so deep in my heart

di 365feelings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** riflesso ***
Capitolo 2: *** spogliarsi davanti a qualcuno ***
Capitolo 3: *** litigi e vischio ***



Capitolo 1
*** riflesso ***


prompt: venerdì - riflesso (spring shower)
avvertimenti: tra boo e tho, spoiler tho
note: sentivate il bisogno di una raccolta jason/piper post boo? No. Io però la creo la stesso. I primi capitoli in realtà sono già stati pubblicati su efp, ma li ripubblico perché voglio illudermi di dare una parvenza di ordine alle mie storie. In particolare questa flash fic potete trovarla anche
qui. Se avete consigli, headcanon, pareri fatevi sentire.
(Ovviamente il titolo è provvisorio)





Apre gli occhi. La sveglia segna le undici e trentotto. Non è poi così tardi, ma se il coach entrasse nella sua stanza sarebbero entrambi nei guai fino al collo. Jason, infatti, non dovrebbe trovarsi lì, poco importa se non stanno facendo nulla di male: il coprifuoco è scattato trentotto minuti fa. Non lo hanno nemmeno infranto intenzionalmente, semplicemente si sono appisolati sul suo letto, ma vallo tu a spiegare al coach senza peggiorare la situazione.
Dovrebbe svegliare Jason, sì dovrebbe. Invece resta sdraiata al suo fianco senza muoversi per non disturbarlo. È confortevole averlo così vicino, sentire il suo petto solido contro di sé le dà un senso di sicurezza, poco importa che al momento non ci siano pericoli imminenti.
Il mondo, quello dei semidei per lo meno, è in pace e loro stanno vivendo come due adolescenti qualsiasi – la scuola, il coprifuoco, la patente.
Sembra quasi un sogno per quanto è bello. Niente più combattimenti, niente di più incubi, niente più divinità che minacciano morte e distruzione. Sembra quasi irreale. Invece è la sua vita, è il suo presente ed è un presente luminoso, positivo. È di nuovo a casa, a Los Angeles. Suo padre continua ad essere molto impegnato, ma ora trova sempre del tempo da passare con lei. Jason è lì e per la prima volta in vita sua è solo Jason Grace, niente titolo altisonanti e cariche onerose. Chuck sta avendo un'infanzia spensierata.
Piper sa di essere fortunata e non c'è giorno che non sia felice della sua nuova vita, non potrebbe essere il contrario.
Il pensiero di Leo, però, torna a tradimento quando meno se lo aspetta. Perché per quanto quel quadro sia bello, non è completo. Manca un pezzo, manca il suo migliore amico. Erano insieme quando la Foschia giocava con le loro menti e dovrebbero essere insieme ora che è tutto finito. Saperlo vivo è un sollievo senza precedenti e alleggerisce quello che Nico ha definito il senso di colpa di chi è sopravvissuto, ma non basta perché nessuno sa dove sia e se stia bene, se ha bisogno di aiuto.
Undici e trentanove. Piper decide di alzarsi. Lo fa stando attenta a non svegliare Jason e a non fare rumore. Una volta in piedi recupera silenziosamente Katoptris e si sposta davanti la finestra da cui filtra la luce dell'illuminazione notturna del giardino.
La daga ha smesso di mostrarle il futuro o semplicemente ciò che accade altrove da quando Gea è stata sconfitta ed è tornata ad essere un semplice ornamento. Piper non rimpiange i tempi in cui la lama si animava con immagini terribili, ma spera ogni volta che riprenda a funzionare indicandole la posizione di Leo. Speranza vana perché ancora una volta Katoptris non le restituisce altro che il suo riflesso. È così deludente e frustrante, ma continua a scrutare fino a quando un paio di mani più grandi e ruvide non copre le sue e allontanano la daga.
Sobbalza, poi riconosce Jason nella figura alle sue spalle e si rilassa.
Non le dice nulla, non la rimprovera. Le resta vicino perché è quello di cui ha bisogno, di cui entrambi hanno bisogno.
Rimangono così per un po', qualche minuto o forse ore, nel silenzio della villa il tempo si dilata. Poi il momento di sconforto passa. La nostalgia resta, ma va meglio. In fondo Leo è vivo – vivo vivo vivo. Piper ha pianto quando lo ha scoperto, ha provato l'impulso di picchiarlo ed è partita alla sua infruttuosa ricerca con Jason. Ora sono lì, difronte la finestra della sua camera, in California, e giura sullo Stige che non appena lo ritrova un bel cazzotto non glielo risparmia nessuno.
«Meglio non sfidare la sorte» dice piano il figlio di Giove e Piper a malincuore annuisce. Che il coach non sia (ancora) lì mulinando la sua mazza da baseball è strano, ma non è il caso di sentirsi troppo al sicuro.
Jason si avventura silenziosamente fuori dalla sua camera e lei si prepara per la notte notando un paio di occhiali da vista sul suo copriletto. Sorride, glieli darà domani prima di andare a scuola.

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Capitolo 2
*** spogliarsi davanti a qualcuno ***


prompt: spogliarsi davanti a qualcuno (La corsa delle 48 ore)
avvertimenti: parallelamente a tho, headcanon
note: anche questo capitolo è, in realtà, già stato pubblicato (qui). Dal prossimo le storie saranno fresche fresche.
(Ah, dimenticavo, le storie non sono in ordine cronologico)




Chuck è un satiro, ma è anche un neonato. E come tutti i neonati capita che vomiti.
Lo scoprono un pomeriggio che sono a casa da soli. Suo padre sta girando un film, Mellie in quanto sua assistente segue le riprese, il Coach sta quasi sicuramente dando consigli non richiesti al regista. Nella villa a Beverly Hills di Tristan McLean ci sono quindi solo loro due. E Chuck ovviamente.
Chuck che le ha appena vomitato addosso – di punto in bianco, senza preavviso. Piper ha cavalcato un drago e combattuto mostri sia in patria che dall'altra parte dell'oceano, è una dei Sette e si è sporcata. Di terra, sudore, sangue, ma mai prima di allora di vomito.
Jason sembra allibito quanto lei, cristallizzato in un'espressione di infinito stupore e dispiacere, ché anche lui ha avuto la sua bella dose di sangue, terra e sudore ma mai di vomito di neonato.
Il satiro emette un vagito che sembra quasi l'inizio di una parola, ma che non può essere perché il suo vocabolario è ristretto a solo tre nomi (mamma, papà, Clarisse) – e che infatti non è. Nel sentirlo entrambi si riscuoto. Piper, che sta ancora tenendo Chuck in braccio, lo allontana da sé tenendolo in alto e Jason lo prende con più sicurezza di quanto abbia mai mostrato in quei giorni di babysitting.
Una volta volta libere, le mani della ragazza corrono ad afferrare l'orlo della maglietta e a tirare il tutto verso l'alto nel disperato tentativo di togliersi il vomito di dosso. Mentre l'indumento le passa sopra la testa le sale un conato, ma tiene duro.
Realizza che si sta praticamente spogliando davanti ad un'altra persona, quando è sul punto di levarsi anche i pantaloncini che non ne sono usciti indenni e avverte il disagio proveniente da Jason.
Il figlio di Giove è ancora a pochi passi da lei con il neonato in braccio e gli occhi che si sforzano di guardare ovunque tranne il suo corpo, le guance deliziosamente colorate di rosso.
Piper non è nuda, ma ha certamente rivelato una grande porzione di pelle in presenza del suo fidanzato che non l'ha nemmeno mai vista in costume. Lo ha fatto senza pensarci, spinta unicamente dal desiderio di togliersi i vestiti sporchi, ma ora che se ne rende conto l'imbarazzo brucia in tutto il suo corpo. Non tanto per essere rimasta in reggiseno, anche se a parte le sue sorelle e forse Annabeth nessuno l'ha mai vista con qualcosa di meno di una canottiera, quanto piuttosto perché quella avrebbe dovuto essere una loro prima volta e di certo non sarebbe dovuta accadere così. Con del vomito in mezzo, Chuck che scalcia e con Jason che distoglie lo sguardo imbarazzato.
Per un lungo, lunghissimo, agghiacciante istante resta così, con le mani sull'elastico dei pantaloncini. Poi, combattendo contro l'impulso di coprirsi il petto, spezza il silenzio.
«Io vado...» inizia incerta «Meglio che vada a ripulirmi».
«Sì, certo».
«Te la senti di restare solo con Chuck qualche minuto?»
«Sicuro».
Piper non indugia ulteriormente e si eclissa in bagno.

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Capitolo 3
*** litigi e vischio ***


prompt: Piper/Jason: #1-le sue compagne di stanza avevano messo il vischio ovunque, nella speranza che facesse pace con Jason. La situazione iniziava ad essere imbarazzante. (12 Days of Christmas)
note: continuo a non sapere bene cosa ho scritto



Il tradimento giunge sempre da chi meno te lo aspetti e in questo caso da Lacey. Piccola, insospettabile, bugiarda Lacey. 
Avrebbe dovuto capire che non c'era nessuna riunione straordinaria dei capo cabina («Come, te ne sei dimenticata?! Per tutte le colombe di Afrodite, sbrigati! Pensa se hanno già iniziato, che figura!») ma solo una trappola tesa dalle sue stesse sorelle. In fondo è lei il capo cabina della cabina 10, è lei che sa quando si tengono gli incontri e non le è mai capitato di scordarsene uno. Eppure ci è cascata.
E anche Jason, dall'altro lato del tavolo, non è stato più sveglio di lei. Ha! Il grande Jason Grace raggirato da dei greci. Si complimenterebbe con chiunque gli ha fatto credere ci fosse una riunione, se non si trovasse anche lei bloccata lì.
Chiusa a chiave in una stanza con il figlio di Giove per chissà quanto tempo. Il sogno proibito di molte e molti, senza dubbio. Fino a qualche giorno prima avrebbe fatto i salti di gioia per un po' di intimità con il suo fidanzato – vivere nella stessa casa non è così divertente se la casa è di tuo padre e ci vive anche il Coach. Ora però non vede l'ora che torni Chirone.
Perché quel centauro non c'è mai nei momenti opportuni? E perché la stanza delle riunioni è stata riempita di vischio? Dei, com'è imbarazzante.
Una piccola, piccolissima parte di sé è toccata all'idea che Lacey e le altre siano preoccupate per lei, per la sua relazione e la sua felicità tanto da arrivare a quello. All'87% però è seccata, veramente molto seccata e al 10% è irritata dal mutismo di Jason. (C'è anche un 2% che in origine era un 200% di sensi colpi e tristezza ma che ha soffocato a suon di gelati e che conta di sopprimere del tutto.)
Davvero il figlio di Giove non ha nulla da dire? Ma forse, considera, è meglio che rimanga in silenzio se non ha intenzione di scusarsi. Perché di sicuro non sarà lei a chiedere scusa per prima. È Jason ad aver iniziato, è Jason ad averli portati lì e sarà Jason a farli uscire. È così facile per lui parlare di doveri e responsabilità, di ciò che un buon romano (ok, non ha mai usato il termine "buon romano", ma è piuttosto sicura che almeno una volta lo abbia pensato) farebbe. Quando però si tratta di mettere in pratica la lezione dov'è?
Lo guarda di sottecchi: braccia incrociate al petto ed espressione insondabile. Le verrebbe da urlare. Da mettergli le mani tra i capelli e spettinarglieli. Da stroppicciarigli la maglietta. (Da baciarlo fino a quando i polmoni non scoppiano.)
Jason intercetta il suo sguardo e il primo istinto di Piper è voltare il capo, interrompere il contatto visivo. Invece resta ferma e sostiene il blu elettrico del semidio. O ci prova. Non è facile.
Inevitabilmente ripensa al litigio. Non ricorda nemmeno più com'è iniziato, qualcosa di stupido legato al fatto che Jason si fosse portato i libro da studiare al Campo nonostante fosse Natale forse, ma ricorda fin troppo bene le parole che sono volate dopo.
Cose che nessuno dei due voleva dire, ma che hanno detto.
Stringe i pugni. Non piangere, si intima, Non qui, non ora.
Si chiede con stizza come il ragazzo riesca a mantenere così il controllo di sé, essere così impassibile mentre lei è sull'orlo del baratro. (Ma Piper sa che Jason ha tutto tranne che il controllo, che in realtà sta andando in pezzi, lo sa bene e questa consapevolezza la uccide.)
Torna di nuovo a litigio ed è così facile, non ha fatto che riviverlo nelle ultime notti insonni. Torna a Jason che si scusa. Per essere così noioso, per essere una tale delusione – ma lei non lo pensa, non lo ha mai pensato. Per non essere il Jason della Foschia – ma lei non vuole quel Jason. Torna a tutte le volte che avrebbe potuto fermare e risolvere quel litigio e non lo ha fatto, barricandosi dietro ai suoi sentimenti feriti.
È colpevole. È colpevole almeno quanto lui se non di più. È colpevole di non avergli preso il volto tra le mani, di non averlo guardato negli occhi e non avergli detto cosa pensa. Che è una persona meravigliosa. Che è così orgogliosa di lui. Che vuole lui e non un ricordo fasullo. Che ama lui. E che si scusa se ha fatto qualcosa che lo ha spinto a pensare tutte quelle cose di se stesso.
Alla fine cede, alla fine distoglie lo sguardo. Gli occhi pizzicano sempre di più e le unghie hanno lasciato un solco sulla pelle.
Dall'altro lato del tavolo Jason sussulta appena e sussurra il suo nome.
«Piper» ripete a voce più alta ed è una supplica la sua, una preghiera, un richiesta fatta in ginocchio.
Piper torna a cercare il suo sguardo. L'espressione seccata e offesa che aveva quando ha sentito la chiave girare nella serratura si è sciolta già da un po'. Non è mai stata brava a tenere le cose dentro, le emozioni sono fatte per essere vissute e mostrate: il suo volto è lo specchio di ciò prova e ciò che prova non è rabbia nei confronti del ragazzo.
Gli occhi di Jason sono un cielo in tempesta, la prima crepa di una perfezione e di un controllo solo apparenti. Dietro c'è il caos, c'è un mondo di insicurezze – «Mi vogliono nella squadra. Ma aspetta. Aspetta! Non so giocare, non sono quello che credono e se dovessi deluderli?», «Non credo sia una buona idea andare a Nuova Roma. Non adesso almeno. Me – me ne sono andato. Non credo mi vogliano rivedere», «E se dovessi finire come mia madre? Se fosse, non lo so, una questione genetica?»
Il tavolo all'improvviso è di troppo e sono entrambi a pensarlo. Mentre Jason si alza per aggirarlo, Piper scatta in avanti e a metà strada si trovano. Una mano del ragazzo è sulla sua guancia, l'altra è sul suo fianco e la tiene ben stretta – dei, quanto le è mancato quel contatto.
«Scusa scusa scus–» mormora lui, fronte contro fronte, ma Piper lo interrompe posandogli leggera le mani sulle labbra sottili.
«Non» inizia, cercando di controllare senza successo il tono della voce, che esce tremula e spezzata «Non dirlo. N – Non ti azzardare mai più a chiedere scusa. E – E a dire le cose che hai detto. Mai più. Mai» continua e ormai sta piangendo «Non ti azzardare, hai capito?» ripete e Jason annuisce «Bene. Ti amo».
Poi tira su con il naso in modo molto poco femminile e con il palmo di una mano si asciuga gli occhi, quindi bacia il suo fidanzato, avvertendolo sciogliersi contro di sé e sulla sua bocca.
Gli occhiali sono d'intralcio e finiscono da qualche altra parte, probabilmente a terra, mentre le mani della semidea corrono tra i capelli del ragazzo e poi si aggrappano alle sue spalle.
Jason la bacia allo stesso tempo con disperazione e sollievo e a Piper serve una pausa per riprendere fiato, ma non vuole interrompere quel momento, non vuole allontanarsi.
Alla fine devono comunque separarsi perché la porta si apre e Mitchell si precipita all'interno.
«Presto, dovete andare! Chirone sta tornando!» li avverte con urgenza. Poi alza entrambi i pollici e aggiunge: «Sono felice che abbiate risolto».
La figlia di Afrodite sorride, il figlio di Giove è visibilmente a disagio.
Dal corridoio proviene la voce (più che altro un ordine) di Nico: «Muovetevi».
Jason e Piper non se lo fanno ripetere un'altra volta.

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