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di Angie96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - l'eroe per divertimento ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - L'allievo che parlava troppo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - L'Associazione Eroi ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Un vero eroe ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


«Stai ancora pensando a quella storia?»
Sovrappensiero, come lo era tutte le mattine, le parole di Kumiko non le sembravano altro che il ronzio di una mosca fastidiosa, tanto che non aveva ascoltato una sola parola di quello che le aveva detto l’amica
«Hm?» aveva messo una mano davanti alla bocca, sbadigliando, mentre con l’altra mano stringeva la spallina della borsa a tracolla «Non ho capito… di quale storia stai parlando?» un sopracciglio alzato e un’espressione confusa rivolta al suo interlocutore, che stava cercando di utilizzare un quadernino per gli appunti come ventaglio, segno che in quell’afosa mattina di giugno l’estate sarebbe stata abbastanza calda da costringerle di studiare per gli esami accompagnate dalla costante presenza del condizionatore acceso; Takane quasi non ci credeva che avrebbe dovuto passare quasi tutta l’estate a studiare per la prima sessione d’esame, come se il destino le avesse suggerito che, forse, intraprendere la facoltà di lingue in una prestigiosa università della Città Z non era stata poi la migliore delle scelte, soprattutto per un tipo non proprio volenteroso di studiare, nonostante gli argomenti le piacessero e fosse anche portata in quello.
«Lo so che la mattina sembri appena uscita dal letargo, ma almeno potresti provare a ricordarti di quello che mi hai detto cinque minuti fa»
L’espressione fintamente piccata di Kumiko che, dall’alto della sua statura troppo minuta per lei, la fece quasi ridere, mentre camminavano verso la stazione del treno della città S
«Tu stavi parlando di quel misterioso tizio che due anni fa ha salvato te e delle altre persone mentre tornavi a casa da scuola… di nuovo»
Ah, l’aspirante “eroe per hobby”… dopo tutto quel tempo, Takane non aveva fatto altro che cercare chi fosse quel ragazzo con i capelli neri e in tuta che affrontava i mostri con un entusiasmo che probabilmente era degno di un eroe di classe S, nonostante lui non sembrasse iscritto all’Associazione Eroi: l’unica cosa che voleva fare, in realtà era stringergli la mano e chiedergli un autografo, anche solo per il fatto di aver deciso di “lavorare” in proprio, a discapito di ciò che succedeva a chi non era un professionista del settore.
Aveva addirittura pensato che la fissazione che provava per quel tizio fosse collegata in qualche modo ad una persona che conosceva molto bene, ma spesso aveva scacciato quel pensiero quasi forzatamente, per evitare altri problemi
«Ah, penso che lo incontrerò di nuovo, un giorno»
Magari anche oggi, aveva pensato.
 
**************

«“Attenzione, avviso d’evacuazione d’emergenza: un mostro dalle sembianze di un maiale umanoide è stato avvistato nei pressi della stazione della città S! Livello di calamità demone! Tutti i residenti nelle vicinanze e i civili presenti al punto indicato sono pregati di evacuare immediatamente la zona”»
Una voce femminile rieccheggiò tra gli altoparlanti della sala principale della stazione, ad una manciata di metri dall’uscita, causando il panico tra la gente che, per un motivo o per l’altro, aveva iniziato a spintonarle verso direzioni diverse, provocandole un enorme fastidio, tanto che era quasi sicura che avrebbe perso Kumiko se non l’avesse tenuta stretta afferrandole il braccio: quella lunga chioma nera e liscia di quella persona probabilmente troppo bassa per lei le dava quasi l’impressione di doverla proteggere nel caso il mostro fosse entrato nell’edificio.
Un lieve terremoto contribuì ad alimentare le urla della gente, mentre, in modo ovattato e nelle vicinanze, si sentiva una risata che la fece istintivamente rabbrividire: molto probabilmente delle persone erano morte e gli eroi che erano stati chiamati per occuparsi del pericolo non erano riusciti a fare assolutamente nulla per evitarlo.
In pratica, la situazione era disperata.
Le pareti in vetro ormai rotto dell’edificio avevano permesso a tutti i civili di poter vedere tutto, ma lei era ferma e immobile
«Takane, sta arrivando, dobbiamo nasconderci!» 
La voce di Kumiko era ovattata, insieme ai suoni che si sentivano attorno a lei, come se il suono del vento le avesse tolto la capacità di poter percepire il pericolo, proprio come quella volta, anni prima: ricordava di non aver mosso un muscolo, neanche quando il mostro si era ritrovato davanti a lei.         
Solo che quella volta non c’era una mano intenta a strattonarla      
«Lui arriverà anche questa volta»
Lo aveva pronunciato con un filo di voce, senza muovere un solo muscolo nemmeno quando un enorme cumulo di polvere e un ciottolo dal muro le sfiorò la guancia destra: solo una risata che la fece quasi rabbrividire e del fiato caldo davanti a sé
«Che vai farneticando, ragazzina?»
Alzò lo sguardo, quell’essere era davanti a lei, che la guardava con un’espressione tra il divertito e il sadico che lei aveva saputo decifrare fin troppo in fretta.
«Come mai non scappi? Hai così tanta voglia di morire?»
Nessuna risposta: il corpo le tremava, ed aveva la netta sensazione che, anche se quel coso l’avesse lasciata scappare, lei non sarebbe riuscita a muovere un muscolo, dalla paura.
Ormai era evidente che lui non sarebbe mai arrivato, e lei aveva solo finito per rischiare la vita per dare fiducia ad uno sconosciuto che aveva visto una sola volta e del quale non sapeva nemmeno il nome.
Sono stata una stupida.
Chiuse gli occhi, deglutendo e stringendo le mani a pugno.
 
**************
 
Un rumore assordante, simile a quello della caduta di un oggetto pesante.
Takane aprì lentamente gli occhi: davanti a lei c’era il mostro, per terra, con un enorme buco al petto e, alla sua destra c’era un uomo pelato con un costume da eroe indecifrabile per quanto era poco figo che si lamentava del fatto che, alla fine, anche quell’avversario era stato così debole da essere battuto con un singolo pugno.
«Sei ferita?»
Solo quando lui aveva aperto bocca e lo aveva visto in faccia si era accorta del fatto che, oltre ad aver fatto una figuraccia per essersi messa a fissare uno sconosciuto per un tempo indecifrabile, aveva un’aria stranamente famigliare, nonostante fosse sicura di non averlo mai visto in vita sua.
«Sto bene, ho solo qualche graffio»
Si era bloccata. Anche quella conversazione aveva un non so che di famigliare, solo che lo scambio di battute era avvenuto dalla persona sbagliata: sgranò gli occhi guardando quel viso apparentemente inespressivo, che tanto stonava con le urla gioiose delle persone che, fino a qualche momento fa, probabilmente stavano pregando che qualcuno potesse arrivare a salvarli.
E quel tizio era arrivato.
Doveva per forza essere lui, ecco perché le era sembrato di averlo già visto da qualche parte.
L’aspirante eroe per hobby che, proprio come quella volta, si era girato ed aveva iniziato a camminare lentamente verso un luogo che lei, probabilmente, non conosceva.
«C-chi sei?» disse, con un filo di voce: aveva la netta sensazione che se non gli avesse fatto quella domanda e lo avesse lasciato andare senza dire una parola, senza avere avuto la conferma che si trattasse davvero di lui, lo avrebbe rimpianto per tutta la sua vita.
«Dici a me?»
Si era fermato girandosi, ancora una volta, verso di lei, con un’espressione che non aveva saputo decifrare
«Io sono uno che fa l’eroe per hobby»  





L'angolo dell'autrice:
Ah, che bello essere pseudo-libera da esami e scrivere cose a caso su OPM perché sì.
Giuro, non avevo mai pensato di far diventare la fic di bridget una vera e propria long e, a dire la verità, l'idea di mettere Takane proprio all'inizio della storia del manga mi è venuta solo dopo, anche se sono quasi contenta di come questo prologo sia venuto, e dico "quasi" perché avrei voluto che uscisse con qualche descrizione in più e scritto un po' meglio, ma a quello ci penserò più avanti.
Intanto vi lascio anche la fic da cui Takane è cicciata fuori, anche se sarebbe spoiler, per come ho iniziato (ma se volete, leggetela comunque), la potete trovare qui 
Vi ringrazio in anticipo per aver letto 'sta roba!
Un abbraccio, 
Angie 96

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - l'eroe per divertimento ***


Sono uno che fa l'eroe per hobby.
Non era riuscita a muovere un solo muscolo, tanto le era sembrata surreale quella situazione: come un fulmine a ciel sereno, quel ragazzo aveva risposto alla sua silenziosa chiamata, salvandola da quello che era stato l'atto più incosciente della sua breve vita. Ancora.
Takane aveva davanti agli occhi la sua seconda possibilità e non riusciva a dire una sola parola; con la camicetta sporca del sangue dell'essere misterioso morto un attimo prima, l'unica cosa che era riuscita a fare, oltre ad ignorare i continui richiami di Kumiko, era stata tenere gli occhi puntati su quella figura bizzarra, la stessa che la stava osservando con un aria leggermente irritata.
«Che hai da guardare?»
Il tono di lui e la mano dell'amica sulla spalla la fecero quasi trasalire. 
«Eh? M-mi scusi!» disse, cominciando a balbettare, sudando lievemente ed inchinandosi in fretta e furia «È… è che sembra cambiato rispetto all'ultima volta che ci siamo visti».
Pessimo, pessimo modo di iniziare una conversazione, pensò Takane mentre cercava di mantenere quel poco di dignità che non era sicura esserle rimasta in quella situazione.
Sicuramente lui neanche si ricordava di quello che era successo due anni fa.
«L'ultima volta?» iniziò lui, grattandosi una guancia con l'indice, “quasi” visibilmente confuso «ah, potresti non darmi del lei? Mi dà fastidio.»
Un tono indecifrabile, quasi inespressivo: ogni volta che lui le rivolgeva la parola, le pareva di percepire un vento gelido travolgerla tanto che, in quella mattinata estiva,  non era sicura se l'autunno fosse già arrivato in anticipo o la primavera avesse deciso di rimanere ancora un po' a rinfrescare le giornate. Era così apatico da sembrare quasi annoiato.
«I tuoi fans ti annoiano?» Domanda sbagliata. «Intendo, ti diamo così tanto fastidio da darti noia?»
Aveva parlato senza pensarci, con un tono serio, stringendo lievemente i pugni: doveva essere una delle tante, per lui, magari era così famoso da non aver bisogno dell'Associazione Eroi per essere popolare.
Lo capiva, ma quel tono la faceva arrabbiare comunque.
«Sai, due anni fa mi hai salvata da un essere misterioso, dicendo che eri un ragazzo che voleva diventare un eroe per hobby,» la mano di Kumiko, ancora sulla sua spalla, strinse la presa, quasi a chiederle silenziosamente di lasciar perdere. «Ricordo di averti visto sorridere dopo aver ucciso quel mostro, nonostante fossi pieno di ferite e praticamente esausto; penso di essere diventata una tua fan perché eri quel tipo di eroe che appare senza chiedere nulla in cambio e che ha davvero a cuore l'incolumità delle altre persone, ma sembra quasi che tu sia diventato un guscio vuoto, dopo aver raggiunto il tuo obiettivo.»
Ogni aspettativa che aveva era crollata come un castello di carte, quasi come se la realtà avesse voluto ricordarle che in qualche modo che avrebbe avuto una delusione.
Si girò dandogli le spalle facendo cenno all'amica di seguirla.
«Takane-chan, non ti sembra di aver esagerato?»
La domanda di Kumiko, detta sottovoce per non farsi sentire dal diretto interessato la fece quasi irritare, tanto che non disse nulla, se non girare un attimo la testa per riguardare l'eroe che lei aveva cercato per anni ancora per una frazione di secondo prima di dargli le spalle completamente.
«Hai ragione.»
Si fermò, facendo cenno con la mano all'amica che l'avrebbe raggiunta più tardi.
Takane, rimasta sola, non si girò comunque, quasi per una questione d'orgoglio che per altro, nonostante fosse scontato che l'eroe si riferisse a lei.
«Da quando ho realizzato il mio sogno, mi sembra di aver perso la capacità di provare la maggior parte delle emozioni in cambio della forza che ho ottenuto.»
Tirò un calcio ad un sassolino che si trovava vicino ai suoi piedi, senza apparente motivo: la sensazione che lui non avesse finito ma che, anzi, stesse aspettando la  sua risposta stava cominciando a metterle ansia.
«Ti ascolto.»
Appena finisce di parlare, raggiungo Miko-chan e torno a casa.
Con un tono che cercava di non far trasparire troppo la sua curiosità, si girò per guardarlo negli occhi, poggiando la borsa a tracolla per terra.
«Sono diventato così forte che non riesco più a provare nulla quando affronto un essere misterioso: forse ti sarò sembrato un'altra persona perché a quel tempo mi stavo ancora allenando e provavo una sensazione indescrivibile quando combattevo.»
Le persone cambiano. Takane pensò che solo nei manga si potrebbe pretendere di raggiungere il proprio obiettivo senza conseguenze e, forse, era per quello che esisteva la realtà, per ricordare a tutti che qualcosa sarebbe andato sempre storto.
Deglutì, cercando un modo per formulare una domanda in modo decente senza far trasparire troppo il dispiacere o addirittura la pietà che provava per lui.
«Non hai paura?»
Una domanda invadente.
Pensò che non si sarebbe arrabbiata se lui non avesse avuto voglia di risponderle, in fondo era normale non rivelare i propri segreti agli sconosciuti.
«Intendo, non hai paura di diventare una sorta di guscio vuoto senza emozioni? Se non vuoi rispondermi mi sta bene.»
Il suono di un lampo.
Takane non si era accorta del fatto che il cielo avesse cominciato a farsi scuro e, in tutta onestà, non la preoccupava il fatto che avrebbe rischiato di prendersi un raffreddore con la pioggia che sarebbe iniziata a breve, voleva solo sapere se lui le avrebbe risposto o no: lo vide assumere un'espressione seria che quasi lo faceva sembrare un'altra persona rispetto a prima, quando aveva quella faccia da fesso. Quasi le faceva paura, aveva l'impressione che le avrebbe detto qualcosa di importantissimo, che fosse sul punto di raccontarle tutto.
Deglutì, cercando con tutte le sue forze di mantenere il suo sguardo.
«Onestamente...» anche il tono di voce era fermo e deciso, con un tono che le faceva quasi paura. Era così serio da farle venire l'angoscia, voleva solo sapere cosa le avrebbe detto per scappare via e raggiungere Kumiko. Strinse la spallina della borsa a tracolla convulsamente, senza fiatare.
«Onestamente, perché diavolo dovrei dirlo ad una tizia che ho incontrato neanche un'ora fa?»
Faccia seria, lo stesso tono stupido di prima: cercò di soffocare una risata con una mano, voltandosi quasi di scatto  dall'altra parte.
«Hai ragione.» Un sospiro. Si girò verso di lui una volta che si era assicurata di non essere al punto di scoppiargli a ridere in faccia. «Comunque devo andare, o penso che Kumiko mi ucciderà se la faccio aspettare troppo con questo tempaccio; prima di andare, però,» un altro sospiro. Portò la borsa sopra la testa per potersi proteggere quel poco che serviva, incominciando a camminare lentamente all'indietro. «Vorrei sapere come si chiama il famoso eroe per divertimento: in cambio ti dirò il mio nome!»
Si fermò, sorridendo.
Si era resa conto solo in quel momento di quanto di quanto quell'uomo assomigliasse, per modi di fare, ad una persona che conosceva, tanto che le venne quasi naturale cambiare espressione e mordersi leggermente il labbro inferiore senza rendersene realmente conto.
«Saitama. Mi chiamo Saitama» 
Di nuovo, come un fulmine a ciel sereno, si ritrovò a voltarsi, cominciando a correre nella direzione opposta, pensando che probabilmente avrebbe finito per urlare davvero come una fangirl o avrebbe tirato matta la sua migliore amica con la stessa informazione per anni e anni.
«Io sono Takane,» disse, girandosi e salutandolo con la mano «spero che ci incontreremo presto!»
 
****************************
 
Sbadigliò, mettendosi distrattamente la mano davanti, mentre con l'altra muoveva il mouse del pc con fare annoiato: aveva passato ore a cercare informazioni su questo Saitama e su dove abitasse, ma non aveva trovato nulla.
Era proprio vero che gli eroi non iscritti all'associazione erano destinati a restare nell'ombra, rischiando di essere scambiati per dei pazzi oltre a finire per essere ignorati da tutti senza avere una vera e propria fanbase. A dire il  vero, quel tipo di politica le aveva sempre fatto storcere il naso: capiva che fosse una sorta di manovra pubblicitaria per far iscrivere quante più persone all'associazione, ma odiava il fatto che per essere degli eroi rispettati si dovesse per forza far parte di quel sistema, anzi, lo odiava.
Takane sbadigliò ancora, cominciando a maledire ogni singolo dio esistente per non aver fatto venire in mente a quel tizio di crearsi il profilo di un social network per permetterle di trovarlo più facilmente, senza dover incappare nella descrizione e nelle immagini di un quartiere della Città Z avente lo stesso nome; l'orologio segnava le tre del mattino e a lei si stavano chiudendo gli occhi dalla stanchezza, probabilmente avrebbe fatto meglio a spegnere il pc e andare a dormire per evitare che i suoi genitori la sgridassero per via dei suoi orari improponibili. 
Si sdraiò sul letto senza neanche aver messo il pigiama e chiuse gli occhi: avrebbe continuato le ricerche la mattina seguente.

Aveva sempre pensato che accanirsi così tanto per gli sconti al supermercato fosse una cosa stupida, soprattutto quando, quella mattina, sua madre le aveva raccomandato di andare fino alla città z a fare la spesa per la cena, prima di andare al lavoro: trovava idiota il fatto di dover andare così lontano per comprare della carne scontata altro solo perché era "il giorno del curry" e nei supermercati più vicini costava un po' di più, oltre che assurdo.
Si allacciò il casco della moto, forse ci avrebbe messo due ore se fosse andata spedita e avrebbe potuto finalmente compiere la commissione e tornare a casa a oziare.
Guardò il cellulare e scrisse un messaggio veloce ad una persona, un "troviamoci davanti al parco della città Z", prima di metterlo in tasca e accendere la moto.

Poteva farcela, o meglio, doveva. Era la prima volta che si ritrovava con i soldi contati a dover decidere se comprare solo quello che le era stato commissionato o far finta che tutto fosse finito e beccarsi una sfuriata dalla madre per non aver completato la commissione e se da una parte sperava che la dannata carne di maiale fosse finita, dall'altra non aveva voglia di dover sopportare le urla di una donna isterica, così lasciò a malincuore il frigorifero con i budini per dirigersi verso la zona dei saldi a passo lento e nel modo più svogliato che potesse trovare, trascinandosi il carrello per la spesa.
Era rimasta una sola vaschetta da 250 yen; in una mattinata erano passate così tante persone ad approfittare dell'offerta che quasi si era sentita una stupida a fare con calma invece di prendere sul serio la cosa.
Inspirò, allungando la mano verso la vaschetta, sovrappensiero: non aveva fatto in tempo a sfiorarla che qualcuno gliel'aveva soffiata da sotto il naso con una rapidità sconcertante.
«Eh?» 
Doveva essere uno scherzo, o meglio, un colpo di fortuna mascherato dalla sfiga di dover cercare un altro supermercato affiliato per comprare la carne e sperare che sia finita.
Aveva davanti l'eroe con cui aveva parlato il giorno prima in "abiti civili", girato di spalle che camminava come se nulla fosse verso la cassa.
«Oh, andiamo, ho fatto tutto quel viaggio per niente! Ehi, tu, l'ho vista prima io.»
Non lo avrebbe permesso neanche se fosse stato l'uomo più forte dell'intero universo. Lo disse con un tono di voce abbastanza alto tanto che tutti i presenti, compreso il suo interlocutore, si erano girati verso di lei.
«Ah, tu sei quella di ieri.»
Stessa espressione apatica. 
«Ti prego, ho i soldi contati e non ho voglia di  cercare un altro negozio in giro per la città.»
Avava pensato quasi l'eventualità di inginocchiarsi: era dovuta entrare in un quartiere semideserto dove la gente del sembrava ancora disposta a lasciar sopravvivere le attività commerciali e qualsiasi altro negozio, era così palese che volesse uscire da quel posto inquietante che sperava sul serio che qualcuno avesse pietà di lei così da permetterle di andarsene il prima possibile.
«Scordatelo, questo è il supermercato più vicino a casa mia e non ho voglia di andare altrove per assecondare un tuo capriccio.»
Sembrava quasi esasperato, sia dal tono che dall'espressione stranamente decifrabile.
Takane ci mise qualche secondo a metabolizzare quello che le era appena stato detto.
«Abiti in un quartiere fantasma?»
Un "beh, sì" con l'espressività di un sasso segnò la fine di quella conversazione imbarazzante.







L'angolo dell'autrice:
Dopo sette mesi ho scritto un capitolo di passaggio brutto che praticamente fa solo da introduzione a quello che succederà dopo, che belle le cose apparentemente inutili.
In un certo senso questo capitolo è servito anche a far capire che in un certo senso Takane non è la solita fan idiota che va dietro al suo "idolo" come se fosse un dio sceso in terra.
Dopo questa, giuro che proverò a pubblicarlo più presto, oltre a far uscire fuori il povero Genos che a momenti mi minaccia se non lo introduco.
Vi assicuro che manca ancora un po' prima che la trama ingrani seriamente, ma come il nostro caro ONE ci ha insegnato, l'unica cosa che dobbiamo fare è rendere l'attesa un po' meno snervante dando un'intro abbastanza leggera e interessante (cosa che non sto facendo affatto lol).
Lo avete notato il mini easter egg all'interno del capitolo? 
Comunque, penso di chiuderla qui che altrimenti l'angolo autrice diventa più lungo del capitolo stesso.
Alla prossima!
Un abbraccio, 
Angie 96

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - L'allievo che parlava troppo ***


Takane sbuffò, prendendo il casco e mettendoselo in testa facendo attenzione ai capelli, dopo aver messo il sacchetto della spesa sotto dentro il sedile richiuso con cura: forse non avrebbe dovuto fare tutta quella scenata per un po' di carne, anche perché da quando quel tizio era uscito come se nulla fosse i presenti avevano cominciato a guardarla male, tanto che lei aveva cercato di ignorarli sperando di uscire il prima possibile e non tornare mai più.
Se mi sbrigo, potrei riuscire a prendere quello che mi manca in un altro negozio della stessa catena, pensò, mentre girava la chiave sulla toppa per mettere in moto il veicolo: sì, non ci avrebbe più pensato.
Il destino doveva esserle in qualche modo avverso perché in neanche due minuti incrociò la stessa persona con cui una decina di minuti prima aveva litigato per del cibo in sconto, e si sentì quasi sprofondare al solo pensiero che avrebbe dovuto parlargli per chiedergli scusa, almeno.
Il problema era che lui effettivamente l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare, dopo quello che era successo.
Parcheggiò la moto lì vicino e si tolse il casco, avvicinandosi a passo lento verso di lui
Deglutì, per poi dire un «E-ehi» con tono di voce così basso che non era sicura nemmeno lei di aver sentito che cosa aveva appena detto, figuriamoci il suo interlocutore.
«Eh?» aveva sentito da lui, che si era fermato e voltato verso di lei contro ogni pronostico «Ah, sei tu… sappi che la carne non te la do, è inutile che mi segui fino a casa» aveva poi detto, voltandosi di nuovo e borbottando un “che insistente” ricominciando a camminare.
Takane non poteva lasciarselo scappare in quel modo.
«Aspetta, non ti ho fermato per quello!» disse, cercando di non aggiungere nulla che potesse affossare la sua immagine ancora di più, che poteva essere un “e poi ti ho incrociato per caso, non morivo dalla voglia di vederti dopo tutto quello che è successo”, ma aveva deciso che era meglio scacciare quel pensiero come una mosca fastidiosa, optando per l'inchinarsi così tanto che era sicura che le sarebbe venuto un mal di schiena terribile se fosse rimasta in quella posizione per anche solo un minuto
«Scusa per prima!»
Nessuna risposta.
«Ho reagito in modo infantile, supplicandoti in quel modo, è stato così imbarazzante che quando me ne sono resa conto volevo sotterrarmi!»
Disse, ridacchiando in modo abbastanza nervoso e alzandosi: una delle cose che notò subito fu lo sguardo quasi assente di lui che, notando il silenzio imbarazzante che si era creato a quel punto, si era affrettato a dire un «Già.» con un tono così stranamente umano che quasi aveva cominciato a chiedersi se stesse parlando con la stessa persona o se aveva trovato un sosia da qualche parte senza accorgersene.
«Certo che questo palazzo è messo proprio bene per essere in una zona popolata da Esseri Misteriosi»
Takane fece una foto all'edificio con il cellulare con nonchalance, cominciando a camminare al fianco di Saitama
«Che vuoi ancora? Va bene, ti ho perdonato, ora puoi lasciarmi in pace, per favore?»
«Stavo pensando di prendere un appartamento nella Città Z, dato che è lì che frequento l’Università, almeno non dovrò prendere il treno veloce per arrivarci ogni mattina… quanto dista il centro da qui?»
«Mi stai ascoltando? Non voglio gente tra i piedi.»
Takane lo ignorò deliberatamente seguendolo dalla porta d'ingresso del palazzo, cominciando a salire le scale insieme a lui
«Non vengo mica a vivere insieme a te, ho bisogno dei miei spazi, e non voglio neanche che sia un appartamentino senza camera da letto e grande quanto due stanze e mezzo»
Il posto non sembrava così vecchio da avere i muri ingialliti o le scale friabili, ma in compenso l'ascensore guasto e le numerose ragnatele agli angoli dei muri le davano l'impressione che non fosse molto popolato
«Tu in che piano abiti?» chiese al suo interlocutore, che non aveva detto una sola parola da quando erano entrati nell'edificio «a me piacerebbe avere un appartamento al quarto piano»
A Takane non piaceva il silenzio imbarazzante che si creava due persone che si conoscevano appena perché la metteva a disagio: ogni volta che si ritrovava in quella situazione, cercava di coinvolgere la persona con cui stava parlando ponendole anche le domande più stupide pur di continuare a parlare con la suddetta.
In un certo senso spesso tutto diventava dannatamente imbarazzante, ma almeno funzionava
«Abito al terzo piano»
Era tutto così dannatamente perfetto: avrebbe vissuto nello stesso palazzo con quello che era praticamente il suo eroe preferito, ed oltre a quello sarebbe stata protetta da mostri senza neanche doverlo per forza chiedere, probabilmente ad un prezzo davvero bassissimo
«Ottimo! Ce l'hai il numero del proprietario del palazzo? Prima faccio tutte le carte e meglio è»
«Non c'è nessun capo qui»
Cosa? Fu praticamente l'unica cosa che pensò, sbiancando.
Probabilmente gli era successo qualcosa, visto la zona in cui l'edificio era stato costruito.
Deglutì, cercando di non fare domande troppo inopportune, ma quasi prima che aprisse bocca fu sorpresa da una risposta che la portò a chiedersi se Saitama avesse acquisito la capacità di leggere nel pensiero o meno
«No, ma che hai capito! Il tizio che possedeva questo palazzo è scappato via quando i mostri hanno cominciato ad apparire più frequentemente: le chiavi per tutti gli appartamenti sono nascoste in cantina al piano terra, fa quello che vuoi ma non infastidirmi»
Dopo aver detto quelle parole, lui le aveva già dato le spalle continuando a salire, mentre Takane si era fermata, urlando un “grazie!” un po' più sollevato.
************
Takane si era data della stupida per non aver scritto un orario in quel maledetto messaggio: si era ritrovata a precipitarsi al parco della città subito dopo aver completato la sua commissione, seduta in una panchina davanti ai vari giochi e dietro una sorta di capanno che era sicura essere la casa di qualche barbone o il luogo segreto dove qualche bambino delle elementari nascondeva delle vecchie riviste a sfondo erotico trovate nella spazzatura per leggerle insieme ai suoi amici, un po' come succedeva più o meno anche “ai suoi tempi”.
Si ritrovò quasi a soffocare una risata, mentre mangiava il sandwich che aveva comprato con i soldi che le erano avanzati; nonostante fosse solo l'una di pomeriggio, l'area dei giochi era già popolata da una decina di bambini delle elementari che le ricordarono che il motivo per cui loro non erano a scuola e lei non era a lezione era semplicemente il fatto che quel giorno era sabato e vedere uno scenario del genere, anche senza gli zaini lasciati per terra vicino alle altalene, era normalissimo.
Un po' com'era normalissimo il fatto che il suo migliore amico non si fosse ancora fatto vivo dopo mezz'ora d'attesa anche se, in realtà, il motivo poteva essere semplicemente il fatto che loro non si parlavano da quando lei si era diplomata.
Bevve un sorso dalla bottiglietta d'acqua che aveva preso per dissetarsi dopo aver ingoiato l'ultimo morso di quello che era il suo pranzo: pensò che di certo non l'avrebbe aspettato per molto visto la strada che aveva da fare nonostante abitasse proprio ai confini della sua città, in realtà non sapeva neanche se il sacchetto che sua madre le aveva dato per mantenere fredda la carne avrebbe retto quattro ore di viaggio fatte praticamente solo di scorciatoie: era strano, perché effettivamente qualche mese prima non si sarebbe preoccupata di una cosa del genere, dato che per lei il “Giorno del Curry” non era diventato altro che un giorno come gli altri, e probabilmente anche suo padre la pensava così, nonostante entrambi non avessero voluto infierire sull'assurda tradizione che, da otto anni a quella parte si era creata per commemorare la morte di suo fratello minore per mano di un Essere Misterioso.
Le venne quasi da rabbrividire a pensare che Makoto sarebbe stato uno studente al primo anno di liceo se non fosse successa quella tragedia, e il fatto che ogni anno si cucinasse il suo piatto preferito mettendo quattro porzioni a tavola l'aveva sempre fatta rattristare dal fatto che, effettivamente, in famiglia, nessuno riuscisse a dimenticarsi di quella vicenda, tanto meno sua madre.
Bevve altri sorsi con foga, cercando di non pensare a quanto sarebbe stato triste tornare a casa, quel giorno, immaginando quasi come se stesse bevendo dell'alcool per dimenticarsi di tutto.
«Fai piano, non stai mica bevendo una lattina di birra»
Tono quasi sarcastico e una voce così dannatamente familiare che avrebbe potuto riconoscerla a chilometri di distanza: sputò l'acqua che stava per ingoiare, ritrovandosi poi a sbuffare
«Darei qualsiasi cosa perché fosse un alcolico» disse, chiudendo il tappo della bottiglietta «Alla fine sei arrivato»
Takane alzò gli occhi verso di lui: aveva notato che indossava la camicia bianca e i pantaloni neri della divisa scolastica estiva del liceo che aveva frequentato fino a tre mesi prima, e si era seduto scompostamente accanto a lei, lasciando per terra la borsa scolastica
«Ma come siamo allegri oggi, Takane… ero sicuro che ti avrei vista incazzata nera»
Un ghigno visibile sul volto: aveva ragione, in una situazione diversa sarebbe stata davvero arrabbiata con lui per non aver risposto alle sue chiamate e ai suoi messaggi per due mesi e mezzo senza darle alcuna notizia
«Sai com'è, oggi è l'unico giorno dell'anno in cui non ho voglia di tornare a casa, tanto è pesante l'aria che si respira; non riesco ad arrabbiarmi se ho una depressione così alta addosso»
«Ah, è quel giorno»
«Già»
Takane era sempre stata in qualche modo grata a se stessa di essersi riuscita ad aprire almeno a lui e a Kumiko di quella cosa: lo vedeva quasi come una liberazione dato che nessuno, a parte loro, ne era a conoscenza.
Ed era anche contenta che né uno, né l'altra, l'avesse mai forzata a parlarne o la trattasse con una pietà che non voleva: l'unica cosa che cercavano di fare, effettivamente, era cercare di non farle pesare troppo quell'anniversario
«Beh, direi che forse è meglio che vederti lanciarmi occhiate omicida ogni cinque secondi»
Ecco, più o meno in quel modo.
«Mi stai forse dicendo che preferiresti vedere la tua senpai preferita depressa piuttosto che arrabbiata?»
«Dovrei proprio avere degli standard molto bassi per arrivare a definirti la mia “senpai preferita”»
Takane fece per prendergli una guancia con un pizzicotto e cominciare a tirargliela con un'espressione fintamente irritata
«Non puoi parlarmi di standard se sono l'unica senpai che ti abbia mai sopportato in questi anni, caro mio»
Le venne quasi da ridere quando lo vide simulare un'imprecazione di dolore massaggiandosi la parte incriminata con fare quasi melodrammatico: se c'era una cosa che era sicura che le sarebbe mancato dei tempi delle superiori, oltre a quelli antecedenti al periodo, erano quei finti battibecchi che si scambiavano spesso tanto da far chiedere a chiunque li conoscesse almeno un pochino il come facessero ad essere amici. Era un modo di comunicare che finiva quasi sempre nel far scoppiare a ridere entrambi e lei era grata al fatto di avere una persona del genere nella sua vita
«Allora, c'è qualcosa che vuoi raccontarmi di questi due mesi e mezzo?»
************
Ci aveva messo stranamente poco, a convincere i suoi a trasferirsi almeno per i giorni della settimana in quell'appartamento: tenendo lo scatolone in mano e salendo le scale, quasi scivolò pensando a tutti i soldi che le avevano dato per un affitto che non aveva il bisogno di pagare, vista la zona.
L'unica cosa che si era fatta promettere, era che un giorno li avrebbe portati a vedere l'appartamento “in centro” che aveva scelto vicino alla sede dell'Università che, probabilmente, avrebbe finito per occupare sul serio per non destare sospetti, finendo per pagarne l'affitto, dato che era sicurissima che non le avrebbero mai permesso di vivere in una zona tanto pericolosa, se glielo avesse detto.
In un certo senso, pensava che lo avrebbe utilizzato per studiare, visto che quelle tre volte in cui era passata nel quartiere fantasma aveva già sentito dei rumori abbastanza sospetti e inquietanti, quel tipo di suono che non l'avrebbe fatta dormire se non vivesse nello stesso palazzo con quello che poteva essere l'uomo più forte del mondo: in un certo senso, alla fine non era proprio il massimo vivere lì, ma almeno era gratuito.
Prese le chiavi dalla tasca e sospirò, pensando a quanto lavoro l'aspettava in quel bilocale polveroso.
 
Non era effettivamente passato molto tempo da quando si era presa i suoi due appartamenti e aveva mostrato quello meno pericoloso ai suoi, che aveva cominciato ad utilizzare unicamente per studiare in santa pace, oltre che usarlo per far accomodare Kumiko e gli altri compagni di studi: in sole due settimane, era praticamente riuscita a crearsi una sorta di equilibrio che si spezzava solo nel momento in cui l'altoparlante della città si attivava per avvisare i cittadini di pericoli riguardanti mostri nelle vicinanze.
Negli ultimi giorni, ad esempio, aveva notato delle fiamme dalla finestra del suo posto in centro mentre studiava: dato che non venivano mai specificate le caratteristiche dei mostri che arrivavano in città, quella volta si era chiesta quanto avrebbe dovuto essere forte per avere un potere distruttivo simile, prima di scoprire la sera stessa da Saitama che in realtà il nemico non era nient'altro che una zanzara umanoide e che era stato un ragazzo dare prova di quello spettacolo pirotecnico.
In quella città succedevano così tante cose che spesso si chiedeva come facesse la gente ad uscire di casa senza aver paura di trovarsi qualche strana creatura svoltando l'angolo, visto il record che la Città Z era tristemente riuscita a battere, registrando il maggior numero di apparizioni di Esseri Misteriosi proprio nella zona del quartiere fantasma.
E se c'era una cosa che aveva imparato in quel breve soggiorno era che loro, almeno, non erano tipi da bussare alla porta di casa di sabato mattina alle sette, svegliando la gente senza una giustificazione adeguata a quello che avevano appena fatto.
Takane si era cambiata velocemente il pigiama con la prima maglia e i primi pantaloncini che aveva trovato, con i capelli tutti spettinati, avvicinandosi alla porta con un umore così pessimo che sapeva che avrebbe finito per tirare un pugno a chiunque si fosse trovata davanti.
«Non voglio comprare nulla quindi, per favore, smettetela di ven- ah»
«Non sapevo che il maestro Saitama vivesse insieme a una ragazza, scusa se vi ho disturbati»
Davanti a lei un ragazzo biondo il cui corpo era per lo più composto da parti meccaniche si era inchinato chiedendole scusa per qualcosa che lei non era riuscita a capire
«Ehm, hai sbagliato appartamento, Saitama abita al terzo piano»
Disse, lievemente imbarazzata, facendo finta di non aver sentito la parte sulla fidanzata e facendo per chiedergli di aspettarla due minuti, il tempo di farle mettere le scarpe e prendere le chiavi «ti accompagno io, qui gli appartamenti non sono numerati ed è normale perdersi» disse, accennando un sorriso «hai chiamato Saitama “maestro”, giusto?»
Takane aveva appena finito di girare la chiave nella toppa, quando lo disse: le pareva abbastanza strano il fatto che il suo vicino di casa non l'avesse mai accennato quando si ritrovavano a parlare, nonostante non fossero altro che dei conoscenti, ed effettivamente non era neanche qualcosa che valeva la pena tenere nascosta.
Vedere annuire quel ragazzo in modo serio mentre la seguiva camminando, però, le fece comprendere il perché Saitama non avesse mai voluto parlarne: pareva essere il tipo di persona taciturna, e ad ogni passo notava una nota d'ansia in lui che quasi la faceva sentire a disagio.
E andava per gradi, sembrava che lui si sentisse più nervoso ogni volta che si avvicinavano alla meta e, a parte quando lei si era presentata chiedendogli come si chiamasse, non avevano fiatato per il resto di quel breve tragitto.
«Siamo arrivati, il suo appartamento è questo» disse, accennando un sorriso e mettendosi a bussare.
 
Com'era previsto, Saitama era arrivato porta di pessimo umore, con addosso il suo costume da eroe
«Che vuoi?»
«È venuto il tuo allievo a bussare alla mia porta pensando che fosse il tuo appartamento»
«Allievo?»
Takane fece per indicare il ragazzo che era accanto a lei, mentre vedeva Saitama sospirare rassegnato mentre lanciava un'occhiata a lui
«Ah, quindi sei venuto davvero»
«Maestro, mi faccia diventare suo allievo!»
Takane non seppe cosa dire dopo aver assistito a quella scena.
 
L'appartamento di Saitama, per quanto fosse effettivamente piccolo, era davvero accogliente: lasciava un senso d'intimità che quasi si sentì in colpa per averlo spezzato, guardandosi anche solo intorno mentre aspettava il tè che il padrone di casa stava preparando per lei, il ragazzo che le aveva detto di chiamarsi Genos e probabilmente anche per se stesso.
Dopo qualche minuto, Takane vide arrivare Saitama con un vassoio e tre tazze da te, mentre le porgeva a lei e all'altro ospite, che lo ringraziarono
«Dopo aver finito il tè tornatevene a casa, non voglio avere né allievi, né vicini di casa fastidiosi tra i piedi»
Takane si era sentita quasi offesa da quell'affermazione, dato che lei era sicurissima che il fatto che lei fosse quasi assente in casa le aveva reso pressoché impossibile infastidire chiunque, a meno che non fosse il tipo di persona che si infastidiva con chiunque respirasse la sua stessa aria, ma preferì stare zitta quando vide Genos insistere con la storia dell'allievo.
La conversazione tra i due era diventata vagamente interessante quando, dopo uno strano battibecco che era finito con la “scoperta” che Saitama era effettivamente un'essere umano e nient'altro, avevano cominciato a trapelare piccole informazioni sul loro conto: ad esempio aveva scoperto che Genos era suo coetaneo (sempre che i cyborg avessero effettivamente età) e che Saitama era sei anni più grande di loro, oltre al fatto che si era allenato per ben tre anni ininterrottamente per raggiungere quella forza, facendole immaginare chissà quali sforzi fisici avesse fatto per arrivare a quei livelli.
Takane trovava quel discorso una forma d'intrattenimento non indifferente, tanto che quando Genos era diventato molto più cupo e serio di prima, dicendo «Maestro, Takane, volete sentire la mia storia?», lei aveva annuito con entusiasmo mentre Saitama, al contrario, aveva cercato di liquidare il tutto con «Non è necessario!», cercando in tutti i modi di evitare qualcosa che nessuno dei presenti era in grado di comprendere.
E solo quando Genos aveva aperto bocca cominciando a raccontare il tutto, che Takane aveva cominciato a capire perché Saitama aveva cercato di evitare quella situazione…
 
 



 
L'angolo dell'autrice:
Oddio, non credevo che sarei stata capace di pubblicare il capitolo così presto, soprattutto perché ora non è poi così inutile come quello precedente, visto che è pieno d'informazioni che, all'apparenza, possono non sembrare utili, quando in realtà lo sono eccome, quindi tenetevele a mente per i capitoli successivi.
E sì, è un pochino rushato ma ho pensato che mettere un ritmo lento in un capitolo che effettivamente è ancora uno pseudo- prologo non avrebbe giovato molto, quindi spero davvero che il tutto sia filato liscio, magari sperando di non aver fatto i personaggi troppo OOC.
Non manca poco alla vera e propria storia, penso che dopo due capitoli si arriverà nel vivo, se riesco a calibrare bene le parole *coff, capitolo 1, cough!*, quindi, prima di allora, spero sul serio di non essere riuscita a farvi passare la voglia di leggere.
Il prossimo capitolo arriverà il prima possibile, magari prima di gennaio, se riesco!
Grazie a tutti per aver letto fin qui!
Un abbraccio,
Angie 96

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - L'Associazione Eroi ***


Genos era logorroico.
Takane se n'era accorta nello stesso momento in cui il cyborg aveva cominciato a parlare a ruota libera del suo passato, rendendo il tutto così noioso e poco accattivante da provocarle sonnolenza.
Un ragazzo che fino all'età di quindici anni aveva vissuto una vita normalissima in un quartiere di una città senza nome che lui non aveva voluto nominare, l'attacco di un cyborg impazzito che aveva portato alla distruzione della suddetta e al quasi totale sterminio dei suoi abitanti: in un certo senso, in realtà, l'incipit era parecchio interessante, per quanto la situazione sembrasse abbastanza comune, almeno per gli standard della società in cui viveva.
Il tutto era accaduto un anno prima della nascita dell'Associazione Eroi, eppure già dall'epoca la gente comune dimenticava con una fretta surreale disastri di quel genere, quasi come se fosse stato un evento di poco conto, proprio come aveva fatto anche lei.
Le città distrutte spesso e volentieri sparivano dalle mappe senza preavviso nel giro di pochi mesi, quasi come se non fossero mai esistite e finivano per essere rimpiazzate con altre nuove di zecca, come se nulla fosse accaduto: ai singoli individui importava solo della propria sopravvivenza e a tutti, come anche a lei, andava bene così.
In fondo, il caso di Genos, che era stato tratto in salvo e trasformato in cyborg da un certo Dottor Kuseno, non era poi così raro, se non addirittura piuttosto comune: anche dopo la fondazione dell'Associazione, nonostante la diminuzione di incidenti con i mostri, gli eroi professionisti non erano comunque in grado di arrivare a salvare tutti, optando per il semplice "Salviamo quante più persone possibile".
Era un ragionamento che aveva un che di macabro, ma era qualcosa che condivideva, in un certo senso.
Diamine, devo essere davvero annoiata per pensare a questo genere di cos-.
«Ora basta! Riassumi tutto in sole venti parole!».
Grazie al cielo.
Takane avrebbe finito per applaudire, in quel momento, se solo l'urlo di Saitama non l'avesse spaventata abbastanza da farle bere altri sorsi di tè in modo lento, mentre cercava di seguire come sarebbe andata la faccenda dell'autoproclamatosi allievo e del maestro che, in modo piuttosto evidente, non aveva la minima intenzione di prenderlo sotto la sua ala: una risposta vagamente interessante quanto assurda detta da Genos dopo diversi, interminabili secondi di silenzio dove l'attesa aveva contribuito a rendere l'atmosfera pesante, le aveva quasi fatto sputare la bevanda.
«Aspetta, aspetta.» disse, dopo aver posato la tazza sul tavolino, mentre si massaggiava le tempie in modo nervoso. «Tu mi stai dicendo che per te era importante raccontare la storia della tua vita in modo noioso solo per arrivare a chiedere a Saitama di poter diventare suo allievo? Avrei preferito spararmi in testa piuttosto che sentire ancora qualche altra parola, e sono seria».
Abbozzò un "grazie" riconoscente a Saitama, mentre beveva quello che rimaneva dell'ormai fredda bevanda che le era stata offerta: in un primo momento aveva pensato che avrebbe finito per litigare per il modo maleducato con cui si era rivolta al cyborg, tanto che stava pensando di chiedergli scusa in ginocchio per cercare di tornare a casa tutta intera, per lo meno.
«Anche tu pensi che io debba parlare di meno? Capisco, quindi il maestro ti ha fatto rimanere per allenarmi ad intrattenere i civili mentre parlo?».
Prego?
Takane spalancò gli occhi, non sapendo davvero cosa dire: rimase in silenzio, cercando lo sguardo di Saitama, sorpreso esattamente come lei, finendo per sospirare rassegnata.
«Se lo ha fatto, allora non me ne sono accorta» disse, abbozzando un sorriso: le dava abbastanza fastidio il fatto che il più grande dei tre non stesse dicendo o facendo nulla, quasi come se stesse concordando con tutto quello che aveva detto il cyborg «Devi aver già fatto breccia nel cuore del tuo maestro, se non ti ha già buttato fuori di casa».
Una piccola risata, mentre si alzava.
«Scusate, ma io devo and-» Takane venne interrotta, ancora una volta da Genos, che era scattato in avanti, all'allerta, esattamente davanti alla porta d'ingresso.
Ma che-?
Non fece in tempo a chiedere cosa stesse accadendo che, pochi secondi dopo, vide Saitama tirare il solito pugno ad un essere misterioso apparso dal nulla, lamentandosi del soffitto rotto.
Takane sbatté le palpebre ripetutamente, provando a metabolizzare ciò che era appena successo: sbiancò, sedendosi a peso morto sul cuscino ai suoi piedi, tremando lievemente.
«Immagino sia fuori discussione tornare al mio appartamento adesso, giusto?»
 
*********************

«Casa dell'Evoluzione?»
Takane sbatté le palpebre: il suo sabato sera di quella settimana si era ridotto ad ascoltare una storia che era iniziata nel momento stesso in cui lei aveva visto andare via Saitama e Genos dopo uno scontro con degli esseri misteriosi sotto il palazzo dove lei ed il suo unico vicino abitavano: Genos le stava raccontando com'era andata con una strana confidenza, quasi come se la conoscesse da tempo.
«Esatto, siamo entrati nel laboratorio segreto dello scienziato che ha creato gli esseri misteriosi che abbiamo combattuto stamattina».
Wow.
Non sapeva davvero come continuare quel discorso: era deprimente, perché poteva già immaginare chi aveva battuto il boss finale, a giudicare quanto era messo bene il suo coetaneo e a quanto “senpai” stesse ascoltando la loro conversazione, preferendo invece zapping in tv senza aver paura di dimostrare il suo disinteresse per... tutto.
Ecco, Takane era sicura che Saitama trovasse le voci dei presenti fastidiose quanto il ronzio di una mosca vicino all'orecchio.
«Sembra roba uscita da un film d'azione degli anni settanta» disse, alzando leggermente la voce per aspettare la reazione del padrone di casa. «Tipo quelli mezzi horror con le maschere fintissime che non fanno paura» aggiunse, continuando a lanciare occhiate non troppo discrete a Saitama.
«Alla fine chi era il boss di fine livello? Che tipo di pseudo-animale era? Un rinoceronte umanoide? O una tigre! Sì, una tigre sembrerebbe la scelta più logica!».
Takane annuì tra sé e sé, senza neanche preoccuparsi di controllare che tipo di reazione avessero gli altri.
«Magari era un tipo estremamente intelligente... no aspettate, se era addirittura un pinguino allora avrei voluto vederlo!» le sembrava quasi di essere un suo amico alle elementari, quando lo sentiva parlare di insetti strani che lei invece non voleva vedere neanche in foto, quel tipo di eccitazione quasi malata.
«E se fosse una roba strana tipo un s-».
«Smettila di urlare, era solo un fottuto scarabeo logorroico».
Il tono di voce inespressivo di Saitama faceva trasparire una punta lievissima di rimprovero e completo disinteresse a voler parlare insieme ai suoi "ospiti", senza nascondere il fatto che li considerasse delle seccature.
«... grazie per aver distrutto tutte le mie aspettative, senpai».
Takane aveva cercato di rendere la punta di sarcasmo la più affilata possibile, quanto bastava perché magari l'uomo reagisse.
Anche se non credo che sarebbe cambiato qualcosa se me l'avesse detto in modo meno brusco.
«E piantala di chiamarmi in quel modo».
Tono senza alcuna sfumatura emotiva, come al solito.
 
*********************

Quella mattina faceva troppo caldo.
Takane sospirò, il computer davanti a lei e gli appunti disordinati vicino ad esso, mentre sorseggiava del tè freddo dalla cannuccia.
Nonostante l'aria condizionata la facesse sentire in paradiso, dall'altra parte c'era il chiasso della gente seduta in quel bar che, al contrario, la stava facendo sentire stupida per non aver deciso di restare a casa a studiare ed era arrabbiata perché quel caos le stava dando più fastidio di quanto avrebbe ammesso.
Forse è meglio finire questa bibita e poi tornare a casa.
Schioccò la lingua, spegnendo il portatile e chiudendolo con un gesto secco, mentre risistemava tutto nella borsa a tracolla in modo disordinato.
«E dire che è una così bella giornata, sarebbe uno spreco passare il week-end a studiare».
Fosse stata con Kumiko l'avrebbe trascinata in qualche altro posto ignorando il fatto che tra poco più di una settimana avrebbe avuto un esame.
«Sai che la gente potrebbe prenderti per pazza se ti metti a parlare con la tua borsa?».
Takane era quasi sicura di aver fatto un salto dalla sedia, in quel momento: ci aveva messo una manciata di secondi a riconoscere la voce che le aveva parlando, mutando l'espressione quasi spaventata a una offesa in modo quasi infantile, mentre poggiava la borsa a terra.
«Ma tu non hai niente di meglio da fare che sbucare dal nulla e prendermi per il culo?».
«È diventato il mio passatempo preferito da praticamente dieci anni».
E dire che da bambino eri così educato e carino.
Takane sospirò, cercando di dimenticarsi tutte le risposte maleducate che le erano venute nei confronti del ragazzo che aveva davanti: si alzò, prendendo tutte le sue cose mentre tirava il portafogli, senza guardare il suo interlocutore.
«Mi accompagnerai a casa a lasciare la borsa e poi andremo da qualche parte a parlare, non voglio sentire scuse da parte tua o ti prendo a calci».

L'acqua del fiume era più calda di quanto avesse immaginato: Takane aveva immerso i suoi piedi assumendo un'espressione soddisfatta, quasi ignorando il suono delle automobili che venivano dal ponte che avevano attraversato poco prima per arrivare in quella zona, mentre si stiracchiava, l'acqua all'altezza delle ginocchia.
«Ne avevo proprio bisogno!» disse, mentre continuava a sorridere, il ragazzo che l'aveva seguita borbottando per metà del tempo non era ancora entrato in acqua con lei «Dai, vieni! Anche se hai addosso i pantaloni lunghi basta che li alzi un po'!».
Nessuna risposta dal suo interlocutore, probabilmente troppo intento a voltarle le spalle senza apparente motivo.
«Ehi, sto parlando con te!» urlò, abbassando lievemente lo sguardo verso la gonna azzurra che quasi sfiorava l'acqua, facendo per girarsi a sua volta di nuovo.
Una situazione come quella doveva essere impensabile per due civili come loro: divertirsi come se nulla fosse, quando magari da qualche parte del mondo qualcuno stava venendo attaccato da un essere misterioso, o magari uno stava per apparire da qualche parte vicino a loro senza che loro se ne accorgessero, era strano.
Takane sentiva di non averne il diritto.
Era convinta di essere obbligata ad avere paura.
Di doversi guardare intorno decine di volte ogni volta che usciva di casa con un'espressione terrorizzata, con la consapevolezza che gli eroi erano comunque esseri umani e che non potevano fisicamente salvare tutti.
In fondo, non esistono paladini della giustizia come Justice Man nel mondo reale.
«Ehi, ripigliati, guarda che il mio piano non era quello di farti perdere tutta la voglia di vivere mentre facevo finta di ignorarti!».
Di colpo, sentì una sensazione di bagnato sui vestiti, mentre si toccava lievemente la stoffa della camicetta senza maniche che aveva addosso.
Avrei dovuto aspettarmelo...
Se avesse avuto il cellulare in tasca, probabilmente avrebbe finito per urlargli contro.
Fece per pulire con un dito le gocce che erano finite sugli occhiali, mentre si girava verso il colpevole.
«Quindi stavi fissando il cielo come un'idiota per fare questo?» disse, mentre si accucciava abbastanza da poter immergere le mani «Ogni azione ha una conseguenza, sai?».
Alzò le mani velocemente, cercando di tirar su più acqua che poteva verso l'amico, mentre assumeva un'espressione soddisfatta.
Quello era stato l'inizio di una guerra lampo che probabimente avrebbe finito per avere un solo premio, probabilmente il più facile da ottenere: stare qualche giorno a letto con l'influenza.

«Dai, prendi: anche se non hai il ricambio, puoi restare qui ad asciugarti un attimo».
Takane gli aveva dato un asciugamano senza neanche guardarlo negli occhi, mentre prendeva la t-shirt che gli aveva chiesto di togliere per asciugarla al sole, mentre continuava a ripetergli di non sedersi sul divano per non bagnarlo, indicando invece una delle sedie di plastica che aveva tirato fuori dal balcone per permettergli di sedersi.
«Mi aspettavo un posto più in periferia e meno chiassoso di questo» lo sentì dire mentre, con la coda dell'occhio, lo vedeva portarsi l'asciugamano in testa e strofinare, mentre si guardava intorno.
Alla fine aveva deciso di portarlo nell'appartamento che aveva in centro città, ancora troppo in ordine perché finiva per occuparlo solo per circa la metà delle volte: era vero che quel posto la sera e durante il giorno aveva il chiasso tipico del centro città, ma era sicura di preferirlo alle urla dei vari esseri misteriosi che passavano davanti o nelle vicinanze che sentiva quando veniva a stare nel quartiere fantasma, trovando quasi incredibile come situazioni di quel tipo in zona fossero quasi all'ordine del giorno.
«Non è poi così chiassoso» disse, mentre si allontanava verso la camera da letto per prendere il ricambio e l'asciugamano «Il vero casino c'è solo il sabato sera e, comunque, anche se facessero esplodere qualcosa credo che farebbero comunque fatica a svegliarmi».
In realtà stava un pochino esagerando con i paragoni, ma era comunque vero che il suo sonno pesante le permetteva di non fare molto caso a circa metà del trambusto che sentiva sotto casa quasi ogni notte.
«Quindi, se un giorno decidessi di entrare dalla finestra di casa tua a notte fonda come se fossi un ladro, tu non te ne accorgeresti, dico bene?».
Takane scosse la testa, a sentire quella domanda: il tono di lui era palesemente da presa in giro, mentre assumeva un'espressione pensierosa come se non si fosse neanche reso conto di aver detto qualcosa di stupido e impensabile.
«Giuro che se provi a farlo davvero ti prendo a padellate» gli rispose, con un ghigno stampato in faccia, prima di sparire in bagno.
 
*********************
 
Takane guardò il certificato che aveva in mano con un'espressione quasi imbarazzata, non sapendo cosa dire alla persona seduta di fronte a lei.
«Sai, senpai, non so cosa dire...» disse, mentre fissava la C stampata in grassetto sul foglio.
Com'è potuto succedere?
Quando lei aveva detto il giorno prima di tifare per lui e per Genos per gli esami non intendeva mica portar loro sfiga: doveva essere stato perché aveva assunto un'espressione sorpresa quando Saitama aveva ammesso di non essere a conoscenza dell'Associazione Eroi dopo che lei il cyborg l'avevano nominata per tirargli su il morale dopo una giornata... strana?
Takane, che aveva sempre pensato che l'uomo davanti a lei avesse deciso deliberatamente di lavorare da solo, si era lamentato perché un tizio che aveva incontrato non lo aveva riconosciuto, scambiandolo per il membro di un gruppo di criminali della zona.
«Ho fatto schifo all'esame scritto, a quanto pare».
Ah.
Takane non aveva pensato neanche per un momento che ci fosse la possibilità di dover sostenere una prova diversa da quelle fisiche, anche se probabilmente serviva anche per testare l'eroismo di una persona.
Spalancò gli occhi, guardando ancora il certificato dell'uomo davanti a lei.
«Sono sicura che salirai fino alla classe S prima che tu te ne accorga, perché a questo punto non possono certo far finta di niente di fronte alle tue azioni e a quanto sei forte!».
Erano quelle le parole che servivano per tirare su il morale un amico, no?
Anche se si trattava di una persona a cui importava davvero poco di quel genere di cose, vista la reazione praticamente impassibile di Saitama.
Takane sbuffò di nuovo, lasciando il foglio sul tavolo, e alzandosi con una certa fretta, mentre salutava il suo interlocutore con la mano.
«Io vado, ormai si è fatto tardi, buonanotte».
Aprì la porta con un gesto secco, mentre sbatteva i piedi per sistemare le scarpe, alzando lo sguardo verso qualcosa che la costrinse a chiedersi se quello era il mondo reale o meno.
«Genos, perché hai quello zaino enorme sulle spalle?».
 
 
 
 
L'angolo dell'autrice:
Beh, salve.
Non so nemmeno come giustificarmi davvero del mio ritardo, visto che il capitolo precedente risale alla bellezza di un anno e due mesi fa e, molto probabilmente, avrete pensato che l'avessi in qualche modo droppata per mancanza di tempo e voglia (e non vi biasimo, visto che probabilmente questa è la prima vera long che voglio portare al termine e forse l'unica che è andata oltre ai quattro capitoli), ma ho davvero intenzione di continuarla e lo farò, anche se dovessi metterci un decennio per finirla (speriamo di meno, però).
Anche se, vabbè, la poca voglia e la mia vita universitaria hanno davvero reso difficile la continuazione di Side by Side e, giuro, non fosse stato per la ending di Mob Psycho 100 II, a quest'ora non mi sarebbe venuta l'ispirazione per scrivere quasi 1500 parole in due giorni.
Per quanto riguarda lo scritto, ho deciso di semi-rushare le cose, a meno che non ci fosse una situazione con Takane protagonista, così entriamo il prima possibile nel vivo della storia e posso nominare pg misteriosi su cui vi do hint e vivere in pace.
Grazie per aver letto e per avermi aspettata, spero di potervi portare il prossimo capitolo un po' prima rispetto a questo!
Un abbraccio,
Angie 96

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Un vero eroe ***


Il vero terrore.
Takane guardò davanti a sé con gli occhi spalancati e la bocca leggermente socchiusa: era la seconda volta che, inconsciamente, la paura era stata tale da non permetterle di muovere un solo muscolo.
Non riusciva a sentire la stretta sul braccio che Miyako, sua cugina, le stava facendo con forza, sentiva le gambe così molli che era convinta che sarebbe inciampata subito, se avesse ritrovato la forza di correre.
Erano corse al rifugio anti-calamità non appena avevano sentito la comunicazione nell'altoparlante: una calamità di livello Demone era stata avvistata in città, gli eroi si stavano impegnando per tenerla a bada e sopprimerla, diceva.
La solita voce rassicurante che, però aveva dato prova a tutte le persone presenti nel luogo di quanto quelle fossero le solite frasi di circostanza dette solo per evitare che si creasse il panico, ma se in quel momento quei civili vedevano un eroe di classe S soccombere proprio davanti ai loro occhi, allora che cosa rimaneva?
Takane pensò che fosse stupido odiare una bambina perché un suo amico aveva deciso di subire il colpo per salvarla - perché è questo ciò che fa un eroe - ma vedere quell'espressione dolorante nel suo volto non faceva altro che farle pensare: perché non sei stata zitta? Per colpa tua ora un mio amico è ferito.
Uno stupido pensiero idiota.
«Avresti potuto evitare quell'acido con facilità, ma ti sei suicidato nel momento in cui hai deciso di fare da scudo a quella mocciosa».
Una voce che le fece tremare leggermente, che quasi con tono beffardo ricordava a Genos, e a loro, che non avevano scampo, che sarebbero morti tutti e che, in realtà lui gli aveva solo fatto un po' male.
Non era al suo livello.
Anche se Saitama fosse arrivato in tempo, ad attenderlo ci sarebbe stata una strage.
 
****************************
 
«Ti avverto, Micchan, se zia Tsubasa inizia a chiamarti ogni mezz'ora appena arrivano le cinque di sera giuro che ti rompo il cellulare».
Così era iniziata quella mattina: Takane aveva fatto cinque ore in treno per andare ad incontrare "a metà strada" Miyako e passare il week-end con lei nella Città J, sveglia alle quattro e mezza per prendere il treno e, infine, la consapevolezza che sua madre aveva ragione a dirle "non te le godrai", quando glielo aveva raccontato.
Mise una mano davanti alla bocca per soffocare uno sbadiglio: la verità era che lei avrebbe voluto andare da qualche altra parte e che aveva dovuto accettare l'unico compromesso che le aveva dato sua zia per permettere alla cugina di stare da sola con lei.
«Guarda che se non le rispondo poi è capace di correre qui e riportarmi a casa per l'ansia che le ho fatto venire, e lo sai; poi qui c'è il mare, non sei contenta?».
.
Sua cugina stava sorseggiando una granita, seduta insieme a lei in un muretto piuttosto basso vicino alla stazione: nei suoi diciotto anni d'età, Miyako sembrava più grande di Takane anche nel suo modo stupidamente troppo elegante per una gita come quella, anche se caratterialmente pareva una quattordicenne.
Forse perché la obbligano a vivere in una campana di vetro e vuole vivere i suoi pochi momenti di libertà al massimo, pensò, mentre ricordava tutti gli audio carichi d'ansia ed eccitazione che le aveva inviato la sera prima, alcuni lunghi anche minuti che potevano essere riassunti in una frase.
Era una cosa normalissima, ma per Miyako sembrava un evento rarissimo che andava ricordato per sempre.
«Comunque, Takane-chan, alla fine perché il tuo amico non è venuto? Anche se Kumiko è in vacanza, almeno lui poteva venire!».
Domanda inaspettata.
Takane bevve l'ultimo sorso della lattina di coca cola, agitando le gambe contro il muretto: il tono di Miyako sembrava quasi deluso da quella scoperta, o meglio, quel pensiero era direttamente rivolto a lui.
Per lei era un mistero il perché sua cugina si fosse affezionata così tanto ai suoi migliori amici dopo averli visti solo tre volte in tutta la sua vita.
«Settimana scorsa mi ha inviato un messaggio con scritto "Col cazzo che mi sveglio alle quattro per uscire con voi", tu che dici?»
 
****************************
 
Un tifo che non avrebbe portato a nulla.
Takane supportava Mumen Rider, era forse uno degli eroi a cui avrebbe voluto stringere la mano di più in assoluto: una persona che pensava veramente al bene comune, che dava sempre il massimo.
E non importava se l'avversario che aveva davanti era impossibile da affrontare, sia lui che tutti i presenti avevano la consapevolezza che non avrebbe mai vinto.
Perché, come ha appena detto, lui è un eroe, il suo compito è affrontarlo anche se sa meglio di tutti che perderà.
Sentire anche Miyako urlare "Forza!" e altre grida d'incitamento le fece ricordare perché la gente non perdeva mai la speranza, anche in una situazione disperata come quella.
Era esattamente come lei alla stazione poco meno di due mesi fa, mentre aspettava l'arrivo di Saitama, l'eroe che arrivava sempre come un fulmine a ciel sereno.
«È arrivato.»
L'inconfondibile mantello bianco, in quel momento fradicio, quel costume giallo che sembrava uno di quelli comprati al discount per carnevale; Takane era stata l'unica ad aprire bocca, in quel momento.
«Sei stato bravo, hai combattuto bene.»
Avrebbe voluto essere in prima fila ed essere la prima voce a fargli il tifo, ad urlare che "a lui sarebbe bastato un solo pugno" per uccidere quel mostro con un tono di voce carico d'aspettativa, che loro erano salvi.
Takane era contenta, perché quella era la prima volta che la gente sarebbe stata obbligata a riconoscere il valore di Saitama, che c'erano decine di testimoni oculari, tra eroi e civili.
Che nessuno di loro avrebbe fatto finta di niente.
 
"Impostore!"
"Come osi prenderti tutto il merito delle azioni dei nostri eroi?"
"Dimettiti!"
"Mi stai prendendo in giro? Non voglio che i miei soldi finiscano nelle tasche di questo qui!"
Aveva pure sentito gente augurargli la morte, tra questi anche Miyako.
Era bastata una sola frase di Saitama a cambiare tutto.
Una di quelle bugie a fin di bene a cui lei non sapeva come reagire: provare ammirazione perché lui aveva deciso di immolarsi per gli eroi caduti o urlargli contro perché probabilmente c'erano altri metodi per farlo, diversi da un suicidio alla carriera?
Avresti dovuto ricevere grida d'acclamazione.
Takane strinse leggermente i pugni, era frustrante: frustrante che tutti se ne fossero andati come se nulla fosse, prima dell'arrivo dell'ambulanza, che Genos e Saitama stessero chiaccherando come se nulla fosse e dietro di loro ci fosse un cadavere enorme con un buco al petto, mentre presumibilmente Mumen Rider ascoltava i loro sproloqui sulla cena con un'espressione che lei, da quella posizione, non riusciva a vedere.
«Dai, Takane, andiamo via, ho già fatto le foto all'essere misterioso!».
Frustrante che pure Miyako l'avesse presa con leggerezza.
«Torna a casa, sono sicura che gli zii saranno in pensiero per te».
E il cellulare ti sta vibrando da almeno mezz'ora.
Era la prima volta che usava un tono così distaccato con lei, di solito erano così legate che la gente le scambiava quasi per sorelle.
«E la nostra vacanza?».
«Hai visto che cosa è successo? La vacanza è saltata!».
Non la stava neanche guardando in faccia, voleva solo che capisse, che non si mettessero a litigare e che lei se ne andasse senza fare storie.
«Almeno mi accompagni in stazione?»
Mi dispiace, ma devo fare una cosa.
«No.»
Non si voltò nemmeno, quando si sentì salutare con un tono quasi triste, come se volesse farla sentire in colpa: Takane si ricordò di quando le aveva parlato di Saitama e Genos in maniera poco specifica solo perché era sicura che un giorno glieli avrebbe presentati a sorpresa, ignorando che lei si sarebbe comportata - giustamente - come gli altri, facendola quasi sentire più delusa di quanto avrebbe voluto.
Sospirò, magari le avrebbe chiesto scusa, una volta tornata a casa.
 
«Non è anti-igienico stare vicino a un cadavere in putrefazione?».
Takane sapeva che non era il miglior modo per iniziare la conversazione, che il cadavere di quel mostro, in realtà, era freschissimo, nonostante la puzza di pesce, ma non aveva trovato nessun altro spunto che sembrasse quanto meno "naturale": aveva scavalcato il buco del rifugio senza difficoltà solo per rendersi conto che le veniva la nausea a star lì vicino.
«Ah, sei tu... stavo giusto discutendo con Genos sul fatto che mi era venuta voglia di mangiare pesce».
Il solito tono senza alcuna sfumatura di Saitama, in quel momento, aveva appena detto qualcosa di terrificante: lo aveva visto lanciare uno sguardo al cadavere dietro di lui come se fosse la cosa più normale del mondo, facendole passare la voglia di sgridarlo o congratularsi con lui per quello che era appena successo.
Ew.
Improvvisamente, le era venuto il terrore di aver mangiato qualcosa dalla dubbia provenienza tutte le volte che era andata a casa dell'eroe, che quel profumo dalla cucina nascondesse qualcosa di terrificante.
Le era venuto un conato di vomito solo al pensiero di una cosa del genere.
«Piuttosto ti offro io la cena, ma non portare più la carcassa di un mostro a casa per trasformarla in cibo, per favore».
 
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Era la prima volta che assisteva ad una perdita così schiacciante da parte di Saitama: proprio come un ragazzino che non si rendeva conto delle conseguenze delle proprie azioni, avere delle reazioni così irritate all'ovvio le faceva venir voglia di dirgli te lo avevo detto, senpai con un ghigno stampato in faccia.
«Oh, questa è la calligrafia di mia cugina!».
Takane indicò un foglio tutto giallo dove vi era scritto, in modo piuttosto infantile, un "pelatone puzzolente" sottolineato, lasciandosi scappare una risata per quanto una roba del genere fosse qualcosa che si sarebbe aspettata da un bambino di cinque anni, piuttosto che da una diciottenne.
Devo ringraziare Micchan per questo.
Dal canto suo, le reazioni degli altri due erano state esattamente quelle che si sarebbe aspettata in una situazione: Saitama la stava guardando male, mentre Genos aveva la faccia di una persona che era a tanto così da bruciare tutti quei fogli.
«Eddai, non guardatemi così, alcune lettere non hanno nemmeno dei veri insulti!» disse, cercando in tutti i modi di non scoppiare a ridere rumorosamente dopo aver letto “Tua madre è grassa!” in un altra lettera con tanto di disegnino stilizzato che raffigurava una donna pelata: Takane pensò che, anche se un po' se lo meritava, la delusione di Saitama nel ricevere tutte quelle fanmail doveva essere stato tale che non stava neanche riuscendo a prenderla sul ridere, almeno per quanto riguardava i suoi limiti.
Perché lei non era convinta che l'avrebbe mai visto esternare qualche emozione come ad esempio facevano lei e Genos, proprio perché era diverso alla persona che lei aveva conosciuto anni fa: non avrebbe davvero riso per una battuta, non si sarebbe mai messo a piangere per un film stupidamente drammatico, forse non si era nemmeno mai davvero arrabbiato con loro tanto da interessarsi davvero a quello che gli succedeva intorno.
E forse non era poi davvero una cosa così negativa, perché sia a lei che al cyborg andava bene così.
«Guarda, questa lettera invece è piena di scarabocchi!».
 
«Secondo te perché l'Associazione Eroi lo ha convocato?».
Vogliono dirgli che lo avrebbero promosso in classe B, ma le voci sul suo conto sono arrivate anche alla commissione e hanno deciso di buttarlo fuori a calci per non macchiare ulteriormente la loro reputazione?
Takane era sdraiata sul pavimento, telecomando poggiato sulla pancia mentre guardava un talk show estremamente poco interessante dove un'attrice confessava al conduttore di aver sempre voluto diventare un'eroina professionista, e ironizzava sul fatto di non essere mai riuscita a passare l'esame d'ammissione anche dopo averci provato 3 volte: dalla cucina invece si sentiva del profumo di carne che, in risposta, fece brontolare rumorosamente il suo stomaco.
Carne di cui si era accertata la provenienza almeno tre volte.
Non che fosse certa che se ne sarebbe accorta, a dire la verità.
«Si saranno accorti del valore del maestro e avranno deciso di promuoverlo direttamente in classe S».
Genos aveva uno strano modo per mostrare "rispetto" verso una persona, che lo faceva sembrare più un fanboy che un normalissimo allievo.
Sì, come no.
Il suo stomaco fece un rumore che le sembrò più una richiesta d'aiuto che altro.
«Dai, ordiniamo qualcosa, ormai sono le nove e non abbiamo ancora mangiato!».
 
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Takane aveva l'impressione di aver quasi sprecato la propria estate: non aveva avuto nessuna vera esperienza indimenticabile, a parte qualche spiacevole esperienza che aveva contribuito a portarla a lasciare, a poco a poco, l'appartamento al quartiere fantasma, ora quasi del tutto spoglio.
Quella mattina aveva svuotato l'armadio, pensando che sarebbe potuta comunque andare a casa di Saitama e Genos quando voleva anche senza dover vivere in un posto pericoloso come quello, e poi aveva preso il primo treno per la Città S di fretta, quasi come se avesse chissà quale appuntamento importante.
E aveva finito per far ondeggiare leggermente l'altalena su cui, negli anni, si era seduta così tante volte da ricordare pure lo scricchiolio che emetteva ogni volta che qualcuno ci saliva, in parte dovuto al fatto che probabilmente era vecchia di almeno 10 anni.
Non aveva nemmeno detto ai suoi genitori che aveva incontrato l'essere misterioso che aveva attaccato la Città J tre settimane prima per non farli preoccupare, e in parte il motivo per cui lei aveva deciso di spostarsi definitivamente nell'appartamento in centro.
In realtà, lo aveva detto solo a Kumiko, che l'aveva quasi stritolata in un abbraccio, obbligandola a prometterle di non avere più incontri ravvicinati con "quei cosi terrificanti", come li chiamava lei. Come posso farti una promessa che molto probabilmente non potrò mantenere?
Per lo meno non aveva incrociato quel boss alieno che Saitama aveva detto essere così forte da averlo spedito sulla luna con un calcio, quello che era quasi sicuro si chiamasse Boris o qualcosa di simile, che aveva distrutto la Città A con la sua astronave, da quello che le era stato detto. Nemmeno Genos aveva assistito allo scontro, quindi Takane non sapeva quanto di quello che aveva sentito fosse vero.
Anche perché nemmeno uno come Saitama sopravviverebbe senza ossigeno, altrimenti non sarebbe umano.
Alzò lo sguardo: il parco della città S era quasi vuoto anche per l'orario in cui era arrivata, non c'era neanche quella coppia di vecchietti che vedeva sempre alla solita panchina all'ombra.
Panchina che ora era occupata da un bambino che non conosceva, intento a leggere qualcosa che lei non riusciva a vedere bene da quella distanza.
«Non sei un po' troppo grande per giocare con l'altalena, senpai?».
Senti chi parla, allora perché hai occupato quella accanto alla mia?
E dire che gli aveva inviato quell'audio un quarto d'ora prima perché Kumiko le aveva scritto che non riusciva ad uscire perché "era stata incastrata" in un pranzo dal suo fratello più grande e famiglia di lui, avrebbe dovuto ricevere un saluto colmo di gratitudine, per lo meno.
«Non è un po' incoerente da parte tua farmelo notare ora che stai facendo la stessa identica cosa, Garou?».
 
 
 
 
L'angolo dell'autrice:
Sapete, mentre scrivevo questo capitolo mi sono venute in mente un sacco di domande: come avrei reso il plot twist (che poi non lo è mai stato) sull'amichetto di Takane, se bridget sta ancora leggendo questa fic, anche se ormai la sto scrivendo più per me e per quella senpai che mi dedica fin troppe cose che per lei, se la smetterò mai di scrivere pezzi inutili nei miei capitoli (o di smetterla di farli troppo frettolosi), semmai sarò in grado di rendere bene ciò che verrà.
Perché nel capitolo successivo entreremo nel vivo della storia, e sarà bellissimo.
No, non è vero, non sono pronta neanche io a scriverlo.
Grazie per aver letto!
Un abbraccio,
Angie 96

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