He saw the darkness in her beauty, she saw the beauty in his darkness. di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E bruciare per te ***
Capitolo 2: *** Il più bel 3 settembre 1943 di sempre ***
Capitolo 3: *** Promesse di matrimonio ***
Capitolo 4: *** Un futuro da costruire insieme ***
Capitolo 5: *** Di draghi e principesse ***
Capitolo 1 *** E bruciare per te ***
contest
Note dell’autrice:
1. Questa sarà una raccolta di oneshots
interamente dedicata alla coppia Enoch/Olive,
da qui il titolo che ho scelto per l'intera raccolta (preso da tumblr).
2. Il
titolo di questo primo capitolo fa riferimento alla bellissima canzone
di Elisa, che calza a pennello con il potere di Olive e con questa
splendida coppia.
3. La
fanfiction qui sotto prende in considerazione i personaggi del film,
quindi Enoch e Olive sono grandicelli (intorno ai 17 anni credo) e
inoltre Olive ha il dono del fuoco e non della levitazione (questa
è una delle differenze principali tra il libro e il film).
La trama si colloca dopo
la fine del film e ho immaginato che Miss Peregrine abbia
subito formato un nuovo anello temporale.
4. La
storia si ispira tuttavia a un paio di frasi del secondo libro della
trilogia di Miss Peregrine che riporterò qui
sotto. Non si tratta di un grosso spoiler sugli eventi del libro,
quindi chi non lo ha letto può stare tranquillo
♥
Buona lettura!
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#01.
E bruciare per te
Tratto
dal libro “Hollow City”:
Horace spalancò le braccia in un gesto
teatrale. «Benvenuti nella splendida Londra!»
esclamò. «È ancora più bella
di come l’avevi descritta tu, Enoch. E ce l’hai
descritta a lungo! Per settantacinque anni non ho sentito altro che
“Londra, Londra, Londra! La città più
bella sulla faccia della Terra!”».
[...]
«Oh, non ne ho parlato così tanto»
protestò Enoch.
«Sì,
invece!» ribatté divertita Olive.
«“A Londra le cose funzionano
diversamente” dicevi. Oppure “A Londra si mangia
molto meglio!”».
***
«Eri geloso di Abe e lo sei anche di Jake. Perché,
Enoch?».
Quella era ciò che poteva definirsi una domanda a bruciapelo. Ironico
che a fargliela fosse stata proprio Olive, che con il fuoco aveva a che
fare in ogni momento della sua vita. «Se ne sono accorti
tutti», proseguì con un velo di tristezza che le
adombrava i grandi occhi verdi. «È per Emma, non
è vero? Dimmi la verità, ti prego».
Per nulla sorpreso, Enoch piegò un angolo della bocca, a
metà tra una smorfia e un sorriso. Per quanto avesse cercato
di dimostrare a Olive
di amarla, la sua domanda era più che legittima. Sapeva
infatti che, a causa della sua esplicita avversione nei confronti dei
giovani Portman e del suo comportamento esageratamente protettivo nei
confronti di Emma, in casa di Miss Peregrine si vociferasse da sempre
della sua cotta per la bionda e quella era un’ottima
occasione per mettere le cose in chiaro, soprattutto con Olive che, dal
momento in cui si erano scambiati quel bacio durante la battaglia
contro gli Spettri, era diventata ufficialmente la sua ragazza.
«Non sono innamorato di Emma, se è questo che
intendi. Non lo sono mai stato. Tuttavia non posso negare di essere
stato geloso di Abe e di essere ugualmente geloso di Jake».
Olive aggrottò la fronte, confusa da quelle parole che,
evidentemente, le sembravano parecchio contraddittorie.
Enoch continuò. «Jake, così come suo
nonno, ha qualcosa che io ho sempre desiderato ma che non
mi sarà mai concesso: una vita Normale. Non
fraintendermi», ci tenne a precisare, «sono
orgoglioso del mio dono e tu sai quanto io ami giocare
con le mie
marionette, ma mi sono sempre chiesto, non senza un po’ di
paura, come sarebbe stato vivere fuori
dall’anello, andare a scuola e poi al college, diventare
adulto, sposarmi, avere dei bambini... invecchiare».
L’ultima parola era stata poco più di un sussurro.
Tutte cose che non erano possibili per gli Speciali, o almeno non se volevano
continuare a vivere al sicuro e lontani da ogni pericolo. «E
quando penso che la nostra Emma un giorno potrebbe fuggire via con
Jake, come aveva desiderato fare con Abe, io mi ritrovo ad essere
piuttosto geloso, oltre che preoccupato, per ciò che
l’attenderebbe al di fuori del
nostro mondo».
Olive sgranò gli occhi, ora lucidi di lacrime. «Oh, Enoch, mi
dispiace così
tanto di aver dubitato dei tuoi sentimenti per
me!». Gli buttò le braccia al collo e lo strinse
forte, sentendosi irrimediabilmente in colpa.
Enoch tossicchiò imbarazzato, accarezzandole piano i capelli
con una mano. Lui, sempre così serio e composto, doveva
ancora farci l’abitudine a quei calorosi slanci
d’affetto, per quanto gli facessero estremamente
piacere. «Su su, non è una tragedia»,
cercò di consolarla come meglio poteva.
Ed era vero. Gli piaceva essere un ragazzo Speciale e quello di
condurre un’esistenza da comune mortale era solo un vecchio
sogno relegato in un cassetto del suo cuore, lontano e irraggiungibile.
In fondo andava bene anche così. Anzi, ora che aveva Olive
al suo fianco tutto il resto del mondo gli appariva molto meno
interessante. Cosa poteva desiderare di meglio se non un’eternità
insieme a lei? Forse questo avrebbe dovuto dirglielo, era sicuro che
l’avrebbe resa felicissima, ma Olive non gliene diede il
tempo: si allontanò da lui con uno scatto e, posandogli le
mani sulle spalle, prese a fissarlo con gli occhi pieni di speranza.
«Potremmo chiedere a Miss Peregrine di concederci un giorno
di vacanza fuori dall’anello! Solo tu ed io!».
L’allegria sul volto di Olive era tale che, per un attimo,
solo per un attimo, anche Enoch si sentì su di giri
all’idea di poter sperimentare solo per qualche ora quello
che Abe e Jake avevano provato per un’intera vita.
Poi Olive si ricordò di un dettaglio fondamentale e il suo
sguardo si spense all’improvviso, così come quello
di Enoch.
«Oh, no! Miss Peregrine non ci manderebbe mai da soli... che
peccato». Fece una piccola pausa, riflettendo sulle possibili
soluzioni. «Ehi, aspetta! Potremmo invitare anche Jake ed
Emma! Sono sicura che Miss Peregrine accetterebbe, lei si fida di
Jake!». Con quei continui sbalzi d’umore, Olive
sembrava tornata piccola e forse era proprio per quello che Enoch la
amava: risvegliava il bambino allegro e sorridente nascosto in fondo
alla sua antica anima stanca. «Ah, sarebbe
fantastico! Ci
pensi, Enoch? Chissà dove potremmo andare...».
Ad Enoch quello sembrava ancora un sogno irrealizzabile, ma in fondo
nessuno vietava loro di fantasticare. Intenerito, sfiorò con
le dita la mano guantata di Olive che, a quel lieve contatto,
puntò tutta la sua attenzione su di lui.
«Se potessi, Olive, ti porterei a Londra. Io e te da soli
nella città più bella del mondo. A Londra le cose
funzionano molto diversamente, sai?». Le sorrise
incoraggiante. «Per prima cosa ti porterei a mangiare in un
bel ristorante tradizionale. Lì si mangia meglio di qui,
nulla a che vedere con le verdurine insipide che ci rifila Miss
Peregrine a pranzo! Poi ti porterei sul London Eye. Dovresti proprio
vederlo, l’Occhio di Londra, Olive. Non che io ci sia mai
stato, ma dicono che, quando la ruota si muove alla massima
velocità, sia un po’ come morire e rinascere
subito dopo, e tu lo sai che adoro
questo argomento». Enoch, da sempre uno dei ragazzi
più taciturni di casa, non aveva mai messo tante parole
insieme tutte in una volta, forse perché aveva trovato il
modo di unire in un unico discorso le due cose che più gli
stavano a cuore: i suoi studi su Londra e i suoi sentimenti per Olive.
Non poteva sapere quanto gli brillassero gli occhi in quel momento.
Olive, che lo osservava e lo ascoltava incantata, invece sì.
«Poi ti porterei a teatro a vedere uno di quegli spettacoli
simili ai film di Horace che ti fanno tanto emozionare. Verso sera
potremmo andare a fare una passeggiata sotto il Big Ben e scattarci una
foto con quegli aggeggi tecnologici di ultima invenzione. Ah,
ce ne
ricorderemmo per tutta la vita! Infine ti porterei sul ponte del
Tamigi, sotto le stelle».
«E poi?», lo incoraggiò la ragazza,
assuefatta dal suo racconto.
Enoch inarcò un sopracciglio, facendo finta di non capire.
«E poi cosa?».
Olive arrossì leggermente. «Mi baceresti? Come nei
sogni romantici di Horace?».
«Sì, ti bacerei».
«E mi diresti che mi ami?».
«Sì, Olive».
«E poi?».
Enoch decretò che la conversazione stava assumendo una piega
decisamente pericolosa.
Olive era così bella, così
delicata, con quei
capelli rossi e ondulati tanto simili alle fiamme che sapeva far
scaturire dalle mani, e quei vestiti leggeri che tante volte avevano
solleticato la sua fervida fantasia di eterno
diciassettenne e quel
piccolo grande cuore così diverso da quelli che lui era
solito manipolare con il suo potere. Il cuore di Olive era vivo, vero, forte,
e
palpitava per lui, solo
per lui. Enoch ne era così stupidamente,
pazzamente, disperatamente innamorato che non riusciva a non immaginare
di fare a Londra quello che invece era
assolutamente vietato, severamente proibito, addirittura impensabile, in una
casa per bambini Speciali tenuta sott’occhio dalla vigile
Miss Peregrine.
«E... poi?», ripetè Olive con ingenua
curiosità, ignara di cosa si agitasse nella mente del
giovane O’Connor.
Una camera da letto, magari un bell’albergo a cinque stelle,
un letto sfatto, Olive nuda sotto di lui, stretta tra le sue braccia,
che invocava piano il suo nome − “Enoch, Enoch,
Enoch...”, musica per le sue orecchie
− e lo toccava sul petto, sulle spalle, sulla schiena con le
sue piccole mani bollenti che avrebbero potuto bruciargli la pelle.
«Fidati, Olive, tu non
vuoi davvero saperlo».
Si sarebbe sempre lasciato bruciare, Enoch, bruciare d’amore
per la sua Olive.
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Capitolo 2 *** Il più bel 3 settembre 1943 di sempre ***
contest
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#02. Il più bel 3 settembre 1943 di sempre
A Olive era sempre piaciuto aiutare Enoch nel suo laboratorio: gli
passava le pinze e le forbici, metteva in ordine i barattoli sugli
scaffali, puliva il tavolo a lavoro completato. Come ricompensa, Enoch
le concedeva di assistere alle battaglie tra i suoi burattini e,
di tanto in tanto, un “grazie”
appena udibile accompagnato da un vago sorriso. A Olive bastava quello,
o almeno se lo faceva bastare, in attesa del giorno in cui Enoch
l’avrebbe guardata con occhi diversi.
Tuttavia era da un paio di giorni che lui la teneva fuori dal suo
laboratorio. «Sto lavorando ad un progetto molto importante,
non voglio distrazioni», le aveva detto con tono perentorio.
Olive non sapeva se sentirsi offesa o lusingata da quelle parole
perché il fatto che Enoch la considerasse una distrazione
poteva significare due cose: o che talvolta la sua presenza lo
attirasse più delle marionette (e in tal caso sì,
Enoch cominciava a guardarla con occhi diversi, e Olive non poteva che
esserne felicissima) o che la considerasse un peso, un ostacolo che gli
impediva di concentrarsi totalmente sul suo lavoro. O forse entrambe,
Olive non riusciva proprio a capirlo. In qualunque caso, opporsi alla
volontà di Enoch sarebbe stato del tutto inutile, quindi
decise che avrebbe atteso pazientemente che terminasse da solo il suo
lavoro.
Una settimana dopo, le cose non sembravano affatto cambiate. Enoch
passava giorni interi chiuso nel suo laboratorio, uscendo solo per
dormire e mangiare; inoltre era diventato più burbero e
taciturno del solito e, se qualcuno in casa gli chiedeva
cos’avesse, lui rispondeva sbuffando e sbattendo le porte.
Olive cominciava ad essere seriamente preoccupata. Non aveva mai visto
Enoch così indaffarato e nervoso, e inoltre moriva dalla
curiosità di sapere a cosa stesse lavorando. Stanca di
aspettare, preparò un vassoio con una tazza di tè
scaldata con le sue stesse mani e qualche biscotto di quelli appena
sfornati, e si appostò sotto la porta del laboratorio.
Esitò qualche secondo prima di bussare. Non era sicura che
fosse un buona idea − Enoch le aveva espressamente
raccomandato di non disturbarlo per nessun motivo, Spettri e Vacui a
parte − ma quello era l’unico modo per verificare
che andasse tutto bene e magari estorcergli anche qualche informazione
sul suo progetto.
Bussò piano e un lieve toc
toc risuonò nel silenzio del corridoio. Enoch
non rispose, probabilmente non l’aveva sentita, quindi Olive
bussò in maniera più decisa e finalmente uno
scocciato «Sì?» venne fuori
dall’interno della stanza.
«Sono io... Olive. Mi chiedevo se ti andasse un
tè. Sei lì dentro da stamattina, non sei nemmeno
un po’ stanco?».
Enoch rispose con un sospiro e un flebile «Entra».
Olive, soddisfatta, aprì la porta e se la richiuse alle
proprie spalle. Con un sorriso stampato sul volto raggiunse il tavolo
da lavoro di Enoch, come sempre disseminato di parti di bambole, cuori
di animale e attrezzi sporchi di sangue. Olive non si
impressionò: ci aveva ormai fatto l’abitudine a
tutto quello. Anzi, se all’inizio il gusto di Enoch per il
macabro la inquietava, con il passare del tempo osservarlo ridare vita a esseri
inanimati e organizzare combattimenti all’ultimo sangue era
diventato parecchio divertente.
Ciò che in quel momento spiccava al centro tavolo era un fagotto bianco. Olive capì immediatamente che Enoch si era
premurato di nascondere il suo lavoro poco prima che lei entrasse e
questo la incupì a tal punto da toglierle il sorriso.
Significava che Enoch non si fidava di lei e questo non andava bene.
Tolta la fiducia, che era alla base della loro amicizia,
cos’altro le rimaneva? Tuttavia si impose di non far
trasparire la delusione, quindi poggiò il vassoio in un
angolo libero del tavolo e piantò lo sguardo su Enoch.
«Allora, come procede il lavoro?».
«Procede», rispose allusivo il giovane
O’Connor, afferrando un biscotto e sgranocchiandolo con aria
annoiata.
Olive non si lasciò scoraggiare.
«Dev’essere parecchio importante per te... deduco
che non è un semplice burattino da combattimento».
«No, non lo è», rispose Enoch,
afferrando la tazzina del tè.
«Mi chiedevo...». Olive si morse le labbra, incerta
se continuare o meno, «mi chiedevo se potessi dirmi di cosa
si tratta. Solo un piccolo indizio», e mimò con il
pollice e l’indice una quantità invisibile.
«Prometto che non ne faccio parola con gli altri!
Sarò muta come un pesc−».
«AAAH, SCOTTA!».
Enoch aveva spalancato gli occhi e la bocca: con una mano teneva ancora
la tazzina bollente e con l’altra si sventolava il viso rosso
come un peperone, cercando di placare la sensazione di bruciore.
«Oddio, Enoch, mi dispiace tanto!». Olive
scattò verso di lui per aiutarlo, ma Enoch si ritrasse
all’istante, come se anche Olive scottasse [eppure lei non
avrebbe mai, mai
potuto fargli del male]. La fulminò con lo sguardo, prese il
vassoio con il tè e i biscotti, e glielo ficcò
tra le mani.
«Fuori dal mio laboratorio. ORA».
Olive sentì gli occhi pizzicare. Enoch non era mai stato
così brusco, o almeno non
con lei.
«Ma io volevo solo...», tentò,
allungando una mano verso di lui.
«Ho detto fuori!».
A quel punto, a Olive non restò altro che voltarsi e
andarsene via con la coda tra le gambe. Non era la prima volta che un
evento del genere accadeva − Miss Peregrine continuava a
ripeterle che “A
nessuno piace il tè bollente”1 ma Olive, nel prepararlo, aveva la sensazione che
fosse sempre troppo poco caldo − e tuttavia Enoch non si era
mai arrabbiato tanto. Le poche volte in cui gli era successo di
scottarsi le aveva chiesto un bicchiere d’acqua fresca e le
aveva detto di non preoccuparsi.
Questa volta Olive si rendeva conto di aver combinato un pasticcio,
peggiorando una situazione già di per sé
spiacevole. Sperò con tutto il cuore che il suo rapporto con
Enoch non ne fosse uscito irrimediabilmente compromesso
perché non lo avrebbe mai sopportato.
***
Nei giorni a venire, Olive si chiese se non fosse il caso di andare a
scusarsi con l’amico, ma l’indifferenza che le
mostrava a tavola le suggeriva che forse lui non aveva nessuna
intenzione di perdonarla, men che meno di rivederla nel suo
laboratorio, almeno per ora.
Quel giorno, nonostante fosse il suo giorno dell’anno
preferito − o meglio, il suo 3 settembre 1943
preferito − Olive si svegliò di pessimo umore.
Strisciò fuori dal letto, si vestì e raggiunse la
sala da pranzo dove l’aspettava una sontuosa colazione, un
coro di “Tanti auguri a te!” e uno striscione con
scritto “BUON COMPLEANNO, OLIVE” a caratteri
cubitali appeso al caminetto, sotto il quale campeggiava una torre di
pacchi di diverse dimensioni e colori. Dal giorno in cui aveva formato
l’anello temporale, Miss Peregrine aveva ben pensato di
tenere il conto dei giorni reali, così da permettere ai suoi
amati bambini di festeggiare tutte le festività
dell’anno. E quel giorno il calendario della casa dei Bambini
Speciali segnava che fuori dall’anello era l’8
gennaio2,
cioè il compleanno di Olive.
Come ogni anno, scoprire che i suoi amici e la direttrice non si erano
dimenticati di organizzarle una festa non potè che scaldarle
il cuore, tuttavia qualcosa − o meglio, qualcuno −
le impediva di essere completamente felice. E quel qualcuno se ne
rimase in disparte per tutta la festa lanciandole di tanto in tanto
qualche occhiata... fino al momento di scartare i regali.
***
«Oh grazie, Horace, è meraviglioso!»,
esclamò Olive stringendo tra le mani il suo vestito nuovo,
al quale avrebbe abbinato i raffinati guanti ricamati che le aveva
regalato Miss Peregrine. Sul tavolo erano poggiati un vasetto di miele
pregiato da parte di Hugh − oh, lei adorava il
miele − e un mazzo di fiori profumati − girasoli, i
suoi preferiti − da parte di Fiona, e altri regali
altrettanto belli da parte degli altri membri della numerosa famiglia.
Olive si sarebbe sentita al settimo cielo se alla fine non si fosse
resa conto che l’unico regalo che mancava
all’appello era quello di Enoch. Per un attimo, solo per un
attimo, pensò che lui, tutto preso da quel lavoro, si fosse
dimenticato del suo compleanno o che, peggio ancora, fosse talmente
arrabbiato con lei da non volerle fare nemmeno un misero regalo. Ma
quando la sala da pranzo si svuotò e Enoch la
afferrò per un polso borbottando «Il mio regalo
è di là», Olive ritrovò
finalmente il sorriso dopo svariati giorni e si lasciò
guidare verso il laboratorio dell’amico, completamente
dimentica di quanto le fosse costata l’attesa.
***
Quando furono dentro, Enoch chiuse la porta e raggiunse il tavolo da
lavoro, accendendo la lampada, la cui debole luce illuminò
una semplice scatola rossa. «Non ho fatto in tempo ad
incartarla», le spiegò, ma a Olive poco importava:
un momento con Enoch era sempre un momento speciale,
indipendentemente da tutto il resto. Per di più
notò che, oltre alla sedia di Enoch, ce n’era
un’altra proprio di fronte al tavolo, messa lì
apposta per lei. «Siediti», la invitò il
ragazzo.
Incuriosita, Olive si accomodò e Enoch andò a
sedersi dall’altra parte, cosicché si ritrovarono
l’uno di fronte all’altro. Enoch la fissava in
silenzio e Olive si ritrovò ad arrossire senza un vero
motivo. Forse era la luce soffusa della lampada che illuminava solo i
loro volti lasciando il resto della stanza in penombra, o magari era il
fatto che si trovasse da sola con Enoch proprio il giorno del suo
compleanno, o forse ancora l’impazienza che lui cercava
inutilmente di nascondere dietro il volto serio. Fatto sta che a Olive
quell’atmosfera, quell’intera situazione sembrava
piuttosto... intima.
Abbassò lo sguardo in imbarazzo e si lisciò le
pieghe del vestito sulle ginocchia, attendendo la prossima mossa
dell’amico.
«Avanti, apri», la incitò lui.
Olive si sporse in avanti e sollevò il coperchio della
scatola che nascondeva un involucro di carta. Lo scostò con
delicatezza, infilando le mani all’interno. Quello che si
ritrovò a toccare era liscio e morbido. Quando lo estrasse
dalla scatola, Olive inarcò le sopracciglia e si
lasciò sfuggire un «Oh» di
stupore.
Era la bambola più bella che avesse mai visto: i riccioli
biondi ricordavano i capelli di Claire, sul viso roseo e paffuto erano
incastonati un paio di splendidi occhi azzurri che sembravano
osservarla con curiosità; un vestitino rosa e un paio di
scarpette nere contribuivano a rendere quella piccola figura ancora
più dolce e realistica.
Che stupida era stata a credere che Enoch si fosse dimenticato del suo
compleanno!
Con gli occhi liquidi di felicità, Olive aprì la
bocca per ringraziarlo, ma lui la bloccò indicandole la
superficie del tavolo. «Poggiala qui».
Olive eseguì. La bambola riusciva a mantenersi sulle proprie
gambe e Enoch si sporse verso di essa, sussurrandole
nell’orecchio qualcosa che Olive non riuscì ad
udire. Un secondo dopo, come per magia, la bambola sollevò
piano la testa, osservando Olive con i suoi occhioni blu, come se fosse
viva, e prese a muoversi nella sua direzione, un passo dopo
l’altro, in maniera del tutto naturale, nulla a che vedere
con i gesti veloci e meccanici delle tipiche marionette di Enoch.
Quando le arrivò di fronte, la bambola si fermò,
sollevò piano un braccio posando la sua manina
sulla guancia di Olive e la sfiorò delicatamente fino al
mento. Totalmente ipnotizzata, Olive chiuse gli occhi, lasciandosi
accarezzare: l’aveva capito, finalmente, che era quello il progetto
a cui Enoch aveva lavorato per giorni interi, tenendola lontana
affinché non lo scoprisse. Quando riaprì gli
occhi, Olive lo guardò ed ebbe come la sensazione
che quella dolce carezza gliel’avesse fatta lui, che in
qualche assurdo modo Enoch fosse stato in grado di trasferire nella
bambola non solo la sua volontà, ma anche i suoi sentimenti
– amicizia, amore o magari entrambi, ma che importava? Olive
poteva sentirli proprio lì, tra la pelle della sua guancia e
il palmo della mano della bambola. Gli occhi le si inondarono di lacrime.
«Progettavo questa bambola da un mese. Non immagini quanto
sia stato difficile renderla vagamente... carina».
Tirando su col naso, Olive sorrise intenerita. Era innegabile che i
burattini di Enoch avessero sempre avuto un aspetto terrificante: un
teschio al posto della testa, un arto più lungo e uno
più corto, il petto squarciato che nascondeva il cuore di un
animale, zampe di gallina o chele di granchio al posto delle dita.
Eppure quella bambola era semplicemente perfetta.
All’inizio Olive ne era rimasta stupita: non credeva che le
mani di Enoch, abituate a costruire rozze marionette soldato, potessero
dar vita ad un qualcosa di tanto bello. Ma in quel momento non
potè far altro che ricredersi e rimproverarsi mentalmente
per non esserci arrivata prima: nonostante fosse il ragazzo
più burbero e scortese della casa, Enoch aveva un cuore
d’oro e quella bambola ne era la dimostrazione.
«L’ho smontata e rimontata parecchie volte, non ero
mai soddisfatto del risultato finale. E per questo me la prendevo con
tutti voi, in particolare con te, Olive. Temevo che non fosse
all’altezza delle tue aspettative. Mi dispiace per come mi
sono comportato, spero che tu mi possa perdonare».
E a quel punto Olive non potè far nulla per impedire alle
lacrime di colare lungo le guance. In una frazione di secondo mise da
parte la bambola, si alzò e girò intorno al
tavolo fino a raggiungere Enoch. Gli strinse il viso tra le mani e si
chinò a baciargli la fronte. «Stupido».
Un bacio sul naso. «Stupido». Un bacio sulla
guancia. «Stupido». Poggiò la fronte
contro quella di Enoch e sorrise. «Non hai nulla di cui
scusarti, è senza dubbio il regalo più bello,
più bello che tu potessi farmi».
«Tu
sei bella». Enoch l’aveva sussurrato appena, ma
Olive riuscì a sentirlo ugualmente, e quello le
bastò per avere il coraggio di poggiare le labbra su quelle
di Enoch e infine baciarlo con tutto l’amore di cui era
capace. E quando avvertì Enoch risalire con le mani lungo la
sua schiena e invitarla a sedersi sulle proprie gambe per approfondire
il bacio, Olive pensò che ne era valsa la pena aspettare e
lottare e crederci fino in fondo, se quello era il sapore della
felicità.
Quello fu indubbiamente il più bel “3 settembre
1943” – o “8 gennaio” o
“compleanno”, che dir si voglia − della
sua lunga vita di Speciale.
«Enoch,
la bambola ci sta fissando».
«Ma no, non credo».
«Ti dico di
sì».
Enoch guardò oltre la spalla di
Olive.
Gli occhioni azzurri della sua creatura gli restituirono uno sguardo malizioso.
«...Hai ragione».
Un sussurro e la bambola si rimise a
dormire nella scatola.
«Dov’eravamo
rimasti...?»
Un sorriso e un bacio, poi un altro e un
altro ancora.
1 “A
nessuno piace il tè bollente” (Miss Peregrine a
Olive, nel film)
2 8
gennaio: compleanno di Olive (trovato su tumblr)
Note dell'autrice:
L'altro giorno ho pubblicato il primo capitolo come storia unica, poi
mi sono venute in mente altre idee e ho deciso di trasformarlo in
un'intera raccolta. Mi sono letteralmente innamorata di questa coppia e
non credo che mi passerà tanto facilmente :'D credo inoltre
che pubblicherò anche qualche altra fanfiction a parte,
magari su Jake ed Emma, così anche Miss Peregrine
avrà il suo piccolo fandom ♥
Se qualcuno passa di qui, un breve commento non mi dispiacerebbe :)
La regina
degli sfigafandom
Soly Dea
|
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Capitolo 3 *** Promesse di matrimonio ***
contest
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#03.
Promesse di matrimonio
Tratto
dal film (scena della cena):
Olive: - Puoi sederti qui, Jake.
Horace: - Guardate, Enoch è geloso!
Enoch: - Perché dovrei essere geloso? Olive può
anche sposare Jake, non mi interessa.
Fiona: - Non essere scortese, Enoch. Non vuole sposarlo, è
emozionata perchè abbiamo un ospite!
Miss Peregrine: - Qui nessuno sposerà nessuno. Mangiate
prima che la cena si raffreddi.
***
Quando Olive, quella sera, entrò in salotto per
l’ora del film stringendo tra le mani guantate un vassoio di
tazze ripiene di marshmallow, trovò Enoch seduto tutto da
solo in un angolo del divano. Fissava assorto lo schermo sopra il
camino come se il film di Horace fosse già in corso, forse
stava ancora pensando alla storia di Abe e Jake. Olive fu quasi tentata
di tornare indietro e restarci finché la sala non si fosse
riempita completamente − l’idea di rimanere sola
con Enoch dopo il piccolo battibecco che si era tenuto a cena la
metteva un po’ a disagio − ma lui l’aveva
sentita arrivare e si era voltato a guardarla, ed ora non le restava
altro che raggiungerlo, facendo finta di niente nell’attesa
che arrivassero anche gli altri spettatori.
Sedersi sull’altro divano significava incontrare lo sguardo
di Enoch ogni qualvolta avesse sollevato la testa, quindi Olive
optò di sedersi sul suo stesso divano, ma a debita distanza,
così ognuno avrebbe guardato davanti a sé senza
incrociare gli occhi dell’altro. Era sempre stato
così, tra loro: si consideravano migliori amici, ma non
appena uno dei due diceva una parola che offendeva l’altro,
la molla
che li teneva legati scattava inesorabilmente e cominciavano ad
ignorarsi, finché uno dei due non trovava il coraggio di
scusarsi e così si riappacificavano.
Il motivo questa volta era parecchio stupido. Anzi, per la
verità non avevano nemmeno litigato direttamente: era
stata una sorta di battaglia
a colpi di sguardo dovuta alle parole pronunciate dai
bambini durante la cena, “gelosia” e
“matrimonio” principalmente.
Olive non aveva alcuna intenzione di scusarsi, dato che non aveva
colpa; era stato Enoch a prendersela tanto e doveva essere lui a cedere
per primo. Quindi prese un respiro profondo e si andò ad
accomodare sul divano, il più lontano possibile da Enoch,
con il vassoio poggiato sulle cosce. Tenne stretti i manici per qualche
secondo, incerta se offrire all’amico una tazza di
marshmallow − non era assolutamente
un tentativo di riappacificazione, ma pura e semplice educazione.
Tentò una via di mezzo, una frase tagliata a
metà. «Vuoi...?».
«Sì grazie». Come se non avesse
aspettato altro per tutto il tempo, Enoch si sporse nella direzione di
Olive e allungò un braccio fino ad afferrare una tazza, poi
tornò alla posizione di partenza.
La ragazza ne prese una anche per sé e infine
poggiò il vassoio sul tavolino. Tutto quello che doveva fare
era aspettare in silenzio l’arrivo degli altri.
Sperò che non ci mettessero troppo o altrimenti quel
silenzio imbarazzante che alleggiava tra lei e Enoch sarebbe diventato
insopportabile.
Per ingannare il tempo si tolse un guanto, riscaldò la
tazza, si rimise il guanto, mangiò un marshmallow, si
lisciò le pieghe del vestito, si arrotolò una
ciocca di capelli intorno al dito. Cinque minuti dopo, dei bambini
nemmeno l’ombra.
Olive non aveva sollevato lo sguardo nemmeno una volta, ma con la coda
dell’occhio aveva visto che in tutto quel tempo Enoch non si
era spostato di mezzo millimetro, limitandosi a stringere la sua tazza
tra le mani.
Chissà se l’aveva guardata anche solo
per un secondo, chissà
a cosa stava pensando.
«Per la cronaca, io non sono geloso».
Olive quasi sobbalzò. Non si aspettava che fosse Enoch a
riprendere la conversazione lasciata in sospeso a cena. Di solito era
sempre lei a ricominciare e, le rare volte in cui decideva di essere
lui a porre fine al loro litigio, lo faceva comunque dopo molte ore (a
volte giorni).
Olive si voltò a guardarlo. Enoch fissava i marshmallow
nella tazza con finto interesse.
Le sue parole rimbombarono nella mente di Olive come un disco inceppato
sulla stessa canzone.
Io non sono geloso. Non
sono geloso. Non. Sono. Geloso.
In fondo Olive non ci aveva sperato. O forse sì,
solo un millesimo di secondo in cui aveva pensato che Enoch fosse
leggermente invidioso
delle attenzioni che quella sera lei aveva rivolto al nuovo arrivato,
Jake, per pura cortesia. Ma lo sapeva, Olive, che Enoch riservava la
sua gelosia solo ad Emma. Era sempre stato così, prima con
Abe e ora con Jake. Doveva ormai rassegnarsi all’idea che
Enoch per lei provasse solo un sincero affetto fraterno. Doveva, eppure non ci riusciva. E
come avrebbe potuto d’altronde? Enoch per lei era molto, molto
più di un fratello.
«Lo so», rispose. E a quel punto Enoch
sollevò la testa e ricambiò il suo sguardo. Si
scrutarono qualche secondo, finché Olive non
trovò il coraggio di porgli una domanda che le ronzava in
testa dall’ora di cena. Non aveva nulla da perdere, in fondo.
Era solo una stupida, stupidissima
curiosità.
«Quindi», continuò, «se un
giorno ne avessi la possibilità, mi daresti il permesso di
sposare Jake?».
«Vorresti sposare Jake?».
Enoch ora la fissava duramente, gli occhi ridotti a due fessure. Olive
conosceva bene quell’espressione: significava che Enoch stava
cercando di leggerle dentro, ma lei non avrebbe ceduto, non questa
volta. Sarebbe stata più forte di lui.
«Non si risponde ad una domanda con un’altra
domanda», trovò il coraggio di dire, senza
staccare gli occhi dal viso pallido di Enoch.
Sorpreso, il ragazzo si rilassò sullo schienale del divano
accennando un’occhiata di sfida.
«Hai ragione. Allora io rispondo alla tua domanda e poi tu
alla mia».
Olive annuì, tesa come una corda di violino. Non era certa
della risposta che le avrebbe dato Enoch. Nel peggiore dei casi avrebbe
potuto dirle che non gliene fregava nulla dei suoi affari sentimentali
e allora Olive gli avrebbe risposto a tono. Nel migliore dei casi Enoch
le avrebbe detto che no,
non doveva sposare Jake, e allora forse Olive avrebbe potuto
approfittarne per avvicinarsi maggiormente a lui e chiedergli perché,
fargli capire che lei... insomma,
lei avrebbe voluto tanto... ah,
stava fantasticando decisamente troppo! Doveva rimanere con i piedi per
terra.
«Puoi sposarti con chi ti pare, Olive. E se vuoi sposarti con
Jake, nessuno te lo vieta, men che meno io. E anche se considero Jake
un totale smidollato,
sono pur sempre tuo amico e tutto quello che voglio è
vederti...», attese qualche secondo e il suo sguardo
solitamente serio sembrò raddolcirsi per un istante,
«...felice».
Olive non potè fare a meno di incurvare le labbra in un
sorriso. Non era la risposta che avrebbe voluto sentire, ma quelle
parole le fecero ugualmente piacere: erano la dimostrazione che,
nonostante i litigi, Enoch ci teneva molto a lei.
Ora era il suo turno. Optò per una mezza verità.
«Sposare Jake? Non saprei. È molto dolce,
particolarmente carino...», e lì Enoch fece una
smorfia di disgusto perché molto probabilmente Jake non era il suo tipo.
Olive continuò: «Forse conoscendolo meglio
potrei... be’, potrei... innamor−», si
bloccò all'istante. Innamorarsi?
No, mai.
Quel posto nel suo cuore era già occupato.
«Potrebbe piacermi...»,
si corresse, «come fidanzato e magari anche come futuro
marito».
«Capisco». Enoch non sembrava particolarmente
sorpreso.
Olive si morse l’interno della guancia, un po’
delusa. Cosa si aspettava? Che Enoch le dicesse che... doveva sposare
lui e non Jake? Illusa.
Sapeva perfettamente quali fossero i sentimenti di Enoch, eppure non
smetteva mai di sperare che un giorno lui avrebbe potuta guardarla con
gli stessi occhi con cui lei guardava lui.
A quel punto Olive sentì che non c’era
più nulla da dire e che la questione era risolta,
così non aggiunse altro. Restarono in silenzio, ognuno con
lo sguardo perso nel vuoto, finché le voci dei bambini in
corridoio non li riportarono alla realtà.
Il primo ad arrivare fu Horace che si sistemò sulla sedia al
centro della stanza, pronto a proiettare i suoi sogni. Subito dopo
arrivarono i gemelli, Hugh e Fiona, che si sedettero per terra sul
tappeto di fronte al camino, prendendo a chiacchierare tra loro. Dal
corridoio provenivano anche le voci di Claire, Bronwyn, Emma, Jake e
Millard.
«Olive».
In mezzo a quel vociare confuso, Olive non si lasciò
sfuggire la voce sommessa di Enoch che la chiamava.
Sorpresa, si voltò a guardarlo e il suo cuore fece una
capriola nel ritrovarselo improvvisamente più vicino, con il
braccio poggiato sul bordo dello schienale del divano, come a volerla
raggiungere e toccare. «C-che
c’è?», rispose, ingoiando a vuoto. Aveva
come la sensazione che lui stesse per dirle qualcosa di importante,
qualcosa che non avrebbe dimenticato.
«Ho mentito. Non voglio che sposi Jake. Anzi, non voglio che
ti sposi. Sei sempre stata...». Si guardò
intorno, Enoch, assicurandosi che le voci degli amici fossero
abbastanza forti da nascondere la sua, così Olive sarebbe
stata l’unica a sentirlo. «Sei stata al mio fianco
per sessanta1
lunghi anni e non sopporterei di passarne altrettanti senza di
te».
Olive non riusciva a spiccicare parola, stordita dal battito accelerato
del suo cuore che le rimbombava nel petto, nelle orecchie, fin dentro
la testa. Era la cosa più bella che Enoch le avesse mai
detto, meglio di una qualsiasi dichiarazione d’amore, meglio
di qualunque altra cosa si sarebbe mai potuta immaginare. Era
così felice che avrebbe voluto gettargli le braccia al collo
e abbracciarlo forte e dirgli che era lo stesso per lei, ma proprio in
quel momento Claire e Bronwyn ebbero la brillante idea di sedersi in
mezzo a lei ed Enoch, e tutti i suoi buoni propositi svanirono nel
nulla.
Eppure Enoch non smetteva di fissarla da sopra la testa delle bambine, come se nella stanza non ci fosse nient’altro su cui
posare lo sguardo all’infuori di lei.
«Olive, dì qualcosa».
«Io...».
Ma che diamine!,
dov’erano finite tutte le parole che avrebbe voluto dirgli e
che teneva nascoste in fondo al cuore? Perché venivano a
mancarle proprio ora? E cos’era quel calore che dal petto si
stava irradiando lungo le guance, le braccia e le mani?
«Olive, stai andando a fuoco», le fece notare
Bronwyn.
Olive si guardò le mani, emanavano fumo e calore. Ora che se
ne rendeva conto, scottavano così tanto che, se non si fosse
controllata, avrebbe carbonizzato i guanti. «Oh, santo
cielo!», esclamò, «è
l’ora di accendere il fuoco!».
Scattò in piedi, raggiunse il camino e, dopo essersi tolta
un guanto, fece ardere la legna.
Quando tornò a sedersi sul divano, il calore alle guance e
alle mani era quasi svanito, ma ormai Enoch, dall’altra parte
del divano, non la guardava più. Olive fece scorrere lo
sguardo intorno a sé: ora in salotto c’erano anche
Jake, Emma, Millard e Miss Peregrine, e Horace era in procinto di
proiettare il suo film.
Sospirò affranta. Aveva perso la sua occasione.
***
Dopo il film si spostarono tutti in giardino per assistere al riavvio
dell’anello e infine ognuno si recò nella propria
stanza per mettersi a letto.
Olive seguì Enoch nella penombra del corridoio e, un attimo
prima che lui aprisse la porta della sua stanza, gli posò
una mano sul braccio, decisa a riprendere la conversazione di
un’ora prima. Enoch si voltò e,
nell’incrociare il suo sguardo incerto e sfuggente, Olive
capì che si trovava tanto in imbarazzo quanto lei. Quel
pensiero la aiutò a farsi coraggio.
«Enoch, riguardo a quello che mi hai detto
prima...».
«Oh, mi dispiace, devo averti turbata con quelle
stupidaggini». Enoch scrollò le spalle come a
voler liquidare la questione. «Dimenticati di quello che ti
ho detto. Puoi sposarti con chi vuoi, dico davvero». E per
convincerla di quelle parole, le poggiò una mano sulla
spalla e le rivolse uno sguardo incoraggiante.
«Io non voglio
dimenticare». Olive scostò delicatamente la mano
di Enoch dalla sua spalla. «Ho sempre voluto sentirmi dire
quelle parole da te, ero solo troppo... scioccata per
risponderti». Fece un piccolo passo avanti e posò
la fronte contro il petto di Enoch, aggrappandosi con le mani a due
lembi del suo maglione per evitare di guardarlo negli occhi.
L’imbarazzo era alle stelle, eppure non riusciva a fermarsi.
Era come un fiume in piena. «Hai detto che non vuoi che io mi
sposi. E allora te lo prometto, Enoch. Non mi sposerò, ma...
ad una sola sola
condizione».
Dopo qualche secondo di attesa in cui Olive si chiese se avesse fatto
la mossa giusta, Enoch le passò un braccio dietro la
schiena, senza veramente abbracciarla. Solo un breve contatto, semplice
ma piacevole. «Quale condizione?».
«Non dovrai sposarti nemmeno tu. Promesso?».
«Promesso».
E quello bastava ad entrambi. Rimasero fermi in quella posizione per
qualche secondo, poi Olive scivolò via e si avviò
verso la sua stanza.
Un attimo prima di varcare la porta, però, la voce di Enoch
le giunse nuovamente alle orecchie.
«Ma allora Jake ti piace sì
o no?».
Olive sorrise, stringendo la maniglia della porta con la mano bollente.
«Jake mi piace, è vero, tuttavia per ora lo
considero solo un buon amico... e comunque non corrisponde al mio tipo ideale».
«E qual è il tuo tipo ideale?».
Colpito e affondato.
Il sorriso di Olive si allargò. Non poteva certo dirgli che
il suo tipo ideale era un gelosone
burbero e orgoglioso con l’inquietante fissazione per le
bambole. Forse un giorno Enoch ci sarebbe arrivato da solo
e allora non ci sarebbe stato più bisogno di mezze
verità e mezzi abbracci. Forse un giorno avrebbero entrambi
capito che alla base della promessa di non sposarsi con altre persone
c’era la promessa di sposarci a vicenda.
Per quella sera Olive preferì lasciare la conversazione in
sospeso.
«Buonanotte, Enoch».
«Buonanotte, Olive...».
Un’ultima occhiata e poi ognuno nella propria stanza. E per
il momento andava bene così.
1 Sessanta anni: su
wikipedia c'è scritto che Enoch e Olive nel film hanno
rispettivamente 112 anni e 75 anni. Considerando che il film
è ambientato nel 2016, ho fatto 2016 - 75 = 1941, anno di
nascita di Olive. Nel film dimostra circa 17
anni, quindi possiamo dire che è entrata nell'anello di Miss
Peregrine nel 1958. Infine ho fatto 2016 - 1598 = 58, per approssimazione
60, che sono gli anni che Olive e Enoch hanno trascorso insieme. Forse
non interessa a nessuno, ma ci tenevo a specificarlo :D
Grazie a chi legge e recensisce
questa storia!
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Capitolo 4 *** Un futuro da costruire insieme ***
contest
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#04.
Un futuro da costruire insieme
Seduto in un angolo della nave con lo sguardo fisso sulle onde al di
là degli oblò, Enoch faceva un resoconto delle
ultime ore: erano riusciti a sfuggire all’attacco del Vacuo
mandato da Mr Barron e alla bomba lanciata dai tedeschi, ma ora la casa
di Miss Peregrine era ridotta ad un cumulo di macerie e
l’anello temporale si era chiuso per sempre; Jake aveva avuto
la brillante idea di far risalire dal fondale marino
quell’antica nave tutta ammaccata per andare a salvare le
Ymbryne, ma le probabilità di vittoria erano
pressoché minime. Come poteva un gruppo di bambini
impauriti, mai usciti dal loro piccolo paradiso al riparo
dai pericoli del mondo, avere la meglio contro una squadra di Spettri
assetati di potere e Vacui affamati di Speciali? Enoch non lo sapeva
proprio, eppure tutti riponevano in Jake una fiducia smisurata,
nonostante la sua unica abilità fosse quella di vedere i mostri,
non di ucciderli.
Si guardò intorno, Enoch. Ognuno si stava dando da fare per
far sì che il piano riuscisse alla perfezione: Hugh e Fiona
davano direttive sulla rotta da seguire guardando la mappa, Bronwyn
reggeva il timone, Emma e Jake rifinivano gli ultimi dettagli del
piano, Olive al piano di sotto si assicurava che le caldaie della nave
funzionassero correttamente, perfino Horace − che si era
messo a dormire nella speranza di fare qualche sogno premonitore
− stava dando il suo personale contributo.
Enoch si sentiva del tutto inutile. Se ne stava lì, lontano
da tutti, in un angolo appartato della nave, senza poter fare nulla.
Una volta arrivati a destinazione, avrebbe potuto animare qualche
oggetto e scagliarlo contro i nemici, ma per ora il suo potere non
serviva a nulla. Che importanza aveva, comunque? Probabilmente
sarebbero stati catturati prima ancora di mettere in atto il loro
piano. Nel peggiore dei casi sarebbero morti, nel migliore dei casi
sarebbero stati salvati dalle stesse Ymbrine, com’era sempre
stato fin dai primi anelli temporali: erano loro a proteggere gli
Speciali, non il contrario.
«Non avresti dovuto, Enoch».
Il ragazzo sollevò la testa, trovando Olive di fronte a
sé, un po’ arrossata sulle guance per essere
rimasta a lungo vicino al fuoco che alimentava la nave. Lo fissava con
sguardo serio, indecifrabile.
«Di cosa stai parlando?», le chiese, non capendo il
significato di quelle parole.
Olive si inginocchiò per terra e si sedette accanto a lui,
facendo scricchiolare il pavimento ammuffito.
«Non avresti dovuto lanciarti contro quel Vacuo».
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, sorpreso. Olive
l’aveva sempre guardato con occhi dolci, lo appoggiava in
ogni decisione e approvava ogni sua scelta, e anche le poche volte in
cui non era d’accordo con lui tentava di farglielo capire
senza urtare la sua sensibilità (non che Enoch fosse un tipo
sensibile, comunque). Da quando era arrivato Jake, però,
qualcosa sembrava cambiato in lei: era diventata più forte,
più matura, più... coraggiosa. E il
fatto che in quel momento lo stesse rimproverando [rimproverando! Olive!],
ne era la prova lampante.
«Ho agito d’istinto», si
giustificò, scrollando le spalle. «Ho visto che
Jake non si muoveva, qualcuno doveva pur attaccare».
«Jake stava solo aspettando il momento giusto!»,
spiegò Olive, lo sguardo più acceso.
«Non c’era bisogno che tu facessi...
l’eroe».
«Che cosa?! L’eroe?!».
Enoch si agitò, colpito nel profondo. «Volevo
soltanto proteggervi!».
«Saresti potuto morire!». Ora Olive teneva i pugni
stretti sulle gambe e lo guardava con i grandi occhi verdi spalancati,
colmi di qualcosa che non aveva più nulla a che fare con il
rimprovero ma che somigliava di più alla paura e alla
tristezza. Subito dopo abbassò lo sguardo e si
accasciò su se stessa, facendosi piccola piccola.
«Come avremmo fatto, Enoch? Cosa... cosa avrei fatto io... senza di te?»,
aggiunse con un filo di voce, come se il solo pensiero di perderlo le
togliesse tutte le forze.
Enoch avrebbe voluto ribattere, ma la verità era che si era
lanciato contro il Vacuo, contro il
nulla in realtà, senza pensare alle conseguenze
e, solo nel momento in cui si era ritrovato stretto tra quelle lingue
viscide fin quasi a soffocare, si era reso conto che quella poteva
essere la sua ultima ora. Poi Jake era giunto in suo soccorso,
salvandolo proprio ad un passo dalla morte. Era Jake il vero eroe, in
fondo era naturale che tutti si fidassero di lui al pari di Miss
Peregrine.
Enoch non sapeva come rispondere. Provava emozioni contrastati: era
profondamente deluso
da se stesso, per non essere riuscito a fare nulla contro il Vacuo; dispiaciuto, per
aver fatto preoccupare tutti inutilmente, Olive in particolare; arrabbiato, per la
scarsa fiducia che lei riponeva nelle sue capacità.
Dacché Enoch se ne ricordasse, era sempre stato lui
l’uomo di casa, colui a cui i bambini si rivolgevano quando
Miss Peregrine era impegnata, forse perché era il
più grande o il più temerario. Da quando era
arrivato Jake, però, Enoch si sentiva quasi... sostituito, una
sensazione che non aveva provato nemmeno ai tempi di Abe.
Preferì restare in silenzio; sapeva che, se avesse parlato,
avrebbe ferito Olive con le sue parole, anche involontariamente.
«Oh, ma che importa?! Sei vivo!»,
sbottò Olive cambiando improvvisamente umore. Enoch
avvertì la mano di lei posarsi sul suo braccio con fare
preoccupato. «Non ti ho nemmeno chiesto come stai... ti fa
male da qualche parte?».
Enoch scosse la testa esasperato. Eccola lì, la piccola dolce Olive che
conosceva, sempre pronta ad aiutare gli altri.
«Sto bene», rispose, ignorando qualche doloretto
alla schiena che si era procurato nel venire sbattuto dal Vacuo contro
le pareti della stanza. «Sono solo zuppo
d’acqua».
«Oh, che sbadata! Ci penso io!».
Prima che lui potesse dirle di non preoccuparsi, Olive si tolse i
guanti e creò con i palmi una piccola bolla di calore. La
avvicinò ai capelli gocciolanti di Enoch, asciugandoli in
poche semplici mosse, per poi passare al maglione fradicio. Enoch
seguì incantato i movimenti di Olive, alternando occhiate al
viso concentrato di lei e alla piccola mano bollente che vagava sulle
sue spalle, sul suo petto, sulle sue braccia, facendo evaporare tutta
l’acqua che si era beccato nell’aiutare Jake e gli
altri a far risalire la nave dal mare. Si sentì
improvvisamente non solo più caldo, ma anche più
tranquillo, come se quella sfera luminosa tra le dita di Olive fosse in
grado di assorbire non solo l’acqua ma anche le
preoccupazioni e le paure. Allora desiderò che la mano di
Olive non smettesse mai di sfiorarlo in quel modo, che lo toccasse
direttamente sulla pelle, più
a lungo, più a fondo, e quasi si
ritrovò ad arrossire per quel pensiero tanto stupido e
insensato. Colto dall’imbarazzo, voltò lo sguardo
di lato per non incrociare gli occhi di Olive, come per paura che lei
potesse leggergli in faccia quello che aveva appena pensato.
«Va meglio ora?», chiese premurosa.
Enoch si limitò ad un flebile
«Sì» e Olive si scostò da
lui, rimettendosi i guanti. Quando Enoch ritrovò il coraggio
di guardarla, notò che l’amica aveva poggiato la
schiena alla parete della nave e aveva chiuso gli occhi.
«Credo... credo che mi riposerò un attimo... prima
dell’arrivo», la sentì mormorare. Aveva
un’espressione rilassata, i capelli rossi un po’ in
disordine che le ricadevano lungo le spalle, le mani poggiate in
grembo. Enoch la trovò particolarmente carina e allora
pensò che la stanchezza gli stesse giocando brutti scherzi.
Forse aveva bisogno di dormire anche lui, era certo che da lucido non
avrebbe guardato Olive in quel
modo.
Poggiò anche lui la schiena contro la parete e si
rilassò, ma dopo un paio di minuti avvertì uno
scalpiccio nelle vicinanze.
«Enoch, posso stare qui con te?».
Il ragazzo riaprì gli occhi: era Claire. Annuì e
le fece segno di mettersi comoda al suo fianco, ma la bambina
andò a sedersi proprio in mezzo a lui e Olive, nel piccolo
spazio che li divideva. Si portò le gambe al petto e
poggiò la testa sul braccio di Enoch. Rimasero in quella
posizione per qualche minuto, tanto che Enoch pensò che
Claire si fosse addormentata e in verità anche lui
cominciava a sopirsi, ma poi la bambina parlò di nuovo.
«Tu e Olive mi ricordate il mio papà e la mia
mamma».
Enoch sorrise lievemente, per nulla sorpreso. Lui stesso sentiva per
Claire un affetto quasi paterno che non provava per nessun altro
bambino. Non che non volesse bene agli altri, ma Claire occupava un
posto speciale nel suo cuore ed era sicuro che anche Olive si sentisse
in dovere di amarla e proteggerla come avrebbe fatto una madre.
«Tu ami
Olive, non è vero Enoch?».
«C-cosa?». Enoch sgranò gli occhi, non
era certo di aver sentito bene.
Claire gli sorrise dolcemente. «La ami»,
ripetè, e questa volta non era una domanda.
Enoch guardò allarmato Olive, ma lei dormiva e certamente
non aveva sentito nulla, quindi potè tirare un sospiro di
sollievo. Ma sollievo
per cosa, poi? Non era mica
vero che lui amava Olive. Insomma, non ci aveva mai minimamente
pensato. L’amore era l’ultimo dei suoi
pensieri, no?
«E lei ama te», aggiunse Claire con tutta
l’innocenza del mondo.
Enoch si incupì, ricordando con quanta – troppa –
gentilezza Olive si fosse rivolta a Jake fin dal suo arrivo in casa di
Miss Peregrine. La gelosia nei confronti del loro ospite lo aveva
letteralmente divorato.
Perché Olive avrebbe dovuto amare uno come lui, uno come il
burbero e orgoglioso Enoch, che un giorno la faceva piangere e
l’altro pure?
«Ti sbagli, Claire...».
«Non mi sbaglio. Olive ha usato il suo potere per far partire
la nave, poi ci ha asciugati tutti e infine con l’ultimo
residuo di calore che le era rimasto è venuta ad aiutare te».
Enoch si guardò intorno, notando che effettivamente tutti i
loro compagni erano asciutti dalla testa ai piedi, poi il suo sguardo
ricadde su Olive che dormiva al fianco di Claire. Era crollata nel
sonno, stremata
da tutto quel lavoro che le aveva tolto le forze. Enoch si rese conto
che si era sacrificata
per tutti loro, per lui
in particolare.
Possibile che Olive lo considerasse più di un amico o un
fratello? Possibile che lei... lo amasse?
E lui? Cosa provava lui nei confronti di Olive?
Enoch si stropicciò gli occhi, confuso da tutte quelle
domande che vorticavano nella sua testa.
Aveva decisamente bisogno di una bella dormita.
***
Quando Enoch si svegliò, Claire non c’era
più. Al suo posto Olive era scivolata verso di lui e ora
dormiva con la testa poggiata tra il suo mento e la sua spalla. I
capelli della ragazza gli solleticavano la pelle del collo emanando un piacevole calore, o forse era lui ad essere accaldato? Enoch guardò Olive in viso e pensò che dormire non era servito a
nulla perché anche da lucido lei gli appariva addirittura
più carina di prima e le parole di Claire a proposito
dell’amore non gli sembravano più tanto insensate,
ma quello non era né il momento né il posto
adatto per pensarci. Ci avrebbe riflettuto dopo la battaglia, se per
miracolo fosse sopravvissuto.
«Ehi, Enoch!». Era Jake, che gli veniva incontro
sorridendo con entusiasmo. «Stavo pensando... saresti in
grado di aizzare gli scheletri della nave contro i Vacui?».
Enoch sgranò gli occhi. Tutti quegli scheletri che
sembravano messi lì apposta per lui... Gli sarebbe bastato qualche cuore per allestire un intero esercito. Come aveva fatto a
non pensarci prima? Era un’idea geniale!
«Certo che ce la faccio, per chi mi hai preso?!».
«Fantastico, praticamente metà del lavoro
è già fatto!», disse Jake dandogli una
pacca sulla spalla. «Tenetevi pronti, stiamo per
sbarcare!».
E si allontanò così, con quel sorriso
così carico di aspettative e speranze che improvvisamente
anche Enoch si sentì contagiato da tutta quella
positività e Jake non gli parve più uno stupido.
A quel punto capì che non era soltanto Olive ad essere
cambiata, ma tutti loro.
Se il defunto Abe li aveva fatti sentire al sicuro, suo nipote Jake li
faceva sentire... coraggiosi, che era anche meglio.1 Enoch si rese conto che il mondo degli Speciali
era nelle loro mani, eppure la possibilità di uscirne
vittoriosi non gli sembrava più così assurda.
Allora si ripromise che avrebbe lottato con tutte le sue forze per
vincere. Lo avrebbe fatto per Jake, per Miss Peregrine, per i bambini.
Enoch scrollò delicatamente la ragazza addormentata al suo
fianco. «Olive, siamo arrivati», la
avvertì.
E osservandola svegliarsi, Enoch pensò che avrebbe
combattuto soprattutto per lei, per la sua Olive, per assicurarle un
futuro radioso. E, magari, un futuro da costruire insieme.
1 “Non
abbiamo bisogno di te per sentirci al sicuro, Jake, perchè
tu ci hai fatto sentire coraggiosi, che è anche
meglio”. (Emma a Jake nel film, scena
dell'addio).
Ringrazio
Mademoiselle_Georgette
che commenta ogni capitolo, Clarissa_
e Tsukai_No_Tenshi_sama
che hanno inserito la storia nelle preferite! ♥
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Capitolo 5 *** Di draghi e principesse ***
contest
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#05.
Di draghi e principesse
Tratto
dal film (scena precedente all'incontro con Victor):
Enoch:
- Oh, dev'essere frustrante per te... tra le regole di Miss Peregrine e
il patto dei miei compagni di non impaurirti, è un po' come
se nessuno ti volesse dire nulla.
Jake: - Be', perchè non lo fai tu allora? Non mi sembra che
tu mi voglia qui.
Olive: - Enoch, non puoi, l'hai promesso!
Enoch: - Olive ha ragione, ma conosco qualcuno che se ne infischia di
infrangere le regole. Lo vuoi conoscere?
[...]
Olive: - Enoch, no, non farlo, ti prego!
Enoch: - Se vuoi stare con me e Jake, possiamo giocare tutti insieme...
quello che hai detto tu.
[...]
Enoch: - Be, eccoci qua. Spostati, Olive.
Olive: - Se hai intenzione di comportarti così, allora non
voglio essere più tua amica.
***
Erano davvero poche le cose in grado di entusiasmare Enoch
O’Connor, o meglio, erano più le cose che non lo
entusiasmavano.
Il riavvio dell’anello, ad esempio, che tutti consideravano a
dir poco fantastico. Ma che diamine c’era di bello in una
scena vista e rivista migliaia di volte? Nemmeno i film di Horace erano
un granché: sogni sui vestiti, perlopiù, e Enoch
di abbigliamento non ci capiva proprio niente (i suoi vecchi maglioni
scuri ne erano la dimostrazione).
Ma la cosa che odiava di più era la passeggiata quotidiana.
Rotolarsi sui prati fioriti e giocare con la sabbia in riva al mare non
era roba per uno come lui, preferiva di gran lunga restarsene
a casa a trafficare nel suo laboratorio, in silenzio e
all’ombra. Aveva provato più volte a saltare la
passeggiata, ma Miss Peregrine l’aveva sempre trascinato a
forza, sostenendo che tutti i suoi bambini avessero bisogno di
respirare un po’ d’aria fresca ogni giorno.
D’altronde, disobbedire alla direttrice era
pressoché impossibile.
Quel giorno Enoch odiò la passeggiata più del solito.
Miss Peregrine guidava il gruppo in silenzio, dietro di lei i
più piccoli chiacchieravano tra loro. Enoch trascinava un
passo dopo l’altro, le mani svogliatamente infilate nei
pantaloni e il viso contratto in una smorfia. Al suo fianco camminava,
come sempre, Olive, la schiena dritta e il passo lento e aggraziato;
teneva per mano la piccola Claire e ogni tanto le due si scambiavano
qualche parola, ma – Enoch l’aveva notato fin da
quando erano usciti – Olive non mostrava alcun segno di interesse verso di lui. Solitamente quello era il momento in cui lei gli raccontava
qualcosa di divertente oppure proponeva attività da fare
insieme; a volte, semplicemente, i loro gomiti si sfioravano per
sbaglio (per sbaglio?)
e Olive si limitava a rivolgergli un sorriso, senza pretendere che lui
ricambiasse.
Questa volta, però, la ragazza non sembrava apprezzare
particolarmente la sua presenza e a Enoch il motivo appariva piuttosto
chiaro: poco prima di uscire di casa, aveva terrorizzato Jake con la
storia di Victor, venendo meno al patto che aveva stretto con i bambini
− far sentire il loro nuovo amico a casa, convincerlo a
restare, magari per qualche tempo, magari per sempre.
La situazione, in realtà, non
era poi così tragica: i bambini, tranne Fiona che aveva
assistito all’accaduto, non erano a conoscenza del fatto che
avesse rotto il loro accordo e a dire il vero nemmeno Jake sembrava poi
così traumatizzato dall’accaduto, dato che se
l’era svignata con Emma chissà dove.
Perché Olive, che in tutto quello c’entrava
veramente ben poco, se l’era presa tanto? E per cosa poi? Per
aver rivelato a Jake che il mondo degli Speciali non era tutto rose e
fiori come appariva dall’esterno? Se davvero Jake era uno
Speciale come loro, aveva tutto il diritto di sapere. E comunque non
capiva perché Olive ci tenesse tanto a tenerlo allo scuro, a
proteggerlo.
Che provasse qualcosa nei suoi confronti...? Quel pensiero gli fece
storcere il naso. Non era possibile, Olive conosceva Jake da troppo
poco tempo e poi a Jake piaceva Emma, quindi... caso chiuso.
L’indifferenza di Olive nei suoi confronti, comunque, era a
dir poco logorante.
Abituato ad averla costantemente intorno, le rare volte in cui
litigavano e smettevano di parlarsi, la sua lontananza, il suo sguardo
offeso, la sua espressione sofferente gli pesavano come un macigno
sullo stomaco.
«Olive», tentò, tirando un lembo del suo
vestito. «Hai intenzione di ignorarmi ancora per
molto?».
Lei si voltò giusto il tempo di rivolgergli una breve
occhiata fredda
− piuttosto ironico, dato che tutta l’essenza di
Olive ruotava intorno al fuoco:
i capelli, le mani, il cuore.
Scocciato, Enoch afferrò la ragazza per un polso.
«Vieni», le disse, ma in realtà gli
venne fuori più come una sorta di ordine [maledetto orgoglio],
tanto che Olive si scostò da lui un po’
spazientita. «Per favore», aggiunse allora. Sapeva
che la dolce
Olive non sarebbe rimasta indifferente di fronte ad una sua supplica e
infatti la vide sospirare, lasciare la mano di Claire e sussurrarle
«Torno subito».
Soddisfatto, Enoch si voltò e prese a camminare in direzione
del mare con Olive al suo seguito.
***
Quando arrivarono in spiaggia, si sedettero entrambi sulla sabbia,
l’uno al fianco dell’altra, e rimasero per un
po’ in silenzio.
Enoch si limitava a vagare con lo sguardo su tutto ciò che
lo circondava. La brezza soffiava piano increspando tanto le onde del
mare, che emanavano luccichii argentei, quanto i capelli rossi di Olive,
che sembravano brillare alla luce del sole. Sarebbe stato un bel momento in buona compagnia,
pensò Enoch, se non fosse stato per il fatto che Olive ce l’aveva a morte con
lui.
«Sei arrabbiata con me?», fu la prima cosa che gli
venne da dire, la più stupida, dato che la risposta era
“Ovvio che sì”.
«Si». ...Ecco, appunto. Ed era anche piuttosto
evidente: da quando si erano seduti, Olive non l’aveva
guardato nemmeno una volta, più interessata alla linea del
mare che sfumava all’orizzonte e al volo di qualche uccello
in lontananza.
Enoch ne aveva abbastanza: allungò un braccio e
afferrò il mento di Olive con il pollice e
l’indice, obbligandola a voltare la testa per incrociare i
suoi occhi. A quel punto Olive gli restituì uno sguardo
spaesato, forse perché tra loro non c’erano mai
stati veri e propri contatti... fisici.
Nonostante fossero buoni amici, non si erano mai scambiati un abbraccio
o una carezza. Non che a Enoch non piacessero quei gesti −
spesso e volentieri si lasciava stringere dalle piccole braccia di
Claire oppure scompigliava i perfetti capelli di Horace in segno
d’affetto − ma non gli era mai passata per la testa
l’idea di toccare Olive. In nessun modo, in nessuna
situazione. Anzi, il solo pensiero lo metteva in agitazione. Forse era
la paura di apparire goffo o di essere respinto o di deturpare una
pelle tanto delicata come quella di Olive con le sue mani costantemente
sporche di sangue, abituate a giocare con la vita e la morte. O forse
non era per nessuno di questi motivi, Enoch non riusciva proprio a
capirlo.
Rendendosi conto di essersi spinto oltre quel limite che lui stesso
aveva eretto tra loro, allontanò immediatamente la mano dal
viso di Olive. Era stato un gesto dettato dall’istinto, nuovo
e strano, forse anche piacevole.
Non era pentito, comunque, dato che perlomeno era riuscito ad attirare
l’attenzione di Olive.
«È vero quello che mi hai detto a casa? Non vuoi
più essere mia amica?».
Olive abbassò lo sguardo. «No, se continui a
comportarti in quel modo».
«In che modo?».
«Come se non ti importasse niente di nessuno... né
di Jake, né di Fiona e Bronwyn1, nè
di... me».
Enoch sgranò gli occhi. Era davvero questo che pensava di
lui?
«Olive, non è così...».
«E allora perché hai infranto la nostra
promessa?».
Enoch aprì la bocca per rispondere ma si rese conto che non
poteva dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa.
La verità era che provava una fottuta gelosia nei confronti
di Jake, più di quanta ne avesse provata per Abe. Era come
se i riflettori fossero costantemente puntati su Jake Portman, il
ragazzo fuori dal comune e sbucato dal nulla che tutti volevano come
amico, lasciando nell’ombra Enoch O’Connor, il
povero vecchio amico di cui nessuno aveva bisogno.
Se guardava bene in fondo al suo cuore, si rendeva conto che aveva
mostrato a Jake il lato negativo del mondo degli Speciali non
perché credeva che avesse il diritto di essere informato a
riguardo, ma per il semplice gusto di fargli male,
sperando che in questo modo si sarebbe allontanato per sempre dal loro
anello. Ferire Olive, tuttavia, non era nelle sue intenzioni. Era stato
solo un incidente di percorso e gli stava costando parecchio caro.
Enoch non sapeva come rimediare. Gli sembrava che le parole
“scusa” e “mi dispiace” non
fossero sufficienti per farsi perdonare. Guardò Olive che a
sua volta fissava il mare assorta nei suoi pensieri, con le gambe unite
al petto e il mento poggiato sulle ginocchia. Enoch non capiva
perché lei continuasse a stargli vicino, nonostante la
facesse soffrire. Allungò una mano per toccarla di nuovo, ma
la voce di Bronwyn accorsa verso di loro lo bloccò
all’istante.
«Olive, vieni a giocare con noi!».
La ragazza sembrava sul punto di ribattere che non le andava molto di
giocare, ma Bronwyn la prese di peso e la portò in spalla
dagli altri bambini.
Enoch non potè far altro che restarsene lì seduto
in disparte con un’assurda sensazione di vuoto.
***
Hugh, il viso nascosto per metà dalle api, impartiva ordini
ai bambini come un giovane comandante al suo piccolo esercito.
«Ricapitolando... Olive è la principessa, Bronwyn e
Claire sono le sue serve fedeli. Millard è il Guerriero Invisibile,
Horace il Cavaliere
dall’armatura scintillante, i Gemelli sono i Principi...
be’, i
Principi Gemelli. E io sono il Conte di Apiston.
Tutti noi cercheremo di liberare la principessa Olive rinchiusa nella
torre». Sorrise soddisfatto, per poi ricordarsi di un dettaglio fondamentale che gli fece spalancare gli occhi. «Aspettate, chi fa il drago?».
Un silenzio tombale, rotto solo dall’infrangersi delle onde contro gli scogli, calò sui partecipanti al gioco.
Evidentemente nessuno aveva voglia di interpretare il ruolo del cattivo.
«Oh, avanti, nessuno vuole fare il drago?», chiese
Hugh deluso. «Non possiamo andare avanti senza un
drago!».
«Lo faccio io».
Enoch, che fino ad allora aveva osservato la scena in disparte, si era
appena offerto di giocare. Ci aveva riflettuto a lungo: non che gli
andasse davvero di scorazzare per la spiaggia come un bambino, ma aveva
come la sensazione che Olive avrebbe apprezzato quel gesto. Voleva
dimostrarle che anche lui era in grado di essere gentile, che era
pentito, che ci teneva ai bambini... che ci teneva a lei.
«Enoch, ne sei sicuro? Tu non giochi mai con noi!»,
gli fece notare Millard.
Enoch guardò i volti esterrefatti di tutti e si
sentì a disagio.
No, non si
stava davvero
offrendo come drago
in uno stupido gioco per bambini.
Non lo stava facendo sul serio. No... insomma... no!
E invece sì.
«Be’, oggi mi va! Qualcosa in
contrario?!», esclamò agitato.
«Assolutamente no! Anzi, sei a dir poco perfetto per il
ruolo del drago!», rispose Millard agitando un braccio senza
mano... o meglio, con una mano invisibile.
Enoch non seppe se sentirsi lusingato o offeso da quelle parole. Detto
con quel tono, sembrava un complimento, ma in realtà,
riflettendoci bene, era come se Millard gli avesse appena fatto notare
che il suo carattere cupo e minaccioso lo rendesse adatto a impersonare
il ruolo del nemico.
Davvero i bambini avevano quell’opinione di lui? In cuor suo
fu costretto ad ammettere che non era proprio una bugia...
***
Qualche minuto dopo, il drago Enoch teneva la principessa Olive davanti
a sé a mo’ di ostaggio, con il braccio stretto
intorno al suo collo sottile.
«Enoch... non devi farlo per forza se non ti va».
Il tono di Olive non era arrabbiato come quando avevano discusso in
disparte, anzi sembrava abbastanza tranquilla, forse solo un
po’ a disagio (come lui) per l’assurda situazione
in cui si erano cacciati: a stare così vicini, letteralmente
incollati l’uno all’altro, per far piacere ai loro
piccoli amici, non erano abituati.
Tuttavia Enoch dovette ammettere che non era poi così male. La
schiena sottile di Olive combaciava perfettamente con il suo petto, i
capelli di lei emanavano un buon profumo e gli solleticavano
piacevolmente il collo. Tra le sue braccia sembrava così
piccola e indifesa che a Enoch venne spontaneo stringerla un
po’ di più, quasi si sentisse in dovere di
proteggerla. Da cosa poi? Era
lui il drago cattivo!
«Cominciamo! Olive, tocca a te!», urlò
Hugh a qualche metro di distanza.
Olive cominciò a dimenarsi tra le braccia di Enoch,
fingendosi impaurita. «Qualcuno mi venga a
salvare!», disse in maniera decisamente poco credibile. Di
sicuro non aveva un futuro da attrice, ma ai bambini non sembrava
importare.
«Ti salverò io!», esclamò
Millard avventandosi con una spada di cartone sul drago Enoch, il quale
prontamente si difese e contrattaccò.
Il Guerriero Invisibile cadde a terra K.O., poi anche Horace e Hugh
fecero la stessa fine.
Il drago stava decisamente avendo la meglio sui valorosi combattenti
intenzionati a salvare la principessa e questo non faceva parte della storia.
«Enoch, non ti sembra di stare esagerando...?»,
bisbigliò Olive in modo che Enoch fosse l’unico a
sentirla.
«No». Il giovane O’Connor ci stava
decisamente prendendo gusto. Soddisfatto e divertito, stese anche i
Principi Gemelli e pose fine alla battaglia. Solo quando si vide
circondato da facce turbate, si rese conto che forse quello non era un
finale adatto ai bambini, che forse aveva sbagliato di nuovo... e che
Olive non lo avrebbe perdonato mai.
«Colpo di scena!», esclamò Horace, «tutti i combattenti sono stati
sconfitti! Alla principessa non rimane altro che... scappare!».
«Cosa?!».
Dopo un breve minuto di silenzio, si sollevò un intero coro
di esultazioni e incoraggiamenti nei confronti di Olive. Enoch era
spiazzato: a nessuno dei bambini importava il finale della storia,
ciò che contava davvero era giocare e divertirsi, lontano
dai pericoli, al di là delle preoccupazioni.
A quel punto capì perché Olive ci era rimasta
così male per la storia del patto: terrorizzare Jake per
farlo scappare via avrebbe significato privare i bambini di un nuovo
amico. In fondo l’amicizia era tutto ciò che li
manteneva in vita, felici, giovani, spensierati. Era tutto
ciò che rendeva sempre nuovo e diverso lo stesso 3 settembre 1943
che si ripeteva ormai da settanta anni. Come poteva lui infrangere i loro sogni, le loro speranze? Semplicemente, non se lo meritavano: né i bambini, né Olive, né tantomeno Jake la cui unica colpa era quella di aver amato il suo defunto nonno così tanto da volersi addentrare nel loro mondo, anche a costo di scoprirne aspetti spiacevoli e pericolosi. Quando Enoch tornò alla realtà, Olive era ormai
sgusciata via dalla sua presa e aveva cominciato a correre.
«Scappa, principessa, non farti prendere!»,
urlarono Claire e Bronwyn sbracciandosi.
Enoch si sentì improvvisamente tornare bambino mentre
scattava in avanti e cominciava a rincorrere Olive, incespicando con le
scarpe nella sabbia.
Quello fu uno dei momenti più belli della sua vita, era
certo che non lo avrebbe mai dimenticato.
***
Il sole di mezzogiorno spiccava alto nel cielo riscaldando la spiaggia.
Enoch correva ancora, i piedi gli facevano male e forse qualche
granello di sabbia gli era entrato negli occhi. Olive
correva un metro avanti a lui, con i capelli e il
vestito che svolazzavano ad ogni passo; correva e rideva, e la sua risata cristallina risuonava nella calma circostante. A Enoch sembrava di averla rincorsa
per tutta la spiaggia, era stanco morto e accaldato ma inspiegabilmente felice.
Lanciandosi con le braccia tese in avanti, riuscì finalmente
ad acchiapparla e caddero insieme rotolando l’uno
sull’altro.
Enoch poggiò i gomiti sulla sabbia e si sollevò
di poco, quanto bastava per non schiacciare Olive stesa sotto di lui e
allo stesso tempo rimanerle abbastanza vicino da poterla guardare
attentamente in volto. Si accorse che gli occhi di lei brillavano di un
verde lucente, che le labbra erano piegate in un sorriso dolcissimo e
un tenue rossore si era impossessato delle sue guance. O forse era solo
una sua impressione?
Enoch sorrise a sua volta. «Ti ho preso, ora sei mia».
Olive sbatté le palpebre, imbarazzata. «Eh?».
«I-Il gioco, mi riferivo al gioco!», si
affrettò a precisare, rendendosi conto che le sue parole dovevano essere suonate parecchio equivoche.
La ragazza si lasciò sfuggire un “Oh”
accompagnato da un’altra risatina sommessa.
«Grazie, Enoch. È stato... divertente».
«Sei ancora arrabbiata con me?».
Olive lo fissò in silenzio per qualche secondo,
poi sospirò. «Non riesco a rimanere arrabbiata con
te, lo sai».
«Quindi siamo ancora amici?».
«Sì».
Era la risposta che voleva, eppure Enoch non si sentiva totalmente
soddisfatto. Era come se mancasse ancora qualcosa, come se la
parola “amici” non esprimesse a pieno quello che
sentiva per lei. Scrutò il viso di Olive, così vicino al suo, alla ricerca di qualche indizio utile, ma
sfortunatamente non vi scorse nulla che fosse abbastanza chiaro
da poter essere espresso a parole.
«Sei tutta piena di sabbia», fu l’unica
cosa che trovò da dire, mentre le toglieva qualche granello
impigliato tra i capelli.
«Anche tu», rispose Olive, come se avesse capito
che dietro quelle parole banali, dietro quel semplice gesto di pulirle
i capelli, si nascondesse altro. Come se lei condividesse i suoi stessi
pensieri, i suoi stessi dubbi, le sue stesse emozioni.
All’improvviso arrivarono da lontano due voci divertite.
«Incredibile! La principessa non vuole più essere
salvata!»
«Sì! Altro che principe azzurro... a lei piace il drago!».
«HUGH! MILLARD!».
Rossa come un peperone, Olive scivolò via esclamando che a lei non piaceva proprio nessuno,
che il gioco era finito e Miss Peregrine li stava certamente aspettando per il pranzo.
Quel giorno Enoch imparò tre cose.
Primo: le passeggiate potevano rivelarsi piuttosto piacevoli, se
trascorse in buona
compagnia. Secondo:
toccare Olive
non era un male, lo avrebbe fatto molto più spesso
– una carezza, un abbraccio o... chissà.
Terzo: sia Olive che i bambini lo apprezzavano così
com’era, un orgoglioso, impulsivo, burbero drago cattivo. A
patto che ogni tanto si desse una regolata, si intende.
1 Nel film Fiona assiste alla scena in cui Enoch propone a
Jake di conoscere Victor, il fratello morto di Bronwyn. A quest'ultima
dà fastidio quando Enoch usa il suo potere per svegliare
Victor.
Ci tengo a
ringraziare infinitamente CatherineEarnshaw
per la bellissima recensione e believeher
per aver inserito questa storia nelle preferite! ♥
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e scusate se mi sono dilungata,
mi stavo divertendo parecchio a scriverlo... :D
Commenti e consigli sono più che graditi, ovviamente.
Al prossimo capitolo!
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