A Very Supernatural Story

di livevil_99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** God help us! ***
Capitolo 2: *** Ticking Bomb ***
Capitolo 3: *** It was just a kiss ***
Capitolo 4: *** What if...? ***
Capitolo 5: *** Anger ***
Capitolo 6: *** Hiking ***
Capitolo 7: *** Sacrifices ***



Capitolo 1
*** God help us! ***


 
Pentateuco | Genesi

“Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: "Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti". Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam, e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza.
Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra.
[...]
Il Signore disse a Noè: "Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione. D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono mondi un paio, il maschio e la sua femmina. Anche degli uccelli mondi del cielo, sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza su tutta la terra. Perché tra sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti; sterminerò dalla terra ogni essere che ho fatto". Noè fece quanto il Signore gli aveva comandato.
Noè aveva seicento anni, quando venne il diluvio, cioè le acque sulla terra. Noè entrò nell'arca e con lui i suoi figli, sua moglie e le mogli dei suoi figli, per sottrarsi alle acque del diluvio. Degli animali mondi e di quelli immondi, degli uccelli e di tutti gli esseri che strisciano sul suolo entrarono a due a due con Noè nell'arca, maschio e femmina, come Dio aveva comandato a Noè.
Dopo sette giorni, le acque del diluvio furono sopra la terra; nell'anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno entrò nell'arca Noè con i figli Sem, Cam e Iafet, la moglie di Noè, le tre mogli dei suoi tre figli: essi e tutti i viventi secondo la loro specie e tutto il bestiame secondo la sua specie e tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie, tutti i volatili secondo la loro specie, tutti gli uccelli, tutti gli esseri alati. Vennero dunque a Noè nell'arca, a due a due, di ogni carne in cui è il soffio di vita. Quelli che venivano, maschio e femmina d'ogni carne, entrarono come gli aveva comandato Dio: il Signore chiuse la porta dietro di lui.
Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l'arca che si innalzò sulla terra. Le acque divennero poderose e crebbero molto sopra la terra e l'arca galleggiava sulle acque. Le acque si innalzarono sempre più sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo. 
Le acque superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto.
Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici, cioè quanto era sulla terra asciutta morì.
Così fu sterminato ogni essere che era sulla terra: con gli uomini, gli animali domestici, i rettili e gli uccelli del cielo; essi furono sterminati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell'arca.
Le acque restarono alte sopra la terra centocinquanta giorni.”








Dean stava guidando. L'Impala sfrecciava sull'asfalto bollente della route 66. Era estate e il sole era alto. Indossava solo una leggera camicia di flanella con un paio di bottoni sbottonati sul davanti e le maniche lunghe arrotolate sopra i gomiti. 
Sam era seduto accanto a lui. Come sempre. Dormiva. I suoi capelli scompigliati coprivano buona parte del viso. 
Una goccia, - Dean non ci fece caso, Sam dormiva - ma una goccia era caduta sul parabrezza della macchina. 
Dean muoveva ritmicamente la testa seguendo la musica rock che usciva dalla radio a basso volume. Tamburellava le dita contro il volante rivestito di pelle. Il motore faceva le fusa e il cacciatore sorrideva leggermente mentre cambiava le marce. 
Un'altra goccia. Questa volta Dean la vide ma non ci diede peso. 
Il cielo era limpido, azzurro, nemmeno una nuvola a turbare l'armonia. 
Fu come una serratura che scattava, un pulsante premuto. 
La pioggia iniziò a imperversare copiosa. Gocce d'acqua grandi e pesanti iniziarono a colpire il parabrezza in modo frenetico. 
Sam sobbalzò e si svegliò portando una mano alla cintura, dove teneva la sua pistola. Era pronto. Sam era un cacciatore e, tra le altre cose, significava non dormire mai davvero. Una volta Bobby gliene aveva parlato, quando Sam era ancora troppo piccolo anche solo per impugnare una rivoltella. Riusciva perfino a ricordare i suoi occhi seri e lucidi che ancora non conoscevano rughe. 
"Un cacciatore non dorme mai davvero, Samuel." gli aveva detto "Un cacciatore ha sempre almeno un occhio aperto o un orecchio sveglio.". 
Sam non aveva capito, lo aveva guardato con i suoi occhi verdi da bambino e aveva annuito con convinzione, così come suo padre gli aveva insegnato. 
Adesso sapeva che cosa intendeva Bobby. Lo aveva provato sulla sua pelle. 
Dean assunse un'espressione più seria mentre cercava di vedere la strada oltre il muro d'acqua che scorreva come in una cascata sul parabrezza. Aveva rallentato e ora teneva morbido il piede sull'acceleratore. 
- Sta... piovendo con il sole? - chiese Sam alzando un sopracciglio. 
Dean gli lanciò un'occhiata perplessa ma non disse niente. Lo sguardo fisso sulla strada. 
- Non mi sembra normale. -  sentenziò Sam dopo aver osservato un po' le grandi gocce che colpivano come proiettili il finestrino. 
- Tu non mi sembri normale! - esclamò il fratello. - Ma cosa ci metti dentro quei frullati? Questo non è un caso, Sammy. - 
Silenzio. Per un attimo fu solo lo scrosciare della pioggia.
Sam scrollò le spalle poco convinto. 
- Potrebbe esserlo. - sussurrò perso nei suoi pensieri. 
Dean non disse nulla, si limitò a scuotere la testa. 
Aguzzò la vista e una ruga di espressione prese forma in mezzo ai suoi occhi. Saldò la presa sul volante mentre alcuni raggi di sole iniziavano a ferirgli gli occhi. 
Sam si riappisolò, cullato dallo scrosciare costante della pioggia. 
Dean continuò a guidare, e nonostante avesse ormai percorso milioni di strade per miliardi di chilometri, non si stancava mai di stare al volante. Condusse la macchina fino al bunker e parcheggiò in garage. 
Le ore gli erano scivolate addosso. 
La pioggia non aveva cessato un secondo né era diminuita di intensità. 
Sam spalancò gli occhi appena Dean spense il motore. 
Le portiere cigolarono e i due fratelli scesero dalla macchina. 
Sam si diresse a passi lunghi verso il salone. Il garage si collegava tramite un lungo corridoio, costellato da piccole lampade a muro, al grande salone all'ingresso e alla biblioteca. 
Appena Sam spalancò la porta, gli occhi di Dean si illuminarono. 
Cass era in piedi in mezzo alla biblioteca e si guardava intorno spaesato. 
- Sam, Dean, vi stavo aspettando. - disse in tono solenne. 
Dean avanzò verso di lui e lo cinse in un abbraccio fraterno. 
Indugiarono qualche attimo di più su quell'abbraccio, qualche attimo che bastò a Sam ad inarcare un sopracciglio, leggermente perplesso.
Dean guardò l'angelo con un mezzo sorriso.
- Come stai, uh? È da un po' che non ci si vede! - 
Cass fece qualche passo nella stanza.
- Sono stato... Occupato. - 
Dean increspò le sopracciglia ma non disse nulla. 
- Cosa ti porta qui, Cass? - chiese Sam posando la sua borsa su un tavolo della biblioteca. 
Castiel staccò il suo sguardo dagli occhi di Dean, scosse la testa, come se volesse riprendersi da un momento di distrazione. 
- La pioggia. - disse serio fissando Sam negli occhi. 
Sam lanciò un'occhiata al fratello e ridacchiò sotto i baffi. 
- La pioggia. - intervenne ironicamente Dean. - La pioggia ci ucciderà tutti. -scosse le mani in aria, mimando una reazione impaurita. Si avvicinò ad un bancone appoggiato alla parete e bevve qualche sorso da una birra che era stata lasciata a metà chissà quanti giorni prima. 
- Sono serio, Dean. - disse Cass. - Questa pioggia non si fermerà. - 
Sam rimase in silenzio, aveva spostato dei libri da un tavolo e vi si era appoggiato. 
- Beh, stai parlando con le persone sbagliate. - esordì Dean sarcastico - Siamo cacciatori, non meteorologi. - 
Cass scosse la testa e gli si avvicinò. Le sue dita tremavano inquiete. 
- Tu non capisci... - 
- No, non capisco. - disse Dean con amarezza - Illuminami bell'angioletto.- 
Sam assottigliò gli occhi, attento, misurato. 
- Lascialo almeno parlare, Dean! - lo rimproverò. 
Il fratello maggiore alzò le mani in segno di non colpevolezza. 
- Questa pioggia durerà giorni, mesi, forse anni! - disse Castiel in maniera frenetica. - Non si fermerà né diminuirà di portata finché tutto non sarà sommerso. - 
A quel punto Sam capì. - Stai dicendo che...? - 
- Sì. - rispose Cass fissandolo negli occhi. - È un diluvio universale. - 

Sam si congedò e si diresse verso il bagno. Aprì al massimo l'acqua fredda della doccia. I soffitti erano alti e spaziosi. Sam si buttò sotto il getto potente. I capelli lunghi iniziarono ad incollarsi alle tempie e a lambire i contorni marcati del viso come foglie attorno a un frutto. 
Succedeva ogni volta, pensò, ogni volta che stavano attraversando un periodo tranquillo, qualche vampiro o mutaforma ogni tanto, ogni volta arrivavano ad un punto in cui dovevano di nuovo salvare il mondo. 
Aprì gli occhi verdi venati da rossi capillari e prese un respiro. 
I suoi muscoli contratti al contatto con l'acqua gelata. Lo aiutava a rimanere concentrato, sveglio, reattivo, pronto per ore ed ore di ricerche sui libri della biblioteca. 
Continuava a chiedersi perché proprio loro due. Non riusciva a spiegarsi perché non potessero essere semplicemente due fratelli normali, i Winchester. Ma per quanto ci provasse, non riusciva ad immaginarsi Dean senza la caccia. L'adrenalina, pensò, era parte di lui. 
Chiuse la manopola della doccia e uscì dal box gocciolando. Minuscole goccioline attraversavano il suo fisico scolpito fino ai piedi. A terra si formò una larga pozza d'acqua. Afferrò un asciugamano pulito e se lo aggiustò intorno alla vita. 

Dean e Castiel erano rimasti soli in salotto. Sam li aveva lasciati da poco e si era creato un silenzio imbarazzante tra i due. Dean si schiarì la voce ed iniziò a fischiettare. Si avvicinò verso un bancone dove erano posizionate due grosse bottiglie di bourbon e gin. Aprì con il pollice il tappo del bourbon. L'odore del liquore riempì la stanza. 
Dean ingoiò qualche sorso alla canna. Il bruciore attraversò il suo esofago, il calore avvolse l'uomo dall'interno. 
Castiel rimase immobile, nello stesso punto in cui era quando Sam se n'era andato. 
- Occupato eh? - mormorò Dean più a sé stesso che all'amico. 
Castiel annuì. 
- Gli Angeli in paradiso sono ormai pochi. Paurosamente pochi. - 
Dean increspò le sopracciglia. - E...? - lo invitò a continuare. 
Castiel esitò un secondo e abbassò lo sguardo. 
- Stiamo cercando di... Beh... Ecco... - 
Dean continuò a fissarlo con aria interrogativa, le sopracciglia aggrottate. Il sapore del liquore ancora vivido nel suo palato. 
- Cosa? - chiese innocentemente. Bevve un altro piccolo sorso e iniziò a spostare il liquido nella bocca con la lingua. Quel sapore amarognolo e pungente lo aiutava a non pensare troppo ai problemi. 
Cass esitò. Deglutì. Guardò Dean e piegò leggermente la testa di lato. 
- Uhm... Stiamo cercando una maniera per riprodurci. - 
Dean sputò il liquore che non aveva ancora ingoiato e scoppiò in una risata fragorosa. 
Castiel rimase impassibile, solo la palpebra dell'occhio destro tremava impercettibilmente. 
- Dean, non è una questione da ridere! - 
Il cacciatore cercò di contenere le risate portandosi una mano alla bocca - Si, si! - disse con le lacrime agli occhi. - Quindi state cercando di combinarvi appuntamenti tra di voi? - chiese con tono ironico e scoppiò di nuovo a ridere. 
- Gli angeli non possono riprodursi come gli umani. Non è così semplice. - mormorò Castiel passandosi stancamente una mano tra i capelli. 
In quel momento Sam fece capolino nella stanza.
I capelli bagnati gli solleticavano le spalle nude e i jeans gli cadevano larghi sui fianchi. 
- Cosa succede? -
- Cass vuole organizzare un’orgia paradisiaca per salvare il suo popolo dell'estinzione. - rispose Dean sghignazzando. 
Castiel corrugò la fronte, non comprendendo appieno l'ironia dell'amico. 
All'inizio Sam parve stupito, soffocò una risata e mosse qualche passo in direzione dell'angelo mentre con l'asciugamano che aveva sulle spalle cercava di tamponare le gocce che scendevano dalle punte dei suoi capelli e gli attraversavano il torace in una miriade di linee curve e sinuose. 
Mise una mano sulla spalla di Castiel. Il suo trench era umido e odorava di pioggia. 
- Buona fortuna. - gli disse rivolgendogli lo sguardo più empatico che era riuscito a fingere. 
Salì gli scalini che portavano alla biblioteca. Si accomodò ad un tavolo e aprì la borsa che aveva lasciato lì poco prima. Ne tirò fuori il computer. 
Sam accarezzò la superficie liscia, piena di graffi e aprì il portatile. 
Era già acceso, iniziò a digitare sulla tastiera. 
Dean intanto si era ricomposto e aveva fatto l'occhiolino a Castiel prima di dirigersi in cucina a prendere qualche birra fredda. 
L'angelo si avvicinò a Sam. 
- Non pensi che prima di iniziare le ricerche debba raccontarvi quello che so? - 
Sam smise di digitare compulsivamente caratteri e chiuse il computer di scatto proprio nel momento in cui Dean fece ritorno nella stanza con una cassetta di birre. Si sedette vicino al fratello con la sedia al contrario, posando il mento sullo schienale. 
- Allora? - chiese aprendo la sua birra coi denti

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Capitolo 2
*** Ticking Bomb ***


Castiel se n'era andato poco dopo aver comunicato tutto ciò che sapeva ai fratelli Winchester. Il bunker era ormai silenzioso. Il pulviscolo aleggiava nell'aria con mille giravolte. Sam stava leggendo un libro antichissimo. Le pagine ingiallite e sbiadite erano talmente fragili che aveva dovuto indossare i guanti per fare in modo che il libro non gli si polverizzasse tra le sue mani. Dean invece stava consultando un’edizione rilegata in pelle dell'Antico Testamento. L'odore di polvere e di vecchio impregnava ormai i mobili di legno. Le labbra di Sam si muovevano appena di tanto in tanto come se volesse sottolineare con un sussurro le parti che voleva ricordarsi meglio. Dean invece leggeva in modo distratto e spesso doveva tornare sugli stessi paragrafi più volte per comprenderne appieno il significato. Occhiaie vistose incorniciavano i suoi occhi verdi. La barba ispida, le labbra secche. 
Sam alzò lo sguardo dal libro e si appoggiò allo schienale della sedia. 
- Ci stiamo cacciando in qualcosa di grande, Dean. - mormorò Sam con lo sguardo perso nel vuoto. 
Dean sospirò e chiuse con un tonfo l'enorme tomo che stava consultando. 
Si guardarono negli occhi, e per quanto avessero entrambi gli occhi verdi, emanavano una luce diversa. Mentre gli occhi di Sam erano verde speranza, vivi e vispi, gli occhi del fratello erano più tristi, malinconici, spenti, stanchi, con una punta di amarezza e un fondo di sfiducia per tutto e tutti. E mentre negli occhi di Sam imperversava la tempesta, in quelli di Dean si leggeva chiaramente che ormai si era arreso. 
"Si fa chiamare Canaan." aveva detto Castiel. "Si dice che dimori sul monte Ararat, l'antico monte su cui Noè si era arenato con la sua arca." 
Dean si racchiuse il viso tra le mani. 
- Grande quanto l'apocalisse o quanto l'Oscurità che voleva distruggere il pianeta? - chiese a Sam con un sorrisetto ironico. 
Il fratello sorrise amaramente e scosse la testa. 
Dean riprese il libro in mano e lo aprì a caso sul tavolo. Un nome saltò all'occhio, casualmente. Canaan, scritto piccolo in mezzo alla pagina.
- Trovato! - esclamò calcando il dito sul libro. 
- "I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.” - Dean recitò i versi tutto d'un fiato. - La Bibbia ha parlato. - esordì stiracchiandosi sulla sedia. 
- Ok, è un inizio. - disse Sam massaggiandosi le tempie. - Adesso dobbiamo soltanto capire il perché. - 
Dean incrociò le braccia al petto. - E una maniera per ucciderlo. - aggiunse. - Perché Castiel non c'è mai quando serve...? Cass! - chiamò a gran voce. 
L'angelo comparve in mezzo alla stanza accompagnato da suoni di fulmini e saette che tuonavano fuori dal bunker. 
Era bagnato dalla testa ai piedi. Il trench aveva assunto una tonalità più scura ed era completamente impregnato d'acqua. Piccole goccioline continuavano a cadere sul pavimento ai piedi di Castiel. 
- Canaan è figlio di Cam, figlio di Noè. - annunciò. 
- Già. - disse Dean mentre si dondolava sulla sedia. – L’avevamo capito. - 
- Adesso dobbiamo solo capire il perché del diluvio. - mormorò l'angelo aggrottando la fronte. 
- E una maniera per ucciderlo... - aggiunse Dean con tono piatto. 

Erano le 14 e 30 quando Dean parcheggiò accanto ad una caffetteria in mezzo alla statale. La pioggia aveva ricoperto l'asfalto di uno strato d'acqua tale da arrivare quasi fino alle caviglie. I due non se ne preoccuparono, indossavano stivali alti e resistenti 
C'erano 32° quando Sam uscì dall'abitacolo dell'Impala. Il nero della macchina risaltava al sole e i raggi che si stava propagando in quel caldo pomeriggio d'estate ferivano la pelle delicata di Sam come bruciature. 
Lo scroscio della pioggia era un suono talmente forte e frastornante che i due fratelli non sarebbero riusciti a dirsi nemmeno una parola. 
Entrarono a passi lunghi nella caffetteria. L'aria condizionata li investì nel momento stesso in cui misero piede nel locale. 
Era deserto. I tavolini erano sistemati asimmetricamente rispetto alla pianta rettangolare dell'edificio. Il posto era arredato con colori sgargianti sui toni caldi in stile anni 50'. Le sedie erano vecchie e un po' malconce, ma i due non ci fecero troppo caso. Si sedettero ad un tavolino in disparte vicino alla finestra, lasciando dietro di loro le impronte umide dei loro piedi, lucide sul parquet ormai consumato. 
Sam allungò lo sguardo fuori dall'enorme finestrone alla sua destra. Il parcheggio era deserto, ad eccezione di un furgoncino un po' scassato e l'Impala che luccicava sotto il sole di Agosto. La pioggia non aveva colpito la finestra, che era rimasta incrostata di polvere, grazie ad una tettoia che circondava l'intero perimetro del locale. 
Dean tirò le tende facendo scendere l'ombra sul loro tavolo di legno. 
Una cameriera sulla quarantina, con un grembiule a righe rosso e giallo, si avvicinò incespicando sui suoi tacchi alti verso il loro tavolo. 
- Volete ordinare? - chiese con un tono piatto che sembrava annoiato. 
- Un cheeseburger. - disse Dean dopo aver dato un’occhiata veloce al menù appeso al muro. - Doppio, per favore. - 
- Io solo caffè, grazie. - aggiunse Sam mentre la cameriera scribacchiava disordinatamente l'ordine. 
La donna si allontanò con ampi movimenti delle anche e Dean sporse il collo per guardala. 
- Dean... - lo richiamò il fratello. - Abbiamo cose più importanti delle forme di una cameriera di cui preoccuparci. - 
Sam tirò fuori dalla sua borsa il computer. Dean incrociò le mani sul tavolo di legno. 
Sentiva il formaggio sfrigolare sulla piastra nella cucina poco distante. 
- Allora qual è il piano? - chiese Dean schierandosi la voce. 
Sam fece capolino da dietro lo schermo del suo computer. 
- Non lo so... - rispose spostando il computer da davanti a sé. - Non riesco nemmeno a capire come sia possibile che sia ancora in vita. - mormorò pensieroso. 
- Forse non lo è... - replicò Dean aprendo leggermente la sua giacca di pelle in modo tale che Sam riuscisse a cogliere il flebile bagliore della lama ammazza-demoni. 
- Almeno abbiamo una pista. - disse in tono consolatorio. - È già qualcosa. - 
Sam annuì. Effettivamente Castiel aveva fornito loro un indirizzo. Da quanto avevano capito, Canaan aveva contatti con una cerchia ristretta di angeli. Alcuni di essi Castiel non li vedeva da tempo e non frequentavano il Paradiso da mesi. 
Sam si collegò al satellite e cercò l'indirizzo che gli era stato fornito. 
- Sembra deserto. - mormorò concentrato. 
Dean aggrottò le sopracciglia. - Uh? - 
Sam girò lo schermo verso di lui. 
- Il posto che ci ha indicato Castiel, - disse cercando di mantenere un tono di voce basso - sembra deserto. - 
Dean scrutò le immagini del computer. Un bosco poco fitto e una baracca in legno con porte e finestre sprangate. 
- Non ci si può mai fidare di questi aggeggi. Andremo di persona. - 
La cameriera arrivò al tavolo con il loro ordine. Sam cercò di chiudere velocemente il computer ma la donna riuscì a vedere comunque le immagini. 
- Volete dirigervi verso il vulcano? - chiese in un sussurro. 
I due fratelli si scambiarono un'occhiata fugace. 
- Quale vulcano? - chiese Sam. 
La cameriera apparve spaventata. - Nessuno. - rispose sbrigativa. - Non andateci. - 
Posò in fretta il vassoio sul tavolo e fece per allontanarsi ma Dean le afferrò un polso. 
- Di che vulcano stavi parlando? - chiese di nuovo Sam. 
- Non è veramente un vulcano, è un monte. Pikes Peak, ma noi della zona lo chiamiamo vulcano. È un luogo pericoloso, non vi avvicinate. - 
Dean mollò la presa e la cameriera si allontanò in tutta fretta e sparì dietro la porta della cucina. I due fratelli si guardarono. 
- C'è qualcosa che non va. - constatò Sam. 
- Hmm. - annuì Dean addentando il suo cheeseburger.

 

Erano in viaggio. Ormai solo pochi chilometri li dividevano dalla loro meta. Castiel si materializzò sul sedile posteriore.

- Dean… - mormorò Castiel mettendogli una mano sulla spalla.

Dean sobbalzò e frenò di colpo. Sam si girò di scatto. L’Impala scivolò sull'asfalto bagnato. La macchina si fermò completamente solo dopo qualche istante. 
Dean sospirò e scosse la testa. - Ti ho detto di non comparire all'improvviso mentre sto guidando. - 
- Scusa. - rispose l'angelo sporgendosi verso i posti anteriori mentre Dean metteva di nuovo in moto il motore. - Ho avvertito un forte presenza angelica attorno al monte Ararat. - 
- Pikes Peak. - Intervenne Sam - Pare sia chiamato così adesso. - 
- Non è tutto. - disse cupo. - Una Mano di Dio risiede su quel monte. -
Dean inchiodò in mezzo alla strada e la macchina scivolò in avanti per ancora qualche metro.
Si voltarono lentamente, a rallentatore, insieme. Castiel si trovò due paia di occhi che lo fissavano intensamente.
- Non è possibile. - Balbettò Sam. 
- Le Mani di Dio sono andate tutte distrutte. - Proseguì il fratello.
Castiel scosse la testa. - Questa ha un’aura… diversa. - Mormorò. - Ma sono abbastanza sicuro che si tratti di una Mano di Dio. -
Dean fece ripartire la macchina. Si addentrarono in un piccolo borgo. Le villette a schiera erano sistemate in fila verso un unico grande viale alberato che si diramava poi in tante vie. 
- Sarebbe meglio dividersi. - disse Dean. - Uno di noi dovrebbe approfondire la questione del vulcano con la gente del posto. -
- Che vulcano? - Chiese Castiel con aria interrogativa. 
- Il monte. - rispose Sam. - A quanto pare lo chiamano Vulcano e lo ritengono un luogo pericoloso. -
- Lo è. - Concordò l'angelo. 
- Vado io. - Disse Sam. - Fammi scendere. -
Dean accostò a lato della strada. Il livello dell'acqua aveva ormai raggiunto il marciapiede. Il fratello scese dalla vettura con un cigolio e si allontanò nella pioggia. 

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Capitolo 3
*** It was just a kiss ***


 Dean parcheggiò tra gli alberi, ai piedi del monte. Le fiancate dell'auto erano ricoperte di schizzi di fango e l’Impala iniziava a scivolare in profondità a mano a mano che la pioggia ammorbidiva il terriccio. 
Dean scese per primo dall'auto. L'odore degli aghi di pino gli riempì le narici. Faceva fresco nel boschetto. Le fronde degli alberi coprivano il sole in modo che solo pochi e radi raggi riuscissero a penetrare. Dean aveva lasciato la giacca in macchina. Sotto indossava una maglietta bianco candido con uno scollo a V. Le grandi gocce lo colpivano come proiettili, e nonostante fosse estate, un brivido attraversò la sua spina dorsale. Castiel invece sembrava stare bene avvolto nel suo impermeabile, anche se Dean non aveva mai capito se gli angeli potessero provare freddo o meno. 
L'angelo si muoveva silenzioso nella fanghiglia. Dean lo raggiunse. 
Si ritrovarono davanti ad una piccola baracca, porte e finestre sprangate. Si reggeva in piedi a malapena, grazie ad un paio di travi di legno che non erano ancora marcite. Castiel si fermò di scatto e tese un braccio per impedire a Dean di proseguire. 
Era tutto tranquillo. L'angelo udiva soltanto il respiro dell'amico al suo fianco e il suo che batteva forte. Eppure c'era qualcosa, una sensazione, un sesto senso che l'aveva fatto fermare. L'odore della pioggia gli impediva di fidarsi del suo olfatto. 
Dean era immobile. La maglietta era completamente bagnata e lasciava trasparire i suoi muscoli tesi, pronti a scattare. I suoi respiri leggeri e controllati. Portò una mano alla cintura dove erano assicurate la pistola e una lama angelica. 
Si scambiarono un'occhiata. Castiel annuì e Dean iniziò a proseguire guardingo. Si appiattí al muro. Le assi di legno scricchiolarono dietro la sua schiena. Trovò un spiraglio e cercò di sbirciare dentro. Buio e silenzio assoluto.  
I loro sguardi si incrociarono, Dean scosse la testa. Castiel strinse il suo pugnale angelico nella mano destra. 
Non smisero di guardarsi negli occhi. Dean sillabò muovendo le labbra “Uno… due… tre!” 
Sfondò la porta con una spallata. Il legno cedette al primo colpo. Castiel si fiondò dentro, subito dietro l'amico.
L'interno puzzava di muffa e di stantio. Era vuoto, deserto. L'ambiente era buio. Dean assottigliò gli occhi per cercare di scorgere qualcosa ma l'unica fonte di luce erano i raggi fiochi che penetravano da dove prima risiedeva la porta. Mosse un passo nell'oscurità. Inciampò contro qualcosa di ingombrante. Dean tastò l'impermeabile umido di Castiel. Afferrò una mano rugosa. Era fredda a contatto con quella bollente e callosa di Dean. I suoi battiti si velocizzarono. Castiel se ne accorse immediatamente. E mentre Dean cercava di aguzzare la vista, l'angelo vedeva perfettamente. 
Gli occhi verdi del cacciatore risplendevano come smeraldi nell'oscurità. Castiel allungò una mano verso la sua guancia, come un riflesso spontaneo, un istinto viscerale. Dean sussultò, ma si abbandonò a quella goffa carezza. Chiuse le palpebre e, nonostante avesse provato a vedere al buio, si accorse che solo ad occhi chiusi riusciva a vedere con chiarezza. Mosse un altro passo con sicurezza e il corpo dell'angelo si adattò per accoglierlo. I loro indumenti bagnati aderivano tra di loro come nastro adesivo. Dean era bollente e Castiel lo osservava, fermo immobile, come se fosse stato circondato da un bagliore dorato. Soltanto qualche centimetro a distanziare i loro profili. Dean aveva ormai spento il cervello, il suo istinto lo guidava, sicuro, accarezzava la schiena dell’angelo con delicatezza, con una cura e attenzione che non aveva mai rivolto a nessuna donna. 
Castiel avvicinò il viso al suo. Piccole gocce scendevano dai capelli bagnati di Dean e scivolavano sulle sue guance come lacrime. Il cacciatore si sentiva bruciare tra le fiamme, ma non ci badò, si sporse ancora e le loro labbra si incontrano. Delicatamente, lentamente. Le labbra secche e screpolate dell'angelo contro quelle morbide ed esperte di Dean. 
Le mani del cacciatore si intrecciarono dietro la nuca di Castiel mentre assaporava l'interno della sua bocca. Aveva già dato molti baci al sapore di alcool, alcuni al sapore di menta o di sangue, ma se avesse dovuto dare un sapore a quel bacio, Dean avrebbe detto che sapeva di luce del sole. Comunicavano tramite i piccoli e istintivi gesti che si dedicavano, si parlavano l'uno dentro l'altro, telepaticamente. E Dean gli disse, in un sussurro, che sarebbe finito all'inferno altre mille volte per un altro bacio. Come se avesse potuto sentirlo, Castiel premette più forte le labbra contro le sue. I loro denti si scontrarono, trattennero entrambi il respiro e Castiel rispose alla sua muta dichiarazione. 
“Tornerei a prenderti tra le fiamme tutte e mille le volte.” mormorò dentro la sua testa. Dean strinse la presa sul suo collo, le punte dei loro nasi si sfioravano, cominciava a mancargli l'aria.
Un rumore improvviso li interruppe. I due si staccarono all'istante. Dean scosse la testa e si sforzò di abituare la sua vista all’oscurità. Scorse un'ombra muoversi. Castiel già stringeva il suo pugnale mentre Dean sfilava delicatamente il suo dalla cintura. 
Dean si avvicinò verso l'uscita dove la luce si faceva più forte. Lo vide all'ultimo momento. Una figura saltò fuori dal buio e si scagliò contro di lui. Cercò di schivare l'attacco ma qualcosa lo colpí ad un braccio. Indietreggiò barcollando, ma l'adrenalina gli permise di riprendersi velocemente. Il sangue colava lungo il suo braccio e si mischiava e diluiva con la pioggia. 
Dean impugnò saldamente il pugnale dalla lama liscia e affilata. L’elsa aveva ormai preso la forma del suo palmo. Davanti a lui il nemico. Era un uomo, alto quasi quanto Sam, e indossava un impermeabile nero. Ringhiava, Dean riusciva a percepirlo nonostante lo scroscio assordante. 
Si scagliò contro di lui. Istintivo, intuitivo, le sue labbra ancora umide e il suo cuore che batteva all'impazzata. I loro corpi si muovevano in una sorta di danza mortale. Castiel era spettatore, timoroso di sferrare un attacco e colpire il bersaglio sbagliato. Affondi e schivate si alternavano a ritmo di musica nella testa del cacciatore. In un attimo Dean era a terra, la sua schiena a contatto con il fango gelido e appiccicoso e la ghiaia. Gli occhi chiari del nemico lo fissavano illuminati da una sfumatura omicida. Dean vide il colpo che stava caricando con il coltello. Lo vide arrivare, la traiettoria precisa contro il suo petto. I suoi polmoni iniziavano a fare male mentre l’angelo lo teneva fermo, stretto per la gola. 
Il ghigno sul viso del nemico si dissolse quando l’inconfondibile suono di carne trapassata eccheggiò tra gli alberi. L’angelo cadde a corpo morto sul petto del cacciatore mentre sul terreno si formarono i chiari segni delle sue ali.
- Che cosa stavi aspettando? - urlò Dean dopo aver ripreso un po’ di fiato ed essersi tolto il cadavere di dosso. 
Castiel lo fissava con i suoi occhi blu intenso a contrasto con il verde degli alberi. Il pugnale insanguinato che teneva ancora in mano ciondalava lungo il suo fianco. Gli porse una mano e Dean l'afferrò saldamente. Cercò di togliersi lo sporco di dosso ma ormai era tutto bagnato e il fango era penetrato tra i filamenti del tessuto. La t-shirt non era più bianca, aveva assunto una colorazione marroncina e mille aghi di pino erano incollati ai vestiti. 
- Sei ferito. - constatò l'angelo avvicinandosi di un passo. Anche la ferita era ricoperta di sporco, ma era difficile distinguere cos'era fango e cosa sangue, ormai diventati un composto denso incollato al taglio come una crosta. Sembrava superficiale, ma non potevano esserne sicuri. Lo sguardo di Dean si addolcì alla vista del volto corrugato in un’espressione preoccupata di Castiel che ancora esaminava la ferita sul suo braccio. 
Il cacciatore lo allontanò con un gesto brusco. - Non è niente, proseguiamo. - 
Castiel rimase interdetto qualche secondo, poi lo segui in mezzo agli alberi. 

Sam avanzava a passi lunghi tra le vie strette dei sobborghi di Pikes Hollow. Svoltava con sicurezza agli incroci, ricordandosi le indicazioni che aveva studiato su internet poche ore prima. Sapeva perfettamente dove dirigersi per ottenere qualche informazione. Se c'era una cosa che aveva imparato nel suo lavoro è che un po’ di alcool o un distintivo potevano far parlare chiunque. I suoi passi leggeri infrangevano le pozzanghere sul marciapiede formando mille increspature dell'acqua che si estendevano impercettibilmente. Svoltò ancora a destra e iniziò a scorgere attraverso il muro d'acqua e i raggi del sole l'insegna di un bar. Era uno dei pochi locali aperti nel raggio di un paio di isolati. La porta d'ingresso era aperta e si affacciava ad un piccolo atrio con una scala stretta e angusta. Sam iniziò a salire gli scalini ripidi e scivolosi lasciando dietro di sé una scia di minuscole gocce d'acqua. Era un locale piccolo, con i soffitti così bassi che Sam avrebbe potuto poggiarci l'intero palmo soltanto alzando un braccio. Non c'erano tavoli, solo un bancone lungo tutta la parete con degli sgabelli logori rivestiti in pelle nera. Sam scansionò la stanza con uno sguardo mentre tutti i presenti si voltarono a guardarlo. Tre uomini erano seduti al bancone e una donna dai capelli rossi e il trucco pesante stava servendo da bere. Si sedette ad uno sgabello di distanza dagli altri clienti. 
La barista lo guardò di soppiatto. Era una donna di mezza età, molto abbronzata, con la pelle raggrinzita e piena di rughe. Gli occhi azzurri erano spenti sotto la luce soffusa del locale ed erano circondati da linee marcate di nero. Si avvicinò e si appoggiò con una mano al bancone. La maglietta scollata non lasciava spazio all'immaginazione e sopra il cuore aveva appuntata una targhetta che portava scritto il suo nome. “Judith”. Masticava un chewing-gum molto vistosamente. 
-  Un bicchiere d'acqua. - Disse Sam abbozzando un sorriso. 
La donna ricambiò il mezzo sorriso e poi la sua espressione tornò mortalmente seria. - Abbiamo solo whiskey. Liscio o doppio. - 
Si guardarono per qualche attimo, gli occhi degli altri puntati addosso. Sam rimase interdetto ma biascicò un “Liscio, grazie.”
Il bar odorava di tabacco al mentolo e di alcool. Le pareti erano rosso sangue e le persiane chiuse. Judith gli servì il whiskey in un bicchiere sbeccato e opaco dopo tutti i lavaggi a cui era stato sottoposto. 
- Bel tempo oggi, uh? - Disse Sam prendendo in mano il bicchiere. 
La barista si accese una sigaretta. Nuvole di fumo si innalzarono verso il soffitto. 
- Il tempo non è mai dei migliori da queste parti. - Disse l'uomo di fianco a lui con un sospiro. Era vecchio. Portava una vistosa barba bianca e gli occhi sembravano quasi offuscati dagli anni. Sorseggiava il suo whiskey appoggiato allo schienale dello sgabello. Era seduto di fianco ad altri due uomini, forse leggermente più giovani di lui, che si dividevano un sigaro con lo sguardo perso nel vuoto. 
- Hai scelto il momento sbagliato per una visita. - aggiunse scuotendo la testa. 
Sam assottigliò gli occhi e buttò giù un primo sorso di whisky. 
- É successo qualcosa? - Disse fingendosi preoccupato. 
- Il vulcano è arrabbiato. - sentenziò senza guardarlo negli occhi. 
La barista ridacchiò. - Mark, smettila di farneticare. Nessuno abita su quel monte. -
- Ti dico che è stato lui a rapire Cheryl. L'hanno sacrificata. Per il vulcano. - I suoi occhi si fecero lucidi e l'uomo bevve il contenuto del suo bicchiere in un solo sorso. 
- Sciocchezze! - sbottò la donna. - Quella povera ragazza si era stufata di vivere con un vecchio come te e se n'è andata. - 
- Di chi state parlando? - intervenne Sam. 
Mark si voltò a guardarlo, aveva un'aria stanca e avvizzita. - Mia nipote.- frugò dentro una tasca all'altezza del cuore e ne tirò fuori una foto a colori di una ragazza che sorrideva. - Aveva gli stessi capelli rossi di sua madre. - 
Sam abbozzò un sorriso al vecchio malinconico. 

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Capitolo 4
*** What if...? ***


Dean e Castiel erano tornati di corsa alla macchina dopo aver concluso il loro giro attorno ai pendii del monte. Dean aveva avuto paura che la sua piccola avesse potuto sprofondare nel fango. Il motore ruggiva ogni volta che Dean premeva forte l'acceleratore. Si ritrovarono di nuovo in strada. Il cacciatore si asciugò i capelli con una vecchia camicia che teneva di riserva in macchina mentre direzionava il volante con il ginocchio. Castiel era seduto accanto a lui sul sedile anteriore. Dean andava piano. La pioggia gli impediva di vedere bene e l'asfalto era ricoperto da due o tre dita d'acqua. Castiel lo guardava attentamente, come un pittore che studia il suo modello. Tracciava con gli occhi le curve sinuose dei suoi muscoli, la giugulare che pulsava sul suo collo. Aveva la pelle lucida e bagnata e i raggi del sole si riflettevano sui suoi zigomi. Dean gli dedicava solo qualche occhiata fugace. Le sopracciglia aggrottate, la mascella tesa e definita, le mani umidicce tremavano attorno al volante.

- Dean… - sussurrò Castiel allungando una mano sulla sua coscia.

Il cacciatore sobbalzò sul sedile. Deglutí vistosamente, si schiarí la voce.

- Qualsiasi cosa tu stia pensando, non è come pensi. - disse cercando di darsi un tono autoritario.

Castiel lo fissava intensamente e, con la coda dell'occhio, Dean vide i suoi occhi azzurri pieni di desiderio.

- Ok. - rispose l'angelo. Intrecciò le mani in grembo e iniziò a guardare la strada.Quando Castiel tolse la mano dalla sua coscia, un brivido percorse la spina dorsale del cacciatore che si raddrizzó sul sedile. Sollevato e infelice allo stesso tempo, un miscuglio di emozioni iniziava a crearsi dentro di lui.

Si girò a fissare l'angelo seduto lì accanto. Si soffermò un secondo di più ad ammirare il suo sguardo innocente, giusto un attimo di pace e contemplazione fine a sé stessa, poi tornò a concentrarsi sulla strada. Si sentiva soffocare, come se stesse per morire di nuovo.

- Non sono gay, ok? - sussurrò con voce roca. - Mai stato e mai lo sarò. -

- Ma io non sono un uomo. - disse l'angelo aggrottando la fronte. - Jimmy lo è. Posso cambiare tramite, se preferisci. -

Dean non disse nulla, lo sguardo fisso sull'asfalto, la mente impegnata a valutare le possibilità.

- Mi preferiresti bionda? O rossa? - lo incalzò Castiel. I suoi occhi blu brillavano come due zaffiri.

- Mio Dio, Cass! - sbottò il cacciatore. - Non ho intenzione di avere questa conversazione con te. -

Calò il silenzio. Castiel appoggiò la testa contro il finestrino, le spalle curve, gli occhi spenti.

- Concentriamoci sul caso, per favore. - mormorò Dean.

Accese la radio al massimo volume e nessuno dei due proferí più parola fino a quando Dean non parcheggiò davanti ad un motel.

 

Sam era seduto ad un tavolo in una piccola stanza di un motel. Stava cercando informazioni, setacciava meticolosamente ogni pagina internet con poche e veloci occhiate. Inconsciamente, stava aspettando suo fratello per giungere a qualche conclusione. La sua mente era altrove. Continuavano ad apparire nella sua testa gli occhi di quel vecchio al bar. Tristi, malinconici, gli occhi di qualcuno abituato al dolore. Sam conosceva quello sguardo. Lo vedeva tutti i giorni allo specchio o nel viso di suo fratello. Un pensiero andò a tutte le persone che avevano perso. Perché la morte di una persona cara, pensò Sam, non era un dolore immediato. All'inizio era solo un piccolo taglio che non veniva curato e non si cicatrizzava. Continuava a sanguinare per giorni, goccia dopo goccia, sanguinava copiosamente tutte quelle volte che ci si accorgeva che mancava qualcosa: un riferimento, un luogo in cui andare, un tono di voce, un’atmosfera diversa. Poi si assopiva. Ogni tanto si riapriva. Bruciavano tutte quelle ferite, come una fiamma viva a contatto con la pelle. Quei due fratelli il dolore lo conoscevano bene, e ogni ferita sul loro corpo aveva un nome.

John. Mary. Bobby. Kevin. Charlie.

La porta della stanza si aprì cigolando. Dean e Castiel entrarono nella camera mentre Sam alzava lo sguardo dal computer.

- Hey, Sammy. - disse Dean sfilandosi la maglietta zuppa dalla testa e buttando il borsone ai piedi del letto.

- Trovato qualcosa? - chiese Sam chiudendo il computer e incrociando le braccia sul petto.

Dean uscì dalla porta del bagno con un asciugamano sulle spalle. - Angeli. - disse mentre si buttava su una poltrona. - A bizzeffe. -

Castiel camminava irrequieto per la stanza.

- Gira voce che qualcuno o qualcosa viva sul monte. - disse Sam mentre il fratello si stiracchiava sulla poltrona chiudendo entrambi gli occhi. - A quanto pare a questo Canaan piacciono i sacrifici. -

Dean scosse la testa. - Ma cosa gli passa per la testa a questi personaggi biblici?! - si lamentò. Castiel si arrestò in mezzo alla camera. Dean aprì un occhio. - Senza offesa. - aggiunse.

- Cheryl Pearson. 24 anni. Faceva la cameriera in quel locale lungo la statale dove ci siamo fermati e viveva con suo nonno a pochi isolati da qui. Scomparsa. - intervenne il fratello minore - Ho controllato le sue carte di credito e il suo passaporto. Sembra svanita. -

Dean si passò una mano tra i capelli e sospirò vistosamente. - Cass? -

L'angelo sembrava perso nei suoi pensieri, ma tornò con i piedi per terra quando sentì la voce di Dean.

- Qualcuno sta cercando di richiamare l'attenzione di Dio. - disse Castiel.

Sam e Dean si scambiarono un'occhiata fugace. - Nell’antichità Dio chiedeva spesso agli uomini di costruire altari e di immolare vittime in suo onore.

Era da tanto che non percepivo l’aura di un altare, forse non si è mai trattato di una Mano Di Dio. -

Dean si raddrizzò sulla poltrona. Sam si sistemò i capelli dietro alle orecchie.

Castiel si sedette al tavolo, la sedia scricchiolò sotto il suo peso.

- Cosa c'entrano le Mani Di Dio in tutto questo? - chiese Dean aggrottando la fronte.

- Sam mi ha chiarito le idee parlando di sacrifici. Avevo confuso l'aura dell'altare con quella di una Mano Di Dio. - mormorò l'angelo pensieroso.

- Stai dicendo che questo altare ha lo stesso potere di una Mano Di Dio? - Disse Sam appoggiando i gomiti sul tavolo.

Castiel scosse la testa. - No. - sussurrò. - Gli altari sono il simbolo dell'alleanza tra Dio e l'uomo. Più vittime vengono sacrificate e più potere assume il sacerdote del rito. Pensavo che fossero stati tutti distrutti. -

- Quindi ha usato l'altare per mandare il diluvio…? - ipotizzò Sam.

- Può darsi. - disse Castiel annuendo impercettibilmente. - Potrebbe anche essere il motivo per il quale Canaan è ancora in vita. -

- Basterà distruggere l'altare per porre fine a tutto questo, o sbaglio? - chiese Dean puntando i suoi occhi verdi e arrossati in quelli pensosi dell'angelo.

- Non è così semplice. C'è un rito indispensabile per renderlo vulnerabile. Se provassi a distruggerlo adesso, probabilmente verresti disintegrato seduta stante. -

Sam si alzò in piedi, ripose frettolosamente il portatile nella borsa.

- Torno al bunker. Nella biblioteca ci sarà sicuramente qualcosa a riguardo. -

Disse allungando il palmo aperto verso il fratello. Dean frugò dentro le tasche e gli lanciò le chiavi dell’Impala. Sam le afferrò al volo.

- Torno appena trovo qualcosa. - disse uscendo. 

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Capitolo 5
*** Anger ***


Il rumore del motore che si azionava e la macchina che si allontanava nel fango furono gli unici rumori che riempirono la stanza per minuti che a Dean sembrarono quasi ore. 
Rimase immobile sulla poltrona e chiuse gli occhi. Era stanco, ma per quanto si sforzasse non riusciva a prendere sonno. Non con due occhi blu che lo fissavano. Castiel si alzò e le palpebre di Dean iniziarono a tremare come a sottolineare il suo vano tentativo di tenerle serrate. Anche il cacciatore si alzò in piedi e cercò di non posare il suo sguardo sull'angelo. Aprì il mini-frigo e si prese una birra. 
- Non puoi fingere per sempre. - gli disse Castiel muovendo un passo verso di lui. Dean bevve lunghi sorsi dalla bottiglia fino a quando non ci fu più nemmeno una goccia da bere. 
- Per quelli come me non esiste un per sempre. - rispose con tono malinconico. 
L'angelo tacque. Il cacciatore andò a frugare nella tasca della giacca di pelle che entrando aveva appeso all'ingresso. Ne tirò fuori una fiaschetta di latta. 
- É inutile cercare di nasconderlo. - mormorò Castiel. 
Dean iniziò a bere piccoli ma frequenti sorsi di whiskey. Era girato di spalle, rivolto verso una piccola finestra. Stava arrivando la sera e la luna iniziava a brillare nel blu della notte. L'acqua scivolava come piccoli diamanti sul vetro. 
Anche la piccola fiaschetta si svuotò mentre il cacciatore rimase immobile, tremando leggermente. Il whiskey era finito e Dean si sentiva indifeso. Strinse i pugni e la pelle dei suoi palmi assunse sfumature bianco pallido. Era irrequieto. La gola bruciava ed iniziava a sentire caldo. Castiel riusciva a sentire il ritmo del suo battito che si innalzava esponenzialmente. Mosse qualche passò verso di lui. Tese la mano sopra la sua spalla, indeciso se posarla o meno. Dean avvertì la sua presenza alle sue spalle. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente. L'angelo appoggiò la mano sulla sua pelle rovente. La fece scivolare sui suoi pettorali contratti. Si avvicinò in modo da far aderire i loro corpi. I loro respiri rimbombavano all'unisono nella stanza.
Dean si voltò di scatto, si scrollò Castiel di dosso bruscamente. Lanciò la fiaschetta contro il muro. Il vetro di una stampa incorniciata appesa alla parete si frantumò in mille pezzi. Un ringhio era dipinto sul suo volto. Dean si sentiva furioso, colmo di una rabbia viscerale simile a quella che gli imponeva di uccidere quando impugnava la Prima Lama e che gli sussurrava, nel buio della sua testa, di sferrare ancora un altro colpo. 
Castiel lo fissava immobile, i loro occhi collegati da scariche elettriche. Le sue iridi blu brillavano riflettendo la luce della luna. Furono secondi interminabili. Dean stringeva i pugni, e in un secondo prese Castiel e lo baciò. La sua mano destra premuta forte sulla sua nuca. Le labbra screpolate dell'angelo si spaccarono in più punti quando Dean le morse. I loro denti si scontrarono bruscamente e il cacciatore strinse le spalle mentre riversava tutto il suo dolore e il desiderio che si era sempre tenuto dentro in quella figura ferma e costante che era Castiel. Le loro lingue si incrociarono e si intrecciarono in quel bacio dal vago retrogusto di ferro. Respiravano affannosamente l'uno dentro l'altro. Castiel indietreggiò e i suoi mocassini calpestarono i vetri rotti in un milione di scricchiolii. 
Le mani dell'angelo si muovevano caute sulla sua schiena e poi in mezzo ai capelli corti ancora umidi. Erano l'uno contro l'altro. Stretti così forte da rimanere senza fiato. 
Dean tirò via con uno strattone il suo impermeabile. Prese Castiel per le spalle e lo gettò sul letto, impetuoso, le sue pupille dilatate sembravano quasi nere nella penombra. Le loro labbra si staccarono solo quando Dean strappò via la camicia dell'angelo. I bottoni saltarono per tutta la stanza. Il cacciatore era seduto a cavalcioni sopra il corpo caldo e bagnato di Castiel che cercava di divincolarsi. Ma Dean lo teneva stretto, tirò il nodo della cravatta fino alla gola. Continuava a tirare quella sottile striscia di tessuto mentre, con una mano aperta sul suo petto, lo costringeva a rimanere sdraiato. Se Castiel fosse stato un essere umano, a quel punto sarebbe morto. Invece continuava a soffocare, il suo cuore non riusciva a rallentare. Dean grugniva e ringhiava quando Castiel allungò le mani verso di lui. La pelle del cacciatore era come una tela e l'angelo vi dipingeva linee nette e sicure con le unghie. Il significato di quei graffi era chiaro, e Castiel lo gridava a gran voce ogni volta che il suo corpo reagiva involontariamente al tocco brusco e impetuoso di Dean. Rabbia, bramosia, amore, supplica.
Sembravano due animali affamati. Desiderosi e bisognosi l'uno dall'altro. Forti e allo stesso tempo fragili alla luce dei loro istinti. 
Dean armeggiò con la fibbia della cintura di Castiel. La sfilò velocemente, in un fruscio rumoroso di tessuti. Castiel lo guardò dal basso mentre Dean stingeva la sua testa premendo forte un palmo contro il suo orecchio e il pollice sulla sua tempia. Castiel chiuse gli occhi, e nella sua testa rimbombava solo il ritmo del suo sangue che scorreva e pulsava nelle vene.
Dean lo colpì sul petto con la cintura di cuoio. Castiel mugolò e Dean sferrò un altro colpo. Castiel gli tolse la cintura di mano e la gettó lontano. Si mise a sedere. Un taglio netto si era aperto sul suo petto e una goccia di sangue sgorgò come una lacrima dalla ferita. I loro profili si incastravano perfettamente. Erano entrambi rossi in faccia, doloranti, innamorati. Circondati da quell’alone di rabbia, autodistruzione e speranze infrante caratteristico di Dean Winchester. E Castiel ci si era tuffato dentro e aveva cercato di capire tutto quel dolore e i sensi di colpa che gli umani erano soliti portarsi appresso. 
L'angelo tirò giù la zip dei suoi pantaloni e si sfilarono tutti gli indumenti, freneticamente, finché non rimasero nudi con solo la pelle e le ossa a dividere le loro anime. Nessuno dei due riusciva a pensare razionalmente ormai. Castiel spalancò gli occhi quando Dean scivolò dentro di lui. Rimasero immobili per qualche secondo, si guardarono, entrambi rimasti senza fiato. Finalmente completi. Castiel non ebbe tempo di preoccuparsi di nulla, i loro corpi si mossero d'istinto in maniera rozza e rude. Urlò e piccole lacrime comparvero ai vertici dei suoi occhi semi chiusi, ma Dean non accennò a rallentare. Lo guardava con un’espressione vuota e gli occhi offuscati dal desiderio e dal piacere, e per un attimo tutto il peso che si portava sulle spalle scomparve in mezzo alle coperte umide insieme ai loro corpi roventi che si muovevano bruscamente con spinte forti e veloci.
Castiel ebbe l'impressione di prendere fuoco mentre l'espressione di Dean si contraeva e il suo autocontrollo andava in mille pezzi. 

Quando Sam arrivò al Motel la mattina dopo erano le 11. Aveva le mani occupate da due caffè fumanti e vistose occhiaie violacee contornavano i suoi occhi chiari. Fece scattare la chiave nella toppa ed entrò nella stanza. Puzzava di sesso e sudore, ma Sam era davvero troppo stanco per accorgersene. 
- Il mattino ha l'oro in bocca. - Disse svegliando Dean con uno strattone.  Il letto era sfatto ma il resto della stanza sembrava in ordine. Dean borbottò qualcosa e si mise su a sedere. Indossava solo i jeans con il bottone chiuso ma la bottega aperta. Castiel si alzò dalla poltrona appena Sam entrò. Aveva la cravatta stropicciata e alla camicia mancava qualche bottone, ma cercò di nasconderlo chiudendo l'impermeabile.
Sam posò lo zaino sul tavolo e porse un caffè al fratello. Dean si stropicciò gli occhi e iniziò a sorseggiare la bevanda amara. Le sue tempie pulsavano e aveva l'impressione che gli sarebbe scoppiata la testa da un momento all'altro.
Castiel fissò Sam insistentemente mentre tirava fuori dallo zaino degli antichi tomi. 
Sam si gettò sulla poltrona. - Bisogna cospargere l'altare con l'olio sacro e recitare una formula in aramaico. - 
- Sembra semplice… - mormorò Dean con la voce ancora impastata dal sonno. 
- Non lo è. - Disse Castiel aprendo un libro impolverato. - Avranno sicuramente nascosto l'altare o lo staranno proteggendo con tutte le loro forze. -
Sam sbadigliò - Partiamo questo pomeriggio. - Mugolò mentre le sue palpebre diventavano pesanti e il suo battito rallentava. 

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Capitolo 6
*** Hiking ***


Dean e Sam erano in macchina. Castiel aveva deciso che li avrebbe preceduti. Dean aveva provato ad accendere la radio, ma ne era uscito un monotono ronzio gracchiante. Rimasero in silenzio, Sam guardava fuori dal finestrino con aria malinconica mentre Dean si concentrava sulla guida.
- Potremmo prenderci una vacanza dopo tutto questo. - disse Sam in mezzo al silenzio.
Dean assottigliò gli occhi e strinse le mani sul volante.
- Potremmo andare in un'isola caraibica. Sole, mare… -
- Dopo che questo dannato diluvio sarà finito, non ho intenzione di vedere acqua per molto tempo. - lo interruppe secco Dean.
- Una distrazione ogni tanto non ti farebbe male. - cercò di farlo ragionare Sam.
Dean scosse la testa. – forse dovrei provare ad investire un cane anche io. - Disse amareggiato.
Sam rimase in silenzio, si sistemò sul sedile anteriore e cercò di allungare le gambe. In pochi minuti arrivarono. Dean parcheggiò fuori dalla foresta, sull'asfalto, e i due fratelli percorsero un sentiero fangoso fino ai piedi della montagna.
Fianco a fianco, Dean gli fece un cenno con la testa, caricò la pistola e il rumore dei meccanismi che toglievano la sicura rimbombò tra le fronde degli alberi. Si incamminò a passo felpato per un sentiero che saliva sul pendio della montagna. Il percorso era scosceso e impervio, ma i due scalavano abilmente cercando di fare il minor rumore possibile.
Ad un tratto si fermarono per prendere fiato e Sam fece notare a Dean che non avevano incontrato neanche un angelo. Il fratello fece spallucce e riprese a camminare. Non avevano ancora incontrato Cass e questo lo preoccupava. Sentiva che era vicino e ad ogni passo che muoveva provava la netta sensazione di star andando nella direzione giusta.
Impiegarono quasi un'ora per salire. La montagna non era molto alta, ciò nonostante la punta era lambita dalle nuvole che sembravano essersi abbassate solo in quel punto. Quando i due fratelli attraversarono le nuvole, si sentirono mancare il fiato, come se avessero oltrepassato un confine ben definito. Il vapore acqueo era fitto come nebbia e impediva loro di vedere bene. Iniziava a piovere meno, fino a quando il tutto non si ridusse a gocce finissime, talmente leggere che i due fratelli non sentivano nemmeno più il costante picchiettio della pioggia sul terreno. Inciamparono più volte, l'aria era diventata rarefatta, difficile era diventato respirare. Diminuirono il ritmo, avevano entrambi il fiatone. Scoprirono ben presto che la montagna non era altro che un altopiano. Quando Dean raggiunse la cima, si guardò intorno, aguzzando la vista per vedere meglio attraverso la nebbia.
I suoi muscoli erano contratti al contatto con l'aria fredda. Strinse le spalle nella camicia bagnata. L'aria era umida, ma non stava piovendo.
Uno strato di bianco candido ricopriva tutto ciò che incontrava al punto che, quando Sam raggiunse la cima, non riusciva a vedere i suoi stessi piedi, nascosti nella nebbia. Le figure dei due fratelli si stagliavano contro un muro denso di nebbia e nuvole, in silenzio, solo i loro respiri veloci a rompere la quiete.
Dean saldò la presa sulla pistola, e così fece Sam. Erano vicini, le loro spalle si toccavano, fredde, umide, ciò nonostante non riuscivano a guardarsi negli occhi. Eppure lo sapevano entrambi. Erano pensieri che viaggiano tra i due, non servivano neanche più gli sguardi. Entrambi sapevano di star provando la stessa sensazione. Non erano soli.
Iniziarono ad avanzare alla cieca, passo dopo passo, Dean camminava davanti, lentamente, ed ogni suo passo era come una lama che tagliava la nebbia. Sam lo seguiva, stando attento a non perderlo di vista e girandosi ogni tanto a controllare che nessuno li stesse seguendo. Trovarono degli alberi durante il cammino, mano a mano che avanzavano erano sempre più fitti. Le cortecce chiare si confondevano con il resto è Dean fu così costretto a proseguire a tentoni, con le braccia tese davanti a sé.
Ad un tratto la nebbia si fece più rada e i due cacciatori si ritrovarono al centro di una radura. Gli alberi si chiudevano intorno a loro come un cerchio. Dean si guardò intorno, con circospezione. - Cass! - Esclamò avvicinandosi a grandi passi alla figura con l'impermeabile.
I due fratelli lo raggiunsero alle spalle. Castiel non si voltò a guardarli, rimase con lo sguardo fisso in un punto imprecisato nello spazio.
- Sam, Dean, vi stavo aspettando. - disse a bassa voce.
- Trovato qualcosa? -
L'angelo annuì impercettibilmente - Lì. - Disse indicando qualcosa davanti a sé. - C'è qualcosa lì. Sembra una specie di portale, ma non ho mai visto nulla di simile. -
Sam avanzò, allungando un braccio davanti a sé. Il suo indice incontrò una superficie liquida e appiccicosa formando delle increspature che si emanavano nell'aria come onde in uno specchio d'acqua. Un brivido lo percorse per tutta la spina dorsale. Affondò l'intera mano, ed essa scomparve alla loro vista. Eppure Sam riusciva ancora a sentirla come una parte di sé. La ritrasse di scatto sotto gli occhi increduli del fratello.
- Cosa stiamo aspettando? Facciamola finita. - Borbottò Dean e a passi lunghi raggiunse il portale, chiuse gli occhi, e lo attraversò.
Il freddo e l'umidità penetrarono la sua pelle e la sua carne e si infiltrarono nelle sue ossa. Quando finalmente aprì gli occhi, fu inondato di luce e impiegò qualche secondo per riuscire a vedere qualcosa.
 
 
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi.
[...]
Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
 
 
I tre si guardarono attorno perplessi. Intorno a loro si estendeva un giardino così rigoglioso da sembrare irreale. Gli alberi alti e robusti con le cortecce dalle sfumature più disparate accoglievano frutti variegati in fatto di forme e colori. Sotto i loro piedi un prato verde acceso, che dava l'idea di essere stato appena tagliato. C'era un qualcosa di selvaggio e primordiale in quel giardino che a prima vista poteva sembrare così ben curato. L'aria era pulita e fresca e i raggi del sole colpivano i fiori e le piante ricche di germogli e fiori.
Castiel mosse qualche passo. Sembrava tutto tranquillo a parte un leggero rumore di sottofondo.
- Il Giardino dell’Eden… - mormorò Castiel tra sé e sé - Non me lo ricordavo così bello. -
Dean sbuffò - Dio deve aver architettato una sorta di scherzo cosmico per averci fatto finire nell’Eden. -
Sam sorrise per un attimo al sarcasmo del fratello, ma riprese subito il suo atteggiamento concentrato e serio. - Lo sentite anche voi, questo brusio? -
Castiel annuì mentre Dean saldava la presa sull’impugnatura della pistola.
- Sembra un suono lontano. - Sussurrò Castiel chiudendo gli occhi e focalizzandosi sul suo udito. - Venite. - Disse incamminandosi - Per di qua. -
 
Camminarono per qualche minuto. I rumori si fecero più intensi e chiari fino a che non riuscirono a distinguere voci e parole indistinte. Gli alberi erano radi e l’ambiente luminoso cosicché i tre furono costretti a procedere adagio, sentendosi allo scoperto.
Arrivarono ad uno spiazzo. Un albero alto e maestoso stava proprio nel mezzo. Le radici si irradiavano precise in ogni direzione come raggi di una ruota. L'albero aveva delle foglie spesse e allungate che incorniciavano i frutti come in un'opera d'arte. Rossi, grossi, appetitosi. Sam e Dean si mossero verso l'albero istintivamente. Castiel li fermò, afferrandoli per le spalle. - Non fate lo stesso errore dei vostri antenati. -
Dean si voltò verso di lui e scosse la testa. - Andiamo. -
Sam rimase ancora un attimo a fissare l'albero e a pensare a come avrebbe potuto allungare una mano e cogliere un frutto, come sarebbe stato facile.
- Sammy! - Lo chiamò il fratello. Sam si risvegliò da quella sorta di incantesimo che lo aveva stregato e si affrettò a raggiungerli. 

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Capitolo 7
*** Sacrifices ***


Ad un tratto Castiel si fermò, le voci si erano ormai identificate in cori che ripetevano una litania in una lingua arcaica.
- È aramaico. - Aveva detto l'angelo sottovoce. - Sembra un rito, ma non riesco a tradurre tutte le parole. -
I boschi e i cespugli si diradavano ad ogni passo. I tre si nascosero dietro due querce, ma sporgendosi riuscivano a scorgere una folla a pochi metri da loro.
Sam fece un cenno al fratello e si avvicinò. Nessuno sembrava essersi accorto della loro presenza. Oltre le persone ammassate, il cacciatore vide un blocco di marmo e un uomo di spalle con le braccia alzate.
Si accucciò tra i cespugli e avanzò a gattoni per riuscire a vedere meglio. Strizzò gli occhi. Adesso riusciva a vedere l'uomo di profilo, un volto magro e scarno, un naso sottile e aquilino. Aveva gli occhi chiusi e urlava a gran voce.
                       
- Han-noo dim-mi, d'dia-tee-qeh kha-tha, d-khlap saj-jayeh mith-ash-shid. -
 
Ora Sam riusciva a distinguere quei suoni. La folla lo seguiva, ripetendo ad alta voce quella stessa frase. Riuscì ad identificare i simboli incisi sul blocco di marmo. Erano scritti anche quelli in Aramaico, la lingua della Bibbia. Ne aveva studiato un po’ con Bobby qualche anno prima, ma non riusciva a ricordare molto. Quello, pensò Sam, doveva essere l'altare. E poi la vide. Nuda e piccola, raggomitolata su sé stessa ai piedi dell'uomo. Aveva i capelli rossi e lunghi, la pelle candida.
Non riuscì a vederla in volto ma capì immediatamente di chi si trattava.
- Cheryl. – Sussurrò. Appena la riconobbe, la piccola la ragazza fu presa per le spalle e sollevata.
- No, no, no… - pensò Sam. Le tagliarono la gola, senza esitazione e l’uomo che guidava il rito si bagnò le mani del suo sangue e ne benedisse i suoi seguaci. Sam vide la vita di quella ragazza passargli davanti, come un’altra povera vita innocente che se ne andava. Si precipitò sui suoi passi verso le due querce.
Non c'era più nessuno, Dean, Castiel, l'aria era ferma.
Sam tirò fuori la pistola. Era carica, tolse la sicura. Si guardò intorno, lentamente. Vista, udito, olfatto, non riuscì a sentire nulla. Soltanto i cori della folla, che gli apparvero così lontani che pensò di essersi perso. Eppure le querce erano quelle, Dean e Castiel li aveva lasciati lì. Si accucciò. L'erba fresca era ricoperta da tante piccole goccioline di rugiada. Afferrò un ciuffo d'erba che solleticava leggermente il suo palmo. Sam notò una goccia diversa dalle altre. Rossa, sangue. Scattò di nuovo in piedi. Avvertì una presenza alle sue spalle, un fruscio frastornante. Anche per i suoi riflessi allenati era troppo tardi. Qualcosa lo colpì alla testa. Un suono sordo rimbombò nel suo cranio e la sua visuale si annerì. Velocemente, il suo mondo divenne sfuocato e Sam scivolò nell'oblio.
 
Tum. Tum. Tum.
Il battito rimbombava dentro la sua testa. Sentiva caldo, ma aveva le mani gelate e tremava. Sentiva le palpebre pesanti, ricoperte di sangue fuoriuscito da un taglio sulla fronte.
Dean cercò di svegliarsi. Si sforzò di aprire gli occhi, aveva ancora la vista offuscata. Provò a muoversi, ma aveva le mani legate. Tirò uno strattone, i polsi bruciavano a contatto con la corda grezza. Era seduto, riusciva a sentire un supporto dietro di sé. Piano piano riuscì a mettere a fuoco le cose, e quello che prima gli si era presentata come una massa informe, iniziò a distinguersi in singole figure umane.
- Merda. - pensò.
A pochi metri da lui, vicinissimo, un uomo guidava il rito, pronunciando suoni che Dean non pensava nemmeno esistessero. Le corde erano strette.
Si voltò di lato e vide Sam, ancora incosciente, la testa a penzoloni.
Girò la testa in ogni direzione consentita dalle costrizioni che lo tenevano fermo, Cass non c'era e il suo cuore saltò un battito. Gioia? Paura? Preoccupazione? Ansia? Dean non riusciva mai a definire cosa provava quando si trattava di Castiel.
Ad un tratto cadde il silenzio più totale. Il cacciatore sentì il suo sangue gelarsi nelle vene. Lentamente si rivolse verso l'uomo in piedi davanti a sé. I loro occhi si incrociarono. Dean sentì il suo sguardo penetrante attraversarlo.
- Dean e Sam Winchester. - Disse con gli occhi azzurri illuminati da una scintilla inquietante. - Non vi aspettavo così presto. -
Dean sorrise - Ci siamo liberati presto e abbiamo pensato di fare una visita. -
In quel momento Sam stropicciò gli occhi e iniziò a riprendere conoscenza. Aveva i capelli scompigliati, ma non sembrava sanguinare.
L'uomo sorrise. - Non sono mai riuscito a capire perché voi Winchester vi sentiate sempre così speciali… Figli miei! - Urlò rivolgendosi alla folla. - Io, Canaan, vostro padre e protettore, dichiaro che il sacrificio abbia inizio. -

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