A Day in The Life

di coffee girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII ***
Capitolo 8: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I ***


Era stato solo un attimo e in quell’attimo il suo mondo si era capovolto: la terra aveva iniziato a girare all’incontrario e tutta l’aria che aveva nei polmoni si era esaurita in un colpo solo, risucchiata via da qualche parte.
È buffo quando bastano uno sguardo diverso e una piccola insignificante frazione di secondo a cambiare tutto ciò in cui si è sempre creduto. Eppure non è proprio in questo modo che gli eventi destinati a cambiare per sempre la nostra vita prendono forma? E così, in un pomeriggio per nulla diverso da ogni altro pomeriggio, fatto di chiacchiere, musica e canzoni, era accaduto al giovane Paul che si era scoperto a fissare, come un ebete, le labbra del suo migliore amico John.
Da quel momento in cui aveva creduto che sarebbe morto per soffocamento, erano passate le ore che si erano trasformate in giorni e infine, questi ultimi, erano diventati mesi e quel garbuglio di sentimenti che si agitava, come impazzito nel suo petto, non aveva fatto altro che crescere riempiendogli la testa di domande irrisolte.
Diamine, aveva solo quindici anni e avrebbe dovuto pensare alla scuola, alla musica,  alle ragazze, soprattutto a queste ultime, non al fatto che sentiva una stretta alla bocca dello stomaco quando il suddetto John sorrideva o gli faceva un complimento per la strofa di una canzone particolarmente riuscita. Tutto questo non aveva senso e Paul lo sapeva bene. Ma se davvero non ne aveva, per quale motivo all’improvviso aveva iniziato a sentirsi così strano e a disagio in presenza di John? In realtà aveva sempre provato un singolare tipo di ammirazione per John fin da quel lontano giorno di otto anni prima quando Paul, che all'epoca era ancora un bimbetto dalle guance paffute, passeggiava con i propri genitori durante una festa di quartiere e, nella confusione ,si era perso ritrovandosi a girovagare tra folla e poi, spinto dalla curiosità aveva varcato il cancello aperto di un piccolo cimitero abbandonato per poi realizzare all'improvviso di essere rimasto da solo e di non essere più in grado di tornare indietro. Si era seduto su una lapide intitolata ad una certa Eleanor Rigby, il capo abbandonato sulle ginocchia, e aveva iniziato a singhiozzare piano fino a quando non era comparso un ragazzino seguito da una piccola banda di coetanei. Paul, attirato dalle voci, aveva alzato il viso asciugandosi gli occhi e quel ragazzino, di poco più grande di lui, che aveva tutta l'aria di essere il capo, gli aveva chiesto se si fosse perso e gli aveva teso la mano. Paul si era fidato all'istante quando lo sconosciuto, che si era presentato con il nome di John, l'aveva tranquillizzato e l'aveva rassicurato sul fatto che insieme avrebbero ritrovato presto i suoi genitori. John non aveva esitato un attimo ad abbandonare il resto della banda per occuparsi di lui, l'aveva preso per un braccio e l'aveva trascinato fuori da quel posto ed era risoluto ad accompagnato anche fino a Forthlin Road, se non fossero riusciti a trovare la sua famiglia tra la folla, cosa che invece avvenne, grazie ad un briciolo di fortuna. Il giorno seguente John si era presentato a casa di Paul per sapere come stesse e in breve tempo i due erano diventati inseparabili. Negli ultimi tempi poi, da quando avevano scoperto di avere entrambi una grande passione per la musica, la loro intesa era persino aumentata e non passava giorno in cui non si incontrassero per esercitarsi, John alla chitarra e Paul al basso.
 
Quando Paul era in compagnia di altri ragazzi, ad esempio con il suo amico George, non gli accadeva nulla di simile, tutto il contrario: si sentiva rilassato e aveva sempre voglia di scherzare. In passato era stato così anche con John, ma poi qualcosa era scattato nella sua testa.
Seduto sul letto, con il suo basso tra le braccia, si ritrovò a pensare che non avrebbe mai voluto che accadesse, quantomeno non a lui e John.
Qualche volta con George parlavano di ragazze e Geo gli aveva confidato in gran segreto che a scuola ce n’era una in particolare che gli piaceva davvero molto, una certa Pattie, ma il suo amico aveva aggiunto che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgerle la parola perché era troppo timido e tutte le volte che la incrociava nei corridoi, si sentiva la gola secca e lo stomaco in subbuglio.
Negli ultimi tempi anche Paul si sentiva allo stesso modo in presenza di John, ma era consapevole del fatto che avrebbe dovuto tenerselo per sé. Se George aveva le farfalle nello stomaco perché era innamorato di Patty, questo significava che anche Paul era innamorato di John?
Era consapevole che ci fosse qualcosa di strano in lui, probabilmente di sbagliato, perché sia lui che John erano maschi, e quel genere di emozioni si dovevano provare nei confronti delle ragazze. Sentiva un pizzico di invidia verso George che, se solo lo avesse voluto, sarebbe stato libero di gridare al mondo i propri sentimenti.
In passato c’erano state occasioni in cui aveva avuto il sospetto di non provare un grande interesse verso l’altro sesso e ora gli tornava in mente un episodio in particolare, quello in cui, durante le loro scorribande in bicicletta, accadeva che costeggiassero la pista di atletica femminile. Allora si fermavano, abbandonavano le biciclette da qualche parte e se ne stavano lì, le mani appoggiate alla rete che divideva il campo dalla strada e gli occhi fissi su quei corpi tesi dallo sforzo. A John piaceva guardare le ragazze e a Paul, beh, a Paul piaceva la compagnia di John, quindi non aveva mai avuto troppo tempo per soffermarsi a pensare alle ragazze.
Non riusciva a smettere di porsi domande mentre strimpellava svogliatamente qualche nota. Amore. Era una parola così immensa per un ragazzo della sua età, che il solo pensiero bastava a fargli tremare le gambe. Ma forse c’era ancora una speranza perché magari non era amore ma semplice curiosità. No, ma quale curiosità, a chi voleva darla a bere? Posò delicatamente lo strumento accanto a sé e si stese sul letto. Era inutile insistere, quel giorno con la musica non avrebbe combinato nulla. Per quanto si sforzasse non riusciva a mettere a tacere il cervello.
Quale ragazzo sarebbe curioso di sapere cosa si prova a baciare il suo migliore amico?
E se fosse stato per davvero amore?
Paul sentì un brivido corrergli lungo la schiena. No, non poteva essere, non quello con la A maiuscola. Magari poteva trattarsi di una cotta. Certo, una cotta. Del resto quasi tutte le sue compagne di classe avevano una cotta per John. Certo, tutto questo era assolutamente logico a parte per un piccolo particolare: lui era un maschio, non una sciocca ragazzina tutta smorfie e sorrisi!
Di una cosa era invece assolutamente certo: il fatto di essere stanco di passare il suo tempo a tormentarsi senza fare nulla per cambiare le cose, e fu così che partorì un piano. Sapeva che non si trattava del migliore dei piani ma si fece coraggio al pensiero che fosse pur sempre un inizio.
 
Così, dopo la scuola, Paul si recò dal suo migliore amico con il suo basso sulle spalle.
Zia Mimi lo accolse come ogni pomeriggio e gli disse che John si trovava nella sua camera. Dopo i saluti di rito, salì direttamente al piano superiore. La porta era aperta. John era seduto sul letto ed era talmente concentrato sugli accordi di una nuova canzone che non si accorse del suo arrivo. Paul si concesse un attimo per ammirare l’amico con la concentrazione dipinta sul volto e un raggio di sole che, filtrando dalle persiane, gli accarezzava il profilo. Non avrebbe mai voluto interromperlo né tanto meno distogliere lo sguardo, ma era certo che se non avesse parlato subito, si sarebbe girato e sarebbe scappato via a gambe levate per l’imbarazzo.
«John, io ho un favore da chiederti.» Gli disse invece tutto d’un fiato, come se ne andasse della sua vita.
«Oh, buon pomeriggio anche a te Paul.» Gli rispose l’altro, alzando appena il viso dallo strumento che teneva in grembo.
Paul accennò un saluto e attese sulla soglia, all’improvviso incapace di muoversi, fino a quando John non lo incoraggiò a raggiungerlo all’interno della stanza.
«Mi piace una ragazza.» Gli disse semplicemente.
«Oh oh, Paulie è innamorato, allora è una cosa seria.» Lo canzonò dall’alto dell’esperienza dei suoi diciassette anni appena compiuti.
A Paul non piaceva quando John sottolineava la loro differenza di età, in fondo si trattava solamente di un paio di stupidissimi anni, perciò non trovava giusto che si atteggiasse a fare l’adulto solo perché aveva avuto la fortuna di venire al mondo prima di lui, ma in quel frangente, non poteva permettersi di distrazioni: diamine aveva un piano da portare a termine! Dunque riprese a parlare, sperando che la sua voce non tradisse l’incertezza.
«Lei si chiama Jane. Mi piace davvero. Vorrei invitarla a uscire, ma ho paura di fare la figura dello stupido. Beh…insomma, lo sai» disse arrossendo «io non ho mai baciato una ragazza.»
Paul non riusciva a credere di essere riuscito a dire tutte quelle cose, eppure l’aveva fatto per davvero, nonostante sentisse la gola secca e la bocca impastata.
«D’accordo, d’accordo. Sono o non sono il tuo migliore amico? Ti darò qualche buon consiglio e vedrai che andrà tutto bene.»
Ecco che John ricominciava a fare il superiore. Paul soppresse a stento un moto di frustrazione.
«Veramente io non sono venuto per avere dei semplici consigli» ammise enfatizzando la parola semplici «ma per chiederti se potresti insegnarmi a…insomma a…beh hai capito…»
«Capito cosa?» Gli domandò John che davvero non era riuscito ad afferrare il significato recondito della richiesta di Paul.
 «A baciare.» Lo disse tutto d’un fiato senza avere il coraggio di guardarlo in volto e meravigliandosi per primo di quel raro momento di sfacciataggine.
John di fronte a quell’insolita richiesta sgranò gli occhi e rimase senza parole.
«John…»
«Paul, non so se l’hai notato, ma siamo due maschi e io non…»
«Per favore!» Lo supplicò.
«Io non…»
«Johnny…» Sussurrò, alzando leggermente il capo.
E come ogni volta in cui Paul gli rivolgeva quello sguardo da cucciolo, sgranando i suoi occhioni dalle ciglia lunghissime, John non potè esimersi dal fare ciò che aveva sempre fatto: cedere.
In fin dei conti si disse che non ci sarebbe stato niente di male ad aiutare un amico e poi si trattava di Paul, e loro due erano come fratelli.
«D’accordo, vieni qui.» Lo esortò poco dopo.
«A-adesso?»
«Sì, adesso, muoviti prima che cambi idea.» Gli rispose John che voleva porre immediatamente fine a quella situazione imbarazzante. Non c’era mai stato imbarazzo tra loro e non voleva certo incominciare a provarne ora a causa di una stupida richiesta.
Paul si avvicinò e non fece in tempo a chiudere gli occhi né ad aggiungere altro che la bocca del suo migliore amico fu sulla sua. Fu un semplice contatto di labbra e non durò che pochi secondi, ma questo bastò a mandare brividi lungo tutto il suo corpo. Quando John si staccò da lui aveva ancora gli occhi aperti, le guance paonazze e tremava leggermente.
«Stai bene?» Gli domandò John visibilmente preoccupato.
Se stava bene? Certo che stava bene, aveva appena ricevuto il suo primo bacio proprio dalla persona di cui era perdutamente innamorato ed era stata un’esperienza incredibile. Solo che, insomma, tutto così all’improvviso era stato davvero troppo per il suo povero cuore! Fino a qualche minuto prima non sapeva neppure se avrebbe avuto il coraggio di chiedere a John di aiutarlo e, un attimo dopo, era accaduto quello. E lui quello l’aveva sognato per mesi.
Paul, ancora sottosopra per la forte emozione, riuscì in qualche modo, ad articolare un sì.
«D’accordo, forse è meglio che per oggi ci fermiamo qui, eh Paul?»
Per oggi? Un momento cosa significava per oggi? John stava forse dicendo che ci sarebbero state altre occasioni? Altri baci? Le labbra di John ancora una volta sulle sue? Era totalmente fuori di sé dall’emozione.
«C-cosa significa per oggi?» Domandò ancora incredulo. A costo di fare la figura dello stupido, aveva bisogno dell’assoluta certezza di non avere frainteso.
«Significa che sei un caso disperato e che, se andrai da quella Jane in queste condizioni, ti caccerà via e, dato che non voglio che il mio migliore amico faccia la figura dell’imbranato, proverò ad insegnarti qualcosa prima che tu le chieda di uscire. E adesso che ne dici di provare a completare quella canzone?»
Paul annuì e gli fu immensamente grato per la proposta di dedicarsi alla musica, cosa che sciolse immediatamente la tensione. Nonostante tutto, per quel che restava del pomeriggio Paul non riuscì proprio a togliersi dal viso quello stupido sorriso che gli era spuntato dopo che le labbra di John avevano sfiorato le sue.
 
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Ecco qui il primo capitolo di questa mini long che, dopo tante revisioni, mi sono decisa a pubblicare. Un grazie enorme va a Paola per l’incoraggiamento, il sostegno, i consigli e per averla betata :)
Spero che ne sia uscito qualcosa di buono…
Alla prossima,
Alex

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II ***


Il giorno dopo Paul si presentò alla stessa ora a casa di John. Se possibile, era ancora più nervoso del pomeriggio precedente, ma John lo accolse con la consueta tranquillità. Bevvero la tazza di tè che Mimi aveva preparato per loro e iniziarono a suonare. A mano a mano che minuti e poi le ore passavano, Paul si faceva sempre più teso.
Che John si fosse dimenticato della promessa? Che si fosse reso conto che la sua richiesta era troppo sbagliata per essere presa in considerazione? Che avesse deciso di non aiutarlo più?
Sopraffatto da pensieri sempre più cupi, Paul non si era reso conto che John l’aveva chiamato più volte. Fu così che senza rendersene conto, se lo ritrovò di fronte. Aveva appoggiato la sua chitarra sul letto e lo stava guardando fisso in volto, quei suoi magnetici occhi color nocciola ridotti a due fessure. Senza aggiungere altro si era chinato su di lui e aveva unito le loro labbra in uno sfiorarsi delicato. Paul aveva sentito il respiro mozzarsi in gola ed era stato incapace di reagire fino a quando, dopo una manciata di secondi, John aveva interrotto quel contatto.
«Figliolo, cerca di metterci un po’ più di impegno, mi è sembrato di baciare uno stoccafisso! Se ti comporti così con il tuo migliore amico, che cosa succederà quando al mio posto ci sarà quella ragazza? Non vorrei mai che il tuo povero cuoricino cedesse al primo appuntamento.» Lo rimproverò bonariamente. Ecco che John aveva assunto di nuovo il tono beffardo.
Magari fosse stato davvero solo il suo migliore amico! Si ritrovò a pensare nello sconforto più totale. Paul sapeva bene che, nonostante fosse inesperto, se con lui ci fosse stata per davvero Jane, non avrebbe fatto la figura dello stoccafisso. Non gli importava di quella ragazza, era di John che era innamorato! Ma era piuttosto ovvio che questo non potesse dirlo ad alta voce, così si limitò a balbettare una sconnessa frase di scuse. Chiuse gli occhi e ci mise tutto il suo impegno nell’intento di rilassarsi.
John allacciò di nuovo le labbra alle sue e provò ad accarezzarle dolcemente con la lingua nella speranza che, quell’imbranato del suo amico, le schiudesse e gli lasciasse libero accesso alla sua bocca. Paul, inaspettatamente, comprese le sue intenzioni e dischiuse le labbra lasciandosi sfuggire un gemito. Ci fu uno scontro di denti prima che potesse sentire la lingua di John cercare la propria per accarezzarla e giocarci insieme. Quella danza era la sensazione più bella che avesse mai provato in tutta la sua vita, più bella di qualsiasi altra impresa avessero compiuto, era ancora meglio che suonare insieme e questo Paul non lo credeva possibile perché, suonare con John, era tutta la sua vita, ma poterlo baciare era un’esperienza di gran lunga migliore.
Quando si staccarono per riprendere fiato, Paul stava sorridendo e John aveva un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. Nella stanza piombò il silenzio e Paul sentì di nuovo un familiare senso di ansia crescergli dentro sotto forma di un groviglio sempre più fitto che gli annodava lo stomaco. Era sul punto di scoppiare quando John decise di parlare per primo.
«E bravo il nostro Paul, vedi che se ti impegni impari in fretta? Ma ricordati che, se con quella Jane andrà tutto bene, sarai in debito con me.» Paul, ancora una volta incapace di aggiungere altro, accennò un sorriso incerto. Si sentiva stordito e insieme felice. Ad essere sinceri, prevaleva la seconda perché John gli aveva appena detto che era stato bravo.
Il terzo giorno, come per un tacito accordo, dopo uno scambio piuttosto eloquente di sguardi, entrambi i ragazzi poggiarono gli strumenti alla parete di fronte al letto di John e si sedettero uno di fronte all’altro. Il cuore di Paul batteva talmente forte che temeva che anche John avrebbe finito con il sentirlo. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e prima che avesse il tempo di riaprirli si ritrovò le labbra dell’altro sulle sue. Così sottili, leggermente screpolate e che sapevano di tabacco e di birra, ma soprattutto di John.
 
Le sessioni di musica andarono avanti di pari passo con quelle di baci per l’intera settimana fino a quando non arrivò il fatidico sabato che si sarebbe concluso con la gran serata di Paul. John gli fece i suoi migliori auguri e ovviamente gli fece anche promettere che gli avrebbe fatto un resoconto dettagliato di tutti i particolari. Paul arrossì e si diedero appuntamento per suonare di nuovo il giorno seguente.
 
Quella sera John disse a Mimi che non sarebbe uscito, ma che se ne sarebbe rimasto in camera poiché aveva iniziato a piovere e aveva in mente il testo di una canzone di cui, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare la strofa finale. Mimi era rimasta così stupita che il ragazzo non avesse voglia di andarsene da qualche parte a fare baldoria, come accadeva fin troppo spesso, che l’aveva persino costretto a farsi misurare la febbre per accertarsi che stesse bene.
John si chiese se a quell’ora Paul avesse già portato Jane in un bel locale e se, di lì a poco, l’avrebbe baciata.
Stupido! Certo che l’avrebbe baciata. Per prepararsi a quell’appuntamento, lui e Paul non avevano fatto altro per un’intera settimana. Eppure adesso che Paul non era lì con lui, ma era in compagnia di quella ragazza, John provava un’insolita sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco, e sentiva il battito accelerato. Che avesse ragione Mimi e si fosse preso sul serio qualche malanno? Magari proprio l’influenza che stava girando a scuola e mieteva vittime negli ultimi giorni.
Si stese sul letto a occhi chiusi, ma questa scelta non migliorò la situazione in quanto, tutti quei fastidiosissimi sintomi, non accennarono ad attenuarsi e, per di più, l’immagine che si materializzò, dopo qualche secondo nella sua mente, non aiutò a sentirsi meglio. Perché diavolo aveva immaginato le labbra di Paul? Forse perché erano piene e a forma di cuore come quelle di una ragazza. Ovvio! Come aveva fatto a non pensarci?
No no! Che razza di ragionamenti stava facendo? Paul poteva anche avere un paio di labbra da ragazza, ma era senza ombra di dubbio un maschio, oltre ad essere il suo migliore amico e, in ogni caso, alla fine della serata sarebbe stato fidanzato con Jane e tutto solo grazie alle sue stramaledettissime lezioni! E allora? Se Jane avesse ceduto o meno, non sarebbero certo stati fatti di John.
Prima che cominciasse tutta quella stupida storia e che Paul gli chiedesse di aiutarlo a gestire la faccenda dei baci, non aveva mai pensato a lui in quel senso, nonostante fossero molto legati. Aveva sempre pensato che il rapporto con Paul fosse speciale, ma non certo in quel senso. Diamine no! Certo che no, non riusciva neppure a pronunciarla quella parola! Forse Mimi si era sbagliata quando gli aveva misurato la febbre perché ora si sentiva la testa scoppiare.
La realtà era che capitava spesso che John uscisse con qualche ragazza, ma non era mai stato nulla di davvero importante, l’unico punto fermo era sempre stato il suo migliore amico e quella era la prima volta in cui era stato Paul ad avere deciso, per primo, di passare una serata con qualcuno che non fosse John. Forse era semplicemente geloso. Si convinse che dovesse trattarsi proprio di quello mentre cercava di tranquillizzarsi con una sigaretta e una bottiglia di birra. Gli bastarono però un paio di sorsi per rendersi conto che non era stata una buona idea quella di cacciare dell’alcool nel suo stomaco in subbuglio. Spense la sigaretta, abbandonò la bottiglia ancora piena ai piedi del letto e si stese di nuovo.
 
 
Dal canto suo Paul, che non aveva mai avuto la benché minima intenzione di chiedere a Jane di uscire con lui, era alle prese con un nuovo problema e aveva pensato che di sicuro un po’ d’aria l’avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Camminava da quasi due ore per le strade di Liverpool incurante della pioggia che aveva cominciato a scendere sulla città. Si era fatto buio mentre i suoi capelli si erano appiccicati alla fronte e i vestiti si erano impregnati d’acqua eppure non sentiva freddo, non sentiva nulla a parte un profondo senso di vuoto.
Quel piano che, sulle prime, gli era sembrato un vero e proprio colpo di genio, gli si era rivoltato contro. Se era vero che era riuscito a baciare John, ad assaporare le labbra da cui era così ossessionato, lo era anche il fatto che, dopo avere sperimentato sensazioni tanto intense, d’ora in poi, il semplice stare vicino a John, ogni giorno, con la consapevolezza di non poterlo avere, si sarebbe rivelato una tortura impossibile da sopportare.
Povero illuso, come aveva potuto anche solo sperare che John, quello che poteva avere tutte le ragazze che desiderava, grazie ad un semplice sguardo, avrebbe mai potuto innamorarsi del suo imbranatissimo amico, per giunta maschio? Cosa credeva? Che l’avrebbe fatto capitolare grazie ai suoi incredibili baci? Era stato un povero piccolo idiota.
Come se non fossero bastati i pensieri, quella sera anche i suoi piedi avevano deciso di creargli problemi, conducendolo nell’unico posto in cui desiderasse davvero di essere: la casa di John.
Avrebbe dovuto suonare il campanello e parlargli? Che cosa gli avrebbe raccontato? Avrebbe dovuto mentire ancora? L’avrebbe perso se avesse optato per la verità e avesse deciso di farsi coraggio e aprigli il suo cuore? No, non poteva farlo, non poteva permettersi di correre il rischio. Che John potesse odiarlo non era assolutamente un’opzione!
Si voltò indietro e iniziò a correre verso casa mentre la pioggia e le lacrime gli rigavano il volto.
 


ANGOLINO DELL’AUTRICE
Rieccomi con il secondo capitolo di questa mini long, per prima cosa, vorrei ringraziare tutte le persone che stanno leggendo la storia. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e magari vi abbia messo un po’ di curiosità su quello che accadrà nei prossimi. Un grazie a Kia per la recensione e i consigli e a Paola che ha sempre la pazienza di leggere in anteprima, betare e soprattutto incoraggiarmi.
Alla prossima,

Alex

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III ***


Il giorno seguente, Paul era passato da John a Mendips, per percorrere insieme la strada fino a scuola, ed era rimasto stupito del fatto che l’amico non fosse in casa. Zia Mimi gli aveva detto che quella mattina il nipote si era alzato presto ed era uscito come una furia lasciando la colazione intatta sul tavolo del soggiorno. Questo fatto era già di per sé piuttosto strano poiché, il più delle volte, toccava a Paul l’ingrato compito di tirare giù dal letto e trascinare a scuola John che, vuoi a causa di una rissa, vuoi per avere esagerato con la birra, finiva con lo svegliarsi con la luna storta.
Che avesse scoperto qualcosa? Fu il primo pensiero che attraversò la mente di Paul.
Fu assalito da un’ondata di terrore e cercò di autoconvincersi dell’oggettiva impossibilità che John fosse venuto a conoscenza della verità su ciò che era accaduto, o meglio, non accaduto, la sera precedente. Senza rivolgere ulteriori domande, salutò Mimi, inforcò veloce la bicicletta e si avviò a scuola, la testa affollata da pensieri catastrofici. Fu schivato a stento da un’auto e schivò a sua volta un anziano signore che lo mandò a quel paese senza troppi complimenti. Solo in seguito a questi due quasi incidenti, Paul comprese che se non avesse provato a calmarsi, avrebbe rischiato di farsi seriamente del male o di farne a qualcun altro ben prima di arrivare in classe.
 
John era uscito presto e aveva avuto tutto il tempo di fare una sosta da certi suoi conoscenti per procurarsi da bere. Ancora prima di entrare a scuola aveva notato, nel cortile, Jane Asher, l’ormai famosa compagna di classe di Paul.
Si chiese che cosa l’amico ci trovasse in lei. Non si poteva certo negare che fosse una ragazza carina, proporzionata, ben fatta, un visino regolare e lunghi capelli rossi, ma per quanto si sforzasse, John non riusciva a trovarla interessante, neppure un pochino. Se ne stava lì a parlottare con le sue amiche, tutta stupidi sorrisi e moine. Si domandò se stesse raccontando della serata che aveva trascorso con Paul. Nonostante tentasse di convincersi che non fossero fatti suoi, quel pensiero non fece che aumentare il suo malumore.
Si avvicinò a passo svelto, la lingua si mosse più veloce di quanto avrebbe voluto.
«Allora ti sei divertita ieri sera?» Non c’erano dubbi sulla natura provocatoria del suo tono di voce.
«Lennon di cosa stai parlando?» Replicò la ragazza.
«Non fare l’innocente, sai bene a cosa mi riferisco.»
«No che non lo so. Quello che invece è chiaro è tu sei già ubriaco di prima mattina.»
Le due amiche le diedero manforte domandandogli se avesse intenzione di farsi sospendere, ma era chiaro quanto fossero felici di avere trovato anche solo l’occasione di rivolgere la parola a John Lennon il playboy.
John si limitò a liquidarle con un’occhiataccia per poi tornare a focalizzare la sua attenzione sulla ragazza dai capelli rossi.
«Il nome McCartney, ti dice niente?» Domandò ancora per poi voltarsi e andarsene senza attendere la riposta.
 
Quando, poco più tardi, Jane gli si avvicinò a passo spedito tutta rossa in viso, Paul si chiese cosa stesse accadendo quel giorno. Prima, John che se ne era andato senza di lui e ora Jane che sembrava intenzionata ad iniziare una conversazione. Infatti, nonostante frequentassero gli stessi corsi, fino a quel momento non aveva avuto molte occasioni di chiacchierare con lei o con le sue amiche ad eccezione della volta in cui, ormai quasi due mesi prima, l’insegnante di geografia li aveva assegnati allo stesso gruppo di ricerca.
«Il tuo amico Lennon, è venuto da me prima che entrassimo a scuola. Ha iniziato a fare strane insinuazioni. Ha detto che dovrei sapere bene di cosa stesse parlando e ha fatto il tuo nome.»
«Il mio nome?» Domandò Paul pallido come un lenzuolo.
«Credo fosse ubriaco.» Lo rassicurò lei.
«Ne sei sicura?»
Jane annuì.
John non veniva a scuola ubriaco da quando aveva perso sua madre. Pertanto Paul immaginò che il problema dovesse essere molto serio. La preoccupazione si sostituì velocemente al timore di essere scoperto. Doveva assolutamente trovarlo prima dell’inizio delle lezioni, se non ci fosse riuscito avrebbe dovuto aspettare fino alla campanella dell’intervallo e non aveva nessuna intenzione di trascorrere altre due ore senza sapere cosa aveva ridotto il suo migliore amico in quello stato.
 
Quando giunse davanti alla classe di John non gli fu molto difficile individuare il suo amico dato che era impegnato in una fitta conversazione con un ragazzo che si era trasferito da poco nella loro scuola.
«John, mi hai fatto preoccupare. Stamattina quando sono passato, Mimi mi ha detto che eri già uscito. E’ tutto a posto?»
«Avevo da fare.» Rispose con un tono incolore senza fornire ulteriori spiegazioni, come se non fosse la prima volta, da quando si conoscevano, che non percorrevano quel dannato tratto di strada insieme «A proposito, tu e Stu vi conoscete già, vero?»
Stu? Da quando quel tizio era diventato Stu?
«Sì, io e Stuart ci conosciamo.» Si affrettò a precisare Paul, tentando di rimanere calmo.
Come dimenticarlo? Anche volendo, non credeva che ne sarebbe stato in grado. Paul si ricordava perfettamente quando John glielo aveva presentato non più di un paio di settimane prima, lodando le sue incredibili, sempre a detta di John, doti artistiche. Sentirlo così elettrizzato nel parlare di un’altra persona, era stato come ricevere un pugno dritto nello stomaco. Ricordava bene anche la sensazione di amarezza che non l’aveva abbandonato per tutto il resto di quella stramaledetta giornata.
In quel momento John sembrava allegro ma Paul che lo conosceva bene, sapeva che quello era il sorriso forzato, la maschera di finta allegria che indossava quando c’era qualcosa che non andava per il verso giusto. Paul doveva scoprire a tutti i costi dove fosse il problema. Ma un’altra cosa che aveva imparato, in anni e anni di conoscenza reciproca, era che non si sarebbe mai aperto davanti a Stuart. Sarebbe stato complicato anche se fossero stati soli.
La campanella che segnava l’inizio delle lezioni era da poco suonata e Paul sapeva che, se non avesse subito fatto ritorno in classe, avrebbe rischiato di prendere una nota di demerito e Paul non era il tipo da prendere brutti voti o ramanzine da parte dei professori. In ogni caso avrebbe avuto occasione di parlargli dopo la scuola.
«Allora ci vediamo oggi pomeriggio.» Gli disse soltanto.
«Non oggi, Paul. Questo pomeriggio sono impegnato.»
«Ma noi dovevamo provare quel pezzo… ricordi?»
«Non succede proprio niente se per una volta non proviamo. Piuttosto, approfittane per portare fuori la tua ragazza, scommetto che muori dalla voglia di farlo.» Poi diede una leggera gomitata al compagno «Sai Stu, Paulie adesso ha una ragazza.» Disse con quel tono di sprezzante superiorità che faceva arrabbiare Paul.
«Veramente io non…» si affrettò a rispondere Paul con le guance in fiamme «io devo andare in classe.»
Ma che cosa credeva di fare? Spiattellare tutta la verità e farsi odiare da John, oltre a tutto davanti a quello Stuart? Non poteva essere tanto stupido!
Non riusciva proprio a capire cosa fosse accaduto a John. Quando si erano salutati il pomeriggio precedente era tutto tranquillo e adesso sembrava che l’amico volesse evitarlo. Prima di arrivare a scuola credeva che l’avrebbe tempestato di domande su Jane, e l’idea certo lo terrorizzava, ma il fatto che ora gli rivolgesse la parola a stento e gli avesse appena dato buca per le prove, era una prospettiva di gran lunga peggiore.
 
Durante l’intervallo, una delle inseparabili amiche di Jane era venuta a cercarlo per dirgli che quest’ultima lo stava aspettando in cortile e così, si era precipitato da lei come posseduto dall’irrazionale terrore che chiunque, Jane compresa, fossero venuti a conoscenza del suo segreto.
 
«Ehi, sei venuto.» Gli disse la ragazza, l’espressione raggiante mentre si sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La tua amica mi ha detto che volevi parlarmi e che ti avrei trovato qui. Sembrava importante.»
«Senti, ho pensato alle parole di Lennon… Beh ecco, anche tu mi piaci e sì, uscirei molto volentieri con te.» Confessò, arrossendo un poco.
Paul sulle prime credette di avere frainteso. Jane Asher era sul serio interessata a lui?
«Anche io? Insomma… tu stai dicendo che…»
«Paul non devi essere imbarazzato. Tu mi piaci da un po’, ma non ero sicura che ricambiassi fino a quando Lennon non ha incominciato a fare tutte quelle stupide insinuazioni su di noi e così ho immaginato che forse anche tu…»
Paul si sentiva confuso, ma a poco a poco i pezzi del puzzle stavano prendendo ognuno il proprio posto, componendo il quadro della situazione: John aveva fatto una delle sue stupide battute e Jane si era messa in testa di piacere a Paul.
E adesso? Come avrebbe dovuto comportarsi? Jane era indubbiamente una delle ragazze più carine che avesse mai conosciuto, ma non era la persona di cui era innamorato, eppure uscire con lei, sembrava l’unica soluzione possibile per non farsi scoprire da John. Il suo piano si era appena trasformato in un incubo sebbene, in un certo senso, la dichiarazione di Jane gli avesse appena salvato la vita.
Jane voleva stare con lui, mentre John faceva di tutto per evitarlo: era in trappola e non aveva la più pallida idea di come uscirne. Avrebbe voluto poterne parlare con qualcuno, magari con George ma era impossibile perché avrebbe implicato il dovere raccontare cosa provava per John. Si fidava di Geo, ma non si sentiva ancora pronto per parlargli apertamente di ciò che aveva incominciato a provare per il suo migliore amico.
 
 
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
E così siamo arrivati al capitolo 3. Sto cercando di aggiornare ogni sabato e per ora sta andando bene!
Un enorme grazie a Paola per avere betato e grazie anche a tutte le persone che avranno la pazienza di leggere o, se vorranno, di lasciarmi le loro impressioni.
Alla prossima,
 
Alex
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV ***


Paul aveva deciso che quel giorno, prima di gettare la spugna, avrebbe fatto almeno un tentativo di contattare John su whats up.
Ho bisogno di parlarti
John…è davvero importante
No, così sarebbe stato esagerato. In fondo passare un pomeriggio senza vedersi non poteva essere una questione di vita o di morte. Oppure per Paul lo era appena diventato?
John, potrei passare da te più tardi?
Valutò che potesse andare e premette invio.
Nonostante non riuscisse a smettere di fissare la doppia spunta celeste- segno che il messaggio era stato visualizzato - nella successiva mezz’ora, non era arrivata nessuna risposta. Non solo John gli aveva dato buca, adesso neppure rispondeva ai suoi messaggi. Paul, che a quel punto era troppo agitato per restare chiuso in casa, decise di uscire all’improvviso suscitando la sorpresa di suo fratello Mike che gli era praticamente corso dietro con il suo basso in mano, gridandogli che aveva dimenticato di prenderlo con sé. Paul si era fermato sul vialetto di casa e gli aveva risposto che lo ringraziava, ma che quel giorno non gli serviva e Mike l’aveva fissato con gli occhi sgranati perché, Paul che usciva il pomeriggio senza il suo basso, era una cosa mai accaduta da quando aveva iniziato a fare musica con John.
Paul, dopo aver camminato per un paio di chilometri senza meta e, cominciando a sentire freddo, decise di fare un salto nel suo locale preferito, un piccolo bar di quartiere dall’ambiente familiare che frequentava abitualmente. Tanto spesso che ormai era nata una certa confidenza con i due giovani dipendenti.
Un volta entrato aveva fatto scivolare lo zaino ai propri piedi e si era seduto su uno sgabello direttamente al banco.
«Ehi Paul!» Quello che l’aveva appena salutato era Richie, conosciuto dagli amici anche come Ringo a causa della sua passione per gli anelli vistosi.
«Ciao Richie, ciao Mo!»
«Il tuo frullato alla banana è in arrivo.» Disse il ragazzo con l’aria cordiale che lo contraddistingueva sempre.
Paul mugugnò un grazie e poi si mise con le braccia incrociate e il mento appoggiato alle mani giunte, lo sguardo perso.
«Paul, va tutto bene?» Gli domandò Ringo che si era subito accorto che Paul aveva perso il suo solito buonumore.
Questa volta il suono che emerse fu un brontolio sommesso.
«Hai litigato con il tuo ragazzo?»
Ragazzo?
Paul a quella domanda strabuzzò gli occhi, aprì la bocca per articolare una frase, ma senza successo.
Ragazzo?
«Sì, insomma, di solito tu e John venite qui sempre insieme, quindi ho pensato che fosse successo qualcosa tra voi.» Proseguì, vedendolo in difficoltà.
Ringo pensava che lui e John fossero una coppia? E l’aveva pensato per tutto quel tempo?
«N-no lui non… insomma, John non è il mio ragazzo.» Rispose arrossendo violentemente, perso nell’imbarazzo più totale.
Che risposta stupida! Era mai possibile che l’unica frase che fosse riuscito a balbettare fosse lui non è il mio ragazzo?
Mo lanciò un’occhiataccia a Ringo. Di sicuro, più tardi, la ragazza gli avrebbe dato una bella strigliata per il fatto che, come al solito, per cercare di essere d’aiuto, aveva finito con il parlare troppo.
Richie e Maureen, soprannominata semplicemente Mo dagli amici, erano davvero una bella coppia e Paul aveva sempre pensato che fossero entrambi molto fortunati ad avere l’altro vicino. Maureen poi era una di quelle ragazze che non passavano inosservate, se solo avesse voluto, non avrebbe certo sfigurato su una passerella. Ma anche Ringo aveva moltissimi pregi, oltre a distinguersi per il suo altruismo era anche molto portato per la musica e, non appena aveva un po’ di tempo libero, si dedicava a fare pratica con la sua batteria.
«Mi dispiace se ho detto qualcosa di sbagliato, spero di non averti offeso. Io ero davvero convinto che voi due usciste insieme. Parlavate sempre fitto fitto, si giustificò, e John ti avrà comprato decine di frullati… questo te lo offro io per farmi perdonare.» Concluse, indicando il bicchiere che aveva appena appoggiato sul bancone proprio di fronte a Paul.
«È tutto a posto, davvero. » Lo rassicurò Paul. «Io e John siamo solo amici.»
C’era una nota di malinconia nella sua voce, cosa che non sfuggì all’attento Ringo.
Forse se fosse andato avanti a fare domande a Paul, Mo l’avrebbe ucciso quando fossero stati soli, ma il suo carattere che lo portava ad un inguaribile senso di altruismo, ebbe la meglio sulla futura ira della sua ragazza.
«In ogni caso, qualsiasi sia il motivo per cui ti senti giù, voglio che tu sappia che con me puoi parlare. Senza problemi, ok?»
Paul sorrise. Il primo vero sorriso di quella giornata. Le parole di Ringo gli scaldarono immediatamente il cuore, aveva intuito fin dalla prima volta che era entrato in quel locale che Ringo fosse una brava persona e adesso era davvero felice di averne avuto la conferma. Forse non poteva parlarne con Geo…ma con Richie sì, lui avrebbe capito poiché non era rimasto per nulla sconvolto dall’idea che lui e John potessero essere una coppia. Così prese in mano tutto il coraggio di cui era dotato e iniziò ad aprire il suo cuore.
«È difficile, lui non è… insomma, hai capito, però io credo di provare qualcosa, ma è una cosa sciocca perché John non potrà mai ricambiare i miei sentimenti.»
«Te l’ha detto lui?»
«No!» Esclamò Paul, sconvolto alla sola idea di potere parlare con John di questo «Io non voglio rischiare che possa odiarmi, lui è il mio migliore amico.»
«Non credo che potrebbe mai farlo.»
«E come fai a saperlo?»
«Hai ragione, non posso. Ma ho visto come ti guarda.»
Paul sgranò gli occhi in un misto di stupore e aspettativa.
«Sul serio? Non ti sei mai accorto di come ti guarda?»
Paul scosse il capo prima di iniziare a raccontargli del suo piano e di tutto quello che era accaduto nei giorni precedenti, compreso l’equivoco con Jane. Ringo si limitò a sorridere, annuendo di tanto in tanto. Gli preparò un altro frullato, per poi concludere che Paul non poteva essere certo che John non ricambiasse i suoi sentimenti e che, a suo parere, avrebbe dovuto chiarire la situazione con Jane e parlare al più presto con John prima che la situazione gli sfuggisse sul serio di mano. Addirittura più di quanto non fosse già accaduto.
Sulle prime aveva creduto che sarebbe stato complicato invece era finita che le parole gli erano uscite inarrestabili come un fiume in piena.
 
Paul pensò che, tutto sommato, Ringo potesse avere ragione. Avrebbe dovuto almeno cominciare a cercare di capire perché John avesse quell’atteggiamento nei suoi confronti. Poi forse, con un po’ di fortuna, sarebbe venuto anche il resto.
 
 
***
 
 
Arrivato a Mendips, prese un bel respiro prima di premere il dito sul campanello.
«Paul che cosa ci fai qui?» Gli domandò un John dall’aria visibilmente scocciata.
«Voglio sapere cosa sta succedendo.»
«Che parte non hai capito di oggi pomeriggio sono impegnato? Cosa c’è questa volta?»
«Dopo la scuola ti ho mandato un messaggio e tu non ti sei neppure degnato di rispondermi. Ho bisogno di parlarti, mi bastano anche solo cinque minuti.»
«Se Jane ti ha chiesto di fare sesso, ma non sai come fare, questa volta, vai a chiedere a qualcun altro di insegnarti! Io ho già fatto abbastanza. Inoltre credo che sarebbero necessari un po’ di più di cinque minuti per insegnarti a fare quello
Ecco ora lo stava provocando apertamente. Quando voleva essere stronzo e dire cose cattive, sapeva cogliere perfettamente nel segno.
Paul, ferito e imbarazzato insieme, arrossì violentemente.
«John io… io non...» 
«John, chi è alla porta? Si può sapere cosa stai combinando?» Il colpo di grazia glielo diede la voce che proveniva dall’interno.
John gli aveva davvero dato buca per passare il pomeriggio con Stuart? Paul si chiese ancora una volta che cosa l’amico ci trovasse in quell’artista da strapazzo e, nonostante sentisse una fitta al petto, e le lacrime che lottavano per uscire, non disse nulla. Si voltò e iniziò a camminare spedito a capo chino.
«Paul. Paul, aspetta…»
Non si fermò, neppure quando John chiamò il suo nome una prima e poi una seconda volta. Non voleva sentire le sue stupide scuse, di qualsiasi natura fossero.
 
John se ne stava lì, immobile, gli occhi fissi sulla schiena del suo migliore amico fino a quando non lo vide scomparire dalla sua vista alla fine della strada.
Non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione ferita di Paul. Perché lo aveva trattato in quel modo? E come diavolo gli era venuto in mente di dirgli una frase tanto crudele? Il fatto era che la sola idea di Paul che faceva sesso con quella ragazza era bastata a mandarlo fuori di testa. Strinse i pugni e si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue invadergli la bocca, nel vano tentativo di scacciare dalla sua mente l’immagine di Paul accaldato, con le guance arrossate e le labbra appena dischiuse. No, era impossibile che l’essersi scambiato qualche bacetto con il suo migliore amico l’avesse trasformato in una... O forse non era così impossibile?
La voce di Stuart che lo aspettava di sopra lo riportò bruscamente alla realtà.
«Finalmente! Ora dovrai rimetterti esattamente nella stessa posizione di prima, altrimenti non finirò mai questo benedetto ritratto!» Sbuffò scherzosamente, non appena lo vide fare capolino dalla porta della camera in cui era rimasto ad aspettarlo quando avevano sentito suonare alla porta.
«D’accordo, d’accordo. Scusami, ora arrivo.» Rispose John tornando a sedersi pigramente sul letto.
«Era il ragazzino di stamattina?»
«Non è un ragazzino, è il mio migliore amico e il suo nome è Paul.» Sbottò, prima di rimettersi in posa senza aggiungere altro.
«E adesso cosa ti prende? Cosa ho detto di male?»
«Niente.» Sbuffò.
«È possibile che diventi subito nervoso ogni volta c’è di mezzo questo Paul?» Lo stuzzicò Stuart, sottolineando volutamente il nome dell’altro ragazzo. «Che cos’ha di tanto speciale?»
«Lui è…» John si morse il labbro «Oh Stu, falla finita con queste stronzate. Non volevi concludere questo dannato ritratto?»
Capendo che non avrebbe ottenuto nessuna risposta, Stuart si mise in grembo il blocco da disegno e ricominciò a schizzare il volto di John.
 
 
***
 
 
Se John lo ignorava, al contrario Jane non aveva smesso di cercarlo, così quella sera Paul aveva proposto il cinema per la prima uscita insieme. Si era però subito pentito di essere stato un cavaliere nel lasciarle la scelta del film, non appena si era reso conto che la preferenza era ricaduta su una di quelle commedie sdolcinate che piacevano tanto alle ragazze: il romanticismo era l’ultima cosa di cui avesse bisogno al momento. Quando si spensero le luci credette che sarebbe stato vittima di una crisi di panico ma per fortuna riuscì a calmarsi.
Una volta iniziato il film, aveva passato tutto il tempo a chiedersi se avrebbe dovuto circondarle le spalle con un braccio o prenderle la mano. Non che sentisse un particolare desiderio di compiere nessuno di quei gesti, ma si chiese se non sarebbe apparso strano se non ci avesse almeno provato. Optò per il fare scivolare lentamente il braccio e circondare le spalle della ragazza che sembrò apprezzare e appoggiò il capo sulla sua spalla. I capelli di lei contro la sua guancia erano morbidi e avevano un buon profumo, ma questo non bastava a mettere Paul a proprio agio. E non era solo il pensiero di John a preoccuparlo, ma anche il fatto che non si stesse comportando correttamente con Jane che sembrava essere genuinamente interessata alla sua compagnia.
 
«Allora ti è piaciuto il film?»
«Uh, sì molto.»
«Paul, sei qui con me? Pianeta terra chiama Paul McCartney!»
«Certo che sono qui con te, dove altro potrei essere?»
La realtà era che la sua mente era talmente lontana che avrebbe potuto benissimo trovarsi su un altro pianeta.
Una volta arrivati a casa, Jane gli aveva detto di avere passato una bellissima serata e quanto fosse felice di questo primo appuntamento. Paul le aveva risposto che anche per lui era la stessa cosa, sperando di essere riuscito a essere convincente. Dalla reazione di Jane si sarebbe potuto dire che lo era stato eccome in quanto, prima che potesse rendersene conto, si era ritrovato le labbra della ragazza premute contro le proprie. Erano morbide e piene, erano così diverse da quelle sottili e un po’ screpolate di John ma Paul, in quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa per potere assaporare il misto di tabacco e di alcool che amava tanto al posto del gusto fruttato di Jane.
 
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
E con questo ho finalmente superato la metà di questa mini long…quasi non ci credo! Grazie a chi sta seguendo questa storia e come sempre grazie alla mia beta Paola.
Alla prossima,
 
Alex

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V ***


John si era svegliato ancora una volta con il mal di testa e la luna storta. Tutte le stupide chiacchiere e i pettegolezzi che gli toccava sentire, in corridoio, prima dell’inizio delle lezioni gli erano ancora più insopportabili del solito, soprattutto se l’argomento di conversazione era Paul.
 
«Questa mattina ho fatto la strada con Jane…» Confidò con aria cospiratoria una ragazzina all’amica.
«E?» Domandò l’altra che appariva consumata dalla curiosità.
«E mi ha raccontato che ieri sera Paul l’ha invitata al cinema e poi beh, puoi immaginare il resto... »
Non appena John fu a pochi passi da loro, le due ragazze ammutolirono, arrossendo all’istante, ma John aveva sentito abbastanza. Era tutto ciò che aveva bisogno di sapere.
 
Durante le prime due ore di scuola, nonostante avesse lezione di arte, una delle sue materie preferite, non poté concentrarsi e fu solo grazie a Stuart se riuscì a non estraniarsi del tutto dalla lezione evitando la nota di demerito che sarebbe arrivata se si fosse fatto trovare disattento quando il professore gli aveva domandato quale argomento stesse trattando. Al suono della campanella che annunciava l’intervallo, saltò dalla sedia come un indemoniato, senza dire nulla, si precipitò fuori dall’aula e imboccò uno dei corridoi quando scorse finalmente l’oggetto della sua ricerca.
Lo seguì fino ai bagni e quando vide che stava per scomparire dentro uno dei cubicoli, si infilò in mezzo e poi chiuse con un tonfo la porta alle sue spalle. Paul si ritrovò sbattuto contro le piastrelle molto prima di avere il tempo di registrare cosa stesse accadendo.
«J-John, ma cosa?» Gracchiò quando si rese conto di essere bloccato tra la parete e il corpo del suo migliore amico che aveva appoggiato le mani sopra le sue spalle, impedendogli ogni possibile via di fuga.
Già, come se avesse voluto fuggire. Certo, era ancora arrabbiato con John per il pomeriggio precedente, ma stargli così vicino lo stordiva del tutto, lo rendeva incapace del più elementare pensiero razionale. John Lennon aveva su di lui questo potere: con la sua sola presenza poteva mandare le sue sinapsi in corto circuito.
John non aveva risposto alla sua domanda, in compenso aveva avvicinato il viso al suo tanto che poteva percepirne il respiro sulle labbra. Con il cuore che batteva all’impazzata, senza il tempo di formulare un pensiero coerente, si ritrovò la bocca dell’altro sulla sua e gli sembrò che fossero scoppiati i fuochi d’artificio. Sentiva le gambe molli e ringraziò il fatto che dietro di lui ci fosse la solida parete dei bagni ad impedirgli di scivolare a terra. Baciare John era una sensazione insieme familiare ed elettrizzante.
Fu un bacio esigente, uno scontro di labbra, di denti e John non fu paziente o dolce come in tutti i baci che si erano scambiati durante la settimana di preparazione al suo appuntamento con Jane. La pazienza del resto non era mai rientrata nella rosa delle sue virtù e, in quel frangente, lo era stata meno che mai. Paul, dopo lo stordimento dovuto alla sorpresa iniziale, iniziò a rispondere al bacio. John pensò che doveva essere stato un ottimo maestro, oppure che Paul fosse un allievo particolarmente dotato perché era dannatamente bravo a farlo impazzire mentre succhiava piano il suo labbro inferiore procurandogli dei piccoli brividi che scendevano lungo la schiena e gli si propagavano in tutto il corpo. Paul si era aggrappato al bavero della giacca della sua divisa scolastica per attirarlo, lentamente, più vicino a sé. John, intanto, aveva portato una mano dietro al capo di Paul e l’altra intorno alla sua vita.
La seconda campanella li sorprese entrambi senza fiato, ansimanti e con gli occhi sgranati. John fu il primo a staccarsi e a tornare alla realtà e, quando lo fece, la suddetta realtà, lo colpì come se avesse preso una tegola in testa. Fu scosso da un moto di autentico terrore e, incapace di parlare, se ne andò come una furia così come era arrivato lasciando Paul senza una parola di spiegazione. Quest’ultimo provò invano a trattenerlo per un braccio ma John fu molto più veloce. Lo era sempre quando si trattava di sfuggire ai problemi.

E’ tutto vero.
Sono una fottuta checca.
Solo una fottuta checca.
Avrebbe voluto gridare e correre il più lontano possibile e piangere, soprattutto piangere, come facevano le fottute checche.
 
Doveva esserci per forza una soluzione e, pensandoci con un po’ più di calma, John si rese conto che era a portata di mano: un pub in compagnia di Stuart, qualche birra e una ragazza disposta a passare una serata piacevole in sua compagnia. Non aveva mai avuto problemi a trovare una ragazza, le ragazze facevano la fila per uscire con John Lennon. Chissà perché poi, dato che nessuna di loro durava abbastanza per arrivare al secondo appuntamento, eppure avevano tutte la stessa ingenua convinzione di essere quelle che gli avrebbero fatto la mettere la testa a posto. Non sapevano che John Lennon non aveva nessuna intenzione di farlo.
Per intanto avrebbe dovuto evitare di vedere di nuovo Paul fino a che non avesse risolto il suo fottuto problema. Non era colpa di Paul e John questo lo sapeva bene, era lui che provava cose che non avrebbe dovuto sentire, ma non poteva permettersi di stargli vicino così presto, non prima di essere sicuro di essere normale e di potere archiviare ciò che era successo quella mattina come uno spiacevole incidente.
 
Paul dal canto suo, finite le lezioni, lo cercò dappertutto senza riuscire però a trovarlo.
John l’aveva baciato. John, il suo John. Ancora non riusciva a credere che fosse successo per davvero. Che avesse ragione Ringo? Ma se John ricambiava davvero i suoi sentimenti, perché se ne era andato in quel modo dopo il bacio? E soprattutto, perché se ne era sparito ancora una volta senza aspettarlo? Si era pentito?
Tanto pentito da non volerlo neppure sentire al telefono? Aveva provato a scrivergli e anche a chiamarlo, ma il cellulare era sempre spento e a rispondergli era quell’odiosa vocina della segreteria.
Le immagini di ciò che era successo solo qualche ora prima gli scorrevano in testa come la pellicola di un film. Sentiva ancora le guance bruciare, le labbra gonfie per i baci e il cuore stretto perché John sembrava essersi volatilizzato senza una spiegazione.
Arrivò alla conclusione che dovesse avere lasciato la scuola prima del suono dell’ultima campanella della giornata. Si avviò mestamente alla fermata del bus perché, come se non bastasse, quella mattina non aveva potuto prendere la bicicletta dato che aveva una gomma a terra. Ci arrivò ciondolando svogliatamente, il capo fisso sul marciapiede.
«Ehi, Paul!»
«Geo.»
«Cosa ci fai in autobus?»
«Bicicletta con gomma a terra.»
«Per il resto è tutto ok?»
Paul annuì e poi si vergognò di essersi ridotto al punto da mentire a George, l’amico con cui aveva sempre parlato di tutto, che aveva sempre considerato come una sorta di fratello minore nonostante avessero appena un anno di differenza.
«A me non sembra che tu stia bene. Sei sicuro di non avere la febbre? Sei pallido come un fantasma e hai le borse sotto gli occhi.» Gli disse, premendo con il dito appena sopra lo zigomo di Paul.
«Non è nulla, sono solo un po’stanco, avevamo una montagna di compiti per oggi e così ieri sera ho tirato parecchio tardi.»
«A me sembra proprio che tu non stia per niente bene.»
Quando Geo ci si metteva, poteva diventare davvero insistente e Paul sapeva fin troppo bene che non avrebbe ceduto. In più erano amici da troppo tempo perché potesse rifilargli una scusa banale come si era illuso di fare poco prima, quindi provò a dirottare il discorso su un altro argomento.
«Senti, ti andrebbe di venire a suonare da me oggi pomeriggio? Potremmo passare a casa tua a prendere la chitarra e poi andare da me. Mike è fuori quindi avremo la stanza tutta per noi.»
«E John?»
«Cosa c’entra adesso John?» Domandò Paul che, punto sul vivo, al solo sentire quel nome, era balzato sull’attenti.
«Niente, è solo che da quando hai iniziato a provare con lui, non ti fai più vedere come prima…insomma, l’ho capito che preferisci suonare con John che con me.» Confessò George visibilmente offeso ma in parte sollevato per avere sputato il rospo.
Era la verità, solo che Paul non se ne era reso conto prima che l’amico glielo facesse notare. Si sentì immediatamente in colpa per averlo trascurato per tutto quel tempo, del resto non l’aveva fatto apposta, era successo e basta. Quando lui e John avevano iniziato a suonare insieme, di colpo, tutto il resto era come scomparso. C’erano solo John e Paul, Paul e John[1].
E pensare che lui e John si conoscevano da tanti anni, eppure non era da molto tempo che suonavano insieme, al contrario era da tantissimo che provava con Geo. Sebbene fossero entrambi amici di lunga data con Paul, George e John non si erano mai frequentati molto a causa della differenza dei loro caratteri.
«Geo, mi dispiace. Davvero, non avrei mai voluto che ti sentissi così. Mi credi?» Domandò Paul, gli occhi imploranti e l’aria genuinamente contrita.
«Ti credo, però vorrei un favore in cambio…» rispose l’amico, un guizzo furbo ad illuminargli lo sguardo, prima di fare una pausa e fissare Paul dritto negli occhi per decidere se proseguire o meno «mi prometti che quando tu e John farete pace gli chiederai se, qualche volta, potrei venire a provare insieme a voi?»
«Io, ecco sì…glielo chiederò, però io e John non abbiamo litigato» ci tenne a precisare, «Beh, forse. Non è proprio una lite, la realtà è che in questi giorni si comporta in modo strano e non capisco cosa gli sia successo.»
Quando arrivarono alla fermata di Geo, Paul gli chiese di nuovo se gli andasse di suonare insieme quel pomeriggio e Geo per tutta risposta, lo trascinò per un braccio fuori dal bus. Sembrava proprio che fosse un sì e che almeno con lui i problemi fossero risolti.
 
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Grazie mille a Paola per il betaggio e le chiacchiere e ancora grazie a tutti coloro che hanno la pazienza di leggere la mia storia.
Alla prossima,
Alex
 
[1]  Citazione di George 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI ***


Quella sera, come d’accordo, John passò da casa di Stuart per poi dirigersi in uno dei suoi pub preferiti, un locale alla buona poco lontano dal porto.
Erano seduti al bancone già da una mezzora a bere e a guardare le ragazze in attesa di trovare qualcuna per cui valesse la pena di abbandonare il boccale ancora pieno e le chiacchiere sul mondo dell’arte. Nonostante si conoscessero da poco, John apprezzava per davvero il talento di Stuart e considerava ben speso tutto il tempo che trascorrevano a parlare di colori o nuove tecniche creative.
«Ehi, guarda quelle due!» Disse all’improvviso Stuart, voltandosi di scatto e accennando alle ragazze che avevano appena fatto il loro ingresso nel pub.
John alzò gli occhi dal boccale di birra e prese dalla tasca della camicia gli occhiali per poterle mettere a fuoco. Era cieco come una talpa, ma era convinto che solo gli sfigati portassero gli occhiali, così preferiva tenerli con sé ed indossarli solo quando fosse strettamente necessario. Mentre inforcava gli occhiali non poté impedirsi di pensare all’unica persona davanti alla quale non si era mai fatto nessun tipo di problemi: Paul. Il suo amico Paul che gli nascondeva gli occhiali e scompariva per riapparire subito dopo all’improvviso indossandoli e sorridendogli per poi strizzare gli occhi a causa dello spessore delle lenti.
«Allora?» Gli domandò Stuart riportandolo bruscamente alla realtà.
«Allora cosa?»
«Le ragazze. Cosa ne pensi?»
John rimase per un attimo in silenzio concentrandosi su quale fosse per lui il reale scopo di quella serata.
«La bionda è mia.» Puntualizzò subito dopo, riponendo gli occhiali nel taschino. Stuart non ebbe nulla da obbiettare, in parte perché con John aveva capito subito che non avrebbe potuto averla vinta tanto facilmente, un po' perché l'altra ragazza non aveva proprio nulla da invidiare alla prima con quel nasino all'insù e una serie di graziose lentiggini.
John saltò giù dal suo sgabello seguito prontamente dall'amico.
La ragazza bionda era davvero una bellezza: slanciata, un bel visino, i capelli biondi e lunghi fino alle spalle e due vivaci occhi verdi. Era tutto ciò che a John era sempre piaciuto in una ragazza, eppure quella sera c’era qualcosa di stonato.
Stuart, nel frattempo, aveva già fatto gli onori di casa e Carol e Becky erano state ben felici di sedersi a chiacchierare e bere birra insieme. Stuart, che in arte se la cavava parecchio bene, aveva promesso loro un ritratto che aveva iniziato a schizzare su un paio di sottobicchieri di cartone. John, che cominciava a dare i primi segni di essere un po' alticcio, aveva improvvisato una buffa poesia, composta su due piedi e volta a lodare le grazie di Becky. A giudicare dall'apprezzamento di quest'ultima si sarebbe potuto dire che aveva fatto centro. Del resto si trattava pur sempre di John Lennon e, nonostante quella sera non si sentisse troppo in forma, in quanto a tecniche di seduzione, rimaneva un vero maestro.
«E così l'anno prossimo andrete al College?» Domandò John.
«Sì, proprio così.» Io non vedo l'ora di andarmene da qui e di trasferirmi a Londra «E voi due? Frequenterete anche voi il College?»
John scoppiò in una fragorosa risata. Il College? Neanche a parlarne! Già non ne poteva più delle superiori e ringraziava il cielo che mancassero solo pochi mesi alla fine della maledetta scuola.
«Nossignore, io sono un musicista, suono la chitarra, e sapete una cosa, il qui presente Stuart Sutcliffe diventerà un artista di fama mondiale. E' così che andrà, vero Stu?» Domandò, dando una gomitata al suo vicino di posto. Ma bastarono pochi secondi perché il sorriso ebete che gli era comparso sul volto all'idea di un glorioso futuro scomparisse così come se ne era venuto a causa dell’immagine che gli attraversò la mente: Paul che suonava il basso. Di nuovo Paul. Sempre Paul. Come se non ci fosse nulla della sua fottutissima vita che valesse la pena di essere vissuto o anche solo menzionata, se non c'era di mezzo anche Paul.
Le ragazze risero, probabilmente non presero molto sul serio le velleità artistiche dei due amici, ma ne rimasero in un certo qual modo affascinate.
«Beh, io e Carol andiamo a fare quattro passi qui intorno. Fate i bravi voi due...» Se ne uscì Stuart all'improvviso, riportandolo alla realtà in modo brusco per la seconda volta in quella stessa serata.
«Oh, lo faremo!» Rispose John facendogli l'occhiolino.
Qualche minuto più tardi anche John e Becky uscirono dal pub. Stuart e Carol erano già spariti nel buio da qualche parte. Il freddo era pungente e l'umidità proveniente dal porto non migliorava la situazione. Nel frattempo si erano diretti in un vicolo appartato nel pressi del locale.
Quando la sua nuova conquista gli si strinse addosso, John non ci pensò due volte a cingerla tra le braccia e ad unire le loro labbra. Erano morbide e profumate e gli ricordavano un altro paio di labbra che, in quel frangente, avrebbe voluto dimenticare, se solo fosse stato possibile. Eppure più tentava di non pensarci più l’immagine del viso perfetto di Paul e delle sue labbra a cuore invadevano la sua mente.
John e la ragazza si erano baciati ancora e poi ancora. Becky era davvero sexy, ma allora perché John si sentiva così fuori posto? Perché il contatto tra la pelle bollente di lei, e la sua mano fredda, abilmente infilata sotto il maglioncino stretto, non gli procurava alcun piacere?
Doveva solo concentrarsi e continuare a baciarla. La ragazza sembrava apprezzare le sue attenzioni e iniziò a ricambiare accarezzandolo timidamente. Doveva solo concentrarci e ce l'avrebbe fatta.
Solo concentrarsi e sarebbe tornato tutto normale.
 
***  
 
La mattina seguente Paul aveva deciso di prendere nuovamente il bus con George dal momento che le cose tra lui e John erano ancora ben lontane dall'essersi chiarite e, oltre a tutto, faceva troppo freddo per la bicicletta. Non aveva nessuna intenzione di trasformarsi in uno stupido ghiacciolo.
Arrivò presto, tutto imbacuccato nel suo cappotto scuro e con la sciarpa che gli copriva metà del viso, naso compreso. Quella mattina avrebbe fatto un nuovo tentativo di parlare con John. All'intervallo dovette inventare una scusa per svignarsela, dato che George si era presentato davanti alla porta della sua aula stringendo un pacchetto di biscotti con le gocce di cioccolato, rigorosamente fatti in casa, pronto a condividerli. Se George, solitamente così geloso dei suoi dolci, era disposto a rinunciare a parte dei biscotti, significava solo una cosa: l’aveva perdonato per averlo trascurato. L’idea che George non fosse più arrabbiato con lui lo fece sentire subito meglio e Paul, davvero, non voleva rovinare tutto, ma sentiva che sarebbe impazzito se non fosse riuscito a parlare con John al più presto.
Disse a George che doveva vedere con urgenza uno dei suoi insegnanti e gli promise che sarebbe tornato in tempo per assaggiare i suoi biscotti.
Percorse veloce i corridoi e le scale e, una volta arrivato a destinazione, si guardò intorno con attenzione, ma non trovò John da nessuna parte. In compenso vide Stuart. Nonostante quel tipo non gli piacesse per nulla, Paul si arrese al fatto che fosse l'unico modo di avere informazioni sull'amico.
«Ehi Stuart, non è che per caso sapresti dirmi dove posso trovare John?» Domandò timidamente.
«John? Non è venuto a scuola. Probabilmente è ancora ubriaco da ieri o magari non ha ancora finito di scoparsi quella biondina...» Gli rispose l’altro, scoppiando a ridere al pensiero dei bagordi della sera precedente e riportando ancora chiari segni della sbornia.
Paul sbiancò e credette di perdere i sensi «Quale biondina?» Ebbe invece il coraggio di domandare, con un filo di voce.
«Niente, due ragazze che abbiamo rimorchiato giù al pub. Una gran bella serata. John dovrebbe portarti qualche volta.»
Ormai Paul non stava più ascoltando. Solo la mattina precedente John l'aveva baciato in quel modo, tutto urgenza e desiderio e, poche ore più tardi, era uscito con quel tipo e non si era fatto nessun problema a portare in un qualche vicolo sporco e puzzolente la prima ragazza che gli era capitata a tiro.
Se prima si chiedeva il perché del bacio e se John avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti, ecco, adesso aveva avuto la risposta che cercava: John l'aveva solo voluto prendere in giro. Di sicuro aveva capito i suoi sentimenti e gli aveva fatto quello scherzo di pessimo gusto. Si chiese se fosse davvero tanto palese quello che provava. Era molto probabile che ce l’avesse scritto in faccia!
Era stato un gesto così crudele. Paul si sentiva tradito e ferito, sapeva che, a volte, John si comportava in modo stupido, ma non avrebbe mai creduto che proprio lui, il suo migliore amico, potesse arrivare a tanto.
 
***
 
John aveva fatto ritorno a scuola un paio di giorni più tardi. Era più confuso di quanto non fosse mai stato nella sua vita, ma ciò che era successo la sera del pub l’aveva portato ad un’unica conclusione: per quanto, in linee generali, non fosse interessato ai ragazzi, Paul era un discorso tutto a parte. La realtà, per quanto fosse difficile da accettare era che aveva cominciato a guardare il suo migliore amico in quel modo. Quel modo in cui aveva sempre guardato solo le ragazze. Quel modo in cui non si dovrebbe mai guardare nessun ragazzo. Ma John non stava pensando ad un ragazzo qualsiasi, Lui non era mai stato uno qualsiasi, Lui era Paul.
Non sapeva cosa gli avrebbe detto, era però certo di sentire un bisogno di vederlo e di parlargli tanto intenso da fare fisicamente male. L’aveva incrociato quella stessa mattina, prima di entrare a scuola, ma Paul stava chiacchierando fitto fitto con George Harrison, il ragazzino magro che suonava la chitarra. Quando gli era passato accanto per salutarlo e per chiedergli di incontrarsi da soli, Paul si era voltato dalla parte opposta e lo stesso era successo all’uscita, quando l’aveva visto avviarsi alla fermata del bus, sempre insieme a quell’Harrison.
Paul aveva smesso di venire a scuola in bicicletta ed era diventato impossibile trovarlo da solo perché quando non era scortato da George, era con Jane. John, andando contro i suoi principi secondo cui non avrebbe mai dovuto essere lui quello che cercava le altre persone, aveva anche provato a chiamarlo e a scrivergli un messaggio ma anche quell’approccio non aveva dato i risultati sperati.
Resosi conto dell’impossibilità di trovare una soluzione diversa, prese la decisione di raggiungere i due ragazzi alla fermata del bus.
Paul, come del resto nei giorni precedenti, era tutto intento a chiacchierare con l’altro ragazzo e si comportava come se John fosse diventato all’improvviso invisibile. Così, quest’ultimo, senza fare troppi complimenti, si infilò in mezzo ai due. Paul sgranò gli occhi e fece una smorfia mentre George rimase immobile incapace di reagire.
«John che cosa vuoi?» Gli domandò Paul.
«Cosa voglio io? Tu piuttosto, mi vuoi dire cosa diavolo sta succedendo?»
Paul lo guardò negli occhi con aria di sfida. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vedere quanto male fosse riuscito a fargli. Dopo quel comportamento, chi si credeva di essere per venirgli a chiedere delle spiegazioni?
«Allora?» Insistette John, piantato in mezzo tra il suo amico e George Harrison che se ne era rimasto in silenzio senza capire cosa stesse accadendo.
«Vaffanculo John!» Gridò allora Paul, rosso in viso, con tutto il fiato che aveva in corpo.
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
E con questo siamo quasi arrivati in fondo…un grazie a chi segue la storia e, uno ancora più grande del solito a Paola che nonostante abbia iniziato un nuovo lavoro ha trovato comunque il tempo per betare il capitolo.
Alla prossima,
Alex
 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII ***





Vaffanculo!
Quella parola gli risuonava ancora prepotente nelle orecchie, sebbene fossero passate alcune ore da quando Paul l’aveva mollato sul marciapiede, alla fermata del bus, senza neppure l’ombra di una spiegazione e con le idee più confuse che mai. Paul non si era mai rivolto a lui in quel modo in nessuna delle loro liti passate. Da quando il suo migliore amico si era trasformato da dolce ragazzino con le guance un po’ paffute a tipo incazzato dalle reazioni imprevedibili?
Se già aveva in testa un casino a causa dei suoi sentimenti contrastanti, a quel punto, per John, era pure peggio perché non capiva cosa fosse successo. La persona che l’aveva sempre compreso senza bisogno di parole, questa volta era proprio quella che si rifiutava di parlargli.
Poi un’idea gli attraversò la mente: il bacio. John l’aveva praticamente forzato a baciarlo nei bagni della scuola solo qualche giorno prima. Certo! Stupido John! Probabilmente Paul se l’era presa tanto per quel motivo. In fondo come dargli torto? A Paul piacevano le ragazze e adesso era anche fidanzato con Jane Asher: era ovvio che non avesse nessuna voglia di essere baciato da un maschio. Molto probabilmente aveva trovato il tutto parecchio disgustoso.
Eppure, se ripensava a quegli attimi in cui, dopo un primo momento di esitazione, l’amico aveva risposto al bacio… beh, John avrebbe potuto giurare che quella fosse tutto tranne la tanto temuta reazione di disgusto. E poi c’era stata quella settimana in cui gli aveva chiesto aiuto. C’erano stati momenti in cui gli era quasi sembrato che Paul traesse piacere da quei baci. No, era impossibile. Forse non provava piacere, ci metteva solo impegno. Paul era uno preciso e aveva uno scopo: non fare la figura dello stupido con Jane Asher e, proprio grazie a lui, ci era riuscito fin troppo bene.
In ogni caso John si era comportato da idiota e, come suo solito, aveva agito in modo avventato. La realtà era che gli mancavano i pomeriggi trascorsi insieme a suonare nella sua cameretta e a tentare di comporre canzoni seduti sul letto, occhi negli occhi. La realtà era che gli mancava Paul. Sapeva che avrebbe dovuto scusarsi e già questo, per uno con il suo carattere, era di per sé difficile ma questa volta, c’era un ostacolo insormontabile quanto oggettivo: come avrebbe potuto fare, se l’amico non si lasciava neppure avvicinare? Mentre camminava, gli venne la nostalgia di un posto in cui non andava da qualche tempo e, per la precisione, da quando aveva litigato con Paul. Quando arrivò, tutto infreddolito, sentì subito aria di casa non appena ebbe varcò la porta del piccolo confortevole locale ed incrociò gli occhi di Ringo che se ne stava ad asciugare una serie di tazze dietro al bancone mentre Mo le sistemava con ordine sulla credenza alle loro spalle.
«Ehi!»
«John, è un piacere. E’ da un po’ che non ti fai vedere.»
«Già. Sono stato… impegnato.»
«E Paul oggi non viene?» gli domandò subito Ringo con l’aria da innocente di cui lui solo era capace.
«Paul. Lui no. Oggi no.»
Ringo rimase in silenzio in attesa e, la sua pazienza, fu alla fine premiata. Mo gli aveva dato alcuni buoni consigli su come gestire questi due testoni.
«Abbiamo litigato. In realtà è Paul ad essere arrabbiato con me.» Se ne uscì John all’improvviso e del tutto inaspettatamente. Ringo capì subito che doveva essere arrivato al limite se non riusciva più a fingere che tutto andasse bene, mascherando i suoi sentimenti con qualche battuta idiota.
«Cosa gli hai fatto?» Gli venne spontaneo di domandare.
«Ecco, come al solito. Perché devo sempre essere io ad avere fatto qualcosa?» Sbottò.
«No, non volevo dire nulla del genere, è solo che sei stato tu a dire che è arrabbiato con te e poi Paul non mi ha mai dato l’impressione di una persona che se la prende con qualcuno senza un valido motivo.» Parlare con John e stare a tu per tu con le sue insicurezze era come camminare su un campo minato, ma forse, ancora una volta, Ringo era riuscito a non provocare scoppi.
«In effetti potrei avere fatto qualcosa di stupido. Di molto stupido.» Ammise un costernato John qualche attimo dopo.
Solo stupido? Si ritrovò a pensare Ringo, mentre gli tornava in mente il viso tutto rosso e piangente di Paul quando era corso da lui e Mo a raccontare loro che John, dopo averlo baciato nei bagni della scuola, la sera stessa, aveva fatto sesso con una ragazza conosciuta in un pub giù al porto. Il problema di Ringo era che doveva trovare un modo per fare ragionare John senza tradire la fiducia che Paul aveva riposto in lui raccontandogli il suo segreto. Se era certo dei sentimenti di Paul perché glieli avevano rivelati le sue stesse parole, allo stesso modo, il suo istinto, gli diceva che poteva esserlo anche di quelli di John. Il perché fosse andato a cercare una ragazza al pub rimaneva un mistero, forse semplicemente uno dei tanti colpi di testa di John, ma questo non cambiava il quadro generale della situazione. La realtà era che il ragazzo se ne stava seduto al bancone con l’espressione di un cane bastonato da quando era arrivato.
«Se sai di avere commesso una sciocchezza, basterà che provi a scusarti.» Tentò di incoraggiarlo.
«Ho provato a parlargli, fa di tutto per evitarmi, non risponde neppure ai messaggi e, a scuola, se ne sta sempre incollato a quella stupida ragazzina o a quell’Harrison.
«Il ragazzo che suona la chitarra?»
John annuì con una smorfia triste.
Bingo! Era geloso. Ringo ne era assolutamente certo.
«Senti, qualsiasi cosa sia successo, devi andare da lui e trovare un modo per parlargli.»
 
***
 
John decise di seguire il consiglio di Ringo ma, come previsto, Paul non venne neppure alla porta, si presentò al suo posto Mike solo per dirgli che il fratello era impegnato e non aveva nulla da dirgli. Mentre Paul lo vedeva allontanarsi dalla finestra della sua camera, ricevette un messaggio.
 
Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso, mi conosci e lo sai che a volte mi comporto in modo idiota e faccio soffrire le persone a cui tengo di più.
Quello che so è che mi manca il mio migliore amico. Perdonami, se puoi.
 
Perdonarlo? Quante volte l’aveva perdonato o era passato sopra al suo carattere impossibile da quando si conoscevano? Paul aveva perso il conto. Ma infine si trattava di John con tutte le sue insicurezze, le piccole attenzioni che solo lui riusciva ad avere per Paul, i suoi lati geniali, la loro musica e l’idea di perdere la sua amicizia faceva più male di tutto, anche di dovere fingere di non provare quei sentimenti che erano diventati un fardello troppo ingombrante.
Nonostante tutto, il messaggio di John rimase senza risposta sia per quel giorno sia per tutto il seguente fino a quando non giunse il week-end quando Paul, che non aveva fatto altro che passare ore ed ore a ripensare più e più volte alle parole di John, prese la sua decisione: gli avrebbe detto la verità. Uscì che era già buio e pioveva a dirotto, non che fosse una novità nei cupi inverni di Liverpool. Camminò fino a Mendips, incurante dell’acqua e, solo quando fu arrivato a destinazione, con il dito già premuto sul campanello, realizzò che era sabato sera e che, di sicuro, John non sarebbe stato in casa, ma fuori a spassarsela con una ragazza o a bere birra con Stuart in qualche bettola puzzolente. Non che la seconda ipotesi lo consolasse molto, Stuart, se possibile gli piaceva sempre di meno e non capiva che cosa John ci trovasse in lui. Non solo Paul era geloso delle ragazze, ma adesso temeva anche che, dopo tutto quello che era successo tra loro, John avrebbe potuto preferire l’amicizia di Stuart alla sua.
Come aveva potuto ridursi in quello stato penoso?
Quei pensieri gli fecero male come se gli avessero appena inferto una coltellata nel centro del petto, ma ormai aveva suonato e non poteva certo scappare via. Era pur sempre un ragazzo ben educato.
Dopo qualche secondo sentì un rumore di passi avvicinarsi alla porta.
«Paul McCartney, cosa ci fai qui a quest’ora e per giunta bagnato fradicio? Su entra, se cerchi John è di sopra.»
Paul si disse che, se persino Mimi non aveva avuto il coraggio di fargli una ramanzina, a causa dell’orario, doveva avere un aspetto proprio pietoso.
John era in casa. Non con una ragazza e neppure con Stuart! A quel pensiero il suo cuore fece una capriola.
Salì le scale con il cuore che gli scoppiava nel petto. Bussò piano e poi rimase lì, immobile, fino a quando non fu John ad aprirgli la porta. La stanza sapeva di alcool e fumo mescolati all’odore acre della pioggia. E poi sapeva di John. Paul inspirò a pieni polmoni e fu come ritornare a casa.
«Paul ma cosa? Sei bagnato fradicio! È sabato, non dovresti essere con Jane a quest’ora?»
«I-Io…» disse prima di essere scosso da violenti brividi di freddo.
«Va bene, ne parliamo dopo o ti prenderai una polmonite. Prima devi metterti qualcosa di asciutto.»
John rovistò in un cassetto da cui estrasse una felpa e un paio di pantaloni della tuta.
«Ecco, questo dovrebbe andare bene.» Disse lanciandogli gli indumenti.
 
Paul iniziò a cambiarsi, il silenzio rotto solo dal ticchettio della pioggia sui vetri. Per un attimo si incantò a guardare le gocce che scivolavano veloci sulla finestra, fu il rumore sordo di un tuono a riscuoterlo e far sì che riprendesse ciò che aveva interrotto.
 
Non era la prima volta che dormivano l’uno a casa dell’altro, ma da quando erano diventati ragazzi, era accaduto sempre meno spesso. E non era neppure la prima volta che John vedeva il suo migliore amico con indosso la sola biancheria intima, eppure quella sera, fu come guardarlo per la prima volta. Paul era dannatamente bello con quel viso dolce, la carnagione così chiara, resa ancora più pallida dal freddo, le gambe lunghissime e il fisico asciutto. Ma diamine, era pur sempre Paul, il suo migliore amico e John doveva assolutamente darsi un contegno. Quei pensieri insensati non l’avrebbero portato da nessuna parte.
 
Una volta che Paul ebbe indossato gli indumenti asciutti, si sedettero entrambi a gambe incrociate sul letto di John. Paul, che non aveva ancora riacquistato la temperatura corporea tremava appena ma era abbastanza perché John se ne accorgesse.
«Stai bene?»
Paul annuì debolmente.
«No che non stai bene, stai tremando.»
Scosse ostinatamente il capo e si chiuse in una sorta di mutismo fino a quando, dopo qualche minuto di silenzio, in cui aveva soppesato per la milionesima volta le possibili alternative, optò per la verità, non senza un peso che gli gravava sul cuore come un macigno.
Sapeva che avrebbe potuto perdere il suo migliore amico, ma era certo che sarebbe stato inevitabile, anche se avesse continuato a mentire e, come se non bastasse, avrebbe anche fatto la figura del vigliacco. Il fatto che tutta quella storia con Jane fosse una colossale menzogna sarebbe venuto presto alla luce e allora John avrebbe cominciato a farsi delle domande e sarebbe venuto da lui a pretendere le risposte.
Paul si fece coraggio e iniziò parlare.
«I-io ti ho mentito.» Di gran lunga sputò fuori senza troppi giri di parole. «Non c’è mai stata nessuna Jane. Cioè Jane c’è, però io non sono innamorato di lei, ma di un’altra persona che… beh che non potrò mai avere.» Concluse con un filo di voce e il tono sconfitto mentre inclinava il capo e iniziava a fissare il copriletto nella speranza che l’amico non si accorgesse del rossore che imperlava le sue guance.
John di fronte a quelle parole sgranò gli occhi.
«Non sei innamorato di Jane Asher?» Domandò come se temesse di non avere capito bene e sentendosi subito dopo un perfetto cretino per quanto si sentiva sollevato da quella rivelazione. Che cosa gli stava accadendo? «È la tua ragazza.»
«Non più.»
«E quest’altra persona lo sa?» Azzardò John solo in seguito, concedendosi per un attimo di sperare.
 
«No, non lo sa.» Tagliò corto Paul con le guance che stavano andando letteralmente a fuoco. Ringraziò mentalmente il fatto che la stanza fosse avvolta dalla penombra, così forse John non se ne sarebbe accorto.
Lo spiraglio di speranza nel cuore di John si allargò un poco.
«Forse dovresti dirglielo.»
«Sarebbe inutile.» Rispose Paul incapace di trattenere una lacrima.
«Non puoi saperlo.» Insistette John, raccogliendola con la punta del dito e lasciandolo poi scorrere sul viso del suo migliore amico.
«E poi è una cosa sbagliata perché lui...»
Lui.
Fu quel minuscolo pronome di sole tre lettere a dargli la conferma definitiva. E quella che era nata come una debole speranza, avanzò prepotente illuminandogli il viso.
«No, non lo è.» Sussurrò unendo finalmente le loro labbra in quel contatto inconsapevolmente tanto agognato.
Solo allora sentì Paul rilassarsi sotto quel tocco leggero e sorrise sulla bocca del compagno. Fu un bacio completamente diverso da tutti quelli che si erano scambiati nel periodo in cui aveva chiesto a John di aiutarlo perché sapeva di consapevolezza, di amore, di casa.
 
Qualche minuto più tardi erano entrambi distesi, uno accanto all’altro, sul letto di John.
«Stai bene?» Domandò il più grande.
«Sì. Credo di sì. E tu?»
«Sì. Anche io. Senti, non ho delle risposte per quello che sta succedendo tra di noi, insomma io e te che ci baciamo e tutto il resto. Sai qualche sera fa sono uscito con Stu, siamo andati al pub, giù al porto, abbiamo conosciuto delle ragazze e io…»
«Lo so che hai fatto sesso con quella ragazza, me lo ha raccontato Stu.» Lo interruppe Paul, la voce carica di sofferenza al ricordo di quelle parole che l’avevano ferito nel profondo.
«No no, io non ci ho fatto proprio nulla, non so cosa abbia pensato Stuart perché ci siamo separati, ma devi credermi non è successo niente quella sera, non potevo, riuscivo solo a pensare a te e se devo essere sincero mi fa una paura tremenda perché beh, noi non siamo due...» John quella parola non riusciva proprio a pronunciarla.
«No, non lo siamo.» Gli sussurrò Paul, ancora sconvolto dalla bella notizia appena ricevuta. Questa rassicurazione bastò a John a trovare il coraggio per continuare.
«Ma di una cosa sono sicuro: non c’è proprio niente di sbagliato. Fino a che siamo io e te Paul, come può essere sbagliato?»
Paul annuì, cercando la sua mano e intrecciando le loro dita. La realtà era che anche lui aveva paura, tanta paura. Paura del futuro, di come avrebbero gestito quel sentimento fin troppo ingombrante per due adolescenti, di che fine avrebbe fatto la loro amicizia se non avesse funzionato, paura dei pettegolezzi a scuola se qualcuno fosse venuto a sapere di loro ma in quel momento, nonostante tutto, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto perché era esattamente dove desiderava essere, con l’unica persona che lo sapesse rendere davvero felice.
John sembrò avere intuito tutti i suoi dubbi.
«Sarà il nostro segreto… beh, insomma, fino a quando non saremo pronti a condividerlo. Ti fidi di me?» Gli soffiò John sulle labbra.
«Sempre.»
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Ed eccoci qui al capitolo finale. Sono contenta di essere riuscita a concludere questa storia anche se sono certa che un pochino mi mancherà… Un grazie immenso a Paola per essere la mia beta e perché senza il suo costante incoraggiamento non credo che l’avrei neppure iniziata a pubblicare. Per finire un grazie a tutte le persone che hanno letto, condividendo con me questa avventura.
Alla prossima,
Alex
 
 
 

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Capitolo 8
*** EPILOGO ***


Qualche mese più tardi
 
«Non riesco a crederci!»
«Neppure io, eppure stiamo per farlo… Sei preoccupato?»
«Un po’…»
«Andrà bene.»
John gli rivolse uno sguardo perplesso seguito da un: «ne sei convinto?»
«Sì cipollina sottaceto.»
«A proposito, a me è venuta fame…»
«Credo che dovrai aspettare dopo il concerto Geo.» Gli rispose Ringo sorridendo.
 
A Paul sembrava ancora impossibile che quella sera avrebbero suonato al Cavern davanti ad un pubblico vero.
Lui, John, George e Ringo. La loro band.
Non era stato facile convincere John lasciare che Geo provasse insieme a loro, ma alla fine ci era riuscito e, dopo averlo sentito, John aveva capito che il ragazzo ci sapeva fare sul serio. A quel punto, poiché erano già in tre, era nata l’idea della band, ma tutti sapevano che ogni band rispettabile necessitava di un batterista che sapesse metterci la giusta dose di ritmo e così, a Paul era venuto spontaneo chiedere a Ringo se fosse interessato. Il ragazzo aveva accolto la proposta con entusiasmo. Nonostante il lavoro al bar fosse sempre molto impegnativo, amava suonare la batteria e la proposta di Paul gli era sembrata la sua grande occasione per provare a trasformare il suo hobby in qualcosa di più concreto.
In più Ringo non solo sapeva di lui e John e questo era già di per sé fantastico, ma aveva anche aiutato sia l’uno sia l’altro a comprendere i propri sentimenti e a chiarirsi. Con Geo non era stato così facile. L’amico aveva iniziato a sospettare di lui e John quasi subito e dopo una serie di allusioni che Paul aveva finto di non cogliere, l’aveva preso da parte ed era andato dritto al dunque. Da quando aveva iniziato ad uscire con Pattie si era fatto molto più spigliato e sicuro di sé. Il fatto sta che gli aveva detto che aveva capito che tra lui e John c’era molto più di una semplice amicizia, e che l’aveva capito da un pezzo nonostante lui cercasse di negare.
Alla fine Paul messo alle strette aveva dovuto cedere e ammettere che stavano insieme da qualche mese. E poi era arrivata la domanda che l’aveva spiazzato.
«E l’avete già fatto?»
Paul aveva creduto che sarebbe morto per l’imbarazzo. Ma come diavolo faceva Geo, il piccolo e innocente Geo (ora non più tanto innocente) ad uscirsene con domande del genere? No, certo che lui e John non l’avevano ancora fatto! Si era affrettato a precisare tutto rosso in viso.
Già non l’avevano ancora fatto e questo portava a galla un altro problema. Lui era innamoratissimo di John, passavano tutto il loro tempo libero insieme e a volte dormivano l’uno a casa dell’altro, ma non erano mai andati oltre ai baci e alle carezze. A dire la verità, un genere di carezze decisamente intimo che lo faceva arrossire al solo pensiero, però rimaneva il fatto che il grande passo non l’avevano ancora compiuto.
Eppure lui aveva bisogno di John più dell’aria stessa. Dal canto suo John gli aveva fatto capire quanto lo desiderasse più e più volte, ma Paul si era sempre tirato indietro ed era riuscito a svicolare. La realtà era che aveva una fottuta paura. Da qualche settimana John sveva smesso di chiederglielo e sembrava persino che le cose gli stessero bene così come stavano. Negli ultimi tempi Paul era arrivato a temere che il suo ragazzo si sarebbe stancato di lui se non avesse preso una decisione.
Che avesse perso interesse nei suoi confronti?
In ogni caso doveva smettere di pensarci perché entro cinque minuti sarebbero saliti sul palco per la loro prima esibizione.
 
Tra il pubblico c’erano Patty e Mo che avevano preparato uno striscione. C’era anche Stu di cui Paul aveva quasi smesso di essere geloso da quando quest’ultimo aveva iniziato ad uscire con Astrid, una ragazza tedesca che aveva conosciuto durante uno scambio con una classe di studenti stranieri.
Per la serata la band aveva optato per le cover di alcuni brani di Rock & Roll.
Trascorsa una fase di comprensibile ansia iniziale, in cui erano stati piuttosto ingessati, il tempo di eseguire un paio di canzoni e si erano sciolti. Il locale era affollato e la loro musica sembrava piacere.
 
Tra gli applausi del pubblico il loro primo concerto si era rivelato un successo, sul palco era già salita un’altra band e i quattro ragazzi e i loro amici si erano trattenuti a lungo a festeggiare. Avevano bevuto, scherzato ed erano stati bene.
Quella sera John gli aveva detto che la zia sarebbe stata fuori città per un paio di giorni dato che aveva in programma di andare a fare visita a una delle sue sorelle e che quindi avrebbero avuto la casa tutta per loro e la possibilità di passare la notte da soli. Paul aveva accettato di buon grado anche se solo in quel momento, mentre John girava la chiave nella toppa della porta, aveva realizzato che sarebbero stati completamente soli fino al mattino seguente. Tutte le altre volte in cui avevano dormito l’uno a casa dell’altro erano sempre stati presenti zia Mimi oppure suo padre e Mike. Ma quella sera era stata troppo perfetta per preoccuparsi: era con John, il concerto era andato bene e inoltre aveva bevuto parecchio e sapeva che un pochino di coraggio liquido gli sarebbe stato d’aiuto.
Quando raggiunsero la stanza di John, una volta che furono entrambi in boxer e maglietta, si buttarono sul letto e si infilarono sotto le coperte. John baciò Paul per poi stringerlo tra le braccia.
«Buonanotte Paulie.»
Buonanotte? Sul serio? John aveva per davvero intenzione di dormire? D’accordo, era stata una giornata piena di emozioni ed era molto tardi ma Paul sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno. Quantomeno non con il pensiero di John che non aveva provato a convincerlo a fare sesso.
I suoi sospetti erano dunque fondati? Si era stancato di lui?
Dopo avere tentato invano di addormentarsi, raccolse tutto il coraggio di cui era dotato e prese la sua decisione. Iniziò a dare dei piccoli baci sul collo di John mentre si metteva a cavalcioni su di lui.
«Mmm…Paul cosa stai facendo?»
«Ti sto baciando.»
«È tardissimo.»
«Ti amo.»
«Anche io ti amo coniglietto, ma…c’è qualcosa che non va?» Domandò aprendo lentamente gli occhi.
«Ti voglio…»
«Tu cosa?»
«Ti voglio.»
«Tu mi vuoi?»
«Sì ti voglio.»
«Ne sei sicuro?»
«Non vuoi?» Paul non riuscì a celare un velo di delusione nel tono di voce.
«È la cosa che desidero di più.»
«Allora perché…»
«Perché ho smesso di chiedertelo?»
Paul annuì.
«Non sono stupido, avevo capito che ti sentivi a disagio. Ultimamente, ogni volta che stavamo da soli, trovavi una qualche scusa per svicolare.»
«Mi dispiace…avevo paura.» Si sentì stupido ad ammetterlo, ma era quello che aveva provato. John era il suo ragazzo e voleva essere del tutto sincero con lui.
«E ora?»
«Ti desidero troppo e…mi fido di te.» Sussurrò, sfiorandogli l’orecchio con la punta del naso.
A John non serviva altro, iniziò a baciarlo e poco dopo invertì le loro posizioni.
Non ci volle molto tempo perché la biancheria finisse abbandonata sul pavimento.
«Ci serve qualcosa per…»
Paul annuì prendendo improvvisamente consapevolezza di ciò che stavano per fare. Insomma aveva perso il conto di quante volte John l’avesse già accarezzato e Paul era stato ben lieto di restituirgli il favore, ma questa volta sarebbe stato completamente diverso.
John allungò una mano verso il cassetto del comodino. Paul si irrigidì alla vista del suo ragazzo che stringeva una boccetta tra le mani, tentando di svitare il piccolo tappo. Allora John interruppe quell’operazione per ricominciare a baciarlo soffiandogli nell’orecchio parole rassicuranti fino a che non fu certo che si fosse tranquillizzato.
Dopo averlo preparato con un’estrema cautela ed avergli strappato gemiti tali, da dovere usare tutta la sua forza di volontà per non venire all’istante, rovinando la loro notte speciale, lo baciò con una tenerezza infinita per distrarlo dal dolore che avrebbe sentito una volta che fosse entrato dentro di lui. Paul cercò di rimanere rilassato per quanto possibile e così il dolore iniziale si trasformò in piacere. La piccola stanza di John fu riempita di gemiti, ansiti e parole dolci soffocate dai baci e dal piacere che aveva invaso entrambi.
La loro prima volta e il loro primo concerto insieme. Abbracciati stretti, si cullarono nella consapevolezza che non avrebbero potuto desiderare nulla di più di ciò che ognuno dei due rappresentava per l’altro.
 
 
                                                                                                                                The End
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
Era da parecchio tempo che volevo scrivere un piccolo epilogo per raccontare qualche cosina in più sulla vita dei nostri protagonisti e soprattutto sulla loro prima volta. Per diversi motivi sono passati mesi ma ora eccolo qui, spero vi piaccia. Un grazie enorme a tutte le persone che hanno letto questa storia, ma soprattutto a Paola che l’ha betata, che mi incoraggia e che mi sostiene sempre, non solo riguardo la scrittura ma ogni giorno come amica.
Alla prossima,
Alex
 
 
 
 
 
 
 
 

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