Orestea

di HikaRygaoKA
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Checkers ***
Capitolo 2: *** 2- I buoi trainano carri di stelle ***
Capitolo 3: *** 3- I topi congelati non ballano ***
Capitolo 4: *** 4- Chimera ***
Capitolo 5: *** 5- Clitennestra e Elettra ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1- Checkers ***


Orestea
 


A Ton,
senza la quale questa fan fiction non sarebbe mai stata completata 

 

1-  Checkers
 


Quando Ico tornò dalla sua perlustrazione, Damian si distese, sollevato dal leggero ronzare del piccolo droide. Questi rotolò fra le sue mani, e la superficie metallica del suo corpo sembrò emanare un tetro lucore nel fitto buio della stanza, il checkers si strinse tra le mani la piccola palla metallica che sprigionava un piacevole tepore. “Grazie amico” Damian sorrise al piccolo occhio rosso posto al centro della sfera, e in cambio ricevette un piccolo btzz affettuoso di risposta. Dopo aver estratto dal droide il chip di controllo, Damian lo posò nella borsa legata alla cintura, aprì il Decodificatore e iniziò a esaminare i dati raccolti da Ico. Mentre file di numeri e codici scivolavano in un rosso abbacinante lungo lo schermo ovale, fuori dalla finestra sottotetto dell’Ala Ovest, il Palazzo Imperiale di Londra, Capitale Suprema della Confederazione Europea, si imponeva sul paesaggio cittadino in tutta la sua maestosità: l’edificio non era il più alto in città, bensì era sovrastato dalla Torre dell’Orologio e dalle guglie delle molteplici cattedrali gotiche che puntellavano i cieli perennemente grigi della capitale; ma le solide mura bianche, illuminate dalle centinaia di lampioni elettrici che circondavano la struttura, lo rendevano possente ed elegante, come potevano esserlo stati solo templi di antichi e grandi imperi del passato della cui antichi fasti, tuttavia, non era rimasto altro che il mito. La grande Cupola Centrale che sovrastava la Sala del Parlamento, rifletteva la luce dei fari dei dirigibili che fluttuavano sul palazzo. La maggior parte erano sfarzosi dirigibili aristocratici, quello con cui lui era atterrato sul tetto ero piccolo e discreto, scuro come la divisa dell’Accademia Reale, come unico tratto distintivo lo stemma della famiglia reale di Inghilterra dipinto su di una fiancata. Mentre la luce abbacinante dei fari illuminava a giorno il giardino del Palazzo, sorvegliato da innumerevoli androidi color bronzo, Damian continuava a decifrare le informazioni fornitegli dal decodificatore, senza apparenti risultati. Eppure, se i documenti che Cassandra aveva trovato in quel posto erano corretti, questo sottotetto avrebbe dovuto essere un eventuale nascondiglio di chi o cosa stavano cercando.  Intimamente era contento il luogo fosse deserto. Dopo aver letto i dati, avviò il programma di conversazione privata del Decodificatore e, pochi secondi di bip cadenzato dopo, una voce femminile amica gli rispose “Dimmi che non hai fatto saltare niente in aria, non hai portato allo scoppio di una crisi internazionale o, peggio, causato danni all’attrezzatura". La voce di Cassandra, vagamente increspata dalle distorsioni del Decodificatore a causa della distanza che li separava, gli perforò fastidiosamente le orecchie (e l’ego). “L’attrezzatura è in stato perfetto, e ho causato un incidente diplomatico una volta soltanto! E sono ancora il tuo capitano, per la cronaca. E, comunque, c’era anche Adam lì con me, quel giorno!”. “Allora, capitano, la informo che gli altri checkers stanno continuando a perlustrare il palazzo, non senza difficoltà. Mimetizzarsi  fra la folla con addosso la divisa dell’Esercito imperiale non si sta rivelando semplice.” Cassandra fece una breve pausa “Io e Adam ti aspettiamo”, dopodiché chiuse la comunicazione. Il ragazzo si scostò con uno sbuffo una ciocca di capelli neri dal naso. Nulla a proposito di essere checkers era semplice. Damian era dotato, come tutti i checkers, di un “talento peculiare” sin dalla nascita, ed era stato selezionato dal Governo per entrare nelle file del gruppo d’èlite dell’esercito imperiale, strappato alla propria famiglia, come tutti, in tenera età, e cresciuto fra le austere mura dell’Accademia Reale, costretto a sottoporsi a un addestramento tanto severo da potersi definire spietato, ed impossibilitato a riconciliarsi per sempre con i propri cari, ormai solo una memoria sbiadita. I checkers, infatti, non appartenevano ad una famiglia, non appartenevano a sé stessi: erano al servizio della loro Nazione, che era un altro modo per dire che erano una proprietà della Regina.
Mentre si preparava a lasciare il sottotetto, il rumore di un’esplosione lo sorprese: dalle finestre poté vedere un grande incendio divampare dalla Sala del Parlamento e udii le urla dei nobili in fuga. Trattenne un’imprecazione tra i denti e si fece strada fra il ciarpame della stanza, verso la grande finestra da cui era entrato, prese il Decodificatore e si preparò a chiamare Adam. Forse fu perché  era sopraffatto dall’ansia che non lo notò. E forse il rumore frenetico delle sue dita che componevano il numero sulla tastiera metallica, pesante e con bottoni tondeggianti, coprì il leggero scricchiolio alle sue spalle. Fu perché troppo concentrato a decifrare le cifre sullo schermo che non vide i due piccoli occhi arancioni fluttuare nel buio. Fu Per tutto questo non si accorse dell’enorme sagoma nera alle sue spalle. Un attimo dopo il golem lo colpì con ferocia.
 

Quarantotto ore prima…


L'Agenzia segreta Imperiale di Sua Maestà non era un corpo militare qualsiasi, bensì uno di natura smaccatamente spionistica che aveva contatto diretto con sua Maestà, e i cui membri vestivano tutti piuttosto bene il nero. Era normale per l’Agenzia ricevere richieste particolarmente complesse e delicate, che riguardassero tanto intrighi di Corte che avrebbero potuto portare a un golpe, tanto quanto missioni segrete atte a prevenire sanguinosi conflitti o, qualche volta,  annaffiare le piante nella serra della Regina. Era stato tramite l’Agenzia che, pochi giorni prima, Damian era stato incaricato di una missione particolare: trovare i rapitori del principe Edward. Solo che il principe non era stato rapito, eri a corte, vivo e vegeto e principesco, a firmare mandati reali e a disputare partite di polo come ogni principe dovrebbe fare. La Regina, tuttavia, era certa di aver scorto qualcosa di strano, profondamente innaturale nel suo primogenito. Allo stesso tempo, una misteriosa serie di sparizioni si stavano verificando nella capitale: tutti di ragazzi compresi fra i 16 e i 18 anni, tutti di corporatura esile, alti, dalla carnagione spruzzata di lentiggini e, spesso, con occhi verdi e capelli color rame: tutti molto simile alla sua maestà imperiale Edward. Il numero delle sparizioni, ormai, era troppo alto per passare inosservato.  Era, pertanto, necessario indagare.
Orientarsi fra le strade di White Chapell di sera significava evitare barriere urbane invisibili a causa della nebbia infittita dal vapore delle macchine e dei droidi di sorveglianza in giro. Damian, Adam e Cassandra riuscirono, dopo un estenuante peregrinare, a scovare il The old Oxford Pub: ad aiutarli nella loro ricerca vi fu la celeberrima puzza di rancido della stamberga. Non appena i tre giovani checkers entrarono nel pub, furono accolti una fitta selva di sorrisi aguzzi, qualche grugno di malcontento ma, principalmente, un non proprio timido schieramento di armi bianche che brillavano un po’ nella penombra della stanza. “Yo Pitt! Come ti butta?” Damian diede una pacca sulla spalla all’energumeno dietro al bancone del bar e con un sorriso rilassato si sedette su uno degli sgabelli di legno. Cassandra e Adam rimasero alle sue spalle, vigili e con le mani alle armi. Pitt rispose con un cordiale ghigno e qualche parola colorita sulla madre del ragazzo (Damian non se la prese, nemmeno si ricordava di lei). “Cani della Regina, so cosa volete chiedermi, ma non ho le risposte che cercate: le sparizioni non sono affare mio, lo sapete”. No” rispose monocorde Cassandra “tu preferisci il campo della prostituzione”. Pitt la guardò come guardava un pezzo di carne dal macellaio prima dell’acquisto, per giudicarne la qualità, e poi le sorrise, quasi complice . Cassandra, disgustata, fece per colpirlo quando Adam, padrone della situazione come suo solito, intervenne con un sorriso amichevole “Non cerchiamo risposte da te, ma prove. Qualcuno ci ha detto che tu hai qualcosa che potrebbe interessarci. O meglio qualcuno. Dacci il nome”. Il barista sembrò sorpreso della calma con cui l'allampanato ragazzo dalla pelle scura gli si era rivolto, nonostante la differenza di stazza fra i due. A volte pensava che essere degli idioti narcisisti e fin troppo sicuri di sé come Damian, dovesse essere una caratteristica richiesta dal Governo per diventare un cane di sua Maestà. Il locandiere soffiò fra i denti, come se stesse per sputare, e poi sbattè sul tavolo di legno ruvido e vecchio un foglio ingiallito “Questo è tutto quello che posso darvi: un luogo. Nessuno dei miei contati in città ha saputo dirmi di più riguardo i casini che stanno succedendo qui a White Chapell. E sì, tenevo pronto il foglietto per voi. Se volete le informazioni, pagatemi e poi sparite mocciosi”. “Non pensavo ti importasse tanto della situazione da compiere una vera e propria ricerca tutto spiano” Cassandra commentò sorpresa, come se avesse qualcosa su cui ricredersi. Pitt le mostrò il suo sorriso giallo e storto “Giovani uomini fra il 16 e i 18 anni, mia cara, sono una parte fissa della mia clientela. Non di quella che viene al bar, ovviamente. Non potrei mai servire alcolici a dei minorenni” Cassandra stava per rispondergli qualcosa di molto sconveniente che riguardava la madre di Pitt ( di cui lui, invece, si ricordava bene) quando Damian si alzò in piedi con eleganza, gli rivolse uno dei suoi sorrisi più cortesi e gli parlò “Ti siamo sinceramente grati per il tuo aiuto Pitt, così tanto che, credo, chiuderemo un occhio sulle condizione del tuo... rustico (lo disse trattenendo un attimo la parola sulla punta della lingua) pub all’Ufficio di Igiene. Credo ci sia da risparmiare parecchio in multe, ma non sono un esperto di economia, quanto di queste, piuttosto” Sfilò dalla cintura un massiccio revolver il tempo necessario perché Pitt notasse quanto la canna fosse grande “E non devi ringraziarci, non preoccuparti” Gli fece un occhiolino e uscì con i suoi due compagni da quel tugurio angusto e maleodorante, mentre la voce di Pitt, che sbraitava cose molto poco carine anche sulle madri di Cassandra e Adam li raggiungeva  (nessun problema, nemmeno Cassandra e Adam conservavano alcun ricordo della loro famiglia). Damian continuò a sorridere “Adoro quando vincono tutti”. 

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Capitolo 2
*** 2- I buoi trainano carri di stelle ***


2-    I buoi trainano carri di stelle
 



Cercare qualcosa di difficile da trovare era una cosa in cui Cassandra era particolarmente brava. I tre lo sapevano da quando, dieci anni prima, una Cassandra che ancora teneva i lucidi capelli neri legati  in due trecce, era riuscita a scovare il rifugio segreto che Damian e Adam avevano costruito in un piccolo magazzino seminascosto nella labirintica struttura dell’Accademia Reale, grazie al suo talento: Cassandra parlava con “le voci”. Erano voci che fluttuavano nell’aria, che appartenevano a corpi invisibili e che, se interrogate, potevano narrarle segreti celati ai più, con la leggerezza del vento. Cosa fossero quelle voci, però, nessuno lo sapeva con certezza. Alcuni credevano fossero fantasmi, altri pensavano che fossero le voci di tutto ciò che esiste in questo mondo, e che forse, aveva un’anima. Altri pensavano, invece, che fossero qualcosa di oscuro, da cui tenersi alla larga. Di quei pochi che avevano posseduto il talento di Cassandra, fin troppi avevano finito per morie misteriosamente, o scomparire senza mai essere trovati, e dei testimoni di queste oscure faccende, giuravano di aver visto quei checkers parlare ai muri per giorni, rimanere a guardare il vuoto per ore, sordi ai richiami degli altri, come se fossero concentrati nell’udire qualcosa che proveniva da un luogo lontano, prima di morire, spesso suicida. E affidandosi a quelle voci i tre speravano di ricavare qualcosa dalle poche informazioni in loro possesso. Vivere all’Accademia non contribuiva a preservare un giusto senso della misura, forse.
Seguendo le istruzioni di Pitt, erano giunti al molo di Londra, immerso nella nebbia infittita dall’inquinamento. Adam scostò una ciocca di capelli castani dal bel naso dritto e lesse ad alta voce il foglietto datogli dal locandiere, di nuovo. “Port House, Londra, Inghilterra.” Inarcò le sopraciglia, perplesso, di nuovo “Pitt dà delle informazioni di schifo”. Damian sfoderò il suo mezzo sorriso “Se ci fossero delle gentili signorine in giro sapremmo su chi fare affidamento per ottenere informazioni ma, datane la dolorosa mancanza, ci affideremo a Miss camicia di forza” Ammiccò verso Cassandra con un sorriso che Damian doveva pensare affascinante, e che provocò in Cassandra un singulto stomacato. “Un giorno potrei decidere di presentarti le voci luciferine che mi girano nella testa Damian, sono sicura che vi adorereste” Cassandra gli sorrise a sua volta e, osservando Damian, Adam avrebbe giurato che il sorriso di lei risultasse decisamente più affascinante (Adam concordava). Dopo essersi goduta l’imbarazzo del capitano, Cassandra chiuse gli occhi e si concentrò: chiamò a sé le voci, mormorò nella mente i loro nomi, impossibili da pronunciare ad alta voce; erano cento ed erano una, le conosceva tutte sin da bambina e, sin da allora, sapeva che mai e poi mai avrebbe potuto fidarsi di loro, ma solo intrattenerle, chissà per quanto ancora.
“Sapete dove dobbiamo cercare? Cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo cercare? Ditemelo o vi presento Damian”.
Dopo un po’ Cassandra parlò “Quello che cerchiamo si trova al magazzino N 53.” Damian le diede una pacca sulla spalla “Beh, pare che anche questa volta le tue amiche abbiano deciso di rendere un servizio del vostro mirabile capo!” Adam lo guardò abbattuto e Cassandra gli scostò la mano “Un giorno Sua Altezza Reale dovrà spiegarci perché proprio tu sei stato scelto”, “Forse Pitt aveva ragione sui prerequisiti per essere selezionati dalla Regina”. Damian colpì sulla testa Adam che gli rispose, a sua volta, con un pugno su di una spalla. Cassandra alzò gli occhi al cielo e si diresse nella direzione che il diavolo le aveva suggerito sorridendo, ne era certa.
 
Il magazzino 53 era una semplice costruzione rettangolare di metallo, lo spazio all’interno era tanto ampio quanto vuoto. Adam si accigliò “Se solo Ico fosse con noi e non nel Laboratorio Reale in riparazione, potremo eseguire un’accurata analisi ambientale, in cerca di porte segrete, camere di tortura…” “…Bordelli per ricchi pervertiti…”Aggiunse Damian, e Adam lo guardò di sbieco mentre lui, invece, guardava concentrato una grande finestra sul tetto, da cui penetrava intensa la luce lunare. “Guardate!” Disse il ragazzo mentre scostava un pesante ammasso di corde e stoffa, forse una tela, dal pavimento sporco. Dapprima i due compagni non riuscirono a capire cosa intendesse ma, concentrandosi di più notarono qualcosa in quel punto. Sul pavimento, proprio dove colpiva la luce lunare, c’era qualcosa di simile a un affresco: si riuscivano a distinguerne a malapena i contorni sottili ma, guardando più attentamente, la luce sembrò riempirne i contorni e colorarne la superficie proprio come un pennello che dipinge la tela. “Magia alchemica” sussurrò Cassandra concentrata. I tre continuarono a guardare il pavimento finché l’immagine non si completò: su di un carro trainato da un toro mostruoso, erano rappresentate sette ragazze, eleganti come muse, ma una di queste aveva il viso rigato di lacrime e il corpo, innaturalmente piegato da delle corde, era trafitto da frecce, il sangue stillava copioso dalle ferite. Damian pensò che sembrasse una martire com’erano spesso rappresentate nella tradizione cristiana. Al lato della cornice del dipinto erano ora ben visibili tre serrature massicce. Adam e Cassandra guardarono all’unisono sorpresi Damian “Come hai fatto a …?” Damian sembrò un po’ inorgoglito e risentito allo stesso tempo dalla sorpresa nella voce di Cassandra. Rispose con un mezzo sorriso “Dimenticate che sono sempre stato il primo della classe all’Accademia?” “La magistra Olimpia ha un debole per te… e anche magister Giles…” replicò Adam. “E hai avuto crisi di pianto isterico a ogni sessione di esami fatta!” Aggiunse Cassandra. “Sì, beh…” Damian, si concentrò improvvisamente sulla serratura, di certo non per l’imbarazzo “A quanto pare, sono l’unico a ricordare i fondamenti della magia alchemica e della manipolazione della luce degli astri e della Luna… e non è colpa mia se sono così affascinante da fare innamorare anche i professori di me”. Cassandra stava per replicare, quando Adam passò loro in mezzo, e sistemò un esplosivo sulla serratura “Sicuri di voler continuare? Credo che discutere e contemporaneamente scappare via da una esplosione non sia facilissimo”. I due lo guardarono per un secondo poi e tutti e tre corsero a nascondersi sotto l’ammasso di corde e ferraglia loro più vicino.
In realtà l’esplosione fu abbastanza diversa da come Cassandra e Damian se l’aspettavano: Adam aveva usato una bomba a controllo remoto, appositamente progettata dai Laboratori dell’Accademia per le esplosioni controllate, che concentrava il danno causato in un’area relativamente ristretta. “Non guardatemi così” disse Adam, trattenendo un sorriso “Se non avessi attirato la vostra attenzione sulla nostra missione (pose particolare enfasi sulla parola “missione”), non avreste mai smesso”. Cassandra e Damian non replicarono, ma continuarono a guardarlo sottecchi mentre si dirigevano verso la porta segreta, divelta in seguito all’esplosione. Dal buco del pavimento una scala di pietra ripida affondava nell’oscurità, e dal basso non sembrava provenire alcun rumore. Damian accese una piccola lanterna alimentata con olio magico, e avanzò lungo la scala, facendo strada agli altri. Scesero centinaia di gradini, mentre un forte odore di umido e chiuso li opprimeva. Damian osservava con attenzione le pareti scavate nel terreno: man mano che avanzavano, s’infittivano di simboli e strane figure chimeriche, che a lui sembrava di aver visto da qualche parte, forse in un libro di testo? Quando giunsero alla fine della scalinata il buio era densissimo, l’odore soffocante schiacciava i polmoni e il silenzio cominciava ad inquietarli. Adam e Cassandra accesero le loro torce e presero a guardarsi intorno nella stanza: pezzi di metallo erano sparsi ovunque, in una quantità tale da impedire loro di distinguere la forma della stanza e il perimetro della stessa. Damian si avvicinò ad uno degli ammassi di ferro per esaminarli: erano tutti di forme e dimensioni diverse: su alcune riusciva a distinguere uno stemma con due leoni, un unicorno e una corona imperiale. Lo stemma della famiglia Reale di Inghilterra. Il quel posto stava succedendo decisamente qualcosa di strano,  che metteva Damian a disagio. Probabilmente le macchie di sangue incrostato sui pezzi di metallo contribuivano a quella sensazione, si disse. Avanzò di qualche passo e si accorse di trovarsi davanti all’imboccatura di due corridoi: l’ingresso era ampio ma il buio impediva di vederne l’uscita. Si voltò verso Adam e Cassandra, in attesa di ordini “Il perimetro dell’area sembra essere esteso, è necessario dividerci per perlustrarlo. Cassandra dirigiti a est, Adam rimarrai qui a controllare questa zona. In caso di necessità, usate il segnale di emergenza.” I due annuirono e fecero come richiesto. Damian imboccò il corridoio a ovest, e s’immerse nell’oscurità.

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Capitolo 3
*** 3- I topi congelati non ballano ***


3-     I topi congelati non ballano



 
Un urlo acuto gli sfuggì dalle labbra quando lo vide: un terribile, disgustoso, pericolosissimo ratto. Damian trattenne un conato di vomito: odiava quelle creature disgustose e diaboliche, anche se Cassandra e Adam (soprattutto Cassandra) non parevano aver mai capito questo suo legittimo terrore, preferendo invece ridere di lui per questo. In un certo senso trovarsi da solo in un corridoio claustrofobico, al buio quasi completo, oppresso da un odore disgustoso e delle temperature sempre più rigide era stato, per una buona volta, una cosa positiva. Riluttante si avvicinò al topo e lo osservò meglio: nel cono di luce della lanterna il corpo emanava un leggero brillio. Si rese conto che la pelliccia dell’animale era coperta di brina e alcune parti del corpo, come i bulbi oculari, erano congelate. Damian cominciò a sentirsi teso. Mentre camminava lungo il corridoio, ormai da qualche minuto, aveva avvertito la temperatura abbassarsi in modo tangibile, al punto che gli arti iniziavano ad irrigidirsi. Riprese a camminare con maggior cautela: c’era ancora un silenzio opprimente che aleggiava nell’aria, e il suo respiro non aveva forse iniziato a condensarsi? Strani pensieri avevano iniziato ad accumularsi nella sua testa. Erano quel genere di pensieri che non voleva mai affrontare, che riguardavano i primi dolori mesi di addestramento all’Accademia, quando era solo un bambino e lo avevano privato di qualsiasi legame affettivo, qualunque esso fosse prima di indossare la divisa nera della Regina. Delle prime ferite da combattimento che erano diventate, con gli anni, cicatrici profonde e indelebili che marchiavano tutto il suo corpo, il marchio dei cani di Sua Maestà. Delle lunghe notti insonni ad apprendere l’arte della guerra, dello spionaggio. E poi, il ricordo più doloroso di tutti, ancora di più dei morti in missione, quello dei morti durante il periodo di apprendistato magico quando, non ancora consapevoli della natura del loro talento, che pure li aveva resi una ghiottoneria agli occhi dell’impero, che pure li aveva privati della loro identità e, in un certo senso, umanità, furono costretti a compiere esperimenti su se stressi, per capire cosa erano, come potevano rendersi utili. Incantesimi, esperimenti alchemici, cavie del Laboratorio Reale, finché quello che era il loro talento, unico e proprio, che gli aveva dato valore, era emerso, costretto a forza fuori dal loro corpo, dalla loro mente, lo sforzo tale da condurre molti alla morte. Era uno dei motivi per cui quello dei checkers era un gruppo d’èlite: molti di loro morivano durante il primo anno di Accademia e per quanto sembrasse orribile, disumano, mostruoso, nessuno si ribellava alla strage di tutti quei bambini, perché era un male necessario per il bene della Nazione, della loro Regina. Era il pensiero di Adam e Cassandra a dargli forza in quei momenti: le loro disavventure, i conflitti, le risate. A volte c’era solo Cassandra, la sua voce, e il suo sorriso e la sua intelligenza. E tutto quello che era. Ed era molto di più che abbastanza. A volte, a essere sincero, c’era anche altro su Cassandra nella sua testa. E, sebbene Damian non avrebbe esitato a definire quell’altro, una fantasticheria che gli metteva decisamente il buon umore, non era propriamente del genere che lo faceva ridere. Si schiarì la gola e si ricordò che, davvero, quello non era il momento più opportuno per concentrasi su certe cose. Continuò a camminare finché, finalmente, non incontrò una porta. Sembrava pesante, di metallo anche questa, decorata con lo stesso simbolo del toro mostruoso e delle sette muse sulla porta che prima Adam aveva distrutto. Se avvicinava l’orecchio alla sua superficie metallica, riusciva a sentire un rumore, come un clangore ritmico. La porta era, ovviamente, sigillata. Le esplosioni, però, erano una cosa di Adam: lui avrebbe fatto qualcosa più nel suo stile. Prese un paio di fili di acciaio sottili dalla sacca della propria cintura e cominciò ad armeggiare con la serratura. L’abilità nello scassinare era l’unica eredità lasciatagli dalla vita precedente all’Accademia. Perché ne fosse capace, cosa era stato prima, Damian non lo sapeva. Ma aveva l’impressione che, qualsiasi fosse la verità sul suo passato, non valesse la pena di conoscerla. Pochi attimi dopo la serratura scattò. Spinse la pesante porta ed entrò.
Anche questa stanza era immersa nell'oscurità, impossibile orientarsi. In lontananza, forse sulla parete opposta, riusciva a distinguere un leggero baluginio azzurro. Facendo attenzioni a dove metteva i piedi, si diresse verso quella luce. La temperatura era, se possibile, ancora più bassa che nel corridoio, e il pavimento era scivoloso, come se fosse coperto da una leggera lamina di ghiaccio. La natura dello scuro lucore che l’ambiente attorno a Damian emanava gli era incomprensibile. Avanzando scoprì che il rumore che aveva sentito fuori dalla stanza, e che era cresciuto di intensità ad ogni passo compiuto, era quello di alcuni pistoni enormi, di un colore simile al bronzo, che si muovevano ritmicamente, sopra di un basso e strano marchingegno simile al loro Decodificatore, ma decisamente più grande. Cercò di contare i pistoni ma sembravano essere posizionati l’uno sopra l’altro, verso il tetto, e la lanterna non gli permetteva di vedere sin lassù. Alcuni sembravano fermi. Damian esaminò la macchina più da vicino e riconobbe parte delle indicazioni sulla tastiera: erano una tecnologia nota ai Laboratori dell’Accademia, ma non era tecnologia civile: era intrisa di magia lunare. Perché si trovava lì? Mentre esaminava la tastiera avvertì il rumore. Proveniva da lontano, dalla parete della stanza verso cui si stava dirigendo, forse ancora trenta o quaranta metri più in fondo. Era stato un piccolo, distinto eco metallico. Come se un oggetto di piccole dimensioni fosse caduto a terra. Poteva essere stato qualsiasi cosa, magari un topo che si muoveva frenetico nella stanza. Poteva essere qualsiasi cosa e il rumore dei pistoni, in qualsiasi altra circostanza lo avrebbe distratto: il tintinnio era stato così debole che con quel rumore non ci avrebbe mai fatto caso. Ma i topi qui muoiono assiderati. Poteva davvero essere qualsiasi cosa, ma in realtà non poteva. E qualsiasi cosa fosse ora non era più sul fondo della stanza, da dove era arrivato l’eco metallico, ma era dietro di lui. Non emanava calore, ma avvertiva la sua presenza alle sue spalle. Non respirava, ma avvertiva il suo sguardo all’altezza della sua nuca. Non poteva essere vivo, ma si muoveva. Poteva essere qualsiasi cosa, ma non lo era. Damian non era più solo.
Sfilò la pistola dalla cintura, levò la sicura e si voltò, pronto a qualsiasi evenienza ma, chiunque fosse lì con lui in quella stanza era:1) incredibilmente veloce, 2) chiaramente ostile perché, pochi secondi dopo averlo scansato, lanciò qualcosa contro Damian. Era qualcosa di liquido, maleodorante e di poco chiara natura, quello di cui era certo, però, a giudicare dalle condizioni del tavolino che il liquido aveva centrato al suo posto, era molto, molto corrosivo. Damian imprecò, con una mano premette il pulsante sul dispositivo del segnale di emergenza, una piccola spilla a forma di coccinella che emanava un suono inudibile all'orecchio dei normali esseri umani ma che i checkers riuscivano a udire con chiarezza. Adam e Cassandra lo avrebbero raggiunto, lo sapeva, ma nel frattempo doveva sopravvivere, e per farlo doveva accendere la luce il più in fretta possibile. Si voltò verso il marchingegno e vide un piccolo pannello divelto, gli ingranaggi fermi e alcuni fili scoperti, ammassati all’esterno come se qualcun avesse tentato di strapparli. Sotto una tastiera alfanumerica di dimensioni ridotte. Doveva essere il pannello di avviamento remoto. Ricordò di averne studiato alcuni tipi al seminario obbligatorio di Principi di ingegneria magica e meccanica di magister Giles, e si ripromise di rinfacciarlo ad Adam in seguito. Doveva guadagnare il tempo di riavviarlo, però. Sparare o gettare bombe alla cieca poteva essere più pericoloso per sé che per altro, in quella circostanze. Non sembrava esserci nulla di utile vicino. Ma quando quel qualcuno, chiunque fosse, smise di sputare quel qualcosa, qualunque cosa fosse, Damian fece l’unica cosa utile che gli riuscì di fare: gli scagliò contro la lampada ad olio magico, e fu un centro perfetto. L’olio, incredibilmente instabile come sostanza (all’Accademia amavano farli sentire al sicuro) avvolse quel qualcuno nelle fiamme, e quel qualcuno cacciò un grido di dolore fin troppo umano, fin troppo giovane. A Damian si ghiacciò il sangue nelle vene e temette, temette tantissimo di aver commesso un errore irreparabile ma no, non c’era tempo e lui sapeva, in qualche modo, di aver ragione, e se non avesse avuto ragione, era già diventato un omicida da tempo. Tutto per la Regina. Collegò il suo Decodificatore al pannello di controllo e nel giro di pochi secondi, tutti i pistoni ripresero a funzionare meticolosamente, il rumore nella stanza si fece ancora più intenso e, finalmente, la luce esplose.
 

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Capitolo 4
*** 4- Chimera ***


4-    Chimera
 


 
Damian strinse gli occhi trafitti dalla luce, ma li riaprì subito e alzò la pistola nella direzione dell’urlo.  E quasi la fece cadere. Non sapeva descrivere bene quello che aveva davanti, perché era la prima volta che ne vedeva uno. Ed era abbastanza sicuro che la regola valesse per quasi tutti gli esseri umani che conosceva, persino quelli dell’Accademia.  Quel “chiunque fosse” era, forse, un qualcosa. Forse. Era una figura umanoide, poco più alta di lui. Il corpo era un ammasso di metallo e carne. Le gambe erano umane, le braccia e il capo, un’orribile parodia di un volto umano priva di lineamenti, se non per una bocca tagliata diagonalmente e in modo impreciso nel metallo e due occhi, che Damian lo sapeva, erano bulbi veri, di un vero essere umano. Dal busto di metallo spuntavano altre due braccia, anche queste di carne e il cervello, vigile nonostante tutto, gli diceva che erano coperte da cicatrici simili a cuciture, che le braccia non erano attaccate al corpo di ferro, ma spuntavano dallo stesso, come se la parte di metallo fosse una sorta di armatura atta alla protezione di qualcosa all’interno. E da delle scalfiture sulla superficie, qualcosa di rossa e globoso fuoriusciva e lui lo sapeva, lo sapeva, che erano organi interni, compressati e compattati in quella parodia aberrante di essere umano, squadrata e angolosa. Forse fu l’adrenalina a impedirgli di vomitare. O l’istinto di sopravvivenza. In un modo o nell’altro, quella cosa riusciva a essere molto veloce; i piedi umani che scivolavano con un controllo disumano sul pavimento ghiacciato erano uniti alle gambe, così come le gambe alle ginocchia, da giunture di metallo. Non aveva mai visto qualcosa così. Quella cosa, qualsiasi cosa fosse, lo avrebbe… cosa gli avrebbe fatto? Damian aveva l’impressione che non lo avrebbe ucciso, ma che gli avrebbe fatto qualcosa di molto, molto più sinistro. Forse lo avrebbe reso come lui. Perché quando lo aveva guardato aveva capito che quella cosa prima era stata umana. Cercò di respirare più a fondo per ritrovare la concentrazione, e una fitta di dolore gli attraversò la gabbia toracica: il punto in cui era stato colpito bruciava come se dei tizzoni ardenti fossero stati gettati sulla sua pelle. Il sangue che scorreva da un taglio profondo sulla fronte gli offuscava lo sguardo. La cosa lo aveva raggiunto e ora lo guardava dall’alto, con gli occhi vacui, eppure non del tutto privi d’interesse. Damian sorrise, con il suo solito sorriso sghembo, quello che usava con le ragazze (a volte anche ragazzi) per ottenere qualcosa, ma che ora era sporco di sangue e incorniciato da labbra livide e spaccate. Magari funzionava lo stesso. Non doveva sottovalutare il suo fascino, anche quando era ammaccato e molto prossimo all’oltretomba. La cosa gli sputò addosso una sostanza acida (che alla luce artificiale era fin troppo simile al sangue) e gli bruciò la pelle del guanto destro, fino ad arrivare la carne, strappandogli un singulto di dolore. Il suo tentativo di flirt, decisamente, non aveva funzionato. Forse avrebbe dovuto arrendersi, ma non lo fece: quando vide la chimera schaintarsi improvvisamente sul tetto, liscio e bianco come una coniglia, e poi cadere sul pavimento tramortita, seppe perfettamente cosa stava succedendo. Adam lo aveva raggiunto, e ora lo sovrastava, la preoccupazione e la tensione trattenuta a stento sul suo volto. Con gentilezza lo aiutò a rialzarsi e, squadrandolo rapidamente, giudicò le sue condizioni fisiche. “Beh, sembra che io sia arrivato in tempo, non sei più brutto di quando ti ho lasciato”. Evidentemente le sue condizioni fisiche erano buone abbastanza da permettergli di scherzare, sperava. “Adam, un giorno affronteremo il problema dei tuoi complessi di inferiorità nei miei confronti” “Ma sei più deficiente di prima, invece” Si sorrisero e Damian constatò che riusciva a stare in piedi: si guardò intorno e soppesò la situazione. La creatura non si muoveva più. Poteva essere morta ma, a essere sinceri, lui non pensava fosse mai stata viva. Guardandola meglio non sembrava così forte, eppure era stato necessario ricorrere al talento di Adam per liberarsene. Adam manipolava le ombre. Poteva prendere il controllo delle ombre di chiunque e piegarle alla propria volontà, costringendo il proprietario alla stessa sorte. Se desiderava che qualcuno non si muovesse, obbligava l’ombra a non muoversi. Se desiderava scagliare qualcuno su di un tetto, allora vi scagliava la sua ombra. Una volta era anche riuscito a obbligare magister Raphael e magister Gabriel a ballare un valzer viennese durante il simposio sulle nuove tecnologie militari, in presenza di una platea di Imperiali di sua Maestà. Per quanto fosse ilare, però, questo potere aveva dei limiti: non poteva, per esempio, manipolare un’ombra altrui senza poterla vedere, aveva degli specifici limiti spaziali e temporali. E le ombre, inoltre, tendevano ad annoiarsi in fretta. Si piegavano alla sua volontà se lo ritenevano adeguatamente all’altezza del compito ma, in caso contrario, sarebbero state loro a prendere il controllo dell’ombra di Adam e l’avrebbero divorata. E sull’importanza del legame fra un essere umano e la sua ombra, valevano le stesse regole anche per i checkers. Forse le ombre di Adam erano imparentate con le voci di Cassandra. Appoggiandosi all’amico, Damian si concesse di osservare la stanza nella sua interezza: come gli ambienti precedenti era molto ampia, e dal tetto alto. L’ambiente, tuttavia, appariva molto più pulito di quanto il buio lasciasse intuire, con decine di lettini, forse tavoli operatori, sparsi per la stanza e affiancati da numerosi tavolini, su cui facevano mostra di sé decine scalpelli, pinze e altri oggetti che sarebbero stati utili in una sala chirurgica. E quando guardò con attenzione la parete antistante, il corpo dal bruciargli sembrò diventare improvvisamente freddo, Damian si augurò non fosse l’unica differenza: file e file di celle si susseguivano in orizzontale e verticale, per tutta la parete, come se fosse una griglia. Nelle celle c’erano grossi cubi di ghiaccio e all’interno di quest’ultimi… “Sono… essere umani?” La voce di Adam era un sussurro strozzato, incredulo. Damian annuì: in ogni cubo c'erano pezzi di esseri umani. A volte erano degli arti superiori o inferiori, altre volte un busto, altre volte ancora organi interni, bulbi oculari. Erano centinaia. “I ragazzi scomparsi a White Chapell”, la voce di Cassandra li raggiunse da dietro le loro spalle, incredula. Damian annuì di nuovo, lentamente. Cassandra distolse lo sguardo dalle celle, guardò loro e poi la chimera, poi di nuovo loro. “Tutto bene? Ero nella fonderia quando ho sentito il segnale, e ho cercato di arrivare il prima possibile” “Fonderia?”  Adam aveva lasciato Damian, e aveva iniziato a raccogliere campioni da analizzare nel Laboratorio, tanto della creatura quanto del resto. La ragazza annuì. “C’è una specie di grande fonderia alla fine dell’altro corridoio, dove pare stiano fondendo i pezzi di metallo che abbiamo trovato all’ingresso. All’inizio pensavo servissero a creare illegalmente delle armi, ma ora…” guardò con un moto di disgusto Adam che raccoglieva meticolosamente frammenti di pelle e pezzi di metallo dal corpo del mostro. Lei estrasse lo stereoscopio meccanico dalla borsa legata alla cintura: dovevano accumulare quanto più prove e materiali possibile per il rapporto sulla missione e per ulteriori indagini. Mentre scattava con la macchina che si accompagnava al solito ronzio meccanico continuò a parlare “Ho trovato anche diversi documenti, Damian. Progetti ingegneristici di macchine gigantesche, trattati di medicina, mappe del Palazzo Imperiale e un fitta serie di lettere. Ho avuto il tempo si sfogliarne solo una piccola parte ma i mittenti sono molteplici, si firmano con quello che sembrerebbe un codice, e menzionano qualcosa che chiamano la “Grande Purga” per la “Pacificazione terrena”. E, per quanto ho potuto osservare, la maggior parte delle lettere termina con la stessa frase: Elettra vincerà su Clitennestra quando il Mondo sarà in una stanza.”. Quando Cassandra smise di parlare, seguì del silenzio che permise a Damian di riflettere. Il ragazzo si poggiò su di un pilastro di ferro, evitando accuratamente i lettini chirurgici. Si schiarì la gola, forse da un po’ di sangue “Chiunque sia stato qui, non ha scelto questo posto per caso. Aveva bisogno di grandi quantità di ghiaccio, una risorsa facilmente reperibile tramite i traffici commerciali qui al porto, e altrettanto facile da occultare tra le tonnellate di merci che qui sono trasportate ogni giorno. Inoltre, anche se non vi ho prestato attenzione, il fumo delle ciminiere della fornace può essere facilmente occultato grazie al fumo delle ciminiere della navi e delle fabbriche della zona industriale circostante al porto. Chiunque stesse usando questo posto, non ha agito da solo: sarebbe impossibile, dato… tutto questo.  Chiunque sia sta progettando qualcosa di grosso e, quanto pare, riguarda il Palazzo Imperiale.” “Il Giorno  in cui Il mondo sarà in una stanza deve essere il Giorno della commemorazione della vittoria della Grande Guerra, quando i principali ministri, capi di stato e regnanti della Confederazione Europea si riuniranno nella Sala Parlamento del Palazzo Imperiale, fra due giorni” Continuò Cassandra. “E qui si stavano riunendo coloro che stano progettando tutto ciò. Dai simboli sulle porte e sulle pareti possiamo dedurne siano una sorta di culto, dedito alla magia alchemica e, anche se è prematuro dirlo prima di compiere le dovute analisi in laboratorio, sono pronto a scommettere che i cadaveri… o quel che ne resta che abbiamo trovato, sono quelli delle centinaia di ragazzi scomparsi nelle ultime settimane. E se quello cui stiamo assistendo, è un complotto nei confronti della Corona, allora possiamo assumere che i responsabili di tutto ciò sono, forse, anche i rapitori del principe”. Damian annuì convinto “Però… Elettra vincerà su Clitennestra, cosa mai vorrà dire? E, inoltre, chiunque fosse qui ora e scomparso, apparentemente all’improvviso, lasciando …. Questo posto in sospeso. Come se qualcosa fosse andato storto”.  Sullo "storto” pensò Damian, non c’erano dubbi. Clitennestra ed Elettra… ricordava abbastanza bene il mito di Elettra, figlia di Agamennone e Clitennestra: quest'ultima fece uccidere il suo sposo dal proprio amante e, quando Elettra scoprì di chi fosse la responsabilità della morte del padre, si vendicò facendo uccidere a sua volta la madre dal proprio fratello Oreste. Sospirò. Stanco e dolorante, ora che la tensione e l’adrenalina lo avevano abbandonato. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ritornare lucido. Strinse un attimo gli occhi e poi li riaprì, guardando con determinazione i suoi due compagni: dovevano sempre farsi forza, dovevano sempre essere vigili e sopportare qualsiasi dolore. Dovevano essere pronti a tutto per la Regina. E per lei avrebbe dovuto sventare un attacco terroristico entro quarantotto ore.  

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Capitolo 5
*** 5- Clitennestra e Elettra ***


5-    Clitennestra e Elettra
 



Questa, praticamente, è la storia di come Damian ricevette il più forte pugno nello stomaco di tutta la sua vita da un enorme golem di ferro. Il ragazzo pensò che, se qualche ferita era riuscita a guarire dopo gli avvenimenti tumultuosi delle ultime ventiquattro ore, non c’erano dubbi che adesso dovesse ricominciare il processo di guarigione tutto d’accapo. Si rialzò traballante e sputò dei grumi di sangue, per quel poco che gliene era rimasto. Osservò il mostro, che ora gli appariva in tutta la sua possanza: era alto almeno il triplo di lui e aveva una forma simile a quella osservata nel magazzino 53, poche ore prima. Si chiese se quello che aveva visto lì fosse un prototipo. E anche se il mostro pareva essere fatto di solo metallo, non poté non chiedersi se anche nel golem ci fosse qualcosa di umano. Damian ricacciò nella mente speculazioni inutili al momento e soppesò la situazione: probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito a scalfire quella cosa, non da solo e non lì. Guardò fuori dalla finestra e misurò la distanza dal tetto più vicino. Prima che potesse terminare i suoi calcoli il golem pensò di risolvere la situazione per lui: con un altro pungo dolorosamente ben assestato lo scagliò fuori dalla finestra e Damian quasi si schiantò sul tetto del Palazzo Imperiale di Inghilterra in un pioggia di vetro e legno. Sarebbe probabilmente morto sul colpo se una forza sovraumana ma sorprendentemente gentile non lo avesse afferrato in tempo. Adam, pensò semplicemente, e l’amico, manipolando la sua ombra, lo poso con estrema attenzione sul prato del Giardino Reale. Damian voltò il capo il necessario perché riuscissero a vedersi, separati da una ventina di metri di distanza: Adam che, affaticato dalla manipolazione dell’ombra cercava tuttavia il suo sguardo. E Damian lo guardò a sua volta e con il suo solito mezzo sorriso e un dito medio in bella vista, lo fece scoppiare a ridere, rassicurandolo. Prima ancora di riuscire ad alzarsi da solo, però, Damian si ritrovò stretto tra le braccia di Cassandra, che lo strinse a sé con una tenerezza che entrambi capivano, ma che il pudore dell’inesperienza impediva loro condividere pienamente. Con una mano dietro sulla schiena del ragazzo e l’altro sulla sua guancia lo guardò con apprensione, come se temesse gli si rompesse fra le mani. Quando poi lei gli permise di appoggiare la guancia al suo cuore, che batteva velocissimo, soprafatto dalla paura, le guance di lui andarono in fiamme. Oh, quanto Damian avrebbe voluto rimanere così, ed ascoltare il battito del cuore di Cassandra fino a che non lo fosse diventato tutt’uno con il proprio. Ma non poteva, non poteva assolutamente: il caos stava esplodendo intorno a loro. Udiva le urla di frotte di politici e nobiluomini in fuga, navi della flotta imperiale cominciavano ad affollare il cielo. Vide altri gruppi di checkers farsi strada tra la folla, correre nel Palazzo, urlare che dovevano sbrigarsi, che c’erano delle cose che non erano umane che stavano attaccando i parlamentari e la Famiglia Reale. Strinse gli occhi solo per un ultimo, eterno, secondo finché non sentì Adam urlare: “Un golem di ferro è entrato nella Sala del Parlamento!”
Dopo averlo aiutato a medicarsi il più in fretta possibile e aver constatato che nessun osso era rotto, Adam e Cassandra corsero insieme a Damian dentro il Palazzo: il lungo corridoio per la Sala del Parlamento si era trasformato in un vero e proprio campo di battaglia dove diversi gruppi di checkers e imperiali avevano ingaggiato un intenso combattimento con numerose creature simili a quella che avevano scoperto nel laboratorio. Non si fermarono ad aiutare con gli altri: quando loro tre, di ritorno dalla missione di ricognizione avevano riferito quello che avevano scoperto al Grande magister Loka, quest’ultimo aveva loro ordinato che, qualunque cosa fosse successe il giorno della Commemorazione, la loro priorità sarebbe stata difendere la Famiglia Imperiale, a qualunque costo. Quando raggiunsero la Sala, scoprì che l’imponente portone di ingresso era stato, in realtà, semplicemente scalfito dalla lotta. A sua guardia il golem di ferro mentre, diversi gruppi di chimere umanoidi combattevano con i soldati.  “Quel mostro… Hai detto che ti è arrivato alle spalle? Senza che tu riuscissi ad avvertirlo?” Adam glielo chiese con estrema attenzione, corrucciando le sopracciglia in un moto di intensa riflessione. Damian annuì, la mano al revolver “Una cosa di quelle dimensioni… non è possibile non accorgesi della sua presenza in un sottotetto, non può essere sempre stato lì. E poi, perché è comparso proprio lì?” “Quel sottotetto era uno dei luoghi indicati sulle mappe che ho trovato nella fonderia…” Continuò Cassandra “Damian… quel sottotetto è esposto alla luce lunare” Il ragazzo trattenne il fiato per un secondo “Una trasmigrazione alchemica tramite la luce della Luna. Ecco come ho fatto a non vederlo e perché di tutti i posti del Palazzo è stato teletrasportato proprio lì, dove la luce della Luna poteva giungere con facilità” Adam strinse la mano attorno alla sua carabina “Questo significa che è immune alla magia dell’ombra” “Ma non alla mia” concluse Cassandra che guardò con determinazione davanti a sé. Damian sentì un vuoto al centro nel petto e chiuse gli occhi, sapendo quel che significava. Adam la guardò allarmato “Non puoi affrontarlo da sola, sei la l’unica checker presente in grado di manipolare le voci, ma se non riuscissi a  mantenere il loro controllo…” “No” lo interruppe Damian “Cassandra ha ragione, è l’unica che può fare qualcosa” Il ragazzo si voltò a guardarla “Cassandra non credo tu possa indurlo all’autodistruzione, ma puoi creare un diversivo. Devi distrarlo, mentre io e Adam entreremo nel Parlamento” Nella voce di Damian non c’era niente altro che profonda fiducia. Cassandra gli sorrise “Agli ordini capitano” poi si voltò a guardare il golem, zittì il mondo intorno a sé, le urla dei combattimenti, il crepitio intenso delle fiamme, le esplosioni delle armi da fuoco, e le urla terribilmente umane dei mostri, e chiamò le voci “Venite da me, ve lo comando”.
Il golem che si stagliava minaccioso e immobile a guardia del Parlamento sembrò improvvisamente svegliarsi dal suo torpore, gli occhi arancioni, piccoli e tondi, presero ad osservare con attenzione lo spazio intorno a sé, finche non incontrarono quelli neri di Cassandra. Per qualche attimo il mostro rimase fermo a guardarla e così grosso e immobile, sembrò quasi rassicurante. Poi si lanciò all’improvviso verso di lei, con una velocità inaspettata, lo scatto fracassò il marmo del pavimento, l’onda d’urto fece quasi cadere a terra Damian e Adam, ma non Cassandra, che rimase ferma, lo sguardo fermo sul mostro di metallo. Così da vicino Damian notò che su alcune parti del suo corpo era ancora possibile scorgere lo stemma della Famiglia Reale e, pertanto, avevano ragione nel credere che fosse stato creato in quel posto, al magazzino 53.  Il golem aveva ora sollevato il pesante braccio come se volesse scagliarlo su Cassandra, ma la ragazza non si mosse e, dopo qualche attimo di reticenza, nemmeno la creatura si mosse più, come se il tempo si fosse improvvisamente congelato. La ragazza parlò con una voce spezzata dallo sforzo, i pugni così  stretti che le nocche erano diventate pallidissime “Muovetevi, non so per quanto riuscirò a comandare le voci di piegare il golem alla mia volontà” , “Ma quando perderai il controllo su di lui, riuscirà a…” Damian interruppe Adam e, senza guardare Cassandra, obbligò l’amico a seguirlo nel Parlamento, ponendogli una mano sulla spalla “Dobbiamo andare a salvare sua Maestà Adam, e se non vuoi seguirmi di tua volontà, preda di facili sentimentalismi… allora te lo ordino”.
Quando i due entrarono nella sala, furono colpiti da quanto normale sembrasse, da quanto tranquilla fosse. La Sala del Parlamento era fra le più grandi del Palazzo Imperiale, superata in dimensioni e sfarzosità solo da quella del Trono. I marmi bianchi e verdi, lucidi e preziosi, riflettevano la luce emanata dalle eleganti finiture d’oro che decoravano le pareti e degli imponenti lampadari di cristallo alchemico, che svettavano al centro della sala, appesi alla volta. Sulle due pareti opposte file di eleganti sedili di legno in ciliegio ospitavano normalmente i parlamentari, e al centro, un trono su di un palco, su cui sedeva sua Maestà Imperiale, alta e fiera e affascinante, proprio come adesso. Solo che la Regina oggi aveva un accompagnatore, un accompagnatore che le teneva puntato alla testa un lucido revolver di ordinanza dell’Esercito Imperiale, dato in dotazione ai checkers, proprio come colui che minacciava di morte il Capo Supremo dell’Impero Inglese: il Grande magister Loka. I due ragazzi sgranarono gli occhi, incapaci di comprendere quello che stavano vedendo. Il Grande magister sorrise loro cordiale “Benvenuti ragazzi, è un piacere avervi come miei ospiti, anche se non si può dire che sia una sorpresa per me” Fece loro l’occhiolino e spinse di più la canna della pistola  contro le tempie della Regina, che guardava diritto di fronte a sé come se avere la bocca di una pistola a pochi millimetri dal suo volto la lasciasse indifferente. “Vi starete sicuramente chiedendo che intenzioni abbia e cosa di preciso stia succedendo qui, anche se ho avuto modo di osservare che siete venuti a capo di buona parte della faccenda. Lavorare con i propri persecutori ha i suoi vantaggi” “Persecutori?!”Sbottò Adam “Lei ha tradito la causa della Regina, lei è il responsabile di un attacco terroristico che ha portato allo scoppio di una tragedia al Palazzo, causando centinaia di vittime! Il nostro superiore cui era stato insegnato a fidarci ciecamente sin dal primo giorno in cui siamo stati costretti a mettere piede all’Accademia! Lei ha tradito la Corona! Un checker come noi!” Magister Loka scoppiò a ridere “Ah, sì, tradire la Corona. Ricordo di quando anche io, giovane come voi, credevo ancora che la Corona significasse qualcosa, prima ancora che l’ineluttabilità della realtà mi costringesse ad ammettere a me stesso che ciò per cui avevo vissuto tutta la mia vita, ciò per cui tutto avevo sacrificato, non significava niente! Non c’è causa, legge, morale o ideale che può valere quanto ho perso, e se esiste non è certo la Corona della Sua Graziosa Maestà” Fece un mezza riverenza divertita alla Regina, senza mai distogliere lo sguardo dai due ragazzi o abbassare la pistola. “Clitennestra ed Elettra” Disse Damian in tono calmo, pragmatico “Lei e chiunque si è reso partecipe di tutto questo… voi sareste Elettra che uccide la propria madre Clitennestra, ovvero la Regina?  Vi siete ispirati all’antico mito greco per darvi dei nomi in codice altisonanti… carino. Mi lasci indovinare… il dipinto all’ingresso del vostro… nascondiglio segreto, era una rappresentazioni delle Pleaidi giusto? Le  stelle che appaiono in cielo nei momenti più opportuni per i naviganti… e una di queste non è forse chiamata Elettra?” Il magister annuì soddisfatto “Notevole Damian, sei sempre stato un allievo brillante, peccato avessi intuito sin da subito che non avrei mai potuto convincerti a prendere parte alla nostra causa” “Di quale causa sta parlando?” Adam sembrava aver riacquistato la sua consueta compostezza. “Che cosa sta cercando di fare magister Loka?” “Grande magister ragazzo… e altro non sto facendo se non portare equilibrio nel mondo” “La Grande Purga per la Pace Eterna” continuò Damian, mentre Adam infilava lentamente una mano in tasca. Loka annuì di nuovo, sempre più compiaciuto “Eliminare questa stupida massa di parassiti pomposi ed inutili, alle redini del governo non certo per merito personale… Ma grazie al sacrificio di altri! Di noi!” “Di cosa sta parlando Grande Magister? Lei e chi altri è responsabile di tutto questo? Dov’è il principe? Cosa avete fatto in quei laboratori?” Adam premette il pulsante dell’oggetto nascosto in tasca. Magister Loka fece scivolare il dito sulla sicura della revolver “Tu chi credi mi abbia aiutato giovane checker? Non li hai visti gli stemmi imperiali sulle armature nel laboratorio? Sul golem? Altri checkers, altri membri delle’esercito Imperiale. Stanchi delle ingiustizie e delle privazioni, proprio come me. Quel che abbiamo fatto nei laboratori, è stato semplicemente continuare a fare quello per cui siamo stati addestrati. Creare e usare armi, raggiungendo un nuovo apice tecnologico: la fusione fra l’umano e la macchina! Brillante! Anarchico! Sacrilego! E anche se, lo ammetto, i risultati non sono ancora dei migliori, dovrete darmi atto che la chimera che abbiamo creato per sostituire il principe, è un miracolo ingegneristico e alchemico: ha richiesto un lavoro maniacale e un enorme ricambio di corpi umani per trovare la combinazione di arti, pelle, capelli e occhi perfetta.” La mascella di Damian si irrigidì e lo sguardo si fece duro “Il vero principe… lui è…” “Il vero principe” Proseguì Loka “è stato una incredibile scocciatura per tutto il tempo della sua prigionia... i suoi tentativi di fuga sono stati innumerevoli, ed è persino riuscito a penetrare nei laboratori e a distruggere diversi e importanti strumenti da laboratorio, costringendoci a interrompere più di una volta i nostri esperimenti… finché lui stesso non è diventato un esperimento” “Esperimento? Cosa…?” La porta della Sala del Parlamento si spalancò con violenza, spinta da una forza sovraumana: il golem di metallo li guardava dalla soglia e sopra la sua spalla destra, con un sorriso trionfante sul volto, sedeva Cassandra.
“Ah, signorina Cassandra, vedo che è riuscita a padroneggiare adeguatamente il suo talento… e a rispondere in modo celere alle richieste di aiuto dei suoi compagni.” Guardò Adam con fare bonario e gli fece l’occhiolino “Signor Adam, non avrà creduto che mi sia lasciato ingannare dal vostro cianciare e non mi sia accorto della richiesta di aiuto che ha inviato alla sua graziosa collega! Piuttosto signorina Cassandra, trova che la compagnia di sua Maestà Imperiale il Principe sia di suo gradimento?” Loka le sorrise quando lo guardò, per un attimo, e un attimo solo, perplessa e, quando lui rivolse il mezzo inchino al golem, i tre checkers sgranarono gli occhi, comprendendo la verità. La labbra della Regina si contrassero e per la prima volta volse i brillanti occhi verdi, pieni di sprezzo, verso il Gran Magister. Lui le sorrise “Avevo lo stesso sguardo quando mi dissero che la mia bambina, una checker  brillante, era morta durante il corso di una missione cui era stata inviata per ordine della Sua Graziosa Maestà. La mia bambina… e lei era capace sì, ma odiava essere una cheker, odiava far parte dell’Esercito Imperiale:  non valeva fare parte di tutto questo… ma alla fine non ha avuto scelta. E lei, come tanti altri ragazzini, giovani e adulti… sono tutti morti, per l’ideale di una Nazione e per volontà della sua regnante.” Fece un sorriso triste “Tutto per la Regina”. Damian sentì una stretta al cuore, e no, non avrebbe difeso quell’uomo così egoista e folle, ma provò per lui compassione. Da fuori i rumori della battaglia si erano acquietati, le urla sovraumane sembravano ormai essere cessate. “La guerra è finita Grande magister, avete perso” Loka annuì sereno “Sì, abbiamo perso… ma per quanto tempo ancora?” Guardò la Regina e le parlò per la prima volta direttamente “Una madre dovrebbe amare i propri figli” poi le sparò: sangue schizzò dalla tempia della Regina che si accasciò inerme sullo schienale, lo sguardo vitreo. I tre checkers urlarono all’unisono. Damian lo guardò con lo sguardo carico di tristezza “Grande magister, che cosa ha fatto?” Loka li osservò tutti e tre, con grande tenerezza “Siete così giovani” Poi puntò il revolver alla sua testa, e sparò.
Adam corse verso il corpo della Regina, e Damian lo seguì. Avvicinandosi al cadavere ancora caldo di sua Maestà notò che, persino da morta, Sua Altezza imperiale sembrava altera e spaventosa, eppure bellissima. Adam cercò il polso inutilmente “Cosa facciamo? Damian, cosa…” Il ragazzo inspirò profondamente: lui sapeva cosa poteva fare, ma desiderava davvero non farlo. Si sfilò i guanti neri e prese le mani di Sua Maestà fra le proprie. Quando Adam capì quali erano le sue intenzioni desiderò fermarlo, ma non poteva farlo: era l’unico modo per salvare la Regina, anche se questo significava mettere in pericolo l’amico. Cassandra, invece, gli strinse una mano attorno al polso, la voce come un sussurro quando lo chiamò. Damian le scostò con gentilezza la mano, ma non le rispose, riprendendo a concentrarsi. Era il momento di usare il suo talento. Lui poteva fare qualcosa di estremamente raro fra i checkers, qualcosa che odiava profondamente. Poteva manipolare la morte. Era qualcosa che aveva fatto pochissime volte e, ogni volta che vi era costretto, sperava fosse l’ultima. Spiegare a parole l’orrore del suo potere gli era difficile. Per Damian l’idea che un essere umano potesse valicare dei confini che avrebbero dovuto essere accessibili solo al divino era moralmente inaccettabile, e causava in lui un profondo turbamento. E poi c’era quella sensazione che provava ogni qual volta portava qualcuno indietro, la chiara consapevolezza di star commettendo qualcosa di imperdonabile, di essersi macchiato di un peccato indelebile, e temeva sinceramente che, ogni qualvolta infilava le mani in quel buio particolarmente denso, freddo, viscido come carne viva, stesse perdendo qualcosa di sé che non avrebbe più avuto indietro. Inspirando profondamente, chiamò il nome della Regina e, con le mani tese nel buio, rimase in attesa, pregando silenziosamente. Fu scosso da un piccolo tremore quando qualcosa lo afferrò da quello che per lui era “L’altra parte”, anche se non era certo di cosa ci fosse in quel luogo. Quella cosa che lo aveva afferrato non era umana, non più, ma lo sarebbe ridiventata presto, anche se non sapeva spiegarsi come o perché. Si sforzò di non abbandonare la presa, mentre sentiva le mani di Cassandra e Adam che gli stringevano forte le braccia aiutandolo a rimanere ancorato qui. Quando tutto finì Damian aprì gli occhi, proprio come la Regina.
 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo
 



Per settimane i giornali della città non parlarono altro che dell’attacco terroristico che aveva scosso la Capitale dell’Impero britannico dalle fondamenta, mirando al capo della Regina. Sulle prime pagine figuravano innumerevoli foto delle macerie del Palazzo Imperiale, distrutto in seguito all’attacco. Le foto dei soldati imperiali che combattevano per difendere i civili in nome della Regina, invece, stando ai sondaggi dei media, erano le preferite dal pubblico. Seguivano pagine e pagine di inchieste sull’impreparazione del Governo, che aveva permesso che questa tragedia si consumasse, su come le Potenze straniere avrebbero reagito a questo attacco alla loro autorità, oltre che interviste ai nobili e parlamentari illesi, che si spendevano in parole di cordoglio per la morte del Grande magister Loka, presente al momento dell’attacco al Parlamento, e abbattuto dal fuoco nemico mentre cercava di proteggere sua Altezza imperiale, ma anche parole di felicitazioni per il Principe Edward, ripresosi da un lungo periodo di stress che lo aveva fortemente debilitato, grazie alle innumerevoli cure del team medico imperiale (anche se, si vociferava a Corte, che qualcosa di terribile fosse invece accaduta Sua Maestà, qualcosa che c’entrava con gli esperimenti dei terroristi, e solo con il dispiego di tutte le forze della squadra degli alchimisti Imperiali, si era riusciti a riportare il Principe a una situazione di normalità). Damian chiuse il giornale e proprio in quel momento l’attendente della Regina lo avvertì che Sua Grazia era pronta a riceverlo. Il checker lo ringraziò cordialmente ed entrò nelle stanze private reali. La Regina lo stava attendendo seduta su di un comodo divano di velluto rosso, il colore simile a quello dei suoi capelli ondulati. Al suo fianco sedeva il vero Principe Edward, che era riuscito a liberarsi del corpo di golem dopo esperimenti mostruosamente dolorosi effettuati tramite l’alchimia lunare, e che ora gli sorrideva rilassato. Si inchinò in presenza dei Reali e la Regina lo invitò a sedersi. “Figlio d’Inghilterra” La sua voce era dolce e suadente, quasi in contrasto con la sua apparenze fiera e altera “Quello che hai fatto per la Nazione il giorno della Commemorazione della Grande Guerra è stato grande, ed io e il Principe desideravamo ardentemente incontrati di persona per poterti esprimere  la nostra più sincera gratitudine”. Damian rimase rispettosamente in silenzio, aspettando che proseguisse “Vorrei che fosse possibile condividere questa grande gioia al di là delle mura di questa stanza, con tutto il resto dell’Impero, ma la Famiglia Reale teme che, se alcuni degli avvenimenti svoltisi in quel giorno di sventura fossero svelati al grande pubblico,  il caos potrebbe dilagare tra il popolo e causare inutili disordini”. La Regina gli sorrise divertita, gli occhi brillanti così simili ai suoi, come a volergli dire che sì, sapeva che lui era più sveglio di così, sapeva che lui capiva benissimo che quel che non si doveva diffondere non era la verità, ma dalla promessa rivoluzionaria che essa celava, e che sapeva altrettanto bene che lui non l’avrebbe tradita, perché era un suo cane fedele. Damian era consapevole di quanto questo fosse vero, ma non sapeva per quanto ancora lo sarebbe stato. Il ragazzo si inchinò di nuovo “Vostra Altezza Imperiale  e sua Maestà il Principe mi onorano, ed anche se io non sono degno della loro fiducia prometto Loro che non la tradirò” “E non c’è niente che desideri per il tuo straordinario atto di eroismo?” Gli chiese il Principe, apparentemente divertito tanto quanto la madre da quella circostanza. “Se mi è concesso l’ardire, Vostra Maestà, vorrei chiedervi a quale fato è stata destinata la chimera che ha impunemente vissuto come il Principe presso la corte nelle settimane precedenti il suo felice salvataggio”. Gli sembrò che alla Regina stesse per sfuggire una risata “Temo, figlio di Inghilterra, di non capire bene a cosa tu ti stia riferendo ma, come avrai avuto modo di leggere, il Principe è guarito dopo un estenuante periodo di malattia ed è tornato ad essere sé stesso.” “Capisco” rispose asciutto Damian. Il checker ritenne avesse compiuto il proprio dovere in presenza dei Reali e chiese il permesso di congedarsi. La Regina annuì conciliante e, mentre abbandonava i quartieri imperiali, gli parlò un’ultima volta “Figlio di Inghilterra, spero che il Fato ci permetterà di incontrarci ancora in futuro”.
Ad aspettarlo fuori dalla Residenza Imperiale c’erano Cassandra e Adam, con indosso comodi abiti civili e con le mani piene di croissant appena sfornati. Adam gliene lanciò uno sulla fronte, Cassandra pure “Beh, deluso di essere tornato fra i comuni mortali, grande eroe?” Damian le scoccò un’occhiata imbarazzata e Adam rise di lui, come sempre. Tutto era come sempre, nulla era cambiato, non fra di loro almeno. Eppure qualcosa dentro di lui era stato scosso nel profondo, qualcosa che non aveva ancora un nome ma che aveva i volti della Regina, del Principe, di Loka.
Siete così giovani
“Cosa vuoi fare adesso Damian?” Il ragazzo alzò lo sguardo al cielo, il Sole brillava forte e non c’erano nuvole all’orizzonte.
“Per il momento, andiamo avanti”.
 
 

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