Call from Heaven

di EvelynJaneWolfman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

 

Ci siamo, si disse. Era a Yellowknife, finalmente. Dopo aver passato due giorni terribili sull'autobus, combattendo tra la nausea mattutina e l'odore che cinquanta persone insieme in un posto così ristretto creavano. Per non parlare delle due vecchiette sedute di fronte a lei, avevano parlato per quasi tutto il viaggio e lei non era riuscita a dormire bene, non che fosse arrabbiata con quelle due signore, aveva letto la loro aura e sapeva che erano due brave persone e di solito lei non si innervosiva mai. Di solito.
La causa del suo crescente nervosismo era un'altra e tra poco sarebbe stata anche ben visibile...

Si posò una mano sul ventre e sospirò, stringendo nell'altra il piccolo bagaglio che aveva con sé: uno zaino che conteneva qualche vestito ed il poco che le sarebbe servito per qualche giorno. Sapeva di non aver garanzie, ed era partita abbandonando tutto per il bene del suo bambino, perché nonostante sapesse di avere solo una misera percentuale di vittoria, lei doveva provare a dare un padre alla creatura che cresceva dentro di lei.

Non aveva mai pensato di trovarsi in una situazione del genere, incinta così giovane di un ragazzo che aveva così tanti problemi, e che sicuramente le avrebbe sbattuto la porta in faccia, ma non importava. Lui doveva sapere dell'esistenza di quel bambino e lei avrebbe fatto di tutto per far sì che lo accettasse e amasse, non importava se non avesse mai accettato o amato lei.

Ritornò con la mente alla sera di due mesi prima, quando era stata invitata ad una rimpatriata dei compagni di liceo, che non vedeva da anni. Si era appartata fuori in disparte, come al solito, tra gli alberi a guardare la luna piena che illuminava il cielo notturno. Non aveva notato la presenza del rosso, né aveva percepito la sua aura, stranamente. E quando lui era venuto fuori dal nulla, lei aveva nascosto lo spavento in un saluto apparentemente calmo, tornando a concentrarsi sul satellite luminoso, ignorando il ragazzo ed il cuore che batteva furioso, come succedeva ogni volta che pensava a lui o lo aveva accanto.

Non lo aveva mai dimenticato durante quei tre anni e l'aveva perdonato per il modo poco carino con cui l'aveva sempre trattata, gli avrebbe perdonato ogni cosa, come lui avrebbe dovuto perdonare tutte le persone che lo avevano ferito e ricominciare a vivere.
Erano restati così per un po', lei a fissare la luna e lui immobile dietro di lei. Poi, era tutto cambiato; lei si era ritrovata stretta a lui, a ricambiare il bacio che mai si era aspettata di ricevere, a ricambiare i battiti frenetici del cuore, i respiri ansanti e le carezze.
All'improvviso, aveva sentito l'erba fredda contro la pelle nuda della schiena e si era resa conto che il suo maglione e la camicia erano spariti. Ma non lo aveva fermato, perché per la prima volta negli occhi di Scott, aveva visto brillare un'emozione che non era l'odio e che le aveva causato un brivido lungo la spina dorsale. Così, si era semplicemente stretta a lui ed aveva vissuto il momento più bello della sua vita, donandogli qualcosa che non aveva mai donato a nessuno. Ed infine, lui l'aveva tenuta stretta contro il petto, come se fosse la cosa più importante al mondo, e per poco lei era stata davvero felice. 
Ma quel momento era durato un attimo, lo stesso misero attimo del battito d'ali di una farfalla, perché lo aveva sentito sussultare all'improvviso, come se qualcuno o qualcosa lo avesse spaventato, allontanarsi da lei e vestirsi in fretta, lasciandola sola e ferita.

Il vento gelido penetrò attraverso i vestiti, facendola rabbrividire e riportandola alla realtà. A distanza di quasi due mesi, quel rifiuto silenzioso le faceva ancora male. Certo, non si era illusa, ma dopo ciò che avevano condiviso non si sarebbe mai aspettata di vederlo fuggire a quel modo; come se lei fosse stata una lebbrosa.
Sospirò ed infilò la mano nella tasca laterale degli jeans che indossava e ne tirò fuori un fogliettino stropicciato, lesse attentamente l'indirizzo che vi aveva scritto sopra, quello di Scott, e se lo portò al petto in una muta preghiera alla madre terra. Non era di certo stato facile abbandonare la sua città, le sue certezze, i suoi genitori e tutto ciò in cui avrebbe potuto trovare sostengo, per quel viaggio, per Scott e per il loro bambino.
Lui l'avrebbe cacciata, oh sì che l'avrebbe fatto. Lo sapeva. Ma il cuore traditore sperava, pregava davvero che la mente si sbagliasse.

Si sistemò lo zaino su una spalla ed iniziò a camminare per i negozi colorati di quella cittadina, piena di profumi e facce che non aveva mai visto. Anche gli alberi e la vegetazione che la circondava le sembrava così estranea, nonostante fosse identica a quella di Toronto. In lontananza, poteva scorgere gli alti edifici che si trovavano a nord di Yellowknife. Quella città sembrava divisa in due: da una parte c'erano edifici moderni ed ogni genere di negozio; dall'altra casette colorate, fattorie, negozi artigianali ed il bellissimo lago che l'aveva subito incantata dal grande finestrino dell'autobus.

Dopo qualche minuto di cammino, si rese conto di non sapere dove fosse. Si era allontanata molto dalla fermata dei bus, da cui era partita, e non sapeva nemmeno come tornare indietro. In poche parole, si era persa. 
Mordicchiandosi il labbro inferiore con agitazione, iniziò a guardarsi intorno, cercando di non farsi prendere dall'ansia e dalla paura, e solo in quel momento notò che alcune persone la stavano fissando con curiosità.
Immaginò che per loro non fosse abituale ricevere turisti, soprattutto non giovani e soli, così ora lei si trovava al centro delle loro attenzioni e chiacchiere.

Nascose il disagio e cercò con lo sguardo una via di fuga e un aiuto per riuscire a trovare la casa di Scott. In quel momento, sentì il coraggio venirle meno e quasi si maledisse per essere partita da sola per una cittadina così lontana, poi si ripeté che faceva tutto quello per il suo bambino e che doveva essere forte.

Sì, devi essere forte Dawn...

Fece vagare lo sguardo verso il negozio di ferramenta poco distante da lei, e notò un uomo piuttosto anziano che stava caricando del fieno su un camioncino dalla vernice blu consumata dal sole. Avrebbe chiesto a lui indicazioni per arrivare da Scott. Si avvicinò lentamente, soppesando mentalmente cosa dire senza che si lasciasse scappare qualcosa di troppo. Immaginava che ancor prima del calar del sole, tutti avrebbero parlato di lei e di certo non voleva dare loro altra carne da mettere a fuoco lasciandosi scappare dettagli intimi e succosi come la sua gravidanza.

Si avvicinò all'uomo, che le dava le spalle, ripetendosi per l'ennesima volta che doveva essere forte. 
«Mi scusi...» Iniziò un po' in imbarazzo, non le era mai capitato di chiedere informazioni a qualcuno, ma c'era una prima volta a tutto ed ormai lo sapeva bene. 
L'uomo si voltò di scatto e, dopo un primo momento di perplessità, iniziò a squadrarla da capo a piedi. Lei tossicchiò, allontanando l'imbarazzo che rischiava di farla desistere dal suo intento. «Potrebbe indicarmi come arrivare a questo indirizzo?» Finì, porgendo il foglietto all'uomo, che lo prese con curiosità dalla sua mano e lo portò a qualche centimetro lontano dagli occhi, socchiudendoli per poter leggere.

Appena gli occhi stanchi, e non più giovani, dell'uomo si posarono sulle parole da lei impresse sulla carta ed il cervello ne assimilò il significato, sgranò le iridi azzurre sorpreso e rilesse l'indirizzo, poi alzò lo sguardo su di lei e la fissò scettico. 
«Vuole andare alla fattoria dei Douglas? Ne è sicura?» Le chiese incredulo, sorprendendola.

«Sì, potrebbe indicarmi dov'è, per favore?» Dawn poté capire chiaramente il motivo della sua reazione leggendogli l'aura, la famiglia di Scott non era benvoluta e le persone di quella cittadina preferivano non aver rapporti con loro. E lei conosceva bene la sensazione che si provava quando gli altri ti tengono alla larga, anche se in questo caso la reazione era scatenata dai genitori del ragazzo e non da lui in particolare.

Sentì l'uomo sospirare e grattarsi la barba, indeciso se accompagnarla o meno. «So dove abitano e l'accompagnerò io, signorina.» Accettò infine, aggiungendo anche un altruistico passaggio che lei non si sarebbe mai aspettata.

Stava per rifiutare, ma l'uomo non le diede il tempo di farlo.

«Non accetto una risposta negativa, è molta la strada da percorrere a piedi ed oggi è anche una giornata fredda.» Una folata di vento gelido la fece tremare e battere i denti, come se madre natura volesse dare ragione all'uomo e convincerla ad accettare. Camminare per molto tempo non avrebbe fatto bene né a lei né al bambino, ed ora lui veniva prima di tutto, ragionò infine.

«Va bene, accetto volentieri il passaggio, se non vi reca disturbo.» Si arrese, aveva troppo freddo per mettersi a discutere. Se la strada da percorrere era davvero troppa, con quel gelo si sarebbe congelata prima di arrivare a destinazione e lei non doveva pensare solo a se stessa ora. E poi, l'uomo era una persona per bene quindi poteva stare tranquilla.

Il vecchietto le sorrise amichevolmente, nel tentativo di rassicurarla. 
«Nessun disturbo, signorina.» Con un gesto del capo, le ordinò di salire sul veicolo.

Dawn si affrettò a salire sul furgone, notando con piacere che il riscaldamento era accesso. Sospirando contenta, si abbandonò contro il sedile mentre l'uomo la raggiungeva nell'abitacolo e metteva in moto.

***

Erano partiti già da qualche minuto, ma nessuno dei due aveva aperto bocca. Dawn era troppo occupata a godersi il caldo per parlare, mentre l'altro aveva paura di essere troppo invadente, ma dopo qualche momento di indecisione, l'uomo decise di rompere il silenzio.

«Come mai è qui, signorina? E soprattutto, come mai si sta recando dai Douglas? Scusate la mia curiosità, ma sono anni che nessuno va più a trovare quella famiglia.» Rise nervosamente lui, tenendo lo sguardo fisso sulla strada dinanzi a sé.

«Sono un'amica di Scott.» Rispose semplicemente, guadagnandosi un'occhiata incredula dall'uomo.

«Non sapevo Scott avesse degli amici. Certo, quando era piccolo ne aveva molti, ma poi...» Lui tossì teso prima di continuare, cambiando però discorso. «Comunque, sono felice che abbia un'amica, lei sembra una brava persona.»

Dawn lo ringraziò con un sorriso e ripensò a quello che l'uomo le aveva rivelato. Scott aveva avuto degli amici da bambino, chissà se ne aveva ancora qualcuno, ne dubitava fortemente. Comunque, quello significava che forse c'era ancora speranza per lui.

«Io sono Anderson, piacere di fare la sua conoscenza.» Riprese dopo un po' lui, ricordandole di aver accettato un passaggio senza nemmeno presentarsi.

«Io sono Dawn, mi scuso per non essermi presentata prima ed è un piacere anche per me conoscerla.» Sorrise gentilmente e si richiuse di nuovo nel silenzio. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che una persona le aveva parlato spontaneamente e senza timore, esclusi alcuni compagni del liceo, ovviamente. 
Le poche persone che la conoscevano a Toronto, non le rivolgevano mai la parola e la evitavano, avevano troppa paura che lei potesse scoprire i loro segreti e questo li metteva a disagio.

«Eccoci qui, signorina.» Anderson parcheggiò l'auto davanti ad una fattoria in rovina ed apparentemente disabitata. Il legno del recinto che bloccava l'entrata agli sconosciuti, era marcio e la casa che un volta doveva essere stata rossa, ora rovinata e bisognosa di una riverniciata. Il portico era decadente ed aveva bisogno di una ristrutturazione, come tutte le strutture che riusciva a scorgere, fienile compreso.

«La ringrazio mille per il passaggio, Anderson.» Scese dal furgone e rabbrividì per l'ennesima volta al vento gelido che la investì, diede un ultimo saluto all'uomo che le aveva risparmiato una gran bella "passeggiata" e si avviò verso la struttura in rovina.

«Stai attenta ragazza, anche se sei un'amica di quel ragazzo, ti consiglio di non abbassare la guardia.» L'avvertì lui, prima di ripartire, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere.

La bionda scavalcò il recinto marcio ed attraversò il piccolo vialetto che la separava dalla casa di Scott. Lentamente, salì gli scalini in legno del portico, sentendone scricchiolare qualcuno. Sembrava la scena di un film horror, anche il posto era perfetto.

Arrivò davanti alla zanzariera che precedeva la porta, anch'essa rovinata e consumata dagli anni, e busso velocemente prima che il coraggio le mancasse.

Le luci in casa erano spente e per un momento credette che non ci fosse nessuno, poi, dopo qualche minuto, la luce di quello che doveva essere il salotto si accese e le si bloccò il respiro in gola, mentre il corpo si irrigidiva per la tensione.

Sentì un tonfo, seguito subito dopo da una colorata imprecazione ed un borbottio. Sì, quello era proprio Scott.

***

Chi cavolo rompeva a quell'ora? Si chiese Scott, entrando in salotto.

Erano solo le dieci di mattina e a lui piaceva stare a letto almeno fino a mezzogiorno, soprattutto ora che non c'erano i suoi genitori a rompergli le scatole. 
Si strofinò gli occhi, ancora intontito dal sonno, ed andò a sbattere con il piede contro una delle sedie che circondavano il tavolo.

«Porca puttana!» Sbottò, zoppicando verso l'entrata e maledicendo chiunque si trovasse dall'altro lato.

Aprì la porta e la zanzariera, e si ritrovò davanti la figura di una biondina minuta che si stava torturando le mani. All'inizio non la riconobbe, forse per l'abbigliamento tanto diverso da quello che aveva di solito o per i capelli leggermente più corti, poi i suoi occhi la misero a fuoco e lui rimase paralizzato sul posto.

«Cosa ci fai qui?» Chiese il rosso, sorpreso dalla visita di quella ragazza che non vedeva da due mesi e che, invano, cercava di togliersi dalla mente. Ricordava ancora il profumo della sua pelle, il sapore delle sue labbra ed il leggero dolore causato dalle sue unghie che penetravano la carne delle spalle...

Scott scosse il capo, scacciando quel ricordo piacevole e doloroso al tempo stesso. Doveva riprendersi, cacciarla, mandarla via prima che si lasciasse andare al bisogno quasi istintivo di assaporare di nuovo le sue labbra.

«Ciao anche a te, Scott.» Lo salutò ironicamente lei, poi la sentì sospirare e cambiare atteggiamento prima di riaprire bocca. «Io devo dirti una cosa importante.» Lo freddò, notando che stava per aprir di nuovo bocca.
Dawn aveva uno sguardo deciso, la schiena dritta ed il mento alzato, come un soldato che si preparava alla guerra. Non se ne sarebbe andata, dedusse lui. Non l'aveva nemmeno invitata ad entrare, la ragazza però non sembrava curarsene e se ne stava sotto il portico con quell'espressione decisa che poche volte, se non mai, aveva visto comparire sul suo volto sempre dolce e gentile.

«Va bene, dì quello che devi dire e sparisci.» Sbottò spazientito. Una parte di lui gli gridava di far entrare la ragazza, abbracciarla ed amarla come aveva fatto due mesi addietro, ma quella orgogliosa e crudele che usava come scudo, e che ormai aveva il sopravvento su di lui, gli ordinava di sbarazzarsi presto di quella distrazione e tornarsene dentro ad ammazzare topi e godersi la pace lasciata dalla partenza dei suoi genitori.

«Sono incinta, Scott.» Gli rivelò con apparente calma. Quella notizia lo colpì con la stessa intensità di un pugno nello stomaco, ma non diede a vederlo; anzi, indossò la solita maschera da stronzo e si affrettò a risponderle.

«Quindi che vuoi ora?» La ragazza non batté ciglio alla sua risposta fredda e dura, come se si fosse aspettata esattamente quella frase da lui e questo lo fece imbestialire. Ogni cosa che faceva o diceva, sembrava non avere effetto su di lei, come se sapesse sempre prima di lui cosa avrebbe detto o fatto.

«Nulla, non voglio nulla. Ho solo pensato che dovevi saperlo.» Gli rispose lei, mantenendo ancora sul viso quell'espressione decisa e fiera.

«Bene, ora puoi andartene.» Fece un passo indietro per chiudere la zanzariera e lei fuori dalla propria vita, quando la ragazza parlò di nuovo:

«Rimarrò a Yellowknife, Scott. Resterò fin quando non ci accetterai ed accetterai te stesso, quello vero, quello che ti ostini a tenere dentro. Quello che già ama questo bambino.» Affermò decisa, portandosi una mano sul ventre.

Si trattenne dal riderle in faccia, davvero credeva che avrebbe accettato lei ed il bambino? Sciocca, pensò, e qualcosa all'altezza del cuore lo fece sudare freddo: senso di colpa. Scacciò quella sensazione e tornò a fissarla freddamente.

«Davvero vuoi rimanere in questo posto di merda?» Rise. «Bene, fai pure, ma non credere che alla fine il tuo sforzo avrà l'effetto sperato.» Sputò velenoso.

«Puoi mentire a te stesso, Scott, ma non a me.» Replicò dolcemente lei, una dolcezza che aveva il potere di ucciderlo.

«Davvero? Te lo dice la mia aura?» La prese in giro lui.

«I tuoi occhi mi parlano prima della tua aura.» Gli rispose candidamente, poi si voltò e si allontanò lentamente.

Scott rimase pietrificato sulla soglia di casa. I suoi occhi gli parlavano prima della sua aura? Si portò una mano all'occhio sinistro, come se toccandolo potesse capire effettivamente se fosse vero o no. 
Scosse la testa, dandosi dell'idiota, chiuse la mano a pugno ed entrò dentro, sbattendo la zanzariera e la porta.

Maledetta Dawn!

Perché? Perché si era infilata nel suo cuore? Stava così bene prima, in compagnia soltanto del suo dolore e del suo odio. Poi era arrivata lei, e bastava solo il suono di quella voce dolce e calma per spegnere un risentimento che durava da talmente tanto tempo, da non sapere più nemmeno lui quando esattamente avesse iniziato a provarlo.

Ed ora... un bambino! La maschera voleva davvero non saperne nulla, ma l'altra parte di se stesso cercava di riemergere dal buio della sua anima, urlandogli di rincorrerla ed accettare quella possibilità di essere felice, ma lui aveva paura e da codardo preferiva restare nascosto nella sua oscurità.
Lei aveva detto che sarebbe rimasta lì finché lui non avesse accettato loro e se stesso, ci sarebbe davvero riuscita? Quella parte nascosta di Scott pregò di sì.

Tornò a letto, scombussolato ed infuriato. Solo che non sapeva se lo fosse con Dawn o con se stesso.

***

Dawn si allontanò dalla fattoria di Scott, trattenendo le lacrime. Le parole del ragazzo l'avevano ferita, anche se già se l'era aspettate. 
Il problema era che lei, indipendentemente da quello che riusciva a vedere e percepire, era una ragazza qualunque e sognava esattamente come tutte le altre. Ed in fondo, aveva sperato che lui l'avrebbe almeno ospitata per quella notte. Sfregò le mani sulle braccia per darsi un po' di calore, per fortuna era quasi mezzogiorno altrimenti avrebbe dovuto sopportare un freddo ancora più pungente. Stanca ed affamata, Dawn si fermò per un po' a recuperare fiato, la testa le girava e la nausea era tornata, nonostante avesse svuotato il suo stomaco poco prima di arrivare in città.

Si sedette per terra e chiuse gli occhi, respirando lentamente, doveva calmarsi e pensare a cose positive. Rimase così per un po', fino a quando sentì un furgone fermarsi di fronte a lei, solo allora riaprì gli occhi; ritrovandosi di fronte una donna anziana dai lunghi capelli grigi e lo sguardo curioso, che si sporse dal finestrino per fissarla intensamente.

«Cosa ci fai lì per terra?» La domanda era stata formulata con un tono irritato e curioso, ma Dawn poté leggere l'autentica preoccupazione nell'aura della donna.

«Sto solo riprendendo fiato.» Si rialzò, togliendosi la polvere dai pantaloni con delle pacche e spostando lo zaino sull'altra spalla.

«Sei nuova di qui, giusto?» Chiese ancora la donna, socchiudendo gli occhi per guardarla meglio.

Dawn annuì.

«E non hai un posto dove stare, ho indovinato?» Continuò l'enigmatica sconosciuta.

Dawn scosse la testa, in un gesto affermativo.

La donna sospirò pesantemente, poi parlò di nuovo. «Salta su scricciolo, starai nella mia fattoria. Mi servivano proprio due braccia in più.»

La bionda la fissò sorpresa e completamente senza parole, era in quella città da meno di un'ora e questa era già la seconda persona che le dava una mano. Non era abituata a tutto quell'altruismo, anche perché di solito quella altruista era lei.

Notando che la ragazza non accennava a muoversi, la donna batté con forza una mano sulla portiera bianca. 
«Allora, ti muovi? Credi che la vecchia Caroline abbia tempo da perdere? Il mio soggiorno su questa terra è agli sgoccioli ed ho ancora molte cose da fare prima di andarmene.»

Dawn rise involontariamente a quella frase, non voleva darle l'impressione di ridere di lei, ma sentirle dire che le rimaneva poco tempo nonostante apparisse così piena di energie, era davvero il colmo. Ringraziando la madre terra per il suo aiuto, andò verso il sedile del passeggero ed entrò in auto.

«Finalmente.» Sospirò Caroline, appena la bionda si fu chiusa la portiera alle spalle, e ripartì a grande velocità, senza degnarla di uno sguardo.

Sollevata, Dawn si accarezzò il ventre, sentendosi più tranquilla.

Non ti preoccupare piccolino, andrà tutto bene vedrai, pensò, in un tentativo di rassicurare il bambino, anche se era lei quella che ne aveva più bisogno. Doveva tenere duro e combattere, solo così non avrebbe mai avuto rimpianti.

 







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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

«Benvenuta allo Shameless Cow!» Esclamò Caroline, imboccando il vialetto che portava ad una grande fattoria simile a quella di Scott, ma a differenza di quella del rosso questa era tenuta alla perfezione; i campi erano rigogliosi e ben curati, la casa principale, il fienile e le stalle erano tutte come nuove ed anch'esse rosse. Sembrava un quadro, tutti quei colori erano meravigliosi e nemmeno il pungente odore di animali che iniziava a sentire poteva rovinare l'atmosfera. 
Il nome della fattoria era un po' strano, ma proprio nello stile di Caroline. Si voltò a fissare la donna in silenzio e lesse nella sua aura tutto il dolore che aveva patito a causa dei figli e dei nipoti, un dolore che quella donna dal cuore così grande non meritava. La conosceva da meno di dieci minuti eppure le sembrava di conoscerla da sempre, anche se sbraitava e all'apparenza sembrava insensibile, Dawn sapeva che era il suo modo per mettere a proprio agio le persone. Anche se poteva essere frainteso ed aveva l'effetto opposto.

«È meravigliosa!» Esclamò sorridendo alla donna, che si limitò a ricambiarla con una smorfia che la fece ridacchiare piano. 
Caroline parcheggiò di fronte alla casa, scese dall'auto e fece segno a Dawn di seguirla, la ragazza si affrettò a raggiungerla e la seguì dentro casa. Un delizioso odore di biscotti al burro le invase le narici, ed il suo stomaco brontolò rumorosamente, facendola arrossire.

Caroline ghignò al suono di protesta emesso dallo stomaco della ragazza, quel piccolo scricciolo la incuriosiva e la inteneriva.
Aveva saputo da Anderson, uno dei suoi più fedeli dipendenti, che una nuova ragazza era arrivata in paese e che lui l'aveva accompagnata personalmente alla fattoria dei Douglas. In un primo momento, aveva risposto all'uomo che le conoscenze di quei due squinternati non le interessavano, poi Andy l'aveva corretta dicendole che non era un'amica di Ashley e Vincent, ma di Scott e lei aveva subito capito che qualcosa di strano stava per accadere. 
Caroline adorava Scott, quando era piccolo passava tutti i giorni nei campi con lei, raccoglieva margherite e gliele infilava nei capelli una volta dello stesso colore del tramonto che si poteva ammirare dal lago.

“Così sei ancora più bella, zia Carol”, le diceva, con quel suo sorriso stupendo in grado di far sciogliere il più gelido dei cuori e quelle fossette sulle guance che urlavano di tempestarle di baci.
Ogni giorno il suo sorriso, i suoi gesti affettuosi ed i suoi abbracci, colmavano il vuoto che avevano lasciato i suoi figli ed i suoi nipoti, che non venivano mai a trovarla. 
E poi, pian piano, come in un incubo lento e logorante, il sorriso di Scott era diventato sempre più raro fino a scomparire e non le aveva più fatto visita. Il dolore per quella perdita era stata tremenda, ma non ce l'aveva con lui perché sapeva che i colpevoli erano Ashley e Vincent, i suoi genitori. Quei due non avevano mai meritato un angelo come Scott ed alla fine lo avevano distrutto, strappandogli le ali per impedirgli di volare.
Ricacciò indietro le lacrime ed ordinò alla ragazza di sedersi a tavola, prese un piatto di biscotti al burro che aveva sfornato quella stessa mattina e si accomodò accanto alla bionda, piazzandoglielo sotto il naso con poca grazia.

«Allora, non ti chiederò il motivo della tua visita ai Douglas perché non mi interessa, ma prima che tu inizi a lavorare qui credo di dover conoscere almeno il tuo nome e per quanto tempo pensi di fermarti in questo posto.» La ragazza annuì, prendendo un biscotto e mangiucchiandolo piano.

«Io sono Dawn e credo di dover rimanere qui per un bel po'.» Rispose calma la bionda, dopo aver finito il biscotto.

Le aveva detto che non avrebbe fatto domande sulla sua visita a Yellowknife, ma in realtà moriva dalla curiosità di sapere cosa ci fosse tra lei e Scott e quella risposta non aveva fatto altro che renderla più curiosa. Quella ragazza sembrava dolce e gentile, ma anche sicura di sé, un tipo che sicuramente non si faceva mettere i piedi in testa dal rosso o da chiunque altro.

«Bene, Dawn!» Esclamò dopo un minuto di silenzio. «Credo che, da buona padrona di casa, dovrei subito mostrarti la camera in cui alloggerai per il momento, dopo ti mostrerò la fattoria e i dipendenti.» Si alzò con fatica dalla sedia massaggiandosi le gambe doloranti, ormai gli anni si facevano sentire. Da una parte sapeva che il suo tempo su quella terra stava per terminare e lo accettava, ma dall'altra non riusciva a dire addio alla sua fattoria, soprattutto perché non aveva nessuno a cui lasciarla. I suoi figli l'avrebbero sicuramente venduta e tutto ciò che si era guadagnata con così tanta fatica e sudore sarebbe andato distrutto, quello era l'unico peso sul cuore che la inchiodava ancora a quel mondo.

«Caroline, si sente bene?» Dawn era preoccupata per quella donna, sul suo volto era impresso un dolore straziante e per un secondo temette che stesse per sentirsi male. Evitò di leggerle di nuovo l'aura perché non voleva invadere la sua privacy, ma sapeva benissimo che tutto quel dolore non poteva essere fisico. Non tutto almeno.

La donna riprese il controllo di sé e borbottò, in malo modo, che stava bene e di non preoccuparsi. Le mostrò la stanza in cui avrebbe alloggiato e lei scoprì con piacere che la camera dava sul lago.
Lasciò lo zaino sul letto e si precipitò alla finestra, ammirando la bellezza dei raggi solari sulla superficie cristallina dell'acqua. Sembrava che il lago fosse cosparso di diamanti o brillantini, quella vista avrebbe di certo migliorato le sue giornate ed ogni mattina che avrebbe trascorso lì.

«È bellissimo, vero?» Le chiese Caroline, rimasta a fissare la ragazza dalla soglia.

Dawn si voltò senza allontanarsi dalla finestra. 
«Sì, è stupendo.»

Chissà se dalla fattoria di Scott si poteva ammirare lo stesso meraviglioso spettacolo della natura, pensò la bionda, rabbuiandosi subito dopo. Come la stupida, aveva promesso al ragazzo che sarebbe rimasta lì fino a quando lui non avesse accettato lei ed il bambino, ma ci sarebbe riuscita? Scott era ormai completamente corrotto o c'erano ancora possibilità di salvezza? Nel profondo di se stessa credeva di sì, non riusciva ancora a dimenticare la dolcezza del suo tocco, dei suoi baci e di quello sguardo... l'unico sguardo sincero e limpido che le aveva riservato, sporcato solo dalla tenerezza. Lei lo amava così tanto da crederlo quasi impossibile, come poteva amare qualcuno che non conosceva bene? Qualcuno che l'aveva cacciata nonostante sapesse del bambino in arrivo? Dawn non lo sapeva, per lei quei sentimenti e quelle sensazioni erano del tutto nuove e non riusciva ancora a comprendere come l'amore potesse far fare gesti insoliti e completamente folli. Come quello di lasciare tutto per inseguire qualcuno che non vuol essere inseguito, arrivare nella sua cittadina e stanziarsi lì per un tempo indeterminato.

«Scricciolo, se vuoi ti faccio fare ora il giro della fattoria, dopo non avrò tempo.» Borbottò apparentemente scocciata Caroline, dietro di lei.

La bionda si allontanò dalla finestra ad annuì, incapace di aprir bocca a causa dei troppi pensieri e delle emozioni contrastanti che stavano lottando dentro di lei. Una parte recondita del suo cervello le gridava di tornare a Toronto, che poteva benissimo prendersi cura del bambino senza di Scott; anzi, suo figlio sarebbe stato meglio anche senza di lui. Ma lei sapeva che non era così, nessun bambino sta veramente meglio senza una delle due figure genitoriali.
Seguì la donna al piano inferiore e poi fuori, i raggi del sole la colpirono in pieno viso e si stupì di quel clima primaverile nonostante fosse ormai ottobre.

«Questi,» iniziò Caroline, puntando con una mano il vasto campo coltivato alla loro destra. «È uno dei nostri campi di pomodori, abbiamo serre riscaldate per l'inverno, ed è anche grazie a questo che riesco ancora a pagare le tasse, anche se ogni anno sono sempre più care.» Commentò con amara ironia la donna, camminando spedita dinanzi a lei. Dawn non poté fare a meno di perdersi nella vegetazione che regnava sovrana tutt'intorno e per un'ambientalista come lei quello era il paradiso in terra. L'aria era pura e fresca e solo l'odore pungente degli escrementi animali spezzava quel quadretto incantato, ma nello stesso momento gli dava quella autenticità che solo in una fattoria si può trovare. O quasi in tutte.
Superarono il campo di pomodori e si ritrovarono vicino alla stalla ed ai recinti dove le mucche, e poco più lontano le pecore, stavano pascolando tranquille. Lì quell'odore era davvero forte e dovette reprimere con tutta se stessa un conato di vomito, a causa della gravidanza ogni odore era amplificato per lei e quella situazione non era di certo facile per il suo povero stomaco.

Chiuse gli occhi e prese un bel respiro, ma nessun errore fu più terribile di quello. Come una stupida, aveva dimenticato di trovarsi proprio accanto alla fonte del suo malessere ed aveva appena aspirato a pieni polmoni quell'odore nauseante. Si portò una mano alle labbra e cercò sostegno sulla parete esterna della stalla. La testa le girava senza sosta, come la priva volta su un carosello, ed il malessere sembrava non passare.

«Scricciolo, tutto bene?» Caroline le si avvicinò preoccupata, anche se faceva di tutto per non darlo a vedere.

Dawn cercò di annuire, ma sentiva la testa troppo pesante e non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti. Poi, dopo un tempo che le parve infinito, la nausea sparì e la testa smise di girare. Sospirò di sollievo e si allontanò lentamente dal suo appoggio improvvisato.

«Sì, sto bene, mi scusi.» Deglutì ancora leggermente provata. «Ho solo avuto un capogiro. Ora mi sento meglio.» Sorrise alla donna e la superò lentamente per continuare il giro turistico.

Caroline la raggiunse dopo un po', per nulla convinta che ciò che l'avesse colpita fosse solo un semplice capogiro. C'era qualcosa di sempre più sospetto in quella ragazza.

«Ehi, vecchiaccia!» Anderson, l'uomo che Dawn riconobbe subito come il signore gentile che le aveva dato un passaggio quella mattina, si avvicinò a loro. 
«Ci sono le balle di fieno da scaricare ed io sono troppo vecchio e malandato per salire e scendere dal furgone. C'è qualcuno dei ragazzi libero che può darmi una mano?» Chiese a Caroline, senza accorgersi della sua presenza accanto alla donna.

«Vecchiaccia sarà tua sorella!» Sbottò indispettita la padrona di casa. «E comunque no, nessuno dei ragazzi è libero, ma per tua fortuna oggi ho assunto una nuova ragazza.» Caroline la puntò con un cenno del capo e solo allora Anderson spostò lo sguardo su di lei. La fissò per qualche secondo, prima di sgranare gli occhi sorpreso.

«Ma tu non sei la ragazzina che ho accompagnato stamattina dai Douglas?»

«Sì, sono proprio io. È un piacere per me rivederla, signor Anderson.» L'espressione dell'uomo era talmente buffa che Dawn trattenne con fatica una risatina. Sicuramente non si sarebbe mai aspettato di rivederla o di rivederla sana e salva.

«Come mai è qui? Scott ti ha fatto qualcosa di male?» Domandò, passando in fretta dal “voi” al “tu” ed iniziando a stringere i denti per la rabbia.

«No! Scott non mi ha fatto nulla di male!» Si affrettò a dire. «Io... dovevo solo dirgli una cosa, poi ho deciso di rimanere e Caroline mi ha offerto di lavorare per lei in cambio di vitto e alloggio.» Spiegò, distorcendo un po' la realtà. Per fortuna, la donna accanto a lei rimase in silenzio senza rivelare di averla trovata seduta per strada mezza disperata.

Anderson alzò un sopracciglio dubbioso, ovviamente non si era bevuto la sua storia. 
«Fammi capire, angelo, tu sei venuta in questo posto desolato solo per fare due chiacchiere con quel ragazzo e poi andartene?» La voce dell'uomo era carica di ironia e Dawn sentì un pizzico di rabbia montare dentro. 
Cosa c'era di strano nell'andare a visitare qualcuno? Nulla, ovviamente, ma visto che si trattava di Scott tutti erano pronti a sputare sentenze velenose che prevedevano la pena di morte per il rosso, senza possibilità del ragionevole dubbio.

«Andy, fatti gli affaracci tuoi.» Lo rimproverò Caroline. «Scott non è cattivo e comunque ora hai del lavoro da fare, mostra a Dawn dove deve portare le balle di fieno. Io vado a controllare il gregge.» La donna gli lanciò un ultimo sguardo ammonitore prima di allontanarsi.

«Bene. Allora piccolo angelo, seguimi.» Anderson le fece un leggero cenno col capo prima di avviarsi verso il suo vecchio furgone blu. Il retro del veicolo era pieno di balle di fieno e la bionda capì che per l'uomo sarebbe stato davvero difficile salire sull'abitacolo per prenderle e poi scendere subito dopo per riporle nel fienile. Ed avrebbe dovuto fare quel via vai molte volte.

«Tu sali e mi passi le balle, okay? Io poi le porto in fienile.» L'uomo l'aiutò a salire nel cassone e Dawn gli passò subito il fieno che venne poi trasportato nell'edificio rosso da Anderson. Andarono avanti così per un po'; lei gli passava le balle e lui le sistemava accuratamente nelle stalle, ma dopo diverse ore di lavoro la fatica iniziava a farsi sentire. La testa le faceva male a causa del sole, nonostante la brezza fresca, mentre l'anziano uomo iniziava a zoppicare sempre più vistosamente e a trattenere gemiti di dolore. 
Cercò di resistere il più che poté, ma all'improvviso la vista le si appannò e fu costretta a sedersi nel cassone per non crollare sulle balle di fieno rimanenti.

«Dawn, tutto bene?» Chiese preoccupando Anderson, avvicinandosi velocemente al furgone.

La ragazza tentò di rispondergli, ma dalla bocca non uscì nessun suono, si sentiva troppo stordita e spossata. Quella era già la seconda volta in un giorno e non andava per niente bene, doveva preoccuparsi del suo bambino invece si stava sforzando troppo.

«Andy, che succede?» Notando che il lavoro si era fermato, Caroline si avvicinò ai due per scoprirne il motivo.

«La piccola si sente male.» Spiegò lui.

La donna lanciò uno sguardo alla bionda, che se ne stava ancora con gli occhi chiusi e tentava di riprendersi con degli esercizi di respirazione. In un secondo, il dubbio che quello scricciolo le avesse nascosto un'importante problema di salute si presentò prepotente nella sua testa.

«Scricciolo, cos'hai?» Chiese ma, com'era successo all'uomo, non ottenne risposta e questo la fece preoccupare di più. «Andy, entra in casa e portami subito un po' della cioccolata che tengo nascosta nella credenza.» Ordinò tentando di nascondere l'agitazione. Anderson annuì apprensivo e corse subito dentro casa.

Caroline si avvicinò a Dawn e le mise una mano sul capo, trovandolo molto caldo. Si maledì per non averle dato un cappello con cui proteggersi dai raggi solari che, anche se non forti come in estate, causavano comunque un senso di spossatezza e giramenti di testa. Forse era per quello che la ragazza si sentiva male, eppure sentiva che c'era dell'altro perché quella scena le era tremendamente familiare.

«Scricciolo, c'è qualcosa che non mi hai detto?» Non si aspettò una risposta, ma la bionda annuì leggermente col capo.

«Ecco la cioccolata!» Esclamò Andy, avanzando di corsa verso di loro. Le porse il dolciume e la donna lo piazzò in fretta vicino alle labbra di Dawn.

«Forza, mangia questo.»

Riluttante, la ragazza aprì la bocca e lasciò che la cioccolata le si sciogliesse sulla lingua, ritrovando effettivamente un po' di sollievo. Riuscì finalmente ad aprire gli occhi, scontrandosi con lo sguardo penetrante di Caroline.

«Allora? Cosa non mi hai detto?» Continuò la donna, che non aveva dimenticato la sua ammissione di poco prima.

«Io...» Iniziò, tentando di trovare le parole adatte e pregando che Caroline non la cacciasse appena avesse saputo la verità. «Sono incinta.» Rivelò infine, vedendo sia la donna che l'uomo sgranare gli occhi sorpresi.

«Incinta?» Ripeté perplessa Caroline. «E cosa aspettavi a dirmelo? Non ti avrei chiesto di lavorare, stupida incosciente!» La riprese lei e Dawn poté leggere un misto di preoccupazione e rimorso nella sua aura. «Il padre è Scott? È per questo che sei qui?» Continuò a chiedere.

La bionda annuì mestamente senza saper cosa dire.

«Ehm... Caroline, disturbo?» I tre vennero interrotti da Steve, l'allevatore di pecore che abitava proprio accanto allo Shameless Cow.

«No Steve, non disturbi.» Lo rassicurò la padrona di casa. «Come mai sei qui?»

«Ma come, non ricordi? Sono qui per quell'agnellino che mi avevi promesso.» Le ricordò lui, leggermente intimorito.

«Ah, sì! Scusami Steve, sono stata distratta da altre cose...» Lanciò un'occhiata severa a Dawn, che abbassò lo sguardo sentendosi in colpa. «Su, vieni con me che ti do quest'agnellino.» La donna si allontanò verso i recinti seguita da Steve.

***

Per Jamie Lynn, ogni giornata era noiosamente uguale da ben quarant'anni; aveva visto svolgersi molte cose nella sua piccola drogheria ma nessuna di rilevante importanza. Fino a quel giorno almeno.

Steve Marshall, uno degli allevatori del paese, entrò di corsa nel negozio dove tutte le donne del paese si trovavano a quell'ora per fare compere. «Signore! Ho un'importante notizia da darvi!» Ansimò l'uomo, tentando di riprendere fiato.

«Steve, buon Dio, cerca di respirare e non azzardarti a morire nel mio negozio.» Lo mise in guardia lei, serissima, causando le risate di alcune clienti.

«Cos'avrai mai di così importante da dirci?» Chiese Theresa, una delle prime pettegoli del paese e proprietaria dell'unica lavanderia presente in quel luogo quasi desolato.

«Avete saputo della nuova ragazza arrivata in paese?» Domandò enigmatico Steve.

«Chi? La sventurata andata a far visita ai Douglas?» Questa volta fu Patty, sua sorella, a formulare la domanda mentre le donne si zittivano e fissavano ormai l'uomo con evidente interesse. In quel paesino non succedeva mai nulla di entusiasmante e tutti ficcavano il naso negli affari degli altri per passare il tempo, se poi quegli "affari" riguardavano quei poco di buono di Ashley e Vincent... be', allora tutti avevano le orecchie aperte.

«Sì, proprio lei.» Confermò l'allevatore. «È ospite a casa della vecchia Caroline e non indovinerete mai cos'ho scoperto.» Rivelò lui, ghignando soddisfatto ai mormorii sorpresi e curiosi che si levarono nel piccolo negozio.

«È ospite da quell'arpia di Caroline?!» Esclamò qualcuna sorpresa.

«Cos'hai scoperto, sputa fuori quel rospo forza, così te ne andrai finalmente da qui!» Sbottò lei, già stanca di tutta quella suspense non gradita.

«È andata a far visita a Scott e non ai suoi genitori. E sapete il perché? Perché aspetta un figlio da lui.» Si decise a rivelare infine Steve, causando nella sua piccola drogheria uno scompiglio di dimensioni epiche.

«È incinta di quel poco di buono? E come mai è da Caroline allora?» Chiese nuovamente Patty, la più pettegola e curiosa tra le due.

«Io ho sentito dire che è stata cacciata in malo modo da quella fatiscente fattoria.» Bisbigliò con evidente disprezzo Theresa.

«Povera ragazza, io l'ho vista e sembra un angioletto, sono sicura che Scott l'abbia solo usata ed ora se ne lava le mani.» Commentò con pena la figlia dell'idraulico.

«Be' signore, ciò che accade alle amicizie di quel ragazzo non sono affari nostri ed ora tornate ai vostri acquisti o uscite da questo negozio!» Brontolò severa.

Nei suoi settant'anni di vita, la vecchia Jamie Lynn non aveva mai sentito una storia del genere, eppure sapeva che c'era dell'altro sotto e lei avrebbe indagato. Anche perché sua sorella l'avrebbe comunque costretta, guardava troppi telefilm polizieschi ed ogni occasione era buona per improvvisarsi detective. Ma prima doveva parlare alla madre di Steve, la donna doveva sapere che il figlio se ne andava in giro raccontando i fatti altrui.

***

«Dannazione!» Imprecò Scott, tentando per l'ennesima volta di svitare quel maledetto tubo del lavandino. Tubo che proprio quel giorno aveva deciso di intasarsi, rendendogli la vita un inferno.
In realtà aveva già chiamato Andrew, l'idraulico, ma a causa dei troppi pensieri che gli affollavano la mente, aveva deciso di mettersi al lavoro per tenere la testa occupata in altro che non fosse pensare a Dawn. O a suo figlio.

Deluso e più arrabbiato di prima, il rosso lanciò la chiave inglese in un angolo della cucina e si alzò dal pavimento reprimendo l'impulso di rompere qualcosa. Lo faceva sempre quando era arrabbiato, ma in quel momento non poteva permettersi di rompere proprio nulla.

Era tutta colpa della bionda, da quando aveva bussato alla sua porta non riusciva più a togliersela dalla testa ed i rimorsi per averla cacciata in quel modo barbaro si facevano ogni secondo più forti. Be', ci avrebbe convissuto perché di sicuro la ragazza era già tornata a casa e lui non intendeva andare a Toronto, tantomeno accettare di prendersi cura del bambino che aspettava. Entrambi sarebbero stati meglio senza di lui, non era in grado di amare un altro essere umano non amava nemmeno se stesso – quindi come padre aveva già fallito –. Non aveva nemmeno un bell'esempio di paternità da cui trarre aiuto, il suo vecchio era sempre stato un uomo dalle labbra attaccate alla bottiglia di birra e dal pugno facile; molto spesso scontrato contro la sua guancia.

Inoltre, non aveva nulla da offrire, la fattoria cadeva a pezzi e non aveva un solo spicciolo in tasca. Come avrebbe potuto provvedere a loro? In nessun modo nemmeno se avesse voluto, e non voleva.
Ma perché ci sto pensando? Tanto la svitata se ne è già andata, si rimproverò, mettendo a tacere nuovamente la vocina che gli dava dello "stronzo".

Il campanello suonò, evitando di far proseguire oltre la sua mente quel giorno troppo iperattiva e... umana. Si avvicinò a grandi passi verso la porta, ma una volta dinanzi ad essa si arrestò intimorito; e se fosse stata di nuovo lei? Era impossibile, ovviamente, visto che se n'era già andata. Giusto?
Disgustato dal suo timore verso una donna esile e innocua, aprì la porta con un gesto deciso.

«Salve Scott, scusa il ritardo.» Lo salutò Andrew, mostrando un sorriso insicuro.

«Tranquillo.» Si fece da parte per farlo entrare, nascondendo il sollievo, e gli mostrò il problema che lui aveva tentato di risolvere.
L'uomo si mise subito al lavoro senza parlare e lui di certo non era dell'umore per chiacchierare o spettegolare. 
Doveva trovare il modo di mettere a tacere la sua coscienza, di smettere di pensare a lei o meglio; a loro...

«Ah, mi sono dimenticato di farti le mie congratulazioni, Scott.» Disse all'improvviso Andrew, con il viso ancora nascosto sotto il lavabo della cucina, mandandolo in confusione.

«Congratulazioni per cosa?» Chiese leggermente irritato.

«Be', per la tua ragazza incinta, no?» Esclamò l'altro, come se nulla fosse.

«La... la mia ragazza?» Il rosso strinse i pugni, provando un improvviso istinto omicida. Dawn era andata in paese sbandierando le sue condizioni a tutti? No, era impossibile da una come lei, ma in fondo quanto realmente la conosceva? Nemmeno un po'.

«Sì, tutti in paese parlano di lei, di te, del bambino e di come tu sia stato stronzo a cacciarli via. Ti stanno dipingendo come il peggiore dei mostri, anche peggio dei tuoi genitori.» Ghignò senza divertimento l'uomo, spuntando da sotto il lavandino con un'espressione indecifrabile.

«Cazzo!» Esclamò, dando un calcio alla cassetta rossa degli attrezzi di Andrew.

L'uomo si rimise in piedi e si pulì le mani con uno strofinaccio. «Lo sai che io non giudico mai prima di conoscere la vera storia, Scott, ma se quelle voci sono vere, ti consiglio di metterle a tacere facendo la cosa giusta. Lei è ospite da Caroline, comunque.» Con un cenno del capo, l'uomo uscì di casa senza nemmeno chiedere di essere pagato.

Ti stanno dipingendo come il peggiore dei mostri, anche peggio dei tuoi genitori..., quelle parole rimbombarono forti e strazianti nella sua testa. Cosa ne volevano sapere loro di com'erano i suoi genitori? Di com'erano realmente. E di com'era lui, di ciò che aveva vissuto e ciò che l'aveva ferito, rendendolo il ragazzo che era ora? Erano bravi solo a giudicare, un secondo prima sei il buono e la vittima mentre quello dopo sei cattivo e carnefice, senza avere nemmeno la possibilità di difenderti. Ormai erano anni che ignorava i suoi compaesani, facendo finta di non sentire le loro cattiverie e pregiudizi fino a quando non si erano esaurite. Ed ora, a causa di Dawn...
Era tutta colpa sua! Non se n'era andata da quel posto anzi, era ospite da Caroline e solo Dio sapeva come ciò fosse stato possibile, conoscendo il caratteraccio della donna. Doveva cacciare la bionda da quel paese, aveva già troppi problemi e non poteva curarsi anche di lei e di quel bambino che, a lungo andare, avrebbe finito per odiarlo. Com'era successo a lui con i suoi.

Uscì in fretta di casa, senza preoccuparsi di chiudere la porta a chiave, e salì sul suo sgangherato pick-up in direzione dello Shameless Cow. Aveva una bionda da scacciare ed era ora che la sua maschera da mostro privo di qualsiasi emozione riprendesse il sopravvento.

***

«Dawn! Non ti avevo ordinato di andare sopra a riposare?» Caroline scosse il capo esasperata. Dopo aver scoperto le condizioni delicate dello Scricciolo e sbrigato gli affari con Steve, aveva mandato la bionda in casa per riposare ed ora, dopo essere ritornata dal lavoro, la trovava a spazzare il pavimento invece di dormire.

«Lo so, ma non sono riuscita a rimanere stesa senza far nulla, mi sembrava quasi di approfittare della tua gentilezza.» Si scusò la ragazza, mordicchiandosi il labbro inferiore mortificata.

«Ti ho offerto io ospitalità quindi non devi sentirsi un'approfittatrice.» Le tolse la scopa dalle mani e la rispose lontano.

«Ma in cambio io dovrei lavorare! Non starmene su un letto a dormire.» Insistette la giovane.

Caroline sbuffò scocciata, in un'altra occasione avrebbe gradito tutta quella voglia di rendersi utile, ma non nelle attuali condizioni della ragazza. «Certo, ma tu aspetti un bambino, ricordi? E devi pensare a lui prima di ogni altra cosa, troverò il modo di rendere utile la tua presenza qui, credimi.»

Finalmente, Dawn abbassò il capo non sapendo in che altro modo obiettare. La donna era più testarda di lei e non l'avrebbe spuntata, questo l'aveva capito, quindi non le restava che arrendersi al volere della padrona di casa. In fondo aveva ragione, lei aspettava un bambino e doveva pensare a lui prima di chiunque.

Però... cucinare non l'avrebbe stancata di certo e lei era brava ai fornelli! Stava per partire di nuovo all'attacco, quando la voce altisonante di Scott la fece gelare sul posto.

«Dawn, so che sei lì! Esci fuori!» Gridò il ragazzo e dal suo tono di voce sembrava anche molto arrabbiato. Cos'era successo? E come aveva fatto a scoprire dove alloggiava?
«Non ti muovere da qui.» Le intimò Caroline, prendendo uno dei fucili appesi all'entrata ed uscendo sul portico con l'arma nascosta dietro la schiena.

«Cosa ci fai qui, Scott? Sono anni che non vieni più a farmi visita.» La donna fissò attentamente il rosso e dall'espressione furiosa capì che non era venuto fin lì per prendersi le sue responsabilità.

«Non sono venuto qui per parlare con te, Caroline, voglio vedere Dawn.» Rispose lapidario il ragazzo, ostentando una faccia tosta da schiaffi. Schiaffi che lei gli avrebbe dato volentieri.

«Lo Scricciolo non può ricevere visite in questo momento, quindi sei pregato di tornare alla tua topaia fatiscente.» Strinse di più la presa intorno all'arma, non avrebbe voluto ricorrere a quel mezzo per spaventarlo ma a quanto pare si stava rivelando inevitabile.

«Non mi muoverò da qui fin quando la bionda non avrà levato le tende da questo posto!» Gridò furioso e saccente lui, mandando all'aria l'ultima briciola di pazienza della donna.

Imbracciò il fucile e lo puntò contro Scott, notando fiera la paura che gli attraversò le iridi azzurre. «Conterò fino a tre giovanotto, e se alla fine della conta tu non sarai su quel maledetto pick-up in direzione di casa, seppellirò il tuo cadavere sotto i cavoli. Almeno servirai a concimare la terra.» Lo minacciò, caricando l'arma e posizionando l'indice sul grilletto.

«Non farai sul serio, spero! Nemmeno la conosci!» Esclamò allibito il rosso, senza però muovere un passo.

«Uno...» Iniziò a contare Caroline, pregando che il ragazzo non la costringesse a sprecare colpi a vuoto.
«Due...»

«Va bene! Me ne vado, per ora, contenta? Tieniti pure la svitata in casa se tanto ci tieni.» Scott entrò con poca grazia nell'abitacolo, chiudendo con forza la portiera.

«Torna solo quando avrai deciso di prenderti cura di loro due, o non azzardarti a rimettere piede nella mia proprietà!» Lo avvertì mentre guardava con tristezza il vecchio pick-up nero lasciare la sua fattoria. Com'era cambiato il suo Scott, non c'era più quello sguardo dolce nei suoi occhi ma solo odio e rancore verso il mondo. Strinse di più il fucile tra le mani, desiderando colpire quei bastardi dei suoi genitori. Ma non tutto era perduto, era convinta che lo Scricciolo avrebbe salvato quel ragazzo dall'oscurità. Doveva essere così, altrimenti perché una come lei si sarebbe avvicinata ad uno come lui se non avesse percepito ancora del buono nel ragazzo? Sì, tutto si sarebbe sistemato, qualcosa nell'aria glielo diceva.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Capitolo 3

 

 

Anche quella giornata era meravigliosa, pensò Dawn, ammirando dalla finestra l'alba che si rispecchiava nelle acque cristalline del lago. Erano passate ormai due settimane dal suo arrivo in quel paese e per fortuna aveva legato con tutti i dipendenti di Caroline ed anche con la donna, per quanto questa si sforzasse di non darlo a vedere. Tutto andava per il meglio, nausee mattutine a parte, anche se non riusciva a dimenticare le parole di Scott. Aveva udito tutto ciò che lui e Caroline si erano detti il giorno in cui questa lo aveva scacciato imbracciando il fucile, ed anche se non l'avrebbe mai ammesso apertamente, era rimasta molto ferita dal comportamento del ragazzo. Certo, sapeva che sarebbe stato difficile, soprattutto perché il rosso non aveva ancora realizzato appieno di star per diventare padre e le responsabilità che ciò comportava. Ma anche quando l'avrebbe realizzato, sarebbe cambiato qualcosa? Lei pregava la madre terra di sì, perché voleva davvero che suo figlio crescesse con un padre.

Si portò un mano al ventre e sospirò. «Farò del mio meglio, piccolino.» Promise.

Non si sarebbe arresa alla prima difficoltà ed alla fine l'amore l'avrebbe spuntata, se tutto fosse andato per il meglio... no! 
Andrà tutto bene!, si disse.
Caricata della sua solita positività, scese in cucina per preparare la colazione. In quelle settimane lei e Caroline avevano trovato un equilibrio abbastanza solido, lei preparava tutti i pasti della giornata ed in cambio la donna le permetteva di continuare a soggiornare lì. Non era stato facile convincerla, visto che ogni volta che aveva tentato di aprire bocca per parlare la burbera anziana le ordinava di stendersi o sedersi, senza ascoltarla.
Ma alla fine era riuscita a spuntarla, come sempre.
Lanciò un lungo sguardo alla cucina, trovandola ancora deserta e senza traccia di un qualunque recente passaggio, quindi Caroline stava ancora dormendo e lei si era di nuovo svegliata presto a causa della nausee che, puntuali, ogni mattina la tiravano giù dal letto alle cinque.
Si avvicinò al frigo e tirò fuori un po' di pancetta, delle uova ed iniziò a trafficare con i fornelli. Le sarebbe piaciuto cucinare anche per Scott, ma difficilmente lui sarebbe stato d'accordo. Be', prima o poi avrebbe ceduto, ne era certa. E poi... lei cucinava davvero bene!

***

C'erano tantissime cose che infastidivano Scott, i ratti che camminavano per la cucina ad esempio, o la mancanza di birra in frigo; come in quel caso. Diede un calcio alla porta dell'elettrodomestico e masticò qualche imprecazione, aveva bisogno di alcol per superare quella giornata che di bello aveva ben poco.
Non aveva quasi chiuso occhio quella notte, la mente era stata di nuovo invasa da pensieri che riguardavano Dawn, il bambino e di quanto lui fosse uno stronzo senza spina dorsale. Inoltre, sapere che in paese non si parlava d'altro lo rendeva furioso e nervoso, non poteva evitare di recarsi lì per sempre e prima o poi avrebbe dovuto scontrarsi con le vecchie megere che aspettavano solo l'occasione buona per rimbeccarlo. Come se ora, dopo anni, si preoccupassero della sua educazione. Patetiche. 
Si passò stanco una mano tra i capelli, e decise di recarsi alle stalle per dar da mangiare a quei poveri e pochi animali che ancora possedeva. Gli unici che non lo guardavano con disprezzo o giudicavano, anche perché a loro interessava solo ricevere la propria razione di cibo e poter brucare in pace l'erba che cresceva nei suoi campi abbandonati, non interessarsi della sua vita privata - comportamento che molti avrebbero dovuto imitare -. Per fortuna di erba lì ce n'era davvero molta... 
Afferrò velocemente il cappotto dall'appendiabiti ed uscì di casa per dirigersi nelle stalle, e come al solito la decadenza di quel posto amplificò il suo cattivo umore. Ricordava ancora lo splendore di quella fattoria, da bambino si sentiva così felice e fortunato di vivere lì nonostante i suoi genitori, prima che ogni traccia di candida gioia lo abbandonasse.
Sua madre e suo padre non si erano minimamente preoccupati della gestione di quel posto, spendendo tutti i loro soldi in viaggi, alcol, gioielli ed altri vizi che sicuramente non avevano mai potuto permettersi. Ed alla fine, erano arrivati al punto di non riuscire nemmeno a pranzare. Il risentimento per i suoi genitori era palese e molte volte aveva pensato di lasciare quel posto, ma per andare dove se non aveva un solo spicciolo? Era già tanto che avesse convinto i suoi a mandarlo a Toronto per il suo ultimo anno di liceo. Aveva lavorato mesi per racimolare la somma necessaria al viaggio, ed una volta lì si era mantenuto facendo qualche lavoretto part-time. Non era stato facile lavorare per poter pagare l'affitto e studiare per riuscire a diplomarsi, ma ce l'aveva fatta - con buoni risultati, tra l'altro -. Ed era proprio lì che aveva conosciuto Dawn, ricordava ancora l'esatto momento in cui i suoi occhi si erano posati su di lei; quel giorno era in ritardo per l'inizio delle lezioni ed aveva percorso il vialetto alberato della scuola con una fretta che aveva tentato inutilmente di celare. Era sempre stato brillante negli studi, anche se negli ultimi anni i suoi voti erano calati visibilmente e solo in quella città così lontana era riuscito ad impegnarsi di più, nonostante il lavoro, e non voleva rischiare che un ritardo influisse sulla sua media. All'improvviso, un lucente raggio di sole - così insolito per quel freddo giorno di dicembre - aveva attraversato le pesanti nuvole scure per posarsi sulla familiare testolina bionda che più volte aveva visto aggirarsi per il liceo. Ed era stato allora che i suoi occhi avevano incontrato la figura angelica della ragazza. Dawn se ne stava seduta contro un albero, gli occhi chiusi e l'espressione serena illuminata da quel raggio di sole sfuggito dal cielo. Le era sembrata un angelo, una creatura eterea scesa in terra per portare la pace. Era rimasto fermo a fissarla per molto tempo, dimenticandosi del ritardo, fino a quando lei non aveva aperto i suoi occhi grigi puntandoli su di lui e regalandogli un sorriso così dolce da ferirlo. Si era sentito sporco, indegno di quel sorriso così caldo e sincero, troppo corrotto per essere fissato da una tale creatura. Così, spaventato da simili emozioni, era scappato via sperando di non incontrarla mai più. Ma così non era stato, perché entrambi frequentavano il corso di botanica e si era ritrovato a parlare con lei più volte, troppe volte, scoprendo quanto la ragazza fosse forte nonostante il suo aspetto fragile. Come lui, anche lei era un'emarginata, tutti la etichettavano come "la squilibrata delle auree" proprio perché la ragazza affermava di poter leggere l'aura di una persona. L'aveva provato sulla sua pelle quello strano "potere" e doveva ammettere che la bionda aveva visto cose del suo passato che nessun altro sapeva, inquietandolo. Questo era stato uno dei motivi per cui aveva iniziato a trattarla con più freddezza del solito, riprovando per la prima volta dopo anni l'orribile sensazione del rimorso, ma Dawn non si era lasciata intimidire ed aveva continuato a parlargli e stargli vicino. Era così dolce e pura, ma allo stesso tempo forte e consapevole del male umano. 
Non poteva restare lì, lui non aveva nulla da dare né a lei né al bambino, a parte i guai. E quel piccolo esserino che cresceva dentro di lei sarebbe stato etichettato come un poco di buono solo perché figlio suo, quindi l'unica cosa di veramente utile che poteva fare per loro era tenerli lontani da se stesso e da tutto ciò che lo riguardava. Ormai non era più in grado di amare ed alla fine quel bambino avrebbe finito per odiarlo, proprio come lui odiava i suoi genitori. Dawn, buona com'era, credeva davvero che sarebbe potuto essere un buon padre, ma si sbagliava. Doveva farle capire che la cosa giusta da fare per lei ed il bambino era andare via, lontano da lui e dall'oscurità che lo logorava dentro.
Entrò nelle stalle con un macigno nell'anima, ma si disse che era causato solo dall'amarezza e dal disgusto verso se stesso. Non era mai stato in grado di farsi amare, per quanto ci avesse provato, ed avrebbe trasmesso quella maledizione anche a suo figlio, l'avrebbe corrotto e non poteva. Il muggito delle mucche gli ricordò che aveva un lavoro da fare e non poteva perdersi in simili pensieri in quel momento e né mai, in verità.

***

«Vi ho portato della limonata!» Esclamò Dawn, avvicinandosi a Caroline e ai dipendenti della fattoria che quella mattina si trovavano occupati a rinforzare un recinto.

«Scricciolo, non dovresti essere in casa a riposare?» La riprese la donna, lanciandole un'occhiataccia contrariata che per poco non la fece sbuffare, cosa non da lei. Ma ormai erano giorni che Caroline le stava sul collo, dicendole quello che poteva o non poteva fare - quasi nulla - ed ormai non ne poteva proprio più. Stare ferma la rendeva nervosa ed inquieta, ancor di più perché era ospite di una signora non più nel fiore degli anni e lei odiava essere un peso.

«Lasciale un po' di aria, Vecchiaccia! L'angioletto sa che non deve stancarsi, e poi stare all'aperto può farle solo bene.» La difese Anderson, guadagnandosi un sorriso di gratitudine da parte sua. L'uomo e gli altri dipendenti prendevano spesso le sue parti quando Caroline le ricordava con insistenza di dover stare a riposo e non in giro a passeggiare o dare una mano. Si era ormai affezionata a tutti loro, guadagnandosi l'appellativo di "angioletto" che all'inizio l'aveva fatta imbarazzare un po'.

«E va bene.» Si arrese in fine la padrona di casa, prendendo un bicchiere di limonata dal vassoio che la ragazza stringeva tra le mani. «Ma appena ti senti anche solo un po' stanca torni dentro, chiaro?»

Dawn sospirò esasperata ed annuì, mentre distribuiva a ad ognuno dei dipendenti un bicchiere della bevanda rinfrescante. Vederli tutti all'opera scatenava in lei il desiderio di aiutarli, ma sapeva che se solo ci avesse provato... be', Caroline l'avrebbe chiusa a chiave in camera. Quella donna si preoccupava troppo, ma era anche per quello che le voleva bene e non riusciva a capire perché i suoi figli ed i suoi nipoti non la comprendessero o apprezzassero.

«Lo farà, non rompere sempre con le stesse raccomandazioni, Vecchiaccia.» Di nuovo Anderson prese parola al posto suo facendo ridacchiare tutti, lei compresa.

«Torna a chiamarmi Vecchiaccia e ti metto a spalare letame per i prossimi sei mesi, chiaro Andy?» Lo minacciò Caroline, impugnando intimidatoria il martello. Quella donna era pericolosa con qualsiasi oggetto contundente - o non - tra le mani, da un fucile ad un martello, ma lei sapeva benissimo che non avrebbe mai usato nessuno dei due per far del male agli altri.

«Va bene, scusa.» L'uomo alzò le mani in segno di resa, anche se il suo sorrisetto malizioso e divertito faceva intendere che non si era arreso per nulla. Quei due formavano proprio una bella coppia, si ritrovò a pensare la ragazza, e sicuramente Andy provava qualcosa per la scorbutica padrona di casa.

«Sai cosa? È meglio che vada a fare la spesa o non risponderò più delle mie azioni.» Borbottò la donna, lanciando la sua arma sul terreno ed incamminandosi verso casa.

«Non dovresti farla arrabbiare così, alla sua età.» Disse uno dei braccianti, rivolto ad Anderson, che scrollò le spalle incurante.

«Quella donna è più sana di te, credimi.» Commentò ironico lui con uno strano luccichio negli occhi, alimentando i sospetti di Dawn.

«Scricciolo?!» La chiamò all'improvviso Caroline, ferma a metà strada. «Allora, vieni o no?» Chiese esasperata, come se avesse dato per scontato che lei l'avrebbe seguita.

«Oh, sì, certo!» Urlò a gran voce per farsi sentire. Salutò gli uomini che avevano ripreso a lavorare e corse dalla donna. «Non sapevo volessi compagnia.» Si giustificò una volta raggiunta.

«Non potevo di certo lasciarti lì da sola, li avresti convinti a farti fare qualcosa.» Fu il semplice commento della donna.

Dawn si ammutolì, non sapendo che dire. Era vero, di sicuro alla fine avrebbe chiesto agli uomini di dare una mano, convincendoli, e constatare quanto quella donna la conoscesse bene dopo solo una settimana in quel posto, la lasciava sbalordita. Era sicura che nemmeno i suoi genitori la conoscessero così bene, non dava la colpa di ciò a loro naturalmente; sapeva di essere una ragazza riservata e chiusa, quindi non poteva incolpare sua madre e suo padre per lo scarso rapporto "confidenziale" tra di loro. E poi, non avevano proprio nulla in comune di cui parlare; lei adorava la natura, sua madre la detestava; lei nutriva un'amore incondizionato per gli animali, suo padre invece teneva lontano qualsiasi "bestiaccia" pelosa e non. Inoltre credevano che sua nonna, ormai scomparsa da anni, l'avesse ammattita con la storia del riuscire a vedere e leggere le auree, di conseguenza lei era solo una povera pazza da internare.
Sospirò tristemente, sapendo che tra lei ed i suoi genitori non ci sarebbe mai stata quell'intesa che vedeva nei telefilm. Almeno l'amavano, questo lo sapeva e doveva ritenersi fortunata, a Scott non era capitata la stessa fortuna con i suoi.

Il suo povero Scott... così buono e capace di infinito amore, dalla vita non ne aveva ricevuto nemmeno un po'. Le salirono le lacrime agli occhi al solo pensarci, nel pensare che un povero bambino innocente fosse dovuto crescere così in fretta, scontrandosi col lato gelido e crudele dell'essere umano fino ad esserne quasi del tutto corrotto. Quasi però, lei sapeva che c'era ancora del buono in lui, lo aveva letto nei suoi occhi prima che nella sua aura. Perché le bellissime iridi blu di Scott non avevano segreti per lei, e qualcosa nel profondo di se stessa le diceva che lui era l'amore della sua vita e che valeva la pena rischiare.

«Sali in macchina, Scricciolo, non abbiamo tutta la giornata.» Le ordinò Caroline, riportandola al presente.

«Ti perdi molto spesso in pensieri, eh?» Le fece notare la donna, una volta che si fu accomodata accanto a lei.

«Be'... credo di sì, a volte preferisco ragionare da sola che con altri.»

La donna annuì distrattamente ed esclamò: 
«Bene! Perché dove andremo dovrai tenere la bocca ben chiusa per evitare che ti cavino con l'inganno informazioni di vitale importanza.»

Dawn sgranò gli occhi allibita. «Ehm... stiamo andando in centrale per un interrogatorio?»

«Peggio, molto peggio...» Sussurrò con orrore Caroline e questo agitò la bionda; qualsiasi cosa riuscisse a far tremare di paura quella donna, doveva essere tremendo.

***

La vecchia e sudata Jamie Lynn, entrò in negozio irritata da una infruttuosa caccia al tesoro avvenuta nella dispensa dove riponevano la merce appena arrivata.
«Patty! Santo cielo, dove hai messo il carico di gelatine alla frutta appena arrivato?» Chiese alla sorella, che se ne stava comodamente seduta dietro alla cassa a leggere una di quelle insulse riviste di gossip.

«Perché vieni a chiederlo a me? Sei sempre tu quella che supervisiona la merce, visto che io sono troppo "svogliata e confusionaria". Se non erro furono queste le tue parole quando mi offrii di aiutarti.» Storse il naso infastidita, l'altra.

«Certo, perché buttavi tutto alla rinfusa sugli scaffali!» Si difese la donna, troppo stanca per portare realmente avanti un battibecco che si sarebbe dilungato per troppo, conoscendo Patty.

«Ad ogni modo, io non so un bel niente delle tue gelatine scomparse.» La sorella fece spallucce e riprese a leggere la sua amata rivista, incurante dei problemi che affliggevano la sorella maggiore.

«Oggi è venerdì e sai cosa significa? Che se quella vecchia bocca larga di Theresa non trova le sue amate gelatine alla frutta, ci molesterà i timpani per un bel po' sulla nostra inefficienza nel procurare alla cittadinanza ciò che serve per vivere.» Le ricordò con stizza lei. 
«Come se delle gelatine potessero addolcire il suo animo orribile o aiutarla a vivere meglio.» Pronunciò subito dopo tra sé.

«Lo sai che Theresa si lamenta per qualsiasi cosa, sono anni che ti consiglio di ignorarla e dovresti finalmente darmi ascolto.» Tentò di calmarla Patty, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla rivista.

«Lo sai che non ci riesco quando si tratta di lei! Quella donna tira fuori il peggio di me.» Sbuffò, sentendo arrivare il familiare bruciore di stomaco legato alla donna anche solo nel pensarla.

Patty sospirò al limite della sopportazione, abbandonò finalmente la rivista sul bancone e si accinse a rimproverarla per l'ennesima volta sull'insensato odio tra lei e la lavandaia, ma venne interrotta da Wanda, la moglie del sindaco, che fece il suo ingresso in negozio con la grazia e raffinatezza che sempre la distinguevano.

«Salve signore.» Le salutò la donna, col solito buonumore che la caratterizzava. «Spero che stamane vi siate svegliate serene e riposate, o comunque dell'umore adatto a sopportare la massa di gente che tra poco accorrerà qui.»

«Quale massa di gente?» Chiese con orrore Jamie Lynn, quel giorno non aveva proprio la forza di sopportare nemmeno il ronzio di un'ape figuriamoci un calca di gente impazzita come quella che viveva lì.

«Quella che irromperà qui dopo che Caroline e l'amichetta del giovane Douglas se ne saranno andate.» Rispose serafica la donna, fissando indecisa due tipi diversi di yogurt dal banco frigo.

«Caroline e la ragazza nuova stanno per entrare qui?» Sua sorella scattò subito sull'attenti, gettando la rivista tanto amata nel cestino. Ovviamente che senso aveva leggere i pettegolezzi dei personaggi famosi quando in quel paese si stava scatenando una battaglia su chi si sarebbe fatto prima gli affari dei Douglas, di Caroline e della nuova misteriosa ragazza?

«Sì, è quello che ho detto.» Wanda afferrò una confezione di yogurt ai mirtilli e si avvicinò alla cassa, nello stesso istante Caroline fece il suo ingresso nel negozio, seguita da un bionda minuta e graziosa.

«Buongiorno...» Borbottò svogliatamente la burbera donna, com'era suo solito.

«Buongiorno a te, Caroline. Il buonumore è sempre la tua caratteristica più... lampante.» La salutò sarcastica sua sorella, facendole roteare gli occhi al cielo disperata. Patty non sapeva mai quando era il momento di chiudere o aprire la bocca, e visto ciò che ne usciva era meglio se la teneva chiusa, la bocca.

«Sì, gli abitanti di questo posto mi mettono tanta allegria...» Rispose Caroline con lo stesso tono.

«Chi è la graziosa ragazza che ti accompagna, Carol?» Intervenne lei, sedando altre stupidaggini della sorella e ponendo la fatale domanda che fino a quel momento era rimasta muta in tutte loro ma chiaramente percepibile.

«Lei è Scricciolo, un nuovo aiuto alla fattoria.» Rispose lapidaria la donna, facendo subito capire che non avrebbe rivelato nient'altro sulla ragazza al suo seguito. Soprattutto nulla che potesse alimentare le chiacchiere già in corso.

«Io sono Dawn, piacere.» La vocina un po' intimidita della ragazza spostò gli sguardi di tutte - eccetto quello di Caroline - su di lei. Jamie Lynn provò un senso di tenerezza immediato verso di lei, sicuramente essere al centro dei pettegolezzi di un paesino straniero non doveva essere facile per quella poveretta; e pensare che era lì da meno di due settimane!

«Ma che carina sei!» Esclamò smielata sua sorella. «Io sono Patty, e quel goblin scorbutico laggiù», puntò lei «è mia sorella Jamie Lynn.»

La biondina si lasciò scappare un risatina divertita mentre Caroline sbuffava spazientita.
«Sì, sanno tutte chi siete, ora potreste svolgere il vostro lavoro e chiedermi il motivo per cui sono entrata qui dentro?»

Patty alzò gli occhi al cielo e sospirò teatralmente.
«Mia cara Caroline, non credo che la vecchiaia ti abbia reso così demente da non ricordarti più il motivo esatto per cui sei entrata nel nostro negozio, ma se proprio vuoi una mano... suppongo che tu sia qui per fare la spesa.»

La donna la fulminò con una delle sue tremende occhiatacce prima di voltarsi verso di lei ed esclamare: 
«Per quale motivo non l'hai ancora uccisa?»

«Me lo domando ogni giorno anche io, credimi.» Le rispose.

E finalmente, dopo quell'inutile scambio di battute, sua sorella si mise a lavorare, chiedendo alle due nuove arrivate il motivo del loro ingresso lì, come aveva chiesto Caroline. La vecchia arpia, come la chiamavano tutti eccetto lei, comprò le solite cose ed uscì in fretta dal negozio, trascinandosi bruscamente la ragazza dietro. Per chiunque altro quello sarebbe sembrato un gesto di scorbutica prepotenza, ma non per lei; conosceva troppo bene Carol da poter indovinare facilmente il motivo delle sue azioni. Aveva agito in quel modo solo per non permettere a loro - in particolare a Patty o Wanda - di fare altre domande a Dawn o di strapparle promesse come "vieni a trovarci qualche volta, ti faremo fare il giro del paese". Caroline si era affezionata a quella ragazza e Jamie Lynn pregava che non soffrisse di nuovo come aveva sofferto - e soffriva tutt'ora - per l'abbandono dei figli. Stupidi ingrati, non avevano minimamente idea dei sacrifici che la donna aveva fatto per loro e non avevano mai imparato a comprenderla, troppo accecati dall'egoismo per capire che la faccia da scorbutica allevatrice non era altro che un modo per proteggersi e nascondere emozioni che l'avrebbero resa più vulnerabile agli occhi altrui. Lei la conosceva sin da quando erano entrambe bambine, sapeva riconoscere ogni emozione nascosta dietro un particolare gesto. Caroline era sempre stata così, si nascondeva dietro un muro di prepotenza per affrontare i genitori troppo severi e le malelingue verso la sua famiglia. Anche per questo motivo si era affezionata tanto a Scott, chi meglio di lei comprendeva la sofferenza di quel ragazzo? Ma, a differenza della donna, lui da piccolo non si era mai nascosto dietro muri di vetro, era sempre stato dolce ed ingenuo, forse troppo; per questo motivo quando alla fine l'oscurità aveva prevalso, non era stato in grado di vincerla.
La gente di quel posto si era dimenticata della bontà di quel bambino ormai uomo, di come tutti i giorni andasse lì a dare una mano in negozio, sempre pronto ad aiutare gli altri e rendersi disponibili per tutti. Anche lei si era affezionata a Scott, e a differenza degli altri non aveva dimenticato.

Diede le spalle alle donne appena entrate in negozio per sapere, come aveva avvisato prima Wanda, altri dettagli sulla nuova ragazza. Amare lacrime percorsero il suo volto, ormai rugoso e segnato dall'età, nel notare che tutti in quel posto erano interessati solamente a rompere la loro noiosa monotonia ficcando il naso negli affari altrui e puntare il dito su bambini innocenti, segnandone già il futuro. In quel momento desiderò tanto essere abbastanza forte da reprimere, anche solo per qualche attimo, le emozioni; ma a differenza di Caroline lei era sempre stata la più emotiva delle due. Si asciugò le lacrime e raggiunse la sorella.

«È una ragazza dolcissima.» Stava dicendo lei, raccontando alle "clienti" appena entrate tutto ciò che si era svolto poco prima in quel negozio, teatro di troppi pettegolezzi negli ultimi tempi. «Non capisco proprio in che modo una ragazza simile si sia lasciata incantare dal figlio di quei due.» Continuò con sprezzante odio sua sorella, venendo appoggiata da qualche borbottio d'assenso.

«Forse, dolce com'è, avrà creduto di poterlo cambiare.» S'intromise Wanda, posando sul bancone un'altra confezione di yogurt ai mirtilli.

«Nessuno può cambiare il sangue marcio di un Douglas.» Commentò Linda, la moglie del panettiere, e questo la fece infuriare. Proprio lei avrebbe dovuto ricordarsi di come Scott fosse dolce e puro, visto che all'epoca il bambino passava quasi tutti i giorni al forno per dare loro una mano e poter racimolare qualche soldo.

Strinse i pugni e si voltò verso quelle stupide megere. 
«Sangue marcio? Ma avete mai la decenza di pensare prima di parlare? Avete sempre trattato quel ragazzo, sin da piccolo, come un mostriciattolo radioattivo e per cosa? Solamente perché era - ed è - figlio di Ashley e Vincent?» Lanciò loro uno sguardo carico di disprezzo e le vide sgranare gli occhi sorprese. «Quel bambino non ha mai chiesto altro che di essere accettato, aiutava tutti, anche chi lo trattava come un vecchio straccio e l'ha sempre fatto con il sorriso sulle labbra e voi... voi avete sempre riversato su di lui l'odio che provate verso i suoi genitori. Poi vi stupite di ciò che è diventato, non pensando nemmeno per un secondo che la colpa potrebbe essere anche vostra. Sangue marcio, dite, eppure io mi domando chi tra di voi non lo sia.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

«Sicura che non vuoi una mano?»

«Per l'ennesima volta Dawn, no!» Rispose esasperata la povera Caroline, portando in casa il sacchetto con le poche vivande prese al negozio di Lynn.

La bionda trattenne un sorriso all'espressione esasperata e buffissima dipinta sul volto della donna, per tutto il tragitto era stata silenziosa ed inquieta, sembrava che mille preoccupazioni l'affliggessero e per quanto curiosa non aveva letto la sua aura. Avrebbe voluto fare domande o parlare di quanto le fossero sembrate simpatiche le poche persone incontrate al paese, soprattutto la vecchia Jamie Lynn, scorbutica quanto Caroline, ma il silenzio della donna le aveva fatto capire che non era in vena di chiacchierare.

Ma forse ora sì, si disse. E poi non riusciva più a stare in silenzio, cosa alquanto strana per lei che rimaneva sempre in disparte senza mai aprire bocca. «Erano simpatiche le due donne della drogheria.» Sospirò infine, tentando di intavolare una qualsiasi conversazione per mandar via quell'aria di cupa preoccupazione calata sull'anziana donna.

«Di sicuro non quella bocca larga di Patty.» La contraddì l'altra, entrando in casa. 
«Quella donna non è mai stata in grado di tenere la bocca chiusa, o il naso fuori dagli affari che non la riguardavano.» L'improvviso cipiglio severo e risentito che sostituì la preoccupazione sul volto di Caroline, le fece capire che mettere in ballo le due donne conosciute in paese non era stata un'idea brillante; anzi. E solo in quel momento capì che forse la cosa più giusta era lasciarla da sola, in modo da poter tenere a bada preoccupazioni o fantasmi del passato.

«Ti dispiace se vado su a riposare? Sono un po' stanca.» Sorrise, sapendo già la risposta che sarebbe arrivata.

«Mi dispiace che tu sia ancora qui! Certo che puoi andare a riposare, non devi nemmeno chiedermi il permesso!» La riprese infatti la donna, indicandole con l'indice le scale che portavano al piano superiore. «Forza, sparisci.» Le ordinò.

Dawn si lasciò scappare una risatina e si affrettò a salire in camera, qualcosa però le diceva che quel posto e le persone che ci abitavano nascondevano troppe cose dietro i loro visi gentili e disponibili.

***

Uno scoppio e la conseguente nuvola di fumo che s'innalzò verso il cielo, peggiorarono l'umore già di per sé cupo di Scott.

«Dannato catorcio!» Imprecò il rosso, dando un pugno al volante del vecchio trattore di famiglia. Il macchinario aveva quasi il triplo dei suoi anni ed era normale che desse dei problemi, ma ci aveva lavorato su tutta la mattina e vedere i suoi sforzi divenire vani era uno stress non indifferente per lui. Sfinito, si massaggiò le tempie doloranti e scese dal trattore per dirigersi in casa. Aveva bisogno di una birra, era l'unico modo che conosceva per calmarsi o avrebbe dato di matto. Per qualche strano motivo quella mattina, dopo aver dato da mangiare agli animali, gli era venuta la strana voglia di provare a dare un aspetto più decente a quei campi, di tosare l'erba e ararli. Prima di allora aveva sempre cercato di fregarsene della decadenza che lo circondava, ma non quel giorno a quanto sembrava.
Entrò in cucina e si diresse spedito verso il frigo, pregustando già il momento in cui le sue labbra si sarebbero posate sulla fredda bottiglia in vetro ed il fresco liquido ambrato bruciato la gola - anche se ormai non ci faceva più caso -, ma una volta aperto l'elettrodomestico gelò sul posto. La birra era finita, ed era una cosa che aveva già scoperto quella stessa mattina, ma dimenticato a causa degli impegni. Represse un grido di frustrazione e diede un calcio al frigo, vittima innocente della sua furia.
Ora era costretto a recarsi in paese per comprarla, cosa che non lo entusiasmava per nulla, soprattutto dall'arrivo di Dawn lì. Già poteva avvertirle, le occhiate di odio e repulsione che i suoi compaesani gli avrebbero lanciato, per tutta la vita aveva dovuto conviverci; anche quando non aveva fatto nulla di male. A volte si chiedeva chi fosse il vero cattivo in quel paesino di bifolchi pronti a puntare il dito, come in un'insensata caccia alle streghe.
Prese le chiavi del suo sgangherato pick-up e le strinse tra le mani, indeciso se cedere o meno alla tentazione di una stupida birra, poteva sempre prepararsi un limonata, stendersi sul divano e... oh, al diavolo! Non poteva temere le chiacchiere inutili di quelle persone proprio ora, soprattutto quando cercava di fare del bene invece del contrario. A passi ancora incerti, uscì di casa ed entrò nell'abitacolo, prendendosi qualche secondo prima di accendere il motore e partire.
Di che si preoccupava? Tanto quelle persone lo avevano sempre reputato un poco di buono e sapere di Dawn e del bambino di sicuro non li aveva scioccati, ma resi felici nel sapere che non si erano mai sbagliati su di lui. Aveva dato già spettacolo al liceo, dimostrando a tutti di essere il mostro che gli avevano sempre visto dentro, anche quando era solo un bambino. E non era bastata la sua parola o gridare di essere innocente per venire scagionato, no; lui era un Douglas non Scott e tale sarebbe sempre rimasto ai loro ipocriti occhi.

Fermò il pick-up davanti alla drogheria di Jamie Lynn e Patty e scese dalla vettura lentamente, guardandosi intorno e notando con sollievo che la strada era desolata. Meglio così, almeno per il momento avrebbe evitato le occhiatacce degli idioti di quel posto. Entrò in negozio senza nemmeno salutare, ormai erano anni che aveva smesso di farlo, e raggiunse spedito lo scaffale dove erano riposte le bibite.

«Oh, ma guarda, il degno figlio dei suoi genitori.» Quella voce... Scott gelò sul posto ed alzò velocemente lo sguardo, incontrando gli occhi scuri e carichi di cattiveria di Theresa.

Doveva immaginarlo! Era troppo bello sperare di poter avere un po' di pace. Ignorando la donna, afferrò con rabbia una confezione di birra e si affrettò a deporla sul bancone. Doveva andarsene in fretta da quel posto, o avrebbe commesso qualcosa di immorale e cattivo, proprio come tutti gli abitanti del paese si aspettavano.

«Certo, ignorami pure.» Ripartì alla carica la donna, offesa per essere stata bellamente ignorata. «Ciò non cambia il fatto che sei un bastardo, Douglas. Come hai potuto abbandonare una ragazza dolce come Dawn ed il vostro bambino? Certo la cosa non mi stupisce più di tanto, tuo padre ha sposato tua madre solo per la fattoria e non certo per il marmocchio che portava in grembo o per amore.» Commentò maligna.

Scott strinse i pugni, imponendosi di ignorare quella strega. Sapeva già tutto sui suoi genitori, sapeva che Vincent aveva sposato Ashley solo per avere il controllo sulla fattoria ed i guadagni ricavati da essa, non certo perché l'amava o perché era stato disposto a prendersi le proprie responsabilità.

"Non vali nulla, se non fosse stato per questa fattoria non avrei mai accettato di prendermi cura di te o di tua madre", quante volte si era sentito ripetere quelle parole? Troppe per un bambino, e non erano state nemmeno le peggiori.

«Theresa, come ti ho già detto le tue dannate gelatine alla frutta non ci sono, ed ora sparisci.» S'intromise Jamie Lynn, fulminando la lavandaia con rabbia.

«Sì, me ne vado. Non voglio restare un minuto in più qui dentro, potrei restare contagiata da tanta malvagità.» Sputò velenosa la donna.

«Tranquilla, tu non corri questo rischio.» Commentò Lynn, stampandosi in volto un sorrisino serafico mentre gli occhi ardevano di collera.

Theresa sbuffò oltraggiata ed uscì velocemente dal negozio, alleggerendo immediatamente l'aria senza la sua presenza.

«Allora,» iniziò subito dopo Jamie Lynn. «Prendi solo questa?» Puntò la birra con evidente disappunto.

Scott annuì brusco, senza mai alzare lo sguardo su di lei.

«Bene.» Si limitò a rispondere lei, anche se in realtà la donna avrebbe voluto gridare il suo disappunto sul consumo di alcol da parte di un ragazzo di appena vent'anni. Ma rimase in silenzio, mise la birra in un sacchetto di carta e la porse al ragazzo. «Offre la casa.»

«No!» Gridò all'improvviso il rosso, facendo sobbalzare Patty - che fino a quel momento aveva assistito a tutto in disparte - dallo spavento. «Non voglio debiti con nessuno.» Detto ciò, il ragazzo sbatté sgraziatamente cinque dollari sul bancone e se ne andò senza nemmeno prendersi il resto.

Si rifugiò velocemente nel pick-up e strinse le mani sul volante, trattenendo dentro tutta la collera che provava. Quel "offre la casa" lo aveva fatto infuriare più delle cattiverie di Theresa, non voleva nulla da nessuno lui, già una volta lo aveva fatto; aveva pregato di essere accettato da quella comunità, di essere visto come Scott e non come un Douglas e loro lo avevano trattato come un batterio letale che andava annientato. Ed ora se ne uscivano con quelle stronzate sull'offrire? No, era troppo tardi per cercare di ripulirsi la coscienza prima di morire.
Ed era arrivato il momento di rifare una visitina a Caroline.
Mise in modo il vecchio rottame e partì verso la fattoria della donna. Da bambino ci aveva passato giorni interi lì, ed anche notti quando i suoi erano troppo ubriachi per occuparsi di lui. La zia Carol, come la chiamava una volta, era stata una delle poche persone - se non l'unica - che l'aveva trattato come un bambino normale, che lo aveva abbracciato, accarezzato e letto le favole della buonanotte prima di addormentarsi. Era stata come una madre per lui, le aveva voluto un bene immenso, fino a quando si era reso conto che quel posto non l'avrebbe mai accettato e di conseguenza nemmeno lei, era solo il rimpiazzo dei suoi figli. Da allora non era più andato a trovarla e ne aveva sofferto tantissimo all'inizio, poi tutto era passato, tutte le emozioni buone ed il dolore erano come sparite dal suo corpo e n'era stato felice.
Ma ora... ora quelle emozioni stavano ritornando ancora più forti dall'arrivo di Dawn nella sua vita; il rimorso, la paura, la gioia, la tristezza... il dolore. Tutte si stavano ripresentando con prepotenza dentro di lui, facendolo vacillare e mandando in frantumi la maschera che si era costruito dopo tanta pena e sofferenza. E questo non riusciva a sopportarlo, riprovare quella dolorosa stretta al cuore, quell'agonia che toglieva il respiro... lui non lo voleva! Non rivoleva le emozioni nella sua vita, non quelle almeno. 
C'era stato un momento, da piccolo, in cui aveva immaginato di diventare papà, e nella sua fantasia infantile lui non si comportava come suo padre ma ripeteva sempre a quel bambino quanto fosse felice della sua nascita, che lo aveva voluto ed accettato. Ma all'epoca era solo un poppante che della vita non aveva ancora capito nulla, lui avrebbe anche potuto amare ed accettare quel bambino ma non gli abitanti di Yellowknife. Quindi, Dawn doveva andare via, fuggire da quel covo di serpi e crescere suo figlio in un posto migliore di quello. E sapeva che lei lo avrebbe amato con tutta se stessa, che sarebbe stata - e lo era già - una madre fantastica; ma lui, per quanto dentro stesse morendo, non poteva far parte delle loro vite. Scott Douglas era solo un mostro, un reietto ed un maledetto che non meritava di amare o di essere amato, avrebbe portato su di loro tutte le ingiurie che lui stesso aveva dovuto subire e che continuava a subire.

Fermò il pick-up ed il corso dei suoi pensieri quando si rese conto di trovarsi davanti alla fattoria di Caroline. Spense il motore e scese sbattendo la portiera per farsi sentire dalla donna se mai fosse stata in casa e non nei campi. Infatti, dopo poco, vide la chioma grigia di Caroline far capolino dalla porta lasciata aperta, ed appena gli occhi appannati della donna si posarono su di lui un guizzo inquieto li attraversò.

La padrona di casa uscì sul portico incrociando le braccia al petto. «Sei venuto qui per vedere cosa si prova ad avere del piombo nel sedere o per riprenderti ciò che è tuo?» Gli chiese la donna.

Non potrò mai prendermi ciò che mi appartiene, pensò cupamente. «Nessuna delle due cose.» Rispose invece.
«Sono venuto per parlare con Dawn. Di nuovo.»

«No che non ci parlerai, invece.» Lo contraddisse Caroline. «L'ho mandata a riposare perché molto stanca e provata, tu non puoi nemmeno immaginare quanto sia impegnativa la gravidanza per una donna. Non è solo emozione, tutine e calcetti!» S'inalberò lei, scendendo le scale del porticato per venirgli incontro. «Vieni con me!» Gli ordinò poi, tirandolo per la manica della sua camicia.

«Ehi!» Protestò, tentando di opporsi alla donna, ma - proprio come la ricordava - questa aveva una forza quasi sovrumana e non poté far altro che seguirla. Si lasciò trascinare fino al piccolo orto dietro casa, quello che Caroline usava per se stessa e non per la sua azienda.

«Eccoci qua.» Disse soddisfatta, lasciando la presa alla sua camicia per abbassarsi a raccogliere qualcosa. Si voltò nuovamente verso di lui e gli lanciò una zappetta ed un sacchetto di ciò che riconobbe come semi.

«Ehm... cosa dovrei farci esattamente?» Chiese in confusione.

«Ma lavorarci, no?» Esclamò Caroline con ovvietà. «Io sono vecchia ormai e non posso prendermi cura del mio orto, quindi visto che tu sei giovane, forte e disponibile potresti farmi questo favore.»

«Già. E perché mai dovrei farlo?» Borbottò secco.

«Perché magari potrei anche decidere di farti parlare con Dawn.» La donna gli sorrise amabilmente e gli puntò con un cenno del capo gli attrezzi ai suoi piedi.

«Mi stai per caso ricattando?» Scott iniziava a sentirsi sempre più irritato, era andato lì per parlare con la ragazza e si trovava a discutere con la vecchia di giardinaggio!

«Prendila più come uno scambio equo di favori. Ed ora sbrigati!» Sbottò spazientita la donna.

Il rosso imprecò tra i denti, s'inginocchiò ed iniziò a scavare un piccolo fosso nella terra usando la zappetta, sporcandosi le mani prive di protezione. «Potrei avere gentilmente dei guan...» Un paio di guanti bianchi con una stampa floreale ricamata sopra gli arrivarono dritti in faccia prima che potesse terminare la frase. «Grazie!» Ringhiò tra i denti, infilandoseli per riprendere a lavorare.

Caroline rimase ferma a fissarlo, senza aprire bocca e lui rimase altrettanto zitto, chiedendosi come fosse finito a piantare semi. Avrebbe potuto anche mandarla al diavolo ed andarsene, ma qualche strano motivo - che al momento non voleva scoprire - non lo aveva fatto, e di certo non credeva sul serio che alla fine la donna l'avrebbe fatto parlare con Dawn, la conosceva fin troppo bene.

«Non hai ancora smesso di scappare dalle tue paure?» Esclamò all'improvviso Caroline, causandogli l'arresto di ogni muscolo.

Scott sapeva benissimo a cosa si riferisse la donna, gli dava del codardo perché preferiva mandare via Dawn e sopportare le critiche e le maldicenze - che prima o poi si sarebbero esaurite - invece che prendersi cura della ragazza e del bambino in arrivo.

«Lo faccio per loro.» Rispose, affondando con forza l'attrezzo nel terreno.

«Cazzate! Lo fai per te stesso, perché per te è meglio mandarli via che prenderti cura di lei e fare il padre!» Gridò la donna, pestando con forza il piede sui semi che aveva appena piantato.

Il rosso si alzò di scatto, lanciando la zappetta contro il muro vicino e fissando la donna con rabbia. «Credi che per me sia davvero così facile?! Sai cosa succederebbe se accettassi Dawn ed il bambino? Verrebbero etichettati come me! Quel povero esserino non verrà mai accettato, per quanto ci proverà non riceverà mai amore!» Gridò, sentendo la gola chiudersi subito dopo, come se il suo stesso corpo lo stesse proteggendo, evitando che altre parole uscissero e mettessero a nudo il suo animo tormentato.

«E tu credi che gli abitanti di questo posto avrebbero dovuto darti amore incondizionatamente?» Gli chiese Caroline, spiazzandolo. «Erano i tuoi genitori quelli da cui volevi amore, hai cercato negli altri qualcosa che non avresti mai potuto avere davvero! Certo, le persone qui si sono comportate da perfetti stronzi, ma pensaci; se avessi ricevuto amore dai tuoi genitori ti sarebbe davvero importato così tanto il giudizio di quelle persone?»

Per la prima volta dopo anni, Scott non seppe cosa dire o come agire. Non aveva mai pensato di cercare inconsapevolmente l'amore dei suoi genitori, aveva sempre saputo di non essere amato da loro e da piccolo aveva creduto di averlo accettato. Aveva provato ad essere un buon figlio, ubbidiente e calmo, ma questo non aveva mai cambiato le cose.

«Ed ora,» continuò la donna, «c'è un bambino che potrebbe crescere senza un padre, nella convinzione di non essere riuscito a farsi amare abbastanza dall'uomo che ha contributo alla sua nascita da indurlo a restare. Ci hai mai pensato?»

No, non ci aveva mai pensato prima d'ora, aveva pensato solo a se stesso; da perfetto egoista, proprio come suo padre. «Non ho nulla da offrire loro.» Si oppose debolmente con poca convinzione, quasi sussurrando quella frase.

«Una spalla in più per quella ragazza ed un padre per quel bambino è molto da dare, soprattutto nelle condizioni di Dawn, che ha lasciato tutto per inseguire un idiota e dare una figura paterna a suo figlio.» Caroline gli si avvicinò e gli posò le mani sulle spalle. «Quella ragazza ti ama, Scott, e quel bambino potrebbe amarti ma prima devi amarlo tu. Ora vai a casa e pensaci su, okay?» Gli suggerì con dolcezza.

Il ragazzo annuì come in un trans, la sua mente non era più lì, ma vagava tra le mille convinzioni che in quegli anni si era portato dentro, ormai quasi tutte distrutte.
Si allontanò dalla donna, da quell'orto, da quella casa, da Dawn e risalì nel suo pick-up per tornare a casa.
Caroline aveva ragione, constatò con fatica, lui aveva paura e preferiva fuggire. Paura di essere odiato da suo figlio e tradito da Dawn, se mai un giorno le avesse permesso di entrargli nel cuore, come avevano già fatto in troppi. Ma non lo avrebbe permesso un'altra volta, quello mai.

Arrivò a casa con una confusione in testa che lo stava facendo impazzire. 
"E quel bambino potrebbe amarti, ma prima devi amarlo tu", le parole di Caroline gli esplosero come un grido doloroso nella mente, tanto che si portò le mani alle orecchie per proteggersi. Lui non era in grado di amare, ma la verità era che voleva davvero amare suo figlio ed essere ricambiato, ammise a se stesso. Aveva sempre voluto solo quello: essere amato, ma ormai aveva troppa paura e respingeva chiunque per evitare di essere deluso ancora. Finalmente, l'uragano di pensieri si arrestò e Scott alzò lo sguardo verso il salotto di casa, reprimendo un gemito di disgusto al caos che vi regnava. C'erano bottiglie di birra, cartoni di pizza o di altro cibo d'asporto disseminati per il pavimento e negli angoli più impensabili della casa. Reprimendo un'imprecazione, afferrò un sacchetto per l'immondizia da un cassetto in cucina ed iniziò a dare una ripulita, cosa che non faceva da tanto tempo. Ma era una cosa necessaria, non poteva far vivere Dawn in un posto del genere, soprattutto non nel suo stato delicato. Ovviamente, la sua preoccupazione andava soprattutto al bambino, non alla ragazza in particolare, si disse. Aveva accettato suo figlio, avrebbe imparato ad amarlo, ma non si sarebbe mai fidato di Dawn. Non si sarebbe fidato mai più di un'altra persona.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

«Buongiorno, Susanna. Dormito bene?» Chiese Dawn alla sua interlocutrice, che alzò il muso e muggì in quella che lei tradusse come risposta affermativa. «Mi fa tanto piacere, mi permetti di mungerti?» Le chiese nuovamente, accarezzandole il naso umidiccio.

Quella mattina la ragazza si sentiva felicissima, Caroline le aveva permesso di rendersi utile mungendo le vacche. Be' in realtà solo una; Susanna, che la donna aveva reputato dolce e calma. Non aveva mai munto prima di allora, ma la burbera padrona di casa le aveva mostrato come fare ed era abbastanza tranquilla.

Posizionò il secchio di latta sotto l'animale e si accomodò sullo sgabello che si trovava lì vicino. Non voleva ammetterlo però... dover strizzare le mammelle di quella povera mucca la rendeva un po' nervosa e le faceva un certo senso, ma l'aveva promesso a Caroline e non poteva tirarsi indietro!

Fece un bel respirò ed iniziò a mungere delicatamente la povera Susanna, che se ne stava tranquilla a mangiucchiare del fieno lasciandola lavorare in pace. Non era così male, dopo tutto, e nemmeno particolarmente stancante, forse proprio per quel motivo Caroline le aveva permesso di rendersi utile almeno in quel modo. Avrebbe voluto far molto di più ed imparare più cose, così quando Scott avrebbe finalmente accettato suo figlio - e pregava anche lei - non si sarebbe trovata impreparata alla vita che si conduceva in una fattoria. Voleva essergli utile e non d'intralcio, avrebbe imparato tutto ciò che serviva.

«E tu crescerai in un posto tranquillo e salutare.» Disse, rivolta all'esserino che cresceva nel suo ventre. Non poté far a meno di immaginare un bellissimo bambino dai capelli rossi e gli occhi azzurri che correva dietro il padre, ansioso di imparare qualcosa e di emulare la figura paterna tanto amata. Una parte di lei la rimproverò per quella fantasia, non sapeva se alla fine il rosso li avrebbe voluti nella propria vita e sognare era prematuro e poco raccomandabile per il suo cuore. Non voleva rimanere ferita, ma non sapeva come impedirsi di vagare con la mente in quel modo o di pensare meno a Scott. Lei non era mai stata innamorata, i ragazzi non le erano mai interessati perché tutti quelli con cui aveva avuto la sfortuna di relazionare si erano dimostrati rozzi, indisciplinati e, cosa più importante, non l'avevano accettata per ciò che era né capita. Non che Scott la capisse, ma in qualche modo loro due si somigliavano, entrambi conoscevano la solitudine ed il dolore di non sentirsi accettati per ciò che erano, e questo li univa più di qualsiasi altra cosa. Tuttavia, ora lui aveva trovato qualcuno disposto ad accettarlo ed amarlo, qualcuno che avrebbe sempre voluto il suo bene con l'unica pretesa di essere amata allo stesso modo. Quello era il punto criticò però e lo sapeva, infatti non sperava troppo di essere amata da lui, l'importante era che il ragazzo amasse suo figlio.

Finì di mungere e, con più fatica di quanto avesse immaginato, tentò di sollevare il secchio di latte per portarlo in casa come le aveva raccomandato Caroline. E quella era forse la parte più difficile visto il peso del maledetto secchio, infatti non riuscì nemmeno ad uscire dalle stalle a causa delle braccia doloranti ed addormentate, quindi fu costretta a fermarsi davanti alle porte dell'edificio per riprendere fiato.

«Che diamine stai facendo?» Le chiese una voce fin troppo familiare, la stessa voce che ogni sera perseguitava i suoi sogni e di giorno affollava i suoi pensieri.

Dawn alzò di scatto gli occhi, ritrovandosi davanti la figura sorpresa del rosso. «Scott?»

«No, un folletto irlandese.» Commentò ironicamente il ragazzo, lanciando poi uno sguardo dubbioso al secchio accanto ai suoi piedi. «Serve una mano? Nelle tue condizioni non dovresti alzare certi pesi, giusto?» Commentò con una nota di disappunto.

La bionda rimase imbambolata per un po', prima di riuscire a rispondere, ancora incredula non solo di averlo lì davanti ma anche di vederlo preoccupato per le sue condizioni. «Sì, non dovrei, ma non riesco a starmene in casa a riposare senza far nulla.» Sorrise imbarazzata, indossava una delle camicie a quadri di Caroline, che le stava almeno di due taglie più grande, ed i capelli erano raccolti in uno chignon da cui ormai sfuggivano diverse ciocche. Non era esattamente così che si era immaginata di incontrare il ragazzo, ma tanto che importava? Lei non aveva mai badato al suo aspetto quindi era inutile farlo proprio ora, e poi lui era lì e questo era già tanto. Salvo che Scott non fosse venuto solo per chiederle di andare via, come aveva fatto giorni fa e questa volta non c'era nessuna Caroline a difenderla quindi sarebbe stata messa alle strette. Ma l'avrebbe affrontato, perché non aveva nessuna intenzione di andarsene!

Lo sentì sospirare rumorosamente e lo vide avvicinarsi a lei e sollevare il secchio che aveva lasciato a terra per la fatica. «Dove devo portarlo?» Chiese quasi borbottando, come se le stesse facendo un favore, anche se lei non gli aveva chiesto praticamente nulla.

«In casa...» Rispose stupita dal suo gesto, in nessuno dei suoi sogni avrebbe mai immaginato una cosa simile - o forse sì -. Conoscendolo, non se lo sarebbe mai aspettato, ma Scott nel profondo era buono quindi non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Con lei la parte del ragazzo cattivo e senza pietà non funzionava, aveva visto di più in lui, ed il fatto che fosse lì a darle una mano lo dimostrava. Seguì silenziosamente il ragazzo dentro casa, tentando di tenere sotto controllo le sue emozioni e la sua euforia, se qualcuno avesse potuto leggere l'aura come lei avrebbe notato quanto fosse esagitata dalla presenza del rosso, e lei non aveva mai provato simili sensazioni verso qualcuno.

Entrarono in casa senza più dirsi nulla, Scott lasciò il secchio in cucina e ritornò in salotto dove lei lo stava aspettando, cercava di prepararsi ad una possibile discussione con lui, anche se la cosa non le piaceva affatto. Odiava litigare con Scott, soprattutto per il bambino, che era l'unica vittima innocente in tutta quella storia.

«Caroline non c'è?» Chiese il rosso, comparendo all'improvviso dietro di lei.

«No, è andata in paese a sbrigare delle faccende.» Spiegò, sentendo la mancanza della donna. Avere qualcuno che ti difendeva era rassicurante e ti faceva sentire protetto, ma lei non poteva contare sempre su Caroline. La verità era che in quel momento aveva un gran paura, paura di sentirsi dire le stesse cose che il ragazzo aveva detto alla padrona di casa solo una settimana prima.

«Prepara le tue cose.» Le ordinò Scott, in modo stranamente calmo.

Ecco, lo sapevo, si disse.

«Starai da me. Hai vinto Dawn, mi prenderò cura di te e del bambino.» La ragazza si voltò finalmente verso di lui, sorpresa. La gioia, le domande, i dubbi e le paure l'assalirono, ma si impose di non pensarci e mettere tutto a tacere almeno per il momento. Alla fine lui l'aveva accettata anzi, aveva accettato il bambino ed era il motivo che l'aveva spinta fin lì, avrebbe dovuto fare i salti di gioia eppure... si sentiva stranamente vuota.

«Forza!» La riscosse Scott. «Non ho tutto il giorno, e preferisco che non arrivi il dittatore di questa casa, odio ritrovarmi fucili puntati contro il cranio.»

«Scusami, torno subito.» Come un fulmine, Dawn si precipitò su per le scale e si chiuse in camera. Raccolse lo zaino che aveva portato con sé ed iniziò ad infilarci dentro le poche cose che possedeva, sentiva di avere le lacrime agli occhi e si diede della stupida; lui aveva deciso di prendersi le proprie responsabilità! Proprio come aveva sempre pregato, allora perché si sentiva così delusa ed avvilita?

Finalmente il suo bambino aveva un padre pronto ad accoglierlo ed amarlo, e lei sapeva che Scott sarebbe stato un padre fantastico.

«Allora perché ho così tanta voglia di piangere?» Sussurrò reprimendo un singhiozzo. Sentiva un macigno sul cuore e non sapeva il perché, tutto ciò che aveva pregato accadesse si era avverato, eppure sentiva di aver perso. Perché?

Non voleva che suo figlio fosse accettato ed amato? Sì, ed era successo, almeno la prima. Lui aveva accettato le proprie responsabilità quindi non aveva lasciato tutto per nulla, e doveva esserne felice. Ma non lo era.

Si mise velocemente lo zaino in spalla e scese nuovamente in salotto, Scott era esattamente dove l'aveva lasciato e si guardava intorno con aria malinconica. Curiosa, diede una sbirciata alla sua aura e vi trovò tristezza, commozione e rimorso. Tanto rimorso.

«Eccomi.» Scott si voltò subito verso di lei e la fisso serio in volto per qualche secondo.

«Hai pianto?» Chiese, sbalordendola. Era così cristallina quel giorno? Di solito nessuno riusciva a capire se aveva pianto, anche se lo aveva fatto da poco, era sempre stata molto brava a nascondere il suo stato d'animo. Evidentemente quel giorno non c'era riuscita, e visto tutte le emozioni che la sconvolgevano dentro non le risultava difficile crederci. Non riusciva ad avere il controllo su emozioni o stati d'animo che non si erano mai manifestati prima di allora.

Si schiarì la gola e scosse il capo. «No, assolutamente no. Andiamo?» Uscì di casa sotto lo sguardo attento del ragazzo, che avvertiva qualcosa di strano in lei.

Dawn raggiunse il pick-up nero di Scott e si voltò verso la casa che per settimane l'aveva accolta e protetta, proprio come aveva fatto Caroline. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime, stavolta per un motivo completamente diverso. Sospirando, lanciò un'occhiata al rosso che l'aveva raggiunta.

«Scusami un secondo.» Gli disse. «Ho qualcosa di importante da fare prima di andare.» E sotto lo sguardo allibito ed irritato di lui, tornò di corsa in casa, prese il blocchetto di post-it che la donna teneva sulla credenza in cucina e lasciò un messaggio a Caroline, informandola del suo trasferimento nella fattoria dei Douglas. Lanciando un ultimo sguardo alla cucina ed al salotto, tornò di nuovo da Scott, il ragazzo la stava aspettando esattamente dove l'aveva lasciato pochi secondi prima.

«Possiamo andare, ora?» Chiese con evidente disappunto.

«Sì, scusa.» La ragazza entrò nell'abitacolo ed il rosso fece altrettanto, accendendo il motore e allontanandosi da quella casa immediatamente. Sembrava che Scott volesse mettere fine a quella storia velocemente, come se portarla alla sua fattoria potesse in un attimo far aggiustare tutto. E forse era così, ma per quante cose si risolvano, tante altre si complicano e lei lo sapeva bene.

Aveva appena raggiunto il traguardo che si era prefissata il giorno del suo arrivo a Yellowknife, eppure il suo cuore ed il suo animo erano irrequieti. Non c'era la benché minima felicità nel sapersi vincitrice di questa battaglia, perché la guerra per arrivare al cuore di Scott era ancora lunga e non era detto che ne sarebbe uscita vincitrice.

Si posò una mano sul ventre e chiuse gli occhi, chiedendo in silenzio perdono al bambino che cresceva dentro di lei. Senza di lui non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi al ragazzo che amava, le sembrava quasi di usarlo e si sentiva un mostro per quello.

Scott lanciò un'occhiata alla sua compagna di viaggio, trovandola ad occhi chiusi con una mano poggiata sul ventre e l'espressione quasi sofferente. «Stai bene?» Chiese, tentando di nascondere invano la sua preoccupazione.

Dawn sussultò, come se fosse appena stata svegliata da un sonno profondo e si guardò intorno confusa prima di rispondere. «S... sì, credo di sì.» Accennò un sorriso e spostò la sua attenzione verso il panorama fuori dal finestrino.

Brutto segno, si disse. Non l'hai ancora portata a casa e già sembra che tu abbia fatto qualcosa di male.

Ma cosa? Non aveva ancora aperto bocca né fatto qualcosa che potesse disturbarla o ferirla. Forse era stato troppo scorbutico a trascinarla via dalla fattoria di Caroline senza darle il tempo di salutare? Forse, oppure si sentiva male? In fondo l'aveva sicuramente sconvolta un bel po' portandola via così in fretta.

«Sicura?» Indagò di nuovo, odiandosi nel mostrarsi così preoccupato. «Non ti senti male? Il bambino sta bene?»

La bionda si voltò nuovamente verso di lui, sorridendogli in modo dolce e grato. «No, il bambino sta benissimo e va tutto bene, davvero.» Lo rassicurò.

Annuendo, tornò a fissare la strada, ignorando il sollievo che aveva provato a quelle parole.

Era preoccupato per me o per il bambino?, si chiese Dawn anche se, ovviamente, conosceva già la risposta. Ma la preoccupazione di Scott verso il piccolo aveva tranquillizzato la tempesta di emozioni che si era scatenata dentro di lei. Adorava questo lato di lui, quello premuroso e protettivo che il ragazzo mai avrebbe ammesso di avere.

Se solo gli altri vedessero ciò che vedo io...

Una cosa su gli abitanti di quel posto l'aveva capita; davano molta importanza alla prima impressione di una persona e se questa era negativa allora escludevano il poveretto - o poveretta - dalla comunità. Ed era quello che era successo a Scott, tutti lo giudicavano per gli errori dei suoi genitori e questo era ingiusto. Eppure c'era qualcos'altro, ne era certa, qualcosa che aveva cementato l'odio degli abitanti verso il rosso e che non aveva nulla a che vedere con i suoi genitori, ma cosa?

Spostò nuovamente lo sguardo fuori dal finestrino e riconobbe la fattoria del ragazzo, anche se l'aveva già vista una volta fu comunque sorpresa e dispiaciuta della decadenza di quel posto. I campi accanto alla proprietà erano completamente abbandonati e le strutture avevano urgente bisogno di una riverniciatura e non solo...

«Benvenuta nella vostra nuova dimora, principessa.» Esalò sarcastico il ragazzo, parcheggiando il pick-up accanto alla casa padronale.

Dawn scese dall'abitacolo ed attese che Scott facesse lo stesso, non le andava di entrare in casa per prima o di precederlo, non voleva dargli l'impressione di considerare quel posto già casa sua. Anche perché era abbastanza difficile definirla casa e non catapecchia fatiscente, sarebbe stata sicura per un bambino? Pregava di sì.
Come richiamato, il suo sguardo venne di nuovo attirato verso i campi abbandonati ed una strana apprensione l'assalì. Dopo aver passato due settimane da Caroline, e vedendo il modo impeccabile in cui gestiva la sua fattoria, le sembrava orrendo lasciare quel posto così deturpato.

«Ehi, non vuoi entrare?» La voce di Scott la fece sobbalzare e si voltò verso di lui, trovandolo sotto il portico ad attenderla.
Si affrettò a raggiungerlo e lo seguì in casa; visto l'esterno della casa si era aspettata lo stesso abbandono anche dentro, invece dovette ricredersi. Il mobilio, per quanto vecchio e consumato, era lucido e pulito, così come il soggiorno. Anche la moquette era pulita e priva di macchie.

«Lo so, non è di certo una bella casa, ma dovrai accontentarti.» Sbottò irritato Scott, fraintendendo la sua ispezione, senza nemmeno guardarla in volto. Sembrava addirittura imbarazzato e qualcosa diceva che non era per l'aspetto della casa, non del tutto almeno.

Senza riuscire a frenarsi, diede nuovamente una sbirciatina alla sua aura. Non doveva farlo, lo sapeva, ma con Scott non riusciva proprio a frenarsi, voleva sapere ciò che il ragazzo provava per aiutarlo o confortarlo in qualche modo. Era stata proprio la sua aura ad attrarla, così cupa, tormentata ed infelice. Le uniche volte in cui aveva notato della felicità in essa era quando superava brillantemente gli esami scolastici, allora la sua aura brillava e lei ne rimaneva affascinata. Anche ora, quello che vi lesse dentro la commosse e affascinò come sempre.

«No, è tutto perfetto ed in ordine. Pulisci tu casa?» Chiese, immaginando la risposta che avrebbe ricevuto.

«C... cosa? Ti sembro uno che pulisce case? Ma per favore, sono solo un tipo ordinato.» L'espressione sconcertata ed imbarazzata di lui era talmente buffa che dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non ridere. «Puoi sistemare le tue cose nella tua stanza; sali al piano di sopra, è l'ultima porta a destra.» Borbottò prima di sedersi sul divano ed accendere la televisione, un chiaro segno che non l'avrebbe accompagnata.

Seguendo le sue indicazioni, salì le scale ed entrò in camera; la stanza era molto semplice e spaziosa, dato che gli unici mobili presenti erano il letto e l'armadio. Sospirando, lasciò cadere lo zaino sul letto e si avvicinò alla finestra.

«Oh, no...» Esclamò alla vista dei maledetti campi abbandonati. Sembrava quasi che la stessero perseguitando, sicuramente le chiedevano aiuto visto la situazione orribile in cui versavano. «E va bene...»

Uscì di fretta dalla stanza e tornò al piano inferiore, trovando Scott ancora seduto davanti al televisore con lo sguardo perso altrove, di certo non poteva interessargli la televendita di pentole antiaderenti che stavano trasmettendo.
Cercando di fare meno rumore possibile, uscì di casa e si diresse verso di campi che la stavano perseguitando. Non sapeva esattamente cosa fare, tutto ciò che vedeva erano le erbacce e forse avrebbe dovuto iniziare proprio da quelle. Avanzò verso il centro del campo ed iniziò a strapparle a mani nude, da sola non avrebbe fatto un granché ma almeno avrebbe acquietato quella strana ed orribile sensazione allo stomaco.

Scott spense il televisore e lasciò che un ringhio di frustrazione uscisse dalle proprie labbra. Stava tentando di capire in che modo poter mantenere Dawn ed il bambino durante i prossimi mesi, ma la stupida e fastidiosa voce maschile che elencava i pregi di una cottura senza grassi non riusciva a farlo concentrare. I soldi che aveva messo da parte negli ultimi anni stavano per finire e quei pochi rimasti di certo non lo avrebbero aiutato a crescere un bambino. 
Dannazione! Era proprio questo che intendeva quando aveva detto a Caroline di non aver nulla da offrire, però ormai aveva preso la sua decisione e non poteva di certo tirarsi indietro. Avrebbe trovato di certo una soluzione, per il momento era meglio evitare di pensarci o si sarebbe innervosito. Abbandonò il capo sui cuscini del divano e si godette la tranquillità ed il silenzio che regnavano in casa.
Un momento... silenzio e tranquillità? Non poteva essere così visto che ora abitavano in due in quella casa, ed anche se Dawn era silenziosa al limite dell'inquietante, in casa si sarebbe dovuto percepire almeno un piccolo rumore.

«Dawn?» La chiamò, tentando di apparire scocciato come al solito, ma non ricevette risposta. Sbuffando, abbandonò la comodità del sofà e salì le scale che portavano al piano superiore. Aprì lentamente la porta della camera di Dawn e rimase di sasso non trovando la ragazza lì.

«Dove diamine si sarà cacciata?» Ringhiando per l'ennesima volta, tornò al piano inferiore ed entrò in cucina per vedere se la bionda fosse lì, ma ancora una volta di lei non vi era nessuna traccia. 
Si portò un mano alla tempia ed inizio a massaggiarla piano, tutto quel preoccuparsi non era né da lui né nella sua routine giornaliera e si sentiva già sfinito. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, cercando di distrarsi guardando l'erba che cresceva incolta nei suoi campi, gli insetti che vi volavano intorno ed una testa bionda che se ne stava sedu... una testa bionda che ne stava seduta lì in mezzo? Scott strinse gli occhi per cercare di mettere meglio a fuoco ciò che vedeva, e finalmente trovò Dawn.

«Ma che cavolo fa quella svitata?» Come un fulmine, raggiunse la ragazza tra l'erba alta quasi quanto lui. Nonostante il rumore provocato dai suoi piedi che calpestarono e spezzarono l'erbaccia secca, Dawn non si accorse della sua presenza; troppo impegnata nel suo intento, impossibile, di ripulire il campo.
«Cosa stai facendo?» Le chiese, tentando di tenere a bada l'irritazione. La bionda sobbalzò e si voltò con aria colpevole verso di lui.

«Ecco... non lo so nemmeno io.» Gli rispose, ridendo in modo nervoso. «So solo che non riuscivo a guardare questi campi senza provare una strana ed odiosa sensazione alla bocca dello stomaco. Così ho deciso di darmi da fare.»

Scott rimase per un attimo colpito. Anche lei provava la stessa sensazione fastidiosa che provava lui ogni volta che apriva gli occhi e si rendeva conto dello stato di abbandono in cui versava la fattoria?

«Molto nobile da parte tua, ma non puoi fare tutto da sola. Anche se il campo non è enorme servono comunque macchinari adatti, o più persone che facciano quello che stai facendo tu.» La informò. «Inoltre sei incinta, dovresti pensare al bambino e non a delle erbacce.»

«Lo so, ma se non lo faccio so che non riuscirò a stare tranquilla, quindi non preoccuparti e torna dentro.» La bionda si rimise a lavorare, ignorando la sua presenza e le sue parole.

«Io non mi preoccupo per te, e se vuoi stancarti inutilmente mettendo in pericolo anche la vita di nostro figlio, fai pure. Io torno dentro eccome.» Sbuffando irritato, il rosso tornò dentro, ignorando la vocina interiore che gli diceva di aiutarla e non abbandonarla lì in mezzo alla polvere e gli insetti.

Nostro figlio, Dawn non riusciva ancora a credere alle parole uscite dalla bocca di Scott. Era sicura che il ragazzo non se ne fosse reso conto, ma lei sì e quelle parole avevano un suono meraviglioso e pregò di poterle risentire di un nuovo un giorno.

«Sì, Scott, è nostro figlio.» Mormorò prima di rimettersi al lavoro.

«È una pazza, una anche molto malata!» Esclamò irato il rosso, sbattendo la porta dietro di sé. «Vuole spezzarsi la schiena a strappare stupide erbacce? Faccia pure, io ho smesso di provare ad essere gentile.»

Il ragazzo entrò in cucina e prese una bottiglia di birra prima di risedersi sul divano ed accendere la televisione. Quella ragazza era completamente fuori, più di quanto si era immaginato, davvero credeva di poter cambiare quel posto da sola? Era una visionaria affetta da miopia, l'unica spiegazione ad una tale pazzia. Bastava solo uno sguardo veloce a quel posto per capire che erano tutte fatiche sprecate, tutto andava buttato giù e ricostruito daccapo e lui non aveva nemmeno i soldi per riverniciare la porta d'ingresso. 
Quella stupida, poteva benissimo rimanere fuori tutta la notte, presto anche lei si sarebbe arresa all'evidenza. Inoltre stava anche iniziando a fare freddo, quindi sarebbe dovuta entrare per forza in casa.

La conosci, Scott, è in grado di restare fuori anche con venti gradi sotto lo zero, lo mise in guardia la sua coscienza, miracolosamente tornata in vita nelle ultime settimane.

«Non mi interessa, può anche trasformarsi in un pupazzo di neve.» Borbottò a se stesso, dandosi dell'idiota nel sentire l'eco delle sue parole riecheggiare tra le pareti del soggiorno. Dawn lo faceva impazzire come poche cose al mondo, non riusciva mai a capire a fondo ciò che le passava per la testa mentre lei era in grado di prevedere ogni sua mossa, anche prima di lui. E non capiva perché preferisse rimanere fuori al freddo in mezzo alla polvere, incinta per di più! Le sarebbe potuto accadere di tutto, si stava comportando in modo irresponsabile.

«Oh, al diavolo!» Spense il televisore ed uscì nuovamente di casa. Se le fosse successo qualcosa Caroline lo avrebbe scuoiato vivo e non poteva permettere che accadesse, non voleva avere nessuno sulla sua coscienza appena ritornata. Si fece spazio tra l'erba alta del campo e le si sedette di fronte, imitando il lavoro della ragazza.

«Non una sola parola.» L'avvertì senza nemmeno guardarla.

«Non ne avevo intenzione.» Rispose lei, con un sorriso stampato in viso che lui non vide.

***

«Ehi Vecchiaccia!» Anderson entrò in casa di Caroline senza nemmeno bussare, non l'aveva mai fatto e non avrebbe iniziato di certo ora. Inoltre la donna non si era mai lamentata, e questo a lui bastava.

«Cosa diamine hai da urlare?» Chiese irritata Caroline, seduta al tavolo della cucina con un'espressione stranamente compiaciuta ed un foglietto tra le mani.

Andy avanzò lentamente verso di lei, notando qualcosa di strano nella donna, gli sembrava più rilassata. Come se le mille preoccupazioni che l'affliggevano fossero magicamente sparite, ma aveva anche un qualcosa di nostalgico nello sguardo.

«Ero venuto a chiederti dell'angioletto, non l'ho vista stamattina e mi sono preoccupato.» L'uomo prese posto accanto a lei.

«Se ne è andata, Andy. Finalmente ha preso il posto che le appartiene.» Caroline sorrise enigmatica, come se stesse nascondendo un segreto che non aveva intenzione di rivelare a nessuno.

«Come andata?» Si allarmò l'uomo. «Non dirmi che è tornata a casa!»

La donna alzò gli occhi al cielo esasperata e sbuffò. «No, vecchio idiota.» Gli porse il bigliettino che aveva tra le mani e sorrise soddisfatta.

Anderson afferrò il piccolo post-it tra le mani e si infilò in fretta gli occhiali da vista, senza non riusciva a distinguere nemmeno una vocale. Lesse in fretta il biglietto, rimanendone sorpreso.

«Scott ha accettato di prendersi le sue responsabilità?» Commentò allibito, nonostante sapesse che il ragazzo era tutt'altro che cattivo, aveva dubitato seriamente di lui. Aveva creduto che Dawn sarebbe rimasta lì per un bel po', anche per sempre, insieme a suo figlio. Invece si era sbagliato e non poteva esserne più felice.

«Sì, non ho mai dubitato di quel cretino. Sapevo che alla fine avrebbe ripreso ciò che era suo.» Caroline riprese il post-it dalle mani dell'uomo e sospirò felice. Finalmente Scott avrebbe avuto la famiglia e l'amore che aveva sempre desiderato, doveva solo superare le sue paure ed aprire il cuore. Non sarebbe stato facile ed avrebbe commesso tanti sbagli, ma la zia Carol era pronta a rimediare e riportarlo sulla retta via. Dawn era l'unica in grado di aiutare il ragazzo, e per fortuna aveva un gran cuore ed un'immensa pazienza, ma anche lei aveva bisogno di essere aiutata ed il rosso era perfetto per il compito. Quei due si completavano, lei non aveva mai creduto alle anime gemelle ma stava per ricredersi.

«Come mai sei sempre stata sicura di lui?» Le chiese Andy.

«Perché ogni volta che si guardano, tutto intorno a loro brilla e l'unica cosa che si può leggere nei loro occhi e l'amore che provano l'uno verso l'altro. È quasi magico.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


«Cazzo, ho la colonna vertebrale a pezzi.» Si lamentò Scott, stirando la schiena all'indietro nel tentativo di alleviare la sensazione di dolore ed intorpidimento che provava. Tentativo che fallì miseramente. «Dawn, torniamo dentro. Ormai è sera e non abbiamo risolto granché, proprio come ti avevo detto.» Borbottò.

La ragazza annuì e si alzò in piedi, anche a lei faceva male la schiena e più volte la tentazione di lasciar perdere tutto e di rientrare era stata forte, ma era riuscita a non cedere. Seguì Scott dentro casa, ringraziandolo in silenzio per l'aiuto che le aveva dato, la sua compagnia era stata di conforto nonostante avesse tenuto il muso per tutto il tempo. Adorava proprio quello di Scott, il suo essere così scorbutico, cafone e maleducato fuori ma premuroso dentro. Sapeva che il ragazzo odiava quei lati di lui, che avrebbe preferito fregarsene completamente ma non era nella sua indole, già stata modificata troppo a causa degli eventi passati. Chissà cosa si provava a doversi nascondere sotto una maschera, ogni giorno, per proteggersi dal mondo esterno. Doveva essere orribile.
Lei non si era mai nascosta, non perché fosse migliore o più matura, semplicemente non ne vedeva il motivo, a cosa sarebbe servito poi? Avrebbe ugualmente sofferto a causa della sensazione di soffocamento, nessuno poteva indossare una maschera a lungo senza che, prima o poi, questa pesasse. E Scott stava già avvertendo il senso di oppressione e confusione dettato dalla sua testa e dal suo cuore, che erano entrati ormai in conflitto. Dawn ovviamente faceva il tifo per il cuore, voleva vedere la maschera del ragazzo cedere, ma quando ciò sarebbe avvenuto come avrebbe reagito il rosso? Avrebbe accettato i propri sentimenti? La scoperta di riuscire ancora a provare qualcosa? Il suo essere umano?

Perché era questo Scott, un semplice essere umano; incapace di eliminare le emozioni che più detestava, quelle che secondo lui non valeva la pena provare. Per prima l'amore, che l'aveva sempre ferito più di tutte, quell'amore che aveva sempre cercato negli altri e che mai aveva ricevuto in cambio. Ed anche quando ciò era avvenuto, era stato troppo breve per poterne conservare il ricordo; Caroline lo aveva amato e Dawn lo sapeva, ma sembrava che quell'amore non fosse stato abbastanza forte da strappare il ragazzo dall'oscurità in cui era caduto.

«Vado a farmi una doccia, tu preparati pure qualcosa.» Grugnì in modo quasi incomprensibile il rosso, dirigendosi verso il bagno e lasciandola sola in mezzo al salotto. Non sapendo cosa fare, prese alla lettera le parole di Scott e si diresse in cucina per prepararsi qualcosa, appena aprì il frigo le parve chiaro che il cibo scarseggiasse in quella casa. L'indomani si sarebbe recata in paese ed avrebbe comprato qualcosa, per il momento doveva accontentarsi delle due cosce di pollo che se ne stavano solitarie su un ripiano del frigo, di alcuni pomodori ed un po' di lattuga.

Accese il fuoco e mise a cuocere il pollo, quindi iniziò a preparare un'insalata con i pomodori e la lattuga. Non sarebbe stata una gran cena, ma era la prima che lei è Scott avrebbero fatto come una vera famiglia...

Il solo pensiero la emozionò e le mani tremarono un po', ma continuò la sua opera con estrema cura e dedizione; anche se con poco avrebbe preparato la miglior cena di sempre!

***

La doccia non era stata rilassante come Scott si era immaginato anzi, con la schiena a pezzi era stata dura riuscire a lavarsi in zone di solito di difficile accesso. Tutto merito di quella pazza bionda, sperava fosse già andata a dormire così lui avrebbe potuto vedere la televisione in santa pace e magari bevuto un po' di birra, per rilassarsi.

Si avvolse un telo di spugna alla vita ed uscì dal bagno, appena varcò la soglia venne subito investito da un profumino delizioso che gli fece brontolare lo stomaco come mai prima d'ora. Credeva di non aver appetito dopo lo stress subito tra le erbacce, invece quell'odorino aveva risvegliato il suo stomaco, di sicuro c'era lo zampino di Dawn e qualsiasi cosa stesse cucinando doveva essere delizioso. Entrò in cucina a passo lento e felpato, la prima cosa che catturò la sua attenzione fu la tavola, coperta da una tovaglia rossa a quadri bianchi – quella che sua madre aveva sempre odiato e mai usato –, apparecchiata per due. Era da molto tempo che non vedeva una scena simile, aveva smesso di mangiare a tavola con i suoi all'età di sei anni, quando anche sua madre aveva cessato di prendersi cura di lui per guadagnarsi le attenzioni del marito. Dawn, che fino a quel momento gli aveva dato le spalle per concentrarsi interamente sulla cena, si voltò verso di lui e gli sorrise come sempre. Una persona normale avrebbe sobbalzato visto il modo silenzioso in cui era entrato, ma non Dawn, per quanto potessi arrivarle di spalle in silenzio lei avrebbe sempre percepito la tua presenza e questa era una delle stranezze più assurde della ragazza. Per lei, ovviamente, era tutta una questione di auree.

«Oh, ti sei già lavato?» Chiese la bionda, aveva le guance leggermente rosse e distoglieva spesso lo sguardo da lui. Scott sghignazzò, ricordando di essere coperto solo da un misero telo di spugna.

Quindi Dawn non era così indifferente come sembrava, forse anche lei ricordava ogni singolo giorno l'unica notte che avevano passato insieme. Be'... visto il risultato di quella notte, se la ricordava eccome. Lui invece, la ricordava per motivi differenti che non avrebbe mai ammesso.

«Siediti pure, Scott, la cena è pronta; non è molto ma domani provvederò.» Gli ordinò premurosa la ragazza, che aveva già recuperato tutto l'autocontrollo ed ora lo fissava negli occhi senza nessun imbarazzo.

Questo un po' lo irritò, per una sola volta avrebbe voluto vederla perdere il controllo. Sembrava che nulla riuscisse ad intaccarla, o comunque ad intaccarla a lungo. Sembrava così algida in alcuni casi, anche se non lo era in alcun modo, e sembrava non poter provare emozioni intense ma lui sapeva che non era così, la Dawn che aveva tenuto tra le braccia due mesi prima era l'esatto opposto di quella seduta ora a tavola. In quel preciso istante gli sarebbe piaciuto stringersela contro e mandare all'aria tutta quella sua compostezza quasi eccessiva, a tratti finta, per poter di nuovo sentire il sapore delle sue labbra ed il completo abbandono del suo corpo. Ma non poteva, mai più avrebbe assaggiato le labbra di Dawn o toccato la sua pelle nivea e morbida né aspirato l'odore di camomilla dei suoi capelli. Non poteva permettersi di perdere nuovamente il controllo, anche perché ora si trovava in quella situazione a causa della sua stupidità.

Donne. Da sempre spingevano gli uomini a commettere i peggiori errori, affascinandoli e rendendoli dei perfetti imbecilli. Lui più di chiunque altro sapeva cosa significasse farsi raggirare da una femmina, essere così affascinato da pendere totalmente dalle sue labbra, rimbambirsi ad un punto tale da non rendersi conto della tela che pian piano ti sta tessendo attorno, fino a quando non è troppo tardi. Quell'errore, era stato il più grande della sua vita, quello che aveva definitamente fatto appassire il suo cuore.

«Forza, non restare lì impalato o si raffredderà.» La voce di Dawn, calma, dolce ed anche stranamente felice, calmò la tempesta di odio e rancore che si stava agitando dentro di lui, e come un automa si sedette. Mangiò in modo silenzioso e fin troppo lento, non alzando mai lo sguardo sulla ragazza, anche se aveva avvertito lo sguardo su di sé per tutto il tempo. Senza complimentarsi per la cena o ringraziarla, si alzò e si diresse in soggiorno per guardare la televisione. Lei non si lamentò né gli chiese com'era stata la cena, la sentì sparecchiare la tavola e lavare i piatti, tutto in modo molto calmo mentre nei suoi ricordi quelle piccole faccende non erano affatto fatte in modo silenzioso. Sua madre aveva sempre gridato per ogni stoviglia sporca, anche la più piccola, ricordandogli che era lei quella che doveva spezzarsi la schiena in quella casa, non lui. Ma alla fine, la donna aveva smesso di fare anche quello, prendersi cura della casa per lei era diventato irrilevante e Scott aveva imparato da solo a fare il bucato e cucinare.

Da una parte era contento che le cose fossero andate così, non aveva mai avuto bisogno di nessuno e nella vita aveva sempre saputo cavarsela da solo. Avrebbe dovuto insegnare lo stesso a suo figlio? Avrebbe dovuto trattarlo con condiscendenza o sufficienza, dicendogli sempre "cavatela da solo" come avevano fatto i suoi? Il solo pensiero lo fece star male, non l'avrebbe mai fatto. E poi, c'era Dawn, lei era la reincarnazione dell'istinto materno, ed anche se lui fosse stato un padre orribile lei avrebbe compensato le sue mancanze. Però lui non voleva che lei compensasse un bel niente, era diverso dai suoi genitori, non migliore ma diverso, e l'avrebbe dimostrato almeno a suo figlio. Gli abitanti di quel posto non avevano mai creduto che lui potesse essere migliore di suo padre e sua madre, Dawn lo vedeva come il martire che non era e suo figlio l'avrebbe visto per com'era in realtà. Lo pregava.

Passi silenziosi e quasi inudibili lo irrigidirono sul sofà, quei passi erano ovviamente di Dawn e sembravano dirigersi proprio verso di lui. Rimase teso, come una corda di violino; che volesse sedersi accanto a lui per guardare anche lei un programma televisivo? Pregava proprio di no, soprattutto perché il quiz truccato che stavano mandando in onda di sicuro non era il suo genere. Anche se lui non conosceva i suoi generi.

«Io vado a dormire, buonanotte Scott.» Si limitò a dire la bionda, senza aggiungere rimproveri per non averla aiutata o altro, come ogni altra donna avrebbe sicuramente fatto.

«Mmh.» Mormorò in modo distratto, tenendo ben puntati gli occhi sullo schermo e sull'uomo calvo che tentava, invano, di vincere centomila dollari. La sentì salire le scale e solo quando udì la porta della sua stanza chiudersi il suo corpo si rilassò nuovamente, ricacciando indietro la delusione.

***

Non riusciva a dormire, era da più di mezz'ora che si rigirava tra le lenzuola ma il sonno ancora non aveva prevalso sulla sua coscienza. Forse perché questa sembrava più forte quella sera, continuava a pensare a Scott e ad ogni secondo si sentiva più sveglia di quello precedente. 
Non riusciva a smettere di pensare allo sguardo stupito del ragazzo quando i suoi occhi si erano fermati sulla tavola imbandita. Poi quello sguardo era diventato vacuo, la sua aura si era tinta di colori sempre più cupi e Dawn aveva subito capito che stava ricordando qualcosa della sua infanzia, qualcosa di estremamente doloroso e triste.

Da una parte si era sentita colpevole, voleva solo cenare con lui come una vera famiglia ma a quanto sembrava l'unica cosa che aveva ottenuto era stata quella di catapultare Scott in un ricordo – o forse più ricordi – dolorosi, che sicuramente non voleva ricordare.

Il passato non andava di certo dimenticato ma affrontato, e lei lo sapeva bene, eppure sembrava che il rosso non fosse ancora pronto o non trovasse il coraggio per farlo. Lei però non voleva in alcun modo forzarlo, e ricordargli involontariamente cose negative era sicuramente un forzarlo in qualche modo. Sospirò inquieta e strinse il lenzuolo tra le dita. Cosa doveva fare per far sì che la loro diventasse una famiglia? Per quanto tentasse di dimostrarsi sicura, aveva una gran paura di sbagliare o di affrettare troppo le cose e di bruciare le poche chance che le rimanevano per entrare nel cuore di Scott. Lo amava così tanto, odiava vedere i suoi occhi così cupi, tristi e tormentati; voleva riavere su di sé lo sguardo che lui le aveva donato quella magica sera di due mesi prima. Quello sguardo le aveva dato la certezza che Scott sapesse amare ancora, che nel suo profondo non avesse mai smesso di farlo e di sperare nell'essere amato a sua volta. Eppure non si rendeva conto del suo amore, forse era lei incapace di dimostrarlo e di sicuro lui interpretava i suoi gesti in tutt'altro modo che amore. Se solo non fosse stata così inesperta di quel sentimento, forse avrebbe saputo cosa fare, però non lo sapeva; non sapeva cosa fare e si affidava semplicemente ai comandi del cuore. Il cuore l'aveva trascinata in quel paese, il cuore le aveva impedito di fermare Scott quella magica notte, e sempre il cuore l'aveva fatta perseverare. Ed ora Scott aveva accettato di prendersi cura di lei e del bambino, questo era già qualcosa. Eppure doveva ammettere di avere, nel profondo si sé, paura: paura di non essere mai amata da lui nello stesso modo in cui lo amava lei, di sicuro anche Scott si era sempre sentito così quando cercava l'affetto e l'approvazione altrui.

Sospirò nuovamente nel constatare che il sonno era ormai andato via senza di lei, scostò le coperte e si alzò per dirigersi in cucina a prendere un po' d'acqua. Chissà se Scott si trovava ancora sul divano, lei non l'aveva sentito salire le scale e chiudersi in camera. Scese giù in salotto, il televisore era ancora acceso ma il rosso non si trovava lì, la cosa la mise un po' in agitazione ma si impose di non farsi prendere da inutili paranoie. Forse era andato in bagno, non era di certo scappato, almeno pregava fosse così. Una folata di vento entrò in casa, facendola rabbrividire, e solo allora notò che la porta d'ingresso era leggermente aperta.

Allora è scappato davvero!, si allarmò. Lentamente, si avvicinò alla porta e l'aprì uscendo sul portico. Scott era proprio lì, seduto sui marci scalini in legno, che guardava il cielo; non aveva percepito la sua presenza, come sempre, e lei trattenne l'istinto di correre da lui e stringerlo tra le sue braccia. Il ragazzo non avrebbe apprezzato di certo un gesto simile anzi, l'avrebbe di sicuro allontanata in malo modo.

«Scott? Tutto bene?» Sussurrò piano, un suono quasi impercettibile. Scott però la sentì eccome, lo vide sussultare leggermente ma non si voltò verso di lei.

«Cosa ci fai qui? Dovresti dormire.» Rispose altrettanto piano e stranamente calmo lui, una parte di lei si era aspettata la solita risposta tagliente ed infastidita quindi fu sorpresa di sentirlo così calmo.

«Non riuscivo a dormire, troppi pensieri, e a quanto pare deve essere lo stesso per te.» Dawn gli si avvicinò piano e gli si sedette accanto, una mossa azzardata, lo sapeva bene. Ma il ragazzo ancora una volta la stupì e non diede alcun segno di fastidio nell'essere stato privato della sua solitudine.

«Già.» Fu la semplice risposta che ricevette da lui, ancora con il volto sollevato verso il cielo. D'istinto, sollevò anche lei il viso e rimase stupita dalla quantità enorme di stelle visibili nel cielo.
A Toronto non si potevano ammirare così tante stelle, e per lei quella fu una vista a dir poco magica che le fece sfuggire un verso di stupore.

«Non hai mai visto così tante stelle, vero?» Le chiese il rosso con un impercettibile riso nella voce.

«No, questa è la prima volta.» Ammise, voltando il capo verso di lui. Lo trovò a fissarla intensamente, quello sguardo le fece dimenticare le stelle e la meraviglia nel vederle, ormai era lui l'unica cosa che riusciva a vedere. I suoi occhi vennero poi catturati dalle labbra del ragazzo, erano rosse e non troppo carnose ma nei suoi ricordi calde, soffici e gentili. Avrebbe tanto voluto risentirle sulle sue, ma nemmeno quello sarebbe accaduto e lei era troppo codarda per fare il primo passo, la fermava soprattutto la paura di essere respinta. Tornò a puntare le iridi grigie in quelle azzurre del ragazzo per evitare di pensare ancora a contatti fisici che non avrebbe avuto né quella sera né le prossime, e fu una mossa totalmente sbagliata perché lesse negli occhi di Scott il suo stesso desiderio. Era strano, lei non aveva mai provato nulla del genere, eppure si sarebbe avventata volentieri su quelle labbra e pregato di farle provare le stesse cose della loro unica notte insieme.

Diede la colpa agli ormoni della gravidanza e tentò di non pensarci troppo su. Scott distolse lo sguardo da lei e lo riportò nuovamente verso il cielo, con sua grande delusione.

«Credo che siano state le uniche cose di questo posto che mi siano mancate, le stelle intendo.» Riprese all'improvviso il rosso, forse per distrarre entrambi da pensieri e sensazioni che ancora non erano in grado di affrontare. «Quando ero a Toronto le uniche cose che rimpiangevo di casa mia erano le stelle, ma le avrei rimpiante volentieri per sempre.» Commentò con amara ironia, facendole stringere il cuore in una morsa dolorosa. Quanto avrebbe voluto cancellare il suo dolore con un solo gesto della mano o con un bacio, come si fa con i bambini quando si fanno male. Ma con Scott un solo bacio non sarebbe bastato a consolarlo di tutte le ferite, e nonostante lei fosse disposta a dargliene quanti ne servissero per farlo stare meglio, sapeva che lui non li avrebbe mai chiesti né accettati.

Si avvicinò ancora di più a lui e lentamente coprì la sua mano con la propria. La pelle del ragazzo era fredda e lui non si ritrasse anzi, si voltò nuovamente verso di lei. E finalmente lo rivide, quello sguardo vivo e ardente di desiderio che per due lunghi mesi aveva sognato e pregato di riavere su di sé.

Scott avvicinò lentamente il viso a quello di Dawn e lei fremette d'impazienza sapendo che stava per baciarla, che finalmente avrebbe risentito il sapore delle sue labbra ed il loro calore. Erano ormai vicinissimi, poteva avvertire il respiro di lui sulla propria bocca e socchiuse gli occhi aspettando di perdersi nelle sensazioni che solo Scott le faceva provare. In un secondo però, il caldo respiro di lui lasciò spazio alla fredda brezza della notte e Dawn ritornò bruscamente alla realtà.

Scott si era alzato e si stava dirigendo verso casa. «Farai meglio ad entrare in casa se non vuoi prenderti un malanno.» Le disse prima di scomparire dietro la porta.

Per la prima volta Dawn capì cosa significasse sentirsi frustrati e leggermente in collera con un uomo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Aveva quasi baciato Dawn la sera prima. Le aveva quasi permesso di fargli perdere nuovamente la ragione. Lei lo aveva colto in un momento di particolare fragilità e non si sarebbe mai perdonato per questo, tutti quegli anni non erano bastati a fargli imparare la lezione a quanto sembrava. In realtà era Dawn molto brava a confonderlo, quando aveva percepito la sua mano calda e morbida sulla propria non aveva capito più nulla. Un secondo prima stava ammirando le stelle e maledicendo il suo passato mentre quello dopo si trovava ad un centimetro dalle labbra della ragazza; il suo profumo era più stordente di qualsiasi droga e più ammaliante di quello di una dea. Tutto sarebbe stato più facile da gestire se lei non lo avesse fissato come se volesse divorarlo, una parte di lui si era sentito così fiero per aver scatenato quella reazione in lei mentre l'altra lo malediva perché sapeva avrebbe ceduto. Infatti lo aveva quasi fatto, per fortuna quelle scale marce lo avevano riportato alla realtà, facendogli conficcare una scheggia di legno nel palmo. Il leggero pizzicore l'aveva risvegliato e in un secondo la realtà di ciò che stava per fare si era abbattuta su di lui come un blocco enorme di cemento. Si era allontanato in fretta da lei per dirigersi in casa, borbottando qualcosa che nemmeno ricordava più. Era stata una scelta giusta, lo sapeva, ma doveva ammettere con rammarico che baciare nuovamente Dawn era uno dei suoi desideri inconfessabili. Scese giù in cucina, venendo investito da un invitante profumino, proprio com'era successo la sera precedente, a quanto sembrava la bionda aveva preso possesso della sua cucina – non che la cosa gli dispiacesse. Appena entrò nella stanza vide sul piccolo tavolo due piatti di french toast e una caraffa di spremuta d'arancia venuta fuori chissà da dove, l'unica cosa che mancava in quel quadretto casalingo era proprio Dawn. Chissà dov'era finita quella matta. Diede uno sguardo al campo fuori dalla finestra, constatando con sollievo che la ragazza non si trovava tra il terreno e le erbacce a tentare di ridare vita a quella flora martoriata.

Si sedette a tavola, deciso a fare colazione in fretta per andare in giro a chiedere lavoro nelle fattorie della zona prima che potesse cambiare idea. Il solo pensiero di dover chiedere aiuto a quelle persone non lo entusiasmava per nulla anzi, avrebbe preferito tagliarsi un braccio e venderlo al mercato nero piuttosto. Però sapeva anche di non poter mantenere né lui né Dawn e nemmeno il bambino coi pochi risparmi che aveva messo da parte, ed anche quelli un giorno sarebbero finiti. Infilzò il french toast con la forchetta e diede il primo morso, ebbe la conferma che la biondina ci sapesse proprio fare in cucina. Si accinse a dare il secondo morso, ma uno strano verso lo fece bloccare stranito, rimase in attesa che quel rumore si ripetesse evitando anche di respirare. Dopo qualche secondo il suono si ripresentò e capì che erano conati di vomito. Preoccupato, si alzò e si diresse verso il piccolo bagno del piano inferiore, da dove sembravano provenire, e la scena che si ritrovò davanti gli fece stringere il cuore: Dawn era china verso il water, il viso terreo ed esangue, e sembrava stare molto male. Capì subito di cosa si trattasse e ringraziò Dio di non essere una donna.

La ragazza sospirò stanca e si portò una mano alla fronte, i conati sembravano cessati o almemo così sperava lui. Le si avvicinò piano, lei sembrava non essersi accorta di lui e questo era veramente strano, doveva stare davvero male per non percepire le sue "auree".

«Dawn?» La chiamò piano, facendola voltare di scatto.

«Scott, non ho percepito la tua presenza.» Sussurrò debolmente, barcollando verso il lavandino. Quasi istintivamente si avvicinò per sorreggerla e lei lo ringraziò con un cenno del capo.

«Ti senti meglio?» Chiese, sentendosi un'idiota il secondo dopo. Ovvio che non si sentisse bene, aveva il volto più pallido della neve e sembrava sul punto di svenire.

La ragazza annuì e si sciacquò la bocca. «Sì, sto bene. Ormai sono abituata a questo risveglio, o quasi.» Ridacchiò tesa. Alzò il viso verso di lui e sorrise, Scott notò con sollievo che le guance stavano lentamente riprendendo colore. «Hai già fatto colazione?» Domandò lei, per stemperare l'aura di preoccupazione che era calata in quel bagno.

«No, avevo iniziato ma poi ti ho sentita vomitare e...», si bloccò, non gli andava di ammettere di essersi preoccupato perché la cosa lo irritava un po'. «Be', sarà meglio andare a mangiare allora, meglio non sprecare ciò che hai cucinato.» Si voltò e lasciò il bagno, ritornando in cucina, lei lo raggiunse subito dopo e si sedette accanto a lui. Fece finta di nulla e riprese a mangiare, lei invece iniziò a giocare col suo toast, infilzandolo con la forchetta.

«Non hai fame?» La domanda uscì con un tono più irritato di quello che avrebbe voluto, ma una cosa che odiava era vedere gli altri giocare col cibo. Sapeva bene che Dawn non era il tipo e che si era appena sentita male, quindi disgustasse qualunque pietanza esistente, ma non era comunque riuscito a fermare l'irritazione.

La bionda alzò gli occhi grigi verso di lui e agitò il capo in segno negativo. «No, ho ancora lo stomaco in guerra.» Spinse il piatto verso di lui, sorprendendolo. «Mangialo tu, non mi va di sprecare cibo, l'ho infilzato un po' ma è ancora buono.»

Scott, stranamente, provò una tenerezza inaspettata per quel gesto e coprì la mano della ragazza con la sua. La pelle di lei era fredda, come sempre, e morbida. «Dovresti mangiare qualcosa.» Le fece notare, dentro di lei stava crescendo una vita – suo figlio – e doveva prendersi cura di se stessa con più attenzione.

«Mangerò qualcosa appena il mio stomaco me lo permetterà, tranquillo.» Gli occhi di lei brillavano e Scott poté sentire la sua pelle diventare bollente ed il battito accelerato. Le pupille erano dilatate, le guance arrossate e non era mai stata più graziosa di allora, lo stupì e lo emozionò vederla in quel modo. Quando l'aveva conosciuta al liceo tante sfumature non era riuscito a coglierle, gli era sempre apparsa gentile ma pacata e a tratti algida; invece ora scopriva lati di lei che credeva aver intravisto solo due mesi prima a causa della passione che li aveva colti all'improvviso.
Il suo orgoglio maschile salì alle stelle, scoprire di riuscire a scatenare certe reazioni in una ragazza come Dawn era sicuramente un balsamo per il suo essere uomo, ma non solo, sapeva di essere il solo in grado di farlo. La ragazza non aveva mai dimostrato attenzioni verso altri ragazzi, era il solo a cui avesse rivolto la parola e lei era la sola a cui lui aveva rivolto parola. In certe occasioni gli era sembrato che entrambi vivessero in un mondo tutto loro, gli altri non erano in grado di capire i loro silenzi; erano strani agli occhi degli altri ma perfetti ai loro. Si erano attratti come due calamite e lui sapeva che questo era doppiamente pericoloso, era difficile staccare due magneti che si attraevano e lui doveva respingere la forza magnetica di Dawn prima che ne venisse assorbito.

Il rumore dello stridio della sedia contro il vecchio pavimento il legno lo portò nuovamente alla realtà, Dawn aveva ritirato la mano dalla sua e si era alzata. Sembrava in qualche modo aver percepito i suoi pensieri, infatti il suo sguardo evitava di posarsi su di lui. Raccolse il piatto che aveva ripulito e si avviò al lavabo della cucina. Il rosso scosse il capo, cercando di allontanare i pensieri e le sensazioni che quella pazza testa bionda scatenava in lui. Avvicinò il piatto che lei aveva rifiutato e mangiò anche l'ultimo french toast prima di alzarsi ed avviarsi verso la porta d'ingresso, era giunto il momento di umiliarsi pubblicamente...

«Io esco, ho delle cose da fare. Tu cerca di stare ferma senza fare nulla, vorrei evitare di correre all'ospedale perché non riesci a startene con le mani in mano.» Si raccomandò a voce alta, per farsi sentire da lei, dopo di che uscì di casa e montò sul suo pick-up in direzione del paese. Una parte di lui pregò che quel catorcio decidesse proprio quel momento per abbandonarlo e fermarsi, ma con la fortuna che aveva era sicuro che ciò non sarebbe accaduto.

* * *

Ripose il piatto sul lavello e trattenne un singhiozzo. Dawn si avvicinò al tavolo della cucina e si lasciò cadere su una delle sedie poste accanto. Quella mattina, nonostante la solita debilitante nausea, era iniziata in modo perfetto: Scott si era dimostrato preoccupato e quasi in pena per lei, e quando aveva coperto la mano con la sua il suo cuore era andato al galoppo sfrenato come un cavallo selvaggio. La sua premura, emersa fuori senza che nemmeno lui se ne accorgesse, le aveva scaldato il cuore facendole sperare in un futuro per loro due.
Premura e preoccupazione non sono sinonimo d'amore però, e lo aveva capito quando l'aura del rosso si era tinta di paura e negazione. Sapeva che lui teneva a lei, almeno un po', ma vederlo negare ancora la faceva stare male; la sua presenza scatenava in qualche modo paure e ricordi passati nel ragazzo e questo lo allontanava sempre di più da lei. Non voleva ricordargli eventi drammatici bensì crearne di nuovi, ricordi felici e amorevoli che li avrebbero accompagnati nel corso della loro vita ma lui non glielo permetteva. Cosa doveva fare affinché il rosso aprisse un po' il suo cuore anche a lei? La preoccupazione mostrata quella mattina era dovuta sicuramente al bambino e non a lei e questo era un doppio colpo. All'inizio le sembrava di usare quel bambino per avvicinarsi a lui, adesso invece le sembrava di essere solo una macchina da concepimento. Doveva essere felice di vedere Scott così attento verso il bambino e lo era, ma avrebbe tanto voluto avere almeno una minima considerazione o un gesto d'affetto da parte sua. Era sciocco aspettarsi una cosa del genere, era lei quella innamorata e non lui.

Di certo non l'avrebbe fatto innamorare piangendosi addosso, questo era poco ma sicuro. Sbuffando frustata come non aveva mai fatto prima, si alzò dalla sedie e prese una scopa dallo sgabuzzino; le pulizie erano il modo migliore per tenere la mente lontana da pensieri e tristezze, e quella casa aveva tanto bisogno di essere curata...

* * *

Devi scendere, Scott, altrimenti come pensi di cercare lavoro rimanendo come un fesso nel pick-up?, gli fece notare lo voce di Caroline nella sua testa. Sentirla nei propri pensieri gli fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena, ma quelle parole erano proprio le stesse che gli avrebbe ringhiato la donna se fosse stata lì.

Il suo pick-up era fermo dinanzi alla fattoria di Bob Fletcher, un suo vecchio compagno di classe; uno dei pochi che non aveva mai rivolto una sola parola cattiva verso di lui. Sapeva che il ragazzo aveva da poco aperto un'impresa agricola e sperava che almeno lui potesse aiutarlo, non se la sentiva di chiedere a quei bastardi del paese ed aveva preferito qualcuno più "amico". Non aveva mai avuto chissà quale rapporto con Bob, ma ricordava perfettamente tutte le volte che gli aveva consigliato di fregarsene delle male lingue che giravano in città e di vivere la propria vita serenamente. E all'inizio aveva proprio seguito il suo consiglio, poi tutto era precipitato quel fatidico giorno e nulla era stato più sereno per lui – non che lo fosse mai stato veramente. Scese dall'abitacolo reprimendo un grido di frustrazione, fare qualcosa contro la propria volontà era un vero dolore per lui ma aveva dei doveri che doveva rispettare visto l'impegno che si era preso e non poteva sottrarsi proprio in quel momento.
Si avvicinò alla casa padronale del ragazzo e salì in fretta i gradini del portico, ritrovandosi davanti l'elegante porta bianca abbellita con delle rose appese sopra. Suonò il campanello sperando di non trovare nessuno in casa, in quel modo non sarebbe stata colpa sua visto che comunque ci aveva provato. Avrebbe trovato un altro modo per prendersi cura di suo figlio e di Dawn. Passarono alcuni minuti e dalla casa non provenì nessun suono, ignorando il grido di felicità esploso nella sua testa, si voltò e si allontanò dalla casa, ma proprio in quel momento la porta venne aperta.

«Scott?» La familiare voce di Bob lo fece congelare all'istante sull'erba ancora bagnata dalla rugiada del mattino. «Che ci fai qui?» Chiese nuovamente il ragazzo, evidentemente sorpreso.

Il rosso si voltò verso di lui, nascondendo ogni emozione dietro la solita maschera di menefreghismo. «Hai un minuto? Dovrei chiederti qualcosa.» C'era voluta tutta la sua forza di volontà per pronunciare quella frase, ma ricordare il motivo per cui lo stava facendo lo fece sentire meno di merda.

Bob annuì e gli fece cenno di entrare in casa. «Ho sempre tempo per un vecchio compagno.» Esclamò sorridente.

Non era cambiato, constatò Scott, era rimasto il solito ragazzo allegro ed incurante dei pregiudizi altrui. Solo i capelli avevano subito un cambiamento drastico, il ragazzo li aveva sempre portati corti mentre ora lunghe ciocche bionde gli sfioravano il mento. Seguì Bob in casa ed evitò di guardarsi in giro per non deprimersi ulteriormente delle condizioni in cui versava la sua.

«Posso offrirti qualcosa?» Gli chiese, una volta fatto accomodare su una poltrona che sembrava alquanto costosa.

«No, per la verità sono venuto solo per chiederti una cosa, non tratterrò molto.» Spiegò sbrigativo, voleva mettere in fretta fine a tutto quello. Chiedere aiuto per lui era come tagliarsi un arto, era cresciuto imparando ad arrangiarsi da solo e fino a quel momento tutto era andato bene – o quasi –, ora non era più solo ed arrangiarsi non bastava a crescere e mantenere un figlio con annessa madre.

«Certo, chiedimi tutto quello che vuoi, ho saputo che stai per diventare padre quindi sono a tua disposizione.»

Le notizie in quel paese viaggiavano più veloce della luce, se solo i suoi compaesani avessero usato quel talento parlante per altro...

«Sì, appunto per questo vorrei chiederti aiuto.» Si fermò, odiava quella parola: aiuto, quello che nessuno aveva mai voluto dagli. Riprese fiato e continuò. «Ho saputo che hai aperto un'azienda e mi chiedevo se ti servisse delle braccia in più, ho ancora qualche risparmio da parte ma non bastano per prendersi cura di un bambino e presto finiranno, quindi mi chiedevo se ci fosse un posto libero per me.»

Negli occhi di Bob si riflesse prima la stima, poi la curiosità ed infine il senso di colpa e Scott capì. «In realtà...» iniziò il biondo. «Un aiuto mi serve, ma come hai detto tu ho appena iniziato l'attività e non sarei in grado di pagarti almeno per i prossimi tre mesi, e con un bambino in arrivo di sicuro non è l'impiego che cercavi.» Il senso di colpa nella voce del ragazzo lo fece sentire leggermente meglio, anche se era arrivato da lui senza concludere un bel niente. Bob aveva ragione, spaccarsi la schiena senza vedere l'ombra di un centesimo per tre mesi o più non era l'incarico che stava cercando.

«Sì, spaccarmi la schiena gratis non è l'impiego che cerco al momento.» Rispose sarcastico, facendo ridere anche l'altro.

«Allora spero avrai più fortuna altrove.» Gli augurò il ragazzo.

Scott trattenne una smorfia sarcastica. Fortuna altrove? Come no, quei bastardi in paese avrebbero colto la palla al balzo per umiliarlo e alla fine non avrebbe comunque trovato nessun lavoro. Nonostante avesse lavorato per molti di loro da bambino ed avesse dimostrato di essere onesto non rubando merci o contanti dalla cassa, come molti si erano aspettati, questo non aveva minimamente influenzato il loro giudizio su di lui. Al contrario, invece, ogni piccola azione sbagliata ai loro occhi andava a confermare l'idea che in quanto Douglas fosse un bastardo e basta.

Con un sospiro, si alzò dalla comoda poltrona e salutò l'amico. «Bene, allora vado. Mi dispiace averti fatto perdere tempo.» Disse avviandosi verso la porta d'ingresso seguito da Bob.

«Ma figurati, e ricorda che sei hai bisogno di qualcosa io sono qui. Mantenere una famiglia non è una cosa facile.» Il rosso annuì, e con un ultimo cenno del capo salì sul pick-up e se ne andò.

Se hai bisogno di qualcosa io sono qui, aveva detto, ma l'unica cosa che gli serviva in quel momento era un lavoro o dei soldi e lui non era in grado di dargli nessuna delle due cose. Be', ci aveva provato e per il momento non se la sentiva di andare ad elemosinare un impiego giù in paese, sarebbe tornato a casa invece e non avrebbe detto niente a Dawn.

* * *

Si lasciò cadere sul pavimento con un sospiro stanco, aveva pulito tutta la casa ed ora non rimaneva che un sola stanza. Non l'aveva mai notata prima, anche perché la porta era sempre chiusa e di sicuro c'era un motivo. Incuriosita, si alzò dal pavimento ed aprì la porta trascinandosi dietro la scopa. Quando entrò nella stanza rimase senza fiato, era la cameretta di un bambino, forse appartenuta proprio a Scott nella sua infanzia. Ne ebbe la certezza quando vide il nome del ragazzo disegnato con i gessetti sulle ante dell'armadio. Quella camera era squisita, le pareti erano di un bellissimo verde menta e decorati con vari disegni appesi di qua e di là, il letto era ancora perfettamente rifatto ma le lenzuola piene di polvere e l'aria stantia. Sembrava che nessuno entrasse lì da tempo e tutto sembrava congelato nel passato, lo zainetto di Scott era abbandonato in un angolo con l'astuccio che usciva fuori per metà. Di sicuro il ragazzo aveva rinchiuso lì tutti i suoi sogni di bambino.

Una cosa che le stringeva il cuore, ma quella cameretta sarebbe stata perfetta come nursery del bambino. Già s'immaginava seduta lì a far addormentare il suo bambino su una di quelle sedie a dondolo che le erano sempre piaciute, il colore delle pareti invece l'avrebbe lasciato invariato anche se bisognava ritinteggiarle comunque visto gli anni di abbandono. 
Il problema però era che se Scott aveva lasciato la camera così, senza più entrarci e di sicuro non sarebbe stato contento di trovarla lì a ficcare il naso e fare progetti. Meglio lasciare tutto com'era e provare a parlarne con lui, in fondo quella era casa sua e lei non aveva voce in capitolo.

«Cosa fai qua?»

La voce di Scott la fece sobbalzare dallo spavento e si voltò di scatto, incontrando i suoi occhi azzurri apparentemente gelidi e privi di emozione, ma bastò uno sguardo alla sua aura per capire che era furioso.

«Scusa, stavo pulendo casa e...» Il ragazzo la interruppe trascinandola fuori e chiudendo la porta della camera con violenza prima di rivoltarsi verso di lei.

«Ti avevo detto ti stare ferma o sbaglio?» Bisbigliò roco a pochi centimetri dal suo viso, aveva i pugni stretti lungo i fianchi e tramava dalla rabbia. Anche così a Dawn sembrava bellissimo e l'unica cosa che riusciva a vedere erano le labbra che aveva quasi baciato la sera prima. Che Dio l'aiutasse, non aveva mai desiderato così ardentemente un bacio come in quel momento, di risentire il sapore di Scott.

Il ragazzo la spinse all'improvviso contro la parete alle sue spalle, intrappolandola con il suo corpo. «Non dovresti guardare un uomo in quel modo, Dawn.» Le sussurrò, la sua voce era cambiata e non c'era più traccia della rabbia di prima anzi, sembrava pronto a divorarla e lei gliel'avrebbe permesso senza problemi. «Quando rivolgi uno sguardo come quello ad una persona, soprattutto dell'altro sesso, potrebbe farsi idee sbagliate e decidere di chiuderti quell'invitante ed impertinente boccuccia con metodi poco galanti.»

Un fremito le percorse la spina dorsale e si morse il labbro per trattenere un sospiro, il caldo del corpo di lui l'avvolgeva inebriandola. «Forse è quello che voglio.» Rispose, meravigliandosi di se stessa e di quella frase fin troppo spinta per una come lei.

Gli occhi di Scott vennero attraversati da un guizzo pericoloso che la infiammò all'istante. Il ragazzo annullò la poca distanza che separava i loro corpi, erano così vicini che i loro nasi si sfioravano e lei riusciva quasi a contare una per una le efelidi sugli zigomi. Lui portò due dita sotto il suo mento alzandoglielo, costringendola ad incontrare i suoi occhi ed incatenandola con il suo sguardo famelico.

«Sei una piccola strega, Dawn.» Le sussurrò con voce calma e morbida, lasciandola di sasso.

Una strega?

«Sono due mesi che mi tormenti, la sera non riesco a fare a meno di pensare al sapore delle tue labbra, alla morbidezza della tua pelle e al sapore di entrambi.» Continuò, facendo impazzire il suo cuore. Anche lei era tormentata da settimane dagli stessi pensieri, avrebbe tanto voluto dirglielo ma aveva la gola secca e non riusciva ad articolare nessuna parola.

Voleva quel bacio, lo sognava da mesi ed ogni giorno era una tortura ma nulla era più doloroso dell'averlo a pochi centimetri da sé senza poterlo baciare. Stava per perdere la pazienza, avrebbe voluto avventarsi sulle sue labbra per appagare quel bisogno febbrile di lui. Diede uno sguardo alla sua aura e vi lesse desiderio, orgoglio ed un sentimento più dolce che la fece sciogliere definitivamente. Il suo Scott, diceva di non saper più amare o provare emozioni ma quello dimostrava il contrario. Portò la mano verso la sua guancia lentigginosa e l'accarezzò lentamente, lui non si allontanò né si dimostrò irritato per quel contatto al contrario, chiuse gli occhi ed inclinò il capo spingendo la guancia contro il suo palmo.

Fu sul punto di confessargli i suoi sentimenti, ma dei colpi alla porta spezzarono quell'incanto, riportando lui alla brusca realtà. Scott si allontanò bruscamente da lei, fissandola quasi spaventato ma non da lei bensì da se stesso. Lo vide correre giù per le scale e dovette trattenere un grido di disperazione, da quando era così difficile farsi baciare da un ragazzo?

Da quando quel ragazzo è Scott, le ricordò la mente. Erano solo gli ormoni, solo gli ormoni, si ripeté.

Dal piano inferiore provenì la voce di Caroline e questo l'aiutò a ritornare in sé, scese giù in salotto e trovò la donna a litigare con il rosso.

«Senti giovanotto, cerca di portare rispetto a chi è più saggio di te, capito?» Stava dicendo la donna al ragazzo, colpendogli il torace con l'indice ossuto.

«Che succede?» Chiese, portando su di sé l'attenzione della donna ma non quella di Scott, che rimase a fissare la porta d'ingresso.

«Nulla Scricciolo, stavo solo ricordando le buone maniere a questo cavernicolo.» Rispose sarcastica, scatenando l'irritazione del ragazzo che si voltò furente.

«Cosa vuoi, Caroline?» Sbottò lui, sembrava davvero fuori di sé e Dawn sapeva che non era per ciò che aveva detto la donna, non del tutto almeno.

«Palare con te.» Disse calma. «Da sola.»

La bionda capì l'antifona e decise di ritirarsi in cucina. «Bene, allora io vado a preparare il pranzo, rimani con noi Caroline?»

«No, Scricciolo ma grazie per l'invito.» Ricambiò il sorriso dell'anziana fattrice e scomparì in cucina.

«Di cosa volevi parlarmi?» Sospirò esausto Scott, massaggiandosi le tempie. Dawn era andata via, ma il suo profumo aleggiava ancora nell'aria. Di nuovo era stato sul punto di perdere il controllo, ma quando lei lo fissava con quello sguardo sognante e passionale lui perdeva ogni cognizione della realtà e l'unica cosa che riusciva a pensare era di baciarla fino a consumarle le labbra. Lei non aveva di certo aiutato sussurrandogli quella frase, lo aveva veramente lasciato di sasso e l'ultimo briciolo di autocontrollo era stato spazzato via dalle parole di lei.

«Scott? Scott, ci sei?» Caroline agitò la mano davanti ai suoi occhi e lui sbatté più volte le palpebre, riportando l'attenzione su di lei.

«Sì, ci sono.» Tossì, cercando di pensare ad altro.

«Sono qui per offrirti un lavoro.» Disse Caroline, lasciandolo di sasso due volte in dieci minuti, sta volta le labbra di Dawn non c'entravano nulla però.

«Un lavoro? E perché mai?» In realtà il motivo della sua proposta credeva di saperla, ma era solo un sospetto – anche piuttosto fondato.

«Perché uno dei miei lavoratori si è licenziato per tentare di sfondare a Broadway.» Rispose seccata, alzando gli occhi al cielo. «I giovani d'oggi, solo sogni ed illusioni. Comunque, accetti o no?»

In un altro momento le avrebbe detto di tenersi per sé la sua proposta e che non aveva bisogno di nulla, ma visto la situazione disperata in cui si trovava però, doveva ingoiare il suo orgoglio e pensare a suo figlio e a Dawn.

«Sì, accetto.»

«Bene.» Caroline sembrava compiaciuta, come se si fosse aspettata proprio quella risposta da lui e non fosse rimasta delusa. «Inizi domani alle sei del mattino.» Lo salutò con un cenno del capo e gridò un saluto anche verso la cucina, ricevendo dopo poco la risposta di Dawn.

Sentì la porta d'ingresso chiudersi e capì che Caroline se n'era andata, ora lei e Scott erano di nuovo soli in casa e questo l'agitava un po'. Sentì i passi di lui dirigersi verso la cucina e fece finta di nulla, continuando a preparare il pranzo.

Il ragazzo rimase fermo sulla soglia della stanza. «Per quanto riguarda prima, non farti illusioni, tu sei una ragazza ed io un ragazzo ed in quanto tale ho dei bisogni. Niente più di questo.» Detto ciò, uscì dalla cucina e lo sentì accendere il televisore. 
Si era trattato solo di mero desiderio, come aveva detto lui? No, lei aveva letto la sua aura e sapeva ciò che lui non voleva ammettere.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CFH - Capitolo 8 per EFP

Strinse tra le mani la tazza bollente e fumante e, con un sospiro soddisfatto, se la portò alle labbra per bere un sorso del tè che si era preparata poco prima. Fuori dalla finestra lo spettacolo dell'alba su quei campi le mozzò il fiato.
Il campo che lei aveva tentato di ripulire da sola appena arrivata in casa di Scott era ormai completamente privo di erbacce. Tutto merito di Caroline; qualche giorno prima l'aveva trovata accovacciata tra l'erba e la polvere mentre tentava di finire il lavoro iniziato tempo prima, inutile dire che aveva ricevuto una lavata di capo coi fiocchi ed anche il povero Scott ci era andato di mezzo. La donna lo aveva accusato di sfruttarla e di non prendersi abbastanza cura di lei, il rosso si era indignato a quelle parole e i due avevano finito per litigare peggio di due gatti che si contendono il territorio. Alle fine, Scott aveva rivelato che il suo trattore era rotto e che le aveva più volte ordinato di stare lontana dal campo, senza successo. Caroline aveva colto la palla al balzo ed aveva mandato Andy ad aggiustare il vecchio trattore del ragazzo, così il campo era tornato al vecchio splendore.

Non riusciva a credere che fosse già passato un mese dal suo arrivo in quel posto, trenta giorni erano volati e lei era ancora lì in casa di Scott. I due avevano ormai stabilito una routine quotidiana: lei puliva, preparava la cena, si occupava del bucato e di tutte le altre cose che una perfetta padrona di casa avrebbe fatto mentre lui andava a lavorare tutte le mattine da Caroline e tornava la sera, distrutto ed affaticato. Si impegnava molto per mandare avanti la loro strana famiglia, se così poteva chiamarla, e lei era sempre più orgogliosa di lui. Peccato che riuscisse a vederlo davvero poco ormai, riuscivano a scambiarsi quattro chiacchiere solo di mattina e di sera, prima che lui crollasse stanco sul sofà. La domenica invece, il ragazzo la passava a dormire per la maggior parte del tempo quindi nemmeno nel suo giorno libero avevano molto tempo da passare insieme e non negava di sentirsi un po' sola.

Come se si fosse materializzato dai suoi pensieri, Scott entrò in cucina sbadigliando vistosamente. «Giorno.» La salutò.

«Giorno a te.» Gli rispose sorridendo. Riempì una tazza di caffè e gliela porse, lui la prese con gli occhi che brillavano, come se gli avesse consegnato cento milioni di dollari.

«Caffè,» sussurrò estatico, aspirando il forte odore della bevanda. «Credo che l'uomo sarebbe spacciato senza di esso.» Commentò, prima di prenderne un bel sorso.

A Dawn quella nuova dipendenza da caffeina non piaceva affatto ma doveva ammettere che senza, Scott non sarebbe riuscito a reggere certi ritmi. Il ragazzo finì la sua bevanda e prese uno dei toast burrati che lei aveva messo in tavola, lo mangiò avidamente prima di puntare lo sguardo su di lei e fissarla intensamente e con sospetto.

«Ti sei svegliata di nuovo presto per la nausea?» Chiese apparentemente calmo, mandando giù un altro toast ed un sorso di caffè sta volta con l'aggiunta di latte.

Lei annuì, sorseggiando nuovamente il suo tè verde, l'unica cosa che riusciva ad ingerire la mattina. Per fortuna mancavano solo poche settimane alla fine di quella tortura, ovviamente non credeva affatto che i mesi successivi sarebbero stati più facili anzi, tra le caviglie gonfie, i mal di schiena e gli sbalzi d'umore non sapeva proprio come avrebbe sopportato il tutto. L'unica cosa di cui era certa, era che la vittima dei suoi malumori sarebbe stato senz'altro Scott.

«Dovresti andare in farmacia e vedere se hanno qualcosa per questo problema, in modo che la mattina io non debba vedere il tuo volto più pallido di quello di un cadavere.» Commentò lui, con una luce divertita negli occhi che la lasciò incantata come un'adolescente alla prima cotta – ed effettivamente lui era la sua prima cotta anzi, molto di più.

«Non ho una macchina, da queste parti gli autobus non passano e di certo non posso recarmi in paese a piedi.» Gli fece notare. L'unico mezzo di cui disponevano era il pick-up di Scott, che lui usava ogni mattina per recarsi a lavoro quindi quel veicolo ritornava disponibile solo a tarda sera.

Il ragazzo puntò nuovamente lo sguardo su di lei, i suoi occhi però non la guardavano realmente, sembrava essersi perso in qualche ragionamento. «Allora ti accompagnerò io oggi pomeriggio, Caroline mi darà sicuramente il permesso di staccare prima.» Il rosso prese un altro sorso di caffellatte e si diresse in soggiorno per prendere il suo cappotto, poi tornò da lei. «Comunque, dobbiamo risolvere questo problema di trasporto, l'idea che possa accadere qualcosa e che tu non sia in grado di lasciare la fattoria non mi piace per nulla.» Sbottò irritato, prima di salutarla e andare via. Lo stomaco della ragazza era invaso da quello che sembrava uno stormo di colibrì più che farfalle, ogni volta che lui le rivolgeva certe frasi o sguardi preoccupati lei si scioglieva come burro fuso. Doveva ricordarsi però che la preoccupazione di Scott era tutta destinata al bambino e non a lei, ma che male c'era nel godersi quei momenti e pregare che s'innamorasse di lei?

* * *

«Deve andarsene! Non può più restare in questo paese!»

Un vociare irato si levò nella piccola stanza delle riunioni cittadine di Yellowknife. Quella mattina Theresa, accompagnata dalle sue tre fidate amiche – o cagnette, come le definiva Jamie Lynn – avevano preteso una riunione d'emergenza del paese. Il soggetto della discussione era, ovviamente, “quel bastardo di Scott Douglas”.

«Sono d'accordo con Mike, quel demonio non può più restare qui, rovina la reputazione di questo posto.» Affermò risoluta Poppy, una delle cagnette di Theresa.

Lynn represse una risata amara, guardare quel branco di bifolchi macchinare la dipartita di Scott dal paese le fece salire la nausea. Come si poteva essere così ciechi? Non si rendevano conto che erano proprio loro i cattivi in tutta quella storia? Doveva avvisare Caroline, lei era la sola che poteva aiutare il ragazzo e mettere in riga quel gruppo di ignoranti.

«Signori, io non credo che mandarlo via sia la soluzione giusta.» Intervenne Wanda, la prima donna del paese, causando uno stupore generale.

«Non è la soluzione giusta? Ma ti senti?» Sbottò indignata la moglie del panettiere. La più ipocrita di tutte, secondo il modesto parere di Jamie Lynn.

«Sì, vi ricordo che c'è anche Dawn da prendere in considerazione. Aspetta un bambino dal ragazzo e cacciare lui sarebbe come cacciare anche lei e la creatura che porta in grembo; come vivrebbero poi?» Continuò la moglie del sindaco, trovando quasi per miracolo alcune persone d'accordo con lei.

«Oh, ma andiamo!» Esclamò una voce maschile che lei, che se ne stava in fondo alla stanza, non riuscì a riconoscere. «Quella ragazza sa benissimo di che pasta è fatto quel piccolo bastardo, non è rimasta incinta per miracolo.»

«È vero!» Gridarono in coro alcune persone.

«Questo non significa nulla,» intervenì sua sorella. «Lui potrebbe anche averla presa in giro e la ragazza sia solo abbagliata da un'immagine di lui che non esiste, ma comunque ora si sta prendendo cura sia di lei che del bambino e non ci dà problemi da anni; non credete che bandirlo dal paese sia una misura troppo drastica?» Per la prima volta dopo anni, Lynn provò il forte impulso di abbracciare sua sorella come quando erano piccole e lei era ancora una bambina innocente che non si faceva influenzare dai pareri altrui.

«Nulla è troppo drastico con un Douglas di mezzo, e poi chi vi dice che lei sia andata a letto con lui di sua spontanea volontà? Non vi ricordate ciò che è successo con Susan?»

Il silenzio calò nella stanza, tutti ricordavano perfettamente ciò che era accaduto a quella ragazza. Jamie Lynn non aveva mai creduto alla piccola Susie, era sempre stata una ragazza viziata e calcolatrice ed aveva messo nel sacco il povero Scott, all'epoca innamorato perso di lei. Il tutto solo per aver l'attenzione puntata su di sé, ovviamente tutte le colpe erano cadute sul ragazzo; lui era un Douglas, lei la nipote del sindaco...

«Mi fate solo tanta pena,» intervenne lei con amarezza, interrompendo il silenzio. «Voi davvero credete alle parole di Susan? Scott era innamorato perso, non avrebbe mai fatto nulla di male a quella ragazza.»

In un secondo, esplose nuovamente il putiferio.

«Innamorato perso? Ma per favore, quel ragazzo nemmeno sa cos'è l'amore!»

Sempre più nauseata, Jamie abbandonò la stanza ansiosa di allontanarsi da quella gente stupida ed ignorante, che credeva solo a ciò che era più comodo credere o a salvare le apparenze. Doveva andare da Caroline e prendere dei provvedimenti al più presto.

* * *

«Anderson, vecchia bestia! Ho detto di togliere il tuo dannato catorcio da qui, inquini il raccolto con lo scarico di quella vecchia carcassa!»

Dawn trattenne una risata nel vedere Caroline scendere velocemente i gradini di casa con la sua andatura traballante ma intimidatoria allo stesso tempo. Anderson scese dal pick-up e sbuffò spazientito, alzando gli occhi al cielo.

«Santo cielo, donna!» Rispose alquanto alterato l'uomo. «Prima di morire vorrei avere la fortuna di vederti muta per più di mezzo secondo, la tua voce è così fastidiosa da far avvizzire ogni rapa nel raggio di settanta chilometri!»

La bionda quasi si dispiacque per lui, in fondo era stata lei a chiedere un passaggio all'uomo ed era stata sempre lei a chiedergli di parcheggiare dinanzi al campo coltivato della donna. Scese dalla vettura e raggiunse Andy per evitare che quei due continuassero a battibeccare fino a tarda sera – cosa che sarebbe sicuramente accaduta lo stesso.

«Caroline, non prendertela con lui, sono stata io a dirgli di parcheggiare lì.» Come aveva già immaginato prima, Dawn si guadagnò un'occhiataccia raggelante dalla donna, che fino a quel momento non aveva notato la sua presenza.

«Scricciolo, Scott sa che sei qui?» Le chiese incrociando le braccia sotto il petto. La donna doveva conoscerla proprio bene perché dal tono con cui le aveva posto la domanda si intuiva che ne conoscesse già la risposta.

«No, non lo sa. Ho provato a chiamarlo al cellulare, ma non era raggiungibile e poi non volevo disturbarlo al lavoro.» Le sue scuse non impietosirono la donna, non che lei volesse impietosirla, in fondo quello che aveva detto era vero. Aveva provato più volte a chiamare Scott per chiedergli se poteva accompagnarla da Caroline, ma il suo cellulare risultava spento, così alla fine aveva chiamato Anderson e l'uomo si era subito dimostrato disponibile.

«Lo sai che appena saprà della tua presenza qui si arrabbierà, vero?» L'anziana fattrice le rivolse un'ultima severa occhiata prima di sospirare e arrendersi. «Ad ogni modo, ora sei qui e nelle tue condizioni non posso di certo sbatterti fuori quindi entra ed accomodati, ma attenta a non passare dal fienile; lui si trova lì e se ti vede sarò costretta ad intervenire coi miei metodi per calmarlo...»

Dawn non riuscì a trattenere una risatina immaginando i metodi della donna, il povero Scott non sarebbe tornato a casa completamente incolume. Si accomodò su una sedia della cucina, sentendo Caroline invitare in malo modo anche Andy, che come sempre le rispose per le rime.

«Allora Scricciolo, come mai sei qui?» L'anziana donna prese posto accanto a lei, seguito poi da Andy.

«Mi annoiavo a casa, non c'erano più stanze o mobili da pulire ed è troppo presto per preparare la cena. Così ho chiamato Andy per farmi accompagnare da te, volevo vedere se avevi bisogno di aiuto.» A quella spiegazione Caroline sospirò rassegnata.

«Scricciolo,» iniziò, tentando di rimanere calma. «Quante volte devo dirti che non ho bisogno di aiuto in casa?! Soprattutto non da te in questo condizioni.» Esasperata, la poverina si massaggiò le tempie.

«Su, Carol, non mi sembra il caso di essere così duri. Dawn vuole solo essere d'aiuto.» La difese Andy, come sempre.

Poteva sembrare assurdo, ma in quel momento le sembrava di assistere ad un battibecco familiare, in cui lei era la figlia, Caroline la madre troppo premurosa da sembrare paranoica e Anderson il padre che prendeva sempre le sue difese. Era veramente una cosa strabiliante sentirsi a casa tra gente che fino a poco fa non si sapeva esistessero, in un posto di cui mai avrebbe notato l'esistenza.

«So che vuole solo aiutare, ma dovrebbe pensare prima a se stessa e a suo figlio prima che agli altri.» La donna aveva ragione, Dawn lo sapeva bene, ma non riusciva a non pensare anche agli altri; soprattutto alle persone a cui voleva bene. E poi, non avrebbe mai messo in pericolo il bambino, quando iniziava a sentirsi stanca si stendeva sul divano e riposava; infatti si prendeva tutta la giornata per pulire, in questo modo teneva anche la mente impegnata visto che Scott rientrava solo di sera e lei non aveva nient'altro da fare o qualcuno con cui parlare.

All'improvviso, sentirono dei passi veloci e furiosi provenire dal cortile, salire i gradini in legno del portico ed entrare in casa. Scott apparve subito dopo in cucina, rosso in viso per la corsa e col respiro affannato.

«Andy, prendigli un bicchiere d'acqua prima che muoia.» Ordinò Caroline all'uomo, che eseguì subito. Riempì e porse a Scott il bicchiere d'acqua, il rosso lo afferrò stizzito e lo bevve in un sorso, sbattendolo poi con noncuranza sul tavolo.

«Cosa ci fai tu qui?» Sbottò il ragazzo verso la biondina, sprecando la poca aria ritrovata.

«Sono venuta a trovare Caroline.» Rispose semplicemente lei, e la risposta non piacque al rosso.

«E come saresti arrivata fin qui? Non dirmi a piedi perché potrei arrabbiarmi sul serio Dawn, poi non mi hai nemm...»

«L'ho accompagnata io.» Lo interruppe Andy, l'uomo sembrava piuttosto irritato e Dawn non l'aveva mai visto in quel modo. «Tu,» puntò Caroline. «E tu,» questa volta puntò Scott. «Dovete smetterla di starle addosso. La fate stressare molto di più con le vostre paranoie! Quando questa Vecchiaccia era incinta...» La voce dell'uomo si incrinò fino ad affievolirsi, poi rimase in silenzio e Dawn giurò di aver notato delle lacrime inumidirgli gli occhi. La sua aura si tinse di grigio, il colore del dolore, ed era così intenso che ne poté percepirne un po'. Si sentì subito male per lo strazio, ma tutto durò un attimo, perché l'uomo tossì e si riprese.

«Stavo dicendo, quando questa vecchia burbera era incinta, rimaneva tutto il giorno nei campi a lavorare o a prendersi cura dei suoi animali e quando le ordinavi di andare a riposare ti mandava al diavolo!» Anderson si ammutolì nuovamente dopo aver finito la frase, ed anche Scott rimase in silenzio; fissando l'uomo con pena e compassione, due emozioni che non aveva mai letto nei suoi occhi e questo la sorprese. Come mai quello sguardo? Era collegato all'improvviso mutismo e dolore in cui era caduto prima Andy?

la ragazza si voltò verso Caroline e notò un lampo di malinconia attraversare gli occhi della donna mentre un sorriso appena accennato le accentuavano le poche ma visibili rughe attorno alla bocca. Dawn poté vedere chiaramente l'aura della donna dipingersi di un rosa intenso – il colore dell'amore – ma allo stesso tempo un'ombra grigia, esattamente come successo prima all'uomo, si nascondeva dietro di essa. Capì che la donna provava forti sentimenti per il fidato dipendente che le sedeva accanto, ed era anche palese a tutti quindi quella non era una novità, ma quel dolore così intenso che si nascondeva dietro l'amore che la donna provava era sicuramente legata all'uomo, come quasi sicuramente quello di lui era legato alla vecchie fattrice, ma di cosa si trattasse Dawn non sapeva proprio dirlo. L'unica cosa che riusciva a percepire era il dolore, così forte ed intenso che la fece lacrimare senza nemmeno accorgersene.

«Dawn, perché piangi?» La voce ansiosa di Scott la fece uscire da quella bolla di dolore, si toccò le guance e sussultò quando le sentì umide. Anche i due anziani la fissavano preoccupati ed in quel momento sentì di essere stranamente di troppo.

«N... nulla, credo di essere veramente stanca, dopotutto.» Si alzò dalla sedia e ringraziò Caroline per l'ospitalità.

«Ti accompagno io.» Le disse Scott e lei annuì, anche perché non voleva chiedere un altro passaggio ad Andy, non ora.

«Non credo che a Caroline dispiacerà se mi prendo metà giornata libera.» Continuò beffardo il ragazzo.

«Certo. E non credo che a te dispiacerà ricevere solo metà stipendio.» Gli rispose la donna, facendo ridacchiare l'uomo accanto a sé.

Scott non rispose, si limitò ad alzare gli occhi al cielo prima di uscire dalla casa seguito da lei.

«Quei due sono proprio fatti l'uno per l'altra.» Commentò Anderson appena la porta si fu chiusa dietro ai due ragazzi.

«Anche troppo.» Fu la secca e divertita risposta di Caroline.

Aveva sempre sperato di vedere Scott amato nello stesso modo in cui lo amava Dawn, gli occhi di lei si illuminanavano ogni volta che si posavano sul ragazzo. Solo un cuore come quello della ragazza avrebbe potuto vedere dietro alle apparenze, dietro alla cortina di finzione che copriva il vero volto di quel paese intriso di bugie e falso buonismo.

Come solo Scott avrebbe potuto accettare la sincerità della ragazza ed i sentimenti che provava, nonostante credesse di essere il male peggiore di questo mondo. Nessuno in realtà era più buono di quel ragazzo, più umano, più caritatevole e responsabile. Nemmeno lui se ne rendeva conto, ma era la miglior cosa a Yellowknife, il diamante grezzo ancora nascosto sotto il carbone nero e oscuro. L'amore che lui provava per la bionda, ancora nascosto troppo profondamente in lui, l'aveva già calmato e rasserenato ma era l'unico – oltre agli abitanti del paese – a non essersene reso conto.

È arrivata, Scott, la tua occasione di essere felice; non fartela scappare, tienila stretta a te e non lasciare che le tue paure siano più forti del tuo amore. Lo hai cercato sin da bambino, quell'affetto e quell'accettazione che nessuno ti ha mai dato, e che ora è così vicino a te da non accorgertene. Non commettere l'errore di essere più cieco dell'odio e del timore, apri il cuore e fidati dell'unica persona che ha messo la sua vita e quella di un'altra, più fragile, nelle tue mani.

Non commettere il mio stesso errore. Ama. Intensamente. Senza riserva, come se fosse il tuo ultimo giorno.

Lei aveva commesso quell'errore, aveva lasciato andare quell'amore che aveva sempre cercato perché accecata dal dolore, non aveva pensato che anche lui stava soffrendo esattamente come lei...

Si voltò verso Anderson, l'uomo era immerso in chissà quali pensieri ed aveva il capo chino e le mani unite sul tavolo.

«Andy...» Posò le mani su quelle dell'uomo, che si voltò sorpreso. «Scusami. Scusami tanto. Ti ho amato immensamente, ti amo ancora, ma sono stata così codarda e debole da lasciarti andare. Soffrivamo entrambi, ma egoista ho pensato solo a me. Ti prego, perdonami amore mio.»

«Buon Dio, Caroline.» Gemette l'uomo, incapace di credere che finalmente quel momento fosse arrivato. Dopo anni di sofferenza, dopo anni passati senza poterla toccare come desiderava, senza poterla abbracciare, baciare... amare. «Io non ti ho mai odiato, ti ho aspettata fino ad ora. Ti ho sempre aspettata.» In un secondo, le labbra dell'uomo furono su quelle della donna, le sue braccia le cinsero la vita per stringerla a sé. Erano passati vent'anni dall'ultima volta che l'aveva tenuta così vicina al suo cuore, ma ne era valsa la pena di aspettare, per la sua Carol.

Non importa per quanto, l'avrebbe aspettata anche in eterno se fosse stato necessario. Lei. La sola e unica donna che avrebbe mai amato.

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