La giusta via

di Sophja99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino ***
Capitolo 2: *** Ma le impronte che hai lasciato ***
Capitolo 3: *** The way home ***



Capitolo 1
*** Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino ***


1

Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino


22 dicembre


Megan diede un calcio ad un sassolino, per ingannare l'attesa e sfogare la stizza che provava, e rimase ad osservare le nuvolette di condensa che uscivano dalla sua booca tutte le volte che respirava. Non era abituata ad un freddo tanto pungente; per questo, appena uscita dall'edificio, aveva subito chiuso la cintura lampo del giacchino fino al collo, per poi cingerlo con una pesante sciarpa e coprirsi le mani con dei guanti. Finalmente, dopo qualche minuto, che, tuttavia, le parvero un'eternità, vide una macchina nera svoltare l'angolo e fermarsi di fronte all'uscita dall'aeroporto di Lourdes-de-Blanc-Sablon, al nord del Canada. Il mezzo si fermò davanti a lei e Megan, riconosciuta subito la figura che sedeva al volante, si sbrigò a riporre le due valige che si era portata dietro nel portabagagli. Quindi, una volta aperta la portiera, si fiondò nella macchina, per proteggersi dal gelo di dicembre.

«Però, non è male questa macchina» affermò Megan, gettando lo sguardo sul cruscotto e intorno a sé, mentre aspettava di scaldarsi prima di iniziare a spogliarsi.

«Ovvio che lo è» ribatté la madre, Aline. «Con quello che è costata!»

«Capirai! Per quattro giorni... Di certo non è nulla rispetto all'aereo» Megan roteò gli occhi.

«Ti ho vista. Smettila di farlo» la riprese Aline.

«Certo...» Megan voleva bene a sua madre, naturalmente, ma certe volte il suo comportamento la faceva proprio impazzire. Non era una di quelle severe e rigide, che non permettevano ai propri figli di fare nulla, ma, anzi, era l'esatto opposto. Perennemente sbadata e con la testa fra le nuvole. Megan sapeva che non lo faceva apposta, ma talvolta proprio non riusciva a sopportarla e puntualmente finivano ad urlarsi contro, la madre che la sgridava e lei che la ignorava o le rispondeva male. Ultimamente, poi, la situazione era anche peggiorata: non riuscivano a passare una sola giornata senza litigare. Forse era proprio quello uno dei motivi che avevano spinto la madre a proporle un viaggio in Canada, dai suoi genitori, per natale, da cui l'aveva portata solo una volta da quando Megan era nata (ed ora aveva diciassette anni).

Dopo qualche minuto l'aereoporto sparì e lasciò il posto alle case di Blanc-Sablon dai tetti a punta tipici di quelle zone fredde, contornate da una lunga e desolata landa interamente ricoperta di neve. In lontananza Megan poteva scorgere la costa e il mare, sebbene a quella distanza non riuscisse a definirlo bene e capire se fosse ghiacciato oppure no.

«Mamma» la chiamò di punto in bianco Megan, rompendo l'innaturale silenzio che si era andato a creare nell'abitacolo.

«Sì?» rispose quella, senza staccare gli occhi dalla strada.

«Sei certa di ricordare la strada per il paese dei nonni? Non sarebbe meglio comprare una mappa?»

«Credi che mi sia scordata tutto?» ribatté l'altra, quasi con ripicca. «Tranquilla; la tua avveduta madre ricorda benissimo il percorso.»

«Ok, ok» affermò Megan, interrompendola prima che si tuffasse in un altro dei suoi lunghi e interminabili discorsi. «Allora quanto è lontano da qui?»

«Penso...» la madre fece una pausa, riflettendo. «Due ore?»

Fantastico... pensò Megan. Altre due ore da sola con mamma. Accese la radio per colmare il silenzio che la faceva sentire a disagio.

Per un po' trascorse il tempo a guardare il paesaggio dalla finestra, ma presto si cominciò ad annoiare e a muovere inquieta sul sedile, che iniziava a sembrarle incredibilmente scomodo. Cercò di prendere sonno, ma tutte le volte che chiudeva gli occhi e finalmente sprofondava nell'inconscenza, veniva puntualmente svegliata dalla macchina sballottata dalle pietre della strada o dal minimo rumore, come la musica della radio. Guardò l'orologio della macchina: era passata solo un'ora, quando le era parsa un'eternità. Rimase quasi delusa.

«Mi annoio...» bofonchiò Megan, guardando distrattamente la strada davanti a lei.

«Dai che siamo quasi arrivate!» affermò la madre, stranamente euforica. «Pensa che poi potrai darti alla pazza gioia con lo shopping e il divertimento, tutto con tua madre.»

«Non vedo l'ora» mormorò la ragazza, tutt'altro che esultante all'idea.

«Andiamo! Sarà divertente. E così potremo passare più tempo insieme» affermò Aline, rivolgendole un sorriso a trentadue denti.

«Che bello» fu l'unico, atono commento della ragazza, che si richiuse di nuovo nel suo mondo, guardando fuori dal finestrino e cercando di ignorare la presenza della madre.

Non riusciva proprio a capire perché sua madre avesse a tutti costi deciso di portarla in Canada per le vacanze di natale. Quando Aline le aveva comunicato di aver comprato due biglietti per l'aereo per Blanc-Sablon, lei inizialmente era rimasta attonita, senza riuscire a realizzare cosa le avesse appena detto, e, subito dopo aver capito, si era arrabbiata, e anche molto. Si era già organizzata per passare tutto il suo tempo libero con le amiche e, invece, tutto a un tratto saltava fuori sua madre, estasiata, con la ricevuta in mano del pagamento dei biglietti. Inutile dire che aveva dato in escandescenze e aveva minacciato di non venire con lei e far andare sprecati i soldi spesi per il suo biglietto, ma il giorno successivo, quello che doveva passare a casa del padre, poiché i suoi genitori avevano divorziato pochi anni prima, questo, sicuramente avvertito da Aline, aveva cercato di calmarla e farla ragionare, facendole comprendere che le avrebbe fatto bene una vacanza per riposarsi e, soprattutto, andare ad incontrare i nonni che non vedeva ormai da troppo tempo. Megan, alla fine, si era lasciata convincere dal padre ad accettare, nonostante la prospettiva di passare cinque giorni sola con la madre e con parenti che a malapena ricordava le facesse accapponare la pelle.

Si chiese quando il rapporto con Aline fosse diventato così complicato: lei aveva sempre avuto un legame più forte con il padre e il divorzio non aveva fatto altro che dividerla ancora di più da sua madre. Certo, da piccola non aveva sentito tanto il distacco, sebbene si fosse ben resa conto che i suoi genitori non vivevano più insieme e avesse sofferto molto per questo, mentre con il passare degli anni la frattura che si era creata con la madre si era ingigantita sempre di più e il loro rapporto era andato a rotoli. Una parte di lei si dispiaceva per questo, ma non riusciva proprio a farci nulla e certamente la madre non le rendeva le cose più facili, con il suo carattere a tratti un po' infantile e difficile.

Mentre guardava le lande imbiancate fuori dalla macchina, contornate dai colori arancioni, rosa e viola del tramonto inoltrato, cercò di distogliere la mente da quel sofferto argomento e si chiese, invece, come mai i nonni avessero deciso di andare a vivere proprio lì, a Red bay, uno dei pochi centri abitati della zona. Nulla a che vedere con le metropoli degli Stati Uniti che da sempre sognava di visitare; le veniva quasi da piangere a pensare a quanto queste fossero vicine al Canada e a lei, - molto più dell'Inghilterra -, quando, invece, lei era costretta ad andare in un paese dimenticato da tutti, probabilmente anche dai suoi stessi abitanti.

Dopo un quarto d'ora, del sole non rimanevano altro che pochi raggi, che ancora mandavano barlumi di luce sulle tonalità dell'arancione, ma, tuttavia, questi già lasciavano il passo all'azzurro e il blu del cielo, in più punti coperto da grandi nuvole che facevano presagire maltempo. Man mano che i minuti passavano, la luce del sole si faceva sempre più debole, mentre l'oscurità della notte avanzava senza tregua. Nonostante Megan non avesse alcun interesse a rimenere in quelle terre fredde e sperdute, doveva ammettere che il panorama fosse meraviglioso: l'orizzonte non era coperto da case o montagne e poteva vedere chiaramente ogni passaggio del sole, che sembrava letteralmente tuffarsi sotto la terra.

«Quanto manca?» domandò Megan, assonnata, ma attenta a qualunque cartone stradale che potesse indicare quanto ancora fossero distanti dalla città, sebbene questi non sembrassero esserci.

«Dovremmo arrivare tra mezz'ora» rispose Aline, mentre mandava la macchina a tutta birra sulla strada. All'improvviso i fanali accesi illuminarono un cartello molto più piccolo rispetto a quelli che si trovavano in Inghilterra, ma Megan riuscì solo a vedere che indicava un'altra strada di un bivio che la madre, nella velocità a cui andava la macchina e per l'oscurità, non aveva notato, e a leggere la parola Red. “Red di Red Bay? La città dei nonni?” si chiese Megan, nonostante il sonno accumulato dal giorno di viaggio in aereo. «Mamma» la chiamò, subito allarmata.

«Sì, tesoro?»

«Credo che abbiamo sbagliato strada.»

«Ma cosa dici?» ribatté la madre, sorridendo.

«Ho visto il cartello di Red Bay che indicava dall'altra parte. Come cavolo hai fatto a non accorgertene?»

«Megan, ricordo bene la strada per Red Bay ed è tutta dritta. Sarà stato il sonno a fartelo immaginare. E poi non dire certe parole davanti a me.»

«Perché non mi credi mai?» Megan alzò la voce. «Abbiamo sbagliato strada! E, tanto per la cronaca, cavolo non è una parolaccia e penso che a diciassette anni posso anche usare parole da adulta, come caz...»

«Non ci provare!» la interruppe la madre, coprendo con voce imperiosa la fine della frase. «Fino a prova contraria sei ancora minorenne e sotto la mia autorità: perciò, in mia presenza, non si dicono parolacce e si fa quello che dico io, capito?»

Megan sbuffò. Quando sua madre si impuntava, non c'era verso di convincerla del contrario. «Capito» disse, suo malgrado. «E allora come la mettiamo con il cartello?»

«Continuiamo finché non arriviamo a Red Bay.»

«Toglimi una curiosità: quando è stata di preciso l'ultima volta che sei venuta qui?»

«Quando ci ho portato te: tredici anni fa.»

«Grandioso» rispose la figlia, che aveva solo pochissimi ricordi di quella vacanza, poiché allora aveva cinque anni. I pochi che rammentava li aveva recuperati guardando le foto scattate con i nonni. «Avremmo fatto meglio a comprare la mappa.»

Stranamente, la madre non commentò; si limitò a gettarle uno sguardo scocciato, prima di volgere nuovamente la sua attenzione alla strada. Megan chiuse di scatto la radio, che già da un po' non mandava più segnale e aveva iniziato a trasmettere solo un rumore fastidioso. «Potresti almeno rallentare?» domandò poi, irritata, la ragazza. «Così magari riesco a vedere qualcosa.»

Aline emise uno sbuffo, anch'essa piccata, ma la velocità a cui andava la macchina diminuì leggermente. I minuti passavano e di Red Bay non c'era nemmeno l'ombra. Dopo un'altra mezz'ora di viaggio, a Megan sembrava ovvio che avessero sbagliato strada, per colpa della cocciutaggine della madre, ed ora non c'era più verso di tornare indietro, poiché si stava facendo tardi e anche la benzina si stava iniziando ad esaurire. Non potevano far altro che continuare e sperare di trovare un distributore e un albergo di fortuna, ma quella strada e i d'intorni sembravano totalmente deserti. Non c'era neanche l'ombra di centri abitati. Mentre Megan era impegnata in questi pensieri, si accorse da lontano che sul ciglio della strada c'era un piccolo cartello, sebbene parecchio rovinato soprattutto sui lati, con su scritto Whitby Habour e che indicava per una stradina laterale.

«Mamma, gira! Prendi per quella via» affermò, afferrando la spalla di Aline.

«Ma non sappiamo dove porti!»

«Non abbiamo altra scelta» si sbrigò a spiegare Megan, prima che la macchina oltrepassasse il bivio e che non ci fosse più speranza di trovare un posto dove passare la notte. «Devi ammetterlo: ci siamo perse. Inoltre, stiamo per finire la benzina e questo è l'unico paese nelle vicinanze dove poter fare rifornimento.»

La macchina rallentò, mentre Aline prendeva in considerazione le riflessioni della figlia. Guardò, indecisa, il cartellone logoro che indicava la presenza del paese, ma, infine, premette il pedale del'acceleratore e svoltò nella stradina.



Passarono per una strada circondata da un fitto bosco, stretta e sterrata, in cui la macchina sobbalzava continuamente per la presenza di grandi sassi e buche mai coperte o asfaltate. «Vai piano!» Megan avvertì la madre. «Rischi di bucare una gomma. E poi su una strada ricoperta di neve bisogna sempre andare piano.»

«Si può sapere quanto è lontana questa fantomatica Whitby Harbour?» domandò Aline, sfastidiata dali consigli della figlia.

«Pensi che io lo sappia?» rispose con una domanda a sua volta la figlia, proprio con l'intento di irritarla. La madre non rispose, ma era evidentemente piccata dall'atteggiamento di Megan.

Dopo dieci minuti, che, tuttavia, parvero ad entrambe un'eternità, finalmente il bosco si aprì e la macchina sbucò in un enorme spiazzo che dava direttamente sul mare. Megan tirò un sospiro di sollievo come vide delle case, sebbene queste non fossero illuminate da nulla che rasentasse un lampione. L'unica fonte di luce proveniva dalle finestre di poche case, i cui abitanti, nonostante l'ora, dovevano essere ancora svegli. Aline parcheggiò l'auto dove non avrebbe dato problemi a nessuno e spense i motori. «Andiamo a vedere se qualcuno potrà aiutarci» affermò la madre, mentre Megan si infilava e allacciava di nuovo il giacchino con le varie coperture e usciva dalla macchina.

Madre e figlia si avviarono verso il centro abitato poco distante da dove avevano lasciato l'automobile. Da quel poco che riuscivano a vedere, non doveva essere troppo popolato; le case erano davvero poche e di certo mancava degli elementi moderni che erano divenuti ormai indispensabili per molte città, come i lampioni. Si diressero dove si trovava la maggiore concentrazione di abitazioni, a formare un'unico stradone solitario, e lo percorsero gettando continuamente occhiate verso destra e sinistra, alla ricerca di un albergo o almeno di un bed and breakfast. Mentre camminavano, Megan sentì qualcosa di soffice e umido posarsi sulla sua mano e, inizialmente, credette che si trattasse di pioggia. Tuttavia, quando andò a guardare meglio e sollevò il viso verso l'alto, vide che in realtà aveva iniziato a nevicare. Mentre era intenta ad osservare i fiocchi che lentamente si calavano sul paese, il suo sguardo cadde su un edificio su cui capeggiava un cartello in legno evidentemente corroso dal tempo. Qui vi era iscritto e, in seguito, pitturato con la tinta nera Whitby Harbour's Hostel. Toccò il braccio della madre e le indicò l'ostello. «Non è granché, ma, visto come è ridotto questo paese, credo che sia il massimo che potremo trovare qua.»

«Proviamo» disse Aline e si affrettò verso l'edificio. Tirò la porta, che si aprì scricchiolando e facendo suonare un piccolo campanello attaccato sopra le loro teste. Entrarono e rischiusero la porta dietro di loro. La stanza in cui era entrata era illuminata solo da una piccola stufa che ben poco riusciva a constrastare il freddo della notte. Le pareti e il pavimento erano di legno e l'unico mobile visibile era una scrivania piena di scartoffie, insieme ad una sedia. Megan notò che la pareti erano piene di quadri e foto, molte delle quali in bianco e nero, altre più recenti e a colori, che raffiguravano principalmente pescatori sulle loro barche che mostravano fieri le loro prede. Intuì che quello dovesse essere un paese che viveva principalmente di pesca, data la vicinanza del mare e la distanza da ogni altro centro abitato.

«C'è nessuno?» domandò Aline e dovettero attendere qualche minuto prima di sentire dei movimenti al piano superiore e, poco dopo, la luce spuntare dalle scale collegate alla stanza, da dove scese con non poca fatica un'anziana donna con una torcia in mano. Quindi, la spense e accese invece la luce di una lampadina infissa sul soffitto, che, seppur debole, aiutò a rendere la stanza un poco più visibile.

«Posso aiutarvi?» domandò la donna in un inglese meno marcato di quello parlato da Megan e la madre. «Io sono Olivia, la proprietaria dell'ostello.»

«Buonasera» affermò educatamente Aline, presentando a sua volta lei e la figlia. «Vorremmo prendere una stanza per la notte. Stavamo andando verso Red Bay, ma abbiamo sbagliato strada...»

«Red bay?» chiese quella, aggrottando la fronte. «L'avete oltrepassata diversi chilometri prima.»

Megan lanciò uno sguardo acusatore alla madre, che questa ignorò. «L'abbiamo intuito, ma temo che non potremo ripartire prima di domani mattina. Per questo abbiamo bisogno di una stanza per la notte.»

«Naturalmente!» esclamò l'arzilla anziana, affrettandosi verso il bancone. «Tutte le stanze sono libere. Forse saranno un po' impolverate, ma non tanto da dare fastidio. Sapete, in questo periodo non c'è praticamente nessun turista.»

«Non si preoccupi. Tanto rimarremo solo per questa notte» ribatté Aline, afferrando le chiavi che la signora le aveva teso e su cui capeggiava la scritta 20.

Aline si occupò poi del pagamento e, in seguito, tornò fuori a prendere le valigie dalla macchina. «Mamma, come faremo a contattare i nonni?» chiese Megan, quando Aline fu rientrata all'ingresso dell'ostello. La ragazza mostrava il suo antiquato telefono di fronte alla madre, indicando il segnale praticamente assente. Un'altra questione su cui più e più volte Megan aveva litigato con lei era proprio per il cellulare: la ragazza aveva sempre desiderato avere un iPhone moderno, come quello che avevano tutti i suoi coetanei, ma la madre si era categoricamente opposta, rifilandole un telefono con cui era impossibile fare qualcos'altro oltre a chiamare e mandare sporadici messaggi.

«Mi scusi» disse, quindi, la madre, richiamando l'attenzione della signora che si era seduta dietro il bancone ad occuparsi di vari fogli spiegazzati. Quella sollevò il capo, guardandola con un lieve sorriso in volto. «C'è un modo per contattare i nostri parenti? Un telefono?»

«Sfortunatamente nessuno di noi lo possiede in casa. È inutile dato che non funzionano. Però, ne possediamo uno, messo a disposizione di tutta la comunità.»

«Dov'è?» domandò Megan.

«Di fuori, ma vi consiglio di andare domani mattina perché ha iniziato a nevicare e si preannuncia una bufera.»

«No, devo avvertirli subito, altrimenti si preoccuperanno da morire» sostenne Aline. «Megan, tu, intanto, porta le valigie nella stanza» aggiunse, passando le chiavi alla figlia, prima di uscire dall'ostello ed essere inghiottita dalla nevicata.

«Vieni» disse Olivia con un sorriso, indicandole le scale. «Ti mostro la camera.»


Megan si infilò la maglietta di lana del pesante pigiama, alla ricerca di un po' di calore, per poi gettare lo sguardo alla stanza e al mobilio. In fondo, non era poi così male: aveva due letti a castello, due comodini, un armadio e un bagno. Di certo, nulla in confronto agli alberghi in cui era solita alloggiare durante i suoi viaggi in Inghilterra e in Europa. Alla fine, la polvere non si era rivelata un grosso problema: ricopriva gli angoli più remoti del pavimento della stanza e alcuni mobili, ma nulla che rendesse la permanenza invivibile.

Dopo pochi minuti la porta si aprì e la madre fece capolino all'interno della stanza. «Allora?» domandò Megan, che si era già immersa nelle coperte del letto.

«Sono riuscita a trovare il telefono e chiamare mamma e papà» disse, mentre si toglieva il cappotto e andava ad aprire la cerniera della valigia per prendere il suo pigiama. «Gli ho spiegato la situazione e hanno detto che ci verranno a prendere il prima possibile. Cioè, domani mattina.»

«Mi chiedo come è possibile che in tutto il paese ci sia solo un telefono» rifletté Megan. «So che non è molto grande, ma, addirittura, uno solo? Non è scomodo?»

«Non lo so, ma a loro non sembra dare fastidio. Certo, non che quel telefono sia molto moderno... Anzi, è in condizioni peggiori delle nostre cabine telefoniche più dissestate.»

«Beh, se loro si trovano meglio così...» mormorò la ragazza, poco prima di socchiudere gli occhi. «Buona notte.»

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Capitolo 2
*** Ma le impronte che hai lasciato ***



2

Ma le impronte che hai lasciato


23 dicembre


«Mamma, cosa hanno detto?» domandò Megan, ancora a letto, stroppicciandosi gli occhi assonnati. La madre era uscita presto dall'ostello per telefonare ai genitori e avere notizie ed era appena rientrata nella stanza, con in viso un'espressione mogia.

«Hanno detto che oggi non potranno venirci a prendere. Hanno saputo stamattina che la strada che collega Whitby Harbour a Red Bay è impraticabile a causa della tempesta di neve di stanotte. Dicono che nevicate del genere sono molto frequenti da queste parti e per la grande quantità di neve sulla strada sono stati costretti a chiuderla momentaneamente, fin quando non inizieranno i lavori per rastrellarla via.»

«Mamma! Domani è la vigilia di Natale e noi rischiamo di passarla qua, sperdute in un paesino dimenticato da Dio!» trillò Megan, alzandosi e iniziando a rivestirsi.

«Lo so bene, Megan, ma non posso farci nulla.»

«Invece sì!» le urlò contro la figlia. «Sì, c'era qualcosa che potevi fare. Ascoltare me per almeno una volta e prendere la strada giusta. O magari non costringermi a venire qui con te.»

«Non parlarmi in questo modo» la ammonì Aline.

«Vorresti dirmi che non è vero? Che non è colpa tua? Se non ti fossi fatta venire in testa la strana idea di andare nel nord del Canada per le vacanze di Natale, io ora starei a casa, con papà e le mie amiche, con cui di certo mi divertirei molto di più che qui insieme a te» Megan tirò fuori tutto ciò che sentiva dentro, tutto il disprezzo, l'incomprensione e le sue paure che si ra tenuta per mesi. «Sai, forse se non avessi chiuso con papà e chiesto il divorzio, noi saremmo ancora una famiglia unita e felice. Invece, sono costretta a rimbalzare ogni giorno da casa tua a quella di papà, il che mi fa sentire come se non ne avessi effettivamente una. E tutto questo a causa tua» sibilò e, quando ebbe terminato di vestirsi e si fu messa il cappotto e la sciarpa, uscì dalla stanza sotto lo sguardo stupefatto e addolorato della madre.

Aline rimase per diversi minuti immobile a fissare la porta spalancata dalla figlia, che nella furia della corsa si era dimenticata di richiudere, come covando la speranza che quella la varcasse da un momento all'altro e tornasse per chiederle scusa. Eppure, conosceva bene Megan e sapeva per esperienza che era fin troppo orgogliosa per arrivare a pentirsi di un suo comportamento e scusarsi. Dopo poco, capì che non sarebbe tornata e si decise ad uscire e fare le scale, per poi, tuttavia, bloccarsi nuovamente nell'atrio dell'ostello, realizzando di non sapere dove andare, se era meglio uscire a cercarla e parlarle o rimanere dentro.

«C'è qualche problema?» chiese Olivia, della cui presenza Aline non si era nemmeno accorta. La sua improvvisa domanda destò con violenza la donna dalla marea di pensieri che rischiavano di farle scoppiare la testa e la fece sussultare. «Scusa, cara. Non era mia intenzione spaventarti, né impicciarmi delle vostre faccende.»

«Oh, non si preoccupi» esclamò subito Aline, cercando di darsi un po' di contegno. «Non è assolutamente impertinente. Il fatto è che non riesco proprio a capire mia figlia. L'ho cresciuta con tutto l'amore di cui sono stata capace, ma ora questo non sembra più bastare. Ormai non è più una bambina, - lo so bene -, ma talvolta è difficile ricordarsi che Megan è diventata una ragazza, che ha bisogno dei suoi spazi. Non so... Mi sembra che tutto nella mia vita mi stia sfuggendo dalle mani e non riesca più a controllarlo, sin da quando ho capito che il mio matrimonio stava andando a rotoli e ho chiesto il divorzio.» Aline parlò velocemente, come se questo bastasse a svuotarle la testa e liberarla da tutti i suoi problemi. Guardò la donna, temendo che quella si stesse annoiando o la guardasse scocciata, ma si rese conto che, invece, la stava osservando, annuendo interessata. «Ecco... Io non so più come comportarmi con lei.»

«I figli sono meravigliosi e allevarne uno è ciò che di più bello possa capitare, ma allo stesso tempo portano con sé miliardi di pesi e responsabilità. Non conosco bene tua figlia, ma da ciò che ho potuto vedere, ho capito che è una ragazza risoluta e piena di risorse. Sta diventando grande, come accade ed è accaduto ad ognuno di noi, e tu, -se posso permettermi di darti del tu-, devi semplicemente imparare ad accettarlo e trattarla non più come una bambina, ma come una piccola donna.»

«Come?» chiese Aline, sospirando, per nulla infastidita che Olivia le si fosse rivolta in seconda persona.

«Ascoltandola. Accogliendo i suoi consigli e guardandola sotto un'altra prospettiva, per ciò che sta davvero diventando: una donna.»

Aline si prese qualche secondo per rimurginare sulle parole dell'anziana, per poi guardarla con riconoscenza. «Grazie.»

Quella le rivolse un sorriso.


Megan percorse di corsa il corridoio e le scale che portavano al pianoterra e, senza rivolgere la parola alla proprietaria dell'ostello, uscì fuori. Prese una grande boccata d'aria e respirò profondamente, prima di ricominciare a correre, ma stavolta verso la spiaggia.

Non riuscì a capire dove finiva il terriccio della strada e iniziava la sabbia, sempre se c'era, poiché tutto era ricoperto da uno spesso strato di neve, in cui Megan affondò gli stivali. Per lei fu un sollievo trovarsi di fronte al mare, cullata dalle potenti onde che si andavano a infrangere sulla spiaggia e sferzata dal vento. Eppure, tutto questo ancora non sembrava bastare a calmarla. Vide accanto a sé alcune rocce e sassi che spuntavano sulla neve e tentò di placare la rabbia che sentiva dentro, dandogli un calcio. La pietra non si mosse di molto, poiché impedita dalla neve, e Megan si guadagnò anche un lieve dolore all'alluce del piede.

«Così ti farai male» esclamò una voce da ragazzo dietro di lei, in un inglese simile a quello con cui aveva già sentito parlare Olivia. Megan si voltò e si trovò davanti un giovane dai capelli castani e coperto solo da un giacchino sbottonato fino alla metà, da cui si intravedeva sotto un maglione di lana, e da un cappello. La ragazza lo paragonò al modo in cui era vestita lei e si sentì quasi ridicola, sebbene non potesse farci nulla. Infatti, Megan aveva indossato qualsiasi indumento si era portata e che poteva darle un po' di sollievo dal gelo di quelle terre. Non era abituata ad un freddo tanto pungente e la sua poca resistenza era evidente, mentre il ragazzo doveva essersi ormai adattato a quelle temperature basse.

«Cosa?» domandò, interdetta.

«Che ti ha fatto di male quel sasso per meritarsi un tuo calcio?» Il ragazzo sorrise, mettendosi le mani in tasca.

«Lui niente» ribatté Megan, volgendo lo sguardo verso il mare azzurro. «Mia madre, d'altro canto...»

«Qualche problema? Se hai voglia di parlarne, io ho del tempo libero» disse, indicando delle grandi rocce poco vicino a loro, in cui si sarebbero potuti mettere seduti. «Sono appena tornato dalla battuta di pesca di stamattina.»

«Sei andato a pescare?»

«Già, con gli altri del paese. È il mio lavoro: qui viviamo di pesca» puntualizzò. «Come ho già detto, se vuoi qualcuno con cui sfogarti, io ci sono.»

Megan rifletté per un attimo sulla proposta. Quel ragazzo era uno sconosciuto, ma non le sembrava cattivo, né un possibile criminale. E poi le avrebbe fatto bene parlare con qualcuno dei suoi problemi.

Si avvicinò alla roccia, seguita dal ragazzo, e con le mani coperte dai guanti scansò la neve che vi si era depositata. Entrambi vi si sedettero, l'uno accanto all'altra, gli sguardi rivolti verso il mare. «Comunque, io sono Cole» si presentò.

«Megan» rispose la ragazza, prima di lasciarsi andare a un lieve sorriso. «Come Megan Fox, anche se non ho neanche la metà della sua bellezza.»

«Ehm... Chi è Megan Fox?» domandò il ragazzo, inarcando un sopracciglio.

Megan si voltò a guardarlo, incredula. «Come fai a non conoscerla? È una famosissima modella e attrice.»

«Qua non abbiamo i cellulari, i computer e le televisioni avanzate come quelle che avete voi in Europa» rispose il ragazzo, facendole anche comprendere che aveva riconosciuto il suo accento e capito che proveniva dall'Inghilterra.

«Nemmeno le televisioni? Come riuscite a vivere così... fuori dal mondo?»

«Le abbiamo, ma ovviamente non moderne quanto quelle a cui tu devi essere abituata. Di certo non ci guardiamo i film o le sfilate: al massimo il telegiornale, ma abbiamo cose più importanti da fare che stare davanti ad uno schermo» affermò Cole, per poi cambiare argomento. «Tornando a te, cosa è successo con tua madre?»

La calma raggiunta da Megan durante la breve discussione con Cole si dissipò al solo nominare della fonte di tutti i suoi problemi e l'indignazione le rimontò nel petto.

«Il nostro rapporto è così... incasinato» iniziò, passandosi una mano tra i capelli castani. «Mamma e papà hanno divorziato quando io avevo dieci anni. Ero solo una bambina e l'unica cosa che ero riuscita a capire di ciò che era successo era che da quel giorno in poi non avrei vissuto più insieme a entrambi i miei genitori. La loro relazione era ormai definitivamente terminata, ma loro continuarono a tenere un atteggiamento cortese l'uno con l'altro, scegliendo l'affidamento condiviso, per cercare di rendermi lo shock del divorzio meno tremendo. Da quel momento in poi le mie giornate sono diventate un continuo spostamento dalla casa di mamma a quella di papà.»

«Deve essere stato difficile sopportarlo, soprattutto per una bambina.»

«Già, ma alla fine ci ho fatto l'abitudine. Il difficile non è stato tanto l'accettazione di questa situazione o la separazione, quanto più il fatto che mamma e papà non sarebbero più stati gli stessi di una volta. Non si sarebbero più amati. Insomma, non eravamo più una famiglia perfetta» rivelò Megan, le labbra che si sollevavano in un sorriso amaro. «Mia madre mi ha chiesto di venire qui per le vacanze di Natale per incontrare i miei nonni, ma la verità è che cercava solo un pretesto per allontanarsi da papà e dal resto della nostra famiglia in Inghilterra. Mi ha praticamente costretta a partire, impedendomi di passare queste giornate con le mie amiche nella mia città. Invece ora ci troviamo in un paese sperduto, sempre a causa di mia madre, perché ha sbagliato strada venendo qui, e non possiamo nemmeno sapere se riusciremo a raggiungere Red Bay e incontrare i nonni.»

«Non dovresti abbatterti così» disse il ragazzo, guardandola dritta negli occhi. «Non tutti gli errori sono un male: alcuni insegnano, rimarginano e possono anche aiutare. Qui c'è un detto anonimo molto celebre: Non ricorderai i passi che hai fatto nel cammino, ma le impronte che hai lasciato. Forse questo vostro viaggio qui in Canada e anche lo sbaglio commesso nella strada da prendere è un bene. Magari alla fine vi accorgerete che, invece, inconsciamente vi ha aiutate a trovare la giusta via.»

Megan sembrò riflettere sulle parole del ragazzo, senza, tuttavia, riuscire a comprendere cosa lei e sua madre potessero trarre di utile da tutta quella situazione.

«Ad ogni modo, come festeggiate il Natale in Inghilterra?» chiese lui, cambiando nuovamente argomento tutto a un tratto.

«Beh... Come tutti. Cenone in famiglia, compere nella città ricoperta di addobbi, la decorazione della casa, luci, regali, alberi di Natale e a volte anche vacanza in montagna» disse, sorridendo al pensiero di tutti I suoi Natali passati.

«Qui non si sente molto l'atmosfera natalizia» ribatté Cole. «Sono anni che non vedo più decorazioni; forse, ne avevo viste alcune da bambino, ma ormai nessuno ha più interesse nel metterle e abbellire questo microscopico paese.»

Megan rimase stupefatta per quell'affermazione. Non aveva mai preso in considerazione l'idea che in qualsiasi parte del mondo, nel Canada del nord in particolare, il Natale non venisse festeggiato. Se gliel'avesse detto chiunque altro, probabilmente non gli avrebbe creduto, ma Cole era di lì e conosceva bene le tradizioni della sua comunità.

«Perché? Insomma, non lo celebrate?»

«Sì, ma con una cena normale, come fosse un giorno qualsiasi. Non facciamo grandi cose nel periodo natalizio.»

«Beh, ma questo è davvero... triste» affermò Megan.

«Già, ma che vuoi farci? Questo posto sta diventando sempre più solitario. Io sono uno dei pochi giovani ad aver deciso di rimanere. Tutti gli altri sono andati in altre parti del Canada o addirittura in tutt'altri posti.» Detto questo, Cole iniziò a guardarsi intorno e dire: «Credo sia ora di andare. Devo aiutare gli altri pescatori con la pesca di oggi.» Si alzò e, dopo averle rivolto un ultimo caloroso sorriso, si allontanò da Megan, ancora stordita da quella chiacchierata.

La ragazza si perse per diversi minuti a contemplare il mare, mentre la sua testa veniva attraversata da milioni di pensieri e lei rimurginava sulla conversazione avuta con Cole. In particolare, si soffermò sull'ultimo argomento affrontato dai due ragazzi: il Natale a Whitby Harbour. Non riusciva a credere che lì non venisse festeggiato e che gli abitati del paese si perdessero la magia e le luci di quel meraviglioso periodo dell'anno. Si alzò di scatto, improvvisamente folgorata da un'idea, e corse quanto più rapidamente poteva verso il centro abitato. Si diresse verso il palo dell'elettricità dove il giorno prima sua madre le aveva detto che si trovava infisso il telefono. Come lo raggiunse, sollevò la cornetta e compose il numero della casa dei nonni. Sebbene non telefonasse loro spesso, aveva una fervida memoria e fortunatamente ricordava il numero. Si portò la cornetta all'orecchio, ma all'inizio sentì solo il familiare tu tu e dopo un po' cominciò a temere che nessuno avrebbe risposto, fin quando finalmente non rispose la voce inconfondibile di sua nonna: «Pronto.»

«Nonna, sono io! Megan.»

«Tesoro! Stai bene? Come mai mi hai chiamata?»

«Benissimo! Vorrei solo che mi portaste alcune cose, quando passerete a prenderci...» disse Megan, iniziando ad elencare tutto ciò che le serviva e spiegando alla nonna il suo progetto.

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Capitolo 3
*** The way home ***



3

The way home


Megan non aveva fatto parola a nessuno oltre ai nonni di ciò che aveva in mente: né a sua madre, né ad Olivia, né a Cole, le uniche persone che conosceva di Whitby Harbour. Voleva che quella rimanesse una sorpresa per tutti.

Nel frattempo, mentre attendeva che la strada tra il paese e Red Bay divenisse di nuovo praticabile e la neve venisse spalata per permettere ai nonni di partire, sfruttò quella giornata per conoscere meglio Whitby Harbour e i suoi abitanti. Durante la mattina, infatti, mentre stava facendo un giro nei d'intorni e all'interno del paese per osservarlo nella sua interezza, incontrò di nuovo Cole, impegnato a uccidere i pesci che avevano catturato con la rete insieme agli altri pescatori. All'inizio Megan provò grande pietà per quei poveri animali, ma in seguito comprese che quegli uomini non lo stavano facendo per divertimento, bensì per la necessità di sfamare la loro comunità. Cole la accolse con calore e le presentò gli altri, che si mostrarono tutti molto gentili e affabili con lei, rispondendo a tutte le domande che Megan poneva loro. Le spiegarono, infatti, i tipi di pesci che avevano pescato e le dissero che successivamente gli animali sarebbero andati al piccolo mercatino del paese, dove le persone si sarebbero recate per comprarli. Megan mostrò grande interesse e curiosità per il loro mestiere, a cui non aveva mai dato tanta importanza prima di allora, e le loro tradizioni, poiché, a quanto loro le rivelarono, sin dalla nascita di Whitby Harbour la pesca era sempre stata fondamentale per il loro sostentamento e, ancora prima, dei loro antenati.

Quando Megan gettò un'occhiata all'ororologio che aveva al polso e si accorse che era arrivata l'ora di pranzo, salutò i pescatori e Cole e fece ritorno all'ostello, dove sperava di incontrare sua madre. La chiacchierata con il ragazzo le aveva fatto salire la voglia di parlare con lei e chiarirsi. Ripercorse la strada a ritroso e tornò al locale. Come mise piede dentro, incontrò Aline, che doveva stare uscendo proprio in quel momento, forse per cercarla.

«Megan!» esclamò la madre, appena la vide. La ragazza non ebbe tempo di formulare alcuna frase, che quella la abbracciò, lasciandola senza parole.

«Mamma...» sussurrò, mentre quella la stringeva più forte a sé e la baciava tra i capelli.

«Mi dispiace» la precedette Aline. «Tesoro, mi dispiace. Non ti ho trattata come avrei dovuto e con il mio comportamento sbagliato non ho fatto altro che allontanarti da me. Finora ti ho sempre considerata come una bambina, non perché tu apparissi realmente così, ma perché che io non riuscivo a realizzare il fatto che tu stessi crescendo. Mi spaventa pensare che stai diventando un'adulta, che presto andai per la tua strada e non ti servirà più il mio aiuto.»

«No, a me dispiace di essermi comportata da vera egoista. Ho pensato solo alla mia sofferenza per il tuo divorzio da papà, senza prendere in considerazione quanto tu abbia patito nel prendere quella decisione. Non avrei dovuto darti tutte le colpe per ciò che è successo: è stato davvero crudele da parte mia e tu non lo meriti.»

Megan affondò la faccia tra i capelli della madre, come faceva sempre da piccola. Quel gesto le indondeva protezione come se la sola vicinanza della madre bastasse a farla sentire al sicuro da tutto e tutti. «Ti voglio bene.»

«Anch'io» disse Aline, mentre una piccola lacrima le rigava la guancia.


24 dicembre


Finalmente la vigilia tanto attesa era giunta, ma Megan non poté non provare un filo di ansia, oltre che di gioia per la sorpresa che attendeva tutti, perché non era certa che i nonni sarebbero riusciti ad arrivare in tempo e che non si sarebbero verificati altri impedimenti.

Digitò il numero di telefono della casa dei nonni e aspettò che rispondessero. Lo fecero dopo pochi secondi e fortunatamente le diedero la notizia che la strada era nuovamente percorribile e sarebbero partiti mezz'ora dopo, per avere tutto il tempo di radunare le cose e prepararsi. La ragazza esultò, felice che tutto stesse andando secondo i suoi piani, e, dopo aver riattaccato, si lasciò sfuggire un gridolino di gioia. Lei stessa si stupì nel farlo: non era solita manifestare le sue emozioni in modo così esplicito, ma il Natale risvegliava parti di lei che spesso nella vita di tutti i giorni era costretta a sopprimere.

Fece nuovamente ritorno alla camera dell'ostello, dove sua madre si stava ancora lavando i denti e vestendo, cercando di togliersi di dosso il sonno restante della mattina presto. Quando fu pronta, scesero all'ingresso, dove Olivia le aspettava per la colazione. In quegli ultimi giorni, questa si era gentilmente offerta di dare loro anche vitto nella sua casa accanto all'ostello, cucinando colazione, pranzo e cena, in mancanza in un vero ristorante dove andare a mangiare. Nonostante le opposizioni di Olivia, Aline aveva insistito perché questi suoi servizi venissero aggiunti al pagamento complessivo insieme alla camera d'ostello, data l'immensa disponibilità e gentilezza con cui questa le aveva aiutate.

Durante il pasto nella piccola, ma accogliente casa di Olivia, Megan, mentre intingeva un biscotto nel latte, disse all'anziana: «Senta, avrei una domanda da farle.»

«Dimmi tutto» affermò l'altra, cordiale come sempre.

«Non è che per caso in paese tenete un albero da qualche parte? Sradicato, intendo.»

La donna aggrottò la fronte, mostrandosi leggermente perplessa. «Un albero sdradicato? E a cosa ti serve?»

Naturalmente l'intento di Megan era quello di fare un albero di Natale, ma era impensabile sfruttare i grandi alberi che circondavano Whitby Harbour, proprio perché troppo alti. Cercò una scusa plausibile, senza, però, trovarla. «Per pura curiosità.»

«Beh, ci sono gli alberi appena tagliati dai boscaioli. Non penso che li abbiano spezzettati, perché abbiamo già legna in abbondanza per l'inverno, e dovrebbero essere ancora integri.»

Megan sorrise. «Grazie per l'informazione» disse, per poi aggiungere: «Quasi dimenticavo: oggi vi andrebbe di cucinare qualcosa?»

«Meggy, oggi ti comporti in modo davvero strano» affermò la madre, stupita.

«Mi piacerebbe moltissimo!» esultò Olivia. «Cosa vorresti fare? Torte, crostate, dolcetti, biscotti...»

«Dei biscotti natalizi» rispose Megan.


Megan si sedette sulla panchina appena fuori l'ostello, sfinita. Aveva fatto davvero una gran fatica perché tutto fosse pronto per quella sera: aveva cucinato i biscotti con Olivia e la madre e, dato che ci aveva preso la mano, aveva anche fatto una crostata, si era fatta accompagnare da Cole a prendere un piccolo alberello dai taglialegna e aveva fatto il giro per le poche case di Whitby Harbour per avvertire tutti che quella sera vi sarebbe stato un evento speciale in paese poco prima di cena e che si sarebbero dovuti radunare in piazza per assistere.

All'improvviso sentì in lontananza un rombo di motori assai inusuale, dato che a Whitby Harbour nessuno si muoveva in macchina durante il giorno, poiché gli abitanti avevano tutto il necessario a portata di mano. Seppur stanca, Megan si alzò di scatto e si precipitò a vedere. Fece un sospiro di sollievo quando riconobbe la vecchia e spaziosa jeep dei nonni. La macchina parcheggiò e, come i parenti scesero, la ragazza corse ad abbracciarli, per compensare tutto il tempo che avevano passato distanti.

«La nostra cara Megan» affermò la nonna, baciandole la fronte. «Fai vedere che bella signorina che sei diventata!»

«Già, ne è passato di tempo da quando eri una bambina» disse il nonno, salutandola e stringendola a sé a sua volta.

«Quanto mi siete mancati!» Megan quasi gridò per la felicità.

«Tesoro, abbiamo portato tutto quello che ci hai chiesto. Sono certa che queste persone festeggieranno un Natale da favola e tutto grazie a te.»

«Senza di voi non avrei potuto fare nulla» disse la ragazza, mentre i nonni aprivano il portabagagli della jeep, pieno di addobbi, palline, cibi e qualsiasi altra cosa potesse servire. «Se qui non c'è il Natale, allora il Natale verrà a Whitby Harbour» commentò Megan, con un grande sorriso in volto.

«Andiamo da tua madre, abbiamo bisogno di aiuto per montare tutto» affermò suo nonno e la ragazza annuì. Era ora di rivelare ogni cosa ad Aline e Olivia.


«Vuoi addobbare un paese che non festeggia più il Natale da anni all'insaputa dei suoi abitanti? Beh, questa è un'idea davvero...» iniziò Aline, dopo aver ascoltato ciò che Megan aveva in mente. «Geniale. Insomma, è difficile, ma ce la possiamo fare.»

La ragazza esultò: non aveva dubitato nemmeno per un istante che la madre l'avrebbe aiutata nel portare a termine il progetto. Conosceva fin troppo bene il suo carattere per avere qualche tipo di incertezza su di lei, ma era comunque felice che questa fosse dalla sua parte.

«Ecco spiegata la domanda sull'albero e l'improvvisa voglia di cucinare» affermò l'anziana. Megan temette che non avrebbe accettato o reputato fattibile il suo piano, ma, invece, sorrise. «Questo paese ormai è diventato smorto, povero. I pochi giovani che ci sono non bastano per risollevare la situazione e non si fanno più iniziative da chissà quanto tempo. Ci voleva proprio una ragazza sveglia come te per dare una spinta a questa comunità di pigroni!»

Megan rise, sollevata e anche lusingata dalle parole di Olivia. Tuttavia, c'era ancora molto da fare e dovevano sbrigarsi se volevano riuscirci in tempo per la sera. «Bene, allora a lavoro

Prima di tutto si occuparono di fissare e fare in modo che l'albero si regesse in piedi. Quindi, passarono alla decorazione: per comodità, Megan aveva deciso di non usare luci elettriche e, al loro posto, riempirono i rami di palline di tutti i colori e i tipi, festoni e fili perlati, con cui avvolsero l'albero. Infine, Megan mise sulla sua punta un lungo e bellissimo puntale dorato.

Mentre Olivia e i nonni si occupavano di trascinare fuori un tavolo, munito di tovaglia, e preparare sia i cibi preparati poco prima sia quelli portati da Red Bay, Megan e Aline passarono per le strade del paese a lasciare addobbi, come stelline, piccoli babbi natali e festoni, sulle facciate delle case e sulle panchine, a cominciare dallo stesso ostello. Quando conclusero, Whitby Harbour appariva completamente diversa da prima, molto più bella, festosa e piena di vita.

Poi fecero ritorno al locale e trasportarono l'albero nella piccola piazza del paese, fortunatamente poco lontana dall'ostello, dove già si trovavano gli altri a preparare il tutto. Proprio mentre erano impegnati a portare le ultime cose, iniziarono ad arrivare le prime persone, che subito si mostrarono curiose per la presenza dell'albero di Natale, del tavolo imandito e delle decorazioni sparse per il paese. Eppure, Megan non voleva che si rovinassero la sorpresa: dovevano ancora attendere il resto degli abitanti.

Bastò aspettare una manciata di minuti e la ragazza vide arrivare tutte le persone che aveva imparato a conoscere e a volere bene in così pochi giorni. Scorse da lontano Cole, che, accortosi di lei, le rivolse uno sguardo perplesso, a cui Megan rispose con un occhiolino.

Si avvicinò alla folla, che, tuttavia, rimaneva pur sempre piccola per raccogliere un intero paese, e disse a voce alta per farsi ascoltare da tutti: «Oggi è la vigilia di Natale e ho saputo che non viene celebrata qui da voi da fin troppo tempo. Il Natale è una delle feste più belle dell'anno, che insegna le gioie della condivisione e del tempo trascorso insieme, in famiglia e con le persone a noi più care, non solo ai bambini, ma anche ai grandi. Tutti possiamo imparare qualcosa da questa splendida festa e anche cogliere l'occasione per passare del tempo insieme, con gioia e serenità.» Fece una pausa, gettando uno sguardo a sua madre e i nonni. «Questo è solo un nostro pensiero che spero voi apprezzerete, per mostrarvi che non servono sfarzosi luci e costosi regali per festeggiare il natale. Basta la presenza delle persone a cui si vuole più bene.» Andò a prendere una scatola che aveva lasciato accanto al tavolo. «Proprio per questo, qui vi sono delle candele. Ognuno ne può prendere una, per scaldarsi e usarla al posto della luce elettrica. E, se volete, poco prima di accenderla, potete esprimere un desiderio, nella speranza che prima e o poi si realizzi.»

Si avvicinò alle persone radunate e iniziò a offrire una candela ad ognuno. Riconobbe tutti coloro che aveva conosciuto in quel breve viaggio: i pescatori, le famiglie a cui aveva fatto visita e i negozianti come Olivia. Ciascuno, quando passava, la guardava con riconoscenza e la ringraziava, non solo per la candela che gli porgeva, ma soprattutto per l'impegno con cui aveva organizzato tutto quell'evento, senza chiedere nulla in cambio.

«È incredibile quello che hai fatto» disse una voce familiare vicino a lei.

«Cole» esclamò Megan, sorridendo. «Davvero, non è nulla di che. Ho voluto solo che anche voi provaste la magia del Natale.»

«Sei davvero una ragazza tenace. Sono sicuro che tu ti sia messa all'opera poco dopo la nostra chiacchierata, senza aspettare neanche un secondo» disse, prendendo anche lui la candela che gli stava porgendo Megan.

«Non potevo starmene lì senza fare niente dopo quello che mi avevi detto. Non sarebbe stato giusto per tutti voi.»

«Sono certo che diventerai una donna meravigliosa» affermò, guardandola tanto intensamente da farla arrossire.

«Beh... grazie» rise, poiché le sue parole la avevano completamente ammutolita e non riusciva a trovare nulla di più efficace da dire.


Era ormai passata un'ora e, con somma gioia di Megan, le persone avevano finito tutti i biscotti e le crostate, lasciando solo le molliche. Molti si erano già ritirati, soprattutto chi doveva portare i bambini a dormire e chi doveva andarsene presto perché la mattina dopo lo aspettava il lavoro. Megan era seduta su una panchina, accanto alla madre, che sorseggiava un bicchiere di cioccolata calda. La ragaza, invece, se ne stava a osservare la fiamma della candela, avvicinando le dita della mano per scaldarle.

«Quel ragazzo non ha smesso nemmeno un attimo di fissarti» osservò la madre, facendo un cenno quasi impercettibile verso Cole, per non farsi vedere dal ragazzo, dato che non si trovavano troppo distanti da lui. «Sai, ho visto come tu lo guardi spesso e volentieri. Ti piace?»

«Mamma!» esclamò Megan, imbarazzata dall'argomento. «Ovvio che no. E poi non potrebbe mai funzionare: viviamo in due continenti troppo lontani.» Sospirò; il giorno dopo avrebbero fatto ritorno a Red Bay per festeggiare nella casa dei nonni la notte di Natale. Le venne l'amaro in bocca al pensiero che molto probabilmente non avrebbe più fatto ritorno a Whitby Harbour, né rivisto Cole.

«Tesoro, non puoi mai sapere cosa ti riserva la vita. Guarda me: per trovare tuo padre sono dovuta arrivare in Inghilterra.»

«Sì, ma con lui non è finita bene: avete divorziato.»

«Quella è semplicemente stata la triste conseguenza di una situazione non del tutto felice, ma pensa a ciò che di bello ha portato: sei nata te, il mio più grande amore.» Megan non poté che annuire e la madre continuò: «La vita è un po' come delle immense montagne russe, piene di alti e di bassi, ma anche di incredibili sorprese. Non puoi mai sapere dove ti farà arrivare e cosa ti porterà, ma tu sappi sempre cogliere al volo l'opportunità che ti viene offerta. In fondo, se abbiamo sbagliato strada e siamo finite a Whitby Harbour, ci sarà anche un motivo: forse il destino voleva che tu incontrassi quel bel ragazzo.»

Megan rise davanti a quella assurdità, ma guardò sua madre come si scoprì di aver fatto ben poche volte in quegli ultimi tempi: con puro affetto, privo di alcun risentimento o fastidio. Voleva immensamente bene a sua madre e si dispiacque di come la aveva trattata in molti casi. Aline la aveva cresciuta con tutto l'amore di cui era stata capace e lei spesso lo aveva rifiutato in malo modo. Adesso, tuttavia, era arrivata l'ora di rimediare al suo comportamento passato e lo avrebbe fatto godendosi fino in fondo ogni momento che avrebbe avuto la fortuna di trascorrere con lei. Buon Natale, mamma pensò, sorridendole.

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