πάντα ῥεῖ - Panta Rei di Danail (/viewuser.php?uid=804984)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Anima Mundi. ***
Capitolo 2: *** 2 Panthalassa. ***
Capitolo 3: *** 3 Pankoiros. ***
Capitolo 4: *** 4 Panpyr ***
Capitolo 5: *** 5 Pangea. ***
Capitolo 1 *** 1 Anima Mundi. ***
Anima Mundi
In
origine, quando il mondo ancora era giovane e non aveva conosciuto né guerre
né violenza, esisteva nell'estremo occidente un arcipelago. Un
arcipelago enorme, governato dalle sue quattro più grandi isole
ancora non unite sotto un unico essere, tanta era la diversità dei
quattro popoli che le popolavano.
Ma in un
mondo dove la parola “conflitto” non esisteva ancora, dove nessun
dissidio aveva trovato ancora modo di nascere, nessuno poteva
tollerare che la diversità costituisse motivo di guerra.
Così a
lungo, in quell'arcipelago, la pace regnò sovrana tra gli esseri
delle isole, animali e Pokémon.
Ma avvenne
che il terzogenito di Arceus volle far conoscere al mondo la dualità
delle cose, mostrar loro il bene che c'era nel male e il male che
c'era nel bene.
Portò nel
mondo morte e distruzione, portò la sofferenza, la violenza, la
cupidigia, la rovina.
Per i suoi
atti contro la natura venne esiliato in un mondo distorto, con
l'unica possibilità di vedere da esso i frutti del suo operato.
Così il
mondo ebbe il dono della totale conoscenza, e i suoi abitanti videro
nell'altro un pericolo piuttosto che un compagno. Scoprirono come
sopraffare e piegare la natura al loro volere, plasmandola a seconda
dei loro interessi. Vennero sopraffatti dall'ambizione di poter
eguagliare e superare Arceus, avvicinandosi così pericolosamente al
Caduto con i loro atti innaturali.
E questo
Arceus non poteva perdonarlo.
Condannò gli
Abissali, esseri acquatici protettori dei mari, alla prigionia nelle
nere acque che scorrevano su Poni*, dimentichi di quello che era il
Sole e la luce, trasformandoli in prede cieche e confuse di Pokémon
che loro poco prima avevan sfruttato.
Maledisse i
Celestiali, creature alate protettrici dell'aria, per la loro
condotta malevola verso tutte le specie dell'arcipelago, che patirono
i loro capricci e la loro prepotenza, facendoli cadere nell'isola più
piccola e piatta delle quattro maggiori. E così molti Celestiali
popolarono Mele Mele.
Punì gli
Koxol**, elementari del fuoco protettori dei vulcani, per i loro
crimini contro Pokémon e Terra: per la loro avidità e sete di
ricchezza inquinarono le terre e le trivellarono senza criterio,
senza pensare alle conseguenze dannose sull'ambiente, servendosi del
loro ascendente sui vulcani per spegnerli o farli eruttare,
sottomettendo e logorando i Pokémon. E così vennero esiliati ad
Akala con il triste compito di badare solo al vulcano Wela.
E infine
Arceus infuriò anche contro gli uomini, colpevoli di aver seguito
Giratina per primi, per poi trascinare con loro gli altri popoli e
infine raggirarli una volta davanti al suo cospetto. Tutto ciò, solo
per arrivare all'essenza delle cose e chiamarle con il loro vero
nome.
Arceus
decretò l'allontanamento dall'arcipelago per alcuni e la prigionia
su Ula Ula per altri, lacerando famiglie e affetti.
Creò infine
quattro Pokémon leggendari, quattro Tapu in grado di tenere a bada
queste creature e al tempo stesso per proteggerli: Fini per gli
Abissali, Koko per i Celestiali, Lele per i Koxol e Bulu per gli
uomini.
Sfinito,
Arceus si ritirò nelle più alte sfere celesti, e restò in muta
contemplazione del suo mondo, in attesa...
Note
dell'Autrice.
Uhm...
Salve!
Come al
solito, passano eoni di totale assenza nel mio account e poi... bum!
L'ispirazione di nuovo fa capolino di nuovo, a caso.
A volte basta
solo la visione di un film per accendere la miccia, far connettere
idee vaganti e far muovere il mio cervello. E concepire di
conseguenza una storia.
In questo
caso è stata la combo Pokémon Sole e Luna +
Oceania della Disney a
farmi pensare a qualcosa, e dopo vari pensieri e ripensamenti ecco
che nasce la miniserie di Anima Mundi e del suo seguito. Sì, Panta Rei è concepita come una sorta di
“prequel” per la storia vera
e propria, quella che per prima mi è venuta in mente. Ma,
giustamente, conviene andare con ordine.
Questa serie avrà
circa cinque capitoli, di lunghezza variabile. Per cui non tutte le
storie saranno flashfic come questa, forse rientreranno tra le os.
Bhe, si vedrà!
Qui di
seguito ci sono un paio di voci che ho segnalato nel testo per
favorire la comprensione.
Bhe, al
prossimo capitolo ^^
-Danail.
*Pensando
alle stratificazioni del Canyon di Pony e alla sua conformazione (e
al legame che l'isola ha con il Popolo del Mare) ho pensato che in
tempi primordiali Poni fosse semisommersa, e quindi patria ideale per
creature come gli Abissali. In fondo, si parla di ere fa ai giochi
canonici, potrebbe essere possibile una cosa del genere.
**
Gli Koxol
sono tratti dal mito dei Zakikoxol , spiriti presenti principalmente
nella mitologia Maya e raffigurati come omuncoli o folletti della
foresta, capaci di penetrare il corpo di chi s'avventura nei loro
territori. La versione che qui porterò è però
quella dei Cakchiquel,
che indicavano con questo nome i protettori di un vulcano e un
gigante del fuoco.
Lascio
qui il link al post dove ho trovato questo mito:
http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php/Zakikoxol
EDIT:
12/07/2018
Avvisetto
rivolto più ai vecchi lettori che ai nuovi, anche se forse potrebbe
essere interessante pure per questi ultimi (?)
Ho
concluso finalmente l'esame di maturità e, negli spazi di tempo
libero, sto correggendo questa storia prima di pubblicare l'ultimo
capitolo. Lungi da me riuscire a metter su qualcosa di perfetto, se
anche nella rilettura mi sfugga qualche erroruccio non abbiate timore
di segnalarmelo, anzi <3
Tuttavia
c'è una cosa importante da segnalare in questo capitolo, cosa che
farò anche con l'ultimo (e quindi è probabile che qualche lettore
vecchio torni qui a rivedere proprio per questo motivo. A questo
lettore scrivo solo: ehilà, da quanto non ci si vede?), e cioè:
l'abilità acquisita a quel popolo più simile all'umano.
In
origine questi esseri erano... sì insomma, persone normali. Come noi
o, banalmente, come ogni personaggio umanoide presente nella saga
canonica.
Tuttavia
ho voluto cambiare la razza e darle una sorta di abilità o potere
peculiare, che ovviamente verrà presentato in maniera più decente
più avanti. Il poter conoscere ciò che c'è dietro all'apparenza,
il percepire la vera realtà (il noumeno kantiano, l'iperuranio di
Platone) e chiamarla attraverso una parola o una breve frase è
un'abilità che, sebbene possa essere condivisa ed estesa, è più
forte nella razza che, nella vita reale, ha provato ad andare oltre.
D'altra
parte, questa abilità di “richiamo”, è fondamentale non solo
per lo sviluppo immediatamente successivo di Unvorsum, ma deve
esistere perché presupposto dell'universo che verrà dopo la fine di
quest'ultima long.
E...
niente, questo è tutto. Mi
auguro.
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Capitolo 2 *** 2 Panthalassa. ***
Panthalassa
Ecco!
La Morte s'è innalzata un trono
In una strana città che giace
solitaria
Laggiù lontano all'Ovest tenebroso,
Dove il buono e
il cattivo, il migliore e il peggiore
Hanno raggiunto la loro pace
eterna.
Laggiù palazzi, torri e altari
(Torri
rose dal tempo e non vacillano!)
A
niente rassomigliano di nostro.
Dimenticate dal vento che si
leva,
Sotto il cielo, rassegnate
Giacciono intorno le acque
melanconiche.
[La
città del Mare- E.A. Poe]
Gli
avevano inculcato fin da piccolo il terrore per le prigioni naturali
di Poni, il giovane Abissale s'era sempre tenuto in maniera quasi
reverenziale lontano da esse. Fin troppo vicine al tempio di Tapu
Fini e al nero tribunale, le carceri erano strutture brutte e
sgraziate anche per gli standard del popolo marino. “Qui
però è stranamente pulito”
pensò il giovanotto mentre nuotava -per quanto le manette alle zampe
lo permettessero- per quella stanzetta cubica scavata nella roccia.
Stanco di sforzarsi di muoversi per ottenere solo squame spezzate e
sangue nero sui polsi, l'essere si posò in un angolo e avvolse la
coda draconica attorno al corpo, posando le ampie pinne sul viso da
Sharpedo antropomorfizzato. Con un sospiro chiuse gli occhi neri come
inchiostro, sperando di sognare ancora. Al tribunale lo avevano
giudicato come un essere corrotto, un bestemmiatore nei confronti del
Tapu. Ma fosse solo per quello non lo avrebbero condannato alla
decapitazione, la sua famiglia non lo avrebbe ripudiato. No, non solo
aveva avuto l'ardire di raccontare i suoi sogni riguardo la
superficie luminosa, le altre isole e le altre razze. Lui aveva avuto
il coraggio di rubare e nascondere il cristallo di Fini, violando il
tempio e ferendo il Tapu grazie al suo Sharpedo. Al ricordo delle
frustrate pubbliche l'Abissale sentì gli occhi inumidirsi più del
normale.
…
Non
seppe quanto dormì. Lì in fondo agli abissi il tempo era un
concetto quasi sconosciuto, senza i consueti segnali ambientali
l'adolescente non seppe quanto aveva ancora da vivere. Avrebbe voluto
fuggire, sì... ma dove? Nei sogni vedeva Pokémon a lui sconosciuti
solcare eleganti una volta di colore più chiaro dell'acqua. Vedeva
la terra emergere dal mare, vedeva che il suo mondo finiva a un certo
punto per lasciare posto a uno tutto nuovo e da scoprire. Nei sogni
riusciva a vedere la luce. Ma
il ragazzo non aveva idea di come raggiungere la terra e la luce, in
quel momento di sonno agitato arrivò anche a dubitare che esse non
esistessero, che fosse vero il verdetto del tribunale: erano solo
deliri di una mente perversa. Ma assieme ai sogni venivano anche
gli incubi, anche quella volta essi avvelenarono quelle dolci
immagini. Essi iniziavano con l'apertura di strani buchi, da cui
fuoriuscivano... creature. Ogni volta che invadevano il suo mondo
onirico l'Abissale si lamentava e s'agitava nel sonno. Erano Pokémon?
Forse. Ma in tutta la sua vita non aveva mai visto esseri con
caratteristiche così accentuate, nemmeno nei sogni. E queste strane
creature, una volta superato il tunnel, sembravano esitare per un
attimo. Si guardavano attorno, spaesate, e... e distruggevano la
terra e inquinavano il mare. Al che, l'Abissale si svegliava sempre
di soprassalto. Tuttavia quella volta il sogno, per quanto fosse
altrettanto orribile, variò senza preavviso nel finale. Per la
seconda volta consecutiva nella visione onirica comparve
quell'isoletta. L'abitante dei mari, nell'agitarsi durante il sogno,
si chiese ancora come si chiamasse. Forse ancora non aveva
nome. L'isola era poco più grande di Poni e non aveva punti di
particolare interesse. L'unica cosa di rilievo era una montagna non
molto alta, venata da spaccature frastagliate da cui ogni tanto
scaturivano bagliori luminosi. Alla base della montagna un fiume
sotterraneo emergeva in superficie e sfociava in mare con un delta
enorme, rendendo l'isola estremamente fertile. Dalla parte opposta
del delta sorgeva una piccola foresta. La prima volta l'Abissale
aveva scorto sulla cima del massiccio una piccola struttura che
assomigliava a un tempio. L'essere riconosceva vaghi tratti dei
templi Abissali, come le decorazioni marine alla base della scalinata
bianca, ma tutto il resto gli appariva sconosciuto, un miscuglio tra
stili diversi. Come la prima volta, il sognatore si diresse con
naturalezza verso quel luogo sacro, penetrando dentro il naos con la
stessa leggerezza di una corrente di superficie. All'interno, come
la prima volta, vide sopra un tavolo la statua in marmo bianco di un
Pokémon familiare, con un anello attorno alla vita. E, dietro alla
statua e su un altare riccamente decorato, vi era un disco di legno
con vaghe incisioni. E allora il sogno si fermava: sospeso in un
istante infinito, l'essere marino poteva scorgere all'interno del
disco quattro alloggiamenti posti ai quattro cardinali. Come nel
primo sogno, l'Abissale non capì i primi tre simboli. Come nel primo
sogno, il triangolo rovesciato a sinistra lo attirò così
intensamente da provocargli addirittura dolore. Come nel primo sogno,
bastò vedere quel marchio proprio di Fini e del suo cristallo a
fargli capire che ormai il triste fondo del mare non era più il
luogo adatto per quella pietra potente. Perché lì in fondo non
avrebbe protetto più il popolo del mare, con la stessa certezza che
si ha nei sogni l'Abissale era sicuro che il cristallo dovesse
raggiungere quell'isola. Ma il primo sogno s'era interrotto solo
con questa consapevolezza, svegliando il sognatore nella sua camera
da letto e lasciandolo rimuginare per ore. Il secondo sogno lo
svegliò in una cella oscura: era finito prima che quelle strane
creature uscissero dai loro varchi, ma gli mostrò anche due portali
luminosi, prossimi ad aprirsi, proprio accanto al tempio. “Quei
due tunnel li ho percepiti in maniera diversa, però... che escano
creature di altro genere? Sono quelle che devono essere fermate per
prime? Cosa significa?”
si chiese mesto il prigioniero una volta destatosi mentre
s'avvicinava d'istinto alle sbarre. Ma nel momento stesso in cui il
ragazzo portò il muso affilato tra due spalle che una serie di
eventi cominciò a concatenarsi a velocità impressionante. Vide
avvicinarsi due figure fin troppo familiari, appartenenti entrambi al
ramo amministrativo del culto di Tapu Fini, sussurrare qualcosa a una
guardia carceraria. L'attimo dopo quella levitava in un nugolo di
sangue mentre il prigioniero nuotava più veloce che poteva assieme a
quelli che riconobbe come suo fratello maggiore e sua sorella
minore. -Fratelli! Che...- ansimò il giovane mentre guizzava
verso l'esterno, stretto per bene fra i due. -Taci stupido! Per
credere ai tuoi sogni abbiamo sguazzato nel fango puzzolente per
rubare la pietra prima che Tapu Fini la ritrovasse! Ma come ti è
venuto in mente di piazzarla proprio nell'area rifiuti del tempio?-
sibilò furiosa la femmina, un'Abissale slanciata e dai tratti fini.
Il trio imboccò un corridoio secondario. In lontananza si sentivano
rumori sospetti. -Ssshht, zitti voi due, che forse ci hanno
scoperti. Zitti e nuotate!- esclamò a mezza voce il maggiore, un
marino grosso quanto un armadio e forte come due adulti messi
assieme. Velocemente i tre fratelli svoltarono in un condotto del
ricambio dell'acqua aperto chissà da quanto -molto probabilmente
dagli stessi Abissali venuti a salvare il fratello prigioniero- poco
prima che le voci li raggiungessero. Il condotto era così stretto
che a stento passavano in fila indiana: le code sbattevano
sonoramente contro le pareti, le pinne potenti e fini come veli a
volte restavano impigliate tra fenditure e punte di metallo, le zampe
palmate sembravano scalare più che nuotare, gli artigli delle dita
spesso e volentieri grattavano i mattoni e la malta che fendere
l'acqua. Dopo minuti di lenta agonia il condotto finì, con
immenso sollievo il giovane ritornò alle acque libere che, per
sedici anni, avevano accolto scorrerie, nuotate e tanti momenti
felici. -Fratellino, tieni la pietra. Ti abbiamo fatto un
ciondolino, così non la perderai!- rispose il maggiore alla domanda
non detta del minore, passandogli il gioiello mentre s'allontanavano
dalla fortezza-carcere. Il giovane s'infilò rapidamente la
cordicella in cupronichel attorno al collo squamato per poi osservare
di sottecchi la pietra rubata. -Ascoltaci invece di ammirare
quella cosa! Devi risalire in superficie il più in fretta che puoi!-
gli gridò rabbiosa la sorella, afferrandogli un braccio e spingerlo
a continuare il nuoto. -Ahia! Pensavo che non mi credeste, come
tutti!- piagnucolò in risposta il ragazzo, che accelerò. Sotto
di loro la città scavata nella pietra, le sue strade, le sue case e
i negozi, tutto lentamente s'allontanava in proporzione alla loro
ascesa. -Davvero credi che ti avremmo lasciato marcire in quel
buco? Anche noi abbiamo avuto qualche sogno. Ma non è nostro compito
risalire, qualcuno deve restare qui per organizzare il popolo degli
abissi!- spiegò il maggiore dei tre, controllando le strade. In
lontananza si vedevano strane ombre muoversi. Forse era un effetto
ottico. -Eccoli! Muoviti!-. No, non era un effetto ottico. Alla
voce spaventata della sorella l'Abissale istintivamente il ragazzo si
fermò, giusto per vedere che una silhouette di un Pokémon
proveniente dal tempio attraversare a grande velocità le strade e i
vicoli per raggiungere il ladro. -NUOTA!- gli urlarono contro i
fratelli, prima di guizzare in chissà quale nascondiglio. Disperato,
l'Abissale guizzò in alto e, con le forze congiunte di zampe e coda,
si proiettò in alto alla ricerca della superficie dorata che tanto
desiderava. Mentre la corsa verso gli strati marini più alti si
consumava in fretta, una sorta di nebbia poco a poco invase l'acqua
attorno all'Abissale. Questo annaspò ancora un po' per vincere la
trance che la nebbia di Fini provocava: il ricordo dei sogni e del
pericolo riusciva a mantenere la concentrazione, ma lo sforzo era
tale da far strizzare le palpebre alla creatura e ad aprire la mente
a tutt'altri attacchi. La nebbia lo stava rapendo. Doveva andare
più in alto! ...più in alto! ...in alto... “Infrangendo
la legge perderai la memoria di ciò che eri e ciò che sei ora. Ma,
in fondo, rompendo la superficie col cristallo avresti perso comunque
la tua identità. Assieme alla tua casa e alla tua famiglia. È la
sorte peggiore che possa capitare, no?”
sussurrò la voce apatica e fredda che l'Abissale collegava senza
esitazione a Fini. Stava perdendo la concentrazione, il torpore lo
stava intrappolando. La superficie... Il ricordo della superficie,
del Sole caldo, della luce e dell'isola irruppero vivide
all'improvviso nella mente del giovane, che si riscosse e abbandonò
la trappola mortale. La nebbia lo aveva quasi raggiunto. Con un
guizzo tornò a nuotare veloce verso l'alto, cercando di riguadagnare
il terreno perduto. I ricordi dei sogni si ripetevano in un
circolo vizioso, donando al ribelle l'ultimo barlume di forza. Al
che, senza preavviso e in maniera del tutto naturale, il cristallo
appeso al collo del giovane s'illuminò, avvolgendolo con un'aura
azzurrina a forma di vaga spirale e spingendolo in su, sempre più
su, come una corrente oceanica che risaliva impetuosa. Lo stridio
furente di Fini si sentì appena da lì in fondo, l'Abissale non gli
prestò più attenzione. Vide solo la sagoma del suo fedele Sharpedo
emergere dal nero del fondo e aiutarlo a nuotare. “Potete
segregare me e il mio passato”
pensò nei suoi ultimi istanti di memoria passati prima d'infrangere
il confine fra acqua e aria, mare e cielo. “Ma
non potrete mai rubare i miei sogni!”
…
-Ehi,
svegliati. Tanto lo so che sei vivo-. C'era una voce
nell'oscurità. Qualcuno lo spingeva dolcemente, forse per ottenere
una reazione da parte sua. Ma chi era? Il ragazzo non la
riconosceva. Non ricordava di conoscere qualcuno con quella voce e
quel dialetto gli risultava estraneo. Anzi, non ricordava proprio
nulla. Emise un gemito e passò dalla posizione supina a quella
distesa sul dorso, continuando a tenere gli occhi chiusi. -Ah, ma
allora stai bene! E io che credevo che avessi qualche danno... su, ce
la fai ad alzarti?-. Sotto le sue mani c'era sabbia. Tanta sabbia,
dura e compatta. Non ricordava nulla, ma era abbastanza sicuro che
la sabbia che conosceva lui era ben diversa. E poi che cos'era quello
strano torpore, tutto quel caldo, tutto quel sole? Il ragazzo aprì
gli occhi. -Mh, penso di no... non ti ho mai visto da queste
parti. Sei un naufrago? Un Pokémon fatto umano? Uno Sharpedo è
venuto al villaggio tutto agitato, credo che fosse tuo, no? Riesci a
capirmi?- Di fronte al ragazzo disteso c'era un suo coetaneo. Da
quello che riusciva a comprendere, era un ragazzo dalla pelle fragile
e bruciata dal sole. E... aveva detto umano? Qualcosa non quadrava,
se lo sentiva. Almeno ricordava di Sharpedo, quel vecchio squalo lo
aveva salvato anche quella volta. Faticosamente si mise a sedere
per guardarsi bene, ignorando temporaneamente l'altro che continuava
a ciarlare. -Allora? Come ti chiami? Dai, per favore, dì
qualcosa!- Il ragazzo guardò con apparente apatia il suo corpo e
poi quello che l'aveva trovato. Erano parecchio simili. Eppure...
eppure sentiva che c'era qualcosa che gli sfuggiva. Ma cosa? La
memoria era un buco nero. Approfittò della pausa dello sconosciuto
di fronte a lui per rispondere con ciò che sapeva ancora. Forse
qualcos'altro sarebbe emerso. -Ti capisco, non serve che urli.
Io... mi chiamo Ivan. Credo di avere due fratelli da qualche parte,
ma non ricordo chi sono e come si chiamano. Non ricordo nemmeno il
loro sesso né il loro nome. Io... sì, forse sono naufragato, non
ricordo...- mormorò confuso Ivan, guardando l'interlocutore con
espressione confusa. Quella situazione non gli piaceva affatto. -Ma
piacere Ivan! E quindi soffri di amnesia, eh? Scommetto che non
ricordi neanche del perché hai quella pietra! Sai, assomiglia a
quella che abbiamo noi. Solo che la nostra è verde e sta nella
foresta. Dai dai, vieni al villaggio, magari riconosci qualcuno! Sono
venuti altri naufraghi, forse vi conoscete. Dai, muoviti!- Ivan
ebbe il tempo solo di dare un'occhiata al suo ciondolo -e sentire uno
strano sollievo nel vederlo ancora appeso al suo collo- e venne
alzato e trascinato dal ragazzo verso un sentiero che portava in un
bosco, pensando solo che non si era presentato. Che tipo
frettoloso.
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Capitolo 3 *** 3 Pankoiros. ***
Pankoiros
Can’t
you see that you’re smothering me? Holding too tightly, afraid
to lose control? Cause everything that you thought I would be Has
fallen apart right in front of you.
Non
riusciva a smetterla di fissarla. Nascosto dietro al cespuglio, il
giovane Celeste ascoltava con espressione meravigliata la sorella,
più piccola di appena un anno, suonare il violino. Le era stato
regalato proprio da lui, il suo amato fratello maggiore, in occasione
della sua accoglienza da parte del Nume Locale avvenuta sei mesi
prima. Oh, lui se la ricordava benissimo. Con quei capelli biondo
cenere raccolti in una spessa ciocca, la corona di gigli bianchi
posati sul capo, le sue leggere lentiggini sul viso, le ali giovani e
forti raccolte sulla schiena, gli occhi dorati che sfavillavano,
quell'espressione felice, incredula e commossa tipica di tutte le
Celesti che da novizie inesperte e impaurite divenivano Sacerdotesse
a tutti gli effetti. Il ragazzo ricordava il leggero tremolio
della sorella mentre s'inginocchiava davanti alla Matriarca, l'unica
tra tutti ad avere sei ali, affiancata da un altero Tapu Koko.
Ricordava la lacrima che solcò il suo viso nel vedere il giallo
Cristallo del Nume, incastonato in un pendente legato attorno al
collo del Pokémon, perdere un frammento che, sospinto da qualche
corrente a lui invisibile, andò a posarsi fra le mani della
giovane. Ricordava perfettamente i festeggiamenti della loro
numerosissima famiglia assieme al resto del loro popolo. Ricordava le
danze sfrenate sulle note degli ukulele e degli Mele Oli*, a ritmo
delle percussioni. Ricordava i voli dei Celestiali più esperti:
esibizioni magnifiche che, dopo una certa ora, si mescolavano ai
buffi tentativi dei più piccoli, ai sobri svolazzi dei Cacciatori e
a quelli più sciolti del resto della gente. E soprattutto,
ricordava quell'abbraccio sopra le nuvole con quell'amata sorella che
in quel momento ascoltava estasiato. Malie, si chiamava. Mai nome
poteva essere più adatto, per lui. Quel ricordo così intimo e
felice l'avrebbe sempre conservato nel cuore. Le aveva promesso
che, una volta divenuta Sacerdotessa, avrebbero perforato insieme le
nuvole, all'alba, per salutare il Sole che sorge. In fondo, lui era
entrato nelle fila dei Cacciatori, coloro che proteggevano Mele Mele
e il Nume Locale, e lei ormai aveva raggiunto un grado importante nel
culto di Tapu Koko. Momenti simili di libertà totale non ne
avrebbero più avuti. Si staccarono presto dal gruppo e, grazie
alle due paia di ali di lui, una rarità per quel popolo, raggiunsero
la coltre più bassa di nuvole e la superarono, affacciandosi a un
panorama nebuloso quanto candido. In uno slancio d'affetto lei lo
abbracciò e, nello stesso momento, i primi bagliori del mattino si
trasformarono nell'alba più luminosa che avessero mai visto e che li
avvolse di calda e pura luce. Il ragazzo sorrise leggermente nel
ricordare un'ultima volta e ascoltare le note conclusive della
composizione di Malie. Fece per alzarsi nel modo più silenzioso
possibile: voleva andarsene da lì senza dire niente, senza esporsi
al pubblico, senza rovinare nulla, senza danni. Voleva solo fuggire
con delicatezza e riserbo, per quanto gli fosse possibile. Ma la
divisa, un'armatura di cuoio completamente nera, scricchiolò proprio
quando il giovane s'era voltato per imboccare il sentiero che portava
verso il Picco** -Zireael?- Il ragazzo, a sentirsi chiamare per
quel tenero soprannome, non fece a meno di voltarsi e rivolgere un
bonario sorriso alla sorella minore. Per un momento rimasero in
quella specie di stallo: lui sulla strada per il picco, in divisa e
le quattro forti ali ripiegate strette sul dorso; lei con violino in
una mano e l'archetto nell'altra, con un'espressione di lieto
stupore. -Zireael!- ripeté la ragazza, posando il fragile
strumento su una panchina in pietra e precipitandosi verso il
fratello maggiore, rompendo così quell'immobile incanto. Il
Celeste l'accolse con tenero affetto tra le sue braccia, spiegando
leggermente le ali solo per abbracciarla ancor di più. -Zireael,
fratellone... che fai qui? Pensavo che fossi ai piedi del Picco ad
addestrarti, non che avessi un momento libero. Se no sarei venuta io-
chiese Malie, scostandosi dall'abbraccio dopo un momento di silente
pace. Lui rise appena, con una punta impercettibile
d'amarezza. -Non volevo disturbarti, Malie. E poi ero nei paraggi,
volevo venire a salutarti prima che vada- rispose poi. Istintivamente
infilò la mano nello scomparto dell'armatura dove teneva la sua
maledizione, racchiusa in appena qualche centimetro di caldo e
lucente cristallo incastonato in un pendente. -Andare? Di già? E
perché eri nei paraggi? Ti è successo qualcosa?- domandò perplessa
lei, guardandolo apprensiva e allungando le mani verso il suo viso
per accarezzarlo. Il Celeste distolse leggermente lo sguardo,
rabbrividì di piacere nel sentire quella mano familiare scorrere fra
i suoi capelli innaturalmente argentei. Cercò inutilmente di
concentrarsi su un cespuglio di fiori che Malie aveva piantato per
lui, dei fieri esemplari di Guzmania Cardinalis di color rosso
sgargianti. -Malie, io...- incominciò, deglutendo per calmare
l'agitazione che lo attanagliava. Come poteva dirle di essersi
macchiato di tradimento verso il Nume per degli stupidi quanto
reali incubi? Come poteva rovinarle così la vita? Sarebbe
stata sempre associata a lui, quel Celeste tanto unico quanto
malvagio. Avrebbe visto quei fiori superbi non più come ricordo
di un affetto fraterno, ma come costante memento di un inganno
sfacciato. -...io starò via per un po'. Non credo che ci vedremo
tanto presto- concluse, con voce rotta dall'emozione. Un'espressione
triste per un momento dominò nel viso della giovane Celeste, ma ad
attirare l'attenzione di entrambi fu un verso furioso e familiare,
proveniente dal tempio di Koko, posto proprio al limitare dei
giardini. Una rapida occhiata sorpresa di Malie fece comprendere
al ragazzo che ancora non sapesse nulla, che gli chiedeva in
silenzio, prima di precipitarsi al tempio, la causa della furia del
Guardiano. -Sorellina, mi dispiace davvero tanto!- sussurrò
impulsivamente il Celeste mentre la stringeva a sé per l'ultima
volta, prima di girarsi e correre via verso la cima del Picco. Si
ripromise di non voltarsi, e così fece: non si voltò, nella corsa,
quando la voce di Malie lo chiamava disperata per nome, abbandonando
il dolce soprannome di Zireael. Non si voltò quando, nella
scalata verso l'apice, i suoi fratelli Cacciatori tentarono di
richiamarlo, o con le parole o tentando di attaccarlo. E non si
voltò nemmeno quando, dopo il decollo, sentì i versi lontani e
irati di Koko seguirlo su per il sentiero, accompagnati dallo
scoppiettio sinistro che annunciava l'accumulo d'elettricità da
parte del Pokémon. Semplicemente, nel sentire il vento cambiare
direzione a suo favore, il Celeste spiegò al massimo le ali
anteriori per ricevere maggiore spinta e usare le posteriori per
governare il volo. “Devo superare il reef. I Tapu non possono
oltrepassare i confini dei loro territori. Devo superare quel reef!”
pensò determinato il Celeste nel vedere avvicinarsi la zona scura
che segnalava la Barriera Corallina appena sommersa sotto il livello
del mare. Con uno slancio aggraziato, riuscì appena a
oltrepassare il confine prima che l'immensa scarica elettrica lo
investì. Urlò? Ne era quasi certo, ma il dolore infinito e il
terrore primitivo della morte incombente attapparono il suo
udito. Era terribile. Era come se mille e più coltelli roventi
venissero conficcati nella schiena per bruciarlo ed estirpargli le
ali -quelle bellissime ali dal piumaggio candido a cui teneva molto-
fin dalla radice; come tanti piccoli artigli che penetrassero il
corpo per strappare la carne e divorarla dall'interno. Stordito e
in fin di vita, il Celeste a malapena s'accorse della superficie del
mare che s'avvicinava a perdita d'occhio fino a impattarcisi contro.
Non percepì l'impatto, solo qualcosa di benevolo e fresco avvolgerlo
dolcemente per alleviargli un poco le gravissime ustioni prima di
dargli il colpo di grazia. Una piccola gentilezza, per uno come
lui. Era ancora semi cosciente quando realizzò che andava
pigramente a fondo, in un silenzio straniante, che l'acqua cominciava
a riempirgli i polmoni e renderli due zavorre letali. Ma si
rese conto anche che, per qualche ragione, non stava morendo
annegato, che il suo corpo ancora si rifiutava di morire, che
qualcosa -una corrente? Un Pokémon? L'illusione di poter
sopravvivere? Che cosa?- lo stava portando da qualche parte,
che teneva ancora il Cristallo di Koko stretto spasmodicamente tra le
dita, che lentamente i ricordi della vita passata da essere puro e
senza macchia di crimini scivolavano via, lasciando solo un vuoto
nero e ovattato nella sua mente. Il Celeste chiuse gli occhi,
consapevole che il vuoto lo stava per ghermire, chiedendosi quale
valore avesse quel suo sacrificio. “Malie” pensò
mentre gli ultimi ricordi di lei scorrevano nella sua mente, vividi
come non mai, prima di essere inghiottiti dall'oblio “Vedi? Il
fratello che tanto amavi ti è crollato davanti. Ma non potevo
lasciarmi vincolare, volevo essere qualcosa oltre al semplice Celeste
di buona famiglia. Volevo andare oltre a quel ruolo soffocante. Quei
sogni mi rivelavano un futuro terribile quanto sublime...”. Non
riuscì a completare il pensiero. Forse il Cristallo sarebbe andato a
qualcun altro, forse portarlo fuori da Mele Mele e dalla portata di
Koko era il suo compito. Non l'avrebbe mai scoperto. Con uno
sbuffo che si tramutò in bolle nell'acqua chiara, il Celeste svenne.
…
-Allora?
Che pensi di farci? Vuoi davvero ributtarlo in mare? Seriamente?- -E
che possiamo fare secondo te, eh? Hai visto quelle bruciature sulla
schiena, quelle cicatrici? Questo ragazzo s'è macchiato di qualcosa
di grave ed è stato punito- -O?- -“O” cosa? La spiegazione
può essere solo questa!- -Secondo me non è questo il punto. Può
essere fuggito da un isolotto nelle vicinanze perché contrario a
chissà cosa. Oppure perché volesse avvicinarsi alla civiltà, al
resto del suo popolo, al Tapu. E per qualche ragione è stato punito.
È la cosa più probabile, secondo me. D'altronde non abbiamo mai
superato i confini del nostro reef e non sappiamo cosa ci sia altro
lì fuori- Il Celeste si riscosse leggermente. Stordito, riuscì
solo a rendersi conto di essere steso su una stuoia a pancia in giù,
che qualcuno gli aveva spalmato sulla schiena aveva qualcosa di
fresco, che era al coperto e che due voci, una maschile che non lo
voleva e una femminile che lo difendeva. Almeno così aveva
capito. -Ma guarda, si sta svegliando. Forse potremo chiedergli
qualcosa!- esclamò la voce femminile. Al percepire una presenza
cambiare posizione e accucciarsi di fronte a lui, il Celeste
socchiuse gli occhi. Ma era ancora stordito, riuscì a distinguere
solo dei capelli colorati di rosa e giallo e uno sguardo curioso che
gli ricordava qualcuno d'importante. Ma chi? -Hmpf. Fà come vuoi,
ragazzina. Ma del suo destino se ne parlerà in Consiglio e poi
s'informerà Tapu Bulu- concluse seccata la voce maschile,
accompagnata da dei passi. Così, rimasero solo lui e la ragazza dai
capelli strani. -Non far caso a mio padre. È uno molto influente,
a volte antipatico: ma ha a cuore l'incolumità dei villaggi.
Comunque sia, lo sai che ti ho trovato io sulla spiaggia? Sembravi
morto, mi avevi quasi spaventata! Tenevi in mano una pietra gialla,
l'ho presa prima che qualcuno la notasse. Dal modo in cui la tenevi,
dev'essere importante per te. Aspetta che te la prendo...- La mole
delle informazioni che la ragazza gli diede era incredibile. Tapu
Bulu? Pietra gialla? Spiaggia? Ma lui doveva essere morto annegato. E
invece, per chissà quale miracolo o coincidenza, era approdato su
un'isola nuova e anche abitata. Ma non seppe darsi spiegazione per
tante cose: era ancora molto intorpidito e la sua memoria era
diventata improvvisamente una voragine nera. Ciò che gli rimaneva
era solo la sensazione positiva di non aver perso la pietra e di
sentire che era sotto la protezione di un'entità come Bulu. La cosa
sembrava più dettata da un'esperienza negativa con qualche simile di
quest'ultimo, ma non poteva di certo dirlo con certezza. La
testa pulsava, era pesantissima. -Ecco qua. La vuoi tenere tu,
vero?- gli sussurrò la voce di prima con affetto, mettendogli fra le
mani qualcosa di freddo e dalla forma prismatica. Istintivamente lui
la strinse tra le dita e se la portò al petto, ringraziando la
ragazza con un sorriso stanco, ma sincero. Al che, la ragazza si
sedette di fronte a lui. -Senti... so che sei ancora mezzo
intontito. Quindi appena te la senti magari potremo parlare meglio.
Però, visto che sei un pochino sveglio, ti va di dirmi come ti
chiami?- Il ragazzo sbuffò. Il suo nome? E cosa potrebbe
importare, in quel momento? Tuttavia, a spingerlo a rispondere fu
una pianta in un vaso, nell'angolo della casupola dove si trovava.
Era di color rosso acceso, con petali appuntiti e lunghi come lingue
di fuoco, alta e fiera. Guzmania Cardinalis, l'avrebbe
riconosciuta fra un milione di steli. -Guzma. Mi... chiamo Guzma-
rantolò lui. -Guzma? Come il fiore?- chiese sorpresa lei. Lui
annuì. Ora che ci prestava attenzione, il suo modo di parlare gli
era estraneo. Capiva le sue parole, ma l'accento, l'inflessione, il
modo di parlare... gli suonava strano, come se lui fosse abituato ad
altro. Era
forse in terra straniera? Formulare un'ipotesi sensata lo sforzava
più del dovuto. -Forse dovresti riposare, Guzma. Dormi
tranquillo, nessuno t'importunerà finché ci sono io- continuò lei,
come se avesse percepito i suoi pensieri. Rincuorato da quelle
parole, sebbene non sapesse il nome di quella ragazza tanto singolare
quanto gentile, il ragazzo chiuse gli occhi, stavolta per ristorarsi.
Note
dell'Autrice.
E niente, la
puntualità e la costanza non è il mio forte. La voglia di scrivere
va e viene con le idee, non so mai come trattare un certo capitolo e
poi bum, a un certo punto l'ispirazione torna prepotente. Spero che
sappiate perdonarmi, lettori > . <
Comunque sia, per
chi se lo chiedesse: no, non c'è uno specifico ordine nei capitoli,
visto che non seguono cronologicamente la venuta dei personaggi.
Questo semplicemente perché, appunto, potrebbe venirmi voglia di
scrivere su pg X invece che Y. E finché sono storie tutto sommato
autoconclusive posso ancora permettermelo. Anche se la cosa finisce
un po' qui, dato che il capitolo sugli umani deve essere l'ultimo e
quindi il prossimo è incentrato sui Koxol, mh...
Bhe, non ho molto
da scrivere ancora. Vi lascio allora al “glossario”. Alla
prossima <3
-Danail.
*Forma di canto
libero tipico delle Hawaii.
http://guide.cadillactrip.it/americhe/hawaii/cultura.php
**Avete presente
Mele Mele? Ecco, vedete quella specie di “vulcano” accanto ad
Hau'oli? Ecco, quello. So che nella realtà sembra non avere un nome
-dato che nel gioco non è un elemento di rilevante importanza- ma mi
piaceva sfruttarlo come “punto di lancio” per quella categoria a
cui il protagonista di questo capitolo appartiene. EDIT 14/07/2018 E
anche questo è andato. Ho corretto alcuni errori e alcune frasi, qui le
modifiche più essenziali a livello di trama sono legate solo a un
piccolo cavillo: la "rarità" del numero delle ali, visto che in seguito
la questione sarà piuttosto importante in molte situazioni.
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Capitolo 4 *** 4 Panpyr ***
4 Panpyr
Una
volta si diceva che i Koxol avessero un cuore enorme. Una volta si
diceva che i Koxol avessero un animo forte e immenso. In fondo,
come poteva essere altrimenti? Grande spirito e cuore per grandi
esseri. Esseri liberi e decisi, che un tempo si riunivano in un
unico, grande e fiammeggiante branco per le migrazioni annuali: e, di
isola in isola, di continente in continente, correndo gli
instancabili custodi dei vulcani coprivano distanze colossali,
attirando nella loro furia Pokémon della loro stessa indole. Una
volta si diceva che i Koxol fossero i guardiani della Vita. Ma quel
tempo era ormai passato e non ne restavano solo che sogni e frammenti
di ricordi che ogni tanto riemergevano. Accadeva spesso soltanto nei
sonni inquieti dei più piccoli, che al levarsi del giorno già
avevano dimenticato le immagini della notte. Ed era accaduto a
lui, anche dopo essersi lasciato alle spalle l'infanzia. Il Koxol
levò il muso spettrale al cielo plumbeo per cercare di attirare
l'attenzione di qualcuno con urla e lamenti. Ma tutto ciò che uscì
dalla sua gola riarsa fu solo un umiliante gracidio. Il Koxol posò
la testa ossea e le zampe anteriori sul parapetto della barchetta per
tirarsi un po' su e fissare con le orbite vuote l'acqua, che
rifletteva il grigiore metallico del cielo. Nonostante non ci
fossero occhi visibili lui, come tutti della sua specie, riusciva a
vedere. E ciò che l'acqua gli restituiva era il riflesso
di un essere grosso e nero, dal pelo lungo e folto, dalle zampe forti
dagli artigli lunghi e duri. L'unica cosa che spiccava in
quell'ammasso di muscoli e pelliccia era solo la testa: un cranio
bianchiccio e affusolato, di forma caprina, con tanto di corna
bianche, curve e rivolte all'esterno, decorate da incisioni appuntite
e sporgenti. Con un sordo brontolio lo Koxol strisciò dentro
l'imbarcazione per raggomitolarsi sul fondo, accanto al Numel, in
quel momento dormiente, che aveva deciso di seguirlo. L'essere si
chiedeva perché quel Pokémon avesse preso una decisione così
drastica. Seguire il suo amico, nonostante questo era riuscito a
privare il Protettore dell'isola della sua pietra, della sua fonte
principale di potere. Come aveva potuto seguirlo? Preso da
quelle domande, il gigante si raggomitolò attorno al suo piccolo
amichetto, cercando disperatamente di riscaldarlo ancora un po'.
Anche se ormai aveva perso anche la capacità di produrre fiamme,
forse il calore corporeo poteva bastare. Ma tutto dipendeva dal
fuoco, dal Sole. E in quel momento erano entrambi circondati
dall'acqua, coperti giorno e notte da una coltre innaturale di nuvole
-non avrebbe disdegnato neanche la luce lunare, arrivato a quel
punto- per cui di fonti energetiche non se ne trovavano neanche a
sforzarsi. Tra l'altro neanche quella bonaccia prolungata era poi
così tanto naturale: oltre il reef il mare non era mai stato così
tanto clemente. Il Koxol si chiese se tutto quello fosse uno dei
tanti giochi folli di Tapu Lele o significasse qualcosa di più
sinistro. Era ben noto che il potere del Protettore non era gran che
efficace oltre il reef, ma l'essere non era pronto a scommetterci
neanche un pelo che ciò valesse in maniera assoluta. D'altro canto,
quasi ci sperava che quello fosse tutta opera del Tapu e solo sua. Il
solo pensare che la fonte di tutto quello fossero le... le cose dei
suoi incubi atterrì così tanto quel bestione, tanto da farlo
rabbrividire e strappargli qualche singhiozzo. Si chiese
per quanto sarebbe rimasto senza Sole e calore prima di spegnersi del
tutto. Credeva di aver raggiunto il limite sopportando i giochi via
via più folli e crudeli di Tapu Lele: ma quelli riusciva a
sopportarli, dato che voleva ingannarlo e indurlo a consegnargli la
propria pietra -proprio la stessa che teneva incastonata sotto al
duro palato per non rischiare di perderla- spontaneamente. Tanto era
un gioco, no? Una caccia al tesoro quasi letale, che gli avrebbe
comportato mutilazioni e la prigionia nelle segrete buie del tempio
se il Protettore fosse rientrato in possesso della sua pietra. Tanto
il Tapu ne era sicuro: sarebbe riuscito a scovarlo con la stessa
sicurezza di un Pyroar che caccia un Rattata. E la cosa, assieme alla
punizione per il suo sfidante, lo eccitava ancor di più. Non aveva
capito, forse, che il Koxol faceva sul serio. Ma tanto che
importava? Da quegli incubi, dagli abomini che uscivano da strane
fenditure nello spazio, dall'isola con quel tempio particolare, da
quel tutto che aveva visto in visioni oniriche aveva capito che
quella pietra doveva uscire fuori dai domini di Ula Ula. Il Koxol
gracidò disperato un'ultima volta rivolto al cielo, pregando di
avere ancora un po' di calore e luce. Ancora un altro po', ancora
un... altro... Riuscì solo a posare l'enorme cranio sulla
testolina inerme di Numel. All'interno delle gigantesche fauci,
striscioline lucenti e calde di color magenta chiaro nascevano lente
da quella gemma. Senza alcuna fretta, strisciarono fra i denti
serrati, fra le orbite vuote e prive di qualsiasi vitalità,
avvilupparono quel corpo ormai rigido, accarezzandolo come una mano
materna. E, come mosse da chissà quale misericordia verso
quell'essere, s'illuminarono e si strinsero attorno a lui, sempre più
strette, sempre più strette, sempre più strette. Dentro quella
rete filamentosa -sempre più strette- una luce dapprima flebile
gradualmente aumentò d'intensità -sempre più strette!- finché non
inglobò anche il Pokémon ormai freddo trasformando quella barca,
prima portatrice di sofferenza, in un piccolo nuovo sole.
…
Il
ragazzino continuava a fissare in avanti. Vedere per intero il suo
interlocutore non gl'interessava. Voleva solo guardare il mare.
Forse, se guardava per bene in lontananza, avrebbe scorto qualcosa.
Magari qualche traccia del suo passato. Come se la risacca potesse
restituirgli i ricordi come fa con le conchiglie. -Ti abbiamo
trovato svenuto nella barca con più buchi che io abbia mai visto.
Galleggiavi nell'acqua rimasta ancora lì dentro, non rispondevi,
pensavamo che... insomma... - Lui non disse nulla. Continuava a
fissare il mare piatto con sguardo assente. Si mosse un poco soltanto
quando sentì la testa calda di Numel contro il suo fianco, giusto
quel tanto per abbracciare il piccolo Pokémon. -Come hai fatto a
sopravvivere? Da dove vieni?- -Non... lo so- borbottò lui,
scostandosi una ciocca di capelli rossi da davanti gli occhi. -Dai,
ricorderai pur qualcosa! Almeno sai come ti sei fatto quelle
bruciature sul corpo? Forse è quella pietra che ha il tuo Pokémon
sempre...- -Non so nulla, hai capito? Nulla! Niente di niente!-
sbottò lui, stringendo istintivamente la pietra rosata che Numel si
portava sempre con sé, appesa all'esile collo con una cordicella
fatta da chissà chi. Per la sorpresa, il Pokémon Tepore s'agitò,
non capendo la causa di quello sfogo. Il ragazzo sconosciuto sobbalzò
leggermente, ma cercò di non scomporsi troppo. -Ok, ok, amico,
non preoccuparti! È che... sei il terzo che arriva in questo stato.
Non ricordi nulla, hai con te qualcosa di prezioso, bruciature e
ferite sul corpo, accento strano. Stiamo cercando di capire cosa
succede, tutto qua!- A quelle parole il rosso si girò verso il
suo interlocutore, senza smettere di accarezzare il proprio
Pokémon. Lo sconosciuto doveva avere più o meno i suoi stessi
anni. Ma di costituzione era più robusto, la pelle era di una
sfumatura olivastra e dalle zone non coperte dai vestiti bianchi
s'intravedevano strani disegni neri, che dovevano sicuramente
continuare sotto quei tessuti. Quello lo osservava con aria
dubbiosa, gli occhi scuri esprimevano solo esitazione. -Gli altri
però ricordavano il proprio nome. Solo quello. Tu... te lo ricordi?-
gli chiese infine, passando distrattamente le dita fra i capelli
neri, raccolti in un codino. -Sì...- mormorò il rosso, tornando
a fissare il mare. -Una volta, forse, qualcuno mi chiamava Max. Ma
non ricordo...-
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Capitolo 5 *** 5 Pangea. ***
Pangea
C'era
stato un momento in cui la lingua comune e la lingua divina erano la
stessa cosa. E chiunque avesse avuto le capacità giuste, non
importava la sua natura, poteva sfruttarla per plasmare l'ambiente
attorno a sè. Nei
limiti imposti dalle leggi della materia, s'intende. Tuttavia,
tempo fa, c'era stato un popolo che era riuscito a piegare il potere
della voce in modi sorprendenti, anche grazie a una certa
interferenza esterna che, ormai, tutti conoscevano bene. Soprattutto
per la storia dell'esilio nell'altra faccia del mondo. Kukui
alzò lo sguardo verso il cielo grigio acciaio, che continuava a
riversare sull'isola il suo carico di pioggia, per poi osservare dal
portico in pietra le gocce d'acqua infrangersi sulle grandi pozze del
giardino. Sì,
la ricordava bene quella storia. Tempo
fa, la via della Voce insegnava alle razze dotate di raziocinio come
raggiungere la vera realtà, ciò che si trovava oltre al fenomeno,
per poi arrivare all'illuminazione. Il
vero nome di tutto, la parola prima con cui tutto era stato plasmato
dal caos semplicemente nominandone l'idea. Ma
c'è stato un momento in cui la via della Voce ha permesso abusi di
potere di vario genere, e per questo se ne è persa quasi traccia. E
quel poco che è rimasto di quell'antico sentiero era talmente
difficile da percorrere, per gli uomini, che a volte solo con l'aiuto
del Tapu poteva essere esplorato. C'era
chi, come lui, continuava quella tradizione. E, nel tempo, s'era
formato un ordine, quello dei Vae'nder. E
mentre la gente comune sfiorava soltanto quel mondo oltre il
percettibile per dedicarsi ad altri lavori, loro studiavano. E
meditavano. E
chi si distingueva tra loro, poteva entrare nel Consiglio e
governare. Quando
il freddo della pietra intorpidì del tutto le sue gambe, il ragazzo
si decise finalmente di alzarsi e stiracchiarsi, per poi voltarsi
verso l'interno della struttura e cominciare a incamminarsi verso il
suo centro.La
tunica bianca, forse troppo larga per uno come lui, produceva brusii
particolari ogni volta che sfiorava la pietra o qualche scarno
mobilio, ma Kukui non ci faceva troppo caso. Percorse
il corridoio fin dove s'intersecava col chiostro del quarto quadrante
del monastero, zona che corrispondeva alle camere dei Vae'nder
apprendisti come lui. Posò,
per un momento, le dita della mano destra sulla fredda parete e si
voltò verso il centro del chiostro: per qualche strana ragione,
forse legata al Tapu, lì in mezzo durante le prime costruzioni vi
erano cresciuti due alberi di Koa* intrecciati fra loro e, a forza di
crescere, in quel momento le loro fronde coprivano l'intero spazio
aperto. Il
ragazzo chiuse gli occhi per un momento: ogni occasione era buona per
carpire i discorsi del mondo e apprendere ancora un poco.
Odore
di pioggia e della terra che si bagna. La roccia fredda e morta che
vibra al percepire il passo del
tempo. Le
foglie degli alberi che cantano al passare del vento. La pioggia che
sul legno e sulla pietra dà il ritmo alle parole. Il
mare in lontananza che priva ai suoi figli sogni sereni, le onde che
restituiscono alla sabbia ciò che un tempo era nascosto. Aveva
tanto di cui riportare al Tapu, pensò Kukui mentre scendeva giù,
nelle viscere del Monte Lanakila, verso il cuore pulsante dell'isola,
dopo che al centro della struttura dell’ordine gli fu dato il
permesso di scendere. Dopo
la comparsa dei tre ragazzi senza memoria, la vita a Ula Ula non è
stata più la stessa: prima gli incubi dei marinai, poi l'oceano che
ributta, non si sa come né perché, sulle spiagge ragazzi mai visti
e con tratti fin troppo esotici. Kukui
si legò i capelli neri e alzò le vesti da terra prima di affrontare
la scala a chiocciola finale: fra radici di piante, terriccio e gli
scalini scivolosi e usurati dal tempo, la discesa poteva risultare
fin troppo difficoltosa, addirittura fatale senza prestare la dovuta
precauzione. L'unica
nota positiva -o almeno, lo era per lui- erano le escrescenze
luminose sulle stesse radici, manipolate dai primissimi Vae'nder a
partire dai funghi di Morellul e Shiinotic. La
scala, dopo interminabili minuti, poco a poco prese ad allargarsi in
maniera graduale. Segno che stava per arrivare. Mentre
s'aggrappava a una radice per non scivolare, Kukui prese nota nella
sua mente di ringraziare Plumeria e i suoi cugini per tutto quello. Lui
aveva trovato i naufraghi sulla spiaggia, ma era stata lei a offrirsi
per stabilizzare le loro condizioni, permettendogli di dedicarsi alle
indagini e a calmare le acque, smosse da quelle comparse inaspettate. Infine,
durante le riunioni del consiglio, i suoi tre cugini avevano convinto
i loro colleghi a interpellare direttamente il Tapu. Kukui
ricordava bene quel momento, dato che era presente a quell'incontro
tenutosi nel giardino centrale, anche se assisteva solo da un
angolino buio. E
non era stato l'unico a sorprendersi quando il vecchio Augusto, la
guida di tutti loro, non aveva pensato di andare egli stesso da Tapu
Bulu. Il
vecchio Vae'nder, la riluttante guida dell'intera Ula Ula, aveva
deciso di mandare lui, un ragazzo, fino al cuore della terra,
seguendolo solo spiritualmente. A
quanto pare, lui aveva ritrovato i tre naufraghi e lui doveva
riportare la sua versione dei fatti al Nume. Personalmente. Mentre
giungeva all'ingresso sigillato che conduceva verso l'ultima sala,
Kukui si ritrovò a pensare a quella decisione peculiare e,
istintivamente, tese le orecchie per captare eventuali altre
presenze. Ma
se non usava la Voce, non gli era possibile determinare se
effettivamente Augusto aveva mantenuto la parola e stesse in
disparte, a osservarlo come spirito non percepibile. Ma
non aveva motivo di dubitare di lui, in fondo. Indi
per cui, con una certa cautela, si avvicinò in punta di piedi al
masso biancastro che fungeva da ultima soglia e si scoprì le
braccia, completamente coperte da neri disegni, direttamente
scarificati sulla pelle bruna e screpolata per via dell'eccessiva
esposizione solare. Disegni
che assunsero tutt'altra sfumatura quando il giovane posò prima la
mano sinistra sulla nuda roccia e poi la destra, quasi ad angolo
retto rispetto alla prima, e iniziò ad aprire la porta. Kukui
inspirò per rilassarsi, concentrarsi, cercare con calma di
ricontattare quella capacità che con tanta fatica cercava da sempre
di padroneggiare. Chiuse
gli occhi. Inspirò. Espirò. La
Voce, forse grazie anche all'ambiente ricco di energia in cui si
trovava, subito rispose al richiamo: come uno Jiaolong** che riemerge
dagli abissi, questa strisciò leggera dal ventre fino a risalire,
gentile e potente, lungo la trachea, per poi spingere e gorgogliare
una volta arrivata alla bocca, impaziente di essere liberata. Il
giovane Vae'nder sospirò e, con timida prudenza, cadde in una tenue
e dolce trance e a rilasciare il suo potere, mantenendo quel poco di
lucidità utile per controllare il diaframma. Sebbene
le basi per il controllo della Voce le desse la lingua comune,
una volta trasportata a un piano più profondo essa perdeva tutto ciò
che fosse riconducibile alla materia superficiale e alle parole
comuni: si parlava una lingua-non-lingua, simile più a un canto
continuo che trasportava la mente verso lidi ben più lontani di quel
mondo fatto di polvere e fango. Ed
era quello che stava succedendo alla psiche e allo spirito del
ragazzo: risaliva col canto lungo le radici degli alberi e lungo i
loro tronchi, fino a raggiungerne le fronde e farle stormire.
Attraversava la pietra fredda e solida per ricongiungersi con
l'essenza, mutevole e stabile allo stesso tempo, della terra. Sopra
di sé sentiva lo sferzare del vento contro il proprio dorso e i
propri alberi; percepiva all'interno lo scorrere dell'acqua. Se
prestava un pochino più attenzioni alle immense profondità del
mondo sotto di lui, poteva quasi sentire l'energia latente del fuoco,
che scorreva come sangue. Permeava
l'ambiente attorno a sé in maniera così intima da riuscire perfino
a percepire la lieve presenza spirituale del proprio maestro. Per cui
non si stupì se, col canto, riuscì a sentire il cambiamento nella
pietra dell'ingresso. Sotto i polpastrelli del ragazzo s'erano
diramati piccoli fasci simili a radici fatte di luce fioca, di varie
sfumature di bianco, che presero a formare disegni e schemi dalle
curve e dagli spigoli più disparati, a seconda della natura della
roccia, quasi a formare una sorta di fiore. Il
Vae'nder non interruppe né la sua trance né il suo canto:
semplicemente, con garbo ruotò in senso orario le mani, lentamente,
senza fretta. La roccia seguì con altrettanta semplicità il
movimento. Una
volta liberato il passaggio, lo spirito e la mente del ragazzo
ritornarono con calma all'interno del corpo: una volta che tutto fu
al suo posto, il ragazzo terminò gradualmente il suo canto-discorso
e si risvegliò. Davanti
alla voragine nera che gli si prospettava davanti dopo aver fatto
scorrere la porta in pietra nella sua apposita cavità, Kukui non
poteva fare altro che sollevare lo sguardo, riassettarsi le vesti ed
entrare nell'oscurità a testa alta.
Appena
s'immerse nella buia e silenziosa sala, sentì subito il rumore della
pietra muoversi dietro di lui. Non provò neanche a voltarsi: tempo
un istante che la porta si richiuse dietro di lui, lasciandolo solo
con l'oscurità, la vaga presenza del suo maestro, e l'ambiente che
riusciva a percepire col resto dei sensi. Kukui
non provò paura, sapeva che se qualcosa fosse andato storto avrebbe
trovato una soluzione. Era
pure consapevole che questo non voleva dire perdere la
concentrazione, specialmente se era entrato in un territorio non suo.
Specialmente se non era previsto che un inesperto come lui entrasse
lì. Tese
le mai a fianco a sé, allargò le dita, riprese a far fluire la Voce
attraverso di sé, tramite un mormorio sommesso, basso e continuato.
Sentiva attorno a lui la pietra, le radici e le piante rampicanti, la
terra e l'acqua gocciolante rispondere a quel richiamo e vibrare per
il canto che modulavano in risposta. Il
Vae'nder procedeva con calma, a palmi aperti e rivolti verso
l'esterno, continuando la sua preghiera mentre raccoglieva la
moltitudine di risposte dell'ambiente e farne un'unica cosa. Sentiva
le scarificazioni sulle braccia pulsare e illuminarsi debolmente per
l'energia che lui stava esercitando, dentro e fuori di sé: percepiva
il calore che ne derivava che si allargava sulle spalle, sulla
schiena, sul petto, a formare disegni che avrebbe visto solo una
volta terminato il rito. Fu
quando il calore e l'energia raggiunsero il cuore che Kukui lo sentì
palesarsi. Accanto
a lui, lo spirito di Augusto prese forma di un etereo canide dalle
molte code, tanto simile ai messaggeri sacri che abitanvano il picco
gelido del monte*** sopra di loro, ma non era la sua aura che
influenzava così tanto lo spirito del giovane Vae'nder. Era
quella del Nume. Ovviamente,
nella semi-oscurità, rischiarata solo da deboli luci prodotte dagli
effetti della Voce e dallo spirito, la vista da sola non poteva
percepire la presenza incorporea del Tapu. Ma
con il canto... era come se, di fronte al ragazzo, ci fosse una forma
che irradiasse tutt'attorno a sé un'energia dai colori della
foresta, che sapeva di umido, di dolce, di pioggia e di terra. Di
vita. Senza
movimenti bruschi, Kukui si abbassò fino a terra, per poi sedersi
sulle gambe. Riducendo il canto a un flebile sussurro, portò le mani
sulle ginocchia. Sentiva
Tapu Bulu avvolgerli entrambi e girar loro intorno, come una sorta di
danza che solo lui conosceva il senso. E, nel frattempo, rivolgeva
loro domande, sensazioni, impressioni. Kukui
era abbastanza certo che quel parlare senza parole fosse un modo per
il Nume di spingere a migliorarsi i Vae'nder che si rivolgevano a
lui, una sorta di occasione per esercitarsi in più. Sentì
lo spirito Bulu sfiorarlo con una domanda: era curioso su cosa
pensasse il ragazzo riguardo al motivo
per cui lui era laggiù. Rispose
facendo fluire i ricordi dei naufragi che aveva trovato, uno assieme
anche a un'amica. Rispose
con le stranezze che stavano colpendo i sogni degli abitanti, con
quello che lui vedeva attraverso visioni oniriche. Cose e creature
presenti in terre lontane, esseri dalle anatomie bizzarre esplorare
guardinghi il mondo al di fuori di Ula Ula. Ma, soprattutto, rispose
con l'impressione che le loro auree, i loro spiriti, fossero in
qualche modo corrotti, alcuni forse addirittura sbagliati. Erano
esseri orribili, sì, ma il ragazzo ancora non comprendeva bene la
loro natura. Forse era per questo che era là sotto: per tutti quegli
indizi e situazioni fuori dall'ordinario. Un
istante di silenzio interiore da parte del Tapu, poi fu il suo turno
di replicare. Prese
il suo spirito e lo portò lontano da quell'oscurità, lontano da
quella sala, lontano dal mondo materiale. Abbandonando i loro
involucri di carne, gli fece sfiorare la forza del mare, la libertà
del vento, la furia del fuoco, la potenza latente della terra. Per un
momento, il ragazzo guardò il mondo dagli occhi del Nume: un
coacervo di ordine e caos, di elementi in costante contrasto e unione
fra loro, un'entità dormiente in perenne equilibrio. Per
un solo istante, Kukui sfiorò l'essenza di tutto il suo mondo: solo
per quell'istante, percepì cosa volesse dire avere un corpo fatto di
terra, magma e pietra e sangue fatto di fuoco, sferzato continuamente
da correnti marine e da venti impetuosi che scalfiscono la solida
pelle. Fu quasi lì lì a scoprire l'intero senso di tutto ciò che
stava succedendo, a scoprire il nome e l'essenza di tutto ciò, a
farsi avvincere dall'idea alla base del suo mondo. Ma
riuscì solo a percepire miriadi di ferite, di cose lacerate e
doloranti, di cose spezzate e putrescenti, prima che due forze lo
tirasse indietro per ributtarlo brutalmente nel suo misero e piccolo
corpo. Kukui
boccheggiò, senza fiato; per non crollare in avanti a peso morto
poggiò le mani sulla fredda pietra. Il
suo canto era terminato e, stanco e senza aria, non era sicuro di
avere le energie per continuare. Riuscì a scorgere appena la figura
dello spirito di Augusto, ritto sulle quattro zampe e all'erta,
pronto per soccorrere di nuovo l'allievo. Il
dolore che hai sentito è quello che sentiamo noi ogni volta, da
tempo a questa parte
sussurrò una voce nella sua mente. Kukui non faticò a ricollegarla
a quella del Tapu. Intuì che quest'ultimo avesse percepito la sua
fatica, per questo scelse un canale di comunicazione più semplice. Chi
siano “noi”? Siamo coloro che rappresentano ogni elemento e ogni
concetto di questo mondo, chi più e chi meno. Siamo in tanti, più
di quanto tu creda. C'è un noi più specifico di così: siamo un noi
che derivano dagli elementi primigeni e vigilano su parte di loro, ma
siamo anche i vostri patroni. Venite. Kukui,
confuso, volse lo sguardo verso l'anima del suo maestro, che aveva
incominciato a muovere qualche passo in avanti. Con
il corpo che era tutto un dolore, il ragazzo si alzò lentamente e lo
seguì, esitante, lasciandosi guidare da lui e dalla voce. Il
resto di noi patroni prima si faceva sentire poco, ora non più. Sono
muti. Gli
elementi che hanno dato loro vita non cantano più per loro, perché
il legame tra loro è stato reciso, portato via. E
sono solo, ora. So che capiterà che anche il mio legame con la terra
svanirà, ma comincio ad accettarlo. È necessario. Ma credo di
essere l'unico a pensarlo, ed è orribile. Quelle
presenze non sono tutto il problema: qualcosa di più grande di noi
sta venendo, ma non ne comprendo la causa. So solo che la terra è
ferita perché il suo equilibrio sta cambiando. Qualcuno dovrà
andarsene fuori da qui con quello che resta del mio legame. Perché
non posso muovermi dall'isola, quelli come me possono agire solo su
ciò che proteggono. Il
Vae'nder seguiva quel discorso come poteva: il terreno cominciava ad
andare in salita, in lontananza, quasi sopra di loro, sembrava
esserci un piccolo punto di luce. Percepiva appena la presenza dei
due spiriti accanto a sé e delle pareti che si restringevano attorno
a loro. Poco a poco, il terreno e le pareti curvarono, e Kukui ebbe
l'impressione di star salendo su un sentiero a spirale. Spuntarono
fuori dal cunicolo e si ritrovarono a valle del Monte Lanakila, in
una radura della Foresta Haina****. Nel
cielo notturno le stelle già brillavano, immerse in uno spazio
sfumato e multicolore, dal nero al blu al viola più chiaro. Kukui si
chiese se un giorno qualcuno sarebbe stato in grado di volare fin
oltre la volta celeste, per raggiungere quella parte di galassia
che lui, in quel momento, stava osservando. Lo
spirito di Augusto gli fece cenno di andare avanti, il ragazzo
rivolse lo sguardo verso quello che sembrava l'obiettivo del Tapu,
che aveva nel frattempo acquisito la sua forma corporea. Il
Nume stava girando lentamente attorno a un monolite in pietra, non
più alto di un uomo medio, suonando nel frattempo la campana che
aveva attaccata alla coda. Ma
il ragazzo non ci fece troppo caso: come trasognato, s'avvicinò al
masso e allungò la mano sinistra verso l'oggetto posto lì in mezzo. Era
un cristallo di colore verde vivo, luminoso di luce propria,
circondato da larghi solchi nella pietra e dal disegno di un
triangolo rovesciato e diviso a metà da una linea. Solchi e disegni
erano come riempiti da sottili venature verdi, come se l'energia
della pietra permeasse interamente il monolito che l'ospitava. È
questo il mio legame
sussurrò nella sua mente il Tapu. Esiste
da quando esisto io, rappresenta me, l'elemento che proteggo e anche
il passato della tua gente. Ma, a quanto pare, tra un po' quest'isola
non sarà più il suo posto adatto. Fuori
da qui, il legame dovrà trovare un posto dove il proprio potere sia
amplificato, dove possa unirsi agli altri legami. Il come... il come
è come la Voce. Posso indicare la strada, quando verrà il momento,
ma percorrerla è tutt'altra cosa. Kukui
osservò il Nume senza fiatare, stava elaborando ciò che gli era
stato riferito e le sue possibili conseguenze. Per
questo gli vennero subito spontanee le domande “perché?”
e “morirai?” Lo
spirito protettore si protese verso di lui, fino a che non riuscì a
guardarlo negli occhi. Il ragazzo non era gran che sicuro di riuscire
a reggere quello sguardo pieno della stessa luce della pietra:
deglutì, almeno ci avrebbe provato. Sento
qualcosa che è stato lacerato. È stato commesso un errore tanto
tempo fa, forse è stato diviso qualcosa che doveva rimanere unito.
Non so, questo va oltre ciò che mi è dato conoscere. E... A
quel punto, il Tapu reclinò leggermente la testa di lato. Ci
sarà un momento in cui la mia funzione di protettore cesserà di
avere senso. Quando quel momento verrà, la mia individualità si
dissolverà e verrà assorbita dall'essenza della terra stessa. Te
ne renderai conto. Tornerò
alle origini e rinascerò con nuove vesti, se ci sarà bisogno. Non
significa morire e nascere nuovamente, significa solo che cambierò.
Sarà un viaggio che noi tutti faremo assieme. Kukui
non rispose: distolse lo sguardo per guardare lo spirito di Augusto,
che annuì sicuro, per poi tornare a guardare il cristallo.
Cominciava a comprendere il perché era stato chiamato assieme al
maestro lì. La cosa lo riempiva di terrore e meraviglia. Viaggiare.
Ma, ripensando ai tre naufraghi, ai loro piccoli tesori, a ciò che
questi significavano, sentì la tensione allentare la presa sul suo
cuore. Non
sono e non sarò solo io. Sarà un viaggio che faremo insieme. Io e
loro e tutto il resto del mondo. Lo
faremo insieme. Noi.
Note
Autrice:
No,
non mi sono scordata di questa storia, al contrario. Ultimamente,
fra università e problemi annessi, più tante altre cose da
fare/scrivere/metter su, non ho avuto proprio la possibilità di
tirare fuori qualcosa di decente. E
durante l'estate? Bhe, world-buildind. E cioè? Ho
tirato su tutto l'universo in cui questa storia e relativo seguito
saranno ambientate. Sembrerà una banalità, ma non lo è: l'arco
narrativo della serie (si può considerare così?) copre soltanto la
primissima era del suddetto universo, che verrà conteggiata come
“periodo 0” rispetto alla linea temporale considerata “reale”.
Che... sì, è composta da tre ere. Una
bella robetta insomma. Ora che questa storia è completa, quando ci
sarà il seguito diretto? Quando si entra nel vivo dell'azione? Eh,
boh. C'è da rifinire lo scheletro della trama, sviluppare gli eventi
primari e abbozzare i secondari, bilanciare cose, rifinire
creature... Non
voglio di nuovo far scorrere mesi fra un capitolo e l'altro, quindi
più materiale c'è in background e meglio è. In ogni caso, non
lavorerò solo su questo, quindi bazzicherò comunque qua in giro,
ogni tanto. Non
mi resta altro che lasciare alcuni riferimenti doverosi. Bye!
*tipico
albero hawaiiano:
https://it.wikipedia.org/wiki/Acacia_koa **Il
nome Jiaolong è, in parte, riconducibile a Gyarados. Non credo sarà
infrequente che nel corso della prossima storia i protagonisti e gli
altri personaggi chiamino i Pokémon con nomi diversi da quelli
ufficiali, ma saranno fenomeni abbastanza isolati o almeno si spera. ***Riferimento
-forse pure scontato- ai Ninetales Alola. Ma
quindi, ci saranno pure le forme Alola anche nella long successiva?
Nì. Alcune hanno senso di esserci (come per l'appunto Vulpix e
Ninetales, visto che compaiono durante le prime colonizzazioni di
Alola da parte degli umani). Altre un po' meno, come nel caso di
Meowth e Persian: queste sono “comparse” grazie agli allevamenti
che i reali di Alola hanno compiuto sulle specie originarie. Non
avendo qui ancora un governo simile, la presenza di simili varianti
sarebbe forzata. ****zona
boschiva che nei tempi “odierni” del gioco si è trasformata in
deserto. Non credo che la presenza di una foresta preistorica sia
confermata nei giochi, tuttavia l'ambiente desertico non è proprio
il migliore se si vuol parlare di vita, di terra fertile e di uno
spirito legato anche alla vita vegetale :'
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