Lost Time

di Cry_Amleto_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [Nightmare] ***
Capitolo 2: *** [Two Halves] ***
Capitolo 3: *** [Masks] ***
Capitolo 4: *** [Escape] ***
Capitolo 5: *** [The beginning of the end] ***
Capitolo 6: *** [Fears] ***
Capitolo 7: *** [Why... you've done... more ...] ***
Capitolo 8: *** [Gift] ***
Capitolo 9: *** [To save my world] ***
Capitolo 10: *** [Chains] ***
Capitolo 11: *** [From the gap] ***
Capitolo 12: *** [The end of everything the beginning of something] ***
Capitolo 13: *** - Il seguito - ***



Capitolo 1
*** [Nightmare] ***


{Prima parte - Say Something}

[Nightmare]

Say something, I'm giving up on you
I'll be the one, if you want me to...
(Dì qualcosa, sto rinunciando a te
Sarò la persona giusta, se mi vuoi...)

Era irritante, irritante allo stato puro.
Tony Stark.
Un nome, una leggenda, si poteva ben dire.
Con quel suo tono di voce, che sembrava voler sempre deridere il suo interlocutore...
Con i suoi sguardi, e quel DANNATO sorrisetto che non si schiodava dalle sue labbra...
Non lo sopportava.
Non lo sopportava.
NON LO SOPPORTAVA!!!
Non lo sopportava, eppure, quella notte, si stava contorcendo nel proprio letto.
I capelli appiccicati alla fronte madida di sudore; i vestiti che aderivano al corpo; le lenzuola e la coperta con cui dormiva, attorcigliati attorno a lui come a tenerlo legato, in trappola.

 

Stava sognando. Stava sognando uno scenario apocalittico, la Fine di ogni cosa.
Un esercito di umanoidi che marciava, seminando morte e distruzione intorno a lui, senza però sfiorarlo con un dito.
Stupito da come quei mostri lo evitavano, aprendosi in due per farlo passare come se fosse all'interno di una circolare barriera protettiva, cercò con lo sguardo i suoi compagni.
E i suoi occhi si posarono su di una figura, piegata su di un lato, calpestata dalla marcia incessante di quel esercito alieno.
Non dovette avvicinarsi per riconoscerlo.
Tony Stark.
L'armatura di Iron Man era aperta in due, la maschera-casco, poco distante da lui, ridotta ad un ammasso di metallo fuso.
Con nel petto un dolore straziante, si fiondò verso di lui, privo di ostacoli.
Lo prese tra le braccia, il corpo martoriato, abbandonato,  non ancora raffreddato e irrigidito dalla morte.
Tony era morto, e lui non solo non era riuscito a proteggerlo, ma... era illeso. La sua divisa era come nuova, il suo corpo immacolato non riportava neanche un graffio. E l'altro era morto, in una guerra che, da solo, senza che il Capitano fosse stato lì al suo fianco, non poteva vincere.
E Steve rimase accasciato a terra, le forze che avevano abbandonato completamente il suo corpo.
E le lacrime iniziarono a rigargli il volto, mentre cullava il corpo straziato dell'altro. Gli chiese perdono, anche se ogni singola cellula del suo corpo si odiava intensamente e gli urlava che no, non lo avrebbe mai meritato il perdono per... quello.
E gli chiese di restare al suo fianco, come sempre. Gli chiese di alzarsi di lì, magari prendendolo in giro perché si era messo a piangere come un femminuccia. A quel punto Steve lo avrebbe fulminato con lo sguardo, e l'altro avrebbe riso, rimettendosi in piedi borbottando per l'armatura semi-distrutta, e iniziando a lottare, schiena contro schiena, fidandosi l'uno dell'altro come ogni Vendicatore aveva imparato a fidarsi dei propri compagni di squadra.
Ma Tony rimase lì, immobile, sordo alle sue grida, cieco alle sue lacrime.

Si svegliò di soprassalto, ansimando. Si portò una mano al petto, mentre cercava di mettere a fuoco, oltre le lacrime che gli velavano gli occhi, la stanza in cui si ritrovava. La riconobbe dopo lunghi istanti come la propria.
"E' tutto un sogno, solo un brutto sogno"  si ripeté più e più volte, fin quando il respiro non gli tornò più o meno regolare .
Ma... Perché aveva sognato Stark? Uno Stark morto durante un combattimento, per giunta! I suoi rapporti con l'inventore erano sempre stati pessimi (si poteva tranquillamente dire che i due si odiassero a morte), anche se sul campo di combattimento, più e più volte si erano fidati l'uno dell'altro, uscendone vincitori. Ma per il resto del tempo... Non facevano altro che azzuffarsi, litigare, anche dato il via a qualche rissa (nelle rare volte in cui Steve perdeva tutta la sua pazienza, ormai dichiarata santa dai più).
Scosse il capo per scacciare via quei pensieri. Scese velocemente dal letto e si incamminò altrettanto rapidamente verso il laboratorio di Stark.
Doveva parlargli.
Non sapeva di cosa o per quale motivo, ma doveva assolutamente vederlo e... forse, assicurarsi che il suo incubo non fosse che tale.

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Capitolo 2
*** [Two Halves] ***


[Two Halves]

...Anywhere, I would've followed you
Say something, I'm giving up on you...
(...Ovunque,ti avrei seguito
Dì qualcosa, sto rinunciando a te...)

La stanza era immersa nel buio. L'unica fioca luce, giungeva dalla televisione accesa che rimandava immagini che lui non coglieva, il volume talmente basso da essere nient'altro un indistinto mormorio di sottofondo. Il braccio lasciato penzolare oltre il divano, lui steso su quest'ultimo completamente abbandonato, si portò con l'altra mano una bottiglia di Whisky ormai vuota alle labbra. La mise in verticale, intontito, cercando di berne l'ultima goccia rimasta sul fondo. Quando capì di essersi scolata ormai anche questa, si mise in piedi, traballando, e si trascinò fino al mobile che aveva di fronte per prendere altro Whisky. Prese una bottiglia, e rimase a fissarla per un po' cercando inutilmente di leggere cosa fosse, attraverso i fiumi di alcool già ingeriti. Poi con un movimento scoordinato che doveva essere una scrollata di spalle, si fece crollare nuovamente sul divano portandosela alle labbra e bevendone un lungo sorso.

«Mr. Stark» disse con la sua voce robotica F.R.I.D.A.Y., l'AI a cui aveva personalmente dato vita e che aveva sostituito J.A.R.V.I.S. quando quest'ultimo era diventato Visione «E' atteso difronte all'entrata del laboratorio.»

«E sai cosa me ne interessa, F.R.I.D.A.Y.?» disse alzando la bottiglia, come a fare un brindisi «Assolutamente nulla!» Ma poi, con un altro lungo sorso, si alzò ugualmente, sostenuto da chissà quali forze invisibili, e si diresse verso il proprio laboratorio, sbuffando frasi quasi sconclusionate su come il mondo avesse bisogno di lui fin troppo spesso.

Anthony Edward Stark, il genio plurimiliardario, proprietario della grande e potente Stark Industries, membro della squadra speciale Avengers con le vesti di Iron Man, era ubbriaco. Di nuovo.  Il motivo era semplice: l'alcool era l'unica cosa che potesse aiutarlo a stordirlo, a lasciargli qualche attimo di pace. Perché da quando avevano affrontato Ultron, da quando aveva affrontato Wanda e la sua visione apocalittica, non riusciva a non pensarci. Doveva fare di più, di più, sempre di più. Non bastava più essere Tony Stark, non bastava più essere Iron Man. Quindi aveva trascorso gli ultimi mesi chiuso in laboratorio, con occasionali uscite dovute alla mancanza di alcool in quest'ultimo (le sue scorte andavano ad esaurirsi sempre più velocemente, e aspettare il giorno successivo per il rifornimento era diventato quasi impossibile). E poi... poi c'era il Capitano. Quel bel faccino tutto regole e integrità morale, che non faceva che guardarlo dall'alto in basso con quegli occhi di ghiaccio che – non lo avrebbe mai ammesso neanche a sé stesso – sembravano guardarlo per davvero, scrutargli l'anima e comprenderlo. E per quest'ultimo motivo odiarlo.

"Ciò che vede non deve piacere molto al Capitan Ghiacciolo" pensò mentre il suo solito sorrisetto sarcastico gli sollevava gli angoli della bocca.

Eppure, per chissà quale motivo, passava le notti tormentato da sogni, anzi, incubi che lo vedevano responsabile della dipartita di quest'ultimo. E la disperazione che provava era reale, così reale da costringerlo ad ubbriacarsi per cercare rifugio nello stato comatoso senza sogni che l'alcool regala.
Si sentiva perseguitato da quegli occhi che lo incolpavano, lo incolpavano di non essere abbastanza, di non essere all'altezza, di non essere degno della fiducia che la squadra, che il Mondo, riponeva in lui. Occhi a cui non poteva sfuggire, occhi che lo accusavano, condannavano e giustiziavano. Occhi che lui, nonostante tutto, si era ritrovato a cercare, a desiderare. E ciò lo sconvolgeva, perché desiderare l'indesiderabile non era nel suo DNA: tutto ciò che voleva l'otteneva, e se questo era impossibile, allora lo inventava. Ma con Steven Grant Rogers... Era tutta un'altra storia. Così, non sapendo cosa fare e frustato da ciò, aveva preso a litigare furiosamente con quest'ultimo, ad incendiare discussioni ogni volta in cui si incrociavano, finendo ad azzuffarsi quando riusciva a spazientire del tutto l'altro. Era quello l'unico modo in cui riusciva a sfogare quella sua frustante sensazione, e per prendersela con il Capitano, accusandolo di aver scatenato in lui quelle emozioni così... terribilmente... Qualcosa. Ecco, non riusciva a classificarle. Erano un Qualcosa di completamente sconosciuto. E - non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura - lo spaventavano a morte, nonostante fossero incredibilmente piacevoli.

Quasi a prendere forma dai suoi pensieri, vide materializzarsi davanti a lui le larghe spalle di Rogers difronte alla porta chiusa ermeticamente del suo laboratorio.
Il suo cuore fece un balzo ed ebbe un lampo di lucidità. Che però passò troppo in fretta.

«Eh, Capiscle, potevi aspettare un paio di ore, se proprio volevi riscaldarti i muscoli in una zuffa. Non sono il tuo personale sacco da boxe disponibile a ogni ora del giorno, sai?» disse appoggiandosi pesantemente contro il muro, il solito sorrisetto sulle labbra, gli occhi resi lucidi dallo stato di ebrezza, facendo voltare di scatto il Capitano.

«Stark.» disse, in tono di rimprovero, vedendolo in quello stato. Poi gli occhi di quest'ultimo non poterono fermarsi dallo squadrare da capo a piedi l'inventore, soffermandosi sulla sua mano fasciata rozzamente.
«Che hai fatto alla mano?» gli domandò, aggrottando le sopracciglia.

L'altro scosse le spalle con nonchalance, senza perdere il sorrisetto. In quel momento, appoggiato al muro e con le braccia incrociate, poteva sembrare perfettamente sobrio, se non fosse stato per la luce febbrile che gli brillava negli occhi.

«Che ci fai qui a quest'ora?» chiese invece, mentre il sorrisetto gli si faceva più marcato, assumendo una sfumatura derisoria «Se hai fatto implodere l'ennesimo pc, potevi anche aspettare domani mattina.»

Il Capitano sbuffò spazientito dal naso, passandosi poi una mano tra i capelli folti. Neanche lui poteva dire con esattezza cosa ci facesse lì in quel momento, ma qualcosa l'aveva spinto ad arrivare, nel cuore della notte, lì, davanti alla porta del miliardario. Trovarlo in quello stato non era stato del tutto una sorpresa (ultimamente l'inventore passava più tempo sbronzo che lucido): solitamente gli avrebbe fatto una lavata di capo e gli avrebbe minacciato di andare a riferire tutto a Fury (benché non avesse mai attuato quella minaccia – e Tony lo sapeva fin troppo bene). Ma quella sera... Quella sera si ritrovò a guardare nei scuri occhi l'inventore, scavando nel suo sguardo, cercando di carpirne emozioni che l'altro non avrebbe mai espresso.

Sotto la pressione quasi materiale di quello sguardo, l'inventore indietreggiò leggermente, stringendo maggiormente le braccia intorno al petto, come a proteggersi, ma era troppo intontito, e sapeva che, ormai, la maschera di Tony Stark era caduta per mostrare solo Tony.
Un Tony con tutte le sue insicurezze, un Tony con un odio incommensurabile per se stesso, un Tony che sa di non essere nient'altro che un piccolo uomo.
E ciò che Steve vide, oltre tutte quelle maschere che l'altro continuamente indossava, lo lasciò esterrefatto, come se avesse appena assistito a qualcosa di inimmaginabile, e probabilmente era proprio così.

«Non ho fatto esplodere nessun pc... Solo... Beh, non lo so neanche io. Scusami se ti ho disturbato» rispose il Capitano, e con quella frase finale avrebbe dovuto congedarsi, ma non riusciva a staccare il proprio sguardo da quello dell'altro.

Stark sgranò leggermente gli occhi, sprofondando in quelli di Rogers, perdendosi in quelle mille sfaccettature turchesi. Riprese bruscamente possesso delle proprie facoltà mentali – le poche che gli rimanevano almeno – spostando risoluto lo sguardo.
Aveva appena fatto dietro front per tornare alla sua bottiglia abbandonata, quando si sentì afferrare dal Capitano. Tony guardò penetrante la mano dell'altro intorno al proprio braccio, fin quando Steve non mollò la presa con un certo disagio.

«Stark... ehm... Tony, tutto bene?» gli chiese preoccupato da ciò che aveva scorto nello sguardo nell'altro, sotto tutte quelle verità che pur aveva trovato. Ossia il Vuoto, il Nulla totale. Era come se qualcuno gli avesse strappato via quella luce che lo caratterizzava, come se questa non fosse che stata sempre una mera illusione.

«Certo, Capitano, tutto a meraviglia» gli rispose l'inventore con un sorrisetto indolente che non raggiunse gli occhi.

A questo punto l'altro non seppe più cosa dire, quindi lasciò che fosse l'istinto a guidarlo.
E così il Soldato fece passare le proprie braccia muscolose sotto quelle del Genio, sostenendolo, come se finalmente le due parti di una calamita che avevano per tanto tempo lottato per restar divise, si fossero fuse in una.

Da canto suo, l'inventore rimase talmente sorpreso che non riuscì a proferire parola, e quel sostegno lo rassicurava così tanto che non ebbe le forze per staccarsi.

«Ti porto a letto. E devo assolutamente pulirti quella ferita prima che si infetti.» disse sicuro Steve, con una nota dolce nella voce.
Probabilmente Tony non avrebbe ricordato niente di quella notte il giorno successivo, pensava il Capitano, ed era plausibile che non si sarebbe chiesto più di tanto come fosse riuscito a tornare a letto. Era forse per quel motivo se si stava comportando in quel modo così... diverso, da come si era sempre comportato verso quell'uomo che era stato sempre convinto di odiare. Ma non riusciva ad ingannare nemmeno sé stesso: gli sembrava Giusto prendersi cura dell'altro, come se fosse nato, beh, cose se fosse stato ritrovato e scongelato, solo per quello. E le proprie labbra, di solito tese in un espressione neutra e seria, si sollevarono in un sorrisetto spontaneo, nato da qualcosa che non riusciva a controllare. Un Qualcosa che neanche la logica più ferrata poteva spiegare.

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Capitolo 3
*** [Masks] ***


[Masks]

...And I am feeling so small
It was over my head...
(...E mi sto sentendo così piccolo
Era sopra la mia testa...)

«Come te lo sei fatto?» chiese il Capitano mentre gli puliva la ferita con dell'ovatta bagnata nel disinfettante.

Erano nella camera di Steve. Tony era seduto sul letto e si lasciava medicare mansuetamente dall'altro, inginocchiato difronte a lui. Sarà stato grazie all'effetto dell'alcool, ma l'inventore non poteva negare di sentire un piacevole calore scaldargli un punto impreciso al centro del petto (il cuore?) mentre l'altro si prendeva cura di lui.

«Sono un Meccanico, Capiscle» rispose, con gli angoli della bocca piegati verso l'alto, come se quella affermazione chiarisse ogni cosa.

Il Capitano sospirò, poi prese a fasciargli delicatamente la mano con della garza candida.

«Non sapevo ci sapessi fare con questo genere di cose» disse Tony, genuinamente sorpreso.

«Sono un Soldato, e in guerra le ferite e i feriti non mancano.» ribatté stringendosi nelle spalle l'altro.

Poi calò il silenzio, intervallato solo dal rumore della ganza che veniva srotolata e tagliata. 
Tony rimase a guardarlo, la testa chinata leggermente su un lato, mentre la sua mente e la sua vista tornavano lentamente lucide. Cosa poteva spingere l'altro a essere così gentile con lui? Si stava prendendo cura di lui come se fosse la cosa più naturale del mondo, nonostante quel giorno stesso ci avessero dato dentro di nuovo con il loro velenoso modo di attaccare battaglia ogni volta che si incrociavano nei corridoi della Tower.

«Perché Steve? Tu... Tu mi odi.» chiese aggrottando la fronte, perplesso, la mente ormai tornata del tutto lucida. Ma nonostante ora fosse tornato in sé, non si staccò dal Capitano con una delle sue solite battutine sarcastiche. Voleva capire, voleva capire come fosse possibile che quel Qualcosa gli si agitasse – come un morbo – sotto pelle, e per capirlo, non poteva certo allontanarlo. Avrebbe approfittato di quel primo e ultimo momento di intimità e avrebbe capito. Poi sarebbe tornato tutto come prima e avrebbe finto di non ricordare niente. Semplice. Semplice, fin quando non udì la risposta dell'altro che, con la convinzione che l'inventore non avrebbe rammentato niente di quella notte, gli aveva dato.

«Non ti ho mai odiato, Tony. Come avrei potuto? Ho sempre saputo che il saccente Tony Stark, l'uomo di mondo a cui non interessa nient'altro che la propria immagine, non era altro che una pellicola protettiva dietro cui ti nascondevi, e non si può odiare una maschera. Se così non fosse, perché saresti diventato Iron Man? Anche se lo sai nascondere, devi tenere a cuore la sorte del mondo per rischiare la vita per esso, no? Sai, sei l'uomo più complesso che io abbia mai incontrato e, devo ammetterlo, questo mi intriga.»
Un sorrisetto sbilenco gli si aprì sul volto, mentre terminava di fasciargli la mano.
«Così dovrebbe andare bene» aggiunse in merito a quest'ultima «Ma dirò a F.R.I.D.A.Y. di ricordarti domani mattina di farti controllare nell'ala medica»

Stark non fece altro che guardarlo, seriamente, sprofondando nei suoi occhi simili a due pozze d'acqua sorgiva.
E qualcosa cambiò.
Non erano più Capitan America e Iron Man. Erano solo Steve e Tony.
Tony che si lasciava cadere in ginocchio davanti a Steve e che continuava a guardarlo, confuso.

«Cosa mi hai fatto? Cosa mi hai fatto, eh Capiscle?» mormorò l'inventore, senza staccare neanche per un attimo il proprio sguardo da quello dell'altro, mentre il cuore gli scalpitava in petto.

Il Capitano sgranò gli occhi, mentre quel Vuoto che prima aveva intravisto si faceva più reale e materiale negli occhi dell'altro. E fu l'istinto a guidare le sue braccia intorno alle sue spalle per stringerlo contro il proprio petto muscoloso. Mero istinto, e non sapeva cosa aspettarsi. Certamente, non quello che avvenne.
Tony rispose all'abbraccio, anche lui dominato da chissà quale forza primordiale, sprofondando il volto nell'incavo del suo collo. 
Lasciò il Vuoto che sentiva pulsare nel suo petto, fosse riempito da Steve. 
Molto probabilmente, quando sarebbero tornati due estranei, quando il Capitano, la mattina dopo, avrebbe dimenticato tutto questo, quel Vuoto sarebbe stato ancora più doloroso ma, come un perfetto masochista, non poté che cullarsi in quell'illusione di completezza.

Non sapeva perché Steve stesse facendo quel che stava facendo, lo mandava in confusione. Il Capitano era il perfettino che lui odiava per la sua costante compostezza e rigidezza, era questo quello che si ripeteva senza sosta: non poteva permettere ad altre emozioni oltre l'odio o al più l'indifferenza di infilarsi nel suo non-rapporto con il Capitano. Eppure si sentiva così pieno, così completo in quel momento. Decise di scacciare quei pensieri, chiuse gli occhi e si lasciò andare per godersi quell'unica 'esperienza'.

«Sai, ho sempre saputo che tu non eri uno di quelli che pensano solo ed esclusivamente a loro stessi, egocentrico, pieno di sé, sicuro delle proprie capacità in maniera odiosa. Certo, penso che Tony Stark SIA tutto questo, ma non Tony. E mi fa piacere averti conosciuto, finalmente.» disse il Capitano con un sorrisetto.

Fu quello a riscuoterlo, facendolo tornare cosciente di quello che stava facendo: stava abbracciando Captain America! E si sentì nudo, completamente spoglio di tutte le corazze con cui si vestiva, capendo che l'altro aveva fatto centro.

«Suvvia, Capitano! Il peccaminoso e senza cuore Tony Stark, ora ha qualcosa di apprezzabile?» disse calcandosi sul volto il suo solito sorriso sarcastico.

Steve aveva visto già troppo.
Basta.
Doveva andarsene da lì. Dimenticare tutto.
Tornare a litigare, infuriare contro di lui.
Doveva ignorare i sogni, gli incubi.
Doveva diventare un tutt'uno con il proprio lavoro.
Tutto qui.
Era quello che aveva sempre fatto dopotutto. Niente di diverso. Si sarebbe allontanato definitivamente e senza ritorno da lui. Per colpa di quel dannato alcool, il Capitano aveva già visto e sentito fin troppo.
Con il suo sorriso sarcastico stampato, inciso, sul volto, si avviò verso la porta, snocciolando qualche altra battuta sarcastica.
Con una mano sul pomello della porta, ebbe un attimo di esitazione. Pronuncio un ultimo, vero, 'grazie' , e spalancò la porta, pronto a lasciarsi tutto alle spalle.
Ma prima che potesse andare via, il Capitano gli prese un polso e lo tirò verso di sé, guardandolo dritto negli occhi. Calò il silenzio. Un silenzio innaturale. A parlare furono gli sguardi, sguardi profondi che comunicarono ciò che le parole non sarebbero mai riuscite ad esprimere.
Poi Steve si chinò vero di lui, e gli posò un leggero e impalpabile bacio all'angolo della bocca. Non sapeva perché l'aveva fatto, ma gli sembrava Giusto, Giustissimo.

«Domani mattina, ricordati di tutto questo» gli sussurrò dolcemente, il volto a pochi centimetri da lui, gli occhi fissi nei suoi.

Fu Tony a distogliere lo sguardo, lentamente, come se stesse estraendo un pugnale da una ferita.

«Sarai tu quello a dimenticare» fu tutto ciò che disse quest'ultimo, come se stesse dando voce ad una profezia, la morte nello sguardo e la voce priva di qualsiasi emozione, prima di lasciarsi inghiottire dal buio e lasciarsi la stanza di Steve alle spalle.

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Capitolo 4
*** [Escape] ***


[Escape]

... I know nothing at all
And I will stumble and fall...
(...Non so proprio nulla
E inciamperò e cadrò...)

I passi di Tony Stark rimbombavano asciutti nel corridoio addormentato. L'unica luce proveniva dalla stanza di Steve, ancora aperta, e dalla città illuminata aldilà della parete-finestra del corridoio. Girando l'angolo, vide ancora la figura del Capitano, immobile come una statua di sale sull'uscio della porta che lo cercava nel buio con uno sguardo stralunato.
Velocizzò il passo. Doveva andarsene, doveva assolutamente andarsene da lì, il più lontano e il più velocemente possibile.
Arrivò al laboratorio quasi correndo, il volto accaldato da un'urgenza mai provata prima.
Si appoggiò pesantemente al grande tavolo al centro della stanza, occupato quasi totalmente da progetti e vari aggeggi. Allargò i palmi, reclinò la testa in avanti e incassandola nelle spalle. Chiuse gli occhi, respirando profondamente cercando di calmarsi. Quando il cuore smise di pompargli veloce come se gli volesse schizzare via, barcollò all'indietro, staccandosi dalla scrivania come se scottasse.

«Domani mattina, ricordati di tutto questo.»

Lo sguardo del Capitano prese a fissarlo, di nuovo, mentre pronunciava quelle parole, mentre gli lasciava quel bacio impalpabile eppure infuocato all'angolo della bocca.

Scacciò con forza quelle immagini dalla propria mente, stringendo i pugni risoluto, mentre negli occhi gli si accese una luce che sapeva di sconfitta.

«F.R.I.D.A.Y.» la chiamò, per poi inarcare le labbra in un sorrisetto auto-ironico «Facciamo le valige. Non posso più restare a casa mia. »

L'AI probabilmente comprese che in quel momento era meglio assecondarlo, perché non obbiettò.

«Per quanto tempo vuole restare 'fuori', sir?» si limitò a domandare, accorta.

«Fin quando non recupero le mie facoltà mentali.» rispose senza far perdere alle labbra quella curva «Non serve avvisare nessuno, dopotutto non mi hanno convocato neanche per sbaglio negli ultimi due mesi... »

«Forse... il Capitano Rogers...» provò ancora l'AI.

Il volto di Tony fu attraversato da un lampo, un qualcosa che non si riuscì a decifrare prima che, veloce com'era apparsa, sparisse per lasciar posto ad un'espressione d'indifferenza.

«No, F.R.I.D.A.Y., ho detto NESSUNO»

~o~

Tre mesi dopo

Tre mesi. Erano passati tre mesi, e non era ancora riuscito a trovarlo.
Il Capitano si passò una mano sul volto, staccandosi momentaneamente dal sacco da boxe per prendere un sorso d'acqua.
Aveva cercato dappertutto, in Europa, per le Americhe, in tutti i posti in cui l'inventore era stato o di cui aveva accennato di voler visitare. Ma non c'era stato nulla da fare: Tony Stark sembrava sparito, volatilizzato nel nulla.
Prima lo S.H.I.E.L.D. e poi gli altri Avengers si erano rassegnati dopo il primo mese di ricerche infruttuose, ma non lui, non Captain America, anzi, non Steve Rogers.
Avevano delle cose da chiarire, loro due: quando lo avrebbe trovato(non voleva neanche considerarlo un 'se'), gli avrebbe domandato perché se ne fosse andato, perché fosse fuggito. Perché sì, lo sapeva, quella partenza improvvisa era dovuta a ciò che era successo – o forse era meglio dire, a ciò che non era successo – l'ultima notte che avevano 'passato insieme'.
Non sapeva neanche se l'altro fosse ancora vivo, ma considerato che insieme a lui erano spariti anche F.R.I.D.A.Y. e la maggior parte delle macchine del suo laboratorio, quasi sicuramente non era stato rapito.
Effettivamente, il primo pensiero quando aveva trovato il laboratorio e le stanze dell'inventore semi-vuote senza il loro proprietario all'interno, aveva subito pensato all'Hydra. Ma dopo un periodo così lungo, se così fosse stato, i rapitori si sarebbero fatti vivi per chiedere un riscatto, o Tony stesso sarebbe sicuramente riuscito a scappare perché, diamine, lui era un genio!

Quindi quell'allontanamento doveva essere volontario – si avvicinò con uno scatto al sacco, prendendo a colpirlo.
Tony Stark era fuggito – diede un forte gancio destro al sacco da boxe.
Tony Stark era scappato – gancio sinistro.
Tony Stark si era allontanato da LUI, forse per sempre – il sacco volò lontano, spargendo sabbia che si andò a mischiare con altra sabbia, fuoriuscita dai 3 sacchi che aveva già distrutto.

Con nonchalance si allungò alla sua sinistra, lì dove c'erano altri 5 o 6 di quei sacchi e ne agganciò uno al sostegno.
E riprese a colpirlo, incessantemente, mentre la voce di Tony tornava a tormentarlo.

«Sarai tu a dimenticare»
 

 

 

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Capitolo 5
*** [The beginning of the end] ***


[The beginning of the end]

                  ...I'm still learning to love
Just starting to crawl...

(...Sto ancora imparando ad amare
Semplicemente iniziando a gattonare...)

Si versò l'ennesimo bicchiere di Scotch. Lo studiò a lungo, come se tramite il liquido ambrato potesse leggere la Verità che tanto aveva cercato senza nessun risultato. Una Verità che risiedeva al centro del suo essere. Una Verità che non poteva – non voleva – leggere.
Tracannò tutto d'un fiato l'alcool e riprese a fissare il bicchiere, ora vuoto, con sul fondo ancora una striscia dorata.
Una striscia dorata, come quella che si stagliava all'orizzonte in quel momento: la fine di una giornata, o l'inizio di un'altra, l'inventore non sapeva più dirlo.
Era rimasto chiuso in quella suite di albergo a Indianapolis, sprofondato in quel morbido divano bianco o chino sui propri progetti o marchingegni, da un 'tanto' che non riusciva a quantificare, il tempo scandito solo dalle bottiglie di alcolico che terminavano o dal lavoro. Lavoro costante, incessante, fino a quando non crollava sul largo tavolo, che si era appositamente fatto portare in camera, troppo stanco o troppo ubriaco. E allora in quel caso si trascinava fino al divano, dove si lasciava cadere, una bottiglia di Whisky sempre alla mano.
E in quei momenti non poteva impedirsi di pensare.
Di pensare al Capitano, a Steve, alla morbidezza delle sue labbra contro il suo volto ispido; alla dolcezza dei suoi gesti mentre gli medicava la ferita; al suo sguardo, in cui era naufragato, sprofondato, affogato; alla sua voce che lo accarezzava e che gli diceva che lui lo aveva visto.
Si passò una mano sul volto, per scacciare quelle immagini che avevano preso presto ad affollargli la mente. Poi si versò un altro bicchiere e brindò all'oscurità calante e che lo nascondeva da tutti. E da sé stesso.

~o~

Si passò una mano tra i capelli con un gesto di stizza, e un gemito frustrato gli risalì la gola.
Era seduto sul lungo divano della sala comune degli Avengers, il laptop sulle gambe, rosicchiandosi l'unghia del pollice della mano sinistra colto da uno strano nervosismo.
Tony.
Gli aveva mandato una mail al suo indirizzo di posta elettronica – che Stark stesso mesi prima si gli aveva procurato -, delle coordinate con una sola frase: Ci sono modi più utili che passare il tempo, Capiscle: smettila di cercarmi, e raggiungi invece il tuo Soldatino. L'ho trovato. AES.

E così Anthony Edward Stark, alias Tony, aveva trovato Bucky, il suo amico d'infanzia, ex Soldato d'Inverno che neanche lo S.H.I.E.L.D. con tutti i suoi potenti mezzi era riuscito a ritracciare, solo per allontanare lo sguardo di Steve da sé. Gli angoli delle sue labbra si alzarono involontariamente in un sorrisetto: già, era proprio tipico di Tony.
Rispose senza pensarci troppo all'e-mail, conscio che era assai improbabile che l'altro rispondesse.
Invece dovette ricredersi quando l'inventore sorprendentemente gli rispose.

Da: Anthony Edward Stark – amministratore delegato – Stark Industries

A: Steven Grant Rogers 

Re: Soldato Baguette [1 allegato]

Data: 12/03/2016 h. 7:24 p.m.

Ci sono modi più utili che passare il tempo, Capiscle: smettila di cercarmi, e raggiungi invece il tuo Soldatino. L'ho trovato. AES.

Da: Steven Grant Rogers 

A: Anthony Edward Stark – amministratore delegato – Stark Industries

Re: NON E' UNA BAGUETTE!

Data: 12/03/2016 h. 8:02 p.m.

E così sei ancora vivo?

Da: Anthony Edward Stark – amministratore delegato – Stark Industries

A: Steven Grant Rogers 

Re: Troppo-magnifico-per-lasciarsi-uccidere

Data: 12/03/2016 h. 8:05 p.m.

Certo, Capiscle. Non esserne così sorpreso 

Da: Steven Grant Rogers 

A: Anthony Edward Stark – amministratore delegato – Stark Industries

Re: La modestia...

Data: 12/03/2016 h. 8:06 p.m.

Dove sei?

Da: Steven Grant Rogers 

A: Anthony Edward Stark – amministratore delegato – Stark Industries

Re: ...Tony?

Data: 12/03/2016 h. 8:15 p.m.

Tony... Dove sei? Quando tornerai? Perché tornerai, vero?

L'inventore però non diede segno di voler rispondere. Con un sospiro, spense il pc. Forse doveva semplicemente accontentarsi: Tony era vivo, con la sua solita vena ironica al proprio posto, e gli aveva appena fornito una vera pista che tanto aveva cercato per ritrovare Buck. E allora perché quella strana sensazione gli artigliava le viscere e gli diceva che no, non bastava?
Perso nei propri pensieri, fece un salto dal divano facendo cadere rumorosamente il computer quando un potente allarme scosse l'intero edifico dalle fondamenta. 
Seguirono ordini urlati a destra e a manca, passi in corsa e qualche veemente imprecazione.
Vide la Romanoff entrare come una furia nella stanza, travolgendo tutto quello che le capitava davanti, poi lo individuò con lo sguardo.

«CAPITANO! UN NUOVO PORTALE SI E' APERTO SU MANHATTAN!!» gli urlò per sovrastare il caos.

L'espressione confusa di Steve si trasformò repentinamente in quella seria e fiera di Captain America.
Stava correndo a prendere lo scudo e la divisa dalla sua camera, quando il cellulare gli vibrò nella tasca dei pantaloni. Un messaggio, da parte di Tony.

Sto arrivando.
 

 

 

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Capitolo 6
*** [Fears] ***


[Fears]

  ...Say something, I'm giving up on you...

(...Dì qualcosa, sto rinunciando a te...)

Con passo felpato si avvicinò alla porta socchiusa e con delicatezza, senza farle emettere alcuno scricchiolio, la aprì. Si appoggiò contro lo stipite della porta. La luce del corridoio tagliò l'oscurità della stanza, definendone i profili. Profili, come quello del Capitano che, come gli era stato detto, dormiva in quella che era stata la camera dell'inventore. Stark incrociò le braccia al petto, e accarezzò con lo sguardo le larghe spalle di Steve, sdraiato di lato con la schiena rivolta verso la porta, che si alzavano e si abbassavano scandendo ogni placido respiro.

Tony si voltò indietro per andarsene, diretto alla sala comune e al divano che per quella notte gli avrebbe funto da giaciglio, quando un leggero mormorio impiastrato dal sonno lo inchiodò sul posto.

«Tony...» mormorò stupito il Capitano, alzandosi a sedere di scatto.

L'inventore si voltò, un sorriso sbilenco sulle labbra.

«Mi fa piacere che tu abbia apprezzato il comfort del mio letto, Capiscle.» disse con quel suo solito tono a metà tra l'arrogante e il divertito.

Steve da canto suo, benedisse quella semioscurità che nascose il rossore che gli aveva preso a colorare le guance.

«Tony» ripeté il Capitano, ancora incredulo, come se stentasse a crederci «sei tornato...»

«C'è un buco largo quanto il bacino del Mississippi sulla mia città, mi sembra un po' ovvio che io sia tornato, non credi?» ribatté senza perdere il suo sorrisetto l'altro, avanzando un passo verso di lui.

«Hai una vaga idea di quanto tempo ti ho cercato?!» esclamò a quel punto Steve, superando tutta la sorpresa, per poi alzarsi velocemente e arrivare ad un palmo da lui.

«Oh, sì. Mi hai cercato prima in giro per New York. Poi sei andato in New Mexico, a Cuba, in Florida, ti sei fatto un bel giro per tutti gli Stati e poi sei andato in Canada. Non trovandomi neanche lì, sei volato in Europa: Londra, Istanbul, Parigi, Roma, Dublino, Amsterdam. Se non sbaglio hai fatto anche un giretto nel quartiere a luci rosse.» e qui il suo sorrisetto divenne più marcato, immaginando il Capitano che cercava di non guardare attraverso le vetrine ma al tempo stesso cercandolo in esse.

Il Capitano non condivideva il suo divertimento. Con le guance rosso fuoco, mormorò in risposta: «Quello è stato molto imbarazzante»

Poi, schiarendosi la voce, riprese il cipiglio severo e arrabbiato.

«Tre mesi, Stark! Tre mesi passati in giro per il mondo, e tu, pur sapendolo, non ti sei fatto trovare!! Ma si può sapere dov'eri finito?!»

«Indianapolis.» rispose, inarcando un sopracciglio difronte a quella sfuriata.

Steve lo guardò allibito. «Ma tu odi quel posto. Hai detto di odiarlo più di qualsiasi cosa, più della concorrenza!»

«Premettendo il fatto che Tony Stark non ha concorrenza che possa reggere il confronto, ero sicuro che lì non avresti neanche fatto la fatica di sprecarci una passeggiata. E comunque mi ha non poco stupito la tua ostinazione. Cos'è senza di me ti mancava uno sfogo per le tue energie in eccesso, o forse avevate bisogno di altri fondi per qualche altro progetto irrealizzabile che nessuno voleva finanziare?» il suo sorrisetto assunse una sfumatura amara. In fin dei conti sapeva alla perfezione che ormai era nella squadra solo per questo: era un sacco da boxe pieno di soldi.

Il Capitano lo guardò stupito.

«No, ti cercavo per chiarire quello che è successo quella sera quando-» iniziò a dire, ma fu subito troncato da l'inventore.

«Non c'è niente da chiarire.» disse glaciale, qualsiasi traccia del suo sorrisetto sparita «È stato un errore che non ricommetterò.»

«No, lo sappiamo entrambi che non è vero. Come sappiamo entrambi che non eri così sbronzo come volevi far credere, altrimenti non avresti ricordato niente di quanto successo» rispose cercando di sembrare più conciliante.

«Non ho mai detto di ricordarmi qualcosa» provò ancora l'inventore, ma con minor convinzione.

«Diamine Tony! Te ne sei andato subito dopo e hai appena detto che 'è stato un errore'!! Non prenderti gioco della mia intelligenza!!» urlò Steve esasperato.

«Cosa vuoi che ti risponda, eh Rogers?! Che negli ultimi tre mesi sono stato tormentato da quella sera?! Che mi hai mandato talmente in confusione da farmi scappare come un vigliacco?! Che sono rimasto intere notti attaccato ad una bottiglia, per cercare di cancellare la sensazione delle tue mani mentre ti prendevi cura di me e dei tuoi occhi nei miei?!»

Sotto il luccichio d'ira, Steve vide nello sguardo dell'altro spiccare quel Vuoto che quella volta l'aveva tanto colpito. E questo, accompagnato a quelle parole strozzate che gli aveva urlato addosso l'inventore, mossero le sue mani sulle guance bollenti dell'altro e gli fece annullare i pochi centimetri che li separarono.
Il tocco delle loro labbra fu timido, sorpreso.
Tony fu travolto da una serie di emozioni tali che non poté non rispondere, con più foga, con disperazione, prendendo in mano la situazione.
E in breve si ritrovarono sul letto, ad accarezzarsi, consumarsi con gli sguardi infuocati, senza smettere di baciarsi prima con dolcezza, poi con passione, ancora con desiderio, infine con urgenza. Modellarono il proprio spirito e il proprio corpo per farli combaciare spigolo per spigolo, difetto per difetto, pregio per pregio. Si accettarono l'un l'altro, spinti da una forza primordiale che li aveva scelti ed uniti prima ancora che loro stessi se ne rendessero conto.

Quando la passione fu consumata, come una candela profumata che lasciava dietro di sé la sua odorosa scia, tale fu la dolcezza del loro abbraccio. Tony, con la testa poggiata sulla spalla di Steve, sorrideva, sentendosi per la prima volta in vita sua Completo in modo assoluto, il Vuoto che lo tormentava un lontano ricordo. E Steve... Steve, con gli occhi chiusi, il naso sprofondato nei capelli di Tony a respirarne l'aroma, stringendo a sé l'altro e sentendo il suo calore riscaldare il blocco di ghiaccio che era divenuto il suo cuore, si sentiva felice. Felice come mai prima di allora, perché adesso aveva uno Scopo, un Motivo, per continuare quella guerra che da tempo non credeva più sua. E questo Scopo, questo Motivo, lo stava stringendo tra le braccia.

Si assopirono così, all'unisono, cullati ognuno dal respiro rassicurante dell'altro.
 

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Capitolo 7
*** [Why... you've done... more ...] ***


[Why... you've done... more ...]

I'm sorry that I couldn't get to you...
(...Mi dispiace non essere arrivato fino a te...)

Delle grida in lontananza. 
Jarvis che ripeteva parole insensate con la sua voce robotica sempre più distorta.
I rumori assordanti dei diversi allarmi che emetteva l'armatura semidistrutta.
Un respiro affannato, il suo. 
Stava cadendo. 
Si stava addentrando sempre di più nel Portale, che lo aspirava, lo inghiottiva. 
Ma questa volta, oh, questa volta non ne sarebbe uscito, né da vivo, né da morto. 
Sentì che qualcuno o qualcosa gli afferrava un braccio, trascinandolo sempre più lontano dal Varco che si stava velocemente chiudendo alle sue spalle. 
Lanciò un grido quasi disumano per cercare di liberarsi dalla morsa che l'aveva afferrato. Con un gesto disperato, allungò il braccio libero verso il Portale, che, dopo qualche istante di stasi, si chiuse completamente. Lasciandolo lì. 
Isolato. 
Condannato a morte certa. 
Destinato a vagare fino per l'eternità in quel non-spazio. 
Certo, l'ossigeno nell'armatura si sarebbe presto esaurito, ma non era la morte, la cosa che più lo... spaventava, o forse meglio dire, lo atterriva. 
No, la cosa peggiore era che il suo corpo morto non sarebbe stato bagnato da nessuna lacrima viva, che i ricordi sarebbero presto svaniti dalla mente delle persona a lui care. QUELLA persona in particolare lo avrebbe dimenticato, e anche velocemente.
Dopotutto, non era riuscito lui, Tony Stark, considerato il playboy peggiore o migliore di tutta Manhattan secondo diversi punti di vista, a fare una semplice e banale dichiarazione. Ma forse, pensandoci bene, era meglio così. 
Essere dimenticati molto facilmente (o molto difficilmente) faceva parte del pacchetto Stark da non poche generazioni, e non era mai diventato in qualche modo dannoso: "Se qualcuno ricorda le tue imprese, ma non la tua persona, il tuo nome sopravvive più a lungo" gli disse una volta qualcuno. Lui sarebbe rimasto Iron Man, e non più Tony. "In un certo senso, però" pensò ironico "dopo la morte di qualcuno, si ricordano i suoi successi, non i suoi fallimenti. E questo potrà farmi comodo". Poi, però, gli tornò in mente l'ultima volta che l'aveva visto, l'ultima immagine che aveva di LUI. Stava combattendo contro un'armata di quegli esseri. E se fosse rimasto ferito, o peggio? 
E fu in quel momento che seppe che no, non voleva morire. 
Voleva tornare a casa, accertarsi che tutto fosse così come l'aveva lasciato, con i sorrisi della sua 'allegra brigata', con il SUO sorriso. Quel sorriso che quando gli veniva rivolto era per lo più esasperato, quel sorriso che trasmetteva una vitalità incredibile.

"Anche per un vecchio novantottenne" pensò, ripensando a uno dei tanti 'diverbi' che aveva avuto con LUI.

Sentì i sensori lentamente acquietarsi, segno che l'energia era quasi del tutto finita. Sentì la gola serrarsi, iniziò a sudare freddo, l'oscurità circostante illuminata solo dalla tenue luce del suo reattore. 
La presa del mostro continuava a serrargli il braccio. 
Con la forza della disperazione, si sottrasse dalla morsa mortale, concentrando le poche restanti energie in quell'unico atto.
E iniziò a precipitare di nuovo, ad una velocità impressionante. Se ci fosse stato qualcosa sul cui schiantarsi, sarebbe diventato sicuramente una scatoletta di tonno, ma forse era proprio quello il problema. 
Non c'era niente che potesse arrestare la sua caduta, in un modo o in un altro, sarebbe continuato a cadere cadere cadere. Per l'eternità.
Nella disperazione, nel tormento eterno, l'unica cosa che riuscì a pensare fu un nome. 5 lettere. Steve.

Si alzò di scatto, madido di sudore, il cuore che batteva a mille, lo sguardo stralunato, rosso in viso e con il fiatone. E provò di nuovo la sensazione di cadere, e un rumoroso gemito gli risalì la gola, ancora serrata. Per sua fortuna, quella caduta non durò a lungo. Venne dolorosamente in contatto con il marmo freddo del pavimento. Si alzò e si guardò intorno, spaesato. 
Non era nella sua camera d'hotel. Dopo ancora qualche attimo di smarrimento, riconobbe la sua camera alla Tower.
Dei ricordi confusi gli si affacciarono alla mente: l'allarme di F.R.I.D.A.Y., un nuovo portale.

«Abbiamo un problema signore. A ovest di Manhattan si è aperto quello che ricorda un vortice intra-dimensionale»
Il suo battito cardiaco sembrò arrestarsi. Sgranò gli occhi al limite del possibile.
«Dettagli» si limitò a dire, immobilizzato da qualcosa molto simile allo shock.
«Il Varco aperto su New York tramite il Tesseract, e quello che ora sovrasta Manhattan, corrispondono del 78% . La fonte è sconosciuta. Non è stata registrata alcuna forza che tenga quel portale aperto. Forze ostili in avvicinamento»

La testa sembrava volergli scoppiare. 
Doveva avere bevuto la sera prima. 
Poi posò lo sguardo sul letto dal quale era caduto. 
E il suo cuore mancò di un battito. 
Su di questo era steso Steve, completamente nudo, coperto da un solo lenzuolo. E solo in quel momento si accorse di essere anch'esso senza alcun indumento.
I ricordi iniziarono ad affollargli presto la memoria: la dolcezza di Steve, che inconsapevolmente colmava il Vuoto che aveva dimorato dolorosamente in lui da quando aveva memoria.
Captain America e Iron Man aveva giaciuto insieme. Se qualcuno glielo avesse detto, sarebbe scoppiato a ridergli in faccia. Beh, lui aveva sempre avuto un debole per Mr. 'Linguaggio', ma non si sarebbe mai aspettato che l'altro si sarebbe lasciato coinvolgere in quella passione 'innaturale', visto quant'era all'antica.

Purtroppo però, per quanto l'immagine di Steve sdraiato nel suo letto fosse... interessante, non riusciva a togliersi da davanti gli occhi le immagini di quel suo ormai fin troppo ricorrente incubo. E neanche il suo corpo e la sua mente scioccata si erano ancora ripresi. 
Come era diventata sua abitudine, e unico modo per staccarsi dai sogni 'indesiderati', andò a prendere da uno scompartimento, nascosto da occhi ostili, due boccette del liquore di Thor. Gliene rimanevano altre sei. Doveva ricordarsi di chiederne altre al dio il giorno seguente... Non credeva di riuscire a farsele bastare anche per il giorno, o per meglio dire, notte, successiva. 
Poi, sempre come d'abitudine, scese in laboratorio. Avrebbe controllato millimetro per millimetro la sua armatura, quella con cui aveva combattuto durante l'invasione aliena, e messo a punto qualche altra nuova 'diavoleria delle sue' su di essa. In realtà, aveva raggiunto il limite delle modifiche apportabili a quell'armatura e, notte dopo notte, aveva iniziato a costruirne altre. Sempre più nuove, speciali, migliori, mettendo da parte quelle 'vecchie'. Se qualcuno fosse mai entrato lì, avrebbe pensato che volesse mettere appunto un esercito, non una singola armatura. 
Iniziò a bere con voracità il liquore, finendolo in fin troppo velocemente. Così mandò Ferro Vecchio a prenderne altre due bottigliette, nonostante la voce fastidiosa di F.R.I.D.A.Y. continuasse a rimproverarlo.
L'AI tacque solo quando la azzittì 'mettendola a muto'.

Intanto le sue mani non era ferme un attimo. Lavorava con una spasmodica velocità che aveva poco di umano, e svuotava bicchieri su bicchieri e bottiglie su bottiglie di liquore con altrettanta rapidità. Tutto pur di dimenticare. Tutto pur di non ricordare.

~o~

Quando Steve si svegliò, il sole stava lentamente facendo capolino all'orizzonte.
Si girò, con un sorriso stampato sulle labbra, dal lato del letto che doveva essere occupato da Tony. Sorrisetto che poi sparì repentinamente quando non lo trovò lì ad accogliere il suo buonumore. Tastò quella parte di materasso, trovandola non ancora raffreddata del tutto. 
Si alzò di scatto, infilandosi velocemente dei pantaloni e una t-shirt. 
Corse verso il laboratorio, sperando e pregando con tutto se stesso di non trovarlo completamente deserto come l'ultima volta che c'era stato.
In quei pochi minuti, molti dubbi lo assalirono: e se Tony se ne fosse andato di nuovo? Dopo tutto, Stark era noto per le sue passioni della durata di una notte...

"Se è veramente così, giuro che lo trovo e lo uccido." Pensò mentre la rabbia iniziava ad arrossargli le guance.

Quando vide però la porta del laboratorio aperta e l'inventore chino sul proprio tavolo da lavoro, tutta quella rabbia distruttiva si dissipò. 
Si avvicinò all'altro con cautela: Tony era sempre stato un tipo molto, molto riservato, e non lasciava mai la porta del proprio laboratorio aperta in quel mondo. L'ultima volta che era capitato, Tony era agonizzante con il reattore strappato dal petto da Obadiah Stane (per quello che gli avevano raccontato almeno). 
Si chiuse la porta del laboratorio alle spalle, avvicinandosi all'altro nella penombra della stanza. Solo in quel momento, attonito, si accorse delle centinaia di armature stipate sul fondo del laboratorio. 
Istintivamente, emise un fischio basso, facendo sobbalzare l'inventore.

«Che ci fai qui?» disse Tony, lo sguardo duro arrossato dall'alcool.

Steve abbassò lo sguardo sul cimitero di bottiglie vuote ai piedi dell'inventore e si sorprese nel vederlo ancora così lucido e non stramazzato al suolo.
Non poteva immaginare, il Capitano, che quell'incubo di Tony, sommato alla visione di Wanda che non abbandonava neanche per qualche attimo i suoi pensieri, non poteva essere scacciato neanche con fiumi di alcool.

«Prima di parlare, di lavorare, di fare... qualsiasi cosa, non dovresti bere...» iniziò Steve «Cosa ne rimarrebbe di te se, tramite l'alcool, spazzassi via tutti i tuoi ricordi? Un uomo senza passato non ha futuro, dovresti saperlo...»

«Che ci fai qui, Rogers?» insistette Tony, senza staccare lo sguardo dal proprio lavoro o anche solo fermare le mani, il tono apatico.

«Sono le 5 del mattino; mi sveglio e non ti trovo nel letto; lasci la porta del laboratorio aperta; mi ritrovo circondato da un esercito di armature; avrai bevuto almeno 20 litri di Whisky, e non solo quello probabilmente. Voglio solo sapere che sta... succedendo. Tutto okay?» disse dapprima irritato e poi più dolcemente, posando una mano sulla spalle dell'altro per girarlo verso di sé.

L'inventore si scrollò la mano di dosso e gli lanciò un occhiata distaccata.

«Sto benissimo, grazie per l'interessamento.»

La creatura che lo allontanava dal portale. 
I cadaveri dei suoi compagni. 
Il varco che si chiudeva. 
«Avresti... potuto... salvare...» 
La voce di Steve. 
«Perché.. non hai... fatto... di più...» 
Il suo sguardo, morto.

Si fermò un attimo, cercando di scacciare quelle immagini, quei ricordi. 
Cogliendo il suo attimo di esitazione, Steve gli prese un braccio, invitandolo a staccarsi dal tavolo.

«Non serve a nessuno se lavori in questo stato... non riusciresti neanche a ricordare i tuoi progressi. Dovresti proprio  staccarti da quella bottiglia...» gli disse più conciliante il Capitano, cercando di togliergliela di mano.

«E se fosse proprio questo il motivo per il quale... 'mi riduco in questo stato'?» chiese, retorico, girandosi di scatto verso di lui «Non sto dicendo che non voglia ricordare il lavoro che compio, ma che non tutti i ricordi sanno essere piacevoli, Rogers.» concluse secco, bevendo un altro sorso di liquore «Guardanti intorno.» aggiunse facendo un largo gesto con la mano che impugnava ancora la boccetta «Non faccio altro che ricordare. E sai cosa fanno, questi ricordi? Devastano, Captain, devastano tutto ciò che di umano c'è in me.» fece una pausa per buttare giù un altro sorso «C'è già stata un'invasione aliena, Capitano, si è aperto un enorme varco pieno di tutto il ben di Dio che l'uomo può neanche immaginare e oltre, l'umanità è stata ad un soffio dalla distruzione. E noi siamo stati completamente colti impreparati.» posò con forza la boccetta metallica e un rumore secco riecheggiò nel silenzio «Questo è ciò che mi ricordo, come ricordo quel dannato Varco, meglio di quanto vorrei. E cosa posso fare io, che dopotutto non sono che un semplice umano? Sarò un genio, un miliardario, sarò Iron Man, ma sono comunque un essere mortale, e come tale un giorno non sarò più su questa terra per poterla proteggere. Così la notte scendo qui e non faccio che arrovellarmi per cercare di creare qualcosa di nuovo, qualcosa che protegga questa nostra Terra. Non mi concedo un attimo pausa, la mia mente, non si concede un attimo di pausa. Il 'ridurmi in questo stato', è l'unico modo che ho per allentare il cappio intorno al collo. Quindi no, Rogers, preferisco non ricordare il passato, preferisco di gran lunga pensare al futuro.» quando terminò, sentì la bocca secca e si stupì di cogliere la sensazione di sentirsi più leggero, come se qualcuno gli avesse tolto un enorme peso dalle spalle. Riafferrò la bottiglia di liquore e buttò giù due lunghi sorsi «Giudicami se vuoi, criticami, ma non cambierò il mio modus operandi. Non con una guerra alle porte. Non quando sono così vicino al trovare quello che sto cercando.»

Non fece in tempo a ribattere nulla, il Capitano, che l'allarme scosse nuovamente la Tower dalle fondamenta.
Si scambiarono una lunga occhiata, e Steve rivide pulsare quel Vuoto che l'inventore sapeva nascondere così bene, e Tony rivide, nello sguardo vivo e limpido del Capitano, quello morto e opaco della visione di Wanda.

«La discussione non è finita qui.» concluse il Capitano, girando sui tacchi e avviandosi verso la Sala Riunioni.

«Perché.. non hai... fatto... di più...»

 

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Capitolo 8
*** [Gift] ***


[Gift]

...Anywhere, I would've followed you
Say something, I'm giving up on you...

(...Ovunque, ti avrei seguito
Dì qualcosa, sto rinunciando a te...)

«Cos'è successo?!» urlò il Capitano, entrando nella sala comune correndo, seguito a ruota dall'inventore.

«Un ultimatum.» fu la risposta laconica e secca dell'agente Romanoff, mentre con lo sguardo scorreva dei documenti in uno dei display interattivi che fungevano da computer di Tony.

Steve lanciò un occhiata interrogativa a Barton, l'unico che in quel momento stava in un angolo con le braccia conserte senza far nulla.

«Ci hanno dato 24 ore per arrenderci. Dopodiché ci attaccheranno con un esercito mastodontico.» rispose senza alcuna inflessione nella voce, staccandosi dalla parete e lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi.

«E aperto dall'interno...» si ritrovò a mormorare l'inventore.

«Cosa?» chiese Barton, confuso.

«Il Portale, è aperto dall'interno. F.R.I.D.A.Y. non ha rilevato alcuna fonte di energia che lo tenga aperto dall'esterno, ossia dalla Terra.» spiegò Stark, attirando l'attenzione di tutti gli altri.

«Quindi c'è una specie di Bifrost che collega i due mondi?» chiese Thor, spuntandogli alle spalle e facendolo sobbalzare.

«Più probabilmente è aperto da qualcosa simile al Tesseract, solo che è stato messo in funzione dall'interno. F.R.I.D.A.Y. ha trovato più riscontri con il portale aperto da Loki che con il Bifrost.» rispose, iniziando a stuzzicarsi il pizzetto con un pollice, le braccia conserte.

«Quindi dovremmo distruggere tutto quello che si trova dall'altra parte oppure accettare la resa?» concluse la Romanoff.

«Non ci sarà nessuna resa.» abbaiò secco il Capitano.

«Chissà com'è, ma me lo aspettavo. Per fortuna in questi ultimi mesi non sono rimasto con le mani in mano...» replicò con il suo solito sorrisetto l'inventore, prima di lasciare la stanza senza degnare nessuno di un saluto, la mente già persa nei suoi progetti.

«Bene. Dunque, abbiamo 24 ore prima che si scateni l'Apocalisse, direi di andare a prepararci. O a pregare.» concluse il dottor Banner, uscendo dalla stanza e recandosi verso un lungo impreciso.

Pian piano, alla spicciolata, tutti uscirono dalla stanza. L'ultimo fu il Capitano che, con un sospiro, non sapendo cos'altro fare, si diresse verso il laboratorio di Tony, con l'intenzione di continuare la discussione poco prima intrapresa.

Trovò però la porta chiusa, e ad attendere che questa si aprisse, la signorina Potts.

«Quell'incosciente» stava borbottando quest'ultima «Sparisce per mesi e quando si fa vivo non viene neanche a salutare! E dire che ho dovuto risolverli io tutti i casini che si è lasciato dietro con la stampa...»

Steve si avvicinò impacciato, non sapendo come comportarsi, trovandosi solo con la donna.

Tony e Pepper erano stati a lungo fidanzati e tutto il mondo aveva la certezza che si sarebbero sposati, prima o poi. Poi però si erano bruscamente allontanati: la signorina Potts, non riuscendo più a reggere e a gestire le stravaganze dello Stark, aveva deciso di troncare il rapporto, cosa che fece nascere impossibili congetture su Tony da parte della stampa. I giornalisti, però, non si erano affatto curati della cena in uno dei ristoranti più eleganti di Manhattan che la segretaria aveva avuto con lo scienziato Aldrich Killian, neanche una settimana dopo la rottura della storica coppia.

Tony in risposta non solo aveva dichiarato di non dargli assolutamente peso, ma si era anche definito felice per Potts e per il nuovo, imminente, fidanzamento di quest'ultima. Ma il Capitano sapeva che non era così: era sempre stato bravo a leggere le persone e, anche se con Tony aveva avuto non poche difficoltà, aveva capito dal suo sorrisetto fisso e immutabile e dalle quantità di alcool che andavano via via esaurendosi, che l'inventore ci aveva sofferto molto, ma molto di più di quanto desse a vedere.
E ora eccola lì, quella donna che aveva tanto ferito quell'uomo che, ormai, era diventato centro di ogni suo pensiero.
Si passò una mano tra i capelli, salutando con un sorrisetto appena accennato la donna che rispose altrettanto cortesemente.
Fu salvato dall'impiccio dalla voce di Tony che lo chiamò per nome dall'interno del laboratorio. Pepper lo guardò inarcando le sopracciglia sorpresa: dopotutto, erano ancora tutti convinti che i due fossero ancora in eterna lotta l'uno contro l'altro e non sapevano quanto quella singola, scorsa notte avesse stravolto tutto.
Con un sorrisetto tirato, il Capitano varcò la porta che Steve aveva aperto e che si richiuse subito dietro di lui, senza far passare la signorina Potts. Beh, un po' di rancore doveva essere pur rimasto.

Vide un oggetto volargli contro e, con prontezza di riflessi, si protesse il volto con un braccio. E l'oggetto volante in questione si adattò al suo braccio, fissandosi su di esso.
Steve guardò sgranando gli occhi lo scudo che ora aveva agganciato al braccio.
Alzò lo sguardo da quello e incrociò gli occhi dell'inventore che sorrideva soddisfatto.

«Come è possibile che lo senta ancora più leggero?» gli chiese con un sorriso entusiasta.

«È possibile perché io sono un genio. E non è solo più leggero! I bordi sono fatti in modo da trapassare cemento armato come burro e se premi questo pulsante...» disse avvicinandosi e, dopo aver messo la mano sotto lo scudo e aver incontrato le sue dita, gli fece notare un piccolo pulsantino sotto il suo dito indice. Lo permette e un campo di forza largo minimo cinque volte lo scudo, si aprì sopra di questo.

«E così le tue manie di super-protezione vengono accontentate. Ci puoi nascondere anche 15 persone più un Hulk qua sotto, e il peso è nullo visto e considerato che è una barriera di energia pura. Allora... ti piace?»

Un sorriso timido arcuò gli angoli della bocca dell'inventore. Era qualcosa di così estraneo e tenero sul suo volto, che il Capitano ne rimase abbagliato. Quest'ultimo rimase un attimo immobile, come sospeso, poi abbracciò con foga l'altro, facendo attenzione a non ferirlo con lo scudo. Poi si chinò su di lui e gli posò un dolce bacio sulle labbra.

«E un sì?» chiese l'inventore contro le sue labbra, circondandogli il collo con le braccia e mettendosi in punta di piedi per raggiungerlo. «Ti hanno mai detto che sei troppo alto, Rogers?» aggiunse quindi, senza staccarsi da lui, in tono scherzosamente seccato.

L'altro ridacchiò un "Sei tu troppo basso, Stark" e si staccò da lui.

«Bene!» esclamò l'inventore, congiungendo le mani «Adesso via di qui, Rogers, che sei una distrazione» e così dicendo, tornò a immergersi nel proprio lavoro, ignorando totalmente il Capitano.

"Certe cose non cambieranno mai" si ritrovò a pensare Steve, andandosene con un sorrisetto, lasciando del tutto perdere la 'ramanzina' che aveva già in mente per l'inventore.

~o~

Sentì la porta del laboratorio aprirsi. Poi chiudersi.
Un largo sorriso amaro gli si disegnò sulle labbra, sostituendo e scalzando del tutto il precedente, quello carico di affetto destinato a Steve.
Negli ultimi tre mesi, non aveva fatto altro che lavorare a quello scudo, ininterrottamente, senza sosta. Ma mai avrebbe immaginato che il regalo che gli avrebbe fatto sarebbe stato usato così presto e in quelle circostanze, né tanto meno avrebbe mai ipotizzato che sarebbe stato un regalo d'addio.
Addio.
Sì, perché Tony aveva pensato, studiato, calcolato, ma non aveva trovato altre soluzioni: l'unico modo per chiudere quel portale distruggendo tutto ciò che nascondeva, comportava un sacrificio. Modico prezzo, se paragonato alla salvezza del mondo ma era un prezzo che solo l'inventore poteva e voleva pagare: non avrebbe permesso a nessun altro di farsi carico di quel fardello.
Ma non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Tutti credevano in lui e nel suo genio, si aspettavano che avrebbe fornito loro un arma capace di una distruzione tale. E lui non li avrebbe delusi.

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Zan zan! Cosa avrà in mente Tony? Riuscirà Steve a impedirgli qualsiasi atto potenzialmente pericoloso? Il mondo cadrà in un era oscura? Gli alieni uccideranno qualcuno di importante? Ovviamente non vi darò nessuna risposta a nessuna di queste domande *sorrisetto diabolico*

Detto questo... vi sta piacendo? Fatevi sentire! Potrei anche decidere di essere più buona con i seguiti... forse... *altro sorrisetto diabolico*

 

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Capitolo 9
*** [To save my world] ***


[To save my world]

...And I will swallow my pride
You're the one that I love
And I'm saying goodbye...

(...E ingoierò il mio orgoglio
Tu sei la persona che amo
E ti sto dicendo addio...)

Quando il Capitano tornò in laboratorio era notte inoltrata. Non lo aveva visto in giro, quindi aveva giustamente pensato che Tony stesse ancora in laboratorio. E quella notte, che poteva essere la loro ultima notte, Steve aveva bisogno di passarla al fianco dell'altro.
Trovò l'inventore chino sul largo tavolo che troneggiava al centro del laboratorio, che dormiva profondamente, sopra un ammasso di progetti e strumenti elettronici a cui non seppe dare un nome. 
Chinò la testa di lato, rimanendo a fissare incantato il volto addormentato di Tony: era più pallido del solito, nuove rughe marcate gli segnavano la fronte, denotando il suo stress, che da sveglio ben dissimulava, ed ogni tanto le sue sopracciglia di corrugavano a scatti, chiaro indice di un vivido sogno in corso.
Gli si avvicinò, senza riuscire a staccare lo sguardo dal volto dell'altro. Gli sembrava così vulnerabile in quel momento che quasi stentava a riconoscerlo.
Sarebbe rimasto lì a guardarlo per ore, se non fosse che all'improvviso l'inventore urlò il nome di Steve con un angoscia tale da spaventare oltremisura il Capitano. Quest'ultimo gli si avvicinò di scatto, pensando che l'altro fosse stato improvvisamente colto da un malore, quando si accorse che invece stava ancora dormendo profondamente. 
Tony mormorò ancora il suo nome, questa volta con una tristezza profonda e palpabile. 
Steve lo scosse gentilmente per una spalla, la fronte aggrottata e lo sguardo preoccupato, cercando di svegliarlo.
Ma quello non fece che agitarsi di più. Quando poi copiose lacrime presero a rigare le guance dell'inventore, il Capitano prese a scuoterlo con più forza, chiamandolo fermamente per nome: non riusciva a tollerare la vista di quel grande e forte uomo ridotto in lacrime, seppur nel sonno e inconsapevole delle reazioni del proprio corpo.
Tony si svegliò di scatto, gli occhi arrossati e sgranati che facevano trasparire una sofferenza inimmaginabile.
Steve si strinse al petto il corpo tremante dell'altro, prendendo ad accarezzargli la schiena cercando di calmarlo.

«Steve...» mormorò ancora l'inventore, questa volta con autentico sollievo, buttandogli le braccia al collo e respirando a fondo l'odore rassicurante dell'altro. «Mi dispiace... Non ci sono alternative... È compito mio... Ma non fa nulla... Non mi servono alternative... »

Il Capitano, facendo forza sulle ginocchia, lo prese in braccio e insieme si diressero nella stanza di Steve che era stata la camera di Tony. 
Quest'ultimo non smise un attimo di tremare e di continuare a mormorare il suo nome, intervallandolo con quei 'mi dispiace' e 'è compito mio'. 
Steve non commentò, restando però perplesso. Lo mise a letto e continuò a rassicurarlo fin quando non si addormentò nuovamente.
Il Capitano prese dunque a interrogarsi su cosa intendesse dire l'inventore con quelle frasi sconnesse. Forse erano solo dei rimasugli dell'incubo, ma se così non fosse stato... che Tony gli stesse nascondendo qualcosa? Non stentava a crederlo. 
Si staccò delicatamente dal Meccanico facendo attenzione a non svegliarlo, poi si diresse a  passo spedito verso il laboratorio.

«F.R.I.D.A.Y.!» chiamò a gran voce il Steve

«Mr. Rogers» salutò cortesemente l'AI da un punto impreciso della stanza.

"Ma come fa Tony a non impazzire? Parlare con questa intelligenza artificiale è come parlare ad una Voce..." si ritrovò a pensare.

«Ton- ehm... il signor Stark... parla spesso mentre dorme?» iniziò, con una domanda che non si avvicinava neanche lontanamente a quella che voleva porre.

«Solo quando ha incubi.» rispose un po' titubante l'AI

«E sarebbe...? Quante volte su 10?» insistette dunque lui, cercando di parlare all'intelligenza artificiale come faceva Tony.

«9 volte su 10» rispose prontamente prima di aprire davanti ai suoi occhi una serie di statistiche.

Anche se Steve non era un esperto in materia, capì che, nell'ultimo anno, l'inventore aveva avuto solo 8 notti 'tranquille', in cui non era compresa neanche la notte che avevano passato insieme.

Quindi non era una novità ciò che era appena successo... Ma perché gli aveva detto proprio quelle parole?

« Non ci sono alternative... Non servono alternative... »

La voce di Tony tornò a mormorargli all'orecchio, con quel tono sofferente.

E uno strano presentimento gli strinse il cuore in una morsa.

«F.R.I.D.A.Y. ...» azzardò lentamente Steve «A cosa stava lavorando Tony?»

«Ad un modo per chiudere il portale.» rispose velocemente l'AI.

«E... l'ha trovato?» chiese esitando un po' mentre una strana consapevolezza si faceva strada dentro di lui.

«Sì» affermò aprendo una serie di pannelli.

Extremis, recitava il titolo.

«È un virus ideato dal dottor Aldrich Killian che potenzia le abilità umane. Il progetto però è stato un fallimento in quanto i  delle persone a cui è stato somministrato è stata sopraffatta dalla potenza del virus, ed è infine esplosa dando origine a distruzioni e incedi vari che hanno mietuto non poche vittime. Il signor Stark ha personalmente affrontato e sconfitto Killian, portando con sé però alcune dosi del virus per migliorarle e renderle efficienti.

Le ha trascurate fino alla battaglia contro Ultron, quando ha iniziato a lavorarci su senza successo: le sue modifiche hanno, invece, causato un esplosione dei soggetti con un raggio distruttivo maggiore rispetto a quello precedente. Tutto su scala ridotta al micrometro, ovviamente.

Mr. Stark ha appena terminato di potenziare il virus fino ad ogni margine l'ampiezza del raggio dopo l'esplosione, in modo da riuscire a distruggere tutto ciò che si trova aldilà del portale.» iniziò a snocciolare F.R.I.D.A.Y. in risposta.

Steve ci mise un po' a capire il nocciolo del discorso, e quando lo fece impallidì di colpo.

«Quindi qualcuno dovrà lasciarsi esplodere per vincere questa guerra?» la sorpresa della sua voce trapelava quasi a stento dalla gola serrata in un una morsa ad quel presentimento nefasto che andava via via acquisendo consistenza.

«Sì»

«Sarà qualcuno della squadra a doverlo fare?»

«Mr. Stark»

"Mr. Stark. Certo, è ovvio."  Steve sentì tutte le forze venirgli meno e crollò sulla sedia che conservava ancora un po' del calore dell'inventore.

«Tony non ha, che so, una bomba nucleare potenziata da qualche parte? Extremis non può essere l'unica arma che abbiamo!» esclamò a quel punto Steve, cercando inutilmente di nascondere una nota rotta nella voce.

«No, Mr. Rogers. Non ci sono alternative.» rispose con la sua robotica voce priva di espressione l'AI.

« Non ci sono alternative... È compito mio... »

Steve sentì il mondo cadergli sulle spalle. Un lamento sfuggì dalle sue labbra.

No. Non poteva davvero essere così.

Si erano appena trovati, aveva appena raggiunto l'irraggiungibile Felicità, e ora Tony stava per essergli strappato via. Era troppo presto, ancora troppo presto...

No. Meglio la morte che condannare Tony per avere salva la propria vita.

Il suo compito quale Avenger era salvare il mondo, ma come poteva farlo senza Tony al suo fianco, l'unico suo Mondo che desiderava davvero Proteggere, Salvare e Vendicare?

No. L'avrebbe impedito a qualsiasi costo.

A costo di mettersi contro gli Avengers, lo S.H.I.E.L.D., il Governo, Tony.

«F.R.I.D.A.Y., qual è il luogo più sicuro e con meno probabilità di fuga della zona?» chiese, il tono e l'espressione autoritaria di Captain America.

L'AI fu veloce nell'individuare il posto e ad inviargli le coordinate sul palmare.

«Posso chiederle a cosa le serve?» azzardò F.R.I.D.A.Y.

«A salvare un mondo. Il MIO mondo.»

 

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Capitolo 10
*** [Chains] ***


[Chains]

Say something, I'm giving up on you...
(...Dì qualcosa, sto rinunciando a te...)

L' odore acre della muffa gli riempiva lentamente i polmoni, mentre il freddo gelido del pavimento di marmo su cui era seduto si impossessava dei suoi muscoli, irrigidendoli.
Mosse i polsi, facendo tintinnare le catene che pendevano da essi.

«STEEEEEEVE!!!» urlò ancora, per l'ennesima volta, con tutto il poco fiato che gli era rimasto.

L'eco del suo grido rimbombò tra le pareti e fuori, nei corridoio, oltre le sbarre della propria 'porta'.
Chinò il capo con un sospiro esausto, abbassando uno sguardo sui ceppi che gli legavano anche le caviglie. Mosse un po' anche queste, sentendole indolenzite. Spostò lo sguardo sulla piccola finestrella in alto, da cui non riusciva a scorgere niente che non fosse altro cemento. Poi l'occhio gli cadde sulla propria ombra spiegazzata che si allungava sul pavimento. I profili delle catene erano gli unici distinguibili in un ammasso scomposto di sagome.
Un sorriso amaro gli si disegnò sulle labbra.
Tony Stark, Iron Man, incatenato ad un muro come il peggiore dei criminali per aver cercato di salvare il mondo.

~o~

L'alba aveva iniziato a colorare il cielo con i suoi argentei colori, quando, aprendo gli occhi, si era trovato di fronte lo sguardo illuminato da una strana luce del Capitano.
Gli aveva sorriso con pigra dolcezza, ma l'altro non aveva risposto.

«Extremis» aveva esordito invece lanciandogli contro un malloppo di carte, per lo più schizzi, staccando lo sguardo da quello dell'altro «Quando avevi intenzione di dirmelo?»

«Tra un paio d'ore, durante il 'concilio di guerra'» rispose quindi mettendosi a sedere, senza far perdere il sorrisetto, che però contrastava con il suo sguardo, duro e fermo, afferrando al volto il proprio lavoro «Come sei arrivato in possesso dei miei progetti?»

«Cosa hai intenzione di fare, eh Tony?!» ribatté invece l'altro, fulminandolo con uno sguardo carico d'ira.

«Salvare il mondo, come ogni Avengers è tenuto a fare. O forse hai dimenticato che faccio parte della squadra anch'io?» si mise in piedi, avvicinandosi a lui a passo lento e iniziando ad accompagnare le sue parole con gesti calmi e sicuri.

«Sai, non sono solo una carta di credito. Sono Iron Man, ed è mio dovere-»

«È TUO DOVERE PROTEGGERE LA TERRA, NON FARTI ESPLODERE!!!» urlò a quel punto Steve, interrompendolo bruscamente.

«È L'UNICO MODO!» rispose alzando anch'egli la voce, per poi passarsi una mano sul volto e continuare, più pacatamente «Non pensi che se ci fosse stato solo un altro singolo modo, avrei abbandonato Extremis immediatamente?!»

«E a me, a NOI, non ci pensi?» provò quindi Steve, cambiando totalmente approccio e iniziando quasi a supplicarlo, gli occhi sgranati puntati verso il basso e le labbra tese in una linea sottile.

«E proprio a te che penso! Come penso alla Terra e ai suoi milioni di abitanti. Steve... Proprio tu dovresti capire. Se non distruggiamo quel maledetto portale, non saremo i soli a morire per mano di quegli alieni...» disse addolcendo il tono e avvicinandosi a lui fino a poggiare le mani sulle larghe spalle dell'altro «Il mondo adesso non ha bisogno di Steve Rogers e Tony Stark, ma di Captain America e Iron Man. Sai perfettamente che è la cosa giusta da fare, non possiamo far prevalere il nostro lato umano in questi casi, e lo sai anche meglio di me... Fammi fare la cosa giusta e salviamo questo mondo.»

«...Ma perché proprio tu?» mormorò dopo un po' l'altro, lo sguardo fiero fisso in quello ostinato dell'altro.

«E chi dovrebbe farlo? Clint, che ha tre figli che lo aspettano a casa? È l'unico idoneo della squadra, oltre il sottoscritto: non so che effetto possa avere il virus sui corpi geneticamente modificati tuo e di Banner, per non parlare del DNA divino di Thor che non combacia quasi per niente con il nostro... E poi, Steve, davvero credi che permetterei a qualcun altro, QUALSIASI altro, di pagare questo prezzo al posto mio?»

Il sorriso dolce che l'inventore rivolse al Capitano, però, non riuscì a cancellare la disperazione negli occhi di quest'ultimo. Quindi Tony lo attirò a sé, cingendogli il collo con le braccia. Steve chiuse gli occhi, respirando a fondo l'odore dell'altro.

«No.» disse con disperata risolutezza il Capitano, staccandosi lentamente dall'altro «Non ti guarderò morire, non oggi, non con la consapevolezza di non star per seguirti a ruota.»

Sotto lo sguardo basito dell'inventore, Steve estrasse da una tasca una piccola siringa. L'altro non ebbe tempo di reagire né di fare alcunché, che il Capitano gli affondò la siringa nel collo con un gesto rapido e preciso.
Quando l'inventore si accasciò su sé stesso, Steve fu rapido a sorreggerlo.

«Mi dispiace, ma non posso lasciartelo fare. Non a te.» disse quest'ultimo, prendendo delicatamente in braccio il corpo abbandonato dell'altro e stringendoselo al petto.

Poi sgattaiolò fuori non visto da nessuno e, senza staccare neanche per un attimo lo sguardo dal volto dell'inventore, lo appoggiò delicatamente sui sedili posteriori di una delle numerose auto di Tony. Poi si infilò al posto di guida.
Mentre la strada si srotolava davanti ai suoi occhi, sentì il morso dei sensi di colpa stringergli la gola. Quel che stava facendo in quel momento, andava contro tutti i suoi principi morali: 'Mai mettere sé stesso al primo posto' e 'Non lasciare che le emozioni influiscano sul lavoro', erano le sue regole fondamentali, e mai prima di quel momento le aveva infrante. Eppure in quel momento si trovava lì, a trasportare un uomo privo di sensi che rappresentava probabilmente l'unica possibilità di vittoria in quella guerra.
Premette maggiormente il piede sull'acceleratore.
Era una Catena spessa quella che lo legava a doppio filo all'inventore, non la poteva semplicemente tagliare o far saltare in aria. Era ancorata troppo in profondo, nel suo animo... e non ce la faceva. Non ce la faceva a reciderla.
Ormai non c'era più spazio per i ripensamenti: aveva scelto di salvare l'unica persona che valesse la pena di essere salvata e non sarebbe tornato sui suoi passi.

«Tony. Tony. Tony.» prese a mormorare tra i denti, come se stesse pronunciando una parola magica. E sperò che il suo desiderio, qualunque esso fosse – non sapeva dirlo neanche lui di preciso- si avverasse.

_____________________________________________________

Ta-da. Sì, beh, lo so. Vi aspettavate finalmente questa dannata guerra, e invece non faccio che temporaggiare, ma, che dire voglio prolungare la nostra agonia XP

And... PROMETTO SOLENNEMENTE CHE NEL PROSSIMO CAPITOLO ARRIVERO' AL DUNQUE!! 

Quindi... se il mondo non finirà prima... al prossimo capitolo.

P.s.: un grandissimo GRAZIE a voi che mi seguite! <3

 

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Capitolo 11
*** [From the gap] ***


[From the gap]

...Say something, I'm giving up on you...
(...Di qualcosa, sto rinunciando a te...)

 

«Capitano, dov'è Stark?»

Erano sul campo di battaglia. Avevano fatto evacuare tutta la zona per chilometri, sperando che fosse abbastanza. 
A parlare era stato Nick Fury, attraverso gli auricolari che ogni Avengers possedeva e che erano collegati gli uni agli altri.

«Non lo so» rispose laconicamente Steve.

Non era stato mai molto bravo a mentire, non era nel suo DNA, letteralmente, ma quella volta impose ai propri muscoli di non far partire nessuno dei suoi soliti tic che accompagnavano ogni sua menzogna.

«Hill.» abbaiò dunque la Spia «Trova quell'idiota. Questa è una battaglia che non si può permettere di saltare. Solo lui può chiudere quel maledetto portale.»

Rogers contrasse la mascella. Il luogo in cui aveva segregato l'inventore era più che nascosto, ma il Capitano sapeva che, pur mettendoci più tempo, lo S.H.I.E.L.D. l'avrebbe trovato. E a quel punto non ci sarebbe stata scusa che reggesse: Tony sarebbe morto. Doveva sbrigarsi a vincere quella guerra.
E in quel preciso momento, dal varco fuoriuscirono le prime creature: sembravano, più che esseri viventi, dei Cyberg-uomini, che cavalcavano mostruosi esseri anch'essi metallici. 
Il Capitano chiuse gli occhi, fece un respiro profondo. Quando risollevò le palpebre, il suo sguardo era duro, determinato. 
Iniziò ad dettare ordini che gli Avengers in fretta eseguirono. E mentre lo faceva, immaginava come sarebbe stato se Tony fosse stato al suo fianco, in quel momento, poco propenso ad ubbidirgli come al solito.
Scacciò immediatamente quei pensieri, calcandosi in testa l'elmetto. La battaglia stava per iniziare, non poteva lasciarsi distrarre.

E in breve lo scontro ebbe inizio.
Non ci fu più tempo per pensare, per riflette, per comunicare tra loro. 
A parlare furono i corpi dei Vendicatori, che con tutti i mezzi in loro possesso, non facevano altro che falciare i nemici: Barton dall'alto con le sue frecce; Thor, Cap e la Romanoff da terra, creando principalmente onde d'urto con il Mjöllnir e lo Scudo; Hulk che saltava sopra i destrieri più enormi e duri da abbattere, come era avvenuto contro i Chitauri. 
E lo scontro, forse fin troppo velocemente, terminò.
Erano tutti e quattro feriti, chi più chi meno, ma sorrisi sgargianti illuminavano i loro volti, specialmente quello del Capitano che già immaginava le proprie braccia intorno alle spalle dell'inventore e le proprie labbra su quelle dell'altro.

Ma avevano cantato vittoria troppo presto.

Si sentì un boato, come quello di un tuono, solo che ancora più fragoroso e con una durata fin troppo eccessiva. Era un grido di guerra. 
In breve il cielo di oscurò, coperto da guerrieri sembravano poter fuoriuscire dal portale senza fine. Erano un'orda immensa.

«Era solo l'avanguardia.» mormorò sgomentato Thor, riferendosi ai nemici appena sconfitti ed esprimendo lo sconcerto della squadra.

Furono presto investiti dalla potenza di quello smisurato esercito, il caos regnava sovrano.
I Vendicatori si persero di vista nella bolgia, e ognuno si ritrovò a combattere accanitamente per avere salva la vita.
Il Capitano si ritrovò ben presto circondato da decine di nemici. Non importava quanti ne uccidesse o ne ferisse, questi erano istantaneamente rimpiazzati da altri soldati, riposati e appena arrivati dal Varco, che sembrava non voler terminare più di sputare quegli esseri robotici. 
E dopo poco, Steve si ritrovò a terra, sanguinante per le numerose ferite subite, la vista offuscata e i nemici che continuavano a marciare impietosi su di lui e sui suoi compagni. Avevano perso. I nemici erano troppi, e loro troppo pochi.

La Terra era perduta.

Vide uno di quei cosi alzare la lancia elettrica che impugnava per sferrare il colpo di grazia sul corpo morente del Capitano, quando un raggio di luce centrò in pieno il suo aggressore, sbalzandolo lontano. E a quel raggio seguirono molti altri, che annientarono sul colpo tutti i nemici che lo circondavano.
La prima cosa che Steve pensò – data la sua mente confusa, i suoi ricordi indistinti e la sua fervida fede che neanche settant'anni sotto ghiaccio poteva cancellare – fu ad un intervento divino.
Poi il suo corpo abbandonato in una pozza di sangue, fu sovrastato da una lunga ombra e da un rosso luccichio metallico. 
Iron Man.
Tony Stark fece alzare velocemente la maschera dall'armatura, inginocchiandosi difronte all'altro, lo sguardo lucido dalla preoccupazione e il volto increspato da numerose rughe, assenti neanche 36 ore prima..

«Steve...» gemette piano, vedendolo in quello stato. Poi ordinò alla propria armatura di aderire al corpo dell'altro e di portarlo in salvo, mentre, come da ultima modifica, quella iniziava in processo di riproduzione delle cellule e di guarigione delle ferite.

«No, Tony. Non lo fare.» mormorò debolmente il Capitano «Non puoi... andare... in quel... portale.»

L'inventore gli sorrise debolmente.

«Ora tocca a me, Capiscle. Non permetterò a niente e nessuno di rubarmi la casa. Pensa solo a rimetterti in piedi per quando ritornerò, okay?» disse con un sorrisetto dolce.

Poi un'altra armatura, precedentemente chiamata, avvolse Tony.

L'ultima cosa che Steve vide prima di essere trasportato lontano dall'armatura dell'inventore, fu Iron Man colpire la stragrande maggioranza degli alieni intorno agli altri Avengers facilitando loro il lavoro, prima di sparire aldilà del varco.

«Torna.» fu il mormorio spezzato che il Capitano mormorò a Tony tramite l'auricolare.

Poi l'oblio lo avvolse, e rispose il silenzio.
 

 

 

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Capitolo 12
*** [The end of everything the beginning of something] ***


[The end of everything the beginning of something]

...Say something...
(..Dì qualcosa...)

Un rumore di passi riecheggiò per i corridoi fino a giungere alle sue orecchie.
                   
"Tre uomini. Cadenza del passo militare. Membri dello S.H.I.E.L.D. probabilmente." decretò tra sé Stark, lo sguardo fisso, puntato sul lercio muro che aveva di fonte, i polsi che avevano incominciato a dolergli stretti nelle catene.

Non sapeva quanto tempo era rimasto lì segregato, ma finalmente sembrava che qualcuno fosse giunto per liberarlo da quella prigione. 
Dopo un po' udì delle imprecazioni aldilà della porta della sua cella. Spostò lentamente gli occhi arrossati dalla spossatezza, e li incrociò con quelli di Maria Hill.

«Lo abbiamo trovato, signore.» stava dicendo in quel momento l'agente tramite il cercapersone, probabilmente parlando a Fury.

Gli altri due agenti che erano con lei, abbatterono la porta e lo liberarono dalle catene. Tony si massaggiò con calma i polsi arrossati.

«Chi è stato?» chiese immediatamente l'agente Hill.

«Rogers.» rispose seccamente lui mentre un sorriso amaro gli increspava il volto.

«Rogers? So che tra voi non scorre buon sangue, ma spingersi fino a questo punto... Perché mai avrebbe fatto una cosa del genere? » ribatté l'altra aggrottando le sopracciglia.

«Perché ho trovato il modo per chiudere il Portale, ma reputa il prezzo troppo alto, quindi... eccomi qui.» rispose mentre il suo sorriso si allargava, più mesto.

Porgendogli una mano, Maria Hill lo aiutò ad alzarsi e insieme si incamminarono verso il soffitto dell'edificio, dove li attendeva un hovercraft, senza proferir altra parola.

«Qual è il prezzo?» chiese l'agente, mentre atterravano sull'Avengers Tower, interrompendo così il lungo silenzio.

A 200 metri di distanza, intanto, il primo scontro tra gli alieni e i Vendicatori si consumava.

«La mia vita.» rispose seccamente, prima di dirigersi a passo spedito verso le proprie armature, nel laboratorio. 

Le attivò tutte, così che, anche senza essere in ognuna di loro, avrebbe potuto manovrarle in sincronia, ritrovandosi dunque a capo di un vero e proprio esercito. 
Fece scivolare lo sguardo su una foto, ben nascosta nei meandri del laboratorio: ritraeva Steve chino su un blocco da disegno, con lo sguardo concentrato e il buffo sorrisetto che gli inarcava le labbra ogni volta che impugnava una matita. Solo dopo il click della macchina fotografica, il Capitano si era accorto della presenza dell'inventore e gli aveva fatto promettere – con le guance d'un rosso acceso – di cancellare quella foto. Promessa che Tony non aveva mantenuto. 
Accarezzò con le dita il bordo rovinato della foto, perso in quei ricordi.
Fu la voce intransigente di Fury a scuoterlo da quei pensieri. Senza una parola, chiamò a sé l'ultima armatura da lui progettata: conteneva alcuni sistemi simili a quelli presenti nella Culla Rigeneratrice ideata e costruita da Helen Cho, che garantiva, per l'appunto, ad una rigenerazione delle cellule più veloce rispetto alla norma. Quella armatura rappresentava il 3% delle possibilità che Tony aveva di sopravvivere, un 3% che si sarebbe fatto bastare pur di ritornare a casa, dallo sguardo dalle mille sfaccettature del Capitano. 
Una manciata di secondi, e si ritrovò a sorvolare il campo di combattimento con la sua schiera.

E fu così che lo vide.

Il corpo abbandonato in una larga pozza di sangue, coperto da innumerevoli ferite, di cui solo la metà sarebbe bastata per uccidere un uomo comune, un folto gruppo di mostri chino su di lui, pronti a infliggergli il colpo di grazia. Si fiondò immediatamente verso di lui, dimenticando tutto: la missione, la salvezza della Terra... Niente era più importante, se non il corpo morente dell'uomo che ormai occupava i suoi sogni e i suoi incubi da fin troppo tempo. Incubi, come quello che si era appena materializzato davanti ai suoi occhi. 
Fece alzare la maschera, scrutando a fondo il volto emaciato dell'altro, gli occhi sgranati, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva davanti, come se fosse tutto parte dell'ennesimo sogno.

«Steve...» la voce gli si spezzò, mentre si scrollava l'armatura di dosso e la faceva aderire al corpo del Capitano, in modo che avesse salva la vita. E così anche le sue scarse probabilità di sopravvivenza non divennero che una irrealizzabile illusione, ma ne valeva la pena. Steve doveva sopravvivere a qualsiasi costo.

«No, Tony. Non lo fare. Non puoi... andare... in quel... portale.» Il sussurrò debole del Capitano gli strinse una morsa al petto.

Se solo non si fosse lasciato imprigionare così facilmente, se solo avesse lottato di più contro Steve, magari convincendolo a stare al sicuro, lontano dal campo di battaglia, tutto quello non sarebbe successo.
Si sforzò di sorridergli, ottenendo nient'altro che un tentativo fiacco.

«Ora tocca a me, Capiscle. Non permetterò a niente e nessuno di rubarmi la casa. Pensa solo a rimetterti in piedi per quando ritornerò, okay?» disse, marcando il sorriso per cercargli di comunicargli tutto l'amore che provava verso l'altro.

Tornare. 
Gli stava mentendo spudoratamente.
Eppure non poteva farne a meno: se il Capitano avesse saputo la verità, se avesse saputo che quello era un addio, avrebbe potuto scegliere di smettere di lottare e a quel punto... No, non poteva neanche immaginare un mondo senza Steve Rogers, gli Avengers senza Captain America. 
Quindi sorrise a Steve, mentre i suoi occhi urlavano la propria agonia. 
E l'armatura che ospitava il Capitano si allontanò, dirigendosi sott'ordine di Tony all'ala medica della Tower dove i medici erano già stati allertati del suo arrivo in pessime condizioni. 
Con difficoltà staccò il proprio sguardo dalla figura dell'altro. 
Diede ordini precisi alle armature, cosicché in breve sterminassero gli alieni già approdati. Iron Man colpì le prime fila di nemici che circondavano gli altri Avengers per facilitare loro l'opera di sterminio. Poi diresse il suo sguardo verso il Portale, da cui non smisero neanche per un attimo di fuoriuscire creature. 
Fu colto da un irrazionale terrore che urlava alle sue gambe di fuggire il più lontano possibile. Tony in risposta mise la massima potenza nei repulsori posizionati sotto gli 'stivali', arrivando in una manciata di secondi a pochi passi dal Varco. Mise fuori combattimento la stragrande maggioranza dei nemici che solcavano i cieli e varcò quindi il confine del Portale, che le altre armature gli stavano tenendo sgombro per quanto possibile. 
Chiuse gli occhi, traendo un profondo respiro.
E rivide Steve, il suo sorriso, la sua risata, il luccichio nei suoi occhi che sembravano vedere qualcosa di buono anche in uno come Tony Stark. 
Poi tutto successe in un attimo.
Premette un pulsante, e un ago gli si conficcò alla giugulare. 
Dopo pochi battiti di cuore, il dolore più atroce che avrebbe mai potuto provare si impossessò della sua mente e del suo corpo in preda a violente convulsioni. 
Un urlo gli risalì la gola, carico di dolore. Il grido di una bestia morente.
Gli altri Vendicatori, ignari e preoccupati, presero a chiamarlo urlando il suo nome, a chiedergli cosa stesse succedendo, ma Tony non riusciva a pensare, a parlare, a muoversi, ma soprattutto non riusciva a muovere le labbra immobili nel loro grido disumano nel nome dell'unica persona per cui era valsa la pena vivere e per la quale sarebbe morto anche altre 10,100, 1000 volte. 
C'era solo il fuoco.
Un fuoco che lo corrodeva dall'interno, scorrendogli nelle vene, annerendogli la pelle. Fuoco, che stava per prendere inesorabilmente possesso del suo corpo.
Ma l'inventore non si sarebbe lasciato sconfiggere dal virus senza combattere. 
Strinse i denti, domando a stento il dolore. Con un urlo bestiale, spinse fuori da sé le fiamme, come si espelle un corpo estraneo. E fu come se si fosse spalancata la bocca dell'Inferno. 
Bruciava il suo corpo, la sua mente, la sua anima.
Bruciavano gli invasori, le loro cavalcature, il loro mondo.
Bruciavano le stelle, il cielo, la vita.
E mentre Tutto bruciava, il Portale si chiuse alle sue spalle senza un suono. 
La Terra era salva. Steve era salvo.
Fu con questo pensiero e un sorrisetto mesto ma soddisfatto che gli inarcava le labbra, che Anthony Edward Stark si spense, estinguendo le fiamme e affogando nell'Oblio.

~o~

Bip... Bip... Bip...

Il rumore inconfondibile prodotto da un elettrocardiogramma.

Un dolore fisso, al posto del cuore, dove una voragine sanguinolenta batteva al suo posto, tutto ciò che rimaneva della doppia Catena che lo legava a Tony Stark.
Lentamente le sue palpebre si sollevarono, rivelando uno sguardo spento, morto.
Il dottor Banner, che stava controllando alcuni fogli poco distante da lui, vedendolo sveglio si precipitò al suo fianco.

«T...To...ny...?» riuscì a stento ad articolare il Capitano, lo sguardo interrogativo che mal nascondeva la disperazione che provava, consapevole di quale sarebbe stata la risposta.

Di fatto, il dottore scosse mestamente la testa. La certezza di quella risposta fu come un colpo di pistola dritto al cuore. 
Steve gemette piano, mentre abbassava le palpebre per cercare di nascondere gli occhi inesorabilmente lucidi.

«Ti ha lasciato questo.» aggiunse Banner, passandogli un tablet su cui compariva un video. Poi il dottore lasciò la stanza per concedergli qualche attimo di intimità.

Era Tony, nel proprio laboratorio, la notte in cui gli aveva regalato lo scudo.
Vedere il suo sguardo penetrante e il suo solito sorrisetto sbilenco, sentire la sua voce profonda, gli fecero salire  un altro gemito alle labbra e ruppero i deboli argini dietro cui cercava di trattenere le lacrime, che ora solcavano calde e salate le sue guance.

«Ehi, Capiscle! Se stai vedendo questo video, vuol dire che non mi hai trovato di fianco nel nostro letto, quando ti sei svegliato. Non pensare subito ad una tresca con Banner, per l'amor del cielo, anche perché non è proprio il mio tipo. Io gli uomini li preferisco alti, biondi e con gli occhi azzurri.»

L'inventore corrugò la fronte, quasi come se stesse riflettendo su qualcosa della massima importanza «Non è che per caso ne conosci qualcuno così? Sai com'è, sono stanco di frequentare ultranovantenni.» e rise, facendo un occhiolino nella sua direzione.

Poi fece un profondo respiro, acquistando un espressione più composta, benché i suoi occhi brillassero ancora.

«Okay, torniamo seri. Se stai vedendo questo video, vuol dire che ce l'ho fatta, ho fatto il culo a quei figli di buonadonna. Stappiamo gli champagne e brindiamo!» La risata che ora uscì dalle labbra dell'altro era nervosa, quasi forzata, e il suo sguardo andò ad oscurarsi.

«Okay, okay, okay.» ripeté più volte, prendendosi ora a massaggiarsi le palpebre.

«Se stai vedendo questo video – giuro che questa è l'ultima volta che ripeto questa frase – vuol dire che non sono riuscito a tornare. Vorrei dirti che mi dispiace e che ne sono pentito, ma sappiamo entrambi che non è così. Sarà poca cosa, ma ti ho lasciato qualche spiccio in banca e la ricostruita villa di Malibu, se ti verrà mai la voglia di scappare dalla Tower... Ecco, ora starai per mandarmi a quel paese, dicendo che non vuoi niente da me o stronzate simili, ma lasciamelo fare, al più vendi tutto e amen.» Un sorrisetto mesto gli inarcò le labbra e il suo sguardo si fece lontano, distante, perso nei ricorsi «Riusciamo a litigare anche senza parlare noi due, eh? Abbiamo perso così tanto tempo ad azzuffarci... Perso così tanto tempo a farci la guerra...»

A questo punto si riscosse, mutando la propria espressione corrucciata in un sorrisetto dolce, di quelli che facevano sciogliere il cuore del Capitano.

«Ti chiedo un'unica cosa, Steve, ti prego, non dimenticarmi. Non dimenticare i miei errori, le mie sconfitte, i miei difetti. Probabilmente per il nobile sacrificio o roba simile, mi dipingeranno come qualcuno ben lontano dall'essere un uomo. Mi ricorderanno come Iron Man. Ti prego, tu ricordami come Tony. E... se anche ci sarà un solo modo per poter tornare indietro, da te, anche se dovessi inventarmelo, ti prometto che tornerò. Non so tra quando o come, ma ti prometto che tornerò.» Detto questo, le sue labbra si inarcarono in un sorriso arrogante. «Ricorda che sono Tony Stark, Capitan Ghiacciolo, e io riesco nell'impossibile. Quindi penso proprio che farò un salto da te, solo per darti un po' fastidio e per far vedere al mondo quanto so essere superiore a loro, semplici mortali indegni. So che hai colto la citazione.» e con questo ridacchiò piano, senza perdere l'espressione accattivante.

Poi tornò serio, sorridendogli dolcemente e facendogli un occhiolino. «Tornerò Capiscle, non ti sbarazzerai così in fretta di me.»

Poi la schermata divenne nera.
Il volto di Steve era bagnato dalle lacrime che ancora continuavano a scorrere, e le sue labbra erano piegate in un sorrisetto. Tony era riuscito a farlo sorridere anche in quel momento, mentre gli diceva addio. E rise il Capitano, gettando la testa in avanti e accartocciandosi su sé stesso, una risata priva di gioia, carica di sofferenza, che presto si confuse con i singhiozzi che presero a sconquassargli il corpo e l'anima. 
Ma quando alzò lo sguardo verso Banner che era appena entrato, nei suoi occhi brillava una scintilla di determinata speranza.
Tony glielo aveva promesso, sarebbe tornato.
E lui lo avrebbe aspettato.

~o~
Tre anni dopo

«Signore, è avvenuto tutto molto velocemente. Un piccolissimo portale, quasi impercettibile ai radar, si è aperto sulla foresta del . Una sagoma è precipitata da essa. Mandiamo qualcuno a controllare?» la voce di Maria Hill rimbombò tra le pareti dell'ufficio di Nick Fury.

«Manda Barton e Romanoff, che si tengano costantemente in contatto con la base e pronti a tutto. È da un po' che non riceviamo visite dallo spazio.» rispose la Spia, di spalle rispetto alla porta, poco distante dalla parete-finestra, lo sguardo immobile, fisso verso Manhattan, le mani allacciate dietro la schiena.

Non riusciva a muoversi di un millimetro. Il suo corpo, nudo, era sprofondato nella neve.  Tranne il candore di quest'ultima, il cielo plumbeo e qualche albero, non riusciva a vedere niente. Cercò di urlare a squarcia gola in modo da attirare eventuali passanti, ma la sua voce era troppo roca.

Il freddo e la stanchezza lo condussero presso nell'oblio.

Si riebbe quando sentì delle conosciute voci gemere sgomentate. Aprì pigramente prima un occhio e poi un altro. Sopra di lui, Clint e Natasha lo guardavano pallidi, gli occhi sgranati.

«Lo so che non sono niente male, signorina Romanoff, ma le spiacerebbe aiutarmi? Sa com'è,  credo di essere alquanto assiderato...» disse con il suo solito tono ironico, la voce ancora roca.

Tony Stark era tornano. 
Tony Stark era tornato per Steve Rogers.
Tony Stark era tornato per restare.

TO BE CONTINUED... 

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Ecco qui l'ultimo capitolo, grazie a tutti voi per avermi seguita fin qui - deve essere stato indubbiamente estenunate ^^'.

Fatemi sapere se questa piccola ff vi è piaciuta, e se vi va il seguito <3 

 

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Capitolo 13
*** - Il seguito - ***


-IL SEGUITO!!-

Ehi, guys! Volevo informarvi che ho appena pubblicato il seguito di Lost Time, Lost Creatures. E... beh, spero che vi piaccia, anche se fin ora ho scritto solo il prologo XP Fatemi sentire i vostri pareri, sia riguardo a Lost Time che al seguito, credo proprio di aver bisogno di qualche critica costruttiva che mi faccia andar su per la retta via u.u Grazie mille a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui.
Alla prossima ff ;)


 

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