Lovelessness - mancanza d'amore. di NeverThink (/viewuser.php?uid=61554)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciò che ho perso ***
Capitolo 2: *** The truth is hiding in my eyes ***
Capitolo 3: *** I only dream of you and you never knew ***
Capitolo 4: *** I tried to give you up, but I'm addice. ***
Capitolo 5: *** You're all that I want ***
Capitolo 6: *** Look what you're doing to me… why you break my heart? ***
Capitolo 7: *** I lost my head ***
Capitolo 8: *** I will wait for this moment, when our lips collide. ***
Capitolo 9: *** Broken inside ***
Capitolo 10: *** Jealousy ***
Capitolo 11: *** Take my hand tonight, let's not think about tomorrow ***
Capitolo 12: *** Love, sweet insanity ***
Capitolo 13: *** Seize the day ***
Capitolo 14: *** On the beach ***
Capitolo 15: *** Keep your hope ***
Capitolo 16: *** What the hell is going on? ***
Capitolo 17: *** What have I got to do? ***
Capitolo 18: *** You don't care ***
Capitolo 19: *** . I don't believe that anybody feels the way I do about you now ***
Capitolo 20: *** It's a sad, sad situation and it's getting more and more absurd ***
Capitolo 21: *** You're just a sad song with nothing to say ***
Capitolo 22: *** Lets go back to the start ***
Capitolo 23: *** You, are, the only exception and I'm on my way to believing ***
Capitolo 24: *** Can you feel the love tonight? ***
Capitolo 1 *** Ciò che ho perso ***
Lobelessness
Lovelessness
mancanza d’amore
Sbuffai,
irritata.
Possibile che non si era capaci di organizzare una gita in campagna?
”Tanto siamo poche. Cioè, alla fine ci metteremo a vedere la tv e passeremo la
giornata così.”, aveva detto Francesca.
”Ma si, fate ciò che volete, fate quel che vi pare. Io non mi penerò più.
Sapete che mi importa? Faccio tanto e poi? Basta, io rimango a casa.”, sbottai
dall’irritazione.
In fondo, non era difficile. Anche se la comitiva non era al completo, anche se
non eravamo tutte, ma solo cinque, passare quel lunedì dopo pasqua con loro,
sarebbe probabilmente stata la cosa più bella.
Ma
loro no. Siamo poche, siamo poche.
Scossi il capo cercando di mantenere la calma. Era una persona abbastanza
irritabile, una qualsiasi cosa detta nel modo sbagliato, anche nel momento più
adatto, mi mandava in escandescenza.
Mi sedetti così in disparte, sperando di non essere notata da nessuno,
all’angolo di quella panchina di marmo.
Amici, amiche e conoscenti, parlavano a qualche metro da me ed io gli ignorai
bellamente.
Poi, accadde qualcosa che non avevo premeditato.
Con la coda dell’occhio vidi Matteo avvicinarsi. La sua figura alta e slanciata
si sedette accanto a me.
Si portò la sigaretta alle labbra, aspirando del fumo che piano poi si alzò,
nell’aria primaverile, in spirali.
Ebbi un fremito, quando voltò il capo verso il mio viso.
Guardai per istanti che parvero e terni i suoi occhi verdi, oltre le sottili
lenti degli occhiali.
”Cosa c’è?”, sussurrò prima di riportarsi la sigaretta alle labbra piene.
”Nulla.”
fece un leggero risolino, “Si, certo.”
”Sono solo un po’ nervosa.”, ammisi quando il suo piede tocco il mio
bloccandolo. Quando ero nervosa, muovevo aritmicamente e velocemente il piede.
”Come mai?”
”Sono una persona che si innervosisce molto facilmente. Basta un nonnulla.” .
Non mi andava di raccontargli la ‘verità vera’.
”Capisco.”. Guardai il suo profilo. Gli occhiali che poggiavano delicati sul
naso dritto, il viso asciutto, la leggere barba incolta, i corti capelli neri.
Quanto mi era piaciuto, Matteo?
Sorrisi, cercando di alleggerire l’aria, inebriandomi del suo profumo.
Poi il cellulare nella mia tasca vibrò.
Lo presi e lessi il messaggio appena ricevuto.
No, perché sarebbe difficile tornare. Per
questo non esco.
Cristina.
Sentii il suo viso poggiare sulla mia spalla, vicinissimo al mio. Potevo
udire il dolce rumore del suo respiro.
Due anni prima, quel contatto mi avrebbe causato una tempesta dentro.
”Chi è Cristina?”, chiese curioso.
”Una mia amica. Lo sai che è maleducazione leggere i messaggi degli altri. È anche
un reato violare la privacy altrui.”, dissi sorridendo.
”Oh, andiamo Ely, ci conosciamo da anni.”, esclamò scompigliandomi i capelli.
Riportai il cellulare in tasca, poi il suo suonò.
”Si… okay… ora?... va bene… arrivo.”. Chinai il capo sapendo già chi era.
”Bhè, io vado a prendere Alice.”, disse guardandomi con quel suo sguardo verde.
Annuii col capo. Mi saluto con la mano, mostrandomi uno dei suoi fantastici
sorrisi, poi… sparì, ricordando a me stessa ciò che avevo perso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** The truth is hiding in my eyes ***
2.
The
truth is hiding in
my eyes
Matteo si allontanò da quelle
panchine di marmo, dirigendosi verso la sua auto.
Alice, la sua ragazza, l’aveva chiamato. Era pronta per
uscire, si, sarebbero
usciti ancora, come ogni sera.
Si passò una mano fra i capelli corti, fino ad arrivare ad
accarezzarsi la
nuca.
Eppure una vocina nella testa del ragazzo diceva di fare marcia
indietro.
Ma per quale motivo?
Non riusciva a darsi risposa, non riusciva a capire perché
d’un tratto non
desiderasse posare le sue labbra su quelle carnose di Alice, non
desiderasse
intensamente inebriarsi del suo profumo, non desiderasse perdersi nei
suoi
occhi marrone.
Sospirò, aprendo al portiera dell’auto. Mise in
moto l’auto e si voltò
un’ultima volta verso quelle panchine.
Fissò per un attimo un viso sorridente, una ragazza che
parlava con un ragazzo
alto circa trenta centimetri più di lei. Scherzavano come
fanno i bambini,
dandosi spallante e spinte. I capelli scuri le ricadeva in dolci onde
sulle
spalle, mentre i grandi occhi brillavano, come stelle, alla luce del
lampione.
Istintivamente Matteo sorrise, scuotendo appena il capo.
Perché? Perché non era Alice ciò che
in quel momento desiderava?
Si allontanò, ignaro di ciò che il destino gli
riservava.
“Ma
che hai fatto ai capelli? Sembra che ti abbia leccato una
mucca!”, esclamai
tirando un leggero spintone a Stefano, l’amico-torre che mi
era accanto.
“Perché non ti piacciono”, chiese
toccandoseli appena.
“No.”, dissi scuotendo il capo.
Alzò un sopracciglio, “Ma vattene,
và.” , disse dandomi dando un leggero
spintone.
“Ehi!”, lo ripresi io imitandolo, senza
però spostarlo di nemmeno un
centimetro. “Si ma non è giusto. Mi ci vuole un
camion per spostarti.”, continuai
incrociando le braccia al petto.
“Non è colpa mia se sono una montagna e tu alta
appena un metro e sessanta.”
“Sono un metro e sessantadue, per la cronaca.”,
dissi prima di tirarli una
spallata, questa volta facendolo arretrare un po’.
“Ahi, mi hai fatto male!”, esclamò
accarezzandosi il braccio.
“Ah! Ce l’ho fatta!”, gridai entusiasta.
“Così però mi rompi un
timpano!”
“Oh, scusa.”, dissi grattandomi la nuca. Mi voltai
e qualcosa attirò la mia
attenzione. La macchina di Matteo piano si allontanava. Lo stomaco mi
si chiuse
in una dolorosa morsa, l’aria che respiravo fu come mi
schiacciasse il petto,
mentre una ferita invisibile, lì accanto al cuore,
cominciava a bruciare.
Da quanto non faceva così male? Da quanto la sua assenza non
mi faceva mancare
il respiro?
E’ difficile dimenticare una persona che per mesi
è stata al centro del tuo
intero universo, una persona che ti ha dato tanto, involontariamente.
Una
persona che all’inizio ti era solo amica, quella stessa
persona che ha rapito
il tuo cuore, senza nemmeno saperlo.
Mille volte avrei voluto dire a Matteo ciò che il mio cuore
cantava, ma non ne
avevo mai avuto il coraggio.
Mi dicevo ‘Perché rovinare
un’amicizia?’, solo quando lei
arrivò nella sua vita, mi resi conto di aver sbagliato, di
aver
sbagliato alla grande.
E quando vidi le loro labbra incontrarsi, il mio cuore per un istante
si fermò,
spezzandosi, frantumandosi. Una ferita che per mesi brucò,
ma che credevo fosse
guarita. E me ne resi conto solo allora, quando
il suo era vicinissimo al mio, quando potevo sentire il suo profumo
perforarmi
i polmoni, quando potevo sentire il calore del suo corpo accanto al mio.
Sospirai e quasi il petto mi fece male.
“Eleonora? Tutto okay?”, mi voltai verso Stefano,
accennando un sorriso.
“Si. Sono solo un po’ stanca. Credo me ne
andrò a casa.”
“Ma no, non puoi. Devi venire a casa mia, ricordi? La
festa?”, chiese
corrugando la fronte.
“Ah, è vero.”, ricordai mordicchiandomi
il labbro inferiore.
“Dai, ragazza sciocca, vieni con me a prendere un
gelato.”. E così, Stefano,
circondandomi le spalle con un braccio mi condusse verso il bar
più vicino.
Mi
sedetti sul divano, sospirando. Tutti ballavano, giocavano si
divertivano.
Solitamente ero quella che amava divertirsi, allegra e solare, che
scherzava a
giocava, ma quella sera non ero dell’umore adatto.
Mi passai
una
mano fra i capelli, buttando all’indietro la testa.
Sentii il
cuscino
del divano piegarsi al peso di qualcuno, ma non mi curai di
aprire gli occhi per vedere chi fosse.
“Di
solito sei la prima a scatenarsi.”, nell’udire
quella voce, il mio cuore
perse un battito.
Lottai
contro me
stessa: non volevo aprire gli occhi. Vedere ancora una volta
il suo viso, i suoi occhi mi avrebbe mandata ulteriormente in
confusione,
avrebbe ancora fatto bruciare i margini di quella ferita
invisibile… ma fu inutile. Aprii gli occhi
e trattenni
il fiato quando i suoi occhi verdi di fusero con il nero dei miei.
“Di
solito. Non sempre.”, dissi mordendomi il labbro inferiore.
“Implica
il sempre.”
“Oggi
non mi va, tutto qui.”
“Ancora
nervosa?”, chiese con tenerezza. Il tono della mia voce si
addolcì.
“Sono
solo stanca.”, dissi buttando ancora indietro la testa e
guardando
davanti a me.
“Sei
diversa.”, la sua voce era appena udibile, sovrastata dalla
musica.
“Non
sono diversa. Sono l’Eleonora di sempre.”, in
realtà sapevo bene che non
era così, non quella sera.
“Si,
lo
sei.”
“No,
non lo sono.”
“Oh
andiamo, Ely! Perché devi essere così
testarda?”, sbuffò mettendosi dritto.
“Non
sono testarda.”, risposi con tono duro, puntando i miei occhi
nei suoi.
Feci un
sussulto
quando i suoi polpastrelli sfiorarono il dorso delle mia mano.
Quel tocco ebbe la forza di una slavina, un contatto che mi mancava, un
contatto che non vi era da tempo, da quando arrivò Alice. Un
contatto che mi
scatenò una tempesta dentro e che mi fece ricordare anche
una volta, per la
seconda in una sera, cosa avevo perso.
“Matteo,
ti cercavo!”, velocemente ritrasse la mano alla voce
squillante di
Alice. I lunghi capelli ramati ondeggiarono quando si sedette sulle sue
gambe,
baciandolo a fior di labbra.
Una lenta
pugnalata al cuore. Sale sull’invisibile ferita.
Avrei voluto
scappare, evitare ai miei occhi quella scena, ma non ne avevo la
forza. Era come fossi incollata a quel divano contro la mia
volontà, e per
quanto dentro di me lottassi… era inutile. Inerme rimasi,
lì.
“Ciao
Eleonora.”, disse lei in un sorriso, mostrandomi una schiera
di denti
perfetti e bianchissimi.
“Ciao.”,
sussurrai con la bocca asciutta. Con la coda dell’occhio vidi
Matteo
guardarmi.
“Come
stai? Tutto okay?”, chiese raggiante, abbracciandolo.
Deglutii
rumorosamente, “Si.”, riuscii solo a dire. Lei
sorrise.
“Ora,
ehm… scusate ma vado a cercare Stefano.”, dissi
trovando la forza per
alarmi, scappare da lì.
“Siete
molto uniti.”, sbottò acidamente Matteo. Mi voltai
a guardalo, confusa
dal suo tono di voce.
“Non
è una cosa che ti riguarda.”, sussurrai con
durezza, per poi allontanarmi.
E mi lascia
alle
spalle quell’immagine… le loro labbra che si
univano, le loro
mani che ti sfioravano.
Mi lascia
alle
spalle il suo viso, oramai marchiato a fuoco nelle mia mente.
Mi lascia
alle
spalle i suoi occhi verde smeraldo.
Mi lasciai
alle
spalle… Matteo.
Ma chi
volevo
prendere in giro?
*
Ed eccomi gente,
ancora qui.
Anche questa storia non era prevista ma Erica mi ha dato spunto ed
eccomi qui!
Una storia che dedico a quattro persone speciali,
a Erica (per te);
alla mia migliore amica, Honey;
a Dà, che mi manca tanto;
a nonna Pater, la mia dolce nonna Panter.
E ringrazio tutti coloro che hanno letto e soprattutto gli angeli che
hanno
recensito il capitolo precedente:
KeLsey: ciao! Visto? L’ho
continuata! Credo tu sappia chi è ora questa Alice! Sono
contenta sia piaciuto
il capitolo precedente! Spero che questo non sia stato da meno, ci
tengo tanto
a sapere cosa ne pensi! Ti voglio bene, Eri (L)
Nessie93: ciao! Che piacere leggere
una tua recensione anche qui! Davvero è la prima originale?
Cavolo ne sono
felicissima, davvero! Spero questo capitolo sia stato di tuo
gradimento, lo
spero davvero tanto! Cerco di rendere la ragazza il più
reale possibile, un
personaggio in cui tutti si possono rispecchiare. Grazie mille davvero!
A
presto! XD
fede_sganch: ciao! *-* che piace
vederti anche qui! L’ho continuata alla fine,
l’ispirazione ha avuto il
sopravvento! Sono contenta ti piaccia! Fammi sapere di questo capitolo!
Grazie
mille per la recensione!
KikyCullen: ciao! Sono contenta ti
sia piaciuta, davvero tanto! Spero ti sia piaciuto anche questo!
Grazieeee
mille per la recensione! A presto! *_*
A voi, con affetto Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** I only dream of you and you never knew ***
3.
I only dream of you and you never knew.
Sogno solo te e non
l’hai mai saputo.
Camminavo
per le stradine assolate del paesino in cui vivevo dalla bellezza di
diciotto
anni.
Faceva caldo quel giorno, avevo tolto la felpa, legandomela in vita,
rimanendo
solo con una magliettina a maniche lunghe.
Ero passata dalla biblioteca, dove avevo preso per la terza volta Il ritratto di Dorian Gray, e in quel
momento mi stavo dirigendo a casa.
Sobbalzai quando sentii un clacson suonare. Mi voltai, mentre il
finestrino
dell’auto si abbassava.
“Dai, sali su. Ti do un passaggio, ovunque tu stia
andando.”, disse Matteo
sorridendomi.
Combattuta con me stessa, indecisa se andare o no, presi probabilmente
la
scelta più errata. Sospirando aggirai la macchina, entrando
nell’abitacolo.
Il suo profumo mi colpì in pieno, proprio come la sera
precedente. I suoi occhi
mi scrutarono ancora, mentre il suo sorriso li illuminò come
stelle. Mi beai
delle sua immagine, del suo viso ovale e asciutto, della sua pelle
rosea.
“Buon pomeriggio.”, disse raggiate, prima di
partire.
“Buon pomeriggio.”, mormorai guardando avanti,
oltre il parabrezza.
“Dove ti accompagno?”, chiese poco dopo.
“A casa.”, risposi, quasi freddamente.
Quante volte mi aveva dato uno strappo a casa? Quante volte avevo
approfittato
della sua auto per non tornare sola?
Avevo perso il conto, oramai.
“Dove sei andata di bello?”
“Biblioteca.”
“Cos’hai preso?”, chiese curioso.
“Il ritratto di Dorian Gray.”
“Non lo avevi già letto?”, domando
corrugando la fronte. Annuii col capo.
“Ti ho mai detto che sei strana, Ely?”,
continuò.
“Forse un paio do volte.”, risposi vaga. Fece un
risolino, scuotendo il capo.
E fissai il suo viso. Mi era impossibile oramai, ci ero ricaduta
dentro, ancora
una volta… forse perché, in realtà,
non ne ero mai uscita.
Ancora una volta il suo sguardo aveva rapito il mio, la ferita aveva
ripreso a
bruciare. Eppure rimanevo lì, rimanevo ad osservare il suo
viso, beandomi delle
sua presenza. Agognando delle labbra che non sarebbero mai state mie.
“A che pensi?”, chiese notando il mio silenzio.
A te.
“A nulla.”
“Sicura?”
No.
“Si.”
“Bugiarda.”
Si.
“No.”
“Vallo a dire a qualcun altro.”, sbuffò.
Feci un risolino.
“Ti ho irritato?”, chiesi innocentemente, sbattendo
ripetutamente le palpebre.
“Si.”, ammise dopo alcuni istanti.
“Oh no, adesso Matteo scatenerà tutta la sua forza
bruta!”, esclamai fingendomi
terrorizzata, portandomi le mani sulle guance.
Scosse il capo, sorridendo, mostrando quel suo dolce sorriso,
“Quanto sei
cretina.”
Schioccai la lingua, “Mi hai già detto anche
questo.”
“Lo so.”, mormorò incatenando il suo
sguardo al mio.
“Perché ti sei fermato?”, chiesi in un
sussurro, incapace di scostare lo
sguardo dal suo.
“Siamo sotto casa tua.”, sussurrò
continuandomi a guardare negli occhi.
“Oh. Allora meglio che vada.”, ma non volevo, non
ne avevo la forza. Volevo
ancora inebriarmi col suo fresco profumo, guardare il suo viso, i suoi
occhi
verdi.
“No!”, esclamò lui con forza.
“Cosa?”, chiesi confusa, incredula.
Le mie orecchie avessero udito bene?
“Io…”
“Tu…?”, attesi che continuasse a
parlare, lo vidi boccheggiare in cerca delle
parole, parole che improvvisamente sembrarono mancargli.
“Alice mi aspetta.”, mormorò poi
guardando in basso.
Una lenta pugnalata.
Mille aghi ghiacciati nello stomaco.
La violenza di una slavina.
Con le lacrime che premevano per uscire, inumidendomi gli
occhi, scesi
dall’auto.
“Ciao Matteo.”, disse fredda come il ghiaccio. E
senza udire la sua risposta
sbattei con violenza la portiera dell’auto imboccando il
vialetto di casa,
conscia del fatto che quella ferita avrebbe continuato a bruciare
ancora.
“A
me
non sembra una torta alle carote… sempre una torta di
rape.”
“Come una torta una di rape?”, chiesi sgranando gli
occhi, guardando la torta
che era adagiata sul piatto.
“Si, sembra di rape. In cucina non sei un gran che, sappilo.
Nel caso tu voglia
cimentarti in una ricetta, che non sia un uovo sodo,
chiamami.”, disse
poggiandomi una mano sulla spalla.
“Ma assaggiala prima di giudicare!”, esclamai
offesa.
“L’aspetto mi induce a dire: assaggiala prima
tu!”, rispose incrociando le
braccia al petto.
“Stefano?”
“Si?”
“Sei un gran cretino.”, dissi alzandomi in punta di
piedi e tirandogli uno
scappellotto.
“Grazie.”. Sbuffando mi avvicinai al piano della
cucina per poi aprire un
cassetto e prendere un coltello per torte. Ne tagliai una fetta
poggiandole poi
su un piatto. Presi un pezzo con una forchetta e lo assaggiai. Masticai
lentamente, molto lentamente e poi deglutii rumorosamente, cercando di
ignorare
il cattivo sapore di quella sottospecie di torta, che mi ostinavo a
dire fosse
di carote… quando non lo sembrava affatto. Oltre ad essere
dura some un
mattone, aveva un sapore… amaro ed era anche granulosa.
“Mmm… che buona.”, dissi cercando di
mascherare la mia espressione disgustata.
Stefano corrugò la fronte, “Davvero?”
Annuii col capo. Forse ero una brava attrice. Prese in piatto che avevo
in mano
e assaggio un pezzo del dolce immondo. Stefano sgranò gli
occhi prima di
correre verso la spazzatura e sputare ciò che aveva in bocca.
“Ma vuoi uccidermi?!”, sbraitò rosso in
viso. Scioccata spalancai la bocca,
portandomi le mani al petto.
“Io? Come puoi dire una cosa del genere?”, chiesi
chiudendo per qualche istante
le palpebre, per poi riaprirle e scoppiare a ridere nel vedere
l’espressione di
Stefano.
“Non guardarmi così, non sono pazza! Sono solo una
buon’attrice.”
“Eleonora Salvini?”
“Dimmi Stefano Rossi.”
“Sei un’idiota.”
“Oh grazie mille.”, dissi prima di scoppiare a
ridere, seguita inevitabilmente
da lui.
Quella
sera mi ritrovai ancora a quelle panchine, come ogni giorno…
era il nostro
punto di incontro. Eravamo circa quindici quelle sera, e ancora non
avevamo
deciso cosa avremmo fatto il lunedì, e mancavano solo due
giorni. Quello
seguente era quello di Pasqua.
Mi sedetti
sulla panchina a gambe incrociate. Ero arrivata da poco e
già con lo
sguardo cercavo Matteo, anche se non avrei voluto.
Ignoravo le
chiacchiere delle mie amiche, ignoravo quello che mi accadeva
intorno. Per lunghi attimi fissai un
punto impreciso dinanzi a me, pensando. Ed i miei pensieri,
impertinenti, si
posavano sempre sullo stesso viso.
Sbuffai,
irritata, incrociando le braccia al petto.
“Allora
Ely, tu vieni?”
Mi voltai
verso Francesca, “Dove?”
“Dopodomani.”,
rispose ovvia.
“Avevate
detto che non se ne faceva più nulla.”, risposi
corrugando la fronte.
“Ele,
in che modo sei oggi?”
“In
quello degli elfi e delle fate.”, rispose Stefano sedendosi
accanto a me.
“Ah
ah, divertente.”, risposi acida, “Scusa, Fra, mi
sono distratta un attimo.”
“L’abbiamo
notato.”, disse portandosi una ciocca di capelli castani
dietro
l’orecchio. “Comunque… andiamo in
campagna. Abbiamo sentito Matteo”, nell’udire
quel nome il mio cuore perse un battito, “Ci ha dato la
disponibilità per il
casolare in campagna. Andiamo lì. Sei dei nostri,
no?”
Cosa avrei
dovuto dire? No? In tal caso avrei dovuto spiegare il
perché, dato
che passare quel giorno con loro era una delle cose che mi stavano
più a cuore.
Avrei dovuto
dire che non ce la facevo? Non ce la facevo a vedere il suo viso?
Le loro man che si cercavano le loro pelli a contatto? Le loro labbra
che
delicate si sfioravano?
No, non
avrei mai potuto dirlo.
Un dolore,
una tristezza che, quasi gelosamente, custodivo nel mio cuore, nella
mia anima, facendomi del male da sola. Ma nessuno avrebbe dovuto
saperlo.
Nessuno avrebbe saputo di quella ferita invisibile.
Sospirai,
passandomi una mano sul viso, “Si, certo che sono dei
vostri.”,
risposi poi sforzandomi di sorridere.
“Perfetto
allora!”, esultò lei saltellando e facendo
ondeggiare i lunghi
capelli ricci.
Feci un
risolino, scuotendo il capo.
“Eccomi
qui, gente! Il vostro salvatore è arrivato!”,
alzai il capo e il fiato
mi si mozzò quando i suoi occhi incontrarono i miei.
Tutto
ciò avrebbe mai avuto fine?
*
Eccomi qui per
voi gente, finalmente sono riuscita a
postare. Nonostante i casini che si verificano costantemente nella mia
vita,
riesco a dedicarmi alla scrittura.
Ogni volta che le cose si aggiustano e penso di poter riprendere a
scrivere succede
qualcosa… oggi ne è un classico esempio. Sveglia
alle sei e mezza perché il mio
cane è stato sbranato.
Chiacchiere a parte, spero vi sia piaciuto il capitolo e che quindi sia
stato
di vostro gradimento.
Grazie
a tutti coloro che hanno messo la fiction fra i preferiti, fra le
seguite e chi
ha letto senza recensire.
Un
particolare grazie va a:
doddola93: non merito tutti quei
complimenti! Ei troppo gentile e credo tu ne sia consapevole. Non
è nulla di
che, questa storia, ma sono felice di sapere che ti piaccia, davvero.
Il tuo
parere conta, e non starò a spiegarti per
l’ennesima volta il perché. Ti voglio
bene, <3
Nessie93: ciao! Sono contenta di
sapere che consideri Eleonora una ragazza normale, è
ciò che cerco di fare:
rendere il personaggio il più reale possibile. Davvero ti
piace? Ne sono felicissima
davvero! Grazie mille per la bellissima recensione! =*
KeLsey: Eri! *.* Ovvio che la
dedicavo anche a te! Mi hai messo tu la pulce! Senza di tre
probabilmente non l’avrei
mai continuata, davvero. Sono contentissima di sapere che è
di tuo gradimento…
non sai quanto! Magari l’immagine che ti sei fatta di Matteo
è simile a quella
che ho io nella mia testa XD Lui gelosetto?... non parlo! Si, Alice
è una bella
ragazza ed Eleonora (nome che anch’io adoro! *-*) ne risente
un po’. Spero di
non averti delusa con questo capitolo! A presto, dolcezza! Ti voglio
bene (L)
A
voi, con affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** I tried to give you up, but I'm addice. ***
4.
I tried to give you up, but I'm addice.
Ho cercato di rinunciare a te, ma sono
drogato
Guardai Matteo salutare tutti, notando con piacere che era solo.
Alice non c’era.
Il suo viso, illuminato da quel dolce sorriso, non era molto differente
dalle
immagini che gelosamente custodivo nella mia mente, no assolutamente no.
Fu strano come la sua sola presenza mi rese… leggera,
appagata. Come se ogni
cosa si avvicinasse piano al proprio posto. Una felicità
dovuta anche dal solo vederlo,
ed era starno, perché da tempo quella sensazione mi aveva
abbandonata,
ritornando però con maggiore crudeltà e violenza.
Sorrisi, mentre dimenticai tutto ciò che era intorno a me,
tutte le persone
presenti. Dimenticai l’acidità delle mie parole il
giorno precedente,
dimenticai la rabbia che avevo provato. Dimenticai ogni cosa.
Dimenticai anche
come mi chiamavo.
“Ely.”, disse scompigliandomi i capelli.
“Matteo.”, risposi allontanandomi istintivamente e
passandomi una mano fra i
capelli, sistemandoli. Salutò anche Francesca, in piedi
accanto a lui, e
Stefano, seduto invece accanto a me.
“Come va?”, chiese a tutti e tre.
“Tutto bene. Alice?”, rispose Francesca. In quel
momento avrei voluto staccarle
la testa a morsi.
“Fra un po’ devo andare a prenderla.”
“A me potrebbe andar meglio.”, disse Stefano. Io
rimasi in silenzio.
“Perché?”, chiese Matteo curioso. Mi
voltai verso Stefano, anch’io curiosa.
“Ho rischiato di morire.”. Matteo sgranò
gli occhi e Francesca fece lo stesso.
Roteai gli occhi, sbuffando, “Oh, andiamo! Era solo un pezzo
di torta! Non era
mica avvelenata! L’ho mangiata anche io, che faccio mi
avveleno da sola?”,
chiesi alzando al voce i qualche ottava.
“Mi sono perso.”, mormorò Matteo.
“Anche io.”, confermò Francesca,
corrugando la fronte confusa. Qualcuno, però,
chiamò Francesca e, scusandosi, si allontanò.
“Dicevo… questa signorina, questo pomeriggio mi ha
inviata a casa sua-“
“Casa tua?”, chiese rivolto a me. Annuii.
“Ah.”
“Se mi lasciate continuare…”
“Si, scusa, vai.”, rispose Matteo.
“Mi ha invitato a casa sua per assaggiare una torta alle
carote… anche se in
realtà sembra alle rape.”
“Alle rape?”
“No, Matteo, non dargli ascolto.”, dissi scuotendo
il capo.
“E quella torta era tossica! Aveva un saporaccio!”
“Capisco.”, mormorò Matteo rimanendo in
piedi davanti a noi.
Sbuffai irritata, “La mia torta non era tossica.”
Stefano sorrise, scuotendo appena il capo. Circondò le mie
spalle con un
braccio e mi attirò a se, baciandomi la tempia. Sorrisi,
prendendoli poi il
viso tra le mani e stampandogli un bacio sulla guancia. Poi, mi
allontanai,
tornando a guardare Matteo.
L’espressione sul suo viso era indecifrabile, e mi
lasciò inevitabilmente
confusa.
“Quindi lo hai invitato a casa tua.”, disse con
voce dura. Corrugai la fronte,
non capendo cosa stessa succedendo.
“Si, cosa c’è di strano?”,
chiesi innocentemente.
“Nulla, cosa vuoi ci sia di strano?”,
sbottò acido, tanto da lasciare di stucco
me e Stefano.
“Se non c’è nulla perché
allora non te ne vai? Perché non te ne vai da Alice,
eh?”, domandai con tono duro, fredda e glaciale. Sentii
Stefano al mio fianco
deglutire rumorosamente.
“Arrivo.”, disse poi alzandosi, capendo che non era
posto per lui quello.
“Cosa c’entra Alice ora?”
“Tutto o niente.”, non riuscii a tenere a freno la
lingua.
“Smettila.”
Sgranai gli occhi, “Smetterla io? Ma ti rendi conto
dell’assurdità delle tue
parole?”, sbottai scattando in piedi, cercando di sovrastare
quei venti
centimetri che ci separavano. Non rispose, si limitò a
guardare un punto
indefinito dietro le mie spalle.
Scossi il capo, “Non so nemmeno che ci sto a fare
qui.”, mormorai poi
allontanandomi.
Non dissi a nessuno dove andai, ignorai la voce di Francesca che mi
chiamava,
ignorai Stefano che immediatamente l’ ammonì. Con
le lacrime che premevano
crudeli per uscire imboccai una stradina, camminando senza meta.
Arrabbiata, irritata, infastidita, delusa, ferita. Cercai di ignorare
la voce
di Matteo che chiamava il mio nome. Cercai di ignorare quella parte di
me che
diceva di fermarmi, di guardare il suo viso. Lottai contro me stessa,
vincendo.
Lo sentii poi afferrarmi con forza il polso e costringermi a voltarmi.
Strattonai
la mano, cercando di liberarmi dalla sua presa, simile a quella
dell’acciaio,
senza guardarlo negli occhi. Ma fu inutile. Non riuscii a liberarmi.
Alzai così
lo sguardo, incontrato i sui occhi ardenti.
Una lenta pugnalata.
“Cosa c’è ora?”, sbraitai
rossa in viso. Il tono della mi voce lo colse
indubbiamente di sorpresa.
“Io… Ely, perdonami, non volevo.”
“Lasciami.”, sibilai a denti stretti. Lentamente
mollò la presa. Mi voltai,
intenzionata ad andare via.
“Resta.”, la sua voce era pari ad un sussurro. Mi
voltai, lentamente col cuore
che batteva a mille.
“Ti scoccia litigare con l’amichetta, eh
Matteo?”, dissi con tono duro.
“No. Perdonami, ti prego non volevo essere
così… antipatico. Scusa, Ely,
davvero.”, i suoi occhi incatenarono ancora una volta i miei,
come ogni volta.
“Alice ti aspetta.”
“Può aspettare.”
“Ti perdono.”
“Non ti credo.”
“Smettila, Matteo. Non fare l’idiota.”
“Torniamo, dai.”
E così rassegnata, vinta da me stessa, dai miei stessi
sentimenti, mi avviai al
fianco di Matteo verso quelle panchine.
Vinta da uno stupido sentimento…
quale
l’amore.
“Buona
Pasqua, mio raggio si sole!”
“Da
quando siamo così affettuosi ed allegri,
Stefano?”, chiesi ridendo, mentre
lui mi abbracciava.
“Da
sempre!”, rispose raggiante. Feci un risolino, scuotendo il
capo.
“Buona
Pasqua, anche a te, ragazzo sciocco.”, dissi baciandoli una
guancia.
“Devo
dire che sei fantastica, questa sera.”, corrugai la fronte
guardandomi.
“Ho
solo una semplice gonna.”, dissi guardandomi intorno.
“Ma
hai delle gambe stupende.” . Sentii le guance avvamparsi di
rossore.
“Stefano,
dai!”, esclamai abbassando lo sguardo.
“Per
una volta che ti faccio un complimento.”
“Sciocco.”,
dissi ridendo, “Comunque, ti ringrazio.”, dissi
facendo un mezzo
inchino.
“E
credo di non essere l’unico a pensarlo.”
Lo guardai
confusa, “Cosa intendi, scusa?”
“Come
sei ingenua, mia piccola Eleonora.”, disse accarezzandomi i
lunghi
capelli scuri.
“Stefano?”
“Alessandro
ti fissa da quando abbiamo cominciato a parlare. Credo mi invidi in
questo momento.”, disse in un risolino.
“Oh,
ma che onore. Guardata te, idiota.”
Stefano
sgranò i grandi occhi nocciola, “Cosa?”,
sussurrò poi con voce acuta.
“Ma
dai, è risaputo delle tendenze di Alessandro.”
“Bhe
si, effettivamente sono le stesse tendenze mie.”, disse
passandosi
distrattamente una mano fra i folti capelli neri.
“Ecco,
vedi? E poi non è la prima volta?”.
Sgranò ancora gli occhi, scioccato.
“Cosa?”
“E
poi sono io a vivere fra le nuvole.”, mormorai scuotendo il
capo.
“Certo,
certo.”
“Ehi,
non stai parlando con un’idiota.”, dissi tirandoli
uno scappellotto.
“Okay,
scusa.”, disse alzando le mani.
Per attimo,
calò il silenzio. Due signori sulla sessantina guastarsi un
gelato.
Sorridevano e si tenevano sottobraccio, come fossero adolescenti. Fui
intenerita da quella scena e non potei fare a meno di non nascondere
l’ombra di
un sorriso sul mio viso.
“Ti
piace Matteo.”, la voce di Stefano mi fece sussultare.
“Cosa?”,
chiesi con un filo di voce, che risulto un suono strozzato ed acuto.
“Ti
piace Matteo.”, la sua non era una domanda. Quella
consapevolezza mi fece
scorrere un brivido lungo la schiena.
“No.”,
dissi sbiancando.
“Si.”
“No
ti dico.”
“E
giustamente tu fai tutto quel casino per un amico.”, disse
postandosi una
mano su un fianco. Chinai il capo, incapace di reggere il suo sguardo,
conscia
del fatto che aveva tremendamente ragione.
Sospirai,
“E’ molto evidente?”, chiesi tristemente.
“Solo
per qualcuno che ha assistito a quella scena.”, rispose
accarezzandomi il
viso, costringendomi ad alzare lo sguardo per potermi guardare negli
occhi.
“Lui
ha Alice.”, mormorai con voce incrinata.
“Oh,
mia dolce ragazza sciocca, come sei cieca.”
Aggrottai un
attimo le sopracciglia, confusa, “Che intendi dire?”
“Che
Alessandro non è l’unico a mangiarti con gli
occhi.”
“Ma
Alessandro è… un momento…
cosa?”
“L’ho
visto, Ele. Ho visto come ti guarda, come ti parla, la luce che gli
illumina gli occhi quando incontrano i tuoi. L’ho sentito il
tono della sua
voce ieri. L’ho visto Ele.”, le sue parole ebbero
la forza di mille aghi nella
carne, ne potevo avvertire il dolore.
“Perché
mi dici questo? Perché mi fai questo, Stefano?”,
dissi con voce
tramante.
“Non
capisco.”, chiese lui confuso, accarezzandomi ancora con i
polpastrelli il
viso.
“Le
tue parole, parole infondate, deduzioni sbagliate, fanno male. Non
puoi…
non puoi riempirmi di false speranze. Cosa sarà di me quando
avrò l’ennesima
conferma che le tue parole sono errate, false, finte? Che il suo cuore
batte
solo per Alice? Perché farmi soffrire più di
quanto già non lo stia facendo?”
Lui
sgranò gli occhi e scosse energicamente il capo,
“Non ti farei mai una cosa
del genere, lo sai!”
Scossi il
capo, “Non ne voglio parlare, Stefano. Non voglio
litigare.”
”Okay.”,
mormorò chinando il capo.
Non
sopportavo quella tensione, il silenzio che improvvisamente
calò fra di
noi, così cercando di mostrami allegra sorrisi.
”Io
ho fame. Ti va un pezzo di pizza?”, chiesi saltellando
appena, come era mio
solito fare.
”Ma…come
fai ad aver fame dopo il pranzo di Pasqua?”, chiese sgranando
gli
occhi.
”Ehi,
ricordai che sono Eleonora, ed io ho sempre fame.”
”Giusto,
dimenticavo.”, disse in un risolino. Ci dirigemmo
così verso la
pizzeria più vicina.
*
Salve gente,
eccomi qui con il quarto capitolo! Spero
davvero di non avervi fatto aspettare molto!
Non ho molto tempo quindi passo direttamente hai ringraziamenti!
KeLsey: ciao, Eri! Sono
contentissima di sapere che la storia ti piace, non sai quanto! Si, per
quel
che ti conosco, Eleonora ricorda un po’ te! Io adoro Matteo,
non lo so. Di
solito i miei personaggi non mi piacciono, ma Matteo… non lo
so! Le tue
recensioni mi regalano sempre mille sorrisi! A presto! Ti voglio bene,
(L)
fede_sganch: ciao, Fè!
Matteo
qualcosa per Ely?... io non parlo! Beh, ancora dubbi fra il rapporto
fra
Stefano e Eleonora? XD Io di certo non anticipo nulla , o ti rovino
questa “orribile”
storia. Grazie mille, tesoro, grazie davvero! A presto! =*
SweetCherry: ciao! Non credo di
meritarmi tutti quei complimenti, ma mille grazie! *.* Sono contenta ti
piaccia
la storia, a questa ci sono molto legata. Spero di non averti fatta
attendere
molto! E… Alice avrà al sua parte, ma non
anticipo nulla! XD Spero sia stato di
tuo gradimento anche questo capitolo. A presto!
Nessie93: ciao! La gita
servirà a
molto e nei prossimi capitoli capirai che intendo XD Ely mi sa proprio
dovrà
soffrire un po’… tutto in fretta, io? Non credo
proprio XD A presto, cara! =*
Kiky Cullen: ciao, tesoro! Sono
felice tu abbia recensito! Grazie mille! Matteo, sì,
è un po’ un idiota! Ma in
certi momenti potrai anche amarlo. Spero di non averti fatta attendere
troppo!
A presto, bella! Ciaooo! =*
A voi
è tutto,
con affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** You're all that I want ***
5. You're all that I want. Sei tutto quello che voglio.
Quella
sera non vidi Matteo.
Il mio sguardo inevitabilmente scorreva su visi dei passanti, sue
quelli dei
miei amici, cercando quegli occhi verdi come smeraldi oltre le sottili
lenti
degli occhiali da vista, i corti capelli neri, la barba incolta, la
sigaretta
fra le labbra piene e rosee.
Fu doloroso per me immaginare dove fosse, ma, soprattutto, con chi
fosse. Era
impossibile non farlo.
E la mia mente viaggiava mentre mi tormentavo distrattamente le mani.
Vidi nella mia mente il viso di Alice, le loro dita che si
intrecciavano, le
loro mani che si cercavano e si sfioravano. Vidi i loro visi a poche
spanne
l’uno dall’altro e lo stomaco mi si chiuse in una
dolorosa morsa, mentre a quel
pensiero i margini delle ferita cominciavano a bruciare…
ancora.
Stupida, pensai sospirando
malinconicamente.
Era inutile, mi facevo del male da sola. Ma era impossibile cancellare
la sua
immagine dalla mia mente, o l’immagine di lui accanto ad
Alice, la ragazza dai
lunghi capelli ramati, occhi grandi e luminosi, fisico statuario,
poiché esse
erano oramai marchiate a fuoco in essa.
Partecipai passivamente alle conversazioni, mascherando le mie mille
insicurezze, le mia infinita tristezza, la gelosia,
l’invidia, il dolore… l’amore.
Si dice che quando ami davvero una persona hai la forza di lasciarla
andare,
desiderando la sua felicità e dimenticandoti di essa. Si,
è vero, desideri il
meglio per lei… ma non hai la forza di lasciarla andare. No,
quella non ce
l’hai, perché anche se fa male e non ti aiuta a
dimenticare, la sua immagine,
la sua presenza ti rende… felice, leggere, appagata.
Vorresti allontanarti da essa, ma non ci riesci. Un filo invisibile di
lega a
lei e non hai la forza di staccarlo.
Più
l’allontani, più la desideri.
Sensazioni che precedono il vuoto, la solitudine, la tristezza, dovuta
al suo
allontanamento, al rifiuto, alla consapevolezza che lui non
è tuo, che non puoi
sfiorare la sua pelle, il suo viso, e sue labbra.
Tornai a casa e mi infilai sotto le coperte. Chiusi gli occhi, conscia
del
fatto che non sarei riuscita a dormire.
“Ely,
se non ti muovi ti lasciamo qui!”
”Un secondo, non trovo la scarpa”, gridai dalla mia
camera a Sofia, una mia
amica, che si trovava all’ingresso.
”Paolo ci sta aspettando giù! Dobbiamo passare a
prendere gli altri!”. Quel
giorno, nell villa in campagna di Matteo sarei andata con Sofia e
Paolo, il suo
fidanzato. Avremmo dovuto caricarmi in auto altre due persone, ed io
ero in
ritardo.
Sentii la sua voce farsi più chiara e i suoi passi farsi
sempre più vicini.
Comparve sulla porta.
”Ma un attimo, non trovo la scarpa.”, dissi aprendo
un cassetto.
”E la cerchi nel cassetto?”, chiese corrugando la
fronte confusa.
”Sono disperata! Non so più quello che
faccio!”, gridai isterica.
”Scusa, facciamo così, noi andiamo a
prendere gli altri tu intanto cerchi la scarpa e ti fai
venire a
prendere da Matteo che passa da Alice.”, nell’udire
le parole di Sofia mi
bloccai sul colpo.
Mi vidi, per un istante, proietta nel futuro. Mi vidi nella sua auto,
vidi
vicino al cambio le loro mani che si stringevano, i loro occhi cercarsi
e fui
assalita da un terribile ed orribile senso di nausea.
”Ely, tutto okay? Sei bianca in viso.”, chiese
preoccupata, avvicinandosi.
Scossi il capo, con la bocca asciutta.
“Io… no, non ti preoccupare… cambio
scarpe.”, balbettai uscendo dalla stanza
diretta alla scarpiera. Afferrai un paio di scarpe da tennis e, dopo
essermele
infilate, mi diressi verso l’ingresso, chiamando Sofia che
era ancora in camera
mia.
“Decidevi di metterle prima!”, sbuffo allargando le
braccia al cielo.
“Troppo in ansia per pensarci.”, risposi mostrando
un flebile sorriso.
Salutai la mia famiglia che stava apparecchiando la tavola nel giardino
dei
vicini e aprii la portiera dell’ auto.
“Credevo di dover chiamare l’FBI.”, disse
Paolo quando fummo dentro.
“Si, perdonami ma non trovavo le scarpe.”,
imbarazzata mi portai un ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
“E indovina? Alla fine non ha nemmeno messo quelle
scarpe!”, esclamò con
leggere isteria Sofia. Feci un risolino divertita dal suo tono e dalla
sua
reazione. “Quella ragazza mi farà
impazzire.”, aggiunse sospirando e passandosi
una mano sul viso.
Chi era Sofia?
Sofia era l’amica di sempre, l’amica delle
elementari, delle medie, del liceo.
Sofia era quelle che mi aveva sopportato giorno e notte, che aveva
ascoltato
quello che avevo da dire su Matteo, mi aveva consigliato nella storia
con il
mio primo ragazzo. Era presente
alla
mia prima sbornia, era presente al mio primo saggio di violino, era
presente
alla morte del mio cane, di mio nonno. Era presente quando il mondo
appariva ai
miei occhi solo un buco nero, o quando mi sembrava i posto
più bello
dell’universo. Le chiacchierate davanti alla tv, con un pacco
di biscotti,
sotto le stelle, in spiaggia, col rumore del fluttuar delle onde a
tenerci
compagnia.
Eravamo cresciute insieme, eppure io le stavo nascondendo parte di me.
Scostai lo sguardo dal suo viso, guardando il verde e colorato
paesaggio
primaverile attraverso il finestrino. Gli alberi ed i cespugli si
susseguivano
velocemente, forse troppo e non riuscivo a definirne i contorni.
Cercai inutilmente di tener lontano alcuni miei pensieri ma fu
impossibili.
Essi indugiavano nelle mia testa, con il rumore di uno sciame
d’api. Cercai di
tener lontano il pensiero della giornata che si prospettava davanti, ma
fu
impossibile.
Alla parola Matteo, corrispondeva
sempre la parole Alice.
“Bistecca
o salsiccia?”, mi chiese Paolo avvicinandosi al tavolo da
pic-nic,
vicino al barbecue. Eravamo sedute lì, con Sofia e
Francesca, mentre guardavano
le foto scattate al compleanno dell’ultima. Aprii la bocca
per rispondere, ma
qualcun altro lo fece al posto mio.
“Bistecca.”.
Mi voltai verso un Matteo sorridente ed allegro, che subito si
sedette accanto a me, poggiando i gomiti sul tavolo di legno.
“Parlavo
di Eleonora.”, disse Paolo guardandolo.
“Ti
ho risposto infatti.”
“Bistecca?”,
mi chiese Paolo corrugando le sopracciglia. Annuii, facendo
poi spallucce.
“Okay.”,
poi il ragazzo si allontanò ritornando alla cottura della
carne,
insieme ad alcuni amici.
“Come
facevi tu a saperlo?”, chiese Sofia a Matteo.
“Vi
conosco da due anni ragazze. Potrei mai non sapere una cosa
così importante
della mio piccolo mostriciattolo?”, rispose Matteo
circondandomi le spalle con
un braccio e scuotendomi appena, in segno d’affetto.
Il mio cuore
prese a galoppare ancor più forte.
“Che
guardate?”, chiese avvicinandosi col capo, sbirciando le foto
che avevo in
mano.
“Foto
del mio compleanno.”, rispose Francesca.
“Sei
venuto qui per farti gli affari nostri?”, chiesi guardando
ciò che avevo
in mano.
Il suo
braccio era ancora attorno alle mie spalle.
“Sono
venuto per supervisionare.”, disse mentre giocando
distrattamente una mia
ciocca di capelli.
“Non
stiamo facendo nulla di male.”, disse Sofia guardando la mano
di Matteo.
Avvampai di rossore quando incontrai il suo sguardo, la sua espressione
indecifrabile.
Cosa stai
pensando, Sofia?
“E
se metteste del veleno per topi sulla carne?”, chiese
arricciando le
labbra.
Lo guardai
piuttosto male, “Ma va!”, dissi poi poggiando le
mie mani sul suo
petto e spingendolo tanto forte da farlo cadere dalla panca di legno
sul quale
eravamo seduti.
“Ahi,
mi hai fatto male!”, esclamò quando si rimise in
piedi, accarezzandomi la
parte lombare della schiena.
“Ben
ti sta.”, dissi in un risolino. Nei suoi occhi si
illuminarono di una
strana luce, e mostrandomi un sorriso malizioso si avvicinò,
molto lentamente.
“Lo
sai cosa hai fatto?”
“Oh
no, la forza bruta di Matteo!”, enfatizzai portandomi la mani
al viso e
fingendomi terrorizzata.
Credevo
stesse scherzando, ma mi sbagliavo. Non ebbi il tempo di alzarmi e
spostarmi, di scappare via. Matteo mi fu subito addosso sollevandomi
per i
fianchi e caricandomi in spalla. Rischiai di cadere per via del colpo,
ma lui
mi tenne ferma le gambe, che, come una forsennata, muovevo.
“Matteo,
lasciami!”, gridai tirandogli pugni sulla schiena con i
capelli che mi
finivano davanti al viso dandomi fastidio.
“Non
ci penso nemmeno.”, replicò cercando di tenermi
ferma e, quindi, non farmi
cadere.
“Vai
così, Ele!”, gridò Paolo.
“Tu
dovresti essere dalla mia parte!”, esclamò Matteo,
mentre continuavo a
dimenarmi.
“E
perché mai?”
“Solidarietà
maschile.” . Sentii la rabbia salirmi e ribollirmi nelle
vene.
“Ahi!”,
urlò poi. Sghignazzai, fiera del mio lavoro. “Mi
hai morso!”, aggiunse
poi.
“Ma
va? Sei intuitivo. Fammi scendere, mostro!”, continuai a
divincolarmi
sbattendo i pugni.
“E
stai ferma, animale.”
“Animale
a chi?”, ringhiai rossa in viso dalla rabbia.
“A
te!” . Sgranai gli occhi cacciando un urlo e tirando ancora
un morso.
“Ahi!”,
urlò ancora tirandomi un pizzicotto sul polpaccio
facendomi, così, gridare dal dolore.
“Che
succede qui?”, la voce di Alice fece cessare ogni movimento
e,
istintivamente, trattenni il respiro.
Matteo mi
fece scendere, piano, per impedire che entrambi ci facessimo male.
Quando fui
con i piedi per terra mi sistemai la maglia, che si era appena
alzata mostrando un lembo di pelle. Lui si passò una mano
fra i capelli,
imbarazzato.
Lo guardi,
mentre le mani cominciavano a prudermi dalla rabbia.
“Dovresti
tenere al guinzaglio il tuo ragazzo, Alice.”, dissi in uno
sputo,
arrabbiata.
“Come?”,
mormorò Matteo, incredulo.
“Mi
hai sentita.”
“Sei
tu l’animale.”
Ridussi gli
occhi a due fessure, “Ah si? Io?”
“Mi
hai morso.”
“Non
sarebbe successo se mi avessi fatta scendere.”
Non rispose,
si limitò a fissarmi negli occhi, “Ti
odio.”, sibilai poi
allontanandomi.
*
Eccomi qui gente,
scusate il ritardo ma ho avuto un po’ di cose da fare.
Passo subito ai
ringraziamenti dato che la doccia mi chiama a gran voce:
Nessie93:
ciao, cara! *.* Bhe, possiamo dire che entrambi sono dei gran idioti.
Grazie
per l’appoggio, sì, sono un po’ in
crisi. La storia entra nel suo pieno e
diventa sempre più difficile. Eleonora e innamorata di
Matteo, ma c’è Alice e
non può “farsi avanti”. Matteo non perde
occasione per stuzzicarla e iniziano
delle piccola discussioni… tipo l’ultima. Ma
saranno casi isolati. E’ sempre un
enorme piacere leggere tue recensioni, grazie davvero, bella, grazie
mille per
l’aiuto! A presto =*
SweetCherry: ciao!
Guarda… Stefano,
cosa strana ma vera, mi piace come personaggio! Matteo… eh,
Matteo è per me un
gran problema. Diventa sempre più difficile scrivere i
capitoli, soprattutto perché
è Eleonora a raccontare e ci son tante cose che non posso
dire esplicitamente e
cose che devo invece far capire. E il terrore di essere banale e
superficiale sempre…
per quanto riguarda Stefano “molla per far cadere in fallo
Matteo”… non parlo
XD Grazie mille per recensione, davvero! A presto, cara!
KeLsey: Eri, mi adorata! *.* Anche a
me piacerebbe un amico come Stefano, davvero *.* Sono felicissima di
sapere che
l’intera fiction ti piaccia! Sei una delle regioni per cui
continuo a scrivere questa
fic… ed è grazie a te se è nata!
Matteo geloso… non mi esprimo. Saranno i
prossimi capitoli a risponderti, si si. Gentilissima come sempre *.*
non merito
tutti quei complimenti! Grazie, mille, davvero. A presto, ti voglio
bene (L)
fede_sganch: ciao, Fè! Tu
sei sempre
troppo gentile, non me li merito tutti quei complimenti. Non
è nulla di
speciale XD ma ovviamente le tue recensioni mi fanno sempre piacere, e
non sai
quanto *.* a Matteo
piace Ele?... mmm…
dove? Cosa? Chi? Non ti svelerò nulla, per cui non mi
esprimo al riguardo. Sono
contenta di sapere che il capitolo è stato di tuo
gradimento, e spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto! A presto, cara!
KikyCullen: ciao, bella! Ecco a te
la continua… eeeeeeeeeh, il nome Matteo, quanto problemi.
Davvero ti piace così
tanto? *saltella come un’ossessa per la stanza* Sul futuro di
Eleonora e Matteo
non mi esprimo, non credo tu voglia sapere come finisce… e
come finirà! *risata
malefica* Grazie mille per la recensione, davvero, mi ha fatto tanto
piacere! A
presto, bella!
A
voi è tutto,
con affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Look what you're doing to me… why you break my heart? ***
6. Look what you're doing to me… why
you break my heart?
Guarda
che mi stai facendo… perché mi spezzi il cuore?
A
passo deciso,
furiosa, mi diressi al tavolo apparecchiato sistemato in giardino.
“Cosa ti è successo?”, chiese Antonio,
un mio amico.
“Nulla.”, ringhiai, ma a giudicare dalle facce dei
presenti, nessuno mi
credeva.
Mi diressi verso Stefano, stravaccato su una sdraio e gli stappai di
mano la
bottiglia di birra.
“Ehi!”, replicò mettendosi diritto.
Sbuffai allontanandomi. Mi sedetti alle radici di una
quercia, non molto
lontana dalla grande villa, ma abbastanza da non sentire le risate e le
voci
dei miei amici.
Poggiai la schiena al tronco dell’albero e bevvi un sorso di
birra. Poggia un
braccio sulla gamba piegata, bevendo ancora dalla bottiglia di vetro
scuro.
Stupida, stupida, stupida, mi
rimproverai.
Perché reagire in quel modo in fondo?
Sapevo cosa mi aveva portata a reagire in tal modo, ma la
verità era che non
riuscivo a d ammetterlo a me stessa, senza sapere nemmeno il
perché.
Alice, io avevo reagito così per Alice.
Ai miei occhi si era comportato come un bambino scoperto a rubare i
biscotti
dal barattolo. Come se dovesse tutto a lei, come se lui dovesse
accettare tutto
di lui, comportamenti, amicizie, sorrisi… respiri, movimenti.
“Diamine.”, mormorai con voce incrinata, furiosa
con me stessa, delusa da me
stessa. Irritata dai miei stessi futili e stupidi pensieri.
Mi portai la bottiglia alle labbra, ma qualcuno me la tolse dalle mani,
qualcuno che non avevo sentito arrivare.
“L’ alcool non risolverà i tuoi
problemi,ragazza sciocca.”
“Dammela.”, dissi, sporgendomi verso Stefano,
cercando di riprendere la
bottiglia, “E’ mia.”
“Guarda che me l’hai tolta prima dalle mani,
è la mia.”, disse alzando il
braccio, così che io non avrei potuto mai prenderla.
“Si, ma ora è mia. Dammela.”
Stefano poi si alzò in piedi guardandomi in volto,
“Prova a prenderla ora.”,
disse sorridendo.
“Oh, uffa!”, sbuffai incrociando le braccia la
petto, come fossi una bambina
che non ha ottenuto un secondo pezzo di torta.
“Io non ho nessun problema.”, replicai in un
sussurro.
“Vallo a raccontare a qualcun altro. Ho interrogato
Sofia.”
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo, “Bene, adesso lo
capirà anche lei!”,
sbuffai irritata.
“Ely, l’ha già capito da
tempo.”. Non risposi, mi limitai
a guardare una margherita a circa un metro da
me, lottando contro le lacrime che crudeli premevano per uscire.
“Non ce la faccio più.”, sussurrai
poggiando la testa alla corteggia
dell’albero.
“Lo so, lo so, Ely.”, mormorò
accarezzandomi i capelli. Quel contatto fu la
goccia che fece traboccare il vaso. Non potei frenare la lacrime che,
calde, mi
rotolavano sul viso. Le asciugai velocemente col dorso della mano, ma
esse
continuavano a scendere, silenziose, senza essere accompagnate da
singhiozzi.
Lacrime di sfogo, lacrime represse, lacrime amare, lacrime di
frustrazione,
lacrime di liberazione.
Sentii il braccio di Stefano circondare le mie spalle e attirarmi a
sé. Mi
lasciai cullare dal ritmo regolare del suo cuore, dal suo respiro
caldo, abbandonandomi
alle lacrime, liberando la mia mente da pensieri che da tempo mi
tormentavano.
Come potevano pochi giorni aver capovolto la mia vita?
“Sssh.”, la sua mano piano mi accarezzava i capelli.
“Passerà.”
No.
“Si.”
“Tranquilla.”
No.
“Okay.”
“Ti voglio bene, Ely.”, sussurrò poi
baciandomi la tempia.
“Te ne voglio anch’io, Stefano.”
La
sera era calata e la temperatura si era abbassata. Mi strinsi nella
giacca,
mentre mi portai la sigaretta alle labbra. Non era una fumatrice, si e
no, in
tutta la mia vita quella era la seconda, ma quella sera ne sentivo il
bisogno.
La giornata era stata pesante, infatti tutte le mie paure, le immagini
createsi
nella mia testa si erano realizzate, facendo bruciare ancora i margini
di
quella ferita, come se fosse stato versatoci sopra del sale.
Espirai il fumo che si alzò in spirali nell’aria
fresca. Seduta sul tavolino da
pic-nic ripercorrevo con la mente le immagini della mattina, a volte
sorridendo, a volte gemendo dal dolore, dalla rabbia.
Mi alzai e mi sedetti sul tavolo per poi stendermi sulle assi di legno
e
guardare le stelle e la mezza luna che, flebile, illuminava
l’ambiente.
“Da quando fumi?”, sobbalzai nell’udire
quella voce, quella voce tanto
familiare, tanto amata.
“Non lo so.”, riposi senza scostare lo sguardo dal
cielo, combattendo contro me
stessa per non perdermi nei suoi occhi.
“Da oggi?”
“No.”
“Da ieri.”
“Dio, non lo so!”, sbottai irritata. Quella era la
prima volta che ci parlavamo
dopo l’episodio di qualche ora precedente.
“Ce l’hai ancora con me?”, chiese con
voce vellutata, sedendosi sulla panchina.
Continuai a guardare il cielo.
“Si.”, mentii spudoratamente. La rabbia verso lui
era sparita un’ora dopo
l’accaduto.
Come potercela avere con lui?
“Mi perdoni?”, chiese ancora con lo stesso tono di
voce. Non risposi e feci un
tiro dalla sigaretta.
“Ely…”, il suo dito piano si
posò sul mio mento, costringendomi a guardarlo in
viso. A quel contatto la mia carne fu come se prendesse fuoco e quando
i miei
occhi incontrarono i suoi lo stomaco mi si strinse in una morsa, il
cuore perse
un battito e il respiro mi si bloccò.
“Mi perdoni?”, soffio sul mio viso. Quando si era
seduto non mi era accorta che
era ad un’estremità, e la vicinanza del suo viso
in quel momento mi spiazzò,
scatenandomi un tempesta dentro. Potevo avvertire l’odoro di
sigaretta del suo
respiro, mentre il mio cuore intraprendeva una folle corsa, tanto forte
da
sembrare che desiderasse uscirmi dal petto per librarsi in aria con la
delicatezza di una farfalla.
“Si.”, mormorai con voce spezzata, trattenendo il
respiro che d’un tratto mi
mancò.
“Non sopporto il tuo silenzio. Non sopporto la tua
lontananza. Oggi…”, le
parole gli andarono scemando fino a che boccheggiò in cerca
di qualcosa di
adatto da dire, o solamente perché non riusciva a dare voce
a ciò che pensava,
“… è stato orribile. Non poterti
parlare… non poterti… sfiorare.”, e con
la i
polpastrelli piano carezzò la mia pelle rovente.
“Non prendermi in giro.”, soffiai ancora a corto
d’aria, mentre un brivido mi
attraversava da capo a piedi.
“Non lo fare mai, Ely… non lo fari
mai.”, e sentii l’irrefrenabile voglia di
poggiare le mie labbra sulle sue, a poche spanne dal mio viso. Sentii
l’irrefrenabile voglia di accarezzargli la pelle, passargli
le mani fra i
capelli.
Dischiuse le labbra e potei avvertire il suo respiro sul viso.
Non lo farei mai.
Parole che vorticose si aggiravano nella mia mente.
Non lo fare mai.
Parole alla quale facevo fatica a credere, ma alla quale mi
aggrappavo con
denti e unghie.
“Io…”, mormorai incapace di staccare gli
occhi dalle sue labbra.
“Tu…?”
“Matteo?”, sobbalzai quando sentii la voce di
Alice, mi misi a sedere di colpo,
mentre Matteo scattò in piedi.
La figura snella di Alice si fece sempre più chiara, sempre
più visibile.
Corrugo la fronte confusa quando mi vide sul tavolo.
“Ho interrotto qualcosa?”, chiese con voce
monocorde e un’espressione
indecifrabile sul viso.
“No, io… stavo chiedendo scusa per
stamattina.”, si affrettò a dire Matteo,
andandole incontro.
“Oh…”, lo sguardo di Alice si
posò su di me… fulminandomi.
“Io vado da Stefano.”, sbottai alzandomi, buttando
il mozzicone di sigaretta.
“Non sapevo fumassi.”
“Già.”, non guardai i loro visi, i loro
corpi vicini. A testa bassa mi diressi
a passo lungo verso la grande villa.
Che mi stava prendendo?
La follia si era impossessata piano di me, il sogno si stava
confondendo con la
realtà.
Credevo davvero sarebbe successo? Che in un attimo le sue labbra
avessero
desiderato le mie? Che si sarebbero unite alle mie?
Scossi il capo, sbuffando, dandomi per l’ennesima volta della
stupida,
dell’ingenua, della masochista.
Cosa credevo? Cosa credevo sarebbe successo?
Lui era sua suo, lei era sua.
Ed io?
Ed io nell’angolino assistevo alla loro felicità,
a quella felicità che
desideravo più dell’aria. Nell’angolino
assistevo ad un mondo che non mi
apparteneva e che mai mi sarebbe appartenuto… lui.
Alice
accarezzò il viso di Matteo, “Avete risolto? Siete
amici di vecchia data,
non vorrei che litigaste.”, mormorò a poche spanne
dal suo viso.
“Si,
tutto… risolto.”, rispose lui in un filo di voce.
“Questo
è l’importante.”, disse lei circondando
l’addome di Matteo con le
affusolate braccia.
“Si,questo
è l’importante.”
Lei si
strinse a lui, che invece poggiò il mento sulla sua spalla.
Con il corpo
Matteo era lì, con la testa al suo viso così
vicino a quello di Eleonora.
Con lo
sguardo la vide andare via, la vide allontanarsi con passo svelto,
mentre i capelli lunghi piano ondeggiavano spostati dal vento.
“Si,
questo è l’importante.”,
mormorò a se stesso perdendosi nei ricordi.
*
Eccomi qui,
gente! La storia fra i due si evolve e spero
che non vi stia annoiando.
Non ho molto tempo, e oltre a ringraziare tutti coloro che hanno
inserito la
fiction fra i preferiti, fra i seguiti, chi legge senza recensire, ci
terrei a
fare un saluto speciale a:
KikyCullen:
ciao, bella! Sono contenta ti piaccia la storia! La scena di Matteo che
se la
carica in spalla non era prevista e sono contente ti sia andata a
genio,
davvero tanto! Spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento. A
presto!
E grazie mille!
Nessie93: ciao! Bhe, alla fine un
po’ distrutta lo è. Matteo, a quanto male,
è logorato dal rimorso XD
Ma dai, non puoi odiare Matteo… o
si… bhe,
Alice essenzialmente non è antipatica… lo
è perché è la fidanzata di lui XD Sono
contenta che il capitolo ti sia piaciuto, davvero! A presto, cara!
sa chan: ciao! Tutta d’un
fiato? *.*
Onoratissima! Grazie! Sono contenta che ti piaccia, a questa fiction ci
tengo
davvero molto! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto e
grazie
ancora per la recensione ^.^
doddola93: tesoro! Che bello
“sentirti”!
Sapere che stai bene! *.* Esageri, come sempre… secondo me
tu sei un po’ di
parte XD Comunque, grazie davvero! Grazie infinite per i complimenti,
per l’appoggio…
per tutto, insomma! Spero tu riesca a leggerlo, anche se non
è un gran che. Mi
fa piacere sapere che comunque continui a leggere ciò che
scrivo. Grazie
ancora, Dà. Ti voglio bene! <3
A voi, Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** I lost my head ***
7.
I lost my head.
Ho perso la
testa.
Quella
notte non riuscii a dormire. Mi girai e rigirai sotto le coperte, con
la nausea
che mi attanagliava lo stomaco. Mi scoprii una gamba, quando cominciai
ad aver
caldo, a sudare sulla nuca, a causa dei lunghi capelli.
La mattina seguente, dopo una tazza di cereali, ebbi un incontro
ravvicinato
con i libro di matematica.
Aprimi, diceva ammaliatore.
No, pensai immediatamente.
Sono qui, Eleonora, aprimi. I logaritmi
ti attendono, ti chiamano, mormorò ancora.
Cosa vuoi da me, Libro, pensai
riducendo gli occhi a due fessure.
La tua anima, sibilò.
Alzai lo sguardo, guardandomi intorno circospetta, come se quella
ridicola
conversazione mentale non fosse stata udita da nessuno.
“Non ci credo.” , mormorai a me stessa,
“Parlo da sola, con un libro.”
Scossi il capo, passandomi una mano sul viso, sospirando.
Mi alzai dalla scrivania, accesi lo stereo ascoltando un cd che vi era
già
inserito, un cd che stavo ascoltando il giorno prima, e mi andai a
sedere sul
letto, dove incrociai le gambe. Presi il cellulare e scrissi un
messaggio:
Non ce la faccio più, ho bisogno di
uscire. Ti va un gelato?, scorsi la rubrica: Stefano.
Poggiai il cellulare sul letto e mi stesi, mentre i capelli si
sparpagliavano
sul cuscino bianco. Il telefono vibrò.
Okay, dove ci vediamo?
Al solito posto? Mezz’ora?, non
attesi molto la risposta.
Okay, solito posto. Dobbiamo parlare,
Ely., deglutii rumorosamente quando lessi quelle parole.
Cosa avrei dovuto dirgli? Soprattutto riguardo a cosa?
Frustata mia passai una mano sul viso.
“Ti odio.”
“Da
quando ti piace il gelato al limone?”, mi chiese Stefano
quando fummo fuori
dalla gelateria, col sole che illuminava caldo i nostri visi.
“Da… oggi. Volevo sperimentare. Non è
male. “, dissi annuendo, “Vuoi
assaggiare?”,
chiesi porgendoli il gelato. Lui mi guardò si sottecchi per
poi assaggiare.
“Oddio, è immangiabile!”,
esclamò allontanandosi con un espressione disgustata
sul viso.
“Mamma mia, non è mica veleno!”, dissi
cominciando a camminare, verso le solite
panchine di marmo, panchina
che la sera
fungevano da punto di incontro.
“Ely, non mi piace vederti così. Non
può essere possibile. Insomma, reagisci!”.
Mi voltai verso Stefano, spaesata a confusa.
“Come?”, farfugliai con un filo di voce.
“Dai Ely, non puoi comportarti così.
Insomma… sai cosa penso al riguardo, ma
non puoi far sì che Alice di mandi in
depressione.”, sbottò lui.
“Ehi! Ma io non cado in depressione! Non è
lei.”, mormorai chinando il capo.
“Matteo.”
“Maggiormente per lui.”, non avevo il coraggio di
alzare lo sguardo, senza
sapere bene il motivo. Non c’era nulla di cui vergognarsi o
imbarazzarsi.
“No, Ely, sta arrivando.” .
A quelle parole sentii lo stomaco contorcersi e il cuore aumentare i
suoi
battiti, per poi fermarsi, per attimi infiniti, quando, alzando il
capo,
incontrai il verde dei suoi occhi.
Ogni volta sempre la stessa reazione, ogni volta sempre le stesse
emozioni,
ogni volta il respiro mi si mozzava e la testa cominciava a girarmi.
“Ciao.”, disse allegro.
“Ciao.”, ma il mio saluto era pari ad un mormorio
sotto una tempesta. Stefano
alzò la mano a mo’ di saluto.
Con lui c’era un altro amico, Daniele.
“Non dovreste essere a studiare?”, chiese lui con
una punta di acidità nella
voce. Un repentino cambio di tono che mi lascio perplessa.
“Non mi andava.”
“Io ho tempo fino al prossimo esame.”, fece
spallucce Stefano.
“Capisco.”
“E voi che ci fate in giro? Non dovresti essere a studiare
anche tu? O non
dovresti essere con Alice?”, domandai con astio.
“No.”
“No a cosa, Matteo?”, chiesi con indifferenza
mangiando altro gelato. Lo vidi
agitarsi sul posto e, sorrisi appena, compiaciuta da me stessa.
“No a tutte e due.”, sprezzò.
“ E poi a te che importa?”
“Nulla.”, riposi con voce monocorde, guardando
altrove. Daniele assistette alla
conversazione con la fronte corrugata. Stefano, vidi con al coda
dell’occhio,
roteò gli occhi.
“Ma che hai oggi?”, sbottò dopo pochi
secondi.
Sgranai gli occhi, “Io?”
“Chi sennò?”
“Hai cominciato tu a fare l’antipatico!”,
esclamai scattando in piedi.
“No, tu.”
“Cosa?”, chiesi con voce acuta, più alta
di qualche ottava, “hai cominciato
tu!”
“No, tu!”.
Sentii le mani cominciarmi a prudere mentre l’irritazione
saliva e il sangue
ribolliva nelle vene.
“Smettila.”, sibilai.
“No.”
Fu allora che non ci vidi più. Con un movimento veloce e
rabbioso alzi il
braccio facendo scontrare il suo splendido viso contro il gelato al
limone…
spalmandoglielo sulla faccia.
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca, mentre
Daniele e Stefano mi guardavano
stupiti e increduli.
“Ma… che hai nella testa? Sei
impazzita?”, chiese Matteo cercando si pulirsi il
viso con una mano.
“Si!”, spuntai fissandolo negli occhi.
“Sei solo… una stupida! Una bambina! Ecco cosa
sei!”, gridò facendo girare un
paio di passanti.
“… ti odio.”, mormorai sprezzante. Poi
voltandomi, me ne andai a passo svelto,
seguita a non molta distanza da Stefano.
“Ele!
Ele, fermati!”, gridò Stefano.
“O allunghi tu il passo o ci vediamo dopo.”,
sbottai furiosa.
Ero uscita con ogni buona intenzione. Ero uscita per sgombrare la
mente, ero uscita
per non pesare a lui, per
distrarmi,
per passare poche ore libera da… da lui. Dalla sua immagine,
dalla sua voce,
dai suoi occhi, dalla sua voce. Eppure i miei sforzi erano stati vani.
Me lo
ero ritrovato davanti costringendomi ad abbandonare i buoni propositi
fatti
sulla mia sanità mentale. L’irritazione si era
tramutata in rabbia offuscandomi
la mente, spingendomi a fare cose che normalmente non avrei fatto, come
spalmare del gelato sulla faccia di qualcuno, soprattutto sulla sua faccia.
Sbuffai, ancora furiosa.
Cosa voleva da me? Perché continuava ad essere una presenza
costante nella mia
vita quando avrei voluto evitare la sua immagine?
Sembrava una congiura, un qualcosa fatto di proposito per farmi dare di
matto.
Quella sarebbe stata di sicuro una lunga giornata.
Quella
sera non uscii. Stefano e Sofia, che ormai aveva capito e intuito tutto
(grazie
anche ad una confessione) ciò che provavo per Matteo, mi
accompagnarono al
cinema. In fidanzato di Sofia, Paolo, quella sera aveva una festa, il
compleanno
del nipote che compiva un anno, così fu più che
felice di unirsi a noi.
Fu utile,
passare del tempo in serenità con loro, riuscirono a tenermi
la mente
occupata, cosa che da sola non ero riuscita a fare, lontana da un luogo
che non
poteva ricordarmi Matteo o in cui avrei potuto incontrarlo.
Il giorno
seguente feci lo stesso. Cercai di concentrarmi sui compiti, sul
libro di matematica che desiderava la
mi anima. Fu imparte utile,
dall’altra una stupida idea. Fra una pagine e
l’altra, fra un paragrafo e
l’altro, tra una riga l’altra, la mia
mente si perdeva vagando solitaria. La mia memoria era stuzzicata da
fastidiosi
ricordi tutti riguardanti quel viso d’angelo, quegli occhi
verdi come i prati
primaverili. Il suo viso così vicino al mio, il suo respiro
delicato sul viso,
i suoi occhi ardenti. Il viso sporco di gelato, gli occhi rossi dalla
rabbia.
Parole taglienti, ma la cosa che più mi premeva era: le pensa davvero?
Una
domanda che non smetteva di tormentarmi, una domanda che ogni volta mi
causava una fitta al petto e mi faceva contorcere lo stomaco dalla
nausea.
Per colpa di
quella domanda impiegai il triplo del tempo per studiare. Il tutto
era decisamente frustrante.
Una parte di
me, desiderava rivederlo più di ogni altra cosa,
più dell’aria che
mi teneva in vita. L’altra parte, quella razionale desiderava
non aver più
contatti con lui, tener lontano il suo ricordo, la sua
immagine… ed è qui che
la parte razionale diventava irrazionale proprio come la prima. Il
risultato
era… me. Una persona apparentemente equilibrata, una persona
che di equilibrato
non aveva proprio un bel niente.
Dopo aver perso un pomeriggio sui
libri mi vesti e uscii, quando passo da casa Stefano.
“Dove
si va, oggi?”, chiesi.
“Io…
ecco…”, lo vidi boccheggiare in
difficoltà e capii.
“Con
gli altri.”, mormorai chinando il capo.
“Si
vedono tutti da Matteo, al casolare e… mi dispiace avrei
dovuto chiederlo
prima a te.”, rispose con rammarico nella voce.
Alzai il
capo, guardando i suoi occhi color nocciola, “Non devi
chiedermi il
permesso, ragazzo sciocco!”, dissi corrugando la fronte,
“Io e te abbiamo altri
amici e dobbiamo frequentarli. Non importa se un… idiota mi
rende la vita impossibile. Io e te oggi
andremo lì e
berremo e mangeremo fino a star male.”, conclusi con
convinzione, annuendo alle
mie stesse parole.
“Forse
non è una buona idea.”, disse facendo una smorfia.
“Dai,
Stefano! Siamo giovani, dobbiamo divertirci.”
“Ma…
ma ci sarà…”
“Non
è al centro di ogni cosa, non è al centro del mio
mondo.”, mentii. In quel
momento, in quel periodo, in quei giorni lui lo era, ma non volevo
farlo pesare
a Stefano e non volevo che la cosa apparisse seria e complicata, quale
era.
“Ne
sei sicura?”
No.
“Si.”
“Non
sei obbligata, lo sia no?”
No.
“Si.”
“Okay.”,
sorrise. Felice di passare la sera con i suoi amici.
“Ti
voglio bene, ragazza sciocca.”
“Te
ne voglio anche io, ragazzo sciocco.”, risposi sforzandomi di
mostrare un
sorriso.
Perché
sorridere se il cuore piange?
*
KikyCullen: ciao, cara! Continuata,
visto? Perdonami il ritardo ma ad Agosto non ho toccato per nulla il
computer.
Sono contenta ti piacciano Matteo ed Eleonora! Grazie per a recensione!
A
presto, baci.
sa chan: ciao! Sul serio ti
è
piaciuto? Ooooooh, grazie, davvero! Spero ti sia piaciuto anche
questo… pure se
in ritardo. Grazie mille per la recensione, grazie davvero!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** I will wait for this moment, when our lips collide. ***
8.
I
will wait for this moment , when our lips collide.
Aspetterò
questo momento, quando le nostre labbra si contreranno.
Scesi
dall’auto di uno dei miei amici, Marco, seguita a ruota da
Stefano ed altri
due. Feci un respiro profondo, prima di tutto perché mi
ritrovavo fra il metro
e novanta di Stefano e il metro e ottanta di un ragazzo palestrato,
secondo
perché avrei visto Matteo, dopo due giorni. Ebbi un fremito,
sicuramente non
dovuto al venticello fresco, e le mani mi presero a tremare
impercettibilmente.
Consapevole che ogni mio progetto di tener lontano dalla mia mente e
dal mio
cuore Matteo sarebbe svanito, come cenere al vento.
“Cavolo, stavo davvero stretto.”, disse Andrea, il
ragazzo palestrato.
“Tu? Ero quella che stava al centro! Fra due…
montagne!”, esclamai sgranando
gli occhi.
“Parla Eleonora dal suo metro e cinquanta.”, disse
Andrea roteando gli occhi.
“Un metro e sessantadue, prego.”, precisai solenne
alzando l’indice e chiudendo
per un momento gli occhi. Sentii Stefano soffocare una risata,
così mi girai
per incenerirlo con lo sguardo.
Alzò le mani, spalancando appena gli occhi dicendo:
“Mi perdoni.”
Scossi il capo, sorridendo appena.
Quando entrammo nella villa avevo il cuore che batteva, frenetico, e le
mani
che mi sudavano. Con lo sguardo mi sforzai di non guardarmi intorno, ma
fu
impossibile. Come mi voltai per salutare, Sofia, che mi aveva chiamata,
incontrai i suoi occhi.
Per un attimo cessai di respirare.
Sul suo viso era dipinta un’espressione indecifrabile e i
suoi occhi mi
scrutarono per attimi che parvero infiniti.
Deglutii rumorosamente per poi avvicinarmi a Sofia e Paolo, seduto
accanto a lei,
e… Matteo.
“Ciao.”, dissi guardando Sofia e poi Paolo,
rivolgendo a Matteo solo
un’occhiata fugace. Sentii il suo sguardo bruciarmi la pelle.
“Non credevo venissi.”
“E invece eccomi qui, Sofia.”, risposi portandomi
una ciocca di capelli dietro
un orecchio. “Ehm, io vado a prendere qualcosa da
bere.”, mi affrettai a dire
sentendo ancora su di me lo sguardo di Matteo.
Mi allontanai avvicinando a tavolo sul quale avevano poggiato cibarie e
bevande, per prendendo un bicchiere di fresca birra. Salutai con la
mano,
alcuni dei presenti nella stanza, quelli che non erano troppo presi da
conversazioni.
Non avevo visto Alice. Sicuramente era fuori in giardino con le sue
amiche,
quelle amiche tanto non mi andavano a genio.
“Lascia che ti aiuti… o anche oggi verserai tutto
sul pavimento.” . Sobbalzai
alla voce di Matteo, così vicina al mio orecchio. Fui
percossa da un brivido.
“E’ capitato una sola volta, ed è stato
un incidente.”, risposi con voce
fredda.
Lo sentii sospirare, mentre mi versava della birra nel bicchiere.
“Ce l’avrei con me ancora per molto?”,
chiese con voce dolce e melodiosa.
Mi voltai e vedendo il suo viso così vicino al mio, faticai
a mantenere al
concentrazione e formulare pensieri coerenti.
“Non lo so.”, risposi sincera.
Schioccò la lingua, “Sarebbe un vero
peccato.”, mormorò con voce bassa e calda.
Ancora la mia parte raziocinante fu messa a dura prova.
Scossi il capo, “Va da Alice, Matteo.”, mormorai
chinando il capo.
“Lei non c’è.”
Alzai di scatto la testa, perdendomi nel verde dei suoi occhi.
“Non c’è?”, per un attimo
l’idea di Matteo senza Alice mi balenò in testa,
procurandomi un certo piacere al solo pensiero.
“Ha la febbre.”, i castelli di fantasie si
sgretolarono come fossero fatti si
sabbia.
“Oh.” , mormorai chinando il capo, prima di
portarmi il bicchiere alle labbra e
bere un sorso di birra, “Io non dovrei parlare
così con te.”, continuai.
“Alice?”
Scossi il capo, “Mi hai dato della bambina, della cretina,
dell’idiota.”
“Tu hai detto di odiarmi.”, ribatté
sempre con voce calda.
“Lo pensi davvero?”
“E tu lo pensi davvero?”
“L’ho chiesto prima io.”, dissi
fronteggiando il suo sguardo.
“Rispondimi.”. In quel momento il suo telefono
squillo. Sbuffò, afferrando il
cellulare dalla tasca.
“Ciao… ti sarei grato se evitassi di chiamarmi
tato…”, capii all’istante chi
fosse dall’altro capo del telefono, così mi
allontanai, incapace di assistere
ad una conversazione piena di dolcezza o amore, per motivi ovvi.
Mi diressi così all’esterno inserendomi in una
conversazione che vedeva come
membri Stefano, Andrea, Francesca, Paolo e Sofia.
Il braccio
di Stefano circondava le mie spalle, mentre io con il braccio mi
tenevo quasi goffamente ai suoi fianchi. La testa poggiata al suo
petto, stanca
e assonnata. Per colpa di Matteo avevo dormito poco negli ultimi
giorni, il che
non giovava alla mia solarità ed allegria.
I miei
occhi, guidati dal cuore cercano con frenesia il suo viso, mentre la
mia
parte raziocinante si opponeva, costringendomi a non voltarmi per
guardare cosa
ci fosse dietro me. Poco da dire al
riguardo… il cuore vince sempre, su tutto.
La testa mi
girava appena, avevo mandato già qualche bicchiere di birra
e altri
alcolici, dandomi alla testa. Sentivo le gambe molli, avevo delle
leggere
vertigini. Ovviamente il tutto era aggravato dalle poche ore di sonno,
perciò
potevo non apparire sobria, anche se lo ero del tutto. Lì,
sulla sedia, mi
tenevo stretta a Stefano, lui, l’unico sobrio in quel luogo
di pazzi.
“Vado
un attimo in bagno.”, disse Stefano allontanandosi,
lasciandomi da sola,
così, invece di rimanere lì, decisi di fare un
giro nell’ampio cortile, diretta
allo stesso tavolo da picnic di giorni prima, alla quale erano legati
ricordi…
immagini… emozioni…sensazioni.
Poggia le
mani sul tavolo di legno e con al sola forza delle braccia mi sollevai
fino a sedermi. Il cielo sopra la mia testa era coperto, di tanto in
tanto i
raggi della luna filtravano da esse, illuminando le fronde degli
alberi, ma non
vi era traccia di stelle. Così, invece di mettermi in
posizione supina, decisi
di mettermi a pancia in giù, poggiando la guancia sul dorso
delle mani che
avevo portato all’altezza del capo.
Chiusi gli
occhi godendomi il vento che leggere mi spostava i capelli,
accarezzandoli appena il viso, come una carezza.
“E’
un rito, questo?”, sobbalzai udendo la sua voce. Aprii
immediatamente gli
occhi, sorpresa di rivederlo lì ancora una volta.
“Non
lo so.”
“Tu
non sia mai niente.”
“Se
sei venuto qui per litigare puoi anche andartene.”, sbottai
girando il capo
dall’altro lato, privando i miei occhi della sua vista.
“Non
sono venuto per litigare.”
Non risposi.
“Ely.”,
continuò ancora con voce dolce.
“Che
vuoi da me?”, il tono della mia voce era convinto, deciso. Mi
misi a
sedere di scatto voltandomi, ma la testa prese a girarmi per il cambio
di
posizione repentino e quasi violento. Persi l’equilibrio,
scivolando sulla
panca e poi sul terreno. Cacciai un urlo, durante la caduta, che,
fortunatamente, fu attutita dall’erbetta verde.
“Ele!”,
esclamò. Sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi. Mi
portai le mani
alla testa che prese a pulsare di dolore. Mi facevano male i glutei e
la
spalla.
Gemetti di
dolore, quando provò a sollevarmi, “Sta
fermo!”
“Okay,
forse è una pessima idea. Dove ti fa male?”, la
sua voce calda e morbida
era piena di apprensione. Con una mano mi portai a coprire gli occhi,
gemendo
ancora per il dolore alla spalla. Sentii immediatamente le sue mani
posarsi
sulle mie, con delicatezza.
“Ele,
ti prego, dimmi dove ti fa male.”
“Tutto.”,
mi lamentai poggiando la testa sul prato. “Sono un
disastro”,
mormorai, “non ne combino una giusta.”
“E’
grave?”
“No.”
. Lo sentii sospirare di sollievo, ma non ebbi la forza di riaprire gli
occhi.
“Sei
la solita.”, mormorò spostandomi dal viso una
ciocca di capelli. Un
brivido mi attraversò da capo a piedi, e la mia pelle prese
fuoco sotto la scia
della sua mano.
“Grazie
per il supporto morale.”, soffiai con voce tremante. Aprii
gli occhi e
mi persi immediatamente nei suoi. Il fiato mi si mozzò
ancora.
“Riesci
a metterti in piedi.”
“Non
lo so.”, mormorai con lo sguardo incatenato al suo.
Soffocò
una risata, “Sei davvero la solita.”,
sussurrò accarezzandomi la
guancia. Avvampai di rossore immediatamente e sperai che non se ne
accorgesse,
spiegare il perché sarebbe stato difficile. Scosse
impercettibilmente il capo,
poi sedendosi, si stese accanto a me.
Sentii la
sua spalla sfiorare la mia ed ebbi un fremito. Cercai di concentrarmi
sul dolore che provavo in varie parti del corpo.
“Pessima
idea.”, dissi a me stessa con una smorfia.
“Preferisci
che me ne vada?”, chiese Matteo corrugando la fronte.
Sgranai gli
occhi, terrorizzata dal pensiero della sua assenza,
“No!”, esclamai
con troppo vigore.
Fece un
sorriso e avvampai di rossore, imbarazzata.
“Se
vuoi ti porto in braccio.”
Mi voltai a
guardare il suo viso, “Sono pesante.”, risposi
seria.
Rise di
gusto, “Ma scherzi? Sei una cosa leggera.”
“Sono
una persona, non una cosa.”
“Quanto
sei pignola.”, sospirò roteando gli occhi.
“No,
non è vero.”
“Si,
è vero.”
“No
ti dico.”
“Si
ti dico.”
“Okay,
mi arrendo. Non voglio stare qui a discutere come i
bambini.”, dissi
solenne.
“Ma
noi siamo bambini.”, rispose ovvio.
Lo fulminai
con lo sguardo, “Illudimi per una volta.”, ma il
mio tono di voce
era diverso… forse perché a quelle parole
attribuivo un altro significato, un
significato celato ad uno stupido discorso sui si e i no.
Illudimi.
Illudimi che qualcosa i te è
cambiato, che non esiste altro fuorché noi. Illudimi che
desideri me, illudimi
che il tuo cuore canto ciò che canta il mio, che battono
all’unisono… illudimi
che non ci sia nessuna Alice.
Si
girò su un fianco, poggiandosi su
un braccio, “Ci siamo solo io e te. Due adulti. Ecco cosa
siamo.”, mormorò.
“Grazie.”,
risposi.
“Sei
così cambiata.”, disse in un sussurrò
guardandomi il volto.
“Cosa
intendi?”, chiesi corrugando la fronte.
“Sei…
cresciuta. Non me n’ero reso conto. In due anni…
sei diventata
bellissima.” . Le sue parole e il suo sguardo, mi lasciarono
scossa. Parole che
non mi aspettavo, parole che mi aveva colta di sorpresa, privandomi di
quei
briciolo di mente pensante che mi era rimasto, quasi fondendomi il
cervello.
“E’
buio, hai bevuto… non sai quello che dici.”,
mormorai con voce tremante.
“Sono
perfettamente lucido, Eleonora. So quello che dico.”, rispose
che decisione.
La sicurezza, l’intensità della sua voce, mi
scatenarono un tempesta di
emozioni dentro, senza che io potessi controllarle.
“Potresti
esserne convinto e io non esserlo.”, rise appena scuotendo il
capo.
“Perché
sei così testarda.”
Cerco
l’illusione, ma la evito.
“Non
lo so… forse perché lo è anche mia
madre.”, buttai lì.
O solo
perché non voglio soffrire.
Notizia… lo sto già facendo.
“Forse.”
. Il silenzio calò fra noi, un silenzio che non era
opprimente
però. Un silenzio fatto di sguardi, occhiate, un silenzio in
cui i miei occhi
sembravano essere incatenati ai suoi, che mi scrutavano ed osservavano.
“Dove
sono gli occhiali?”, chiesi notando solo allora che non li
aveva.
“Ho
le lenti a contatto oggi.”
Arricciai le
labbra, prima di schioccare la lingua in segno di disapprovazione.
“Cosa?”,
chiese alzando un sopracciglio.
“Ti
preferisco con gli occhiali.”, ammisi.
“Oh…
allora… allora non metterò più
lenti.”
“Ora
si che va meglio.”, mormorai. In quel momento, qualcosa di
strano accadde.
Sentii la sua mano sfiorarmi delicatamente il viso. Percorrere piano il
profilo
della mia guancia, un gesto dolce e delicato, che mi
infiammò la pelle.
Il mio cure
prese a galoppare, quasi volesse squarciarmi il petto e il mio
respirò accelerò, in sincrono al cuore.
Il suo viso
lentamente si vece sempre più vicino al mio, e il mio
respiro
velocemente accelerava, mentre il cuore intraprendeva una folle corsa.
Avvertii il
suo respiro sul mio viso, le labbra piene dischiuse appena, i suoi
ardenti puntati nei miei. Le sua mano che giocava con i miei capelli,
che me li
strofinava dolcemente sul viso.
Alice.
“Alice.”
, mormorai.
“Io…
credo dovremmo andare.”
Alice.
“Il
dolore è passato.”, dissi con voce monocorde. Mi
alzai mente lui si metteva
seduto, con un espressione confusa.
Cerco
l’illusione, ma la evito.
Mi
allontanai cercando di ignorare il dolore fisico e… morale.
*
Mi dispiace non
poter ringraziare a modo chi ha letto il
capitolo precedente, ma sono davvero in ritardo, ed ho poco tempo.
perciò mi limito a ringraziare: FukoChan,
Martiis, sa
chan, xsemprenoi e Nessie93, con la promessa di rifarmi
nel prossimo capitolo!
Grazie, davvero, grazie di cuore.
A voi,
con affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Broken inside ***
9. Broken inside.
Distrutta dentro.
Il tempo passava, le giornate
trascorrevano.
Due cuori si univano.
Altri due si cercavano, si desideravano.
Il tempo scandiva ogni attimo, ogni istante, aumentando il desiderio,
il
piacere, l’allegria, il dolore, le ferite…
l’amore.
Un paio d’occhi attendevano con ardore i suoi, che
ciechi si guardavano intorno, senza vedere.
Ed il dolore aumentava, e lo squarcio si faceva più
profondo, facendo pulsare i
margini di quella ferita invisibile, posizionata lì, proprio
al centro di quel
fragile petto.
Era sbagliato, era errato e lei lo sapeva. Avrebbe dovuto dire no,
allontanarsi, ma era legata a lui da un filo invisibile, difficile da
spezzare.
Qualsiasi cosa facesse il suo cuore la riportava da lui, ignorando la
parte
raziocinante, perché, si sa, il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non può
comprendere.
Ed ogni fibra del suo essere era
proiettata verso lui.
Le sue labbra agognavano le sue.
Le sue mani desideravano il suo viso.
I suoi occhi ardevano di passione, desiderio, amore.
I suoi respiri erano leggeri, ma allo stesso tempo pesanti, come i
battiti del
suo giovane cuore.
Lui che silenzioso incespicava nei suoi pensieri, stuzzicando
l’immaginazione,
le fantasie, ma soprattutto i… ricordi.
Ricordi piacevoli, ma dolorosi.
Tra sogno e realtà, tra finzione e verità, tra
illusioni e fatti, il suo cuore
cantava, come mai prima d’ora.
Che fosse giusto? Che fosse errato?
Ormai, non lo sapeva più, ma presto il tempo avrebbe
spiegato tutto.
In un modo o nell’altro tutto sarebbe cessato.
E la speranza è sempre l’ultima a morire.
*
Nessie93:
ciao! Che piacere leggere una tua recensione, davvero! Allora,
caVa… Ma senza
Alice che gusto ci sarebbe? Spero questo capitolo ti sia piaciuto,
anche se un po’
insolito XD Ehehe, Stefano… Stefano e Stefano e credo lo
amerai tanto, si,
direi proprio di si. Grazie per la recensione tesoro, davvero. A presto!
Martiiss: ciao! *_* Che piacer
leggere la tua recensione! Sono contenta la fic ti sia piaciuta! E
spero questo
capitolo non ti abbia delusa. A presto e grazie mille!
xsemprenoi: ciao! Eeeeeh,
Eleonora….
Come dice Stefano, è sciocca, non c’è
nulla da fare… e sono io che scrivo,
rendiamoci conto. La fisica mi fa male. Comunque, sono felice di sapere
che la
fiction ti piaccia, davvero! Spero ti non averti delusa con questo
capitolo! A
presto, cara! Grazie!
Vi
lascio con la promessa di postare molto presto… ma davvero
molto presto questa
volta.
A
voi, con affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Jealousy ***
10.
Jealousy
Gelosia.
“Com’è
andata?” , chiese Sofia all’uscita di scuola.
“Beh,
direi piuttosto bene. Ho avuto problemi su una domanda riguardante la
termodinamica, ma per il resto direi che me la sono cavata.”,
dissi scendendo
gli scalini della scuola.
“Dai,
pochi giorni ed è finita.”, disse poggiandomi una
mano sulla spalla.
“Si,
pochi giorni.”, mormorai con sollievo.
Il sole
caldo picchiava sulle nostre teste, mentre tornavamo a casa con Sofia.
La scuola stava finendo e presto, gli
“universitari” sarebbero tornati. Erano
circa un paio di mesi che non vedevo Matteo. Tranne qualche weekend, in
cui
tornava a casa per vedere Alice.
Alice. Alice
che vedevo sempre, che ogni volta mi ricordava lui, il suo bel viso, la
sua bella voce,
i suoi occhi… le loro mani intrecciate. Cercai di cacciare
via quei pensieri,
scuotendo il capo.
“Ele.”.
Mi voltai verso Sofia che mi guardava con aria confusa.
“Non
sono pazza.”, mi difesi in un risolino.
“Oh,
si, certo.” . Le diedi uno scappellotto e fui seguita da un
sonoro ‘Ahi!’.
Per un
attimo fra noi cadde in silenzio, rotto soltanto dal rumore delle auto
che ci sfrecciavano accanto.
“Ieri
Paolo mi ha detto che stasera viene Matteo.”
Mi voltai di
scatto verso lei, con lo stomaco stretto in una morsa,
“Oh.”. Il
tempo era passato, trascorso, ma io non avevo dimenticato.
“A
che rapporti siete?”, chiese con voce dolce.
Feci una
smorfia, “Scusa, Sofi, ma preferisco non parlarne.”
“Oggi
comincia la festa patronale. Per i prossimi tre giorni non faremo altro
che mangiare crepes e bere birra… vero?”, chiese
saltellando appena.
“Ovvio!”,
esclamai in un risolino.
“Non
cambieremo mai, mi sa.”, disse scuotendo il capo.
“E’
per questo che siamo amiche, no?”
“Perché
sappiamo abbuffarci e riempirci come tacchini?”
“Perché
ci vogliamo bene.”, disse dandomi una leggera spallata. Le
bacia una
guancia, prima di tirarle un pizzicotto.
“Si,
perché ci vogliamo bene.”
Quella sera non
badai a ciò che
indossavo. Quando uscii in giro c’era movimento, troppo per
la solitaria
cittadina in cui vivevo. Il vento, leggero, mi solleticava le gambe
scoperte
grazie alla gonna di jeans che avevo deciso di indossare.
Le strade
del piccolo centro erano affollate e i margini delle strade erano
ricoperte da file di macchine. Mi portai la borsa a tracolla,
sospirando.
“Il
rosso ti dona, sai?”, sentii mormorare al mio orecchio.
Sobbalzai ed ebbi
un fremito quando incontrai il verde dei suoi occhi, che dal rosso
della mia
maglia si posarono sul mio viso.
“No.”,
soffiai quando mi fu vicino.
“Ciao.”,
disse raggiante.
“Ciao.”,
risposi con fiato corto, mentre il mio cuore cominciava a galoppare.
“Coma
stai?”, chiese cominciando a camminare accanto a me.
“Tutto
bene. Tu? Sei arrivato oggi? Quanto ti fermi?”
“Una
domanda alla volta, Ele.”, ridacchiò.
“Okay,
scusa.”, mormorai guardandomi la punta delle scarpe da tennis.
“Io
sto bene, specialmente ora che sono tornato.”
Così
vedrai Alice.
“Sono
arrivato oggi e mi fermerò un paio di settimane credo. Ora
devo
studiare per il prossimo esame. Tu dove te ne vai?”,
continuò.
“Solito
posto. Mi vedo con gli altri.”, risposi passandomi
distrattamente una
mano fra i capelli lunghi, “Tu? Vai da Alice?”
“No.
Lei è fuori per i prossimi giorni. Una sua cugina di Roma si
sposa e
passerà dei giorni lì.”, rispose come
se la cose non lo toccasse più di tanto.
Dentro di me
non potei fare a meno di gioire.
“Capisco.
Quindi dovrò sorbirmi la tua presenza per tutta la
serata.”, roteai
gli occhi, sospirando.
“Esatto,
mostriciattolo.”, disse scompigliandomi i capelli. Come ogni
volta, mi
allontanai automaticamente, passandomi una mano fra essi.
“Non
sono un mostriciattolo!”, mi difesi incrociando le braccia al
petto.
“Oh,
si invece.”, disse in un risolino circondandomi le spalle con
un braccio e
stringendomi a sé. Immediatamente sentii le guance
avvamparmi di rossore e non
potei far nulla per evitarlo.
“Cretino.”,
ridacchiai scuotendo il capo.
“Forse.”
“Senza
forse.”
“Cretina.”
“Forse.”
“Senza
forse.”
Alzai la
mani, accigliandomi e sorridendo, “Okay, siamo cretini
entrambi.”,
dissi in un risolino. Il suo braccio non aveva ancora abbandonato le
mie
spalle.
“Si,
direi di si.”, rispose. Alzai lo sguardo, guardando il suo
viso,
incontrando i suo dolce sguardo color del prato.
“Mi
sei mancata.”, mormorò. Ebbi un fremito, quando
piano le sue labbra si
posarono sulla mia fronte, morbide e vellutate come petali di rose. Il
mio
cuore accelerò i suoi battiti e non potei controllarli, mio
malgrado, mi
lasciai andare al pulsante dolore del mio cuore, che sembrava volesse
perforarmi il petto, per librarsi nell’aria, leggero come
l’aria. Aria che
sembrava bruciasse nei miei polmoni.
“Mi…
s-sei mancato anche…tu.”, riuscii ad arrancare a
corto di fiato.
“Sei
calda.”
Sei tu.
“Ho
mal di testa.”
Bugiarda.
“Bugiarda.”
. Alzi il capo, fissando ancora
suoi occhi. Smantellata, scoperta. Crudelmente aveva guardato
ciò che
avevo dentro, ciò che il mio cuore celava, ed avevo paura
che da un momento
all’altro potesse staccare il suo braccio dalla mia spalla.
Mi beai ancora un
po’ di quel contatto, conscia che presto sarebbe cessato, ma
il suo braccio
indugiò sulle mie spalle. Mentre i suoi occhi ardevano, come
un albero colpito
da un fulmine, con mia grande sorpresa, le sue braccia mi avvolsero,
con
calore, stringendomi forte a sé. Affondai il mio viso nel
suo petto, godendomi
la sensazione che al sua vicinanza mi dava, il dolce e fresco profumo
di
pulito. Rimasi a farmi del male, conscia che quell’abbraccio
non aveva lo stesso significato che gli attribuivo io.
Ma poco mi importava in quel momento. Ero fra le sue braccia e
ciò bastava a
rendere quella stradina il posto più bello e magico della
terra.
Arrivammo al solito posto, insieme.
Con le gote intinte di rossore risposi a tutti i saluti, fino ad
incontrare il
viso di Stefano. Mi guardava con espressione indecifrabile e
l’inquietudine mi
pervase.
Perché? Perché mi guardi
così, amico
mio?, mi domandai.
Chinai il capo, incapace di reggere il suo. Rimansi in piedi accanto a
Sofia
che parlava animatamente con Francesca e Simone, il fratello di Stefano.
Tutt’intorno c’era gente, il forte vociare non mi
permise di sentire Stefano
invocare il mio nome.
“Ele?”, mi chiamò. Mi voltai di scatto
verso lui, accigliandomi appena.
“Si?”
“Tutto okay, no?”, chiese unendo le scure
sopracciglia.
Annui col capo, sorridendo, scossa da fremiti al ricordo del braccio di
Matteo
intorno alle mie spalle.
“Perché tremi?”, chiese stranito.
“Ehm… io…”, le parole mi
mancarono. Stefano notò che con la coda
dell’occhio
guardavo Matteo, rivolto verso noi. Sentii il viso avvamparmi di
rossore,
conscia che era nel suo raggio visivo. Stefano si volto, sollevando il
mento a
Matteo, a mo’ di saluto.
Matteo
ebbe un fremito. Contrasse la mascella fissando Eleonora.
La guardava, di profilo. Con lo sguardo seguì la linea retta
del naso, le
labbra piene e rosee, i capelli scuri ed ondulati. La maglia rossa che
le
aderiva all’addome, come fosse una seconda pelle, morbida e
delicata, che
crudelmente copriva la prima. Le gambe snelle scoperte, morbide e vellutate come pesche.
Matteo provò un irrefrenabile voglia di accarezzarle.
Strinse i denti
accorgendosi di quanto fossro sbagliati, eppure inevitabili i suoi
pensieri.
Stefano si voltò verso il ragazzo, notando, con la coda
dell’occhio la sua
migliore amica osservarlo.
Rimase interdetto, guardando Matteo. I suoi occhi verdi ardevano come
fiamme,
poteva vederlo nonostante la distanza. Guardava Stefano come volesse
polverizzarlo con un solo sguardo e, se avesse potuto, lo avrebbe fatto.
Stefano lo salutò con un cenno del mento, poi ritorno a
guardare Eleonora.
Matteo strinse i pugni, tanto che le nocche divennero bianche e strinse
i
denti, contraendo la mascella.
Provò ciò che probabilmente mai avrebbe provato.
Sentì il bisogni di andare lì
e trascinarla via, lontano da quel ragazzo.
Lei era sua.
Lo stomaco gli
si strinse in una morsa,
dalla sorpresa, contorcendosi al centro del suo addome, trascina dolo
in un
turbinio di emozioni. Ma solo una era l’emozione
predominante, quella che
subito azzerò le altre. Un’emozione che da tempo
non provava: la gelosia.
“Eh,
Eleonora, mia dolce Eleonora.
Potevi dirmelo prima.”
Corrugai la fronte, confusa. “Come, scusa?”, chiesi.
“Bhe, Matteo.”, disse facendo spallucce.
“Stai zitto, idiota!”, sibilai fra i denti.
“Secondo me è corroso dalla gelosia?
Guardalo.”, aggiunse voltandosi. Lo
afferrai per un braccio e lo costrinsi a voltarsi.
“Smettila, Sté! Dai per favore!”,
Sul suo viso di dipinse un’aria maliziosa, accesa da un
sorriso, “Sta a
guardare.”, disse poi sollevano una mano verso il mio viso.
Poggiò il palmo
sulla mia guancia, spostandomi poi un ciocca di capelli, che mi era
finita
davanti al viso, dietro un orecchio.
“Cosa stai facendo?”, chiesi corrugando la fronte.
“Sssh. Aspetta.”, mormorò. Si
avvicinò al mio orecchio, “Guarda.”
Stavo per allontanarmi, quando quella
voce fece irruzione nel silenzio che si era creato fra me e Stefano.
“Ely?”, mi chiese incrociando le braccia al petto.
Mi voltai, scattando, verso Matteo e quando i miei occhi incontrarono i
suoi il
mio cuore sembrò fermarsi.
“Dimmi.”, soffiai, voltandomi verso Stefano che mi
guardava con aria
compiaciuta. Sul viso di Matteo era dipinta un’espressione
indecifrabile, ma
gli occhi… ardevano come lingue di fuoco.
“Uhm… vi ho interrotti?”, chiese con
innocenza. Stefano roteò gli occhi.
“Oh no. Io… io vado da Francesca.”,
rispose prima di allontanarsi. Fra noi due
calò del silenzio imbarazzante. Chinai lo sguardo.
“Ti va un birra?”, chiese dopo attimi infinti.
Alzai lo sguardo, guardandolo
negli occhi.
“Si.”, soffia rapita da quel verde. Sorrise e
sfiorandomi il dorso della mano
con le sue dita, mi invitò a seguirlo.
Sospirai,
conscia che forse non era una buonissima
idea.
*
Un grazie a voi, miei angeli.
Grazie Chià,
grazie Dà.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Take my hand tonight, let's not think about tomorrow ***
11.
Take my hand tonight, let's not think about
tomorrow.
Prendi la mia mano stanotte, non pensare al
domani.
Ci
dirigemmo verso il pub più vicino, in silenzio, procedendo a
mo’ di slalom fra
le moltitudine di persone. Il cuore batteva, troppo forte per essere
controllato, accelerava le sue pulsazioni tanto violentemente che
sembrava
volesse uscirmi dal petto, e se per qualche scherzo fosse stato
possibile, lo
avrebbe fatto. Al posto dello stomaco era come se ci fosse un enorme
precipizio
che, con fili invisibili, mi trascinava verso il fondo…
risucchiando ciò che
rimaneva di me, del mio essere, della mia anima.
Non prestai attenzione ai visi che mi scorrevano vicino, troppo presa a
seguire
la figura longilinea davanti a me, con gli occhi fissi sulle sue spalle
perfette.
Deglutii rumorosamente prima che lui si voltasse.
“Credevo fossi sparita.”, disse sollevando un
angolo della bocca verso l’alto.
“No, no. Sono qui.”, annaspai a corto
d’aria.
Possibile che dovessi reagire in quel modo, con un solo suo sguardo?
Ci fermammo davanti all’entrata del pub ed io detti una
sbirciata all’interno.
Sgranai gli occhi quando notai la situazione.
“Ma è pienissimo.”, dissi.
“Uhm… vedo. Aspettami qui,”, disse
poggiandomi le mani sulle spalle, “e non
muoverti.”
Feci un risolino, “Si, capo.” . Mi fece
l’occhiolino ed entrò nel locale.
Fantastico, pensai. Quando avrei
dovuto aspettare?
Spostai tutto il mio peso sulla gamba destra incrociando le braccia al
petto,
guardando poi altrove, consapevole che l’attesa sarebbe stata
lunga.
Mi persi nei miei pensieri, mi persi con lo sguardo
nell’immagine perfetta che
la mie mente conservava del suo viso. Guardai le persone, ridere e
scherzare,
litigare, amarsi, cercarsi. Vidi due ragazzi tenersi per mano e pensai
cosa
sarebbe successo se lo avessi preso per mano, pensai alla consistenza
della sua
pelle morbida sotto il mio palmo.
“Eccomi.”, sentii la sua
voce.
Sobbalzai, voltandomi e sgranando gli occhi.
“Ma… saranno appena passati due
minuti.”, esclamai accigliata.
“Il ragazzo che lavora al bar è mio
cugino.”, disse con un sorriso compiaciuto
sul viso.
“Oh, ecco spiegato tutto. Non è giusto per i
poveri mortali che devono fare la
fila, però. Erano lì da prima di te.”,
dissi con tono grave.
“Ma smettila.”, disse tirandomi un buffetto sul
braccio e porgendomi la
bottiglia di birra ghiacciata. Risi, scuotendo il capo.
“Allora, che ti va di fare?”, chiese bevendone un
sorso.
Corrugai la fronte, confusa. “Ehm… non
torniamo… dagli altri?”, chiesi.
Fece spallucce, ma non disse nulla. Sbattei le palpebre qualche volta,
prima di
parlare, “Parco?”, domandai, incredula.
“Ottima decisone, socia.”, disse mostrandomi uno
dei suoi sorrisi, quello che
prefrivo. Il sorriso di qualcosa che lo entusiasmava davvero.
“Secondo
me, assomiglia ad un coniglio. Guarda, sì, è un
coniglio.”, dissi
indicando un gruppo
di stelle sopra la
mia testa.
“Ma no, è un maiale. Guarda
c’è la coda riccioluta.”,
ribatté lui.
“Coda riccioluta?”
“Si, coda riccioluta, Ely.”
“Coda ricciolosa semmai!”
“Ma no!”
“Si, invece, coda ricciolosa.”
“Puah. Tu sei strana”, disse voltandosi appena per
guardarmi in volto ed io
feci lo stesso, sorridendo quando il mio guardo sfiorò il
suo.
Eravamo stesi sul prato del parco, le braccia dietro la testa a
mo’ di cuscino.
Fissavamo le stelle, immersi nel silenzio e nel buio, immaginando e
scherzando
sulle mille forme che esse formavano. Forse del tutto singolari e
personali che
ci portavano a momenti di forte ilarità e momenti di forte
disaccordo, perché
ciò che vedeva lui, non era mai ciò che vedevo io
e viceversa.
Scossi il capo ridendo, “Tu sei quello strano… e
idiota, Matteo.”
“Si, certo, certo.”, rispose come se la cosa non lo
toccasse minimamente.
Sospirai, prima che il silenzio più totale ci avvolgesse.
Sentivo l’erbetta
verde e fresca solleticarmi la pelle nuda della gambe e
l’aria fresca accarezzarla
quasi con dolcezza. Sentivo il calore del corpo di Matteo accanto a me
ed ebbi
un fremito. Immaginai di sfiorarli il viso…
“A che pensi?”
A te, avrei voluto dirgli. Ma non lo
feci. Farlo avrebbe rovinato tutto. Preferivo soffrire, in silenzio,
rinunciare
ad un amore, piuttosto che rovinare tutto con la realtà. Lui
era di Alice,
dovevo accettarlo. Perciò decisi di godermi quel momento,
che non si sarebbe
potuto ripetere.
Lo stomaco prese a contorcersi. Deglutii.
“Quand’era piccola tentavo sempre di contare le
stelle.”, mormorai perdendomi
con lo sguardo nel nero punteggiato di bianco. Con la coda
dell’occhio lo vidi
voltarsi a guardarmi.
“L’ho detto che sei strana, Ely.”
Ridacchiai, “Forse.”
“Ed io con te. Lo facevo sempre anche io.”,
sussurrò ritornando a guardare il
cielo. Mi sentivo il viso in fiamma, la pelle quasi febbricitante.
Feci un risolino, chiudendo gli occhi, godendomi la sensazione che una
leggera
folata di vento provocava sul mio viso. Mi voltai istintivamente quando
si mise
a sedere ed osservai il suo viso illuminato dalla fioca luce della luna
e di un
lampione distante. Si portò una sigaretta alla labbra,
accendendola. Il fumo si
alzò in spirali nell’aria fresca. Mi offrii il
pacchetto, ma scossi il capo.
“Ora ti riconosco.”, disse con una leggera punta di
compiacimento nella voce.
Il suo fisso sul mio viso, piano scese lungo il mio corpo, quasi
accarezzandolo
con dolcezza, indugiando sulle gambe scoperte. Avvampai di rossore
quando con i
polpastrelli mi sfiorò la pelle nuda. La ritrasse subito
quando tremai.
“Scusa.”, mormorò,
“E’ che… sembra
così… morbida e vellutata.”. Sorrise
appena
prima di voltarsi e ritornare a guardare il cielo stellato sopra le
nostre
teste. Deglutii, cercando di rallentare il battito del mio cuore. Tutto
inutile.
“Non importa.”, soffiai col fiato corto. Mi passai
una mano sul viso prima mi
mettermi a sedere.
Piegai le gambe, stringendomele al petto, circondandole con le braccia
e
poggiai il mento sulle ginocchia. Per alcuni istanti entrambi rimanemmo
in
silenzio. Osservavo il fumo alzarsi in spirali, uscire dalle sue labbra
piene.
Sussultai immaginando quante volte quelle labbra erano state sfiorate
da Alice.
“And
all the roads we have to walk are winding, and all the lights that lead
us
there are blinding. There are many things that I would like to say to
you, but
I don't know how.”, intonò quasi in un sussurro.
Mi voltai a guardarlo ed il respirare mi di bloccò
in gola, come un grosso macigno. I suoi occhi, ardevano simili a lingue
di
fuoco. Fui travolta dall’intensità del suo sguardo
ed ebbi un fremito quando la
testa prese a girarmi appena.
Un angolo della mia bocca, poi, istintivamente si sollevò
verso l’alto.
“Because maybe you're gonna be the one that saves me? And
after all… you're my
wonderwall.”, continuai passandomi una mano fra i capelli
scuri, chinando lo
sguardo imbarazzata.
“Piace anche a te? La canzone intendo.”, chiese
voltandosi a guardarmi. Mi
limitai ad annuire a corto di parole.
Sorrisi, dentro me, conscia che i significati che attribuivamo a quelle
parole,
da entrambe le parti, erano differenti.
Le mie erano sentite, le mie rispecchiavano ciò che dentro
mi tormentava, come
se le parole fossero state scritte appositamente per me, per quel
momento
magico da un lato, tragico dall’altro.
Cosa avrei fatto quando sarebbe tornata Alice?
Vivevo nell’illusione, in una realtà da me
idealizzata, da me quasi manipolata.
Eppure… il suo sguardo… scossi il capo, cercando
di cancellare certi miei
pensieri, per evitare un dolore lancinante. Un dolore nato dalla
consapevolezza
che non avrei mai potuto godere del tocco della sua mano sul mio corpo,
delle
sue labbra sulle mie, di dolci parole sussurratemi
all’orecchio.
Lui amava lei, lui non amava me.
“Fra un po’ ci saranno i fuochi
d’artificio. Forse è meglio andare.”,
disse
mettendosi in piedi. Annuii col capo. Mi porse una mano, che afferrai
senza
esitazioni. Era calda e… grande.
“Gli altri si chiederanno che fine abbiamo fatto.”,
dissi prendendo a
camminare.
Fece spallucce, “Che parlino.”
“Idiota.”, dissi spingendolo.
“Idiota.”, ribatté ritornando accanto a
me. Rise e posando una mano sulla mia
spalla mi attirò a se, baciandomi la tempia. La mia pelle
sembrò prendere
fuoco, sotto quel tocco leggero. Cercai di ignorare la pelle
d’oca, sperando che
lui non se ne accorgesse.
“Andiamo a vedere come sono questi fuochi.”, disse
facendo scendere la mano
lungo il mio braccio, sfiorandomi con la punta delle dita il braccio,
indugiando poi sulla mia mano.
*
Chiedo umilmente
perdono per l’enorme ritardo, ma la scuola e
l’influenza mi hanno davvero tolto
un sacco di “utile tempo”.
Vorrei rimanere a ciarlare qui con voi, ma Hegel, Fitche e Kant mi
chiamano per
l’interrogazione immensa di domani. Che ardua vita…
Perciò ringrazia tre splendide ragazze che hanno recensito
lo scorso capito:
grazie a Nessi93, grazie per la
magnifica
recensione, per le bellissime risate, per la straordinaria compagnia;
grazie a piccola_stella_senza_cielo,
grazie per la recensione, mi ha fatto davvero tanto piacere riceverla.
Spero il
viaggio sia andato bene, grazie davvero;
grazie a ____Yuki____ , che ha anticipato alcune
cose dei prossimi capitoli,
perché sì, spiegherò alcune cose
avvenute nel passato, grazie infinte per le
recensioni, davvero.
A
voi, con immenso affetto,
PANDA.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Love, sweet insanity ***
12. Love, sweet insanity.
Amore, amabile follia.
“Ehi,
credevo dovessi chiamare
l’FBI!”, disse Paolo stringendo a sé
Sofia.
“Ce l’hai con l’FBI, eh?”,
chiesi un risolino.
“Forse.”, rispose vago.
“Ele si era persa.”
Mi voltai verso Matteo, alzando un sopracciglio, “Tu ti sei
perso!”, esclamai. Lui
roteo gli occhi sospirando. Mi voltai a guardare Paolo e Sofia, lo
sguardo che
mi riservò quest’ ultima mi fece irrigidire. Mi
guardò con intensità, come
volesse comunicarmi qualcosa. Poi la sua espressione assunse una nota
curiosa.
Voleva forse sapere se ero consapevole del male che mi stavo facendo
con le mie
stesse mani?
Si, Sofia, ne sono consapevole.
“Dove siete state?”, chiese spostando lo sguardo
anche su Matteo.
“Mah, in giro. Abbiamo bevuto una birra.”, disse
facendo spallucce. Sofia mi guardò
con l’aria di chi la sapeva lunga.
Voleva sapere se era successo qualcosa?
No, Sofia, non è successo nulla,
avrei voluto dire, ma mi limitai solo a chinare lo sguardo e scuotere
appena la
testa. Ancora mi guardò con intensità, tanto che
nervosa mi mossi sul posto,
distogliendo il mio sguardo dal suo.
“Allora, questi fuochi d’artificio? Andiamo a
vederli?”, domandò Stefano
ponendo fino a quella schermagli di occhiate fra me e Sofia.
“Buona idea.”, disse annuendo Paolo, seguito a
ruota da Matteo.
“Tu mi devi dire un paio di cosette, dolcezza.”, mi
sussurrò Stefano senza
farsi udire da nessuno.
Alzai gli occhi al cielo, “Non c’è nulla
di dire.”, mormorai.
“Si, certo. Ed io ci credo.”, sbuffò.
Scossi il capo e prendendolo sottobraccio
mi diressi verso la periferia del paese, seguita dagli altri, facendo a
Stefano
un resoconto della serata. Cercai di ignorare lo sguardo di Matteo
sulla
schiena, quasi sentendone il peso.
Con un turbinio di emozioni dentro mi lasciai andare ai ricordi
più recenti.
Era affollato il luogo dove decine di fuochi d’artificio
avrebbero danzato nel
cielo scuro.
Ero poggiata al muro, ascoltavo le ciarle di Francesca e Stefano. Sofia
accanto
a me fumava una sigaretta, mentre Paolo le accarezzava i capelli con
dolcezza.
A pochi mentre da me Matteo parlava con altri amici.
L’osservavo con la coda
dell’occhio, beandomi per l’ennesima volta della
sua figura longilinea.
Sapevo che era sbagliato, ero consapevole del dolore che
l’arrivo di Alice
avrebbe causato. Sapevo che sarei bruciata di gelosia
dentro… ma non riuscivo a
lasciarlo andare.
Nicolas de Chamfort diceva : “Amore, amabile
follia…”
In quel momento più di ogni altra cosa desideravo che non
fosse vero.
Ti rende felice… se corrisposto, ti rende felice anche se
non corrisposto… ma
di logora l’idea di lui con lei. Ti logora sapere che
ciò che più ami… desidera
un altro viso, un altro cuore, un’altra anima.
Sobbalzai colta alla sprovvista, al primo sparo. Guardai il petardo
volteggiare
rosso nell’aria per
poi spegnersi,
seguito da altri dai colori differenti e sgargianti.
Tutti si staccarono dal muri al quale eravamo appoggiati, avanzando per
vedere
meglio oltre lo steccato. Io rimasi, lì dov’ero,
persa nei miei pensieri e nei
colori dei fuochi d’artificio.
Sentii qualcuno sfiorarmi la il braccio. Sobbalzai e mi voltai
spaventata.
Rilassai le spalle quando incontrai quel verde che tanto amavo.
“Tu non vai?”, gridò per farsi sentire
sopra il forte rumore dei petardi.
Scossi il capo, “Sto bene qui.”, urlai guardandolo
negli occhi. Lo vidi, quasi
esitare, quando aprii la bocca per parlare. Si morse poi il labbro
inferiore,
mentre i suoi occhi ardevano ancora. Sul suo viso si dipinse
un’espressione
indecifrabile.
“Devi dirmi qualcosa?”, dissi.
“Non ho capito!”, esclamò avvicinando,
tanto che il mio viso era a poche spanne
dal suo. Sentii il suo profumo, dolce e fresco, inondarmi i polmoni,
dandomi
alla testa. Il respiro accelerò ed il mio cuore prese a
galoppare. Non ero
abituata a quella vicinanza, una vicinanza che demoliva tutti i miei
buoni
propositi di stargli lontano. Dovetti controllarmi per non gettarli le
braccia
al collo.
“Devi dirmi qualcosa?”, ripetei urlando. Mi
fissò con occhi ardenti per attimi
che parvero infiniti.
Il suo respiro era irregolare, lo vedevo dal movimento del suo torace.
La sua mano dalla pelle calda e morbida mi sfiorò il viso.
Premette il palmo
sulla mia guancia e potevo sentire il suo respiro solleticarmi viso,
tanto era
vicino. Fu per me impossibile nascondere un fremito, quando
l’altra sua mano mi
sfiorò i capelli.
Dischiusi le labbra, non curandomi della gente che probabilmente poteva
osservarci in quel momento. Fregandomene esattamente come faceva lui.
Deglutii
rumorosamente, ma lui non poté
rendersene conto. Sentii la sua mani afferrami delicatamente il polso e
trascinarmi via.
“Matteo?”, domandai accigliata e confusa, con il
cuore che batteva troppo
velocemente per essere controllato.
Non mi badò, continuò a camminare a passo veloce,
lungo una strada poco
illuminata.
Svoltò un angolo, nascosto dal sguardi indiscreti.
“Stai bene?”, chiesi. Davanti a me, mi dava le
spalle. Poggiai una mano fra le
sue scapole, lo sentii tremare sotto il mio tocco. Ritrassi
istintivamente la
mano.
“Mi stai facendo preoccupare… Matteo per
fa-“, non mi permise di concludere la
frase. Quello che venne dopo accadde tutto velocemente, ma la mi mente
lo
percepì in ogni suo dettaglio. Come se il tempo avesse preso
a scorrere
lentamente.
Le sue labbra con decisione ma, allo stesso, con estrema dolcezza
furono sulle
mie. Le senti morbide plasmarsi su di esse, come fosse fatte per essere
incastrate l’une alle altre.
Mi spinse contro il muro, accarezzandomi il fianco con un mano, mentre
l’altra
mi accarezzava l’incavo del collo, sotto
l’orecchio. Mi baciò con passione,
quasi con avidità, mentre con le mani gli accarezzavo la
nuca.
Sentii il suo corpo aderire al mio mentre mi lasciavo andare ai sensi,
ma,
soprattutto al cuore. All’amore che nutrivo verso quello
strambo ragazzo,
quello stesso amore che mi fece allontanare da lui.
“Matteo.”, sussurrai mentre con le lebbra seguiva
il profilo della mascella.
Ebbi un fremito e feci scivolare la mia mano dalla nuca sul collo. Gli
presi il
viso fra le mani, costringendolo a guardarmi negli occhi.
“E’ sbagliato.”,soffiai col fiato corto.
“Ti prego sbagliamo.”, rispose con voce tremante.
“Ti prego, Ely, sbagliamo
insieme.”.
Quelle parole ebbero la potenza di un uragano. Mi travolsero, mi
agitarono, per
percossero. I suoi occhi fusi ai miei mi devastarono, annullarono ogni
mia
difesa.
Baciai ancora quelle labbra piene, morbide e vellutate, esattamente
come le
avevo immaginate. Mi prese i viso fra le mani, carezzandomi le gote con
i
pollici.
Sentii le gambe frasi molli e il cuore galoppare troppo veloce tanto da
farmi
male. Lo stomaco mi si strinse in una morsa dopo che mille farfalle
spiccarono
il volo al suo interno, la testa prese a girarmi e le ginocchia mi
cedettero.
Caddi al suolo, strisciandomi contro il muro.
“Ely!”, esclamò inginocchiandosi e
prendendomi ancora il viso fra le mani. Sul
suo viso vi era ansia, apprensione. Sbattei la palpebre qualche volta,
poi
risi, isterica, e scossi il capo.
“Perché ora ridi?”, chiese senza mollare
la presa e costringendomi a guardarlo
in viso.
“Niente.”, risposi.
“Sei strana, lo sai vero?”
“E tu lo sai che sei strano?”, domandai sfiorando
la punta del suo naso con la
mia.
“Si.”, mormorò baciandomi piano e
dolcemente la labbra.
Avrei dovuto ribellarmi a quel contatto, avrei dovuto allontanarmi, ma
l’amore
è amabile follia. Egoisticamente
mi
presi ciò che desideravo. Pensando per una volta a
ciò che cantava il mio
cuore. Fregandomene del dolore che avrei provato il mattino dopo,
quando mi
sarei resa conto che era solo un momento. Del dolore che Alice avrebbe
portata
con se al suo ritorno, ma in quel momento mi rifiutai di pesarci,
godendomi
quegli attimi magici e perfetti.
Poggiò la sua fronte sulla mia, accennò un
sorriso.
“Today, it's gonna be the day that they're gonna throw it
back to you… by now
you should've somehow realised what you gotta do I don't believe that
anybody
feels the way I do about you now…”,
mormorò. Sul suo viso
comparve un
sorriso, un sorriso nuovo, diverso dagli altri, quei sorrisi a me noti.
Era
insolito, diverso, strano…
Dai suoi
occhi trapelava… gioia… nessuna traccia di
risentimento.
Sorrisi in
risposta. Quello era il mio
sorriso.
“Baciami
ancora.”, sussurrai. E con gli occhi che brillavano come le
stelle che
si ergevano sulle nostre teste, posò le sue labbra sulle mie.
E, tutto,
era perfetto.
*
Tadan,
eccomi qui… ancora.
Bene, non chiedetemi da dove mi sia uscita questo capitolo
perché non lo so. E’
uscito, di getto, così.
Non ho molto tempo, perché ho specie di cena con
l’ex-classe.
Perciò ringrazio davvero di cuore gli angeli che hanno
recensito lo scorso
capitolo.
Grazie ragazze, grazie cuore… piccola_stelle_senza_cielo,
daykiria, Nessie93.
A
voi,
un
bacio, Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Seize the day ***
13.
Seize the day.
Cogli l’attimo.
Le
sentivo, calde e arrossate, umide… desiderando ancora che un
paio di petali di
rose di posassero ancora di su di esse. Mi passai istintivamente i
polpastrelli
sulle labbra, ricordando il momento in cui Matteo le aveva catturate
avidamente.
Avvampai ancora di rossore, come se fosse possibile, su quello perenne
che
colorava il mio viso da svariati minuti. Lo stomaco mi si era stretto
in una
dolorosa morsa dandomi un fastidioso senso di nausea.
Sorrisi, chinando il capo. Cercavo di non urtare con le spalle le
persone,
mentre io e Matteo raggiungevamo gli altri.
Di tanto in tanto notavo, con la coda dell’occhio, che mi
rivolgeva occhiate
fugaci… facendomi avvampare di rossore ancor di
più, facendomi fremere ogni
volta che le sue dita sfioravano il dorso della mia mano.
Feci un risolino e lui corrugò le sopracciglia, confuso.
Scossi il capo. Rise
con me.
Alzai lo sguardo ed incontrai quello curioso di Stefano, Sofia mi
guardava con
l’aria di chi la sa lunga.
Tremai presa da un violento attacco di nausea. Stefano sorrise, Sofia
mi guardò
ansiosa.
“Ehi.”, dissi raggiungendoli.
“Ehi.”, rispose loro spostando lo sguardo da me a
Matteo, che si prese a
grattarsi la nuca, palesemente in imbarazzo.
“Ehm… Sofy… Paolo?”, chiese
dopo una lunga schermagli di sguardi.
“Non lo so,”, disse lei guardandosi indietro e
cercandolo con lo sguardo,
alzandosi in punta di piedi,”stava parlando con Simone. Credo
sia… eccolo, è
lì.”, disse poi indicando un gruppetto di ragazzi
che ridevano sorseggiando
birra fresca.
Quando Matteo si fu allontanato, sparendo fra la moltitudine di
persone,
Stefano e Sofia mi spinsero contro il muro, senza lasciarmi via di
fuga,
mettendomi alla strette. Con le spalle sbattei contro la parete.
Spalancai gli
occhi, colta di sorpresa, spaesata dal cambio repentino non solo di
posizione,
ma anche di conversazione, se mai prima ce ne fosse stata una.
“Tu ora ci dici tutto.”, disse Sofia puntandomi
l’indice al centro del petto.
“Tutto.”, fece eco Stefano chinandosi appena per
guardarmi negli occhi. Mi
accigliai e cercai di scrollarmeli di dosso, facendomi in avanti per
andar via.
“Io non vi dico proprio niente, perché non
c’è niente da dire!”, esclamai, ma
le loro mani mi bloccarono per le spalle e mi costrinsero ad
appoggiarmi ancora
al muro.
“Ragazzi! State dando nell’occhio! Matteo potrebbe
girarsi da un momento
all’altro! Per favore!”, sibilai a denti stretti. A
quelle parole si
scambiarono un’occhiata per poi mettersi diritti e incrociare
le braccia al
petto.
Alzai un sopracciglio, “Ehi, Blues
Brothers,
fate un passo indietro.”. I due sbuffarono, poi fecero come
suggerito, o
meglio, come ordinato.
Mi passai una mano fra i capelli, “Ora non date
nell’occhio.”, dissi fiera di
me stessa, “Bene, ci vediamo dopo.”, continuai
sorridendo e facendo per andarmene,
ma Stefano mi ingabbiò il polso nella sua presa ferrea.
“Tu.Non.Vai.Da.Nessuna.Parte.”, scandii ogni parola
cime fosse una minaccia.
Ridussi gli occhi a due fessure, guardandolo in viso. Mi
ricambiò l’occhiata
senza mollare la prese e, dopo attimi interminabili, cedetti. Sbuffai e
rilassai le spalle, tornando di fronte a loro.
“Ditemi.”, sospirai rassegnata.
“Sai cosa vogliamo sapere.”, disse Sofia.
“Non lo so.”, mentii.
“Vi siete baciati.”
“Questa non è una domanda, Stefano.”,
dissi guardandolo negli occhi, fissando
la sua espressione indecifrabile.
“Lo so.”
“No.”
“Sul serio?”, chiese sorpresa Sofia.
“Si.”
Bugiarda, spudorata bugiarda.
“Si.”, mentii.
“Oh. Oh.”,
disse lei abbassando lo
sguardo, mentre una ruga, dovuta alla confusione, le solcò
la fronte.
“Bugiarda.”, sibilò Stefano.
Si.
“No.”. Cercai di reggere il suo sguardo
e… ci riuscii.
Alzò un sopracciglio, poi si rilassò,
“Okay.”, mormorò per poi sorridermi,
“Allora, vi va un gelato?”
Mi portai in bocca il fondo del cono e sentii la lingua bruciarmi, a
causa del
gelato freddo.
Guardavo, sorridendo, Stefano litigare con Simone
sull’inutilità delle
sigarette, ignorando le persone che mi erano intorno. Dimenticando per
un
momento anche Matteo. Dimenticandomi del momento in quel vicolo
buio… delle sue
labbra sulle mie.
Sbadigliai ed ebbi un brivido di freddo dovuto alla folata di vento che
mi
accarezzo la pelle nuda delle gambe. Mi strinsi le braccia al petto,
rabbrividendo.
“Hai freddo?”, sentii sussurrare al mio orecchio.
“Un po’.”, ammisi in un soffio. Le voce
mi tremò appena, esattamente come le
gambe, un riflesso incondizionato alla sua voce dolce come il miele. E
mi penti
di aver mangiato gelato alla fragola.
“Non è tardi per te?”, chiese
allontanandosi e guardandomi in viso.
“Forse. Che ora è?”, chiesi corrugando
la fronte.
“L’una e mezza.”, rispose estraendo il
cellulare dalla tasca guardando il
display.
M’accigliai, “Di già?”, chiesi
in un lamento.
Rise, chinando appena il capo ed alzando un sopracciglio,
“Si.”
Sbuffai, incrociando le braccia al petto e voltando lo sguardo,
“Chiedo a Paolo
se mi da uno strappo…”
“Posso farlo io.”, disse puntando i suoi occhi nei
miei. Ed annegai nel verde
smeraldo.
“Okay.”, soffiai a corto d’aria,
rievocando le immagini di poche ore prima.
Sorrise e i suoi occhi si illuminarono.
“Vieni.”, sussurrò poi scompigliandomi i
capelli.
Salutammo tutti, ma fu impossibile, per me, evitare li sguardi Stefano
e Sofia.
Speranzosi, ma allo stesso tempo… preoccupati, ansiosi.
Si, mi stavo facendo del male. E lo avrei capito quando Alice sarebbe
tornata.
Era sbagliato, errato.
Lo sapevo.
Ma l’amore rende l’uomo irrazionale gli fa fare
cose stupide ed insensate.
Ma quanto c’è di stupido ed insensato nel
lasciarsi andare all’amore?... un
amore non corrisposto.
Quella notte non volevo pensare a niente. Volevo lasciarmi andare,
godendomi
quello che era il mio carpe diem. Nella
speranza che al mio risveglio, il mattino seguente, la ferita al centro
del mio
petto bruciasse meno… ma con la consapevolezza che quella
avrebbe preso a
bruciar di più. Il giorno seguente ci avrei fatto i conti.
Con
le ginocchia strette l’una all’altra e le mani che
torturavano un lembo della
mia corta gonna di jeans chiaro, guardavo fuori dal finestrino.
C’era
ancora movimento, anche se non troppo, mentre ci dirigevamo verso casa
mia, in periferia.
Nell’abitacolo
della macchina, il silenzio. Un odioso silenzio imbarazzante, il
tuo viso avvampa di rossore e il tempo ti sembra che scorra con
lentezza…
troppa lentezza.
Il silenzio
mi stava opprimendo, mi sta logorando, uccidendomi, facendomi
tremare.
Possibile
che non avesse nulla da dire?
Inspirai
profondamente, forse anche troppo violentemente, fremendo appena.
Con la coda
dell’occhio vidi Matteo rivolgermi occhiate veloci.
“Ti
prego di qualcosa!”, dissi con leggera isteria nella voce.
Accostò
la macchina, davanti il vialetto di casa, e si voltò a
guardarmi,
spegnendola. I suoi occhi indugiarono sui miei e tremai.
L’angolo destro della
sua bocca si sollevò verso l’alto. I suoi
polpastrelli presero a sfiorarmi
delicatamente il profilo della mandibola. La sua pelle lasciava una
scia lavica
sulla mia.
“Dì
qualcosa.”, soffiai, col respiro corto.
“Non
avevo mai notato quanto la tua pelle fosse…
liscia.”, disse corrugando
appena la fronte, come perso in una fitta rete di pensieri.
Posò un bacio sul
mio mento e fremetti sotto quel tocco, incapace di opporre qualsiasi
resistenza, chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto.
Le sentivo,
le sue labbra, calde, morbide, piene, sulla mia pelle accaldata.
Sorrisi, senza rendermene conto, e con una mano accarezzai i neri
capelli corti.
“Perché
ridi?”, chiese allontanandosi da mio viso.
“Non
lo so.”, risposi.
Poi,
ingabbiando il mio viso fra le sue mani affusolate, mi baciò
delicatamente
la labbra. E, ancora, fu come se il cervello di staccasse dal resto del
corpo.
Con le mani mi carezzò la pelle sotto le orecchie.
Fu strano
come il romanticismo si tramutasse in passione. Baci troppo a lungo
desiderati, troppo a lungo negati.
Il corpo di
una diciottenne attratto d quello di un ragazzo di ventitré
anni.
Baciandolo
famelica non mi resi conto di come lo avessi spinto verso la sua
portiera, quella del guidatore, poggiata prima sulla mia, desiderosa di
tenerlo
stretto a me.
“Ehi.”,
sussurrò allontanando il suo viso dal mio, senza
però porre fine al
contatto fra le nostre labbra, che in quel momento ancora si sfioravano.
“Scusa.”,
dissi cercando di allontanarmi, avvampando di rossore. Lui non me lo
permise. Mi baciò a fior di labbra per poi stingermi forte a
sé. Poggiai la mia
testa sul suo petto, cullata dall’incessante battere del suo
cuore.
“Resta.”,
mormorò al mio orecchio.
“Non
vado da nessuna parte, Matteo.”
*
Super
in ritardo per la torta alla sorella, ahimè, anche per
questa fiction non ho
tempo per ringrazi arte a modo.
Perciò un
grazie speciale a : xsemprenoi,
Nessie93, ___Yuki___, sonietta, Xx_scrittrice_xX.
Grazie, ragazze, grazie
di cuore.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** On the beach ***
14.
On the beach.
Sulla spiaggia.
«Ti
va di andare al mare?». Mi voltai verso Stefano corrugando
appena la
fronte.
«Il
mare?», chiesi.
Lui annuii
col capo, e fece spallucce. «Perché no?
L’estate è arrivata, è tempo
di andarci, non credi?»
«Beh,
credo tu abbia ragione. Devo alzarmi presto per farlo?»,
chiesi
buttandomi sul mio letto, affondando la testa nel cuscino.
«Si».
Mi voltai di
scatto, a guardarlo. «A che ora?», chiesi, ed il
panico era
evidente nei miei occhi.
«Alle
nove partiamo», disse con tono grave.
«Cosa?»,
chiesi con voce stridula, un odioso suono strozzato. «Ma
è l’alba!»,
esclamai.
Vidi Stefano
portarsi un mano sul viso e scuotere la testa. «Ma piantala.
Domani alle otto fatti trovare sotto casa. Niente discussioni,
signorina.
Chiaro?», chiese alzando e sedendosi sul brodo del letto.
Sbuffai,
roteando gli occhi, poi annuii col capo. Meglio non oppormi.
Quella sera
uscii, ma non trovai Matteo. Il mio cuore batteva frenetico,
desideroso di incontrare i suoi occhi del color smeraldo, ma
così non fu. Non
ebbi il coraggio di chiederlo a nessuno, forse per paura che qualcuno
avrebbe
potuto far domande indesiderate o mettere insieme i tasselli del
puzzle. Non ne
parlai nemmeno con Stefano e Sofia, e fui grata ad entrambi. Nella mia
testa
c’era solo confusione, una confusione che aveva il rumore di
un odioso sciame
d’api infuriate.
Ed i
pensieri erano sempre li stessi: cosa
starà facendo? Sarà al telefono con lei? Si
sarà ammalato? Problemi in
famiglia? Cosa è significato quel bacio? Nulla? Tutto? Mi
sono solo illusa?...
si, solo illusa.
E
lo sentivo, lì, bruciare, lo squarcio al centro del mio
petto.
Mi ero
illusa, ecco tutto. Avevo creduto in qualcosa che non esisteva. Lui
aveva Alice. Alice aveva lui. Ed io? Io non avevo nessuno. Solo il mio
stupido
amore e la mia stupida solitudine.
Mi stesi
ancora sul letto, poggiandomi le mani sul ventre. Chiusi gli occhi
respirando a fondo.
«Ely?».
La voce di Stefano era una dolce carezza, simile alla mano che piano
sfiorava la mia fronte.
«E’
tutto okay», mormorai con voce incrinata.
«Bugiarda».
«Non
puoi saperlo», cercai in più possibile di parlare
con voce ferma.
«Oh!
Sei impossibile», sbuffò d’ irritazione.
Aprii gli
occhi e sentii le lacrime premere per uscire.
«Guardati,
Ely. Chi sei?», chiese premendo il palmo della mano sulla mia
guancia.
«Eleon-»
«Dov’è
finita la mia Eleonora? Quella
allegra, solare, pronta a divertirsi…»,
mormorò.
«E’
qui», ma il mio tono di voce non era molto convincente.
Sospirò
e, chinando appena lo sguardo, scosse il capo. «Domani ci
vediamo alle
otto. Non obbiettare o giuro che ti annego».
Il sole splendeva nel vivido azzurro del cielo del mattino. La sabbia
era calda
e la sensazione che creava sui miei piedi nudi era meravigliosa.
Mi diressi verso la riva, a passo lento, con ancora indosso i
pantaloncini e la
canotta. Sobbalzai quando Stefano mi sfrecciò accanto e con
un urlo si tuffò
nell’acqua calma.
Feci un risolino, avvicinandomi.
«Ely, tu non lo fai il bagno?», mi chiese Francesca
avvicinandosi a me, con
indosso solo il costume.
Scossi il capo, «Ho bisogno dei miei tempi. Arrivo fra un
po’. Ma oltre noi
tre… ci sarà qualcun altro?», chiesi
con molta nonchalance. Ma era ovvio
a chi mi riferissi con la parole
qualcuno. Sperai non se ne rendesse conto.
«Oh beh, Sofia arriva con Paolo e… credo che con
loro vengano altri. Insomma in
macchina ci sono tre posti».
«Capisco», annuii pensierosa. Non aveva accennato
ad una secondo macchina. Mi
auto convinsi, o almeno tentai, che Matteo non sarebbe venuto, ma un
parte del
mio inconscio si rifiutava di credere alla quel pensiero barbaro ed
osceno.
«Allora io vado, eh», disse Francesca dirigendosi a
saltelli verso l’acqua.
Indietreggiai appena, sedendomi a gambe incrociate sulla sabbia
asciutta, ed
osservai Stefano e Francesca giocare con l’acqua. Sorrisi,
mentre la mia mente
si perdeva, viaggiava, posandosi sul quel viso… quelle
labbra.
Scossi il capo, cercando di cancellarne il ricordo.
Lui aveva Alice. Non avrebbe lasciato Alice… lui
l’amava… io… io…
I pensieri nella mia testa oramai non seguivano più un filo
logico,vagano
confusamente, stringendomi lo stomaco in una morsa. Ed il mio animo
passava
dalla felicità all’infelicità, dalla
calma alla rabbia.
Frustrata, mi passai una mano sul viso, e sbuffai.
«Ele! E tu il bagno?», mi voltai di scatto e Sofia
si sedette accanto a me, in
costume.
«Si, fra un po’», dissi sorridendo.
«Come stai?», chiese, e nella sua voce vi colsi
ansia.
Corrugai la fronte. «Bene. Perché?»,
chiesi confusa.
«Lo sai», disse seria.
Si, lo sapevo, eppure mi rifiutavo di ammetterlo.
Ammettere cosa? Che nella mi testa l’unica cosa di sensato
che vi era, era la
parola Matteo.
«Oh, quello. Nah, tutto okay», dissi facendo
spallucce e sorridendo
flebilmente.
«Sai che se c’è qualcosa che non va puoi
dirmelo».
Annui col capo e sorrisi, questa volta in maniera convincente.
«E poi non c’è,
quindi…»
«Senti, Ely, a proposito di questo…»,
balbetto abbassando lo sguardo sulla
sabbia.
Poi capii, quando la sua voce fece breccia nella nostra conversazione e
mi
travolse con la potenza di una slavina.
Alzai il capo verso il cielo, guardando la figura, il viso, che
dall’alto mi
soprastava, e, per qualche inspiegabile motivo, trattenni il fiato.
Era torso nudo, pronto per il bagno.
«E tu? Cosa ci fai vestita?», chiese alzando un
sopracciglio.
«Beh, io vado a fare il bagno», disse Sofia
dileguandosi, seguita da Paolo che mi
salutò con la mano.
«Allora?», insistette.
«Si, si. Fra un po’ vengo
anch’io».
Lui scosse il capo. «No, tu vieni con me»,
sentenziò.
Corrugai la fronte. «E’ una minaccia?».
«No… è solo un modo carino per dirti
che se non ti alzi ti butto in acqua
vestita».
Sgranai gli occhi. «Stai scherzando».
«Mai stato più serio», disse incrociando
le braccia al petto.
Mi alzai, fronteggiandolo, dato che il collo cominciava a dolermi,
tenendo il
capo totalmente rivolto verso l’alto. Certo era comunque
molto più alto di me,
ma le ossa sospirarono di sollievo.
«Conto fino a tre… uno…»,
cominciò a contare molto lentamente, mentre lo
guardavo con aria di sfida. Qualcosa nel suo sguardo mi fece capire che
era
sincero.
«Due… due e un quarto… due e
mezzo…»
«Okay, okay!», dissi sbuffando e allargando le
braccia, per poi farle ricadere
sui fianchi.
Lui sorrise trionfante, mentre mi dirigevo verso
l’ombrellone. Lui mi seguì,
come fosse la mia ombra. Sentivo il suo sguardo sulla mia schiena, era
una
strana sensazione, per certi versi mi infastidiva, per altri, invece,
mi faceva
terribilmente piacere.
Arrivata sotto l’ombrellone color del sole mi sfilai i
pantaloncini ed arrossii
in volto, poiché lui era lì e mi osservava.
«Senti, perché non cominci ad andare? Davvero
io…», balbettai rossa di
vergogna.
Sì, il piacere aveva improvvisamente lasciato il posto alla
soggezione.
Sentivo le guance bruciare, calde come fossero fatte di lava vulcanica.
Lui, sorrise, in maniera maliziosa. «Cosa
c’è? Ti metto in soggezione?», chiese
con un sorriso sghembo sul viso.
Sgranai gli occhi, colta di sorpresa.«Ma no! Cosa
dici!», farfugliai.
«Allora su, muoviti», disse incrociando le braccia
al petto.
«No. Ho detto che ti raggiungo. Oramai ho tolto i
pantaloncini, perciò dammi
solo un minuto», annuii alle mie stesse parole, prima di
sorridere.
Lui sbuffò e si avvicinò a me. Con le lunga dita
affusolate, afferrò i bordi
inferiori della mia canotta e cominciò a sollevarli verso
l’alto, scoprendomi
parte dell’addome.
Mi mossi, come fossi una viscida anguilla, e, spostando le sue mani, mi
ritrassi, sconcertata.
«Che stai facendo?», chiesi con voce acuta.
«Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da
Maometto», disse avvicinandosi
con le mani tese.
«E cosa c’entra ora?», chiesi
allontanando le sua mani che tentarono ancora di
afferrare la mia maglia.
«Poco effettivamente, ma è
d’effetto», disse riprovandoci. Le allontanai
ancora.
«Ely, smettila».
«No, non ci vengo. Lasciamo stare», dissi puntando
i piedi sulla sabbia come
una bambina.
Matteo sbuffò e voltandosi si rivolse a Davide, steso un
lettino.
«Ehi, Dave, mi dai una mano?», chiese indicandomi
con un cenno della testa.
Sgranai gli occhi. «Oh, no, no… no! State lontani
da me», sibilai indietreggiando,
mentre Davide e Matteo, con sguardi omicidi, avanzavano verso me. E
questa
volta ero sicura che avrebbero fatto di tutto per buttarmi in acqua,
così
constati che la cosa più utile, nonché
più ovvia e unica, mi voltai e presi a
correre.
«Si finita!», urlò Matteo dietro di me,
mentre facevo slalom fra gli
ombrelloni. Per assurda fortuna, riuscii a superarlo, dopo un paio di
minuti di
corsa sulla sabbia. Trionfante mi voltai allargando le gambe e
portandomi le
mani sui fianchi, e mi sentii tanto Peter Pan, fuggito da Uncino.
Lui si chinò, poggiandosi le mani sulla ginocchia ansimando.
«Ah ah, io sono più veloce», lo dissi
come fosse una canzoncina, dondolando sui
fianchi, prima di fargli una linguaccia. Ma sul suo viso non
c’era irritazione,
non c’era rabbia… era l’espressione di
chi la sa lunga. Sorrise malizioso, un
sorriso che pian piano di faceva sempre più largo.
Poi capì cosa non andava.
Davide.
Sgranai gli occhi e lui si mise diritto, mi voltai per scappare, ma mi
scontrai
tanto forte contro il petto scolpito di Davide da rimbalzare appena
indietro.
Mi voltai cercando di scappare, cercando con lo sguardo una via di
fuga, ma
Davide mi strinse le braccia in un presa ferrea.
Mi dimenai mentre Matteo si dirigeva verso di noi, e la sua camminata
mi ricordava
tanto il trottare di un cavallo.
«Dai, ragazzi, no…», gli pregai cercando
di divincolarmi.
Le mani di Matteo mi afferrarono la canotta e le senti sfiorarmi la
pelle del
ventre.
Me la sfilò e la poggiò sulla spalla di Davide.
«Grazie amico», disse mentre cercava di tenermi
ferma.
«Di nulla. Ti voglio bene, Eleonora», disse poi
lasciandomi andare e
scompigliandomi i capelli mentre Matteo, prepotentemente, mi caricava
su una
spalla.
“Davide!», gridai, «Sei un
traditore».
Lui fece un cenno con la mano, ignorandomi, dirigendosi con la mia
maglia sulla
spalla verso l’ombrellone.
«E tu… giuro che ti faccio bere tanta di
quell’acqua che nei polmoni non ci
sarà più spazio per un filo
d’aria!», ringhiai battendo i pugni sulla sua
schiena nuda.
Ridendo, si diresse in acqua, i sui passi schizzavano acqua ovunque
tanto che
delle goccioline fredde arrivarono sulle mia cosce nuda e sul viso,
facendomi
rabbrividire.
«No, no!», urlai mentre mi faceva scendere.
Affondai nell’acqua fredda. La
sentii filtrare fra i capelli e brividi min scossero tutta.
Risalii in fretta, spalancando la bocca scioccata e sgranando gli occhi.
«Tu.sei.scemo!», ringhiai.
«Credo tu me l’abbia già
detto», disse pensieroso, prendendosi il mento fra
l’indice e il pollice.
Ridussi gli occhi a due fessure e presi a correre verso di lui, che
voltandosi
cercò di scappare, e come già dimostrato, essendo
più veloce ed agile di lui,
non ci misi molto a raggiungerlo, con un balzo gli fui addosso,
aggrappandomi
come un koala alla sua schiena. Per mia grande gioia, cadde in acqua
con un
tonfo.
Risalì e mi fulmino con lo sguardo. Sgranai gli occhi e
cominciai a nuotare
verso il mare aperto, fino a che, sia io che lui, non riuscimmo
più a toccare il
fondale sabbioso.
Avevo il fiatone per lo sforzo e non riuscivo a smettere di non
ridacchiare.
Portai le mie mani sulla sua testa e cercai di portarlo
sott’acqua, lui mi
prese per i fianchi, trascinandomi sotto con lui.
Risalii a corto d’aria, così come lui.
Poi fu lui a farmi andar già in acqua poggiando la mani
sulla mia testa e fui
io a trascinarlo giù con me.
Ma, lì, accadde qualcosa di inaspettato.
Qualcosa che fece accelerare vertiginosamente i battiti del cuore, e
farmi
sciogliere come neve al sole.
Ingabbiò il mio viso in una stretta ferrea, e
nell’acqua, ormai fresca sulla
mia pelle, posò la sue labbra sulla mie.
E nella mia mente non c’era altro…
solo… Matteo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Keep your hope ***
15.
Keep you hope.
Conserva
la tua speranza.
Il
sole picchiava sulla spiaggia, caldo. Picchiava sulla nostre teste, sui
corpi
di Sofia e Francesca che cercavano di prendere il sole, sui torsi nudi
dei
ragazzi che giocavano con la palla sulla battigia. Ed io, sotto
l’ombrellone,
seduta a gambe incrociate su un lettino guardavo Matteo ridere,
scherzare,
giocare e correre. Osservavo i muscoli affusolati delle braccia e
dell’addome
illuminati dai caldi raggi del sole.
«Ele?».
Mi voltai verso Francesca che ad occhi chiusi prendeva il sole accanto
a Sofia.
«Si?» chiesi.
«Ma ti piace Matteo.» domandò tenendo
gli occhi chiusi. Mi accigliai e Sofia
alzò di scatto il capo, guardandomi negli occhi. Scosse il
capo.
«No, no.» mentii sotto lo sguardo attento di Sofia,
che piano annuii col capo e
ritornò a rivolgere il viso al sole.
«Oh, capisco. Mi era sembrato che ci foste un
certo… feeling, fra di voi.»
rispose con molta noncuranza.
«Magari è una tua impressione. Siamo amici,
insomma, dai… lo conosco da un paio
d’anni.» dissi in un risolino. Ma quel risolino era
perché in due anni ero
riuscita a nascondere a molti ciò che era fin troppo ovvio.
«Okay.» disse facendo spallucce ed il discorso
cadde lì.
Continuai ad osservare Matteo. Il suo viso… le sue
labbra… mentre un brivido mi
precosse la schiena. Sorrisi fra me, scuotendo il capo. Poi Matteo, per
qualche
inspiegabile motivo, voltò il capo nella mia direzione e,
quando posai ancora
il mio sguardo su di lui, incatenò i suoi occhi ai miei.
Corrugò la fronte,
prima di fare un risolino e scappare, sorridente, verso la palla. Ed
io, lì,
senza fiato, mi persi nel ricordo dei suoi occhi color del prato.
Con la coda dell’occhio vidi che Sofia mi guardava.
«Stai sbavando.» riuscii a
capire leggendole il labiale.
«Piantala.» risposi allo stesso modo, facendole poi
la linguaccia. Lei roteò
gli occhi, prima di ristendersi sul lettino, scuotendo la testa.
«Francesca?» alzai il capo, verso la una voce
sconosciuta. Francesca fece lo
stesso, sentendosi chiamare.
«Claudio!» esclamò scattando in piedi ed
abbracciando il ragazzo dai capelli
color del grano.
«Come stai?» chiese lui con voce calda.
«Bene, bene. L’università? Tutto okay?
Quando sei venuto?» chiese lei tutto
d’un fiato.
Lui fece un risolino, basso e roco. «Un paio di giorni fa.
Con l’università
tutto okay. Riparto a fine Agosto.»
«Ma stai dai tuoi questa volta, no?» chiese
speranzosa lei. Osservai quei due,
ed ascoltai la lo conversazione capendo ben poco.
Lui sorrise ad annuii col capo. «Si.»
Osservai il ragazzo, Claudio. Ad occhio sembrava alto quanto Matteo,
forse poco
più. Mi fece sentir ancor più bassa. Aveva i
capelli chiari, che riflettevano
al luce del sole. Il viso era quasi squadrato e gli occhi erano di
vivido
azzurro, le labbra appena piene.
Era un bel ragazzo, su questo non c’erano dubbi.
«Fico! Così uscirai con noi, vero? O sono scesi
anche i tuoi vecchi amici?»
«Uscirò con… voi?» chiese poi
corrugando la fronte.
Francesca scosse il capo. «Oh che sbadata. Lei è
Sofia.» disse voltandosi verso
il lettino accanto al suo. Sofia strinse la mano che Claudio le porse.
«E lei è
Eleonora.» disse rivolgendosi a me. I miei occhi incontrarono
quelli di Claudio
e fui sorpresa ancor di più dal loro colore. Non erano
azzurri, erano turchese.
Mi strinse la mano, sorridendomi.
«Piacere di conoscervi.» disse in modo cordiale,
mettendosi eretto. Guardammo
Francesca con aria interrogativa.
«Oh, si. Claudio è il figlio della cugina di
mamma. Non mi hanno detto che
saresti arrivato.» disse poi rivolgendosi ancora a lui.
«Sorpresa.» fece spallucce lui. Francesca si
sedette al sole sul suo lettino.
«Hai intenzione di rimare lì impalato?»
chiese in un risolino. «Dai siediti.
Preferisci sole o ombra?»
«Ombra.» rispose lui con voce bassa. Si
avvicinò e, accennandomi un sorriso, mi
si sedette accanto. Ricambiai un flebile sorriso, portandomi una ciocca
di
capelli dietro un orecchio.
Aveva le spalle larghe, scolpite da muscoli non troppo evidenti.
«Come mai qui? Intendo… al mare.» disse
Francesca.
«Ho accompagnato la zia Sandra.»
Francesca sgranò gli occhi. «Quella zitella acida
e antipatica?» chiese con
tono acuto. «Nascondetemi!»
«Vedo che ti ricordi di lei.» ridacchiò
Claudio e, per qualche inspiegabile
motivo, rimasi ad osservare il profilo del suo viso… il naso
dritto, come
scolpito nel marmo, le lunghe ciglia chiare, la linea retta delle
sopracciglia
castane.
E così, passano l’ora successiva a parlottare del
più e del mano. E,
straordinariamente, non rivolsi altre occhiata a Matteo.
«Ventuno?»
chiesi sorpresa, e la mia voce era
simile ad un suono strozzato.
Claudio annuì col capo. «Ventuno.»
Spalancai gli occhi. «Credevo fossi più
grande.» ammisi passandomi una mano fra
i capelli.
«Tu invece…?» chiese facendo cadere la
frase.
«Lei ne ha diciotto.» rispose prontamente
Francesca, con un largo sorriso sulle
labbra.
«Diciotto?» chiese dilatando gli occhi.
Annuii col capo. «Diciotto.»
«Sembri più grande.» rispose con
l’ombra di un sorriso sghembo sul viso. Chinai
appena il capo, sorridendo imbarazzata e divertita allo stesso tempo
dalla
piega che la conversazione in quei pochi istanti aveva assunto.
«Ciao!» la voce allegra di Matteo irruppe nella
conversazione ed entrambi,
comprese Francesca e Sofia, ci girammo. Dietro Matteo,
c’erano Paolo e Davide.
Si presentarono.
Alzai gli occhi su Matteo e fremetti, incontrando le lunghe fiamme
verdi dei
suoi occhi. Sorrise, prima di sedersi accanto a me.
«Secondo me, dovresti farti un bagno.»
ridacchiò al mio orecchio.
Mi voltai di scatto e lo incenerii con lo sguardo. «Te lo
scordi. Mi si è
appena asciugato il costume.»
Lui scosse il capo in un risolino. «Sai che potrei portarti
di forza.» mormorò.
«Sai che potrei non parlarti più.»
risposi seria. Matteo roteò gli occhi e
sbuffò.
«Dai…», la sua voce era dolce come il
miele, delicata e leggera come una
carezza.
I suoi occhi intrappolarono i miei. Avrei voluto scostare lo sguardo,
ma non ci
riuscii. Ipnotizzata mi persi in essi in attimi infiniti. Il mio
stomaco si
contorse in una dolorosa morsa ed il mio cuore inciampò
goffo nei suoi stessi
battiti.
«Ele, per favore.» mormorò.
Scossi il capo, poco convinta, esercitando una forza sovraumana sul mio
animo,
desideroso di bearsi del prato dei suoi occhi.
«Matteo, sul serio io…» balbettai ancora
catturata dai suoi occhi.
Con lo sguardo mi incitò a continuare. Sorrise, scattando in
piedi.
«Certo che puoi venire a fare il bagno con me,
Ele.» disse sorridendomi.
Alzai lo sguardo, fulminandolo.
«Vengo anche io.» disse Claudio alzandosi. Matteo
lo guardò,torvo.
«Non… non vieni, Eleonora?» chiese il
ragazzo dagli occhi di vivido azzurro.
Sospirai e, a malincuore, mi alzai dal lettino, dirigendomi verso i due
ragazzi.
Voltai lo sguardo verso Matteo, cercando il suo che però era
rivolto a Claudio
alla mia destra. E se il suo sguardo avrebbe potuto
uccidere… beh, lo avrebbe
sicuramente fatto.
Uscii
dall’acqua col fiatone. Mi piaceva nuotare
e, a quanto recentemente scoperto, anche a Claudio. Matteo fu
costretto, di
malavoglia, a seguirci in una lunga nuotata, sbuffando
d’irritazione di tanto
in tanto. Ed io, mi divertii.
Ogni volta che sbuffava, bevendo un po’ d’acqua
salata, roteando gli occhi
spazientito, rifiutandosi di tornare a riva, sorridevo.
«Scusa, va a riva.» gli dissi sulla soglia di una
crisi isterica, infastidita
dal suo sguardo accusatore.
«Neanche per sogno! Claudio mi sta così
simpatico.» sibilò a denti stretti,
guardandolo trattenere il fiato per andare sott’acqua a pochi
metri da noi.
Alzai un sopracciglio. Avrei dovuto essere arrabbiata, essere furiosa
per il
significato delle sue parole, eppure ne fui irrazionalmente lusingata.
Mi fece
piacere pensare che fossero dettate dalla gelosia.
Avrei dovuto dirgli di sparire, ma non ce la feci. Sapevo ancora una
volta che
era errato sorridere sotto i baffi del suo comportamento, stupida e
forse
troppo invaghita, o innamorata, di quegli occhi verdi che celavano un
mondo
magnifico, per arrabbiarmi ed allontanarmi.
Lei non c’era, non
lì, ma non era
possibile cancellarla dalla mente, dai ricordi, o dai pensieri di
Matteo.
Stava pensando a lei? Stava pensando al suo viso? Stava ricordando il
suono
della sua voce?
La risposta arrivò chiara e limpida, come l’acqua
in cui galleggiavo. I suoi
occhi, lo specchio dell’anima che vi abitava dentro, diceva
semplicemente… no.
Cacciando via i momenti appena passati, incrociai le braccia al petto e
mi
diressi verso l’ombrellone. Sentivo lo sguardo di Matteo
bruciarmi la schiena,
allungai il passo, quasi infastidita da quello sguardo.
«Che ora è?» chiesi a Sofia, afferrando
il mio asciugamano color del sole.
«Ehm...» lei guardò il cellulare che
aveva sulle gambe. «L’una… e dire che
è
ora di andare.»
«Si, sono d’accordo.» disse Paolo
alzandosi.
«Vado a cambiarmi costume.» dissi prendendo il mio
zaino e dirigendomi verso le
cabine.
«Ele, aspetta». Mi voltai verso Stefano.
«Ti accompagno.» disse guardingo.
Sospirai e scossi il capo. «Che spudorato bugiardo. Ti
conosco troppo bene.
Assalimi.» dissi allargando le braccia, prima di farle
ricadere con forza sui
fianchi.
«Eleonora, così mi offendi!»
esclamò portandosi poi una mano sulla bocca.
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
«Okay, okay!» disse lui. «Che ti ha
detto? Di che avete parlato? Ti ha sfiorata?
Riferimenti all’altra sera?» cominciò.
«Mah, nulla. Solite cose. Parlato del più e del
meno, nuotato, scherzato, sai
cosa che si fanno al mare, mi ha baciata.» dissi come con
indifferenza, come se
la cosa non mi toccasse, e sperai non si avvertisse del rossore delle
mie gote.
«Cosa? Quando? Vi hanno visto?» chiese
d’un fiato.
Ed ecco toccato il tasto dolente. Vi
hanno visto?
«In acqua.» sbottai.
«E poi?»
Aprii la porta della cabina e la chiusi con troppa forza.
«Non ne voglio
parlare.» dissi sconfortata e irritata da me stessa. Si,
avrei dovuto odiare
Matteo, ma, in quel momento, odiavo
solo
me stessa.
*
Ringraziamenti.
Nessie93: ciao,
Chià. Eccomi qui con un altro capitolo ch espero sia di tuo
gradimento. Sono
contenta i temi piacciono, perché comunque mi stanno a
cuore. Spero che la
piega presa nel capitolo non ti abbia delusa.
Perciò… grazie, di tutto. Ora mi
immergo nella storia. Grazie, davvero di cuore.
Xx_scrittrice_xX: ciao,
Ely. Sono
contenta ti sia piaciuto il capitolo. Per me è molto
importante, come ben sai.
Qui non succede nulla di eclatante… più o meno,
ma spero comunque ti sia piaciuto.
Grazie per la recensione. Mi manchi.
__Yuki__:
ciao! *_* Che piacere
leggere la tua recensione! Si,
Stefano è
il mio ideale di amico e sono contenta ti piaccia! La situazione con
Matteo è
ardua. E’ combattuta perché sa che non
può resistergli ma non vuole essere la
scorta e sa che quello che fa non è corretto, o
“pulito”. Comunque, ci tenevo a
dirti che mi piace tanto come scrivi *_* davvero, e sono contenta tu
abbia
letto questa mia assurda storia. Grazie, davvero di cuore. A presto!
KeLsey: ciao, Eri! E ora…
tadadadan!
Spero di non averti delusa con questo capitolo. Non succede gran che
–non proprio-
ma sono dettagli. Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto,
davvero! Grazie mille per la recensione… il tuo parere
è molto importante per
me, come sai. Ti voglio bene (L)
A voi, un bacio,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** What the hell is going on? ***
16.
What
the hell is going on?
Cosa
diavolo sta succedendo?
«Mamma
mia, non ce la faccio più, sono stanchissima!»
esclamò Sofia, quando trascinò
Eleonora fuori dal grande locale.
«A chi lo dici!» rispose la ragazza poggiandosi al
muro.
Era il venti di Dicembre. Eleonora era stata invitata ad una festa, con
Sofia,
Francesca, Giulia, Chiara, Alessandra, quelle che erano le sue migliori
amiche.
Cinque ragazze di sedici anni il cui unico obbiettivo era quello di
divertirsi,
senza preoccuparsi del domani, di quello che sarebbe successo. Il loro
unico
pensiero era “stiamo insieme.”
Erano ad una festa, organizzata da amici appena conosciuti in giro.
Amici di
amici, feste in cui tutti conoscono tutti. Si stavano divertendo, come
poche
volte prima d’allora.
«Cavolo, ma lo hai visto?» sospirò
Sofia, portandosi una ciocca di capelli
impregnata di sudore dietro
un orecchio.
«Chi?» chiese Eleonora, confusa. Le dolevano le
gambe e il sudore stava
cominciando ad infreddolire il collo, per via del grande sbalzo di
temperatura.
Avevano ballato fino allo stremo.
«Paolo!» esclamò a bassa voce Sofia.
«Oh, si è vero. E’ bellissimo.
E’ fantastico. E’ dolcissimo. Suona da dio.
Certo, certo.» ridacchiò Eleonora.
«Dai, Ely!» arrossì Sofia.
L’amica rise, prima di baciarle una guancia. «Lo so
che ti piace. E sono
contenta che sia così, sembra davvero un tipo
okay.»
Sofia sorrise, prima di sospirare e poggiarsi anche lei al muro,
buttando
indietro la testa e chiudendo gli occhi. «Tanto non
succederà nulla. Sono solo
la ragazzina con cui parlare quando capita.»
Eleonora alzò un sopracciglio scuotendo il capo.
«Io non direi. Secondo me c’è
altro.»
«Si, si, certo. Me lo hai già detto, ma non ci
credo, lo sai bene. E non
riuscirai a convincermi.», Sofia incrociò le
braccia al petto e sbuffò roteando
gli occhi.
Poi la porta del locale si aprii ed il viso raggiante di Giulia
comparve sulla
porta, “
«Ragazze!»
disse, «C’è Gloria Gaynor!» mentre
le prima note di I Will Survive
giungevano chiare alle loro orecchie.
Sofia si
voltò di scatto verso Eleonora, con lo sguardo acceso da una
strana
luce.
«Corri!»
esclamò Eleonora entrando nel locale afoso.
Si mossero
sulle note di quella vecchia canzone , volenti o nolenti, tutti
conoscono. Si lasciarono andare senza pensare a nulla, cantando a
squarciagola
il testo della canzone,divertendosi con le loro migliori amiche,
godendosi come
non mai la spensieratezza dei loro sedici anni. Poi le note andarono
scemando
tramutandosi in note più lente, dolci ed
amare. Alcune coppie cominciarono a muoversi al centro della stanza,
con passi
lenti, stretti in abbracci. Eleonora si allontanò,
spostandosi sul bordo della
pista.
Vide Paolo
avvicinarsi a Sofia, sorriderle ed avvicinarsi al suo orecchio. Il
viso di Sofia, poté ben notarlo, si intinse di porpora.
Paolo la prese per mano
e portandosela su una spalla, l’attirò a se,
muovendosi lentamente sulla pista.
Eleonora non
poté trattenere un sorriso e un mentale “telo
avevo detto”.
«Ehi,
non avrei intenzione di rimanere qui sola!» sentì
una voce alla sue
spalle.
Si
voltò incontrando gli occhi color della notte di Stefano,
ragazzo conosciuto
qualche era prima tramite un’amica.
Eleonora
sorrise, scuotendo il capo. «E tu?»
«Certo
che no!» esclamò Stefano.
«Allora,
mi concedi un ballo?» ridacchiò Eleonora. Il
ragazzo annuì e,
trascinandosela in pista, l’abbracciò per i
fianchi. Cominciarono a muoversi,
ridendo e scherzando sull’enorme differenza di altezza che vi
era fra loro.
Intanto Eleonora con lo sguardo guardava le varie coppie. Sorrise,
vedendo
Sofia e Paolo, sperando con tutto il cuore che lui aprisse gli occhi e
capisse
che persona meravigliosa stringeva fra le braccia. Guardò le
sue amiche danzare
insieme o in coppia con altri ragazzi, poi i suoi occhi indugiarono su
una
ragazza dai capelli color del cioccolato, una ragazza che conosceva
solo di
vista. E fu lì, quando la ragazza le diede le spalle,
rivelando il viso del suo
cavaliere, che il cuore di Eleonora perse un battito.
I suoi occhi
marroni indugiarono per attimi infiniti in un verde prato, oltre
sottili lenti trasparenti. Un ragazzo dal viso ovale, dalla leggera
barba
incolta che ne accentuava la poca spigolosità della
mascella, dalle labbra
piene e pelle chiara. Bello da mozzare il fiato.
Si persero
entrambi l’uno negli occhi dell’altro, prima di
voltare ancora il
capo, muovendosi sulle note di quella strana lenta canzone.
Da allora la
vita di Eleonora non fu più la stessa.
Il getto
d’acqua batteva violento sul fondo della doccia. Con il
costume ancora
indosso lasciai che l’acqua mi scorresse sul corpo,
sciogliendomi i muscoli del
collo e delle spalle, regolarizzando il battito frenetico del mio cuore.
Il suo viso
popolava ancora i miei pensieri e non avrei voluto. La sua immagine
era sin troppo nitida, nella palpebra chiusa dal mio occhio. Ancora
potevo
avvertire le sue labbra premere dolcemente sulle mie,
nell’acqua fredda.
Scossi il
capo, mentre sentivo gli occhi inumidirsi di calde lacrime.
Che illusa. Che
stupida.
Quando
Alice sarebbe tornata tutto sarebbe finito, perché lui non
l’avrebbe
mai lasciata. Certo, ci speravo, ma in cuor mio sapevo che non sarebbe
successo.
Quando Alice
sarebbe tornata io sarei ritornata ad essere la piccola Ely,
disponibile per una chiacchierata, per scherzare o giocare.
Ero solo un
rimpiazzo.
Quella
consapevolezza, crudele e violenta, fece spillare dai miei occhi
lacrime, e mi ripugnavano, perché non ero riuscita
a
fermare i miei desideri. Avevo scioccamente sbirciato nel portagioie
del mio
animo, quel piccolo muscolo che pompa sangue e vita nelle vene, come
Pandora
aveva fatto con il vaso regalatole. Guardare in quel portagioie, senza
fare
attenzione alle conseguenze si era forse rivelato un errore madornale.
Come dal
vaso di Pandora tutti i mali del mondo si abbatterono
sull’umanità, l’amore
ardente, passionale, ma timido e dolce nel contempo, si
riversò sul mio fragile
animo, travolgendolo, scuotendolo.
Mi poggiai
alle mattonelle fredde e mi feci scivolare lungo esse, fino a
sedermi sul fondo della doccia. Mi strinsi le mani, le braccia al
petto, mentre
i singhiozzi percuotevano il mio corpo.
Tutto
sarebbe passato… prima o poi.
Avevo ancora
i capelli bagnati quando mi buttai sul letto, a pancia in su. Il
sole pomeridiano filtrava attraverso la leggera tenda bianca,
illuminando il
muro sopra la scrivania.
Il cellulare
vibrò. Sbuffando allungai la mano sul materasso, tastando,
cercandolo.
Lo trovai e, portandomelo sopra il viso, lessi il messaggio: ti passo a prendere
fra quindici minuti.
Lezioni gratuite di guida.
Strabuzzai
un attimo gli occhi, guardando perplessa quella combinazione di
parole.
Mi offri anche
il gelato?, digitai,
lasciandomi cadere ancora sul materasso.
Certo! Ora
vestiti, sciocca, rispose
il minuto successivo.
Sospirai e
mi alzai, aprendo il grande armadio di legno scuro. Afferrai una
corta gonna di jeans ed una canotta del color della giada. Mi allacciai
le scarpe
da tennis e legai i capelli umidi in una coda di cavallo, lasciando le
spalle
scoperte, nel caldo pomeridiano.
Scesi le
scale saltellando, incrociando mi madre sul divano, intenta a leggere
un libro, rinfrescata da una leggera brezza che carezzava le tende di
tulle
azzurro.
«Dove
vai?» mi chiese mentre afferravo la borsa
dall’appendi abiti. Il mio
cellulare prese a vibrarmi nella tasca. Lampeggiava il nome Stefano.
«Esco
con Stefano. Mi offre un gelato.»
«Salutamelo
e digli di passare a trovare una vecchia megera di tanto in
tanto.»
disse mia madre in un sorriso.
Annuii col
capo e mi portai a tracolla la borsa. Baciai mia madre, Chiara, e mi
diressi correndo fuori.
Stefano mi
attendeva nella sua familiare metallizzata, con i finestrini aperti,
un braccio fuori e gli occhiali da sole sul naso. Mi sorrideva.
Entrai,
scattante, in auto.
«Buon
pomeriggio, ragazza sciocca.» disse ingranando la prima.
«Buon
pomeriggio, ragazzo sciocco.» risposi in un risolino. Il
sole, riflesso
sull’asfalto, mi illuminava fastidiosamente il viso,
così tirai fuori dalla
bora i miei occhiali da sole.
«Non
ci credo.» disse Stefano, voltandosi a guardami, spalancando
la bocca.
«Hai messo gli occhiali!» esclamò.
«Ah,
ah, divertente. Molto, anche.» sbuffai poggiandomi al sedile
godendomi la
sensazione del vento sulla pelle del viso.
«No,
sul serio, ti donano.»
«Certo,
certo.»
Stefano
sbuffò, scuotendo in un risolino il capo. «Non
cambierai mai. Testarda
fino alla fine.»
«Non
so di cosa tu stia parlando.» incrocia le braccia al petto,
come una
bambina che fa i capricci.
«Bene,
non ti farò mai più complimenti, Eleonora
Salvini!»
Mi voltai e
gli feci la linguaccia, prima che entrambi scoppiassimo in forti
risate. Il bello dell’amicizia con Stefano era proprio
quello. Potevo parlare
di cose serie, o cose frivole, potevo scherzare senza che prendesse
alla
lettera ogni mia parola, ogni mia richiesta, tranne quando il mio
sguardo era
serio, quando nei miei occhi non vi era un filo di ironia. Molte volte
non
c’era nemmeno bisogno di parole, lui mi capiva, al volo, con
uno sguardo, un
sorriso. Quando si dice: gli sguardi
valgono più di mille parole…
«Ah,
prima che dimentichi. Ti saluta la
vecchia megera.»
dissi.
«Sul
serio? Oh, mi mancano le sue ciambelline, sai? Credo verrò a
casa e la
pregherò in ginocchio di cucinarmele.»
ridacchiò.
Vecchia megera era il soprannome
che,
io e Stefano, le avevamo dato il giorno in cui mia madre si era
rifiutata di
fare le ciambelle glassate di cioccolato. Il suo ultimatum fu: o con lo
zucchero, o con lo zucchero. Nel giro di
un’ora finirono tutte.
«Si,
ha detto di farti vivo ogni tanto. Mia madre ha un debole per te. Sei,
il
figlio maschio che non ha mai avuto.» dissi roteando gli
occhi.
«Tua
mamma è un tipo forte, sul serio. E cucina divinamente.
Peccato che tu non
abbia le stesse sue doti culinarie…»
«Ah-ah.
Divertente.» aggiunsi sarcastica mentre lui si prendeva il
mento fra
l’indice ed il pollice, come perso in qualche strana
congettura.
«No,
davvero… ricordo bene la torta alle rape e non-»
«Allora?
Il gelato?» chiesi impaziente, cambiando discorso, conscia
che in
cucina era un disastro. Lo stesso effetto di un elefante in un negozio
di
fragili cristalli…
«Giusto.».
parcheggiò l’auto, sul ciglio della strada.
Mi sporsi
verso lo sportello, per aprire, ma oltre il vetro ancora abbassato il
mio sguardo fu catturato da un’auto blu sul ciglio opposto.
Mi bloccai,
ansimante.
*
Ringraziamenti.
__Yuki__
: ciao! Oh, cavolo che piacere
leggere la tua recensione! In ogni
storia cerco sempre di mettere del reale, qualcosa che ricordi la vita
di tutti
i giorni e, soprattutto, qualcosa strettamente legato
all’amicizia. Sono contenta
ti piaccia il mio modo di scrivere e che tu abbia letto anche
l’altra storia.
Grazie davvero di cuore (Si, ho letto il
tuo messaggio e ti ho anche risposto XD). A presto, cara!
KeLsey: ciao, mia Eri! Eh,
già, è
davvero strano che io non la conosce ^.^ Sono contenta ti sia piaciuto
il
capitolo, Ei, sul serio. Come bene sai, il tuo parere conta davvero
molto per
me. Sei troppo buona, con me. Ti voglio bene (L)
Nessie93: ciao, Chià! Eh,
Claudio…
capirai più in là, tranquilla. Ad ogni modo, sono
contenta ti sia piaciuto lo
scambio di battute fra Sofia ed Eleonora! *-* Eh, si, Matteo bruciava
di
gelosia, ed anche tanto. E poi, cara, non poteva di certo mancare
Stefano,
figurati, lui è una costante, fino alla fine! E’
il migliore amico di Ele, no?
Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, cara. Lo spero davvero. A
presto.
Ti voglio bene.
Xx_scrittrice_xX: oh, mia amata!
O.O Storia che ami per eccellenza?
*-* ma ma ma ma ma… grazie, tesoro!
Grazie dal cuore, sul serio! Beh, effettivamente…
Claudio… Matteo… forse hai
ragione. Spero questo capitolo non sia stato noioso o…
orribile. A presto,
tesoro. Ti voglio bene.
Lucy_Scamorosina: ciao! *-* che
piacere leggere la tua recensione! Spero di non averti fatta attendere
troppo e
spero che il capitolo ti sia piaciuto. Grazie davvero per la
recensione.
Grazie!
A voi è
tutto.
Un bacio, Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** What have I got to do? ***
17. What have
I
got to do?
Che cosa devo
fare?
«Ele?
Tutto okay?»
chiese con apprensione Stefano, poggiandomi una mano sulla spalla. Mi
voltai a
guardarlo con occhi sgranati.
«C’è
Matteo.» soffiai, mentre il cuore accelerava piano la sua
camminata, cominciando
a galoppare, mentre un buco nero, situato al centro del mio ventre,
sembrava
risucchiarmi.
«Cosa?»
C’è
la sua macchina.» risposi pietrificata. «Deve
essere nel bar.» sussurrai.
«Ne
sei sicura?» mormorò.
Annuii col
capo. «Si.», il mio era un semplice movimento di
labbra, senza
implicazione di voce.
«Ele?»
chiese. «Perché bisbigliamo?»
Fu
lì che mi accorsi di essermi abbassata sul sedile e di
essermi protesa verso
Stefano. Mi misi dritta, sul sedile, passandomi una mano sulla testa,
sistemandomi la coda.
«Oh. Okay.
Andiamocene.» dissi risoluta,
chiudendo un attimo gli occhi, prima di guardare il suo viso.
Stefano si
accigliò un attimo, sorpreso. «Ne sei
sicura?»
Annuii, e
sperai di risultare convincente. Sì, in realtà
non volevo andare via.
Ero come divisa da due forse contrarie, che crudeli erano il lotta fra
di loro,
indebolendo il mio poco autocontrollo. Da una parte avrei voluto
aggirarmi nel
bar per cercare il suo viso e perdermi per attimi infiniti nel verde
prato dei
suoi occhi. Ma il buon senso, e quel poco sale in zucca che avevo, mi
suggerì
che la decisione più ragionevole, al momento, era evitare i
suoi occhi. Prima
di essere travolta dall’assuefazione che essi mi procuravano,
anche se il mio
cuore non desiderava altro che ammirare la bellezza del suo viso,
sfiorare la
pelle delle sue braccia… basta!, mi
ammonii, scuotendo il capo, cercando di liberarmi di quegli stupidi
pensieri.
Mi voltai
verso Stefano, che mi guardava quasi scioccato.
«Senti,»
dissi, «no so come e perché, ma sono davvero
intenzionata ad
andarmene. Per favore, approfitta di questa mia momentanea pazzia,
anche se
affettivamente credo di esserne afflitta dalla nascita, e riparti,
prima che mi
impunti decidendo di scendere, per andare a cercarlo. Sai che a quel
punto non
sarà possibile fermarmi.»
«Parto,
capo!» disse mettendo subito in moto l’auto.
La macchina
si allontanò e potei avvertire il filo invisibile, che mi
legava a
quegli occhi, tendersi. Il mio petto protesto, schiacciato dal peso del
ricordo
delle sue labbra, al ricordo di ciò che per poco era stato
mio. Schiacciato dal
pensiero di ciò che in realtà non sarebbe mai
stato mio. Un dolore che già
conoscevo, provato il giorno in cui seppi che Alice era la ragazza di
Matteo,
un dolore che ben conoscevo, che era stato mio amico e nemico, durante
i mesi
delle lontananza, durante i primi periodi di quella relazione. Un
dolore che
avevo arginato, almeno così credevo, mentendo a me stessa,
convincendomi che
più nulla mi legava a lui, che nessun filo invisibile
congiungeva me a lui, e
viceversa.
Che stupida.
Il dolore
era tornato. La consapevolezza che lui non sarebbe stato mai mio
anche.
Quei baci
erano solo… una sbandata e quella consapevolezza mi colpii
in pieno
viso, come fosse un secchio d’acqua gelata… ancora
una volta.
Chiusi gli
occhi, poggiando la testa allo schienale e fingendo di godermi la
sensazione dell’aria sul viso. Lacrime irrazionali premevano
sulle palpebre
chiuse del mio occhio.
La
frustrazione, la rabbia, il disgusto per me stessa erano arrivate
troppo in
fretta, prematuramente. Ciò che avrei dovuto provare al
ritorno di Alice, due
gironi dopo, lo stavo già vivendo.
«Ele…»
la voce di Stefano era un lieve sussurro.
Mi voltai,
sospirando. «Cosa c’è?»
«Cosa
c’è fra te e Matteo. Voglio la verità,
niente omissioni. Non puoi… guardati,
hai gli occhi lucidi!» esclamò.
Aprii la
bocca per replicare, ma da essa non vi uscì alcun suono. La
richiusi
con un gesto secco. «Non lo so. Vorrei tanto saperlo, ma non
lo so.»
«E
non credi sia giunta l’ora di saperlo? Cosa
c’è non vuoi rovinare il tuo bel
sogno con la realtà?» chiese d’un tratto
sprezzate.
Sentii la
rabbia ribollirmi nelle vene. «Bel sogno, hai detto? Ti
sembra un bel
sogno questo?» ringhiai.
Lanciava
fugaci occhiate al mio viso, non sapevo che espressione avessi, ma
pochi secondo dopo mormorò: «Scusa.»
Sospirai e
mi rimisi diritta sul sedile. «Prendiamo questo gelato e
andiamo nei
meandri delle campagne leccesi per provare a guidare questa stupida
macchina.»
dissi poi accendendo la radio.
«Ricorda:
marcia e
frizione. Non mettere il piede sull’acceleratore. Per il
momento preoccupiamoci
solo di farla camminare.» disse Stefano inchiodandomi con uno
sguardo, «Okay?»
la sua voce era grave.
Annuii
energicamente con la testa.
«Marcia
e frizione.» dissi mentre eseguivo i comandi. La macchina non
partì.
Corrugai la
fronte confusa mi voltai verso Stefano.
«Devi
accendere il motore, Ely.» disse con espressione
indecifrabile.
«Oh!»
esclamai ridacchiando. «Chissà dove ho la
testa.» sospirai.
«Io
ho un’idea.»
«Non
voglio parlarne.» dissi con voce glaciale. «Per
favore.»
«Okay.»
«Così?»
chiesi mentre alzavo piano il piede dalla frizione.
«Esatto.
Stai migliorando, piccola! Ora, schiaccia lentamente
l’acceleratore.»
disse gesticolando, cercando di simulare con la mani il pedale. Risi.
Ma presa
dal mio momento di ilarità non mi resi conto della forza che
applicai su quel
piccolo pedale e l’auto sfrecciò in avanti.
Urlai ed
istintivamente schiacciai il freno ed i nostri corpi, per forza
contraria a quella della macchina, finirono schiacciati sugli schienali
dei sedili.
Stefano si
aggrappò istintivamente alla portiera dell’auto ed
al sedile. Attonito
guardava la strada sterrata si fronte a sé.
«Hai
intenzione di ucciderci?» strillò e la sua voce
risultò un odioso suono
strozzato.
«Ma…
ma… perdonami, Stè! Giuro che non era mia
intenzione! Davvero, non l’ho
fatta apposta!»
«Ci
mancava solo che l’avessi fatto di proposito.»
borbottò. Poi il suo
cellulare squillò, se lo portò
all’orecchio senza nemmeno guardare il mittente.
«Pronto?...
ehi ciao… ah, ora?... okay… dove?... si,
perfetto… no, è con me…
okay, a fra un po’.» poi chiuse lo sportellino del
telefono con uno scatto e mi
guardo. «Era Francesca. Stanno tutti andando al solito
bar.»
«Proprio
tutti?» sapeva bene a cosa mi riferissi.
Sospirò.
«Scusami, non ci avevo pensato. Senti… le dico che
non ci andiamo.»
disse visibilmente rammarico.
Scossi il
capo. «No, dai, non c’è problema.
Sappiamo entrambi che non posso
evitarlo in eterno. Andiamo.» dissi sorridendo, sperando di
essere convincente.
Stefano
scosse il capo. «Che bugiarda.»
«Sono
sincera, Stefano.», ed in fondo, lo ero.
«Se
non vuoi… davvero, Ely, non c’è
problema.»
Roteai gli
occhi. «Ma smettila!» lo ammonii ridacchiando. Lui
scosse il capo.
Accessi la macchina.
«Ehi!
Che fai?» chiese sgranando gli occhi.
«Torno
indietro.» farfuglia confusa. «Fino alla strada,
come abbiamo fatto…
prima.»
«No,
no, no.» disse scuotendo energicamente il capo.
«Ora guido io. Voglio
vivere, cara.» continuò prima di scendere
dall’auto.
Lo guardai
fare il giro dell’auto, poi aprii la portiera. «Su,
su!» mi incitò,
ridacchiai e scossi il capo, per poi passare sul sedile del passeggero
senza
scendere dall’auto.
«Ecco
il ballo di essere bassi.» borbottò accendendo
l’auto.
«Io
sono nella norma, Stefano. Sei tu che sei troppo alto.»
«Questi,
mia cara, sono dettagli. Molto insignificanti, anche.»
«Sei
impossibile.» sospirai.
«Però
mi vuoi bene.»
Anche se,
volentieri in quel momento, gli sarei passata sopra con un tir
rimorchi, aveva ragione.
Sentivo lo stomaco
contorcersi in una dolorosa morsa, annodarsi su stesso, mentre con
violenza
chiudevo la porta dell’auto. Stefano non fece battute, non
fece osservazioni.
Mi ignorò, e gliene fui tremendamente grata.
Mi portai la
bora a tracolla, prima di portarmi una ciocca di capelli ribelli
dietro un orecchio e fare un respiro profondo.
Faceva caldo
eppure i miei arti tremarono.
Camminavo a
pochi passi da Stefano, verso l’entrata del bar. Avevo la
gola
secca. L’avevo vista, ancora, la sua macchina, parcheggiata
sul ciglio della
strada. Era lì, lo sapevo.
«Stè!»
lo chiamai. Lui si voltò, corrugando la fronte. La sua
espressione si
fece subito preoccupata però, forse dovuta
all’espressione dipinta sul mio
viso. Non sapevo quale fosse, avrei voluto vederla.
«Vuoi
andare via?» chiese avvicinandosi.
Scossi il
capo ed allargai le braccia, avvicinandomi. Mi rifugiai nel suo
immenso abbraccio, affondando la testa nel suo petto. Mi
accarezzò i capelli
con una mano.
«Ele…
sciocca ragazza, vorrei poterti aiutare, ma non so come. Ti stai
distruggendo.» mormorò con voce calda.
Sospirai,
scuotendo ancora il capo, impercettibilmente. «Fai
già tanto, Rossi.»
sospirai. Alzai il capo, per guardarlo negli occhi. «Ti
voglio bene.» sussurrai
alzandomi sulle punte e baciandogli una guancia.
Poi qualcosa
di inaspettato attirò la mia attenzione. Non mi ero accorta
della
sua presenza, della sua figura avvicinarsi con passo lento e felpato.
«Ciao.»
disse con voce glaciale, una frusta di ghiaccio sulla mia pelle
accaldata.
Il mio cuore
perse un battito.
*
E
grazie a voi, grazie di cuore per aver recensito
lo scorso capitolo.
Grazie, Eri.
Grazie, Chià.
Un bacio, la vostra Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** You don't care ***
18.
You don’t
care.
Non t’importa.
Fissavo il suo
viso, sul quale era dipinta
un’espressione indecifrabile.
Non v’era più nulla intorno a me, solo i cuoi
occhi color del prato, limpidi e
freddi.
Le mie mani scivolarono dai fianchi di Stefano ed immediatamente mi
allontanai,
scossa da un fremito.
«Ciao.» risposi. E la voce di Stefano mi fece da
eco.
Per alcuni istanti, che a me parvero eterni, i suoi occhi indugiarono
fissi sui
miei, e potevo sentire lo sguardo del mio migliore amico, fisso sul mio
viso,
bruciarmi la pelle.
«Io vado dentro.» disse poi scuotendo il capo ed
allontanandosi.
Matteo, di fronte a me, mi fissava, incatenando i miei occhi ai suoi,
senza
darmi e permettermi vie di fuga.
«Ti devo parlare.» disse rompendo il silenzio e la
tensione, la sua voce quasi
scioccò come le redini di un cavallo. Solo in quel momento
mi accorsi di
quanto la cittadina fosse desolata a quell’ora del
pomeriggio. Intorno a noi,
solo silenzio.
«Di cosa?» chiesi, e fui sorpresa dal tono della
mia voce, freddo e distante.
Reazione istintiva, quasi di difesa.
«Possiamo spostarci?» domandò
guardandosi intorno.
Non risposi, mi limitai ad incrociare la braccia al petto ed annuire
col capo.
Cominciò a camminare, svoltando in una stradina desolata, di
quelle poco
abitate, nella parte “storica del paese”.
Fissai la sua figura, la linea perfetta della spalle, della vita,
coperte da
una maglietta color della neve.
Aveva ancora le braccia incrociate al petto, quando si
voltò, puntando gli
occhi nei miei. Ardevano, come lingue di fuoco. Quel repentino cambio
di umore,
di espressione, di luce nei suoi occhi, mi lasciò scossa e
confusa. Interdetta,
corrugai istintivamente la fronte.
«Non ci riesco.» sbottò.
«Scusa?»
«Non ci riesco.»
«Non ti seguo…» farfuglia confusa.
Fece un passo verso di me alzando una mano, come per toccarmi o
sfiorarmi, ma
la sua mano si fermò a mezz’aria, poi ricadde
lungo il suo fianco. Si passò una
mano sui corti capelli scuri, frustrato.
Sapevo che non avrei dovuto, che forse era la cosa più
errata da fare, eppure
mi avvicinai a lui, sfiorandogli la mandibola con i polpastrelli.
Il cuore vince sempre sulla ragione…
«Ehi.» mormorai. Lui alzò il capo,
fissandomi con occhi più ardenti di prima.
«Vorrei baciarti.» disse in un soffio, accigliato.
Lo guardai, sorpresa. Fallo, avrei
voluto dire, ma non lo
feci. Con occhi sgranati mi perdevo nel verde prato della sua anima,
poi
abbassai lo sguardo, consapevole dei mille sotterfugi degli ultimi
giorni, dei
sotterfugi alla quale avevo sottomesso il mio cuore, come schiacciata
dal peso
delle menzogne, del mio ridicolo e vano tentativo di reprimere il canto
del mio
cuore.
Faci un passo indietro, facendo un respiro profondo.
«Ho bisogno di sapere.»
«Cosa?» esclamai con voce di un’ottava di
alta, allargando le braccia al cielo.
«Prima… Stefano… Ele…
io…» balbettò con sguardo perso.
Lo guardai confusa, cercando da capire cosa egli volesse dire con
quelle
parole.
Si passo le mani sul capo e sospirò. «Vorrei
potessi leggermi nella mente.»
«Fammici entrare.» mormorai.
Scosse il capo. «Prima… tu eri… con
Stefano… e…»
Fu lì, che come un fulmine durante una tempesta, la
verità mi colpii in pieno
petto. Capii cosa egli cercava di dirmi, balbettante.
Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene e le mani prudermi, mentre tale
consapevolezza si faceva sempre più chiara. Sapevo che di
lì a poco, con una
sua altra e minima parola, sarei scoppiata e le parole sarebbero
sgorgate dalla
mia bocca come un fiume in piena.
«Cosa?» esclamai e la mia voce era alta, tanto da
scuotere il suo viso e fargli
cambiare espressione. «Andiamo, Matteo, non fare
l’idiota con me!» sentivo
lacrime di rabbia premere per uscire, mentre il viso sembrava fosse
divorato
dalle fiamme. «Sei l’ultimo che si deve permettere
a mettere in discussione il
tipo di rapporto che io ho con Stefano!», cercavo di
mantenere la voce ad un
tono piuttosto basso, con grande insuccesso. Sbuffai, e risi con
leggera
traccia di isteria nella voce. «Non è
possibile.» dissi più a me stessa che a
lui.
Vorresti spiegarmi?» sibilò.
Tornai a guardare il suo viso, inchiodandolo con lo sguardo.
«Chi sono io per
te, Matteo?» chiesi. Non rispose, rimase a fissare il mio
volto, in silenzio.
Scossi il capo. «Sono il rimpiazzo, vero? Quando
tornerà Alice tutto questo
finirà, si tornerà alla normalità.
Credi di avere il diritto di parlare di cosa
c’è fra me e Stefano? Di cosa
c’è fra me ed il mio migliore
amico? Si, Matteo, perché lo è! Per lui
è solo il mio migliore amico!»,
il tono sicuro che ero
riuscita a mantenere vacillò, crollando
sull’ultima frase. La mia voce diventò
pari ad un sussurro, mentre sentivo gli occhi inumidirsi.
Il suoi occhi, mi guardavano, oramai freddi.
Scossi il capo. «Quando lei tornerà tutto
finirà. Io sarò di nuovo la sciocca
Eleonora pronta a darti consigli su Alice. Scusami, ma questa volta
sono io a
non sopportarlo, Matteo. Non voglio essere la sostituta.»
Le sentivo, calde ed amare, rigarmi il viso. Silenziosa come la brezza
in
primavera.
Il suo silenzio fu l’ennesima conferma.
Sospirai, tremante, asciugandomi con il dorso della mano le lacrime che
mi
rigavano il viso.
«E sai quel’è la cosa che più
fa male? Vorrei, dovrei odiarti…
ma non ci riesco.» mormorai con voce rotta. Scossi
il capo e mi allontanai, lasciandolo lì, pietrificato
e… solo.
Matteo la guardava allontanarsi. Muoversi
rigida come un pezzo di legno, portandosi la mani sul viso,
probabilmente per
asciugare le lacrime che aveva preso a scorrere ancora sul suo viso.
La guardava, bella come poche, allontanarsi, facendo oscillare la coda
alta e
nera come la notte.
La guardava incapace di muoversi. Dentro una tempesta. Fulmini e saette
si
scagliavano nella sua mente, sull’immagine che conservava del
viso di lei
bagnato da perle salate.
Avrebbe voluto prenderle il viso fra le mani ed asciugarle le lacrime
baciando
la sua pelle accaldata e rosea… ma non lo fece.
Pietrificato, la guardava
impotente, combattuto. Avrebbe voluto baciarle ogni centimetro del
viso, dirle
“sssh, è tutto okay. Ci sono io”, ma
sapeva che in fondo, in parte, Eleonora
aveva ragione. Perché c’era lei, anche
se distante, ma c’era. E finché c’era
nulla poteva dirsi del tutto okay.
Seguila!, strillava una vocina nella
sua testa. Seguila!, ripeteva.
Ma rimase, lì, solo e con la paura di averla persa.
Era
segretamente innamorato di Alice, quando, Matteo, vide per la prima
volta
Eleonora.
Era una ragazzina di sedici anni, con i capelli lunghi che si snodavano
in onde
sinuose sulla schiena. La labbra piene, la linea dritta del naso, gli
occhi
grandi e le lunghe ciglia da cerbiatto. Snella e slanciata, nonostante
passasse
gran parte delle sue serate su un divano o su una gelida panchina di
marmo.
La vide la prima volta a quella festa, abbracciata a Stefano, un
ragazzo che
conosceva da poco più di tre mesi.
Incrociò i suoi occhi, mentre tra le braccia stringeva la
stessa Alice, allora
solo un’amica.
Carina, pensò istintivamente Matteo fissando i
suoi occhi color della notte. Nonostante in quel momento avesse fra le
braccia
l’oggetto dei suoi desideri, cercava costantemente i suoi
occhi, per tutta la
durata di quel ballo. Per qualche irrazionale motivo, magnetici lo
chiamavano.
Durante la mezz’ora successiva vide Alice parlare con altri
ragazzi e lo
stomaco gli si contorceva dalla gelosia ogni maledetta volta che lei
sorrideva.
Aveva bisogno di una sigaretta, per schiarirsi le idee, per cancellare
dalla
mente il volto di Alice, anche per alcuni attimi, per cancellare dalla
mente
quei grandi occhi neri.
Uscii fuori e la vide. Era sola, seduta sul gradino del portone di una
casa disabitata.
La testa poggiata al legno vecchio, il collo scoperto. Aveva gli occhi
chiusi e
si godeva la sensazione dell’aria fredda sulla pelle. Il suo
respiro si
condensava nell’aria.
Matteo la trovò bellissima.
Sorrise, portandosi la sigaretta alle labbra.
«Ciao.» disse ed Eleonora
sobbalzò, colta di sorpresa da quella voce sconosciuta,
calda e bassa.
Aprì gli occhi e lo vide. Lui che le aveva rapito
crudelmente la sua attenzione
in quel pochi minuti.
«Ciao.» soffiò Eleonora colta di
sorpresa, perdendosi per un attimo nel meraviglioso
verde dei suoi occhi.
«Piacere Matteo.» le disse avvicinandosi e
porgendole la mano.
«Eleonora.» soffiò lei stringendola.
«Non ti ho mai vista in giro.» disse aspirando del
fumo dalla sigaretta.
«Può capitare di non conoscere tutti.»
sorrise lei portandosi una ciocca di
capelli dietro un orecchio.
«Non hai freddo?» chiese Matteo notando che
indossava solo una felpa.
Eleonora scosse il capo, sorridendo flebilmente. «Mi piace il
freddo e me lo
godo prima che diventi un ghiacciolo.»
Matteo sorrise. Era impossibile non farlo, vedendo il viso della
ragazza.
«Bella osservazione.» disse lui in un risolino.
«Già.» ed Eleonora rise.
«Ehi, carina la risata.» disse corrugando la
fronte, mentre un angolo della sua
bocca si sollevava verso l’alto, istintivamente.
La ragazza arrossì, chinando appena il capo.
«Grazie.» disse, non ancora
consapevole che di lì in poi tutto sarebbe cambiato.
Presi
a correre, non curante del caldo e della pelle umida del mio viso.
Stavo fuggendo, ecco tutto. Fuggivo non solo da Matteo, fuggivo da
ciò che ero
in fondo, dalla mia ridicola ossessione per lui,
dall’irrefrenabile desiderio
di carezzare le sue labbra e di amarlo incondizionatamente, come io
fossi sua,
e lui fosse mio. Ma non era la realtà. Non era
così che andavano le cose, ed io
lo sapevo bene.
Rallentai il passo, fino a camminare. Il petto si muoveva troppo
velocemente e
quasi sentivo il cuore in gola. La borsa sbatacchiava contro la mia
gamba, il
mio fianco, lunga scendeva abbracciandolo.
Le mie gambe si muovevano da sole, mentre mi dirigevo lontano da quel
bar.
Chiusi per un momento gli occhi e vidi la sua immagine ingabbiata fra
la
palpebra e l’occhio. Gli riaprii di scatto riprendendo a
correre, scappando…
dall’amore, diretta a quel parco non ancora conscia che amari
ricordi mi
sarebbero sovvenuti alla mente.
«Secondo
me… secondo me…»
Quanto le costava dirgli la verità? Quanto le costava dirle
ciò che avrebbe
detto ad un’amica?
Eleonora era combattuta. Una parte di lei avrebbe voluto dirgli cosa
avrebbe
dovuto fare, e lei sapeva che il consiglio avrebbe probabilmente
funzionato, ma
una parte di lei soffriva al pensiero di dirgli cosa avrebbe potuto
fare, cosa
lo avrebbe trascinato definitivamente lontano da lei.
Così, chiese per un momento gli occhi e si lasciò
guidare dalla voce del suo
cuore, quella era la risposta giusta, solo lui avrebbe potuto darla.
Perciò suo
malgrado, il bene che gli voleva, il desiderio di vederlo felice, vinse.
«Invitala ad uscire. Ho visto come ti guarda, e non le sei
indifferente.» disse
in fine, suo malgrado.
E’
come poterlo essere, pensò fra se.
Conscia che quel ragazzo avrebbe sempre avuto un cantuccio del suo
cuore.
«Ne sei sicura, Ely?» chiese lui corrugando appena
la fronte.
Erano seduti su una panchina, al parco, e mentre bevevano un
thè freddo
parlavano di Alice.
Odiosa arpia, come la definiva Eleonora.
La ragazza annuii col capo e sorrise malinconicamente.
«Si, ne sono sicura.»
E una fitta di dolore sembrò squarciarle il petto.
«Ti voglio bene, Ele.»
La ragazza sorrise, ma non riuscii a rispondere, poiché ella
sembrava essersi
persa nell’infinito mare di dispiacere.
*
Ringraziamenti.
Valentina78:
ciao! Che
immenso
piacere leggere una tua recensione! Sono contenta che ti piaccia il mio
racconto! Ci tengo davvero molto. Spero sia stato di tuo gradimento
anche questo
aggiornamento. Grazie, mille, davvero. A presto!
Piccola Ketty: Oh, Ketty! *-* Non
sai quanto mi faccia piacere leggere una tua recensione! Che tu ci
creda o no,
ci tengo a sapere cosa ne pensi, anche perché mi piace
davvero come scrivi.
Però, secondo me, esageri (non te la darò mai
vinta XD). Questo capitolo mi è
costato un po’, effettivamente, come i prossimi, ma spero di
non averti delusa
e, in tal caso, sarai felicissima se me lo dicessi. Grazie mille per la
recensione, davvero, di cuore. A presto, cara.
__Yuki__: ciao! Non sai quanto mi
abbia fatto piacere leggere la tua recensione, sul serio! Ti sono grata
dei
suggerimenti, sul serio. Delle volte, durante la rilettura, molte cose
possono
scappare. Sistemare alla fine è stata una buon cosa. Davvero
grazie! Poi, sono
contenta ti piaccia la vicenda, e spero di non averti delusa con questo
capitolo. Grazie ancora, cara. Grazie. A presto!
Nessi93: ciao, Chiarì.
Beh, che
dire, la tue recensioni sono sempre così attente
e… carine. E’ un immenso
piacere per me reggerle, davvero. Stefano è il suo migliore
amico, l’unica che
la conosco davvero bene e che vuole solo il suo bene. Riguardo
Matteo… beh, mi
sembra chiaro che non è l’unico confuso. Sono
contenta chela scena dell’auto ti
sia piaciuta, davvero! E spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!
Grazie,
davvero di cuore, donna di
malafede. A presto!
A voi, un bacio,
Panda
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** . I don't believe that anybody feels the way I do about you now ***
19. I don't believe that
anybody feels the way I do
about you now.
Credo che
nessuno senta ciò che provo io per te adesso.
«E’
tornata, vero?» chiesi con voce tremante.
Stefano
sospirò ed annuì. Mi mordicchiai
l’interno della guancia con sguardo
vacuo, fissando un punto indefinito del prato che mi si stagliava
davanti.
Eravamo al
parco. Il giorno successivo alla lite fra me e Matteo. Non lo vidi,
non lo sentii nelle ore precedenti. Il mio cuore ferito sanguinava,
consapevole
che l’illusione oramai era sparita e che quei fugaci momenti,
quei languidi
baci colmi di tenerezza non ci sarebbero più stati. Lui non
ci sarebbe più
stato.
Alice era
tornata.
Mi asciugai
velocemente la lacrima che mi rigò il viso e voltai il capo,
sperando che Stefano non lo notasse. Purtroppo non fu così.
«Ele…
non è detto che finisca tutto così,
ora...» mormorò sfiorandomi il
braccio. Mi ritrassi a quel contatto.
«Guarda
in faccia la realtà.» dissi in uno spunto, senza
voltarmi. «Lui non la
lascerà mai. «Lui non la lascerà mai.
Lui la ama e…»
«Ma
ti ha baciata e ho visto come ti guarda.»
Sentii la
rabbia montare a mi voltai verso lui, scattando in piedi.
«Andiamo,
Stefano! Sappiamo che non significa nulla! Quanti ragazzi baciano
delle ragazze per il gusto di farlo, eh?»
Lui mi
guardò con espressione imperscrutabile.
«E’ diverso.»
«Oh,
va al diavolo. Pensa ciò che vuoi.» dissi
voltandomi e incrociando le
braccia petto, osservando la panchine vuote del parco deserto.
«Perché
hai paura?». La sua voce era un sussurro e ruppe il
tumultuoso
fluttuare dei miei pensieri.
«Come,
scusa?»
Stefano si
alzò, avvicinandosi a me. «Si, perché
hai paura?»
«Non
ho paura.» risposi stizzita.
«Che
grande bugiarda.» disse scuotendo il capo.
Ridussi gli
occhi a due fessure e sentii le mani prudermi.
«Tu
hai paura di rischiare, con lui. Tu hai paura di esporti. Tu hai paura
che
io abbia ragione, Ele. Te lo leggo in faccia.»
Qualcosa
dentro di me scattò. Aprii la bocca per replicare, ma da
essa non vi
uscii suono.
Perché?
Perché lui aveva ragione ed io, stupida, non lo avevo ancora
ammesso a
me stessa.
«Non
darmi della bugiarda.» sibilai.
Stefano
scosse il capo, e si lasciò cadere sulla panchina di legno.
«Sei
impossibile.»
«Grazie.»
mormorai sedendomi accanto a lui.
«Lui
non la lascerà per me. Vedrai.»
Lui
arricciò le labbra e fece una smorfia di disapprovazione.
«Non ci
scommetterei.»
Ripensai al suo viso, al nostro
primo
incontro, al mio cuore palpitante d’amore, alle nostre
conversazioni. Ripensai
al cielo stellato, di quella sera di pochi mesi prima. Ripensai alle
sue labbra
calde e morbide sulla mie, in quei vicolo buio, alla giornata in
spiaggia.
Immaginai quelle stesse labbra, in quel momento, baciare avidamente
quelle di
Alice.
Trasalii e
sentii lo stomaco stringersi in una morsa e la nausea pervaderlo. Mi
strinsi le braccia all’addome.
Mi voltai
verso Stefano sapendo di essere sull’orlo di una crisi
emotiva.
«Ele?»
chiese lui corrugando la fronte, allarmato dall’espressione
del mio viso
che, probabilmente, non era una delle migliori.
«Ti
prego, dimmi che andrà tutto bene. Che tutto si
sistemerà, che prima o poi
lo dimenticherò.» sussurrai con voce incrinata.
Lottai contro le lacrime che
calde e amare premevano per liberarsi.
Stefano
sospirò, poi mi circondò le spalle con un braccio
e mi strinse a se.
«In un modo o nell’altro, Ele, tutto si
risolverà. Magari non sarà come te lo
aspetti. Ma tutto si risolverà. C’è
sempre una via d’uscita.» mormorò
baciando
la fronte.
«Io…
io… mi sono innamorata.» singhiozzai poggiando il
viso sul suo petto.
Sospirò.
«Lo so, piccola. Lo so.»
E mi lasciai
andare ad un pianto silenzioso.
Matteo attendeva alla stazione. Il treno
sarebbe arrivato entro cinque minuti.
Era lì, con il corpo, ma la mente era altrove. Non faceva
che ripensare ad
Eleonora, il suo bel viso, i capelli scuri ed ondulati che le
incorniciavano il
viso sottile, gli occhi scuri, in cui vi era racchiuso un mondo, che dal primo momento in cui
si erano fusi ai
suoi, aveva imparato ad amare. Degli occhi che ogni volta non facevano
che
incrementare l’affetto che provava verso lei, il desiderio di
abbracciarla,
proteggerla e sorriderle. Come ad un’amica? Come ad una
cugina? Una sorella?
Matteo faticava a dare una risposta alle mille domande che si
abbattevano
violente sul suo animo, come la tempesta fa con gli alberi.
L’aveva vista allontanarsi con gli occhi arrossati dalle
lacrime e il viso
umido. L’aveva vista correre via, fragile e disarmata, e non
aveva fatto nulla
per alleviare il suo dolore. Non l’aveva seguita. Per
vigliaccheria? Forse.
Si passò una mano sul viso, sospirando.
Che cosa ci faceva lì? Aveva l’impressione che non
avrebbe dovuto dire sì di ad
Alice, di accettare di andarla a prendere alla stazione.
Si sentiva in colpa, forse? Sapeva di far del male ad Eleonora, che
aveva
considerato sempre una carissima amica. O forse… era
qualcosa di più?
Non ci capiva più nulla. La testa gli doleva e desiderava
con tutto se stesso
staccare la spina che alimentava il suo cervello. Ma non era possibile
farlo, suo
malgrado.
Il treno si fermò. Poco dopo vide comparire Alice e la sua
massa di capelli
rossi.
Lei sorrise ed agitò in aria le braccia, correndo poi verso
il ragazzo,
trascinandosi dietro la valigia.
Matteo di rimando sorrise, ma non lo fece con il cuore. Alice
sembrò non
accorgersene. Si lanciò sul ragazzo, abbracciandolo,
stringendolo forte a sé,
cingendolo per i fianchi.
«Mi sei mancato tantissimo!» disse in un gridolino.
«Anche tu.» rispose il ragazzo di rimando. Lei si
allontanò appena per
guardarlo in volto. Gli accarezzò il viso con una mano.
«Quanto ti sono mancata?» chiese con fare dolce,
baciandoli il mento.
«Parecchio.» mentì. Sì,
mentì e ne rese conto non appena quella parola
fuoriuscì dalle sue labbra.
«Tu di più». E lei gli getto le braccia
al collo.
Matteo non disse niente, non fece nulla, rimase a fissarla con sguardo
vacuo.
«Hai intenzione di baciarmi?» domandò
lei sulle sue labbra.
Matteo a quelle parole girò immediatamente la tesa di lato,
serrando la
mascella.
Alice lo guardò incredula. «Tesoro…
è tutto okay?» chiese ingabbiando il suo viso
fra le sua mani, costringendolo a guardarla negli occhi.
Il ragazzo fissò per attimi infiniti quel viso che tanto
aveva amato. «Nulla.»
rispose infine.
Lei lo baciò sulle labbra. Fu allora che Matto
capì che stava sbagliando…
tutto.
Mi passai
una mano fra i capelli, nell’aria calda e umida della sera.
Sospirai,
abbassando lo sguardo e fissandomi la punta delle scarpe logore.
«Ciao,
Eleonora.» alzai di scatto la testa e mi voltai verso una
voce bassa e
roca, familiare.
Sorrisi
debolmente. «Ciao, Claudio.»
Lui si
avvicinò, allontanandosi da Francesca che si
fermò a parlare con Sofia.
«Tutto okay?» chiese.
Annuii col
capo. «Tu come stai?»
«Tutto
bene.»
Per alcuni
istanti rimanemmo in silenzio, mentre dondolavo sui talloni. Era
sera, eravamo usciti da circa mezz’ora e con lo sguardo
cercavo in vano i suoi.
Sapevo che, quella sera, la presenza di Matto implicava quella di
Alice. Al
solo pensiero ebbi un tuffo al cuore e un attacco di violenza nausea.
«Ti
va una birra?» chiesi d’un fiato, quasi senza
pensarci. Non so cosa mi
spinse a fargli quella domanda, forse il desiderio di scappare da quel
luogo, e
di riempire il silenzio creatosi. Le parole uscirono dalla mia bocca
come un
fiume in piena, come l’acqua trasportata dalla violenta
corrente.
Claudio
sorrise. «Ne sarei felice.»
*
Salve gente, mi
dispiace moltissimo ma non posso
ringraziarvi a modo. Domani ho un compito e devo ancora organizzarmi
per la
partenza di Sabato… la valigia mi chiama a gran voce.
Mannaccia.
Ringrazio di cuore: lisasepe9, Piccola Ketty, __Yuki__,Valentina
78, Nessie93, KeLsey.
Perdonatemi ragazze. Grazie infinite per le meravigliose recensioni!
A presto, Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** It's a sad, sad situation and it's getting more and more absurd ***
20. It's a sad, sad situation
and it's getting
more and more absurd.
E una triste,
triste situazione e sta diventando
sempre più assurda.
Eravamo seduti
su una panchina di marmo a bere
della fresca birra.
Faceva caldo, quella sera. I corti pantaloni di jeans non facevano che
appiccarsi fastidiosamente alle mie gambe e la canotta azzurra sembrava
essere
diventata una seconda pelle.
Dondolavo con le gambe penzoloni, avanti ed indietro, reggendo in mano
la
bottiglia ghiacciata, grattando l’etichetta con
l’unghia.
I nostri amici erano a pochi metri di distanza e parlavano allegramente
tra
loro. Alcuni bevevano un birra fresca, altri mangiavano un gelato.
Di Matteo nemmeno l’ombra.
«Perciò… ti fermerai qui tutta
l’estate?»
Claudio annuì. «Esatto.»
Sorrisi. Istintivamente, senza pensarci, presi a guardarmi intorno.
Claudio se
ne accorse.
«Aspetti il tuo ragazzo?» chiese accennando un
sorriso.
Mi voltai verso lui, corrugando la fronte confusa.
«Prego?»
«Aspetti il tuo ragazzo?» chiese prima di bere un
sorso di birra.
Sbattei più volte le palpebre. «Non ho il
ragazzo.»
«Oh. Mi era sembrato… si insomma al
mare… quel Matteo…» rispose vago, senza
dare grande importanza a ciò che aveva detto, «mi
sarò sbagliato.» concluse
facendo spallucce e bevendo ancora.
Sbarrai gli occhi, irrigidendomi. Non potevo crederci. Come aveva fatto
a
notarlo? Era tanto evidente?
«Sì. Ti sei sbagliato.» mi affrettai a
rispondere freddamente, con voce
distante.
«Okay, okay». Si voltò e mi sorrise.
Imbarazzata chinai appena il capo,
portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Fu allora, in quel momento apparentemente tranquillo, che ebbi un tuffo
al
cuore. Fu come se lo squarcio che avevo nel petto risucchiasse tutta la
mia
anima, trascinandola sul fondo di quel baratro nero come il cielo
notturno
privo di stelle.
Li vidi. Si tenevano per mano e si
avvicinavano agli altri. Lei sorrideva, il viso di lui era
imperscrutabile.
Dietro di loro, Martina, la sorella di Matteo.
Mi irrigidii. Avrei voluto scappare, fuggire di lì, da
quella scena piena di
struggente dolore, ma non ci riuscii. Ero come incollata alla panchina.
Sbiancai e mi sentii la terra mancare sotto i piedi.
Erano insieme. Mano nella mano. Nulla era cambiato. La testa prese a
girarmi,
spiattellatami in faccia quella tragica realtà. Rimpiansi di
non aver mangiato
nulla nelle precedenti ventiquattro ore. E la birra non aveva di certo
aiutato
a darmi energia. Mi si rivoltò nello stomaco.
«Eleonora? Tutto okay?»
Mi voltai verso Claudio con occhi sgranati. «No.»
mormorai. Poi tutto divenne
buio.
«Ely,
Ely svegliati.
Ti prego Ely, svegliati.» pregava e gemeva una voce.
La conoscevo bene, d’altronde come dimenticarla. Bella,
bassa, melodiosa,
l’avrei riconosciuta tra mille.
Delle dita delicate mi carezzavano il viso ed i capelli, con estrema
dolcezza e
tenerezza. Tremanti.
Avrei voluto parlare, dire che ero lì, che ero sveglia, ma
non avevo la forza
di dischiudere le labbra o aprire la labbra. C’era solo la
sua voce, dolce
musica per le mie orecchie… e il suo tocco leggero,
perché, sì, erano sue
quelle mani. Come non riconoscere il modo in cui mi sfiorava, la
sensazione
delle sue mani sul mio viso. Per un momento mi sentii appagata, priva
di
pensieri e sorrisi.
«Ele!» esclamò.
Grugnii e lo sentii fare un risolino.
Piano aprii gli occhi, sbattendo più volte gli occhi ed
incontrai il verde dei
suoi. Luminosi, eccitati, contenti, rasserenati. Incatenarono i miei e
non
potei distogliere lo sguardo. Ed, in quel momento, non ne avevo la
minima
voglia.
«Ciao.» dissi con voce roca.
«Ciao.» rispose lui.
«Cos’è successo?» chiesi
confusa guardandomi intorno. In piedi vidi Stefano,
Sofia, Alice e Claudio sorridermi. Dietro loro altri amici sospirarono
di
sollievo.
Alice.
Ebbi una fitta al cuore.
«Ahi.» dissi in una smorfia.
Matteo sgranò gli occhi, allarmato.
«Ely?»
In quello stesso momento Stefano e Sofia fecero un passo in avanti.
Li guardai confusa. «Oh, no, no, no. E’ tutto
okay.» balbettai sforzandomi di
sorridere.
Matteo alzò un sopracciglio.
«Sul serio.» aggiunsi mettendomi a sedere. Ero
stesa sulla panchina. Quella
stessa panchina su cui sedevo con Claudio.
Mi passai una mano fra i capelli e allora la vidi. «Oh,
no!» esclamai
sospirando.
«Cosa c’è?» chiese Matteo,
seduto sul bordo del marmo.
«Mi sono versata la birra sui pantaloni.»
Matteo scosse il capo. «Ti preoccupi di questo?»
Lo fulminai con uno sguardo. Lui alzò la mani roteando gli
occhi.
Mi voltai verso gli altri, poggiando i piedi sul pavimento.
«Cos’è successo?»
Fu Claudio a parlare. «Stavamo parlando e, ad un tratto, hai
perso conoscenza.»
«Forse è stata la birra fredda.»
osservò Sofia.
Scossi il capo. «No, ho mangiato poco.»
Vidi Stefano muoversi nervoso sul posto e guardarmi con
un’intensità tale da
farmi tremare. A lui non sfuggiva mai niente.
«Tieni.» disse Alice porgendomi qualcosa che
sembrava una caramella. La guardai
corrugando la fronte.
Mi sorrise. «E’ un cioccolatino.»
«Grazie.» farfugliai prendendolo e chinando il
capo, incapace di reggere il suo
sguardo.
«Credo andrò a cambiarmi. Ci vediamo fra una
mezz’ora.» dissi alzandomi
lentamente.
«Vai a piedi?» chiese Matteo alzando il capo e
corrugando la fronte.
Annuii col capo e lui lo scosse. «Ti accompagno.»
Lo stomaco mi si strinse in una morsa. «Non ce
n’è bisogno.»
«Come no.» rispose lui alzandosi.
«Non fare l’idiota.» mi disse Stefano, lo
sguardo di chi la sapeva lunga.
«Non puoi andare a piedi.» aggiunse annuendo
Claudio. Guardai speranzosa Sofia.
Lei annuii.
«Okay.» sbuffai, quasi nel panico, tradita dai miei
stessi amici. In auto ci
sarebbero stati sia Matteo che Alice. Mano nella mano. Vicini. Il mio
cuore
ebbe un sussulto. Stefano si accorse della mia lotta interiore e
comprese il
mio sguardo di supplica, ma lo conoscevo fin troppo bene. Sapevo che
non mi
avrebbe mai fatta andare a casa a piedi.
«Alice?» chiese. «Ti va di accompagnarmi
a prendere qualcosa da mangiare?»
Lei guardò Matteo, in difficoltà. Il suo sguardo
ero però imperscrutabile.
«D’accordo.» disse infine. Stefano
ammiccò.
Sconcertata e costernata lo guardai allontanarsi con Alice.
«Andiamo.» disse poi Matteo. Mio malgrado, fui
costretta a seguirlo.
Durante il
viaggio d’andata nessuno dei due parlò, immersi in
un silenzio
imbarazzante.
Giunta in
camera m’infilai un paio di calzoncini corti, appena sopra il
ginocchio e approfittai per darmi una rinfrescata, cambiandomi maglia.
Quando
scesi, Matteo mi aspettava silenzioso in auto, fissando il parabrezza.
Rimasi qualche secondo nel vialetto ad osservare il suo profilo
perfetto, le
labbra morbide che, per dolci momenti, erano stata mie… ma mai, in
realtà. La mia era stata una stupida illusione.
Sospirando,
con il cuore infranto dal ricordo delle loro dita intrecciate,
aprii la portiera della macchina e salii al posto del passeggero.
«Fatto?»
chiese Matteo senza guardarmi.
«Sì.»
Entrambi
tacemmo ancora per un minuto buono, poi la sua voce, come un uragano
mi scosse.
«Mi
dispiace.» disse. Di scatto mi voltai a guardarlo, sorpresa,
sgranando gli
occhi.
«Di
cosa?»
«Di
tutto…. quello che è successo. Non sono stato
molto corretto… e tu non hai
parlato ed io…», le parole sembrano morirgli in
gola.
Sentii la
rabbia montare e ribollirmi nelle vece.«Ti
dispiace?» chiesi alzando
la voce di un’ottava.
«Ele…»
«Ti
dispiace?» ripetei sconcertata. Lui non rispose.
«Ma
certo, era ovvio. Ed io stupida non l’ho capito sin
dall’inizio.»
Lui so
voltò un attimo a guardarmi,confuso.
E mi uscii
un fiume di parole. «Era ovvio che per te fosse tutto un
gioco. Era
ovvio che era un passatempo, ed io come la stupida ci sono anche
cascata! Ma
che diavolo mi è preso? Dio, no! Ti sei divertito poi lei
è tornata e non vuoi
che sappia. E sai che io non lo farei mai, diamine lo sai! Sai che non
ti farei
mai questo! Che resterò a guardare che tu sia felice, anche
se mi hai ferita!
Perché io ero solo un passatempo!» urlai in preda
alla collera.
«No!
Non dirlo mai!» gridò con volto contratto per la
rabbia.
«Ah
no? “Mi dispiace, Ely”.» lo imitai.
«Va a prendere in giro qualcun altro.
Con me non funziona!» ringhiai.
«Non
è stato un passatempo, e lo sai!»
«No
che non lo so! Tu stai con lei!»
Matteo
scosse il capo. «Non è semplice come
sembra.»
«Lo
è invece.» risposi con voce dura, aspra.
«Possibile
che tu non capisca cosa cerco di dirti? Ti prego fammi parlare,
fammi spiegare.» implorò, voltandosi a guardarmi.
Fermò la macchina, giunti a
destinazione.
«Non
c’è niente da spiegare. La realtà
è questa, Matteo. Tu stai con lei. Ed io
esco di scena. Non andremo oltre una conversazione civile. Io e te, non
abbiamo
più niente da dirci, ora.» sibilai con cuore
spezzato, afferrando la maniglia
della portiera.
Quanto mi
costava dirli tutto ciò? Troppo.
Feci per
scendere, ma Matteo mi afferrò per un braccio impedendomelo.
Aprì la
bocca per parlare, ma non disse una parola. Scossi il capo e mi liberai
dalla
sua presa. Scesi dall’auto.
Sentii le
lacrime premere per uscire. «Sai che io ci sarò
sempre, Matteo. Sai
che io rimarrò sempre la piccola Ely. E anche se dovrei
odiarti, e giuro con
tutto il cuore che vorrei tanto poterlo fare, non ci riesco.
Perché ti voglio
bene, se non di più. Ma rimarrò dietro le quinte,
senza intralciare il tuo
spettacolo. Nonostante tutto… io non ti negherò
mai il mio aiuto. Ma non
chiedermelo adesso. Per le prossime settimane io e te non abbiamo nulla
da
dirci. Un giorno potremo essere ancora amici come una volta.»
mi contraddetti,
rassegnata ai battiti innamorarti del mio cuore, togliendomi per un
attimo la
maschera di rabbia che indossavo.
Chiusi con
violenza la portiera e mi allontanai sotto il suo sguardo smeraldo.
*
Bene,
ho davvero pochissimo tempo. Ho una montagna di argomenti da ripetere
per la
simulazione della terza prova –con voto. Mi rincresce tanto,
davvero, non
potervi ringraziare a modo.
Perdonatemi.
Grazie di cuore a voi, che avete recensito lo scorso capitolo: Piccola Ketty, sonietta,
Ebbi, Nessie93,
KeLsey. Vi prometto che mi
rifarò nel prossimo capitolo.
A voi, un bacio,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** You're just a sad song with nothing to say ***
21.
You're
just a sad song with nothing to say.
Sei solo una
canzone triste senza niente da dire.
In
piedi, parlavo con Davide e Stefano. Ero lì col corpo, ma
con la mente ero alla
conversazione avuta poco prima con Matteo.
Sì, faceva male. Faceva maledettamente male ed, io, non
potevo fare nulla per
impedire che il dolore annegasse il mio cuore. Sentivo il bisogno di
piangere,
ma avevo promesso a me stessa di non farlo, non per lui, non in quel
modo.
Apaticamente e distrattamente cercavo di seguire la conversazione.
«Allora domani ci vediamo domani alle nove?» chiese
Davide.
«Certo.» rispose Stefano.
Alzi il capo per guardarli.«Per cosa?»
Entrambi corrugarono la fronte.
«Sicura di non aver battuto la testa, prima?»
chiese Davide. Roteai gli occhi.
«Si va al mare. Tutti
insieme.»
aggiunse Stefano guardandomi in volto, con leggera apprensione. Mi
irrigidii e
sentii sbiancarmi.
«Ah.» soffiai. «Io non vengo.»,
annuii col capo.
«Perché?» domandò Davide.
«Non posso… ehm… devo fare delle
cose… con mia madre.» farfugliai
improvvisando.
«Oh. E non puoi raggiungerci con Matteo e Alice? Loro vengono
più tardi.»
A quei nomi mi sentii stringere il cuore. Sgranai gli occhi e scossi
velocemente il capo. «Non posso proprio.» mormorai
chiudendo gli occhi. Quando
gli riaprii Stefano fece un cenno comprensivo con la testa, Davide mi
scrutò.
«Sei strana, Ele.» disse.
«Ti ricordo che sono svenuta.» mormorai abbassando
lo sguardo e portandomi una
ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Forse.»
Fu allora che nella conversazione irruppe Martina, la sorella di Matteo.
«Ciao, ragazzi. Ciao Eleonora! Stai bene?» chiese
accarezzandomi piano un
braccio. «Ti sei ripresa?»
Davide e Stefano la salutarono.
«Si, si. Tutto okay.» balbettai.
«Fortuna che c’era Matteo.»
sospirò.
A quel nome fremetti. «Come?»
«Beh, sì, appena sei caduta lui è corso
a raccoglierti. Cioè si è precipitato,
effettivamente, Non ha dato nemmeno il tempo a quel tizio di fare
qualcosa.
Tipico di mio fratello.» disse roteando gli occhi.
«Oh.»
«Non so voi, ragazzi, ma io ho bisogno di fare due passi. Mi
accompagnate?»
chiese guardandoci.
«Io passo. Non ne ho proprio voglia.» rispose
Davide.
«Anche io.» aggiunse Stefano. Martina si
voltò a guardarmi.
Sospirai. «Okay.»
«Come mai qui stasera?» chiesi voltandomi a
guardarla, mentre camminavamo per
le stradine semi affollate.
«Niccolò ha la febbre e mio fratello non voleva
lasciarmi da sola a casa.»
rispose facendo spallucce.
«Capisco.»
Niccolò era il ragazzo di Martina. Entrambi avevano
frequentato la mia stessa
scuola, quell’anno. Avevano preso il diploma, però.
Osservai un attimo la ragazza che mi stava accanto. Non sembrava
affatto la
sorella di Matteo. Aveva i capelli castani, tendenti al rosso, e gli
occhi
castani.
Fu lei a rompere il silenzio che venne a crearsi. «Tu sai
cosa sta succedendo a
mio fratello?» chiese d’un tratto.
Fantastico, pensai. Qualsiasi cosa
cercassi di fare per tenerlo lontano dai miei pensieri… lui
era sempre lì.
Sbattei le palpebre colta di sorpresa. «In che
senso?»
«Beh, si comporta in modo strano. Pensa che per
nell’ultima settimana non abbiamo
litigato per nulla. Anzi, è arrivato anche ad abbracciarmi e
dirmi che mi vuole
bene. Oggi invece era scontroso. Non ci sto capendo più
nulla. Poi lui non
parla. Non parla con facilità dei suoi problemi e di
ciò che sente. Sta troppo
per le sue.» disse in un sospiro.
«Oh.»
Ripensai alla settimana appena passata. Agli ultimi quattro giorni.
Quando noi…
scossi il capo. Non era possibile.
«Non lo so.» mormorai.
«Sei triste?» chiese con fare dolce.
«Uhm… stanca.» dissi in una smorfia,
colta in fragrante.
Lei sorrise, prima di ricominciare a parlare. «E poi quell’Alice. Dio, quanto la
odio.»
Sconcertata e sorpresa mi voltai a guardarla.
«Cosa?»
«Sì, non la sopporto. Sarà anche la
ragazza di mio fratello, ma non la reggo.
E’ troppo svampita per lui.»
«E’… simpatica.» mi sforzai di
dire.
«Come se bastasse questo.» sbuffò.
«Mio fratello merita di più, Ele. Io lo so,
lo conosco. So che persona fantastica è.»
Lo so, lo so, dissi a me stessa.
Sospirai e mi passai una mano fra i capelli.
«Lei davvero non lo merita.»
«Forse.»
«Lui merita una come te, Ele.»
A quelle parole inaspettate il mio cuore si riscaldò
trepidante, per
ricongelarsi nuovamente di fronte alla cruda realtà: lui non
mi avrebbe mai
amata.
«Non dire questo.» mormorai, lottando con me stessa
per mantenere un tono
controllato e fermo.
«Se avessi avuto Alice a pranzo non lo diresti.»
disse in una smorfia. «Non hai
idea di quante volte gli abbia detto: “Ehi perché
invece di Alice non ti metti
con Eleonora?”» rise della sua frase, scuotendo
piano il capo. «Spero di non
metterti in imbarazzo.»
Accigliata scossi il capo, senza proferire parola.
«E lui cosa rispondeva? “Siamo solo amici,
Marti”. Mah. Magari a te nemmeno
piace. E poi era anche per scherzare.» disse in un risolino.
Scossa sorpresa la fissai per attimo prima di tornare a guardare il
marciapiede.
«Scusa per questo sciocco sfogo.»
«Figurati.» soffia.
Con la coda dell’occhio la vidi scrutarmi.
«Perché a te non piace, vero?»
Non riposi subito. Guardai avanti a me un bambino mangiare un gelato,
la sua
mano in quella della mamma.
«No». E sperai non si accorgesse del mio patetico
tentativo di nascondere la
realtà, cruda e violenta. Celai i miei sentimenti nel cuore,
sperando non
trapelassero ai suoi occhi.
Cosa
aveva provato Matteo in quel momento?
Nemmeno lui
lo sapeva con precisione. L’aveva vista cadere, sbattere la
testa
al duro marmo, bagnarsi di birra i jeans… perdere i sensi.
Lo stomaco
gli si era stretto in una morsa ed era impallidito sotto lo sguardo
attonito della sua ragazza. Si era precipitato sul corpo della giovane,
pervaso
dalla paura.
Ed ora,
mentre Alice gli baciava il collo non faceva che pensare alla loro
conversazione, a quegl’occhi scuri e bellissimi implorargli
di lasciarla
andare. Non faceva che pensare alla labbra che aveva baciato nei giorni
precedenti e alla felicità di quei fugaci momenti.
Le parole
pronunciate con voce tremante da Eleonora erano come marchiate a
fuoco nella sua mente… e nel suo cuore. Faceva male la
consapevolezza di averla
ferita, di non averla trattata come avrebbe dovuto. Lei, cristallo
nelle mani
di un gigante.
Chi era in
realtà Eleonora? Perché non faceva altro che
pensare a lei?
Desiderava
rivedere quegli occhi, inebriarsi del dolce profumo di pesca dei
suoi capelli scuri, bearsi del suono della sua risata
cristallina,così sincera
e contagiosa. Desiderava vederla sorridere come aveva fatto in
spiaggia. Voleva
cancellare l’aria malinconica che scuriva il suo viso
sottile. Ed era
consapevole che era colpa sua.
Alice prese
a sbottonargli la camicia, sporgendosi sul sedile del guidatore. E
lui pensò ad Eleonora, che in quella magica sera che lo
baciò con passione e
desiderio, affetto e dolcezza.
Chi era lui
per ferirla così? Chi era lui per far del male a
quell’animo buono
e gentile?
Alice prese
a baciargli il petto.
Pensieri,
ricordi, desideri, gli vorticavano nella testa, in maniera
confusionaria, quasi stordendolo.
«No.»
disse con voce ferma Matteo. Alice si allontanò da lui,
corrugando la
fronte.
«No?»
ripeté confusa.
«No.»
*
E
la storia volge alla
fine, purtroppo. Certo, non è l’ultimo capitolo,
ma ci siamo quasi. Mi
piacerebbe continuarla, ma con la scuola non mi sembra il
caso… ma appena
finisce… beh, potete ben capire cosa succederà XD
Ad ogni modo, ci tengo a ringraziare chi ha recensito lo scorso
capitolo:
__Yuki__ : ciao, cara! Non sai che
piacere leggere la tua recensione! *-* Stefano è
l’amico che ho sempre
desiderato avere e che –penso- sia quello perfetto per un
po’ tutti. Il tira e
molla… uhm, non posso esprimermi XD Grazie mille per la
bellissima recensione,
davvero, mi ha fatto un sacco piacere. Alla prossima, cara! Grazie,
grazie
mille!
KeLsey: ciao, Eri! Speravo in una
tua recensione, sai? *-* La povera Alice è ignara di tutto,
già, poverina. Pff.
Comunque, sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Non sai quanto! I
capitoli
adesso saranno forse un po’ più complicati, ma
spero non ti deluderanno.
Grazie, Eri, grazie di cuore… per tutto. Ti voglio bene. (L)
Nessie93: ciao, Chià! Non
puoi
scrivermi certe cose! Le tue recensioni sono sempre così
belle *-* E comunque…
tu viaggi molto con la mente, ma le tue ipotesi mi divertono un sacco
perché di
tanto in tanto ci prendi anche, o se ci prendi ti depisti da sola XD Ma
dai,
non era avvelenato, povera Alice! Lei, ignara di tutto. Spero di non
averti
delusa con questo capitolo. A presto, cara. Ti voglio bene. Grazie,
grazie di
tutto.
Piccola Ketty: ciao, Kè!
*-* Okay, se mi
lasci queste recensioni come
posso non gongolarmi come una sciocca? *-* Grazie! Anche io, come ti ho
detto,
faccio molta attenzione al tipo di scrittura al tipo di punteggiatura,
perché delle
volte ti danno informazioni sull’autore –forse
è folle da parte mia. La fiction
al’'inizio non doveva avere più di 12
capitoli… ma, ovviamente, come ogni mia
fiction, questo non è stato possibile. Mi dilungo troppo.
Anche io sono
contenta di averti conosciuta. Sei una belle persone che vale la pena
di
conoscere, davvero, non lo dico tanto per dire. Grazie, Ketty, grazie
di cuore.
<3
Valentina78: ciao! XD Beh, forse
molti avrebbero reagito così. Sono contenta tu
l’abbia trovato intenso, per me p molto importante
fare arrivare al
lettore i sentimenti del personaggio… ci tengo tantissimi,
possiamo dire che è
il mio intento principale. Spero di non averti delusa con questo
capitolo. A
presto, cara. E grazie mille per la recensione!
A voi, un bacio,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Lets go back to the start ***
I can't find the words
to say
They're overdue
I've travelled half the world to say
I belong to you.(*)
22.
Lets go back to the start.
Ricominciamo dall’inzio.
L’amore
è donare se stessi all’altro. Riporre i propri
sogni, le proprie
speranze, i propri desideri nell’altro. In fondo, io, un
po’ l’avevo fatto, mio
malgrado, in qui pochi giorni di estrema felicità. Ed era
stato stupido da
parte mia, conscia che tutto sarebbe finito tragicamente.
Ero una sostituta. Lo sarei sempre
stata.
Ero il
gelato dopo i pasti. Si può sopravvivere senza esso. Si
può farne a
meno.
Scossi il
capo.
Sapevo che
avrei dovuto ingerire qualcosa, fare colazione, ma non ne avevo
voglia. La sera precedente ero stata costretta a magiare un pezzo di
pizza,
sotto lo sguardo attendo di Stefano e Sofia. Riluttante, obbedii ai
loro
ordini.
Mi rigirai
sul letto, mentre il sole faceva capolino oltre le persiane semi
chiuse, fino a mettermi a pancia in su, fissando il soffitto color
della neve.
Faceva
caldo, nonostante indossassi shorts e canotta. Avevo la nausea e non
avevo voglia di alzarmi dal letto quel giorno, sorridere e far finta
che non
fosse successo nulla. Mi sentivo svuotata, prima di energie, causato
non solo
dalla mancanza di cibo, ma anche dal senso di abbandono e malinconia
per
qualcosa che non avrei mai avuto.
Passai tutto
il girono a letto, fissando il muro, leggendo distrattamente un
libro, guardando un talk show in tv.
Ignorai mia madre che mi chiedeva cosa avessi, perché non
avessi voglia di
mangiare, rispondendole che non mi sentivo bene, forse per il caldo che
mi
aveva causato un terribile mal di testa.
Che bugiarda, continuavo a dirmi
ogni
volta che faceva capolino oltre la porta.
Ignorai
anche le telefonate di Stefano ed i messaggi che mi inviò
Sofia. Non
volevo sentire nessuno, non volevo vedere nessuno. Volevo solo
crogiolarmi
nella mia stupida delusione amorosa, come ogni ragazza della mia
età.
Quando
Stefano bussò alla porta di casa e mia madre venne in camera
per
infornarmi che mi attendeva in cucina, biascicai: «Digli che
non sto bene e sto
dormendo.»
«Ne
sei sicura, tesoro?»
«Si,
mamma.»
E per
concludere, la notte non riuscii a dormire, perché sulle
palpebre chiuse
dei miei occhi vedevo la sua immagine, le sua mano stringere quella di
Alice e
le sue labbra cercare le sue.
Dopo aver mangiato un po’ di insalata di riso per pranzo, il
giorno successivo,
decisi di fare un giro per prendere un po’ d’aria e
schiarirmi le idee.
L’acqua fredda del getto della doccia mi
rinfrescò, togliendomi il velo di
sudore sul collo.
Indossando un paio di pantaloncini di jeans, che mi lasciavo scoperte
le gambe
facendo respirare la pelle, un canotta bianca, ed indossando la mia
immancabile
borsa di stoffa colorata, uscii… da sola.
Mi incamminai per le stradine desolate e silenziose, raccogliendomi i
capelli
in una coda alta, lasciando che ciocche ribelli e scomposte mi
sfiorassero il
viso. Mi portai la borsa a tracolla, afferrandola sul petto ed
tenendola con i
pollici. Di tanto in tanto strisciavo con i piedi, sospirando e
sbuffando.
Camminavo senza meta, fino a che, senza rendermene conto, mi ritrovai
al parco.
Quello stesso parco che era stato un punto di ritrovo per me e Matteo.
Sorrisi
a me stessa, coscia della pazzia che piano di impossessava di me, e mi
sedetti
ad un
panchina, quella stessa panchina dove mi informò della sua
relazione con Alice.
«Ele, Ele!»
urlò Matteo mentre aspettava
la ragazza.
Eleonora avanzò lentamente, confusa. «Cosa
c’è? Di cosa mi devi parlare con
tanta urgenza?» chiese mentre si avvicinava al ragazzo.
Lui le corse incontro sorridendole e lei sentì il cuore
riscaldarsi, sotto lo
sguardo smeraldo di Matteo.
Lui la raggiunse, il cuore che batteva all’impazzata.
«Ele… ci siamo messi insieme.»
Il mondo di Eleonora si sgretolo poco a poco.
«Non
puoi evitarmi per sempre.»
Malinconicamente
alzai il capo verso il Stefano. «Un po’ ci
speravo.»
«Sciocca.»
disse lui sedendosi accanto a me. «Come stai?»
«Sinceramente?»
chiesi facendo una smorfia.
«Sì.»
«Uno
vero schifo.» ammisi incrociando le gambe sulla panchina di
legno.
«Lo
immaginavo.» disse accarezzandosi la spalla, prima di
stringermi a lui.
«Mi
dispiace tanto, Ely. Tu non lo meriti questo. Tu meriti tutta la
felicità
del mondo.»
«Così
non mi aiuti.» risposi schioccando la lingua.
«Ma
è la verità.»
«Non
c’è nessuna verità.»
ribattei. Stefano scosse il capo e sospirò.
«Come
facevi a sapere che ero qui?» continuai.
«Stavo
andando da Sofia. Ho deciso di tagliare per il parco. Così
ti ho
trovata. Perché non vieni?»
Feci una
smorfia. «Non ne ho voglia.»
«Dai,
Ele… ti farà solo del bene.»
«Preferisco
restare qui.»
«A
farti del male perdendoti nei ricordi.»
Sì.
«No.»
mentii.
«Dio,
Ele… non so più che fare con te. Non puoi
continuare così.»
Poggiai i
piedi sulla ghiaia e i gomiti sulle ginocchia, prendendomi il viso
fra le mani e chiudendo gli occhi.
«Cerca
di sorridere, di reagire almeno… oh,
ciao.»
Alzai il
capo e lo vidi. Lo vidi bello come non mai. La linea perfetta delle
spalle scolpite, la linea sottile dell’addome, messi in
risalto da una normale
e semplice maglietta grigia. Le braccia inermi lungo i fianchi, le
labbra
dischiuse, una strana luce negli occhi verde smeraldo.
Il mio cuore
si strinse in una morsa incapace di reggere la sua presenza
lì, e
lo stomaco mi si contorse, annodandosi quasi. La voragine
cominciò a
risucchiarmi.
«Ciao.»
sussurrò in un filo di voce.
«Ciao.»
soffiai. Per istanti infiniti rimanemmo l’uno negli occhi
dell’altro,
persi nel proprio mondo personale.
Cosa ci
faceva lì? In messaggio non era stato forse chiaro?
«Credo…
sia meglio, per me, andare da Sofia. Ci vediamo Ele.» disse
Stefano carezzandomi
la schiena. «Ci vediamo più tardi
Matteo.» continuò poi con tono e sguardo duro
ed aspro.
Calò
il silenzio. Lui di fronte a me, a qualche metro di stanza mi fissava
con
sguardo imperscrutabile.
«Cosa
vuoi?» chiesi infine con tono atono.
«Hai
due minuti? Avrei… bisogno di parlarti.»
Seduta, con
ancora le braccia poggiate sulle ginocchia, annuii. «Ti
ascolto.»
Matteo fece
qualche passo in avanti, rimanendo a tre metri di distanza da me.
«Mi
dispiace.» esordì.
Corrugai la
fronte. «Me lo hai già detto. Sei venuto qui per
questo?
Fantastico.»
Sentii la
rabbia ed il dolore ribollirmi nelle vene, così mi alzai e
feci per
andarmene.
«Oh,
al diavolo!» esclamai allargando le braccia al cielo.
«Vuoi
solo ascoltarmi per un secondo?» urlò. Il suo tono
di voce, un tono
perentorio e autoritario che non gli apparteneva, mi costrinse a
voltarmi.
Con
espressione seria lo fissai attendendo che continuasse.
«Non
avrei dovuto, non avrei dovuto comportarmi come ho fatto negli ultimi
giorni. Tu non lo meriti.»
Aprii la
bocca per replicare, ma lui mi zittì con un gesto della
mano.
«E’
stata una storia sbagliata sin dall’inizio. Non sarebbe mai
dovuta
cominciare. Credevo fosse amore, ma non lo era. Sono stato cieco, non
ho visto
davvero. Non ho saputo leggere il linguaggio del mio cuore.»
Lottai
inutilmente contro le lacrime che presero a scorrermi sul viso.
«Sei
venuto per dirmi che ti eri illuso su me?» chiesi con voce
tremante.
«Ti
prego, Ely, non piangere. Non sono venuto per dirti questo.»
«Che
è stato tutto un errore?»
«Che
ti amo.» disse d’un fiato.
Sgranai gli
occhi e sentii il mio cuore perdere un battito per poi accelerare
la sua corsa.
«Cosa?»
chiesi con voce strozzata.
«Che
ti amo. Sono stato uno stupido. Sono stato un idiota, lo so. Stavo con
la
ragazza sbagliata e per tutto questo tempo non l’ho capito.
Ma… quando ti ho
vista andare via, con la consapevolezza ti averti persa…
io… volevo solo
rincorrerti e dirti che… che… avevo sbagliato.
Ely» pronunciò il mio nome con
estrema dolcezza, come fosse una carezza, «per tutto questo
tempo sono stato
cieco, non ho visto cosa era ovvio. Per tutto questo tempo sono stato
con la
ragazza sbagliata.» mormorò facendo un passo in
avanti.
«Non
trovi sia un po’ tardi?» chiesi senza voce.
«E’
il mio timore più grande.»
Sentii il
cuore martellare violentemente contro il mio petto, tanto forte che
sembrò volesse librarsi nell’aria.
Feci un
passo in avanti, reprimendo un sorriso. «Dipende da cosa hai
intenzione
di fare ora. Hai intenzione di evitarmi, dopo questa
confessione?»
«Solo
se tu lo vuoi. Anche se mi costerà
tremendamente.», nei suoi occhi, solo
sincerità.
Feci un
passo avanti, facendo una smorfia. «Sarebbe scortese, non
trovi?»
Matteo
sorrise. «Perciò sarebbe meglio se non lo facessi,
giusto?». Fece un
passo in avanti.
«Giusto.»,
annuii col capo, abbozzando un sorriso.
«Sarò
un’odiosa pulce.» mormorò.
Schioccai la
lingua ed avanzai ancora. «Potrei sopportarlo.»
Lui sorrise
ed i suoi occhi verde smeraldo si illuminarono.
Arricciai le
labbra e corrugai la fronte. «Credo di non ave sentito bene
un
paio di paroline.»
«Ah
si?» chiese, e con un passo eliminò la distanza
fra noi, fino a che il suo
piede non toccò il mio.
Annuii col
capo.
«Che
mi dispiace?». Scossi il capo.
Un angolo
delle sue labbra si sollevò verso un occhio. «Ti
amo, Ely.»
Fu allora
che non riuscii più a controllare i muscoli facciali e le
mie labbra
si distesero in un sorriso, mentre il mio cuore palpitava ricolmo
d’amore.
Matteo si
chinò, baciandomi il collo, lasciandomi una scia infuocata
mentre
spostava le labbra verso le mie. Le baciò con estrema
dolcezza.
«Sai
la cosa buffa?» chiesi sulle sue labbra, mentre circondavo il
suo collo
con le mie braccia, carezzandogli piano la nuca.
«Che
anch’io ti amo. Da sempre.»
Sorrise e
circondami l’addome con le braccia mi strinse forte a se,
muovendo le
sue labbra sulle mie, con decisone e passione, ma anche con dolcezza e
tenerezza.
Feci per
saltare e lui, stringendomi per i fianchi, mi sollevò.
Incrociai le
gambe attorno al suo corpo.
«Scusami
se ho aspettato tanto.» mormorò guardandomi negli
occhi.
Gli presi il
viso fra le mani. «Non importa.»
«Ti
amo.»
«Ti
amo.»
E ancora le
nostre labbra si fusero, sigillando un patto che affondava le
proprie radici nei nostri animi, ma, soprattutto…
nell’amore.
*
(*)Non
riesco a
trovare le parole da dire
esse sono in ritardo
ho viaggiato per mezzo mondo per dire
che io ti appartengo
Ed eccomi qui,
finalmente. Non è l’ultimo capitolo. Dovrebbe
mancarne un altro… più l’epilogo,
ovviamente.
Ci ho messo l’anima nel scriverla e spero davvero di cuore
che vi sia piaciuto
almeno un po’ questo capitolo. Ci tengo molto a questa
storia, forse perché sono
i miei
personaggi, e di nessun altro.
Ad ogni modo, ci tengo tantissimo a ringraziare gli angeli che anno
recensito lo
scorso capitolo.
Valentina78: ciao! Sono contenta ti
sia piaciuto il capitolo scorso e l’intera storia, per me
è davvero molto
importante. Per tua fortuna, o sfortuna, questo non è
esattamente l’ultimo.
Spero di non averti delusa con questo capitolo. Grazie, cara, grazie
davvero
per la recensione.
Piccola Ketty: oh, Ketty. *-* tu non puoi scrivermi cose
del genere, non
puoi… mi vizi troppo così! Ovviamente in questo
capitolo ci sono meno errori ed
alcune frasi sono state sistemate, ma la trama è quella.
Sono contentissima ti
sia piaciuta, sai quanto è importante per me il tuo parere,
davvero. Ti voglio
bene, scema.
Nessie93: ciao, Chià! Ed
eccoti qui
il capitolo tanto atteso. Spero di non averti delusa…
conoscendo i tuoi gusti…
non credo proprio XD Beh,
un po’ sul
finale ci hai preso, non credi? Sono contenta ti piaccia, per me
Eleonora e
Matteo sono davvero molto importanti… sono i più
reali. Grazie di tutto,
Chiara, davvero. Grazie, grazie, grazie. Ti voglio bene.
__Yuki__: ciao! *-* Non sai che
piacere mi ha fatto la tua recensione! Ho gongolato per un bel
po’! Hai colto
molto circa la storia ed Ele, davvero, e sono felicissima di sapere che
sei
riuscita ad immedesimarti nel personaggio. Quando scrivo metto me
stessa e
spero che gli altri possano provare ciò che provano i
personaggi, esattamente
come me. Il mio scopo non è solo narrare vicende, ma
trasmettere qualcosa al
lettore… ed è una cosa difficile, a parer mio.
Spero ti sia piaciuto anche
questo capitolo. Grazie, davvero, per le bellissime parole. Grazie.
KeLsey: ciao, Eri! *-* okay, ora mi
fai sciogliere. Non puoi dirmi certe cose! Beh, alla fine Matteo ha
deciso
XD sono contenta ti
sia piaciuto l’incontro
da Eleonora e Martina, davvero *-* lo
sai, il tuo parere è importante per me. Grazie di cuore,
Eri, per tutto ciò che
fai. Ti sembrerà poco, ma non è così.
Ti voglio bene, mostriciattolo.
brokenpromiseland: ciao! *-* grazie per la recensione,
davvero! Mi ha fatto
molto piacere sapere ciò che pensi, ma non devi
assolutamente sentirti in colpa
per delle recensioni, mancate :)
Sono
contenta ti piaccia il mio modo di scrivere, anche se non è
un gran che. Spero
di non averti fatta attendere molto. Grazie, grazie davvero per la
recensione.
A voi, con immenso affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** You, are, the only exception and I'm on my way to believing ***
23.
You, are, the only exception
and I'm on my way to believing.
Tu sei
l’unica eccezione e sono sulla buona strada
per crederci.
Matteo
scese dall’auto, dirigendosi alle grandi panchine di marmo.
S’infilò le chiavi
in testa e, dopo aver estratto una sigaretta dal pacchetto semivuoto
portandosela fra le labbra, l’accese. Fece un cenno col capo,
quando raggiunse
i suoi amici.
«Ciao, ragazzi.» disse espirando del fumo.
Stefano che parlava con Davide si voltò a guardare
l’amico. Lo sguardo del
ragazzo era imperscrutabile e fissavano quelli di Matteo.
Cos’era successo? Stefano non sapeva.
Dov’era Eleonora? Perché non rispondeva alle sue
chiamate? Era passato a casa
sua, ma lei non c’era. Ed, in quel momento, avrebbe voluto
dare uno spintone a
Matteo e chiedergli cosa fosse successo, dove fosse finita Eleonora.
Avrebbe voluto leggere ciò di cui aveva bisogno sul viso di
Matteo, ma il suo
sguardo era indecifrabile.
Matteo abbozzò un sorriso, quando incontrò lo
sguardo truce di Stefano.
«Ciao, Matteo!» rispose Davide dandogli una pacca
su una spalla. Stefano lo
saluto con un cenno del capo.
Aveva bisogno di sapere cosa fosse successo, avevo bisogno di sapere
cosa le
avesse fatto.
L’aveva ferita?
Stefano decise così di attendere l’occasione
adatta per tempestarlo di domande,
lontani da orecchie indiscrete.
«Come va?» chiese Matteo prima di aspirare del fumo.
«Non c’è da lamentarsi. A te?»
Matteo, portandosi al sigaretta alle labbra, fece spallucce. Stefano
sentì
l’irrefrenabile voglia di ucciderlo con le sue stesse mani.
Una lenta morte
dolorosa.
«La tua ragazza?» chiese Davide.
Matteo che fissava la strada più trafficata di quella
piccola cittadina,
sorrise, col cuore ricolmo di gioia.
«Sta arrivando.» disse fiero di ciò che
gli si era rivelato all’improvviso.
Stefano e Davide volsero lo sguardo in direzione di quello di Matteo,
cercando
la figura di Alice. Ma non la videro.
Davide corrugò la fronte. «Io non la vedo.
C’è solo Eleonora.» disse confuso.
Stefano si voltò di scatto a guardare Matteo, con occhi
sgranati e bocca
spalancata.
Matteo si perse per istanti infiniti nel viso d’angelo della
piccola Eleonora,
che a passo svelto si avvicinava a loro. Un largo sorriso sul viso.
«Esatto.» mormorò Matteo fiero di
ciò che avrebbe stretto entro poco fra le
mani.
Fu allora che Stefano capì. Fu allora che Stefano
capì che l’amore non può
essere nascosto o celato, che traspare comunque vada. E ciò
che legava i due,
era amore.
*
Okay,
a dire il vero questo
nella storia all’inizio non c’era ma…
l’ho scritto, e non sapendo dove l’ho
inserito, l’ho usato come “ultimo”
capitolo prima dell’epilogo. Spero non vi
dispiaccia.
Nessie93: ciao, Chià! Ed
eccomi
ancora qui. Bene, da dove iniziare? Innanzi tutto grazie, grazie di
cuore per
la bellissima recensione. Sono contentissima di sapere che il capitolo
è stato
di tuo gradimento, davvero. E sono contenta anche di averti un
po’…. Sorpresa,
per me è davvero importante. A presto, cara. Ti voglio bene.
Valentina78: ciao! *-* Sono contenta
di sapere che il capitolo ti è piaciuta… e che tu
abbia riscontrato l’aver
messo me stessa nella stesura. Grazie, grazie di cuore. Spero che
questo
mini-capitolo sia stato di tuo gradimento. A presto!
Piccola Ketty: ciao, mia bella! *-*
oh immenso picare leggere le tue recensioni! Mi basta anche solo sapere
che ne
pensi, sono sincera. Fai così tanto per me *-*
Sapere che i personaggi ti piacciono, che il mio…
“stile” ti piace… oh,
cavolo, non sai quanto mi renda tremendamente felice! Grazie,
Kè, grazie di cuore.
Ti voglio bene.
KeLsey: ciao, Eri! *-* Alla fine ce
l’ho fatta, volge al termine. Sono contenta ti sia piaciuto
il capitolo
precedente, davvero tanto! Ti si sono illuminati gli occhi e hai
cominciato a
boccheggiare? O.O okay, ammetto che qui
mi sono commossa. Non sai quanto sia importante ciò che hai
detto! *-* Sapere
che ti è arrivato… oooooh. Grazie, Eri, grazie di
cuore. Ti voglio bene.
sbrodolina: ciao! *-*
guarda… quando ho letto al tua recensione, ho
cominciato a gongolare come una scema! Grazie! Davvero ti piace? A
questo
fiction ci tengo tanto perché… in fondo, dal mio
punto di vista, ognuno può
immedesimarsi nei personaggi. Ho cercato di renderli il più
veri possibile, non
so se sono riuscita nel mio intento… ma le tue parole mi
hanno riempita di
gioia, davvero! Grazie, grazie, grazie.
A presto!
A voi, con immenso
affetto,
Panda.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Can you feel the love tonight? ***
Epilogo.
Can You
Feel The Love
Tonight?
Riesci a sentire l’amore
questa sera?
Dire che
quell’estate fu bellissima, sarebbe davvero troppo poco. Fu
di più.
Non
v’era giorno in cui non riuscivamo a ritagliarci un piccolo
spazio per noi,
fatto di semplici conversazioni o prese in giro… cosa in cui
lui riusciva alla
perfezione.
Stefano e
Sofia ne erano entusiasti, più di quanto mi aspettassi, e la
frase
che molti dissero sorridendo fu: «Finalmente!»
Ad ogni
modo, quello stesso pomeriggio, in cui le sue labbra divennero
finalmente mie, vari erano gli interrogativi che mi affliggevano.
Matteo,
circondandomi le spalle con un braccio mi condusse sulla panchina,
facendomi sedere sulle sue gambe.
«Alice?»
chiesi mentre mi carezzava la pelle delle gamba con i polpastrelli.
«E’
finita.»
«Beh,
questo l’avevo capito, genio.»
Rise.
«Le ho detto che… che mi ero innamorato.»
«Ti
rendi conto che è un po’ ambigua come
cosa?»
«In
effetti ha risposto che già lo sapeva.»
Feci una
smorfia. «Questa cosa non mi piace.»
Mi
baciò il braccio. «Così, le ho detto di
amare un’altra. Da ben due anni,
solo che non me n’ero ancora accorto.»
Roteai gli
occhi. «Certo, certo.»
Rise ancora.
«Scommetto
che ti stava palpeggiando.» mugugnai.
«Più
o meno.»
Sgranai gli
occhi. «Ma io dicevo tanto per dire!» esclamai
scioccata.
«Ma
l’ho allontanata.» disse baciandomi la spalla.
Grugnii e
gli tirai un pizzicotto.
«Ahi!»
protesto toccandosi il fianco.
«Da
oggi toccherai solo me. No?» chiesi, con serietà.
E capì che non scherzavo.
«Assolutamente
sì.», e mi bacio il collo.
«Hai
intenzione di continuare ancora per molto?» dissi chiudendo
gli occhi e
godendomi la sensazione delle sue labbra sulla pelle.
«Di
fare cosa?» soffiò sul collo. Sentii un brivido
percorrermi la schiena.
«Di
evitare le mie labbra. Eppure non credo sia difficile trovarle. Guarda,
sono proprio qui, sul viso.» mormorai sorridendo ed
indicandole con l’indice.
Matteo si
allontanò, ridendo sommessamente. Incrocia le braccia al
petto.
«Vieni
qui.», e premendo il palmo della mano sulla mandibola, appena
sotto
l’orecchio mi attirò a se, baciandomi.
Dopo pochi
secondi mi allontanai.
«Mi
spieghi una cosa?»
Matteo
roteò gli occhi. «Che altro
c’è, ora?» sospirò baciandomi
il mento.
«Come
facevi a sapere che ero qui?»
Lui
arricciò le labbra e prese a grattarsi la nuca.
«Ecco… sono passato da casa
tua.»
Sgranai gli
occhi. «Davvero?». Lui annuì col capo.
«Waw.»
mormorai.
«E
tua madre mi ha detto che eri uscita e che Stefano non era passato a
prenderti. Perciò ho pensato che forse eri sola. Certo,
potevate esservi
incontrati da qualche parte…»
«Chiamarmi?»
Alzò
un sopracciglio. «Perché, mi avresti
risposto?»
«No,
probabilmente no.»
«Ora
posso baciarti?» chiese con occhi ricolmi di dolcezza.
Feci finta
di pensarci un po’ su. Feci spallucce.
«Okay.»
E
così volge al termine la mia favola personale. Anche se io
non la considero
propriamente una fine. Quello era un inizio.
Un meraviglio inizio. E non mi importava se il tempo presto o tardi ci
avrebbe
giocato brutti scherzi. Per il momento ero felice di godermi i miei
diciott’anni… senza pensieri.
*
Ed eccomi qui,
finalmente.
Bene, adesso è davvero conclusa… o quasi. Come
è stato detto, è solo un inizio.
Ad ogni modo, ci tengo tanto a ringraziare gli angeli che hanno
recensito lo
scorso capitolo. Mi avete riempito di gioia.
Sbrodolina, grazie infinte. Sono
contenta ti sia piaciuta. A presto. Con immenso affetto Panda.
Piccola Ketty, una
sola cosa: ti voglio bene. Grazie per il supporto. Ti adoro, sempre
e comunque. Un immenso abraccio, tua Mel.
Nessie93, grazie per avermi seguita
e seguirmi. Grazie di cuore, Chià. Ti voglio bene.
Valentina78, grazie per la
recensione. Mi ha fatto tanto piacere. A presto. Panda.
anna96, grazie per la primissima
recensione.
Mi ha fatto piacere sapere che l’hai seguita. Questo per me,
conta già molto.
KeLsey, e grazie a te, piccola Eri.
Grazie di tutto. Ti voglio bene.
A presto!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=362127
|