Punti di vista

di MaxB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il passato ***
Capitolo 2: *** Il futuro ***



Capitolo 1
*** Il passato ***



IL PASSATO


- Mi dispiace Gajeel, ma non posso andare avanti così. Penso che sia il momento di finirla.
Quelle parole gli rimbombavano ancora in testa come l’eco sordo di un tamburo indigeno, accompagnato dal battito del suo cuore devastato che andava avanti spinto dall’inerzia e dall’intrinseca volontà del suo corpo di vivere.
Gajeel sbagliò a passare la palla, di nuovo, e Gray l’acciuffò tirandola a Natsu, per poi girarsi e lanciare a Gajeel un’occhiata preoccupata e truce insieme.
Era un freddo lunedì pomeriggio e la neve cadeva lenta fuori dalle finestre della palestra del Fairy Tail College, trasmettendo un senso di caldo e letargico rilassamento anche ai membri della squadra di basket della scuola, che si stavano allenando in vista del torneo universitario che si sarebbe tenuto da lì a poco.
Ma Gajeel Redfox, che aveva quasi ventun anni e una borsa di studio sportiva, come i suoi amici Natsu e Gray, non riusciva a concentrarsi. Anzi, non riusciva proprio a capire nulla, era come se si fosse scordato le regole del gioco.
In quel momento Laxus gli fregò la palla da sotto il naso, scattando con una falcata disumana fino al canestro, facendo un tiro da tre punti. Bixlow e Freed, insieme a Jet e Droy, gli diedero un cinque veloce, mentre Natsu si metteva le mani tra i capelli, Gray scuoteva la testa, Elfman guardava stranito il ragazzo che non aveva piazzato un colpo e Gerard faceva il gesto di spararsi un colpo in testa.
Gajeel incurvò la schiena e appoggiò le mani alle ginocchia, riprendendo fiato, e lanciò un’occhiata alle ragazze pon-pon che si stavano allenando tanto duramente quanto loro.
Lei era lì, splendida nei colori della scuola e nella tenuta da cheerleader rossa e bianca, che esaltava i suoi fianchi e il colore brillante dei suoi capelli celesti. Per una frazione di secondo a Gajeel parve di cogliere un guizzo dei suoi occhi verso di lui, ma quando si concentrò su di lei la vide ridere con le sue amiche e scherzare come se tutto andasse bene.
Forse perché, per lei, tutto andava bene.
Non era lei quella che era stata mollata il giorno prima. Lei era quella che aveva mollato.
L’allenatore, Gildarts, un donnaiolo che si presentava ad un allenamento sì e a quattro no, suonò il fischietto e diede la vittoria alla squadra blu, quella di Laxus, mentre la squadra gialla di Gray sospirava e lanciava altre occhiatacce spaesate a Gajeel.
Nel giro di due minuti i dieci ragazzi della Fairy Tail Basket League si fiondarono, stramazzando come oche, in spogliatoio, lieti di togliersi le casacche blu e gialle che li rendevano avversari e di tornare a far parte della stessa squadra.
Anche le ragazze pon-pon vennero congedate, e Gajeel poté scorgere il lampo di capelli azzurri della sua ex mentre si dirigeva ordinatamente verso il suo spogliatoio.
- Gajeel, che diavolo ti ha preso oggi? Non hai fatto un canestro e non hai azzeccato un passaggio! Non ti ho visto ridotto così male nel gioco dal tempo in cui Laxus, Jet e Droy ti hanno dato una ripassata di boxe dopo aver scoperto quello che avevi fatto a Levy! – sbottò Gray, con poco tatto.
Anche se non si notava, i due si volevano bene e in quei due anni di college erano diventati buoni amici, così come con gli altri membri della squadra. Gray non intendeva essere duro, Gajeel sapeva che il tatto era a lui confacente quanto i vestiti, che non teneva addosso per più di mezza giornata. Eppure, per quella volta non riuscì a passar sopra ai modi bruschi dell’amico, e serrando la mascella scattò in piedi e lo sbatté contro un armadietto.
- Non azzardarti nemmeno a pronunciare il suo nome, mi hai capito?! – sibilò, mentre le sue iridi innaturalmente rosse sembravano prendere fuoco, alimentandosi della sua ira.
- Ehi, Gajeel, calmati! – sbraitò Laxus, allontanando il compagno di squadra da Gray, insieme a Natsu.
- Una giornata no capita a tutti Gajeel, Gray è solo preoccupato perché il torneo è imminente – intervenne Jet, sostenendo Gray che si massaggiava la spalla con una smorfia di dolore.
- Tu potevi anche evitare di nominare la vicenda di noi e di Levy, comunque – fece notare Droy all’amico aggredito. – Non è il caso di rivangare certe cose.
- Non volevo punzecchiarlo o ferirlo, non sono un bastardo! – sbottò Gray, irritato. – Volevo solo dire che non ha mai fatto così tanta pena in campo, se non quando era cosparso di lividi e aveva un occhio nero e praticamente accecato dal gonfiore. E quella volta ha giocato meglio di oggi!
Natsu, per una volta, stette zitto invece di fare il cretino, e si fece da parte quando Gajeel si liberò dalla stretta sua e di Laxus con uno strattone.
Prese le sue cose e, con ancora i vestiti da basket addosso, si diresse verso l’uscita. – Forse allora dovete trovarvi un altro giocatore da tenere in panchina, perché al momento questo è ciò che posso dare – sancì, lapidario, prima di sbattere la porta alle sue spalle.
Gildarts, in palestra, alzò lo sguardo e gli fece un cenno di saluto a cui Gajeel rispose a fatica.
Dallo spogliatoio femminile si levava un cicaleccio allegro e spensierato che gli fece venire il voltastomaco.
Si chiese se fosse il caso di aspettare l’uscita di Levy dallo spogliatoio, ma sapeva che la ragazza dopo gli allenamenti era solita tornare a casa con Lucy, e lui non voleva dare spettacolo. Non era nemmeno sicuro di volerla vedere, quella sera.
Così uscì a passo sostenuto e indossò il giubbotto pesante prima di inforcare la porta che dava sull’esterno. La neve lo accolse in maniera fredda e implacabile, posandosi sui suoi capelli corvini e formando tanti piccoli diamanti d’acqua tra le ciocche dei suoi capelli tenuti indietro dal gel. Quel giorno si era persino scordato di legarli.
Con un sospiro di devastazione interna, più che di stanchezza, si avviò verso casa senza degnare di uno sguardo la fermata dell’autobus. Quella sera, a dispetto del freddo pungente contro i polpacci nudi e contro il torace accaldato, sarebbe andato a casa a piedi, sperando in una qualche risposta divina che gli facesse capire perché il giorno prima Levy l’aveva mollato, di punto in bianco.
O forse avrebbe chiesto ad una macchina di passaggio di portare via il suo dolore in maniera permanente, schiacciando quel peso che aveva nel petto sotto le sue ruote bagnate e ignare.
 
Quasi due ore dopo, Gajeel era seduto sul divano di casa sua con Lily, il suo gatto dal pelo scuro, accoccolato in grembo. Lo stava accarezzando distrattamente mentre fissava senza davvero vederli la pizza che aveva ordinato, ancora chiusa nella scatola sul tavolino di fronte a lui, e il libro di chimica che sapeva non avrebbe mai aperto, nonostante il compito del giorno successivo.
Non aveva la testa per studiare, quella sera, e senza la sua ragazza a spiegargli in termini semplici cosa significassero quegli ammassi di termini astrusi sulla pagina, l’idea di aprire il libro era inconcepibile.
Il caotico ingarbugliamento di pensieri che aveva in testa, che si traduceva in una completa assenza di ragionamenti, venne interrotto quando il campanello di casa suonò e Lily alzò di scatto la testa, incuriosito.
Dopo aver squadrato Gajeel, sincerandosi del fatto che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, sbadigliò e tornò a sonnecchiare.
Il ragazzo non aveva intenzione di alzarsi.
Poi si rese conto che poteva essere la sua ragazza, e scattò in piedi mettendosi Lily sotto al braccio.
Sordo alle proteste del gatto, si fiondò alla porta proprio mentre il secondo squillo del campanello si spandeva per la casa.
- Levy, tu…! – esordì, senza fiato, quando spalancò la porta, prima di bloccarsi di fronte agli ospiti che aveva davanti.
Natsu aveva ancora il dito sollevato a pochi centimetri dal campanello e Gray sembrava felice di essere lì quanto un maiale al macello.
Gajeel chiuse la bocca, aggrottò le sopracciglia e meditò se chiudere loro la porta in faccia o mandarli via a calci, ma Natsu lo spinse via con molta grazia e si accomodò in casa sua.
- Prego, fate pure – borbottò il padrone di casa quando anche Gray entrò, senza proferire parola.
Solo allora si rese conto di una cosa.
- Ehi, aspettate, come siete arrivati fino a qui?
Natsu lo fissò confuso, prima di far uscire dalla giacca il suo gatto blu, Happy.
Gajeel non capiva più niente.
- Con la macchina, genio? – rispose retoricamente Gray, accomodandosi sul divano e afferrando una fetta di pizza già tagliata, dopo aver aperto la scatola.
- Ho portato Happy così può giocare con Pantherlily – comunicò Natsu, proprio mentre Lily si liberava dalla stretta di Gajeel e correva a sistemarsi su una poltrona. Happy, idiota quanto il suo padrone, lo seguì e iniziò a giocare con la sua coda, facendolo ringhiare.
Natsu sorrise e si stravaccò di fianco a Gray, prendendo a sua volta un po’ di pizza.
- Hai un po’ di Coca? – chiese Gray, con la bocca piena, servendosi la seconda fetta.
Gajeel, più infuriato che sconvolto, si avvicinò a loro e mise la pizza fuori dalla loro portata. – Che accidenti ci fate qui? E come siete arrivati davanti alla mia porta, visto che il cancello del giardino è chiuso? – chiese a denti stretti.
Faceva quasi paura.
- Abbiamo scavalcato – rispose semplicemente Natsu, leccandosi le dita.
- E siamo venuti a vedere che succede – aggiunse Gray, sporgendosi per riprendere la pizza.
Gajeel ringhiò e allontanò il cartone ancora di più.
- Non succede nulla. Ora potete andarvene, grazie della visita indesiderata.
- C’entra Levy, vero? – chiese Natsu.
Gajeel assottigliò lo sguardo e si sporse per afferrarlo per il colletto della felpa, ma Gray lo bloccò. – Jet e Freed ci avevano detto che poteva c’entrare Levy, a quanto pare avevano ragione. Non te la dà e quindi tu ti senti represso? – indagò l’amico, con una sensibilità umana seconda solo a quella di un zombie.
Gajeel ringhiò ancora e chiuse gli occhi per non saltare alla gola del ragazzo, prendendolo a pungi tanto da renderlo incapace di parlare.
- Non gli dà cosa, la pizza? – indagò Natsu, che non spostava lo sguardo dal cartone ancora caldo che Gajeel reggeva.
Poi Gray spalancò gli occhi, capendo al volo: - Ti ha mollato!
Gajeel si diresse in cucina a passo di marcia e, buttata la pizza sul tavolo, tirò fuori dal frigo una birra che scolò tutto d’un fiato.
Sentir pronunciare quelle parole significava renderle vere e lui ancora non riusciva a crederci, ad accettarle e a capirle.
Gray si affacciò alla cucina poco dopo, sbirciando per capire se aveva il via libera o doveva temere la fatalità di qualche piatto volante. – Perché ti ha mollato? – buttò lì quando vide che Gajeel era più o meno innocuo. Più o meno.
- Chi ti dice che mi abbia mollato lei? Magari l’ho lasciata io – gli fece notare Gajeel, vantando una sicurezza di cui non era padrone.
- Tu non l’avresti mai lasciata, questo lo so. E poi saresti proprio un idiota a lasciare qualcuno per poi starci così male – sancì Gray, sedendosi al tavolo della cucina e invitando Gajeel a fare lo stesso.
Natsu si sedette silenziosamente accanto all’amico e, cercando di essere furtivo, prese un’altra fetta di pizza.
Gajeel sospirò e afferrò tre birre, prima di accomodarsi di fronte a loro.
- Quindi Levy ti ha piantato – esordì Natsu, facendo sussultare Gajeel.
- Potete smetterla di ripeterlo, per favore? – si lamentò quest’ultimo, sentendo che la furia e la disperazione stavano lasciando lentamente spazio ad un dolore sordo e pulsante e ad un gigantesco punto interrogativo che batteva come un martello pneumatico nel suo cervello.
Gray cercava di capire come comportarsi, mentre Natsu si uccideva di pizza come se non esistesse un domani.
- Perché ti… insomma, perché? – lo interrogò Gray dopo poco, a disagio. Non era granché bravo in quegli argomenti e la sua relazione-non-relazione con Juvia non lo rendeva di certo esperto di storie serie quanto quella di Gajeel e Levy.
- Non lo so, il perché. Non lo so assolutamente. Mi ha lasciato ieri, dopo aver passato il pomeriggio insieme a studiare e… a coccolarci sul letto – disse con difficoltà, mentre lo stomaco gli si attorcigliava. E non per la fame. – Mi ha detto che non poteva andare avanti così e che era ora di finirla.
Natsu lo fissò, immobile, con la pizza mezza in bocca, cercando di capire se poteva morderla e masticarla o se Gajeel stava per sbottare e spaccare qualcosa.
Gray si schiarì la voce. – Forse… e non lo dico per deriderti o mettere in dubbio le tue… prestazioni… insomma… dico che forse non è soddisfatta dai vostri… amplessi?
Gajeel sarebbe scoppiato a ridere per il rossore sulle guance del compagno se solo non fosse stato preso in contropiede da quella domanda.
- Che?!
- Hai capito, dai! Magari non era soddisfatta dalla vostra vita sessuale! È importante in una relazione – chiarì Gray, prendendo una fetta di pizza che Natsu aveva già afferrato, per dissimulare l’imbarazzo.
Anche Gajeel era leggermente arrossito, mentre Natsu mangiava pacificamente. A dire il vero, la sua presenza lì era futile quanto il sapone nel deserto.
Il diretto interessato fece una smorfia. Quello che Gray ipotizzava non poteva essere vero.
E non perché Gajeel, orgogliosamente, si rifiutava di crederlo, ma perché, semplicemente, lui e Levy non avevano ancora esplorato pienamente quell’ambito della loro relazione. Non avevamo mai, in quasi un anno passato insieme, avuto un rapporto completo, non avevano ancora fatto l’amore nel vero senso della parola. Certo, avevano acquisito conoscenza dei loro corpi con metodi alternativi, ma sempre lentamente e per gradi. Gajeel le aveva lasciato intendere che lui sarebbe stato anche pronto ad andare sino in fondo, ma non aveva mai insistito dal momento che Levy non era sicura al cento per cento, nonostante si lasciasse andare alle sue carezze con un trasporto che lui non avrebbe mai nemmeno sognato.
Gajeel le aveva lasciato i suoi tempi, non aveva forzato la cosa per permettere a lei di ottenere tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Si rifiutava di pensare al fatto che lei non si fosse fidata di lui per via di quello che le aveva fatto quasi tre anni e mezzo prima. Respingeva il pensiero che lei temesse l’intimità con lui per via del loro primo incontro.
Forse, però, lei non era mai stata davvero sicura di lui, e dopo mesi di dubbi inespressi aveva capito di non poterne più.
- Non c’è speranza che torni con me – mormorò Gajeel, seppellendo il viso nell’incavo del braccio, posato sul tavolo.
Gray deglutì a vuoto, la gola improvvisamente secca. – Non dire così, dai. Non fare la mammoletta. Potete parlarne e…. ahem… trovare metodi alternativi per… divertirvi. Non credo, cioè, presumo che tu non sia così male. Penso. Forse è lei che è un po’… come dire… difficile? Lenta? Insomma, tu sei un gigante in confronto a lei e…
- Gray tappati quella fogna! – sbroccò Gajeel, incenerendolo con lo sguardo. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Gray gli desse consigli di natura sessuale sui suoi rapporti, mai avuti, con Levy. – Non l’abbiamo ancora fatto, non penso che mi abbia lasciato per quello. Sarebbe ridicolo.
Gray batté le palpebre diverse volte, stupito, mentre Natsu giocava con le venature di legno del tavolo. Non ci capiva mai nulla di quei discorsi, e Gajeel sospettava che fosse Lucy, la sua ragazza, a prendere ogni volta l’iniziativa e sedurlo.
- Non avete fatto ancora niente? Ma state insieme da… quanto? Dieci mesi? – domandò esterrefatto Gray.
- Otto mesi. Nove tra cinque giorni. Avevo già pensato al regalo per il primo anniversario, anche se manca un po’ di tempo – lo corresse Gajeel, sospirando. – E comunque abbiamo fatto altre cose che non sto qui a spiegarti, se permetti. Non abbiamo mai avuto un rapporto completo, ma pensavo fosse normale visto che lei ogni tanto è insicura e… non lo so più. Forse l’ho forzata da qualche parte, si sentiva oppressa, oppure non mi ha mai perdonato del tutto. Sono stato un bastardo, un criminale, anzi, peggio… Non la biasimerei se in realtà mi avesse ingannato per più di un anno solo per farmela pagare. Però io ci sono troppo dentro, capisci?
Gray annuì, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire.
Per una volta, fu Natsu a salvarlo. - Lei ti ama Gajeel. Cioè, ti amava. Ti ama ancora. Non lo so. Però persino io mi sono reso conto che tra voi c’era un’affinità speciale. Levy è la migliore amica di Lucy, e sai benissimo che non potrebbe ingannare nemmeno il suo peggior nemico. È troppo buona.
- Natsu ha ragione, Gajeel. Non c’entri tu, o meglio, c’entri, visto che la relazione è vostra, ma non sei colpevole nel modo in cui credi. Andiamo! Vestiti coordinati, weekend passati insieme il novanta percento delle volte, hai quasi rinunciato alla tua vita sociale per lei, e lei ha fatto lo stesso. Sembrate già sposati da quanto affiatati siete… eravate. Dev’essere una cosa recente che l’ha spinta a prendere questa decisione.
- Ci ho già pensato, ma non mi pare di aver fatto nulla di diverso dal solito, ultimamente. Che caspita, non abbiamo mai nemmeno litigato seriamente!
Gajeel prese un respiro profondo, sentendosi vecchio e pesante, con tutto quel peso che gravava sulle sue spalle.
Era forte, certo, ma non così forte.
- Io non posso più stare senza di lei – ammise dopo qualche attimo di silenzio, rotto solo dalle fusa dei gatti che si erano appostati sotto il tavolo. – Lei mi ha cambiato completamente, mi ha salvato, lo sapete. Non so nemmeno come si viva, senza Levy al mio fianco.
Gray si stropicciò gli occhi e Natsu giochicchiò con la lattina vuota di birra, affranto. Con Gajeel era abituato a litigare e azzuffarsi, vederlo depresso e inerme come un pulcino era un colpo basso.
- Senti, ti va di analizzare la situazione con noi? Dall’inizio? Dalla prima volta che l’hai vista? Aspetta… - disse Gray, bloccandolo, quando lo vide aprire bocca per protestare. – Lo so che non vuoi disseppellire quei ricordi, non lo vuole nessuno, ma può aiutarci a capire la motivazione di Levy. Siamo tuoi compagni, tuoi amici, quindi…
Gajeel stette in silenzio, restio a parlare di sé e di Levy. Restio a parlare in generale, riservato com’era. Solo Levy era riuscita, con una semplicità disarmante, a distruggere quella corazza e diventare parte di lui.
- Se non vuoi, lo capisco – lo informò Gray poco dopo.
Gajeel guardò l’orologio appeso alla cucina, valutando che ci sarebbe voluto davvero parecchio tempo per rivoltare da dentro a fuori la sua relazione con Levy. Ma una vita senza di lei era inconcepibile e lui aveva bisogno di aiuto.
Ne aveva davvero bisogno.
- Potrebbe volerci un po’ di tempo.
- Tranquillo – lo rassicurò Natsu. – Tanto domani abbiamo solo il compito di chimica.
Gray rise della battuta e si sistemò meglio sulla sedia, in attesa.
Gajeel sospirò e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, non vide più Gray e Natsu, ma una giornata primaverile di cui conservava un ricordo indelebile, sentì risate inquietanti accanto a sé e percepì il mondo annerirsi mentre lui, stufo della sua vita, diceva addio alla sua coscienza.
 
~~~~~~~~~~○~~~~~~~~~~
 
All’ultimo anno di superiori, di Gajeel si potevano dire due cose: che era stufo di essere abbandonato e che gli piaceva il basket.
Frequentava una scuola per teppisti dalla quale, invece di diplomati e futuri studenti universitari, uscivano drogati dediti al commercio di merce illegale o lottatori disposti a scontrarsi con chiunque e senza motivo.
Gajeel era stato abbandonato dal padre all’età di nove anni, e la vita con la mamma non era stata facile.
Anzi, la vita non era stata facile.
Sua madre era un’agente pubblicitario famoso, sicuramente ricca e con più pensieri per il proprio lavoro che per il figlio. Stava via per periodi che duravano anche tre mesi, sentendo suo figlio una volta alla settimana, se le cose andavano bene. Gajeel era cresciuto passando di tata in tata, con la possibilità di usufruire senza riserve del conto corrente della madre, che almeno dal punto di vista economico non gli faceva mancare nulla.
Quando, per ripicca verso il mondo, Gajeel aveva convinto un tatuatore, con una mazzetta non indifferente di denaro, affinché lo riempisse di piercing, in barba alla sua età ancora lontana dai diciotto anni e alla mancanza del permesso genitoriale, sua mamma non se n’era nemmeno accorta. Era tornata a casa, aveva dato uno sguardo al figlio senza realmente vedere i piercing che si era fatto impiantare al posto delle sopracciglia, ai lati del naso e sul mento, gli aveva accarezzato frettolosamente la testa ed era sparita in camera sua. Ne era uscita ore dopo con un completo firmato addosso che valeva probabilmente quanto l’intera casa e il cellulare all’orecchio, una limousine fuori dalla porta.
Gajeel era stanco di essere abbandonato.
A scuola lo evitavano persino i bulli, perché con quei capelli neri come la morte e la faccia, che sembrava avere più metallo che carne, incuteva timore anche agli assassini. Solo Juvia gli era amica, anche se all’epoca Gajeel non dava importanza ad un simile legame. Juvia era una ragazza depressa che veniva derisa da tutti per l’abbigliamento e il carattere trasparente. A causa della sua forza, nessuno si era più azzardato a molestarla fisicamente da quando aveva rotto il naso a due ragazzi e rischiato di castrarne un terzo.
Crescendo da solo tra le mura di una casa troppo grande e lussuosa, troppo fredda e inumana, Gajeel si era convinto di non avere un cuore. E, se anche l’aveva, era convinto che fosse duro quanto una roccia e che battesse spinto solo dall’odio nei confronti di se stesso, di quel ragazzo ricco che non valeva l’attenzione dei genitori.
Che non valeva l’attenzione di nessuno.
L’odio verso se stesso lo spinse ad odiare anche gli altri, a poco a poco, avvelenando quel briciolo di coscienza che non sapeva di avere.
Era deciso a non rovinarsi con le droghe, ma quando stava per compiere diciotto anni si rese conto di invidiare quelle specie di crew che, immerse nell’illegalità, sembravano rappresentare una vera famiglia, cosa di cui aveva bisogno al di là di ogni suo tentativo di negazione.
Il professore di educazione fisica gli parlava in continuazione del fatto che diversi college della zona fossero interessati alle sue capacità atletiche, e che avrebbe potuto facilmente ottenere una borsa di studio per lo sport che gli avrebbe garantito un facile accesso alla serie A del basket nazionale. Se solo lo avesse voluto.
Ma lui voleva solo appartenere a qualcosa. A qualcuno.
Fu così che, senza porsi domande o sentire rimorsi, incontrò Levy.
Come rito d’entrata nella crew scolastica di malfattori che per anni lo aveva evitato per paura, doveva picchiare qualcuno fino a farlo sanguinare, lasciandolo agonizzante sul marciapiede prima di scappare.
Quel giorno di primavera la strada era deserta, e gli alberi in fiore costituivano un quadro improbabile della carneficina che Gajeel avrebbe dovuto perpetrare.
Dopo un’ora di attesa, i ragazzi della gang indicarono una ragazza piccola e carina che passeggiava serenamente. Indossava una corta gonna con calzettini alti, una giacca abbinata alla gonna e una candida camicetta che faceva risaltare un seno morbido e ben formato, segno che, nonostante l’aspetto da bambina, dovesse essere poco più piccola di Gajeel. Aveva capelli celesti che profumavano di vento e, avvicinandosi da dietro, il ragazzo si sorprese a dubitare di ciò che stava facendo.
Quando la ragazza si girò, però, Gajeel non ebbe più alcun dubbio. Con un ghigno disumano, si fiondò sulla sua preda.
 
La fortuna doveva amare quella ragazza, però, perché pochi istanti dopo Gajeel sentì delle voci in avvicinamento che gridavano: - Levy! Levy!
Un tipo alto e magro dai capelli arancioni e uno con la stessa fisionomia ma capelli neri spinsero via Gajeel, salvando la ragazza che aveva incassato senza fiatare tutte le botte che il ragazzo le aveva inflitto senza pietà. Gajeel rifilò qualche pugno e qualche calcio anche a quei due tipi, atterrandoli, e scappò verso i ragazzi che lo osservavano da dietro i cespugli, pronto ad accoglierlo tra di loro.
Peccato che, per paura di essere scoperti, quelli se la fossero data a gambe, abbandonando Gajeel.
Dopo poco tempo, nonostante avesse perso due anni di scuola per via delle bocciature, Gajeel si diplomò e ottenne una borsa di studio sportiva per il Fairy Tail College, insieme a Juvia.
Giurò a se stesso che avrebbe preso in mano la sua vita e si sarebbe riscattato, avrebbe combinato qualcosa di buono non per sua madre o per la scuola, ma per sé, per potersi finalmente guardare allo specchio e non vergognarsi di chi vi vedeva riflesso.
Non sapeva ancora che i guai stavano solo per iniziare.
 
Il primo giorno di college andò bene, e grazie alla compagnia di Juvia riuscì a passare indenne la mattinata. Nel pomeriggio avevano luogo le prime prove per la selezione di basket e per la squadra delle cheerleaders.
Gajeel era praticamente già dentro la squadra e pensava che nulla potesse andare storto, se non che… i due ragazzi che pochi mesi prima aveva picchiato erano in palestra, erano nella Fairy Tail Basket League, e nel momento in cui lo videro gli saltarono addosso. Furono necessari tre alunni, tra cui il nipote del preside, Laxus, ed Elfman, il carro armato della scuola, per separarli, mentre l’allenatore, Gildarts, li spediva dal preside.
Il preside Makarov era un nonnetto che non arrivava al ginocchio di suo nipote, e fece ai tre ragazzi un discorso sull’unità, sulla famiglia e sulla fratellanza che spinse Gajeel a credere che in quella scuola le cose potessero migliorare.
Quando uscì dall’ufficio, però, Jet e Droy, così si chiamavano i suoi compagni, si trattennero a stento dall’afferrarlo per la camicia e sbatterlo contro il muro. Solo una cosa li bloccò: la presenza di Levy.
Gajeel fissò la ragazza che aveva brutalmente picchiato senza mutare espressione, mentre lei sgranava gli occhi e lasciava cadere i libri che aveva in mano, destinati alla biblioteca. Incapace di parlare, scappò via da dov’era venuta, inseguita dai suoi amici che insultarono Gajeel con un odio che rese le loro parole più pesanti di quanto avrebbero dovuto essere.
Quella sera, a casa sua, Gajeel si chiese se nella vita avrebbe mai potuto trovare un po’ di pace.
O un po’ di amore.
Ma forse pace e amore sono il riflesso l’una dell’altro, inseparabili e troppo arduamente cercate dall’animo umano.
 
Tre settimane dopo Jet e Droy, insieme a Laxus, pareggiarono i conti con Gajeel.
Lo attesero fuori dalla palestra con i loro intenti stampati in fronte, e al ragazzo non rimase altro da fare che gettare a terra le sue borse e sospirare, preparandosi ad incassare silenziosamente.
Dopo tre minuti di quella tortura che lo faceva sanguinare dal naso e dalla bocca, una voce femminile si frappose tra i tre carnefici e il corpo macilento di Gajeel, che alzando l’unico occhio ancora indenne vide l’ultima persona che si aspettava di vedere: Levy.
La ragazza era di fronte a lui e gli dava la schiena, le braccia tese e le gambe larghe.
Ridotto com’era, Gajeel si rese improvvisamente conto che se Jet e Droy non l’avessero fermato, quella volta, a quell’ora Levy sarebbe stata probabilmente morta. Per mano sua.
La ragazza li informò che avevano già pareggiato i conti, e disse ai tre compagni di sparire, perché la vendetta non era nobile e non poteva perdonarla nemmeno a loro.
Quando si chinò per aiutare Gajeel, lui la scacciò per evitare che vedesse le lacrime nei suoi occhi, e si diresse a casa zoppicando, sotto lo sguardo ingiustificatamente preoccupato di Levy.
 
Gajeel, come previsto, entrò senza problemi nella squadra, formata da dieci membri che doveva ancora imparare a conoscere: Natsu, Gray, Elfman, Laxus, Bixlow, Freed, Jet, Droy, Gerard e lui.
Tutti e nove i membri della squadra erano amici di vecchia data e conoscevano Levy da quando erano bambini. Inutile dire che il trattamento che riservarono a Gajeel fu tutto fuorché caloroso. Purtroppo per loro, Gajeel era uno dei più validi giocatori di basket della squadra, e il preside e Gildarts non facevano altro che sgridarli per la mancanza di collaborazione con lui. Che gli piacesse o no, erano un gruppo, una famiglia, e la scuola non avrebbe partecipato a nessuna competizione fintantoché non avesse avuto una vera basket league a sua disposizione.
Incredibile ma vero, le cose migliorarono quando venne selezionata la squadra della cheerleader. Per ironia della sorte, le ragazze pon-pon erano quasi tutte fidanzate con un membro della squadra di basket. Tutti tranne una.
Erza, la temibile rappresentante d’istituto che aveva sempre a disposizione uno sguardo gelido per Gajeel, stava con Gerard. Mirajane e Lisanna, sorelle di Elfman, stavano con Laxus e Bixlow, che erano grandi amici di Evergreen, la fidanzata dello stesso Elfman. Gray era stato apertamente dichiarato proprietà di Juvia, mentre Natsu, cosa che nessuno si spiegava, stava con Lucy.
Restava fuori Levy, che veniva contesa da anni da Jet e Droy, ma non era mai stata interessata a nessuno dei due.
Per obbligo imposto dal preside i membri della squadra dovevano pranzare insieme e Gajeel, sebbene rispettasse quell’ordine per non incorrere nelle conseguenze, sentiva sempre la fame abbandonarlo nel momento in cui i suoi compagni si zittivano quando lo vedevano, per poi ricominciare a mangiare e ignorarlo.
Un giorno le ragazze entrarono urlando e ridendo nella sala mensa, inducendo tutti a girarsi, baskettisti compresi.
- Indovinate chi sono le nuove cheerleader? – esultò Mirajane, gettandosi su Laxus.
- Come se ci fossero dei dubbi – dichiarò Jet, ridendo e complimentandosi con Levy. Nel giro di un minuto ogni ragazza aveva preso posto sulle gambe del proprio fidanzato.
Restava fuori solo Levy, che dissimulava il disagio con un sorriso caldo. Jet e Droy le fecero segno di accomodarsi su di loro, ma lei rifiutò gentilmente e Gajeel la osservò con curiosità. Distolse lo sguardo solo quando i loro occhi si incontrarono, e Levy si affrettò ad abbassare il suo.
Gajeel si schiarì la voce e si alzò: - Se vuoi puoi sederti qui, io vado a ripassare per dopo.
La tavolata ammutolì e lo osservò in silenzio.
- Oh… grazie – mormorò Levy, presa in contropiede.
Jet fece una smorfia e Droy le indicò il posto, senza badare a Gajeel.
Buttando via il vassoio ancora pieno di cibo, Gajeel uscì dalla mensa senza sapere che due occhi ambrati lo avevano seguito fino a che la sua schiena non era più stata visibile.
 
Le cose migliorarono lentamente, davvero lentamente, ma nel giro di qualche settimana Gajeel venne considerato, anche se non un amico, per lo meno un compagno di squadra.
Il giorno dopo aver lasciato il posto a tavola a Levy, si verificò la stessa situazione. I tavoli della mensa erano già stretti per dieci ragazzi dotati di spalle da nuotatori, se poi si aggiungevano sei ragazze fin troppo formose la temperatura iniziava a salire.
Quel giorno Gajeel aveva fame, e non avrebbe rinunciato al suo posto per nulla al mondo, però lo sguardo velatamente triste di Levy, accucciata per terra dall’altra parte del tavolo, lo metteva a disagio.
La ragazza, sentendosi osservata, volse gli occhi verso di lui, e anziché fuggire dalle sue iridi calde color cioccolato, Gajeel le fece cenno con la testa di sedersi accanto a lui.
Levy si dimostrò stupita di quell’invito, ma quando vide che Gajeel si stringeva a Laxus per lasciarle un po’ di spazio, si mosse lentamente verso di lui, seguita dagli sguardi perplessi di tutti gli altri.
Gajeel sentì la gola seccarsi quando la ragazza si sedette accanto a lui, rivolgendogli un sorriso grato ma teso, e notò che comunque Levy stava il più possibile staccata da lui.
Era dura, ma almeno era un inizio.
Con il passare dei giorni l’affetto di Juvia verso il suo amico Gajeel fece scoprire ai membri della squadra che il ragazzo aveva anche un senso dell’umorismo non indifferente, sebbene più tendente al sarcasmo tagliente che alla simpatia. Le interazioni con loro cominciarono ad essere più frequenti e Levy iniziò a rilassarsi vicino a lui, riducendo la distanza tra i loro corpi. Ormai, quando vedeva arrivare le ragazze, Gajeel faceva automaticamente posto sul bordo della panchina, e Levy si sedeva senza nemmeno chiedere.
Dopo quattro mesi dall’inizio del college, durante le vacanze di natale, Gajeel invitò tutti a casa propria per capodanno.
Non aveva mai festeggiato capodanno in compagnia, se non con Lily.
Pensava che avrebbero rifiutato tutti quanti, cercando scuse improbabili che gli avrebbero solo confermato che non sarebbe mai stato uno di loro.
Invece, contro ogni aspettativa, non solo la squadra reputò quella di Gajeel una buonissima idea, ma addirittura si organizzò per dormire da lui, con sacchi a pelo e materassi gonfiabili che il ragazzo non sapeva nemmeno esistessero.
Fu un capodanno memorabile, e per la prima volta in vita sua Gajeel non si sentì solo. Non si sentì respinto. E nemmeno sfruttato, perché i ragazzi e le ragazze erano totalmente disinteressati alla sua condizione economica, anche se si dimostrarono stupiti di casa sua all’inizio. Qualcosa gli suggerì che, se anche fosse vissuto in un condominio scalcagnato, i suoi compagni non avrebbero fiatato.
Dopo capodanno Gajeel cominciò ad essere invitato frequentemente ad uscire con loro, e anche se Jet e Droy erano ancora un po’ freddi nei suoi confronti, Levy li spronò a dimenticare il passato e Laxus si scusò, a modo suo, per ciò che gli aveva fatto.
 
Gajeel era soddisfatto della sua vita, per una volta. Si rese conto di non aver mai desiderato, in fondo, l’approvazione di sua mamma, ma solo l’approvazione di qualcuno.
Anche se lui non lo sapeva, nel giro di poco tempo avrebbe trovato molto più di quello.
Infatti, sebbene i suoi crediti sportivi fossero ineccepibili, la media di voti delle altre materie faceva venire i brividi e dopo pochi mesi dall’inizio della scuola il preside Makarov gli disse che, purtroppo, se avesse voluto continuare a giocare a basket avrebbe dovuto prendere almeno C in tutte le materie. La sua media oscillava tra la D e la F. E il Fairy Tail College non avrebbe venduto i voti a nessuno, al contrario della sua precedente scuola.
- Ma non possono buttarti fuori dalla squadra! – protestò Bixlow quando, a pranzo, Gajeel disse che rischiava l’estromissione a causa dei suoi voti.
- Possono eccome, invece. E io non ho idea di come fare per tirare su i miei voti.
Mirajane, meditabonda, lasciò cadere lo sguardo su Levy, che aveva chinato la testa e fissava con molto interesse il suo vassoio vuoto.
- Levy è una secchiona – rivelò affettuosamente, lasciando cadere il commento che nel silenzio innaturale della tavolata pesava quanto un macigno. – Oltre ad essere brava a capire, è brava a spiegare. Potresti farti dare lezioni da lei – suggerì, mentre Lucy le pizzicava un fianco per intimarle di non esagerare.
Avendo perso due anni, Gajeel era uno dei più grandi, eppure era al primo anno.
Levy deglutì e annuì lentamente, mentre Jet e Droy si irrigidivano. – Si può fare. Del resto, la squadra ha bisogno di te. Se per te va bene.
Gajeel assentì senza nemmeno pensarci, e quando Levy lo guardò sorridendo timidamente, lui si chiese quando, esattamente, la ragazza avesse smesso di fuggire il suo sguardo per iniziare, invece, a cercarlo.
 
Una settimana dopo, Gajeel stava litigando con il forno quando suonò il campanello di casa.
Si tolse le presine dalle mani e il grembiule, disse a Lily di comportarsi bene e diede un’ultima occhiata alla casa splendente, pulita da cima a fondo grazie agli sforzi congiunti della donna delle pulizie e suoi.
Aprì il cancello e la porta d’ingresso, lanciando un’occhiata distratta all’ospite.
Levy si avvicinava a lui con aria tesa, ma i suoi occhi tradivano anche una certa calma da cui Gajeel si sentì rincuorare. Almeno finché non sentì il forno segnalare la fine della cottura.
- Fai come se fossi a casa tua! – urlò prima di fiondarsi in cucina, lasciando Levy sbigottita in mezzo al giardino.
Prudentemente, lei salì le scale che conducevano alla porta e si tolse le scarpe.
- Permesso…
- Vieni, vieni. Scusa, è che rischia di bruciarsi il dolce se lo cuocio un solo minuto più del previsto.
Levy annusò l’aria che sapeva di cioccolata e si chiuse la porta alle spalle. Appese la giacca all’ingresso e si stupì della grandezza e della raffinatezza di quella casa, che cosparsa di materassi e sacchi a pelo era sembrata decisamente più piccola, a capodanno.
Lily le si avvicinò e le si strusciò sulle caviglie impunemente, facendola sorridere. Levy lo prese in braccio e, afferrata la borsa, si diresse in cucina.
- Scusa per l’accoglienza, ma… Lily ci sta provando per caso? – si informò Gajeel.
La ragazza rise e accarezzò il gatto sedendosi con lui al tavolo della cucina, dove il padrone di casa stava finendo di farcire e guarnire una torta al cioccolato.
- Non sapevo che sapessi cucinare – disse lei, lasciando cadere la borsa e notando come il ragazzo armeggiava con quel profumatissimo impasto in modo esperto. La cucina splendeva. Lei, nelle rare volte in cui cucinava, faceva scoppiare l’Armagheddon in casa.
- Diciamo che ho dovuto imparare. Vivere di hamburger e pizza è bello quando hai dodici anni, ma crescendo ti rendi conto che non è il massimo.
- Non cucina tua mamma?
Gajeel evitò accuratamente di rispondere e cominciò a mettere via gli ultimi ingredienti rimasti sul tavolo.
- Vuoi mangiare oppure prima studiamo?
Levy scosse le spalle, lasciando andare Lily. – Come preferisci.
- Allora te ne servo una fetta ora, perché è ripiena di cioccolata fusa ed è buona ancora tiepida.
Cinque fette di dolce dopo, Levy chiarì che, se avesse voluto continuare a prendere ripetizioni da lei, avrebbe dovuto cucinarle ogni settimana una torta come quella.
- Non me ne frega nulla se ingrasso, tanto il ragazzo non ce l’ho e posso mangiare quello che mi pare –concluse, agitando in aria il cucchiaino ancora sporco di cioccolata.
Gajeel ridacchiò e mise nel lavabo i piattini e i cucchiaini, incartandole una grossa fetta di dolce da portare a casa. – Se anche avessi il ragazzo, dubito che si lamenterebbe per il tuo aspetto fisico.
Arrossita, fu il turno di Levy di non rispondere.
Studiarono ininterrottamente per quattro ore, e solo quando Gajeel le chiese se voleva cenare da lui Levy si rese conto che erano le sette.
Scusandosi, raccattò in fretta le sue cose e si preparò ad uscire per tornare di corsa a casa. Gajeel le mise in mano la torta e lei lo ringraziò e gli disse che si sarebbero visti l’indomani a scuola.
Levy tirò la maniglia della porta, ma quella non si aprì.
Girandosi per avvertirlo del problema, si rese conto che era Gajeel stesso a bloccare la porta con una mano, a pochi centimetri da lei.
La ragazza ebbe paura, e lui vide quell’inquietudine riflessa nei suoi occhi color della cioccolata.
Si raffrettò a ritrarsi per tranquillizzarla e strinse i pugni per il nervosismo.
Senza pensare, fissandola per mostrarle la sua sincerità, Gajeel disse: - Scusami, Levy. Avrei dovuto chiederti perdono prima, mesi fa, ma sono un codardo e…
Levy gli mise un dito sulle labbra, zittendolo. – Non importa. Sono fiera di quello che sei adesso. Non parliamone più, va bene?
Gajeel scosse la testa: - No, non è giusto, io volevo dirti che…
- Ho capito che ti dispiace – lo bloccò di nuovo lei, quasi seccata. – Ti perdono. Ci vediamo domani.
Quella notte Gajeel non dormì, agitato all’idea di rivederla il giorno dopo e scoprire la freddezza nei suoi occhi. Scoprire che in realtà, nel profondo della sua anima, non l’avrebbe mai perdonato.
Invece, il giorno dopo Levy lo salutò con più calore del solito, facendo sorridere Mirajane e spiazzando Gajeel.
Mano a mano che il tempo passava e la fine dell’anno scolastico si avvicinava, gli incontri per le ripetizioni raddoppiarono, e Gajeel si trovava sempre a bramare l’arrivo di quei due giorni settimanali in cui poteva avere Levy solo per sé.
Nel giro di poco aveva iniziato ad aprirsi con lei come aveva fatto solo con Lily, che aveva subito passivamente per anni i suoi monologhi-sfogo. Levy gli era entrata dentro ora dopo ora, sorriso dopo sorriso, parola dopo parola e sguardo dolce dopo sguardo dolce. Senza che lui se ne fosse accorto, parlare con lei era diventata una delle poche cose di cui non poteva fare a meno. Di cui non voleva fare a meno.
Con cautela e modi gentili, un pomeriggio in cui si erano messi a studiare sul divano Levy lo aveva inconsciamente spronato a parlare della sua famiglia, scoprendo così che suo padre, l’unica persona che avesse mai amato, l’aveva abbandonato, mentre sua madre si era dimenticata della sua presenza dopo la sua nascita.
Quando Gajeel le rivelò la sua infanzia a spizzichi e bocconi, cercando di non farle capire quanto perso fosse stato, Levy vide il profondo vuoto che albergava nel suo cuore, e che solo l’amicizia con i ragazzi della squadra aveva parzialmente colmato. Comprese quanto fosse stato difficile crescere senza una guida, sentendosi rifiutato da tutti per il proprio aspetto duro o per il carattere irascibile, che in realtà nascondevano semplicemente un profondo bisogno di essere amato e accettato.
Levy non poteva dire di approvare ciò che le aveva fatto, colto dal peggior tentativo della sua vita di essere accolto da quella che ai suoi occhi appariva come una famiglia, ma aveva capito il suo disperato tentativo di appartenere a qualcosa, a qualcuno. Più che rabbia o delusione, la cosa le suscitava una profonda tenerezza.
- Non voglio disseppellire ricordi dolorosi, Gajeel – aveva esordito lei dopo il lungo silenzio che era seguito alla narrazione del ragazzo, che si era vergognato per tutto quello che aveva raccontato. – A volte anche i criminali più incalliti hanno un cuore puro che però non è stato indirizzato nella maniera giusta. Anche i più grandi scienziati sarebbero dei selvaggi se crescessero con le scimmie. Io penso che tu abbia imparato dai tuoi errori, e che alla fine tu abbia trovato qualcuno a cui appartenere.
Gajeel l’aveva fissata senza nascondere il suo stupore di fronte a quella rivelazione.
Qualcuno a cui appartenere… Si stava per caso riferendo a…?
- Insomma, la squadra è un po’ fuori dagli schemi, lo ammetto, ma sono peggio di una chioccia quando qualcuno attacca un loro amico. Hai… hai visto, no, come si sono comportati con te dopo quello che… ehm… era successo con me?
Gajeel si era rabbuiato, non tanto per ciò che Levy gli aveva rammentato, quanto per aver capito chi era il “qualcuno” a cui alludeva.
La morsa di rassegnazione che gli attanagliava il cuore era ormai inequivocabile per lui, così come il nome di quel sentimento che lo spingeva verso Levy con la forza di dieci treni.
Fraintendo la sua espressione, Levy gli aveva accarezzato il braccio, cercando di non far caso ai muscoli che sentiva tendersi sotto alle sue dita, o al calore della sua pelle olivastra. – Non sei cattivo, Gajeel. Non penso che tu lo sia mai stato.
Colto di sorpresa, Gajeel si era voltato verso di lei e l’aveva vista avvicinarsi prudentemente, fino a posargli un leggero bacio sulla guancia.
Poi, rossa come la fascetta che quel giorno aveva indossato per agghindarsi i capelli, si era alzata, aveva preso le sue cose, lo aveva salutato ed era uscita, mentre lui era rimasto immobile ad evocare il breve istante in cui le sue labbra avevano sfiorato la sua guancia ruvida.
Quella sera si era reso conto di quanto silenziosa e vuota fosse quella casa senza la presenza gioiosa e luminosa di Levy a rischiararla e farla sembrare la villa dei sogni proibiti di ognuno di noi. Senza lei, era solo un edificio ammobiliato lussuosamente e triste, infinitamente triste e vuoto.
Gajeel sapeva che era sbagliato desiderare la compagnia della ragazza, innamorarsene; sapeva che si stava illudendo e che prima o poi lei avrebbe trovato qualcuno che l’avrebbe amata e resa felice. Pensava che fosse il giusto prezzo da pagare per ottenere il perdono dei suoi errori, non intralciare le sue scelte romantiche, anche se gli avrebbero fatto più male dell’apatia di sua mamma.
Il perdono invece arrivò sotto altre spoglie.
 
Verso fine aprile la squadra di basket e le cheerleader, ovviamente, andarono a fare una gita in montagna, completa di campeggio notturno tra sabato e domenica.
Partirono dopo mezzogiorno, in seguito ad un lauto e gratificante pasto a casa di Gajeel, e nel giro di quattro ore i ragazzi più Erza arrivarono allo spiazzo erboso protetto da fitti alberi in cui si sarebbero accampati. Il posto era rinomato per essere il rifugio preferito dei campeggiatori, e infatti, anche se incolto e selvaggio, nella radura erano chiaramente identificabili le griglie per il barbecue e i ciottoli rocciosi e anneriti dalla cenere per i falò.
Quel weekend erano soli, essendo il clima ancora troppo freddo per gli altri turisti.
Le ragazze impiegarono cinque ore a raggiungere i ragazzi, a parte Erza che era arrivata prima degli altri e si era messa ad impartire ordini a Gerard e agli altri sul montaggio delle tende, e Juvia, che si era appiccicata a Gray, indifferente al dolore che la sua andatura sostenuta le provocava. Arrivata nello spiazzo, infatti, era crollata.
Gajeel, per tutta l’ora in cui erano rimasti separati dalle ragazze, aveva continuato a buttare l’occhio verso la fine del sentiero, preoccupato per il tempo impiegato da Levy a raggiungerli.
Quando vide arrivare Mirajane e Lisanna, insieme ad Elfman che portava Evergreen in braccio perché era da uomo aiutare la propria fidanzata, provò un sollievo momentaneo che crollò immediatamente: Lucy e Levy ancora non si vedevano.
Accertatosi di non essere visto, corse verso il sentiero e rifece a ritroso tutto il percorso dell’andata finché, dieci minuti dopo, quando ormai iniziava a temere il peggio, sentì la risata di Levy, inconfondibile, provenire dalla curva che aveva di fronte.
Lei e Lucy sbucarono dall’angolo con le mani cariche di more selvatiche e fragoline di montagna, bloccandosi alla vista di Gajeel.
- Ah, sei tu! Cosa ci fai qui? – chiese Lucy, riacquistando il sorriso che aveva perso credendo che Gajeel fosse un orso.
Levy ridacchiò e allungò la mano aperta, invitandolo a prendere un po’ di frutti di bosco.
Gajeel grugnì e lanciò loro un’occhiataccia, ignorando l’offerta di Levy. Invece, andò alle spalle delle ragazze e fregò loro gli zaini, mettendosene uno in spalla e tenendo l’altro in mano. – Pensavo che un orso vi avesse mangiato – borbottò, infastidito, incamminandosi verso gli altri campeggiatori. – Sarebbe stato irritante dovervi seppellire.
Levy sorrise alle sue spalle, conscia del fatto che quello era il metodo alternativo di Gajeel per dire di essere preoccupato. Lucy le diede alcune pacche con il gomito e le strizzò l’occhio, prima di affrettarsi dietro Gajeel.
- Che premuroso che sei – disse con aria civettuola, facendo ridacchiare Levy. – Un ragazzo d’oro. Natsu non si è nemmeno accorto che manco, probabilmente.
Gajeel scrollò le spalle, disinteressato. – Sei tu che ti sei innamorata di lui. Problema tuo.
Lucy sorrise. – E tu? Di chi ti sei innamorato per venire a salvarci?
Levy la guardò ad occhi sgranati, intimandole di tacere.
Gajeel, invece, la ignorò, nascondendo il rossore che gli si era appena formato sulle guance. – Sono innamorato della pace di questo luogo, che verrebbe sicuramente calpestata se un lupo venisse a sbranarvi e voi vi comportaste da femminucce urlanti.
Lucy sbuffò, mentre Levy iniziò a preoccuparsi seriamente. – Davvero ci sono lupi e orsi?
Gajeel le lanciò una rapida occhiata da sopra la spalla: - Quanti libri hai messo nello zaino?
Levy aggrottò la fronte, confusa. – Cosa c’entra questo con…?
- Rispondi.
- Tre. Uno lo sto finendo e sono indecisa su quale cominciare, quindi ne ho portati due.
Lucy sorrise dell’amica, mentre Gajeel mugugnò improperi. – Tsk, porta via tre libri e non legge nemmeno i cartelli che spiegano che siamo in una riserva naturale con animali allo stato brado.
Lucy e Levy si scambiarono un’occhiata terrorizzata prima di scappare, incuranti della ripida salita, verso il luogo in cui i loro amici stavano allestendo il campo.
Sparite dalla sua visuale, Gajeel sbuffò: - Tanto se vengo mangiato io si preoccupano più della fine che fanno i loro zaini.
 
La sera, esausti, si radunarono accanto al mega falò che Natsu aveva acceso senza difficoltà, arrostendo marshmallow con pezzi di cioccolato incastrati. Erza stava girando mezzo bosco alla ricerca delle fragoline selvatiche che Lucy e Levy le avevano fatto assaggiare, armata di una torcia e di uno sguardo deciso che avrebbe terrorizzato anche un branco di lupi a digiuno.
Le tende erano state erette attorno al falò per proteggersi dagli animali liberi, di cui tutti erano venuti a conoscenza quando Lucy e Levy erano arrivate al campo ansimanti e spaventate, dicendo che sarebbero state sicuramente mangiate da un lupo. Quando Gajeel era arrivato alla fine del sentiero e aveva lasciato cadere a terra gli zaini delle due ragazze, era stato assalito dall’intera squadra di basket che chiedeva conferma alle sue parole.
- Ma leggere i cartelli mai, voi? – aveva borbottato.
I ragazzi avevano montato le tende, ognuno per sé e la propria ragazza, e Levy aveva timidamente chiesto aiuto a Gajeel per la sua, visto che Jet e Droy faticavano non poco con la loro. Il ragazzo, lusingato, aveva colto la palla al balzo, per rendersi conto troppo tardi del fatto che, per Levy, il “mi aiuti” consisteva nel “tu monti, io leggo”.
Lucy era l’unica che, piangendo e lanciando parolacce ai quattro venti, aveva montato la sua tenda da sola, dato che Natsu aveva perso tempo a cercare Happy, il suo gatto, per tutto il bosco. Per fortuna Gajeel aveva saggiamente declinato l’offerta dell’amico di portare anche Lily.
Quando fu ora di andare a dormire, in concomitanza con il primo ululato alla luna perpetrato da un vero lupo, in lontananza, Gajeel si rese conto di una cosa: erano in numero dispari. Dieci giocatori di basket e sette ragazze pon-pon, di cui sei di loro fidanzate con altrettanti membri della squadra.
Restavano fuori Jet e Droy, che avrebbero spartito una tenda, lui e Freed, che ne avrebbero divisa un’altra, e… Levy.
Gajeel poté leggere chiaramente il terrore nei suoi occhi quando, ad un rumore sospetto proveniente dal bosco, le ragazze si rifugiarono nella tenda, protette dai loro ragazzi, mentre Levy restava davanti al fuoco a torcersi le mani.
Gajeel fu l’ultimo ad andare a coricarsi, dopo aver verificato che il fuoco fosse sotto controllo. All’interno della tenda sentiva già Freed dormire placidamente, e il richiamo del sonno era forte anche per lui, ma non poteva evitare di pensare a Levy. Le loro tende erano una di fronte all’altra e quella della ragazza era illuminata dalla torcia che, ne era certo, stava usando per leggere.
Sospirando, Gajeel tirò giù la lampo della tenda della ragazza e la sentì esclamare il suo terrore.
- Mi hai fatto paura, sciocco! – lo assalì quando poté mettere a fuoco il suo viso.
Era accovacciata a quattro zampe sopra il suo sacco a pelo, con la torcia incastrata nella scollatura della maglia e i capelli sciolti che le invadevano il volto.
- Scusa – mormorò lui, cercando di distogliere lo sguardo dal punto in cui sbucava la torcia. Immagine troppo, troppo suggestiva. – Non dormi?
- Se leggo mi distraggo, invece se spengo la torcia e provo a dormire comincerò a sentire un sacco di strani rumori che mi terranno sveglia tutta la notte. Quindi, piuttosto di angosciarmi al buio, preferisco passare la notte leggendo e recuperare il sonno domani, quando saremo tornati.
Gajeel la fissò in silenzio e lei gli restituì lo sguardo senza imbarazzo. – Be’, sai, magari i rumori molesti in realtà sono i tuoi amici che… - azzardò schiarendosi la voce, cercando di farle intendere con gli occhi cosa mai avrebbero potuto fare i loro amici in tenda con le proprie ragazze.
Levy, capendo, lo guardò trucemente: - Gray e Natsu dormono, Mirajane ed Ever non riescono nemmeno a muoversi in tenda con Laxus ed Elfman, Lisanna si è addormentata durante il falò. L’unica che potrebbe fare qualcosa è Erza, ma non in questo periodo del mese.
Gajeel storse il naso, facendola ridacchiare.
- Allora, piccoletta, hai fatto bene a portare tre libri.
Levy gli sorrise dolcemente, sciogliendogli il cuore, e Gajeel si allontanò senza il coraggio di darle la buonanotte.
La ragazza sospirò e tornò al suo libro, rassegnata all’idea di passare la notte in bianco.
Quando, quasi un’ora dopo, le palpebre le diventarono pesanti come tapparelle di piombo, Levy si rilassò pensando di riuscire a dormire pacificamente, e spense la torcia.
Due minuti e cinque strani rumori dopo, la riaccese e sbuffò così forte che avrebbe potuto svegliare anche Natsu da uno dei suoi pisolini che seguivano il Natsu vs Food.
Gajeel, che non dormiva, se ne accorse e si sedette nel sacco a pelo, fissando il contorno della figura di Levy che si stagliava nella luce che illuminava la sua tenda. Poteva udirla borbottare e muoversi, arrabbiata.
Sorridendo, prese il suo cuscino e uscì silenzio dalla tenda, chiudendosela alle spalle. Il concerto di russamenti dei suoi compagni era quasi ricattabile, e il fracasso era un’assicurazione del fatto che nessuno, né orso affamato né lupo incattivito, si sarebbe mai avvicinato a quel frastuono.
Levy cacciò un urlo quando Gajeel tirò giù la zip della sua tenda ed entrò sinuosamente, tappandole la bocca affinché il suo grido non svegliasse tutti.
- Tu sei proprio un idiota! – sibilò, quando il ragazzo le lasciò libera la bocca.
Gajeel ridacchiò e, in canottiera e pantaloni della tuta, stese il suo sacco a pelo nel piccolo ambiente, prima di fronteggiare Levy.
- Cosa pensi di fare? – indagò lei, perplessa.
- Tu non vuoi dormire, ma io sì. E Freed russa più di Natsu e Gray messi insieme.
Levy socchiuse gli occhi. – Freed?!
- Mh-mh – assentì lui, infilandosi nel sacco a pelo. – Quindi dormo qui. Buonanotte.
Detto ciò, le diede le spalle e si tirò il sacco fin sopra la testa.
Levy rimase immobile alcuni istanti, cercando di capire cosa fosse appena successo.
Freed non russava. Ne era certa. Gajeel, infatti, non sapeva che quella di campeggiare era una tradizione annuale dei ragazzi della squadra e che lei e Freed dormivano sempre nella stessa tenda per risparmiare spazio e peso.
In diversi anni di campeggio, Freed non aveva emesso un suono durante la notte.
- Comunque puoi dormire ora, se vuoi. Gli animali selvaggi saranno più interessati a me che ad uno stuzzicadenti come te.
Levy gli tirò un calcio e si rifugiò nel suo sacco a pelo per poi spegnere la torcia.
Sperava che Gajeel, nel buio, non intuisse il suo sorriso.
Andare a dormire nella sua tenda perché Freed russava… pff certo.
Le scappò una risatina e sentì Gajeel girarsi verso di lei. – Che cavolo ridi?
- Non sto ridendo, ho freddo – rispose lei, piccata.
- Hai freddo e allora ridi?
- Fatti i fatti tuoi.
Gajeel restò in silenzio, meditando. Quello che stava per proporre era non solo un azzardo, ma un suicidio, e fu costretto a respirare profondamente prima di aprire bocca.
- Potresti… -  esordì Levy.
- Se vuoi… - propose lui.
Si bloccarono entrambi quando sentirono l’altro parlare.
- Prima le signore – la incitò lui.
- Prima tu, sei nella mia tenda e decido io – lo rimbeccò lei, divertita.
Gajeel si schiarì la voce e sussurrò: - Se non pensi male e se non ti fa… cioè, se vuoi possiamo dividere un sacco a pelo. Ma non pensare male! – ripeté, agitato.
Levy ridacchiò. – Non è una cattiva idea, utilizzarti come stufa mi farà sentire meno freddo.
I due tacquero per un po’, finché Gajeel sbuffò. Stava morendo d’ansia. – Ti muovi a venire qui?
- Non vieni tu qui? – chiese Levy.
- Sai, piccoletta, sono il doppio di te, forse il mio sacco a pelo è leggermente più grande del tuo lombrichetto.
Ignorando l’acidità delle sue parole, Levy uscì dal sacco a pelo indossando dei pantaloni larghi e felpati di due tagli più grandi, davvero, davvero sexy, una maglia a maniche corte, una felpa e i calzini di lana.
- Porca miseria Levy, probabilmente tieni più caldo tu che i nostri due sacchi a pelo uniti! Come fai ad avere freddo? – chiese Gajeel, stupito, quando la sentì scivolare accanto a lui e chiudersi la cerniera alle spalle.
Levy gli tirò due o tre calci nel tentativo di girarsi per trovare una posizione, trovandosi infine con il petto premuto contro il fianco di Gajeel, che fissava immobile la cima buia della tenda.
- Ti… ti do fastidio? – mormorò timidamente Levy, cercando di allontanarsi da lui per lasciargli più spazio.
Nascosto nella tenebra della tenda, il coraggio di Gajeel si fece sentire, e il suo braccio partì per circondarle la vita. – No – rispose, laconico, premendosela contro, la voce tanto rude quanto il gesto era gentile.
Levy sorrise e scosse la testa, cercando una posizione comoda sul suolo duro della tenda.
- Aspetta – sussurrò Gajeel, girandosi come lei sul fianco e passandole il braccio sotto la testa, per farle da cuscino.
- Ma è morbido! – esclamò pacatamente lei, consapevole di quanto i loro corpi fossero appiccicati in quella posizione.
Gajeel ridacchiò. – Il mio braccio è fatto di carne, ovvio che è morbido. Pensavi fosse duro?
Levy si schiarì la voce: - Be’, ehm, sì. È… molto muscoloso, quindi…
Ancora, Gajeel soffocò una risata spontanea, una di quelle di cui solo Levy conosceva l’esistenza, e che riservava a lei nelle giornate di studio in casa sua.
- Non prendermi in giro e dormi. Sei venuto qui per dormire, no? – lo rimbrottò, divertita.
- Sissignora.
Gajeel allungò le gambe, intrecciandole alle sue, avvicinandosi a lei di conseguenza. I loro petti si sfioravano e, se Levy non fosse arrivata all’altezza del suo torace, probabilmente anche i loro visi sarebbero distati solo pochi millimetri.
- Ehi! – lo sgridò, sentendolo muoversi contro di lei.
- Non hai detto di avere freddo? Le tue gambe a contatto con le mie si scaldano prima. Anzi, tecnicamente quando si rischia l’ipotermia bisognerebbe spogliarsi per ricevere calore da un altro corpo umano.
Levy gli tirò un pugno leggero sul petto, prima di riportare la mano sotto il suo viso. – Non avevi detto di non avere cattive intenzioni?
- Infatti non ne ho, cerco solo di preservarti da un raffreddore.
Levy ridacchiò e si accoccolò contro di lui, sospirando. – Buonanotte, Gajeel – augurò, girando la testa per posargli un bacio sul braccio.
Dopo alcuni istanti di silenzio, il ragazzo propose: - Comunque noi tecnicamente potremmo fare quello che i tuoi amici prima non hanno fatto, no? Anche quello è un buon metodo per scaldarsi.
Quando Levy non rispose, Gajeel si schiarì la voce. – Tecnicamente, si suda anche. Sempre per scaldarti, sai. Non per altro.
- Sto dormendo.
La risata di Gajeel fu l’ultimo rumore molesto che quella notte si udì nella radura del bosco.
E lo sconcerto della squadra di basket e delle cheerleader nel vedere Levy e Gajeel uscire dalla stessa tenda, la mattina, fu il primo rumore che si sentì nel raggio di tutto il bosco.
 
Da quel momento in poi la relazione di Gajeel e Levy… planò verso le acque dell’eterno dubbio.
Le ripetizioni che Levy gli dava vertevano sempre di meno sulle materie scolastiche e sempre di più su… loro due. I contatti che si scambiavano iniziarono a diventare calcolati e ben misurati. Non si sfioravano erroneamente, quando erano a casa di Gajeel o quando erano seduti vicini in mensa. Mai per sbaglio, sempre in modo oculato, per tastare il terreno o vedere la reazione dell’altro. Lo stesso valeva per gli sguardi che si scambiavano, ai quali nessuno dei due si sottraeva nel momento in cui una beccava l’altro a fissarla, e viceversa.
A parte uno spiacevole incidente in palestra, però, durante il quale Gajeel salvò Levy da una caduta fatale dalla piramide umana di cui lei era la cuspide, prendendola in braccio, non ci furono contatti intensi e stretti come quelli della notte del campeggio.
Almeno, fino all’arrivo della fine della scuola.
Il ballo di primavera, che si teneva una settimana prima della chiusura estiva, elettrizzò tutti, e per giorni al tavolo della squadra di basket non si parlò d’altro.
Le ragazze discutevano dei vestiti che avrebbero indossato e i ragazzi pensavano a cosa fare nel dopo serata, meditando se trovarsi a casa di qualcuno di loro o stare soli con le proprie fidanzate.
Jet e Droy erano alla sfrenata ricerca di una ragazza per il ballo, dopo aver ricevuto l’ennesimo rifiuto di Levy, onde evitare di dover ballare tra di loro come durante gli anni del liceo. Sarebbe stato imbarazzante.
Freed non poteva andare per impegni personali.
Gli unici che rimanevano erano Levy e…
- Gajeel, con chi vai al ballo? – indagò Mirajane a pranzo, distogliendo il ragazzo dai suoi pensieri molto coerenti che avevano come filo conduttore il tema “metodi per invitare Levy al ballo in modo originale”.
Quindici paia di occhi si fissarono su di lui con curiosità, di cui uno, ambrato, molto insistente.
- Ehm…
- Ci vai, no? – lo incalzò Mira, gentilmente.
- S…ì.
- Con chi?
- Con… ehm… una ragazza.
Quattordici paia di occhi si spalancarono mentre uno, ambrato, si abbassò a fissare con interesse il proprio vassoio.
Gajeel, nel panico, lo notò, senza però sapere come reagire.
- Oh – rispose Mirajane, delusa, dando silenziosamente voce alla domanda che tutti si stavano ponendo. Non andava con Levy?!
- E tu, Levy? – domandò allora Lucy, sperando di non aver sparato sulla croce verde.
- Io? Ah, certo, io. Io non… so se andrò – rivelò, schiarendosi poi la voce.
- Perché?! – esclamò Lucy, stupita. – Ti hanno invitata in nove! Hai rifiutato tutti?
- Otto, non nove – la corresse Levy, depressa. – E sì, ho rifiutato l’invito di tutti.
- Come mai? – domandò Mirajane, sporgendosi da davanti per mettere una mano sulla sua.
- Credo che non valga la pena di andare al ballo con qualcuno che non sia la persona che vorresti ti accompagnasse. Preferisco stare a casa che andare in compagnia di un ragazzo che per tutta la serata mi farà pensare ad un altro.
- Quindi tu sai con chi vorresti andare? – chiese Gajeel, facendole alzare lo sguardo.
Levy lo fissò cercando di parlargli con gli occhi, domandandogli perché non l’avesse invitata e chi era la ragazza che avrebbe portato al posto suo. Chiedendogli perché l’aveva illusa se alla fine, nei suoi confronti, non provava altro che un gran senso di colpa che avrebbe comportato solo un’amicizia superficiale.
Friendzonata indirettamente. Prima del ballo. Be’, meglio che essere friendzonata dopo.
- Ovvio che so con chi vorrei andare – borbottò Levy, giocando con l’insalata.
- E non vai con lui… perché? – la spronò.
Levy scosse la testa e si alzò, prendendo il vassoio. – Perché va con un’altra.
Detto ciò si dileguò, lasciando un posto in più a tavola e un vuoto nel cuore di uno dei commensali.
Lucy sospirò. – Gajeel, sei un idiota. Con chi cavolo vai al ballo? Perché non ci vai con Levy?
Il ragazzo sbuffò e ringhiò quando vide che tutti, ragazzi e ragazze, lo stavano fissando trucemente.
- Cosa volete? Vado con chi mi pare al ballo. Anzi, probabilmente non ci vado.
- Ma non hai detto che ci vai con una ragazza? – chiese Mira, perplessa.
- Presumevo che fosse Levy, quella ragazza, ma voi mi avete messo alle strette, cretini! Non potevo invitarla al ballo qui, in mensa! Siete fuori? Persino io so che non è il massimo del romanticismo!
Erza sbuffò, sconsolata, e Lucy si mise le mani tra i capelli. – Che casino! Ora alzati e vai ad invitarla!
- No! – sbottò Gajeel, battendo con rabbia un pugno sul tavolo. – Avete fatto abbastanza, grazie, mi arrangio come voglio io.
Detto ciò, si alzò e se ne andò, cercando di ripercorrere i passi della ragazza di cui si era perdutamente innamorato.
Purtroppo, Gajeel non la trovò, e dovette aspettare il pomeriggio per vederla e spiegarle la situazione.
Se solo avesse cercato nel bagno delle ragazze, avrebbe trovato Levy in lacrime, con il cuore che affogava mentre lei tirava lo sciacquone sulla possibilità di avere una storia con Gajeel.
 
Il pomeriggio, invece, Levy non si presentò a casa del ragazzo. Gli inviò un messaggio un’oretta prima del loro incontro, informandolo che a causa di problemi di forza maggiore non avrebbe potuto aiutarlo con lo studio né quella settimana, né quella dopo.
Mancava una settimana e mezza al ballo.
Per tutti i giorni che separarono Gajeel da quell’evento che riempiva gli studenti d’entusiasmo, Levy fu sfuggente e inavvicinabile. A pranzo non si vedeva, adducendo la scusa che per la fine della scuola voleva portare al massimo i voti delle materie in cui ancora non eccelleva (materie inesistenti a detta di Lucy), agli allenamenti arrivava sempre allo scoccare dell’ora, a pelo, invece che con largo anticipo, e se ne andava via un minuto prima della fine, senza salutare nessuno ed evitando di incrociare lo sguardo degli altri. Quando vedeva Gajeel da lontano, nelle pause, si rifugiava in bagno, e rispondeva ai suoi messaggi solo a notte fonda, scusandosi per la sua assenza con la giustificazione dello studio assiduo.
Gajeel non riuscì a contattarla fino alla notte del ballo scolastico.
 
Erano le sette del sabato sera del ballo e le giornate avevano cominciato ad allungarsi così che il sole ancora non aveva dato la buonanotte al mondo, rischiarando i vestiti scintillanti di tutti i partecipanti alla festa, che sembravano tante piccole stelle sfavillanti negli abiti brillantinati e lucidi.
Alle otto Erza comunicò a Gajeel che Levy non c’era, e lo stesso fecero Mirajane e Lucy, a distanza di pochi minuti.
Il ragazzo sbuffò e gettò il cellulare sul divano, buttandosi sopra di esso pochi istanti dopo, con la faccia premuta nel cuscino.
Lily gli si arrampicò sulla schiena e pensò bene di rifarsi le unghie sulla pelle soda dei suoi muscoli trapezoidali, facendolo ridacchiare.
- Me lo merito, vero? Mi merito che tu mi buchi la schiena per essere stato uno stupido con Levy. Non ne faccio mai una giusta con lei. Ora probabilmente è a casa a deprimersi, come me.
Pantherlily affondò le unghie più a fondo, solleticandolo più che infastidendolo. Sembrava quasi che cercasse di fargli notare qualcosa.
- Vado a prenderla. La porto fuori – sbottò dopo poco, alzandosi di scatto e facendo volare via Lily, che atterrò sul pavimento e gli soffiò contro.
- Scusa, mi farò perdonare! – gli disse salendo le scale che conducevano a camera sua.
 
Meno di mezz’ora dopo, stava bussando alla porta di casa di Levy.
Gli aprì la porta la sua sorellina più piccola, Wendy, di cui la ragazza le aveva parlato spesso come di una bambina dolce e premurosa anche se un po’ sbadata. A sua detta, da lei aveva ereditato la poca dotazione pettorale e le maniere pacate, però sperava che non avesse preso da lei anche la fortuna in campo amoroso.
Levy, in quello, non aveva granché fortuna, ma prevedeva che la sua sorellina avrebbe infranto diversi cuori.
- Ciao Gajeel – lo salutò sorridendo la bambina, aprendo la porta per farlo entrare. – Cerchi Levy?
- Ciao piccolina – rispose lui, accarezzandole la testolina, facendola ridacchiare. Levy gli aveva confessato che la sorellina aveva un debole per lui, sebbene l’avesse visto sì e no tre volte. – Sì, cercavo tua sorella, è in casa?
- Vado a chiamartela – esclamò Wendy correndo verso la camera della sorella.
Levy ne uscì due minuti dopo, con gli occhi rossi e confusi e i capelli spettinati. – Cosa ci fai qui? Non dovevi essere al ballo con la tua ragazza?
Wendy lo guardò a bocca aperta, sconvolta, e assisté con interesse alla scena.
- Tecnicamente mi ha dato buca prima ancora che potessi invitarla – rivelò lui, cercando di trattenere l’istinto di fiondarsi su di lei e abbracciarla.
Non pensava che una settimana di astinenza dalle sue parole e dalla sua presenza l’avrebbe reso così smanioso di un contatto. Per fortuna non l’aveva mai baciata e non era andato oltre, altrimenti avrebbe potuto compiere qualche assurda boiata abbastanza grave da farlo internare a vita.
- Mi dispiace, ma non sono qui in veste di valvola di sfogo per stare a sentire te che mi sciorini i problemi con la tua fidanzata! – sbottò lei, stremata.
Gajeel la guardò ghignando tristemente, desiderando che le cose fossero andate in maniera più decente. – Io non sono qui per fare quello che pensi io voglia fare. E non ho la fidanzata. Sono qui per portarti fuori a cena.
Levy strabuzzò gli occhi e si passò una mano sul viso, cercando di appurare la mancanza di lacrime sul suo viso. L’ultima cosa che voleva era piangere davanti a lui, indifferentemente se di rabbia o di sconsolazione.
- A cena? Fuori?
- Sì. Gli altri sono al ballo, noi facciamo qualcosa di più originale. Cambiati – le disse, accennando alla sua tuta da casa, - ti aspetto in macchina.
Levy e Wendy rimasero immobili ad osservare la porta di casa da cui Gajeel era uscito, basite.
- Per me gli piaci – commentò Wendy, asciutta. – E a te piace lui.
- Ma smettila – la sgridò Levy, roteando gli occhi.
Intanto, però, si era già fiondata in camera sua.
 
La serata trascorse tranquillamente, senza battibecchi o scenate d’isteria, e verso le dieci i due stavano passeggiando in un parco del centro città con i fianchi che si sfioravano, dopo un’abbuffata di sushi offerta da Gajeel.
- Mi dispiace che tu non sia potuto andare al ballo – rivelò Levy, cercando di indagare su quella fantomatica ragazza di cui Gajeel non le aveva mai parlato.
Lui scosse le spalle. – Non me n’è mai importato molto, ma so che alla ragazza che volevo invitare sarebbe piaciuto andare – rispose lui, fermandosi in mezzo al ponticello che attraversava un torrente poco profondo ma decisamente largo, contemplando la vista di quell’acqua gorgogliante che, incurante delle difficoltà della vita, seguiva il suo corso senza deviare né fermarsi.
Gajeel desiderò avere quel tipo di sicurezza, ma sapeva che sarebbe stato impossibile ottenerla.
- Quindi lei non va? – chiese lei, appoggiandosi alla balaustra di legno e osservando il cielo stellato, invece del fiumiciattolo vivace.
- No, non è andata.
- Ma l’hai invitata, almeno?
- Non ne ho avuto l’occasione.
Levy si voltò verso di lui, scettica. – Come si fa a non avere l’occasione di invitare qualcuno ad un ballo? Se proprio non potevi farlo di persona, potevi inviarle un messaggio.
Gajeel ridacchiò di fronte alla sua ingenuità. O fingeva di non capire, o lui era tremendamente difficile a farsi capire. – Sai, Levy, mi è difficile parlare con qualcuno che per una settimana e mezza, a scuola, mi evita. Che non si presenta nemmeno ai nostri incontri di ripetizione pomeridiani bisettimanali e che risponde ai miei messaggi quando io sto dormendo, solo per augurarmi la buonanotte.
Levy lo guardò, inespressiva, e poi tornò a fissare il cielo.
Gajeel sbottò: - Ohi, ma hai capito che dovevo invitare te al ballo?!
Levy scoppiò a ridere di fronte alla sua frustrazione, e fece un quarto di giro verso di lui, fronteggiandolo. – Ora sì, prima no, scemo! Come faccio a capirlo se non me lo chiedi o non me lo dici? Avevo il sospetto che volessi invitarmi, ma poi hai detto a tutti che ci andavi con ‘una ragazza’. Cosa dovevo pensare?
- Dovevi pensare che non sono così stupido da dire a tutti che vado al ballo con te quando, primo, non ti ho invitata e, secondo, non so nemmeno se tu vuoi venirci con me!
Levy si raddrizzò e alzò il mento, gonfiando le guance per l’irritazione. Gajeel pensò a quanto fosse tenera e piccola, un pulcino tra le sue braccia. Non era un caso se toccava sempre a lei stare in cima alle piramidi umane delle cheerleader o essere lanciata in qualche evoluzione che gli faceva venire i brividi di paura. – Ovvio che volevo andarci con te! Ho rifiutato apposta tutti quegli inviti che mi erano stati rivolti!
Gajeel le afferrò le mani con delicatezza e le strinse tra le sue, cogliendola di sorpresa. – Io alla fine non sono dispiaciuto di com’è andata la serata, sai? Posso averti qui con me senza la baraonda di corpi e puzza di sudore che ci sarebbe nella palestra della scuola.
Levy sorrise, suo malgrado, e allargò le braccia in una posa inequivocabile. – Mi concedi almeno un ballo? Questo me lo devi.
Gajeel sorrise e le passò una mano dietro la schiena, mentre la sua gli si posava sulla spalla. Poi intrecciarono le dita di quelle libere e cominciarono a muoversi lentamente sulle note di una melodia invisibile che guidava i loro cuori all’unisono.
Poco dopo Gajeel sghignazzò, rompendo l’atmosfera magica in cui Levy si era persa. – Perché ridi?
- Perché sei piccolissima – la prese in giro lui, chinandosi un attimo per sollevarla da terra e danzare con i suoi piedi a parecchi centimetri dal ponte di legno.
- Sei proprio uno stupido! – esclamò lei, infastidita, che però gli passò le braccia attorno al collo e allacciò le gambe alla sua vita.
- Uno stupido per il quale hai preso una cotta, ammettilo – la canzonò lui, incrociando le braccia sotto al suo sedere prima di appoggiarla sul parapetto del ponte, in modo da essere alla stessa altezza.
- No – rispose seriosa lei, scuotendo la testa, facendo vacillare la maschera di sicurezza di Gajeel. – Uno stupido di cui mi sono innamorata.
Sorpreso da quella rivelazione, Gajeel non mosse un muscolo quando Levy avvicinò il viso al suo per posargli un bacio sulla fronte. Quando rientrò in possesso dei suoi nervi e muscoli, incatenò gli occhi ai suoi e vide l’unica cosa che aveva bisogno di vedere in quel momento: l’amore che la ragazza gli prometteva, più potente di qualsiasi perdono lui avesse mai sperato di poter anche solo lontanamente ottenere.
Si chinò lentamente verso di lei, cercando di farle capire con lo sguardo che l’amava alla stessa maniera, se non di più, e ottenne solo impazienza in risposta: impazienza di unire le loro anime in un bacio che sarebbe valso più di mille parole.
Quando le loro labbra già si sfioravano e i loro occhi erano ormai chiusi per concentrarsi su altro, un botto li fece sobbalzare e allontanare, fissando il cielo lì dove la luna era stata coperta da brillanti fuochi d’artificio multicolore.
Levy scoppiò a ridere. – Sai da dove vengono?
Gajeel scosse la testa, rapito.
- Dalla scuola – rise ancora Levy, stringendogli le braccia al collo mentre si sporgeva all’indietro per guardare meglio il cielo. – Natsu ha l’ossessione per i fuochi, ma anche se il preside lo minaccia e gli vieta di avvicinarsi anche solo ai petardi, lui trova sempre il modo di far scoppiare qualcosa. Alla fine noi ci godiamo lo spettacolo artificiale mentre il preside lo rincorre. Non sai quanto veloce è il nonnino.
Gajeel ridacchiò e le passò le braccia attorno alla vita, dandole stabilità affinché non cadesse nel fiume, e restarono a fissare in silenzio le acrobazie dei fuochi d’artificio che si spandevano tra la notte nera e la luna bianca.
Quando tornarono il buio e la quiete, Levy si raddrizzò, sgranchendosi la schiena, e si strinse a Gajeel. – Ora che facciamo?
Lui ghignò e la fece scendere a terra, senza mai mollare la sua mano. – Se ti va, a casa ho preparato la tua torta preferita.
Levy strabuzzò gli occhi e scosse la testa, risoluta. – No, Gajeel no. No. Ho preso tre chili da quando vengo a darti ripetizioni, non voglio più vedere uno dei tuoi dolci.
Lui alzò gli occhi al cielo e si incamminò verso casa, tirandosela dietro. – Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che hai messo piede in casa mia?
Levy rifletté un attimo, poi azzardò: - Che ti dispiaceva?
Gajeel rinsaldò la stretta sulla sua mano, facendola pentire delle sue parole. – Prima di quello. Tu hai detto che potevi mangiare quello che volevi perché non avevi il ragazzo. Io ti ho risposto che il tuo ragazzo non si sarebbe lamentato comunque del tuo aspetto fisico.
Lei restò zitta, seguendolo con andatura più sostenuta, fino ad arrivare alla macchina di Gajeel. – Ma ho preso tre chili – si lamentò, affranta.
Gajeel sbuffò. – Tre chili non sono nulla e, sinceramente, non me n’ero nemmeno accorto.
- Perché non mi hai guardata bene – lo informò, sentendosi di colpo grassa.
Il ghigno che Gajeel le regalò non la rassicurò per niente, ma la fece rabbrividire in un modo del tutto nuovo. – Fidati che ho guardato meglio di quanto tu creda.
Levy restò a bocca aperta davanti alla macchina, a fissare il punto in cui il suo probabilmente-ragazzo si era chinato per salire in macchina, da dove la stava fissando ridendo.
Alla fine, rossa in volto, salì e mise il broncio, borbottando improperi contro di lui e le sue qualità culinarie.
Mentre correvano verso casa di Gajeel, Levy sorrise guardando fuori dal finestrino, con la mano del ragazzo che le accarezzava la guancia.
Non aveva preso tre chili, aveva solo voluto vedere la sua reazione. Gajeel aveva superato la prova più dura e complessa, che per molti maschi era peggio di un campo di battaglia: non mettere mai bocca sulle quantità di cibo ingerite dalla propria ragazza.
 
Quella notte Levy dormì con Gajeel e la domenica, piovosa, la passarono a letto a chiacchierare, fingere di studiare e bisbigliare romanticherie da innamorati che in altre circostanze avrebbero fatto venire il voltastomaco a Gajeel.
Si baciarono per la prima volta quel sabato notte quando, vestita con una maglia di Gajeel che doveva fungerle da pigiama, Levy si alzò sulle punte dei piedi per dare al suo ragazzo il bacio della buonanotte. Sulle labbra.
Stordito, Gajeel impiegò alcuni minuti per riacquistare l’uso delle gambe e solidificare le sue ossa gelatinose, raggiungendola sotto le coperte. Stremati com’erano, dopo una cena abbondante e una torta da capogiro che non fece altro che stimolare il sonno digestivo, il loro intento era quello di dormire immediatamente. Peccato che Gajeel trovò molto più interessante stringere a sé Levy, incastrare le loro gambe e baciarla come se non ci fosse un domani, fino a rischiare di morire per soffocamento.
Al loro risveglio, Levy aveva le labbra leggermente gonfie, cosa che invitò Gajeel a riprendere da dove si erano interrotti la notte prima.
Lunedì a pranzo, quando la ragazza si presentò in mensa sorridendo, sorprese tutti accomodandosi sulle gambe di Gajeel, come le altre ragazze, invece che sulla panchina dove lui le riservava sempre il posto.
I loro sorrisi furono eloquenti per l’intera tavolata, e Mirajane non fece altro che lanciare loro occhiate compiaciute per diversi giorni.
Gajeel, a cui Levy aveva ormai risvegliato l’ormone, cercava sempre di incastrarla in qualche angolo della scuola, attaccandola al muro e baciandola come se non ci fossero altro che loro, ricevendo in cambio un abbandono e un trasporto di cui non avrebbe mai creduto capace quello scricciolo che stringeva tra le braccia.
Quella di dormire a casa di Gajeel nel weekend divenne quasi un’abitudine alla quale nessuno dei due poteva sottrarsi, e mentre la stabilità del loro rapporto si fortificava, così come la conoscenza delle parti più profonde delle loro anime, la loro unione fisica si spingeva sempre un po’ più in là.
Durante le notti che passavano accoccolati sul divano o a letto, a guardare film, baciarsi o semplicemente godersi l’uno il calore dell’altra, le loro carezze diventarono sempre più audaci e la consapevolezza dei loro corpi iniziò a delinearsi nettamente nei loro gesti.
Gajeel pensava di morire e rinascere durante quei momenti in cui, pelle contro pelle, Levy si disinibiva sempre di più, offrendogli il suo corpo oltre al suo cuore, donandogli lo scrigno che proteggeva la sua anima senza riserve, stringendogli il cuore in una morsa di calore divino che lo induceva a domandarsi cos’avesse fatto di buono nella sua vita dissoluta per meritarsi quell’istante con lei, con quell’angelo che sembrava anelare un suo tocco con la sua stessa intensità.
Una notte estiva, con la finestra del balcone aperta sulla notte e un leggerissimo lenzuolo a coprire i loro corpi seminudi, Gajeel e Levy si stavano fissando negli occhi fregandosene del caldo che i loro corpi a contatto producevano.
- Ti amo, Levy. Non lasciarmi mai – mormorò lui, seppellendo il viso nei suoi capelli mentre, con le lacrime agli occhi, si rendeva conto che la perfezione di quel momento non era eterna, e che Levy sarebbe potuta sparire dalle sue braccia come una bolla di sapone.
Lei si alzò sul gomito e, obbligandolo a guardarla in faccia, gli accarezzò dolcemente la guancia prima di lasciargli un bacio in fronte. – Mai, Gajeel. Ma lo stesso vale per te.
Lui incurvò un poco le labbra in un sorriso triste, fuggendo il suo sguardo. – Se ti lasciassi, dove andrei? Cosa farei, senza una ragione per vivere?
Commossa, Levy lo baciò e lo strinse a sé mentre lui sospirava a più riprese per non lasciarsi andare alle lacrime.
Si addormentarono così, a metà di una ninna nanna interrotta, con i corpi intrecciati e i cuori che battevano all’unisono.
 
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Gajeel prese l’ultimo sorso di birra, scoprendo che la lattina era già vuota, e osservò impassibile Natsu, che dormiva sul tavolo della sua cucina con tanto di bava.
Gray si stava sfregando gli occhi, cercando di restare sveglio nonostante fossero ormai le due di notte e l’alito gli puzzasse di sonno mancato.
Dopo un silenzio troppo lungo da parte di Gajeel, bloccò le mani e lo osservò di sottecchi, con gli occhi rossi: - Hai finito?
Gajeel, troppo stremato ed esasperato per saltargli alla gola, annuì stancamente, alzandosi per pulire i rimasugli delle croste della pizza e le lattine vuote di birra.
- Be’, un gran casino – commentò Gray, lasciandosi scivolare sulla sedia fino a sentire che, se si fosse spostato di un solo centimetro, il sedere sarebbe passato dal sedile al pavimento, svegliandolo in maniera alternativamente brutale.
- Tu dici? – chiese sarcasticamente Gajeel, avvicinandosi al tavolo con una pezza bagnata, per pulirlo.
- Purtroppo sì. E sai perché è un casino?
Gajeel si bloccò, lo fissò con un fuoco quasi spento negli occhi e racimolò ogni briciolo di acidità che gli faceva dolere lo stomaco nella lingua. – Nooo, non so proprio perché è un casino!
Gray ignorò il suo tono amorevole e lo fissò con una sincerità disarmante: - È un casino perché non ha senso la vostra rottura.
Gajeel era indeciso se tirargli la pezza in faccia o fracassargli la testa di pugni.
Era andato da lui, ascoltando per ore la meravigliosa favoletta su lui e Levy in modo tale da aiutarlo, e se ne usciva con un: “È un casino perché non ha senso?”.
- Lo so che è ovvio! – lo precedette lui, notando il suo sconcerto. – Però, anche dal punto di vista di un esterno a cui non è mai fregato un cavolo della vostra storia, è assurdo che vi siate lasciati. Non penso che tu mi abbia raccontato frottole e, basandomi sulle tue parole, nel giro di un anno e mezzo probabilmente sareste stati sposati felicemente con tanti bambini. Persino Natsu ti ha detto che è evidente che Levy ti ama!
- Non lo so più, Gray – mormorò, sconfitto, accasciandosi sulla sedia e prendendosi la testa tra le mani.
- Sì, fidati. Quand’è che ti ha scaricato?
- Domenica sera. È stata con me a pranzo e, anche se era un po’ giù di morale, non mi aspettavo assolutamente una bomba come quella che mi ha scaricato la sera. Prima di cena, oltretutto! Dopo essere stata con me praticamente tutto il giorno, standomi addosso per essere confortata più del solito, mi dice che non ce la fa più e se ne va. Così. Cioè, ma io che diamine capisco da questo?!
Gray sospirò. – Poco, capisci proprio poco. Oggi le hai parlato?
- Mi ha evitato tutto il giorno! Tutto. Il. Giorno!
- Domani beccala. Attaccala al muro e… non so, baciala con la lingua.
- Ma ti pare il modo di risolvere la cosa? Semmai le chiederò perché mi ha mollato, no?
Gray batté diverse volte gli occhi di fronte allo stupore di Gajeel, riflettendo sulla sua proposta. – Be’, sì, puoi fare anche così.
- Mh… - mugugnò l’amico, grattandosi la testa. – E se fingessi che non sia successo nulla? Le vado vicino, la prendo per mano, le sorrido…
- Tu non sorridi mai…
- Per lei potrei fare un’eccezione, no?
- Non credo che tu ne sia capace, ma tentar non nuoce – acconsentì Gray.
- Seh… - riprese lui, irritato. – Comunque, se faccio il finto tonto lei dovrà spiegarmi il motivo per cui non dovrei comportarmi come se fossi il suo ragazzo, no?
Gray annuì con vigore, poi si bloccò e scosse la testa. – A dire il vero sono confuso, sai, sono le due e non capisco più nulla. Ripeto, per me una bella pomiciata con tanto di palpatina innocente risolve sempre tutto.
Gajeel lo sguardò con scetticismo, sospettando che il sonno svegliasse gli istinti più animaleschi di Gray.
- Sinceramente penso che se avessi dato retta ai tuoi consigli, dal primo all’ultimo che mi hai dato, Levy mi avrebbe già lasciato da tempo.
Gray gli lanciò un’occhiataccia, per poi alzarsi facendo strisciare rumorosamente la sedia sul pavimento. – Fai come vuoi, io non mi impiccio più nei tuoi affari visto come ripaghi i miei sforzi di aiutarti. Per sdebitarti ti permetto di ospitarmi qui stanotte, anche perché non se ne parla proprio di tornare a casa ora. Sto morendo di sonno.
Gajeel si alzò a sua volta e annuì. – La domestica ha rifatto questo weekend la stanza degli ospiti, fai come se fossi a casa tua. Ma non c’è nemmeno bisogno di dirlo.
Gray gli lanciò un sorriso un po’ storto, ma quando fece per allontanarsi Gajeel lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla. – Grazie, comunque. Per tutto.
Il ragazzo annuì e gli diede una pacca rassicurante alla mano, per poi allontanarsi e salire le sontuose scale illuminate che portavano al piano superiore.
Gajeel sospirò e si stiracchiò, rendendosi conto solo in quel momento della presenza di Natsu, che dormiva con la testa sul tavolo.
Meditò alcuni istanti su cosa fare di lui, e alla fine optò per sistemarlo sul divano. Quando provò a sollevarlo, però, lui grugnì e si lamentò, accasciandosi ancora di più sulla sedia.
- Resta là allora – borbottò, lasciandolo andare e prendendo i gatti al suo posto, con l’intento di portarseli a letto. – Buonanotte.
Natsu gli rispose russando.
 
- Mi spiegate perché mi fa tanto male la schiena? – chiese Natsu il martedì mattina successivo, mettendosi le mani sulla zona lombare e spingendo avanti il bacino, facendolo scrocchiare.
- Non so mica, io ho dormito benissimo – rispose Gajeel, facendo ghignare Gray.
Lui e l’amico si erano svegliati stanchi, ma tutto sommato in buono stato, mentre la faccia di Natsu aveva preso la forma del tavolo. Dopo aver fatto colazione e aver pulito la sua bava, lo avevano caricato in macchina di Gray di peso, ancora addormentato, e il ragazzo lo aveva scaricato nel suo letto, dove lui si era svegliato senza chiedersi come fosse arrivato fin lì.
A distanza di anni, Gray, che lo conosceva da quando erano all’asilo, si stupiva ancora dei suoi comportamenti privi di logica e apparentemente insensati.
Gajeel ridacchiò, ma quando portò lo sguardo davanti a sé si zittì e torno serio: Levy aveva appena salutato Lucy, che era entrata in aula, e si stava dirigendo verso la sua classe.
- Auguratemi buona fortuna – mormorò Gajeel, partendo in quarta verso di lei senza aspettare risposte.
- In bocca al lupo – gli gridò Gray, proprio nel momento in cui una presenza morbida e azzurra gli si attaccava al braccio.
Era arrivata Juvia.
Gajeel rallentò il passo quando fu a pochi passi di distanza da Levy. Prese un respiro profondo, cercò di sorridere anche se lo stomaco gli era finito al posto delle budella, e viceversa, e si preparò a rinascere o morire definitivamente.
- Ehi, Lev! Buongiorno! – esclamò passando un braccio attorno alle spalle della… sua ragazza, conscio del fatto che quello non era affatto il modo in cui la salutava di solito. L’ansia gli giocava brutti scherzi.
Gajeel la vide perdere il sorriso e irrigidirsi, fissarlo brevemente e poi distogliere lo sguardo, agitata.
Cautamente, scosse la spalla per fargli mettere giù il braccio e lui, anche se riluttante, obbedì, posandole però la mano sul fianco.
- Gajeel – lo ammonì lei, fermandosi in mezzo al corridoio.
Lui sospirò, infilò le mani in tasca e si piazzò davanti a lei, chinandosi per essere più vicino al suo viso.
E se avesse provato a fare ciò che Gray gli aveva suggerito? Anche se, tecnicamente, visto che non aveva gradito nemmeno un braccio attorno alle spalle, difficilmente avrebbe preso alla leggera un bacio.
- Che c’è? – la incalzò allora lui, burbero e afflitto.
- Cosa stai facendo?
- Ti sto salutando. Ne ho tutto il diritto dato che sei la mia…
- Amica – lo prevenne lei, incrociando le braccia al petto.
- Ragazza – la corresse lui, infastidito.
- No, Gajeel. Amica e basta.
- Amica non basta. Non sei mia amica, Lev. Lo sai bene.
Lei strizzò gli occhi e parlò senza guardarlo in volto, sussurrandogli: - Non chiamarmi Lev…
Gajeel giurò di aver sentito anche un “ti prego” varcare la soglia delle sue labbra, ma non ebbe il coraggio di chiederle conferma. Lei adorava quando lui abbreviava il suo nome in un modo che nessun altro faceva. Solo lui, solo quando erano insieme, senza gli altri.
- Si può sapere perché non posso nemmeno più toccarti?! – sbottò, infastidito, facendo un passo avanti, costringendola ad indietreggiare.
Levy strinse i libri al petto, come per difendersi, e cercò di assumere un’espressione arrabbiata. – Perché ci siamo mollati, Gajeel. E quindi nessuno dei due ha più il diritto di toccare l’altro.
- No, tesoro, tu hai scaricato me, e senza darmi uno straccio di motivazione – sibilò, stringendo i pugni per evitare di urlare. – Tu mi hai mollato. Tu. Non venirmi a dire che ci siamo mollati, perché questa cosa non è assolutamente condivisa e penso di avere il diritto di scegliere chi deve essere nella mia vita e chi no. Non ho scelto io di non averti più, l’hai scelto tu per me, e non è esattamente come quando ordinavi la cena cinese anche per me. Non è quel genere di scelta che puoi prendere tu da sola.
Levy si guardò le scarpe, incapace di fissarlo negli occhi. – Uno di noi due doveva prenderla questa decisione, Gajeel. L’ho presa io, e un giorno mi ringrazierai. Ora, se permetti, vado in classe.
Fece per sorpassarlo, ma lui l’afferrò per la mano e l’attirò a sé, stringendola in un abbraccio disperato che lei non ricambiò. Attese pazientemente che le sue braccia allentassero la presa su di lei e la liberassero, ricadendogli senza forze lungo i fianchi.
- Non voglio dare spettacolo, Gajeel. A dopo.
La guardò allontanarsi senza nemmeno battere le palpebre, aspettandosi di vederla voltare la testa e fissarlo, sorridergli, corrergli incontro o mandarlo a quel paese. Gli sarebbe andato bene tutto, ma non quel completo disinteresse.
Non quella convinzione nei confronti di una decisione che lo aveva ridotto ad un’ombra di se stesso.




MaxB
*si ripara* Lo so che voelte uccidermi.
Insomma, quale persona sana di mente scrive di Gajeel e Levy che si lasciano? E chi CAVOLO PUO' SOGNARE che si lasciano?
...
Io. E il bello è che nel sogno ci provavo pure con Gajeel AHAHAHAHAAH. Lo so che l'avreste fatto anche voi., pervertite. Poi vi assicuro che mi sono sentita in colpa e me ne sono andata via, lasciandoli a risolvere i loro strani problemi.
Anche Stephenie Meyer ha sognato la storia di Edward e Bella e da lì ha tratto i 4 e passa libri della saga di Twilight eh!! Questa cosa mi ha emozionata.
Ok basta!!!
Volevo solo dirvi che ho cercato di rimediare alla batosta con tanto fluff e che, dal momento che mi piacciono le cose brevi e mi riescono davvero benissimo, le cose brevi (più corte penso che siano, più lunghe diventano), il capitolo è troppo lungo (MA DAI?!), per cui l'ho diviso e nel prossimo, già ultimato e che posterò appena avrò tempo, ci sarà la conclusione.
Altrimenti vi sareste addormentati 8 volte prima di finire la storia.
Bene, spero vi piaccia, spero che, come me, soffriate leggendolo, visto che è un paradosso, e che abbiate voglia di leggerne la conclusione!!
A presto,
MaxB


P.S.: ringrazio tantissimissimo C63 che mi ha betato le 42 pagine di storia, e che è sempre fantastica e gentile nel dar retta ai miei deliri.
E nell'incoraggiarmi, ovviamente.
E nel perdere la pazienza e il sonno per sottolinearmi tutte le virgole di troppo che mi sono sfuggite e si sono messe a guerreggiare tra di loro (ups...).
Grazie cara

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Capitolo 2
*** Il futuro ***



IL FUTURO


- Allora?
La voce di Gray riscosse Gajeel dalla sua muta e disperata contemplazione di Levy che, a qualche passo di distanza, stava riponendo i libri nel suo armadietto, scherzando con le amiche.
- Cosa? – farfugliò lui, rispondendo più per riflesso involontario che per educazione.
- Le hai parlato? – lo incalzò Gray, salutando distrattamente Laxus, Bixlow e Freed, di passaggio.
Gajeel non li notò nemmeno. - Sì.
- E? Hai seguito il mio consiglio?
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata di fuoco e chiuse con forza lo sportello del suo armadietto, per poi girarsi e fronteggiare l’amico ad un palmo dal suo naso. – Non abbiamo limonato, Gray, ero troppo intento a soffrire per l’acido di limone che la conferma del suo rifiuto mi ha mandato in circolazione.
Gray sembrava disorientato. – Scherzi? Levy? Ma dai!
Gajeel strinse i pugni e meditò seriamente di spaccare il naso al compagno, ma con la coda dell’occhio vide Levy voltarsi verso di loro e desistette. Un secondo dopo la ragazza li stava nuovamente ignorando.
- Non è possibile che tu e Levy non stiate più assieme. Non posso crederci.
- Pensa me! – sbottò Gajeel, prendendo le sue cose e avviandosi verso le ragazze.
Salutò educatamente con un gesto della mano quando passò loro di fianco, e le sue compagne risposero sorridendo affabilmente. Tranne Levy.
Lucy guardò l’amica, stranita di fronte al suo atteggiamento freddo nei confronti del ragazzo. Stava per aprire bocca ed indagare, ma l’arrivo di Natsu, che travolse chiunque incontrò sul proprio percorso, le fece accantonare momentaneamente la questione.
Gajeel decise che nel pomeriggio sarebbe rimasto in palestra ad allenarsi, a dispetto dei compiti, della stanchezza e di qualsiasi altra cosa. Si sarebbe scaricato fino a farsi dolere i muscoli, finché il bruciore fisico non avesse obnubilato il lancinante strazio che gli albergava nel petto.
Solo così, forse sarebbe riuscito ad andare avanti.
 
Si stava allenando da venti minuti scarsi, ma la foga e l’impegno che Gajeel profuse nel riscaldamento e nei successivi tiri a canestro lo fecero riempire di sudore nel giro di poco.
Con solo i pantaloni della divisa sportiva addosso, si allenò come un giocatore di NBA, con l’impegno di tutti i membri della sua squadra messi insieme nei giorni precedenti una gara di campionato.
Avvertì la sua presenza quando fece l’ennesimo canestro perfetto, a dispetto della sua mancanza di concentrazione. Girandosi, la vide avanzare timidamente in mezzo alla palestra, fermandosi a pochi passi da lui.
Gajeel la guardò con la bocca semiaperta, la palla sottobraccio, recuperata al volo, e i muscoli del petto bene in vista. Aveva il respiro affannoso e qualche ciocca di capelli sudata e spettinata gli ricadeva sul viso, addolcendone i tratti.
- Che fai qui, Levy? – chiese, incapace di mantenere il silenzio un secondo di più.
La ragazza si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dal suo, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla. – Sono venuta per avvisarti che non posso più darti ripetizioni – disse tutto d’un fiato, con una freddezza che fece venire i brividi a Gajeel nonostante fosse accaldato.
- Bene, oltre a mandare nel cesso la nostra relazione ora mandi al diavolo anche la mia possibilità di avere qualche voto decente. Non bastava rovinare la vita a me, devi anche fare in modo che tutto ciò che mi riguarda vada male – ringhiò lui, gettando la palla lontano e tuttavia non riuscendo a farle alzare lo sguardo.
D’impeto, le prese il mento tra le dita, obbligandola a voltare la testa per guardarlo, e le si avvicinò per scrutarla negli occhi. Quando si chinò ancora di più per baciarla, lei lo prevenne. – Non voglio rovinarti la vita, Gajeel. Fidati che è meglio così, è la cosa migliore iniziare a vivere uno senza l’altro. Non sarebbe potuto essere altrimenti.
Il ragazzo scattò all’indietro come se avesse visto danzargli davanti agli occhi la lingua sibilante di un serpente velenoso. – La smetti con queste frasi criptiche e sibilline e con la storia dell’’è meglio per tutti’? Un cavolo che è meglio per me se mi hai lasciato, Levy! Non vuoi più saperne di me? D’accordo, ma dammi una motivazione, una! Una più credibile di quella che stai usando ora, perché penso di meritarla, dopo quasi nove mesi insieme. Ti avevo anche già comprato il regalo per l’anniversario, sai? Che idiota che sono stato a pensare che tu fossi sincera.
Lo schiaffo di Levy fu repentino e doloroso, e Gajeel si ritrovò a fissare il muro laterale al posto di quello frontale. Probabilmente gli sarebbe rimasto il segno di cinque dita piccole e rosse stampate sulla guancia, più eloquenti di qualsiasi altra parola.
- Non darmi della falsa – sussurrò lei, guardandolo con occhi incattiviti che Gajeel non le aveva mai visto, e che non le si addicevano. – Lo sai che per me non sono stati una bugia questi otto mesi. Non provare nemmeno ad insabbiarli con qualche stupidaggine, non te lo permetto.
Il ragazzo riportò lentamente l’attenzione su di lei, stringendo gli occhi e contraendo i pugni. – Che importanza ha, ora? Mi hai scaricato! Se la nostra storia avesse significato qualcosa ora saremmo ancora insieme – sbraitò, facendola indietreggiare nonostante lo sguardo freddo che continuava ad ostentare.
Gajeel respirò profondamente e chinò la testa, sconfitto. – Ti prego Levy, non mi lasciare. Non voglio tornare ad essere quello che ero prima.
Il silenzio si protrasse finché non si sentì un singulto, e Gajeel scoprì che proveniva da Levy, che stava piangendo con una mano davanti alla bocca, cercando di fermare le lacrime e i singhiozzi.
- Lev… - mormorò, avvicinandosi cautamente e posandole una mano sulla guancia, asciugandole le lacrime salate di dolore che le scendevano come una cascata dagli occhi sofferenti. Non più arrabbiati, solo sofferenti. Gajeel si sentì in colpa, perché con Levy era così. Non poteva vederla piangere, non voleva vederla agonizzare come in quel momento. Il ragazzo capì che, se il lasciarlo avesse potuto riportare il sorriso sulle sue labbra, si sarebbe messo da parte uscendo dalla sua vita. Era più facile sopportare il suo dolore che vedere la sua ragazza provarlo a causa sua.
- Lev, scusami – mormorò, posando la fronte sulla sua, mentre la mano di lei si spostava dalla sua bocca e si appoggiava sul suo petto nudo, sul suo cuore. – Se la nostra storia ti rende infelice, va bene. Se è questa la motivazione, d’accordo, non stiamo più insieme. Mi dispiace di averti fatta piangere. Uscirò dalla tua vita… cercherò di farlo, insomma. All’inizio porta pazienza, vedrai che prenderò l’abitudine di… di starti lontano, con il tempo. Meriti di meglio, è vero. Scusami.
Gajeel aveva le mani piene delle sue lacrime, che dai suoi occhi erano scese fino ad inzuppare le sue dita gentili mentre cercavano di scacciare via quei solchi di fuoco salato dalle sue guance morbide.
Sentendo i suoi stessi occhi inumidirsi, le posò un bacio in fronte e fece per allontanarsi, ma Levy scoppiò a piangere senza ritegno e gli si gettò addosso, circondandogli il collo con le braccia e la vita con le gambe, cogliendolo di sorpresa e costringendolo ad ondeggiare alla ricerca dell’equilibrio necessario a tenere in piedi entrambi. La sua bocca trovò quella del ragazzo con urgenza, bagnando il suo volto con le sue lacrime che presto si mischiarono a quelle che piovevano dai suoi occhi cremisi.
Perché Gajeel lo sentiva, quello era un bacio d’addio.
Si baciarono con un impeto e una foga che non avevano mai adoperato, facendo trapelare la disperazione che bruciava nel loro cuore come una città devastata dalle bombe. Si baciarono come se quello fosse stato il loro unico momento insieme prima di morire, e forse era così per entrambi. Gajeel dovette interrompere quel contatto troppo presto, per appoggiare la fronte sulla sua spalla e, stritolandola a sé, piangere come non aveva mai pianto nemmeno da bambino, quando sua mamma lo scaricava a qualche tata invece di coccolarlo come qualsiasi altro genitore. Pianse come non aveva mai pianto nemmeno quando suo papà, l’unico che forse l’aveva amato, era andato via.
Levy lo cullò a sé e tirò su con il naso, asciugandosi le lacrime con le mani bagnate, baciandogli il collo e singhiozzando nel suo orecchio. Dal collo risalì lungò la mascella e la guancia, gli baciò gli occhi umidi e scese lungo il naso, fino ad unire di nuovo le loro bocche in un bacio di amore amaro.
Senza una parola, Levy sciolse il groviglio di gambe dai suoi fianchi e Gajeel la posò delicatamente a terra, osservandola impotente mentre, senza guardarlo, scappava via aprendo le porte della palestra con rabbia, facendole sbattere contro il muro.
Lasciando Gajeel fermò in mezzo alla sala vuota, che sembrava piovergli addosso per sommergerlo.
Passarono diversi minuti prima che il ragazzo fosse capace di riordinare i suoi pensieri e costringersi ad andare verso le docce, sapendo che nemmeno un bagno nella lava sarebbe riuscito a scaldarlo e scacciare quel gelo che gli aveva marchiato la pelle dove Levy lo aveva toccato per l’ultima volta.
 
- Oddio, sei morto vero? Sei un fantasma! – esclamò Natsu il giorno dopo, provando cautamente a fargli passare la mano attraverso l’addome, ricevendo in cambio un pugno di ferro contro lo stomaco.
Gemette, mentre Gray ridacchiava. – Natsu non ha tutti i torti, Gajeel. Ti sei fatto investire e poi sei rimasto sotto la neve per tutta la notte?
Gajeel non rispose nemmeno, semplicemente chiuse con forza il suo armadietto e cercò con lo sguardo qualcosa. Anzi, qualcuno. Qualcuno che, appena intercettò i suoi occhi, si girò dall’altra parte e si sforzò di sorridere alle sue amiche, leggermente accigliate. La vide gesticolare alla ricerca di una scusa per il suo scarso entusiasmo, per poi indicare la classe e dirigervisi con un’allegrezza che non avrebbe ingannato nemmeno un cieco.
- Le hai parlato ancora? – lo distrasse Gray, pungolandogli il petto, dopo aver seguito il suo sguardo e aver intuito la causa del suo turbamento.
- Sì – disse Gajeel, secco, prendendo la sua sacca e andando nella direzione in cui erano le ragazze, sue amiche.
- E? – lo incalzò Gray, mentre Natsu li tallonava cercando di far loro lo sgambetto. – Risolto qualcosa?
- Abbiamo limonato – lo mise al corrente Gajeel, alzando la mano in cenno di saluto verso le cheerleader, che ricambiarono sorridendo.
Gray, che stava cercando di non farsi vedere da Juvia per evitare che gli si appiccicasse addosso, rispose dopo parecchi istanti.
- Ah, quindi… ah, avete limonato! Fantastico. Vedi che ho i migliori consigli del mondo? Non ti chiedo di pagarmi solo perché sei mio amico – gongolò Gray, fiero del consiglio a cui nemmeno lui, in realtà, aveva creduto.
- Ma allora perché sei così depresso? – indagò Natsu, dicendo per una volta una cosa sensata.
- Perché era un limone d’addio – sbottò Gajeel, inforcando la sua classe e lasciando i suoi amici piantati nel corridoio, come due pesci lessi.
Gajeel si sedette al suo banco e chiuse gli occhi, godendosi il silenzio che non sarebbe durato molto.
Infatti dopo cinque secondi i suoi timpani vennero perforati dagli urletti poco virili di Gray.
- Come sarebbe a dire che era un limone d’addio?!
- Nel senso che ti ha scritto addio su un limone e te l’ha dato? – chiese invece Natsu, con gli occhi che luccicavano. – Che cosa geniale! Per far capire che l’addio è aspro! – concluse scoppiando a ridere, mentre Gray e Gajeel lo guardavano con un tic rabbioso alla palpebra.
- Quindi è ufficiale? Ti ha piantato? – domandò pacatamente Gray, fissandolo dall’alto.
L’amico sospirò. – Sì. È finita.
- Ma…
- Lasciami in pace, Gray. Lasciami solo, ci vediamo all’allenamento – lo prevenne, gelandolo con lo sguardo e facendogli capire che in quel momento nemmeno la garanzia di vincere il torneo lo avrebbe fatto parlare.
Gray e Natsu lo osservarono in silenzio, indecisi su cosa fare, e alla fine si diressero verso la porta. – Ci vediamo dopo, Gajeel.
Il ragazzo non li salutò, appoggiò la testa sul bancone e desiderò tornare al tempo in cui, non avendo nessuno da amare, la sofferenza della solitudine sembrava miele al confronto di un cuore distrutto.
 
Ad allenamento non se la cavò male, rispetto al lunedì. Cercò di usare tutta la rabbia che gli scorreva come fiele nelle vene per giocare in attacco, facendo però qualche fallo violento che l’allenatore gli fischiò con sorpresa.
Chi invece non andò granché bene fu Levy, che era distratta e rischiò in due diverse occasioni di cadere dalla sommità della torre umana, richiamando all’erta Gajeel che si appostava vicino alle cheerleader nel caso in cui fosse stato necessario un intervento urgente di salvataggio.
Fidanzati o no, non avrebbe permesso che Levy si ferisse.
- Levy, sei distratta da lunedì, qualcosa non va? – chiese Lucy, notando con la coda dell’occhio che Gajeel tornava a giocare senza dire una parola, e che lui e Levy evitavano qualsiasi tipo di contatto visivo.
La ragazza annuì in risposta, sfregandosi il braccio come riflesso incondizionato. – Sono solo preoccupata per le verifiche di fine quadrimestre.
- Temi che Gajeel non le passi? – indagò Lucy, mettendole una mano sulla spalla.
Levy la guardò, sorpresa, e poi si ricordò che nessuno sapeva che lei e Gajeel si erano lasciati. – No, non è questo. Penso che le passerà, insomma… - rivelò, poco convinta.
- Avete litigato? Ha dimenticato di fare qualcosa?
- Perché deve per forza avere a che fare con Gajeel, il mio umore? – replicò Levy, sulla difensiva.
Lucy alzò le mani in segno di pace. – Scusa, non volevo offenderti. È solo che ogni volta che ti vedo così c’entra lui. Eri giù di morale l’anno scorso, quando hai scoperto che frequentava il tuo stesso college, eri così depressa quando pensavi che andasse al ballo di primavera con un’altra, o quando pensavi si fosse dimenticato del vostro primo mesiversario.
- Mi stai dicendo che quando sono infelice è causa sua?
- Non dico questo, dico solo che a lui tieni così tanto che le tue preoccupazioni sono legate imprescindibilmente a lui. Quindi, visto che non ti ho mai, mai vista così giù, pensavo che fosse per causa sua. Scusa se ho sbagliato considerazione – concluse Lucy, amareggiata.
Levy sospirò. – Scusami tu, non è un bel periodo, è vero. Ma non è colpa di Gajeel. Anzi, tecnicamente sì, ma in realtà è colpa mia perché…
La ragazza si bloccò quando si rese conto che i suoi borbotti confusi non facevano altro che disorientare Lucy. – Levy, zitta – la blocco l’amica dopo poco. – Fermati da me dopo l’allenamento, un po’ di cioccolata calda e chiacchiere tra donne guariscono sempre tutto.
Levy sorrise leggermente lanciando un’occhiata di sottecchi a Gajeel, che in quel momento segnò a canestro e si voltò subito verso di lei per assicurarsi che lo stesse guardando. Lei si affrettò a puntare il naso contro la punta delle sue scarpette bianche, stringendo gli occhi per cancellare il suo volto e non rendersi conto di quanto fosse bello da far male.
Cercò di ripetersi che quella separazione era un bene per entrambi, che col tempo sarebbero stati più felici. Ma più passavano le ore, più aveva voglia di piangere e uccidersi di gelato in attesa che lui andasse a salvarla e dirle che era bellissima senza in realtà aprire bocca, comunicandoglielo con gli occhi come solo lui sapeva fare.
- Levy? – la richiamò l’amica.
- Sì, Lu, d’accordo – concesse lei, sorridendole leggermente.
- Andiamo a finire allora, altrimenti Evergreen si mette a litigare con Erza su chi sia più idonea per sostituirti in cima alla torre umana.
Levy ridacchiò e tornò dalle compagne, obbligandosi a non voltarsi per scoprire che gli occhi cremisi che tanto amava la stavano fissando con disperazione.
 
- Novità? Ho visto che ti guardava durante la partita – esordì Gray in spogliatoio, piazzandosi nudo come mamma l’aveva fatto davanti a Gajeel, seduto sulla panchina.
Lui, appena alzò lo sguardo, fece una smorfia disgustata e lo spinse indietro, facendogli piazzare il sedere in faccia a Natsu, che si buttò per terra sputando.
- Chi guardava chi? – chiese Jet, infilandosi i pantaloni puliti. Poi si accigliò e lanciò un’occhiata a Droy, che lo raggiunse. – Tradisci Levy, Gajeel?
Il ragazzo li fulminò con lo sguardo e poi guardò in cagnesco Gray, lasciandogli intendere quanto fosse stato idiota a tirare fuori l’argomento davanti a tutti.
- Non può tradirla se non stanno insieme – spiegò Natsu, il genio della palestra e dintorni.
Gajeel si infilò la maglia e si alzò per infilarsi il giubbotto al volo, ma la mano di Elfman lo bloccò. – E’ da uomo scaricare.
- In realtà è stata lei a mollare lui, e lui si sta piangendo addosso da lunedì – rivelò Natsu, tutto contento.
Gray gli tirò un calcio sugli stinchi e i due iniziarono a lottare senza nemmeno bisogno di guardarsi.
- Oh – disse Elfman. – Be’, anche soffrire per amore è da uomini!
- Falla finita, Elfman – lo zittì Jet, sedendosi dove prima era Gajeel. – Che vuol dire che ti ha mollato? Non state più insieme? E da quando?
- Da domenica – sibilò lui, allacciandosi le scarpe e prendendo la borsa.
- E perché?! – sbottò Droy, sconvolto.
- Me lo chiedo da domenica – rispose Gajeel, mentre l’eco delle porte dello spogliatoio che sbattevano chiudeva il discorso.
 
- Lucy guarda in alto, allunga la trachea. Guarda su, Lu! Ecco, ora bevi. L’acqua, non la cioccolata!
Levy passò all’amica il bicchiere, spronandola a bere per calmare la tosse. Le era andata di traverso la cioccolata in modo così violento che era diventata paonazza.
- Tu… - tossì l’amica, bloccandosi per riprendere fiato e bere. – Tu cosa?!
Levy sospirò, piegando le ginocchia sul divano di camera di Lucy. La stanza della sua amica poteva quasi contenere il primo piano di casa sua. – Io ho rotto con Gajeel.
- Ma sei masochista?! Pazza? Crudele? Ti sei bevuta l’infinità di intelligentissimi neuroni che hai nel cervello, Levy?!
- No… - mormorò lei, poco convinta, imponendosi di non piangere. – No io… non lo so, sono tanto confusa – rivelò, fallendo nel tentativo di mostrarsi sicura.
- Oh, piccola, vieni qui – la invitò Lucy, aprendo le braccia e stringendosi l’amica al petto, soffocando i suoi singhiozzi. – Levy, ora lo chiami, gli dici che lo ami e che ti venga a prendere per passare la notte insieme, va bene?
La ragazza annuì, prendendo il cellulare che Lucy le passava. Sbloccò lo schermo e provò a digitare il numero di Gajeel, ma quando una lacrima inzuppò lo schermo lo buttò a terra come se avesse preso la scossa. – Non posso Lu, non posso. Aiutami a non cedere, ti prego.
L’amica la strinse e la cullò, cercando di farla calmare.
Quando Levy riuscì a respirare in modo regolare, dopo parecchi minuti, Lucy le passò la tazza di cioccolata ormai fredda, e le accarezzò i capelli, rischiando di farla piangere di nuovo al ricordo del modo dolce in cui lo faceva sempre Gajeel.
- Levy, che diavolo è successo?
Dopo un sorso di cioccolata, la ragazza sospirò e, preso il cellulare da terra, fissò il salvaschermo che non aveva ancora cambiato, in cui Gajeel dormiva placidamente e lei gli baciava la guancia, un selfie fatto una domenica mattina di qualche mese prima. Si soffiò il naso e sospirò ancora.
- Ho lasciato Gajeel – sussurrò.
- Okay. Perché?
Levy fissò ancora la foto sul cellulare, prima di riappoggiarsi al divano e strofinarsi gli occhi arrossati. – Praticamente…
 
Giovedì mattina Gajeel stava stringendo convulsamente la fascetta di Levy, una delle tante che la ragazza aveva scordato a casa sua. Il piano era di farle riavere le sue cose. Ne aveva tante a casa sua, tra libri e indumenti come calzini e fascette o cambi di pigiami e tute. Dal momento che si erano lasciati, non c’era più motivo di tenerli a casa. Quindi glieli avrebbe ridati.
Uno alla volta.
Uno al giorno.
Ogni oggetto ritornato era una possibilità di parlare con lei, dal momento che sembrava intenzionata ad evitarlo nonostante il suo “siamo comunque amici”.
- Ehi Levy – la bloccò quel giorno, sorprendendola alle spalle in compagnia di Lucy. Magari non le aveva ancora detto che non stavano più insieme, e se non voleva farglielo sapere doveva almeno dargli corda.
La ragazza si fermò e Lucy lo osservò preoccupata, con uno sguardo che non ammetteva dubbi: sapeva.
Gajeel aggrottò le sopracciglia e riportò gli occhi su Levy, strabuzzandoli. – Che hai fatto agli occhi? Stai bene?
Levy aveva due pallina da ping pong al posto delle palpebre, e le iridi erano più rosse che bianche.
Gajeel allungò la mano per posargliela sulla spalla, ma la vide irrigidirsi e desistette.
- Ti avevo detto che dovevo mettere gli occhiali – mormorò Levy a Lucy, grattandosi le palpebre gonfie.
- Ma stai bene? Che è successo? – chiese ancora Gajeel, non tollerando il silenzio come risposta.
- Ho dormito male, Gajeel, grazie per la tua sensibilità – rispose allora Levy, tagliente.
Il ragazzo strinse ancora di più la fascetta, dispiaciuto. Non era quello il modo in cui aveva pensato di iniziare la conversazione.
- Devi dirmi qualcosa? – lo incalzò Levy, incapace di guardarlo.
- Oh, hai dimenticato questa a casa mia e… be’, tieni – farfugliò, allungandole la fascetta arancione.
Levy la prese e poi la osservò con occhio critico. – Come mai è così stropicciata?
Gajeel si schiarì la voce e poi scosse le spalle. – Non so, forse durante il tragitto fino a qui si è un po’ accartocciata.
Levy la mise in borsa e poi lo guardò, impassibile. – Grazie. Ora vado a lezione.
Gajeel rimase immobile, osservandola mentre si allontanava. Si ricordò di Lucy solo quando la ragazza gli posò una mano sul braccio e gli sorrise tristemente. Prima di seguire Levy gli mimò il gesto di asciugarsi una lacrima, e Gajeel capì che in realtà la sua ex ragazza aveva passato la notte a piangere.
Il motivo non lo sapeva, ma l’accoglienza che gli aveva riservato non faceva presagire nulla di buono.
 
Venerdì mattina a Gajeel servì tutta la buona volontà di cui disponeva per mettere piede fuori casa e dirigersi al college, dove Levy lo avrebbe ignorato e i suoi amici lo avrebbero fissato con un rivoltante sguardo compassionevole, come si guarda un cucciolo ferito. E, oltretutto, proprio mentre tenevano in braccio le loro ragazze, con le quali probabilmente non perdevano occasione di imboscarsi nei bagni o in qualche aula vuota a scuola.
Che andassero al diavolo, gli facevano schifo tutti quanti.
Prima di uscire posò la testa sul freddo legno della porta d’entrata, vergognandosi di se stesso e di come la mancanza di Levy gli stesse già avvelenando l’anima, facendo tornare il suo cuore a quel buco oscuro che era stato ai tempi della sua infanzia e adolescenza.
Aprì la porta e poi si voltò verso il mobiletto d’entrata, che probabilmente era costato a sua madre un occhio della testa, con tutto quel cristallo antigraffio e legno pregiato.
Sopra esso c’erano due biglietti che Gajeel aveva ricevuto da sua mamma qualche settimana prima, e che offrivano un weekend tutto pagato in una spa di lusso, con tanto di suite residenziale e ristoranti prenotati. La sua amata genitrice gli inviava spesso contentini di quel tipo, come weekend pagati in qualche bella città, prenotazioni in ristoranti in cui un antipasto costava quanto la somma di sei diverse portate dei locali normali, terme, videogiochi o console nuove, tutto quello che Gajeel non le chiedeva e lei pensava che desiderasse. Di solito lui vendeva quei regali e versava il ricavato in un conto bancario che aveva aperto per potersene un giorno andare di casa, ma quella volta aveva deciso di usare i biglietti per fare una sorpresa a Levy.
Sabato, cioè l’indomani, sarebbe stato il loro nono mesiversario, e una bella nottata alla spa con la sua ragazza era quanto di meglio Gajeel potesse desiderare dalla vita.
Una smorfia di sarcastico dolore gli affiorò sulle labbra, e il ragazzo afferrò i biglietti prima di chiudersi la porta alle spalle, senza nemmeno salutare Lily.
 
- Ehi Levy!
La ragazza strinse gli occhi quando sentì la voce di Gajeel chiamarla forte nel corridoio e i suoi passi avvicinarsi in fretta. Troppo in fretta. Stava sicuramente correndo.
Levy accelerò il passo e puntò il bagno femminile, stringendosi i libri al petto in modo che Gajeel non potesse prenderla per le braccia per indurla a fermarsi. Non si sarebbe azzardato a tirarla per la gonna per bloccarla, nemmeno se fosse stato il suo ragazzo.
Stava per allungare la mano verso la porta del bagno, quando si scontrò contro qualcosa di solido eppure a suo modo morbido.
- Ahi… - mormorò, massaggiandosi la fronte.
- Scusa – farfugliò una voce a lei fin troppo familiare, così tanto da riconoscere una punta di divertimento nel suo tono fintamente pentito. – Buong… ehm… ciao, Levy – aggiunse poi, imbarazzato.
Levy non alzò lo sguardo, ma sapeva che si stava grattando la testa.
- Ciao. Dovrei andare in bagno.
Lui sbuffò una risata poco convinta, non intenzionato a lasciarla passare. – Dovrei parlarti.
- Io no, Gajeel. Posso andare bagno o devo farmi la pipì addosso?
- Mh-mh – confermò lui, appoggiandosi al muro con la spalla.
Levy gli lanciò un’occhiataccia e fece per aggirarlo, ma lui allungò un braccio e le sbarrò l’accesso. – Va bene, non parliamo. E comunque per fortuna vedermi ti fa scappare solo la pipì e non direttamente la cacc…
- Gajeel! – lo bloccò lei, con disappunto.
- Sì, sì – concesse lui, sapendo di farla infuriare. Sorrise leggermente al pensiero di quando diceva cose “poco fini” e signorili, facendole mettere il broncio, solo per il gusto di baciare quelle guance gonfie e prenderla in braccio, spupazzandola come se fosse un pulcino o un coniglietto.
Dio quanto l’amava…
- Siccome devo andare in bagno, ma se prima non mi parli a quanto pare non posso passare, dimmi – lo spronò lei, guardando accigliata la sua espressione confusa.
- Cosa?
- Gajeel mi stai facendo perdere tempo, cosa devi dirmi?
- Ah già. Tieni – esordì, mettendole davanti agli occhi i due biglietti per la spa di lusso che distava un’ora da lì.
Lei li prese con un po’ di titubanza, sperando di cuore che non le chiedesse di andare da qualche parte con lui. – Cosa sono?
- Biglietti per la spa che hanno appena aperto. È tutto pagato, massaggi di ogni tipo, bagni, la suite e i ristoranti.
Levy ritirò la mano come se i biglietti avessero preso fuoco all’improvviso. – Wow – mormorò, poco convinta.
- Prendili – la incitò lui.
Lei abbandonò ogni tipo di astio e lo fissò con quegli occhi limpidi dentro cui Gajeel aveva visto, fino a poco tempo prima, il proprio futuro. Non lo vedeva più, in quel momento.
- Perché?
- Perché te li sto regalando.
- Perché? – chiese ancora lei, con la voce sempre più flebile.
- Perché sono tuoi comunque. Te li… li avrei usati domani, come regalo d’anniversario. Ti avrei portata alla spa fino a domenica sera, ci saremmo rilassati e divertiti. Un bell’anniversario.
Levy sentì le viscere attorcigliarsi in una morsa dolorosa, e arretrò di un passo scuotendo la testa. – No, Gajeel. Non posso accettarli.
- Invece devi. Li accetterai o li butterò via. E tu sai quanto valgono. Vuoi farmi gettare all’aria tutti questi soldi?
Levy scosse ancora la testa, sentendolo avvicinarsi ancora a lei. Gajeel le incastrò i biglietti in un libro, ma lei scosse ancora la testa. – Sono tuoi, usali tu e vai a goderti il weekend con qualcuno.
Gajeel rise, una risata triste e amara. – Con qualcuno, certo. E con chi?
Lei non rispose e distolse lo sguardo dai suoi occhi indagatori e terribilmente eloquenti. Con chi altri poteva andare, se non con lei, l’unica persona che amava al mondo?
- Almeno tu puoi andarci con Lucy – fece notare poco dopo, allungando una mano senza rendersene conto, per accarezzarle la guancia.
Levy si irrigidì e strinse gli occhi, pregando che non la toccasse e al contempo sperando con tutta l’anima, il sangue, il fiato e i nervi che aveva in corpo che la sfiorasse, che le facesse sentire il contatto tra le loro pelli.
Ma il momento passò e quando Levy aprì gli occhi lo vide allontanarsi, dandole la schiena.
- Gajeel! – lo chiamò.
Lui alzò la mano in segno di saluto, senza voltarsi. – Divertiti con Lucy. E vai a fare la pipì.
Levy osservò le sue spalle larghe e forti, che tante volte l’avevano sostenuta, finché scomparvero nella sua aula, in fondo al corridoio. Sentì la mano e la voce di Lucy accompagnarla in bagno, dove l’amica la seppellì nel suo abbraccio, cullandola.
Levy sperò che il corpo di Lucy si trasformasse in quello confortevole e sicuro di Gajeel, e che l’indomani fosse proprio il ragazzo il suo accompagnatore.
Anzi, il suo ex ragazzo, dovette ricordare a se stessa.
 
I giorni che precedevano le vacanze di Natale trascorsero lenti e grigi, uniformi e immutabili per Gajeel.
L’unica cosa che lo spronava ad alzarsi dal letto, la mattina, era Levy. Era la speranza che lei gli aveva insegnato a non perdere mai, nemmeno nelle situazioni disperate.
Da ormai una settimana Gajeel la bloccava nel corridoio per restituirle qualcosa di suo, oggetti che aveva dimenticato a casa del ragazzo: una collana, una molletta, un libro. Ogni volta le ridava qualcosa usando quella scusa per poter parlare con lei, anche se negli ultimi due giorni gli aveva a malapena rivolto la parola.
E ogni giorno si svegliava con l’angoscia di ciò che avrebbe fatto una volta che avesse finito gli oggetti da renderle.
Sentiva bruciare un pezzo di cuore, sempre, quando Levy prendeva con distacco ciò che lui le offriva, declinando con muta decisione la sua supplica di tornare da lei.
La mancanza del suo profumo e del contatto con la sua pelle, le sue labbra, il suo collo e il suo calore in generale lo stava mandando in una crisi d’astinenza che si traduceva in situazioni imbarazzanti per entrambi e per i loro stessi amici, come quando Gajeel aveva preso due fette della sua torta preferita in mensa e, all’arrivo di Levy, aveva provato ad imboccarla facendola diventare paonazza, o quando, una mattina in cui era particolarmente assonnato, l’aveva abbracciato da dietro in mezzo al corridoio, schiacciando il suo petto contro la sua schiena e chinandosi per baciarle il collo. Levy si era irrigidita e gli aveva tirato un calcio sul polpaccio, allontanandosi in fretta di fronte alle espressioni contrite di Erza, Juvia e Mirajane.
Il non stare più con lei lo stava letteralmente uccidendo dentro, e ogni tanto si sentiva un vecchio malato d’Alzheimer che dimenticava di essere di nuovo single, di nuovo senza Levy.
Per chi non lo conosceva era facile dire che Gajeel fosse taciturno e cupo, lo era sempre stato, solitario e brusco, perennemente accigliato. Ma i suoi amici non sapevano più cosa fare per tenerlo su col morale, e non si facevano abbindolare dall’atteggiamento distaccato del ragazzo: quella che tutti confondevano per silenziosa tetraggine era in realtà un pozzo di oscura depressione da cui tutti sapevano che sarebbe riemerso solo con un metodo.
O con una persona.
Levy.
L’unica medicina che non poteva più avere.
 
Dal canto suo, la ragazza non se la passava molto meglio e, anzi, sembrava che invece di essere scaricatrice, fosse proprio lei la scaricata.
Come Gajeel, non usciva più con gli amici, si chiudeva in casa ogni pomeriggio per “studiare”, e solo Lucy riusciva ad entrare nella fortezza che era diventata la sua camera. L’amica non aveva più metodi per farla ragionare, un pomeriggio sì e uno no andava da lei e la trovava a letto in lacrime, con Wendy che non sapeva più come confortarla e diventava sempre più triste di fronte alla disperazione della sorella.
Lucy aveva iniziato con il cullarla e coccolarla, all’inizio, ma aveva cominciato a diventare più dura quando aveva scoperto che la media ineccepibile di Levy aveva subito una lenta ma inesorabile variazione in negativo e la ragazza non studiava quasi più, stava semplicemente a letto ad autocommiserarsi.
Aveva quindi finito con il farle discorsi sempre più seri che Levy sembrava capire eppure accantonare, era diventata più tagliente nei commenti e più volte l’aveva fatta piangere con la speranza che tornasse in sé e ponesse fine a quel teatrino delirante che aveva messo su poche settimane prima. Alla fine, stanca di usare le buone, un pomeriggio si era infuriata e le aveva urlato contro insulti rivolti alla sua scarsa intelligenza, al suo masochismo e alla sua incapacità di vivere. Levy l’aveva guardata senza battere ciglio, con gli occhi ormai asciutti e rossi per il precedente pianto, e senza una parola aveva abbracciato l’amica e le aveva chiesto scusa decine di volte.
- Non è con me che devi scusarti, Levy – le aveva fatto notare Lucy, ancora arrabbiata, stringendola a sé, sperando che fosse la volta buona che rinsavisse. – E lo sai bene, invece, con chi dovresti scusarti.
Levy aveva scosso la testa sul petto di Lucy. – No, smettila, sai che non posso.
Lucy aveva sbuffato e, afferratala per le spalle, l’aveva scossa cercando di far fare contatto ai neuroni addormentati che bazzicavano nel cervello dell’amica. – Sai come la penso. Se Gajeel sapesse che l’hai scaricato per un motivo inesistente come questo… be’, se io fossi al posto suo ti riempirei di botte. Peccato che Gajeel non lo farebbe mai.
- Non lo merito – aveva farfugliato Levy, con gli occhi chiusi. – Senza di me starà meglio.
Lucy l’aveva scossa di nuovo, attirandosi un’occhiata vitrea e apatica dall’amica. – Non starà meglio, Levy! Ma hai visto com’è ridotto? Natsu e Gray lo hanno portato a mangiare sushi fin quasi a farlo vomitare per fargli recuperare i chili che tu gli hai fatto perdere in questi ultimi giorni!
Levy si era dimostrata attenta all’improvviso, senza nascondere l’interesse che provava nei confronti di tutto ciò che riguardava Gajeel. – Ha perso peso? – aveva chiesto, la voce di nuovo rotta.
- Sì, Levy, ha perso peso perché non sa come fare senza di te. E per te vale lo stesso, razza di scema! Quindi ora sali in macchina e ti porto da lui, passate una notte di quelle di cui dovrebbero vietare la visione ai minori di trent’anni e non dormite fino a domani mattina. Poi marinate scuola, non vi presentate in classe, tanto è quasi natale e non abbiamo verifiche, e parlate. In più domani è l’ultimo giorno, dopo ci sono le vacanze.  Chiarite, anzi, chiarisci, ti scusi, ti fai perdonare e poi venite a scuola allegri e felici ridando una botta di vita al gruppo, che sembriamo tutti diventati vecchi poveracci depressi per colpa vostra.
Levy aveva sorriso all’idea, specialmente a quella di passare una notte di fuoco con lui. Quello di non esserglisi mai concessa completamente era il suo più grande rimpianto, e l’idea di non poter ricordare, a distanza di anni, di essere stata sua per la prima volta la lacerava dentro e la faceva sentire più infelice di quando pensava al fatto che non poteva più averlo accanto a sé.
Alla fine aveva scosso la testa negativamente.
- Bene – aveva sibilato Lucy, mollandola e prendendo la sua borsa. – Ci penso io allora!
Pochi minuti dopo, Lucy stava suonando il campanello della villa di Gajeel.
 
Gajeel era semisdraiato sul divano di casa sua, con Lily acciambellato sul suo petto e un piatto gigantesco di pasta ormai fredda posato sul tavolino di fianco a lui.
Non aveva fame, ma i ragazzi del gruppo lo avevano minacciato di andare a casa sua e ficcargli in gola la pizza frullata mediante l’ausilio di un imbuto se lui non avesse inviato a tutti la foto della sua cena. Una cena che fosse abbondante e possibilmente calorica.
Sbuffando, aveva cucinato con scarso impegno ed entusiasmo, per poi rendersi conto che l’aspetto della sua creazione culinaria non lo invogliava tanto quanto l’odore che aveva prodotto cucinandolo.
Stava accarezzando il suo gatto sul musetto, mentre lui si godeva quelle coccole insolite e rare del suo padrone, quando il campanello trillò.
Gajeel lo ignorò, come aveva fatto quel lunedì sera di due settimane prima, quando alla fine era corso ad aprire pensando che fosse Levy che si presentava da lui per dirgli che la loro rottura era in realtà uno scherzo di cattivo gusto. Al secondo suono, disilluso, Gajeel si alzò sbuffando e aprì il cancello di casa con il gatto in braccio.
Una volta spalancata la porta l’accolse il freddo pungente dell’inverno, che annunciava un bianco natale in arrivo e gli avrebbe fatto venire voglia di cioccolata calda, un bel fuoco e una coperta con lui e Levy seppelliti dentro… se solo avesse avuto ancora voglia di festeggiare…
Una figura imbacuccata in un piumino corto rosso avanzava mormorando “freddo freddo freddo” come un mantra, e Gajeel riuscì a capire chi era solo grazie alla generosa dose di profumo che la sua “amica” si spruzzava sempre addosso e regolarmente assumeva come se fosse una droga di qualche tipo.
- Che ci fai qui? Ehi, togliti le scarpe – l’accolse gentilmente quando Lucy si fiondò in casa e fece per dirigersi dentro il caminetto acceso del soggiorno.
- Oh scusa – mormorò, battendo i denti. – Muoviti a chiudere la porta, però! – lo sgridò poi.
- Sì capo – bofonchiò lui in risposta. Sperava tanto che Lucy non stesse diventando come Natsu, che si imbucava senza permesso a casa della gente e annunciava la sua presenza solo quando i padroni di casa iniziavano a fare qualcosa di sconveniente.
- Gajeel hai acceso il riscaldamento? Si gela qui dentro, morirai ibernato! – esclamò Lucy, andando a palpare il freddo termosifone del soggiorno, al quale era appesa una parrucca rossa riccia che era rimasta lì da uno dei loro vecchi festini idioti.
- Non l’ho acceso perché non ci sono mai in casa, e quando ci sono mi basta accendere il camino per avere caldo.
- Lo vedo – insinuò Lucy, indicando la sua canottiera e i suoi piedi nudi. – Vestiti che mi fai venire ancora più freddo.
Sbuffando, Gajeel accese il riscaldamento dal computerino domotizzato che sua mamma aveva fatto installare tre mesi prima, quando tornando a casa aveva prima di tutto notato che quella casa era obsoleta e solo poi salutato suo figlio con un bacio aereo e gli occhi puntanti sullo smartphone.
- Ora sei contenta? Vuoi che cambi anche l’arredamento o quello è di tuo gusto? – la stuzzicò lui, lasciandosi cadere sul divano e posando Lily per terra.
Lucy lo riacciuffò prima che scappasse e se lo strinse al petto, dopo aver deposto la giacca in entrata, seppellendo il gatto nell’incavo del suo seno. – Caldo caldo caldo caldo… - mormorò, in estasi, ignorando Gajeel.
Il ragazzo le fregò il gatto una volta che lei si fu seduta accanto a lui. – Così me lo soffochi, Lucy. E togliti quella parrucca che sei ridicola.
- Sei più simpatico del solito, Gajeel – fece notare lei, sedendosi a gambe incrociate e fissandolo con attenzione. – E la parrucca la tengo perché ho freddo anche alla testa e almeno questa massa di orribili riccioli sintetici possono fungermi da cappello.
- Se lo dici tu… - concesse lui, lasciandosi andare contro lo schienale in una posa scomposta.
Lucy si guardò intorno, notando come sempre quanto fosse impeccabile l’ordine che regnava in quella casa abitata solo da un ragazzo ventenne che, tecnicamente, doveva essere ancora in preda al dominio degli ormoni su ogni altra funzione vitale. – Mi offriresti uno di quei dolci tanto buoni che facevi sempre per Levy?
Gajeel alzò appena lo sguardo, scuotendo la testa: - Non cucino più dolci da quando… be’, da quando Levy non li mangia più.
- Oh – esalò Lucy, più dispiaciuta per la mancanza di alimenti favorevoli allo sviluppo precoce del diabete che per l’insinuazione di Gajeel. – Potresti portargliele a scuola, però. Levy ama le tue torte.
- Ci ho provato – mugugnò lui, restio a parlare. – Non è andata molto bene.
Lucy scrutò Gajeel apertamente, senza imbarazzo. Se anche lui l’avesse colta nel bel mezzo di quello spudorato studio, non le sarebbe importato: era per Levy che lo faceva. E anche per lui.
La prima cosa che notò furono i cerchi nerastri attorno agli occhi di Gajeel, dentro cui le fiamme delle sue iridi languivano fiaccamente. I suoi occhi avevano sempre incusso timore per il loro colore intenso che a Levy piaceva definire passionale, ma in quel momento non avevano nulla da invidiare alla cenere rossa che esala i suoi ultimi respiri prima di diventare un semplice e freddo grigiore di morte. Non aveva delle occhiaie di simile portata da quando aveva perso il sonno nel tentativo di farsi perdonare e accettare dal loro gruppo. Da quando non dormiva più per colpa del rimorso per ciò che aveva fatto a Levy.
Subito dopo notò il modo in cui il fisico gli si fosse asciugato. Natsu aveva accennato al fatto che avesse perso qualche chilo, e i suoi muscoli gonfi e perennemente tesi sembravano leggermente più umani alla luce di quella perdita di massa. Se avesse continuato a perderla, però, la cosa non sarebbe andata granché bene, e il ragazzo più muscolo dopo Laxus ed Elfman avrebbe perso il suo posto sul podio, soppiantato probabilmente da Gray o Natsu.
- Gajeel, devi fare qualcosa, non va mica bene così – gli disse Lucy dopo alcuni istanti, fissandolo negli occhi e notando l’enorme stanchezza che vi era imprigionata dentro.
Lui sbuffò una risata amara mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso sarcastico. – Tu dici? Io mi sento in ottima forma, non sono mai stato meglio – si schermì, riportando lo sguardo sulle fiamme che ardevano, implorandole di bruciare anche il suo cuore inutile.
- Devi trovare una soluzione – lo ignorò Lucy, voltando il busto verso di lui.
Questa volta, Gajeel ringhiò e le lanciò un’occhiata che bruciava più del fuoco nel camino. – Io una soluzione ce l’ho, coniglietta, ma non è praticabile per colpa della tua amichetta del cuore, che mi ha gettato in questo schifo di situazione – sbottò, avvicinandosi a Lucy senza però indurla ad arretrare.
Alla fine si trovò ad ansimare a pochi centimetri dal suo viso, a fissare quegli occhi leggermente più scuri di quelli che amava, che in quel momento gli trasmettevano solo compassione.
- Lei sta male quanto te, Gajeel – rivelò Lucy, prendendolo per il mento affinché non si allontanasse e non abbassasse gli occhi.
- Come può star male quanto me se ha voluto lasciarmi lei?! – sbraitò, battendo un pugno sulla testiera del divano, sottraendosi alla presa di Lucy.
- Ti ha lasciato perché pensa sia la cosa migliore per te. Lei pensa che tu… ma almeno sai perché ti ha mollato?
- No! Non so un accidenti di nulla perché lei non mi ha mai voluto dire nulla – urlò ancora, evitando di guardare Lucy affinché non vedesse le lacrime che gli erano affiorate agli angoli degli occhi. – Mi evita, non mi guarda nemmeno, non so come fare ad andare avanti senza di lei e non so cosa fare per riprendermela. Lei non vuole tornare ad essere mia, e non gliene faccio una colpa, ma io non posso farmene una ragione – aggiunse poi, pacatamente, con la voce strozzata.
- Probabilmente la vorrai uccidere quando ti dirò il motivo per cui ha rotto con te… - mugugnò Lucy, imbarazzata.
Gajeel sollevò di scatto la testa e batté le palpebre diverse volte, confuso, facendo colare sulle sue guance ruvide le lacrime che fino a quel momento aveva cercato mascolinamente di trattenere. – Tu lo sai? Sai perché mi ha lasciato? – chiese, afferrando Lucy per le spalle e scuotendola leggermente, in un modo che fece ricordare alla ragazza i metodi che lei stessa aveva usato per far rinsavire Levy.
- S-sì, lo so. All’incirca. È una cosa un po’ complicata, Gajeel, non sono sicura di aver capito bene, ma è una gran boiata e sono giorni che cerco di dire a Levy di smetterla con questa stupidata e tornare da te, per smettere di far soffrire te e prima di tutto lei.
Gajeel la guardò con le sopracciglia aggrottate. – Lei sta soffrendo?
Lucy scossa la testa, esasperata. – Penso sia ridotta peggio di te. Almeno tu non ti sei disidratato a furia di piangere – commentò ridendo, con finta allegrezza.
Le sue parole caddero nel vuoto e lo sguardo vitreo di Gajeel le fece intuire che il suo cervello fosse ancora in coma. – Gajeel, hai un po’ di Vodka? Ne ho bisogno tanto io per spiegarti la situazione quanto tu per svegliarti e capirmi.
Il ragazzo si riscosse e abbassò lo sguardo, imbarazzato. – Ho finito tutti gli alcolici ieri sera, non ho nemmeno una birra in frigo. E mi sono vietato di andare a fare rifornimento. Non so se capisci cosa intendo...
Lucy lo guardò, colpita, e commentò: - Te lo concedo, forse sei messo peggio di lei. Oppure no. Cioè, avete perso più o meno gli stessi chili e lei trascorre le giornate a letto a piangere mentre tu…
- Io le passo a fissare il camino, indifferentemente che sia spento o acceso. E fino a ieri mi faceva compagnia una bella visione doppia causata dall’alcol e una serie di discorsi deliranti che hanno tenuto lontano da me persino Lily. Davvero mi vuoi aiutare? – chiese, speranzoso, ricominciando a lacrimare.
Lucy sospirò. – Vi voglio aiutare, Gajeel. Tutti e due. Perché Levy sta rovinando la vita di entrambi e per un motivo inutile e veramente stupido e…ehi!
Lucy alzò le braccia al cielo nel momento in cui Gajeel, singhiozzante, le seppellì il viso nel petto e cominciò a piangere in maniera non diversa da quella di Levy. Quando il ragazzo l’abbracciò mormorando un sentito ringraziamento, Lucy sorrise e abbracciò a sua volta quel ragazzo che le aveva sempre incusso un po’ di timore, ma aveva dimostrato di saper amare la sua migliore amica più della sua stessa vita, ed era la prova vivente che chiunque, con le persone giuste, può diventare una persona meravigliosa.
- Mi sa che gli alcolici non li hai finiti tutti ieri, eh Gajeel? – sussurrò scherzosamente Lucy, accarezzandogli i capelli.
- Mi era avanzata un po’ di Vodka – ammise lui, facendola ridacchiare. – Ma davvero poca – concluse, scosso da un nuovo eccesso di singhiozzi.
Rimasero così per diversi minuti, finché Gajeel si fu calmato e Lucy fu pronta a rivelargli il motivo della sua sofferenza.
 
Intanto, a pochi passi dalla casa del ragazzo, la situazione stava per complicarsi ulteriormente.
- Gli lascio le chiavi e me ne vado. Ma suono o no? Entro in casa direttamente? Magari, se apro io senza bussare, lo trovo che gira nudo per casa e poi… da cosa nasce cosa, no? – mugugnò Levy, percorrendo i pochi metri che la separavano dalla dimora del suo ex con le chiavi di casa sua in mano, pronta a restituirgliele per porre definitivamente fine alla loro storia.
- No, pessima idea, cosa sto dicendo?! – sbottò a mezza voce, indignata con se stessa, bloccandosi in mezzo al marciapiede. Riusciva a vedere il cancello di casa di Gajeel, ma l’alta e imponente siepe le bloccava la vista della villa e la rendeva invisibile dall’interno. – Io l’ho lasciato e non posso saltargli addosso, costringerlo a fare l’amore con me e poi andarmene dicendogli che comunque è finita. Non posso fargli questo…
Finito di borbottare, riprese a camminare, e si fermò solo ad un passo dal cancello. – E quindi? – si domandò ancora, sbirciando l’interno del giardino. – Suono? No, non suono. Il cancello lo apro. E la porta? E se davvero lui sta girando nudo per casa? Quando stavamo insieme girava in mutande senza problemi, quindi… magari fa freddo per girare nudi. Okay dai, sono sicura che non stia girando nudo, fa troppo freddo anche per lui che è una stufa umana. E se mi proponesse di cenare con lui? O di fare qualunque altra cosa? Io…
Levy batté un piede per terra, indignata. – No, basta. Gli dico di no, mi mostro menefreghista come sono sempre a scuola, gli lascio le chiavi e me ne vado. Non mi interessa se i motivi per cui l’ho lasciato sono stupidi, non lo sono per me. Punto.
Detto ciò, aprì il cancello e percorse il lungo vialetto impostando la sua facciata impassibile migliore, sperando che i suoi occhi, anche se gonfi, non fossero più rossi.
Aveva messo il piede sul primo scalino del portico quando sgranò gli occhi e tornò sui suoi passi.
Le chiavi le caddero di mano prima ancora di realizzare ciò che i suoi organi visivi stavano osservando: seduti sul divano del soggiorno, visibili dall’enorme finestra che dava sul giardino e aveva la tenda leggermente tirata, Gajeel e una tipa rossa con i capelli ricci si stavano… divertendo. Lui aveva la testa seppellita nelle sue tette enormi, la testa che ondeggiava al ritmo delle spalle, mentre il viso di quella prostituta era coperto dai capelli del ragazzo e lei gli mormorava robe sconce che probabilmente lo avrebbero portato presto a perdere il controllo. Si stavano abbracciando possessivamente e Levy scappò via per evitare che altri frammenti di quella fugace visione le si scolpissero nel cervello.
Sbatté il cancello alle sue spalle, fregandosene del rumore, e corse verso casa finché sentì bruciare i polmoni. Lucy le aveva detto che Gajeel soffriva da morire.
Ovviamente! Soffriva, certo, all’idea di dover stare con una tipa con le tette piccole come le sue, altroché! Gli aveva fatto un favore a lasciarlo, e lei glielo aveva anche detto che sarebbe stato meglio per entrambi.
- Bene, ora è il mio turno di ripartire da zero, Gajeel. Se puoi farlo tu perché non posso farlo io?
Si addormentò con il cuore che bruciava di odio e la certezza che la più piccola traccia di amicizia tra loro fosse scomparsa.
Al suo risveglio, però, si sentì più triste del solito. E non per il tradimento, che oltretutto non era un tradimento dato che Gajeel era libero.
Era depressa perché sapeva che lui non avrebbe mai fatto una cosa simile, specialmente a lei.
La certezza di non sapere tutta la verità la fece riflettere su quanto Gajeel dovesse essere stato male in quei giorni in cui lei gli aveva negato l’unica cosa che non poteva dargli: una motivazione coerente per la fine della loro relazione.
 
Quel venerdì mattina l’eccitazione degli studenti di fronte all’imminente chiusura della scuola per le vacanze era palpabile, ma Levy si sentiva catapultata in un incubo. Aveva evitato tutte le sue amiche e i suoi amici dal momento in cui aveva messo piede nell’edificio, ripromettendosi di comportarsi normalmente e non fare scenate. Ogni chioma rossa che i suoi occhi captavano, però, le appariva sospetta, e quando aveva afferrato Gray per il colletto della camicia, chiedendogli quante amiche con i capelli rossi Gajeel avesse, si era sentita una pazza che doveva solo vergognarsi.
Stupito, Gray aveva fatto il nome di Erza, e lo stesso aveva risposto Natsu quando lo aveva incrociato vicino al suo armadietto e non era stata in grado di trattenersi, attaccando anche lui al muro.
Aveva appena aperto l’agenda presa dal suo armadietto, cercando di far mente locale sulle materie da portare quella mattina, quando sentì un colpo metallico risuonare alla sua destra e una presenza massiccia alle sue spalle.
Si voltò repentinamente trattenendo il respiro, e incrociò gli occhi fiammeggianti di Gajeel.
A dispetto della sua ferita interiore, che bruciava come il fuoco presente negli occhi del ragazzo, Levy desiderò solo avvinghiarsi a lui e baciarlo fino a perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Invece lo guardò con rabbia e disgusto, stringendosi a se stessa e spingendosi contro gli armadietti alle sue spalle per evitare di toccarlo.
- Che vuoi? – chiese acidamente.
- Voglio che sia tu che io ci spieghiamo – rispose laconicamente lui, determinato come non l’aveva mai visto. In quegli ultimi giorno aveva visto crescere nei suoi occhi una lenta e inesorabile rassegnazione, ma lo sguardo con cui la stava inchiodando in quel momento era identico a quello che le rivolgeva nei momenti in cui la baciava e la stringeva a sé.
Era uno sguardo vivo.
Era lo sguardo che la faceva sciogliere.
- Non ho bisogno di spiegazioni e non ho voglia di dartene – sibilò, provando a girarsi per prendere i libri e andarsene.
- Levy, ascolta, per piacere – la supplicò una voce familiare.
La ragazza si voltò, perplessa, fino ad incrociare il volto di Lucy, nascosta dietro Gajeel.
Il ragazzo tolse il braccio con cui stava intrappolando Levy solo per permettere a Lucy di avvicinarsi a lei.
- Credo che tu abbia frainteso una cosa. Credo. A dire il vero non lo credo, ma Gajeel ne è sicuro e…
- Di che parli, Lucy? – la bloccò Levy, spaesata.
Lucy sospirò. – Dove sei stata ieri sera, dopo che me ne sono andata?
Levy corrugò la fronte e si mise sulla difensiva. – A casa mia.
- Ah-ah – acconsentì Gajeel, poco convinto, mostrandole il mazzo di chiavi di casa sua che aveva concesso a lei molti mesi prima, affinché si sentisse libera di andare da lui quando voleva.
Levy arrossì ed evitò di guardarlo.
- Sei andata da Gajeel, vero? – la incalzò Lucy.
Lei scosse le spalle, imbarazzata.
- E te ne sei andata sbattendo il cancello – concluse lui per Lucy, secco. – Perché?
- Perché non avevo voglia di vederti – sputò lei, trafiggendolo con gli occhi.
Lui rise senza allegria. – Risposta sbagliata.
- Te ne sei andata, anzi, sei fuggita, lasciando cadere le chiavi, perché hai visto Gajeel in compagnia di una ragazza. Giusto?
- Ma cosa volete da me? Io sono andata a restituire le chiavi a Gajeel e me ne sono tornata a casa, tutto qui. Se anche lui fosse stato in compagnia di tre ragazze, non vedo perché la cosa avrebbe dovuto interessarmi. Non stiamo mica insieme! – esclamò lei, sebbene i suoi occhi tradissero una convinzione scarsa quanto la sua altezza.
Gajeel ridacchiò. – Lev, rispondi solo sì o no. Mi hai visto con una tipa rossa?
Levy si fissò le scarpe, lì dove aleggiava il livello della sua determinazione. – Sì – mormorò fiaccamente.
Gajeel ridacchiò ancora, ma fu Lucy a parlare. – E cosa stavano facendo Gajeel e la ragazza?
Levy lo fissò con delusione, facendolo ghignare, e lo vide leccarsi le labbra con intento. Lei rispose con una smorfia orripilata.
- Li hai visti darci dentro, non è vero? Magari si stavano abbracciando passionalmente e lui aveva il viso sepolto nelle su…
- Basta, Lucy! Sì, li ho visti, lo ammetto! E allora? Lui può portarsi a letto tre ragazze diverse, non stiamo insieme e non mi interessa.
- Grazie per la considerazione – bofonchiò Gajeel, leggermente offeso per quelle insinuazioni.
- Levy – la chiamò Lucy, mostrandole la parrucca rossa e riccia che aveva indossato a casa del ragazzo. – Ero io quella ragazza. E vuoi sapere cosa stavamo facendo?
La ragazza spalancò gli occhi e fissò a turno il seno della sua migliore amica e l’espressione seria del suo ex, non capendo più nulla.
- Lo stavo consolando, Levy – rivelò alla fine Lucy. – Gajeel stava piangendo come un bambino e mi ha abbracciata nel momento in cui gli ho detto che sapevo come poteva tornare con te, visto che conoscevo il motivo per il quale tu lo avevi scaricato.
L’amica la osservò senza aprire bocca, giocando nervosamente con l’orlo della gonna. Non si azzardava a guardare Gajeel nemmeno per un secondo. – Mh – disse alla fine, impassibile.
- Grazie per avermi dato del magnaccia, comunque – aggiunse Gajeel, leggermente offeso. – Potrei arrabbiarmi parecchio per la scarsa considerazione che hai nei miei confronti e nei confronti del mio am… dei miei sentim… insomma, di quello che provo per te, ma non ora. Magari in un secondo momento. Adesso mi preme di più parlare del brillante motivo che il tuo cervello ha elaborato per mollarmi.
- Allora vi lascio soli – avvisò Lucy, ridando la parrucca a Gajeel e attirando l’attenzione dell’amica. – Quando vorrai ringraziarmi, Levy, sarò ben disposta a uscire a mangiare sushi con te. E… un minimo di scuse a Gajeel, il tuo ragazzo, ci vorrebbero. A dopo!
Levy osservò la ragazza allontanarsi nel corridoio sorridendo, fermandosi accanto a Natsu per lasciargli un timido bacio sulla guancia prima di raggiungere le amiche.
Gajeel aspettò senza fretta che lo sguardo di Levy si perdesse, incapace di trovare altri dettagli su cui soffermarsi nel tentativo di non voltarsi verso di lui, e poi le prese il mento tra le dita, delicatamente, riportando i suoi occhi meravigliosi su di sé.
Li vide riempirsi inesorabilmente di lacrime, annegando piano, e allora si chinò per baciarla dolcemente e lentamente, sorridendo quando la vinse e Levy rispose al bacio sforzandosi di non espandersi troppo, intrecciando le mani tra di loro affinché non attirassero Gajeel a sé.
Quasi le sfuggì un gemito contrariato quando lui si allontanò di poco, liberando le sue labbra.
Levy osservò incantata le sue palpebre chiuse, mentre lui si gustava gli strascichi di quel bacio che gli sembrava ancora più meraviglioso dopo quasi tre settimane di astinenza. Alla fine aprì gli occhi e Levy sentì cederle le ginocchia di fronte a quel rosso liquido che lei sembrava aver sciolto con il suo calore.
- Scusami – si sentì mormorare, lontana dal suo corpo. – Non volevo insinuare che tu… cioè che quello che provi sia… superficiale, ecco.
Lui le scansionò l’anima con gli occhi, ma non sorrise, e la sua espressione severa la fece pentire ancora una volta di non esserglisi mai concessa. Si era resa conto, in quei giorni lontana da lui, che era la cosa che più al mondo desiderava.
- Innanzitutto ti restituisco queste, che sono tue, non mi interessa come vadano le cose – le disse, mettendole in mano le chiavi di casa sua. – Davvero pensavi che mi stessi trastullando con un’altra? – le chiese a bruciapelo, obbligandola a non interrompere il contatto visivo con lui.
Levy sospirò e non si ritrasse quando lui le sfiorò dolcemente una guancia, accarezzandole le labbra con il pollice. In quel momento si rese conto che no, non aveva mai dubitato di lui, e il suo cuore aveva lottato dalla notte precedente per non cedere all’inevitabile conclusione che il cervello le voleva propinare.
- No – rispose quindi, sicura, facendo sorridere un poco Gajeel. – Non ci ho mai creduto, mi sono rifiutata di farlo, ma non sapevo che spiegazione dare a ciò che avevo visto. E tu come hai fatto a capire che vi avevo visti?
- Ho sentito sbattere il cancello. Sapevo che solo tu avevi le chiavi e, quando mi sono scostato da Lucy e le ho detto che forse eri tu, lei mi ha raccontato che era appena stata da te. Sono corso fuori e ho visto delle impronte nella neve, che prima non c’erano, che si fermavano a poca distanza dalla finestra del soggiorno, e poi ho visto le tue chiavi per terra. Sono corso in strada ma tu non c’eri già più. Lucy si è tolta la parrucca e si è resa conto che avresti frainteso tutto.
Levy annuì fiaccamente, distogliendo lo sguardo. – Questo non cambia le cose, comunque. Tu sei libero di fare ciò che vuoi, Gajeel, io…
Il ragazzo la baciò di nuovo, facendole scordare la morbidezza di poco prima. Si accanì sulle sue labbra in un modo che la fece bruciare dentro, chiedendole perentoriamente un accesso alla sua bocca che lei gli concesse senza remore, prendendolo per il colletto della camicia e attirandolo ancora di più a sé, sentendolo sbattere con la mano contro l’armadietto accanto a lei.
- Faccio tardi a lezione – sussurrò alcuni istanti dopo, mentre lui continuava a torturarle piacevolmente il collo.
- Ti aspetto oggi pomeriggio a casa mia. Non accetto un no come risposta, e non dirmi che non stiamo più insieme perché sono cavolate belle e buone, Lev.
- Ma è vero! – protestò lei, scostandosi.
- Certo – concesse lui. – Ma il bacio di poco fa diceva l’esatto contrario, piccoletta. E a meno che tu non sia una di quelle che limonano senza problemi con chiunque, cosa che sono certo tu non sia, direi che nemmeno tu sei convinta di ciò che hai deciso per entrambi.
- Perché devi rendere tutto così difficile? – bisbigliò lei, abbassando la testa per impedirgli di vedere le sue lacrime.
Gajeel le prese il viso tra le mani, asciugandole con i pollici la liquida tristezza che le colava lungo le guance, e le diede un altro breve bacio sulle labbra. – Sei tu a rendere le cose difficili, Levy. Io, per una volta nella vita, voglio fare una cosa giusta, e tu sei la cosa più giusta del mondo. Lo sai che ti amo. Io sono convinto che mi ami anche tu, quindi oggi verrai da me e domani mattina ti sveglierai nel mio letto, a casa.
Per quanto la prospettiva le rendesse le gambe molli dall’attrattiva, Levy scosse la testa e allontanò le sue mani. – No, Gajeel.
Il ragazzo sospirò, e Levy si sorprese della sua infinita pazienza.
Lui, di pazienza, proprio non ne aveva, eppure stava perdendo tutto il suo tempo per lei, rodendosi il fegato. Per la milionesima volta, il dubbio che la decisione da lei presa non fosse stata esattamente corretta le attraversò la mente, e per la prima volta non riuscì a scacciare quel tarlo dalla sua mente.
Cosa diavolo stava facendo?
- Senti – la incalzò lui, picchiettando sulla mano nella quale le aveva piazzato le chiavi. – Io non cederò mai su di te, okay? Mai. Chiamami stalker, chiamami ossessionato, fai te, ma finché ho la certezza che nemmeno tu hai perso i tuoi sentimenti per me io combatterò, chiaro? Quindi tu oggi verrai da me, fine della discussione. Sai perché ne sono convinto? – chiese infine.
Levy, perplessa, scosse nuovamente la testa, guardando con preoccupazione il ghigno che gli si andava formando sulle labbra.
Gajeel le rubò un ultimo bacio e poi si scostò bruscamente, mettendosi fuori dalla sua portata.
Le agito davanti al naso il suo cellulare, con aria trionfante. – Verrai da me perché il cellulare ti serve, Lev, e lo troverai solo in un posto.
Detto ciò, si allontanò fischiettando, seguito a ruota dallo sguardo stupito di Levy, incerto su come si sarebbe risolta la faccenda tra di loro, ma certo dell’amore che provavano l’uno per l’altra.
 
Inutile dire che Levy non riuscì a concentrarsi per tutto il giorno. Quando la campanella finale trillò e i corridoi si riempirono delle grida estatiche degli alunni in vacanza, la ragazza avrebbe a mala pena saputo dire che lezione si era appena conclusa.
Salutò le sue amiche con un sorriso genuino e, suo malgrado, euforico, che fece strabuzzare gli occhi di tutte quante, abituate ormai da troppi giorni a vederla depressa.
Levy cercò di darsi un tono di fronte a Lucy, fissandola accigliata per farle intendere che era arrabbiata con lei, ma Lucy le fece l’occhiolino e le mandò un bacio aereo, facendola sorridere e arrossire.
Aveva cercato Gajeel durante la pausa, per tentare di farsi ridare il cellulare ed evitare di andare a casa sua nel doposcuola. Ma la sua ricerca era stata fiacca e svogliata e Levy non era stata più in grado di autoingannarsi: voleva andare da Gajeel, voleva passare la notte con lui, voleva farsi perdonare e spiegarli il motivo per cui lo aveva lasciato.
La piccola pulce che le rammentava i motivi validi per cui non avrebbero dovuto stare insieme ogni tanto la pungeva, facendole perdere il sorriso, ma Levy quel giorno non si sarebbe rattristata nemmeno di fronte ad un terremoto.
Il bacio di Gajeel ancora le bruciava sulle labbra, e la consapevolezza che una chiacchierata con lui avrebbe sistemato tutto le scaldava il cuore, facendole venire voglia di correre fino a casa a piedi.
Era giunto il momento di affrontare l’unica cosa che le avrebbe definitivamente fatto cambiare idea sulla sua decisione: una conversazione con il suo ex.
 
Levy prese un respiro profondo, nascosta dietro la siepe che separava la strada dalla villa di Gajeel.
Poi ne prese un altro, poi un altro ancora, sperando che insieme all’aria pungente che odorava di neve entrasse nei suoi polmoni anche una dose forte di coraggio femminile.
Un secondo sì e uno no la sua prodezza di indossare un completo intimo sexy e parecchio eloquente le pareva una gran cavolata da poco di buono, ma a tratti si sentiva felice di averlo fatto, ed eccitata all’idea di ciò che sarebbe potuto succedere.
Quando finalmente inserì la chiave nel cancello e sentì il click metallico che indicava l’apertura dello stesso, il cervello le andò in tilt, e percorse il vialetto che la separava dalla porta d’ingresso senza ricordare di aver percorso un solo passo.
Infilò la chiave nella toppa senza nemmeno interrogarsi sulla necessità di suonare e, quando fu circondata dal calore famigliare della casa di Gajeel, la paura l’invase come una nuvola nera di nebbia.
La paura della mancanza di certezze.
Chiuse la porta con delicatezza, appoggiando la fronte sul freddo legno alla ricerca della ragione che sembrava averla abbandonata.
Solo quando percepì le braccia forti e gentili di Gajeel circondarle la vita sentì che ogni inquietudine si scioglieva, lasciando spazio ad un piacevole tepore che Levy poteva solo definire amore.
- Sei congelata – le sussurrò Gajeel all’orecchio, da dietro, posandole un bacio sul retro della nuca.
Senza voltarla, le slacciò il giaccone e lo appese nell’ingresso, sistemandole poi vicino ai piedi le gigantesche pantofole che usava sempre quando andava a trovarlo. Lei si tolse le scarpe con calma, ben consapevole della presenza attenta del ragazzo dietro di lei, pronto a sorreggerla nel caso in cui avesse perso l’equilibrio.
Alla fine, stringendo gli occhi con forza, si voltò verso di lui e sbirciò il suo viso da sotto le lunghe ciglia: Gajeel aveva i capelli legati, indossava una canottiera e i pantaloni della tuta, e la stava fissando così intensamente da procurarle un involontario attorcigliamento dell’intestino, un misto di desiderio, paura e amore travolgente.
In barba ai suoi mille dubbi, Levy gettò le braccia al collo di Gajeel prima che lui potesse aprire bocca per offrirle, lo sapeva, una fetta della sua torta preferita, il cui soave profumo l’aveva investita ancor prima di aprire la porta di casa.
- Levy – mormorava Gajeel ogni tanto, quando riprendeva fiato dal suo divorarle la bocca.
- Sh… - lo rassicurò lei quando sentì il suo abbraccio farsi possessivo e disperato, terrorizzato all’idea che quello potesse davvero essere, definitamente, il loro ultimo bacio.
- Levy, io…
- Sh – lo zittì ancora lei, baciandolo un’ultima volta prima di sgusciare via dalla sua stretta e correre ridendo fino alle scale.
Le salì lentamente sorridendogli con aria maliziosa, invitandolo a seguirla con il dito.
Gajeel sbatté le palpebre solo quando Levy sparì dalla sua vista, rifugiandosi, ne aveva la certezza, in camera sua. Il ragazzo corse a spegnere il forno e finì di guarnire a torta in pochi minuti, fiondandosi poi su per le scale con la paura strisciante che la ragazza se ne fosse andata.
Invece, quando spalancò con forza la porta di camera sua, la trovò stesa sul suo letto, rossa di vergogna, mentre lottava con tutta la sua volontà per non coprirsi il corpo seminudo, rivestito solo da una biancheria coordinata di pizzo che faceva risaltare ancora di più la candida bellezza della sua pelle.
Nella penombra della stanza, illuminata solo dalla morente luce del giorno, Gajeel pensò che non esistesse veste più bella della sua pelle, e provò l’inconsueto desiderio di entrarle dentro, fondendosi con i suoi nervi e le sue vene, permettendo alle loro pelli di diventare una sola.
Solo quando Levy si schiarì la voce con imbarazzo Gajeel si azzardò a guardarla negli occhi, neri a causa dell’oscurità, eppure brillanti di vita e amore. – Gajeel, ho freddo – mormorò piano, stringendosi le braccia al petto e portando le ginocchia all’addome, rannicchiandosi in posizione fetale per provare a scaldarsi.
Silenziosamente, il ragazzo si tolse la canottiera e i calzini che indossava in casa, salendo carponi sul letto per avvicinarsi a lei.
Levy lo osservava con un occhio solo, l’altro era nascosto dal suo braccio, e Gajeel si chinò per baciarle la palpebra a cui aveva accesso. Le scostò i capelli dal volto, sciogliendole la fascetta che teneva in ordine le sue ciocche rubate dal cielo, e le accarezzò la guancia.
Levy sorrise e si sollevò lentamente, gonfiando il petto con orgoglio in un muto invito, baciandogli le labbra teneramente eppure quasi voracemente. Gli accarezzò l’addome e i pettorali, artigliando poi le mani alla sua schiena e sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe piegate, unendo i loro corpi in un meraviglioso scambio di calore e sensazioni.
- Che stai facendo? – le chiese pacatamente Gajeel quando la sentì scendere dal suo collo per baciargli il resto della pelle disponibile, dalle spalle al petto.
Levy risollevò la testa e lo osservò con il viso inclinato, la frangetta che le ricadeva scomposta sulla fronte, facendola sembrare un piccolo angelo furbo. Dopo pochi istanti arrossì vistosamente e si fissò le mani. – Io… be’, pensavo lo avessi capito – rispose piano a disagio.
Gajeel ridacchiò brevemente, per poi tornare serio. – Ho capito cosa vuoi fare, ma intendevo chiederti se ne sei convinta.
- Certo – disse lei, sicura di sé, prendendogli il viso tra le mani per trasmettergli con gli occhi la sua cieca convinzione. – Con ogni fibra del mio essere.
- Non mi potrò trattenere, dopo - rivelò lui, seppellendo il viso nel suo collo, tremando di paura e aspettativa.
Levy sorrise e lo abbracciò, accarezzandogli i capelli. – Non voglio che tu ti trattenga. Questa notte è solo nostra, Gajeel, mia e tua e di nessun altro. Ciò che tu sarai lo sarò anche io, e ciò che tu vorrai essere lo diventerò io per te. Ti prego, amami senza riserve, questa notte.
- Ti ho sempre amata senza riserve, piccoletta – rivelò lui, solleticandole il collo con il fiato.
Levy annuì, conscia di quel fatto, conscia del male che aveva inflitto ad entrambi in quelle tre settimane. – Lo so. Ma questa notte amami fisicamente, Gajeel. Completamente. Per parlare avremo tempo dopo.
Il ragazzo assentì, e la fece delicatamente stendere sotto di sé.
Fecero l’amore senza mai smettere di guardarsi negli occhi, comunicando silenziosamente mentre le loro mani e i loro corpi si univano in centinaia di altre conversazioni che avevano per tema lo stesso, unico argomento: l’amore che, nei confronti l’uno dell’altra, non si sarebbe mai spento.
 
La certezza inconfutabile di essere osservata si fece strada nei sogni placidi di Levy inducendola ad aprire un occhio. Con lo sguardo annebbiato, riuscì a distinguere solo la figura sfocata di Gajeel, intento a contemplarla, prima di grugnire e raggomitolarsi al suo fianco alla ricerca di calore.
Il ragazzo, che aveva sollevato leggermente la tapparella mediante il pulsante di fianco alla testiera del letto, si stava godendo il lento risveglio della ragazza studiandone con calma infinita le espressioni, la pelle, i respiri e lo scorrere del sangue nelle vene. Ciò che lo incantava di più era il movimento leggero del suo petto, che con regolarità perfetta si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro, mischiato al rassicurante battito del suo cuore che le faceva tremare lievissimamente il seno semiscoperto.
Gajeel la stava guardando come si osserva un miracolo, un sogno, un qualcosa troppo bello per essere vero e credibile.
La stava guardando come chi vuole imprimersi un ricordo nella mente, conscio dell’importanza che può rappresentare un momento che nella vita non si presenterà più.
La stava guardando come chi cerca una certezza in un corpo immobile ed addormentato, insicuro di quello che sarebbe successo da quell’attimo in poi nonostante un’intera notte passata a formulare muti giuramenti e promesse d’amore vero e sincero.
Quando capì che Levy si era riaddormentata, Gajeel le lasciò un bacio in fronte, facendole aprire un occhio che si richiuse in fretta, si infilò i pantaloni e si diresse fuori dalla stanza a piedi nudi.
La ragazza si svegliò completamente solo diversi minuti dopo, credendo che in realtà fosse passato un secondo da quando aveva sentito il bacio di Gajeel sulla pelle.
La parte di letto in cui il ragazzo aveva dormito si era ormai raffreddata, e Levy, senza la sua fonte umana e inesauribile di calore, rabbrividì e tastò le lenzuola inospitali alla ricerca di lui.
Quando non lo trovò si sollevò lentamente, sentendo che i capelli le si erano arruffati come mai prima d’allora, e si guardò intorno: era sola.
Colta dall’innato timore di essere stata abbandonata, di essersi sognata tutto, Levy afferrò la coperta morbida e profumata ai piedi del letto, che Gajeel aveva sistemato lì nel caso in cui avesse avuto freddo durante la notte. Una volta coperta la sua parziale nudità, esposta al freddo mattutino dell’inverno, la ragazza scese le scale in punta di piedi, maledicendosi per non aver preso le ciabatte, e si diresse in cucina senza dubbi.
Trovò Gajeel appoggiato con le mani ai lati del gas, mentre aspettava che il caffè finisse di salire e il latte di scaldarsi. I suoi occhi, però, assenti, erano fissi sul muro piastrellato davanti a sé, senza davvero vederlo, e il fatto che non si fosse ancora accorto della presenza di Levy la diceva lunga sul suo stato di attenzione.
Si riscosse solo quando lei lo abbracciò da dietro, seppellendo il viso nella sua schiena calda.
- Ehi… - la salutò lui, accarezzandole le mani intrecciate sul suo addome.
- Buongiorno – rispose lei, baciandogli la schiena.
- Ti stavo per portare la colazione a letto, mi hai rovinato la sorpresa – la sgridò lui, spegnendo entrambi i fornelli.
- Colpa tua, il letto è freddo senza la sua stufa umana.
Gajeel sorrise leggermente da sopra la spalla, voltandosi per sistemare latte e caffè nelle tazze che aveva preparato sopra al vassoio già colmo di cibo.
- Torno su e faccio finta di dormire? – propose Levy, scostandosi e dirigendosi lentamente verso il corridoio.
Gajeel annuì distrattamente, non del tutto presente a se stesso, e Levy iniziò a preoccuparsi sul serio vedendo la sua distrazione. Che avesse fatto qualcosa di male quella notte? Certo, tecnicamente non erano ancora tornati insieme, ma il ragazzo non si era fatto problemi fino a quel punto, perché avrebbe dovuto farseli proprio quella mattina?
Levy risistemò la coperta ai piedi del letto e si infilò sotto le coperte, lasciando fuori solo gli occhietti.
Gajeel la raggiunse poco dopo e, notando il suo sguardo furbesco, decise che era meglio posare la colazione sul comodino piuttosto che sul letto, per il momento.
Levy sollevò le coperte, lasciandogli vedere il suo corpo, invitandolo a raggiungerla.
- Facciamo un po’ di gongolini – gli chiese lei con la voce da bambina, abbracciandolo e appiccicandoglisi addosso.
Lui ridacchiò con scarsa convinzione, stringendola a sé, intrecciando le loro gambe e accarezzandole la schiena con le sue mani grandi e fredde, facendola gemere e inarcare. – I gongolini che cavolo sono? – mormorò, nascondendo la faccia nei suoi capelli.
Lei sorrise e gli baciò il collo, cercando in tutti i modi di far sciogliere l’inquietudine che aveva dentro con il calore del ragazzo. Perché era così serioso e distaccato? Si era reso conto che lei in realtà non era granché? Che non era quella che davvero voleva? – Ci crogioliamo un po’ a letto prima di mangiare – spiegò lei a mezza voce. – Ci gongoliamo qui. Chiamarli ‘crogiolini’ non è tanto simpatico, meglio gongolini.
Gajeel ridacchiò di cuore di fronte alla sua spiegazione, e si girò fino a tirarsela addosso, fungendole da materasso.
Levy incrociò le braccia sotto al mento e lo osservò, studiandogli la dritta linea del naso, i piercing che brillavano sobriamente nella penombra, le labbra carnose leggermente schiuse, le braci che gli ardevano negli occhi e la scrutavano con la sua stessa intensità. E il cipiglio di preoccupazione tra le sopracciglia.
- Mangiamo? – propose lei, cercando di rimandare l’inevitabile tempesta che sentiva montare tra di loro come un’onda anomala.
- Aspetta – la fermò lui, rischiacciandola contro di sé quando lei provò ad alzarsi. – Prima parliamo.
- Non possiamo fare dopo? Perché guastarci la giornata?
- Sinceramente, sono già tre settimane che aspetto di fare questa chiacchierata con te, e ieri sera non ho tirato fuori l’argomento per… be’, non ce n’è stata l’occasione. Ma avremmo dovuto farlo ieri, comunque. Basta rimandare.
Levy sospirò e appoggiò la fronte sul suo petto, baciandogli piano la pelle, cercando di distrarlo con le sue carezze.
- Levy! – la richiamò lui, pizzicandole piano la guancia. – Perché diavolo non vuoi parlare?! Tu, poi! Tu che vorresti aprire una discussione anche per decidere cosa mangiare a colazione!
La ragazza non rispose, rimase solo ferma a respirare contro la sua pelle.
- Levy, guardami – la incalzò Gajeel, solleticandole il collo per farle alzare il volto. Lei faticò a sostenere il suo sguardo, più vicino di quanto si fosse aspettata. – Dimmi perché non vuoi parlarmi. Perché non vuoi dirmi come mai mi hai lasciato.
Levy tacque ancora, e parlò solo quando Gajeel aprì la bocca, esasperato, per porle di nuovo la domanda. – Perché mi avresti fatto cambiare idea, se ti avessi spiegato perché ti ho mollato. Mi avresti fatto cambiare idea e io mi sarei sentita una stupida di fronte all’insostenibilità della mia motivazione.
- Non sei una stupida, non lo penso nemmeno ora, dopo quello che hai combinato.
Lei sorrise un po’ e annuì, abbassando lo sguardo.
- Allora, mi spieghi? È tanto insulsa, questa motivazione? – la spronò lui.
- Sì, parecchio. Però mi era sembrata valida quando l’ho formulata. Reggeva.
Gajeel ridacchiò e le diede un bacio veloce, intenerito di fronte alla sua confusione, nonostante avesse causato un sacco di problemi. – Allora? Mi dici perché mi hai lasciato o devo minacciarti?
Levy cercò di prendere tempo, ma un sopracciglio inarcato di Gajeel le fece capire che era meglio darsi una mossa. Non si sapeva quanto avrebbe retto la sua già effimera pazienza. – Ho letto un libro, meno di un mese fa. Si chiama David Copperfield, è di Dickens.
- Mh – mormorò Gajeel. – Tu di libri ne leggi a palate, cosa c’entra questo?
- Fammi finire – lo sgridò Levy, lasciandosi scappare una risata nervosa. – Nel libro, David, il protagonista, si innamora follemente di una ragazza, una bella signorina che però ha interessi molto diversi dai suoi. Lui la chiamava la sua ‘sposa bambina’ e dopo il matrimonio si è reso conto che con lei, per quanto l’amasse, non sarebbe mai stato completamente felice. Lei era ingenua e infantile, pensava solo all’acconciatura dei capelli e ai vestiti e alle sorprese. Lui invece era un uomo di mondo, un uomo in carriera che nella vita ne aveva passate tante, troppe.
Gajeel la osservava in silenzio, cercando di capire dalle espressioni della ragazza dove volesse andare a parare.
- C’è una frase, in particolare, che mi ha colpita molto. David la diceva in riferimento proprio a sua moglie, di cui a volte si vergognava per gli atteggiamenti da bambina. Diceva che ‘non c’è barriera più insormontabile della disparità di vedute, della diversità di carattere e della differenza di idee’.
Gajeel attese ancora, e capì che la ragazza aveva finito solo quando si infilò in bocca un biscottino ripieno rubato dal vassoio, sorridendogli con vergogna.
- E quindi?! – sbottò dopo un po’, certo di non aver capito nulla.
Levy sospirò. – All’inizio non ci ho fatto molto caso, ho finito il libro e basta. Dopo alcuni giorni, però, abbiamo discusso per un’inezia, ricordi? Ti ho aiutato a rifare il letto ed eravamo in disaccordo sul modo in cui farlo, perché tu lo fai a modo tuo e io a modo mio. E mi sono tornate in mente le parole di David, sulle differenze di carattere, di idee e di vedute.
- Aspetta – la interruppe Gajeel, guardandola sconcertato. – Mi hai mollato perché eravamo in disaccordo su come fare il letto?! – la incalzò, esterrefatto.
- No! – esclamò lei, offesa. – Che stupidaggine. Ti ho lasciato perché ho iniziato a dubitare della nostra capacità di vedere il futuro allo stesso modo. Io ti amo, Gajeel, ma anche David amava sua moglie eppure insieme hanno passato una vita non esattamente felice perché erano troppo diversi…
Gajeel la fissò con la bocca aperta, prima di stropicciarsi la faccia con le mani. – Non so nemmeno cosa dirti, Levy. Sinceramente, sono spiazzato. È partito tutto da come rifare il letto! Assurdo! Io non avevo visto grandi problemi dato che, per risolvere la questione, ci siamo rotolati nel letto ancora sfatto e tu hai anche perso la maglietta tra le lenzuola, mi pare.
La ragazza arrossì e accantonò la questione scuotendo la mano, come per scacciare una mosca. – Non è questo il punto.
- Il punto è proprio questo, Levy! – la bloccò lui, tirandosi a sedere di scatto e trovandosi con Levy a cavalcioni su di lui, l’espressione indecifrabile ma leggermente colpevole. – Daniel…
- David – lo corresse lei, incrociando le braccia al petto, rabbrividendo di freddo per l’esposizione all’aria.
- David – riprese lui. – David come risolveva le questioni importanti con sua moglie?
- Prendeva lui le decisioni, di solito, lei era troppo immatura. Io non…
- Sh – la bloccò lui. – Mi pare che sia io che tu siamo due esseri razionali e dotati di intelletto… magari tu di più, ma un cervello ce l’ho anche io. Loro non risolvevano nulla perché non parlavano, Levy, non riuscivano a trovarsi. Io e te discutiamo sempre, e penso che sia un bene. Se non discutiamo, come possiamo risolvere i problemi? Ognuno decide per sé e chi si è visto si è visto?
Levy non rispose e rimase ferma con lo sguardo puntato in basso.
- Stiamo insieme da nove mesi ormai, ma ci conosciamo da più di un anno. Se fossimo troppo simili tra noi non funzionerebbe e se fossimo troppo diversi, come dici tu, sarebbe sbagliato comunque. Ma noi siamo stati insieme nove mesi, ti ripeto, Levy, e senza problemi. Almeno per me. Dobbiamo essere diversi per trovarci e completarci, no? A cosa mi serve una ragazza uguale a me? Me ne serve una che arrivi dove io non posso. E non è vero che abbiamo visioni diverse del futuro. Il mio futuro sei tu, comunque vada la vita, e pensavo che anche per te fosse lo stesso. Qual è la tua visione del futuro?
Levy alzò timidamente lo sguardo e lo fissò con timore. – Finire il college, trovare lavoro e comprare casa con te.
Gajeel non ghignò nemmeno, le accarezzò semplicemente la guancia e la osservò con tenerezza. – La mia è un po’ diversa, forse hai ragione tu, allora – ammise.
Levy lo osservò, ferita, e gli chiese: - Come, scusa? Quale sarebbe la tua visione?
- Finire il college, trovare lavoro, sposarti e mettere su famiglia con te. Due o tre figli, dipende.
La ragazza si aprì in un sorriso estatico, prima di gettargli le braccia al collo e sciogliersi al contatto delle sue mani bollenti sulla schiena. – Sono una stupida.
- Nah, ma tutti hanno i loro momenti – la rassicurò Gajeel, mordendole il collo giocosamente.
- Non pensi che siamo troppo diversi? Abbiamo due caratteri davvero differenti, Gajeel, e magari un giorno non troveremo più un punto d’incontro comune.
- Levy – la chiamò Gajeel, staccandola leggermente da sé per guardarla negli occhi. – Non sono cupido, non ne so granché di relazioni, ma penso che se tutti si mettessero a pensare ai problemi di coppia che potrebbero sorgere, un giorno, allora tutta la popolazione sarebbe single.
Levy annuì. – Sì, non hai tutti i torti. Quindi non pensi che ti stancherai di me? Io non sono entusiasta quando tu ti metti a guardare le partite di basket, e lo so che ti scoccia quando mi fermo in libreria durante i nostri appuntamenti.
Gajeel scosse la testa. – Non è che mi scoccia, la tua espressione felice ogni volta ripaga il tempo perso, è solo che è pieno di polvere in libreria. E poi non mi sembra che ti infastidisca il basket, visto che alla fine finisci sempre con il leggere o il costringermi a fare i pop-corn per guardare la partita insieme a me. Sono cretinate queste, Levy. E non mi stancherò mai di te, mai. Mi hai rubato la vita.
Levy sorrise lievemente e appoggiò la fronte alla sua spalla. – Mi sembrava un buono motivo per lasciarci, tre settimane fa. Ma non mi ha resa felice nemmeno per un’ora, questa scelta.
- A chi lo dici – borbottò Gajeel, abbracciandola.
- Torniamo insieme? – chiese lei, facendosi piccola piccola tra le sue braccia.
Gajeel ridacchiò. – Fosse per me, a quest’ora non ci sarebbe stato bisogno di chiederlo, visto che non ci saremmo lasciati.
Levy annuì, sorridendo.
Gajeel scoppiò a ridere. – Sai qual è il bello?
La ragazza alzò il viso per guardarlo in volto, e scosse la testa.
- Il bello è che, dopo otto mesi di relazione, abbiamo fatto l’amore quando in realtà non stavamo insieme.
Levy lo guardò accigliata, in disaccordo. – Io direi che siamo tornati insieme proprio ieri sera.
- Ah, se lo dici tu, mi sottometto al tuo volere – scherzò lui, buttandola sul letto e coprendola con il suo corpo, facendola prima urlare e poi ridere. – Non farmi mai più una cosa del genere – le intimò, tornando serio, posando la sua fronte sulla sua.
- Te lo prometto – concesse lei, attirandolo a sé e baciandolo, fregandosene della colazione che era ormai fredda sul comodino.
Gajeel ridacchiò e coprì entrambi con le lenzuola. – Piccoletta, dobbiamo recuperare tre settimane di astinenza, spero che tu abbia dormito bene e sia ben riposata.
Levy rise e lo baciò al buio, beccando il suo naso invece che le sue labbra. – Così però non vedo nulla – gli fece notare, scoppiando a ridere quando le sue mani risalirono lungo il suo ventre, solleticandola.
- Non hai bisogno di vedere, se ti guido io – le bisbigliò lui all’orecchio, per poi baciarla e accompagnarla lontana da lì, in un mondo solo loro.
Guidarla verso il loro futuro insieme.





MaxB
Ehehehehe non potevo mica lasciarli separati, no no signori miei.
E' impossibile!
A dire il vero non ho molto da dire, quindi spero che vi sia piaciuta questa storia alternativa, e che la motivazione non sia così banale come sembra.
La verità è che sono passati molti, troppi anni da quando ho letto David Copperfield l'ultima volta, e quella frase che ho riportato nel testo mi è rimasta impressa a foco nella memoria, facendo a pugni con la mia convinzione che gli opposti si attraggono.
Grazie mille a chi ha letto e ancora più grazie a chi ha lasciato un recensione^^
A presto,
MaxB

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