Scivolo di neve

di Made of Snow and Dreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Preludio alla caduta ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: 'Verde e grigio' ***



Capitolo 1
*** Prologo - Preludio alla caduta ***


Scivolo di neve
 


Prologo
'Preludio alla caduta'
 
 
 
 


L’altalena è rotta. Una delle due catene è rimasta ancorata al suo sostegno, ma per l’altra non c’è proprio niente da fare. A un più attento esame, i suoi occhi scorgono subito gli anelli mancanti sul terreno, macchiettati di ruggine e annegati nel ghiaccio. Niente di imprevedibile, considerato il luogo che ha scelto come accampamento.
I suoi piedi affondano nella neve e nemmeno il giubbotto con il cappuccio foderato di pelliccia può impedire al freddo di arrossargli la guance e la punta del naso. Una marea di neve lo circonda, abbaglia i suoi occhi ovunque li posi, e fiocchi congelati cadono morbidamente sullo scivolo e sulle piccole funivie costruite con mezzi di fortuna. Non un’anima viva a riaccendere la vitalità di quel parco abbandonato.
Eccetto noi.
La verità è che Dimitriy è deluso, e sempre più propenso a catalogare l’intera specie degli adulti come una razza di inguaribili bugiardi. Non è come l’uomo incolore gli aveva raccontato. Aveva impiegato del tempo prezioso a imbottirlo di lodi interminabili su come fosse morbida la neve russa o di quanto fosse purificante il suo candore naturale, come se camminare senza una meta ben precisa su una landa ghiacciata fosse la soluzione a tutti i problemi che affliggono il mondo. A Dimitriy quell’uomo in camice bianco aveva ispirato una naturale fiducia dettata dalla bontà che la vecchiaia irrimediabilmente suscita nei bambini, e gli aveva voluto credere. Il suo primo, fatidico errore.
Uno dei tanti.
‘Stai zitta, per favore. ‘ sussurra, e osserva affascinato come il suo fiato produca tante nuvole di condensa, destinate a disperdersi nel cielo bianco. Buffo come le azioni più semplici risultino essere quelle più costruttive; anche la decisione di aver calpestato e spaccato a metà con una sbarra di ferro il cartello con su scritto ‘Detskaya Ploshchadka’ avrà il suo meritato rilievo nelle sue vicende future, ne è certo. Una valida precauzione contro tutte le possibili eventualità.
Perché tu non vuoi rischiare di essere trovato, vero?
‘Ovviamente no. Se me ne sono andato ci sarà stata una ragione. E poi tu mi conosci fin troppo bene, non dovresti fare questo genere di domande… ‘ si blocca, alla ricerca del termine adatto. ‘Stupide. Ecco. Stupide. ‘ E’ una mossa impegnativa, quasi chirurgica, la scelta dell’aggettivo più consono, specie se a complicargli l’operazione contribuisce uno sciame di vorticose lettere dispettose. Ne afferra una, poi questa scappa e… Puff! Il gioco deve ricominciare, sempre.
Eheh, va bene. Per oggi hai vinto. Punto tuo.
‘Stupide. Stupide. Ma qui è tutto troppo grande, non trovi? ‘
Artiglia il morbido pelo di Slava per sottolineare il concetto e perché le dita della sua mano sinistra sono talmente intorpidite da non avere più sensibilità. Vederle mutare colore non lo impressiona, lui che ha sempre amato il blu-viola dei lividi stampati sulla sua pelle. Un tic involontario gli torce il collo in uno scatto, tanto che il suono delle sue deboli vertebre che scricchiolano rimbomba incessantemente per alcuni secondi nelle sue orecchie, inquietandolo. Semmai deciderà di tornare all’ospedale tutto dipinto, dovrà chiedere all’individuo barbuto e severo di prestargli un’intera scorta di fogli bianchi e due pastelli. E magari di dipingere le pareti della sua camera, almeno per aggiungere un tocco di colore allo squallore che regna nello spazio che separa il suo letto dalla scrivania a misura di bambino.
No. E’ giusto. E’ giusto per noi due, che abbiamo bisogno dei nostri giochi. Un parco giochi, la casa perfetta per noi, per te.
Dimitriy sospira, e chiude gli occhi. La verità è che forse la Russia è troppo grande per lui, e troppo poco colorata. Troppi monumenti da scoprire, troppa gente da incontrare, troppi amici con cui confrontarsi. Miliardi di bambini ad attenderlo, dei potenziali sostegni per i suoi attacchi d’ansia. E’ un peccato che il suo unico amico, Nikolay, abbia abbandonato lo stabilimento. Aveva degli occhi giganteschi, questo lo ricorda bene. E un’interminabile parlantina, perfetta per azzittire tutte le sue voci. E uno spirito gentile ad addolcire quel mix esplosivo, che aveva saputo catturare l’immediata simpatia di uno dei tanti dottori, uno tra i più esperti. Era guarito dopo poco tempo.

Il problema di Dimitriy è che ha già vissuto troppo. Ha conosciuto tante persone e carezzato tante pellicce diverse, ha discusso di sogni e progetti con le voci più articolate e assaggiato acqua contaminata da grammi di polverine bianche, tutte dai gusti rivoltanti. Il problema di Dimitriy è che la compagnia di Slava non gli è assolutamente congeniale: se possedesse un coltello non esiterebbe un solo secondo ad affondarlo ripetutamente nel peluche imbottito, tanto la rabbia che lo attanaglia è intensa.
Per Dimitriy il mondo è troppo vasto, ci sono troppi anfratti dentro cui nascondersi e perdersi. E lui non è mai stato un tipo spericolato. Si avvicina all’altalena sana, intatta nonostante il peso del ghiaccio, e si accuccia sul sedile. Ignorando il bruciore della pelle rinsecchita e dolorante, si lascia dondolare dal vento.
 



Igor Medvedev sbuffa annoiato mentre si accascia sulla sua poltrona imbottita. Ha ottenuto finalmente lo studio che tanto desiderava, è diventato uno psichiatra di successo, ha una carriera affermata. E’ corteggiato assiduamente dalla sua segretaria Olga, i soldi non gli mancano. I pazienti neanche.
Eppure la sua vita non è felice. Basterebbe poco per spezzare l’inumana monotonia che regola le sue giornate, basterebbe un piccolo paziente dalla mente labirintica per risvegliare le sue perversioni addormentate. Soprattutto un delirante catorcio a forma di bambino.
 
 
 
 




Angolo Autrice
E’ la prima volta che pubblico qualcosa in questa categoria. Non sono sicura che sia la collocazione giusta, ma voglio buttarmi nel rischio.
Mi presento: sono la sperimentatrice di turno, la padrona incontrastata di questo folle mondo che spero possa piacervi. E’ un primo tentativo di tastare il terreno e provare se questa storia sarà l’ennesimo buco nell’acqua, una narrazione destinata all’abbandono o, per la prima volta nella mia vita da scrittrice scapestrata, uno scritto che vedrà una fine consona alla vicenda. Dipende da me per l’ingranaggio del meccanismo, e da voi.
Detto questo, buona lettura!
*Detskaya Ploshchadka: ‘Parco Giochi ’ in russo.
 
Made of Snow and Dreams.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: 'Verde e grigio' ***


Scivolo di neve



Capitolo 1
‘Verde e grigio’
 
 
 
 
‘Non ti preoccupare. Se ingoi questa… ‘ proferisce con un caldo e rassicurante sorriso, mentre il suo pugno si schiude per mostrare una pillola azzurrina, ‘…i tuoi sintomi si allevieranno subito. Non avrai più la sensazione di essere costantemente osservata. ‘
La bambina seduta di fronte a lui è una graziosa bambolina di otto anni, biondissima e con occhietti vispi e vagamente minacciosi. Le sue pupille saettano dal viso del suo psichiatra al suo palmo, come se volesse constatare la veridicità delle sue affermazioni. Igor è abituato a quel genere di reazioni, e non si lascia intimidire dallo sguardo della sua piccola paziente. Mantiene le guance contratte fino a quando la tensione si scioglie in un sorso d’acqua e una pasticca a fluttuare nell’esofago.
‘Bene. Facile, no? Ora fatti una bella dormita e vedrai che starai meglio. Olga, accompagnala da sua madre! ‘
Olga è la sua ammiratrice numero uno. Così si è definita lei stessa pochi giorni dopo aver ottenuto il posto di segretaria del suo ufficio, dopo un attento colloquio. E’ una bella ragazza, Igor l’ha constatato sbirciandola mentre lavora sulle sue fotocopie: delle belle tette sode – o almeno è ciò che traspare dalle sue magliette attillate e rigorosamente bianche -, gambe lunghe e tornite. Un bel bocconcino, e lui ha abbastanza esperienza da intendersi di bellezza femminile.
Aida l’aveva saputo conquistare per tre mesi interi, con i suoi occhi da gatta e un corpo da modella; Tat’yana, uno spirito di bambina intrappolato nel corpo di una donna florida fasciato da vestiti variopinti e spiccanti nel grigiore che popola Astrakhan. La ricorda bene, Igor. Aveva tutte le carte in regola per essere una potenziale patner, ma il suo interesse si era dissipato – e non senza dispiacere – quando le sue paure di invecchiare aveva bussato alla loro porta. E poi c’erano state Ivanna, Vlada, Zlata, Anastasiya…
‘Subito. Vieni, Iryna. ‘
Brava, Olga. Toglimi davanti questa pazza paranoica, e regalami un po’ di pace.
La porta si socchiude e lo spostamento d’aria gli solleva una ciocca di capelli biondo cenere. Quando la sua mano sfiora il calorifero freddo, si ritrae con un brivido. Spento. Per l’ennesima volta. Quando ricorda bene di aver detto ad Olga di alzare la levetta d’accensione. Una cosa ti avevo chiesto di fare, Olga, una sola!
Sopprime l’impulso di schiaffeggiare la ragazza per quella dimenticanza. Lo denuncerebbe, o forse no. Uno spreco di energie. Ma lui il freddo non lo tollera.
Sono settimane che nevica ad Astrakhan, una delle città più povere della Grande Madre Russia. Igor osserva con indifferenza la lieve bufera che impervia la città, senza risparmiare le catapecchie in legno abitate dai vecchi rom che lui ha la sfortuna di incontrare ogni giorno. Si sente fortunato a trovarsi riparato nel suo studio medico, ma sente che niente del suo piccolo centro riesce ad appagarlo.
L’umidità che macchia il soffitto e sgretola l’intonaco delle pareti lo disgusta, l’atmosfera cupa dettata dall’assenza di sole lo rende malinconico e irascibile, i bambini con cui discorre lo intristiscono quotidianamente con i loro resoconti della giornata. Chi si sente minacciato, chi incolpa i genitori di volerlo ammazzare, chi si dispera perché non riesce a trattenere i suoi sbalzi d’umore, chi parla estasiato di un amico immaginario.
Alcuni non hanno perduto del tutto il contatto con la realtà. Altri sono ridotti a dei veri e propri fantasmi in carne ed ossa.
La voce professionale di Olga al suo fianco. ‘Dottor Medvedev, per ora i pazienti sono finiti. La sala d’attesa è vuota. ‘
E’ sollevato, anche se è collassato sulla sua sedia in pelle. E’ tutta sgualcita e piena di rattoppi, ma estremamente comoda, irresistibile. Lancia un’occhiata distratta alle unghie laccate della sua segretaria e sbuffa rassegnato. ‘Hai altri appuntamenti segnati, per oggi? ‘
‘Sì. Altri… Aspetti un attimo. ‘ Rumore di carta che viene rovistata. Igor chiude gli occhi, sperando che il risultato finale sia zero. ‘Altri tre. Sokolova, Zarkovskajna, Petrov. ‘
‘Sokolova… ah, ricordo. Le due schizofreniche di undici anni e il bipolare di sette. ‘
Olga gli lancia un’occhiata stranita, ma annuisce ugualmente. ‘Sì. Rispettivamente fissati per le quattro e trenta di questo pomeriggio, le sei e le sei e mezza. ‘
‘I genitori della Zarkovskajna hanno pagato? ‘ chiede.
Non che gli piaccia dimostrarsi così taccagno, ma i soldi gli servono. Deve mantenere lo studio e la sua casa, con tutto il suo gigantesco impianto di riscaldamento che quell’idiota dell’ingegnere gli ha costruito male.  Semmai deciderà di rivolgersi a un avvocato per fargli causa, dovrà pagare un salatissimo stipendio, come tutti gli avvocati pretendono.
‘No, ancora no. Desidera che scriva loro una lettera per minacciare una sospensione del trattamento? ‘
Ci pensa su. La Zarkovskajna, un caso critico già a undici anni. Genitori poveri, madre disoccupata, figlia pazza. Una sua piccola battaglia morale.
Se sospendo il trattamento perché non vengo pagato, la ragazzina rischia di finire male. E se decido di proseguire gratis…?
‘No, non mandare niente. Continuo lo stesso ad avvelenarla con il Luvotren. Non ha senso pagare un assassino, alla fine. ‘ conclude dopo alcuni secondi. Olga lo sta guardando soddisfatta e forse con ancor più meraviglia di prima. Percepisce i suoi occhi trapassarlo da parte a parte, una sensazione che non è sicuro di gradire. ‘Ah, ora basta. Devo staccare un po’, altrimenti ci finisco io al manicomio. ‘
L’orario è perfetto: le 14:13. Non sembra, visto che a causa della neve il cielo si oscurato, ma Igor ha imparato ad abituarsi al tempo che domina Astrakhan e alla conseguente depressione che la mancanza di sole gli infliggerà un giorno o l’altro. Ne è sicuro. ‘Vado a prendere un boccone. A dopo, Olga. ‘
Indossa il pesante e lungo cappotto nero, non curandosi di allacciare le stringhe e le piccole cinture. Alza il colletto appuntito per proteggersi il viso dal vento. Una lunga sciarpa color panna avvolta attorno al collo robusto completa il tutto, e, prima ancora che Olga possa cinguettare un: ‘Buon pranzo! ‘ come risposta, la porta è già stata chiusa.
 
 

Al bar niente di nuovo. E’ sempre il solito e vecchio blocco di cemento circondato da cartacce e bottiglie in plastica, qualche foulard fracido di acqua e dei fazzoletti usati. Igor calpesta distrattamente le cicche di sigaretta abbandonate sul marciapiede senza guardare l’asfalto. Con il viso sprofondato nel tessuto morbido e profumato della sciarpa e il colletto rialzato, gli capita spesso di essere oggetto di stupore di qualche passante. Lo diverte captare quel lampo di ammirazione e timore dovuto alla sua imponente stazza, che per lui è stata motivo di vanto sin dalle elementari. Un’utile arma di difesa durante l’adolescenza. Lo sa bene lui. Con un gigante di 1 metro e 96 centimetri di altezza e una larghezza pari a un armadio a due ante, c’è poco da scherzare.

L’odore pungente della sua fetta di Medovik misto al gusto forte della vodka lo fanno rabbrividire. Una delle cose che mal tollera di quell’intimo bar è l’orologio ticchettante e la musica troppo forte per il suo udito, anche se le condizioni generali sono molto più allegre di prima. Il miele si infrange sul palato, lo ristora. Lo prepara dalla faticaccia che dovrà affrontare con la Sokolova. Una bambina ordinaria capace di ispirargli una sincera e cordiale antipatia. Lei e la sua chioma castana, lei e le sue guance rosa. Una bambolina pazza, e a lui le bambole non sono mai piaciute.
Gli appunti che aveva scritto la mattina dopo il giorno del loro primo appuntamento erano un misto di appunti sui suoi sintomi e frasi sconnesse sulle sensazioni che lui, lo psichiatra infantile per eccellenza, aveva intercettato mentre si sforzava di concentrarsi solo sulla voce della bambina.
 “La paziente presenta un peso rientrante nella norma per la sua età. Undici anni. Vestito blu a quadretti. Pupille dilatate. “ Aveva scritto febbrilmente sul suo fedele block- notes mentre cercava di non perdersi nemmeno una parola della piccola bambolina. “Voce leggermente stridula. Farebbero meglio a zittirla con qualche goccia di sonnifero blando. Una figura scura e senza tratti facciali è una presenza ricorrente nei suoi sogni. Che sia un segnale superficiale di una tragedia che va al di là della mera follia? Meglio andare a fondo. “ E poi si era fermato quando gli occhi vacui della bambina si erano ribaltati all’indietro, più simili a due biglie di vetro bloccate nelle orbite oculari. Un semplice caso di catatonia. Ma era buffa da ammirare: la testa rovesciata all’indietro era quella di un manichino infantile, pugnalato più volte da visioni che una bambinella della sua età non doveva rimirare. La bocca era aperta, la saliva colava sul colletto del vestitino di lana. Era stato costretto ad asciugarglielo con un fazzoletto di fortuna, perdendosi nella voragine che era la sua gola esposta. Tre minuti buoni. Un bel disastro.
‘… e ricordo che mi incolpava di tante cose. In certi giorni… ‘ Aveva ripreso a chiacchierare serafica. Non si era accorta di niente. E lui aveva annuito, sorridendole amaramente, e aveva continuato a scribacchiare sui suoi preziosi fogli. Li avrebbe studiati quella sera stessa, si era ripetuto, anche se qualche idea se l’era già preparata.

‘Sono 213 rubli in totale. ‘
Annuisce al cassiere distrattamente, lascia sulla ciotola variopinta cinquanta rubli in più. Si dirige verso l’esterno senza rispondere ai richiami dell’uomo. Non gli interessa. E poi dovrebbe aver capito da tempo che Igor Medvedev è un tipo superstizioso. Compiere delle buone azioni per ingraziarsi il destino, è trascritto in tutte le riviste astrali. Non ci crede fino in fondo, ma è disposto ad appigliarsi al volere del fantomatico volere delle stelle pur di sopravvivere alla giornata.
La neve soffia crudele su di lui, il gigante. Non trema. Ignora la sciarpa che si gonfia alle sue spalle, trascinata dal vento. Continuare a camminare, osservare con attenzione il percorso da intraprendere. Solo che ha voglia di una piccola deviazione, lui che è stato ucciso dalla monotonia. Nessuno spreco di tempo; non ci vuole niente ad attraversare 200 metri, lui che ha i muscoli allenati.
E’ solo un piccolo bivio, un’insignificante deviazione. Tutto scolpito nella neve, tutto sommerso da quel biancore che lo fa sentire terribilmente solo, ogni dannata volta che i suoi stivali sprofondano nel ghiaccio triturato. Attorno a lui si snoda un sentiero costellato di alberi spogli e arbusti imperlati di brina. Un piccolo anfratto di paradiso personale. L’arredamento è il forte della natura, lo ha sempre sostenuto.
E’ il posto giusto per chi ama la solitudine. E’ il posto giusto per vuole suicidarsi. Basterebbe un’altra breve nevicata per nascondere le tracce di un cadavere. Là il tempo è morto.
Igor Medvedev sorride stancamente quando inciampa su quello che, a prima vista, gli sembra un masso o un mattone abbandonato. Si china, e non immagina lontanamente ciò che trova. Strabuzza gli occhi e se ne pente, quando una zaffata di vento gelido lo costringe a ritirarsi da dietro la sciarpa. Ma il cartello macchiettato di sangue è tra le sue mani. Che le sue fantasie, in realtà, siano più vere di quanto egli stesso sperasse?
‘Detskaya Ploshchadka… e no, questa non è decisamente vernice. E neppure colorante. ‘ sussurra, e nuvole di condensa si disperdono nel cielo. Uno strano posto per un omicidio. Un parco giochi con altalene rotte e scivoli arrugginiti. Chiodi a sporgere dal terreno. Casette in legno con il tetto sfondato. Troppo freddo da sopportare: neppure le catene in acciaio hanno retto le basse temperature.
Un bambino. Per un attimo Igor è troppo sorpreso dalla presenza e non proferisce parola. Il bambino lo fissa negli occhi e lui fa altrettanto. Dieci secondi è il tempo necessario per studiare le guance paffute e arrossate dal freddo, gli occhietti grigi e vivaci, la bocca serrata e ridotta a una sottile linea di carne. Imbozzolato in un pesante giubbotto blu con cappuccio in pelliccia, da cui sporge un ciuffetto di capelli scuri. Come non sia morto assiderato è un mistero.
‘Vattene via. ‘ squilla, e anche la sua vocetta cupa e acuta è un enigma. Non ha il tempo di sbattere le palpebre per accertarsi che le labbra violacee si siano mosse, che il bambino lo fissa minacciosamente da dietro la recinsione che li separa. E’ seduto sull’unica altalena sana, immobile. Lo guarda e basta. Le iridi grigie sfavillano in mezzo alla distesa di neve, furiose.
Ma cosa…
Le sue dita si sbloccano, si aprono con uno scatto. Il cartello insanguinato cade per terra silenziosamente. Senza una parola, Igor obbedisce all’ordine. Procede come un automa. Gli occhi trapassano la sua schiena, senza lasciarlo per un secondo. Promette di tornare il giorno dopo.
Quel posto è troppo strano per poterci sostare solo una manciata di minuti. Merita uno studio più approfondito, un’analisi tecnica, concisa ed esauriente.
Vero, Igor?
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Immaginate questo simpatico e allegro posticino ricoperto di neve, e leggermente più piccolo, riservato. Con una delle due altalene riversa per terra. Fa un pochino impressione, almeno per me.
E qui vi presento Igor. Molto simile a Russia di Hetalia - se qui c’è qualche fan accanito, come me, lo sclero è assicurato – ma al tempo stesso parecchio differente. Lo adoro. Spero di riuscire a rendere la sua psicologia al meglio. E’ parte di me, ormai.
 
Made of Snow and Dreams.

 

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