Call from Heaven di EvelynJaneWolfman (/viewuser.php?uid=192506)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
Ci
siamo, si disse. Era a Yellowknife, finalmente. Dopo aver
passato due giorni terribili sull'autobus, combattendo tra la nausea
mattutina
e l'odore che cinquanta persone insieme in un posto così
ristretto creavano.
Per non parlare delle due vecchiette sedute di fronte a lei, avevano
parlato
per quasi tutto il viaggio e lei non era riuscita a dormire bene, non
che fosse
arrabbiata con quelle due signore, aveva letto la loro aura e sapeva
che erano
due brave persone e di solito lei non si innervosiva mai. Di solito.
La causa del suo crescente nervosismo era un'altra e tra poco sarebbe
stata
anche ben visibile...
Si
posò una mano sul ventre e sospirò, stringendo
nell'altra il piccolo bagaglio che aveva con sé: uno zaino
che conteneva
qualche vestito ed il poco che le sarebbe servito per qualche giorno.
Sapeva di
non aver garanzie, ed era partita abbandonando tutto per il bene del
suo
bambino, perché nonostante sapesse di avere solo una misera
percentuale di
vittoria, lei doveva provare a dare un padre alla creatura che cresceva
dentro
di lei.
Non
aveva mai pensato di trovarsi in una situazione
del genere, incinta così giovane di un ragazzo che aveva
così tanti problemi, e
che sicuramente le avrebbe sbattuto la porta in faccia, ma non
importava. Lui
doveva sapere dell'esistenza di quel bambino e lei avrebbe fatto di
tutto per
far sì che lo accettasse e amasse, non importava se non
avesse mai accettato o
amato lei.
Ritornò
con la mente alla sera di due mesi prima,
quando era stata invitata ad una rimpatriata dei compagni di liceo, che
non
vedeva da anni. Si era appartata fuori in disparte, come al solito, tra
gli
alberi a guardare la luna piena che illuminava il cielo notturno. Non
aveva
notato la presenza del rosso, né aveva percepito la sua
aura, stranamente. E
quando lui era venuto fuori dal nulla, lei aveva nascosto lo spavento
in un
saluto apparentemente calmo, tornando a concentrarsi sul satellite
luminoso,
ignorando il ragazzo ed il cuore che batteva furioso, come succedeva
ogni volta
che pensava a lui o lo aveva accanto.
Non
lo aveva mai dimenticato durante quei tre anni e
l'aveva perdonato per il modo poco carino con cui l'aveva sempre
trattata, gli
avrebbe perdonato ogni cosa, come lui avrebbe dovuto perdonare tutte le
persone
che lo avevano ferito e ricominciare a vivere.
Erano restati così per un po', lei a fissare la luna e lui
immobile dietro di
lei. Poi, era tutto cambiato; lei si era ritrovata stretta a lui, a
ricambiare
il bacio che mai si era aspettata di ricevere, a ricambiare i battiti
frenetici
del cuore, i respiri ansanti e le carezze.
All'improvviso, aveva sentito l'erba fredda contro la pelle nuda della
schiena
e si era resa conto che il suo maglione e la camicia erano spariti. Ma
non lo
aveva fermato, perché per la prima volta negli occhi di
Scott, aveva visto
brillare un'emozione che non era l'odio e che le aveva causato un
brivido lungo
la spina dorsale. Così, si era semplicemente stretta a lui
ed aveva vissuto il
momento più bello della sua vita, donandogli qualcosa che
non aveva mai donato
a nessuno. Ed infine, lui l'aveva tenuta stretta contro il petto, come
se fosse
la cosa più importante al mondo, e per poco lei era stata
davvero felice.
Ma quel momento era durato un attimo, lo stesso misero attimo del
battito d'ali
di una farfalla, perché lo aveva sentito sussultare
all'improvviso, come se
qualcuno o qualcosa lo avesse spaventato, allontanarsi da lei e
vestirsi in
fretta, lasciandola sola e ferita.
Il
vento gelido penetrò attraverso i vestiti,
facendola rabbrividire e riportandola alla realtà. A
distanza di quasi due
mesi, quel rifiuto silenzioso le faceva ancora male. Certo, non si era
illusa,
ma dopo ciò che avevano condiviso non si sarebbe mai
aspettata di vederlo
fuggire a quel modo; come se lei fosse stata una lebbrosa.
Sospirò ed infilò la mano nella tasca laterale
degli jeans che indossava e ne
tirò fuori un fogliettino stropicciato, lesse attentamente
l'indirizzo che vi
aveva scritto sopra, quello di Scott, e se lo portò al petto
in una muta
preghiera alla madre terra. Non era di certo stato facile abbandonare
la sua
città, le sue certezze, i suoi genitori e tutto
ciò in cui avrebbe potuto
trovare sostengo, per quel viaggio, per Scott e per il loro bambino.
Lui l'avrebbe cacciata, oh sì che l'avrebbe fatto. Lo
sapeva. Ma il cuore
traditore sperava, pregava davvero che la mente si sbagliasse.
Si
sistemò lo zaino su una spalla ed iniziò a
camminare per i negozi colorati di quella cittadina, piena di profumi e
facce
che non aveva mai visto. Anche gli alberi e la vegetazione che la
circondava le
sembrava così estranea, nonostante fosse identica a quella
di Toronto. In
lontananza, poteva scorgere gli alti edifici che si trovavano a nord di
Yellowknife.
Quella città sembrava divisa in due: da una parte c'erano
edifici moderni ed
ogni genere di negozio; dall'altra casette colorate, fattorie, negozi
artigianali ed il bellissimo lago che l'aveva subito incantata dal
grande
finestrino dell'autobus.
Dopo
qualche minuto di cammino, si rese conto di non
sapere dove fosse. Si era allontanata molto dalla fermata dei bus, da
cui era
partita, e non sapeva nemmeno come tornare indietro. In poche parole,
si era
persa.
Mordicchiandosi il labbro inferiore con agitazione, iniziò a
guardarsi intorno,
cercando di non farsi prendere dall'ansia e dalla paura, e solo in quel
momento
notò che alcune persone la stavano fissando con
curiosità.
Immaginò che per loro non fosse abituale ricevere turisti,
soprattutto non
giovani e soli, così ora lei si trovava al centro delle loro
attenzioni e
chiacchiere.
Nascose
il disagio e cercò con lo sguardo una via di
fuga e un aiuto per riuscire a trovare la casa di Scott. In quel
momento, sentì
il coraggio venirle meno e quasi si maledisse per essere partita da
sola per
una cittadina così lontana, poi si ripeté che
faceva tutto quello per il suo
bambino e che doveva essere forte.
Sì,
devi essere forte Dawn...
Fece
vagare lo sguardo verso il negozio di ferramenta
poco distante da lei, e notò un uomo piuttosto anziano che
stava caricando del
fieno su un camioncino dalla vernice blu consumata dal sole. Avrebbe
chiesto a
lui indicazioni per arrivare da Scott. Si avvicinò
lentamente, soppesando
mentalmente cosa dire senza che si lasciasse scappare qualcosa di
troppo.
Immaginava che ancor prima del calar del sole, tutti avrebbero parlato
di lei e
di certo non voleva dare loro altra carne da mettere a fuoco
lasciandosi
scappare dettagli intimi e succosi come la sua gravidanza.
Si
avvicinò all'uomo, che le dava le spalle,
ripetendosi per l'ennesima volta che doveva essere forte.
«Mi scusi...» Iniziò un po' in
imbarazzo, non le era mai capitato di chiedere
informazioni a qualcuno, ma c'era una prima volta a tutto ed ormai lo
sapeva
bene.
L'uomo si voltò di scatto e, dopo un primo momento di
perplessità, iniziò a
squadrarla da capo a piedi. Lei tossicchiò, allontanando
l'imbarazzo che
rischiava di farla desistere dal suo intento. «Potrebbe
indicarmi come arrivare
a questo indirizzo?» Finì, porgendo il foglietto
all'uomo, che lo prese con
curiosità dalla sua mano e lo portò a qualche
centimetro lontano dagli occhi,
socchiudendoli per poter leggere.
Appena
gli occhi stanchi, e non più giovani, dell'uomo
si posarono sulle parole da lei impresse sulla carta ed il cervello ne
assimilò
il significato, sgranò le iridi azzurre sorpreso e rilesse
l'indirizzo, poi
alzò lo sguardo su di lei e la fissò scettico.
«Vuole andare alla fattoria dei Douglas? Ne è
sicura?» Le chiese incredulo,
sorprendendola.
«Sì,
potrebbe indicarmi dov'è, per favore?» Dawn
poté
capire chiaramente il motivo della sua reazione leggendogli l'aura, la
famiglia
di Scott non era benvoluta e le persone di quella cittadina preferivano
non
aver rapporti con loro. E lei conosceva bene la sensazione che si
provava
quando gli altri ti tengono alla larga, anche se in questo caso la
reazione era
scatenata dai genitori del ragazzo e non da lui in particolare.
Sentì
l'uomo sospirare e grattarsi la barba, indeciso
se accompagnarla o meno. «So dove abitano e
l'accompagnerò io, signorina.»
Accettò infine, aggiungendo anche un altruistico passaggio
che lei non si
sarebbe mai aspettata.
Stava
per rifiutare, ma l'uomo non le diede il tempo
di farlo.
«Non
accetto una risposta negativa, è molta la strada
da percorrere a piedi ed oggi è anche una giornata
fredda.» Una folata di vento
gelido la fece tremare e battere i denti, come se madre natura volesse
dare
ragione all'uomo e convincerla ad accettare. Camminare per molto tempo
non
avrebbe fatto bene né a lei né al bambino, ed ora
lui veniva prima di tutto,
ragionò infine.
«Va
bene, accetto volentieri il passaggio, se non vi
reca disturbo.» Si arrese, aveva troppo freddo per mettersi a
discutere. Se la
strada da percorrere era davvero troppa, con quel gelo si sarebbe
congelata
prima di arrivare a destinazione e lei non doveva pensare solo a se
stessa ora.
E poi, l'uomo era una persona per bene quindi poteva stare tranquilla.
Il
vecchietto le sorrise amichevolmente, nel tentativo
di rassicurarla.
«Nessun disturbo, signorina.» Con un gesto del
capo, le ordinò di salire sul
veicolo.
Dawn
si affrettò a salire sul furgone, notando con
piacere che il riscaldamento era accesso. Sospirando contenta, si
abbandonò
contro il sedile mentre l'uomo la raggiungeva nell'abitacolo e metteva
in moto.
***
Erano
partiti già da qualche minuto, ma nessuno dei
due aveva aperto bocca. Dawn era troppo occupata a godersi il caldo per
parlare, mentre l'altro aveva paura di essere troppo invadente, ma dopo
qualche
momento di indecisione, l'uomo decise di rompere il silenzio.
«Come
mai è qui, signorina? E soprattutto, come mai si
sta recando dai Douglas? Scusate la mia curiosità, ma sono
anni che nessuno va
più a trovare quella famiglia.» Rise nervosamente
lui, tenendo lo sguardo fisso
sulla strada dinanzi a sé.
«Sono
un'amica di Scott.» Rispose semplicemente,
guadagnandosi un'occhiata incredula dall'uomo.
«Non
sapevo Scott avesse degli amici. Certo, quando
era piccolo ne aveva molti, ma poi...» Lui tossì
teso prima di continuare,
cambiando però discorso. «Comunque, sono felice
che abbia un'amica, lei sembra
una brava persona.»
Dawn
lo ringraziò con un sorriso e ripensò a quello
che l'uomo le aveva rivelato. Scott aveva avuto degli amici da bambino,
chissà
se ne aveva ancora qualcuno, ne dubitava fortemente. Comunque, quello
significava che forse c'era ancora speranza per lui.
«Io
sono Anderson, piacere di fare la sua conoscenza.»
Riprese dopo un po' lui, ricordandole di aver accettato un passaggio
senza
nemmeno presentarsi.
«Io
sono Dawn, mi scuso per non essermi presentata
prima ed è un piacere anche per me conoscerla.»
Sorrise gentilmente e si
richiuse di nuovo nel silenzio. Era passato tanto tempo dall'ultima
volta che
una persona le aveva parlato spontaneamente e senza timore, esclusi
alcuni
compagni del liceo, ovviamente.
Le poche persone che la conoscevano a Toronto, non le rivolgevano mai
la parola
e la evitavano, avevano troppa paura che lei potesse scoprire i loro
segreti e
questo li metteva a disagio.
«Eccoci
qui, signorina.» Anderson parcheggiò l'auto
davanti ad una fattoria in rovina ed apparentemente disabitata. Il
legno del
recinto che bloccava l'entrata agli sconosciuti, era marcio e la casa
che un
volta doveva essere stata rossa, ora rovinata e bisognosa di una
riverniciata.
Il portico era decadente ed aveva bisogno di una ristrutturazione, come
tutte
le strutture che riusciva a scorgere, fienile compreso.
«La
ringrazio mille per il passaggio, Anderson.» Scese
dal furgone e rabbrividì per l'ennesima volta al vento
gelido che la investì,
diede un ultimo saluto all'uomo che le aveva risparmiato una gran bella
"passeggiata" e si avviò verso la struttura in rovina.
«Stai
attenta ragazza, anche se sei un'amica di quel
ragazzo, ti consiglio di non abbassare la guardia.»
L'avvertì lui, prima di
ripartire, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere.
La
bionda scavalcò il recinto marcio ed attraversò
il
piccolo vialetto che la separava dalla casa di Scott. Lentamente,
salì gli
scalini in legno del portico, sentendone scricchiolare qualcuno.
Sembrava la
scena di un film horror, anche il posto era perfetto.
Arrivò
davanti alla zanzariera che precedeva la porta,
anch'essa rovinata e consumata dagli anni, e busso velocemente prima
che il
coraggio le mancasse.
Le
luci in casa erano spente e per un momento credette
che non ci fosse nessuno, poi, dopo qualche minuto, la luce di quello
che
doveva essere il salotto si accese e le si bloccò il respiro
in gola, mentre il
corpo si irrigidiva per la tensione.
Sentì
un tonfo, seguito subito dopo da una colorata
imprecazione ed un borbottio. Sì, quello era proprio Scott.
***
Chi
cavolo rompeva a quell'ora? Si chiese Scott,
entrando in salotto.
Erano
solo le dieci di mattina e a lui piaceva stare a
letto almeno fino a mezzogiorno, soprattutto ora che non c'erano i suoi
genitori a rompergli le scatole.
Si strofinò gli occhi, ancora intontito dal sonno, ed
andò a sbattere con il
piede contro una delle sedie che circondavano il tavolo.
«Porca
puttana!» Sbottò, zoppicando verso l'entrata e
maledicendo chiunque si trovasse dall'altro lato.
Aprì
la porta e la zanzariera, e si ritrovò davanti la
figura di una biondina minuta che si stava torturando le mani.
All'inizio non
la riconobbe, forse per l'abbigliamento tanto diverso da quello che
aveva di
solito o per i capelli leggermente più corti, poi i suoi
occhi la misero a
fuoco e lui rimase paralizzato sul posto.
«Cosa
ci fai qui?» Chiese il rosso, sorpreso dalla
visita di quella ragazza che non vedeva da due mesi e che, invano,
cercava di
togliersi dalla mente. Ricordava ancora il profumo della sua pelle, il
sapore
delle sue labbra ed il leggero dolore causato dalle sue unghie che
penetravano
la carne delle spalle...
Scott
scosse il capo, scacciando quel ricordo
piacevole e doloroso al tempo stesso. Doveva riprendersi, cacciarla,
mandarla
via prima che si lasciasse andare al bisogno quasi istintivo di
assaporare di
nuovo le sue labbra.
«Ciao
anche a te, Scott.» Lo salutò ironicamente lei,
poi la sentì sospirare e cambiare atteggiamento prima di
riaprire bocca. «Io
devo dirti una cosa importante.» Lo freddò,
notando che stava per aprir di
nuovo bocca.
Dawn aveva uno sguardo deciso, la schiena dritta ed il mento alzato,
come un
soldato che si preparava alla guerra. Non se ne sarebbe andata, dedusse
lui.
Non l'aveva nemmeno invitata ad entrare, la ragazza però non
sembrava curarsene
e se ne stava sotto il portico con quell'espressione decisa che poche
volte, se
non mai, aveva visto comparire sul suo volto sempre dolce e gentile.
«Va
bene, dì quello che devi dire e sparisci.»
Sbottò
spazientito. Una parte di lui gli gridava di far entrare la ragazza,
abbracciarla ed amarla come aveva fatto due mesi addietro, ma quella
orgogliosa
e crudele che usava come scudo, e che ormai aveva il sopravvento su di
lui, gli
ordinava di sbarazzarsi presto di quella distrazione e tornarsene
dentro ad
ammazzare topi e godersi la pace lasciata dalla partenza dei suoi
genitori.
«Sono
incinta, Scott.» Gli rivelò con apparente calma.
Quella notizia lo colpì con la stessa intensità
di un pugno nello stomaco, ma
non diede a vederlo; anzi, indossò la solita maschera da
stronzo e si affrettò
a risponderle.
«Quindi
che vuoi ora?» La ragazza non batté ciglio
alla sua risposta fredda e dura, come se si fosse aspettata esattamente
quella
frase da lui e questo lo fece imbestialire. Ogni cosa che faceva o
diceva,
sembrava non avere effetto su di lei, come se sapesse sempre prima di
lui cosa
avrebbe detto o fatto.
«Nulla,
non voglio nulla. Ho solo pensato che dovevi
saperlo.» Gli rispose lei, mantenendo ancora sul viso
quell'espressione decisa
e fiera.
«Bene,
ora puoi andartene.» Fece un passo indietro per
chiudere la zanzariera e lei fuori dalla propria vita, quando la
ragazza parlò
di nuovo:
«Rimarrò
a Yellowknife, Scott. Resterò fin quando non
ci accetterai ed accetterai te stesso, quello vero, quello che ti
ostini a
tenere dentro. Quello che già ama questo bambino.»
Affermò decisa, portandosi
una mano sul ventre.
Si
trattenne dal riderle in faccia, davvero credeva
che avrebbe accettato lei ed il bambino? Sciocca, pensò, e
qualcosa all'altezza
del cuore lo fece sudare freddo: senso di colpa. Scacciò
quella sensazione e
tornò a fissarla freddamente.
«Davvero
vuoi rimanere in questo posto di merda?»
Rise. «Bene, fai pure, ma non credere che alla fine il tuo
sforzo avrà
l'effetto sperato.» Sputò velenoso.
«Puoi
mentire a te stesso, Scott, ma non a me.»
Replicò dolcemente lei, una dolcezza che aveva il potere di
ucciderlo.
«Davvero?
Te lo dice la mia aura?» La prese in giro
lui.
«I
tuoi occhi mi parlano prima della tua aura.» Gli
rispose candidamente, poi si voltò e si allontanò
lentamente.
Scott
rimase pietrificato sulla soglia di casa. I suoi
occhi gli parlavano prima della sua aura? Si portò una mano
all'occhio
sinistro, come se toccandolo potesse capire effettivamente se fosse
vero o no.
Scosse la testa, dandosi dell'idiota, chiuse la mano a pugno ed
entrò dentro,
sbattendo la zanzariera e la porta.
Maledetta
Dawn!
Perché?
Perché si era infilata nel suo cuore? Stava
così bene prima, in compagnia soltanto del suo dolore e del
suo odio. Poi era
arrivata lei, e bastava solo il suono di quella voce dolce e calma per
spegnere
un risentimento che durava da talmente tanto tempo, da non sapere
più nemmeno
lui quando esattamente avesse iniziato a provarlo.
Ed
ora... un bambino! La maschera voleva davvero non
saperne nulla, ma l'altra parte di se stesso cercava di riemergere dal
buio
della sua anima, urlandogli di rincorrerla ed accettare quella
possibilità di
essere felice, ma lui aveva paura e da codardo preferiva restare
nascosto nella
sua oscurità.
Lei aveva detto che sarebbe rimasta lì finché lui
non avesse accettato loro e
se stesso, ci sarebbe davvero riuscita? Quella parte nascosta di Scott
pregò di
sì.
Tornò
a letto, scombussolato ed infuriato. Solo che
non sapeva se lo fosse con Dawn o con se stesso.
***
Dawn
si allontanò dalla fattoria di Scott, trattenendo
le lacrime. Le parole del ragazzo l'avevano ferita, anche se
già se l'era
aspettate.
Il problema era che lei, indipendentemente da quello che riusciva a
vedere e
percepire, era una ragazza qualunque e sognava esattamente come tutte
le altre.
Ed in fondo, aveva sperato che lui l'avrebbe almeno ospitata per quella
notte.
Sfregò le mani sulle braccia per darsi un po' di calore, per
fortuna era quasi
mezzogiorno altrimenti avrebbe dovuto sopportare un freddo ancora
più pungente.
Stanca ed affamata, Dawn si fermò per un po' a recuperare
fiato, la testa le
girava e la nausea era tornata, nonostante avesse svuotato il suo
stomaco poco
prima di arrivare in città.
Si
sedette per terra e chiuse gli occhi, respirando
lentamente, doveva calmarsi e pensare a cose positive. Rimase
così per un po',
fino a quando sentì un furgone fermarsi di fronte a lei,
solo allora riaprì gli
occhi; ritrovandosi di fronte una donna anziana dai lunghi capelli
grigi e lo
sguardo curioso, che si sporse dal finestrino per fissarla intensamente.
«Cosa
ci fai lì per terra?» La domanda era stata
formulata con un tono irritato e curioso, ma Dawn poté
leggere l'autentica
preoccupazione nell'aura della donna.
«Sto
solo riprendendo fiato.» Si rialzò, togliendosi
la polvere dai pantaloni con delle pacche e spostando lo zaino
sull'altra
spalla.
«Sei
nuova di qui, giusto?» Chiese ancora la donna,
socchiudendo gli occhi per guardarla meglio.
Dawn
annuì.
«E
non hai un posto dove stare, ho indovinato?»
Continuò l'enigmatica sconosciuta.
Dawn
scosse la testa, in un gesto affermativo.
La
donna sospirò pesantemente, poi parlò di nuovo.
«Salta su scricciolo, starai nella mia fattoria. Mi servivano
proprio due
braccia in più.»
La
bionda la fissò sorpresa e completamente senza
parole, era in quella città da meno di un'ora e questa era
già la seconda
persona che le dava una mano. Non era abituata a tutto quell'altruismo,
anche
perché di solito quella altruista era lei.
Notando
che la ragazza non accennava a muoversi, la
donna batté con forza una mano sulla portiera bianca.
«Allora, ti muovi? Credi che la vecchia Caroline abbia tempo
da perdere? Il mio
soggiorno su questa terra è agli sgoccioli ed ho ancora
molte cose da fare
prima di andarmene.»
Dawn
rise involontariamente a quella frase, non voleva
darle l'impressione di ridere di lei, ma sentirle dire che le rimaneva
poco tempo
nonostante apparisse così piena di energie, era davvero il
colmo. Ringraziando
la madre terra per il suo aiuto, andò verso il sedile del
passeggero ed entrò
in auto.
«Finalmente.»
Sospirò Caroline, appena la bionda si fu
chiusa la portiera alle spalle, e ripartì a grande
velocità, senza degnarla di
uno sguardo.
Sollevata,
Dawn si accarezzò il ventre, sentendosi più
tranquilla.
Non
ti preoccupare piccolino,
andrà tutto bene vedrai, pensò,
in un tentativo di rassicurare il bambino, anche se era
lei quella che ne aveva più bisogno. Doveva tenere duro e
combattere, solo così
non avrebbe mai avuto rimpianti.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
«Benvenuta
allo Shameless Cow!»
Esclamò Caroline, imboccando il vialetto che portava ad una
grande fattoria
simile a quella di Scott, ma a differenza di quella del rosso questa
era tenuta
alla perfezione; i campi erano rigogliosi e ben curati, la casa
principale, il
fienile e le stalle erano tutte come nuove ed anch'esse rosse. Sembrava
un
quadro, tutti quei colori erano meravigliosi e nemmeno il pungente
odore di
animali che iniziava a sentire poteva rovinare l'atmosfera.
Il nome della fattoria era un po' strano, ma proprio nello stile di
Caroline.
Si voltò a fissare la donna in silenzio e lesse nella sua
aura tutto il dolore
che aveva patito a causa dei figli e dei nipoti, un dolore che quella
donna dal
cuore così grande non meritava. La conosceva da meno di
dieci minuti eppure le
sembrava di conoscerla da sempre, anche se sbraitava e all'apparenza
sembrava
insensibile, Dawn sapeva che era il suo modo per mettere a proprio agio
le
persone. Anche se poteva essere frainteso ed aveva l'effetto opposto.
«È
meravigliosa!» Esclamò sorridendo alla donna,
che si limitò a ricambiarla con una smorfia che la fece
ridacchiare piano.
Caroline parcheggiò di fronte alla casa, scese dall'auto e
fece segno a Dawn di
seguirla, la ragazza si affrettò a raggiungerla e la
seguì dentro casa. Un
delizioso odore di biscotti al burro le invase le narici, ed il suo
stomaco
brontolò rumorosamente, facendola arrossire.
Caroline
ghignò al suono di protesta emesso dallo
stomaco della ragazza, quel piccolo scricciolo la incuriosiva e la
inteneriva.
Aveva saputo da Anderson, uno dei suoi più fedeli
dipendenti, che una nuova
ragazza era arrivata in paese e che lui l'aveva accompagnata
personalmente alla
fattoria dei Douglas. In un primo momento, aveva risposto all'uomo che
le
conoscenze di quei due squinternati non le interessavano, poi Andy
l'aveva
corretta dicendole che non era un'amica di Ashley e Vincent, ma di
Scott e lei
aveva subito capito che qualcosa di strano stava per accadere.
Caroline adorava Scott, quando era piccolo passava tutti i giorni nei
campi con
lei, raccoglieva margherite e gliele infilava nei capelli una volta
dello
stesso colore del tramonto che si poteva ammirare dal lago.
“Così
sei ancora più bella, zia Carol”, le diceva,
con quel suo sorriso stupendo in grado di far sciogliere il
più gelido dei
cuori e quelle fossette sulle guance che urlavano di tempestarle di
baci.
Ogni giorno il suo sorriso, i suoi gesti affettuosi ed i suoi abbracci,
colmavano il vuoto che avevano lasciato i suoi figli ed i suoi nipoti,
che non
venivano mai a trovarla.
E poi, pian piano, come in un incubo lento e logorante, il sorriso di
Scott era
diventato sempre più raro fino a scomparire e non le aveva
più fatto visita. Il
dolore per quella perdita era stata tremenda, ma non ce l'aveva con lui
perché
sapeva che i colpevoli erano Ashley e Vincent, i suoi genitori. Quei
due non
avevano mai meritato un angelo come Scott ed alla fine lo avevano
distrutto,
strappandogli le ali per impedirgli di volare.
Ricacciò indietro le lacrime ed ordinò alla
ragazza di sedersi a tavola, prese
un piatto di biscotti al burro che aveva sfornato quella stessa mattina
e si
accomodò accanto alla bionda, piazzandoglielo sotto il naso
con poca grazia.
«Allora,
non ti chiederò il motivo della tua
visita ai Douglas perché non mi interessa, ma prima che tu
inizi a lavorare qui
credo di dover conoscere almeno il tuo nome e per quanto tempo pensi di
fermarti in questo posto.» La ragazza annuì,
prendendo un biscotto e
mangiucchiandolo piano.
«Io
sono Dawn e credo di dover rimanere qui per un
bel po'.» Rispose calma la bionda, dopo aver finito il
biscotto.
Le
aveva detto che non avrebbe fatto domande sulla
sua visita a Yellowknife, ma in realtà moriva dalla
curiosità di sapere cosa ci
fosse tra lei e Scott e quella risposta non aveva fatto altro che
renderla più
curiosa. Quella ragazza sembrava dolce e gentile, ma anche sicura di
sé, un
tipo che sicuramente non si faceva mettere i piedi in testa dal rosso o
da
chiunque altro.
«Bene,
Dawn!» Esclamò dopo un minuto di silenzio.
«Credo che, da buona padrona di casa, dovrei subito mostrarti
la camera in cui
alloggerai per il momento, dopo ti mostrerò la fattoria e i
dipendenti.» Si
alzò con fatica dalla sedia massaggiandosi le gambe
doloranti, ormai gli anni
si facevano sentire. Da una parte sapeva che il suo tempo su quella
terra stava
per terminare e lo accettava, ma dall'altra non riusciva a dire addio
alla sua
fattoria, soprattutto perché non aveva nessuno a cui
lasciarla. I suoi figli
l'avrebbero sicuramente venduta e tutto ciò che si era
guadagnata con così
tanta fatica e sudore sarebbe andato distrutto, quello era l'unico peso
sul
cuore che la inchiodava ancora a quel mondo.
«Caroline,
si sente bene?» Dawn era preoccupata
per quella donna, sul suo volto era impresso un dolore straziante e per
un
secondo temette che stesse per sentirsi male. Evitò di
leggerle di nuovo l'aura
perché non voleva invadere la sua privacy, ma sapeva
benissimo che tutto quel
dolore non poteva essere fisico. Non tutto almeno.
La
donna riprese il controllo di sé e borbottò, in
malo modo, che stava bene e di non preoccuparsi. Le mostrò
la stanza in cui
avrebbe alloggiato e lei scoprì con piacere che la camera
dava sul lago.
Lasciò lo zaino sul letto e si precipitò alla
finestra, ammirando la bellezza
dei raggi solari sulla superficie cristallina dell'acqua. Sembrava che
il lago
fosse cosparso di diamanti o brillantini, quella vista avrebbe di certo
migliorato le sue giornate ed ogni mattina che avrebbe trascorso
lì.
«È
bellissimo, vero?» Le chiese Caroline, rimasta
a fissare la ragazza dalla soglia.
Dawn
si voltò senza allontanarsi dalla finestra.
«Sì, è stupendo.»
Chissà
se dalla fattoria di Scott si poteva
ammirare lo stesso meraviglioso spettacolo della natura,
pensò la bionda,
rabbuiandosi subito dopo. Come la stupida, aveva promesso al ragazzo
che
sarebbe rimasta lì fino a quando lui non avesse accettato
lei ed il bambino, ma
ci sarebbe riuscita? Scott era ormai completamente corrotto o c'erano
ancora
possibilità di salvezza? Nel profondo di se stessa credeva
di sì, non riusciva
ancora a dimenticare la dolcezza del suo tocco, dei suoi baci e di
quello
sguardo... l'unico sguardo sincero e limpido che le aveva riservato,
sporcato
solo dalla tenerezza. Lei lo amava così tanto da crederlo
quasi impossibile,
come poteva amare qualcuno che non conosceva bene? Qualcuno che l'aveva
cacciata nonostante sapesse del bambino in arrivo? Dawn non lo sapeva,
per lei
quei sentimenti e quelle sensazioni erano del tutto nuove e non
riusciva ancora
a comprendere come l'amore potesse far fare gesti insoliti e
completamente
folli. Come quello di lasciare tutto per inseguire qualcuno che non
vuol essere
inseguito, arrivare nella sua cittadina e stanziarsi lì per
un tempo
indeterminato.
«Scricciolo,
se vuoi ti faccio fare ora il giro
della fattoria, dopo non avrò tempo.»
Borbottò apparentemente scocciata
Caroline, dietro di lei.
La
bionda si allontanò dalla finestra ad annuì,
incapace di aprir bocca a causa dei troppi pensieri e delle emozioni
contrastanti che stavano lottando dentro di lei. Una parte recondita
del suo
cervello le gridava di tornare a Toronto, che poteva benissimo
prendersi cura
del bambino senza di Scott; anzi, suo figlio sarebbe stato meglio anche
senza
di lui. Ma lei sapeva che non era così, nessun bambino sta
veramente meglio
senza una delle due figure genitoriali.
Seguì la donna al piano inferiore e poi fuori, i raggi del
sole la colpirono in
pieno viso e si stupì di quel clima primaverile nonostante
fosse ormai ottobre.
«Questi,»
iniziò Caroline, puntando con una mano
il vasto campo coltivato alla loro destra. «È uno
dei nostri campi di pomodori,
abbiamo serre riscaldate per l'inverno, ed è anche grazie a
questo che riesco
ancora a pagare le tasse, anche se ogni anno sono sempre più
care.» Commentò
con amara ironia la donna, camminando spedita dinanzi a lei. Dawn non
poté fare
a meno di perdersi nella vegetazione che regnava sovrana tutt'intorno e
per
un'ambientalista come lei quello era il paradiso in terra. L'aria era
pura e
fresca e solo l'odore pungente degli escrementi animali spezzava quel
quadretto
incantato, ma nello stesso momento gli dava quella
autenticità che solo in una fattoria
si può trovare. O quasi in tutte.
Superarono il campo di pomodori e si ritrovarono vicino alla stalla ed
ai
recinti dove le mucche, e poco più lontano le pecore,
stavano pascolando
tranquille. Lì quell'odore era davvero forte e dovette
reprimere con tutta se
stessa un conato di vomito, a causa della gravidanza ogni odore era
amplificato
per lei e quella situazione non era di certo facile per il suo povero
stomaco.
Chiuse
gli occhi e prese un bel respiro, ma nessun
errore fu più terribile di quello. Come una stupida, aveva
dimenticato di
trovarsi proprio accanto alla fonte del suo malessere ed aveva appena
aspirato
a pieni polmoni quell'odore nauseante. Si portò una mano
alle labbra e cercò
sostegno sulla parete esterna della stalla. La testa le girava senza
sosta,
come la priva volta su un carosello, ed il malessere sembrava non
passare.
«Scricciolo,
tutto bene?» Caroline le si avvicinò
preoccupata, anche se faceva di tutto per non darlo a vedere.
Dawn
cercò di annuire, ma sentiva la testa troppo
pesante e non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti. Poi, dopo un
tempo
che le parve infinito, la nausea sparì e la testa smise di
girare. Sospirò di
sollievo e si allontanò lentamente dal suo appoggio
improvvisato.
«Sì,
sto bene, mi scusi.» Deglutì ancora
leggermente provata. «Ho solo avuto un capogiro. Ora mi sento
meglio.» Sorrise
alla donna e la superò lentamente per continuare il giro
turistico.
Caroline
la raggiunse dopo un po', per nulla
convinta che ciò che l'avesse colpita fosse solo un semplice
capogiro. C'era
qualcosa di sempre più sospetto in quella ragazza.
«Ehi,
vecchiaccia!» Anderson, l'uomo che Dawn
riconobbe subito come il signore gentile che le aveva dato un passaggio
quella
mattina, si avvicinò a loro.
«Ci sono le balle di fieno da scaricare ed io sono troppo
vecchio e malandato
per salire e scendere dal furgone. C'è qualcuno dei ragazzi
libero che può
darmi una mano?» Chiese a Caroline, senza accorgersi della
sua presenza accanto
alla donna.
«Vecchiaccia
sarà tua sorella!» Sbottò
indispettita la padrona di casa. «E comunque no, nessuno dei
ragazzi è libero,
ma per tua fortuna oggi ho assunto una nuova ragazza.»
Caroline la puntò con un
cenno del capo e solo allora Anderson spostò lo sguardo su
di lei. La fissò per
qualche secondo, prima di sgranare gli occhi sorpreso.
«Ma
tu non sei la ragazzina che ho accompagnato
stamattina dai Douglas?»
«Sì,
sono proprio io. È un piacere per me
rivederla, signor Anderson.» L'espressione dell'uomo era
talmente buffa che
Dawn trattenne con fatica una risatina. Sicuramente non si sarebbe mai
aspettato di rivederla o di rivederla sana e salva.
«Come
mai è qui? Scott ti ha fatto qualcosa di
male?» Domandò, passando in fretta dal
“voi” al “tu” ed iniziando a
stringere i
denti per la rabbia.
«No!
Scott non mi ha fatto nulla di male!» Si
affrettò a dire. «Io... dovevo solo dirgli una
cosa, poi ho deciso di rimanere
e Caroline mi ha offerto di lavorare per lei in cambio di vitto e
alloggio.»
Spiegò, distorcendo un po' la realtà. Per
fortuna, la donna accanto a lei
rimase in silenzio senza rivelare di averla trovata seduta per strada
mezza
disperata.
Anderson
alzò un sopracciglio dubbioso, ovviamente
non si era bevuto la sua storia.
«Fammi capire, angelo, tu sei venuta in questo posto desolato
solo per fare due
chiacchiere con quel ragazzo e poi andartene?» La voce
dell'uomo era carica di
ironia e Dawn sentì un pizzico di rabbia montare
dentro.
Cosa c'era di strano nell'andare a visitare qualcuno? Nulla,
ovviamente, ma visto
che si trattava di Scott tutti erano pronti a sputare sentenze velenose
che
prevedevano la pena di morte per il rosso, senza possibilità
del ragionevole
dubbio.
«Andy,
fatti gli affaracci tuoi.» Lo rimproverò
Caroline. «Scott non è cattivo e comunque ora hai
del lavoro da fare, mostra a
Dawn dove deve portare le balle di fieno. Io vado a controllare il
gregge.» La
donna gli lanciò un ultimo sguardo ammonitore prima di
allontanarsi.
«Bene.
Allora piccolo angelo, seguimi.» Anderson
le fece un leggero cenno col capo prima di avviarsi verso il suo
vecchio
furgone blu. Il retro del veicolo era pieno di balle di fieno e la
bionda capì
che per l'uomo sarebbe stato davvero difficile salire sull'abitacolo
per
prenderle e poi scendere subito dopo per riporle nel fienile. Ed
avrebbe dovuto
fare quel via vai molte volte.
«Tu
sali e mi passi le balle, okay? Io poi le
porto in fienile.» L'uomo l'aiutò a salire nel
cassone e Dawn gli passò subito
il fieno che venne poi trasportato nell'edificio rosso da Anderson.
Andarono
avanti così per un po'; lei gli passava le balle e lui le
sistemava
accuratamente nelle stalle, ma dopo diverse ore di lavoro la fatica
iniziava a
farsi sentire. La testa le faceva male a causa del sole, nonostante la
brezza
fresca, mentre l'anziano uomo iniziava a zoppicare sempre
più vistosamente e a
trattenere gemiti di dolore.
Cercò di resistere il più che poté, ma
all'improvviso la vista le si appannò e
fu costretta a sedersi nel cassone per non crollare sulle balle di
fieno
rimanenti.
«Dawn,
tutto bene?» Chiese preoccupando Anderson,
avvicinandosi velocemente al furgone.
La
ragazza tentò di rispondergli, ma dalla bocca
non uscì nessun suono, si sentiva troppo stordita e
spossata. Quella era già la
seconda volta in un giorno e non andava per niente bene, doveva
preoccuparsi
del suo bambino invece si stava sforzando troppo.
«Andy,
che succede?» Notando che il lavoro si era
fermato, Caroline si avvicinò ai due per scoprirne il motivo.
«La
piccola si sente male.» Spiegò lui.
La
donna lanciò uno sguardo alla bionda, che se ne
stava ancora con gli occhi chiusi e tentava di riprendersi con degli
esercizi
di respirazione. In un secondo, il dubbio che quello scricciolo le
avesse
nascosto un'importante problema di salute si presentò
prepotente nella sua testa.
«Scricciolo,
cos'hai?» Chiese ma, com'era successo
all'uomo, non ottenne risposta e questo la fece preoccupare di
più. «Andy,
entra in casa e portami subito un po' della cioccolata che tengo
nascosta nella
credenza.» Ordinò tentando di nascondere
l'agitazione. Anderson annuì
apprensivo e corse subito dentro casa.
Caroline
si avvicinò a Dawn e le mise una mano sul
capo, trovandolo molto caldo. Si maledì per non averle dato
un cappello con cui
proteggersi dai raggi solari che, anche se non forti come in estate,
causavano
comunque un senso di spossatezza e giramenti di testa. Forse era per
quello che
la ragazza si sentiva male, eppure sentiva che c'era dell'altro
perché quella
scena le era tremendamente familiare.
«Scricciolo,
c'è qualcosa che non mi hai detto?»
Non si aspettò una risposta, ma la bionda annuì
leggermente col capo.
«Ecco
la cioccolata!» Esclamò Andy, avanzando di
corsa verso di loro. Le porse il dolciume e la donna lo
piazzò in fretta vicino
alle labbra di Dawn.
«Forza,
mangia questo.»
Riluttante,
la ragazza aprì la bocca e lasciò che
la cioccolata le si sciogliesse sulla lingua, ritrovando effettivamente
un po'
di sollievo. Riuscì finalmente ad aprire gli occhi,
scontrandosi con lo sguardo
penetrante di Caroline.
«Allora?
Cosa non mi hai detto?» Continuò la
donna, che non aveva dimenticato la sua ammissione di poco prima.
«Io...»
Iniziò, tentando di trovare le parole
adatte e pregando che Caroline non la cacciasse appena avesse saputo la
verità.
«Sono incinta.» Rivelò infine, vedendo
sia la donna che l'uomo sgranare gli
occhi sorpresi.
«Incinta?»
Ripeté perplessa Caroline. «E cosa
aspettavi a dirmelo? Non ti avrei chiesto di lavorare, stupida
incosciente!» La
riprese lei e Dawn poté leggere un misto di preoccupazione e
rimorso nella sua
aura. «Il padre è Scott? È per questo
che sei qui?» Continuò a chiedere.
La
bionda annuì mestamente senza saper cosa dire.
«Ehm...
Caroline, disturbo?» I tre vennero
interrotti da Steve, l'allevatore di pecore che abitava proprio accanto
allo
Shameless Cow.
«No
Steve, non disturbi.» Lo rassicurò la padrona
di casa. «Come mai sei qui?»
«Ma
come, non ricordi? Sono qui per
quell'agnellino che mi avevi promesso.» Le ricordò
lui, leggermente intimorito.
«Ah,
sì! Scusami Steve, sono stata distratta da
altre cose...» Lanciò un'occhiata severa a Dawn,
che abbassò lo sguardo
sentendosi in colpa. «Su, vieni con me che ti do
quest'agnellino.» La donna si
allontanò verso i recinti seguita da Steve.
***
Per
Jamie Lynn, ogni giornata era noiosamente
uguale da ben quarant'anni; aveva visto svolgersi molte cose nella sua
piccola
drogheria ma nessuna di rilevante importanza. Fino a quel giorno almeno.
Steve
Marshall, uno degli allevatori del paese,
entrò di corsa nel negozio dove tutte le donne del paese si
trovavano a
quell'ora per fare compere. «Signore! Ho un'importante
notizia da darvi!»
Ansimò l'uomo, tentando di riprendere fiato.
«Steve,
buon Dio, cerca di respirare e non
azzardarti a morire nel mio negozio.» Lo mise in guardia lei,
serissima,
causando le risate di alcune clienti.
«Cos'avrai
mai di così importante da dirci?»
Chiese Theresa, una delle prime pettegoli del paese e proprietaria
dell'unica
lavanderia presente in quel luogo quasi desolato.
«Avete
saputo della nuova ragazza arrivata in
paese?» Domandò enigmatico Steve.
«Chi?
La sventurata andata a far visita ai
Douglas?» Questa volta fu Patty, sua sorella, a formulare la
domanda mentre le
donne si zittivano e fissavano ormai l'uomo con evidente interesse. In
quel
paesino non succedeva mai nulla di entusiasmante e tutti ficcavano il
naso
negli affari degli altri per passare il tempo, se poi quegli "affari"
riguardavano quei poco di buono di Ashley e Vincent... be', allora
tutti
avevano le orecchie aperte.
«Sì,
proprio lei.» Confermò l'allevatore.
«È
ospite a casa della vecchia Caroline e non indovinerete mai cos'ho
scoperto.»
Rivelò lui, ghignando soddisfatto ai mormorii sorpresi e
curiosi che si
levarono nel piccolo negozio.
«È
ospite da quell'arpia di Caroline?!» Esclamò
qualcuna sorpresa.
«Cos'hai
scoperto, sputa fuori quel rospo forza,
così te ne andrai finalmente da qui!»
Sbottò lei, già stanca di tutta quella
suspense non gradita.
«È
andata a far visita a Scott e non ai suoi
genitori. E sapete il perché? Perché aspetta un
figlio da lui.» Si decise a
rivelare infine Steve, causando nella sua piccola drogheria uno
scompiglio di
dimensioni epiche.
«È
incinta di quel poco di buono? E come mai è da
Caroline allora?» Chiese nuovamente Patty, la più
pettegola e curiosa tra le
due.
«Io
ho sentito dire che è stata cacciata in malo
modo da quella fatiscente fattoria.» Bisbigliò con
evidente disprezzo Theresa.
«Povera
ragazza, io l'ho vista e sembra un
angioletto, sono sicura che Scott l'abbia solo usata ed ora se ne lava
le
mani.» Commentò con pena la figlia dell'idraulico.
«Be'
signore, ciò che accade alle amicizie di quel
ragazzo non sono affari nostri ed ora tornate ai vostri acquisti o
uscite da
questo negozio!» Brontolò severa.
Nei
suoi settant'anni di vita, la vecchia Jamie
Lynn non aveva mai sentito una storia del genere, eppure sapeva che
c'era
dell'altro sotto e lei avrebbe indagato. Anche perché sua
sorella l'avrebbe
comunque costretta, guardava troppi telefilm polizieschi ed ogni
occasione era
buona per improvvisarsi detective. Ma prima doveva parlare alla madre
di Steve,
la donna doveva sapere che il figlio se ne andava in giro raccontando i
fatti
altrui.
***
«Dannazione!»
Imprecò Scott, tentando per
l'ennesima volta di svitare quel maledetto tubo del lavandino. Tubo che
proprio
quel giorno aveva deciso di intasarsi, rendendogli la vita un inferno.
In realtà aveva già chiamato Andrew, l'idraulico,
ma a causa dei troppi
pensieri che gli affollavano la mente, aveva deciso di mettersi al
lavoro per
tenere la testa occupata in altro che non fosse pensare a Dawn. O a suo
figlio.
Deluso
e più arrabbiato di prima, il rosso lanciò
la chiave inglese in un angolo della cucina e si alzò dal
pavimento reprimendo
l'impulso di rompere qualcosa. Lo faceva sempre quando era arrabbiato,
ma in
quel momento non poteva permettersi di rompere proprio nulla.
Era
tutta colpa della bionda, da quando aveva
bussato alla sua porta non riusciva più a togliersela dalla
testa ed i rimorsi
per averla cacciata in quel modo barbaro si facevano ogni secondo
più forti.
Be', ci avrebbe convissuto perché di sicuro la ragazza era
già tornata a casa e
lui non intendeva andare a Toronto, tantomeno accettare di prendersi
cura del
bambino che aspettava. Entrambi sarebbero stati meglio senza di lui,
non era in
grado di amare un altro essere umano non amava nemmeno se stesso
– quindi come
padre aveva già fallito –. Non aveva nemmeno un
bell'esempio di paternità da
cui trarre aiuto, il suo vecchio era sempre stato un uomo dalle labbra
attaccate alla bottiglia di birra e dal pugno facile; molto spesso
scontrato
contro la sua guancia.
Inoltre,
non aveva nulla da offrire, la fattoria
cadeva a pezzi e non aveva un solo spicciolo in tasca. Come avrebbe
potuto
provvedere a loro? In nessun modo nemmeno se avesse voluto, e non
voleva.
Ma perché ci sto pensando? Tanto la svitata se ne
è già andata, si rimproverò,
mettendo a tacere nuovamente la vocina che gli dava dello "stronzo".
Il
campanello suonò, evitando di far proseguire
oltre la sua mente quel giorno troppo iperattiva e... umana. Si
avvicinò a
grandi passi verso la porta, ma una volta dinanzi ad essa si
arrestò
intimorito; e se fosse stata di nuovo lei? Era impossibile, ovviamente,
visto
che se n'era già andata. Giusto?
Disgustato dal suo timore verso una donna esile e innocua,
aprì la porta con un
gesto deciso.
«Salve
Scott, scusa il ritardo.» Lo salutò Andrew,
mostrando un sorriso insicuro.
«Tranquillo.»
Si fece da parte per farlo entrare,
nascondendo il sollievo, e gli mostrò il problema che lui
aveva tentato di
risolvere.
L'uomo si mise subito al lavoro senza parlare e lui di certo non era
dell'umore
per chiacchierare o spettegolare.
Doveva trovare il modo di mettere a tacere la sua coscienza, di
smettere di
pensare a lei o meglio; a loro...
«Ah,
mi sono dimenticato di farti le mie
congratulazioni, Scott.» Disse all'improvviso Andrew, con il
viso ancora
nascosto sotto il lavabo della cucina, mandandolo in confusione.
«Congratulazioni
per cosa?» Chiese leggermente
irritato.
«Be',
per la tua ragazza incinta, no?» Esclamò
l'altro, come se nulla fosse.
«La...
la mia ragazza?» Il rosso strinse i pugni,
provando un improvviso istinto omicida. Dawn era andata in paese
sbandierando
le sue condizioni a tutti? No, era impossibile da una come lei, ma in
fondo
quanto realmente la conosceva? Nemmeno un po'.
«Sì,
tutti in paese parlano di lei, di te, del
bambino e di come tu sia stato stronzo a cacciarli via. Ti stanno
dipingendo
come il peggiore dei mostri, anche peggio dei tuoi genitori.»
Ghignò senza
divertimento l'uomo, spuntando da sotto il lavandino con un'espressione
indecifrabile.
«Cazzo!»
Esclamò, dando un calcio alla cassetta
rossa degli attrezzi di Andrew.
L'uomo
si rimise in piedi e si pulì le mani con
uno strofinaccio. «Lo sai che io non giudico mai prima di
conoscere la vera
storia, Scott, ma se quelle voci sono vere, ti consiglio di metterle a
tacere
facendo la cosa giusta. Lei è ospite da Caroline,
comunque.» Con un cenno del
capo, l'uomo uscì di casa senza nemmeno chiedere di essere
pagato.
Ti
stanno dipingendo come il peggiore
dei mostri, anche peggio dei tuoi genitori..., quelle
parole rimbombarono forti e strazianti nella sua testa. Cosa ne
volevano sapere
loro di com'erano i suoi genitori? Di com'erano realmente. E di com'era
lui, di
ciò che aveva vissuto e ciò che l'aveva ferito,
rendendolo il ragazzo che era
ora? Erano bravi solo a giudicare, un secondo prima sei il buono e la
vittima
mentre quello dopo sei cattivo e carnefice, senza avere nemmeno la
possibilità
di difenderti. Ormai erano anni che ignorava i suoi compaesani, facendo
finta
di non sentire le loro cattiverie e pregiudizi fino a quando non si
erano
esaurite. Ed ora, a causa di Dawn...
Era tutta colpa sua! Non se n'era andata da quel posto anzi, era ospite
da
Caroline e solo Dio sapeva come ciò fosse stato possibile,
conoscendo il
caratteraccio della donna. Doveva cacciare la bionda da quel paese,
aveva già
troppi problemi e non poteva curarsi anche di lei e di quel bambino
che, a
lungo andare, avrebbe finito per odiarlo. Com'era successo a lui con i
suoi.
Uscì
in fretta di casa, senza preoccuparsi di
chiudere la porta a chiave, e salì sul suo sgangherato
pick-up in direzione
dello Shameless Cow. Aveva una bionda da scacciare ed era ora che la
sua
maschera da mostro privo di qualsiasi emozione riprendesse il
sopravvento.
***
«Dawn!
Non ti avevo ordinato di andare sopra a
riposare?» Caroline scosse il capo esasperata. Dopo aver
scoperto le condizioni
delicate dello Scricciolo e sbrigato gli affari con Steve, aveva
mandato la
bionda in casa per riposare ed ora, dopo essere ritornata dal lavoro,
la
trovava a spazzare il pavimento invece di dormire.
«Lo
so, ma non sono riuscita a rimanere stesa
senza far nulla, mi sembrava quasi di approfittare della tua
gentilezza.» Si
scusò la ragazza, mordicchiandosi il labbro inferiore
mortificata.
«Ti
ho offerto io ospitalità quindi non devi
sentirsi un'approfittatrice.» Le tolse la scopa dalle mani e
la rispose
lontano.
«Ma
in cambio io dovrei lavorare! Non starmene su
un letto a dormire.» Insistette la giovane.
Caroline
sbuffò scocciata, in un'altra occasione
avrebbe gradito tutta quella voglia di rendersi utile, ma non nelle
attuali
condizioni della ragazza. «Certo, ma tu aspetti un bambino,
ricordi? E devi
pensare a lui prima di ogni altra cosa, troverò il modo di
rendere utile la tua
presenza qui, credimi.»
Finalmente,
Dawn abbassò il capo non sapendo in
che altro modo obiettare. La donna era più testarda di lei e
non l'avrebbe
spuntata, questo l'aveva capito, quindi non le restava che arrendersi
al volere
della padrona di casa. In fondo aveva ragione, lei aspettava un bambino
e
doveva pensare a lui prima di chiunque.
Però...
cucinare non l'avrebbe stancata di certo e
lei era brava ai fornelli! Stava per partire di nuovo all'attacco,
quando la
voce altisonante di Scott la fece gelare sul posto.
«Dawn,
so che sei lì! Esci fuori!» Gridò il
ragazzo e dal suo tono di voce sembrava anche molto arrabbiato. Cos'era
successo? E come aveva fatto a scoprire dove alloggiava?
«Non ti muovere da qui.» Le intimò
Caroline, prendendo uno dei fucili appesi
all'entrata ed uscendo sul portico con l'arma nascosta dietro la
schiena.
«Cosa
ci fai qui, Scott? Sono anni che non vieni
più a farmi visita.» La donna fissò
attentamente il rosso e dall'espressione
furiosa capì che non era venuto fin lì per
prendersi le sue responsabilità.
«Non
sono venuto qui per parlare con te, Caroline,
voglio vedere Dawn.» Rispose lapidario il ragazzo, ostentando
una faccia tosta
da schiaffi. Schiaffi che lei gli avrebbe dato volentieri.
«Lo
Scricciolo non può ricevere visite in questo
momento, quindi sei pregato di tornare alla tua topaia
fatiscente.» Strinse di
più la presa intorno all'arma, non avrebbe voluto ricorrere
a quel mezzo per
spaventarlo ma a quanto pare si stava rivelando inevitabile.
«Non
mi muoverò da qui fin quando la bionda non
avrà levato le tende da questo posto!»
Gridò furioso e saccente lui, mandando
all'aria l'ultima briciola di pazienza della donna.
Imbracciò
il fucile e lo puntò contro Scott,
notando fiera la paura che gli attraversò le iridi azzurre.
«Conterò fino a tre
giovanotto, e se alla fine della conta tu non sarai su quel maledetto
pick-up
in direzione di casa, seppellirò il tuo cadavere sotto i
cavoli. Almeno
servirai a concimare la terra.» Lo minacciò,
caricando l'arma e posizionando
l'indice sul grilletto.
«Non
farai sul serio, spero! Nemmeno la conosci!»
Esclamò allibito il rosso, senza però muovere un
passo.
«Uno...»
Iniziò a contare Caroline, pregando che
il ragazzo non la costringesse a sprecare colpi a vuoto.
«Due...»
«Va
bene! Me ne vado, per ora, contenta? Tieniti
pure la svitata in casa se tanto ci tieni.» Scott
entrò con poca grazia
nell'abitacolo, chiudendo con forza la portiera.
«Torna
solo quando avrai deciso di prenderti cura
di loro due, o non azzardarti a rimettere piede nella mia
proprietà!» Lo
avvertì mentre guardava con tristezza il vecchio pick-up
nero lasciare la sua
fattoria. Com'era cambiato il suo Scott, non c'era più
quello sguardo dolce nei
suoi occhi ma solo odio e rancore verso il mondo. Strinse di
più il fucile tra
le mani, desiderando colpire quei bastardi dei suoi genitori. Ma non
tutto era
perduto, era convinta che lo Scricciolo avrebbe salvato quel ragazzo
dall'oscurità. Doveva essere così, altrimenti
perché una come lei si sarebbe
avvicinata ad uno come lui se non avesse percepito ancora del buono nel
ragazzo? Sì, tutto si sarebbe sistemato, qualcosa nell'aria
glielo diceva.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Anche
quella giornata era meravigliosa, pensò
Dawn, ammirando dalla finestra l'alba che si rispecchiava nelle acque
cristalline del lago. Erano passate ormai due settimane dal suo arrivo
in quel
paese e per fortuna aveva legato con tutti i dipendenti di Caroline ed
anche
con la donna, per quanto questa si sforzasse di non darlo a vedere.
Tutto andava
per il meglio, nausee mattutine a parte, anche se non riusciva a
dimenticare le
parole di Scott. Aveva udito tutto ciò che lui e Caroline si
erano detti il
giorno in cui questa lo aveva scacciato imbracciando il fucile, ed
anche se non
l'avrebbe mai ammesso apertamente, era rimasta molto ferita dal
comportamento
del ragazzo. Certo, sapeva che sarebbe stato difficile, soprattutto
perché il
rosso non aveva ancora realizzato appieno di star per diventare padre e
le
responsabilità che ciò comportava. Ma anche
quando l'avrebbe realizzato,
sarebbe cambiato qualcosa? Lei pregava la madre terra di sì,
perché voleva
davvero che suo figlio crescesse con un padre.
Si
portò un mano al ventre e sospirò.
«Farò del
mio meglio, piccolino.» Promise.
Non
si sarebbe arresa alla prima difficoltà ed
alla fine l'amore l'avrebbe spuntata, se tutto fosse andato per il
meglio...
no!
Andrà tutto bene!, si disse.
Caricata della sua solita positività, scese in cucina per
preparare la
colazione. In quelle settimane lei e Caroline avevano trovato un
equilibrio
abbastanza solido, lei preparava tutti i pasti della giornata ed in
cambio la
donna le permetteva di continuare a soggiornare lì. Non era
stato facile
convincerla, visto che ogni volta che aveva tentato di aprire bocca per
parlare
la burbera anziana le ordinava di stendersi o sedersi, senza ascoltarla.
Ma alla fine era riuscita a spuntarla, come sempre.
Lanciò un lungo sguardo alla cucina, trovandola ancora
deserta e senza traccia
di un qualunque recente passaggio, quindi Caroline stava ancora
dormendo e lei
si era di nuovo svegliata presto a causa della nausee che, puntuali,
ogni
mattina la tiravano giù dal letto alle cinque.
Si avvicinò al frigo e tirò fuori un po' di
pancetta, delle uova ed iniziò a
trafficare con i fornelli. Le sarebbe piaciuto cucinare anche per
Scott, ma
difficilmente lui sarebbe stato d'accordo. Be', prima o poi avrebbe
ceduto, ne
era certa. E poi... lei cucinava davvero bene!
***
C'erano
tantissime cose che infastidivano Scott, i
ratti che camminavano per la cucina ad esempio, o la mancanza di birra
in
frigo; come in quel caso. Diede un calcio alla porta
dell'elettrodomestico e
masticò qualche imprecazione, aveva bisogno di alcol per
superare quella
giornata che di bello aveva ben poco.
Non aveva quasi chiuso occhio quella notte, la mente era stata di nuovo
invasa
da pensieri che riguardavano Dawn, il bambino e di quanto lui fosse uno
stronzo
senza spina dorsale. Inoltre, sapere che in paese non si parlava
d'altro lo
rendeva furioso e nervoso, non poteva evitare di recarsi lì
per sempre e prima
o poi avrebbe dovuto scontrarsi con le vecchie megere che aspettavano
solo
l'occasione buona per rimbeccarlo. Come se ora, dopo anni, si
preoccupassero
della sua educazione. Patetiche.
Si passò stanco una mano tra i capelli, e decise di recarsi
alle stalle per dar
da mangiare a quei poveri e pochi animali che ancora possedeva. Gli
unici che
non lo guardavano con disprezzo o giudicavano, anche perché
a loro interessava
solo ricevere la propria razione di cibo e poter brucare in pace l'erba
che
cresceva nei suoi campi abbandonati, non interessarsi della sua vita
privata -
comportamento che molti avrebbero dovuto imitare -. Per fortuna di erba
lì ce
n'era davvero molta...
Afferrò velocemente il cappotto dall'appendiabiti ed
uscì di casa per dirigersi
nelle stalle, e come al solito la decadenza di quel posto
amplificò il suo
cattivo umore. Ricordava ancora lo splendore di quella fattoria, da
bambino si
sentiva così felice e fortunato di vivere lì
nonostante i suoi genitori, prima
che ogni traccia di candida gioia lo abbandonasse.
Sua madre e suo padre non si erano minimamente preoccupati della
gestione di
quel posto, spendendo tutti i loro soldi in viaggi, alcol, gioielli ed
altri
vizi che sicuramente non avevano mai potuto permettersi. Ed alla fine,
erano
arrivati al punto di non riuscire nemmeno a pranzare. Il risentimento
per i
suoi genitori era palese e molte volte aveva pensato di lasciare quel
posto, ma
per andare dove se non aveva un solo spicciolo? Era già
tanto che avesse
convinto i suoi a mandarlo a Toronto per il suo ultimo anno di liceo.
Aveva
lavorato mesi per racimolare la somma necessaria al viaggio, ed una
volta lì si
era mantenuto facendo qualche lavoretto part-time. Non era stato facile
lavorare per poter pagare l'affitto e studiare per riuscire a
diplomarsi, ma ce
l'aveva fatta - con buoni risultati, tra l'altro -. Ed era proprio
lì che aveva
conosciuto Dawn, ricordava ancora l'esatto momento in cui i suoi occhi
si erano
posati su di lei; quel giorno era in ritardo per l'inizio delle lezioni
ed
aveva percorso il vialetto alberato della scuola con una fretta che
aveva
tentato inutilmente di celare. Era sempre stato brillante negli studi,
anche se
negli ultimi anni i suoi voti erano calati visibilmente e solo in
quella città
così lontana era riuscito ad impegnarsi di più,
nonostante il lavoro, e non
voleva rischiare che un ritardo influisse sulla sua media.
All'improvviso, un
lucente raggio di sole - così insolito per quel freddo
giorno di dicembre -
aveva attraversato le pesanti nuvole scure per posarsi sulla familiare
testolina bionda che più volte aveva visto aggirarsi per il
liceo. Ed era stato
allora che i suoi occhi avevano incontrato la figura angelica della
ragazza.
Dawn se ne stava seduta contro un albero, gli occhi chiusi e
l'espressione
serena illuminata da quel raggio di sole sfuggito dal cielo. Le era
sembrata un
angelo, una creatura eterea scesa in terra per portare la pace. Era
rimasto
fermo a fissarla per molto tempo, dimenticandosi del ritardo, fino a
quando lei
non aveva aperto i suoi occhi grigi puntandoli su di lui e regalandogli
un
sorriso così dolce da ferirlo. Si era sentito sporco,
indegno di quel sorriso
così caldo e sincero, troppo corrotto per essere fissato da
una tale creatura.
Così, spaventato da simili emozioni, era scappato via
sperando di non
incontrarla mai più. Ma così non era stato,
perché entrambi frequentavano il
corso di botanica e si era ritrovato a parlare con lei più
volte, troppe volte,
scoprendo quanto la ragazza fosse forte nonostante il suo aspetto
fragile. Come
lui, anche lei era un'emarginata, tutti la etichettavano come "la
squilibrata delle auree" proprio perché la ragazza affermava
di poter
leggere l'aura di una persona. L'aveva provato sulla sua pelle quello
strano
"potere" e doveva ammettere che la bionda aveva visto cose del suo
passato che nessun altro sapeva, inquietandolo. Questo era stato uno
dei motivi
per cui aveva iniziato a trattarla con più freddezza del
solito, riprovando per
la prima volta dopo anni l'orribile sensazione del rimorso, ma Dawn non
si era
lasciata intimidire ed aveva continuato a parlargli e stargli vicino.
Era così
dolce e pura, ma allo stesso tempo forte e consapevole del male
umano.
Non poteva restare lì, lui non aveva nulla da dare
né a lei né al bambino, a
parte i guai. E quel piccolo esserino che cresceva dentro di lei
sarebbe stato
etichettato come un poco di buono solo perché figlio suo,
quindi l'unica cosa
di veramente utile che poteva fare per loro era tenerli lontani da se
stesso e da
tutto ciò che lo riguardava. Ormai non era più in
grado di amare ed alla fine
quel bambino avrebbe finito per odiarlo, proprio come lui odiava i suoi
genitori. Dawn, buona com'era, credeva davvero che sarebbe potuto
essere un
buon padre, ma si sbagliava. Doveva farle capire che la cosa giusta da
fare per
lei ed il bambino era andare via, lontano da lui e
dall'oscurità che lo
logorava dentro.
Entrò nelle stalle con un macigno nell'anima, ma si disse
che era causato solo
dall'amarezza e dal disgusto verso se stesso. Non era mai stato in
grado di
farsi amare, per quanto ci avesse provato, ed avrebbe trasmesso quella
maledizione anche a suo figlio, l'avrebbe corrotto e non poteva. Il
muggito
delle mucche gli ricordò che aveva un lavoro da fare e non
poteva perdersi in
simili pensieri in quel momento e né mai, in
verità.
***
«Vi
ho portato della limonata!» Esclamò Dawn,
avvicinandosi a Caroline e ai dipendenti della fattoria che quella
mattina si
trovavano occupati a rinforzare un recinto.
«Scricciolo,
non dovresti essere in casa a
riposare?» La riprese la donna, lanciandole un'occhiataccia
contrariata che per
poco non la fece sbuffare, cosa non da lei. Ma ormai erano giorni che
Caroline
le stava sul collo, dicendole quello che poteva o non poteva fare -
quasi nulla
- ed ormai non ne poteva proprio più. Stare ferma la rendeva
nervosa ed
inquieta, ancor di più perché era ospite di una
signora non più nel fiore degli
anni e lei odiava essere un peso.
«Lasciale
un po' di aria, Vecchiaccia!
L'angioletto sa che non deve stancarsi, e poi stare all'aperto
può farle solo
bene.» La difese Anderson, guadagnandosi un sorriso di
gratitudine da parte
sua. L'uomo e gli altri dipendenti prendevano spesso le sue parti
quando
Caroline le ricordava con insistenza di dover stare a riposo e non in
giro a
passeggiare o dare una mano. Si era ormai affezionata a tutti loro,
guadagnandosi l'appellativo di "angioletto" che all'inizio l'aveva
fatta imbarazzare un po'.
«E
va bene.» Si arrese in fine la padrona di casa,
prendendo un bicchiere di limonata dal vassoio che la ragazza stringeva
tra le
mani. «Ma appena ti senti anche solo un po' stanca torni
dentro, chiaro?»
Dawn
sospirò esasperata ed annuì, mentre
distribuiva a ad ognuno dei dipendenti un bicchiere della bevanda
rinfrescante.
Vederli tutti all'opera scatenava in lei il desiderio di aiutarli, ma
sapeva
che se solo ci avesse provato... be', Caroline l'avrebbe chiusa a
chiave in
camera. Quella donna si preoccupava troppo, ma era anche per quello che
le
voleva bene e non riusciva a capire perché i suoi figli ed i
suoi nipoti non la
comprendessero o apprezzassero.
«Lo
farà, non rompere sempre con le stesse
raccomandazioni, Vecchiaccia.» Di nuovo Anderson prese parola
al posto suo
facendo ridacchiare tutti, lei compresa.
«Torna
a chiamarmi Vecchiaccia e ti metto a
spalare letame per i prossimi sei mesi, chiaro Andy?» Lo
minacciò Caroline,
impugnando intimidatoria il martello. Quella donna era pericolosa con
qualsiasi
oggetto contundente - o non - tra le mani, da un fucile ad un martello,
ma lei
sapeva benissimo che non avrebbe mai usato nessuno dei due per far del
male
agli altri.
«Va
bene, scusa.» L'uomo alzò le mani in segno di
resa, anche se il suo sorrisetto malizioso e divertito faceva intendere
che non
si era arreso per nulla. Quei due formavano proprio una bella coppia,
si
ritrovò a pensare la ragazza, e sicuramente Andy provava
qualcosa per la
scorbutica padrona di casa.
«Sai
cosa? È meglio che vada a fare la spesa o non
risponderò più delle mie azioni.»
Borbottò la donna, lanciando la sua arma sul
terreno ed incamminandosi verso casa.
«Non
dovresti farla arrabbiare così, alla sua
età.» Disse uno dei braccianti, rivolto ad
Anderson, che scrollò le spalle
incurante.
«Quella
donna è più sana di te, credimi.»
Commentò
ironico lui con uno strano luccichio negli occhi, alimentando i
sospetti di
Dawn.
«Scricciolo?!»
La chiamò all'improvviso Caroline,
ferma a metà strada. «Allora, vieni o
no?» Chiese esasperata, come se avesse
dato per scontato che lei l'avrebbe seguita.
«Oh,
sì, certo!» Urlò a gran voce per farsi
sentire. Salutò gli uomini che avevano ripreso a lavorare e
corse dalla donna.
«Non sapevo volessi compagnia.» Si
giustificò una volta raggiunta.
«Non
potevo di certo lasciarti lì da sola, li
avresti convinti a farti fare qualcosa.» Fu il semplice
commento della donna.
Dawn
si ammutolì, non sapendo che dire. Era vero,
di sicuro alla fine avrebbe chiesto agli uomini di dare una mano,
convincendoli, e constatare quanto quella donna la conoscesse bene dopo
solo
una settimana in quel posto, la lasciava sbalordita. Era sicura che
nemmeno i
suoi genitori la conoscessero così bene, non dava la colpa
di ciò a loro naturalmente;
sapeva di essere una ragazza riservata e chiusa, quindi non poteva
incolpare
sua madre e suo padre per lo scarso rapporto "confidenziale" tra di
loro. E poi, non avevano proprio nulla in comune di cui parlare; lei
adorava la
natura, sua madre la detestava; lei nutriva un'amore incondizionato per
gli
animali, suo padre invece teneva lontano qualsiasi "bestiaccia"
pelosa e non. Inoltre credevano che sua nonna, ormai scomparsa da anni,
l'avesse ammattita con la storia del riuscire a vedere e leggere le
auree, di
conseguenza lei era solo una povera pazza da internare.
Sospirò tristemente, sapendo che tra lei ed i suoi genitori
non ci sarebbe mai
stata quell'intesa che vedeva nei telefilm. Almeno l'amavano, questo lo
sapeva
e doveva ritenersi fortunata, a Scott non era capitata la stessa
fortuna con i
suoi.
Il suo povero
Scott... così buono
e capace di infinito amore, dalla vita non ne aveva ricevuto nemmeno un
po'. Le
salirono le lacrime agli occhi al solo pensarci, nel pensare che un
povero
bambino innocente fosse dovuto crescere così in fretta,
scontrandosi col lato
gelido e crudele dell'essere umano fino ad esserne quasi del tutto
corrotto.
Quasi però, lei sapeva che c'era ancora del buono in lui, lo
aveva letto nei
suoi occhi prima che nella sua aura. Perché le bellissime
iridi blu di Scott
non avevano segreti per lei, e qualcosa nel profondo di se stessa le
diceva che
lui era l'amore della sua vita e che valeva la pena rischiare.
«Sali
in macchina, Scricciolo, non abbiamo tutta
la giornata.» Le ordinò Caroline, riportandola al
presente.
«Ti
perdi molto spesso in pensieri, eh?» Le fece
notare la donna, una volta che si fu accomodata accanto a lei.
«Be'...
credo di sì, a volte preferisco ragionare
da sola che con altri.»
La
donna annuì distrattamente ed esclamò:
«Bene! Perché dove andremo dovrai tenere la bocca
ben chiusa per evitare che ti
cavino con l'inganno informazioni di vitale importanza.»
Dawn
sgranò gli occhi allibita. «Ehm... stiamo
andando in centrale per un interrogatorio?»
«Peggio,
molto peggio...» Sussurrò con orrore
Caroline e questo agitò la bionda; qualsiasi cosa riuscisse
a far tremare di
paura quella donna, doveva essere tremendo.
***
La
vecchia e sudata Jamie Lynn, entrò in negozio
irritata da una infruttuosa caccia al tesoro avvenuta nella dispensa
dove
riponevano la merce appena arrivata.
«Patty! Santo cielo, dove hai messo il carico di gelatine
alla frutta appena
arrivato?» Chiese alla sorella, che se ne stava comodamente
seduta dietro alla
cassa a leggere una di quelle insulse riviste di gossip.
«Perché
vieni a chiederlo a me? Sei sempre tu
quella che supervisiona la merce, visto che io sono troppo "svogliata e
confusionaria". Se non erro furono queste le tue parole quando mi
offrii
di aiutarti.» Storse il naso infastidita, l'altra.
«Certo,
perché buttavi tutto alla rinfusa sugli
scaffali!» Si difese la donna, troppo stanca per portare
realmente avanti un
battibecco che si sarebbe dilungato per troppo, conoscendo Patty.
«Ad
ogni modo, io non so un bel niente delle tue
gelatine scomparse.» La sorella fece spallucce e riprese a
leggere la sua amata
rivista, incurante dei problemi che affliggevano la sorella maggiore.
«Oggi
è venerdì e sai cosa significa? Che se
quella vecchia bocca larga di Theresa non trova le sue amate gelatine
alla frutta,
ci molesterà i timpani per un bel po' sulla nostra
inefficienza nel procurare
alla cittadinanza ciò che serve per vivere.» Le
ricordò con stizza lei.
«Come se delle gelatine potessero addolcire il suo animo
orribile o aiutarla a
vivere meglio.» Pronunciò subito dopo tra
sé.
«Lo
sai che Theresa si lamenta per qualsiasi cosa,
sono anni che ti consiglio di ignorarla e dovresti finalmente darmi
ascolto.»
Tentò di calmarla Patty, senza nemmeno alzare lo sguardo
dalla rivista.
«Lo
sai che non ci riesco quando si tratta di lei!
Quella donna tira fuori il peggio di me.» Sbuffò,
sentendo arrivare il
familiare bruciore di stomaco legato alla donna anche solo nel pensarla.
Patty
sospirò al limite della sopportazione,
abbandonò finalmente la rivista sul bancone e si accinse a
rimproverarla per
l'ennesima volta sull'insensato odio tra lei e la lavandaia, ma venne
interrotta da Wanda, la moglie del sindaco, che fece il suo ingresso in
negozio
con la grazia e raffinatezza che sempre la distinguevano.
«Salve
signore.» Le salutò la donna, col solito
buonumore che la caratterizzava. «Spero che stamane vi siate
svegliate serene e
riposate, o comunque dell'umore adatto a sopportare la massa di gente
che tra
poco accorrerà qui.»
«Quale
massa di gente?» Chiese con orrore Jamie
Lynn, quel giorno non aveva proprio la forza di sopportare nemmeno il
ronzio di
un'ape figuriamoci un calca di gente impazzita come quella che viveva
lì.
«Quella
che irromperà qui dopo che Caroline e
l'amichetta del giovane Douglas se ne saranno andate.»
Rispose serafica la
donna, fissando indecisa due tipi diversi di yogurt dal banco frigo.
«Caroline
e la ragazza nuova stanno per entrare
qui?» Sua sorella scattò subito sull'attenti,
gettando la rivista tanto amata
nel cestino. Ovviamente che senso aveva leggere i pettegolezzi dei
personaggi
famosi quando in quel paese si stava scatenando una battaglia su chi si
sarebbe
fatto prima gli affari dei Douglas, di Caroline e della nuova
misteriosa
ragazza?
«Sì,
è quello che ho detto.» Wanda afferrò
una
confezione di yogurt ai mirtilli e si avvicinò alla cassa,
nello stesso istante
Caroline fece il suo ingresso nel negozio, seguita da un bionda minuta
e
graziosa.
«Buongiorno...»
Borbottò svogliatamente la burbera
donna, com'era suo solito.
«Buongiorno
a te, Caroline. Il buonumore è sempre
la tua caratteristica più... lampante.» La
salutò sarcastica sua sorella,
facendole roteare gli occhi al cielo disperata. Patty non sapeva mai
quando era
il momento di chiudere o aprire la bocca, e visto ciò che ne
usciva era meglio
se la teneva chiusa, la bocca.
«Sì,
gli abitanti di questo posto mi mettono tanta
allegria...» Rispose Caroline con lo stesso tono.
«Chi
è la graziosa ragazza che ti accompagna,
Carol?» Intervenne lei, sedando altre stupidaggini della
sorella e ponendo la
fatale domanda che fino a quel momento era rimasta muta in tutte loro
ma
chiaramente percepibile.
«Lei
è Scricciolo, un nuovo aiuto alla fattoria.»
Rispose lapidaria la donna, facendo subito capire che non avrebbe
rivelato
nient'altro sulla ragazza al suo seguito. Soprattutto nulla che potesse
alimentare le chiacchiere già in corso.
«Io
sono Dawn, piacere.» La vocina un po'
intimidita della ragazza spostò gli sguardi di tutte -
eccetto quello di
Caroline - su di lei. Jamie Lynn provò un senso di tenerezza
immediato verso di
lei, sicuramente essere al centro dei pettegolezzi di un paesino
straniero non
doveva essere facile per quella poveretta; e pensare che era
lì da meno di due
settimane!
«Ma
che carina sei!» Esclamò smielata sua sorella.
«Io sono Patty, e quel goblin scorbutico
laggiù», puntò lei
«è mia sorella
Jamie Lynn.»
La
biondina si lasciò scappare un risatina
divertita mentre Caroline sbuffava spazientita.
«Sì, sanno tutte chi siete, ora potreste svolgere
il vostro lavoro e chiedermi
il motivo per cui sono entrata qui dentro?»
Patty
alzò gli occhi al cielo e sospirò
teatralmente.
«Mia cara Caroline, non credo che la vecchiaia ti abbia reso
così demente da
non ricordarti più il motivo esatto per cui sei entrata nel
nostro negozio, ma
se proprio vuoi una mano... suppongo che tu sia qui per fare la
spesa.»
La
donna la fulminò con una delle sue tremende
occhiatacce prima di voltarsi verso di lei ed esclamare:
«Per quale motivo non l'hai ancora uccisa?»
«Me
lo domando ogni giorno anche io, credimi.» Le
rispose.
E
finalmente, dopo quell'inutile scambio di
battute, sua sorella si mise a lavorare, chiedendo alle due nuove
arrivate il
motivo del loro ingresso lì, come aveva chiesto Caroline. La
vecchia arpia,
come la chiamavano tutti eccetto lei, comprò le solite cose
ed uscì in fretta
dal negozio, trascinandosi bruscamente la ragazza dietro. Per chiunque
altro
quello sarebbe sembrato un gesto di scorbutica prepotenza, ma non per
lei;
conosceva troppo bene Carol da poter indovinare facilmente il motivo
delle sue
azioni. Aveva agito in quel modo solo per non permettere a loro - in
particolare a Patty o Wanda - di fare altre domande a Dawn o di
strapparle
promesse come "vieni a trovarci qualche volta, ti faremo fare il giro
del
paese". Caroline si era affezionata a quella ragazza e Jamie Lynn
pregava
che non soffrisse di nuovo come aveva sofferto - e soffriva tutt'ora -
per
l'abbandono dei figli. Stupidi ingrati, non avevano minimamente idea
dei
sacrifici che la donna aveva fatto per loro e non avevano mai imparato
a
comprenderla, troppo accecati dall'egoismo per capire che la faccia da
scorbutica allevatrice non era altro che un modo per proteggersi e
nascondere
emozioni che l'avrebbero resa più vulnerabile agli occhi
altrui. Lei la
conosceva sin da quando erano entrambe bambine, sapeva riconoscere ogni
emozione nascosta dietro un particolare gesto. Caroline era sempre
stata così,
si nascondeva dietro un muro di prepotenza per affrontare i genitori
troppo
severi e le malelingue verso la sua famiglia. Anche per questo motivo
si era
affezionata tanto a Scott, chi meglio di lei comprendeva la sofferenza
di quel
ragazzo? Ma, a differenza della donna, lui da piccolo non si era mai
nascosto
dietro muri di vetro, era sempre stato dolce ed ingenuo, forse troppo;
per
questo motivo quando alla fine l'oscurità aveva prevalso,
non era stato in
grado di vincerla.
La gente di quel posto si era dimenticata della bontà di
quel bambino ormai
uomo, di come tutti i giorni andasse lì a dare una mano in
negozio, sempre pronto
ad aiutare gli altri e rendersi disponibili per tutti. Anche lei si era
affezionata a Scott, e a differenza degli altri non aveva dimenticato.
Diede
le spalle alle donne appena entrate in
negozio per sapere, come aveva avvisato prima Wanda, altri dettagli
sulla nuova
ragazza. Amare lacrime percorsero il suo volto, ormai rugoso e segnato
dall'età, nel notare che tutti in quel posto erano
interessati solamente a
rompere la loro noiosa monotonia ficcando il naso negli affari altrui e
puntare
il dito su bambini innocenti, segnandone già il futuro. In
quel momento
desiderò tanto essere abbastanza forte da reprimere, anche
solo per qualche
attimo, le emozioni; ma a differenza di Caroline lei era sempre stata
la più
emotiva delle due. Si asciugò le lacrime e raggiunse la
sorella.
«È
una ragazza dolcissima.» Stava dicendo lei,
raccontando alle "clienti" appena entrate tutto ciò che si
era svolto
poco prima in quel negozio, teatro di troppi pettegolezzi negli ultimi
tempi.
«Non capisco proprio in che modo una ragazza simile si sia
lasciata incantare
dal figlio di quei due.» Continuò con sprezzante
odio sua sorella, venendo
appoggiata da qualche borbottio d'assenso.
«Forse,
dolce com'è, avrà creduto di poterlo
cambiare.» S'intromise Wanda, posando sul bancone un'altra
confezione di yogurt
ai mirtilli.
«Nessuno
può cambiare il sangue marcio di un
Douglas.» Commentò Linda, la moglie del
panettiere, e questo la fece infuriare.
Proprio lei avrebbe dovuto ricordarsi di come Scott fosse dolce e puro,
visto
che all'epoca il bambino passava quasi tutti i giorni al forno per dare
loro
una mano e poter racimolare qualche soldo.
Strinse
i pugni e si voltò verso quelle stupide
megere.
«Sangue marcio? Ma avete mai la decenza di pensare prima di
parlare? Avete
sempre trattato quel ragazzo, sin da piccolo, come un mostriciattolo
radioattivo e per cosa? Solamente perché era - ed
è - figlio di Ashley e
Vincent?» Lanciò loro uno sguardo carico di
disprezzo e le vide sgranare gli
occhi sorprese. «Quel bambino non ha mai chiesto altro che di
essere accettato,
aiutava tutti, anche chi lo trattava come un vecchio straccio e l'ha
sempre
fatto con il sorriso sulle labbra e voi... voi avete sempre riversato
su di lui
l'odio che provate verso i suoi genitori. Poi vi stupite di
ciò che è diventato,
non pensando nemmeno per un secondo che la colpa potrebbe essere anche
vostra.
Sangue marcio, dite, eppure io mi domando chi tra di voi non lo
sia.»
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
«Sicura
che non vuoi una mano?»
«Per
l'ennesima volta Dawn, no!» Rispose
esasperata la povera Caroline, portando in casa il sacchetto con le
poche
vivande prese al negozio di Lynn.
La
bionda trattenne un sorriso all'espressione
esasperata e buffissima dipinta sul volto della donna, per tutto il
tragitto
era stata silenziosa ed inquieta, sembrava che mille preoccupazioni
l'affliggessero e per quanto curiosa non aveva letto la sua aura.
Avrebbe
voluto fare domande o parlare di quanto le fossero sembrate simpatiche
le poche
persone incontrate al paese, soprattutto la vecchia Jamie Lynn,
scorbutica
quanto Caroline, ma il silenzio della donna le aveva fatto capire che
non era
in vena di chiacchierare.
Ma
forse ora sì, si
disse. E poi non riusciva più a stare in silenzio, cosa
alquanto strana per lei
che rimaneva sempre in disparte senza mai aprire bocca.
«Erano simpatiche le
due donne della drogheria.» Sospirò infine,
tentando di intavolare una
qualsiasi conversazione per mandar via quell'aria di cupa
preoccupazione calata
sull'anziana donna.
«Di
sicuro non quella bocca larga di Patty.» La
contraddì l'altra, entrando in casa.
«Quella donna non è mai stata in grado di tenere
la bocca chiusa, o il naso
fuori dagli affari che non la riguardavano.» L'improvviso
cipiglio severo e
risentito che sostituì la preoccupazione sul volto di
Caroline, le fece capire
che mettere in ballo le due donne conosciute in paese non era stata
un'idea
brillante; anzi. E solo in quel momento capì che forse la
cosa più giusta era
lasciarla da sola, in modo da poter tenere a bada preoccupazioni o
fantasmi del
passato.
«Ti
dispiace se vado su a riposare? Sono un po'
stanca.» Sorrise, sapendo già la risposta che
sarebbe arrivata.
«Mi
dispiace che tu sia ancora qui! Certo che puoi
andare a riposare, non devi nemmeno chiedermi il permesso!»
La riprese infatti
la donna, indicandole con l'indice le scale che portavano al piano
superiore.
«Forza, sparisci.» Le ordinò.
Dawn
si lasciò scappare una risatina e si affrettò
a salire in camera, qualcosa però le diceva che quel posto e
le persone che ci
abitavano nascondevano troppe cose dietro i loro visi gentili e
disponibili.
***
Uno
scoppio e la conseguente nuvola di fumo che
s'innalzò verso il cielo, peggiorarono l'umore
già di per sé cupo di Scott.
«Dannato
catorcio!» Imprecò il rosso, dando un
pugno al volante del vecchio trattore di famiglia. Il macchinario aveva
quasi
il triplo dei suoi anni ed era normale che desse dei problemi, ma ci
aveva
lavorato su tutta la mattina e vedere i suoi sforzi divenire vani era
uno
stress non indifferente per lui. Sfinito, si massaggiò le
tempie doloranti e
scese dal trattore per dirigersi in casa. Aveva bisogno di una birra,
era
l'unico modo che conosceva per calmarsi o avrebbe dato di matto. Per
qualche
strano motivo quella mattina, dopo aver dato da mangiare agli animali,
gli era
venuta la strana voglia di provare a dare un aspetto più
decente a quei campi,
di tosare l'erba e ararli. Prima di allora aveva sempre cercato di
fregarsene
della decadenza che lo circondava, ma non quel giorno a quanto sembrava.
Entrò in cucina e si diresse spedito verso il frigo,
pregustando già il momento
in cui le sue labbra si sarebbero posate sulla fredda bottiglia in
vetro ed il
fresco liquido ambrato bruciato la gola - anche se ormai non ci faceva
più caso
-, ma una volta aperto l'elettrodomestico gelò sul posto. La
birra era finita,
ed era una cosa che aveva già scoperto quella stessa
mattina, ma dimenticato a
causa degli impegni. Represse un grido di frustrazione e diede un
calcio al
frigo, vittima innocente della sua furia.
Ora era costretto a recarsi in paese per comprarla, cosa che non lo
entusiasmava per nulla, soprattutto dall'arrivo di Dawn lì.
Già poteva
avvertirle, le occhiate di odio e repulsione che i suoi compaesani gli
avrebbero lanciato, per tutta la vita aveva dovuto conviverci; anche
quando non
aveva fatto nulla di male. A volte si chiedeva chi fosse il vero
cattivo in
quel paesino di bifolchi pronti a puntare il dito, come in un'insensata
caccia
alle streghe.
Prese le chiavi del suo sgangherato pick-up e le strinse tra le mani,
indeciso
se cedere o meno alla tentazione di una stupida birra, poteva sempre
prepararsi
un limonata, stendersi sul divano e... oh, al diavolo! Non poteva
temere le
chiacchiere inutili di quelle persone proprio ora, soprattutto quando
cercava
di fare del bene invece del contrario. A passi ancora incerti,
uscì di casa ed
entrò nell'abitacolo, prendendosi qualche secondo prima di
accendere il motore
e partire.
Di che si preoccupava? Tanto quelle persone lo avevano sempre reputato
un poco
di buono e sapere di Dawn e del bambino di sicuro non li aveva
scioccati, ma
resi felici nel sapere che non si erano mai sbagliati su di lui. Aveva
dato già
spettacolo al liceo, dimostrando a tutti di essere il mostro che gli
avevano
sempre visto dentro, anche quando era solo un bambino. E non era
bastata la sua
parola o gridare di essere innocente per venire scagionato, no; lui era
un
Douglas non Scott e tale sarebbe sempre rimasto ai loro ipocriti occhi.
Fermò
il pick-up davanti alla drogheria di Jamie
Lynn e Patty e scese dalla vettura lentamente, guardandosi intorno e
notando
con sollievo che la strada era desolata. Meglio così, almeno
per il momento
avrebbe evitato le occhiatacce degli idioti di quel posto.
Entrò in negozio
senza nemmeno salutare, ormai erano anni che aveva smesso di farlo, e
raggiunse
spedito lo scaffale dove erano riposte le bibite.
«Oh,
ma guarda, il degno figlio dei suoi
genitori.» Quella voce... Scott gelò sul posto ed
alzò velocemente lo sguardo,
incontrando gli occhi scuri e carichi di cattiveria di Theresa.
Doveva
immaginarlo! Era troppo bello sperare di
poter avere un po' di pace. Ignorando la donna, afferrò con
rabbia una
confezione di birra e si affrettò a deporla sul bancone.
Doveva andarsene in
fretta da quel posto, o avrebbe commesso qualcosa di immorale e
cattivo,
proprio come tutti gli abitanti del paese si aspettavano.
«Certo,
ignorami pure.» Ripartì alla carica la
donna, offesa per essere stata bellamente ignorata.
«Ciò non cambia il fatto
che sei un bastardo, Douglas. Come hai potuto abbandonare una ragazza
dolce
come Dawn ed il vostro bambino? Certo la cosa non mi stupisce
più di tanto, tuo
padre ha sposato tua madre solo per la fattoria e non certo per il
marmocchio
che portava in grembo o per amore.» Commentò
maligna.
Scott
strinse i pugni, imponendosi di ignorare
quella strega. Sapeva già tutto sui suoi genitori, sapeva
che Vincent aveva
sposato Ashley solo per avere il controllo sulla fattoria ed i guadagni
ricavati da essa, non certo perché l'amava o
perché era stato disposto a
prendersi le proprie responsabilità.
"Non
vali nulla, se non fosse
stato per questa fattoria non avrei mai accettato di prendermi cura di
te o di
tua madre", quante
volte si era sentito
ripetere quelle parole? Troppe per un bambino, e non erano state
nemmeno le
peggiori.
«Theresa,
come ti ho già detto le tue dannate
gelatine alla frutta non ci sono, ed ora sparisci.»
S'intromise Jamie Lynn,
fulminando la lavandaia con rabbia.
«Sì,
me ne vado. Non voglio restare un minuto in
più qui dentro, potrei restare contagiata da tanta
malvagità.» Sputò velenosa
la donna.
«Tranquilla,
tu non corri questo rischio.»
Commentò Lynn, stampandosi in volto un sorrisino serafico
mentre gli occhi
ardevano di collera.
Theresa
sbuffò oltraggiata ed uscì velocemente dal
negozio, alleggerendo immediatamente l'aria senza la sua presenza.
«Allora,»
iniziò subito dopo Jamie Lynn. «Prendi
solo questa?» Puntò la birra con evidente
disappunto.
Scott
annuì brusco, senza mai alzare lo sguardo su
di lei.
«Bene.»
Si limitò a rispondere lei, anche se in
realtà la donna avrebbe voluto gridare il suo disappunto sul
consumo di alcol
da parte di un ragazzo di appena vent'anni. Ma rimase in silenzio, mise
la
birra in un sacchetto di carta e la porse al ragazzo. «Offre
la casa.»
«No!»
Gridò all'improvviso il rosso, facendo
sobbalzare Patty - che fino a quel momento aveva assistito a tutto in
disparte
- dallo spavento. «Non voglio debiti con nessuno.»
Detto ciò, il ragazzo sbatté
sgraziatamente cinque dollari sul bancone e se ne andò senza
nemmeno prendersi
il resto.
Si
rifugiò velocemente nel pick-up e strinse le
mani sul volante, trattenendo dentro tutta la collera che provava. Quel
"offre la casa" lo aveva fatto infuriare più delle
cattiverie di
Theresa, non voleva nulla da nessuno lui, già una volta lo
aveva fatto; aveva
pregato di essere accettato da quella comunità, di essere
visto come Scott e
non come un Douglas e loro lo avevano trattato come un batterio letale
che
andava annientato. Ed ora se ne uscivano con quelle stronzate
sull'offrire? No,
era troppo tardi per cercare di ripulirsi la coscienza prima di morire.
Ed era arrivato il momento di rifare una visitina a Caroline.
Mise in modo il vecchio rottame e partì verso la fattoria
della donna. Da
bambino ci aveva passato giorni interi lì, ed anche notti
quando i suoi erano
troppo ubriachi per occuparsi di lui. La zia Carol, come
la
chiamava una volta, era stata una delle poche persone - se non l'unica
- che
l'aveva trattato come un bambino normale, che lo aveva abbracciato,
accarezzato
e letto le favole della buonanotte prima di addormentarsi. Era stata
come una
madre per lui, le aveva voluto un bene immenso, fino a quando si era
reso conto
che quel posto non l'avrebbe mai accettato e di conseguenza nemmeno
lei, era
solo il rimpiazzo dei suoi figli. Da allora non era più
andato a trovarla e ne
aveva sofferto tantissimo all'inizio, poi tutto era passato, tutte le
emozioni
buone ed il dolore erano come sparite dal suo corpo e n'era stato
felice.
Ma ora... ora quelle emozioni stavano ritornando ancora più
forti dall'arrivo
di Dawn nella sua vita; il rimorso, la paura, la gioia, la tristezza...
il
dolore. Tutte si stavano ripresentando con prepotenza dentro di lui,
facendolo
vacillare e mandando in frantumi la maschera che si era costruito dopo
tanta
pena e sofferenza. E questo non riusciva a sopportarlo, riprovare
quella
dolorosa stretta al cuore, quell'agonia che toglieva il respiro... lui
non lo
voleva! Non rivoleva le emozioni nella sua vita, non quelle
almeno.
C'era stato un momento, da piccolo, in cui aveva immaginato di
diventare papà,
e nella sua fantasia infantile lui non si comportava come suo padre ma
ripeteva
sempre a quel bambino quanto fosse felice della sua nascita, che lo
aveva
voluto ed accettato. Ma all'epoca era solo un poppante che della vita
non aveva
ancora capito nulla, lui avrebbe anche potuto amare ed accettare quel
bambino
ma non gli abitanti di Yellowknife. Quindi, Dawn doveva andare via,
fuggire da
quel covo di serpi e crescere suo figlio in un posto migliore di
quello. E
sapeva che lei lo avrebbe amato con tutta se stessa, che sarebbe stata
- e lo
era già - una madre fantastica; ma lui, per quanto dentro
stesse morendo, non
poteva far parte delle loro vite. Scott Douglas era solo un mostro, un
reietto
ed un maledetto che non meritava di amare o di essere amato, avrebbe
portato su
di loro tutte le ingiurie che lui stesso aveva dovuto subire e che
continuava a
subire.
Fermò
il pick-up ed il corso dei suoi pensieri
quando si rese conto di trovarsi davanti alla fattoria di Caroline.
Spense il
motore e scese sbattendo la portiera per farsi sentire dalla donna se
mai fosse
stata in casa e non nei campi. Infatti, dopo poco, vide la chioma
grigia di
Caroline far capolino dalla porta lasciata aperta, ed appena gli occhi
appannati della donna si posarono su di lui un guizzo inquieto li
attraversò.
La
padrona di casa uscì sul portico incrociando le
braccia al petto. «Sei venuto qui per vedere cosa si prova ad
avere del piombo
nel sedere o per riprenderti ciò che è
tuo?» Gli chiese la donna.
Non
potrò mai prendermi ciò che mi
appartiene, pensò
cupamente. «Nessuna delle
due cose.» Rispose invece.
«Sono venuto per parlare con Dawn. Di nuovo.»
«No
che non ci parlerai, invece.» Lo contraddisse
Caroline. «L'ho mandata a riposare perché molto
stanca e provata, tu non puoi
nemmeno immaginare quanto sia impegnativa la gravidanza per una donna.
Non è
solo emozione, tutine e calcetti!» S'inalberò lei,
scendendo le scale del
porticato per venirgli incontro. «Vieni con me!»
Gli ordinò poi, tirandolo per
la manica della sua camicia.
«Ehi!»
Protestò, tentando di opporsi alla donna,
ma - proprio come la ricordava - questa aveva una forza quasi sovrumana
e non
poté far altro che seguirla. Si lasciò trascinare
fino al piccolo orto dietro
casa, quello che Caroline usava per se stessa e non per la sua azienda.
«Eccoci
qua.» Disse soddisfatta, lasciando la
presa alla sua camicia per abbassarsi a raccogliere qualcosa. Si
voltò
nuovamente verso di lui e gli lanciò una zappetta ed un
sacchetto di ciò che
riconobbe come semi.
«Ehm...
cosa dovrei farci esattamente?» Chiese in
confusione.
«Ma
lavorarci, no?» Esclamò Caroline con
ovvietà.
«Io sono vecchia ormai e non posso prendermi cura del mio
orto, quindi visto
che tu sei giovane, forte e disponibile potresti farmi questo
favore.»
«Già.
E perché mai dovrei farlo?» Borbottò
secco.
«Perché
magari potrei anche decidere di farti
parlare con Dawn.» La donna gli sorrise amabilmente e gli
puntò con un cenno
del capo gli attrezzi ai suoi piedi.
«Mi
stai per caso ricattando?» Scott iniziava a
sentirsi sempre più irritato, era andato lì per
parlare con la ragazza e si
trovava a discutere con la vecchia di giardinaggio!
«Prendila
più come uno scambio equo di favori. Ed
ora sbrigati!» Sbottò spazientita la donna.
Il
rosso imprecò tra i denti, s'inginocchiò ed
iniziò
a scavare un piccolo fosso nella terra usando la zappetta, sporcandosi
le mani
prive di protezione. «Potrei avere gentilmente dei
guan...» Un
paio di guanti bianchi con una stampa floreale ricamata sopra gli
arrivarono
dritti in faccia prima che potesse terminare la frase.
«Grazie!» Ringhiò tra i
denti, infilandoseli per riprendere a lavorare.
Caroline
rimase ferma a fissarlo, senza aprire
bocca e lui rimase altrettanto zitto, chiedendosi come fosse finito a
piantare
semi. Avrebbe potuto anche mandarla al diavolo ed andarsene, ma qualche
strano
motivo - che al momento non voleva scoprire - non lo aveva fatto, e di
certo
non credeva sul serio che alla fine la donna l'avrebbe fatto parlare
con Dawn,
la conosceva fin troppo bene.
«Non
hai ancora smesso di scappare dalle tue
paure?» Esclamò all'improvviso Caroline,
causandogli l'arresto di ogni muscolo.
Scott
sapeva benissimo a cosa si riferisse la
donna, gli dava del codardo perché preferiva mandare via
Dawn e sopportare le
critiche e le maldicenze - che prima o poi si sarebbero esaurite -
invece che
prendersi cura della ragazza e del bambino in arrivo.
«Lo
faccio per loro.» Rispose, affondando con
forza l'attrezzo nel terreno.
«Cazzate!
Lo fai per te stesso, perché per te è
meglio mandarli via che prenderti cura di lei e fare il
padre!» Gridò la donna,
pestando con forza il piede sui semi che aveva appena piantato.
Il
rosso si alzò di scatto, lanciando la zappetta
contro il muro vicino e fissando la donna con rabbia. «Credi
che per me sia
davvero così facile?! Sai cosa succederebbe se accettassi
Dawn ed il bambino?
Verrebbero etichettati come me! Quel povero esserino non
verrà mai accettato,
per quanto ci proverà non riceverà mai
amore!» Gridò, sentendo la gola
chiudersi subito dopo, come se il suo stesso corpo lo stesse
proteggendo,
evitando che altre parole uscissero e mettessero a nudo il suo animo
tormentato.
«E
tu credi che gli abitanti di questo posto
avrebbero dovuto darti amore incondizionatamente?» Gli chiese
Caroline,
spiazzandolo. «Erano i tuoi genitori quelli da cui volevi
amore, hai cercato
negli altri qualcosa che non avresti mai potuto avere davvero! Certo,
le
persone qui si sono comportate da perfetti stronzi, ma pensaci; se
avessi
ricevuto amore dai tuoi genitori ti sarebbe davvero importato
così tanto il
giudizio di quelle persone?»
Per
la prima volta dopo anni, Scott non seppe cosa
dire o come agire. Non aveva mai pensato di cercare inconsapevolmente
l'amore
dei suoi genitori, aveva sempre saputo di non essere amato da loro e da
piccolo
aveva creduto di averlo accettato. Aveva provato ad essere un buon
figlio,
ubbidiente e calmo, ma questo non aveva mai cambiato le cose.
«Ed
ora,» continuò la donna, «c'è
un bambino che
potrebbe crescere senza un padre, nella convinzione di non essere
riuscito a
farsi amare abbastanza dall'uomo che ha contributo alla sua nascita da
indurlo
a restare. Ci hai mai pensato?»
No,
non ci aveva mai pensato prima d'ora, aveva
pensato solo a se stesso; da perfetto egoista, proprio come suo padre.
«Non ho
nulla da offrire loro.» Si oppose debolmente con poca
convinzione, quasi
sussurrando quella frase.
«Una
spalla in più per quella ragazza ed un padre
per quel bambino è molto da dare, soprattutto nelle
condizioni di Dawn, che ha
lasciato tutto per inseguire un idiota e dare una figura paterna a suo
figlio.»
Caroline gli si avvicinò e gli posò le mani sulle
spalle. «Quella ragazza ti
ama, Scott, e quel bambino potrebbe amarti ma prima devi amarlo tu. Ora
vai a
casa e pensaci su, okay?» Gli suggerì con dolcezza.
Il
ragazzo annuì come in un trans, la sua mente
non era più lì, ma vagava tra le mille
convinzioni che in quegli anni si era
portato dentro, ormai quasi tutte distrutte.
Si allontanò dalla donna, da quell'orto, da quella casa, da
Dawn e risalì nel
suo pick-up per tornare a casa.
Caroline aveva ragione, constatò con fatica, lui aveva paura
e preferiva
fuggire. Paura di essere odiato da suo figlio e tradito da Dawn, se mai
un
giorno le avesse permesso di entrargli nel cuore, come avevano
già fatto in
troppi. Ma non lo avrebbe permesso un'altra volta, quello mai.
Arrivò
a casa con una confusione in testa che lo
stava facendo impazzire.
"E quel bambino potrebbe amarti, ma prima devi amarlo tu", le parole
di Caroline gli esplosero come un grido doloroso nella mente, tanto che
si
portò le mani alle orecchie per proteggersi. Lui non era in
grado di amare, ma
la verità era che voleva davvero amare suo figlio ed essere
ricambiato, ammise
a se stesso. Aveva sempre voluto solo quello: essere amato, ma ormai
aveva
troppa paura e respingeva chiunque per evitare di essere deluso ancora.
Finalmente, l'uragano di pensieri si arrestò e Scott
alzò lo sguardo verso il
salotto di casa, reprimendo un gemito di disgusto al caos che vi
regnava.
C'erano bottiglie di birra, cartoni di pizza o di altro cibo d'asporto
disseminati per il pavimento e negli angoli più impensabili
della casa.
Reprimendo un'imprecazione, afferrò un sacchetto per
l'immondizia da un
cassetto in cucina ed iniziò a dare una ripulita, cosa che
non faceva da tanto
tempo. Ma era una cosa necessaria, non poteva far vivere Dawn in un
posto del
genere, soprattutto non nel suo stato delicato. Ovviamente, la sua
preoccupazione andava soprattutto al bambino, non alla ragazza in
particolare,
si disse. Aveva accettato suo figlio, avrebbe imparato ad amarlo, ma
non si
sarebbe mai fidato di Dawn. Non si sarebbe fidato mai più di
un'altra persona.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
«Buongiorno,
Susanna. Dormito bene?» Chiese Dawn
alla sua interlocutrice, che alzò il muso e muggì
in quella che lei tradusse
come risposta affermativa. «Mi fa tanto piacere, mi permetti
di mungerti?» Le
chiese nuovamente, accarezzandole il naso umidiccio.
Quella
mattina la ragazza si sentiva felicissima,
Caroline le aveva permesso di rendersi utile mungendo le vacche. Be' in
realtà
solo una; Susanna, che la donna aveva reputato dolce e calma. Non aveva
mai
munto prima di allora, ma la burbera padrona di casa le aveva mostrato
come
fare ed era abbastanza tranquilla.
Posizionò
il secchio di latta sotto l'animale e si
accomodò sullo sgabello che si trovava lì vicino.
Non voleva ammetterlo però...
dover strizzare le mammelle di quella povera mucca la rendeva un po'
nervosa e
le faceva un certo senso, ma l'aveva promesso a Caroline e non poteva
tirarsi
indietro!
Fece
un bel respirò ed iniziò a mungere
delicatamente la povera Susanna, che se ne stava tranquilla a
mangiucchiare del
fieno lasciandola lavorare in pace. Non era così male, dopo
tutto, e nemmeno
particolarmente stancante, forse proprio per quel motivo Caroline le
aveva
permesso di rendersi utile almeno in quel modo. Avrebbe voluto far
molto di più
ed imparare più cose, così quando Scott avrebbe
finalmente accettato suo figlio
- e pregava anche lei - non si sarebbe trovata impreparata alla vita
che si
conduceva in una fattoria. Voleva essergli utile e non d'intralcio,
avrebbe
imparato tutto ciò che serviva.
«E
tu crescerai in un posto tranquillo e
salutare.» Disse, rivolta all'esserino che cresceva nel suo
ventre. Non poté
far a meno di immaginare un bellissimo bambino dai capelli rossi e gli
occhi
azzurri che correva dietro il padre, ansioso di imparare qualcosa e di
emulare
la figura paterna tanto amata. Una parte di lei la
rimproverò per quella
fantasia, non sapeva se alla fine il rosso li avrebbe voluti nella
propria vita
e sognare era prematuro e poco raccomandabile per il suo cuore. Non
voleva
rimanere ferita, ma non sapeva come impedirsi di vagare con la mente in
quel
modo o di pensare meno a Scott. Lei non era mai stata innamorata, i
ragazzi non
le erano mai interessati perché tutti quelli con cui aveva
avuto la sfortuna di
relazionare si erano dimostrati rozzi, indisciplinati e, cosa
più importante,
non l'avevano accettata per ciò che era né
capita. Non che Scott la capisse, ma
in qualche modo loro due si somigliavano, entrambi conoscevano la
solitudine ed
il dolore di non sentirsi accettati per ciò che erano, e
questo li univa più di
qualsiasi altra cosa. Tuttavia, ora lui aveva trovato qualcuno disposto
ad
accettarlo ed amarlo, qualcuno che avrebbe sempre voluto il suo bene
con
l'unica pretesa di essere amata allo stesso modo. Quello era il punto
criticò
però e lo sapeva, infatti non sperava troppo di essere amata
da lui,
l'importante era che il ragazzo amasse suo figlio.
Finì
di mungere e, con più fatica di quanto avesse
immaginato, tentò di sollevare il secchio di latte per
portarlo in casa come le
aveva raccomandato Caroline. E quella era forse la parte più
difficile visto il
peso del maledetto secchio, infatti non riuscì nemmeno ad
uscire dalle stalle a
causa delle braccia doloranti ed addormentate, quindi fu costretta a
fermarsi
davanti alle porte dell'edificio per riprendere fiato.
«Che
diamine stai facendo?» Le chiese una voce fin
troppo familiare, la stessa voce che ogni sera perseguitava i suoi
sogni e di
giorno affollava i suoi pensieri.
Dawn
alzò di scatto gli occhi, ritrovandosi
davanti la figura sorpresa del rosso. «Scott?»
«No,
un folletto irlandese.» Commentò ironicamente
il ragazzo, lanciando poi uno sguardo dubbioso al secchio accanto ai
suoi
piedi. «Serve una mano? Nelle tue condizioni non dovresti
alzare certi pesi,
giusto?» Commentò con una nota di disappunto.
La
bionda rimase imbambolata per un po', prima di
riuscire a rispondere, ancora incredula non solo di averlo
lì davanti ma anche
di vederlo preoccupato per le sue condizioni. «Sì,
non dovrei, ma non riesco a
starmene in casa a riposare senza far nulla.» Sorrise
imbarazzata, indossava
una delle camicie a quadri di Caroline, che le stava almeno di due
taglie più
grande, ed i capelli erano raccolti in uno chignon da cui ormai
sfuggivano
diverse ciocche. Non era esattamente così che si era
immaginata di incontrare
il ragazzo, ma tanto che importava? Lei non aveva mai badato al suo
aspetto
quindi era inutile farlo proprio ora, e poi lui era lì e
questo era già tanto.
Salvo che Scott non fosse venuto solo per chiederle di andare via, come
aveva
fatto giorni fa e questa volta non c'era nessuna Caroline a difenderla
quindi
sarebbe stata messa alle strette. Ma l'avrebbe affrontato,
perché non aveva
nessuna intenzione di andarsene!
Lo
sentì sospirare rumorosamente e lo vide
avvicinarsi a lei e sollevare il secchio che aveva lasciato a terra per
la
fatica. «Dove devo portarlo?» Chiese quasi
borbottando, come se le stesse
facendo un favore, anche se lei non gli aveva chiesto praticamente
nulla.
«In
casa...» Rispose stupita dal suo gesto, in
nessuno dei suoi sogni avrebbe mai immaginato una cosa simile - o forse
sì -.
Conoscendolo, non se lo sarebbe mai aspettato, ma Scott nel profondo
era buono
quindi non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Con lei la
parte del ragazzo
cattivo e senza pietà non funzionava, aveva visto di
più in lui, ed il fatto
che fosse lì a darle una mano lo dimostrava.
Seguì silenziosamente il ragazzo
dentro casa, tentando di tenere sotto controllo le sue emozioni e la
sua
euforia, se qualcuno avesse potuto leggere l'aura come lei avrebbe
notato
quanto fosse esagitata dalla presenza del rosso, e lei non aveva mai
provato
simili sensazioni verso qualcuno.
Entrarono
in casa senza più dirsi nulla, Scott
lasciò il secchio in cucina e ritornò in salotto
dove lei lo stava aspettando,
cercava di prepararsi ad una possibile discussione con lui, anche se la
cosa
non le piaceva affatto. Odiava litigare con Scott, soprattutto per il
bambino,
che era l'unica vittima innocente in tutta quella storia.
«Caroline
non c'è?» Chiese il rosso, comparendo
all'improvviso dietro di lei.
«No,
è andata in paese a sbrigare delle faccende.»
Spiegò, sentendo la mancanza della donna. Avere qualcuno che
ti difendeva era
rassicurante e ti faceva sentire protetto, ma lei non poteva contare
sempre su
Caroline. La verità era che in quel momento aveva un gran
paura, paura di
sentirsi dire le stesse cose che il ragazzo aveva detto alla padrona di
casa
solo una settimana prima.
«Prepara
le tue cose.» Le ordinò Scott, in modo
stranamente calmo.
Ecco,
lo sapevo, si
disse.
«Starai
da me. Hai vinto Dawn, mi prenderò cura di
te e del bambino.» La ragazza si voltò finalmente
verso di lui, sorpresa. La
gioia, le domande, i dubbi e le paure l'assalirono, ma si impose di non
pensarci e mettere tutto a tacere almeno per il momento. Alla fine lui
l'aveva
accettata anzi, aveva accettato il bambino ed era il motivo che l'aveva
spinta
fin lì, avrebbe dovuto fare i salti di gioia eppure... si
sentiva stranamente
vuota.
«Forza!»
La riscosse Scott. «Non ho tutto il
giorno, e preferisco che non arrivi il dittatore di questa casa, odio
ritrovarmi fucili puntati contro il cranio.»
«Scusami,
torno subito.» Come un fulmine, Dawn si
precipitò su per le scale e si chiuse in camera. Raccolse lo
zaino che aveva
portato con sé ed iniziò ad infilarci dentro le
poche cose che possedeva,
sentiva di avere le lacrime agli occhi e si diede della stupida; lui
aveva
deciso di prendersi le proprie responsabilità! Proprio come
aveva sempre
pregato, allora perché si sentiva così delusa ed
avvilita?
Finalmente
il suo bambino aveva un padre pronto ad
accoglierlo ed amarlo, e lei sapeva che Scott sarebbe stato un padre
fantastico.
«Allora
perché ho così tanta voglia di
piangere?»
Sussurrò reprimendo un singhiozzo. Sentiva un macigno sul
cuore e non sapeva il
perché, tutto ciò che aveva pregato accadesse si
era avverato, eppure sentiva
di aver perso. Perché?
Non
voleva che suo figlio fosse accettato ed
amato? Sì, ed era successo, almeno la prima. Lui aveva
accettato le proprie
responsabilità quindi non aveva lasciato tutto per nulla, e
doveva esserne
felice. Ma non lo era.
Si
mise velocemente lo zaino in spalla e scese
nuovamente in salotto, Scott era esattamente dove l'aveva lasciato e si
guardava intorno con aria malinconica. Curiosa, diede una sbirciata
alla sua
aura e vi trovò tristezza, commozione e rimorso. Tanto
rimorso.
«Eccomi.»
Scott si voltò subito verso di lei e la
fisso serio in volto per qualche secondo.
«Hai
pianto?» Chiese, sbalordendola. Era così
cristallina quel giorno? Di solito nessuno riusciva a capire se aveva
pianto,
anche se lo aveva fatto da poco, era sempre stata molto brava a
nascondere il
suo stato d'animo. Evidentemente quel giorno non c'era riuscita, e
visto tutte
le emozioni che la sconvolgevano dentro non le risultava difficile
crederci.
Non riusciva ad avere il controllo su emozioni o stati d'animo che non
si erano
mai manifestati prima di allora.
Si
schiarì la gola e scosse il capo. «No,
assolutamente no. Andiamo?» Uscì di casa sotto lo
sguardo attento del ragazzo,
che avvertiva qualcosa di strano in lei.
Dawn
raggiunse il pick-up nero di Scott e si voltò
verso la casa che per settimane l'aveva accolta e protetta, proprio
come aveva
fatto Caroline. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime,
stavolta per un
motivo completamente diverso. Sospirando, lanciò un'occhiata
al rosso che
l'aveva raggiunta.
«Scusami
un secondo.» Gli disse. «Ho qualcosa di
importante da fare prima di andare.» E sotto lo sguardo
allibito ed irritato di
lui, tornò di corsa in casa, prese il blocchetto di post-it
che la donna teneva
sulla credenza in cucina e lasciò un messaggio a Caroline,
informandola del suo
trasferimento nella fattoria dei Douglas. Lanciando un ultimo sguardo
alla
cucina ed al salotto, tornò di nuovo da Scott, il ragazzo la
stava aspettando
esattamente dove l'aveva lasciato pochi secondi prima.
«Possiamo
andare, ora?» Chiese con evidente
disappunto.
«Sì,
scusa.» La ragazza entrò nell'abitacolo ed il
rosso fece altrettanto, accendendo il motore e allontanandosi da quella
casa
immediatamente. Sembrava che Scott volesse mettere fine a quella storia
velocemente, come se portarla alla sua fattoria potesse in un attimo
far
aggiustare tutto. E forse era così, ma per quante cose si
risolvano, tante
altre si complicano e lei lo sapeva bene.
Aveva
appena raggiunto il traguardo che si era
prefissata il giorno del suo arrivo a Yellowknife, eppure il suo cuore
ed il
suo animo erano irrequieti. Non c'era la benché minima
felicità nel sapersi
vincitrice di questa battaglia, perché la guerra per
arrivare al cuore di Scott
era ancora lunga e non era detto che ne sarebbe uscita vincitrice.
Si
posò una mano sul ventre e chiuse gli occhi,
chiedendo in silenzio perdono al bambino che cresceva dentro di lei.
Senza di
lui non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi al ragazzo che amava, le
sembrava quasi
di usarlo e si sentiva un mostro per quello.
Scott
lanciò un'occhiata alla sua compagna di
viaggio, trovandola ad occhi chiusi con una mano poggiata sul ventre e
l'espressione quasi sofferente. «Stai bene?»
Chiese, tentando di nascondere
invano la sua preoccupazione.
Dawn
sussultò, come se fosse appena stata
svegliata da un sonno profondo e si guardò intorno confusa
prima di rispondere.
«S... sì, credo di sì.»
Accennò un sorriso e spostò la sua attenzione
verso il
panorama fuori dal finestrino.
Brutto
segno, si
disse. Non l'hai ancora portata a casa e
già sembra che tu abbia fatto
qualcosa di male.
Ma
cosa? Non aveva ancora aperto bocca né fatto
qualcosa che potesse disturbarla o ferirla. Forse era stato troppo
scorbutico a
trascinarla via dalla fattoria di Caroline senza darle il tempo di
salutare?
Forse, oppure si sentiva male? In fondo l'aveva sicuramente sconvolta
un bel
po' portandola via così in fretta.
«Sicura?»
Indagò di nuovo, odiandosi nel mostrarsi
così preoccupato. «Non ti senti male? Il bambino
sta bene?»
La
bionda si voltò nuovamente verso di lui,
sorridendogli in modo dolce e grato. «No, il bambino sta
benissimo e va tutto
bene, davvero.» Lo rassicurò.
Annuendo,
tornò a fissare la strada, ignorando il
sollievo che aveva provato a quelle parole.
Era
preoccupato per me o per il
bambino?, si
chiese Dawn anche se, ovviamente,
conosceva già la risposta. Ma la preoccupazione di Scott
verso il piccolo aveva
tranquillizzato la tempesta di emozioni che si era scatenata dentro di
lei.
Adorava questo lato di lui, quello premuroso e protettivo che il
ragazzo mai
avrebbe ammesso di avere.
Se
solo gli altri vedessero ciò che
vedo io...
Una
cosa su gli abitanti di quel posto l'aveva
capita; davano molta importanza alla prima impressione di una persona e
se
questa era negativa allora escludevano il poveretto - o poveretta -
dalla
comunità. Ed era quello che era successo a Scott, tutti lo
giudicavano per gli
errori dei suoi genitori e questo era ingiusto. Eppure c'era
qualcos'altro, ne
era certa, qualcosa che aveva cementato l'odio degli abitanti verso il
rosso e
che non aveva nulla a che vedere con i suoi genitori, ma cosa?
Spostò
nuovamente lo sguardo fuori dal finestrino
e riconobbe la fattoria del ragazzo, anche se l'aveva già
vista una volta fu
comunque sorpresa e dispiaciuta della decadenza di quel posto. I campi
accanto
alla proprietà erano completamente abbandonati e le
strutture avevano urgente
bisogno di una riverniciatura e non solo...
«Benvenuta
nella vostra nuova dimora,
principessa.» Esalò sarcastico il ragazzo,
parcheggiando il pick-up accanto
alla casa padronale.
Dawn
scese dall'abitacolo ed attese che Scott
facesse lo stesso, non le andava di entrare in casa per prima o di
precederlo,
non voleva dargli l'impressione di considerare quel posto
già casa sua. Anche
perché era abbastanza difficile definirla casa e non
catapecchia fatiscente,
sarebbe stata sicura per un bambino? Pregava di sì.
Come richiamato, il suo sguardo venne di nuovo attirato verso i campi
abbandonati ed una strana apprensione l'assalì. Dopo aver
passato due settimane
da Caroline, e vedendo il modo impeccabile in cui gestiva la sua
fattoria, le
sembrava orrendo lasciare quel posto così deturpato.
«Ehi,
non vuoi entrare?» La voce di Scott la fece
sobbalzare e si voltò verso di lui, trovandolo sotto il
portico ad attenderla.
Si affrettò a raggiungerlo e lo seguì in casa;
visto l'esterno della casa si
era aspettata lo stesso abbandono anche dentro, invece dovette
ricredersi. Il
mobilio, per quanto vecchio e consumato, era lucido e pulito,
così come il
soggiorno. Anche la moquette era pulita e priva di macchie.
«Lo
so, non è di certo una bella casa, ma dovrai
accontentarti.» Sbottò irritato Scott,
fraintendendo la sua ispezione, senza
nemmeno guardarla in volto. Sembrava addirittura imbarazzato e qualcosa
diceva
che non era per l'aspetto della casa, non del tutto almeno.
Senza
riuscire a frenarsi, diede nuovamente una
sbirciatina alla sua aura. Non doveva farlo, lo sapeva, ma con Scott
non
riusciva proprio a frenarsi, voleva sapere ciò che il
ragazzo provava per
aiutarlo o confortarlo in qualche modo. Era stata proprio la sua aura
ad
attrarla, così cupa, tormentata ed infelice. Le uniche volte
in cui aveva
notato della felicità in essa era quando superava
brillantemente gli esami
scolastici, allora la sua aura brillava e lei ne rimaneva affascinata.
Anche
ora, quello che vi lesse dentro la commosse e affascinò come
sempre.
«No,
è tutto perfetto ed in ordine. Pulisci tu
casa?» Chiese, immaginando la risposta che avrebbe ricevuto.
«C...
cosa? Ti sembro uno che pulisce case? Ma per
favore, sono solo un tipo ordinato.» L'espressione
sconcertata ed imbarazzata
di lui era talmente buffa che dovette fare appello a tutto il suo
autocontrollo
per non ridere. «Puoi sistemare le tue cose nella tua stanza;
sali al piano di
sopra, è l'ultima porta a destra.»
Borbottò prima di sedersi sul divano ed
accendere la televisione, un chiaro segno che non l'avrebbe
accompagnata.
Seguendo
le sue indicazioni, salì le scale ed
entrò in camera; la stanza era molto semplice e spaziosa,
dato che gli unici
mobili presenti erano il letto e l'armadio. Sospirando,
lasciò cadere lo zaino
sul letto e si avvicinò alla finestra.
«Oh,
no...» Esclamò alla vista dei maledetti campi
abbandonati. Sembrava quasi che la stessero perseguitando, sicuramente
le
chiedevano aiuto visto la situazione orribile in cui versavano.
«E va bene...»
Uscì
di fretta dalla stanza e tornò al piano
inferiore, trovando Scott ancora seduto davanti al televisore con lo
sguardo
perso altrove, di certo non poteva interessargli la televendita di
pentole
antiaderenti che stavano trasmettendo.
Cercando di fare meno rumore possibile, uscì di casa e si
diresse verso di
campi che la stavano perseguitando. Non sapeva esattamente cosa fare,
tutto ciò
che vedeva erano le erbacce e forse avrebbe dovuto iniziare proprio da
quelle.
Avanzò verso il centro del campo ed iniziò a
strapparle a mani nude, da sola
non avrebbe fatto un granché ma almeno avrebbe acquietato
quella strana ed
orribile sensazione allo stomaco.
Scott
spense il televisore e lasciò che un ringhio
di frustrazione uscisse dalle proprie labbra. Stava tentando di capire
in che
modo poter mantenere Dawn ed il bambino durante i prossimi mesi, ma la
stupida
e fastidiosa voce maschile che elencava i pregi di una cottura senza
grassi non
riusciva a farlo concentrare. I soldi che aveva messo da parte negli
ultimi
anni stavano per finire e quei pochi rimasti di certo non lo avrebbero
aiutato
a crescere un bambino.
Dannazione! Era proprio questo che intendeva quando aveva detto a
Caroline di
non aver nulla da offrire, però ormai aveva preso la sua
decisione e non poteva
di certo tirarsi indietro. Avrebbe trovato di certo una soluzione, per
il
momento era meglio evitare di pensarci o si sarebbe innervosito.
Abbandonò il
capo sui cuscini del divano e si godette la tranquillità ed
il silenzio che
regnavano in casa.
Un momento... silenzio e tranquillità? Non poteva essere
così visto che ora
abitavano in due in quella casa, ed anche se Dawn era silenziosa al
limite
dell'inquietante, in casa si sarebbe dovuto percepire almeno un piccolo
rumore.
«Dawn?»
La chiamò, tentando di apparire scocciato
come al solito, ma non ricevette risposta. Sbuffando,
abbandonò la comodità del
sofà e salì le scale che portavano al piano
superiore. Aprì lentamente la porta
della camera di Dawn e rimase di sasso non trovando la ragazza
lì.
«Dove
diamine si sarà cacciata?» Ringhiando per
l'ennesima volta, tornò al piano inferiore ed
entrò in cucina per vedere se la
bionda fosse lì, ma ancora una volta di lei non vi era
nessuna traccia.
Si portò un mano alla tempia ed inizio a massaggiarla piano,
tutto quel
preoccuparsi non era né da lui né nella sua
routine giornaliera e si sentiva
già sfinito. Lanciò uno sguardo fuori dalla
finestra, cercando di distrarsi
guardando l'erba che cresceva incolta nei suoi campi, gli insetti che
vi
volavano intorno ed una testa bionda che se ne stava sedu... una testa
bionda
che ne stava seduta lì in mezzo? Scott strinse gli occhi per
cercare di mettere
meglio a fuoco ciò che vedeva, e finalmente trovò
Dawn.
«Ma
che cavolo fa quella svitata?» Come un
fulmine, raggiunse la ragazza tra l'erba alta quasi quanto lui.
Nonostante il
rumore provocato dai suoi piedi che calpestarono e spezzarono
l'erbaccia secca,
Dawn non si accorse della sua presenza; troppo impegnata nel suo
intento,
impossibile, di ripulire il campo.
«Cosa stai facendo?» Le chiese, tentando di tenere
a bada l'irritazione. La
bionda sobbalzò e si voltò con aria colpevole
verso di lui.
«Ecco...
non lo so nemmeno io.» Gli rispose,
ridendo in modo nervoso. «So solo che non riuscivo a guardare
questi campi
senza provare una strana ed odiosa sensazione alla bocca dello stomaco.
Così ho
deciso di darmi da fare.»
Scott
rimase per un attimo colpito. Anche lei
provava la stessa sensazione fastidiosa che provava lui ogni volta che
apriva
gli occhi e si rendeva conto dello stato di abbandono in cui versava la
fattoria?
«Molto
nobile da parte tua, ma non puoi fare tutto
da sola. Anche se il campo non è enorme servono comunque
macchinari adatti, o
più persone che facciano quello che stai facendo
tu.» La informò. «Inoltre sei
incinta, dovresti pensare al bambino e non a delle erbacce.»
«Lo
so, ma se non lo faccio so che non riuscirò a
stare tranquilla, quindi non preoccuparti e torna dentro.» La
bionda si rimise
a lavorare, ignorando la sua presenza e le sue parole.
«Io
non mi preoccupo per te, e se vuoi stancarti
inutilmente mettendo in pericolo anche la vita di nostro figlio, fai
pure. Io
torno dentro eccome.» Sbuffando irritato, il rosso
tornò dentro, ignorando la
vocina interiore che gli diceva di aiutarla e non abbandonarla
lì in mezzo alla
polvere e gli insetti.
Nostro
figlio, Dawn
non riusciva ancora a credere alle parole uscite dalla bocca di Scott.
Era
sicura che il ragazzo non se ne fosse reso conto, ma lei sì
e quelle parole
avevano un suono meraviglioso e pregò di poterle risentire
di un nuovo un
giorno.
«Sì,
Scott, è nostro figlio.» Mormorò prima
di
rimettersi al lavoro.
«È
una pazza, una anche molto malata!» Esclamò
irato il rosso, sbattendo la porta dietro di sé.
«Vuole spezzarsi la schiena a
strappare stupide erbacce? Faccia pure, io ho smesso di provare ad
essere
gentile.»
Il
ragazzo entrò in cucina e prese una bottiglia
di birra prima di risedersi sul divano ed accendere la televisione.
Quella
ragazza era completamente fuori, più di quanto si era
immaginato, davvero
credeva di poter cambiare quel posto da sola? Era una visionaria
affetta da
miopia, l'unica spiegazione ad una tale pazzia. Bastava solo uno
sguardo veloce
a quel posto per capire che erano tutte fatiche sprecate, tutto andava
buttato
giù e ricostruito daccapo e lui non aveva nemmeno i soldi
per riverniciare la
porta d'ingresso.
Quella stupida, poteva benissimo rimanere fuori tutta la notte, presto
anche lei
si sarebbe arresa all'evidenza. Inoltre stava anche iniziando a fare
freddo,
quindi sarebbe dovuta entrare per forza in casa.
La
conosci, Scott, è in grado di
restare fuori anche con venti gradi sotto lo zero, lo
mise in guardia la sua coscienza, miracolosamente tornata in vita nelle
ultime
settimane.
«Non
mi interessa, può anche trasformarsi in un
pupazzo di neve.» Borbottò a se stesso, dandosi
dell'idiota nel sentire l'eco
delle sue parole riecheggiare tra le pareti del soggiorno. Dawn lo
faceva
impazzire come poche cose al mondo, non riusciva mai a capire a fondo
ciò che
le passava per la testa mentre lei era in grado di prevedere ogni sua
mossa,
anche prima di lui. E non capiva perché preferisse rimanere
fuori al freddo in
mezzo alla polvere, incinta per di più! Le sarebbe potuto
accadere di tutto, si
stava comportando in modo irresponsabile.
«Oh,
al diavolo!» Spense il televisore ed uscì
nuovamente di casa. Se le fosse successo qualcosa Caroline lo avrebbe
scuoiato
vivo e non poteva permettere che accadesse, non voleva avere nessuno
sulla sua
coscienza appena ritornata. Si fece spazio tra l'erba alta del campo e
le si
sedette di fronte, imitando il lavoro della ragazza.
«Non
una sola parola.» L'avvertì senza nemmeno
guardarla.
«Non
ne avevo intenzione.» Rispose lei, con un
sorriso stampato in viso che lui non vide.
***
«Ehi
Vecchiaccia!» Anderson entrò in casa di
Caroline senza nemmeno bussare, non l'aveva mai fatto e non avrebbe
iniziato di
certo ora. Inoltre la donna non si era mai lamentata, e questo a lui
bastava.
«Cosa
diamine hai da urlare?» Chiese irritata
Caroline, seduta al tavolo della cucina con un'espressione stranamente
compiaciuta ed un foglietto tra le mani.
Andy
avanzò lentamente verso di lei, notando
qualcosa di strano nella donna, gli sembrava più rilassata.
Come se le mille
preoccupazioni che l'affliggevano fossero magicamente sparite, ma aveva
anche
un qualcosa di nostalgico nello sguardo.
«Ero
venuto a chiederti dell'angioletto, non l'ho
vista stamattina e mi sono preoccupato.» L'uomo prese posto
accanto a lei.
«Se
ne è andata, Andy. Finalmente ha preso il
posto che le appartiene.» Caroline sorrise enigmatica, come
se stesse
nascondendo un segreto che non aveva intenzione di rivelare a nessuno.
«Come
andata?» Si allarmò l'uomo. «Non dirmi
che è
tornata a casa!»
La
donna alzò gli occhi al cielo esasperata e
sbuffò. «No, vecchio idiota.» Gli porse
il bigliettino che aveva tra le mani e
sorrise soddisfatta.
Anderson
afferrò il piccolo post-it tra le mani e
si infilò in fretta gli occhiali da vista, senza non
riusciva a distinguere
nemmeno una vocale. Lesse in fretta il biglietto, rimanendone sorpreso.
«Scott
ha accettato di prendersi le sue
responsabilità?» Commentò allibito,
nonostante sapesse che il ragazzo era
tutt'altro che cattivo, aveva dubitato seriamente di lui. Aveva creduto
che
Dawn sarebbe rimasta lì per un bel po', anche per sempre,
insieme a suo figlio.
Invece si era sbagliato e non poteva esserne più felice.
«Sì,
non ho mai dubitato di quel cretino. Sapevo
che alla fine avrebbe ripreso ciò che era suo.»
Caroline riprese il post-it
dalle mani dell'uomo e sospirò felice. Finalmente Scott
avrebbe avuto la
famiglia e l'amore che aveva sempre desiderato, doveva solo superare le
sue
paure ed aprire il cuore. Non sarebbe stato facile ed avrebbe commesso
tanti
sbagli, ma la zia Carol era pronta a rimediare e riportarlo sulla retta
via.
Dawn era l'unica in grado di aiutare il ragazzo, e per fortuna aveva un
gran
cuore ed un'immensa pazienza, ma anche lei aveva bisogno di essere
aiutata ed il
rosso era perfetto per il compito. Quei due si completavano, lei non
aveva mai
creduto alle anime gemelle ma stava per ricredersi.
«Come
mai sei sempre stata sicura di lui?» Le
chiese Andy.
«Perché
ogni volta che si guardano, tutto intorno
a loro brilla e l'unica cosa che si può leggere nei loro
occhi e l'amore che
provano l'uno verso l'altro. È quasi magico.»
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
«Cazzo,
ho la colonna vertebrale a pezzi.» Si lamentò
Scott, stirando la schiena all'indietro nel tentativo di alleviare la
sensazione di dolore ed intorpidimento che provava. Tentativo che
fallì miseramente. «Dawn, torniamo dentro. Ormai
è sera e non abbiamo risolto granché, proprio
come ti avevo detto.» Borbottò.
La
ragazza annuì e si alzò in piedi, anche a lei
faceva male la schiena e più volte la tentazione di lasciar
perdere tutto e di rientrare era stata forte, ma era riuscita a non
cedere. Seguì Scott dentro casa, ringraziandolo in silenzio
per l'aiuto che le aveva dato, la sua compagnia era stata di conforto
nonostante avesse tenuto il muso per tutto il tempo. Adorava proprio
quello di Scott, il suo essere così scorbutico, cafone e
maleducato fuori ma premuroso dentro. Sapeva che il ragazzo odiava quei
lati di lui, che avrebbe preferito fregarsene completamente ma non era
nella sua indole, già stata modificata troppo a causa degli
eventi passati. Chissà cosa si provava a doversi nascondere
sotto una maschera, ogni giorno, per proteggersi dal mondo esterno.
Doveva essere orribile.
Lei non si era mai nascosta, non perché fosse migliore o
più matura, semplicemente non ne vedeva il motivo, a cosa
sarebbe servito poi? Avrebbe ugualmente sofferto a causa della
sensazione di soffocamento, nessuno poteva indossare una maschera a
lungo senza che, prima o poi, questa pesasse. E Scott stava
già avvertendo il senso di oppressione e confusione dettato
dalla sua testa e dal suo cuore, che erano entrati ormai in conflitto.
Dawn ovviamente faceva il tifo per il cuore, voleva vedere la maschera
del ragazzo cedere, ma quando ciò sarebbe avvenuto come
avrebbe reagito il rosso? Avrebbe accettato i propri sentimenti? La
scoperta di riuscire ancora a provare qualcosa? Il suo essere umano?
Perché
era questo Scott, un semplice essere umano; incapace di eliminare le
emozioni che più detestava, quelle che secondo lui non
valeva la pena provare. Per prima l'amore, che l'aveva sempre ferito
più di tutte, quell'amore che aveva sempre cercato negli
altri e che mai aveva ricevuto in cambio. Ed anche quando
ciò era avvenuto, era stato troppo breve per poterne
conservare il ricordo; Caroline lo aveva amato e Dawn lo sapeva, ma
sembrava che quell'amore non fosse stato abbastanza forte da strappare
il ragazzo dall'oscurità in cui era caduto.
«Vado
a farmi una doccia, tu preparati pure qualcosa.»
Grugnì in modo quasi incomprensibile il rosso, dirigendosi
verso il bagno e lasciandola sola in mezzo al salotto. Non sapendo cosa
fare, prese alla lettera le parole di Scott e si diresse in cucina per
prepararsi qualcosa, appena aprì il frigo le parve chiaro
che il cibo scarseggiasse in quella casa. L'indomani si sarebbe recata
in paese ed avrebbe comprato qualcosa, per il momento doveva
accontentarsi delle due cosce di pollo che se ne stavano solitarie su
un ripiano del frigo, di alcuni pomodori ed un po' di lattuga.
Accese
il fuoco e mise a cuocere il pollo, quindi iniziò a
preparare un'insalata con i pomodori e la lattuga. Non sarebbe stata
una gran cena, ma era la prima che lei è Scott avrebbero
fatto come una vera famiglia...
Il
solo pensiero la emozionò e le mani tremarono un po', ma
continuò la sua opera con estrema cura e dedizione; anche se
con poco avrebbe preparato la miglior cena di sempre!
***
La
doccia non era stata rilassante come Scott si era immaginato anzi, con
la schiena a pezzi era stata dura riuscire a lavarsi in zone di solito
di difficile accesso. Tutto merito di quella pazza bionda, sperava
fosse già andata a dormire così lui avrebbe
potuto vedere la televisione in santa pace e magari bevuto un po' di
birra, per rilassarsi.
Si
avvolse un telo di spugna alla vita ed uscì dal bagno,
appena varcò la soglia venne subito investito da un
profumino delizioso che gli fece brontolare lo stomaco come mai prima
d'ora. Credeva di non aver appetito dopo lo stress subito tra le
erbacce, invece quell'odorino aveva risvegliato il suo stomaco, di
sicuro c'era lo zampino di Dawn e qualsiasi cosa stesse cucinando
doveva essere delizioso. Entrò in cucina a passo lento e
felpato, la prima cosa che catturò la sua attenzione fu la
tavola, coperta da una tovaglia rossa a quadri bianchi –
quella che sua madre aveva sempre odiato e mai usato –,
apparecchiata per due. Era da molto tempo che non vedeva una scena
simile, aveva smesso di mangiare a tavola con i suoi all'età
di sei anni, quando anche sua madre aveva cessato di prendersi cura di
lui per guadagnarsi le attenzioni del marito. Dawn, che fino a quel
momento gli aveva dato le spalle per concentrarsi interamente sulla
cena, si voltò verso di lui e gli sorrise come sempre. Una
persona normale avrebbe sobbalzato visto il modo silenzioso in cui era
entrato, ma non Dawn, per quanto potessi arrivarle di spalle in
silenzio lei avrebbe sempre percepito la tua presenza e questa era una
delle stranezze più assurde della ragazza. Per lei,
ovviamente, era tutta una questione di auree.
«Oh,
ti sei già lavato?» Chiese la bionda, aveva le
guance leggermente rosse e distoglieva spesso lo sguardo da lui. Scott
sghignazzò, ricordando di essere coperto solo da un misero
telo di spugna.
Quindi
Dawn non era così indifferente come sembrava, forse anche
lei ricordava ogni singolo giorno l'unica notte che avevano passato
insieme. Be'... visto il risultato di quella notte, se la ricordava
eccome. Lui invece, la ricordava per motivi differenti che non avrebbe
mai ammesso.
«Siediti
pure, Scott, la cena è pronta; non è molto ma
domani provvederò.» Gli ordinò
premurosa la ragazza, che aveva già recuperato tutto
l'autocontrollo ed ora lo fissava negli occhi senza nessun imbarazzo.
Questo
un po' lo irritò, per una sola volta avrebbe voluto vederla
perdere il controllo. Sembrava che nulla riuscisse ad intaccarla, o
comunque ad intaccarla a lungo. Sembrava così algida in
alcuni casi, anche se non lo era in alcun modo, e sembrava non poter
provare emozioni intense ma lui sapeva che non era così, la
Dawn che aveva tenuto tra le braccia due mesi prima era l'esatto
opposto di quella seduta ora a tavola. In quel preciso istante gli
sarebbe piaciuto stringersela contro e mandare all'aria tutta quella
sua compostezza quasi eccessiva, a tratti finta, per poter di nuovo
sentire il sapore delle sue labbra ed il completo abbandono del suo
corpo. Ma non poteva, mai più avrebbe assaggiato le labbra
di Dawn o toccato la sua pelle nivea e morbida né aspirato
l'odore di camomilla dei suoi capelli. Non poteva permettersi di
perdere nuovamente il controllo, anche perché ora si trovava
in quella situazione a causa della sua stupidità.
Donne.
Da sempre spingevano gli uomini a commettere i peggiori errori,
affascinandoli e rendendoli dei perfetti imbecilli. Lui più
di chiunque altro sapeva cosa significasse farsi raggirare da una
femmina, essere così affascinato da pendere totalmente dalle
sue labbra, rimbambirsi ad un punto tale da non rendersi conto della
tela che pian piano ti sta tessendo attorno, fino a quando non
è troppo tardi. Quell'errore, era stato il più
grande della sua vita, quello che aveva definitamente fatto appassire
il suo cuore.
«Forza,
non restare lì impalato o si
raffredderà.» La voce di Dawn, calma, dolce ed
anche stranamente felice, calmò la tempesta di odio e
rancore che si stava agitando dentro di lui, e come un automa si
sedette. Mangiò in modo silenzioso e fin troppo lento, non
alzando mai lo sguardo sulla ragazza, anche se aveva avvertito lo
sguardo su di sé per tutto il tempo. Senza complimentarsi
per la cena o ringraziarla, si alzò e si diresse in
soggiorno per guardare la televisione. Lei non si lamentò
né gli chiese com'era stata la cena, la sentì
sparecchiare la tavola e lavare i piatti, tutto in modo molto calmo
mentre nei suoi ricordi quelle piccole faccende non erano affatto fatte
in modo silenzioso. Sua madre aveva sempre gridato per ogni stoviglia
sporca, anche la più piccola, ricordandogli che era lei
quella che doveva spezzarsi la schiena in quella casa, non lui. Ma alla
fine, la donna aveva smesso di fare anche quello, prendersi cura della
casa per lei era diventato irrilevante e Scott aveva imparato da solo a
fare il bucato e cucinare.
Da
una parte era contento che le cose fossero andate così, non
aveva mai avuto bisogno di nessuno e nella vita aveva sempre saputo
cavarsela da solo. Avrebbe dovuto insegnare lo stesso a suo figlio?
Avrebbe dovuto trattarlo con condiscendenza o sufficienza, dicendogli
sempre "cavatela da solo" come avevano fatto i suoi? Il solo pensiero
lo fece star male, non l'avrebbe mai fatto. E poi, c'era Dawn, lei era
la reincarnazione dell'istinto materno, ed anche se lui fosse stato un
padre orribile lei avrebbe compensato le sue mancanze. Però
lui non voleva che lei compensasse un bel niente, era diverso dai suoi
genitori, non migliore ma diverso, e l'avrebbe dimostrato almeno a suo
figlio. Gli abitanti di quel posto non avevano mai creduto che lui
potesse essere migliore di suo padre e sua madre, Dawn lo vedeva come
il martire che non era e suo figlio l'avrebbe visto per com'era in
realtà. Lo pregava.
Passi
silenziosi e quasi inudibili lo irrigidirono sul sofà, quei
passi erano ovviamente di Dawn e sembravano dirigersi proprio verso di
lui. Rimase teso, come una corda di violino; che volesse sedersi
accanto a lui per guardare anche lei un programma televisivo? Pregava
proprio di no, soprattutto perché il quiz truccato che
stavano mandando in onda di sicuro non era il suo genere. Anche se lui
non conosceva i suoi generi.
«Io
vado a dormire, buonanotte Scott.» Si limitò a
dire la bionda, senza aggiungere rimproveri per non averla aiutata o
altro, come ogni altra donna avrebbe sicuramente fatto.
«Mmh.»
Mormorò in modo distratto, tenendo ben puntati gli occhi
sullo schermo e sull'uomo calvo che tentava, invano, di vincere
centomila dollari. La sentì salire le scale e solo quando
udì la porta della sua stanza chiudersi il suo corpo si
rilassò nuovamente, ricacciando indietro la delusione.
***
Non
riusciva a dormire, era da più di mezz'ora che si rigirava
tra le lenzuola ma il sonno ancora non aveva prevalso sulla sua
coscienza. Forse perché questa sembrava più forte
quella sera, continuava a pensare a Scott e ad ogni secondo si sentiva
più sveglia di quello precedente.
Non riusciva a smettere di pensare allo sguardo stupito del ragazzo
quando i suoi occhi si erano fermati sulla tavola imbandita. Poi quello
sguardo era diventato vacuo, la sua aura si era tinta di colori sempre
più cupi e Dawn aveva subito capito che stava ricordando
qualcosa della sua infanzia, qualcosa di estremamente doloroso e triste.
Da
una parte si era sentita colpevole, voleva solo cenare con lui come una
vera famiglia ma a quanto sembrava l'unica cosa che aveva ottenuto era
stata quella di catapultare Scott in un ricordo – o forse
più ricordi – dolorosi, che sicuramente non voleva
ricordare.
Il
passato non andava di certo dimenticato ma affrontato, e lei lo sapeva
bene, eppure sembrava che il rosso non fosse ancora pronto o non
trovasse il coraggio per farlo. Lei però non voleva in alcun
modo forzarlo, e ricordargli involontariamente cose negative era
sicuramente un forzarlo in qualche modo. Sospirò inquieta e
strinse il lenzuolo tra le dita. Cosa doveva fare per far sì
che la loro diventasse una famiglia? Per quanto tentasse di dimostrarsi
sicura, aveva una gran paura di sbagliare o di affrettare troppo le
cose e di bruciare le poche chance che le rimanevano per entrare nel
cuore di Scott. Lo amava così tanto, odiava vedere i suoi
occhi così cupi, tristi e tormentati; voleva riavere su di
sé lo sguardo che lui le aveva donato quella magica sera di
due mesi prima. Quello sguardo le aveva dato la certezza che Scott
sapesse amare ancora, che nel suo profondo non avesse mai smesso di
farlo e di sperare nell'essere amato a sua volta. Eppure non si rendeva
conto del suo amore, forse era lei incapace di dimostrarlo e di sicuro
lui interpretava i suoi gesti in tutt'altro modo che amore. Se solo non
fosse stata così inesperta di quel sentimento, forse avrebbe
saputo cosa fare, però non lo sapeva; non sapeva cosa fare e
si affidava semplicemente ai comandi del cuore. Il cuore l'aveva
trascinata in quel paese, il cuore le aveva impedito di fermare Scott
quella magica notte, e sempre il cuore l'aveva fatta perseverare. Ed
ora Scott aveva accettato di prendersi cura di lei e del bambino,
questo era già qualcosa. Eppure doveva ammettere di avere,
nel profondo si sé, paura: paura di non essere mai amata da
lui nello stesso modo in cui lo amava lei, di sicuro anche Scott si era
sempre sentito così quando cercava l'affetto e
l'approvazione altrui.
Sospirò
nuovamente nel constatare che il sonno era ormai andato via senza di
lei, scostò le coperte e si alzò per dirigersi in
cucina a prendere un po' d'acqua. Chissà se Scott si trovava
ancora sul divano, lei non l'aveva sentito salire le scale e chiudersi
in camera. Scese giù in salotto, il televisore era ancora
acceso ma il rosso non si trovava lì, la cosa la mise un po'
in agitazione ma si impose di non farsi prendere da inutili paranoie.
Forse era andato in bagno, non era di certo scappato, almeno pregava
fosse così. Una folata di vento entrò in casa,
facendola rabbrividire, e solo allora notò che la porta
d'ingresso era leggermente aperta.
Allora è scappato
davvero!, si
allarmò. Lentamente, si avvicinò alla porta e
l'aprì uscendo sul portico. Scott era proprio lì,
seduto sui marci scalini in legno, che guardava il cielo; non aveva
percepito la sua presenza, come sempre, e lei trattenne l'istinto di
correre da lui e stringerlo tra le sue braccia. Il ragazzo non avrebbe
apprezzato di certo un gesto simile anzi, l'avrebbe di sicuro
allontanata in malo modo.
«Scott?
Tutto bene?» Sussurrò piano, un suono quasi
impercettibile. Scott però la sentì eccome, lo
vide sussultare leggermente ma non si voltò verso di lei.
«Cosa
ci fai qui? Dovresti dormire.» Rispose altrettanto piano e
stranamente calmo lui, una parte di lei si era aspettata la solita
risposta tagliente ed infastidita quindi fu sorpresa di sentirlo
così calmo.
«Non
riuscivo a dormire, troppi pensieri, e a quanto pare deve essere lo
stesso per te.» Dawn gli si avvicinò piano e gli
si sedette accanto, una mossa azzardata, lo sapeva bene. Ma il ragazzo
ancora una volta la stupì e non diede alcun segno di
fastidio nell'essere stato privato della sua solitudine.
«Già.»
Fu la semplice risposta che ricevette da lui, ancora con il volto
sollevato verso il cielo. D'istinto, sollevò anche lei il
viso e rimase stupita dalla quantità enorme di stelle
visibili nel cielo.
A Toronto non si potevano ammirare così tante stelle, e per
lei quella fu una vista a dir poco magica che le fece sfuggire un verso
di stupore.
«Non
hai mai visto così tante stelle, vero?» Le chiese
il rosso con un impercettibile riso nella voce.
«No,
questa è la prima volta.» Ammise, voltando il capo
verso di lui. Lo trovò a fissarla intensamente, quello
sguardo le fece dimenticare le stelle e la meraviglia nel vederle,
ormai era lui l'unica cosa che riusciva a vedere. I suoi occhi vennero
poi catturati dalle labbra del ragazzo, erano rosse e non troppo
carnose ma nei suoi ricordi calde, soffici e gentili. Avrebbe tanto
voluto risentirle sulle sue, ma nemmeno quello sarebbe accaduto e lei
era troppo codarda per fare il primo passo, la fermava soprattutto la
paura di essere respinta. Tornò a puntare le iridi grigie in
quelle azzurre del ragazzo per evitare di pensare ancora a contatti
fisici che non avrebbe avuto né quella sera né le
prossime, e fu una mossa totalmente sbagliata perché lesse
negli occhi di Scott il suo stesso desiderio. Era strano, lei non aveva
mai provato nulla del genere, eppure si sarebbe avventata volentieri su
quelle labbra e pregato di farle provare le stesse cose della loro
unica notte insieme.
Diede
la colpa agli ormoni della gravidanza e tentò di non
pensarci troppo su. Scott distolse lo sguardo da lei e lo
riportò nuovamente verso il cielo, con sua grande delusione.
«Credo
che siano state le uniche cose di questo posto che mi siano mancate, le
stelle intendo.» Riprese all'improvviso il rosso, forse per
distrarre entrambi da pensieri e sensazioni che ancora non erano in
grado di affrontare. «Quando ero a Toronto le uniche cose che
rimpiangevo di casa mia erano le stelle, ma le avrei rimpiante
volentieri per sempre.» Commentò con amara ironia,
facendole stringere il cuore in una morsa dolorosa. Quanto avrebbe
voluto cancellare il suo dolore con un solo gesto della mano o con un
bacio, come si fa con i bambini quando si fanno male. Ma con Scott un
solo bacio non sarebbe bastato a consolarlo di tutte le ferite, e
nonostante lei fosse disposta a dargliene quanti ne servissero per
farlo stare meglio, sapeva che lui non li avrebbe mai chiesti
né accettati.
Si
avvicinò ancora di più a lui e lentamente
coprì la sua mano con la propria. La pelle del ragazzo era
fredda e lui non si ritrasse anzi, si voltò nuovamente verso
di lei. E finalmente lo rivide, quello sguardo vivo e ardente di
desiderio che per due lunghi mesi aveva sognato e pregato di riavere su
di sé.
Scott
avvicinò lentamente il viso a quello di Dawn e lei fremette
d'impazienza sapendo che stava per baciarla, che finalmente avrebbe
risentito il sapore delle sue labbra ed il loro calore. Erano ormai
vicinissimi, poteva avvertire il respiro di lui sulla propria bocca e
socchiuse gli occhi aspettando di perdersi nelle sensazioni che solo
Scott le faceva provare. In un secondo però, il caldo
respiro di lui lasciò spazio alla fredda brezza della notte
e Dawn ritornò bruscamente alla realtà.
Scott
si era alzato e si stava dirigendo verso casa. «Farai meglio
ad entrare in casa se non vuoi prenderti un malanno.» Le
disse prima di scomparire dietro la porta.
Per
la prima volta Dawn capì cosa significasse sentirsi
frustrati e leggermente in collera con un uomo.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Aveva
quasi baciato Dawn la sera prima. Le aveva quasi permesso di fargli
perdere nuovamente la ragione. Lei lo aveva colto in un momento di
particolare fragilità e non si sarebbe mai perdonato per
questo, tutti quegli anni non erano bastati a fargli imparare la
lezione a quanto sembrava. In realtà era Dawn molto brava a
confonderlo, quando aveva percepito la sua mano calda e morbida sulla
propria non aveva capito più nulla. Un secondo prima stava
ammirando le stelle e maledicendo il suo passato mentre quello dopo si
trovava ad un centimetro dalle labbra della ragazza; il suo profumo era
più stordente di qualsiasi droga e più ammaliante
di quello di una dea. Tutto sarebbe stato più facile da
gestire se lei non lo avesse fissato come se volesse divorarlo, una
parte di lui si era sentito così fiero per aver scatenato
quella reazione in lei mentre l'altra lo malediva perché
sapeva avrebbe ceduto. Infatti lo aveva quasi fatto, per fortuna quelle
scale marce lo avevano riportato alla realtà, facendogli
conficcare una scheggia di legno nel palmo. Il leggero pizzicore
l'aveva risvegliato e in un secondo la realtà di
ciò che stava per fare si era abbattuta su di lui come un
blocco enorme di cemento. Si era allontanato in fretta da lei per
dirigersi in casa, borbottando qualcosa che nemmeno ricordava
più. Era stata una scelta giusta, lo sapeva, ma doveva
ammettere con rammarico che baciare nuovamente Dawn era uno dei suoi
desideri inconfessabili. Scese giù in cucina, venendo
investito da un invitante profumino, proprio com'era successo la sera
precedente, a quanto sembrava la bionda aveva preso possesso della sua
cucina – non che la cosa gli dispiacesse. Appena
entrò nella stanza vide sul piccolo tavolo due piatti di
french toast e una caraffa di spremuta d'arancia venuta fuori
chissà da dove, l'unica cosa che mancava in quel quadretto
casalingo era proprio Dawn. Chissà dov'era finita quella
matta. Diede uno sguardo al campo fuori dalla finestra, constatando con
sollievo che la ragazza non si trovava tra il terreno e le erbacce a
tentare di ridare vita a quella flora martoriata.
Si
sedette a tavola, deciso a fare colazione in fretta per andare in giro
a chiedere lavoro nelle fattorie della zona prima che potesse cambiare
idea. Il solo pensiero di dover chiedere aiuto a quelle persone non lo
entusiasmava per nulla anzi, avrebbe preferito tagliarsi un braccio e
venderlo al mercato nero piuttosto. Però sapeva anche di non
poter mantenere né lui né Dawn e nemmeno il
bambino coi pochi risparmi che aveva messo da parte, ed anche quelli un
giorno sarebbero finiti. Infilzò il french toast con la
forchetta e diede il primo morso, ebbe la conferma che la biondina ci
sapesse proprio fare in cucina. Si accinse a dare il secondo morso, ma
uno strano verso lo fece bloccare stranito, rimase in attesa che quel
rumore si ripetesse evitando anche di respirare. Dopo qualche secondo
il suono si ripresentò e capì che erano conati di
vomito. Preoccupato, si alzò e si diresse verso il piccolo
bagno del piano inferiore, da dove sembravano provenire, e la scena che
si ritrovò davanti gli fece stringere il cuore: Dawn era
china verso il water, il viso terreo ed esangue, e sembrava stare molto
male. Capì subito di cosa si trattasse e
ringraziò Dio di non essere una donna.
La
ragazza sospirò stanca e si portò una mano alla
fronte, i conati sembravano cessati o almemo così sperava
lui. Le si avvicinò piano, lei sembrava non essersi accorta
di lui e questo era veramente strano, doveva stare davvero male per non
percepire le sue "auree".
«Dawn?»
La chiamò piano, facendola voltare di scatto.
«Scott,
non ho percepito la tua presenza.» Sussurrò
debolmente, barcollando verso il lavandino. Quasi istintivamente si
avvicinò per sorreggerla e lei lo ringraziò con
un cenno del capo.
«Ti
senti meglio?» Chiese, sentendosi un'idiota il secondo dopo.
Ovvio che non si sentisse bene, aveva il volto più pallido
della neve e sembrava sul punto di svenire.
La
ragazza annuì e si sciacquò la bocca.
«Sì, sto bene. Ormai sono abituata a questo
risveglio, o quasi.» Ridacchiò tesa.
Alzò il viso verso di lui e sorrise, Scott notò
con sollievo che le guance stavano lentamente riprendendo colore.
«Hai già fatto colazione?»
Domandò lei, per stemperare l'aura di preoccupazione che era
calata in quel bagno.
«No,
avevo iniziato ma poi ti ho sentita vomitare e...», si
bloccò, non gli andava di ammettere di essersi preoccupato
perché la cosa lo irritava un po'. «Be',
sarà meglio andare a mangiare allora, meglio non sprecare
ciò che hai cucinato.» Si voltò e
lasciò il bagno, ritornando in cucina, lei lo raggiunse
subito dopo e si sedette accanto a lui. Fece finta di nulla e riprese a
mangiare, lei invece iniziò a giocare col suo toast,
infilzandolo con la forchetta.
«Non
hai fame?» La domanda uscì con un tono
più irritato di quello che avrebbe voluto, ma una cosa che
odiava era vedere gli altri giocare col cibo. Sapeva bene che Dawn non
era il tipo e che si era appena sentita male, quindi disgustasse
qualunque pietanza esistente, ma non era comunque riuscito a fermare
l'irritazione.
La
bionda alzò gli occhi grigi verso di lui e agitò
il capo in segno negativo. «No, ho ancora lo stomaco in
guerra.» Spinse il piatto verso di lui, sorprendendolo.
«Mangialo tu, non mi va di sprecare cibo, l'ho infilzato un
po' ma è ancora buono.»
Scott,
stranamente, provò una tenerezza inaspettata per quel gesto
e coprì la mano della ragazza con la sua. La pelle di lei
era fredda, come sempre, e morbida. «Dovresti mangiare
qualcosa.» Le fece notare, dentro di lei stava crescendo una
vita – suo figlio – e doveva prendersi cura di se
stessa con più attenzione.
«Mangerò
qualcosa appena il mio stomaco me lo permetterà,
tranquillo.» Gli occhi di lei brillavano e Scott
poté sentire la sua pelle diventare bollente ed il battito
accelerato. Le pupille erano dilatate, le guance arrossate e non era
mai stata più graziosa di allora, lo stupì e lo
emozionò vederla in quel modo. Quando l'aveva conosciuta al
liceo tante sfumature non era riuscito a coglierle, gli era sempre
apparsa gentile ma pacata e a tratti algida; invece ora scopriva lati
di lei che credeva aver intravisto solo due mesi prima a causa della
passione che li aveva colti all'improvviso.
Il suo orgoglio maschile salì alle stelle, scoprire di
riuscire a scatenare certe reazioni in una ragazza come Dawn era
sicuramente un balsamo per il suo essere uomo, ma non solo, sapeva di
essere il solo in grado di farlo. La ragazza non aveva mai dimostrato
attenzioni verso altri ragazzi, era il solo a cui avesse rivolto la
parola e lei era la sola a cui lui aveva rivolto parola. In certe
occasioni gli era sembrato che entrambi vivessero in un mondo tutto
loro, gli altri non erano in grado di capire i loro silenzi; erano
strani agli occhi degli altri ma perfetti ai loro. Si erano attratti
come due calamite e lui sapeva che questo era doppiamente pericoloso,
era difficile staccare due magneti che si attraevano e lui doveva
respingere la forza magnetica di Dawn prima che ne venisse assorbito.
Il
rumore dello stridio della sedia contro il vecchio pavimento il legno
lo portò nuovamente alla realtà, Dawn aveva
ritirato la mano dalla sua e si era alzata. Sembrava in qualche modo
aver percepito i suoi pensieri, infatti il suo sguardo evitava di
posarsi su di lui. Raccolse il piatto che aveva ripulito e si
avviò al lavabo della cucina. Il rosso scosse il capo,
cercando di allontanare i pensieri e le sensazioni che quella pazza
testa bionda scatenava in lui. Avvicinò il piatto che lei
aveva rifiutato e mangiò anche l'ultimo french toast prima
di alzarsi ed avviarsi verso la porta d'ingresso, era giunto il momento
di umiliarsi pubblicamente...
«Io
esco, ho delle cose da fare. Tu cerca di stare ferma senza fare nulla,
vorrei evitare di correre all'ospedale perché non riesci a
startene con le mani in mano.» Si raccomandò a
voce alta, per farsi sentire da lei, dopo di che uscì di
casa e montò sul suo pick-up in direzione del paese. Una
parte di lui pregò che quel catorcio decidesse proprio quel
momento per abbandonarlo e fermarsi, ma con la fortuna che aveva era
sicuro che ciò non sarebbe accaduto.
*
* *
Ripose
il piatto sul lavello e trattenne un singhiozzo. Dawn si
avvicinò al tavolo della cucina e si lasciò
cadere su una delle sedie poste accanto. Quella mattina, nonostante la
solita debilitante nausea, era iniziata in modo perfetto: Scott si era
dimostrato preoccupato e quasi in pena per lei, e quando aveva coperto
la mano con la sua il suo cuore era andato al galoppo sfrenato come un
cavallo selvaggio. La sua premura, emersa fuori senza che nemmeno lui
se ne accorgesse, le aveva scaldato il cuore facendole sperare in un
futuro per loro due.
Premura e preoccupazione non sono sinonimo d'amore però, e
lo aveva capito quando l'aura del rosso si era tinta di paura e
negazione. Sapeva che lui teneva a lei, almeno un po', ma vederlo
negare ancora la faceva stare male; la sua presenza scatenava in
qualche modo paure e ricordi passati nel ragazzo e questo lo
allontanava sempre di più da lei. Non voleva ricordargli
eventi drammatici bensì crearne di nuovi, ricordi felici e
amorevoli che li avrebbero accompagnati nel corso della loro vita ma
lui non glielo permetteva. Cosa doveva fare affinché il
rosso aprisse un po' il suo cuore anche a lei? La preoccupazione
mostrata quella mattina era dovuta sicuramente al bambino e non a lei e
questo era un doppio colpo. All'inizio le sembrava di usare quel
bambino per avvicinarsi a lui, adesso invece le sembrava di essere solo
una macchina da concepimento. Doveva essere felice di vedere Scott
così attento verso il bambino e lo era, ma avrebbe tanto
voluto avere almeno una minima considerazione o un gesto d'affetto da
parte sua. Era sciocco aspettarsi una cosa del genere, era lei quella
innamorata e non lui.
Di
certo non l'avrebbe fatto innamorare piangendosi addosso, questo era
poco ma sicuro. Sbuffando frustata come non aveva mai fatto prima, si
alzò dalla sedie e prese una scopa dallo sgabuzzino; le
pulizie erano il modo migliore per tenere la mente lontana da pensieri
e tristezze, e quella casa aveva tanto bisogno di essere curata...
*
* *
Devi scendere, Scott, altrimenti come pensi di
cercare lavoro rimanendo come un fesso nel pick-up?, gli
fece notare lo voce di Caroline nella sua testa. Sentirla nei propri
pensieri gli fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena, ma
quelle parole erano proprio le stesse che gli avrebbe ringhiato la
donna se fosse stata lì.
Il
suo pick-up era fermo dinanzi alla fattoria di Bob Fletcher, un suo
vecchio compagno di classe; uno dei pochi che non aveva mai rivolto una
sola parola cattiva verso di lui. Sapeva che il ragazzo aveva da poco
aperto un'impresa agricola e sperava che almeno lui potesse aiutarlo,
non se la sentiva di chiedere a quei bastardi del paese ed aveva
preferito qualcuno più "amico". Non aveva mai avuto
chissà quale rapporto con Bob, ma ricordava perfettamente
tutte le volte che gli aveva consigliato di fregarsene delle male
lingue che giravano in città e di vivere la propria vita
serenamente. E all'inizio aveva proprio seguito il suo consiglio, poi
tutto era precipitato quel fatidico giorno e nulla era stato
più sereno per lui – non che lo fosse mai stato
veramente. Scese dall'abitacolo reprimendo un grido di frustrazione,
fare qualcosa contro la propria volontà era un vero dolore
per lui ma aveva dei doveri che doveva rispettare visto l'impegno che
si era preso e non poteva sottrarsi proprio in quel momento.
Si avvicinò alla casa padronale del ragazzo e
salì in fretta i gradini del portico, ritrovandosi davanti
l'elegante porta bianca abbellita con delle rose appese sopra.
Suonò il campanello sperando di non trovare nessuno in casa,
in quel modo non sarebbe stata colpa sua visto che comunque ci aveva
provato. Avrebbe trovato un altro modo per prendersi cura di suo figlio
e di Dawn. Passarono alcuni minuti e dalla casa non provenì
nessun suono, ignorando il grido di felicità esploso nella
sua testa, si voltò e si allontanò dalla casa, ma
proprio in quel momento la porta venne aperta.
«Scott?»
La familiare voce di Bob lo fece congelare all'istante sull'erba ancora
bagnata dalla rugiada del mattino. «Che ci fai
qui?» Chiese nuovamente il ragazzo, evidentemente sorpreso.
Il
rosso si voltò verso di lui, nascondendo ogni emozione
dietro la solita maschera di menefreghismo. «Hai un minuto?
Dovrei chiederti qualcosa.» C'era voluta tutta la sua forza
di volontà per pronunciare quella frase, ma ricordare il
motivo per cui lo stava facendo lo fece sentire meno di merda.
Bob
annuì e gli fece cenno di entrare in casa. «Ho
sempre tempo per un vecchio compagno.» Esclamò
sorridente.
Non
era cambiato, constatò Scott, era rimasto il solito ragazzo
allegro ed incurante dei pregiudizi altrui. Solo i capelli avevano
subito un cambiamento drastico, il ragazzo li aveva sempre portati
corti mentre ora lunghe ciocche bionde gli sfioravano il mento.
Seguì Bob in casa ed evitò di guardarsi in giro
per non deprimersi ulteriormente delle condizioni in cui versava la sua.
«Posso
offrirti qualcosa?» Gli chiese, una volta fatto accomodare su
una poltrona che sembrava alquanto costosa.
«No,
per la verità sono venuto solo per chiederti una cosa, non
tratterrò molto.» Spiegò sbrigativo,
voleva mettere in fretta fine a tutto quello. Chiedere aiuto per lui
era come tagliarsi un arto, era cresciuto imparando ad arrangiarsi da
solo e fino a quel momento tutto era andato bene – o quasi
–, ora non era più solo ed arrangiarsi non bastava
a crescere e mantenere un figlio con annessa madre.
«Certo,
chiedimi tutto quello che vuoi, ho saputo che stai per diventare padre
quindi sono a tua disposizione.»
Le
notizie in quel paese viaggiavano più veloce della luce, se
solo i suoi compaesani avessero usato quel talento parlante per altro...
«Sì,
appunto per questo vorrei chiederti aiuto.» Si
fermò, odiava quella parola: aiuto, quello
che nessuno aveva mai voluto dagli. Riprese fiato e
continuò. «Ho saputo che hai aperto un'azienda e
mi chiedevo se ti servisse delle braccia in più, ho ancora
qualche risparmio da parte ma non bastano per prendersi cura di un
bambino e presto finiranno, quindi mi chiedevo se ci fosse un posto
libero per me.»
Negli
occhi di Bob si riflesse prima la stima, poi la curiosità ed
infine il senso di colpa e Scott capì. «In
realtà...» iniziò il biondo.
«Un aiuto mi serve, ma come hai detto tu ho appena iniziato
l'attività e non sarei in grado di pagarti almeno per i
prossimi tre mesi, e con un bambino in arrivo di sicuro non
è l'impiego che cercavi.» Il senso di colpa nella
voce del ragazzo lo fece sentire leggermente meglio, anche se era
arrivato da lui senza concludere un bel niente. Bob aveva ragione,
spaccarsi la schiena senza vedere l'ombra di un centesimo per tre mesi
o più non era l'incarico che stava cercando.
«Sì,
spaccarmi la schiena gratis non è l'impiego che cerco al
momento.» Rispose sarcastico, facendo ridere anche l'altro.
«Allora
spero avrai più fortuna altrove.» Gli
augurò il ragazzo.
Scott
trattenne una smorfia sarcastica. Fortuna altrove? Come no, quei
bastardi in paese avrebbero colto la palla al balzo per umiliarlo e
alla fine non avrebbe comunque trovato nessun lavoro. Nonostante avesse
lavorato per molti di loro da bambino ed avesse dimostrato di essere
onesto non rubando merci o contanti dalla cassa, come molti si erano
aspettati, questo non aveva minimamente influenzato il loro giudizio su
di lui. Al contrario, invece, ogni piccola azione sbagliata ai loro
occhi andava a confermare l'idea che in quanto Douglas fosse un
bastardo e basta.
Con
un sospiro, si alzò dalla comoda poltrona e
salutò l'amico. «Bene, allora vado. Mi dispiace
averti fatto perdere tempo.» Disse avviandosi verso la porta
d'ingresso seguito da Bob.
«Ma
figurati, e ricorda che sei hai bisogno di qualcosa io sono qui.
Mantenere una famiglia non è una cosa facile.» Il
rosso annuì, e con un ultimo cenno del capo salì
sul pick-up e se ne andò.
Se hai bisogno di qualcosa io sono qui, aveva
detto, ma l'unica cosa che gli serviva in quel momento era un lavoro o
dei soldi e lui non era in grado di dargli nessuna delle due cose. Be',
ci aveva provato e per il momento non se la sentiva di andare ad
elemosinare un impiego giù in paese, sarebbe tornato a casa
invece e non avrebbe detto niente a Dawn.
*
* *
Si
lasciò cadere sul pavimento con un sospiro stanco, aveva
pulito tutta la casa ed ora non rimaneva che un sola stanza. Non
l'aveva mai notata prima, anche perché la porta era sempre
chiusa e di sicuro c'era un motivo. Incuriosita, si alzò dal
pavimento ed aprì la porta trascinandosi dietro la scopa.
Quando entrò nella stanza rimase senza fiato, era la
cameretta di un bambino, forse appartenuta proprio a Scott nella sua
infanzia. Ne ebbe la certezza quando vide il nome del ragazzo disegnato
con i gessetti sulle ante dell'armadio. Quella camera era squisita, le
pareti erano di un bellissimo verde menta e decorati con vari disegni
appesi di qua e di là, il letto era ancora perfettamente
rifatto ma le lenzuola piene di polvere e l'aria stantia. Sembrava che
nessuno entrasse lì da tempo e tutto sembrava congelato nel
passato, lo zainetto di Scott era abbandonato in un angolo con
l'astuccio che usciva fuori per metà. Di sicuro il ragazzo
aveva rinchiuso lì tutti i suoi sogni di bambino.
Una
cosa che le stringeva il cuore, ma quella cameretta sarebbe stata
perfetta come nursery del bambino. Già s'immaginava seduta
lì a far addormentare il suo bambino su una di quelle sedie
a dondolo che le erano sempre piaciute, il colore delle pareti invece
l'avrebbe lasciato invariato anche se bisognava ritinteggiarle comunque
visto gli anni di abbandono.
Il problema però era che se Scott aveva lasciato la camera
così, senza più entrarci e di sicuro non sarebbe
stato contento di trovarla lì a ficcare il naso e fare
progetti. Meglio lasciare tutto com'era e provare a parlarne con lui,
in fondo quella era casa sua e lei non aveva voce in capitolo.
«Cosa
fai qua?»
La
voce di Scott la fece sobbalzare dallo spavento e si voltò
di scatto, incontrando i suoi occhi azzurri apparentemente gelidi e
privi di emozione, ma bastò uno sguardo alla sua aura per
capire che era furioso.
«Scusa,
stavo pulendo casa e...» Il ragazzo la interruppe
trascinandola fuori e chiudendo la porta della camera con violenza
prima di rivoltarsi verso di lei.
«Ti
avevo detto ti stare ferma o sbaglio?» Bisbigliò
roco a pochi centimetri dal suo viso, aveva i pugni stretti lungo i
fianchi e tramava dalla rabbia. Anche così a Dawn sembrava
bellissimo e l'unica cosa che riusciva a vedere erano le labbra che
aveva quasi baciato la sera prima. Che Dio l'aiutasse, non aveva mai
desiderato così ardentemente un bacio come in quel momento,
di risentire il sapore di Scott.
Il
ragazzo la spinse all'improvviso contro la parete alle sue spalle,
intrappolandola con il suo corpo. «Non dovresti guardare un
uomo in quel modo, Dawn.» Le sussurrò, la sua voce
era cambiata e non c'era più traccia della rabbia di prima
anzi, sembrava pronto a divorarla e lei gliel'avrebbe permesso senza
problemi. «Quando rivolgi uno sguardo come quello ad una
persona, soprattutto dell'altro sesso, potrebbe farsi idee sbagliate e
decidere di chiuderti quell'invitante ed impertinente boccuccia con
metodi poco galanti.»
Un
fremito le percorse la spina dorsale e si morse il labbro per
trattenere un sospiro, il caldo del corpo di lui l'avvolgeva
inebriandola. «Forse è quello che
voglio.» Rispose, meravigliandosi di se stessa e di quella
frase fin troppo spinta per una come lei.
Gli
occhi di Scott vennero attraversati da un guizzo pericoloso che la
infiammò all'istante. Il ragazzo annullò la poca
distanza che separava i loro corpi, erano così vicini che i
loro nasi si sfioravano e lei riusciva quasi a contare una per una le
efelidi sugli zigomi. Lui portò due dita sotto il suo mento
alzandoglielo, costringendola ad incontrare i suoi occhi ed
incatenandola con il suo sguardo famelico.
«Sei
una piccola strega, Dawn.» Le sussurrò con voce
calma e morbida, lasciandola di sasso.
Una strega?
«Sono
due mesi che mi tormenti, la sera non riesco a fare a meno di pensare
al sapore delle tue labbra, alla morbidezza della tua pelle e al sapore
di entrambi.» Continuò, facendo impazzire il suo
cuore. Anche lei era tormentata da settimane dagli stessi pensieri,
avrebbe tanto voluto dirglielo ma aveva la gola secca e non riusciva ad
articolare nessuna parola.
Voleva
quel bacio, lo sognava da mesi ed ogni giorno era una tortura ma nulla
era più doloroso dell'averlo a pochi centimetri da
sé senza poterlo baciare. Stava per perdere la pazienza,
avrebbe voluto avventarsi sulle sue labbra per appagare quel bisogno
febbrile di lui. Diede uno sguardo alla sua aura e vi lesse desiderio,
orgoglio ed un sentimento più dolce che la fece sciogliere
definitivamente. Il suo Scott, diceva di non saper più amare
o provare emozioni ma quello dimostrava il contrario. Portò
la mano verso la sua guancia lentigginosa e l'accarezzò
lentamente, lui non si allontanò né si
dimostrò irritato per quel contatto al contrario, chiuse gli
occhi ed inclinò il capo spingendo la guancia contro il suo
palmo.
Fu
sul punto di confessargli i suoi sentimenti, ma dei colpi alla porta
spezzarono quell'incanto, riportando lui alla brusca realtà.
Scott si allontanò bruscamente da lei, fissandola quasi
spaventato ma non da lei bensì da se stesso. Lo vide correre
giù per le scale e dovette trattenere un grido di
disperazione, da quando era così difficile farsi baciare da
un ragazzo?
Da quando quel ragazzo è Scott, le
ricordò la mente. Erano solo gli ormoni, solo gli ormoni, si
ripeté.
Dal
piano inferiore provenì la voce di Caroline e questo
l'aiutò a ritornare in sé, scese giù
in salotto e trovò la donna a litigare con il rosso.
«Senti
giovanotto, cerca di portare rispetto a chi è più
saggio di te, capito?» Stava dicendo la donna al ragazzo,
colpendogli il torace con l'indice ossuto.
«Che
succede?» Chiese, portando su di sé l'attenzione
della donna ma non quella di Scott, che rimase a fissare la porta
d'ingresso.
«Nulla
Scricciolo, stavo solo ricordando le buone maniere a questo
cavernicolo.» Rispose sarcastica, scatenando l'irritazione
del ragazzo che si voltò furente.
«Cosa
vuoi, Caroline?» Sbottò lui, sembrava davvero
fuori di sé e Dawn sapeva che non era per ciò che
aveva detto la donna, non del tutto almeno.
«Palare
con te.» Disse calma. «Da sola.»
La
bionda capì l'antifona e decise di ritirarsi in cucina.
«Bene, allora io vado a preparare il pranzo, rimani con noi
Caroline?»
«No,
Scricciolo ma grazie per l'invito.» Ricambiò il
sorriso dell'anziana fattrice e scomparì in cucina.
«Di
cosa volevi parlarmi?» Sospirò esausto Scott,
massaggiandosi le tempie. Dawn era andata via, ma il suo profumo
aleggiava ancora nell'aria. Di nuovo era stato sul punto di perdere il
controllo, ma quando lei lo fissava con quello sguardo sognante e
passionale lui perdeva ogni cognizione della realtà e
l'unica cosa che riusciva a pensare era di baciarla fino a consumarle
le labbra. Lei non aveva di certo aiutato sussurrandogli quella frase,
lo aveva veramente lasciato di sasso e l'ultimo briciolo di
autocontrollo era stato spazzato via dalle parole di lei.
«Scott?
Scott, ci sei?» Caroline agitò la mano davanti ai
suoi occhi e lui sbatté più volte le palpebre,
riportando l'attenzione su di lei.
«Sì,
ci sono.» Tossì, cercando di pensare ad altro.
«Sono
qui per offrirti un lavoro.» Disse Caroline, lasciandolo di
sasso due volte in dieci minuti, sta volta le labbra di Dawn non
c'entravano nulla però.
«Un
lavoro? E perché mai?» In realtà il
motivo della sua proposta credeva di saperla, ma era solo un sospetto
– anche piuttosto fondato.
«Perché
uno dei miei lavoratori si è licenziato per tentare di
sfondare a Broadway.» Rispose seccata, alzando gli occhi al
cielo. «I giovani d'oggi, solo sogni ed illusioni. Comunque,
accetti o no?»
In
un altro momento le avrebbe detto di tenersi per sé la sua
proposta e che non aveva bisogno di nulla, ma visto la situazione
disperata in cui si trovava però, doveva ingoiare il suo
orgoglio e pensare a suo figlio e a Dawn.
«Sì,
accetto.»
«Bene.»
Caroline sembrava compiaciuta, come se si fosse aspettata proprio
quella risposta da lui e non fosse rimasta delusa. «Inizi
domani alle sei del mattino.» Lo salutò con un
cenno del capo e gridò un saluto anche verso la cucina,
ricevendo dopo poco la risposta di Dawn.
Sentì
la porta d'ingresso chiudersi e capì che Caroline se n'era
andata, ora lei e Scott erano di nuovo soli in casa e questo l'agitava
un po'. Sentì i passi di lui dirigersi verso la cucina e
fece finta di nulla, continuando a preparare il pranzo.
Il
ragazzo rimase fermo sulla soglia della stanza. «Per quanto
riguarda prima, non farti illusioni, tu sei una ragazza ed io un
ragazzo ed in quanto tale ho dei bisogni. Niente più di
questo.» Detto ciò, uscì dalla cucina e
lo sentì accendere il televisore.
Si era trattato solo di mero desiderio, come aveva detto lui? No, lei
aveva letto la sua aura e sapeva ciò che lui non voleva
ammettere.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
CFH - Capitolo 8 per EFP
Strinse
tra le mani la tazza bollente e fumante e, con un sospiro soddisfatto,
se la portò alle labbra per bere un sorso del tè
che si
era preparata poco prima. Fuori dalla finestra lo spettacolo dell'alba
su quei campi le mozzò il fiato.
Il campo che lei aveva tentato di ripulire da sola appena arrivata in
casa di Scott era ormai completamente privo di erbacce. Tutto merito di
Caroline; qualche giorno prima l'aveva trovata accovacciata tra l'erba
e la polvere mentre tentava di finire il lavoro iniziato tempo prima,
inutile dire che aveva ricevuto una lavata di capo coi fiocchi ed anche
il povero Scott ci era andato di mezzo. La donna lo aveva accusato di
sfruttarla e di non prendersi abbastanza cura di lei, il rosso si era
indignato a quelle parole e i due avevano finito per litigare peggio di
due gatti che si contendono il territorio. Alle fine, Scott aveva
rivelato che il suo trattore era rotto e che le aveva più
volte
ordinato di stare lontana dal campo, senza successo. Caroline aveva
colto la palla al balzo ed aveva mandato Andy ad aggiustare il vecchio
trattore del ragazzo, così il campo era tornato al vecchio
splendore.
Non
riusciva a credere che fosse già passato un mese dal suo
arrivo
in quel posto, trenta giorni erano volati e lei era ancora
lì in
casa di Scott. I due avevano ormai stabilito una routine quotidiana:
lei puliva, preparava la cena, si occupava del bucato e di tutte le
altre cose che una perfetta padrona di casa avrebbe fatto mentre lui
andava a lavorare tutte le mattine da Caroline e tornava la sera,
distrutto ed affaticato. Si impegnava molto per mandare avanti la loro
strana famiglia, se così poteva chiamarla, e lei era sempre
più orgogliosa di lui. Peccato che riuscisse a vederlo
davvero
poco ormai, riuscivano a scambiarsi quattro chiacchiere solo di mattina
e di sera, prima che lui crollasse stanco sul sofà. La
domenica
invece, il ragazzo la passava a dormire per la maggior parte del tempo
quindi nemmeno nel suo giorno libero avevano molto tempo da passare
insieme e non negava di sentirsi un po' sola.
Come
se si fosse materializzato dai suoi pensieri, Scott entrò in
cucina sbadigliando vistosamente. «Giorno.» La
salutò.
«Giorno
a te.» Gli rispose sorridendo. Riempì una tazza di
caffè e gliela porse, lui la prese con gli occhi che
brillavano,
come se gli avesse consegnato cento milioni di dollari.
«Caffè,»
sussurrò estatico, aspirando il forte odore della bevanda.
«Credo che l'uomo sarebbe spacciato senza di esso.»
Commentò, prima di prenderne un bel sorso.
A
Dawn quella nuova dipendenza da caffeina non piaceva affatto ma doveva
ammettere che senza, Scott non sarebbe riuscito a reggere certi ritmi.
Il ragazzo finì la sua bevanda e prese uno dei toast burrati
che
lei aveva messo in tavola, lo mangiò avidamente prima di
puntare
lo sguardo su di lei e fissarla intensamente e con sospetto.
«Ti
sei svegliata di nuovo presto per la nausea?» Chiese
apparentemente calmo, mandando giù un altro toast ed un
sorso di
caffè sta volta con l'aggiunta di latte.
Lei
annuì, sorseggiando nuovamente il suo tè verde,
l'unica
cosa che riusciva ad ingerire la mattina. Per fortuna mancavano solo
poche settimane alla fine di quella tortura, ovviamente non credeva
affatto che i mesi successivi sarebbero stati più facili
anzi,
tra le caviglie gonfie, i mal di schiena e gli sbalzi d'umore non
sapeva proprio come avrebbe sopportato il tutto. L'unica cosa di cui
era certa, era che la vittima dei suoi malumori sarebbe stato
senz'altro Scott.
«Dovresti
andare in farmacia e vedere se hanno qualcosa per questo problema, in
modo che la mattina io non debba vedere il tuo volto più
pallido
di quello di un cadavere.» Commentò lui, con una
luce
divertita negli occhi che la lasciò incantata come
un'adolescente alla prima cotta – ed effettivamente lui era
la
sua prima cotta anzi, molto di più.
«Non
ho una macchina, da queste parti gli autobus non passano e di certo non
posso recarmi in paese a piedi.» Gli fece notare. L'unico
mezzo
di cui disponevano era il pick-up di Scott, che lui usava ogni mattina
per recarsi a lavoro quindi quel veicolo ritornava disponibile solo a
tarda sera.
Il
ragazzo puntò nuovamente lo sguardo su di lei, i suoi occhi
però non la guardavano realmente, sembrava essersi perso in
qualche ragionamento. «Allora ti accompagnerò io
oggi
pomeriggio, Caroline mi darà sicuramente il permesso di
staccare
prima.» Il rosso prese un altro sorso di caffellatte e si
diresse
in soggiorno per prendere il suo cappotto, poi tornò da lei.
«Comunque, dobbiamo risolvere questo problema di trasporto,
l'idea che possa accadere qualcosa e che tu non sia in grado di
lasciare la fattoria non mi piace per nulla.»
Sbottò
irritato, prima di salutarla e andare via. Lo stomaco della ragazza era
invaso da quello che sembrava uno stormo di colibrì
più
che farfalle, ogni volta che lui le rivolgeva certe frasi o sguardi
preoccupati lei si scioglieva come burro fuso. Doveva ricordarsi
però che la preoccupazione di Scott era tutta destinata al
bambino e non a lei, ma che male c'era nel godersi quei momenti e
pregare che s'innamorasse di lei?
*
* *
«Deve
andarsene! Non può più restare in questo
paese!»
Un
vociare irato si levò nella piccola stanza delle riunioni
cittadine di Yellowknife. Quella mattina Theresa, accompagnata dalle
sue tre fidate amiche – o cagnette, come le definiva Jamie
Lynn
– avevano preteso una riunione d'emergenza del paese. Il
soggetto
della discussione era, ovviamente, “quel bastardo di Scott
Douglas”.
«Sono
d'accordo con Mike, quel demonio non può più
restare qui,
rovina la reputazione di questo posto.» Affermò
risoluta
Poppy, una delle cagnette di Theresa.
Lynn
represse una risata amara, guardare quel branco di bifolchi macchinare
la dipartita di Scott dal paese le fece salire la nausea. Come si
poteva essere così ciechi? Non si rendevano conto che erano
proprio loro i cattivi in tutta quella storia? Doveva avvisare
Caroline, lei era la sola che poteva aiutare il ragazzo e mettere in
riga quel gruppo di ignoranti.
«Signori,
io non credo che mandarlo via sia la soluzione giusta.»
Intervenne Wanda, la prima donna del paese, causando uno stupore
generale.
«Non
è la soluzione giusta? Ma ti senti?»
Sbottò
indignata la moglie del panettiere. La più ipocrita di
tutte,
secondo il modesto parere di Jamie Lynn.
«Sì,
vi ricordo che c'è anche Dawn da prendere in considerazione.
Aspetta un bambino dal ragazzo e cacciare lui sarebbe come cacciare
anche lei e la creatura che porta in grembo; come vivrebbero
poi?» Continuò la moglie del sindaco, trovando
quasi per
miracolo alcune persone d'accordo con lei.
«Oh,
ma andiamo!» Esclamò una voce maschile che lei,
che se ne
stava in fondo alla stanza, non riuscì a riconoscere.
«Quella ragazza sa benissimo di che pasta è fatto
quel
piccolo bastardo, non è rimasta incinta per
miracolo.»
«È
vero!» Gridarono in coro alcune persone.
«Questo
non significa nulla,» intervenì sua sorella.
«Lui
potrebbe anche averla presa in giro e la ragazza sia solo abbagliata da
un'immagine di lui che non esiste, ma comunque ora si sta prendendo
cura sia di lei che del bambino e non ci dà problemi da
anni;
non credete che bandirlo dal paese sia una misura troppo
drastica?» Per la prima volta dopo anni, Lynn
provò il
forte impulso di abbracciare sua sorella come quando erano piccole e
lei era ancora una bambina innocente che non si faceva influenzare dai
pareri altrui.
«Nulla
è troppo drastico con un Douglas di mezzo, e poi chi vi dice
che
lei sia andata a letto con lui di sua spontanea volontà? Non
vi
ricordate ciò che è successo con Susan?»
Il
silenzio calò nella stanza, tutti ricordavano perfettamente
ciò che era accaduto a quella ragazza. Jamie Lynn non aveva
mai
creduto alla piccola
Susie, era
sempre stata una ragazza viziata e calcolatrice ed aveva messo nel
sacco il povero Scott, all'epoca innamorato perso di lei. Il tutto solo
per aver l'attenzione puntata su di sé, ovviamente tutte le
colpe erano cadute sul ragazzo; lui era un Douglas, lei la nipote del
sindaco...
«Mi
fate solo tanta pena,» intervenne lei con amarezza,
interrompendo
il silenzio. «Voi davvero credete alle parole di Susan? Scott
era
innamorato perso, non avrebbe mai fatto nulla di male a quella
ragazza.»
In
un secondo, esplose nuovamente il putiferio.
«Innamorato
perso? Ma per favore, quel ragazzo nemmeno sa cos'è
l'amore!»
Sempre
più nauseata, Jamie abbandonò la stanza ansiosa
di
allontanarsi da quella gente stupida ed ignorante, che credeva solo a
ciò che era più comodo credere o a salvare le
apparenze.
Doveva andare da Caroline e prendere dei provvedimenti al
più
presto.
*
* *
«Anderson,
vecchia bestia! Ho detto di togliere il tuo dannato catorcio da qui,
inquini il raccolto con lo scarico di quella vecchia
carcassa!»
Dawn
trattenne una risata nel vedere Caroline scendere velocemente i gradini
di casa con la sua andatura traballante ma intimidatoria allo stesso
tempo. Anderson scese dal pick-up e sbuffò spazientito,
alzando
gli occhi al cielo.
«Santo
cielo, donna!» Rispose alquanto alterato l'uomo.
«Prima di
morire vorrei avere la fortuna di vederti muta per più di
mezzo
secondo, la tua voce è così fastidiosa da far
avvizzire
ogni rapa nel raggio di settanta chilometri!»
La
bionda quasi si dispiacque per lui, in fondo era stata lei a chiedere
un passaggio all'uomo ed era stata sempre lei a chiedergli di
parcheggiare dinanzi al campo coltivato della donna. Scese dalla
vettura e raggiunse Andy per evitare che quei due continuassero a
battibeccare fino a tarda sera – cosa che sarebbe sicuramente
accaduta lo stesso.
«Caroline,
non prendertela con lui, sono stata io a dirgli di parcheggiare
lì.» Come aveva già immaginato prima,
Dawn si
guadagnò un'occhiataccia raggelante dalla donna, che fino a
quel
momento non aveva notato la sua presenza.
«Scricciolo,
Scott sa che sei qui?» Le chiese incrociando le braccia sotto
il
petto. La donna doveva conoscerla proprio bene perché dal
tono
con cui le aveva posto la domanda si intuiva che ne conoscesse
già la risposta.
«No,
non lo sa. Ho provato a chiamarlo al cellulare, ma non era
raggiungibile e poi non volevo disturbarlo al lavoro.» Le sue
scuse non impietosirono la donna, non che lei volesse impietosirla, in
fondo quello che aveva detto era vero. Aveva provato più
volte a
chiamare Scott per chiedergli se poteva accompagnarla da Caroline, ma
il suo cellulare risultava spento, così alla fine aveva
chiamato
Anderson e l'uomo si era subito dimostrato disponibile.
«Lo
sai che appena saprà della tua presenza qui si
arrabbierà, vero?» L'anziana fattrice le rivolse
un'ultima
severa occhiata prima di sospirare e arrendersi. «Ad ogni
modo,
ora sei qui e nelle tue condizioni non posso di certo sbatterti fuori
quindi entra ed accomodati, ma attenta a non passare dal fienile; lui
si trova lì e se ti vede sarò costretta ad
intervenire
coi miei metodi per calmarlo...»
Dawn
non riuscì a trattenere una risatina immaginando i metodi
della
donna, il povero Scott non sarebbe tornato a casa completamente
incolume. Si accomodò su una sedia della cucina, sentendo
Caroline invitare in malo modo anche Andy, che come sempre le rispose
per le rime.
«Allora
Scricciolo, come mai sei qui?» L'anziana donna prese posto
accanto a lei, seguito poi da Andy.
«Mi
annoiavo a casa, non c'erano più stanze o mobili da pulire
ed
è troppo presto per preparare la cena. Così ho
chiamato
Andy per farmi accompagnare da te, volevo vedere se avevi bisogno di
aiuto.» A quella spiegazione Caroline sospirò
rassegnata.
«Scricciolo,»
iniziò, tentando di rimanere calma. «Quante volte
devo
dirti che non ho bisogno di aiuto in casa?! Soprattutto non da te in
questo condizioni.» Esasperata, la poverina si
massaggiò
le tempie.
«Su,
Carol, non mi sembra il caso di essere così duri. Dawn vuole
solo essere d'aiuto.» La difese Andy, come sempre.
Poteva
sembrare assurdo, ma in quel momento le sembrava di assistere ad un
battibecco familiare, in cui lei era la figlia, Caroline la madre
troppo premurosa da sembrare paranoica e Anderson il padre che prendeva
sempre le sue difese. Era veramente una cosa strabiliante sentirsi a
casa tra gente che fino a poco fa non si sapeva esistessero, in un
posto di cui mai avrebbe notato l'esistenza.
«So
che vuole solo aiutare, ma dovrebbe pensare prima a se stessa e a suo
figlio prima che agli altri.» La donna aveva ragione, Dawn lo
sapeva bene, ma non riusciva a non pensare anche agli altri;
soprattutto alle persone a cui voleva bene. E poi, non avrebbe mai
messo in pericolo il bambino, quando iniziava a sentirsi stanca si
stendeva sul divano e riposava; infatti si prendeva tutta la giornata
per pulire, in questo modo teneva anche la mente impegnata visto che
Scott rientrava solo di sera e lei non aveva nient'altro da fare o
qualcuno con cui parlare.
All'improvviso,
sentirono dei passi veloci e furiosi provenire dal cortile, salire i
gradini in legno del portico ed entrare in casa. Scott apparve subito
dopo in cucina, rosso in viso per la corsa e col respiro affannato.
«Andy,
prendigli un bicchiere d'acqua prima che muoia.»
Ordinò
Caroline all'uomo, che eseguì subito. Riempì e
porse a
Scott il bicchiere d'acqua, il rosso lo afferrò stizzito e
lo
bevve in un sorso, sbattendolo poi con noncuranza sul tavolo.
«Cosa
ci fai tu qui?» Sbottò il ragazzo verso la
biondina, sprecando la poca aria ritrovata.
«Sono
venuta a trovare Caroline.» Rispose semplicemente lei, e la
risposta non piacque al rosso.
«E
come saresti arrivata fin qui? Non dirmi a piedi perché
potrei
arrabbiarmi sul serio Dawn, poi non mi hai nemm...»
«L'ho
accompagnata io.» Lo interruppe Andy, l'uomo sembrava
piuttosto
irritato e Dawn non l'aveva mai visto in quel modo.
«Tu,»
puntò Caroline. «E tu,» questa volta
puntò
Scott. «Dovete smetterla di starle addosso. La fate stressare
molto di più con le vostre paranoie! Quando questa
Vecchiaccia
era incinta...» La voce dell'uomo si incrinò fino
ad
affievolirsi, poi rimase in silenzio e Dawn giurò di aver
notato
delle lacrime inumidirgli gli occhi. La sua aura si tinse di grigio, il
colore del dolore, ed era così intenso che ne
poté
percepirne un po'. Si sentì subito male per lo strazio, ma
tutto
durò un attimo, perché l'uomo tossì e
si riprese.
«Stavo
dicendo, quando questa vecchia burbera era incinta, rimaneva tutto il
giorno nei campi a lavorare o a prendersi cura dei suoi animali e
quando le ordinavi di andare a riposare ti mandava al
diavolo!»
Anderson si ammutolì nuovamente dopo aver finito la frase,
ed
anche Scott rimase in silenzio; fissando l'uomo con pena e compassione,
due emozioni che non aveva mai letto nei suoi occhi e questo la
sorprese. Come mai quello sguardo? Era collegato all'improvviso mutismo
e dolore in cui era caduto prima Andy?
la
ragazza si voltò verso Caroline e notò un lampo
di
malinconia attraversare gli occhi della donna mentre un sorriso appena
accennato le accentuavano le poche ma visibili rughe attorno alla
bocca. Dawn poté vedere chiaramente l'aura della donna
dipingersi di un rosa intenso – il colore dell'amore
– ma
allo stesso tempo un'ombra grigia, esattamente come successo prima
all'uomo, si nascondeva dietro di essa. Capì che la donna
provava forti sentimenti per il fidato dipendente che le sedeva
accanto, ed era anche palese a tutti quindi quella non era una
novità, ma quel dolore così intenso che si
nascondeva
dietro l'amore che la donna provava era sicuramente legata all'uomo,
come quasi sicuramente quello di lui era legato alla vecchie fattrice,
ma di cosa si trattasse Dawn non sapeva proprio dirlo. L'unica cosa che
riusciva a percepire era il dolore, così forte ed intenso
che la
fece lacrimare senza nemmeno accorgersene.
«Dawn,
perché piangi?» La voce ansiosa di Scott la fece
uscire da
quella bolla di dolore, si toccò le guance e
sussultò
quando le sentì umide. Anche i due anziani la fissavano
preoccupati ed in quel momento sentì di essere
stranamente
di troppo.
«N...
nulla, credo di essere veramente stanca, dopotutto.» Si
alzò dalla sedia e ringraziò Caroline per
l'ospitalità.
«Ti
accompagno io.» Le disse Scott e lei annuì, anche
perché non voleva chiedere un altro passaggio ad Andy, non
ora.
«Non
credo che a Caroline dispiacerà se mi prendo metà
giornata libera.» Continuò beffardo il ragazzo.
«Certo.
E non credo che a te dispiacerà ricevere solo
metà
stipendio.» Gli rispose la donna, facendo ridacchiare l'uomo
accanto a sé.
Scott
non rispose, si limitò ad alzare gli occhi al cielo prima di
uscire dalla casa seguito da lei.
«Quei
due sono proprio fatti l'uno per l'altra.»
Commentò
Anderson appena la porta si fu chiusa dietro ai due ragazzi.
«Anche
troppo.» Fu la secca e divertita risposta di Caroline.
Aveva
sempre sperato di vedere Scott amato nello stesso modo in cui lo amava
Dawn, gli occhi di lei si illuminanavano ogni volta che si posavano sul
ragazzo. Solo un cuore come quello della ragazza avrebbe potuto vedere
dietro alle apparenze, dietro alla cortina di finzione che copriva il
vero volto di quel paese intriso di bugie e falso buonismo.
Come
solo Scott avrebbe potuto accettare la sincerità della
ragazza
ed i sentimenti che provava, nonostante credesse di essere il male
peggiore di questo mondo. Nessuno in realtà era
più buono
di quel ragazzo, più umano, più caritatevole e
responsabile. Nemmeno lui se ne rendeva conto, ma era la miglior cosa a
Yellowknife, il diamante grezzo ancora nascosto sotto il carbone nero e
oscuro. L'amore che lui provava per la bionda, ancora nascosto troppo
profondamente in lui, l'aveva già calmato e rasserenato ma
era
l'unico – oltre agli abitanti del paese – a non
essersene
reso conto.
È
arrivata, Scott, la tua occasione di essere felice; non fartela
scappare, tienila stretta a te e non lasciare che le tue paure siano
più forti del tuo amore. Lo hai cercato sin da bambino,
quell'affetto e quell'accettazione che nessuno ti ha mai dato, e che
ora è così vicino a te da non accorgertene. Non
commettere l'errore di essere più cieco dell'odio e del
timore,
apri il cuore e fidati dell'unica persona che ha messo la sua vita e
quella di un'altra, più fragile, nelle tue mani.
Non commettere il mio stesso errore. Ama.
Intensamente. Senza riserva, come se fosse il tuo ultimo giorno.
Lei
aveva commesso quell'errore, aveva lasciato andare quell'amore che
aveva sempre cercato perché accecata dal dolore, non aveva
pensato che anche lui stava
soffrendo esattamente come lei...
Si
voltò verso Anderson, l'uomo era immerso in
chissà quali
pensieri ed aveva il capo chino e le mani unite sul tavolo.
«Andy...»
Posò le mani su quelle dell'uomo, che si voltò
sorpreso.
«Scusami. Scusami tanto. Ti ho amato immensamente, ti amo
ancora,
ma sono stata così codarda e debole da lasciarti andare.
Soffrivamo entrambi, ma egoista ho pensato solo a me. Ti prego,
perdonami amore mio.»
«Buon
Dio, Caroline.» Gemette l'uomo, incapace di credere che
finalmente quel momento fosse arrivato. Dopo anni di sofferenza, dopo
anni passati senza poterla toccare come desiderava, senza poterla
abbracciare, baciare... amare. «Io non ti ho mai odiato, ti
ho
aspettata fino ad ora. Ti ho sempre aspettata.» In un
secondo, le
labbra dell'uomo furono su quelle della donna, le sue braccia le
cinsero la vita per stringerla a sé. Erano passati vent'anni
dall'ultima volta che l'aveva tenuta così vicina al suo
cuore,
ma ne era valsa la pena di aspettare, per la sua Carol.
Non
importa per quanto, l'avrebbe aspettata anche in eterno se fosse stato
necessario. Lei. La sola e unica donna che avrebbe mai amato.
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