colpa, perché non ce n’è motivo.» Gli scostai indietro i capelli passandoci una mano in mezzo, «Hai visto? Lui non ti ha nemmeno dimenticato, significa che ti considera importante, che ha bisogno di te.»
«Non ho ancora capito come fai.» Allungò il lato sinistro delle labbra facendo spuntare sulla gota la fossetta più marcata rispetto alla gemella.
«A fare che?»
«A riuscire a tirarmi su di morale sempre e comunque. Forse è per questo che ti considero la mia migliore amica.»
«Solo la tua migliore amica?» Mi avvicinai di più facendo sporgere il labbro inferiore in un finto broncio da cartoni animati.
«Forse anche qualcosina di più.»
Sorridendo fece combaciare le nostre labbra in un tenero bacio fugace, e poi fece sfregare la punta del naso sulla mia strappando un sorriso anche a me.
Morii d’imbarazzo trovandomi mia madre sulla soglia a guardarci con gli occhi sognati, e anche Harry non era da meno, il modo in cui prese a passarsi nervosamente una mano sulla nuca me lo confermò. Scambiarsi effusioni in pubblico è già di per sé imbarazzante, figuriamoci se come unica spettatrice c’è Scarlett Gray!
«Quand’eravate due bambini, Harry, io e tua madre non facevamo altro che fantasticare sul vedervi insieme un giorno. Forse non lo do a vedere, ma sono veramente felice.»
«Credimi, mamma, il modo inquietante in cui ci stai guardando lo fa intendere benissimo. Metti ansia» dissi passandole accanto per tornare nella sala da pranzo. «Immagino fossi venuta a dirci che è pronto il pranzo.»
«Proprio così. Ho preparato tutti piatti italiani. Se non sbaglio adori la cucina italiana, vero ricciolo?»
«Come hai fatto a ricordarlo, Scarlett?»
«Sono una buona seconda madre.» Gli strizzò l’occhio, e lui mi seguì nella sala da pranzo schioccandole un bacio sulla guancia.
Mio padre occupò il suo solito posto a capotavola, e invitò Harry a fare lo stesso dal capo opposto. Non prometteva nulla di buono, tutto conduceva ad un quarto grado al povero ragazzo.
I miei andarono a toccare mille argomenti diversi cercando di cogliere il maggior numero d’informazioni possibili dal nuovo Harry davanti a loro, e notai mia madre sempre più sorridente constatando che non fosse cambiato affatto e che la nostra relazione era rimasta la stessa di anni fa con le sole differenze che ora ci scambiavamo baci meno amichevoli, vivevamo insieme, ci tenevamo la mano camminando per strada e, beh, il letto non veniva più utilizzato soltanto per dormire.
«Cosa pensate di fare?» se ne uscì alla fine del pranzo mio padre.
Notai subito che in realtà la domanda fosse indirizzata più ad Harry che a me, lo fissava con insistenza.
«In che senso, papà?» domandai titubante.
«È vero, siete ancora giovani e tu, Harry, hai una carriera che sta andando a gonfie vele, ma Darcy ha un bambino che è molto affezionato a te e mi sembra di aver capito stiate facendo sul serio. Avete mai pensato al vostro futuro o avete intenzione di vivere alla giornata per il resto della vostra vita?»
Vidi Harry in difficoltà e lo sentii irrigidire la mano stretta nella mia appoggiata sulla tovaglia bianca e ricamata.
Avevamo sempre tirato avanti un passetto alla volta per quanto fosse difficile poiché non sempre riuscivamo a stare insieme, ma ce la stavamo cavando più che bene e a noi bastava così. Cosa voleva che facessimo di più mio padre?
«Papà,» presi parola prima che fosse il ragazzo a farlo, «io e Harry ce la stiamo cavando alla grande, credo… Non ci serve di più per adesso.» Mi voltai verso Harry e gli sorrisi ottenendone uno in ricambio da lui, «Non mi serve di più.»
Ammettere i miei sentimenti davanti ai miei genitori mi fece sentire più innamorata di lui che mai.
«Insomma, ragazzi, senza troppi giri di parole, diteci quello che vogliamo sentire.» Mia madre sembrava impaziente, quasi saltellò sulla sedia. «Quando mangeremo confetti?»
Devo ammettere che non capii subito il senso di quella frase, ma quando lo colsi lasciai cadere la forchetta del dolce nel piatto e mi fissai sul viso di Harry: risi notando che guardava i miei con la bocca aperta.
«Non è un po’… presto, Scarlett?»
«Siete grandi, vi conoscete e vi amate vedo. Un bel matrimonio sar…»
Prima che potesse finire, mi alzai dalla sedia cominciando a fare rumore e a battermi le mani sulle orecchie, una scenata da bambina.
«No, no, no, no! Non voglio neanche sentirla quella parola!» e cantando il ritornello di “Forever Young” corsi in cucina.
Sapete cosa comportò quel gesto? Mi prendono in giro ancora adesso, ma ne valse la pena.
Dopo pranzo rimanemmo ancora qualche ora in compagnia dei miei genitori, e in quel lasso di tempo erano molto frequenti le prese in giro nei confronti di Harry, soprattutto per i capelli ora troppo lunghi, e sentii le tensioni con i miei createsi agli inizi della gravidanza sparire definitivamente. Ero felice.
 
«Quanto è stato imbarazzante per te oggi?» domandai ad Harry durante il viaggio di ritorno, «Perché per me lo è stato, molto, quindi suppongo che tu abbia preferito sotterrarti. Non pensavo ti avrebbero fatto un interrogatorio, e la cosa del matrimonio… Ma da dove gli è saltato in mente! Per non parlare di mia madre! Appena posso la chiamo e…»
«Day! Stai straparlando!»
Ammutolii accorgendomi che, effettivamente, dal momento in cui avevo preso parola non mi ero più fermata. Ogni tanto mi chiedo come faccia a sopportarmi: non sto mai zitta!
«Ricominciamo. Sì, è stato imbarazzante, ma non credere che mia madre non sarebbe stata da meno.»
«In effetti…» Conosco Anne, sarebbe stata anche peggio.
«La cosa più imbarazzante sei stata tu! Ma che scena hai fatto?!» Al ricordo della mia fuga, un ampio sorriso si fece largo sul suo volto.
«Ma se ho salvato entrambi! Non ci potevo credere: i miei che da sempre mi dicono “non sposarti, la convivenza è meglio, così quando sei stufa te ne vai e basta” che si mettono a parlarmi di matrimonio? Avere Alexander a girargli per casa non gli ha fatto bene!»
Scoppiai a ridere e non riuscii più a fermarmi, e lo feci così forte e in modo talmente isterico da non rendermi conto di essere l’unica a farlo.
«Odio la mia risata» dissi quando riuscii a calmarmi un po’.
«Dai, non è così… male.»
«Harry, hai esitato.» Mi misi le mani sui fianchi e inarcai un sopracciglio assumendo un atteggiamento di rimprovero.
«Okay, è terribile, però ha un non so che di interessante.»
«Arrampicati sugli specchi, bravo. A Lex piace vero, amore?» Mi slacciai la cintura di sicurezza in modo da potermi voltare senza problemi e fare il solletico al bambino ben legato sul seggiolino rosso dietro di me. «Lui ama tutto della mamma.»
«Odio quando fai quella vocetta fastidiosa per parlare con lui» disse Harry con una nota di irritazione nella voce.
«Non sto facendo ness…» Mi accorsi che effettivamente avevo assunto la tipica tonalità distorta della voce di quelli che parlano con i bambini, e mi schiarii la voce, «Touché.»
«Lo farai rincoglionire prima o poi.»
«No, è il bambino più bravo e geniale del mondo e resterà tale anche se ogni tanto sua madre si lascia andare.» Feci ancora una faccia buffa al bambino incrociando gli occhi e gonfiando le guance prima di tornare seduta composta.
«Sì, siamo fortunati.»
Avevamo parlato troppo presto…
«Day.»
«Sì, riccio?»
«Davvero pensi che… insomma, che debba tagliare i capelli?»
Mi voltai a guardare il suo profilo: i capelli erano cresciuti di nuovo come li portava anni fa, e ora i bei riccioli scendevano a solleticargli il collo. Gli davano un’aria trasandata non in linea con il suo essere, però stava bene, c’era da ammettere che fosse sexy.
«Ti sei legato al dito le prese in giro di mia madre e me, vero?»
«Mi avete dato della ragazzina!»
Allungai la mano verso il retro del suo collo arrotolando l’indice in una ciocca di capelli mentre col resto della mano gli massaggiavo la pelle. «H, sei molto carino. Contento?»
Allungò il lato sinistro delle labbra in un sorriso beffardo. «Avrei preferito “dio greco”, ma mi accontento.»
«Che deficiente» lo ammonii dandogli uno schiaffetto dove prima lo stavo accarezzando.
 
«Perché piangi, Alexander!» chiesi esasperata continuando a farlo dondolare tra le braccia.
Era notte fonda ed erano due ore che piangeva ininterrottamente, non c’era verso di farlo smettere.
La stanchezza e il mal di testa mi portarono quasi all’esasperazione. «Ti prego, smettila!» esclamai stringendogli le spalle nelle mani e scuotendolo.
«Darcy, cazzo!» esclamò furioso Harry strappandomi il bimbo, «Ti sembra il modo di comportarsi con un bambino? Va’ di sopra, stenditi sul letto, fa’ quello che vuoi, basta che ti dai una regolata!» Mi diede le spalle e s’isolò prendendo il mio posto a dondolare Alexander.
Non ribattei come sono solita fare, ma sbattei entrambi i piedi in terra e mi diressi verso il piano superiore come suggerito e con gli occhi fiammeggiati completamente in collera con lui.
«Arriva dal nulla dopo che se n’è rimasto in disparte nelle ultime due ore e pretende di fare le cose meglio di me. Ma chi si crede di essere quello str…»  Mi rimangiai l’insulto per prendere una serie di profondi respiri e sbollire.
Mi sciacquai il viso con dell’acqua gelida. Non mi era passata per niente, la voglia di rispondergli per le rime era troppa.
«Sentimi bene, signorino “sono il migliore in questa casa”» sbraitai scendendo pesantemente la rampa di scale, «forse avrò perso un attimo la pazienza, ma tu non hai il diritto di dirmi cosa…»
Mi fermai, non potevo continuare ed interromperlo: il pianto di Lex era diventato un brontolio sommesso forse perché troppo rapito dal canto che Harry stava intonando per calmarlo.
S’interruppe e bofonchiò qualcosa che non compresi.
«Cosa?»
«Gli piace la musica» ripeté voltandosi verso di me ma senza alzare lo sguardo da Alexander. «Penso che lo calmi.» Vidi il suo viso mutare come se una scossa lo avesse attraversato. «Vieni qui» m’invitò tendendo un braccio nella mia direzione.
«H, non credo che…»
«Vieni.»
Eseguii e, dopo averlo raggiunto, mi passò il bambino. Titubai davanti all’espressione spaventata di Alexander, spaventata da me, però lo accolsi tra le braccia.
«Canta. La prima cosa che ti viene in mente, basta che tu lo faccia.»
A dirla tutta quella proposta mi lasciò senza parole perché in quel momento riuscivo a pensare solo al fatto che non fossi in grado di cantare. E poi…
«The lights go out and I can't be saved, tides that I tried to swim against…»
Vidi un immenso sorriso esplodere sul viso di Harry, e io feci lo stesso interrompendomi.
«Non smettere. Continua, piccola.»
E mentre io riprendevo a cantare “Clocks”, la nostra canzone, lui spostò il tavolino davanti al divano e anche quello a seguire, poi appoggiò il cellulare su un mobile con quella canzone che suonava a tutto volume.
«Vediamo se apprezza anche altro oltre alla voce della sua mamma» disse prendendomi la mano.
Cominciammo a ballare tutti e tre insieme, e a ridere; anche Alexander sostituì le lacrime al riso, e sentivo il mio cuore esplodere di gioia.
Continuammo a lungo fino a quando il piccolo non crollò stremato dal sonno tra le mie braccia, e noi lo seguimmo poco dopo stesi sul tappeto del salotto sgombro.
Harry mi svegliò poco tempo dopo per darmi un ultimo bacio sulle labbra e stringermi in un lungo e triste abbraccio per salutarmi prima di dover partire per il resto del tour.
Era il momento di ricominciare a dover tirare avanti con le mie sole forze.

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Capitolo 24
*** 22 - Cold Ice ***


Natale: la neve che tinge di bianco i tetti di tutta la città dandogli un’aria un po’ magica, le strade illuminate dalle variopinte decorazioni, le case addobbate come a voler fare a gara a chi ha il giardino più bello del quartiere, la gente che esce dai negozi carica di pacchi colorati e sempre più di corsa, il vento freddo in contrasto con il calore del caminetto costantemente acceso, e quell’anno c’era la novità era un bell’albero minuziosamente addobbato da Harry e me agli inizi di dicembre, e c’era Alexander che gattonava sotto le sue fronde con gli occhi carichi di meraviglia per tutto quello che gli stava capitando intorno.
Era tutto perfetto, sarebbe stato un Natale perfetto completo di cenone a casa Twist e poi tre giorni sugli sci approfittando del soggiorno di mio figlio dal padre.
“Perfetto” era l’unica parola che mi veniva in mente, ma…
«Cosa significa che non sarai qui per domani?!» Mi lasciai cadere pesantemente sul divano.
«C’è una tormenta pazzesca qui a New York, non fanno partire un aereo nemmeno a piangere.»
«Avevi detto che sarebbe stata solo questione di poco. “Cinque giorni e poi sono di nuovo tutto tuo, giuro”» gli feci il verso camuffando la voce per farla somigliare alla sua. «Avevi promesso.»
«Non posso controllare il tempo, Darcy.»
«Potevi benissimo non andare! Gli altri sono rimasti.»
«Questa era una cosa che riguardava me solo.»
«Non cercare di salvarti con scuse stupide, Harry.»
«Okay, se è quello che vuoi sentirmi dire, scusami, la prossima volta lascerò perdere il mio lavoro e starò solo con te. Contenta?»
«Non ti sto chiedendo di ignorare il lavoro per me.»
«Lo stai facendo!»
“Perché riesci sempre a farmi incazzare?” «Sai che ti dico? Non fa nulla. Vorrà dire che starò qui, da sola, ad aspettare buona buona l’arrivo di Babbo Natale in compagnia di Lex. Buon Natale, e vaffanculo.»
Staccai la chiamata e sbattei il telefono con lo schermo completamente crepato per le continue cadute sulla seduta del divano.
«Fanculo! Fanculo! Fanculo! Fanculo!» sbottai prendendomi la testa tra le mani. Guardai Alexander che mi fissava con gli occhi sbarrati. «Scusami, tesoro, la mamma era un po’ arrabbiata. Ti prometto che avremo gente a casa questa sera, festeggerai un bel primo Natale.»
 
«Grazie, Niall, almeno tu sei venuto in mio soccorso. Sono così… arrabbiata con lui!»
«E per questo passeremo la Vigilia insieme.» Niall mi strinse le spalle con un braccio e mi avvicinò a sé in modo che le nostre guance fossero premute l’una contro l’altra.
«Magari tu avevi altri progetti. Scusa…»
«Non avevo nulla da fare oggi, tranquilla, avrei passato una serata fiacca mangiando pollo fritto probabilmente. I miei vengono a trovarmi solo domani, quindi sei tu a fare un favore a me.»
«Lo sto odiando, sai? Di certo mi sta facendo odiare questo Natale.»
«Odi il Natale?! Ecco spiegato quel ciuffetto verde che ti è cresciuto in mezzo ai capelli!»
«Non capisco il tuo umorismo irlandese certe volte, sai?»
«Verde, peloso, odia il Natale… Non ti dice proprio nulla?»
«Che gente frequenti, amico?»
«Il Grinch, idiota!» disse dandomi una lieve spintarella che rischiò di farmi cadere a terra il passeggino.
«Ehi! Non uccidermi il bambino proprio oggi!» dissi scherzosa.
«Non potrei mai, è la nostra mascotte.» Infilò una mano tra l’ampio cappuccio della giacca di Alexander e gli pizzicò una gota arrossata per il freddo. «È gelido. Forse è meglio andare in un posto caldo prima che si prenda qualcosa.»
«Che ne dici di cioccolata bollente e una bella fetta di torta? Conosco un posto splendido a Mayfair» proposi conoscendo la golosità del mio amico irlandese.
«Accetto perché so che in realtà sei tu ad aver fame, conoscendoti…»
«Okay, beccata. Ma come puoi darmi torto? Due ore fa ero troppo arrabbiata con quel conta balle del mio ex ragazzo per mangiare. Sarà un vero peccato informarlo al suo ritorno che non ho più intenzione di vederlo girare per casa nostra, pardon, casa mia» dissi con un’alzata di spalle, e sottolineai per bene l’aggettivo possessivo.
«Ma smettila!» Niall mi diede una manata sulla schiena, e io risposi al gesto cominciando una gara di corsa per le stradine di Regent’s Park.
 
«Starbucks? Mi hai fatto fare chilometri a piedi fino a qui per andare in un cavolo di Starbucks?! Mi prendi per il culo, Gray?»
«È che ci lavora un amico e volevo venire a trovarlo, e poi un po’ di sano esercizio fisico ti fa solo bene, budino.»
«Ma se ho il fisico di un modello!»
Gli infilai le mani sotto a giacca in lana cotta e felpa fino a stringergli con le mani ossute e congelate entrambi i fianchi. Sobbalzò per lo sbalzo di temperatura oltre che per il solletico che gli provocai.
«Ah, tu dici? Non mi sembra che i bonaccioni nelle pubblicità di Armani abbiano questo soffice strato di gasso.»
Mi afferrò i polsi e mi fece scivolare via le mani da sotto gli indumenti. «A mia discolpa dico che è stato messo su a protezione dall’inverno. È tipico di noi irlandesi.»
«Se lo dici tu…»
Entrammo nel locale e io andai diretta al bancone dove ordinai una porzione media di cioccolata calda e un muffin anch’esso al cioccolato, tutto sotto falso nome.
Attesi con Niall seduti ad un tavolino finché non chiamarono le ordinazioni di entrambi che andai a ritirare io.
«Una cioccolata e una caffè lungo per Mon… Darcy?»
«Ehi, Fletch, sorpreso di vedermi qui?»
«In effetti è così. Ci hai rotto tanto le palle dall’arpia perché ti mancava il “tuo ricciolo”, e pensavo fossi con lui a fare la famigliola felice che aspetta Babbo Natale a quest’ora.»
«E invece lui è dall’altra parte dell’Atlantico, e spero abbia almeno un bel mal di pancia per tutte le maledizioni che gli ho lanciato.»
«Mi è mancata la mia vendicativa teen mom. Ti dai da fare con il biondino per colmare il vuoto, vedo.» Indicò col mento Niall che ci guardava dal tavolino con aria interrogativa.
«Siamo buoni amici ed entrambi soli per stanotte. Credo che mangeremo pizza e guarderemo film fino a crollare sul divano.»
«Quindi non è il tuo giochino? Posso passarci sopra io?»
«Fletch!»
«Era solo una domanda a titolo informativo.» Soffocò un risolino malizioso.
«Non credo tu sia il suo tipo. Hai qualcosa in più e altro in meno che non credo siano di suo gradimento, mi spiace.»
«Beh, io ci provo sempre.» Sorrise a Niall e lo salutò con un gesto della mano che lui, imbarazzato, ricambiò.
«Che fai stasera?»
«Mah, nulla di particolare, vado in una bella casa in Spaniard Road a mangiare pizza e guardare film con la mia migliore amica, il suo adorabile moccioso e un biondo dalla sensuale ingenuità.»
«È qui che ti volevo! A stasera, tesoro.» Mi sporsi sul bancone e gli schioccai un bacio sulla gota glabra lasciandogli lo stampo del rossetto, e non mi curai minimamente di pulirlo o avvertirlo.
«Ecco a te, modello di Armani.» Passai a Niall il suo bicchiere fumante.
«Ce n’è voluto di tempo. Ma davvero lavori in una caffetteria? Sei lenta, cameriera!»
«Adoro il tuo sarcasmo. Ah! Hai fatto colpo» dissi ammiccando.
«Sul ragazzo dai capelli neri, vero?»
«Sono blu, e comunque sì. Si chiama George, Fletch per gli amici, e stasera si unirà a noi.»
«Vuoi rendermi vittima di molestie proprio questa notte?»
«Omofobo.»
«Solo un pochino.» Sorrise per farmi intendere che scherzasse e bevve una lunga sorsata dal bicchiere. «Day, ho dimenticato di dirti una cosa.»
«Spara.»
«Ho conosciuto una ragazza» disse con nonchalance.
«E me lo dici così?!» La voce mi uscì un’ottava più in alto del solito per l’eccitazione, «E cosa aspettavi a dirmelo? L’invito a nozze?»
«Ehi, ehi, ehi! Stai correndo un po’ troppo, e poi prima del mio aspetto l’invito al suo matrimonio, signora Styles.»
«Perché siete tutti fissati con la storia di un matrimonio tra di noi ultimamente?»
«Sappiamo tutti che succederà prima o poi. E io voglio essere il primo ad esserne informato, chiaro?»
«Pensi che non ti voglia in prima fila con i lacrimoni agli occhi? Ma cosa stiamo dicendo?! Non ci sarà nessun matrimonio perché la nostra relazione è finita oggi, e poi non ho apprezzato questo tuo pessimo tentativo di sviare il discorso. Avanti, chi è?»
«È per metà italiana. È venuta a stare da alcuni parenti qui e ci siamo conosciuti circa un mese fa.»
«Italiana, eh? Una buona forchetta come te.»
«Molto di più! Ora è tornata dai suoi, ma passeremo il Capodanno insieme, penso.»
«E me la fai conoscere.»
«Sei la pima della lista, Day.»
Era felice, il suo sorriso ne era la prova inconfutabile, e questo voleva dire che la ragazza in questione dovesse essere piuttosto importante per lui.
 
Da “un Natale romantico” a “che quello stronzo se ne stia pure a New York, io sono felice di starmene qui con il mio amico irlandese e mio figlio”, la seratina tranquilla degenerò in “Guinness party, Niall, Fletch e Melanie” venuta di corsa da Liverpool dopo che le avevo raccontato come avremmo passato la serata. Nessuno era ubriaco, s’intente, forse un po’ brilli ma rispettosi del fatto che al piano di sopra ci fosse un bambino teneramente addormentato da Niall che, cullandolo tra le braccia, gli canticchiava “Molly Malone” con me che filmavo tutto dalle sue spalle (certe scene non sono assolutamente da dimenticare).
«Teen mom, volevo provarci con il bel biondino ora che è carico di birra, ma a quanto pare Mel “vengo da Liverpool” lo sta facendo al posto mio.»
«Ma che dici? Sei geloso?»
«Non sto scherzando. Guarda.» Mi fece voltare e in effetti notai che non stesse mentendo.
Ero a conoscenza della cotta “storica” di Melanie nei confronti di Niall nata da quando la obbligavo a guardare con me le puntate in diretta di XFactor nel 2010, e nonostante fosse una ragazza timida sul fronte flirt lo stava proprio facendo, e dall’atteggiamento assunto dal mio amico capii che fosse meglio intervenire. Non che non volessi un ipotetico inizio di relazione tra loro, ma perché proprio quel pomeriggio Niall mi aveva raccontato di aver conosciuto una ragazza e mi era sembrato gli piacesse molto, quindi mi sentivo in dovere di impedirgli di fare una stronzata pochi giorni prima di rivederla.
«Niall, tesoro, non ti sembra che dovresti darci un taglio?» gli sussurrai sopraggiungendogli da dietro. Staccò lo sguardo dagli occhioni di Melanie fissandosi, interrogativo, su di me. «La italiana?» dissi in italiano storpiando completamente la parola, ma gli bastò quell’indizio per illuminare la sua mente annebbiata.
Sospirò. «Mi dispiace, Melanie, sei molto attraente e di buona compagnia, ma hai scelto decisamente il momento sbagliato. Scusami.» Le diede un rapido bacio sulla guancia e si alzò veloce dal divano dove rimase solo la mia amica e il suo sguardo d’odio nei miei confronti, per attaccare il suo cellulare all’impianto stereo. Una serie di tipiche canzoncine natalizie invasero la sala e tutti e quattro scompostamente cominciammo a seguire il ritmo e a giocare.
Chi se la sarebbe aspettata una visita proprio alle 3 del mattino nel giorno di Natale?
«Non aprire, Darcy!» esclamò Fletch, il cuor di leone tra noi, nascondendosi dietro a Niall che, nel frattempo, aveva scollegato il cellulare lasciando che la casa piombasse nel silenzio più totale.
«Sono sicuro sia la polizia, e ho già avuto problemi in passato con loro. Non voglio finire dentro proprio a Natale!»
«Fletch, ricordi che non abbiamo vicini? Non possiamo aver disturbato la quiete pubblica a nessuno, mi sembra.»
«E se fosse un serial killer? O un rapitore?!» diede man forte nel seminare il panico Melanie, «Sono certa sia Niall che vuole, e allora accontentiamolo!» Cominciò a spingerlo verso la porta, ma Niall, più forte di lei, piantò i piedi a terra e non si fece muovere di un centimetro.
«Prima mi provochi e poi mi abbandoni. Grazie, eh!»
«Ragazzi, ma che serial killer! Magari è qualcuno che si è perso o ha deciso di farci uno scherzo.» Cominciai ad avanzare verso la porta. «Sono certa che ora, raggiunto il cancelletto d’ingresso ben sorvegliato da due diverse telecamere non troverò nessuno ad aspettarmi.»
Detto ciò, uscii di casa con solo una maglietta a maniche corte sopra ai leggins e, continuando a guardare i miei tre amici radunati davanti alla porta d’ingresso, aprii il cancelletto per dimostrargli non ci fosse nessuno dall’altra parte.
«Visto? Dimostrato.»
I loro occhi spalancati mi fecero pensare fossi io quella nel torto, e un sonoro schiarirsi di voce alle mie spalle ne fu la conferma.
«Cosa carina organizzare una festa a casa mia senza avvertire, ti pare?»
«Pensavo fossi ancora a New York, che ci restassi ancora domani.» Parlai senza voltarmi, immobilizzata per il freddo e l’incredulità.
«Volevo farti una sorpresa, e invece sei stata tu a farla a me.»
Vidi Fletch rientrare rapido in casa e uscire poco dopo con la giacca in una mano e il braccio di Melanie stretto nell’altra.
«Day, si è fatto tardi, noi andiamo.»
Mi diede un bacio sulla guancia e ignorò le proteste della ragazza, e poi uscirono dal cancelletto dopo un rapido saluto ad occhi bassi anche ad Harry. Solo Niall era rimasto oltre a noi due, forse perché voleva salutare l’amico, o forse perché sentiva che stava per scatenarsi una tempesta.
«Non ti aspettavo e non volevo passare la Vigilia da sola, okay?»
«E allora hai pensato bene di ubriacarti con gli amici e un bambino in casa. Brava.»
«Non sono ubriaca!» sbottai voltandomi verso di lui e dandogli uno spintone che però non lo spostò di molto come speravo. «Solo perché Melanie non regge molto bene l’alcol non vuol dire che per me sia lo stesso!»
«Darcy, per favore, possiamo entrare in casa? Per arrivare qui a quest’ora sono salito sul primo aereo che ho trovato, ho fatto scalo a Mallorca e Francoforte, e poi ho beccato un sacco di turbolenza. Sono stanco e voglio solo andare a letto. Ne riparliamo domani, okay?»
Mi sorpassò e si avvicinò alla porta d’ingresso dove salutò a malapena Niall perché incollerito anche con lui, e poi si voltò verso di me che, invece, non mi ero mossa di un millimetro. Ero ancora ferma con i piedi freddi e bagnati quasi a contatto con la neve e le braccia conserte; tremavo e non sopportavo l’idea che si vedesse.
Sentii che stavano parlando tra di loro, ma da quella distanza non riuscivo a distinguere le parole, però penso che stessero parlando del da farsi e che Harry avesse detto a Niall di non preoccuparsi, che sapeva che cosa fare, e infatti tornò verso di me.
«Day…»
«Non mi toccare!» dissi alzando il tono della voce prima che lui arrivasse ad appoggiarmi una mano sulla spalla. «Non mi toccare…» ripetei voltandomi. Mi guardava dall’alto, gli occhi chiari spalancati perché non si aspettava quella mia reazione, tutta quella rabbia. «Sono incazzata adesso e ne parliamo qui, ora!»
«Per favore, stai esagerando…»
«No, non è vero! Sono stanca di essere messa in secondo piano, stanca del tuo modo di fare egoista, stanca dei tuoi rimproveri. Sono la tua ragazza e ti avevo chiesto un Natale insieme, ti costava tanto sacrificio?!»
Non so per quale ragione mi arrabbiai tanto con lui, forse era solo il continuo reprimere, gli insulti gratuiti che ricevevo dal fandrom forse mi avevano scalfitta più di quanto credessi, magari la depressione post parto mi aveva colpita con quasi un anno di ritardo oppure avevo bevuto più di quanto credessi, potrebbero essere molteplici le cause, ma non aveva senso quella scenata, e Harry fu troppo buono a rimanere impassibile anche a quel mio schiaffo in pieno volto.
«Darcy!» mi rimproverò Niall correndo tra di noi e tenendoci separati con le braccia tese e una mano premuta sul petto di ciascuno di noi, «Ti sembra il caso? Vieni dentro, starai congelando.»
«No, sto bene. Voglio solo parlare.»
«Non mi sembra tu sia semplicemente intenzionata a parlare» continuò con tono freddo, innervosito sia dal mio comportamento inspiegabile sia dal clima esterno.
«Niall, davvero, ne parliamo e poi entriamo. Vai a stenderti, sarai stanco.» Harry sorrise all’amico e lo convinse ad entrare dentro, così potemmo parlare da soli.
Quando tornò con lo sguardo su di me tutta la gentilezza usata nei confronti dell’amico era stata sostituita dal nervosismo per la mia reazione.
«Allora, hai intenzione di comportarti civilmente o vado dentro anch’io e ti verrò a raccogliere congelata domani mattina?»
«Ed ecco che ricomincia a fare lo stronzo…» dissi incrociando le braccia al petto soffiando col naso mentre facevo roteare gli occhi -sono molto brava a fare le scenate melodrammatiche-.
«Tu stai facendo la stronza, è da questa mattina che ti comporti così!» Mi strinse le spalle nelle mani e mi diede un lieve scossone. «Ma che ti prende? Ti ho detto che ho fatto i salti mortali per essere qui per Natale come ti avevo promesso avrei fatto, ho voluto farti una sorpresa. Sono qui adesso, e tu ti sei arrabbiata con me. Grazie per avermi definitivamente rovinato la giornata che già di per sé è stata pesante, anzi, per avermi rovinato anche questa seconda giornata data l’ora.» Mi lasciò andare e si voltò verso il cancelletto dal quale era entrato poco prima.
«Dove vai?» La voce mi tremò perché la rabbia stava sbollendo e cominciavo a rendermi conto di quanto fossi nel torto.
Capirò molti di voi se ora state cominciando ad odiarmi, non sono una persona facile da capire né sopportare.
«Via. Non è quello che vorresti facessi?»
Mossi due passi verso di lui per fermarlo e mettere fine alla lite.
«Harry, aspet…» I piedi completamente indolenziti non erano più pienamente sensibili, quindi non mi accorsi che in realtà non stessi camminando in modo decente ma solo trascinandoli nella neve, e inciampai in una delle rocce messe a segnalare in modo elegante il confine tra il giardino e il tratto i vialetto davanti casa cadendo in ginocchio. Per lo meno riuscii ad aggrapparmi ad un lembo del suo cappotto. «Aspetta, per favore.»
Si voltò sentendosi strattonare e si piegò sulle ginocchia venendo in mio soccorso vedendomi a terra e piena di neve, bagnata dalla neve.
«Ti sei fatta male?! Sei tutta bagnata!»
Lo colsi alla sprovvista abbracciandomi a lui il più stretta che potessi. «Scusami, sono una deficiente, e ho esagerato.»
«Stai tremando.» Aprì il cappotto e cercò di inglobarmi al suo interno, e riuscì a scaldarmi (probabilmente qualsiasi cosa al di sopra del sotto zero mi avrebbe scaldata in quel momento).
«Penso tu abbia ragione, ho bevuto troppo, ma ero così arrabbiata con te!»
«Non fa nulla, se ti è passata va bene. Ora entriamo, sei congelata» osservò passandomi una mano sulla guancia congelata e arrossata.
«Non mi sento più i piedi…»
Senza neanche lasciarmi tentare di alzarmi da sola, mi prese in braccio e mi portò in casa lasciandomi seduta davanti al caminetto ancora acceso, poi mi mise una coperta sulle spalle e si sedette accanto a me. Mi sorrise e poi mi starnutì in faccia.
«Grazie, eh» feci pulendomi il viso con un lembo di coperta. «Non fare rumore, sveglierai Niall!»
Mi premetti l’indice sulle labbra per fargli il segno di abbassare la voce,
«Sono già sveglio» disse l’irlandese facendo sobbalzare entrambi che ci voltammo a guardarlo mentre si alzava dal divano sul quale era seduto. «Vi parlate civilmente ora?»
Il riccio ed io ci guardammo. «Sì, ora è tutto passato.»
«Meglio per voi. Vado a prepararmi del caffè, ne volete?» Entrambi annuimmo. «Mi sono congelato là fuori. Grazie, Day…»
«Non dirlo a me!» gli dissi di rimando mentre si atava allontanando. «Ma ora non ho più freddo.»
Quest’ultima cosa la dissi rivolta ad Harry.
Avevo una voglia matta di baciarlo, ma non sapevo se potessi farlo o meno dopo come mi ero comportata con lui poco tempo prima. Per fortuna capì il mio intento e lo fece per me, e poi lo abbracciai ancora come volessi che il mio corpo si fondesse con suo, perché era lui a scaldarmi.
 
Volete sapere perché nonostante fossi fradicia e in deshabillé non sentissi freddo? La risposta è semplice: febbre che anticipava un’influenza.
Volevo un Natale con i parenti ed ecco che Harry organizzò una cosa rapida a casa nostra solo noi, i nostri genitori e i nonni.
Fu comunque un bel primo Natale per Alexander, certo, cominciato veramente male, ma per come si svolse alla fine non avrei potuto desiderare nulla di meglio.
 

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Capitolo 25
*** 23 – No Way ***


Entrai in cucina, la stanza a pianterreno più silenziosa in quel momento, e vi entrai perché tra tutte le cose che dovevo fare inserite sulla mia lista c’era anche il bisogno di un po’ di quiete da quella giornata gioiosa e chiassosa fatta di bimbi con le loro mamme conosciute all’asilo nido, rumorosi bambinoni troppo cresciuti, nonni eccitati e pacchetti colorati. I preparativi per la festa erano iniziati giorni prima, e dopo corse all’ultimo minuto per comprare alcune cose dimenticate e il forno in continua funzione era finalmente giunto il momento di tirar fuori dal frigorifero anche la torta di compleanno, la prima per Alexander.
Mi appoggiai con le mani al piano del tavolo e presi un lungo sospiro strofinandomi il viso con le mani. Dovevo avere un’aria terribilmente stanca.
Mi voltai a guardare quella scena in movimento davanti ai miei occhi: tutte quelle interazioni e quegli scambi di parole erano così normali, e quella parola, “normale”, non era stata proprio frequente negli ultimi mesi. Non impari ad apprezzare la normalità fino a quando non ne sei privo.
Dopo il litigio di Natale Harry si era addossato un sacco di colpe che non gli appartenevano, si era chiuso in se stesso sentendo di averci trascurati e quindi aveva voluto che lasciassi il lavoro e lo seguissi in giro per il mondo, cosa che avevo fatto ed era stata, per quanto bellissima e illuminate, un’esperienza fatta di stress e spostamenti frequenti.
Tutto mi stava facendo riflettere su quanto mi si stesse tessendo intorno; ero dilaniata da una lotta interiore tra ragione e amore, tra presente e futuro.
Presi la torta e la spostai sul tavolo, tolsi dalla confezione la decorata candelina a forma di numero 1 e la piazzai sopra la scritta “Alexander” fatta con un sottile filamento di glassa al cioccolato. Stavo cercando l’accendino in uno dei cassetti della credenza quando sentii dei passi raggiungermi.
«Hai organizzato una bella festa.»
«Ce la metto tutta, Jay. Grazie per essere venuto.»
«Grazie a te per l’invito al compleanno di nostro figlio» disse sorridendo andando verso la finestra e spalancandola. Tirò fuori dalla tasca sinistra dei jeans il pacchetto di Chesterfield blu e, portandosene una alle labbra, me lo sporse. «Fumi ancora?»
Ci riflettei un attimo prima di raggiungerlo e sfilarne una. «Occasionalmente sì.»
Rimanemmo in silenzio uno accanto all’altra fino a quando non fu di nuovo lui a prendere parola.
«Sei felice, Darcy?»
«Che domanda è?» Risi spirando una boccata di fumo.
«Una come un’altra.»
«Con Harry è tutto fantastico, lui è una bellissima persona e si è preso cura di me da quando ci siamo rincontrati tempo fa. Sta crescendo Alexander che si è molto affezionato a lui e io lo amo come non ho amato mai nessun altro. Scusami, Jason.»
«Non devi scusarti, ne abbiamo già parlato: abbiamo fatto scelte diverse, è giusto sia andata così.» Spense la sigaretta in un bicchiere per metà riempito d’acqua che avevo messo a nostra disposizione come posacenere fittizio, e dopo un’ultima spirata feci lo stesso.
«Sì, è giusto così.»
Mi si avvicinò e mi accarezzò una guancia sistemandomi i capelli dietro l’orecchio. «Se allora ci avessi pensato meglio e avessi saputo che sarebbe andata così ti avrei tenuta stretta a me, vi avrei dato ogni cosa.»
«Jay, stai facendo tutto quello che puoi e nostro figlio sta bene, è felice di passare del tempo con suo padre ogni tanto.»
Indietreggiai di un passo per contrastare l’avvicinamento del ragazzo a me.
«Anche a me piace stare con lui, è la cosa migliore che abbia fatto in vita mia, e poi ogni volta che lo vedo significa che passerò il weekend anche con te.»
Mi si fece ancora più vicino, ma quella volta io rimasi ferma. Conoscevo quello sguardo, i suoi occhi freddi mi guardavano come agli inizi della nostra relazione, e dentro di me sapevo che ciò che avrebbe conseguito quell’avvicinamento sarebbe stato un incontro tra le nostre labbra.
Era quello che volevo?
«È bello rivedere tutti voi ogni tanto, e stare con te è sempre un ritorno al passato. Staccare di tanto in tanto la spina è una bella sensazione.»
Continuando ad accarezzarmi la guancia, attirò il mio viso più vicino al suo; eravamo ad un soffio l’uno dall’altra. «Non hai risposto alla mia domanda iniziale, Darcy. Sei felice?»
Stava per succedere, le nostre labbra stavano per sfiorarsi e io non stavo facendo nulla per impedirlo.
“È questo che la vita ha in serbo per me? L’uomo che si era preso gioco di me, che mi aveva tratta male, diffamata e fatto a botte con Harry, il mio Harry, arriva qui come se non fosse successo nulla in questi anni e gliela do vinta così?” diceva la parte razionale di me, il cervello. “In fondo sarebbe solo un bacio, quell’ultimo bacio che ti ha negato mandandoti via. Segnerebbe la fine di quanto c’è stato tra di voi” diceva invece il cuore. Che cosa dovevo fare?
«Darcy, ti stava…»
Sia io che Jason distogliemmo le sguardo per fissarlo sulla porta, su Louis che ci guardava stranito, gli occhi spalancati di chi ha visto cosa non avrebbe voluto vedere.
«Ti sta cercando tua madre.»
«S-sì, accendo la candelina e torno di là» dissi andando verso il tavolo. «Jay, mi presti l’accendino?»
Dopo avermelo dato tornò silenzioso nel salotto passando accanto a Louis che fulminò prima lui con lo sguardo e poi si fissò su di me con ancor più disappunto.
«Day, ma che cosa…»
«Non fare domande e non dire niente, okay? Non è successo nulla e Harry non dovrà mai venirlo a sapere, chiaro?» Presi la torta in mano e mi avviai verso il salotto. Il ragazzo mi fermò delicatamente per un braccio e io sbottai dimenandomi. «Per favore, ora non è il momento. Ne riparleremo poi.»
Mi lasciò e raggiunsi gli altri con un sorriso in volto, e tutti applaudirono senza accorgersi che avessi le lacrime prossime a sfuggirmi.
Appoggiai la torta sul tavolo della sala da pranzo e feci sedere Alexander lì davanti in modo che tutti gli cantassero “Tanti auguri a te”, poi io ed Harry, alle sue spalle, spegnemmo la candelina al posto suo e tagliai la torta.
Sentii lo stomaco torcersi su se stesso quando Harry, abbracciandomi alle spalle, mi sussurrò all’orecchio di amarmi.
 
«Grazie per l’invito, Darcy. Tu ed Harry siete persone meravigliose.»
«Grazie a te per essere venuta, Amy» dissi abbracciando la giovane donna sulla porta d’ingresso, «e buonanotte a te, piccola Susan.» Accarezzai il capo della bambina assopita in braccio alla madre per congedarle prima di tornare in casa.
Erano rimaste solo poche persone tra cui Anne, i miei genitori e Jason prossimo ad andarsene.
Dopo essersi infilato la giacca, si avvicinò ad Harry, gli tese la mano e in modo impacciato gliela strinse con un accenno di sorriso che il riccio ricambiò. C’era una tensione incredibile tra loro due: da un lato c’era Jason che per lui provava un misto di timore e risentimento, e poi c’era Harry che non aveva dimenticato la lite finita in rissa né l’odio che provava per la persona che mi aveva lasciata sola. Se non gli sputava in faccia era solo per me e Alexander.
«Ah, Day, mia madre mi ha dato alcuni miei vecchi vestiti e ne ha comprati di nuovi per Lex, solo che li ho dimenticati in macchina. Ti spiace accompagnarmi a prenderli?»
«Non c’è problema.»
Lo seguii silenziosa verso la porta, e in silenzio arrivai anche alla sua auto. Aprì il portellone del portabagagli e ne estrasse la busta di carta di un comune Primark.
«Ci sono dei maglioni, scarpe e cose del genere. Spero vadano bene.»
«Sicuramente. Ringraziala.» Prendendogli la borsa dalla mano le nostre dita si sfiorarono e per un instante sentii una scossa. La ignorai e mi voltai per andarmene.
«Ehm… io ora devo… Vado dentro.»
Stavo già camminando quando mi fermò prendendomi la mano per tirarmi indietro e chiudermi tra il suo corpo e la Mercedes cromata alle mie spalle.
«Darcy, aspetta.»
Rimanemmo occhi negli occhi per un minuto che parve durare ore prima che si accanisse su di me in quel bacio interrotto in cucina nel pomeriggio. Ricambiai con i aspettata foga sentendomi del tutto incapace di oppormi. Non sapevo nemmeno io cosa volessi fare.
«Buonanotte» mi sussurrò ancora sulle labbra.
«‘Notte.» Mi scostai da lui e corsi in casa.
“Cos’ho fatto!”
 
Non riuscii a chiudere occhio quella notte, mi sentivo terribilmente in colpa nei confronti di Harry perché lo amavo così tanto e lui mi trattava come una regina, lo sguardo che riservava a me non lo aveva rivolto mai a nessun’altra, e nemmeno fare l’amore con lui quella notte servì a lavare via quel senso di rammarico.
Quel bacio non mi aveva lasciato nulla se non la confusione più totale. Non avevo sentito assolutamente nulla perché io per quel ragazzo non provavo più niente, le sue labbra non erano come quelle di Harry, le sensazioni, il calore, nulla di lui mi diceva qualcosa semplicemente perché lui non era Harry.
Ma perché mi sentivo così… confusa?
L’indomani mi sarei dovuta vedere con Louis, noi due soli, per parlare di quanto avesse visto.
«Per cena sarò a casa, così usciamo insieme come promesso. Per qualsiasi cosa dirà il pediatra tu chiamami.»
«Fai con calma, tanto conoscendo te e Lou so che ci metterete più tempo di quanto ce ne metterò io. Se vuoi, vi raggiungiamo quando abbiamo finito.»
«Meglio di no, deve parlarmi di qualcosa che riguarda Eleanor e per telefono mi sembrava un po’ agitato. Sai com’è fatto Louis» vagheggiai.
«Un paranoico. Ci vediamo a casa, allora.»
«A dopo. Chiedi se è normale che non parli ancora, mi raccomando.»
«Vado per quello, lo sai. Ti amo.» Mi baciò prima che uscissi.
«Ti amo» dissi baciandolo a mia volta.
Mi apprestai a raggiungere Louis in un bar poco frequentato a Soho e lo trovai già dentro con una tazza fumante di caffè americano tra le mani. Se c’è una cosa che ho imparato su di lui in tutto il tempo che ho avuto per conoscerlo e che se sta bevendo del caffè prima di un discorso è perché la cosa lo preoccupa, o è nervoso. Quel caffè era doppio, non prometteva bene.
«Ciao, Lou.»
«Siediti.»
Né un “ciao”, un “ehi!” o un semplice sorriso gli sfuggì dalle labbra. Era preoccupato, e molto.
«Come siamo seri, Mr. Tomlinson.»
«Non sono in vena di scherzi oggi, Darcy. Voglio sapere la verità.»
Esitai. «V-verità? Non ho nulla da dire.»
«So cos’ho visto.» Gli occhi freddi di Louis mi parvero racchiudere il gelo artico e un brivido mi corse lungo la colonna vertebrale. Avrei voluto essere rigida quanto lui, ma stavo andando in pezzi e sentivo che prima o poi avrei definitivamente ceduto.
«Puoi fingere di non aver visto niente, perché è quanto è successo: niente.»
Sospirò e vidi la sua appuntita mascella irrigidirsi. «Non vorrei essere brutale con te, ma non mi faccio prendere per il culo. Spiegami che sta succedendo.»
«Lo-Louis, io…»
«Sei innamorata di lui? Perché lo hai baciato?»
«Non l’ho baciato!» sbottai, e una coppia ad un tavolo di distanza da noi si voltò a guardarci. «Non lì e… e io non so cosa volessi fare, ma lui era lì, mi ha attirata a sé e non ho capito più nulla, e poi… io…»
Iniziai ad annaspare mentre le lacrime mi rigavano senza sosta le guance. Mi mancava l’aria e la testa mi divenne di colpo leggera per colpa di quella crisi di panico, la prima dopo tanto tempo.
«Oh, merda! Darcy!»
Louis si alzò fulmineo dalla sedia e mi trascinò fuori mettendomi un braccio intorno alle spalle. Avevamo gli occhi di tutti puntati addosso.
Mi fece sedere sul davanzale della vetrina e mi slacciò i bottoni della camicia di jeans lasciandomi con solo la canottiera sottostante in modo che potessi respirare meglio.
«Respira. Va tutto bene, ci sono qui io con te» continuava a ripetermi.
Ci vollero circa cinque minuti buoni perché riprendessi a respirare correttamente, cinque eterni minuti in cui una folla di curiosi e finti preoccupati si radunarono intorno a noi incrementando il mio stato d’ansia. Posso solo ringraziare Louis se non mi abbiano letteralmente assalita chiudendosi in cerchio intorno a me tenendo la situazione perfettamente sotto al suo controllo.
«Stai meglio ora?» Annuii. «Ti aiuto ad alzarti, meglio dentro che con questi avvoltoi intorno.»
«Grazie» dissi in un sussurro.
«Ho avuto a che fare con la claustrofobia, so cosa fare in questi casi. Non ringraziarmi.»
Mi venne portato un bicchiere di acqua zuccherata ottimo per riprendersi da un calo di zuccheri, e un cameriere si occupò personalmente di disperdere la piccola folla creatasi fuori dal locale.
«Non è come pensi, Lou.» Mi guardò interrogativo, e allora ripresi il filo del discorso. «Non provo nulla per Jason, quel bacio ne è stata la prova. Quando sei entrato in cucina ieri hai evitato che accadesse in casa dove chiunque, Harry incluso, avrebbe potuto vederci insieme, ma poi lui mi ha baciata fuori casa facendomi uscire da sola con una scusa del cazzo e…. Mi sento così in colpa…»
Al mio abbassare gli occhi al pavimento ne conseguì che con la mano strinse la mia sul tavolo in un gesto rassicurante.
«L’unica cosa che mi viene da chiederti in questo momento è se sei ancora innamorata di Harry?»
«Con tutta me stessa. I miei sentimenti per lui vanno solo rafforzandosi col passare del tempo, però…»
«Puoi fidarti di me, Day, sai che non gli dirò nulla. Cosa c’è che non va?»
Gli rivelai tutto: il mio stato d’ansia, i timori, tutto ciò che avevo vissuto andando in tour con loro, la confusione che mi faceva dormire male da diverse notti, … Ogni cosa, anche il minimo dei dettagli, mi sfuggì di bocca e mi sentii finalmente liberata da un peso enorme.
«Purtroppo non posso aiutarti, Darcy. Posso solo immaginare quanto sia difficile da gestire questa situazione, nel giro di poco tempo è diventata pesante per una persona fragile come te. Ti dico solo questo: qualunque cosa tu decida di fare, sappi che io sono dalla tua parte» disse sporgendosi sul tavolo per darmi un bacio sulla fronte.
«Grazie.»

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Capitolo 26
*** 24 - Escaper ***


«Di che avete parlato oggi tu e Louis?» chiese incuriosito Harry a metà della cena.
«Nulla di che, ci siamo presi un caffè e abbiamo chiacchierato in generale» risposi senza pensarci troppo infilandomi rapida uno dei california roll tra le labbra. Ad uscire con lui ero diventata un asso con sushi e bacchette.
«E di Eleanor? Ne avete parlato?»
«Uhm… sì, ovviamente. Le cose vanno alla grande, mi ha solo fatto vedere alcuni posti in cui pensava di portarla in vacanza per distrarla un po’ dal lavoro. È parecchio sotto stress ultimamente» inventai cercando di essere il più convincente possibile.
Rimase un attimo immobile a fissare il piatto, poi sospirò. «Quindi vi siete visti per parlare delle loro vacanze, perché tra loro due è tutto a posto?»
«Beh sì, se no che bisogno ci sarebbe di andarsene insieme? Stanno alla grande come sempre.»
Cambiò del tutto espressione, si stava innervosendo. «Darcy, quando la smetterai di dirmi cazzate?»
«C-cosa? Ma di che stai parlando, Harry?»
«Di te e del fatto che non fai altro che dirmi stronzate nell’ultimo periodo. Davvero Louis vuole portare Eleanor in vacanza?»
«È quello di cui abbiamo parlato, sì.»
«Quindi offrirebbe dal nulla una vacanza alla ragazza che circa due settimane fa lo ha lasciato perché lo ha beccato con un’altra e adesso è sparita dalla circolazione?»
Rimasi di sasso, non avevo parole né in mia difesa né riguardo al fatto che loro avessero rotto e nessuno dei due mi avesse fatto sapere nulla. Pensavo che Eleanor fosse a Manchester per via del nuovo lavoro, non per… questo.
Spostai lo sguardo altrove per evitare di guardarlo in faccia. Mi aveva scoperta, non aveva alcun senso insistere con una bugia senza sbocchi.
«Cosa sta succedendo? Cosa ti sta succedendo nell’ultimo periodo?»
«Niente» risposi con semplicità continuando a non guardarlo, «Non sta succedendo niente…»
«Sono stanco di tutte queste cose non dette, cazzo! Mi vuoi spiegare cosa ti prende?!» Mantenne un tono di voce pacato ma batté un pugno sul piano del tavolo, gesto che tradì la sua apparente calma e fece sì che tutti si voltassero a guardarci. Il silenzio piombò sulla sala.
Tolsi il tovagliolo dalle ginocchia per spostarla accanto al piatto e mi alzai in piedi. «Devo uscire.»
«Darcy, siediti. Dobbiamo parlarne ora.»
«Ho bisogno di prendere una boccata d’aria, da sola» quasi ruggii a pochi centimetri dal suo viso.
Mi alzai rapida dal tavolo e mi avviai a passo spedito verso il dehor del locale. Mi accesi una sigaretta ed aspirai a lungo finché non sentii i polmoni al limite.
Avevo spirato la prima nube di fumo quando Harry mi raggiunse e rimase di sasso nel sorprendermi con una sigaretta tra le dita.
«Ti sei messa anche a fumare adesso? Santo Dio, hai deciso di tagliarmi del tutto fuori dalla tua vita?!» Me la sfilò per gettarla a terra e spegnerla col piede.
Lo guardai furente, ma misi da parte l’accaduto.
«Volevi parlare, no? Allora dimmi, che c’è?»
Rise sarcasticamente. «È quello che dovresti spiegare tu a me, non credi?»
«È che… non lo so, è complicato.»
«Fino a lì c’ero arrivato anche io, ma continui a non darmi modo di capire.»
«È perché non puoi farlo.» Mi voltai e feci due passi in direzione dell’ingresso del ristorante.
Mi si spostò davanti e mi fece indietreggiare fino alla parete alla mia destra premendomi le braccia sulle spalle. Era come fossi chiusa in una sorta di prigione e la chiave per la libertà mi sarebbe costata perdere colui che la libertà me l’aveva regalata fino a quel momento; la chiave era la verità.
«Harry, io…» Abbassai lo sguardo sulla punta delle scarpe. Ecco una cosa che facevo da quand’ero bambina: nel momenti di sconforto mi fissavo i piedi, come se le risposte fossero scritte lì sopra.
«Guardami» imperò prendendomi con gentilezza il mento per sollevarmi il viso.
Balbettai la parola “io” ancora una paio di volte prima di riuscire a sputar fuori «Non sono più sicura che questa sia la vita che voglio per mio figlio e per me.»
Lo vidi sgranare gli occhi sorpreso e poi un bagliore di tristezza velò il suo sguardo. Allentò la presa sul mio corpo lasciandosi ricadere le braccia lungo i fianchi e fu allora che riuscii a sgusciare via da lui. Sentivo le lacrime salirmi agli occhi.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto, Harry. D-devo andare a casa adesso, devo…»
Mi sentii come quello stesso pomeriggio con Louis, con il fiato corto ed i pensieri annebbiati, completamente persa.
Corsi dentro il locale e raggiunsi rapida la strada. Vidi un taxi arrivare e mi buttai praticamente in mezzo alla carreggiata per farlo fermare con un inchiodata tale da fargli stridere i fremi. Ignorai le proteste dell’uomo al volante una volta salita nell’abitacolo, ed evitai anche di guardare Harry mentre picchiava sul finestrino ordinandomi di aprire lo sportello.
Volevo solo andare a casa in quel momento, a casa mia.
 
«Darcy, è sicura di stare bene? Forse è meglio aspettare che anche Harry sia qui prima che me ne vada» disse Bethany, la babysitter di Alexander, mentre io riempivo alla bene e meglio le valige mettendoci dentro alla rinfusa tutte le nostre cose.
Con la mia corsa e il taxi mi ero guadagnata un bel vantaggio su Harry che invece era dovuto rientrare nel ristorante, pagare il conto e poi raggiungere l’auto in un parcheggio piuttosto distante prima che potesse anche lui raggiungere Spaniards Road.
«Tranquilla, Beth, va tutto bene. Vai a casa.» Le sorrisi per rassicurarla.
«Ma, Darcy, non mi sembra…»
«Tesoro, davvero, in questo momento non mi va che tu mi veda così e non voglio assolutamente che tu sia qui quando Harry arriverà. Vai a casa, te ne prego.»
Forse fu la comparsa delle mie lacrime a convincerla ad uscire definitivamente, ma ero certa che prendendo il telefono in mano stesse per chiamare Harry e capire cosa stesse succedendo.
Presi anche io il cellulare e composi il numero di Louis. Gli chiesi di venire subito a casa nostra, avevo bisogno di qualcuno dalla mia parte in quel momento o non l’avrei più risolta.
Avevo portato di sotto l’unica valigia già pronta, quella di Alexander, quando Harry entrò in casa.
«Che… che cosa stai facendo?» domandò con voce tremante.
«Noi ce ne andiamo, è la cosa migliore per tutti e tre.»
«No-non dire stronzate, stai esagerando ora. Va’ in camera, ne riparliamo domani, quando sarai più lucida.»
Odiai quando mi prese per i polsi per allontanarmi da quell’unico bagaglio e lo odiai maggiormente quando cominciò a tirare via i vestiti dal suo interno. Non mi sono mai sentita tanto instabile mentalmente quanto in quel momento, e mi dispiace avergli urlato addosso tutto quello che in realtà non pensavo, di avergli raccontato in quel modo quanto fosse accaduto con Jason; speravo che così lo avrei convinto a lasciarmi andare.
Alla fine del mio monologo, Harry mi guardava sbalordito e potei sentire il suono del suo cuore spezzarsi come se fosse qualcosa di nitido nelle mie orecchie, poi corsi di sopra dove continuai a preparare le valige.
Lui rimase immobile tutto il tempo, lo sguardo perso di chi vede la sua vita fino a quel momento sfaldarglisi davanti agli occhi ed è troppo sconvolto per rimettere insieme i pezzi.
Ecco cos’era Harry in quel momento: un uomo distrutto.
Quando Louis arrivò mi venne subito ad abbracciare silenzioso e poi mi aiutò a sistemare alla meglio quello che già avevo caricato in auto per far stare meglio le altre cose.
«T-tu la stai aiutando?!» fu quanto disse quando realizzò la cosa.
«Fatti da parte, Harry, è meglio così» rispose amaramente Louis riuscendo a malapena a guardarlo negli occhi.
«Ma cosa vuol dire! Tu dovresti essere mio amico, dovresti essere dalla mia parte. Perché la stai aiutando?!» La sua iniziale confusione si era trasformata in rabbia.
Non rispose, continuò ad aiutarmi silenzioso e a darmi sostegno fino a quando la macchina non fu pronta alla partenza.
«Sei sicura?» mi domandò chiudendo lo sportello del portabagagli.
«No, ma è la cosa migliore al momento.»
«Non devi se non vuoi, le cose si sistemano.»
Spostai lo sguardo su Harry, poi tornai a guardare lui. «Trattienilo, non mi lascerà mai andare.»
Entrambi ci dirigemmo all’ingresso passando davanti ad Harry, poi Louis si fermò con lui mentre io mi diressi al piano di sopra e sollevai Lex dal lettino dove si era riaddormentato dopo il mio burrascoso arrivo. Cominciò a piangere e non trovai la forza di farlo smettere, non l’avevo nemmeno per convincere me a smettere di farlo…
Non posso descrivere l’espressione di Harry quando mi vide arrivare nel salone con il bambino in braccio, è troppo anche per i miei ricordi di quella sera. Ricordo che andò definitivamente in pezzi e fu del tutto incapace di muoversi.
Mi avvicinai a lui. «Harry, noi…» mi si spezzò la voce. «È… è stato bello.»
«Day, no…» sussurrò scuotendo appena il capo.
«Ti devo ogni cosa, dico sul serio. Ricordi quanto ti ho detto all’inizio? Quando sarebbe arrivato il momento me ne sarei andata, e quel momento è giunto ora.» Mi avvicinai ancora per accarezzargli una guancia, e lui chiuse gli occhi a quel contatto. «Ti amo, Harry Styles. Ti ho amato a sedici anni quando me ne sono andata la prima volta, ti amo ora che fuggo via una seconda e ti amerò ogni volta che con il pensiero dovrò scappare ancora ed ancora per non correre da te ed incasinarti la vita più di quanto tu non lo faccia da solo. Forse ora non capisci, forse passeranno mesi, magari un anno, due, ma ti giuro che capirai che sto facendo la cosa migliore per entrambi, e allora starai bene.» Gli baciai dolorosamente le labbra un’ultima volta mentre gl’infilavo una mano nella tasca dei jeans. «Addio.»
Uscì di casa solo dopo aver realizzato che quello che gli avevo fatto scivolare in tasca era la collana palleggiataci nel corso degli anni, perché capì che quello era il punto di rottura definitivo.
Avevo già messo in moto l’auto quando vidi attraverso allo specchietto retrovisore quell’ammasso di rottami del quale ero innamorata uscire di casa e bloccarsi in mezzo alla strada vedendomi troppo lontana per essere raggiunta, e poi sorreggersi al suo amico in un abbraccio che espresse tutto il suo dolore.
Fu allora che anche io mi lasciai andare a quel disperato pianto represso fino a quel momento.
 
Ripresi la mia vita da sola ad Holmes Chapel dove l’avevo lasciata in sospeso dal mio incontro non molto casuale con Harry, come una normale mamma single che s’impegna per spingere avanti la sua vita da sola con un bambino piccolo a carico. Ripresi la carriera universitaria interrotta anni addietro e diedi gli ultimi esami laureandomi in economia, così potei ottenere un buon lavoro come commercialista in un grande ufficio fuori citta.
Fondamentale fu l’aiuto dei miei, senza di loro non ce l’avrei fatta né emotivamente né finanziariamente, e sono profondamente grata a Melanie per il suo appoggio ed il continuo spostarsi tra Liverpool e casa mia solo per darmi una mano, e a Will per essermi stato accanto quando pensavo che sarei esplosa.
Nel momento del bisogno Anne e Robin si comportarono nei confronti di Alexander come dei nonni perfetti, non mancarono le visite di Gemma ed Eleanor che tornò a farsi viva quando seppe della mia rottura definitiva con Londra e il mondo della band con la quale mantenni comunque i contatti. Continuai a vedere sporadicamente i ragazzi quando avevano un momento di libertà, sia in maniera diretta con qualche visita a sorpresa sia via telefono.
Per un periodo ripresi ad uscire anche con Jason, riprovammo ad intrattenere una relazione più per Alexander o per l’egoismo di entrambi, ed infatti non funzionò (quando doni il tuo cuore ad una persona nessun altro potrà mai possederlo in seguito).
L’unica persona che davvero sparì fu Harry. Lui non voleva farlo e provò a convincermi a ripensarci per due mesi consecutivi chiamandomi ogni giorno, poi gli altri ragazzi lo convinsero che così non avrebbe ottenuto nulla e allora le chiamate diminuirono diventando meno frequenti, poi una a settimana ed infine lasciò stare, si limitò solo a spedirmi qualche regalo o qualcosa di carino per Alexander acquistato durante i suoi viaggi per il mondo.
Non ero propriamente felice, ma dovevo esserlo per mio figlio che ora poteva essere un bambino come tutti gli altri al sicuro da occhi indiscreti. Lui era la mia felicità.
Volete sapere quale fu la beffa andata ad aggravare tutta la situazione creatasi? Alexander ci mise più degli altri bambini ad incominciare a parlare, e quando finalmente lo fece il destino mi tirò uno schiaffo in faccia: era un pomeriggio come un altro e mentre pulivo casa ascoltando musica su MTV passarono uno dei video della band e lui, indicando Harry, pronunciò titubante il suo nome, poi prese sicurezza vedendomi pietrificata al gesto e ripeté il nome «Harry» fino allo stremo.
Quella fu l’ultima volta in cui mi abbandonai ad un incontrollato pianto disperato, e poi chiusi per sempre i miei sentimenti dentro di me.
Dovevo voltare pagina. Dovevo essere forte.

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Capitolo 27
*** 25 - New Dawn ***


Due anni dopo

Osservavo da lontano il mio bambino giocare poco distante da me con un gruppo di suoi coetanei, e mi sentii tranquilla nel vederlo interagire e divertirsi con loro, per Alexander non è mai stato semplice farsi degli amici per via della diffidenza e del carattere introverso. Incolpavo me e la mia troppa apprensione per questo oltre allo stile di vita degli ultimi due anni.
Erano cambiate molte cose da quell’ultima notte di febbraio passata a Londra, io in primo luogo: ero dovuta diventare ufficialmente una donna dall’oggi al domani e, nonostante la mia vita ruotasse intorno a mio figlio, feci molto anche per me, per esempio cercando di non trascurarmi mai, facevo economia ogni mese su parte dello stipendio per regalarci dei bei viaggi e col tempo cominciai a curare un blog di moda per una nota rivista.
Potevo dirmi una donna in carriera felice e realizzata. O forse no?
Certo, mi sono negata l’inizio di altre relazioni sentimentali, ma mi è sembrata la cosa giusta almeno per qualche tempo.
Diedi un’altra rapida occhiata ad Alexander e sorrisi nel vederlo giocare con la neve, il rossore delle sue gote spiccava sulla carnagione rosea, poi tornai alla lettura.
Era un momento incredibilmente tranquillo, mi sentivo quasi in pace con il mondo nonostante avessi addosso una stranissima sensazione da quella mattina, come se avessi la certezza che qualcosa stesse per succedere. Mi autoconvinsi che fosse solo il mio sesto senso da madre apprensiva a dirmi di stare all’erta.
E poi avvenne.
Ero immersa tra le logore pagine di The day the falls stood still, il mio libro preferito arrivato alla centesima rilettura, quando mi resi conto che tra gli schiamazzi dei bambini non spiccasse più la voce di mio figlio.
Alzai lo sguardo interrogativa e notai subito che Alexander era fermo immobile intento a guardare un punto fisso davanti a lui. Era interessato a qualcosa che io non riuscivo a vedere, e mi sembrava sorpreso per ciò che i suoi vispi occhietti vedevano dinnanzi a loro.
Passò una frazione di secondi dalla sua immobilità ad una corsa improvvisa. Puntava verso la strada, e mi allarmai subito all’idea che potesse succedergli qualcosa.
«Alexander!» lo richiamai autoritaria alzandomi a mia volta abbandonando tutto sulla seduta della panchina per corrergli dietro e dirgliene quattro.
Mi ignorò completamente, e questo non fece altro che farmi innervosire.
«Alexander, trona subito…»
La mia frase rimase a mezz’aria. Anche io rimasi immobile come lui poco prima guardando confusa ed incredula la scena davanti ai miei occhi.
«Non può essere…» mormorai tra me e me coprendomi la bocca con una mano. Non sapevo cosa fare, come comportarmi, non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo, e sentii subito gli occhi pizzicare in quella tipica sensazione che precede il pianto.
La cosa che più mi stupì non fu tanto il fatto che lui fosse lì dopo due anni di assenza, ma la reazione di mio figlio nei suoi confronti: era così piccolo quando li avevo separati, troppo piccolo per conservare a lungo dei ricordi di lui, quale fosse il suo viso, eppure gli era bastato vederlo camminare in lontananza per non avere dubbi di chi lui fosse, come non aveva avuto il minimo timore di corrergli incontro e stringersi nel suo abbraccio.
Continuavo a non riuscire a muovermi, non potevo farlo, e allora fu lui a venire incontro a me tenendo Alexander in braccio. Il suo sguardo, sebbene fosse visibilmente stanco, aveva la solita punta di allegria.
Per quegli occhi il tempo sembrava non trascorrere mai.
«Ciao, Darcy Gray» disse fermandomisi davanti.
«Ciao, Harry Styles.»
In me si innestò un turbinio di emozioni fuori controllo. Non riuscivo a credere che lui fosse davvero lì, di fronte a me, e mi fu impossibile ignorare lo sfarfallio nel mio stomaco.
Una parte di me mi maledì per il fatto che continuassi a sentirmi così in sua presenza.
«Mamma, hai visto?! È Harry!» esclamò Alexander più gioioso che mai. Per lui era come se nulla fosse cambiato.
«Ho visto, amore. Ha fatto una sorpresa a tutti e due.» Mi avvicinai a loro per accarezzargli la testa. «Perché non torni a giocare? Io ed Harry avremo sicuramente tante cose noiose di cui parlare, poi dopo andiamo tutti insieme a prendere una cioccolata calda, va bene?»
Sempre sorridendo, abbracciò ancora il ragazzo prima di farsi rimettere a terra per poter tornare dai suoi amici, e continuò ad indicarlo entusiasta parlando loro di lui.
Rimasti soli nessuno dei due trovò il coraggio di voltarsi verso l’altro, e l’imbarazzo aleggiava su di noi. Dopo interminabili minuti fui io a prendere parola.
«Non avrei mai pensato che avrebbe reagito così nel rivederti. Pensavo che nemmeno si ricordasse di te.»
«È identico a te» disse senza staccare lo sguardo da Alexander. «Dico sul serio, mi sembra di rivederti il giorno in cui ci siamo conosciuti.»
«Ed è successo proprio qui…»
Sospirò ruotandosi verso di me e ci ritrovammo di nuovo occhi negli occhi dopo anni.
«Vieni, andiamo a sederci.» Mi fece cenno col capo di seguirlo e ci ritrovammo poco dopo seduti sulle altalene dopo averle ripulite dalla neve depositatavisi sopra.
Presi posto su quella a destra e lui mi si sedette accanto. Per un secondo mi balenò dinnanzi agli occhi l’immagine di noi due bambini al primo incontro: eravamo seduti proprio lì, nelle stesse posizioni di allora.
«Darcy, io…»
«Perché sei tornato?» lo fermai prima che potesse iniziare a parlare.
Ammutolì. Puntò lo sguardo sui piedi e strinse le labbra forse nel tentativo di riordinare i pensieri. Probabilmente anche lui stava provando quello che sentivo io, quell’incontro doveva essere duro per entrambi.
«Quella notte, quanto te ne sei andata, hai detto che col tempo avrei capito il perché del tuo gesto, che magari ci avrei messo i mesi, anni, ma che avrei capito che quella fosse la cosa giusta per tutti.»
«E lo penso ancora. Certo, non è stato facile, ce ne ho messo di tempo per risollevarmi le maniche e portare avanti la mia vita, ma ora noi stiamo bene, Harry, e sono certa che per te sia stato tutto più semplice senza avermi tra i piedi.»
«Più semplice, sì, non migliore.»
Mi voltai verso di lui. «Devi capire che ciò che ho fatto non è stata una decisione affatto…»
Senza che potessi finire di parlare si voltò anche lui a guardarmi e mi afferrò dolcemente il viso tra le mani gelide. Le catene delle altalene tintinnarono scontrandosi.
«Ho provato a capire il tuo gesto, credimi, ci sono voluti due anni esatti perché lo facessi, ma proprio non ci riesco. Ogni giorno ho aperto gli occhi in un letto troppo grande per una sola persona, mi sono trascinato dove mi era stato detto di andare, ho fatto ciò che mi veniva richiesto, e poi tornavo a casa sperando di ritrovare te ad aspettarmi, e tu non eri mai lì.» Fece una pausa soffermandosi a contemplare il mio viso mentre con la mano mi carezzava lentamente la guancia. «Mi sono chiesto più volte il perché, mi sono arrabbiato, ho provato a dimenticare, ma semplicemente non potevo farlo. Tutto ciò che ho capito è che voglio te, voglio tutto di te, vi voglio entrambi.»
«Perché devi sempre essere così cocciuto?»
«Perché ci sono persone per cui vale la pena rischiare tutto, e tu sei una di queste, Darcy Gwendolyn Gray.»
Mi venne spontaneo sorridere. Non ricordavo di averlo più fatto in modo tanto sentito negli ultimi due anni come in quel momento.
«Potrei scappare anche dall’altro capo del mondo, ma tu mi ritroveresti ogni volta, non è vero?»
«Nascondino è sempre stato il tuo gioco preferito, ma ero più bravo di te a trovarti.»
Mi si avvicinò sorridendo, e mi ritrovai a pensare che non avessi mai visto qualcuno tanto bello quanto lo era lui in quel momento. Era sincero, commosso, innamorato.
Non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue labbra. Mi erano così familiari, mi mancava il loro contatto sulle mie.
«Posso…»
«Sono due anni che non aspetto altro.»
Detto ciò, mi attirò a sé in quel bacio rimasto disperso nel tempo.
 
Da quel giorno, ricongiunta all’uomo che amavo, potei dirmi davvero una donna completamente realizzata e felice.

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Se sette anni fa mi avessero detto “Darcy, avrai a breve un bambino”, probabilmente sarei scoppiata a ridere e avrei rovesciato il contenuto di uno dei tanti cocktail che ero solita tenere tra le mani in faccia a colui che me l’avesse predetto.
Se sei anni fa mi avessero detto che avrei rivisto Harry dopo una sua un’estenuante assenza dalla mia vita, mi sarei arrabbiata con chi avesse solo osato pronunciare il suo nome, e mi sarei messa a piangere.
Ma se tre anni fa mi avessero detto che lui sarebbe venuto a riprendermi e che il nostro amore sarebbe stato più forte che mai, beh, a questo ci avrei creduto, perché alla fine ci sono cose che si possono percepire anche prima che accadano, semplici attimi dei quali hai la certezza che prima o poi debbano succedere. La puoi sentire nell’aria la magia di un cambiamento, e la ritrovi nella forza che c’è in te e ti dice “lo sai che sta per succedere qualcosa, non mollare proprio ora”.
E io non ho mollato, non l’ho più fatto.
 
Alexander è diventato grande, a settembre incomincerà la Primary School, ed è proprio bello e pieno di vitalità. Ha già visto molti luoghi incredibili sparsi per il mondo da quando abbiamo ripreso la nostra vita a Londra e sono fiera di dirmi madre di un bambino intelligente e curioso; sono molto orgogliosa di lui.
Sorrido guardando la sua figura minuta correre agilmente sul bagnasciuga, e ride mentre gioca. Vorrei lasciarlo in pace e vivere questo momento per sempre, ma è tempo di andare.
Gli dico di uscire dall’acqua, perché è vero che in piena estate nel sud della Francia il mare è ancora caldo al tramonto, ma dobbiamo tronare a casa e cambiarci per la serata che ci aspetta. Ma d’altronde come posso pretendere che lui mi dia retta se ancora immersi ci sono anche i miei altri bambini: Harry, il mio amato Harry, e la piccola Grace seduta nel suo salvagente che ride felice di essere con suo fratello e suo padre.
Già, suo padre, perché ora anche Harry lo è.
È nata ad un anno dal nostro ricongiungimento ma non per caso, lei l’abbiamo cercata e non poteva capitarci nulla di più bello del suo arrivo. È del tutto identica a lui, solo il colore degli occhi l’ha ahimè preso da me, ma per il resto è la sua copia sia in aspetto sia nel carattere, e adora suo fratello.
Finalmente mi danno retta ed escono dall’acqua ma solo per correre su di me, abbracciarmi ed inzupparmi da capo a piedi perché sanno quando detesti avere addosso dei vestiti bagnati.
Mi innervosisco, ma come posso arrabbiarmi? Sono la mia famiglia, e la felicità dell’essere in un posto tranquillo tutti insieme trionfa su tutto il resto.
 
Spesso la vita cercherà di metterti i bastoni tra le ruote, di buttarti a terra, di distruggerti moralmente, e probabilmente tu penserai che sia giusto così, se tutto va per il verso sbagliato una ragione dovrà pur esserci.
Penserai che ti meriti ogni male.
Sappi che non è così: prima o poi tutto il dolore ti butterà a terra e sarà in quel momento che toccherai davvero il fondo; allora potrai incominciare la tua risalita e vivere.
Non è facile, sarà un percorso faticoso e sfiancante, ma credimi che, alla fine, guardare il panorama dalla vetta più alta è sempre la più bella delle ricompense.

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