πάντα ῥεῖ - Panta Rei

di Danail
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Anima Mundi. ***
Capitolo 2: *** 2 Panthalassa. ***
Capitolo 3: *** 3 Pankoiros. ***
Capitolo 4: *** 4 Panpyr ***
Capitolo 5: *** 5 Pangea. ***



Capitolo 1
*** 1 Anima Mundi. ***


Anima Mundi

In origine, quando il mondo ancora era giovane e non aveva conosciuto né guerre né violenza, esisteva nell'estremo occidente un arcipelago. Un arcipelago enorme, governato dalle sue quattro più grandi isole ancora non unite sotto un unico essere, tanta era la diversità dei quattro popoli che le popolavano.

Ma in un mondo dove la parola “conflitto” non esisteva ancora, dove nessun dissidio aveva trovato ancora modo di nascere, nessuno poteva tollerare che la diversità costituisse motivo di guerra.

Così a lungo, in quell'arcipelago, la pace regnò sovrana tra gli esseri delle isole, animali e Pokémon.

Ma avvenne che il terzogenito di Arceus volle far conoscere al mondo la dualità delle cose, mostrar loro il bene che c'era nel male e il male che c'era nel bene.

Portò nel mondo morte e distruzione, portò la sofferenza, la violenza, la cupidigia, la rovina.

Per i suoi atti contro la natura venne esiliato in un mondo distorto, con l'unica possibilità di vedere da esso i frutti del suo operato.

Così il mondo ebbe il dono della totale conoscenza, e i suoi abitanti videro nell'altro un pericolo piuttosto che un compagno. Scoprirono come sopraffare e piegare la natura al loro volere, plasmandola a seconda dei loro interessi. Vennero sopraffatti dall'ambizione di poter eguagliare e superare Arceus, avvicinandosi così pericolosamente al Caduto con i loro atti innaturali.

E questo Arceus non poteva perdonarlo.

Condannò gli Abissali, esseri acquatici protettori dei mari, alla prigionia nelle nere acque che scorrevano su Poni*, dimentichi di quello che era il Sole e la luce, trasformandoli in prede cieche e confuse di Pokémon che loro poco prima avevan sfruttato.

Maledisse i Celestiali, creature alate protettrici dell'aria, per la loro condotta malevola verso tutte le specie dell'arcipelago, che patirono i loro capricci e la loro prepotenza, facendoli cadere nell'isola più piccola e piatta delle quattro maggiori. E così molti Celestiali popolarono Mele Mele.

Punì gli Koxol**, elementari del fuoco protettori dei vulcani, per i loro crimini contro Pokémon e Terra: per la loro avidità e sete di ricchezza inquinarono le terre e le trivellarono senza criterio, senza pensare alle conseguenze dannose sull'ambiente, servendosi del loro ascendente sui vulcani per spegnerli o farli eruttare, sottomettendo e logorando i Pokémon. E così vennero esiliati ad Akala con il triste compito di badare solo al vulcano Wela.

E infine Arceus infuriò anche contro gli uomini, colpevoli di aver seguito Giratina per primi, per poi trascinare con loro gli altri popoli e infine raggirarli una volta davanti al suo cospetto. Tutto ciò, solo per arrivare all'essenza delle cose e chiamarle con il loro vero nome.

Arceus decretò l'allontanamento dall'arcipelago per alcuni e la prigionia su Ula Ula per altri, lacerando famiglie e affetti.

Creò infine quattro Pokémon leggendari, quattro Tapu in grado di tenere a bada queste creature e al tempo stesso per proteggerli: Fini per gli Abissali, Koko per i Celestiali, Lele per i Koxol e Bulu per gli uomini.

Sfinito, Arceus si ritirò nelle più alte sfere celesti, e restò in muta contemplazione del suo mondo, in attesa...


Note dell'Autrice.

Uhm... Salve!
Come al solito, passano eoni di totale assenza nel mio account e poi... bum! L'ispirazione di nuovo fa capolino di nuovo, a caso.
A volte basta solo la visione di un film per accendere la miccia, far connettere idee vaganti e far muovere il mio cervello. E concepire di conseguenza una storia.
In questo caso è stata la combo Pokémon Sole e Luna + Oceania della Disney a farmi pensare a qualcosa, e dopo vari pensieri e ripensamenti ecco che nasce la miniserie di Anima Mundi e del suo seguito. Sì, Panta Rei è concepita come una sorta di “prequel” per la storia vera e propria, quella che per prima mi è venuta in mente. Ma, giustamente, conviene andare con ordine.
Questa serie avrà circa cinque capitoli, di lunghezza variabile. Per cui non tutte le storie saranno flashfic come questa, forse rientreranno tra le os. Bhe, si vedrà!
Qui di seguito ci sono un paio di voci che ho segnalato nel testo per favorire la comprensione.
Bhe, al prossimo capitolo ^^
-Danail.

*Pensando alle stratificazioni del Canyon di Pony e alla sua conformazione (e al legame che l'isola ha con il Popolo del Mare) ho pensato che in tempi primordiali Poni fosse semisommersa, e quindi patria ideale per creature come gli Abissali. In fondo, si parla di ere fa ai giochi canonici, potrebbe essere possibile una cosa del genere.

** Gli Koxol sono tratti dal mito dei Zakikoxol , spiriti presenti principalmente nella mitologia Maya e raffigurati come omuncoli o folletti della foresta, capaci di penetrare il corpo di chi s'avventura nei loro territori. La versione che qui porterò è però quella dei Cakchiquel, che indicavano con questo nome i protettori di un vulcano e un gigante del fuoco.
Lascio qui il link al post dove ho trovato questo mito: http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php/Zakikoxol

EDIT: 12/07/2018

Avvisetto rivolto più ai vecchi lettori che ai nuovi, anche se forse potrebbe essere interessante pure per questi ultimi (?)

Ho concluso finalmente l'esame di maturità e, negli spazi di tempo libero, sto correggendo questa storia prima di pubblicare l'ultimo capitolo. Lungi da me riuscire a metter su qualcosa di perfetto, se anche nella rilettura mi sfugga qualche erroruccio non abbiate timore di segnalarmelo, anzi <3

Tuttavia c'è una cosa importante da segnalare in questo capitolo, cosa che farò anche con l'ultimo (e quindi è probabile che qualche lettore vecchio torni qui a rivedere proprio per questo motivo. A questo lettore scrivo solo: ehilà, da quanto non ci si vede?), e cioè: l'abilità acquisita a quel popolo più simile all'umano.

In origine questi esseri erano... sì insomma, persone normali. Come noi o, banalmente, come ogni personaggio umanoide presente nella saga canonica.

Tuttavia ho voluto cambiare la razza e darle una sorta di abilità o potere peculiare, che ovviamente verrà presentato in maniera più decente più avanti. Il poter conoscere ciò che c'è dietro all'apparenza, il percepire la vera realtà (il noumeno kantiano, l'iperuranio di Platone) e chiamarla attraverso una parola o una breve frase è un'abilità che, sebbene possa essere condivisa ed estesa, è più forte nella razza che, nella vita reale, ha provato ad andare oltre.

D'altra parte, questa abilità di “richiamo”, è fondamentale non solo per lo sviluppo immediatamente successivo di Unvorsum, ma deve esistere perché presupposto dell'universo che verrà dopo la fine di quest'ultima long.

E... niente, questo è tutto. Mi auguro.

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Capitolo 2
*** 2 Panthalassa. ***


Panthalassa




Ecco! La Morte s'è innalzata un trono
In una strana città che giace solitaria
Laggiù lontano all'Ovest tenebroso,
Dove il buono e il cattivo, il migliore e il peggiore
Hanno raggiunto la loro pace eterna.
Laggiù palazzi, torri e altari

(Torri rose dal tempo e non vacillano!)
A niente rassomigliano di nostro.
Dimenticate dal vento che si leva,
Sotto il cielo, rassegnate
Giacciono intorno le acque melanconiche.

[La città del Mare- E.A. Poe]








Gli avevano inculcato fin da piccolo il terrore per le prigioni naturali di Poni, il giovane Abissale s'era sempre tenuto in maniera quasi reverenziale lontano da esse. Fin troppo vicine al tempio di Tapu Fini e al nero tribunale, le carceri erano strutture brutte e sgraziate anche per gli standard del popolo marino.
Qui però è stranamente pulito” pensò il giovanotto mentre nuotava -per quanto le manette alle zampe lo permettessero- per quella stanzetta cubica scavata nella roccia. Stanco di sforzarsi di muoversi per ottenere solo squame spezzate e sangue nero sui polsi, l'essere si posò in un angolo e avvolse la coda draconica attorno al corpo, posando le ampie pinne sul viso da Sharpedo antropomorfizzato. Con un sospiro chiuse gli occhi neri come inchiostro, sperando di sognare ancora. Al tribunale lo avevano giudicato come un essere corrotto, un bestemmiatore nei confronti del Tapu. Ma fosse solo per quello non lo avrebbero condannato alla decapitazione, la sua famiglia non lo avrebbe ripudiato. No, non solo aveva avuto l'ardire di raccontare i suoi sogni riguardo la superficie luminosa, le altre isole e le altre razze. Lui aveva avuto il coraggio di rubare e nascondere il cristallo di Fini, violando il tempio e ferendo il Tapu grazie al suo Sharpedo. Al ricordo delle frustrate pubbliche l'Abissale sentì gli occhi inumidirsi più del normale.







Non seppe quanto dormì. Lì in fondo agli abissi il tempo era un concetto quasi sconosciuto, senza i consueti segnali ambientali l'adolescente non seppe quanto aveva ancora da vivere. Avrebbe voluto fuggire, sì... ma dove? Nei sogni vedeva Pokémon a lui sconosciuti solcare eleganti una volta di colore più chiaro dell'acqua. Vedeva la terra emergere dal mare, vedeva che il suo mondo finiva a un certo punto per lasciare posto a uno tutto nuovo e da scoprire. Nei sogni riusciva a vedere la luce.
Ma il ragazzo non aveva idea di come raggiungere la terra e la luce, in quel momento di sonno agitato arrivò anche a dubitare che esse non esistessero, che fosse vero il verdetto del tribunale: erano solo deliri di una mente perversa.
Ma assieme ai sogni venivano anche gli incubi, anche quella volta essi avvelenarono quelle dolci immagini. Essi iniziavano con l'apertura di strani buchi, da cui fuoriuscivano... creature. Ogni volta che invadevano il suo mondo onirico l'Abissale si lamentava e s'agitava nel sonno. Erano Pokémon? Forse. Ma in tutta la sua vita non aveva mai visto esseri con caratteristiche così accentuate, nemmeno nei sogni. E queste strane creature, una volta superato il tunnel, sembravano esitare per un attimo. Si guardavano attorno, spaesate, e... e distruggevano la terra e inquinavano il mare. Al che, l'Abissale si svegliava sempre di soprassalto.
Tuttavia quella volta il sogno, per quanto fosse altrettanto orribile, variò senza preavviso nel finale.
Per la seconda volta consecutiva nella visione onirica comparve quell'isoletta. L'abitante dei mari, nell'agitarsi durante il sogno, si chiese ancora come si chiamasse. Forse ancora non aveva nome.
L'isola era poco più grande di Poni e non aveva punti di particolare interesse. L'unica cosa di rilievo era una montagna non molto alta, venata da spaccature frastagliate da cui ogni tanto scaturivano bagliori luminosi. Alla base della montagna un fiume sotterraneo emergeva in superficie e sfociava in mare con un delta enorme, rendendo l'isola estremamente fertile. Dalla parte opposta del delta sorgeva una piccola foresta.
La prima volta l'Abissale aveva scorto sulla cima del massiccio una piccola struttura che assomigliava a un tempio. L'essere riconosceva vaghi tratti dei templi Abissali, come le decorazioni marine alla base della scalinata bianca, ma tutto il resto gli appariva sconosciuto, un miscuglio tra stili diversi.
Come la prima volta, il sognatore si diresse con naturalezza verso quel luogo sacro, penetrando dentro il naos con la stessa leggerezza di una corrente di superficie.
All'interno, come la prima volta, vide sopra un tavolo la statua in marmo bianco di un Pokémon familiare, con un anello attorno alla vita. E, dietro alla statua e su un altare riccamente decorato, vi era un disco di legno con vaghe incisioni.
E allora il sogno si fermava: sospeso in un istante infinito, l'essere marino poteva scorgere all'interno del disco quattro alloggiamenti posti ai quattro cardinali.
Come nel primo sogno, l'Abissale non capì i primi tre simboli. Come nel primo sogno, il triangolo rovesciato a sinistra lo attirò così intensamente da provocargli addirittura dolore. Come nel primo sogno, bastò vedere quel marchio proprio di Fini e del suo cristallo a fargli capire che ormai il triste fondo del mare non era più il luogo adatto per quella pietra potente.
Perché lì in fondo non avrebbe protetto più il popolo del mare, con la stessa certezza che si ha nei sogni l'Abissale era sicuro che il cristallo dovesse raggiungere quell'isola.
Ma il primo sogno s'era interrotto solo con questa consapevolezza, svegliando il sognatore nella sua camera da letto e lasciandolo rimuginare per ore.
Il secondo sogno lo svegliò in una cella oscura: era finito prima che quelle strane creature uscissero dai loro varchi, ma gli mostrò anche due portali luminosi, prossimi ad aprirsi, proprio accanto al tempio.
Quei due tunnel li ho percepiti in maniera diversa, però... che escano creature di altro genere? Sono quelle che devono essere fermate per prime? Cosa significa?” si chiese mesto il prigioniero una volta destatosi mentre s'avvicinava d'istinto alle sbarre. Ma nel momento stesso in cui il ragazzo portò il muso affilato tra due spalle che una serie di eventi cominciò a concatenarsi a velocità impressionante.
Vide avvicinarsi due figure fin troppo familiari, appartenenti entrambi al ramo amministrativo del culto di Tapu Fini, sussurrare qualcosa a una guardia carceraria. L'attimo dopo quella levitava in un nugolo di sangue mentre il prigioniero nuotava più veloce che poteva assieme a quelli che riconobbe come suo fratello maggiore e sua sorella minore.
-Fratelli! Che...- ansimò il giovane mentre guizzava verso l'esterno, stretto per bene fra i due.
-Taci stupido! Per credere ai tuoi sogni abbiamo sguazzato nel fango puzzolente per rubare la pietra prima che Tapu Fini la ritrovasse! Ma come ti è venuto in mente di piazzarla proprio nell'area rifiuti del tempio?- sibilò furiosa la femmina, un'Abissale slanciata e dai tratti fini. Il trio imboccò un corridoio secondario. In lontananza si sentivano rumori sospetti.
-Ssshht, zitti voi due, che forse ci hanno scoperti. Zitti e nuotate!- esclamò a mezza voce il maggiore, un marino grosso quanto un armadio e forte come due adulti messi assieme.
Velocemente i tre fratelli svoltarono in un condotto del ricambio dell'acqua aperto chissà da quanto -molto probabilmente dagli stessi Abissali venuti a salvare il fratello prigioniero- poco prima che le voci li raggiungessero.
Il condotto era così stretto che a stento passavano in fila indiana: le code sbattevano sonoramente contro le pareti, le pinne potenti e fini come veli a volte restavano impigliate tra fenditure e punte di metallo, le zampe palmate sembravano scalare più che nuotare, gli artigli delle dita spesso e volentieri grattavano i mattoni e la malta che fendere l'acqua.
Dopo minuti di lenta agonia il condotto finì, con immenso sollievo il giovane ritornò alle acque libere che, per sedici anni, avevano accolto scorrerie, nuotate e tanti momenti felici.
-Fratellino, tieni la pietra. Ti abbiamo fatto un ciondolino, così non la perderai!- rispose il maggiore alla domanda non detta del minore, passandogli il gioiello mentre s'allontanavano dalla fortezza-carcere. Il giovane s'infilò rapidamente la cordicella in cupronichel attorno al collo squamato per poi osservare di sottecchi la pietra rubata.
-Ascoltaci invece di ammirare quella cosa! Devi risalire in superficie il più in fretta che puoi!- gli gridò rabbiosa la sorella, afferrandogli un braccio e spingerlo a continuare il nuoto.
-Ahia! Pensavo che non mi credeste, come tutti!- piagnucolò in risposta il ragazzo, che accelerò.
Sotto di loro la città scavata nella pietra, le sue strade, le sue case e i negozi, tutto lentamente s'allontanava in proporzione alla loro ascesa.
-Davvero credi che ti avremmo lasciato marcire in quel buco? Anche noi abbiamo avuto qualche sogno. Ma non è nostro compito risalire, qualcuno deve restare qui per organizzare il popolo degli abissi!- spiegò il maggiore dei tre, controllando le strade. In lontananza si vedevano strane ombre muoversi. Forse era un effetto ottico.
-Eccoli! Muoviti!-.
No, non era un effetto ottico. Alla voce spaventata della sorella l'Abissale istintivamente il ragazzo si fermò, giusto per vedere che una silhouette di un Pokémon proveniente dal tempio attraversare a grande velocità le strade e i vicoli per raggiungere il ladro.
-NUOTA!- gli urlarono contro i fratelli, prima di guizzare in chissà quale nascondiglio.
Disperato, l'Abissale guizzò in alto e, con le forze congiunte di zampe e coda, si proiettò in alto alla ricerca della superficie dorata che tanto desiderava.
Mentre la corsa verso gli strati marini più alti si consumava in fretta, una sorta di nebbia poco a poco invase l'acqua attorno all'Abissale. Questo annaspò ancora un po' per vincere la trance che la nebbia di Fini provocava: il ricordo dei sogni e del pericolo riusciva a mantenere la concentrazione, ma lo sforzo era tale da far strizzare le palpebre alla creatura e ad aprire la mente a tutt'altri attacchi.
La nebbia lo stava rapendo. Doveva andare più in alto! ...più in alto! ...in alto...
Infrangendo la legge perderai la memoria di ciò che eri e ciò che sei ora. Ma, in fondo, rompendo la superficie col cristallo avresti perso comunque la tua identità. Assieme alla tua casa e alla tua famiglia. È la sorte peggiore che possa capitare, no?” sussurrò la voce apatica e fredda che l'Abissale collegava senza esitazione a Fini.
Stava perdendo la concentrazione, il torpore lo stava intrappolando. La superficie...
Il ricordo della superficie, del Sole caldo, della luce e dell'isola irruppero vivide all'improvviso nella mente del giovane, che si riscosse e abbandonò la trappola mortale. La nebbia lo aveva quasi raggiunto.
Con un guizzo tornò a nuotare veloce verso l'alto, cercando di riguadagnare il terreno perduto.
I ricordi dei sogni si ripetevano in un circolo vizioso, donando al ribelle l'ultimo barlume di forza.
Al che, senza preavviso e in maniera del tutto naturale, il cristallo appeso al collo del giovane s'illuminò, avvolgendolo con un'aura azzurrina a forma di vaga spirale e spingendolo in su, sempre più su, come una corrente oceanica che risaliva impetuosa.
Lo stridio furente di Fini si sentì appena da lì in fondo, l'Abissale non gli prestò più attenzione. Vide solo la sagoma del suo fedele Sharpedo emergere dal nero del fondo e aiutarlo a nuotare.
Potete segregare me e il mio passato” pensò nei suoi ultimi istanti di memoria passati prima d'infrangere il confine fra acqua e aria, mare e cielo.
Ma non potrete mai rubare i miei sogni!





-Ehi, svegliati. Tanto lo so che sei vivo-.
C'era una voce nell'oscurità. Qualcuno lo spingeva dolcemente, forse per ottenere una reazione da parte sua.
Ma chi era? Il ragazzo non la riconosceva. Non ricordava di conoscere qualcuno con quella voce e quel dialetto gli risultava estraneo.
Anzi, non ricordava proprio nulla.
Emise un gemito e passò dalla posizione supina a quella distesa sul dorso, continuando a tenere gli occhi chiusi.
-Ah, ma allora stai bene! E io che credevo che avessi qualche danno... su, ce la fai ad alzarti?-.
Sotto le sue mani c'era sabbia. Tanta sabbia, dura e compatta.
Non ricordava nulla, ma era abbastanza sicuro che la sabbia che conosceva lui era ben diversa. E poi che cos'era quello strano torpore, tutto quel caldo, tutto quel sole? Il ragazzo aprì gli occhi.
-Mh, penso di no... non ti ho mai visto da queste parti. Sei un naufrago? Un Pokémon fatto umano? Uno Sharpedo è venuto al villaggio tutto agitato, credo che fosse tuo, no? Riesci a capirmi?-
Di fronte al ragazzo disteso c'era un suo coetaneo. Da quello che riusciva a comprendere, era un ragazzo dalla pelle fragile e bruciata dal sole. E... aveva detto umano? Qualcosa non quadrava, se lo sentiva. Almeno ricordava di Sharpedo, quel vecchio squalo lo aveva salvato anche quella volta.
Faticosamente si mise a sedere per guardarsi bene, ignorando temporaneamente l'altro che continuava a ciarlare.
-Allora? Come ti chiami? Dai, per favore, dì qualcosa!-
Il ragazzo guardò con apparente apatia il suo corpo e poi quello che l'aveva trovato. Erano parecchio simili. Eppure... eppure sentiva che c'era qualcosa che gli sfuggiva. Ma cosa? La memoria era un buco nero. Approfittò della pausa dello sconosciuto di fronte a lui per rispondere con ciò che sapeva ancora. Forse qualcos'altro sarebbe emerso.
-Ti capisco, non serve che urli. Io... mi chiamo Ivan. Credo di avere due fratelli da qualche parte, ma non ricordo chi sono e come si chiamano. Non ricordo nemmeno il loro sesso né il loro nome. Io... sì, forse sono naufragato, non ricordo...- mormorò confuso Ivan, guardando l'interlocutore con espressione confusa. Quella situazione non gli piaceva affatto.
-Ma piacere Ivan! E quindi soffri di amnesia, eh? Scommetto che non ricordi neanche del perché hai quella pietra! Sai, assomiglia a quella che abbiamo noi. Solo che la nostra è verde e sta nella foresta. Dai dai, vieni al villaggio, magari riconosci qualcuno! Sono venuti altri naufraghi, forse vi conoscete. Dai, muoviti!-
Ivan ebbe il tempo solo di dare un'occhiata al suo ciondolo -e sentire uno strano sollievo nel vederlo ancora appeso al suo collo- e venne alzato e trascinato dal ragazzo verso un sentiero che portava in un bosco, pensando solo che non si era presentato.
Che tipo frettoloso.

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Capitolo 3
*** 3 Pankoiros. ***


Pankoiros


Can’t you see that you’re smothering me?
Holding too tightly, afraid to lose control?
Cause everything that you thought I would be
Has fallen apart right in front of you.

Non riusciva a smetterla di fissarla.
Nascosto dietro al cespuglio, il giovane Celeste ascoltava con espressione meravigliata la sorella, più piccola di appena un anno, suonare il violino.
Le era stato regalato proprio da lui, il suo amato fratello maggiore, in occasione della sua accoglienza da parte del Nume Locale avvenuta sei mesi prima.
Oh, lui se la ricordava benissimo. Con quei capelli biondo cenere raccolti in una spessa ciocca, la corona di gigli bianchi posati sul capo, le sue leggere lentiggini sul viso, le ali giovani e forti raccolte sulla schiena, gli occhi dorati che sfavillavano, quell'espressione felice, incredula e commossa tipica di tutte le Celesti che da novizie inesperte e impaurite divenivano Sacerdotesse a tutti gli effetti.
Il ragazzo ricordava il leggero tremolio della sorella mentre s'inginocchiava davanti alla Matriarca, l'unica tra tutti ad avere sei ali, affiancata da un altero Tapu Koko. Ricordava la lacrima che solcò il suo viso nel vedere il giallo Cristallo del Nume, incastonato in un pendente legato attorno al collo del Pokémon, perdere un frammento che, sospinto da qualche corrente a lui invisibile, andò a posarsi fra le mani della giovane.
Ricordava perfettamente i festeggiamenti della loro numerosissima famiglia assieme al resto del loro popolo. Ricordava le danze sfrenate sulle note degli ukulele e degli Mele Oli*, a ritmo delle percussioni. Ricordava i voli dei Celestiali più esperti: esibizioni magnifiche che, dopo una certa ora, si mescolavano ai buffi tentativi dei più piccoli, ai sobri svolazzi dei Cacciatori e a quelli più sciolti del resto della gente.
E soprattutto, ricordava quell'abbraccio sopra le nuvole con quell'amata sorella che in quel momento ascoltava estasiato.
Malie, si chiamava. Mai nome poteva essere più adatto, per lui. Quel ricordo così intimo e felice l'avrebbe sempre conservato nel cuore.
Le aveva promesso che, una volta divenuta Sacerdotessa, avrebbero perforato insieme le nuvole, all'alba, per salutare il Sole che sorge. In fondo, lui era entrato nelle fila dei Cacciatori, coloro che proteggevano Mele Mele e il Nume Locale, e lei ormai aveva raggiunto un grado importante nel culto di Tapu Koko. Momenti simili di libertà totale non ne avrebbero più avuti.
Si staccarono presto dal gruppo e, grazie alle due paia di ali di lui, una rarità per quel popolo, raggiunsero la coltre più bassa di nuvole e la superarono, affacciandosi a un panorama nebuloso quanto candido. In uno slancio d'affetto lei lo abbracciò e, nello stesso momento, i primi bagliori del mattino si trasformarono nell'alba più luminosa che avessero mai visto e che li avvolse di calda e pura luce.
Il ragazzo sorrise leggermente nel ricordare un'ultima volta e ascoltare le note conclusive della composizione di Malie.
Fece per alzarsi nel modo più silenzioso possibile: voleva andarsene da lì senza dire niente, senza esporsi al pubblico, senza rovinare nulla, senza danni. Voleva solo fuggire con delicatezza e riserbo, per quanto gli fosse possibile. Ma la divisa, un'armatura di cuoio completamente nera, scricchiolò proprio quando il giovane s'era voltato per imboccare il sentiero che portava verso il Picco**
-Zireael?-
Il ragazzo, a sentirsi chiamare per quel tenero soprannome, non fece a meno di voltarsi e rivolgere un bonario sorriso alla sorella minore. Per un momento rimasero in quella specie di stallo: lui sulla strada per il picco, in divisa e le quattro forti ali ripiegate strette sul dorso; lei con violino in una mano e l'archetto nell'altra, con un'espressione di lieto stupore.
-Zireael!- ripeté la ragazza, posando il fragile strumento su una panchina in pietra e precipitandosi verso il fratello maggiore, rompendo così quell'immobile incanto.
Il Celeste l'accolse con tenero affetto tra le sue braccia, spiegando leggermente le ali solo per abbracciarla ancor di più.
-Zireael, fratellone... che fai qui? Pensavo che fossi ai piedi del Picco ad addestrarti, non che avessi un momento libero. Se no sarei venuta io- chiese Malie, scostandosi dall'abbraccio dopo un momento di silente pace.
Lui rise appena, con una punta impercettibile d'amarezza.
-Non volevo disturbarti, Malie. E poi ero nei paraggi, volevo venire a salutarti prima che vada- rispose poi. Istintivamente infilò la mano nello scomparto dell'armatura dove teneva la sua maledizione, racchiusa in appena qualche centimetro di caldo e lucente cristallo incastonato in un pendente.
-Andare? Di già? E perché eri nei paraggi? Ti è successo qualcosa?- domandò perplessa lei, guardandolo apprensiva e allungando le mani verso il suo viso per accarezzarlo.
Il Celeste distolse leggermente lo sguardo, rabbrividì di piacere nel sentire quella mano familiare scorrere fra i suoi capelli innaturalmente argentei. Cercò inutilmente di concentrarsi su un cespuglio di fiori che Malie aveva piantato per lui, dei fieri esemplari di Guzmania Cardinalis di color rosso sgargianti.
-Malie, io...- incominciò, deglutendo per calmare l'agitazione che lo attanagliava. Come poteva dirle di essersi macchiato di tradimento verso il Nume per degli stupidi quanto reali incubi?
Come poteva rovinarle così la vita? Sarebbe stata sempre associata a lui, quel Celeste tanto unico quanto malvagio.
Avrebbe visto quei fiori superbi non più come ricordo di un affetto fraterno, ma come costante memento di un inganno sfacciato.
-...io starò via per un po'. Non credo che ci vedremo tanto presto- concluse, con voce rotta dall'emozione.
Un'espressione triste per un momento dominò nel viso della giovane Celeste, ma ad attirare l'attenzione di entrambi fu un verso furioso e familiare, proveniente dal tempio di Koko, posto proprio al limitare dei giardini.
Una rapida occhiata sorpresa di Malie fece comprendere al ragazzo che ancora non sapesse nulla, che gli chiedeva in silenzio, prima di precipitarsi al tempio, la causa della furia del Guardiano.
-Sorellina, mi dispiace davvero tanto!- sussurrò impulsivamente il Celeste mentre la stringeva a sé per l'ultima volta, prima di girarsi e correre via verso la cima del Picco.
Si ripromise di non voltarsi, e così fece: non si voltò, nella corsa, quando la voce di Malie lo chiamava disperata per nome, abbandonando il dolce soprannome di Zireael.
Non si voltò quando, nella scalata verso l'apice, i suoi fratelli Cacciatori tentarono di richiamarlo, o con le parole o tentando di attaccarlo.
E non si voltò nemmeno quando, dopo il decollo, sentì i versi lontani e irati di Koko seguirlo su per il sentiero, accompagnati dallo scoppiettio sinistro che annunciava l'accumulo d'elettricità da parte del Pokémon.
Semplicemente, nel sentire il vento cambiare direzione a suo favore, il Celeste spiegò al massimo le ali anteriori per ricevere maggiore spinta e usare le posteriori per governare il volo.
Devo superare il reef. I Tapu non possono oltrepassare i confini dei loro territori. Devo superare quel reef!” pensò determinato il Celeste nel vedere avvicinarsi la zona scura che segnalava la Barriera Corallina appena sommersa sotto il livello del mare.
Con uno slancio aggraziato, riuscì appena a oltrepassare il confine prima che l'immensa scarica elettrica lo investì.
Urlò? Ne era quasi certo, ma il dolore infinito e il terrore primitivo della morte incombente attapparono il suo udito.
Era terribile.
Era come se mille e più coltelli roventi venissero conficcati nella schiena per bruciarlo ed estirpargli le ali -quelle bellissime ali dal piumaggio candido a cui teneva molto- fin dalla radice; come tanti piccoli artigli che penetrassero il corpo per strappare la carne e divorarla dall'interno.
Stordito e in fin di vita, il Celeste a malapena s'accorse della superficie del mare che s'avvicinava a perdita d'occhio fino a impattarcisi contro. Non percepì l'impatto, solo qualcosa di benevolo e fresco avvolgerlo dolcemente per alleviargli un poco le gravissime ustioni prima di dargli il colpo di grazia. Una piccola gentilezza, per uno come lui.
Era ancora semi cosciente quando realizzò che andava pigramente a fondo, in un silenzio straniante, che l'acqua cominciava a riempirgli i polmoni e renderli due zavorre letali.
Ma si rese conto anche che, per qualche ragione, non stava morendo annegato, che il suo corpo ancora si rifiutava di morire, che qualcosa -una corrente? Un Pokémon? L'illusione di poter sopravvivere? Che cosa?- lo stava portando da qualche parte, che teneva ancora il Cristallo di Koko stretto spasmodicamente tra le dita, che lentamente i ricordi della vita passata da essere puro e senza macchia di crimini scivolavano via, lasciando solo un vuoto nero e ovattato nella sua mente.
Il Celeste chiuse gli occhi, consapevole che il vuoto lo stava per ghermire, chiedendosi quale valore avesse quel suo sacrificio.
Malie” pensò mentre gli ultimi ricordi di lei scorrevano nella sua mente, vividi come non mai, prima di essere inghiottiti dall'oblio “Vedi? Il fratello che tanto amavi ti è crollato davanti. Ma non potevo lasciarmi vincolare, volevo essere qualcosa oltre al semplice Celeste di buona famiglia. Volevo andare oltre a quel ruolo soffocante. Quei sogni mi rivelavano un futuro terribile quanto sublime...”. Non riuscì a completare il pensiero. Forse il Cristallo sarebbe andato a qualcun altro, forse portarlo fuori da Mele Mele e dalla portata di Koko era il suo compito. Non l'avrebbe mai scoperto.
Con uno sbuffo che si tramutò in bolle nell'acqua chiara, il Celeste svenne.



-Allora? Che pensi di farci? Vuoi davvero ributtarlo in mare? Seriamente?-
-E che possiamo fare secondo te, eh? Hai visto quelle bruciature sulla schiena, quelle cicatrici? Questo ragazzo s'è macchiato di qualcosa di grave ed è stato punito-
-O?-
-“O” cosa? La spiegazione può essere solo questa!-
-Secondo me non è questo il punto. Può essere fuggito da un isolotto nelle vicinanze perché contrario a chissà cosa. Oppure perché volesse avvicinarsi alla civiltà, al resto del suo popolo, al Tapu. E per qualche ragione è stato punito. È la cosa più probabile, secondo me. D'altronde non abbiamo mai superato i confini del nostro reef e non sappiamo cosa ci sia altro lì fuori-
Il Celeste si riscosse leggermente. Stordito, riuscì solo a rendersi conto di essere steso su una stuoia a pancia in giù, che qualcuno gli aveva spalmato sulla schiena aveva qualcosa di fresco, che era al coperto e che due voci, una maschile che non lo voleva e una femminile che lo difendeva. Almeno così aveva capito.
-Ma guarda, si sta svegliando. Forse potremo chiedergli qualcosa!- esclamò la voce femminile. Al percepire una presenza cambiare posizione e accucciarsi di fronte a lui, il Celeste socchiuse gli occhi. Ma era ancora stordito, riuscì a distinguere solo dei capelli colorati di rosa e giallo e uno sguardo curioso che gli ricordava qualcuno d'importante. Ma chi?
-Hmpf. Fà come vuoi, ragazzina. Ma del suo destino se ne parlerà in Consiglio e poi s'informerà Tapu Bulu- concluse seccata la voce maschile, accompagnata da dei passi. Così, rimasero solo lui e la ragazza dai capelli strani.
-Non far caso a mio padre. È uno molto influente, a volte antipatico: ma ha a cuore l'incolumità dei villaggi. Comunque sia, lo sai che ti ho trovato io sulla spiaggia? Sembravi morto, mi avevi quasi spaventata! Tenevi in mano una pietra gialla, l'ho presa prima che qualcuno la notasse. Dal modo in cui la tenevi, dev'essere importante per te. Aspetta che te la prendo...-
La mole delle informazioni che la ragazza gli diede era incredibile. Tapu Bulu? Pietra gialla? Spiaggia? Ma lui doveva essere morto annegato.
E invece, per chissà quale miracolo o coincidenza, era approdato su un'isola nuova e anche abitata.
Ma non seppe darsi spiegazione per tante cose: era ancora molto intorpidito e la sua memoria era diventata improvvisamente una voragine nera. Ciò che gli rimaneva era solo la sensazione positiva di non aver perso la pietra e di sentire che era sotto la protezione di un'entità come Bulu. La cosa sembrava più dettata da un'esperienza negativa con qualche simile di quest'ultimo, ma non poteva di certo dirlo con certezza.
La testa pulsava, era pesantissima.
-Ecco qua. La vuoi tenere tu, vero?- gli sussurrò la voce di prima con affetto, mettendogli fra le mani qualcosa di freddo e dalla forma prismatica. Istintivamente lui la strinse tra le dita e se la portò al petto, ringraziando la ragazza con un sorriso stanco, ma sincero. Al che, la ragazza si sedette di fronte a lui.
-Senti... so che sei ancora mezzo intontito. Quindi appena te la senti magari potremo parlare meglio. Però, visto che sei un pochino sveglio, ti va di dirmi come ti chiami?-
Il ragazzo sbuffò. Il suo nome? E cosa potrebbe importare, in quel momento?
Tuttavia, a spingerlo a rispondere fu una pianta in un vaso, nell'angolo della casupola dove si trovava. Era di color rosso acceso, con petali appuntiti e lunghi come lingue di fuoco, alta e fiera.
Guzmania Cardinalis, l'avrebbe riconosciuta fra un milione di steli.
-Guzma. Mi... chiamo Guzma- rantolò lui.
-Guzma? Come il fiore?- chiese sorpresa lei.
Lui annuì. Ora che ci prestava attenzione, il suo modo di parlare gli era estraneo. Capiva le sue parole, ma l'accento, l'inflessione, il modo di parlare... gli suonava strano, come se lui fosse abituato ad altro.
Era forse in terra straniera? Formulare un'ipotesi sensata lo sforzava più del dovuto.
-Forse dovresti riposare, Guzma. Dormi tranquillo, nessuno t'importunerà finché ci sono io- continuò lei, come se avesse percepito i suoi pensieri.
Rincuorato da quelle parole, sebbene non sapesse il nome di quella ragazza tanto singolare quanto gentile, il ragazzo chiuse gli occhi, stavolta per ristorarsi.

Note dell'Autrice.

E niente, la puntualità e la costanza non è il mio forte. La voglia di scrivere va e viene con le idee, non so mai come trattare un certo capitolo e poi bum, a un certo punto l'ispirazione torna prepotente. Spero che sappiate perdonarmi, lettori > . <
Comunque sia, per chi se lo chiedesse: no, non c'è uno specifico ordine nei capitoli, visto che non seguono cronologicamente la venuta dei personaggi. Questo semplicemente perché, appunto, potrebbe venirmi voglia di scrivere su pg X invece che Y. E finché sono storie tutto sommato autoconclusive posso ancora permettermelo. Anche se la cosa finisce un po' qui, dato che il capitolo sugli umani deve essere l'ultimo e quindi il prossimo è incentrato sui Koxol, mh...
Bhe, non ho molto da scrivere ancora. Vi lascio allora al “glossario”. Alla prossima <3
-Danail.

*Forma di canto libero tipico delle Hawaii.

http://guide.cadillactrip.it/americhe/hawaii/cultura.php

**Avete presente Mele Mele? Ecco, vedete quella specie di “vulcano” accanto ad Hau'oli? Ecco, quello. So che nella realtà sembra non avere un nome -dato che nel gioco non è un elemento di rilevante importanza- ma mi piaceva sfruttarlo come “punto di lancio” per quella categoria a cui il protagonista di questo capitolo appartiene.

EDIT 14/07/2018

E anche questo è andato. Ho corretto alcuni errori e alcune frasi, qui le modifiche più essenziali a livello di trama sono legate solo a un piccolo cavillo: la "rarità" del numero delle ali, visto che in seguito la questione sarà piuttosto importante in molte situazioni.

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Capitolo 4
*** 4 Panpyr ***


4 Panpyr


Una volta si diceva che i Koxol avessero un cuore enorme.
Una volta si diceva che i Koxol avessero un animo forte e immenso.
In fondo, come poteva essere altrimenti? Grande spirito e cuore per grandi esseri. Esseri liberi e decisi, che un tempo si riunivano in un unico, grande e fiammeggiante branco per le migrazioni annuali: e, di isola in isola, di continente in continente, correndo gli instancabili custodi dei vulcani coprivano distanze colossali, attirando nella loro furia Pokémon della loro stessa indole.
Una volta si diceva che i Koxol fossero i guardiani della Vita. Ma quel tempo era ormai passato e non ne restavano solo che sogni e frammenti di ricordi che ogni tanto riemergevano. Accadeva spesso soltanto nei sonni inquieti dei più piccoli, che al levarsi del giorno già avevano dimenticato le immagini della notte.
Ed era accaduto a lui, anche dopo essersi lasciato alle spalle l'infanzia.
Il Koxol levò il muso spettrale al cielo plumbeo per cercare di attirare l'attenzione di qualcuno con urla e lamenti. Ma tutto ciò che uscì dalla sua gola riarsa fu solo un umiliante gracidio.
Il Koxol posò la testa ossea e le zampe anteriori sul parapetto della barchetta per tirarsi un po' su e fissare con le orbite vuote l'acqua, che rifletteva il grigiore metallico del cielo.
Nonostante non ci fossero occhi visibili lui, come tutti della sua specie, riusciva a vedere.
E ciò che l'acqua gli restituiva era il riflesso di un essere grosso e nero, dal pelo lungo e folto, dalle zampe forti dagli artigli lunghi e duri.
L'unica cosa che spiccava in quell'ammasso di muscoli e pelliccia era solo la testa: un cranio bianchiccio e affusolato, di forma caprina, con tanto di corna bianche, curve e rivolte all'esterno, decorate da incisioni appuntite e sporgenti.
Con un sordo brontolio lo Koxol strisciò dentro l'imbarcazione per raggomitolarsi sul fondo, accanto al Numel, in quel momento dormiente, che aveva deciso di seguirlo.
L'essere si chiedeva perché quel Pokémon avesse preso una decisione così drastica. Seguire il suo amico, nonostante questo era riuscito a privare il Protettore dell'isola della sua pietra, della sua fonte principale di potere. Come aveva potuto seguirlo?
Preso da quelle domande, il gigante si raggomitolò attorno al suo piccolo amichetto, cercando disperatamente di riscaldarlo ancora un po'. Anche se ormai aveva perso anche la capacità di produrre fiamme, forse il calore corporeo poteva bastare.
Ma tutto dipendeva dal fuoco, dal Sole. E in quel momento erano entrambi circondati dall'acqua, coperti giorno e notte da una coltre innaturale di nuvole -non avrebbe disdegnato neanche la luce lunare, arrivato a quel punto- per cui di fonti energetiche non se ne trovavano neanche a sforzarsi. Tra l'altro neanche quella bonaccia prolungata era poi così tanto naturale: oltre il reef il mare non era mai stato così tanto clemente.
Il Koxol si chiese se tutto quello fosse uno dei tanti giochi folli di Tapu Lele o significasse qualcosa di più sinistro. Era ben noto che il potere del Protettore non era gran che efficace oltre il reef, ma l'essere non era pronto a scommetterci neanche un pelo che ciò valesse in maniera assoluta. D'altro canto, quasi ci sperava che quello fosse tutta opera del Tapu e solo sua.
Il solo pensare che la fonte di tutto quello fossero le... le cose dei suoi incubi atterrì così tanto quel bestione, tanto da farlo rabbrividire e strappargli qualche singhiozzo.
Si chiese per quanto sarebbe rimasto senza Sole e calore prima di spegnersi del tutto. Credeva di aver raggiunto il limite sopportando i giochi via via più folli e crudeli di Tapu Lele: ma quelli riusciva a sopportarli, dato che voleva ingannarlo e indurlo a consegnargli la propria pietra -proprio la stessa che teneva incastonata sotto al duro palato per non rischiare di perderla- spontaneamente. Tanto era un gioco, no? Una caccia al tesoro quasi letale, che gli avrebbe comportato mutilazioni e la prigionia nelle segrete buie del tempio se il Protettore fosse rientrato in possesso della sua pietra.
Tanto il Tapu ne era sicuro: sarebbe riuscito a scovarlo con la stessa sicurezza di un Pyroar che caccia un Rattata. E la cosa, assieme alla punizione per il suo sfidante, lo eccitava ancor di più. Non aveva capito, forse, che il Koxol faceva sul serio.
Ma tanto che importava? Da quegli incubi, dagli abomini che uscivano da strane fenditure nello spazio, dall'isola con quel tempio particolare, da quel tutto che aveva visto in visioni oniriche aveva capito che quella pietra doveva uscire fuori dai domini di Ula Ula.
Il Koxol gracidò disperato un'ultima volta rivolto al cielo, pregando di avere ancora un po' di calore e luce. Ancora un altro po', ancora un... altro...
Riuscì solo a posare l'enorme cranio sulla testolina inerme di Numel. All'interno delle gigantesche fauci, striscioline lucenti e calde di color magenta chiaro nascevano lente da quella gemma. Senza alcuna fretta, strisciarono fra i denti serrati, fra le orbite vuote e prive di qualsiasi vitalità, avvilupparono quel corpo ormai rigido, accarezzandolo come una mano materna.
E, come mosse da chissà quale misericordia verso quell'essere, s'illuminarono e si strinsero attorno a lui, sempre più strette, sempre più strette, sempre più strette.
Dentro quella rete filamentosa -sempre più strette- una luce dapprima flebile gradualmente aumentò d'intensità -sempre più strette!- finché non inglobò anche il Pokémon ormai freddo trasformando quella barca, prima portatrice di sofferenza, in un piccolo nuovo sole.





Il ragazzino continuava a fissare in avanti. Vedere per intero il suo interlocutore non gl'interessava. Voleva solo guardare il mare. Forse, se guardava per bene in lontananza, avrebbe scorto qualcosa. Magari qualche traccia del suo passato.
Come se la risacca potesse restituirgli i ricordi come fa con le conchiglie.
-Ti abbiamo trovato svenuto nella barca con più buchi che io abbia mai visto. Galleggiavi nell'acqua rimasta ancora lì dentro, non rispondevi, pensavamo che... insomma... -
Lui non disse nulla. Continuava a fissare il mare piatto con sguardo assente. Si mosse un poco soltanto quando sentì la testa calda di Numel contro il suo fianco, giusto quel tanto per abbracciare il piccolo Pokémon.
-Come hai fatto a sopravvivere? Da dove vieni?-
-Non... lo so- borbottò lui, scostandosi una ciocca di capelli rossi da davanti gli occhi.
-Dai, ricorderai pur qualcosa! Almeno sai come ti sei fatto quelle bruciature sul corpo? Forse è quella pietra che ha il tuo Pokémon sempre...-
-Non so nulla, hai capito? Nulla! Niente di niente!- sbottò lui, stringendo istintivamente la pietra rosata che Numel si portava sempre con sé, appesa all'esile collo con una cordicella fatta da chissà chi.
Per la sorpresa, il Pokémon Tepore s'agitò, non capendo la causa di quello sfogo. Il ragazzo sconosciuto sobbalzò leggermente, ma cercò di non scomporsi troppo.
-Ok, ok, amico, non preoccuparti! È che... sei il terzo che arriva in questo stato. Non ricordi nulla, hai con te qualcosa di prezioso, bruciature e ferite sul corpo, accento strano. Stiamo cercando di capire cosa succede, tutto qua!-
A quelle parole il rosso si girò verso il suo interlocutore, senza smettere di accarezzare il proprio Pokémon.
Lo sconosciuto doveva avere più o meno i suoi stessi anni. Ma di costituzione era più robusto, la pelle era di una sfumatura olivastra e dalle zone non coperte dai vestiti bianchi s'intravedevano strani disegni neri, che dovevano sicuramente continuare sotto quei tessuti.
Quello lo osservava con aria dubbiosa, gli occhi scuri esprimevano solo esitazione.
-Gli altri però ricordavano il proprio nome. Solo quello. Tu... te lo ricordi?- gli chiese infine, passando distrattamente le dita fra i capelli neri, raccolti in un codino.
-Sì...- mormorò il rosso, tornando a fissare il mare.
-Una volta, forse, qualcuno mi chiamava Max. Ma non ricordo...-


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Capitolo 5
*** 5 Pangea. ***


Pangea


C'era stato un momento in cui la lingua comune e la lingua divina erano la stessa cosa. E chiunque avesse avuto le capacità giuste, non importava la sua natura, poteva sfruttarla per plasmare l'ambiente attorno a sè.
Nei limiti imposti dalle leggi della materia, s'intende.
Tuttavia, tempo fa, c'era stato un popolo che era riuscito a piegare il potere della voce in modi sorprendenti, anche grazie a una certa interferenza esterna che, ormai, tutti conoscevano bene.
Soprattutto per la storia dell'esilio nell'altra faccia del mondo.
Kukui alzò lo sguardo verso il cielo grigio acciaio, che continuava a riversare sull'isola il suo carico di pioggia, per poi osservare dal portico in pietra le gocce d'acqua infrangersi sulle grandi pozze del giardino.
Sì, la ricordava bene quella storia.
Tempo fa, la via della Voce insegnava alle razze dotate di raziocinio come raggiungere la vera realtà, ciò che si trovava oltre al fenomeno, per poi arrivare all'illuminazione.
Il vero nome di tutto, la parola prima con cui tutto era stato plasmato dal caos semplicemente nominandone l'idea.
Ma c'è stato un momento in cui la via della Voce ha permesso abusi di potere di vario genere, e per questo se ne è persa quasi traccia. E quel poco che è rimasto di quell'antico sentiero era talmente difficile da percorrere, per gli uomini, che a volte solo con l'aiuto del Tapu poteva essere esplorato.
C'era chi, come lui, continuava quella tradizione. E, nel tempo, s'era formato un ordine, quello dei Vae'nder.
E mentre la gente comune sfiorava soltanto quel mondo oltre il percettibile per dedicarsi ad altri lavori, loro studiavano. E meditavano.
E chi si distingueva tra loro, poteva entrare nel Consiglio e governare.
Quando il freddo della pietra intorpidì del tutto le sue gambe, il ragazzo si decise finalmente di alzarsi e stiracchiarsi, per poi voltarsi verso l'interno della struttura e cominciare a incamminarsi verso il suo centro.La tunica bianca, forse troppo larga per uno come lui, produceva brusii particolari ogni volta che sfiorava la pietra o qualche scarno mobilio, ma Kukui non ci faceva troppo caso.
Percorse il corridoio fin dove s'intersecava col chiostro del quarto quadrante del monastero, zona che corrispondeva alle camere dei Vae'nder apprendisti come lui.
Posò, per un momento, le dita della mano destra sulla fredda parete e si voltò verso il centro del chiostro: per qualche strana ragione, forse legata al Tapu, lì in mezzo durante le prime costruzioni vi erano cresciuti due alberi di Koa* intrecciati fra loro e, a forza di crescere, in quel momento le loro fronde coprivano l'intero spazio aperto.
Il ragazzo chiuse gli occhi per un momento: ogni occasione era buona per carpire i discorsi del mondo e apprendere ancora un poco.




Odore di pioggia e della terra che si bagna. La roccia fredda e morta che vibra al percepire il passo del tempo.
Le foglie degli alberi che cantano al passare del vento. La pioggia che sul legno e sulla pietra dà il ritmo alle parole.
Il mare in lontananza che priva ai suoi figli sogni sereni, le onde che restituiscono alla sabbia ciò che un tempo era nascosto.

Aveva tanto di cui riportare al Tapu, pensò Kukui mentre scendeva giù, nelle viscere del Monte Lanakila, verso il cuore pulsante dell'isola, dopo che al centro della struttura dell’ordine gli fu dato il permesso di scendere.
Dopo la comparsa dei tre ragazzi senza memoria, la vita a Ula Ula non è stata più la stessa: prima gli incubi dei marinai, poi l'oceano che ributta, non si sa come né perché, sulle spiagge ragazzi mai visti e con tratti fin troppo esotici.
Kukui si legò i capelli neri e alzò le vesti da terra prima di affrontare la scala a chiocciola finale: fra radici di piante, terriccio e gli scalini scivolosi e usurati dal tempo, la discesa poteva risultare fin troppo difficoltosa, addirittura fatale senza prestare la dovuta precauzione.
L'unica nota positiva -o almeno, lo era per lui- erano le escrescenze luminose sulle stesse radici, manipolate dai primissimi Vae'nder a partire dai funghi di Morellul e Shiinotic.
La scala, dopo interminabili minuti, poco a poco prese ad allargarsi in maniera graduale. Segno che stava per arrivare.
Mentre s'aggrappava a una radice per non scivolare, Kukui prese nota nella sua mente di ringraziare Plumeria e i suoi cugini per tutto quello.
Lui aveva trovato i naufraghi sulla spiaggia, ma era stata lei a offrirsi per stabilizzare le loro condizioni, permettendogli di dedicarsi alle indagini e a calmare le acque, smosse da quelle comparse inaspettate.
Infine, durante le riunioni del consiglio, i suoi tre cugini avevano convinto i loro colleghi a interpellare direttamente il Tapu.
Kukui ricordava bene quel momento, dato che era presente a quell'incontro tenutosi nel giardino centrale, anche se assisteva solo da un angolino buio.
E non era stato l'unico a sorprendersi quando il vecchio Augusto, la guida di tutti loro, non aveva pensato di andare egli stesso da Tapu Bulu.
Il vecchio Vae'nder, la riluttante guida dell'intera Ula Ula, aveva deciso di mandare lui, un ragazzo, fino al cuore della terra, seguendolo solo spiritualmente.
A quanto pare, lui aveva ritrovato i tre naufraghi e lui doveva riportare la sua versione dei fatti al Nume. Personalmente.
Mentre giungeva all'ingresso sigillato che conduceva verso l'ultima sala, Kukui si ritrovò a pensare a quella decisione peculiare e, istintivamente, tese le orecchie per captare eventuali altre presenze.
Ma se non usava la Voce, non gli era possibile determinare se effettivamente Augusto aveva mantenuto la parola e stesse in disparte, a osservarlo come spirito non percepibile.
Ma non aveva motivo di dubitare di lui, in fondo.
Indi per cui, con una certa cautela, si avvicinò in punta di piedi al masso biancastro che fungeva da ultima soglia e si scoprì le braccia, completamente coperte da neri disegni, direttamente scarificati sulla pelle bruna e screpolata per via dell'eccessiva esposizione solare.
Disegni che assunsero tutt'altra sfumatura quando il giovane posò prima la mano sinistra sulla nuda roccia e poi la destra, quasi ad angolo retto rispetto alla prima, e iniziò ad aprire la porta.
Kukui inspirò per rilassarsi, concentrarsi, cercare con calma di ricontattare quella capacità che con tanta fatica cercava da sempre di padroneggiare.
Chiuse gli occhi. Inspirò. Espirò.
La Voce, forse grazie anche all'ambiente ricco di energia in cui si trovava, subito rispose al richiamo: come uno Jiaolong** che riemerge dagli abissi, questa strisciò leggera dal ventre fino a risalire, gentile e potente, lungo la trachea, per poi spingere e gorgogliare una volta arrivata alla bocca, impaziente di essere liberata.
Il giovane Vae'nder sospirò e, con timida prudenza, cadde in una tenue e dolce trance e a rilasciare il suo potere, mantenendo quel poco di lucidità utile per controllare il diaframma.
Sebbene le basi per il controllo della Voce le desse la lingua comune, una volta trasportata a un piano più profondo essa perdeva tutto ciò che fosse riconducibile alla materia superficiale e alle parole comuni: si parlava una lingua-non-lingua, simile più a un canto continuo che trasportava la mente verso lidi ben più lontani di quel mondo fatto di polvere e fango.
Ed era quello che stava succedendo alla psiche e allo spirito del ragazzo: risaliva col canto lungo le radici degli alberi e lungo i loro tronchi, fino a raggiungerne le fronde e farle stormire. Attraversava la pietra fredda e solida per ricongiungersi con l'essenza, mutevole e stabile allo stesso tempo, della terra. Sopra di sé sentiva lo sferzare del vento contro il proprio dorso e i propri alberi; percepiva all'interno lo scorrere dell'acqua. Se prestava un pochino più attenzioni alle immense profondità del mondo sotto di lui, poteva quasi sentire l'energia latente del fuoco, che scorreva come sangue.
Permeava l'ambiente attorno a sé in maniera così intima da riuscire perfino a percepire la lieve presenza spirituale del proprio maestro. Per cui non si stupì se, col canto, riuscì a sentire il cambiamento nella pietra dell'ingresso. Sotto i polpastrelli del ragazzo s'erano diramati piccoli fasci simili a radici fatte di luce fioca, di varie sfumature di bianco, che presero a formare disegni e schemi dalle curve e dagli spigoli più disparati, a seconda della natura della roccia, quasi a formare una sorta di fiore.
Il Vae'nder non interruppe né la sua trance né il suo canto: semplicemente, con garbo ruotò in senso orario le mani, lentamente, senza fretta. La roccia seguì con altrettanta semplicità il movimento.
Una volta liberato il passaggio, lo spirito e la mente del ragazzo ritornarono con calma all'interno del corpo: una volta che tutto fu al suo posto, il ragazzo terminò gradualmente il suo canto-discorso e si risvegliò.
Davanti alla voragine nera che gli si prospettava davanti dopo aver fatto scorrere la porta in pietra nella sua apposita cavità, Kukui non poteva fare altro che sollevare lo sguardo, riassettarsi le vesti ed entrare nell'oscurità a testa alta.

Appena s'immerse nella buia e silenziosa sala, sentì subito il rumore della pietra muoversi dietro di lui. Non provò neanche a voltarsi: tempo un istante che la porta si richiuse dietro di lui, lasciandolo solo con l'oscurità, la vaga presenza del suo maestro, e l'ambiente che riusciva a percepire col resto dei sensi.
Kukui non provò paura, sapeva che se qualcosa fosse andato storto avrebbe trovato una soluzione.
Era pure consapevole che questo non voleva dire perdere la concentrazione, specialmente se era entrato in un territorio non suo. Specialmente se non era previsto che un inesperto come lui entrasse lì.
Tese le mai a fianco a sé, allargò le dita, riprese a far fluire la Voce attraverso di sé, tramite un mormorio sommesso, basso e continuato. Sentiva attorno a lui la pietra, le radici e le piante rampicanti, la terra e l'acqua gocciolante rispondere a quel richiamo e vibrare per il canto che modulavano in risposta.
Il Vae'nder procedeva con calma, a palmi aperti e rivolti verso l'esterno, continuando la sua preghiera mentre raccoglieva la moltitudine di risposte dell'ambiente e farne un'unica cosa.
Sentiva le scarificazioni sulle braccia pulsare e illuminarsi debolmente per l'energia che lui stava esercitando, dentro e fuori di sé: percepiva il calore che ne derivava che si allargava sulle spalle, sulla schiena, sul petto, a formare disegni che avrebbe visto solo una volta terminato il rito.
Fu quando il calore e l'energia raggiunsero il cuore che Kukui lo sentì palesarsi.
Accanto a lui, lo spirito di Augusto prese forma di un etereo canide dalle molte code, tanto simile ai messaggeri sacri che abitanvano il picco gelido del monte*** sopra di loro, ma non era la sua aura che influenzava così tanto lo spirito del giovane Vae'nder.
Era quella del Nume.
Ovviamente, nella semi-oscurità, rischiarata solo da deboli luci prodotte dagli effetti della Voce e dallo spirito, la vista da sola non poteva percepire la presenza incorporea del Tapu.
Ma con il canto... era come se, di fronte al ragazzo, ci fosse una forma che irradiasse tutt'attorno a sé un'energia dai colori della foresta, che sapeva di umido, di dolce, di pioggia e di terra. Di vita.
Senza movimenti bruschi, Kukui si abbassò fino a terra, per poi sedersi sulle gambe. Riducendo il canto a un flebile sussurro, portò le mani sulle ginocchia.
Sentiva Tapu Bulu avvolgerli entrambi e girar loro intorno, come una sorta di danza che solo lui conosceva il senso. E, nel frattempo, rivolgeva loro domande, sensazioni, impressioni.
Kukui era abbastanza certo che quel parlare senza parole fosse un modo per il Nume di spingere a migliorarsi i Vae'nder che si rivolgevano a lui, una sorta di occasione per esercitarsi in più.
Sentì lo spirito Bulu sfiorarlo con una domanda: era curioso su cosa pensasse il ragazzo riguardo al motivo per cui lui era laggiù.

Rispose facendo fluire i ricordi dei naufragi che aveva trovato, uno assieme anche a un'amica. Rispose con le stranezze che stavano colpendo i sogni degli abitanti, con quello che lui vedeva attraverso visioni oniriche. Cose e creature presenti in terre lontane, esseri dalle anatomie bizzarre esplorare guardinghi il mondo al di fuori di Ula Ula. Ma, soprattutto, rispose con l'impressione che le loro auree, i loro spiriti, fossero in qualche modo corrotti, alcuni forse addirittura sbagliati.
Erano esseri orribili, sì, ma il ragazzo ancora non comprendeva bene la loro natura. Forse era per questo che era là sotto: per tutti quegli indizi e situazioni fuori dall'ordinario.
Un istante di silenzio interiore da parte del Tapu, poi fu il suo turno di replicare.
Prese il suo spirito e lo portò lontano da quell'oscurità, lontano da quella sala, lontano dal mondo materiale. Abbandonando i loro involucri di carne, gli fece sfiorare la forza del mare, la libertà del vento, la furia del fuoco, la potenza latente della terra. Per un momento, il ragazzo guardò il mondo dagli occhi del Nume: un coacervo di ordine e caos, di elementi in costante contrasto e unione fra loro, un'entità dormiente in perenne equilibrio.
Per un solo istante, Kukui sfiorò l'essenza di tutto il suo mondo: solo per quell'istante, percepì cosa volesse dire avere un corpo fatto di terra, magma e pietra e sangue fatto di fuoco, sferzato continuamente da correnti marine e da venti impetuosi che scalfiscono la solida pelle. Fu quasi lì lì a scoprire l'intero senso di tutto ciò che stava succedendo, a scoprire il nome e l'essenza di tutto ciò, a farsi avvincere dall'idea alla base del suo mondo.
Ma riuscì solo a percepire miriadi di ferite, di cose lacerate e doloranti, di cose spezzate e putrescenti, prima che due forze lo tirasse indietro per ributtarlo brutalmente nel suo misero e piccolo corpo.
Kukui boccheggiò, senza fiato; per non crollare in avanti a peso morto poggiò le mani sulla fredda pietra.
Il suo canto era terminato e, stanco e senza aria, non era sicuro di avere le energie per continuare. Riuscì a scorgere appena la figura dello spirito di Augusto, ritto sulle quattro zampe e all'erta, pronto per soccorrere di nuovo l'allievo.

Il dolore che hai sentito è quello che sentiamo noi ogni volta, da tempo a questa parte sussurrò una voce nella sua mente. Kukui non faticò a ricollegarla a quella del Tapu. Intuì che quest'ultimo avesse percepito la sua fatica, per questo scelse un canale di comunicazione più semplice.
Chi siano “noi”? Siamo coloro che rappresentano ogni elemento e ogni concetto di questo mondo, chi più e chi meno. Siamo in tanti, più di quanto tu creda. C'è un noi più specifico di così: siamo un noi che derivano dagli elementi primigeni e vigilano su parte di loro, ma siamo anche i vostri patroni. Venite.
Kukui, confuso, volse lo sguardo verso l'anima del suo maestro, che aveva incominciato a muovere qualche passo in avanti.
Con il corpo che era tutto un dolore, il ragazzo si alzò lentamente e lo seguì, esitante, lasciandosi guidare da lui e dalla voce.

Il resto di noi patroni prima si faceva sentire poco, ora non più. Sono muti.
Gli elementi che hanno dato loro vita non cantano più per loro, perché il legame tra loro è stato reciso, portato via.
E sono solo, ora. So che capiterà che anche il mio legame con la terra svanirà, ma comincio ad accettarlo. È necessario. Ma credo di essere l'unico a pensarlo, ed è orribile.
Quelle presenze non sono tutto il problema: qualcosa di più grande di noi sta venendo, ma non ne comprendo la causa. So solo che la terra è ferita perché il suo equilibrio sta cambiando. Qualcuno dovrà andarsene fuori da qui con quello che resta del mio legame. Perché non posso muovermi dall'isola, quelli come me possono agire solo su ciò che proteggono.

Il Vae'nder seguiva quel discorso come poteva: il terreno cominciava ad andare in salita, in lontananza, quasi sopra di loro, sembrava esserci un piccolo punto di luce. Percepiva appena la presenza dei due spiriti accanto a sé e delle pareti che si restringevano attorno a loro. Poco a poco, il terreno e le pareti curvarono, e Kukui ebbe l'impressione di star salendo su un sentiero a spirale.
Spuntarono fuori dal cunicolo e si ritrovarono a valle del Monte Lanakila, in una radura della Foresta Haina****.
Nel cielo notturno le stelle già brillavano, immerse in uno spazio sfumato e multicolore, dal nero al blu al viola più chiaro. Kukui si chiese se un giorno qualcuno sarebbe stato in grado di volare fin oltre la volta celeste, per raggiungere quella parte di galassia che lui, in quel momento, stava osservando.
Lo spirito di Augusto gli fece cenno di andare avanti, il ragazzo rivolse lo sguardo verso quello che sembrava l'obiettivo del Tapu, che aveva nel frattempo acquisito la sua forma corporea.
Il Nume stava girando lentamente attorno a un monolite in pietra, non più alto di un uomo medio, suonando nel frattempo la campana che aveva attaccata alla coda.
Ma il ragazzo non ci fece troppo caso: come trasognato, s'avvicinò al masso e allungò la mano sinistra verso l'oggetto posto lì in mezzo.
Era un cristallo di colore verde vivo, luminoso di luce propria, circondato da larghi solchi nella pietra e dal disegno di un triangolo rovesciato e diviso a metà da una linea. Solchi e disegni erano come riempiti da sottili venature verdi, come se l'energia della pietra permeasse interamente il monolito che l'ospitava.

È questo il mio legame sussurrò nella sua mente il Tapu.
Esiste da quando esisto io, rappresenta me, l'elemento che proteggo e anche il passato della tua gente. Ma, a quanto pare, tra un po' quest'isola non sarà più il suo posto adatto.
Fuori da qui, il legame dovrà trovare un posto dove il proprio potere sia amplificato, dove possa unirsi agli altri legami. Il come... il come è come la Voce. Posso indicare la strada, quando verrà il momento, ma percorrerla è tutt'altra cosa.

Kukui osservò il Nume senza fiatare, stava elaborando ciò che gli era stato riferito e le sue possibili conseguenze.
Per questo gli vennero subito spontanee le domande “
perché?” e “morirai?
Lo spirito protettore si protese verso di lui, fino a che non riuscì a guardarlo negli occhi. Il ragazzo non era gran che sicuro di riuscire a reggere quello sguardo pieno della stessa luce della pietra: deglutì, almeno ci avrebbe provato.

Sento qualcosa che è stato lacerato. È stato commesso un errore tanto tempo fa, forse è stato diviso qualcosa che doveva rimanere unito. Non so, questo va oltre ciò che mi è dato conoscere. E...
A quel punto, il Tapu reclinò leggermente la testa di lato.
Ci sarà un momento in cui la mia funzione di protettore cesserà di avere senso. Quando quel momento verrà, la mia individualità si dissolverà e verrà assorbita dall'essenza della terra stessa.
Te ne renderai conto.
Tornerò alle origini e rinascerò con nuove vesti, se ci sarà bisogno. Non significa morire e nascere nuovamente, significa solo che cambierò. Sarà un viaggio che noi tutti faremo assieme.

Kukui non rispose: distolse lo sguardo per guardare lo spirito di Augusto, che annuì sicuro, per poi tornare a guardare il cristallo. Cominciava a comprendere il perché era stato chiamato assieme al maestro lì. La cosa lo riempiva di terrore e meraviglia.
Viaggiare. Ma, ripensando ai tre naufraghi, ai loro piccoli tesori, a ciò che questi significavano, sentì la tensione allentare la presa sul suo cuore.
Non sono e non sarò solo io. Sarà un viaggio che faremo insieme. Io e loro e tutto il resto del mondo.
Lo faremo insieme.
Noi.





Note Autrice:

No, non mi sono scordata di questa storia, al contrario.
Ultimamente, fra università e problemi annessi, più tante altre cose da fare/scrivere/metter su, non ho avuto proprio la possibilità di tirare fuori qualcosa di decente.
E durante l'estate? Bhe, world-buildind. E cioè?
Ho tirato su tutto l'universo in cui questa storia e relativo seguito saranno ambientate. Sembrerà una banalità, ma non lo è: l'arco narrativo della serie (si può considerare così?) copre soltanto la primissima era del suddetto universo, che verrà conteggiata come “periodo 0” rispetto alla linea temporale considerata “reale”. Che... sì, è composta da tre ere.
Una bella robetta insomma. Ora che questa storia è completa, quando ci sarà il seguito diretto? Quando si entra nel vivo dell'azione?
Eh, boh. C'è da rifinire lo scheletro della trama, sviluppare gli eventi primari e abbozzare i secondari, bilanciare cose, rifinire creature...
Non voglio di nuovo far scorrere mesi fra un capitolo e l'altro, quindi più materiale c'è in background e meglio è. In ogni caso, non lavorerò solo su questo, quindi bazzicherò comunque qua in giro, ogni tanto.
Non mi resta altro che lasciare alcuni riferimenti doverosi. Bye!

*tipico albero hawaiiano: https://it.wikipedia.org/wiki/Acacia_koa
**Il nome Jiaolong è, in parte, riconducibile a Gyarados. Non credo sarà infrequente che nel corso della prossima storia i protagonisti e gli altri personaggi chiamino i Pokémon con nomi diversi da quelli ufficiali, ma saranno fenomeni abbastanza isolati o almeno si spera.
***Riferimento -forse pure scontato- ai Ninetales Alola.
Ma quindi, ci saranno pure le forme Alola anche nella long successiva? Nì. Alcune hanno senso di esserci (come per l'appunto Vulpix e Ninetales, visto che compaiono durante le prime colonizzazioni di Alola da parte degli umani). Altre un po' meno, come nel caso di Meowth e Persian: queste sono “comparse” grazie agli allevamenti che i reali di Alola hanno compiuto sulle specie originarie.
Non avendo qui ancora un governo simile, la presenza di simili varianti sarebbe forzata.

****zona boschiva che nei tempi “odierni” del gioco si è trasformata in deserto. Non credo che la presenza di una foresta preistorica sia confermata nei giochi, tuttavia l'ambiente desertico non è proprio il migliore se si vuol parlare di vita, di terra fertile e di uno spirito legato anche alla vita vegetale :'

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