And If I had a new Opportunity?

di arowen47
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A New Beginning ***
Capitolo 2: *** Goodbye Friends ***
Capitolo 3: *** You can see that I've been crying ***
Capitolo 4: *** When I met you… ***
Capitolo 5: *** And then you hugged me ***
Capitolo 6: *** I will Be with You Wherever and… However ***
Capitolo 7: *** Do You Want a Croissant? ***
Capitolo 8: *** A New Day ***
Capitolo 9: *** My little Flower ***
Capitolo 10: *** I Know The True… ***



Capitolo 1
*** A New Beginning ***


Questa è la mia terza fanfic... diversa dalle altre.... spero vi possa piacere... commentate... per voi dovrei continuarla?

Grazie a tutti Baci! Vostra Arowen! 

 

 

 

 

A New Beginning

 

Era morto, se ne era andato via, lontano da me, lontano dalla sua bambina… e io non potevo più raggiungerlo, era morto e io non ero andata con lui.

Tutto mi sembrava irreale, impossibile. Mio padre era morto così, senza dirmi addio, per colpa di un’automobilista ubriaco, non si era potuto fare niente per salvarlo.

Era un giorno di pioggia, camminavo lenta, vicino alla bara, non volevo abbandonarla. Tutti i miei amici erano venuti per sostenermi, ma io non li vedevo, non mi importava di loro, ero disperata, triste, distrutta e arrabbiata, arrabbiata come mai mi ero sentita in vita mia.

Arrabbiata per un destino avverso che mi aveva portato via l’uomo che mi aveva cullato nelle notti tempestose, che mi portava a spasso e che mi curava quando cadevo. Ero sempre stata un po’ sbadata e lui, ogni volta, era lì pronto a sorreggermi.

Pioveva, faceva freddo, Federico si avvicinò a me e mi porse la sua giacca.

“Giulia stai tremando, metti questa…” mi sorrise di un sorriso triste. Sapeva quanto stavo soffrendo. Cercai di ringraziarlo, ma le parole mi morirono in gola e le lacrime uscirono copiose rigando le mie guance.

“Oh Giulia!”

Mi strinse a se. Era il mio migliore amico, avevamo passato di tutto insieme, tra i suoi problemi con le ragazze, tra i miei problemi con i miei genitori ed ora questo. Strinsi le sue spalle come se fossero l’unico appiglio che mi permettesse di rimanere aggrappata alla vita.

Ormai eravamo giunti al cimitero, l’ultimo saluto, l’ultimo addio. Tremavo, ma non per la pioggia, sentivo un freddo provenire dal mio cuore che scuoteva la mia anima dalle viscere.

Vidi mia madre con gli occhiali da sole. Triste, o così voleva dare a vedere e dietro di lei, lui, quell’uomo che aveva distrutto la mia famiglia. Erano sicuri che nessuno sapesse la loro relazione, nemmeno papà ne era a conoscenza, ma io sì. Io li avevo visti, li avevo spiati. Una rabbia furente si impadronì del mio essere. Mi staccai dalla presa ferrea di Federico e mi avvicinai a mia madre.

La odiavo, la odiavo… aveva ferito mio padre ed ora era venuta pure al funerale, con quello, con quell’essere.

Mia mamma aprì le braccia, voleva accogliermi tra quelle caldi braccia che più volte mi avevano rincuorato quando ero triste, ma ora no, non volevo le sue. Le scansai con uno schiaffo. Le lacrime mi rigavano il viso ma ero decisa a dire tutta la verità, ora, subito.

“Sei solo una PUTTANA…”
I pochi che erano rimasti al cimitero mi guardarono sbalorditi, incapaci di dire o fare qualcosa.

“Come fai a presentarti qui… davanti alla tomba di papà… con LUI!”
Lo indicai con più ferocia avevo in corpo, avevo deciso, non mi importava più di niente e di nessuno, avrei ammazzato quell’uomo anche davanti a tutti.

Prima che potessi raggiungerlo, due braccia forti mi fermarono e mi strinsero. Inspirai quel profumo così dolce così familiare.

“Lasciami, LASCIAMI SUBITO!”
“No, non posso permetterti di fare stronzate!” la sua voce era dolce e calma.

Chiusi gli occhi, cercai di rallentare il battito del mio cuore.

Alzai lo sguardo. Incrociai quello di mia madre, era freddo, impassibile.

Tutta la rabbia repressa negli ultimi mesi si impossessò del mio cervello e inizia a dirgli tutto quello che avrei voluto dirgli.

“Lo so che quello lì è il tuo amante! Cosa pensavi? Di poterlo tenere nascosto a lungo? Ti sbagliavi… sei solo ingenua, una stronza! Hai ferito papà… e adesso… adesso…” le lacrime rigarono le mia guance, era difficile, era dura, ma se mi fossi tenuta ancora tutto dentro, sarei impazzita.

“Adesso lui è morto, e a te non importa, non l’hai mai amato, ti odio, TI ODIO! Tu l’hai ucciso… vorrei che fossi morta tu al suo posto!”
Lo avevo pensato, lo avevo detto. Si è vero in quel momento avrei preferito che fosse morta lei al posto di mio padre.

“Giulia, ti prego.”

Le mani di Federico ora mi stringevano ancora di più al suo petto. Gli avevo raccontato tutto, una sera, anche quel giorno piangevo e maledivo mia madre, e anche allora avevo trovato conforto tra le sue braccia. Dietro di noi i miei amici. Erika mi guardava, i suoi occhi erano tristi e vagavano tra me e Federico, il suo ragazzo. Piangevo, piangevo, per il nervoso, per la mia perdita. Incontrai gli occhi di quel verme che era andato a letto con mia madre. Aveva uno sguardo comprensivo e triste allo stesso tempo. Mi compativa, quell’individuo provava pietà di ME!

Mi liberai dalla presa del mio migliore amico e sotto alla pioggia scappai via. Lontano da quel cimitero, lontano da quegli occhi tristi e incuriositi. Lontano dal dolore e dalla rabbia.

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Capitolo 2
*** Goodbye Friends ***


 

 

Goodbye Friends!

 

Guardai quella casa che mi aveva ospitato per i miei primi 16 anni. Era piena di ricordi, belli, brutti; era la mia casa.

Con le valigie in mano la salutai un’ultima volta e, acceso il motorino, partii lontano.

Dopo la mia sceneggiata al cimitero ero scappata via, ero tornata a casa e preparate in fretta e furia le valigie, presi tutti i soldi e decisi che non sarei mai rimasta.

Non sapevo dove sarei andata, che cosa avrei fatto, sapevo solamente che me ne dovevo andare, via, subito.

Percorrevo le vie della mia città con il vento tra i capelli; aveva smesso di piovere, ma il sole faticava ancora a farsi strada tra lo spesso strato di nuvole.

Giunsi davanti a una casa, un ultimo saluto alle mie amiche, ma non ebbi il coraggio di suonare il campanello, sapevo che mi sarebbe bastata una parola, una sola e avrei cambiato i miei piani, una sola parola e sarei tornata a casa.

“Addio amiche mie.”

Ripartii, ora sapevo dove sarei andata, ora sapevo cosa fare.

Raggiunsi la sua casa e quando aprì la porta mi strinsi forte alle sua braccia.

“Giulia…”
“Fede…” iniziai a piangere, dirgli addio sarebbe stata la cosa più difficile di questo folle piano.

“Io…” appoggiò la sua mano sulle mie labbra, raccolse le valigie e mi fece accomodare.

Eravamo soli, i suoi a quell’ora lavoravano, meglio così, sarebbe stato tutto più semplice.

“Vuoi qualcosa da bere?”
“No, grazie…”
“Io sì! Sicura che non vuoi un po’ di Bakardi?”  

“A quest’ora lo bevi?”
“Ogni ora è l’ora del Bakardi! Ricorda, la mia Erika lo beve anche alla mattina!”
“Infatti, e guarda come sta messa!”

Scoppiammo a ridere. Parlare della mia migliore amica mi metteva sempre di buon umore. Era una pazza, peggio di me, diceva sempre quello che pensava, senza poi pensare alle conseguenze.

Per colpa di quella sua boccaccia era sempre in mezzo ai guai, chissà come avrebbe fatto senza di me. Guardai Federico, ormai c’era lui nella sua vita e l’avrebbe protetta a costo della vita. Quanto li invidiavo, anche io avrei voluto un rapporto così, ma le uniche cose che la vita mi aveva offerto erano solo state flebili illusioni e dispiaceri.

“Hai deciso di andartene?”
“Ma come..?!... Già!”
“E dove pensi di andare?”
“Io…”
“Sei sicura di quello che fai?”
“Sì, voglio andarmene via da qui, ormai non mi è rimasto più niente!”
“Siamo rimasti noi, i tuoi amici!”
“Lo so ma…”
“Ma sai che ora l’unica cosa di cui hai bisogno è quella di cambiare aria.”
Non sapevo come ci riuscisse ogni volta, sapeva sempre quello che pensavo, che desideravo, che volevo.

Gli sorrisi.

“Ho bisogno del tuo aiuto…”
Mi prese le mani e mi guardò negli occhi.

Mi persi nell’immensità di quegli occhi castani, così dolci e così forti. Arrossii involontariamente.

“Te la senti di andartene via da qua?”
“Sì, e tu mi aiuterai!”
“Perfetto, che cosa devo fare?”

 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!! Al prossimo capitolo!!

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Capitolo 3
*** You can see that I've been crying ***


 

You can see that I've been crying

 

Presi la sua mano e insieme ci dirigemmo verso la stazione. Il treno aspettava silenzioso sui binari, appoggiai le valigie per terra e trassi un profondo respiro. Sentivo di nuovo il vuoto impossessarsi del mio cuore, della mia anima, delle mie membra.

Strinsi di più la mano di Federico, i nostri sguardi si incontrarono, ancora. I miei occhi velati cercavano conforto in quelli di lui.

“E’ ora di partire Giulia.”
“Senti, non ti devi preoccupare, ho capito tutto e se avessi bisogno ti chiamerò subito.”
“Giulia, dannazione! Come fai a dirmi di stare tranquillo? Sarai da sola in una città che non conosci, in una casa che non conosci, sarai da sola!”

“Così però la metti sul drammatico…”
“Giulia…”

Sentii le sue braccia attorno alle mie spalle, il suo respiro vicino al mio orecchio. Riuscivo a sentire il battito del suo cuore e il profumo del suo dopobarba. Un profumo così dolce, così familiare. Papà.

Piansi, piansi lacrime amare, d’odio, di rabbia, di frustrazione. Mio padre era morto e mia madre aveva tradito per sempre la mia fiducia e ora l’unica cosa che mi restava era quel poco che avevo messo nella valigia, il mio mp3 e il biglietto del treno che mi avrebbe portato in un luogo sconosciuto.

Sentii le braccia di Federico farsi più strette, con una mano mi accarezzava la schiena mentre con l’altra giocava con i miei capelli.

“Non posso lasciarti andare!”
“Devo, devo… se rimango in questa città ancora per qualche minuto so che… che…”
“Shh… non dire altro ti prego.”
Mi staccai dal suo abbraccio e infilato l’mp3 nelle orecchie presi le mie valigie e salii sul treno.

“Giulia, quando arrivi chiamami. Ho già avvisato la signora Clara, la casa che di solito ci affitta è sul lungo mare. Per il tuo arrivo sarà tutto pronto, di qualunque cosa tu abbia bisogno chiedi pure a lei. Ti prego Giulia, chiamami! Quando vuoi, a qualsiasi ora, ma fallo.”
Gli accarezzai la guancia e gli sorrisi.

“Appena arrivo ti chiamo, non devi dire a nessuno dove sono…”
“Nemmeno a Erika?”
“Soprattutto a lei, mia madre… mia madre quando capirà che me ne sono andata sarà la prima persona a cui chiederà qualcosa, quindi, meno sa meglio è…”
“Va bene… Giulia…”
“Si?”
“Io ti…”
Ma prima che potesse terminare la frase il treno si mise in moto. Lo vidi rincorrere il treno e poi lo vidi fermarsi in corrispondenza della fine della stazione.

“CIAO FEDE! A DOMENICA!”

Ero ormai troppo lontana e le parole del mio migliore amico furono coperte dal rombo delle ruote del treno sulle rotaie.

Chiusi il finestrino e sistemate le valigie mi sedetti. Durante quel viaggio mi accompagnarono le note malinconiche di Iris dei Goo Goo Dolls. Lacrime silenziose rigarono il mio viso. Velocemente le asciugai, strinsi a me la foto di mio padre. Non lo avrei mai dimenticato, sentivo ancora il suo profumo, la sua risata cristallina e cullata dalle sue caldi braccia mi addormentai.

 

Mi maledii per quello che avevo appena detto, avrei rovinato lo splendido rapporto che mi legava a lei, e per cosa? Per cosa avevo messo in pericolo la nostra amicizia? Per cosa avevo messo in pericolo il meraviglioso legame tra me ed Erika? Per cosa?

Ero stato spinto da puro e semplice egoismo. È vero l’amavo, l’amavo, ma l’avevo capito troppo tardi ed ora, ora era tutto perduto.

Chissà quando avrei rivisto quel sorriso che mi aveva stregato quel giorno al parco, fu proprio quando incrociai quegli occhi color cioccolato che brillavano, che mi accorsi di essere innamorato di lei.

Ma io stavo con Erika, il mio primo amore e lei, lei adesso cercava di rifarsi una vita lontana da qui, lontana da i suoi cari e lontana da me.

Forse sarei riuscito a dimenticarla, forse un giorno quando avrei rivisto quegli occhi che tanto amavo, non avrei più sentito quella sensazione di magia, ma solo affetto, un affetto tra fratello e sorella.

Ritornai in casa e chiuso in camera mia ripensai a tutto quello che era successo quel giorno e mi addormentai con il suono della sua voce, mentre cantava la nostra canzone.

 

It's strange to think the songs we used to sing
the smiles, the flowers, everything...is gone
yesterday I found about you
even now just looking at you...feels wrong
you say that you'd take it all back, given one chance
it was a moment of weakness and you said yes...

you should've said no, you should've gone home
you should've thought twice before you let it all go
you shouldn've known that word, bout what you did with her wouls get back to me...
and I should've been there, in the back of your mind
I shouldn't be asking myself why
you shouldn't be begging for forgiveness at my feet...
you should've said no, baby and you might still have me

you can see that I've been crying
and baby you know all the right things...to say
but do you honestly except me to believe
we could ever be the same...
you say that the past is the past, you need one chance
it was a moment of weakness and you said yes...

 

 

Grazie per i commenti!!

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Capitolo 4
*** When I met you… ***


Scusate il ritardo... ma avevo perso un po' l'ispirazione... spero mi perdoniate con qesto capitolo!! un bacio!!

 

 

 

When I met you…

 

 

Quando il treno si fermò ormai era sera.

Scesi, un po’ in certa sui miei passi, non sapevo bene dove mi trovassi e dove sarei dovuta andare. Mi guardai in giro un po’ persa. Era sera, non conoscevo nessuno e per di più non conoscevo il posto. Mi sentii una sciocca, non dovevo andarmene così da casa mia. Mi venne in mente il viso di mia madre e quello di… una rabbia furente si fece breccia nel mio cuore. Avevo preso la decisione giusta. Raccolsi le mie valige e trovato il coraggio per chiedere informazioni mi accorsi di essere rimasta completamente sola.

“Dio questo si che è culo…”
Cercai nel buio qualcuno che potesse aiutarmi, ma niente. Ero rimasta sola, intorno a me c’era silenzio e un buio inquietante, rotto solo da alcuni lampioni. Un brivido freddo mi percorse la schiena. Avevo paura, non mi piaceva per niente quel posto. Sentii un fruscio dietro di me. Rimasi immobile, volevo correre, dovevo correre! Ma i miei muscoli erano immobili, inermi. Sentivo piccole gocciole di sudore imperlare la mia fronte. Il respiro si faceva sempre più corto, sentivo il mio cuore accelerare, sarebbe scoppiato dentro la mia cassa toracica e io non avrei potuto fare niente per impedirlo. Sentii una mano fredda sulla mia spalla.

Urlai fino a sentire la mia gola secca, il cuore mi batteva forte in petto, così forte da farmi male e all’improvviso fui avvolta dalle tenebre.

 

“Riki… Riki… RIKIIIIIIIIIIIIIIII??”

Mia nonna continuava a ripetere il mio nome da almeno dieci minuti, ma non mi importava, non mi importava più di niente.

Francesca mi aveva lasciato e l’ultima cosa che mi interessava in quel momento erano i problemi di mia nonna, ne avevo già abbastanza dei miei.

Mi rigirai nel letto, la radio a tutto volume intonava le note di “Give me what I want” e tutta la mia stanza era immersa nell’oscurità.

Era bello starmene da solo al buio, era una bella sensazione che donava un po’ di pace al mio cuore tormentato.

Stavamo insieme da due anni e così, di punto in bianco, mi aveva detto addio.

 

“Senti Riki devo parlarti è importante…”
“Dimmi Fre… va tutto bene?”

“Riki… senti diciamo le cose come stanno… non ti amo più…”

 

Rievocare quei momenti mi fece star male. Ero distrutto, completamente svuotato di ogni emozione, sentivo solo del vuoto vicino a dove una volta c’era il mio cuore.

Sentii bussare alla porta. Mi girai appena per vedere mia nonna entrare nella mia camera e sedersi accanto a me sul mio letto.

“Senti, lo so che non è il momento… lo capisco…”

Lo capisci?? Ma mi prendi in giro? Hai ormai quasi settant’anni e ti atteggi da ventenne… Dio, a volte non vorrei averti intorno… non capisci come mi sento e mai lo potrai capire… lei era la ragazza della mia vita, era la mia vita e ora non c’è più, era diventata la vita di un altro ragazzo, come puoi capirlo nonna?

“Anche io ci sono passata alla tua età… vedrai che poi ne troverai un’altra!”
No… no… questo non avresti dovuto dirlo nonna…

Ero arrabbiato, furioso, come poteva solo pensare che avrei avuto un’altra? Come poteva solo dire… mi alzai dal letto e uscii velocemente dalla stanza sbattendo la porta dietro di me. Sentii mia nonna uscire poco dopo. Anche se era vecchia era veloce e agile.

“Non volevo ferirti Riccardo… è solo che non so cosa dire per tirarti su il morale…”
“ALLORA PUOI ANCHE CHIUDERE IL BECCO!”

Gridai contro quella donna che mi aveva cresciuto sostituendo i miei genitori che erano sempre in giro per il mondo. Dopo la morte del nonno ci eravamo aiutati a vicenda e ora la incolpavo per una cosa in cui lei non c’entrava nulla.

La vidi rabbuiarsi, era triste, si sentiva in colpa, non potevo sopportare di vederla così.

La raggiunsi e l’abbracciai.

“Nonna, mi dispiace, non è colpa tua, va tutto bene… un giorno forse mi passerà… forse…”
“Non fa niente, va bene così…”
Mi staccai da lei e la guardai.

Assomigliava così tanto a mia madre. Gli stessi occhi, lo stesso viso, così dolce e sincero.

“Clara di cosa avevi bisogno prima?”
“Clara? È da tantissimo tempo che non mi chiamavi più così… comunque oggi ha chiamato Federico, sai il figlio di quella famiglia a cui affitto la casa sul lungomare durante l’estate…”
“Sì, si mi ricordo… che voleva?”
“Mi ha detto di preparare la casa perché questa sera sarebbe arrivata col treno una sua amica che si sarebbe fermata qui per un po’ di tempo… Giulia, sì si chiama Giulia… il suo treno dovrebbe arrivare tra poco… ti dispiacerebbe andarla a prendere? Non è mai venuta qui e non conosce nessuno…”
“Certo va bene… ma come la riconosco?”
“Facile… in stazione ci sarà poca gente… è una ragazza di sedici anni e avrà lo sguardo smarrito… vedi di fare bene gli onori di casa!”
“Va bene nonna…”

Uscii di casa e salii sulla mia punto nera. Era un po’ malandata, ma funzionava ancora e per adesso non mi aveva mai lasciato a piedi.

Arrivai velocemente in stazione, il treno doveva essere già arrivato. Guardai l’ora, erano le dieci di sera, era un po’ tardi e iniziava a far freschino. Mi strinsi nel mio giubbotto di pelle e mi avviai.

Quando entrai in stazione notai che era deserta. Mi sorse il dubbio che se ne fosse già andata, magari aveva chiesto indicazioni o aveva preso un taxi, ma mentre mi stavo incamminando verso la mia auto, notai un’ombra vicino a una panchina.

Mi avvicinai senza fare rumore. Era una ragazza, all’incirca sedici anni.

Capelli neri leggermente mossi, era alta più o meno un metro e sessanta, e un leggero vestito nero le cadeva dolcemente su quel corpo formoso. Sembrava turbata, dal vestito sembrava che fosse appena stata a un funerale. Mi guardai intorno, non c’era nessun altro, doveva essere lei. Mi avvicinai piano, non volevo spaventarla. Non sapevo che fare. Misi una mano sulla sua spalla. Lanciò un urlo terrorizzata e poi la sentii cadere lentamente tra le mie braccia.

“Alla faccia degli onori di casa… caspita… devo averle fatto davvero paura!”
La portai in macchina e caricate le valige ci dirigemmo verso casa di mia nonna.

 

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Capitolo 5
*** And then you hugged me ***


 
Scusate... scusate... perdono... finalmente sono riuscita a riprendere la storia... questo capitolo non mi sembra un gran chè...
ma vi prometto che mi rifarò col prossimo!!
Un bacio!!
 
 

And then you hugged me

Piano le tenebre che attanagliavano la mia mente e il mio corpo si diradarono lasciando spazio a una tenue e debole luce. Cercai di aprire gli occhi, la testa mi girava e tutto intorno a me si faceva di nuovo confuso, sentivo che avrei perso i sensi un’altra volta, ma non volevo, non potevo. Mi guardai intorno con fatica. Notai con mio grande stupore che non mi trovavo più nel buio della stazione, bensì ero avvolta dal tenue calore di un auto. Il terrore si impossessò di me. Di chi era l’auto? Mi avevano rapito? Che fosse un molestatore? Come posso scappare? Mossi ansiosamente una mano sulla cintura di sicurezza.

“Ben svegliata signorina…”

Mi girai di scatto verso la voce che con tanta delicatezza mi aveva accolta nel mio turbato risveglio.

Non mi sembrava un maniaco e nemmeno una persona cattiva. Mi sorrideva dolce, cercava di rassicurarmi in ogni modo, voleva farmi sentire a mio agio.

“Io sono Riccardo, mi dispiace di averti spaventato prima in stazione, sono qui in vece di mia nonna Clara, la proprietaria della casa in cui andrai ad abitare, avrei dovuto fare gli onori di casa ma a quanto pare non ci sono riuscito molto bene! Mi dispiace davvero tanto…”
“Piacere mio… io sono Giulia… mi dispiace più a me… devo avere fatto la figura della sciocca visto che sono svenuta…”

“Ma va figurati! Ti prego però non dirlo a mia nonna se no sono nei casini!”
Risi a quelle parole.

“E adesso che c’è da ridere?”
“Tranquillo non le dirò niente… ci mancherebbe!”
Mi sorrise. Ora che tutte le mie paure erano svanite mi soffermai sulla sua figura sottile ma allo stesso tempo robusta. Aveva grandi occhi color nocciola che alla tenue luce che entrava nella macchina parevano neri. Due labbra carnose solcate da un piccolo sorriso. I suoi capelli a spazzola neri si intonavano perfettamente con il suo volto squadrato. Dovevo essere rimasta imbambolata ad ammirare la sua persona per un bel po’ di tempo perché mi rivolse uno sguardo un po’ stupito.

“Ho per caso qualcosa sulla faccia?”

“Emmm… no… no!”
Distolsi lo sguardo un po’ imbarazzata.

Per rompere il silenzio che era calato su di noi cercai di scoprire qualcosa in più su di lui.

“Allora Riccardo, quanti anni hai?”
“Giulia chiamami pure Riki… Ho 19 anni e te?”
“Fra poco ne compio 17…”
“Posso farti una domanda?”
“Si certo chiedimi pure…”

“Ma scusa una bella ragazza come te che ci fa con un abito da funerale come quello? Per me ti donerebbero di più i colori pastello o comunque…”
Lo zitti con una mano prima che potesse dire l’irrimediabile.

“Ho detto qualcosa che ti ha…”
Una lacrima si fece largo sul mio volto, cercai di respingerla con tutte le mie forze ma fu inutile, tutta la tristezza che pensavo avessi abbandonato in quella buia stazione riprese possesso delle mie membra.

Sentii la macchina fermarsi e in un attimo sentii la mia portiera aprirsi e due calde braccia stringersi intorno a me.

Mi slacciò la cintura e mi fece scendere dall’auto.

“Mi dispiace davvero tanto, non pensavo fosse veramente…”

“No… non fa niente… io… tu- tu non potevi saperlo…”
la mia voce era roca, interrotta dai singhiozzi che non accennavano a fermarsi, mi strinsi a lui, a lui che era uno sconosciuto, a lui che mi aveva terrorizzato, a lui che ora era la mia unica ancora di salvezza.

Mi strinse a se e mi alzò il volto asciugandomi le lacrime.

“Cosa… chi…” cercò di rimediare a ciò che aveva provocato, gli sorrisi, almeno speravo di avergli sorriso.

“Mio padre… questa mattina si è svolto il funerale…”

Pronunciare quelle parole fu molto doloroso, avrei ricominciato a frignare come una bambina se le sue caldi braccia non mi avessero stretto contro quell’addome scolpito. Il mio cuore batteva impazzito, il profumo di quel ragazzo rincuorò il mio cuore e il suo sorriso, che incerto spuntava sulle sue labbra per consolarmi, mi scioglieva.

Mi allontanai involontariamente da quel contatto, troppe emozioni lottavano dentro di me e questo mi rendeva confusa, triste, disorientata.

Riccardo si mise la mani in tasca e dondolava avanti indietro, era calato su di noi un velo di imbarazzo. Lo guardai, nel buio il contorno del suo corpo si perdeva tra il verde del paesaggio.

“Ora ti porto a casa, così ti potrai riposare… in frigo c’è qualcosa da mangiare se hai fame… non farti problemi a chiamarmi… cioè a chiamare mia nonna… se vuoi puoi venire da noi… dovrebbe essere avanzato qualcosa della cena e se…”

“No, grazie mille, ma preferisco andare a dormire… non ho molta fame… poi ho promesso a Fede di chiamarlo appena arrivata… sarà già preoccupato…”

Risalimmo in macchina e partimmo verso quella casa che sarebbe diventata mia per un po’ di tempo.

Quando arrivammo davanti al cancello non potei credere ai miei occhi. La casa era circondata da un giardino ben tenuto dove regnava incontrastato un salice piangente. Intorno alla casa vi erano diverse piante rampicanti che raggiungevano il tetto ricoprendo parzialmente il muro bianco della facciata. Era una villetta a due piani con grandi finestre e un’immensa porta color nocciola scuro, sentivo lo sciabordio delle onde ed ero sicura che dal terrazzo del secondo piano potevo vedere il mare. Aprii il cancello, Riki mi precedette aprendomi la porta. La casa era arredata con mobili bianchi e un parquet scuro. Un divano ad angolo rigorosamente bianco poggiava contro la parete color celeste. Riki mi fece fare un giro turistico per la casa, ma la stanza che più mi colpì fu la camera da letto che presumevo fosse quella di Federico. Il soffitto blu scuro era decorato con piccole stelle che brillavano alla tenue luce della luna. L’enorme finestra dava sul mare e un grande letto singolo occupava gran parte della stanza.

“Ecco… questa è la casa… spero che ti piaccia…”
“E’ magnifica davvero…”
“E’ stata la casa di mia nonna prima che incontrasse suo marito e poi la arredata con i confort che piacciono tanto ai turisti…”
“E’ davvero… cavolo non trovo le parole… e poi che vista… come ha fatto a rinunciare a una casa del genere?”
“Beh per amore suppongo… e poi la casa dove stiamo adesso non è tanto distante da qui e quindi la vista è uguale…”

“Grazie….”
“E di cosa!”
Mi sorrise. Era così bello. La luce della luna si rifletteva nei suoi grandi occhi nocciola e le sue labbra erano così… così…

“Adesso io vado… domani mattina vengo a vedere come stai e se hai bisogno di qualcosa…”
“No, non ti devi disturbare…”
“Non è un disturbo e poi tanto me lo avrebbe chiesto mia nonna… così ora sembrerà una mia idea…”
“Ma è una tua idea!”
“Ok… dico solo una marea di cagate… sarà per l’ora tarda… scusa!”
Risi di gusto e con me anche lui.

Lo accompagnai alla porta e lo ringrazia.

Abbandonai le valige vicino alla porta d’ingresso e mi diressi in camera “mia” con il cellulare in mano. Federico mi avrebbe ucciso…

 

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Capitolo 6
*** I will Be with You Wherever and… However ***


I will Be with You Wherever and… However

 

Devo stare calmo, è inutile e controproducente agitarsi! Non ce ne è motivo… non c’è…

Ma dove è finita? Non può esserle successo qualcosa… Non è possibile! Dio sono le 23.00 e lei non ha ancora chiamato. Dio ti prego fa che non le sia successo niente di male!Ti prego. Stavo pregando Dio dopo molti anni, inutile forse, ma non sapevo che altro fare… Non potevo chiamarla… doveva farlo lei… non aveva voluto darmi il numero nuovo per paura che…

23.10! Oddio…

Guardavo continuamente il mio cellulare, ma niente, nessuna chiamata, nessun messaggio. Controllai più volte se c’era campo, se la batteria teneva. Era tutto a posto, ma lei non chiamava. Non chiamava.

Stavo impazzendo, questa attesa era allucinante.

Pensavo ormai al peggio quando finalmente squillò.

“Ciao Fede come…”
“GIULIAAAAAAA! DOVE DIAMINE ERI? MA SAI CHE ORE SONO? SAI CHE COSA STO PASSANDO? CHE COSA HO PASSATO? TI RENDI CONTO? IO…”
“Ei calmati… va tutto bene… sto bene… sono viva e vegeta… tranquillo… ho avuto solo un contrattempo!”
“Un contrattempo?”

“Sì…”
“Tu dovevi chiamarmi appena avessi messo piede nella stazione!!!”
“Ok… scusa…”
“…”
“Fede?!?!”
“Ci sono… ci sono…”

Mi avrebbe fatto impazzire, un contrattempo… e questa che scusa era?

“Ei… almeno puoi parlarmi o sei troppo incazzato?”
“No, non sono incazzato, è solo che mi hai fatto preoccupare tanto…”
“Mi dispiace… è veramente bella la casa…”
“Ti piace? Hai visto il giardino?”

Non potevo fare altro che parlarle… avevo bisogno di tranquillizzarmi e questo era l’unico modo, parlarle di cose che in realtà non erano per niente importanti.
“Il salice piangente è magnifico e la vista… wow… è spettacolare!”
“Sapevo che ti sarebbe piaciuta…”
“Sai adesso sono sdraiata sul tuo letto! Ihih! È bellissimo il soffitto!”
Era sdraiata sul mio letto? Oh mamma mia… non ci pensare… non ci pensare!
“Ah sì?”
“Tutto bene?”
“Sì perché?”
“Perché stai balbettando!”
Oddio! Pirla, pirla, pirla…

“No… scusa… è che…”
Un pensiero mi balenò nella mente come un fulmine al ciel sereno.

Io e lei, la stazione, le mie parole… le aveva sentite? Aveva capito tutto?

Ero nel panico più totale, qui sdraiato sul mio letto riuscivo a sentire il battito del mio cuore accelerare, sentivo le mani sudate. Che cosa le avrei risposto? Avrei dovuto negare o ammettere tutto? E lei cosa ne avrebbe pensato?

Ma prima che delirassi completamente alla ricerca di una risposta che non potevo sapere, la sentii piangere. Piccoli singhiozzi provenivano dall’altra parte del telefono. Mi sentii distrutto. Era così che ci si sentiva? Amare una persona e saperla infelice? Era orribile… era così…

“… Sto bene… so-no… solo… un po’… stanca…”

“Giulia…”
Ora tutta la rabbia che avevo provato prima mentre pensavo al peggio era svanita completamente, volevo solo abbracciarla stretta a me, cullarla fra le mie braccia e dirle quanto l’amavo e che non sarebbe successo nulla di brutto finchè fosse restata con me. Ma ormai qualcosa di brutto, anzi di orribile era accaduto e io ero lontano da lei, e lei era lontana dal mondo, persa nel suo dolore. Quanto avrei voluto rivederla felice, un giorno.

“Ce la posso fare… devo solo… dormire un po’…”
“Appena posso vengo lì… devi stare tranquilla… andrà tutto bene…”

Dio che frase banale e ipocrita!

“Sì… forse… non ora però… mi fa male…”

Sentirla piangere mi procurò un nodo in gola, se potessi solo starti vicina…

“Mi fa male… qui… il petto… è atroce… e tutto intorno a me è così… così… silenzioso… ho paura Fede…”

“Giulia… sono qui con te ora… niente potrà farti del male… non piangere… ti prego…”

“Sono così stanca… ma non riesco nemmeno a chiudere gli occhi… il vestito è ancora quello del funerale.”
La voce le si spezzò a metà della frase e quasi feci fatica a comprendere le ultime parole.

“Cambiati… metti il pigiama io resterò con te finchè non ti addormenterai…”
“Fede…”

“Forza metti il pigiama e mettiti sotto le coperte…”

Mentre aspettavo che si cambiasse accesi lo stereo e feci partire la nostra canzone.

“Sei a letto?”
“Sì…”

“Chiudi gli occhi…”
“Non posso…”
“Shh… va tutto bene… e ora leggerò un po’ per te… qualsiasi cosa tu voglia… qualunque cosa…”
“Il libro… quello che ti ho regalato…”
“Va bene… aspetta che lo prendo… ecco…”

Iniziai così a leggere, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo fino a che non sentii il suo respiro farsi regolare.

“Buona notte Giulia…”

E così mi addormentai anche io.

 

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Capitolo 7
*** Do You Want a Croissant? ***


 

Do You Want a Croissant?

 

Guardai assonnato la sveglia. Ore 9 del mattino e giù in cucina sembrava che fosse scoppiata la terza guerra mondiale.

Mi misi il cuscino sopra la testa, ma niente, era tutto inutile.

Scesi dal letto e indossai le ciabatte, mi guardai velocemente allo specchio, dire che ero orribile in quello stato era un eufemismo! Dannazione… avevo al massimo dormito quattro o cinque ore. Mi sentivo come se avessi preso una sbronza incredibile, o forse era proprio così?

Non ricordavo niente della sera precedente, tranne una, una tipa… occhi color cioccolato, capelli neri… dio che emicrania.

Tenendomi la testa tra le mani entrai in cucina e lì vidi il disastro.

Una bomba sembrava appena piombata nella stanza, utensili a me sconosciuti erano sparsi ovunque, un leggero odore di bruciato alleggiava nell’aria e una disgustosa roba appiccicaticcia era sparsa un po’ ovunque.

“Nonna… ma che diavolo è successo!”
“Finalmente il leone si è svegliato! Ringrazia il Signore che ieri ero troppo stanca per prenderti a calci!”
“EH?”
“Sei tornato alle 4 questa mattina… dove diavolo sei stato?”
“Non gridare dannazione!”
“TI SEI UBRIACATO?!?”
Dire a mia nonna di abbassare il tono di voce era come chiedere a un prete se avesse un porno… impossibile!

“Shh… mi fa male la testa…”
“Meno male che ho le mani occupate se no ti sarebbe arrivata una mattarellata! ”
[sarebbe stato picchiato con l’aiuto di un mattarello*]

Cerchiamo di cambiare argomento va, se no mi ritroverò all’ospedale per un trauma cranico!

“Che cosa stai combinando?”
“Sto cucinando non si vede?”
“E questo ti sembra cucinare?”
“Giovanotto…”
Ecco quando partiva così arrivava uno di quei suoi racconti presi da non so quale esperienza di non so quale passato che sinceramente erano più falsi che veri.

“quando ho incontrato tuo nonno lavoravo come cuoca in un ristorante di lusso francese!”
“Ah si certo… si vede… ma se non sai nemmeno pronunciare omelette con una vera pronuncia francese… non oso nemmeno immaginare come le cucini…”
Mi guardò con sguardo truce. Colpita e affondata. 1 a 0 per me cara nonnina! La mattina, di solito, dopo una sbronza colossale ero alquanto “pungente” !
“Lasciamo perdere… ho preparato delle cose che potresti portare alla nostra ospite!”

“Ospite?”
Era arrivato qualcuno durante la notte? Mmh, non mi sembrava di aver visto nessuno in casa… mah! Colpa dell’alcol.

“Certo, aspetta… Giulia, l’amica di Federico… quella che ora abita nella mia vecchia casa!”
Occhi cioccolato, capelli neri mossi… io e lei abbracciati, il suo respiro, il suo profumo. Sentii il mio cuore accelerare, la ragazza della stazione… la promessa! Che ore erano? Oddio ero impresentabile in quello stato!

“Le ho preparato dei biscotti al cioccolato… ma non credo siano commestibili… come neanche lo sarà la torta di mele… dannazione! Riki andresti a prendere una brioche al bar? Riki?! Mi stai ascoltando?”
“Che ore sono?”
“Le 9.30… perché?”

“Devo lavarmi, vestirmi… la brioche certo!”
E scappai dritto in bagno, avevo già fatto una figuraccia la sera precedente, non avrei mai ripetuto lo stesso errore!

“I giovani d’oggi, chi li capisce è un mago… ma uno bravo davvero!”

 

Salii in macchina che erano le 10. Come unico passeggero avevo una calda e profumata brioche alla crema… e una al cioccolato e una alla marmellata… non sapevo come le piacevano e incerto le avevo prese tutte e tre, al massimo le avrei mangiate io le altre. Mia nonna mi aveva dato del caffè, del latte e del the. Visto che c’era poco nel frigo, anzi diciamo che non c’era niente avevo deciso di portarle tutto l’occorrente per una colazione sostanziosa. E se invece aveva voglia di un succo di frutta? Stavo per fare marcia indietro quando capii che sarei arrivato un po’ tardi e a posto della colazione avrebbe pranzato!

Mi sistemai il colletto della polo azzurra che avevo indossato e suonai il campanello. Cavolo ero agitato come se fossi al mio primo appuntamento! Ma non era possibile! Non la conoscevo nemmeno, non sapevo cosa preferisse a colazione, né che musica ascoltasse, che libri le piacevano, non sapevo nemmeno il suo cognome! Feci un respiro profondo e poi sentii dei passi leggeri dall’altra parte della porta.

“Chi è?”

L’avevo appena svegliata? Iniziamo bene…

“Sono Riki, il nipote della Clara…”
La serratura scattò e quello che vidi fu l’immagine più tenera che avessi mai visto in vita mia.

Giulia era lì davanti a me, mentre con una mano teneva la porta e con l’altra si stropicciava l’occhio sinistro. I dolci boccoli cadevano alla rinfusa sulle sue spalle. Indossava un semplice pigiama bianco e verde, canottiera e pantaloncini, una spallina le cadeva innocentemente oltre la spalla. Mi sentivo in imbarazzo, mi mancava un po’ l’aria e quando i miei occhi incontrarono i suoi qualcosa si sciolse dentro di me.

“Entra…”

Appoggiai nell’entrata la borsa contenente l’occorrente per la colazione.

Le sorrisi e le mostrai il sacchetto delle brioche.

“Pensavo avresti avuto fame e così ti ho portato dei croissant !”

Si lo ammetto, studio il francese da quando sono piccolo e si, volevo impressionarla. La guardai attentamente ma la sua attenzione era stata catturata dal contenuto del sacchetto.

“Ma sono tre!”
“Oh… ecco beh… non sapendo i tuoi gusti le ho prese tutte, purtroppo erano terminate quelle vuote… ma se vuoi vado a prenderla se ti piace quella!”
Mi sorrise, un piccolo e fantastico sorriso.

“Quindi ne deduco che una è alla crema, una al cioccolato e una alla marmellata?”

Feci si con la testa, non riuscivo a parlare. Come era possibile? Doveva essere per colpa della sbronza!

“Hai già fatto colazione?”

“Mmh no…”
“Quale ti piace di più?”
“Marmellata… ma se…”
“Bene… io oggi la mangerei… mmh… deciso… crema!”
“Ah… quindi vai a caso a scegliere le brioche?”
“Sì in realtà mi piacciono tutte… anche se la mia preferita è il muffin al cioccolato… già…”

Sentii una piccola nota di malinconia nella sua voce. Riki inventati qualcosa… inventa, inventa!
“Bene allora lo dirò a mia nonna… così la prossima volta eviterà di distruggere la cucina!”
“La cucina?”
“Sì, aveva deciso che doveva prepararti assolutamente qualcosa… ma non è mai stata una vera cuoca… e così adesso la cucina è ridotta a uno schifo…”

“Dille che non si deve disturbare…”
“Ma va figurati! L’importante è che poi non pulisco io!”

“Ihih! Ok… mmh magari le preparerò io qualcosa la prossima volta!”
“Ah si?”
“Certo… cosa credi sono brava in cucina… ti offrirei qualcosa insieme alla brioche ma… mmh non c’è niente se non dell’acqua…”

“Non ti preoccupare anche a quello ci ho pensato io! The, latte o caffè?”
“Wow! Mi stupisci! Pensi a tutto tu!”
Mi donò un altro sorriso, leggermente più grande dell’altro.

Ok Riki concentrati… ero in cucina, c’era un tavolo, quattro sedie…

“Tu cosa vuoi?”

“Quello che vuoi tu, per me non fa differenza…”
“Ok… allora vada per il the…”
“Ok…”
Aprì ogni anta della cucina, ma non trovò quello che stava cercando.

“Serve questo?”

Mi ero avvicinato e ora lei era davanti a me e il mio torace toccava la sua schiena. La sentii sussultare a quel contatto. Si girò.

“Emm… grazie…”
Sembrava imbarazzata, mi allontanai quel tanto che bastava per farle mettere l’acqua sul fuoco, presi le tazze e le misi in tavola.

“Riki…”
“Sì dimmi…”
“Ecco… non conosco nessuno e beh mi chiedevo se potevi accompagnarmi al supermercato…”
Il mio cuore mancò di un colpo.

“Ce-certo!”

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Capitolo 8
*** A New Day ***


 

A New Day…

 

 

Ero stanca, avrò dormito si e no quattro ore di fila questa notte. E tutto grazie a Fede. Avrei dovuto chiamarlo, ma mi sembrava ancora troppo presto, chissà quando si era addormentato.

Mi guardai nello specchio, passabile, oggi non avrei ottenuto di meglio e poi c’era Riki che mi aspetta giù in salotto. Che carino che era stato a portarmi la colazione, era vero che me lo aveva promesso, però era stato lo stesso un gesto dolce da parte sua. Quando me lo ero trovata dietro di me, involontariamente un brivido mi aveva attraversato la spina dorsale come corrente elettrica. Era davvero bello. Ero contenta in sua compagnia, anche se per poco. Ogni volta c’era qualcosa che mi rimandava col pensiero a mio padre. Cercai di non piangere. Chissà se un giorno riuscirò a pensare a lui senza per forza scoppiare in un pianto a dirotto, come avevo fatto ieri sera.

Prima di scendere decisi di mandare a Federico il messaggio del “Buongiorno” così non si sarebbe preoccupato.

Presi la borsa, i soldi, il cellulare e gli occhiali da sole.

“Sono pronta, andiamo?”

Quando si girò per guardarmi fu come una visione, era così… mi mancavano le parole e quel suo sorriso, mi faceva sciogliere come neve al sole. Giocherellai con un boccolo e distolsi lo sguardo.

“Sei bellissima!”
Sentii il sangue affluire sulle mie guance. Cercai all’interno della mia memoria il mio riflesso nello specchio. Non mi sembrava un granché neanche adesso, ma se lui diceva che ero bellissima, ci credevo!

“Gra-grazie!”

Cercai di sorridere, non ero mai stata abituata ai complimenti. L’unico che me li aveva rivolti era stato Federico e sotto richiesta di Erika.

Arrivati al supermercato notai con mia soddisfazione che era identico a quello di casa mia: piccolo ma efficiente!

“Non è un granché… ma è quello più vicino e…”
“Per me va benissimo!”

Riki prese il carrello e insieme ci dirigemmo verso le corsie.

“Per prima cosa mi serve del latte, formaggio grattugiato, uova, farina, del lievito, pasta, verdure…”
“Per le verdure non ti preoccupare mia nonna ha un orto ben fornito… sarà contenta di cederti un po’ delle sue creature… si… sembra strano ma considera ciò che coltiva come dei figli!”
“Anche io trattavo così i miei fiori!”
“Coltivavi fiori?”
“Sì, avevo una parte tutta mia del giardino… durante la fioritura il viola degli iris entrava in contrasto con il giallo dei narcisi, era davvero stupendo!”

“Immagino! Cavolo… sai cucinare, ti occupi di giardinaggio… che altro sai fare?”
“Tante cose!”
“Ad esempio?”
“So cucire, pulire, fare i letti… amo disegnare, cantare…”
“Cantare?”
“Sì e sono anche abbastanza brava!”
“Si va beh… dite tutte così!”
“Ah! Non ci credi? Un giorno ti rimangerai le tue parole!”
“E perché questo giorno non può essere oggi?”

Si avvicinò pericolosamente a me, i miei occhi incatenati ai suoi. Un sorriso provocatorio apparve sul suo viso, rendendolo ancora più attraente. Ma io non avrei ceduto, né ora né mai!

“Perché oggi io ho da fare!”

Oddio che cosa avevo da fare? Panico…

“E che cosa, se mi è permesso?”
Ma figurati se si faceva i fatti propri!

“Beh… devo sistemare la spesa, devo pulire casa, godermi il giardino e andare in spiaggia!”
“E tutto questo da sola?”
“Già…”
“Mmh…”

Sembrò soppesare le mie parole e ci rifletté sopra.

“Visto che non ho di meglio da fare ti farò compagnia…”
“Come?”
“Perfetto… magari a posto di pulire, visto che la casa è già linda potremmo fare un giro panoramico per la città… va bene?”

“Oh… emm… no… cioè si… ok…”
“Quante uova?”

 

 

“FEDE! DANNAZIONE SVEGLIATIIIIII! HAI VISITE!”
Sempre dolce come al solito mia madre.

Scesi di malavoglia dal letto. Con indosso un paio di boxer. Chiunque mi avesse disturbato in quel momento non poteva che aspettarsi altro da me. Scesi con molta calma le scale e raggiunsi mia madre in salotto. Forse avrei fatto meglio a vestirmi!

Sedute sul divano di fronte a mia madre c’erano sedute due persone. Una la riconobbi subito era Erika, i suoi capelli disordinati, il suo viso tirato e l’espressione alquanto preoccupata mi fecero capire che non era di sicuro una visita di cortesia. Accanto a lei sedeva una donna. La conoscevo, purtroppo anche troppo bene.

“Federico, sono la madre di Giulia… penso che tu sappia dov’è scappata mia figlia!”

Non era una domanda, ma una pura e semplice affermazione.

“Se è venuta qui per chiedere informazioni, può tornarsene tranquillamente a casa!”
Dissi tutto a denti stretti, odiavo quella donna, la odiavo per il semplice fatto che ha distrutto la vita di Giulia.

“Fede! Non essere così sgarbato!”
Perché mia mamma non poteva semplicemente scomparire in cucina?

“Io salgo in camera mia a vestirmi!”
Salii con passo deciso le scale e mi chiusi in camera mia, immerso nell’armadio non mi accorsi che qualcuno era entrato nella stanza.

Mi abbracciò da dietro. Inspirai il suo profumo e piano mi tranquillizzai.

“Dov’è Giulia?”

Un piccola e semplice domanda a cui non avrei dato mai una risposta, nemmeno a lei, la mia Erika.

La guardai negli occhi e scossi la testa.

“Non lo so e se lo sapessi non te lo direi…”
“Perché?”
“Perché me lo ha chiesto lei!”
“Sta bene almeno?”
“Che cazzo di domanda è?”
La mia voce si alzò automaticamente di qualche tono. Mi guardò allibita. Come poteva capire quello che provavo? Lei non stava bene… lei non stava bene ed era sola.

Una morsa si attanagliò alla bocca del mio stomaco. Respinsi indietro le lacrime. Non piangevo perché mi mancava ma perché mi sentivo così inutile.

Erika mi abbracciò. Non ne seppi mai il motivo, ma lo ricambiai.

“Non intendevo se stava bene… come faccio a spiegarmelo… volevo sapere se è al sicuro, se ha bisogno di qualcosa…”
“No, sta bene… ha tutto quello che le serve…”
“Perfetto… giù sua madre aspetta…”
“Quella donna da me non avrà un bel niente!”
“Amo…”
“Amo niente! Non posso nemmeno guardarla in faccia… dille che non so niente e che se ne deve andare…”
“E’ preoccupata per sua figlia…”
“Se ne doveva preoccupare un po’ prima non credi?”
“Non possiamo intrometterci in queste cose…”
“Bene allora lei non si deve intromettere nelle decisioni di sua figlia!”
“E’ ancora minorenne…”
“E allora? Lei non mi sembra poi così matura…”
“Adesso è inutile parlare con te…”
“Ecco appunto! Puoi anche andartene!”
Sentii la porta sbattere e lei non c’era più.

 

 

Ei vani!! spero ti piaccia il capitolo!! ahahahaha!! questo non è il migliore... ma vedrai i prossimi!! Baci!!

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Capitolo 9
*** My little Flower ***


 
 
Scusate per il Ritardo -.-", Mi dispiace... ma è stato un periodo pieno... Buona lettura...
 
 

My little Flower

 

Accesi il cellulare. Mi sentivo una merda per come avevo trattato Erika, ma era stato più forte di me. Vedere la madre di Giulia seduta sul mio divano, nel mio salotto che mi chiedeva di lei era stato così… avevo un nervoso addosso che l’unica cosa che volevo fare era prendere a pugni il muro. Mi sdraiai sul letto e appena vibrò la tasca destra dei miei pantaloni tirai fuori il telefonino. Un nuovo messaggio.

- Ei ciao Fede! Volevo augurarti il buon giorno! Grazie per ieri notte, ora vado a fare la spesa con Riki… se vuoi ci sentiamo dopo… un bacione… ti voglio tanto bene <3 –

Erano le 11.30 passate decisi di chiamarla, avevo voglia di sentire la sua voce… forse però era meglio evitare di parlare di sua madre, si sarebbe intristita per niente.

Composi il numero e attesi.

“Pronto?”
“Pronto?”
“Con chi parlo?”
“Vorrei saperlo anche io?”
“In realtà è lei che ha chiamato!”
“Sono Federico… e mi sembra che tu non sia Giulia…”
“Ciao Fede! Sono Riki! Che bello risentirti! Come va?”

“Oh… ciao! Tutto bene e te?”
“Bene, bene… Giulia adesso non può rispondere… se vuoi ti faccio richiamare dopo…”
“Ok, va bene… è stato un piacere sentirti…”
“Anche a me… raggiungici presto mi raccomando!”
“Certo… ciao…”
“Ciao!”

Riagganciai. Sentii una morsa in corrispondenza della bocca dello stomaco. Come mai aveva risposto lui? Era vero che l’aveva accompagnata a fare la spesa… ma cosa ci faceva in casa con lei? Cosa stava facendo lei di così importante che non poteva rispondermi?

Mi stavo arrovellando il cervello quando sentii il cellulare squillare.

“Pronto...”
“Scusa, scusa… stavo facendo la doccia e avevo lasciato il cellulare in salotto… mi dispiace di non aver risposto… perdono!”
“Non fa niente…”
“Fede vorrei che ci fossi qui anche tu… il tempo è bellissimo… e poi il mare… grazie…”

Anche io vorrei essere lì con te… non sai nemmeno quanto.

“Non devi ringraziarmi… oggi mi sembri di buon umore…”
“Sì abbastanza… cerco di pensarci il meno possibile… già…”
“Giulia, no mi dispiace… non…”
Troppo tardi… la sentii singhiozzare. Stupido, stupido e cretino!
“Non fa nien-te… è inutile… sembro un rubinetto che perde…”

Rise. Una minuscola risata, ma meglio che niente.

“Giulia… domani sono lì…”
“Non devi sentirti in dovere…”
“Voglio venire… nel frattempo non stare da sola…”
“Oggi Riki mi porta a fare un giro…”
Non intendevo lui. Se non mi ricordavo male era un bel ragazzo, intelligente e pure simpatico e io non volevo che stesse troppo intorno a lei. Non adesso poi che era fragile e abbastanza influenzabile. Sentii una fitta di gelosia. Dannazione! Se potessi partirei anche adesso…

“Bene… mi chiami pomeriggio?”

“Certo… se vedi che non chiamo… chiama te… così non ti preoccupi inutilmente… oh porc…!!!!”

“GIULIAAAAA?”

- Giuliaaaaaaaaaaaaaaa?! Cos’è successo?? –
Questo doveva essere Riki. Ma perché lei non rispondeva?

“Giulia… rispondi…”
- Oddio ti sei fatta male? Giulia rispondi! –

“Qualcuno mi sente? Che è successo?”
“Fede… pronto… c’è qualcuno?”
“Cosa c’è Riki?”
“Giulia… oddio non lo so… sembra come svenuta… Giulia… Giuliaaaa?!?!”
Non era possibile, aveva avuto un altro attacco!

“Calmati Riki… riesci a metterla sul letto?”
“Devo chiamare l’ambulanza… oddio…”
“Non è successo niente… mettila sul letto…”
“Ok… aspetta…”
“Fatto?”
“Sì… ma che cos’ha?”
“I medici dicono che è dovuto al trauma per la perdita di suo padre… ma so che non è solo per quello…”

“Ma è grave?”
Sembrava agitato, preoccupato.

- E’ più che normale scemo! Gli è svenuta appena una ragazza davanti… non è mica bello sai? -

Quella stupida e insistente vocina. Certo che sapevo che non era bello, mi era capitato due volte. Mi ero spaventato così tanto che avevo chiamato l’ambulanza. È solo che mi sembra così strano… è come se fosse appena svenuta la sua ragazza. Ma forse stavo vaneggiando, feci un bel respiro e risposi.

“No, fra poco si riprenderà… avrà bisogno solo di un po’ di acqua. Non si ricorderà di nulla. Avvisala te e dille che deve stare tranquilla. Forse è meglio che il giro per la città lo rimandiate a un altro giorno…”
“La porterò solo in spiaggia… ok va bene… vuoi che ti faccio richiamare quando si sveglia?”

“No, la chiamo verso pomeriggio… ricordati dell’acqua…”
“Ok, va bene… ciao…”

“Ciao…”

 

- Giuliaaaaaaaaaaaaaaa?! Cos’è successo?? –

Ero in salotto quando avevo sentito un tonfo. Corsi su per le scale e me la ritrovai distesa per terra, non si muoveva. Entrai nel panico. Quando l’adagiai sul letto la sentii respirare. Sembrava quasi addormentata. Le scostai una ciocca di capelli dagli occhi. Era ancora tutta bagnata, indossava un piccolo vestitino azzurro a righe. Mi sdraiai di fianco a lei. Ero come attratto, come una calamita, non riuscivo a stare senza quei suoi occhi cioccolato, e quelle labbra così morbide e dolci. Inspirai il suo profumo, cocco e pesca, era così deliziosa che voleva riempirla di baci... Ma stavo forse impazzendo? Era appena svenuta! E per di più la conoscevo appena!

- Certo che hai dimenticato in fretta la tua Francesca –

Dannata coscienza! Io amavo ancora Francesca, ma questa ragazza era così…

La sentii girarsi verso di me, i suoi capelli solleticavano il mio collo e la sua testa era poggiata al mio torace. Istintivamente l’abbracciai. Era così dolce e tenera tra le mie braccia. Così piccola e così fragile. Delicatamente iniziai ad accarezzarle la schiena. Il mio cuore batteva così velocemente, la mia mente era offuscata dal profumo che emanava. Come un ape mi avvicinai al fiore più bello e prelibato. Volevo baciarla, era questo che la mia mente mi chiedeva, baciala, baciala, BACIALA! La guardai dormire e anche io poco dopo mi addormentai con lei ancora tra le mie braccia.

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Capitolo 10
*** I Know The True… ***


 

I Know The True…

 

 

“Mmm…”

“Giulia… ei piccola… sei sveglia?”
“Mmm…”

“Lo devo considerare un sì?”

“Mmm…”

“Sei di molte parole…”
“Dove sono…”
Era così bella appena sveglia, con la voce impastata dal sonno, gli occhi socchiusi e le sue labbra schiuse. Le accarezzai i capelli.

“Sei sul tuo letto…”
“Il mio letto…”
“Già…”
“E ci sei anche tu…”
“Sì!”
Incrociai il mio sguardo al suo. Aprì improvvisamente gli occhi come fosse spaventata.

“Giulia… tutto…”
Non riuscii a terminare la frase, si alzò di scatto dal letto cadendo rovinosamente in terra, con il lenzuolo avvolto intorno alle gambe.

“Ei tranquilla…”
“COSA CI FAI NEL MIO LETTO?”

Oh mio Dio! Non penserà davvero che…

“Giulia non è come pensi…”
“COSA CI FAI NEL MIO LETTO???”
“Calmati… Giulia respira ti prego… no non svenire ancora… guardami… non è successo niente…”
“Ho sete…”
“Ti porto subito da bere… ti prego però calmati… respira…”

Corsi velocemente in cucina e presa un po’ d’acqua tornai da lei.

Era nella stessa posizione di prima.

La sentii piangere.

“E’ successo ancora…”
“Non è colpa tua…”
“Cosa è successo?”
“Non lo so… eri al telefono con Fede e poi ho sentito un tonfo e tu eri sdraiata a terra immobile…”
“Per quanto tempo sono…”
“Quasi un ora e mezza… penso che però tu abbia dormito… dovevi essere esausta…”
“Forse dovrei fare qualcosa…”
“Intanto alziamoci… aspetta che ti aiuto…”
Mi inchinai di fronte a lei. Mi guardava con occhi umidi, sembrava imbarazzata e turbata. Istintivamente l’attirai a me. Mio piccolo fiore, quanto vorrei che tutta la tua sofferenza svanisse insieme alle tue lacrime. Quanto vorrei stringerti per sempre, con me al tuo fianco non soffriresti più, te lo giuro.

Mi strinse a se.

“Ti prego non lasciarmi…”
“Non ti lascerò finchè non me lo chiederai tu…”
La presi in braccio e la distesi sul letto. Era così leggera e pallida. Era come avere in mano un cristallo, meraviglioso ma fragile.

“Non è colpa tua, andrà tutto bene…”
“Sono così stanca di soffrire… stanca di piangere… stanca di non poter controllare il mio corpo…”
“Shh… sono qui… dormi… andrà tutto bene…”
“Come fai a saperlo?”
“Perché ora sei tra le mie braccia ed è questo che conta…”

L’abbracciai. Sentii il suo respiro farsi più regolare, il suo cuore rallentare il battito. Si addormentò e io vegliai sul suo sonno.

 

Ti prego rispondi.

“Pronto?”
“Erika sono…”
“Cosa vuoi?”
“Mi dispiace… sono stato…”
“Uno stronzo? Un deficiente? Un cretino?”
“Sì…”
“Beh ci hai messo solo un’ora… è un nuovo record personale…”
“Capisco che ora sei arrabbiata…”
“Arrabbiata? Io sono furiosa… sono delusa…”
“Delusa?”
“Anche io voglio bene a Giulia! È la mia migliore amica… sai come mi sento? Lei è là, da qualche parte, da sola… ha perso la sua intera famiglia e io sono qua, a casa mia, con i miei genitori, circondata dai miei amici… e lei no… mi sento una merda, mi sento inutile… e tu che fai mi attacchi?”
“Erika…”
“Erika un cazzo… spero solo che Giulia stia bene… perché…”
“Ha avuto un altro attacco…”
“CHE COSA?”
“Ero al telefono con lei quando è successo…”
“Dovevi essere CON lei… lì dove è lei adesso… sei un cretino…”
“Erika…”
“SO CHE LA AMI… VAFFANCULO FEDE…”



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