The Guy From The Book - Una Favola di Natale

di TheGreedyFox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 . Il Ragazzo nel Libro ***
Capitolo 2: *** 02 . Occhi d’Oro e Frusciare d’Ali ***
Capitolo 3: *** 03 . Un Solo Corpo, un Solo Cuore ***



Capitolo 1
*** 01 . Il Ragazzo nel Libro ***


The Guy From The Book

Una Favola di Natale


 

Questa storia sonnecchiava nel mio computer da davvero troppo, troppo tempo e visto che non c’è modo migliore di entrare in clima natalizio se non immergendosi in una bella fanfiction Merthur ambientata proprio a Natale, ecco qui il mio personale regalo a tutti voi, sperando che vi faccia compagnia in questo mese di festa!

La storia sarà breve, non più di quattro o cinque capitoli, che intendo pubblicare entro e non oltre la Befana. È una storia a cui tengo moltissimo e che a lungo ho temuto di non riuscire a pubblicare, quindi ve la affido con qualche palpitazione ed i soliti timori che una fanfiction nuova di zecca porta con sé... spero davvero che possa piacervi...

Ora, per chi di voi sta seguendo l’altra mia storia “Another Kind of Blue”... lo so cosa sta pensando la vostra testolina... Sta pensando: “perché questa disgr... ehm... questa bravissima e simpaticissima ragazza si mette a pubblicare questa cavol... ehm... questa nuova ed interessantissima storia, invece di aggiornare la fanfiction già in corso???”

Non temete cari, non vi ho dimenticato... Anzi, ho lavorato davvero tanto al capitolo (in pratica l’ho riscritto ma va beh... è un capitolo importante... è giusto che si comporti da primadonna e mi faccia disperare) e conto di riuscire a pubblicarlo tra qualche giorno, al massimo entro la prossima settimana. Mi sono beccata l’influenza e questo ha mandato un po’ all’aria tutti i miei piani, però tranquilli, “Another Kind” è e rimane la mia priorità. Inoltre questa storia è praticamente pronta, e poi i capitoli sono molto più corti rispetto all’altra, quindi è un progetto che non mi porta via tempo prezioso! No panic!

Ora però basta comunicazioni di servizio, vi lascio a questa piccola storia di Natale... che poi, forse, solo di Natale non è... A presto e un bacio!

Sofy


 

01 . Il Ragazzo nel Libro

Il ragazzo chiuse il libro con un piccolo sospiro. Un sospiro sconsolato, insoddisfatto, denso di domande che ben sapeva di non poter rivolgere a nessuno.

Rigirò ancora per un attimo il libro tra le mani, come se fosse riluttante a lasciarlo andare, mentre il familiare senso di nostalgia che provava ogni volta in cui finiva un nuovo volume gli si serrò stretto intorno allo stomaco.

Si avvicinò alla propria scrivania e vi ripose il libro con cura affettuosa, sistemandolo vicino ad altri dodici volumi tutti uguali, sottili, rilegati in una bella pelle azzurra, un azzurro troppo profondo per ricordare quello del mare e troppo tenue per somigliare alla notte, vergato da caratteri d’argento.

Al centro della copertina un nome e nient’altro.

Merlin.

Il nome che aveva cercato per tutta la vita, la storia di cui nessuno sembrava sapere niente.

Il ragazzo guardò fuori dalla finestra. Aveva appena iniziato a nevicare.

Una strana luce, bianca e silenziosa, inondava la stanza tingendola di gelo, tanto che i capelli biondi del ragazzo, come un testardo ricordo dell’estate, stridevano come non mai in quell’atmosfera ovattata.

Natale era ormai alle porte ed ora che il libro, l’unica cosa che ogni anno rendeva sopportabile quel periodo, giaceva chiuso, archiviato al suo posto, non c’era più nulla che il ragazzo aspettasse con piacere.

Anche quell’anno sarebbe rimasto da solo, anche quell’anno suo padre si sarebbe rifiutato di festeggiare, ed anche se doveva ammettere che lui stesso non ne aveva alcuna voglia, mentre guardava la neve cadere il ragazzo si chiese se non sarebbe stato poi male, per una volta, se fosse accaduto qualcosa che l’obbligasse a spezzare quella triste routine.

Dicembre era sempre un mese crudele per loro due, perché reso più freddo dall’assenza di due occhi gentili, chiari come i suoi, ed un sorriso dolce che ogni anno lui dimenticava un po’ ma che non smetteva mai di farlo soffrire.

Sua madre se n’era andata il primo Dicembre di dodici anni prima, se n’era andata come aveva vissuto, in punta di piedi, quietamente, come se non volesse dar fastidio a nessuno, e lui, che a quel tempo di anni ne aveva avuti solo sette, aveva perso la sua migliore amica, diretta verso un regno lontano in cui lui non aveva potuto seguirla.

Per suo padre era stato diverso.

Per suo padre, perderla aveva significato perdere l’amore della propria vita, tanto che dopo di lei non era più riuscito ad amare nessuno. Nemmeno suo figlio.

La casa si era fatta silenziosa.

Niente più musica. Niente più risate. Solo grandi stanze vuote e un bambino che non aveva più avuto nessuno a cui aprire il proprio cuore.

Era stato allora che quei libri erano entrati nella sua vita.

Il giorno in cui aveva incontrato quello strambo vecchio...


 

Era il giorno del funerale di sua madre e la loro immensa villa era piena di gente.

Di quel giorno il ragazzo avrebbe sempre ricordato il silenzio: conoscenti che piangevano, che sussurravano piano, che camminavano accorti come se non volessero disturbare il loro dolore, e lui che, per combattere quel bisbigliare, si era nascosto sotto il pianoforte di sua madre, perché aveva pensato che lì la musica di lei l’avrebbe trovato sempre, insieme al ricordo della sua voce quando cantava.

Era stato allora che aveva visto il vecchio, un uomo alto e imponente, dalle sopracciglia cespugliose e brillanti occhi color del miele. Si aggirava per la casa come se fosse capitato lì per caso, eppure aveva l’aria di chi stesse cercando qualcosa... non parlava con nessuno, non sembrava triste, non aveva salutato suo padre... il ragazzo ricordava però che le sue sopracciglia si erano sollevate in un piglio curioso quando aveva scorto la sua scarpa sbucare da sotto il pianoforte.

Quel bizzarro ospite gli si era avvicinato e si era piegato fino a quando il ragazzo non se l’era ritrovato ad altezza d’occhi. Allora il vecchio gli aveva sorriso e gli si era rivolto con voce noncurante, come se stesse parlando del tempo con un passante e non con un bambino spaventato, con gli occhi di chi sta facendo del proprio meglio per non piangere.

- A volte, quando si è molto tristi, un bel pianto è la cura migliore, sai? – gli aveva detto il vecchio, guardandolo come chi la sapeva lunga.

- A papà non piacerebbe vedermi piangere. Dice che non è da coraggiosi. –

Il vecchio si era lasciato scappare uno sbuffo di disapprovazione, come se non avesse mai sentito un tale mucchio di sciocchezze.

- Oh, un bel pianto non hai mai impedito a nessuno di diventare un Cuordileone! Tuo padre è giovane ed ancora non può saperlo, ma io che sono vecchio posso dirti che il coraggio può manifestarsi in molti modi. Una volta ho letto la storia di un bambino che si commuoveva per un nonnulla eppure era lo scavezzacollo più coraggioso che si sarebbe mai potuto incontrare... –

A quel commento il bambino aveva alzato il viso, le guance rosse per lo sforzo di trattenere le lacrime, una scintilla d’interesse nei luminosi occhi azzurri.

Il vecchio l’aveva guardato, soppesandolo per un momento, poi aveva sorriso, come se avesse preso una decisione, una decisione che lo metteva terribilmente di buonumore.

- Ragazzo mio, penso di avere un regalo per te – gli aveva detto - A casa ho un libro che sono sicuro potrebbe piacerti. –

- Un libro? – gli aveva risposto il bimbo storcendo il naso, come se l’idea in sé avesse un cattivo odore.

Il vecchio aveva riso, scompigliandogli i capelli.

- Questo libro ti piacerà. Parla di un bambino come te, che come te sta cercando di essere coraggioso... –

- Perché, cosa gli fa paura? – gli aveva chiesto lui, ormai del tutto preso nella conversazione.

- Oh... tante cose... Vedi, questo bambino ha un segreto... un segreto che non sa nessuno... e lo deve proteggere a tutti i costi. –

- E che segreto è? – il bimbo l’aveva chiesto mormorando, mettendosi una mano vicino la bocca, come se quel segreto che ancora non conosceva fosse qualcosa che anche lui doveva proteggere, impedire che si sapesse in giro.

- Questo, ragazzo mio, lo scoprirai leggendo il libro... Non vorrai mica che ti rovini la sorpresa? Guarda sotto l’albero il giorno di Natale, troverai un volume rilegato in blu. Quello sarà il mio regalo per te. –

A quelle parole il volto del bambino si era spento all’improvviso, come se qualcuno ne avesse lavato via i colori.

- Papà ha detto che non avremo un albero quest’anno... –

Il vecchio aveva stretto le labbra, gli occhi addolciti dalla comprensione e dal dispiacere.

- Beh... allora aspetta il suono del campanello. Manderò un fattorino solo per te. Non sarà la slitta di Babbo Natale con le sue renne, ma sarà altrettanto efficiente. –

- Lo sarà di più! Babbo Natale non esiste! –

- E chi lo dice? –

- Papà! Mi dice sempre di non credere a nulla di ciò che non posso vedere. Che è da stupidi e da smidollati. –

- Beh, tuo padre si sbaglia. Tante cose che non riusciamo a vedere esistono e ci sono vicine. Così come le persone. Anche la tua mamma ti è sempre vicina, anche se non puoi vederla, perché sono sicuro che non c’era cosa al mondo che amasse più di te.

A quelle parole il bambino aveva sentito il respiro mozzarglisi in gola ed era rimasto a guardare il vecchio in silenzio. Poi si era alzato da sotto il pianoforte e l’aveva abbracciato stretto. Infine, come imbarazzato da quel gesto, si era staccato velocemente da lui ed era uscito correndo dalla stanza, voltandosi un paio di volte per ricordargli: - Il libro! Il giorno di Natale... Non ti dimenticare! – e poi ancora - Hai promesso! – ed era corso per le scale che portavano in camera sua, mentre il vecchio, da basso, aveva continuato a guardarlo con un’espressione intensa, soddisfatta eppure pensosa in volto.


 

La mattina di Natale un fattorino era arrivato davvero ed aveva consegnato al ragazzo un bel libro dalla copertina tutta blu, con la scritta “Merlin” stampata in argento e il numero uno impresso sulla costa. Col libro era arrivato anche un biglietto elegante scritto in una calligrafia vecchio stile che diceva:


 

Tutte le grandi storie partono da piccole scelte. Quindi scegli bene ragazzo mio, e se sarai abbastanza coraggioso e fortunato, la tua storia troverà te. Al prossimo anno! ”


 

Il biglietto non era firmato.

Il vecchio non gli aveva lasciato nessun nome, solo quello strano libro ed una promessa.

Dopo tutto ciò che gli era accaduto, il ragazzo non era più stato molto incline a credere alle promesse... suo padre nell’ultimo periodo ne aveva infrante così tante che continuare ad illudersi sarebbe stato da sciocchi ed avrebbe fatto più male.

Però aveva deciso di fare un ultimo tentativo, di credere alla promessa del vecchio, e contento si era stretto il libro al petto, felice di aver comunque ricevuto un regalo e curioso di scoprire quale fosse il segreto misterioso che il bambino del libro custodiva e che nessun altro doveva sapere.


 

Lo squillo del campanello sorprese il ragazzo mentre era ancora davanti alla finestra. L’aprì e si affacciò per guardare da basso con una certa trepidazione, visto che non aspettava visite e davvero non aveva idea di chi potesse cercarlo a quell’ora del mattino. Il viso impaziente di un fattorino incontrò il suo sguardo ed il ragazzo corse veloce al portone principale per aprire al pover’uomo che aspettava il suo arrivo nella neve.

Per un attimo, mentre scendeva le scale, sperò inconsciamente che potesse trattarsi di un secondo libro.

Non gli era mai successo di riceverne due nello stesso anno, mai, però il suo accordo col vecchio misterioso non aveva regole precise... il vecchio a volte gli scriveva due righe insieme al pacchetto, altre volte no, a volte gli spediva il libro perché gli arrivasse in tempo per Natale, altre volte ritardava di qualche giorno, facendogli temere che di libri non ne sarebbero arrivati più...

I libri però alla fine arrivavano sempre.

Proprio come il vecchio aveva promesso.


 

Aprì la porta con le mani che tremavano un po’. Poteva trattarsi di tutto, auguri di Natale, pubblicità, comunicazioni dalla banca, nulla che spiegasse quel senso d’urgenza che l’aveva colto o l’emozione che gli correva lungo la schiena... però lui in qualche modo sentiva che quella consegna era diversa, che quella consegna era speciale.

L’uomo, un tizio calvo e sovrappeso dai brillanti occhi azzurri, gli mise in mano la missiva prima che lui potesse aprir bocca, poi il ragazzo lo vide sparire sul suo furgoncino, diretto chissà dove.

Il ragazzo notò che sulla busta c’era scritto il suo nome e riconobbe la calligrafia del mittente in un istante.

Strappò la busta con gesti affannati e divorò con gli occhi le poche righe sul cartoncino all’interno, poi si passò una mano tra i capelli biondi mentre incredulo si appoggiava contro la porta, il biglietto ancora in mano, stretto forte tra due dita.


 

Ragazzo mio, quando riceverai questo biglietto avrai probabilmente già finito di leggere il libro che ti ho inviato pochi giorni fa. Mi spiace doverti informare che quello di quest’anno è stato l’ultimo che riceverai da me. Per quanto mi riguarda, il mio accordo con te si conclude oggi. Se però non ti senti pronto a lasciar andare questa storia raggiungimi a questo indirizzo entro e non oltre mezzogiorno del giorno di Natale.

Ricorda, tutte le grandi storie partono da piccole scelte e, se sceglierai di venire da me, capirai cosa intendevo dirti quel giorno. Se deciderai altrimenti, ti auguro la miglior vita possibile. La migliore che potrai vivere con le tue sole forze.

Fedelmente.

Kilgharrah.”


 

L’ultimo.

Il tredicesimo libro era stato l’ultimo.

Dodici anni di attesa, dodici anni di mistero, e tutto finiva con un biglietto.

Non poteva essere. Non sembrava possibile.

Soprattutto non aveva senso. Eppure il vecchio aveva scritto così ed il ragazzo si era ormai abituato a fidarsi delle sue parole. Ripeté quello strano nome con cui finalmente l’uomo si era firmato.

Kilgharrah.

Come colto da una nuova determinazione, il ragazzo corse di nuovo su per le scale e si avvicinò correndo al proprio computer, buttandosi sulla tastiera come un forsennato, digitando veloce quel nome sperando che Google questa volta non lo deludesse, come invece era accaduto in passato, quando aveva inutilmente cercato notizie sul libro che tanto amava o sul suo misterioso autore.

Niente.

Deciso a non scoraggiarsi digitò l’indirizzo contenuto nel biglietto.

Nulla ancora.

Il ragazzo si sedette pesantemente sulla sedia della scrivania.

C’era poco che potesse fare. Sarebbe andato a quello strano appuntamento. Certo che sarebbe andato.

Come se potesse abbandonare tutto così...

Si chiese se sarebbe stata una buona idea provare a recarsi quella stessa mattina all’indirizzo scritto nel biglietto... Probabilmente no... se il vecchio gli aveva indicato quel giorno preciso doveva esserci un motivo e il ragazzo sentiva che sfidare la sua pazienza non sarebbe stato saggio...

No... come aveva detto, c’era davvero poco che potesse fare.

A Natale mancavano ancora tre giorni.

Con il cuore che gli batteva agitato nel petto ed un senso di nostalgia ed apprensione nell’animo, il ragazzo sfilò dalla fila di libri quello che era stato il primo volume di quella saga, quello che dodici anni prima aveva salvato il suo Natale e che l’aveva reso protagonista di quell’assurda, magica storia.

Non aveva mai parlato a nessuno di quei libri, o del vecchio, o di Merlin.

Non ne aveva mai sentito il bisogno, neanche quando crescendo la voglia di sapere si era fatta più forte e la stranezza della situazione gli era parsa sempre più chiara.

Chi era quel vecchio? Cosa ci faceva quel giorno in casa sua?

Era l’autore dei libri o solo qualcuno che li aveva letti a sua volta?

E perché aveva deciso di condividerli con lui, solo con lui?

Il ragazzo si era fatto quelle domande tante volte ed alla fine aveva deciso che non gli importava.

Merlin era il suo segreto.

La fantasia a cui tornava quando suo padre lo ignorava o quando qualcuno lo deludeva.

Quella in cui si rifugiava quando gli sembrava che non ci fosse un solo posto al mondo a cui sentisse di appartenere.

I libri e Merlin l’avevano salvato dalla solitudine e, come Kilgharrah aveva scritto nel biglietto, lui non era pronto a lasciarli andare.

Perché Eldor era diventato la sua seconda casa e Merlin un amico che era cresciuto con lui.

Non li avrebbe lasciati andare, anche se questo avesse significato costringere quel vecchio a continuare la storia contro la sua volontà.

Aprì il libro che teneva tra le mani carezzando piano la pagina ingiallita. Tutto era iniziato con due ragazzini di sette anni appollaiati su un albero di pesche. Sette anni, proprio quanti ne aveva avuti lui a quel tempo.

Merlin e Will, amici per la pelle e famigerati combina guai, uno dei due tutto intento a rubare dall’albero quanti più frutti possibili mentre l’altro teneva d’occhio il campo del signor Simmons per essere sicuro che non arrivasse nessuno a cogliergli in fragrante.

Quella loro prima avventura non era finita bene, come molte delle altre che erano seguite, ma le loro storie erano sempre state divertenti ed emozionanti, la loro amicizia salda e sincera, ed il ragazzo aveva letto avidamente tutto quello che accadeva loro, perché a quel tempo avrebbe dato chissà cosa per poter avere anche lui un amico così.

Però, come aveva promesso il vecchio, quelle storie parlavano anche d’altro. Parlavano di un mondo antico, in cui ciò che non si conosceva veniva temuto e ciò che non si capiva diveniva un tabù. Raccontavano di un re lontano che faceva paura e di un segreto enorme e pericoloso che il piccolo Merlin custodiva, un segreto che gli pesava sul cuore e che lo costringeva a vivere come a metà.

Un segreto che non aveva rivelato a nessuno, nemmeno al suo unico amico, almeno finché Will non l’aveva scoperto per conto proprio nel dodicesimo volume.

Era stato quel segreto che nell’ultimo volume aveva costretto Merlin a lasciare la sua casa.

Era stato quel segreto che l’aveva obbligato a vivere nell’ombra, mentendo costantemente su chi fosse davvero.

Ed era stato quel segreto che l’aveva reso agli occhi del ragazzo la persona più coraggiosa di cui avesse mai sentito parlare.

Non poteva lasciarlo andare. Davvero no.

Kilgharrah aveva interrotto la storia sul più bello, con Merlin che stava lasciando Eldor per andare incontro ad una nuova casa e ad un nuovo destino.

Il ragazzo decise che avrebbe fatto di tutto per far sì che quel destino fosse degno di lui. 



 

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Capitolo 2
*** 02 . Occhi d’Oro e Frusciare d’Ali ***


The Guy From The Book

Una Favola di Natale


 

 

02 . Occhi d’Oro e Frusciare d’Ali

Magia.

Il segreto del bambino nel libro era la magia.

Merlin, perché questo era il suo nome, riusciva a far volare gli oggetti ed accendeva fuochi con la sola forza del pensiero, e nel farlo i suoi occhi cambiavano colore, diventando di un bel giallo dorato, proprio come il sole al tramonto.

Il ragazzo all’inizio non aveva capito perché Merlin dovesse nascondere un talento così. A suo avviso, chiunque dotato di un po’ di cervello avrebbe dovuto essere felice di saper fare quelle cose, chiunque avrebbe desiderato essere come lui, essere forte ed essere speciale, soprattutto se nella realtà non si era che un ragazzino intimorito, lasciato per troppo tempo da solo in una grande casa.

Eppure la mamma di Merlin era spaventata e non voleva che Merlin parlasse dei suoi poteri.

Mai.

Con nessuno.

E ancor meno voleva che li usasse.

Perché la magia era malvista e la gente ne aveva paura. Perché in un paese piccolo come il loro le voci viaggiavano in fretta. E perché, in un regno non troppo lontano, un re guerriero aveva deciso che fosse giusto muoverle guerra finché non fosse riuscito ad estirparla dal mondo, fino all’ultimo uomo, fino all’ultimo bambino.

E quindi Merlin prometteva, prometteva ogni volta, che sarebbe stato attento, che non avrebbe confidato il suo segreto a nessuno, che avrebbe finto di essere nomale, così che la sua mamma non dovesse più preoccuparsi per lui.

Però poi qualcosa succedeva sempre.

Come quando la scala del vecchio Craig si era rotta e l’uomo era precipitato mentre stava aggiustando loro il tetto e Merlin non aveva perso tempo a rifletterci due volte prima di cercare di rallentarne la caduta. Nessuno a parte la sua mamma aveva assistito alla scena ma in seguito il vecchio Craig aveva raccontato agli amici di essersi sentito come sollevare, come se una folata di vento lo trattenesse per un secondo fermo a mezz’aria. Ed anche se era stato felice di non essersi rotto l’osso del collo, non aveva più salutato Merlin nello stesso modo.

O come quando Bale, il figlio del fabbro, aveva preso in giro Merlin e Will perché entrambi non avevano un padre e Merlin per sbaglio, accecato dalla rabbia, aveva fatto volare un grosso rospo che saltellava lì vicino dritto dritto sulla sua brutta faccia.

Non si era trattato di chissà quale incidente, del resto non era del tutto inverosimile che ad un rospo riuscisse un salto migliore degli altri... il problema era che tutti quei curiosi avvenimenti che accadevano in paese riguardavano sempre Merlin, solo e sempre Merlin, e la gente aveva così iniziato a mormorare.

A mormorare e a temerlo.

A mormorare e a tenerlo a distanza.

Il ragazzo odiava leggere di come Merlin a volte tornasse a casa tirando su col naso perché la moglie del loro vicino aveva richiamato i suoi bambini, vietando loro di giocare con lui, o di come, a sera, le vecchie del paese chiudessero con un colpo secco gli scuri ogni volta che lo vedevano passare davanti casa loro.

Perché quando accadeva Merlin si sentiva diverso e solo, e si addormentava infelice, stringendosi al petto le coperte chiedendosi perché.

Erano quelli i momenti in cui il ragazzo si sentiva più vicino a lui.

I momenti in cui avrebbe voluto essergli accanto, per dirgli che non era solo, che lui conosceva il suo segreto e non ne aveva paura, che lui conosceva il suo segreto e pensava che fosse eccezionale.

Perché, se lui non avesse avuto la magia, il vecchio Craig sarebbe morto per quella caduta e nessuno avrebbe impartito una lezione al figlio del fabbro, e non era giusto che lui dovesse sentirsi non accettato per quello.

Il ragazzo conosceva quella sensazione.

Era la stessa che lui provava quando suo padre rientrava tardi la sera dal lavoro e passava davanti la sua stanza senza neanche dargli la buonanotte, quando lui gli portava la pagella e l’uomo la firmava come se fosse un altro dei suoi contratti d’affari, quando arrivava Natale e lui fingeva, persino con suo figlio, che fosse un giorno come tutti gli altri.

Quelli erano anche i giorni in cui il ragazzo, invece di sentirsi scoraggiato e solo, tornava col pensiero alle parole che il vecchio aveva pronunciato quel primo giorno, quelle con cui aveva definito Merlin “lo scavezzacollo più coraggioso che si sarebbe mai potuto incontrare”.

Il vecchio aveva maledettamente ragione.

Perché Merlin era una forza della natura , non si arrendeva mai e non smetteva mai di sorridere.

Anche nei momenti bui, anche quando Eldor sembrava davvero troppo piccola per contenere le sue speranze, il suo dolore e la sua magia, Merlin sapeva sempre come restare forte e divertente, e dopo aver avuto una brutta giornata riusciva a scrollare le spalle e a tornare di buonumore, pronto ad aiutare senza lamentarsi la sua mamma o a condividere uno scherzo ed un’avventura con Will.

E quel suo coraggio, inevitabilmente, finiva sempre per dare forza anche a lui, gli insegnava come essere migliore.

Negli anni, Merlin era diventato la voce nella sua testa che gli diceva cosa fosse giusto fare.

Il suo personale grillo parlante.

Un amico. Un buon amico.

Anche se fatto solo di carta e inchiostro.


 

Il ragazzo arrivò all’indirizzo stabilito a cinque minuti a mezzogiorno del giorno di Natale. Non era stato nei suoi piani arrivare all’appuntamento quasi allo scadere del tempo pattuito, ma quando si era svegliato quella mattina aveva scoperto che durante la notte si era scatenata forse la peggiore bufera di neve degli ultimi tempi e quindi raggiungere la città dalla loro villa isolata non era stato affatto uno scherzo.

Alla fine però era riuscito nell’impresa ed ora si trovava davanti a quella silenziosa vetrina, i capelli biondi spruzzati di neve ed il naso gelato volto all’insù, a guardare la strana insegna appesa sopra la porta del negozio che oscillava cigolando al minimo refolo di vento.

"Kilgharrah’s Antiques" recitava l’insegna. Un negozio d’antiquariato.

Il ragazzo si sarebbe tutto aspettato tranne che quello.

Cercò di sbirciare con poco successo attraverso la vetrina del negozio accostando il volto al vetro opaco e ricoperto di brina... non un suono proveniva dall’interno, tutto ciò che sentiva era solo lo stridio incessante di quell’insegna che stava iniziando a farlo sentire nervoso.

Deciso a non indietreggiare proprio quando era ad un passo dalla verità e consapevole dello scorrere dei minuti come mai in vita sua, il ragazzo estrasse dalla cartella che gli pendeva al fianco il tredicesimo volume della sua amata serie e con il libro stretto tra le mani si apprestò ad entrare nel negozio, il battito agitato ed il respiro corto e freddo, quasi come se un po’ della tempesta che aveva imperversato quella notte avesse infine trovato rifugio dentro di lui.

Il suo ingresso fu accompagnato da un argenteo scampanellio che risuonò per tutto il negozio come un saluto inatteso e squillante.

Dentro il negozio faceva caldo. Molto più caldo di quanto il ragazzo si sarebbe aspettato.

Il locale era lungo e stretto e alle pareti erano appoggiate alte vetrine color mogano con dentro stipati gli oggetti più disparati: da preziosi pugnali tempestati di gemme a regali babbucce in velluto rosso scuro. Strani modellini in legno pendevano dal soffitto e tre spade antiche dall’aria estremamente affilata erano esposte su altrettanti tondi tavolini, posizionati lungo la strada che portava al bancone.

Il negozio sembrava deserto, nessuno aveva risposto al tintinnare della campanella. Il ragazzo si strinse il libro al petto e mosse pochi passi circospetti mentre con occhi vigili si guardava intorno.

Dov’era capitato?

- C’è nessuno? – chiese con voce decisa, resa più dura dal nervosismo.

- Mr. Kilgharrah? –

Il rumore di una sedia scostata lo raggiunse da una porta a sinistra del bancone, una porta che all’inizio non aveva notato, e dopo poco, su quella soglia, il ragazzo vide comparire la figura di un vecchio, un vecchio dalle larghe spalle, incredibilmente alto e imponente, dai lunghi capelli bianchi legati ordinatamente dietro la nuca e dai brillanti occhi gialli, sovrastati da prominenti sopracciglia cespugliose.

Appena lo vide il ragazzo fece per parlare ma il vecchio alzò una mano rugosa e lo zittì con fare brusco. Poi gli si avvicinò con passi leggeri, oscillanti, incredibilmente aggraziati per un uomo della sua stazza, fino ad arrivare ad un palmo dal suo viso, e rimase fermo ad osservarlo in silenzio, gli occhi stretti come due fessure, quasi che non riuscisse a vedere bene o più semplicemente non riconoscesse nel giovane uomo davanti a sé il bambino che aveva conosciuto tanti anni prima.

Poi, dopo quelli che furono pochi secondi ma sembrarono molti di più, il suo viso si distese in un sorriso compiaciuto e fece un passo indietro battendo una volta le mani insieme.

- Ah... sei tu ragazzo... avevo il presentimento che saresti stato tu... –

- Mr. Kilgharrah, io volevo... – Iniziò a dirgli lui porgendogli il libro.

- Ah, ah, ah ragazzo! – Gli disse il vecchio zittendolo di nuovo – Tutto a tempo debito... –

E così dicendo guardò per un secondo fuori dalla vetrina, poi estrasse dal taschino un orologio e controllò l’ora con fare pensoso.

- Ormai penso che possiamo chiudere. Credo proprio che non verrà più nessuno... – borbottò tra sé, e si diresse alla porta del negozio per chiuderla a chiave con un gesto fluido del polso.

Poi tornò da lui rivolgendogli la parola mentre gli passava accanto.

- Seguimi ragazzo. –

Il vecchio continuò a muoversi senza degnarlo di un secondo sguardo, come se la sola idea che lui rifiutasse di accontentarlo non lo avesse nemmeno sfiorato. Il ragazzo rimase per un attimo fermo al suo posto, chiedendosi se fosse davvero il caso di assecondare un uomo tanto strano, poi però si ritrovò a seguirlo con passi veloci, quasi timoroso di venir lasciato indietro.

Il vecchio si diresse nella stanza da cui era venuto, una stanza dove vecchi scaffali di un legno rossiccio, alti fino al soffitto, traboccavano di libri ovunque cadesse lo sguardo, con le loro copertine ora rosse ora blu. Per un attimo il ragazzo si sentì a casa, davanti alla sua piccola pila ordinata sulla scrivania. Fece per toccare la costa del libro più vicino solo per sentirne la sensazione contro la pelle, ma il vecchio gli scansò via la mano con un buffetto neanche troppo leggero, un’espressione contrariata in volto.

- Come ti ho detto ragazzo, tutto a tempo debito. –

E gli fece cenno di accomodarsi in una delle due sedie di legno vicino la finestra.

Il ragazzo si sedette di malavoglia. Il vecchietto dei suoi ricordi era un uomo strambo e gentile che gli aveva fatto un regalo meraviglioso in un momento difficile della sua vita mentre quello davanti a lui, pur essendo indubbiamente lo stesso uomo di allora (lo stesso uomo davvero... non sembrava invecchiato di un giorno...) era uno spocchioso vecchiaccio che credeva di poterlo trattare come se avesse ancora sette anni.

Il vecchio si sedette, accavallando le lunghe gambe di fronte a sé. Le sue labbra si strinsero in una piega indecisa mentre lo guardava, come se stesse valutando cosa farne di lui.

- Allora ragazzo, sentiamo, perché sei qui? –

Il ragazzo si sentì disorientato da quella domanda. Gli stava sfuggendo qualcosa?

Non era stato il vecchio ad invitarlo?

Aprì piano il suo libro, che al momento teneva poggiato in grembo, e sfilò dalle pagine il biglietto che il vecchio gli aveva inviato, mostrandoglielo con fare indeciso.

- Beh... veramente... – Iniziò, ma il vecchio gli scostò di nuovo la mano con uno sbuffo irritato, come se non fosse quella la risposta che aspettava ed il ragazzo gli stesse solo facendo perdere del tempo prezioso.

- Non è questo che intendo. Metti via quel biglietto! So anch’io di avertelo inviato, altrimenti neanche in mille anni saresti mai arrivato qui, non saresti mai riuscito a trovarmi! – Si lasciò scappare una risatina secca e aspra, come quella di qualcuno che non avesse più riso da molto, moltissimo tempo.

- No. Quello che io voglio sapere è perché sei venuto qui. Perché, con un tempo come questo, e nel giorno di Natale per di più, tu non abbia avuto di meglio da fare che scegliere di seguire le istruzioni di un vecchio che hai visto solo una volta in vita tua, moltissimo tempo fa, e che per qualche anno ti ha mandato dei libri. Non ti facevo così sentimentale... –

Lo scherno nella sua voce era così condiscendente e così irritante che il ragazzo strinse forte un pugno per cercare di mantenere la calma.

- Non sono qui per lei. –

Lo disse in un tono molto più aspro di quanto avrebbe voluto ma il vecchio sembrò non prendersela a male, anzi, il ragazzo avrebbe giurato di aver visto accendersi una piccola scintilla di interesse in quei suoi occhi sottili e lucenti.

Quell’affermazione era vera solo in parte naturalmente.

Il ragazzo aveva sempre desiderato rincontrare il vecchio signore, almeno per dirgli grazie, perché mistero o no, il suo era stato davvero il più bel regalo che avesse mai ricevuto, ma visto che ora sembrava intenzionato a dargli sui nervi, il ragazzo decise di soprassedere su quel punto e dirgli la vera motivazione che l’aveva spinto a trovarsi lì quel giorno.

- Sono qui per Merlin. –

Lo disse come se si trattasse di una persona vera e non di un personaggio inventato ma non se ne vergognò. Per lui Merlin era reale molto più di tante persone che in vita sua aveva incontrato davvero.

Che quel vecchio pensasse di lui quel che voleva, non gliene sarebbe potuto importare di meno.

- Perché, come lei ha scritto nel biglietto, non mi sento ancora pronto a lasciarlo andare. –

La sua voce quasi si affievolì a quell’ammissione ed in qualche modo il ragazzo si accorse di non riuscire a guardare l’uomo negli occhi. Si sentiva scoperto dopo quelle parole, indifeso, e a lui non era mai piaciuto mostrarsi debole di fronte a nessuno, neanche alla propria immagine riflessa in uno specchio, se appena appena gli era possibile.

- E quindi ora cosa vorresti esattamente da me? –

Il vecchio sembrava un gatto che avesse adocchiato la preda, si mostrava calmo e rilassato ma il ragazzo avrebbe giurato che quei suoi occhi non lo lasciassero un istante, mentre calcolatori ed astuti sembravano ridere di lui.

- Come cosa voglio da lei? – si arrabbiò - Voglio che faccia qualcosa, è ovvio! Non era questo che voleva dire con quel suo dannato biglietto? Che se non volevo che la storia restasse incompiuta dovevo venire qui e parlare con lei? Perché lei avrebbe potuto fare qualcosa? –

- Il problema è proprio questo ragazzo... – sospirò Kilgharrah - Io non posso fare proprio niente. –

Lo disse con leggerezza, alzandosi per andare a servirsi una tazza di te, il ragazzo però vide le sue spalle curvarsi mentre parlava, quasi che il peso di quell’affermazione cadesse come un giogo sulla sua ampia schiena.

- Tè? – Gli chiese il vecchio.

Il ragazzo ignorò del tutto la domanda ed alzandosi anche lui gli si avvicinò dicendo : - Che vuol dire che non può fare niente? Non è lei l’autore di quei libri? Non può continuare la storia se glielo chiedo? –

L’uomo gli riservò un mezzo sorriso e mettendogli una mano sulla spalla gli rispose : Beh... sì... e no... –

- Sì e no! Sì e no! Che razza di risposta è? Non sa proprio dirmi niente che si avvicini almeno lontanamente ad una vera risposta? La smetta di parlare per enigmi! –

- Se le mie risposte non ti piacciono allora ti farò un’altra domanda... Vediamo se saprai darmi tu una risposta diretta... Dimmi, perché credi che, tra tanti ragazzi a cui ho inviato quei libri, tu sia stato l’unico ad aver risposto al mio appello? Il solo ad essersi precipitato qui? –

Il ragazzo boccheggio due volte prima di rispondergli.

- Altri ragazzi? Quali altri ragazzi? –

Intuendo la sua confusione il vecchio scoppiò in una grassa risata.

- Ragazzo mio! Non dirmi che credevi di essere il solo? – gli chiese mentre cercava di asciugarsi le lacrime dagli occhi.

- No mio caro, ti sbagli. Ho mandato i tuoi stessi libri a tanti altri bambini... Tu eri promettente, è vero... ma non potevo certo correre il rischio di scommettere tutto su un solo giocatore... –

Il ragazzo rimase in silenzio un istante, poi ripeté le ultime parole del vecchio come se dovesse sentirle dalla propria bocca per capirne il senso.

- Scommettere su un solo giocatore... e questo che vorrebbe dire? – riprese di slancio, infuriato - È questo che è stata tutta questa storia per lei? Un gioco? Uno scherzo? –

Sentiva una strana rabbia montargli nel cuore. Una rabbia che sapeva di amarezza e delusione. Tutto ciò che riusciva a pensare era che per tutti quegli anni aveva creduto di essere parte di qualcosa di speciale ed ora scopriva di essere stato solo una pedina, uno tra tanti. Altri avevano letto di Eldor e della magia di Merlin. Altri conoscevano la sua paura e la sua solitudine. Altri come lui l’avevano ritenuto un amico e si erano appassionati alle sue storie come se fossero un po’ anche loro.

Merlin ed il suo segreto non gli appartenevano più. Non erano più suoi. Non come prima.

Era come se il vecchio l’avesse ingannato e lui non sapeva davvero come perdonarglielo.

Come se gli avesse letto nella mente il vecchio non batté ciglio a quella sua sfuriata ed ignorò la sua domanda provocatoria. Tutto quello che fece fu mettergli una mano sulla spalla.

- Mi dispiace ragazzo. Mi dispiace se ci sei rimasto male. Ma non sentirti ingannato e non sentirti deluso. Perché credimi, tu eri e sei parte di qualcosa di speciale... Come ti ho detto prima, è vero che in tanti hanno ricevuto quei libri, e che in tanti, forse, li avranno letti... eppure... solo tu sei qui... –

Lasciò che le sue parole galleggiassero un po’ nell’aria, come semi trasportati dal vento che avessero bisogno di tempo per trovare un buon posto dove attecchire, poi continuò: - Ciò che io ho ora bisogno di sapere è il perché. –

Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte, come se volesse disperdere la confusione e racimolare i pensieri, poi con voce bassa ma sicura diede al vecchio la risposta che stava aspettando.

- Perché voglio aiutarlo. Voglio che Merlin abbia un destino degno di lui. È vero che non sono pronto a lasciarlo andare, perché, come forse lei avrà capito fin da quel giorno di tanti anni fa, la mia vita è fin troppo vuota per potermi permettere di perdere ancora qualcosa, ma al di là di questo, al di là della gioia che ho provato nel ricevere i suoi libri ad ogni Natale, al di là della forza e del coraggio che mi ha dato il leggere le sue avventure, io credo sia giusto che lei scriva per quel ragazzo una storia che sia alla sua altezza, all’altezza delle sue capacità e dei suoi poteri, perché Eldor era davvero troppo piccola per lui e lei l’ha costretto a vivere nell’ombra quando invece io sono sempre stato sicuro che fosse destinato a fare grandi cose. Sono qui a chiederle di dargliene l’occasione. –

Il vecchio sorrise. Finalmente un sorriso vero, caldo, che gli addolcì i lineamenti.

- E se io ti dicessi che quell’occasione sei solo tu a potergliela concedere? –

Il ragazzo lo guardò confuso.

- Io... non capisco... Io non sono uno scrittore. Non sarei grado di fare quello che fa lei. –

- Temo, ragazzo mio, che se vorrai aiutare il tuo Merlin dovrai fare molto di più che limitarti a scrivere. Vieni con me. Ti spiegherò tutto. – E così dicendo gli strinse gentilmente il braccio e lo ricondusse verso le due sedie accanto alla finestra. Lo fece sedere e poi prese posto di fronte a lui, un respiro stanco ad accompagnare i suoi gesti.

- Dimmi ragazzo, cos’è che sai esattamente sui draghi? –

- I... draghi? – Il ragazzo glielo chiese con un sorriso condiscendente, convinto che Mr. Kilgharrah stesse cercando di nuovo di prenderlo in castagna o di burlarsi di lui, ma davanti all’espressione mortalmente seria e piena di aspettativa del vecchio cercò di concentrarsi per dargli una risposta che potesse soddisfarlo.

- I draghi – disse schiarendosi la voce - certo... i draghi sono... delle creature fantastiche... somigliano a delle grandi lucertole con le ali e... volano? Ah sì! E sputano fuoco! –

Il suo sorriso forse sul finire fu un po’ troppo tronfio, però tutto sommato il ragazzo credette di non essersela cavata male.

Il vecchio era di altro avviso.

- Lucertole... mi chiedo se ho fatto bene a sprecare il mio tempo con te... – borbottò - No ragazzo, a differenza di ciò che tu e il tuo mondo possiate credere i draghi sono molto più di questo, molto di più. Sono creature antiche, leggendarie, creature magiche, dotate di un potere straordinario. I draghi possono vedere nel futuro, forgiare armi imbattibili, curare malattie sconosciute, leggere nella mente e comunicare telepaticamente con le altre creature... custodiscono incantesimi ormai perduti e possono viaggiare attraverso i mondi assumendo diverse forme. Se io fossi un drago potrei essere qui a parlare con te eppure esistere anche in un altro mondo, e poi in un altro, e in un altro ancora. Tale è il loro potere. Tale è la loro magia. –

Sembrò quasi che il petto gli si gonfiasse d’orgoglio a quell’affermazione, la sua voce calma e potente, ipnotizzante nel suo lento cadenzare.

- Eppure ogni cosa, per quanto grande, può giungere ad una fine. – continuò dopo un secondo, le labbra piegate in una smorfia amara - Grazie ai libri che ti ho inviato sai che nel mondo di Merlin, il mondo a cui la stirpe dei draghi appartiene, la loro terra natia, non è ammessa la magia, però sai molto poco del perché. –

Il ragazzo trattenne il fiato.

Risposte.

Finalmente.

Dopo così tanti anni passate a cercarle il ragazzo sentì finalmente che erano lì, a portata della sua mano.

Il vecchio iniziò a parlare con la sua voce profonda e aspra. Gli raccontò una storia lunga e complicata, la storia di un re che desiderava disperatamente un erede e che, pur di averlo, chiese aiuto alla magia. Gli raccontò di come per questo perse la sua amata regina e di come, invece che biasimare se stesso, biasimò quel potere a cui lui stesso si era rivolto. Parlò di vent’anni di violenza e repressione, e di un uomo di nome Balinor, che perse ogni cosa solo per aver creduto alle parole del re. Balinor usò la sua magia, la quale aveva la capacità di comandare i draghi, per piegare alla propria volontà quella dell’ultimo drago rimasto al mondo, ma fu ingannato, ingannato da quel re che aveva giurato di volere la pace e che invece, con quella mossa, stava infliggendo al suo ultimo nemico il suo attacco più crudele. Il drago venne imprigionato e l’uomo condannato a morte. Si salvò per un soffio, grazie ad un vecchio stregone che cercò di rimediare in quel modo ad un antico errore, e fuggì in un paese lontano, in cui una donna di nome Hunith si innamorò di lui e gli diede un bambino, un bambino che però lui non conobbe mai. Un bambino che non sapeva neanche esistesse, perché la furia del re l’inseguì fin laggiù, prima che potesse scoprirlo.

L’uomo fu costretto a scappare ancora, senza guardarsi indietro, mentre il bambino che aveva ereditato la sua sconfinata magia crebbe senza un padre.

Quel bambino era Merlin.

Quando la voce del vecchio si spense, il ragazzo allentò la presa sui braccioli della sedia, che nella foga del racconto non si era neanche accorto di stringere.

Un lungo respiro gli scappò dalle labbra.

- Mr. Kilgharrah... è stupenda. È questa la storia che ha ideato per Merlin? La storia delle sue origini, del suo passato? Dovrebbe scriverla sa? E poi continuare il racconto... vede? Lei è in grado! Se sa immaginare tutto questo può anche far sì che Merlin trovi la sua strada! Il suo destino! Possiamo continuare con il nostro accordo se crede. Un libro all’anno, com’è stato finora. Io saprò aspettare. –

- No ragazzo. Ciò che ti ho narrato oggi non è frutto della mia immaginazione... È il racconto di ciò che è stato. – chiuse gli occhi per un momento - Ciò a cui ho dovuto assistere, ciò che non sono riuscito a cambiare... – li strinse forte, come se il ricordare andasse ad inasprirgli il cuore - Ciò che verrà dopo... solo tu puoi aiutarmi a farlo accadere – disse infine, aprendoli di nuovo e guardandolo in viso per un lungo secondo, senza mai sbattere le palpebre.

- Tu ancora non hai capito, vero? –

Per un attimo fu come se la luce nella stanza tremasse, il che fu molto strano, visto che non si trattava di luce elettrica ma del pallido chiarore che proveniva dalle finestre accanto a loro. Il ragazzo cominciò a sentire caldo, sempre più caldo, mentre le ombre lungo la libreria e tutt’intorno a loro iniziarono a crescere e farsi più scure, come se il giorno si avviasse molto velocemente verso l’imbrunire e la notte scalpitasse per entrare finalmente in scena. Un rumore assordante si profuse nella stanza, come se grandi masse d’aria si muovessero imprigionate tra quelle quattro mura, spostate da pale di mulino o da grandi ali...

Il ragazzo si irrigidì sulla sedia di legno, spaventato, e guardò il suo ospite in viso, cercando nella sua espressione il suo stesso turbamento. Ciò che trovò furono solo ombre e quegli occhi che mentre il buio cresceva cominciarono a brillare, come lucciole nella notte o il cuore di lava di un vulcano... erano occhi di crepuscolo quelli che lo guardavano silenti e indagatori, fissi nei suoi come se volessero scandagliargli l’anima.

- Non ti ho poi detto il nome di quel vecchio drago... quello che il re incatenò nelle segrete del castello... – aggiunse lentamente il vecchio mentre il ragazzo annaspava per respirare - si chiamava... Kilgharrah! – e quel nome, rimbalzando per le pareti della stanza, suonò quasi come un ruggito.

Il ragazzo, nonostante il buio e il rumore e quegli occhi, provò a ridere di quell’affermazione, ci provò davvero, provò a scrollare le spalle e a scherzarci su, però non ci riuscì, perché il cuore gli batteva contro le costole come un tamburo e la bocca, d’improvviso secca, sembrava non rispondere al suo volere.

Per la prima volta in vita sua ebbe davvero paura, anche se cercò di ricacciarla indietro, infondo alla gola, e solo il pensiero di come quegli occhi fossero simili a quelli che aveva immaginato per Merlin quando si coloravano d’oro, lo aiutò a restare fermo al suo posto invece di correre via da quel luogo cercando di dimenticare.

Il vecchio sembrò avere pietà della sua espressione, perché d’improvviso tutto tornò normale. La stanza tornò a tingersi di mattino, lo sbattere d’ali smise di far tremare la stanza e il volto del vecchio tornò quello di pochi minuti prima, persino i suoi occhi si spensero, senza però perdere del tutto quel loro strano fulgore.

- Scusami. Non era mia intenzione spaventarti. Dovevo dimostrarti che fosse possibile. –

- Cosa fosse possibile? – Riuscì chissà come a chiedergli lui, nonostante la voce gli uscisse strozzata, come annodata a un respiro.

- Quello che stai pensando. –

- Lei non sa cosa sto pensando. –

- Tu stai pensando che forse ciò che hai letto in questi anni non è poi solo un racconto. Che in qualche modo sei incappato in una strana storia che vorresti tanto riuscire a comprendere. Che c’è una minima possibilità che io sia proprio chi dico di essere e che forse, ciò in cui hai sempre voluto credere, esiste davvero. –

- Cosa esiste davvero? –

- La magia. – disse il vecchio - ... e Merlin. –

- Lei sta scherzando – Lo liquidò lui, ancora incapace di credere.

- Ti sembrava che scherzassi un minuto fa? – Si arrabbiò di nuovo il vecchio. Poi più calmo continuò. – Hai visto ciò che sono in grado di fare. Purtroppo, in questo vostro mondo, non posso fare molto di più. La mia magia mi ha permesso di trovarti ma, senza il tuo aiuto, c’è poco altro che io possa fare. –

- Ammesso che decida di crederle. – gli chiese circospetto lui - Di credere che ciò che mi ha detto è la verità... che lei è veramente un drago e che la magia e Merlin esistono davvero... cosa vuole da me, cosa dovrei fare io esattamente? –

Lo chiese senza troppa convinzione, come se una parte del suo cuore già sapesse e temesse la risposta che stava per arrivare.

- Devi andare laggiù. – Gli rispose il vecchio, il tono secco e sbrigativo di chi sta rispondendo ad una domanda stupida.

- Laggiù dove? –

- A Camelot. –



 

Ok cari, anche il secondo capitolo è andato... spero davvero che l’abbiate gradito!

Lo so, lo so... ancora non abbiamo incontrato il nostro Merlin ma non vi preoccupate... arriverà a breve! Tutto a tempo debito!

Non ho molto da dirvi, voglio solo ringraziare di cuore quelle adorabili creature che mi hanno seguito anche in questa nuova avventura ed hanno voluto lasciarmi un pensiero... siete state tutte preziose ed incoraggianti, ne avevo davvero bisogno, quindi grazie di cuore...

Grazie anche a chi ha deciso di seguire la storia o sta semplicemente leggendo in silenzio... spero che questa piccola favola vi faccia passare qualche bel momento!

Per chi sta seguendo “Another Kind”... il capitolo arriva tra Domenica e Lunedì... scanso imprevisti... ma farò di tutto perché non ce ne siano!

Chiudo abbracciandovi tutti e dandovi appuntamento alla prossima settimana! Baci!

Sofy

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Capitolo 3
*** 03 . Un Solo Corpo, un Solo Cuore ***


The Guy From The Book
Una Favola di Natale


 

03 . Un Solo Corpo, un Solo Cuore

- A Camelot? –

Solo nel pronunciare quel nome il ragazzo sentì un lungo brivido di eccitazione corrergli lungo la schiena, però fece del suo meglio per ignorarlo e ripeté invece le parole del vecchio, enfatizzandole con una mezza risata, senza preoccuparsi di mascherare la propria incredulità.

- A Camelot – Confermò ancora Kilgharrah, senza scomporsi, con un che di definitivo nella voce che fece sentire il ragazzo come se il vecchio antiquario l’avesse appena messo con le spalle al muro.

- Lei non può essere serio. – ribatté il ragazzo dopo un muto silenzio, muovendosi a disagio sulla sedia.

- Perché no? –

- Perché... perché non ha senso! Cosa dovrei fare io laggiù? Io sono solo un ragazzo che conosce troppo poco persino del suo stesso mondo... cosa potrei mai fare in un mondo che non è neanche il mio? Non durerei neanche due secondi laggiù... non riuscirei neanche ad incontrarlo Merlin... – ma, non appena pronunciò quella frase, tutto il resto di ciò che voleva dire gli si strozzò improvvisamente in gola e lui si ritrovò a corto di parole, con lo stupido, meravigliosamente folle desiderio di credere alle fantasie di quel vecchio pazzo.

Incontrare Merlin... quanto sarebbe stato stupendo se fosse stato davvero possibile?

Il vecchio parve cogliere quel mutamento nel suo umore, perché lo incalzò ancora, quasi non volesse lasciargli il tempo di pensare o di permettere alle sue paure di far vacillare la sua determinazione.

- Se tu non accetterai la mia offerta ho paura che il destino che hai sognato per lui non si compirà mai. Il tuo Merlin si sta recando a Camelot per aiutare qualcuno, l’unico in grado di riportare le cose a com’erano un tempo, di concedere vera pace e giustizia al regno e libertà a coloro che sono nati con la magia. Eppure quel qualcuno non è pronto ad incontrarlo. Il suo cuore si è indurito, l’uomo a cui guarda come esempio gli ha riempito l’animo di orgoglio e bugie, l’ha costretto, in nome del dovere, ad atti che non avrebbe mai compiuto... L’ha spinto verso un cammino che non è il suo, rischiando così di farlo smarrire. Di fargli mancare il proprio destino. Merlin potrebbe cambiare tutto questo ma solo se quel qualcuno sarà in grado di ascoltare, di credere alle sue parole, di scorgere il suo vero valore superando orgoglio e diffidenza... e questo non accadrà. Lo so. L’ho visto. Predetto. Il principe non è pronto. Devi andare laggiù ragazzo. Devi andare laggiù. Altrimenti nessuno di noi sarà mai libero. –

Il ragazzo rimase in silenzio, le labbra strette in una linea sottile, pallida. Non capiva ancora bene cosa gli stesse veramente chiedendo quell’uomo e sembrava ancora tutto troppo assurdo, troppo impossibile perché la sua mente accettasse di venire a patti con quell’idea.

Il vecchio in pratica gli stava dicendo che era possibile entrare in un racconto... solo un pazzo avrebbe...

- Non in un racconto. No... – Lo interruppe l’altro – Ma nel mio mondo, il mondo da cui provengo. I tuoi libri non sono altro che libri, al massimo puoi considerarli un tramite, il modo in cui ho fatto sì che Merlin e la sua magia arrivassero fino a te... Non ti chiederò di saltare dentro una pagina, sta’ tranquillo... – concluse poi con una risatina.

Il ragazzo trattenne a stento il respiro, sorpreso che il vecchio fosse ancora riuscito ad anticipare i suoi dubbi.

- Ma come...? –

Il vecchio si picchiettò divertito la fronte con un dito.

- Drago. Ricordi? Possiamo leggere nella mente se lo vogliamo... anche se qui, in questo tuo mondo, farlo mi stanca immensamente. –

- Beh, la smetta! La smetta immediatamente! Avere lei che mi gironzola tra i pensieri non mi porterà di certo più vicino ad accettare la sua proposta! –

- Non ho bisogno di leggerti nella mente per sapere che andrai. Ce l’hai scritto in faccia. Hai già deciso e sei praticamente ad un passo dall’ammetterlo! Non farmi perdere altro tempo! Ancora pochi minuti e sarà troppo tardi! – Continuò il vecchio, guardando con una certa apprensione l’orologio appeso al muro. Erano le 12:55. Il ragazzo si stupì nello scoprire che non era passata che un’ora dal suo arrivo.

- Come può dire che accetterò? Cosa la rende così sicuro? –

- Il fatto che tu ci tenga davvero. Che ci abbia sempre tenuto. Perché hai aspettato i miei libri per tutta una vita, anche quando sei diventato grande ed ai tuoi occhi avrebbero potuto perdere la loro magia, e perché hai considerato per così tanti anni un amico un ragazzo che, per quanto ne sapevi tu, altro non era che un frutto della mia immaginazione. Ora io ti sto dicendo che quella persona esiste davvero. Vuoi davvero farmi credere che rinunceresti ad incontrarlo? – Gli chiese, quasi facendosi beffe di lui.

Poi tornò serio, drizzando la schiena in una posa fiera.

- So che andrai ragazzo, non perché questo è ciò che ti chiedo io ma perché è ciò che ti suggerisce il tuo cuore. – E dicendolo il vecchio lo guardò quasi con affetto, ricordandogli per un momento l’uomo che gli era venuto in soccorso tanti anni prima, il giorno in cui il suo cuore aveva rischiato di chiudersi una volta e per sempre.

Gli doveva così tanto ed in quei pochi minuti quasi l’aveva dimenticato... Quella vecchia canaglia aveva ragione. Sarebbe andato. Certo che sarebbe andato. Non c’era mai stata alternativa possibile. Non ce n’era stata da quando aveva ricevuto la lettera del vecchio in quella nevosa mattina di pochi giorni prima.

Avrebbe seguito quella storia e Merlin fin dove l’avrebbero portato.

Fosse anche in capo al mondo e oltre.

Fosse anche a Camelot.

- Quando posso partire? – Si limitò a chiedere, abbassando le spalle in un sospiro rassegnato.

- Ora sarebbe fantastico – Rispose il vecchio con un sorriso.

 

- Ma cosa dovrò fare esattamente quando sarò lì? –

Non appena accettata la proposta del vecchio, il ragazzo si era visto trascinare al centro della stanza e venir lasciato lì in piedi, con le mani in mano, mentre il vecchio se ne stava ad occhi chiusi davanti a lui a borbottare qualcosa che il ragazzo non riusciva a comprendere. Una strana luce dorata sembrava filtrare dalle sue palpebre chiuse. Il ragazzo provò ancora per un istante l’impulso di scappare via e solo la voce irritata del vecchio gli impedì di seguire quell’impulso.

- Di questo non devi preoccuparti. Lo capirai una volta arrivato. –

- Sì ma ancora non mi è chiaro in che modo potrò aiutare Merlin... Dovrei trovarlo? Dirgli chi sono? Dargli dei consigli su come trattare col principe... –

- Ancora una volta ti ripeto che non dovrai preoccuparti di questo. Il corso d’azione ti sarà chiaro una volta arrivato. Credimi. Sarai più che all’altezza. –

- Sì ma cosa dovrò dire se mi chiederanno da dove vengo e come mi chiamo? –

- Non credo che lo troverai un problema. –

- Ma non ha senso! Come mangerò? Dove dormirò? –

- Fidati di me... avrai cibo e riposo in abbondanza... –

- Ma sto andando in un posto totalmente sconosciuto! In cui neanche esisto! A chi mi rivolgerò in caso di bisogno? –

- Vedrai che non ce ne sarà motivo... e comunque io non sarò mai molto lontano... –

- E questo che significa? –

Il vecchio, visibilmente esasperato dalle continue interruzioni, puntò di nuovo un dito ossuto verso se stesso.

- Drago. Ricordi? Viaggiamo attraverso i mondi, comunichiamo telepaticamente... –

- Quindi potrò rivolgermi a lei? –

- Oh quanto parli ragazzo! Vuoi farmi lanciare in santa pace questo incantesimo! Credi che sia uno scherzo riuscire ad inviarti nel luogo e tempo designati? Vuoi ritrovarti nel bel mezzo di una foresta o nella sala del trono durante un cerimoniale? Sei sicuro di voler scoprire cosa ne penserebbe il re del tuo comparire dal nulla, nel bel mezzo della corte, come per magia? –

- Non c’è bisogno di scaldarsi! E di sicuro non voglio che lei mi spedisca chissà dove... è che mi sembra tutto terribilmente affrettato. Non mi ha detto praticamente nulla... Sia serio! Come pensa che... –

- Te l’ho detto ragazzo, devi fidarti di me. Andrà tutto bene. Credimi. A te – disse il vecchio, enfatizzando sull’ultima parola - non accadrà assolutamente nulla di male. – e così dicendo gli strinse forte le spalle guardandolo fisso in volto, come per infondergli una sicurezza che il ragazzo era ben lontano dal provare.

- Ora, se possiamo procedere... –

Il ragazzo, non ancora del tutto convinto, gli fece suo malgrado un segno d’assenso, ed il vecchio tornò a borbottare i suoi incantesimi, mentre la stanza tornava a scurirsi e il fragoroso frusciare d’ali a far tremare gli scaffali tutt’intorno.

Gli occhi del vecchio si spalancarono all’improvviso, come due piccoli soli morenti, e l’aria cominciò a mulinare intorno al ragazzo, colorandosi d’oro, e lui cominciò a sentire come una leggera apprensione alla bocca dello stomaco, qualcosa che cresceva e saliva dentro di lui, un’emozione potente, paura mista ad eccitazione, come se stesse per lanciarsi nel vuoto, eppure il pavimento di legno del negozio era ancora saldo sotto i suoi piedi e, anche se non riusciva più a scorgere la stanza intorno a lui, la voce chiara di Kilgharrah era ancora lì a rombargli nelle orecchie.

Poi tutto si fermò, come un istante sospeso tra due respiri, e la polvere d’oro intorno a lui si accese di luce propria, fino a coprire tutto il resto. Il frusciare d’ali si spense, la voce smise di declamare, e quell’emozione che fino ad allora gli era gorgogliata nel petto si gonfiò fino a scoppiare, lasciandogli come un senso di nostalgia nel cuore. La paura scivolò via, così come l’eccitazione, ed il ragazzo si accorse di avere sotto le scarpe non più il caldo pavimento di legno del negozio di Kilgharrah ma terriccio, e di poter sentire sul viso il calore del sole.

Capì di non essere più in una biblioteca scura, nascosta tra le vie di Londra, in una grigia mattina d’inverno. Gi scaffali traboccanti di libri non lo riparavano più. Era pieno giorno e lui era nel bel mezzo di un cortile, non portava più i suoi vestiti ma una mezza armatura di ferro ed una scomoda cintura di cuoio con almeno due spade appese al fianco, ed era in mezzo ad un gruppo di altri uomini che non conosceva ma che sembravano ridere a qualunque cosa lui dicesse.

Risate vuote, crudeli e sguaiate, prive di vero divertimento.

Davanti a lui c’era un povero servitore, che magro e a disagio si riparava dietro un bersaglio di legno. Notò che nel bersaglio erano già conficcati tre o quattro pugnali e lui, chissà come, se ne ritrovava in mano un quinto che sembrava dover far la stessa fine dei precedenti. Gli uomini intorno a lui ridevano e lo incitavano a continuare in quell’assurdo gioco, ed anche se l’espressione del povero scudiero gli faceva venir voglia di buttare il pugnale a terra e andare lì a chiedergli scusa, una parte di lui sembrava rispondere a quell’incoraggiamento, bramava il senso di libertà che quel potere gli faceva provare, la sicurezza inconfutabile di poter fare ciò che voleva perché nessuno avrebbe potuto opporglisi. Nessuno avrebbe osato sfidarlo.

Il ragazzo, a quell’ondata improvvisa di sensazioni, si spaventò perché non le riconosceva... non erano sue e non gli appartenevano. Così come non gli apparteneva l’amaro piacere con cui infine lanciò il quinto pugnale contro il bersaglio.

Sentì il proprio braccio sollevarsi, lo sguardo farsi più acuto, eppure non era sua la volontà che muoveva quelle azioni. Era come se qualcun altro avesse il controllo sul suo corpo, qualcuno di cui intuiva i pensieri e percepiva le emozioni, qualcuno che in quel momento stava mostrando di divertirsi un mondo anche se, in fondo in fondo, non si divertiva affatto, qualcuno la cui anima pesava come se portasse il peso del mondo addosso.

Il ragazzo cercò con tutte le sue forze di sottrarsi a quella volontà, di fare un passo, muovere una mano, volgere il capo, trattenere il respiro. Fu tutto vano.

Era imprigionato, come fuso, nel corpo di qualcun altro, senza scampo, senza una via di fuga.

Qualcosa era andato storto.

Qualcosa era andato tremendamente storto.

Il terrore che gli provocò quel pensiero sembrò per un attimo capace di sopraffarlo, di paralizzargli la voce ed i pensieri, eppure di quel suo tumulto il corpo che l’ospitava sembrò quasi non accorgersi, continuò a sghignazzare con i suoi compari, senza averne veramente voglia, finché una voce non catturò la sua attenzione.

E quella del ragazzo con lui.

- Ehi. Andiamo, è abbastanza. – *

Il corpo che l’ospitava ebbe un sussulto a quella frase, come se in tutta la sua vita quell’uomo non fosse mai stato interrotto in vita sua, come se quella fosse un’esperienza nuova per lui, che non gli piaceva affatto.

Poi il ragazzo sentì quel corpo voltarsi verso la voce e si ritrovò a guardare un ragazzo di poco più giovane di lui, un ragazzo alto e magro, vestito come un servitore, con un viso amichevole e le orecchie più straordinariamente a sventola che avesse mai visto. C’era qualcosa, in quel viso, che fece suonare come un campanello dentro di lui, ma il ragazzo non riuscì ad attribuire un significato specifico a quell’emozione e quindi la lasciò correre via.

L’apparire del ragazzo però lo fece subito sentire meglio e lo rese più tranquillo, rincuorato che qualcuno avesse avuto il buon senso di interrompere quello stupido divertimento.

Il suo ospite però non era assolutamente d’accordo con lui.

- Cosa? – Chiese confuso il corpo che l'ospitava, indispettito verso quel ragazzo che si permetteva di interrompere il suo triste gioco.

- Ti sei divertito abbastanza, amico mio. –

E che gli faceva anche la lezione.

- Ti conosco? – Chiese nuovamente il suo ospite, ed ora il ragazzo sentiva una punta di eccitazione scorrere in quei pensieri alieni eppure familiari, come se il tizio con cui condivideva il respiro avesse appena messo gli occhi su un gioco nuovo e fosse ansioso di vedere quanto quel gioco avrebbe potuto divertirlo.

- Sono Merlin. – rispose allora il giovane, tendendo una mano fiduciosa.

Merlin.

Il ragazzo davanti a lui era Merlin! Ma certo... e come poteva non esserlo? Stupido lui a non riconoscerlo... Era esattamente come l’aveva immaginato mentre leggeva affascinato le sue avventure, lo stesso sguardo intelligente, la stessa espressione gentile, lo stesso sorriso beffardo e quelle buffe orecchie... le orecchie avrebbero dovuto rivelargli la sua identità già da molto prima...

In quel momento il ragazzo avrebbe voluto fare tante cose: salutare Merlin a gran voce, corrergli incontro magari e stringergli la mano, dirgli quanto avesse desiderato poterlo incontrare e quanto fosse incredibile e fortunata quella coincidenza... ma non poté fare nessuna di quelle cose, perché il suo ospite si avvicinò veloce a Merlin, ignorando la mano che lui gli tendeva, e buttando lì un sardonico: - Allora non ti conosco. –

Ahia... le cose si mettevano male.

- No. – rispose Merlin, che ancora non sembrava essersi reso conto della rabbia silenziosa che si stava agitando nel cuore dell’altro. Ma lui poteva sentirla, poteva provarla, come se esistesse ai margini del proprio cuore e lui se ne sentisse sfiorare senza che però riuscisse a contagiarlo.

In quale guaio l’aveva spedito Kilgharrah?

- Eppure mi hai chiamato amico. – Continuò il suo ospite, con fare altezzoso, e fu allora che lo sguardo di Merlin cambiò, ed il ragazzo capì l’esatto momento in cui lo stregone decise che la persona che aveva davanti era un idiota fatto e finito, che non valeva metà del suo tempo.

- Errore mio. – disse allora Merlin, con una smorfia che non lasciava dubbi su ciò che stesse pensando del gradasso che aveva davanti.

- Già, lo penso anch’io. – Rispose l’ospite del ragazzo, irritato oltre ogni dire, e il ragazzo sentì ribollire dentro quel corpo il bisogno di rimettere quell’impertinente dalle buffe orecchie al suo posto.

- Non vorrei mai un amico che sappia essere così cretino. – Disse Merlin, lasciando il ragazzo ed il suo ospite completamente a corto di parole. Poi voltò le spalle ad entrambi loro e si allontanò, come il protagonista di un film che se ne va da vincitore, riuscendo ad avere l’ultima battuta. Il ragazzo lo ammirò immensamente per questo.

Il suo ospite meno.

I suoi pensieri e le sue emozioni sfavillavano e bruciavano come torce nella notte ed il ragazzo riusciva a sentirli come fossero suoi: quell’impertinente aveva davvero osato rivolgersi a lui in quel modo? Non riusciva a crederci... Non poteva lasciarlo andar via così. Il ragazzo sentì l’impulso del proprio ospite a richiamare Merlin così che non osasse allontanarsi da lui, talmente forte da schiacciargli il cuore. E no, quell’idiota non la stava prendendo bene per niente.

- Né io ne vorrei uno che sappia essere così stupido. –

C’era qualcosa, oltre l’indignazione, che si agitava nel cuore del suo ospite mentre diceva quelle parole... Compiacimento... Attesa... come se lui e Merlin stessero giocando una partita di poker ed il suo ospite stesse gongolando perché sapeva di non aver ancora mostrato tutti i suoi assi...

Il cuore del ragazzo si fece piccolo mentre la preoccupazione per Merlin cresceva di momento in momento. Cosa aveva in testa quell’imbecille? Perché sogghignava così?

- Dimmi, Merlin, sai camminare sulle ginocchia? – Ancora quell’emozione, quella voglia da parte del suo ospite di pregustare ancora per un attimo ciò che sapeva stava per accadere...

- No. – Rispose Merlin, fiero, senza arretrare di un millimetro, guardandolo dritto in faccia, con quei suoi occhi che, ora il ragazzo poteva vederli bene, erano così dannatamente blu...

- Ti aiuto? – Chiese allora il suo ospite, cercando guai.

- Non lo farei se fossi in te. – Una risposta criptica, che forse sembrava smargiassa da parte di un ragazzo così esile e magro, ma il ragazzo sapeva bene cosa Merlin volesse dire, la vera minaccia racchiusa dietro quelle parole... Merlin avrebbe potuto occuparsi di quell’idiota con un soffio, solo sbattendo le ciglia e facendo brillare i suoi occhi d’oro, se non lo faceva era solo perché così avrebbe tradito il suo segreto. Il suo ospite era un bastardo fortunato.

Quella risposta sembrò divertire immensamente il suo ospite, il primo vero, sincero, accenno di divertimento che il ragazzo scorgeva in lui.

- Perché? Cosa mi farai? – Chiese quello.

- Non ne hai idea. – Rispose Merlin, e forse chissà, stava davvero pensando ad un modo per dargli una lezione. Il ragazzo, in cuor suo, lo sperò.

- Fai pure. Forza. – Lo istigò il suo ospite. Il ragazzo lo sentì trepidare perché Merlin facesse un gesto, un solo gesto per raccogliere la sfida... Perché? Cosa sapeva quell’idiota che loro ignoravano?

- Forza! Forza. –

Merlin a quel punto provò a tirargli un pugno, cosa che sorprese il ragazzo che si era aspettato un approccio più... magico... alla situazione.

Il cuore del suo ospite sogghignò di gioia per essere riuscito a farlo reagire alla propria provocazione. Bloccò il suo colpo in una sola fluida mossa e poi gli disse, a metà tra la frustrazione ed una punta di tristezza, come se gli dispiacesse, in fondo, che le cose fossero finite così, anche se era stato lui l’artefice di tutto: - Ti manderò in galera per questo. –

- Chi ti credi di essere, il Re? – Chiese Merlin, cercando ancora di dire la sua.

- No, sono suo figlio... Arthur. – E mentre diceva quelle parole, in quel cuore che il ragazzo riusciva a sentire, non c’era più nessuna gioia.

 

Arthur Pendragon. Il ragazzo si trovava nel corpo di Arthur Pendragon. Il principe di Camelot, figlio di Re Uther in persona.

Ecco cosa aveva voluto dire Kilgharrah quando gli aveva detto di non preoccuparsi, che non avrebbe avuto difficoltà a giustificare la propria presenza a Camelot, che per lui non sarebbe stato difficile trovare cibo e riparo, che nessuno avrebbe fatto domande o creato problemi...

Certo che nessuno gli avrebbe creato problemi! Era dentro il dannato corpo del dannato principe! Senza poter muovere un muscolo, senza poter dire una sola parola, senza una volontà propria... era un dannato spettro, un dannato fantasma!

Kilgharrah l’aveva ingannato... Il ragazzo non sapeva perché ma la vecchia lucertola l’aveva attirato con l’inganno in quella situazione da incubo e lui non aveva nessuna idea di come tirarsene fuori...

E Merlin... Oh Dio... quell’idiota aveva sbattuto Merlin in prigione, così, senza colpo ferire, solo perché aveva osato dire ciò che chiunque aveva pensato osservando quella scena pietosa in cortile ma che nessuno aveva avuto il coraggio di esternare ad alta voce.

Solo Merlin.

Solo Merlin aveva potuto.

Perché, il ragazzo lo sapeva, Merlin non avrebbe mai potuto restare in silenzio a guardare. Perché Merlin era migliore di tutti loro... Quell’arrogante del principe non aveva idea di chi avesse davanti... aveva immobilizzato Merlin con un solo gesto, come se fosse un pupazzo, una sfida da niente, quasi deluso che quel gioco nuovo ed eccitante fosse finito così presto...

Se solo avesse saputo cosa Merlin era in grado di fare forse non avrebbe riso così, non avrebbe provato quel misto di sadica soddisfazione e delusa tristezza nel rivelargli la propria identità. Sarebbe stato così facile, per Merlin, dargli il fatto suo... mentre il principe lo teneva stretto a sé, al ragazzo era quasi sembrato di sentire l’anima dello stregone vibrare dal desiderio di dare a quell’arrogante un assaggio della propria magia... ma Merlin invece era rimasto zitto e buono finché le guardie non erano venute a prenderlo, senza reagire, senza combattere...

Idiota di un Pendragon” pensò il ragazzo, mentre giaceva nel letto del principe, mentre quella testa vuota dormiva della grossa, senza dedicare più un solo pensiero al ragazzo che tanto coraggiosamente l’aveva affrontato e che lui aveva fatto sbattere in gattabuia.

Cosa poteva fare? Come tirarsi fuori da quella situazione? Aveva provato a contrastare la volontà del principe... diamine... nelle ultime ore non aveva fatto altro... ma niente! Nonostante i suoi sforzi Arthur Pendragon si era recato ovunque aveva voluto, aveva fatto e detto ciò che più gli aggradava, il ragazzo non era riuscito a fargli muovere neanche un dito, neanche un sopracciglio... il principe neanche si era accorto di lui, che lui fosse lì, ad un passo dal suo cuore, ad un passo dalla sua mente, prigioniero di quel corpo che ora condividevano ma che lui non riusciva a controllare...

Quel dannato drago!” pensò il ragazzo “Ah ma se riesco a mettergli le mani addosso...!”

Ragazzo!

Una voce, una voce secca e sabbiosa, una voce antica e conosciuta, rimbombò all’improvviso nella sua mente graffiandogli i pensieri. Una voce terribilmente simile a quella di...

Ragazzo!” ripeté quella, impaziente.

Kilgharrah!” quasi ruggì il ragazzo, in risposta a quel richiamo “Mostrati codardo! Mostra la tua subdola faccia ingannatrice... Io mi fidavo di te! Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto ed ora tu...” il ragazzo cercò di ritrovare una calma che non provava “Dove sei? Dimmi dove sei!

Mostrarmi?” chiese con voce derisoria e allo stesso tempo triste Kilgharrah “Credimi, ragazzo... vorrei davvero poterlo fare...”. Il drago prese un respiro stanco e poi aggiunse “No ragazzo... se vuoi confrontarti con me credo che dovrai seguire la mia voce...”

Seguire la tua voce? Seguire la tua voce?! Cos’è? Uno scherzo? Un altro tuo stupido, crudele gioco? Non posso neanche sbattere gli occhi se questo idiota non me lo permette! Come pensi che possa seguire chissà dove il tuo odioso sibilare?” sbraitò il ragazzo, cercando di far sgorgare dalle proprie parole tutto il disprezzo che provava verso colui che un tempo aveva considerato il proprio benefattore.

Vedo che fidarti non è il tuo forte, eh ragazzo? Data la situazione non me la sento di biasimarti... Imparerai che però, a volte, fidarsi è l’unica scelta che ci rimane... Prova ad alzarti da quel letto prima di sbraitare ancora... Tenere il principe incosciente abbastanza a lungo da permetterti di raggiungermi è quanto di più estenuante possa chiedere alla mia magia... Non so per quanto riuscirò a resistere, quindi smettila di cianciare e raggiungimi! Non abbiamo molto tempo”.

Il vecchio drago non fece in tempo a proferire quelle parole che il ragazzo si era già tirato su a sedere sul letto, le gambe che penzolavano in cerca del pavimento. La gioia che provò nel essere di nuovo libero di muoversi a piacimento gli cinguettò nel cuore fino a zittire ogni altro suono.

Libero.

Finalmente.

Il suo primo pensiero fu quello di scappare. Lasciare la vecchia lucertola a marcire nella sua prigione, ovunque essa fosse, e scappare via dal castello fin quando ne aveva l’occasione, per poi cercare un modo per tornare a casa.

E dove andresti?” chiese Kilgharrah, leggendogli nella mente e nel cuore e poi aggiunse, quasi divertendosi “E poi... non stai dimenticando nessun altro?”

Merlin” ricordò il ragazzo, e quel pensiero fu doloroso, una stilettata al cuore, una folata gelida in pieno petto capace di togliergli il respiro.

Chi l’aiuterà se tu te ne andrai?”

Io non posso aiutarlo” rispose il ragazzo con tristezza “Tu mi hai ingannato. Non ho modo di fare ciò che mi hai promesso... cambiare il suo destino... sono solo un parassita, un prigioniero... senza voce, senza volontà...”.

Non è così ragazzo. Non è così. Posso non averti detto tutta la verità quando ti ho parlato di questo viaggio ma non ti ho mentito su questo. Tu puoi cambiare il destino di Merlin. Sei l’unico che può farlo... tu e Arthur... insieme.”.

Questo idiota ha messo Merlin in prigione! Dovremmo affidare parte del suo destino a lui?” chiese indignandosi il ragazzo.

Ti avevo detto che il principe non era pronto... Se lo fosse stato... tu non saresti qui.”

Io non capisco”.

Raggiungimi e ti spiegherò tutto. Però sbrigati, perché sento già le forze venirmi meno”.

Il ragazzo esitò ancora un secondo, ancora arrabbiato, ancora dubbioso, poi il volto di Merlin, acceso e fiero mentre affrontava l’erede al trono, gli attraversò la mente come un colpo di fucile, diretto, letale, e quindi, senza indugiare oltre, il ragazzo seguì la voce del drago per corridoi bui, superò sentinelle addormentate (sicuramente opera di Kilgharrah) e scese giù, sempre più giù, nelle profondità del castello, fino a raggiungere una caverna immensa e spaventosa in cui, maestoso e terrificante, il drago che aveva preso in mano il sui destino, aspettava, appollaiato su una roccia, con quei suoi occhi gialli che ora il ragazzo riconosceva che bruciavano silenziosi come tizzoni morenti.

- Allora sei davvero una lucertola... – si lasciò scappare il ragazzo, cercando di mascherare con l’umorismo il terrore che l’aveva avvinto davanti a quella bestia millenaria. Si morse la lingua, sicuro che Kilgharrah gli avrebbe detto il fatto suo, ma il drago si limitò a guardarlo con fare severo, sembrando ogni secondo più stanco, più spento, più vecchio.

- Non ho tempo da perdere con i tuoi insulti ragazzo... Non è per questo che ti ho portato qui... – disse Kilgharrah, la voce bassa e roca ma mortalmente seria.

- E perché mi hai portato qui allora? – chiese il ragazzo, piano, quasi un sussurro.

- Perché vedessi con i tuoi occhi che non ti ho mai mentito. Non veramente. Come puoi vedere – disse il drago sollevando una zampa ancorata ad una vecchia catena – Io sono davvero imprigionato in questa caverna e Merlin è davvero qui a Camelot per incontrare il suo destino... come vedi non ho mentito su nessuno di questi fatti... –

- Non mi hai detto però che sarei stato anch’io prigioniero, una volta raggiunto il tuo mondo! Non mi hai detto che sarei stato ostaggio di questa farsa di principe, di questo arrogante buffone, di questo... –

La risata secca di Kilgharrah sferzò l’aria come un tuono.

- Cos’hai da ridere, vecchio drago? – chiese irritato il ragazzo.

- Rido del modo in cui parli di lui... –

- Si merita questo e altro... è solo un fantoccio, un bullo viziato, un... –

Il vecchio drago rise ancora più forte, nonostante l’evidente sforzo che quel semplice atto gli produceva.

- Da quando sei arrivato a Camelot non hai avuto modo di specchiarti... vero ragazzo? –

E mentre diceva quelle parole il vecchio drago fece ardere i propri occhi e davanti al ragazzo comparve uno specchio fatto d’acqua, pura e cristallina, perfettamente immobile se non per i bordi che oscillavano leggermente, come piccole onde che si infrangevano su una riva inesistente.

Il ragazzo gettò uno sguardo all’immagine che lo specchio gli rifletteva e poi proruppe in un esclamazione sorpresa.

- Che io sia dannato... cos’è questa magia? –

- Non hai mai visto uno specchio d’acqua, ragazzo? – chiese Kilgharrah, sogghignando.

- Non quello! Il mio... il mio viso! Quello è il mio viso! Cosa diavolo significa? Parla lucertola, svelto! –

- Significa che c’è un motivo se ci sei tu ora in quel corpo, c’è un motivo se tu e nessun altro si è presentato nel mio studio questa mattina, se la storia di Merlin ti ha chiamato per tutti questi anni come se cantasse a te e a te soltanto.... Vedi ragazzo, ho impiegato tempo per trovarti, ho impiegato tempo per portarti qui, perché la mia ricerca non era facile... al tempo eri solo un bambino... promettente, è vero... ma come tanti altri... occhi azzurri, capelli biondi, cuore impavido e solitario, testardo ma d’animo insospettabilmente gentile... non avevo molto su cui basarmi... ognuno di voi era un’opzione, una possibilità, tante fiammelle in attesa di qualcuno che le facesse brillare... eppure io sapevo che solo uno di voi alla fine sarebbe rimasto, solo uno era il ragazzo destinato a condividere il cuore del principe... solo uno avrebbe risposto a Merlin come avrebbe fatto Arthur se suo padre negli anni non gli avesse avvelenato il cuore e la mente... perché, vedi ragazzo, tu sei lui e lui è te... venite da mondi diversi ma siete, in sostanza, la stessa persona... ecco perché non avresti potuto essere che tu, ecco perché sei parte di questa storia ed ecco perché solo tu hai il potere di cambiare il destino di Merlin, il mio e quello di tutta Camelot. Il principe non ascolterà nessun altro, non seguirà nessun altro consiglio, solo tu potrai guidarlo lì dove già vuole andare il suo cuore. –

- Non è vero, non posso fare nulla di tutto questo! Dannazione Kilgharrah, lui non si accorge neanche di me, che io sia dentro di lui! –

- Dovrai riuscire a farti ascoltare. Col tempo, vedrai, i vostri cuori diventeranno uno... –

- Ma... come? In nome del Cielo, come? –

- Quando sarà il momento lo capirai... –

- Ancora enigmi! Che io sia dannato se mi lascerò giocare come l’ultima volta! –

- Temo che non avrai altra scelta ragazzo... il principe si sta già svegliando... non riesco più a tenerlo... ti prego... corri... va’... non credo ci rivedremo ancora... –

- Kilgharrah! –

- Va’... ho detto! –

Il ragazzo provò una rabbia profonda nel sentirsi congedare così, però Kilgharrah diceva il vero, il ragazzo già sentiva le membra farsi pesanti, lo sforzo necessario per tenersi in piedi quasi intollerabile. Gettando al drago un ultimo sguardo arrabbiato e deluso, il ragazzo che veniva da un altro mondo corse verso la stanza del principe senza più voltarsi indietro, sentendo ad ogni secondo di perdere la presa su quello che per un po’ era stato il suo corpo, quel corpo che era uguale al suo, a com’era stato a casa, nel suo tempo, nella sua vita...

Lui, Arthur Pendragon. Lui, il principe. Kilgharrah aveva detto che lui e Arthur erano praticamente la stessa persona, che Arthur era il suo doppio, che condividevano lo stesso cuore... A lui proprio non sembrava... Arthur era arrogante... sbruffone... crudele... Eppure il ragazzo non poteva fare a meno di ricordare la tristezza che aveva colto nella sua risata, la sensazione abbagliante, dilaniante, di essere solo nonostante avesse intorno così tante persone... forse in qualcosa si assomigliavano dopotutto...

Ma sarebbe stato abbastanza?

Abbastanza perché il principe riuscisse a sentire la sua voce, a sentir ragione, a lasciarsi guidare da lui e da Merlin verso quello che sembrava essere il loro destino? Il ragazzo non credeva fosse possibile. Il cuore di Arthur Pendragon era come chiuso dentro un forziere, nascosto da spesse pareti di metallo. Chi avrebbe potuto scalfirlo, toccarlo, cambiarlo, almeno un po’...?

Kilgharrah credeva che quel qualcuno potesse essere lui, che solo lui possedeva la chiave per tentare l’impossibile e dare a Merlin il futuro che meritava...

E lui avrebbe provato a farlo. Per Merlin, avrebbe provato. Avrebbe provato a cambiare il destino.

Sperava solo che il destino gliene desse l’occasione.

 

L’occasione non tardò ad arrivare. Arrivò, in effetti, molto prima di quanto il ragazzo avrebbe pensato. Il giorno successivo il principe stava camminando per il villaggio con i suoi compari quando la figura ormai familiare di Merlin comparve davanti a loro come un’inaspettata ma gradita sorpresa.

Il principe si stupì che Merlin fosse già fuori di prigione e, quando Merlin cercò di passare oltre, il ragazzo percepì chiaramente la delusione dell’erede al trono ed il suo bisogno di riprendere il discorso con Merlin dove l’avevano lasciato il giorno precedente, come se Merlin costituisse la distrazione di cui Arthur Pendragon aveva bisogno in quella che si stava rivelando la più noiosa delle giornate.

Con poche, mirate battute, il principe riuscì a portare Merlin proprio dove lo voleva, di nuovo vicino a lui, oggetto delle sue prese in giro e delle sue provocazioni, perché quello strano ragazzo dallo spirito impertinente lo sconcertava e ad Arthur Pendragon non piaceva che qualcuno lo sorprendesse a quel modo, né che lo guardasse come se riuscisse a vedere oltre il suo titolo e la corona. Lo faceva sentire scoperto, vulnerabile.

Aveva bisogno di un secondo round. Il ragazzo sentiva che il principe voleva avere la prova che Merlin avrebbe cambiato registro dopo lo scontro del giorno prima, che il venire a sapere chi lui fosse davvero avrebbe cambiato tutto, perché era quello che accadeva ogni volta. Ogni cosa cambiava quando la gente veniva a sapere chi lui fosse. Perché, quella volta, con quel ragazzo, sarebbe dovuta essere diversa?

Eppure lo fu, perché Merlin, con la sua lingua lunga, il suo spirito indomito e la sua ironia, rispose al principe colpo su colpo, sfidandolo apertamente, senza nessuna paura, nonostante ormai conoscesse la sua identità.

Arthur Pendragon non credeva ai suoi occhi. Il ragazzo godette immensamente nel sentirlo così stupito, così incredibilmente esterrefatto, davanti a quella meraviglia che era il suo Merlin. Quell’idiota aveva trovato pane per i suoi denti...

Lo scambio tra i due passò presto dall’essere verbale all’essere fisico e per un attimo il ragazzo temette che Merlin le avrebbe prese di santa ragione.

Il principe si stava divertendo come un matto. Era irritato, certo, frustrato che Merlin non gli mostrasse il rispetto che pretendeva, eppure Arthur era anche divertito, stimolato da quella nuova sfida: mettere quello strano ragazzo al suo posto.

Si pavoneggiava mettendo in mostra le sue qualità di guerriero, torreggiava su Merlin mulinando la propria arma, lo inseguiva senza lasciargli scampo mentre Merlin cercava inutilmente riparo in un capannone... ma quando tutto sembrava perduto ecco che strane cose iniziarono ad accadere: l’arma del principe si incastrò in degli attrezzi che erano appesi nelle vicinanze, Arthur mise il piede in una cassetta che sembrava essere comparsa magicamente sul suo cammino ed inciampò a causa di una corda che non avrebbe dovuto essere là...

Il ragazzo capì subito cosa stava accadendo... Merlin stava finalmente utilizzando la sua magia... ma il principe, ignaro dei poteri dello stregone, non poté far altro che assistere impotente a quella che stava rapidamente diventando la sua disfatta, almeno fino a quando qualcosa non distolse l’attenzione di Merlin e non diede al principe l’opportunità di contrattaccare e di metterlo k.o..

Finì tutto in un baleno, con le guardie che accorsero a portar via il ragazzo che aveva osato assalire il principe di Camelot per la seconda volta in due giorni. Il cuore del ragazzo sprofondò a quella vista. Cosa avrebbe potuto fare per far sì che le cose tra quei due si appianassero? Come potevano diventare l’uno il destino dell’altro se ogni volta che si incontravano si saltavano alla gola?

E poi la sentì, un a scintilla di indecisione nei pensieri di Arthur. Il principe era combattuto, indeciso sul da farsi. Una parte di lui, la parte che aveva amato combattere con Merlin, nonostante quello fosse riuscito a tenergli testa ferendo il suo ego, la parte che ne aveva ammirata la determinazione, così come il coraggio, avrebbe voluto lasciarlo andare, essere clemente, riconoscerne il valore.

C’era un’altra parte però, in quel cuore che erano costretti a condividere, una parte più fredda e oscura, desolata come una landa in inverno, in cui una voce, che somigliava tremendamente a quella del re, continuava a ripetergli che no, non poteva permettersi di avere pietà, perché quel ragazzo l’aveva quasi ridicolizzato davanti al suo popolo, aveva osato sfidarlo, sfidare lui, il principe, e quindi doveva essere usato come esempio davanti a chiunque pensasse di potersi rivoltare contro un Pendragon.

E quella voce urlava così forte e faceva così male che il ragazzo sentì il cuore di Arthur rattrappirsi e vacillare sotto le sue insistenti frustrate.

Fu allora che il ragazzo scattò. Forse fu la fastidiosa boria di quella voce, forse il bisogno di difendere Merlin, di tenerlo più lontano possibile dalle prigioni reali... fatto sta che il ragazzo si ritrovò a chiamare il nome di Arthur quanto fiato aveva in gola. Cercò la parte di lui che voleva Merlin libero e a quella si attaccò, si attaccò con ogni fibra di volontà che aveva, con la forza di ogni suo pensiero, insistendo, pregando, ed alla fine lo sentì, il cuore del principe che si liberava dall’eco nauseabondo di quella voce e che libero sceglieva di fare di testa propria.

- Aspettate. Lasciatelo andare. – lo sentì dire il ragazzo - Sarà pure un idiota ma è un idiota coraggioso. –

E poi, rivolgendosi direttamente a Merlin: - C’è qualcosa in te Merlin...anche se non riesco a capire cosa sia... –

E così se ne andò, col cuore in tumulto, i pensieri confusi, quasi tremando di fronte a quella decisione che non comprendeva, che era così nuova per lui, così inusuale. Un po’ felice di aver fatto ciò che al momento gli era sembrata la cosa giusta da fare.

Il ragazzo sentì ognuna di quelle emozioni come se fosse propria ed in quel momento capì che forse il vecchio drago non aveva poi tutti i torti. Il cuore di Arthur poteva essere toccato. Il principe aveva ascoltato lui, ascoltato la sua voce, ed il solo fatto di essersi fermato ad ascoltare aveva fatto sì che agisse come il suo cuore già gli suggeriva, il ragazzo gli aveva solo dato una spintarella nella giusta direzione.

Forse è così” pensò il ragazzo “forse è così che sarà possibile”.

E mentre quel cuore che ora sembrava già più vicino al suo ripensava divertito al volto sorpreso di Merlin quando l’aveva lasciato andare, il ragazzo decise che non avrebbe più dubitato delle parole del drago.

Avrebbe aiutato Arthur Pendragon a seguire il suo cuore, a qualunque costo, con ogni mezzo, e non sarebbe tornato a casa finché quell’idiota non avesse imparato a farlo senza il suo aiuto.

E non l’avrebbe fatto perché solo così sarebbe tornato nel suo mondo, né per liberare il drago o rendere Pendragon una persona migliore.

L’avrebbe fatto per Merlin.

Solo per Merlin.

Perché per anni aveva immaginato come fosse il suo amico ma incontrarlo di persona gli aveva dimostrato che le sue erano state tutte fantasie. Perché nella realtà Merlin era molto meglio: era caparbio e coraggioso, insolente e avventato, capace di essere deciso così come di mostrare compassione.

Ed ora il ragazzo sapeva che aveva gli occhi più profondi e blu che avesse mai visto ed un sorriso che toglieva il fiato.

E che era meraviglioso.


 

* Per chi ha seguito il telefilm in lingua italiana: io ho visto tutte le puntate di Merlin in inglese, quindi perdonatemi se il dialogo che avete trovato nella storia non era rispondente a quello della versione italiana.


 

Il capitolo si è fatto aspettare ma ormai mi conoscete... me ne capita sempre una!

Oltre al caos portato dalle festività ho avuto e sto ancora avendo problemi di connessione, quindi abbiate un po' di pazienza... non mi farò attendere molto! ;)

Ringrazio sempre di cuore tutti quelli che hanno voluto lasciarmi un pensiero, vi abbraccio tutti!

Sofy


 

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