Lovelessness - mancanza d'amore.

di NeverThink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciò che ho perso ***
Capitolo 2: *** The truth is hiding in my eyes ***
Capitolo 3: *** I only dream of you and you never knew ***
Capitolo 4: *** I tried to give you up, but I'm addice. ***
Capitolo 5: *** You're all that I want ***
Capitolo 6: *** Look what you're doing to me… why you break my heart? ***
Capitolo 7: *** I lost my head ***
Capitolo 8: *** I will wait for this moment, when our lips collide. ***
Capitolo 9: *** Broken inside ***
Capitolo 10: *** Jealousy ***
Capitolo 11: *** Take my hand tonight, let's not think about tomorrow ***
Capitolo 12: *** Love, sweet insanity ***
Capitolo 13: *** Seize the day ***
Capitolo 14: *** On the beach ***
Capitolo 15: *** Keep your hope ***
Capitolo 16: *** What the hell is going on? ***
Capitolo 17: *** What have I got to do? ***
Capitolo 18: *** You don't care ***
Capitolo 19: *** . I don't believe that anybody feels the way I do about you now ***
Capitolo 20: *** It's a sad, sad situation and it's getting more and more absurd ***
Capitolo 21: *** You're just a sad song with nothing to say ***
Capitolo 22: *** Lets go back to the start ***
Capitolo 23: *** You, are, the only exception and I'm on my way to believing ***
Capitolo 24: *** Can you feel the love tonight? ***



Capitolo 1
*** Ciò che ho perso ***


Lobelessness

Lovelessness
mancanza d’amore




Sbuffai, irritata.
Possibile che non si era capaci di organizzare una gita in campagna?
”Tanto siamo poche. Cioè, alla fine ci metteremo a vedere la tv e passeremo la giornata così.”, aveva detto Francesca.
”Ma si, fate ciò che volete, fate quel che vi pare. Io non mi penerò più. Sapete che mi importa? Faccio tanto e poi? Basta, io rimango a casa.”, sbottai dall’irritazione.
In fondo, non era difficile. Anche se la comitiva non era al completo, anche se non eravamo tutte, ma solo cinque, passare quel lunedì dopo pasqua con loro, sarebbe probabilmente stata la cosa più bella.

Ma loro no. Siamo poche, siamo poche.
Scossi il capo cercando di mantenere la calma. Era una persona abbastanza irritabile, una qualsiasi cosa detta nel modo sbagliato, anche nel momento più adatto, mi mandava in escandescenza.
Mi sedetti così in disparte, sperando di non essere notata da nessuno, all’angolo di quella panchina di marmo.
Amici, amiche e conoscenti, parlavano a qualche metro da me ed io gli ignorai bellamente.
Poi, accadde qualcosa che non avevo premeditato.
Con la coda dell’occhio vidi Matteo avvicinarsi. La sua figura alta e slanciata si sedette accanto a me.
Si portò la sigaretta alle labbra, aspirando del fumo che piano poi si alzò, nell’aria primaverile, in spirali.
Ebbi un fremito, quando voltò il capo verso il mio viso.
Guardai per istanti che parvero e terni i suoi occhi verdi, oltre le sottili lenti degli occhiali.
”Cosa c’è?”, sussurrò prima di riportarsi la sigaretta alle labbra piene.
”Nulla.”
fece un leggero risolino, “Si, certo.”
”Sono solo un po’ nervosa.”, ammisi quando il suo piede tocco il mio bloccandolo. Quando ero nervosa, muovevo aritmicamente e velocemente il piede.
”Come mai?”
”Sono una persona che si innervosisce molto facilmente. Basta un nonnulla.” . Non mi andava di raccontargli la ‘verità vera’.
”Capisco.”. Guardai il suo profilo. Gli occhiali che poggiavano delicati sul naso dritto, il viso asciutto, la leggere barba incolta, i corti capelli neri.
Quanto mi era piaciuto, Matteo?
Sorrisi, cercando di alleggerire l’aria, inebriandomi del suo profumo.
Poi il cellulare nella mia tasca vibrò.
Lo presi e lessi il messaggio appena ricevuto.
No, perché sarebbe difficile tornare. Per questo non esco.
Cristina.
Sentii il suo viso poggiare sulla mia spalla, vicinissimo al mio. Potevo udire il dolce rumore del suo respiro.
Due anni prima, quel contatto mi avrebbe causato una tempesta dentro.
”Chi è Cristina?”, chiese curioso.
”Una mia amica. Lo sai che è maleducazione leggere i messaggi degli altri. È anche un reato violare la privacy altrui.”, dissi sorridendo.
”Oh, andiamo Ely, ci conosciamo da anni.”, esclamò scompigliandomi i capelli.
Riportai il cellulare in tasca, poi il suo suonò.
”Si… okay… ora?... va bene… arrivo.”. Chinai il capo sapendo già chi era.
”Bhè, io vado a prendere Alice.”, disse guardandomi con quel suo sguardo verde.
Annuii col capo. Mi saluto con la mano, mostrandomi uno dei suoi fantastici sorrisi, poi… sparì, ricordando a me stessa ciò che avevo perso.

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Capitolo 2
*** The truth is hiding in my eyes ***


2. The truth is hiding in my eyes

Matteo si allontanò da quelle panchine di marmo, dirigendosi verso la sua auto.
Alice, la sua ragazza, l’aveva chiamato. Era pronta per uscire, si, sarebbero usciti ancora, come ogni sera.
Si passò una mano fra i capelli corti, fino ad arrivare ad accarezzarsi la nuca.
Eppure una vocina nella testa del ragazzo diceva di fare marcia indietro.
Ma per quale motivo?
Non riusciva a darsi risposa, non riusciva a capire perché d’un tratto non desiderasse posare le sue labbra su quelle carnose di Alice, non desiderasse intensamente inebriarsi del suo profumo, non desiderasse perdersi nei suoi occhi marrone.
Sospirò, aprendo al portiera dell’auto. Mise in moto l’auto e si voltò un’ultima volta verso quelle panchine.
Fissò per un attimo un viso sorridente, una ragazza che parlava con un ragazzo alto circa trenta centimetri più di lei. Scherzavano come fanno i bambini, dandosi spallante e spinte. I capelli scuri le ricadeva in dolci onde sulle spalle, mentre i grandi occhi brillavano, come stelle, alla luce del lampione.
Istintivamente Matteo sorrise, scuotendo appena il capo.
Perché? Perché non era Alice ciò che in quel momento desiderava?
Si allontanò, ignaro di ciò che il destino gli riservava.

“Ma che hai fatto ai capelli? Sembra che ti abbia leccato una mucca!”, esclamai tirando un leggero spintone a Stefano, l’amico-torre che mi era accanto.
“Perché non ti piacciono”, chiese toccandoseli appena.
“No.”, dissi scuotendo il capo.
Alzò un sopracciglio, “Ma vattene, và.” , disse dandomi dando un leggero spintone.
“Ehi!”, lo ripresi io imitandolo, senza però spostarlo di nemmeno un centimetro. “Si ma non è giusto. Mi ci vuole un camion per spostarti.”, continuai incrociando le braccia al petto.
“Non è colpa mia se sono una montagna e tu alta appena un metro e sessanta.”
“Sono un metro e sessantadue, per la cronaca.”, dissi prima di tirarli una spallata, questa volta facendolo arretrare un po’.
“Ahi, mi hai fatto male!”, esclamò accarezzandosi il braccio.
“Ah! Ce l’ho fatta!”, gridai entusiasta.
“Così però mi rompi un timpano!”
“Oh, scusa.”, dissi grattandomi la nuca. Mi voltai e qualcosa attirò la mia attenzione. La macchina di Matteo piano si allontanava. Lo stomaco mi si chiuse in una dolorosa morsa, l’aria che respiravo fu come mi schiacciasse il petto, mentre una ferita invisibile, lì accanto al cuore, cominciava a bruciare.
Da quanto non faceva così male? Da quanto la sua assenza non mi faceva mancare il respiro?
E’ difficile dimenticare una persona che per mesi è stata al centro del tuo intero universo, una persona che ti ha dato tanto, involontariamente. Una persona che all’inizio ti era solo amica, quella stessa persona che ha rapito il tuo cuore, senza nemmeno saperlo.
Mille volte avrei voluto dire a Matteo ciò che il mio cuore cantava, ma non ne avevo mai avuto il coraggio.
Mi dicevo ‘Perché rovinare un’amicizia?’, solo quando lei arrivò nella sua vita, mi resi conto di aver sbagliato, di aver sbagliato alla grande.
E quando vidi le loro labbra incontrarsi, il mio cuore per un istante si fermò, spezzandosi, frantumandosi. Una ferita che per mesi brucò, ma che credevo fosse guarita. E me ne resi conto solo allora, quando il suo era vicinissimo al mio, quando potevo sentire il suo profumo perforarmi i polmoni, quando potevo sentire il calore del suo corpo accanto al mio.
Sospirai e quasi il petto mi fece male.
“Eleonora? Tutto okay?”, mi voltai verso Stefano, accennando un sorriso.
“Si. Sono solo un po’ stanca. Credo me ne andrò a casa.”
“Ma no, non puoi. Devi venire a casa mia, ricordi? La festa?”, chiese corrugando la fronte.
“Ah, è vero.”, ricordai mordicchiandomi il labbro inferiore.
“Dai, ragazza sciocca, vieni con me a prendere un gelato.”. E così, Stefano, circondandomi le spalle con un braccio mi condusse verso il bar più vicino.

Mi sedetti sul divano, sospirando. Tutti ballavano, giocavano si divertivano. Solitamente ero quella che amava divertirsi, allegra e solare, che scherzava a giocava, ma quella sera non ero dell’umore adatto.
Mi passai una mano fra i capelli, buttando all’indietro la testa.
Sentii il cuscino del divano piegarsi al peso di qualcuno, ma non mi curai di aprire gli occhi per vedere chi fosse.
“Di solito sei la prima a scatenarsi.”, nell’udire quella voce, il mio cuore perse un battito.
Lottai contro me stessa: non volevo aprire gli occhi. Vedere ancora una volta il suo viso, i suoi occhi mi avrebbe mandata ulteriormente in confusione, avrebbe ancora fatto bruciare i margini di quella ferita invisibile… ma fu inutile. Aprii gli occhi e trattenni il fiato quando i suoi occhi verdi di fusero con il nero dei miei.
“Di solito. Non sempre.”, dissi mordendomi il labbro inferiore.
“Implica il sempre.”
“Oggi non mi va, tutto qui.”
“Ancora nervosa?”, chiese con tenerezza. Il tono della mia voce si addolcì.
“Sono solo stanca.”, dissi buttando ancora indietro la testa e guardando davanti a me.
“Sei diversa.”, la sua voce era appena udibile, sovrastata dalla musica.
“Non sono diversa. Sono l’Eleonora di sempre.”, in realtà sapevo bene che non era così, non quella sera.
“Si, lo sei.”
“No, non lo sono.”
“Oh andiamo, Ely! Perché devi essere così testarda?”, sbuffò mettendosi dritto.
“Non sono testarda.”, risposi con tono duro, puntando i miei occhi nei suoi.
Feci un sussulto quando i suoi polpastrelli sfiorarono il dorso delle mia mano. Quel tocco ebbe la forza di una slavina, un contatto che mi mancava, un contatto che non vi era da tempo, da quando arrivò Alice. Un contatto che mi scatenò una tempesta dentro e che mi fece ricordare anche una volta, per la seconda in una sera, cosa avevo perso.
“Matteo, ti cercavo!”, velocemente ritrasse la mano alla voce squillante di Alice. I lunghi capelli ramati ondeggiarono quando si sedette sulle sue gambe, baciandolo a fior di labbra.
Una lenta pugnalata al cuore. Sale sull’invisibile ferita.
Avrei voluto scappare, evitare ai miei occhi quella scena, ma non ne avevo la forza. Era come fossi incollata a quel divano contro la mia volontà, e per quanto dentro di me lottassi… era inutile. Inerme rimasi, lì.
“Ciao Eleonora.”, disse lei in un sorriso, mostrandomi una schiera di denti perfetti e bianchissimi.
“Ciao.”, sussurrai con la bocca asciutta. Con la coda dell’occhio vidi Matteo guardarmi.
“Come stai? Tutto okay?”, chiese raggiante, abbracciandolo.
Deglutii rumorosamente, “Si.”, riuscii solo a dire. Lei sorrise.
“Ora, ehm… scusate ma vado a cercare Stefano.”, dissi trovando la forza per alarmi, scappare da lì.
“Siete molto uniti.”, sbottò acidamente Matteo. Mi voltai a guardalo, confusa dal suo tono di voce.
“Non è una cosa che ti riguarda.”, sussurrai con durezza, per poi allontanarmi.
E mi lascia alle spalle quell’immagine… le loro labbra che si univano, le loro mani che ti sfioravano.
Mi lascia alle spalle il suo viso, oramai marchiato a fuoco nelle mia mente.
Mi lascia alle spalle i suoi occhi verde smeraldo.
Mi lasciai alle spalle… Matteo.
Ma chi volevo prendere in giro?

*

Ed eccomi gente, ancora qui.
Anche questa storia non era prevista ma Erica mi ha dato spunto ed eccomi qui!
Una storia che dedico a quattro persone speciali,
a Erica (per te);
alla mia migliore amica, Honey;
a Dà, che mi manca tanto;
a nonna Pater, la mia dolce nonna Panter.

E ringrazio tutti coloro che hanno letto e soprattutto gli angeli che hanno recensito il capitolo precedente:

KeLsey: ciao! Visto? L’ho continuata! Credo tu sappia chi è ora questa Alice! Sono contenta sia piaciuto il capitolo precedente! Spero che questo non sia stato da meno, ci tengo tanto a sapere cosa ne pensi! Ti voglio bene, Eri (L)
Nessie93: ciao! Che piacere leggere una tua recensione anche qui! Davvero è la prima originale? Cavolo ne sono felicissima, davvero! Spero questo capitolo sia stato di tuo gradimento, lo spero davvero tanto! Cerco di rendere la ragazza il più reale possibile, un personaggio in cui tutti si possono rispecchiare. Grazie mille davvero! A presto! XD
fede_sganch: ciao! *-* che piace vederti anche qui! L’ho continuata alla fine, l’ispirazione ha avuto il sopravvento! Sono contenta ti piaccia! Fammi sapere di questo capitolo! Grazie mille per la recensione!
KikyCullen: ciao! Sono contenta ti sia piaciuta, davvero tanto! Spero ti sia piaciuto anche questo! Grazieeee mille per la recensione! A presto! *_*

A voi, con affetto Panda.

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Capitolo 3
*** I only dream of you and you never knew ***


3. I only dream of you and you never knew.
Sogno solo te e non l’hai mai saputo.

Camminavo per le stradine assolate del paesino in cui vivevo dalla bellezza di diciotto anni.
Faceva caldo quel giorno, avevo tolto la felpa, legandomela in vita, rimanendo solo con una magliettina a maniche lunghe.
Ero passata dalla biblioteca, dove avevo preso per la terza volta Il ritratto di Dorian Gray, e in quel momento mi stavo dirigendo a casa.
Sobbalzai quando sentii un clacson suonare. Mi voltai, mentre il finestrino dell’auto si abbassava.
“Dai, sali su. Ti do un passaggio, ovunque tu stia andando.”, disse Matteo sorridendomi.
Combattuta con me stessa, indecisa se andare o no, presi probabilmente la scelta più errata. Sospirando aggirai la macchina, entrando nell’abitacolo.
Il suo profumo mi colpì in pieno, proprio come la sera precedente. I suoi occhi mi scrutarono ancora, mentre il suo sorriso li illuminò come stelle. Mi beai delle sua immagine, del suo viso ovale e asciutto, della sua pelle rosea.
“Buon pomeriggio.”, disse raggiate, prima di partire.
“Buon pomeriggio.”, mormorai guardando avanti, oltre il parabrezza.
“Dove ti accompagno?”, chiese poco dopo.
“A casa.”, risposi, quasi freddamente.
Quante volte mi aveva dato uno strappo a casa? Quante volte avevo approfittato della sua auto per non tornare sola?
Avevo perso il conto, oramai.
“Dove sei andata di bello?”
“Biblioteca.”
“Cos’hai preso?”, chiese curioso.
“Il ritratto di Dorian Gray.”
“Non lo avevi già letto?”, domando corrugando la fronte. Annuii col capo.
“Ti ho mai detto che sei strana, Ely?”, continuò.
“Forse un paio do volte.”, risposi vaga. Fece un risolino, scuotendo il capo.
E fissai il suo viso. Mi era impossibile oramai, ci ero ricaduta dentro, ancora una volta… forse perché, in realtà, non ne ero mai uscita.
Ancora una volta il suo sguardo aveva rapito il mio, la ferita aveva ripreso a bruciare. Eppure rimanevo lì, rimanevo ad osservare il suo viso, beandomi delle sua presenza. Agognando delle labbra che non sarebbero mai state mie.
“A che pensi?”, chiese notando il mio silenzio.
A te.
“A nulla.”
“Sicura?”
No.
“Si.”
“Bugiarda.”
Si.
“No.”
“Vallo a dire a qualcun altro.”, sbuffò. Feci un risolino.
“Ti ho irritato?”, chiesi innocentemente, sbattendo ripetutamente le palpebre.
“Si.”, ammise dopo alcuni istanti.
“Oh no, adesso Matteo scatenerà tutta la sua forza bruta!”, esclamai fingendomi terrorizzata, portandomi le mani sulle guance.
Scosse il capo, sorridendo, mostrando quel suo dolce sorriso, “Quanto sei cretina.”
Schioccai la lingua, “Mi hai già detto anche questo.”
“Lo so.”, mormorò incatenando il suo sguardo al mio.
“Perché ti sei fermato?”, chiesi in un sussurro, incapace di scostare lo sguardo dal suo.
“Siamo sotto casa tua.”, sussurrò continuandomi a guardare negli occhi.
“Oh. Allora meglio che vada.”, ma non volevo, non ne avevo la forza. Volevo ancora inebriarmi col suo fresco profumo, guardare il suo viso, i suoi occhi verdi.
“No!”, esclamò lui con forza.
“Cosa?”, chiesi confusa, incredula.
Le mie orecchie avessero udito bene?
“Io…”
“Tu…?”, attesi che continuasse a parlare, lo vidi boccheggiare in cerca delle parole, parole che improvvisamente sembrarono mancargli.
“Alice mi aspetta.”, mormorò poi guardando in basso.
Una lenta pugnalata.
Mille aghi ghiacciati nello stomaco.
La violenza di una slavina.
Con le lacrime che premevano per uscire, inumidendomi gli occhi, scesi dall’auto.
“Ciao Matteo.”, disse fredda come il ghiaccio. E senza udire la sua risposta sbattei con violenza la portiera dell’auto imboccando il vialetto di casa, conscia del fatto che quella ferita avrebbe continuato a bruciare ancora.

“A me non sembra una torta alle carote… sempre una torta di rape.”
“Come una torta una di rape?”, chiesi sgranando gli occhi, guardando la torta che era adagiata sul piatto.
“Si, sembra di rape. In cucina non sei un gran che, sappilo. Nel caso tu voglia cimentarti in una ricetta, che non sia un uovo sodo, chiamami.”, disse poggiandomi una mano sulla spalla.
“Ma assaggiala prima di giudicare!”, esclamai offesa.
“L’aspetto mi induce a dire: assaggiala prima tu!”, rispose incrociando le braccia al petto.
“Stefano?”
“Si?”
“Sei un gran cretino.”, dissi alzandomi in punta di piedi e tirandogli uno scappellotto.
“Grazie.”. Sbuffando mi avvicinai al piano della cucina per poi aprire un cassetto e prendere un coltello per torte. Ne tagliai una fetta poggiandole poi su un piatto. Presi un pezzo con una forchetta e lo assaggiai. Masticai lentamente, molto lentamente e poi deglutii rumorosamente, cercando di ignorare il cattivo sapore di quella sottospecie di torta, che mi ostinavo a dire fosse di carote… quando non lo sembrava affatto. Oltre ad essere dura some un mattone, aveva un sapore… amaro ed era anche granulosa.
“Mmm… che buona.”, dissi cercando di mascherare la mia espressione disgustata.
Stefano corrugò la fronte, “Davvero?”
Annuii col capo. Forse ero una brava attrice. Prese in piatto che avevo in mano e assaggio un pezzo del dolce immondo. Stefano sgranò gli occhi prima di correre verso la spazzatura e sputare ciò che aveva in bocca.
“Ma vuoi uccidermi?!”, sbraitò rosso in viso. Scioccata spalancai la bocca, portandomi le mani al petto.
“Io? Come puoi dire una cosa del genere?”, chiesi chiudendo per qualche istante le palpebre, per poi riaprirle e scoppiare a ridere nel vedere l’espressione di Stefano.
“Non guardarmi così, non sono pazza! Sono solo una buon’attrice.”
“Eleonora Salvini?”
“Dimmi Stefano Rossi.”
“Sei un’idiota.”
“Oh grazie mille.”, dissi prima di scoppiare a ridere, seguita inevitabilmente da lui.

Quella sera mi ritrovai ancora a quelle panchine, come ogni giorno… era il nostro punto di incontro. Eravamo circa quindici quelle sera, e ancora non avevamo deciso cosa avremmo fatto il lunedì, e mancavano solo due giorni. Quello seguente era quello di Pasqua.
Mi sedetti sulla panchina a gambe incrociate. Ero arrivata da poco e già con lo sguardo cercavo Matteo, anche se non avrei voluto.
Ignoravo le chiacchiere delle mie amiche, ignoravo quello che mi accadeva intorno. Per lunghi attimi fissai un punto impreciso dinanzi a me, pensando. Ed i miei pensieri, impertinenti, si posavano sempre sullo stesso viso.
Sbuffai, irritata, incrociando le braccia al petto.
“Allora Ely, tu vieni?”
Mi voltai verso Francesca, “Dove?”
“Dopodomani.”, rispose ovvia.
“Avevate detto che non se ne faceva più nulla.”, risposi corrugando la fronte.
“Ele, in che modo sei oggi?”
“In quello degli elfi e delle fate.”, rispose Stefano sedendosi accanto a me.
“Ah ah, divertente.”, risposi acida, “Scusa, Fra, mi sono distratta un attimo.”
“L’abbiamo notato.”, disse portandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. “Comunque… andiamo in campagna. Abbiamo sentito Matteo”, nell’udire quel nome il mio cuore perse un battito, “Ci ha dato la disponibilità per il casolare in campagna. Andiamo lì. Sei dei nostri, no?”
Cosa avrei dovuto dire? No? In tal caso avrei dovuto spiegare il perché, dato che passare quel giorno con loro era una delle cose che mi stavano più a cuore.
Avrei dovuto dire che non ce la facevo? Non ce la facevo a vedere il suo viso? Le loro man che si cercavano le loro pelli a contatto? Le loro labbra che delicate si sfioravano?
No, non avrei mai potuto dirlo.
Un dolore, una tristezza che, quasi gelosamente, custodivo nel mio cuore, nella mia anima, facendomi del male da sola. Ma nessuno avrebbe dovuto saperlo. Nessuno avrebbe saputo di quella ferita invisibile.
Sospirai, passandomi una mano sul viso, “Si, certo che sono dei vostri.”, risposi poi sforzandomi di sorridere.
“Perfetto allora!”, esultò lei saltellando e facendo ondeggiare i lunghi capelli ricci.
Feci un risolino, scuotendo il capo.
“Eccomi qui, gente! Il vostro salvatore è arrivato!”, alzai il capo e il fiato mi si mozzò quando i suoi occhi incontrarono i miei.
Tutto ciò avrebbe mai avuto fine?

*

Eccomi qui per voi gente, finalmente sono riuscita a postare. Nonostante i casini che si verificano costantemente nella mia vita, riesco a dedicarmi alla scrittura.
Ogni volta che le cose si aggiustano e penso di poter riprendere a scrivere succede qualcosa… oggi ne è un classico esempio. Sveglia alle sei e mezza perché il mio cane è stato sbranato.
Chiacchiere a parte, spero vi sia piaciuto il capitolo e che quindi sia stato di vostro gradimento.
Grazie a tutti coloro che hanno messo la fiction fra i preferiti, fra le seguite e chi ha letto senza recensire.

Un particolare grazie va a:
doddola93: non merito tutti quei complimenti! Ei troppo gentile e credo tu ne sia consapevole. Non è nulla di che, questa storia, ma sono felice di sapere che ti piaccia, davvero. Il tuo parere conta, e non starò a spiegarti per l’ennesima volta il perché. Ti voglio bene, <3
Nessie93: ciao! Sono contenta di sapere che consideri Eleonora una ragazza normale, è ciò che cerco di fare: rendere il personaggio il più reale possibile. Davvero ti piace? Ne sono felicissima davvero! Grazie mille per la bellissima recensione! =*
KeLsey: Eri! *.* Ovvio che la dedicavo anche a te! Mi hai messo tu la pulce! Senza di tre probabilmente non l’avrei mai continuata, davvero. Sono contentissima di sapere che è di tuo gradimento… non sai quanto! Magari l’immagine che ti sei fatta di Matteo è simile a quella che ho io nella mia testa XD Lui gelosetto?... non parlo! Si, Alice è una bella ragazza ed Eleonora (nome che anch’io adoro! *-*) ne risente un po’. Spero di non averti delusa con questo capitolo! A presto, dolcezza! Ti voglio bene (L)

A voi, con affetto,
Panda.


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Capitolo 4
*** I tried to give you up, but I'm addice. ***


4. I tried to give you up, but I'm addice.
Ho cercato di rinunciare a te, ma sono drogato


Guardai Matteo salutare tutti, notando con piacere che era solo.
Alice non c’era.
Il suo viso, illuminato da quel dolce sorriso, non era molto differente dalle immagini che gelosamente custodivo nella mia mente, no assolutamente no.
Fu strano come la sua sola presenza mi rese… leggera, appagata. Come se ogni cosa si avvicinasse piano al proprio posto. Una felicità dovuta anche dal solo vederlo, ed era starno, perché da tempo quella sensazione mi aveva abbandonata, ritornando però con maggiore crudeltà e violenza.
Sorrisi, mentre dimenticai tutto ciò che era intorno a me, tutte le persone presenti. Dimenticai l’acidità delle mie parole il giorno precedente, dimenticai la rabbia che avevo provato. Dimenticai ogni cosa. Dimenticai anche come mi chiamavo.
“Ely.”, disse scompigliandomi i capelli.
“Matteo.”, risposi allontanandomi istintivamente e passandomi una mano fra i capelli, sistemandoli. Salutò anche Francesca, in piedi accanto a lui, e Stefano, seduto invece accanto a me.
“Come va?”, chiese a tutti e tre.
“Tutto bene. Alice?”, rispose Francesca. In quel momento avrei voluto staccarle la testa a morsi.
“Fra un po’ devo andare a prenderla.”
“A me potrebbe andar meglio.”, disse Stefano. Io rimasi in silenzio.
“Perché?”, chiese Matteo curioso. Mi voltai verso Stefano, anch’io curiosa.
“Ho rischiato di morire.”. Matteo sgranò gli occhi e Francesca fece lo stesso.
Roteai gli occhi, sbuffando, “Oh, andiamo! Era solo un pezzo di torta! Non era mica avvelenata! L’ho mangiata anche io, che faccio mi avveleno da sola?”, chiesi alzando al voce i qualche ottava.
“Mi sono perso.”, mormorò Matteo.
“Anche io.”, confermò Francesca, corrugando la fronte confusa. Qualcuno, però, chiamò Francesca e, scusandosi, si allontanò.
“Dicevo… questa signorina, questo pomeriggio mi ha inviata a casa sua-“
“Casa tua?”, chiese rivolto a me. Annuii.
“Ah.”
“Se mi lasciate continuare…”
“Si, scusa, vai.”, rispose Matteo.
“Mi ha invitato a casa sua per assaggiare una torta alle carote… anche se in realtà sembra alle rape.”
“Alle rape?”
“No, Matteo, non dargli ascolto.”, dissi scuotendo il capo.
“E quella torta era tossica! Aveva un saporaccio!”
“Capisco.”, mormorò Matteo rimanendo in piedi davanti a noi.
Sbuffai irritata, “La mia torta non era tossica.”
Stefano sorrise, scuotendo appena il capo. Circondò le mie spalle con un braccio e mi attirò a se, baciandomi la tempia. Sorrisi, prendendoli poi il viso tra le mani e stampandogli un bacio sulla guancia. Poi, mi allontanai, tornando a guardare Matteo.
L’espressione sul suo viso era indecifrabile, e mi lasciò inevitabilmente confusa.
“Quindi lo hai invitato a casa tua.”, disse con voce dura. Corrugai la fronte, non capendo cosa stessa succedendo.
“Si, cosa c’è di strano?”, chiesi innocentemente.
“Nulla, cosa vuoi ci sia di strano?”, sbottò acido, tanto da lasciare di stucco me e Stefano.
“Se non c’è nulla perché allora non te ne vai? Perché non te ne vai da Alice, eh?”, domandai con tono duro, fredda e glaciale. Sentii Stefano al mio fianco deglutire rumorosamente.
“Arrivo.”, disse poi alzandosi, capendo che non era posto per lui quello.
“Cosa c’entra Alice ora?”
“Tutto o niente.”, non riuscii a tenere a freno la lingua.
“Smettila.”
Sgranai gli occhi, “Smetterla io? Ma ti rendi conto dell’assurdità delle tue parole?”, sbottai scattando in piedi, cercando di sovrastare quei venti centimetri che ci separavano. Non rispose, si limitò a guardare un punto indefinito dietro le mie spalle.
Scossi il capo, “Non so nemmeno che ci sto a fare qui.”, mormorai poi allontanandomi.
Non dissi a nessuno dove andai, ignorai la voce di Francesca che mi chiamava, ignorai Stefano che immediatamente l’ ammonì. Con le lacrime che premevano crudeli per uscire imboccai una stradina, camminando senza meta.
Arrabbiata, irritata, infastidita, delusa, ferita. Cercai di ignorare la voce di Matteo che chiamava il mio nome. Cercai di ignorare quella parte di me che diceva di fermarmi, di guardare il suo viso. Lottai contro me stessa, vincendo.
Lo sentii poi afferrarmi con forza il polso e costringermi a voltarmi. Strattonai la mano, cercando di liberarmi dalla sua presa, simile a quella dell’acciaio, senza guardarlo negli occhi. Ma fu inutile. Non riuscii a liberarmi. Alzai così lo sguardo, incontrato i sui occhi ardenti.
Una lenta pugnalata.
“Cosa c’è ora?”, sbraitai rossa in viso. Il tono della mi voce lo colse indubbiamente di sorpresa.
“Io… Ely, perdonami, non volevo.”
“Lasciami.”, sibilai a denti stretti. Lentamente mollò la presa. Mi voltai, intenzionata ad andare via.
“Resta.”, la sua voce era pari ad un sussurro. Mi voltai, lentamente col cuore che batteva a mille.
“Ti scoccia litigare con l’amichetta, eh Matteo?”, dissi con tono duro.
“No. Perdonami, ti prego non volevo essere così… antipatico. Scusa, Ely, davvero.”, i suoi occhi incatenarono ancora una volta i miei, come ogni volta.
“Alice ti aspetta.”
“Può aspettare.”
“Ti perdono.”
“Non ti credo.”
“Smettila, Matteo. Non fare l’idiota.”
“Torniamo, dai.”
E così rassegnata, vinta da me stessa, dai miei stessi sentimenti, mi avviai al fianco di Matteo verso quelle panchine.
Vinta da uno stupido sentimento… quale l’amore.

“Buona Pasqua, mio raggio si sole!”
“Da quando siamo così affettuosi ed allegri, Stefano?”, chiesi ridendo, mentre lui mi abbracciava.
“Da sempre!”, rispose raggiante. Feci un risolino, scuotendo il capo.
“Buona Pasqua, anche a te, ragazzo sciocco.”, dissi baciandoli una guancia.
“Devo dire che sei fantastica, questa sera.”, corrugai la fronte guardandomi.
“Ho solo una semplice gonna.”, dissi guardandomi intorno.
“Ma hai delle gambe stupende.” . Sentii le guance avvamparsi di rossore.
“Stefano, dai!”, esclamai abbassando lo sguardo.
“Per una volta che ti faccio un complimento.”
“Sciocco.”, dissi ridendo, “Comunque, ti ringrazio.”, dissi facendo un mezzo inchino.
“E credo di non essere l’unico a pensarlo.”
Lo guardai confusa, “Cosa intendi, scusa?”
“Come sei ingenua, mia piccola Eleonora.”, disse accarezzandomi i lunghi capelli scuri.
“Stefano?”
“Alessandro ti fissa da quando abbiamo cominciato a parlare. Credo mi invidi in questo momento.”, disse in un risolino.
“Oh, ma che onore. Guardata te, idiota.”
Stefano sgranò i grandi occhi nocciola, “Cosa?”, sussurrò poi con voce acuta.
“Ma dai, è risaputo delle tendenze di Alessandro.”
“Bhe si, effettivamente sono le stesse tendenze mie.”, disse passandosi distrattamente una mano fra i folti capelli neri.
“Ecco, vedi? E poi non è la prima volta?”. Sgranò ancora gli occhi, scioccato.
“Cosa?”
“E poi sono io a vivere fra le nuvole.”, mormorai scuotendo il capo.
“Certo, certo.”
“Ehi, non stai parlando con un’idiota.”, dissi tirandoli uno scappellotto.
“Okay, scusa.”, disse alzando le mani.
Per attimo, calò il silenzio. Due signori sulla sessantina guastarsi un gelato. Sorridevano e si tenevano sottobraccio, come fossero adolescenti. Fui intenerita da quella scena e non potei fare a meno di non nascondere l’ombra di un sorriso sul mio viso.
“Ti piace Matteo.”, la voce di Stefano mi fece sussultare.
“Cosa?”, chiesi con un filo di voce, che risulto un suono strozzato ed acuto.
“Ti piace Matteo.”, la sua non era una domanda. Quella consapevolezza mi fece scorrere un brivido lungo la schiena.
“No.”, dissi sbiancando.
“Si.”
“No ti dico.”
“E giustamente tu fai tutto quel casino per un amico.”, disse postandosi una mano su un fianco. Chinai il capo, incapace di reggere il suo sguardo, conscia del fatto che aveva tremendamente ragione.
Sospirai, “E’ molto evidente?”, chiesi tristemente.
“Solo per qualcuno che ha assistito a quella scena.”, rispose accarezzandomi il viso, costringendomi ad alzare lo sguardo per potermi guardare negli occhi.
“Lui ha Alice.”, mormorai con voce incrinata.
“Oh, mia dolce ragazza sciocca, come sei cieca.”
Aggrottai un attimo le sopracciglia, confusa, “Che intendi dire?”
“Che Alessandro non è l’unico a mangiarti con gli occhi.”
“Ma Alessandro è… un momento… cosa?”
“L’ho visto, Ele. Ho visto come ti guarda, come ti parla, la luce che gli illumina gli occhi quando incontrano i tuoi. L’ho sentito il tono della sua voce ieri. L’ho visto Ele.”, le sue parole ebbero la forza di mille aghi nella carne, ne potevo avvertire il dolore.
“Perché mi dici questo? Perché mi fai questo, Stefano?”, dissi con voce tramante.
“Non capisco.”, chiese lui confuso, accarezzandomi ancora con i polpastrelli il viso.
“Le tue parole, parole infondate, deduzioni sbagliate, fanno male. Non puoi… non puoi riempirmi di false speranze. Cosa sarà di me quando avrò l’ennesima conferma che le tue parole sono errate, false, finte? Che il suo cuore batte solo per Alice? Perché farmi soffrire più di quanto già non lo stia facendo?”
Lui sgranò gli occhi e scosse energicamente il capo, “Non ti farei mai una cosa del genere, lo sai!”
Scossi il capo, “Non ne voglio parlare, Stefano. Non voglio litigare.”
”Okay.”, mormorò chinando il capo.
Non sopportavo quella tensione, il silenzio che improvvisamente calò fra di noi, così cercando di mostrami allegra sorrisi.
”Io ho fame. Ti va un pezzo di pizza?”, chiesi saltellando appena, come era mio solito fare.
”Ma…come fai ad aver fame dopo il pranzo di Pasqua?”, chiese sgranando gli occhi.
”Ehi, ricordai che sono Eleonora, ed io ho sempre fame.”
”Giusto, dimenticavo.”, disse in un risolino. Ci dirigemmo così verso la pizzeria più vicina.


*

Salve gente, eccomi qui con il quarto capitolo! Spero davvero di non avervi fatto aspettare molto!
Non ho molto tempo quindi passo direttamente hai ringraziamenti!
KeLsey: ciao, Eri! Sono contentissima di sapere che la storia ti piace, non sai quanto! Si, per quel che ti conosco, Eleonora ricorda un po’ te! Io adoro Matteo, non lo so. Di solito i miei personaggi non mi piacciono, ma Matteo… non lo so! Le tue recensioni mi regalano sempre mille sorrisi! A presto! Ti voglio bene, (L)
fede_sganch: ciao, Fè! Matteo qualcosa per Ely?... io non parlo! Beh, ancora dubbi fra il rapporto fra Stefano e Eleonora? XD Io di certo non anticipo nulla , o ti rovino questa “orribile” storia. Grazie mille, tesoro, grazie davvero! A presto! =*
SweetCherry: ciao! Non credo di meritarmi tutti quei complimenti, ma mille grazie! *.* Sono contenta ti piaccia la storia, a questa ci sono molto legata. Spero di non averti fatta attendere molto! E… Alice avrà al sua parte, ma non anticipo nulla! XD Spero sia stato di tuo gradimento anche questo capitolo. A presto!
Nessie93: ciao! La gita servirà a molto e nei prossimi capitoli capirai che intendo XD Ely mi sa proprio dovrà soffrire un po’… tutto in fretta, io? Non credo proprio XD A presto, cara! =*
Kiky Cullen: ciao, tesoro! Sono felice tu abbia recensito! Grazie mille! Matteo, sì, è un po’ un idiota! Ma in certi momenti potrai anche amarlo. Spero di non averti fatta attendere troppo! A presto, bella! Ciaooo! =*

A voi è tutto,
con affetto,

Panda.

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Capitolo 5
*** You're all that I want ***


5. You're all that I want.
Sei tutto quello che voglio.

 

Quella sera non vidi Matteo.
Il mio sguardo inevitabilmente scorreva su visi dei passanti, sue quelli dei miei amici, cercando quegli occhi verdi come smeraldi oltre le sottili lenti degli occhiali da vista, i corti capelli neri, la barba incolta, la sigaretta fra le labbra piene e rosee.
Fu doloroso per me immaginare dove fosse, ma, soprattutto, con chi fosse. Era impossibile non farlo.
E la mia mente viaggiava mentre mi tormentavo distrattamente le mani.
Vidi nella mia mente il viso di Alice, le loro dita che si intrecciavano, le loro mani che si cercavano e si sfioravano. Vidi i loro visi a poche spanne l’uno dall’altro e lo stomaco mi si chiuse in una dolorosa morsa, mentre a quel pensiero i margini delle ferita cominciavano a bruciare… ancora.
Stupida, pensai sospirando malinconicamente.
Era inutile, mi facevo del male da sola. Ma era impossibile cancellare la sua immagine dalla mia mente, o l’immagine di lui accanto ad Alice, la ragazza dai lunghi capelli ramati, occhi grandi e luminosi, fisico statuario, poiché esse erano oramai marchiate a fuoco in essa.
Partecipai passivamente alle conversazioni, mascherando le mie mille insicurezze, le mia infinita tristezza, la gelosia, l’invidia, il dolore… l’amore.
Si dice che quando ami davvero una persona hai la forza di lasciarla andare, desiderando la sua felicità e dimenticandoti di essa. Si, è vero, desideri il meglio per lei… ma non hai la forza di lasciarla andare. No, quella non ce l’hai, perché anche se fa male e non ti aiuta a dimenticare, la sua immagine, la sua presenza ti rende… felice, leggere, appagata.
Vorresti allontanarti da essa, ma non ci riesci. Un filo invisibile di lega a lei e non hai la forza di staccarlo.  Più l’allontani, più la desideri.
Sensazioni che precedono il vuoto, la solitudine, la tristezza, dovuta al suo allontanamento, al rifiuto, alla consapevolezza che lui non è tuo, che non puoi sfiorare la sua pelle, il suo viso, e sue labbra.
Tornai a casa e mi infilai sotto le coperte. Chiusi gli occhi, conscia del fatto che non sarei riuscita a dormire.

 

“Ely, se non ti muovi ti lasciamo qui!”
”Un secondo, non trovo la scarpa”, gridai dalla mia camera a Sofia, una mia amica, che si trovava all’ingresso.
”Paolo ci sta aspettando giù! Dobbiamo passare a prendere gli altri!”. Quel giorno, nell villa in campagna di Matteo sarei andata con Sofia e Paolo, il suo fidanzato. Avremmo dovuto caricarmi in auto altre due persone, ed io ero in ritardo.
Sentii la sua voce farsi più chiara e i suoi passi farsi sempre più vicini. Comparve sulla porta.
”Ma un attimo, non trovo la scarpa.”, dissi aprendo un cassetto.
”E la cerchi nel cassetto?”, chiese corrugando la fronte confusa.
”Sono disperata! Non so più quello che faccio!”, gridai isterica.
”Scusa, facciamo così, noi andiamo a  prendere gli altri tu intanto cerchi la scarpa e ti fai venire a prendere da Matteo che passa da Alice.”, nell’udire le parole di Sofia mi bloccai sul colpo.
Mi vidi, per un istante, proietta nel futuro. Mi vidi nella sua auto, vidi vicino al cambio le loro mani che si stringevano, i loro occhi cercarsi e fui assalita da un terribile ed orribile senso di nausea.
”Ely, tutto okay? Sei bianca in viso.”, chiese preoccupata, avvicinandosi.
Scossi il capo, con la bocca asciutta.
“Io… no, non ti preoccupare… cambio scarpe.”, balbettai uscendo dalla stanza diretta alla scarpiera. Afferrai un paio di scarpe da tennis e, dopo essermele infilate, mi diressi verso l’ingresso, chiamando Sofia che era ancora in camera mia.
“Decidevi di metterle prima!”, sbuffo allargando le braccia al cielo.
“Troppo in ansia per pensarci.”, risposi mostrando un flebile sorriso.
Salutai la mia famiglia che stava apparecchiando la tavola nel giardino dei vicini e aprii la portiera dell’ auto.
“Credevo di dover chiamare l’FBI.”, disse Paolo quando fummo dentro.
“Si, perdonami ma non trovavo le scarpe.”, imbarazzata mi portai un ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“E indovina? Alla fine non ha nemmeno messo quelle scarpe!”, esclamò con leggere isteria Sofia. Feci un risolino divertita dal suo tono e dalla sua reazione. “Quella ragazza mi farà impazzire.”, aggiunse sospirando e passandosi una mano sul viso.
Chi era Sofia?
Sofia era l’amica di sempre, l’amica delle elementari, delle medie, del liceo. Sofia era quelle che mi aveva sopportato giorno e notte, che aveva ascoltato quello che avevo da dire su Matteo, mi aveva consigliato nella storia con il mio primo ragazzo. Era presente alla mia prima sbornia, era presente al mio primo saggio di violino, era presente alla morte del mio cane, di mio nonno. Era presente quando il mondo appariva ai miei occhi solo un buco nero, o quando mi sembrava i posto più bello dell’universo. Le chiacchierate davanti alla tv, con un pacco di biscotti, sotto le stelle, in spiaggia, col rumore del fluttuar delle onde a tenerci compagnia.
Eravamo cresciute insieme, eppure io le stavo nascondendo parte di me.
Scostai lo sguardo dal suo viso, guardando il verde e colorato paesaggio primaverile attraverso il finestrino. Gli alberi ed i cespugli si susseguivano velocemente, forse troppo e non riuscivo a definirne i contorni.
Cercai inutilmente di tener lontano alcuni miei pensieri ma fu impossibili. Essi indugiavano nelle mia testa, con il rumore di uno sciame d’api. Cercai di tener lontano il pensiero della giornata che si prospettava davanti, ma fu impossibile.
Alla parola Matteo, corrispondeva sempre la parole Alice.


“Bistecca o salsiccia?”, mi chiese Paolo avvicinandosi al tavolo da pic-nic, vicino al barbecue. Eravamo sedute lì, con Sofia e Francesca, mentre guardavano le foto scattate al compleanno dell’ultima. Aprii la bocca per rispondere, ma qualcun altro lo fece al posto mio.
“Bistecca.”. Mi voltai verso un Matteo sorridente ed allegro, che subito si sedette accanto a me, poggiando i gomiti sul tavolo di legno.
“Parlavo di Eleonora.”, disse Paolo guardandolo.
“Ti ho risposto infatti.”
“Bistecca?”, mi chiese Paolo corrugando le sopracciglia.  Annuii, facendo poi spallucce.
“Okay.”, poi il ragazzo si allontanò ritornando alla cottura della carne, insieme ad alcuni amici.
“Come facevi tu a saperlo?”, chiese Sofia a Matteo.
“Vi conosco da due anni ragazze. Potrei mai non sapere una cosa così importante della mio piccolo mostriciattolo?”, rispose Matteo circondandomi le spalle con un braccio e scuotendomi appena, in segno d’affetto.
Il mio cuore prese a galoppare ancor più forte.
“Che guardate?”, chiese avvicinandosi col capo, sbirciando le foto che avevo in mano.
“Foto del mio compleanno.”, rispose Francesca.
“Sei venuto qui per farti gli affari nostri?”, chiesi guardando ciò che avevo in mano.
Il suo braccio era ancora attorno alle mie spalle.
“Sono venuto per supervisionare.”, disse mentre giocando distrattamente una mia ciocca di capelli.
“Non stiamo facendo nulla di male.”, disse Sofia guardando la mano di Matteo. Avvampai di rossore quando incontrai il suo sguardo, la sua espressione indecifrabile.
Cosa stai pensando, Sofia?
“E se metteste del veleno per topi sulla carne?”, chiese arricciando le labbra.
Lo guardai piuttosto male, “Ma va!”, dissi poi poggiando le mie mani sul suo petto e spingendolo tanto forte da farlo cadere dalla panca di legno sul quale eravamo seduti.
“Ahi, mi hai fatto male!”, esclamò quando si rimise in piedi, accarezzandomi la parte lombare della schiena.
“Ben ti sta.”, dissi in un risolino. Nei suoi occhi si illuminarono di una strana luce, e mostrandomi un sorriso malizioso si avvicinò, molto lentamente.
“Lo sai cosa hai fatto?”
“Oh no, la forza bruta di Matteo!”, enfatizzai portandomi la mani al viso e fingendomi terrorizzata.
Credevo stesse scherzando, ma mi sbagliavo. Non ebbi il tempo di alzarmi e spostarmi, di scappare via. Matteo mi fu subito addosso sollevandomi per i fianchi e caricandomi in spalla. Rischiai di cadere per via del colpo, ma lui mi tenne ferma le gambe, che, come una forsennata, muovevo.
“Matteo, lasciami!”, gridai tirandogli pugni sulla schiena con i capelli che mi finivano davanti al viso dandomi fastidio.
“Non ci penso nemmeno.”, replicò cercando di tenermi ferma e, quindi, non farmi cadere.
“Vai così, Ele!”, gridò Paolo.
“Tu dovresti essere dalla mia parte!”, esclamò Matteo, mentre continuavo a dimenarmi.
“E perché mai?”
“Solidarietà maschile.” . Sentii la rabbia salirmi e ribollirmi nelle vene.
“Ahi!”, urlò poi. Sghignazzai, fiera del mio lavoro. “Mi hai morso!”, aggiunse poi.
“Ma va? Sei intuitivo. Fammi scendere, mostro!”, continuai a divincolarmi sbattendo i pugni.
“E stai ferma, animale.”
“Animale a chi?”, ringhiai rossa in viso dalla rabbia.
“A te!” . Sgranai gli occhi cacciando un urlo e tirando ancora un morso.
“Ahi!”, urlò ancora tirandomi un pizzicotto sul polpaccio  facendomi, così, gridare dal dolore.
“Che succede qui?”, la voce di Alice fece cessare ogni movimento e, istintivamente, trattenni il respiro.
Matteo mi fece scendere, piano, per impedire che entrambi ci facessimo male.
Quando fui con i piedi per terra mi sistemai la maglia, che si era appena alzata mostrando un lembo di pelle. Lui si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.
Lo guardi, mentre le mani cominciavano a prudermi dalla rabbia.
“Dovresti tenere al guinzaglio il tuo ragazzo, Alice.”, dissi in uno sputo, arrabbiata.
“Come?”, mormorò Matteo, incredulo.
“Mi hai sentita.”
“Sei tu l’animale.”
Ridussi gli occhi a due fessure, “Ah si? Io?”
“Mi hai morso.”
“Non sarebbe successo se mi avessi fatta scendere.”
Non rispose, si limitò a fissarmi negli occhi, “Ti odio.”, sibilai poi allontanandomi.

 

 

*
Eccomi qui gente, scusate il ritardo ma ho avuto un po’ di cose da fare.
Passo subito ai ringraziamenti dato che la doccia mi chiama a gran voce:

Nessie93: ciao, cara! *.* Bhe, possiamo dire che entrambi sono dei gran idioti. Grazie per l’appoggio, sì, sono un po’ in crisi. La storia entra nel suo pieno e diventa sempre più difficile. Eleonora e innamorata di Matteo, ma c’è Alice e non può “farsi avanti”. Matteo non perde occasione per stuzzicarla e iniziano delle piccola discussioni… tipo l’ultima. Ma saranno casi isolati. E’ sempre un enorme piacere leggere tue recensioni, grazie davvero, bella, grazie mille per l’aiuto! A presto =*
SweetCherry: ciao! Guarda… Stefano, cosa strana ma vera, mi piace come personaggio! Matteo… eh, Matteo è per me un gran problema. Diventa sempre più difficile scrivere i capitoli, soprattutto perché è Eleonora a raccontare e ci son tante cose che non posso dire esplicitamente e cose che devo invece far capire. E il terrore di essere banale e superficiale sempre… per quanto riguarda Stefano “molla per far cadere in fallo Matteo”… non parlo XD Grazie mille per recensione, davvero! A presto, cara!
KeLsey: Eri, mi adorata! *.* Anche a me piacerebbe un amico come Stefano, davvero *.* Sono felicissima di sapere che l’intera fiction ti piaccia! Sei una delle regioni per cui continuo a scrivere questa fic… ed è grazie a te se è nata! Matteo geloso… non mi esprimo. Saranno i prossimi capitoli a risponderti, si si. Gentilissima come sempre *.* non merito tutti quei complimenti! Grazie, mille, davvero. A presto, ti voglio bene (L)
fede_sganch: ciao, Fè! Tu sei sempre troppo gentile, non me li merito tutti quei complimenti. Non è nulla di speciale XD ma ovviamente le tue recensioni mi fanno sempre piacere, e non sai quanto *.*  a Matteo piace Ele?... mmm… dove? Cosa? Chi? Non ti svelerò nulla, per cui non mi esprimo al riguardo. Sono contenta di sapere che il capitolo è stato di tuo gradimento, e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! A presto, cara!
KikyCullen: ciao, bella! Ecco a te la continua… eeeeeeeeeh, il nome Matteo, quanto problemi. Davvero ti piace così tanto? *saltella come un’ossessa per la stanza* Sul futuro di Eleonora e Matteo non mi esprimo, non credo tu voglia sapere come finisce… e come finirà! *risata malefica* Grazie mille per la recensione, davvero, mi ha fatto tanto piacere! A presto, bella!

A voi è tutto,
             con affetto,
                          Panda.

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Capitolo 6
*** Look what you're doing to me… why you break my heart? ***




6. Look what you're doing to me… why you break my heart?
Guarda che mi stai facendo… perché mi spezzi il cuore?

 


A passo deciso, furiosa, mi diressi al tavolo apparecchiato sistemato in giardino.
“Cosa ti è successo?”, chiese Antonio, un mio amico.
“Nulla.”, ringhiai, ma a giudicare dalle facce dei presenti, nessuno mi credeva.
Mi diressi verso Stefano, stravaccato su una sdraio e gli stappai di mano la bottiglia di birra.
“Ehi!”, replicò mettendosi diritto.  Sbuffai allontanandomi. Mi sedetti alle radici di una quercia, non molto lontana dalla grande villa, ma abbastanza da non sentire le risate e le voci dei miei amici.
Poggiai la schiena al tronco dell’albero e bevvi un sorso di birra. Poggia un braccio sulla gamba piegata, bevendo ancora dalla bottiglia di vetro scuro.
Stupida, stupida, stupida, mi rimproverai.
Perché reagire in quel modo in fondo?
Sapevo cosa mi aveva portata a reagire in tal modo, ma la verità era che non riuscivo a d ammetterlo a me stessa, senza sapere nemmeno il perché.
Alice, io avevo reagito così per Alice.
Ai miei occhi si era comportato come un bambino scoperto a rubare i biscotti dal barattolo. Come se dovesse tutto a lei, come se lui dovesse accettare tutto di lui, comportamenti, amicizie, sorrisi… respiri, movimenti.
“Diamine.”, mormorai con voce incrinata, furiosa con me stessa, delusa da me stessa. Irritata dai miei stessi futili e stupidi pensieri.
Mi portai la bottiglia alle labbra, ma qualcuno me la tolse dalle mani, qualcuno che non avevo sentito arrivare.
“L’ alcool non risolverà i tuoi problemi,ragazza sciocca.”
“Dammela.”, dissi, sporgendomi verso Stefano, cercando di riprendere la bottiglia, “E’ mia.”
“Guarda che me l’hai tolta prima dalle mani, è la mia.”, disse alzando il braccio, così che io non avrei potuto mai prenderla.
“Si, ma ora è mia. Dammela.”
Stefano poi si alzò in piedi guardandomi in volto, “Prova a prenderla ora.”, disse sorridendo.
“Oh, uffa!”, sbuffai incrociando le braccia la petto, come fossi una bambina che non ha ottenuto un secondo pezzo di torta.
“Io non ho nessun problema.”, replicai in un sussurro.
“Vallo a raccontare a qualcun altro. Ho interrogato Sofia.”
Mi voltai e lo fulminai con lo sguardo, “Bene, adesso lo capirà anche lei!”, sbuffai irritata.
“Ely, l’ha già capito da tempo.”. Non risposi, mi limitai  a guardare una margherita a circa un metro da me, lottando contro le lacrime che crudeli premevano per uscire.
“Non ce la faccio più.”, sussurrai poggiando la testa alla corteggia dell’albero.
“Lo so, lo so, Ely.”, mormorò accarezzandomi i capelli. Quel contatto fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non potei frenare la lacrime che, calde, mi rotolavano sul viso. Le asciugai velocemente col dorso della mano, ma esse continuavano a scendere, silenziose, senza essere accompagnate da singhiozzi.
Lacrime di sfogo, lacrime represse, lacrime amare, lacrime di frustrazione, lacrime di liberazione.
Sentii il braccio di Stefano circondare le mie spalle e attirarmi a sé. Mi lasciai cullare dal ritmo regolare del suo cuore, dal suo respiro caldo, abbandonandomi alle lacrime, liberando la mia mente da pensieri che da tempo mi tormentavano.
Come potevano pochi giorni aver capovolto la mia vita?
“Sssh.”, la sua mano piano mi accarezzava i capelli.
“Passerà.”
No.
“Si.”
“Tranquilla.”
No.
“Okay.”
“Ti voglio bene, Ely.”, sussurrò poi baciandomi la tempia.
“Te ne voglio anch’io, Stefano.”

 

La sera era calata e la temperatura si era abbassata. Mi strinsi nella giacca, mentre mi portai la sigaretta alle labbra. Non era una fumatrice, si e no, in tutta la mia vita quella era la seconda, ma quella sera ne sentivo il bisogno.
La giornata era stata pesante, infatti tutte le mie paure, le immagini createsi nella mia testa si erano realizzate, facendo bruciare ancora i margini di quella ferita, come se fosse stato versatoci sopra del sale.
Espirai il fumo che si alzò in spirali nell’aria fresca. Seduta sul tavolino da pic-nic ripercorrevo con la mente le immagini della mattina, a volte sorridendo, a volte gemendo dal dolore, dalla rabbia.
Mi alzai e mi sedetti sul tavolo per poi stendermi sulle assi di legno e guardare le stelle e la mezza luna che, flebile, illuminava l’ambiente.
“Da quando fumi?”, sobbalzai nell’udire quella voce, quella voce tanto familiare, tanto amata.
“Non lo so.”, riposi senza scostare lo sguardo dal cielo, combattendo contro me stessa per non perdermi nei suoi occhi.
“Da oggi?”
“No.”
“Da ieri.”
“Dio, non lo so!”, sbottai irritata. Quella era la prima volta che ci parlavamo dopo l’episodio di qualche ora precedente.
“Ce l’hai ancora con me?”, chiese con voce vellutata, sedendosi sulla panchina. Continuai a guardare il cielo.
“Si.”, mentii spudoratamente. La rabbia verso lui era sparita un’ora dopo l’accaduto.
Come potercela avere con lui?
“Mi perdoni?”, chiese ancora con lo stesso tono di voce. Non risposi e feci un tiro dalla sigaretta.
“Ely…”, il suo dito piano si posò sul mio mento, costringendomi a guardarlo in viso. A quel contatto la mia carne fu come se prendesse fuoco e quando i miei occhi incontrarono i suoi lo stomaco mi si strinse in una morsa, il cuore perse un battito e il respiro mi si bloccò.
“Mi perdoni?”, soffio sul mio viso. Quando si era seduto non mi era accorta che era ad un’estremità, e la vicinanza del suo viso in quel momento mi spiazzò, scatenandomi un tempesta dentro. Potevo avvertire l’odoro di sigaretta del suo respiro, mentre il mio cuore intraprendeva una folle corsa, tanto forte da sembrare che desiderasse uscirmi dal petto per librarsi in aria con la delicatezza di una farfalla.
“Si.”, mormorai con voce spezzata, trattenendo il respiro che d’un tratto mi mancò.
“Non sopporto il tuo silenzio. Non sopporto la tua lontananza. Oggi…”, le parole gli andarono scemando fino a che boccheggiò in cerca di qualcosa di adatto da dire, o solamente perché non riusciva a dare voce a ciò che pensava, “… è stato orribile. Non poterti parlare… non poterti… sfiorare.”, e con la i polpastrelli piano carezzò la mia pelle rovente.
“Non prendermi in giro.”, soffiai ancora a corto d’aria, mentre un brivido mi attraversava da capo a piedi.
“Non lo fare mai, Ely… non lo fari mai.”, e sentii l’irrefrenabile voglia di poggiare le mie labbra sulle sue, a poche spanne dal mio viso. Sentii l’irrefrenabile voglia di accarezzargli la pelle, passargli le mani fra i capelli.
Dischiuse le labbra e potei avvertire il suo respiro sul viso.
Non lo farei mai.
Parole che vorticose si aggiravano nella mia mente.
Non lo fare mai.
Parole alla quale facevo fatica a credere, ma alla quale mi aggrappavo con denti e unghie.
“Io…”, mormorai incapace di staccare gli occhi dalle sue labbra.
“Tu…?”
“Matteo?”, sobbalzai quando sentii la voce di Alice, mi misi a sedere di colpo, mentre Matteo scattò in piedi.
La figura snella di Alice si fece sempre più chiara, sempre più visibile. Corrugo la fronte confusa quando mi vide sul tavolo.
“Ho interrotto qualcosa?”, chiese con voce monocorde e un’espressione indecifrabile sul viso.
“No, io… stavo chiedendo scusa per stamattina.”, si affrettò a dire Matteo, andandole incontro.
“Oh…”, lo sguardo di Alice si posò su di me… fulminandomi.
“Io vado da Stefano.”, sbottai alzandomi, buttando il mozzicone di sigaretta.
“Non sapevo fumassi.”
“Già.”, non guardai i loro visi, i loro corpi vicini. A testa bassa mi diressi a passo lungo verso la grande villa.
Che mi stava prendendo?
La follia si era impossessata piano di me, il sogno si stava confondendo con la realtà.
Credevo davvero sarebbe successo? Che in un attimo le sue labbra avessero desiderato le mie? Che si sarebbero unite alle mie?
Scossi il capo, sbuffando, dandomi per l’ennesima volta della stupida, dell’ingenua, della masochista.
Cosa credevo? Cosa credevo sarebbe successo?
Lui era sua suo, lei era sua.
Ed io?
Ed io nell’angolino assistevo alla loro felicità, a quella felicità che desideravo più dell’aria. Nell’angolino assistevo ad un mondo che non mi apparteneva e che mai mi sarebbe appartenuto… lui.


Alice accarezzò il viso di Matteo, “Avete risolto? Siete amici di vecchia data, non vorrei che litigaste.”, mormorò a poche spanne dal suo viso.
“Si, tutto… risolto.”, rispose lui in un filo di voce.
“Questo è l’importante.”, disse lei circondando l’addome di Matteo con le affusolate braccia.
“Si,questo è l’importante.”
Lei si strinse a lui, che invece poggiò il mento sulla sua spalla. Con il corpo Matteo era lì, con la testa al suo viso così vicino a quello di Eleonora.
Con lo sguardo la vide andare via, la vide allontanarsi con passo svelto, mentre i capelli lunghi piano ondeggiavano spostati dal vento.
“Si, questo è l’importante.”, mormorò a se stesso perdendosi nei ricordi.


 

*

Eccomi qui, gente! La storia fra i due si evolve e spero che non vi stia annoiando.
Non ho molto tempo, e oltre a ringraziare tutti coloro che hanno inserito la fiction fra i preferiti, fra i seguiti, chi legge senza recensire, ci terrei a fare un saluto speciale a:

KikyCullen: ciao, bella! Sono contenta ti piaccia la storia! La scena di Matteo che se la carica in spalla non era prevista e sono contente ti sia andata a genio, davvero tanto! Spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento. A presto! E grazie mille!
Nessie93: ciao! Bhe, alla fine un po’ distrutta lo è. Matteo, a quanto male, è logorato dal rimorso XD  Ma dai, non puoi odiare Matteo… o si… bhe, Alice essenzialmente non è antipatica… lo è perché è la fidanzata di lui XD Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, davvero! A presto, cara!
sa chan: ciao! Tutta d’un fiato? *.* Onoratissima! Grazie! Sono contenta che ti piaccia, a questa fiction ci tengo davvero molto! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto e grazie ancora per la recensione ^.^
doddola93: tesoro! Che bello “sentirti”! Sapere che stai bene! *.* Esageri, come sempre… secondo me tu sei un po’ di parte XD Comunque, grazie davvero! Grazie infinite per i complimenti, per l’appoggio… per tutto, insomma! Spero tu riesca a leggerlo, anche se non è un gran che. Mi fa piacere sapere che comunque continui a leggere ciò che scrivo. Grazie ancora, Dà. Ti voglio bene! <3

 

A voi, Panda.

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Capitolo 7
*** I lost my head ***


7. I lost my head.
 Ho perso la testa.

 

 

Quella notte non riuscii a dormire. Mi girai e rigirai sotto le coperte, con la nausea che mi attanagliava lo stomaco. Mi scoprii una gamba, quando cominciai ad aver caldo, a sudare sulla nuca, a causa dei lunghi capelli. 
La mattina seguente, dopo una tazza di cereali, ebbi un incontro ravvicinato con i libro di matematica.
Aprimi, diceva ammaliatore.
No, pensai immediatamente.
Sono qui, Eleonora, aprimi. I logaritmi ti attendono, ti chiamano, mormorò ancora.
Cosa vuoi da me, Libro, pensai riducendo gli occhi a due fessure.
La tua anima, sibilò.
Alzai lo sguardo, guardandomi intorno circospetta, come se quella ridicola conversazione mentale non fosse stata udita da nessuno.
“Non ci credo.” , mormorai a me stessa, “Parlo da sola, con un libro.”
Scossi il capo, passandomi una mano sul viso, sospirando.
Mi alzai dalla scrivania, accesi lo stereo ascoltando un cd che vi era già inserito, un cd che stavo ascoltando il giorno prima, e mi andai a sedere sul letto, dove incrociai le gambe. Presi il cellulare e scrissi un messaggio:
Non ce la faccio più, ho bisogno di uscire. Ti va un gelato?, scorsi la rubrica: Stefano.
Poggiai il cellulare sul letto e mi stesi, mentre i capelli si sparpagliavano sul cuscino bianco. Il telefono vibrò.
Okay, dove ci vediamo?
Al solito posto? Mezz’ora?, non attesi molto la risposta.
Okay, solito posto. Dobbiamo parlare, Ely., deglutii rumorosamente quando lessi quelle parole.
Cosa avrei dovuto dirgli? Soprattutto riguardo a cosa?
Frustata mia passai una mano sul viso.
Ti odio.”

 

“Da quando ti piace il gelato al limone?”, mi chiese Stefano quando fummo fuori dalla gelateria, col sole che illuminava caldo i nostri visi.
“Da… oggi. Volevo sperimentare. Non è male. “, dissi annuendo, “Vuoi assaggiare?”, chiesi porgendoli il gelato. Lui mi guardò si sottecchi per poi assaggiare.
“Oddio, è immangiabile!”, esclamò allontanandosi con un espressione disgustata sul viso.
“Mamma mia, non è mica veleno!”, dissi cominciando a camminare, verso le solite panchine di marmo,  panchina che la sera fungevano da punto di incontro.
“Ely, non mi piace vederti così. Non può essere possibile. Insomma, reagisci!”.
Mi voltai verso Stefano, spaesata a confusa.
“Come?”, farfugliai con un filo di voce.
“Dai Ely, non puoi comportarti così. Insomma… sai cosa penso al riguardo, ma non puoi far sì che Alice di mandi in depressione.”, sbottò lui.
“Ehi! Ma io non cado in depressione! Non è lei.”, mormorai chinando il capo.
“Matteo.”
“Maggiormente per lui.”, non avevo il coraggio di alzare lo sguardo, senza sapere bene il motivo. Non c’era nulla di cui vergognarsi o imbarazzarsi.
“No, Ely, sta arrivando.” .
A quelle parole sentii lo stomaco contorcersi e il cuore aumentare i suoi battiti, per poi fermarsi, per attimi infiniti, quando, alzando il capo, incontrai il verde dei suoi occhi.
Ogni volta sempre la stessa reazione, ogni volta sempre le stesse emozioni, ogni volta il respiro mi si mozzava e la testa cominciava a girarmi.
“Ciao.”, disse allegro.
“Ciao.”, ma il mio saluto era pari ad un mormorio sotto una tempesta. Stefano alzò la mano a mo’ di saluto.
Con lui c’era un altro amico, Daniele.
“Non dovreste essere a studiare?”, chiese lui con una punta di acidità nella voce. Un repentino cambio di tono che mi lascio perplessa.
“Non mi andava.”
“Io ho tempo fino al prossimo esame.”, fece spallucce Stefano.
“Capisco.”
“E voi che ci fate in giro? Non dovresti essere a studiare anche tu? O non dovresti essere con Alice?”, domandai con astio.
“No.”
“No a cosa, Matteo?”, chiesi con indifferenza mangiando altro gelato. Lo vidi agitarsi sul posto e, sorrisi appena, compiaciuta da me stessa.
“No a tutte e due.”, sprezzò. “ E poi a te che importa?”
“Nulla.”, riposi con voce monocorde, guardando altrove. Daniele assistette alla conversazione con la fronte corrugata. Stefano, vidi con al coda dell’occhio, roteò gli occhi.
“Ma che hai oggi?”, sbottò dopo pochi secondi.
Sgranai gli occhi, “Io?”
“Chi sennò?”
“Hai cominciato tu a fare l’antipatico!”, esclamai scattando in piedi.
“No, tu.”
“Cosa?”, chiesi con voce acuta, più alta di qualche ottava, “hai cominciato tu!”
“No, tu!”.
Sentii le mani cominciarmi a prudere mentre l’irritazione saliva e il sangue ribolliva nelle vene.
“Smettila.”, sibilai.
“No.”
Fu allora che non ci vidi più. Con un movimento veloce e rabbioso alzi il braccio facendo scontrare il suo splendido viso contro il gelato al limone… spalmandoglielo sulla faccia.
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca, mentre Daniele e Stefano mi guardavano stupiti e increduli.
“Ma… che hai nella testa? Sei impazzita?”, chiese Matteo cercando si pulirsi il viso con una mano.
“Si!”, spuntai fissandolo negli occhi.
“Sei solo… una stupida! Una bambina! Ecco cosa sei!”, gridò facendo girare un paio di passanti.
“… ti odio.”, mormorai sprezzante. Poi voltandomi, me ne andai a passo svelto, seguita a non molta distanza da Stefano.

 

“Ele! Ele, fermati!”, gridò Stefano.
“O allunghi tu il passo o ci vediamo dopo.”, sbottai furiosa.
Ero uscita con ogni buona intenzione. Ero uscita per sgombrare la mente, ero uscita per non pesare a lui, per distrarmi, per passare poche ore libera da… da lui. Dalla sua immagine, dalla sua voce, dai suoi occhi, dalla sua voce. Eppure i miei sforzi erano stati vani. Me lo ero ritrovato davanti costringendomi ad abbandonare i buoni propositi fatti sulla mia sanità mentale. L’irritazione si era tramutata in rabbia offuscandomi la mente, spingendomi a fare cose che normalmente non avrei fatto, come spalmare del gelato sulla faccia di qualcuno, soprattutto sulla sua faccia.
Sbuffai, ancora furiosa.
Cosa voleva da me? Perché continuava ad essere una presenza costante nella mia vita quando avrei voluto evitare la sua immagine?
Sembrava una congiura, un qualcosa fatto di proposito per farmi dare di matto.
Quella sarebbe stata di sicuro una lunga giornata.

 

Quella sera non uscii. Stefano e Sofia, che ormai aveva capito e intuito tutto (grazie anche ad una confessione) ciò che provavo per Matteo, mi accompagnarono al cinema. In fidanzato di Sofia, Paolo, quella sera aveva una festa, il compleanno del nipote che compiva un anno, così fu più che felice di unirsi a noi.
Fu utile, passare del tempo in serenità con loro, riuscirono a tenermi la mente occupata, cosa che da sola non ero riuscita a fare, lontana da un luogo che non poteva ricordarmi Matteo o in cui avrei potuto incontrarlo.
Il giorno seguente feci lo stesso. Cercai di concentrarmi sui compiti, sul libro di matematica che desiderava la mi anima. Fu imparte utile, dall’altra una stupida idea. Fra una pagine e l’altra, fra un paragrafo e l’altro, tra una riga  l’altra, la mia mente si perdeva vagando solitaria. La mia memoria era stuzzicata da fastidiosi ricordi tutti riguardanti quel viso d’angelo, quegli occhi verdi come i prati primaverili. Il suo viso così vicino al mio, il suo respiro delicato sul viso, i suoi occhi ardenti. Il viso sporco di gelato, gli occhi rossi dalla rabbia. Parole taglienti, ma la cosa che più mi premeva era: le pensa davvero?
Una domanda che non smetteva di tormentarmi, una domanda che ogni volta mi causava una fitta al petto e mi faceva contorcere lo stomaco dalla nausea.
Per colpa di quella domanda impiegai il triplo del tempo per studiare. Il tutto era decisamente frustrante.
Una parte di me, desiderava rivederlo più di ogni altra cosa, più dell’aria che mi teneva in vita. L’altra parte, quella razionale desiderava non aver più contatti con lui, tener lontano il suo ricordo, la sua immagine… ed è qui che la parte razionale diventava irrazionale proprio come la prima. Il risultato era… me. Una persona apparentemente equilibrata, una persona che di equilibrato non aveva proprio un bel niente.
Dopo aver perso un pomeriggio sui libri mi vesti e uscii, quando passo da casa Stefano.
“Dove si va, oggi?”, chiesi.
“Io… ecco…”, lo vidi boccheggiare in difficoltà e capii.
“Con gli altri.”, mormorai chinando il capo.
“Si vedono tutti da Matteo, al casolare e… mi dispiace avrei dovuto chiederlo prima a te.”, rispose con rammarico nella voce.
Alzai il capo, guardando i suoi occhi color nocciola, “Non devi chiedermi il permesso, ragazzo sciocco!”, dissi corrugando la fronte, “Io e te abbiamo altri amici e dobbiamo frequentarli. Non importa se un… idiota mi rende la vita impossibile. Io e te oggi andremo lì e berremo e mangeremo fino a star male.”, conclusi con convinzione, annuendo alle mie stesse parole.
“Forse non è una buona idea.”, disse facendo una smorfia.
“Dai, Stefano! Siamo giovani, dobbiamo divertirci.”
“Ma… ma ci sarà…”
“Non è al centro di ogni cosa, non è al centro del mio mondo.”, mentii. In quel momento, in quel periodo, in quei giorni lui lo era, ma non volevo farlo pesare a Stefano e non volevo che la cosa apparisse seria e complicata, quale era.
“Ne sei sicura?”
No.
“Si.”
“Non sei obbligata, lo sia no?”
No.
“Si.”
“Okay.”, sorrise. Felice di passare la sera con i suoi amici.
“Ti voglio bene, ragazza sciocca.”
“Te ne voglio anche io, ragazzo sciocco.”, risposi sforzandomi di mostrare un sorriso.
Perché sorridere se il cuore piange?


 

*
KikyCullen: ciao, cara! Continuata, visto? Perdonami il ritardo ma ad Agosto non ho toccato per nulla il computer. Sono contenta ti piacciano Matteo ed Eleonora! Grazie per a recensione! A presto, baci.
sa chan: ciao! Sul serio ti è piaciuto? Ooooooh, grazie, davvero! Spero ti sia piaciuto anche questo… pure se in ritardo. Grazie mille per la recensione, grazie davvero!

 

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Capitolo 8
*** I will wait for this moment, when our lips collide. ***


8. I will wait for this moment , when our lips collide.
    Aspetterò questo momento, quando le nostre labbra si contreranno.

 

Scesi dall’auto di uno dei miei amici, Marco, seguita a ruota da Stefano ed altri due. Feci un respiro profondo, prima di tutto perché mi ritrovavo fra il metro e novanta di Stefano e il metro e ottanta di un ragazzo palestrato, secondo perché avrei visto Matteo, dopo due giorni. Ebbi un fremito, sicuramente non dovuto al venticello fresco, e le mani mi presero a tremare impercettibilmente. Consapevole che ogni mio progetto di tener lontano dalla mia mente e dal mio cuore Matteo sarebbe svanito, come cenere al vento.
“Cavolo, stavo davvero stretto.”, disse Andrea, il ragazzo palestrato.
“Tu? Ero quella che stava al centro! Fra due… montagne!”, esclamai sgranando gli occhi.
“Parla Eleonora dal suo metro e cinquanta.”, disse Andrea roteando gli occhi.
“Un metro e sessantadue, prego.”, precisai solenne alzando l’indice e chiudendo per un momento gli occhi. Sentii Stefano soffocare una risata, così mi girai per incenerirlo con lo sguardo.
Alzò le mani, spalancando appena gli occhi dicendo: “Mi perdoni.”
Scossi il capo, sorridendo appena.
Quando entrammo nella villa avevo il cuore che batteva, frenetico, e le mani che mi sudavano. Con lo sguardo mi sforzai di non guardarmi intorno, ma fu impossibile. Come mi voltai per salutare, Sofia, che mi aveva chiamata, incontrai i suoi occhi.
Per un attimo cessai di respirare.
Sul suo viso era dipinta un’espressione indecifrabile e i suoi occhi mi scrutarono per attimi che parvero infiniti.
Deglutii rumorosamente per poi avvicinarmi a Sofia e Paolo, seduto accanto a lei, e… Matteo.
“Ciao.”, dissi guardando Sofia e poi Paolo, rivolgendo a Matteo solo un’occhiata fugace. Sentii il suo sguardo bruciarmi la pelle.
“Non credevo venissi.”
“E invece eccomi qui, Sofia.”, risposi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio. “Ehm, io vado a prendere qualcosa da bere.”, mi affrettai a dire sentendo ancora su di me lo sguardo di Matteo.
Mi allontanai avvicinando a tavolo sul quale avevano poggiato cibarie e bevande, per prendendo un bicchiere di fresca birra. Salutai con la mano, alcuni dei presenti nella stanza, quelli che non erano troppo presi da conversazioni.
Non avevo visto Alice. Sicuramente era fuori in giardino con le sue amiche, quelle amiche tanto non mi andavano a genio.
“Lascia che ti aiuti… o anche oggi verserai tutto sul pavimento.” . Sobbalzai alla voce di Matteo, così vicina al mio orecchio. Fui percossa da un brivido.
“E’ capitato una sola volta, ed è stato un incidente.”, risposi con voce fredda.
Lo sentii sospirare, mentre mi versava della birra nel bicchiere.
“Ce l’avrei con me ancora per molto?”, chiese con voce dolce e melodiosa.
Mi voltai e vedendo il suo viso così vicino al mio, faticai a mantenere al concentrazione e formulare pensieri coerenti.
“Non lo so.”, risposi sincera.
Schioccò la lingua, “Sarebbe un vero peccato.”, mormorò con voce bassa e calda. Ancora la mia parte raziocinante fu messa a dura prova.
Scossi il capo, “Va da Alice, Matteo.”, mormorai chinando il capo.
“Lei non c’è.”
Alzai di scatto la testa, perdendomi nel verde dei suoi occhi.
“Non c’è?”, per un attimo l’idea di Matteo senza Alice mi balenò in testa, procurandomi un certo piacere al solo pensiero.
“Ha la febbre.”, i castelli di fantasie si sgretolarono come fossero fatti si sabbia.
“Oh.” , mormorai chinando il capo, prima di portarmi il bicchiere alle labbra e bere un sorso di birra, “Io non dovrei parlare così con te.”, continuai.
“Alice?”
Scossi il capo, “Mi hai dato della bambina, della cretina, dell’idiota.”
“Tu hai detto di odiarmi.”, ribatté sempre con voce calda.
“Lo pensi davvero?”
“E tu lo pensi davvero?”
“L’ho chiesto prima io.”, dissi fronteggiando il suo sguardo.
“Rispondimi.”. In quel momento il suo telefono squillo. Sbuffò, afferrando il cellulare dalla tasca.
“Ciao… ti sarei grato se evitassi di chiamarmi tato…”, capii all’istante chi fosse dall’altro capo del telefono, così mi allontanai, incapace di assistere ad una conversazione piena di dolcezza o amore, per motivi ovvi.
Mi diressi così all’esterno inserendomi in una conversazione che vedeva come membri Stefano, Andrea, Francesca, Paolo e Sofia.


Il braccio di Stefano circondava le mie spalle, mentre io con il braccio mi tenevo quasi goffamente ai suoi fianchi. La testa poggiata al suo petto, stanca e assonnata. Per colpa di Matteo avevo dormito poco negli ultimi giorni, il che non giovava alla mia solarità ed allegria.
I miei occhi, guidati dal cuore cercano con frenesia il suo viso, mentre la mia parte raziocinante si opponeva, costringendomi a non voltarmi per guardare cosa ci fosse dietro me.  Poco da dire al riguardo… il cuore vince sempre, su tutto.
La testa mi girava appena, avevo mandato già qualche bicchiere di birra e altri alcolici, dandomi alla testa. Sentivo le gambe molli, avevo delle leggere vertigini. Ovviamente il tutto era aggravato dalle poche ore di sonno, perciò potevo non apparire sobria, anche se lo ero del tutto. Lì, sulla sedia, mi tenevo stretta a Stefano, lui, l’unico sobrio in quel luogo di pazzi.
“Vado un attimo in bagno.”, disse Stefano allontanandosi, lasciandomi da sola, così, invece di rimanere lì, decisi di fare un giro nell’ampio cortile, diretta allo stesso tavolo da picnic di giorni prima, alla quale erano legati ricordi… immagini… emozioni…sensazioni.
Poggia le mani sul tavolo di legno e con al sola forza delle braccia mi sollevai fino a sedermi. Il cielo sopra la mia testa era coperto, di tanto in tanto i raggi della luna filtravano da esse, illuminando le fronde degli alberi, ma non vi era traccia di stelle. Così, invece di mettermi in posizione supina, decisi di mettermi a pancia in giù, poggiando la guancia sul dorso delle mani che avevo portato all’altezza del capo.
Chiusi gli occhi godendomi il vento che leggere mi spostava i capelli, accarezzandoli appena il viso, come una carezza.
“E’ un rito, questo?”, sobbalzai udendo la sua voce. Aprii immediatamente gli occhi, sorpresa di rivederlo lì ancora una volta.
“Non lo so.”
“Tu non sia mai niente.”
“Se sei venuto qui per litigare puoi anche andartene.”, sbottai girando il capo dall’altro lato, privando i miei occhi della sua vista.
“Non sono venuto per litigare.”
Non risposi.
“Ely.”, continuò ancora con voce dolce.
“Che vuoi da me?”, il tono della mia voce era convinto, deciso. Mi misi a sedere di scatto voltandomi, ma la testa prese a girarmi per il cambio di posizione repentino e quasi violento. Persi l’equilibrio, scivolando sulla panca e poi sul terreno. Cacciai un urlo, durante la caduta, che, fortunatamente, fu attutita dall’erbetta verde.
“Ele!”, esclamò. Sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi. Mi portai le mani alla testa che prese a pulsare di dolore. Mi facevano male i glutei e la spalla.
Gemetti di dolore, quando provò a sollevarmi, “Sta fermo!”
“Okay, forse è una pessima idea. Dove ti fa male?”, la sua voce calda e morbida era piena di apprensione. Con una mano mi portai a coprire gli occhi, gemendo ancora per il dolore alla spalla. Sentii immediatamente le sue mani posarsi sulle mie, con delicatezza.
“Ele, ti prego, dimmi dove ti fa male.”
“Tutto.”, mi lamentai poggiando la testa sul prato. “Sono un disastro”, mormorai, “non ne combino una giusta.”
“E’ grave?”
“No.” . Lo sentii sospirare di sollievo, ma non ebbi la forza di riaprire gli occhi.
“Sei la solita.”, mormorò spostandomi dal viso una ciocca di capelli. Un brivido mi attraversò da capo a piedi, e la mia pelle prese fuoco sotto la scia della sua mano.
“Grazie per il supporto morale.”, soffiai con voce tremante. Aprii gli occhi e mi persi immediatamente nei suoi. Il fiato mi si mozzò ancora.
“Riesci a metterti in piedi.”
“Non lo so.”, mormorai con lo sguardo incatenato al suo.
Soffocò una risata, “Sei davvero la solita.”, sussurrò accarezzandomi la guancia. Avvampai di rossore immediatamente e sperai che non se ne accorgesse, spiegare il perché sarebbe stato difficile. Scosse impercettibilmente il capo, poi sedendosi, si stese accanto a me.
Sentii la sua spalla sfiorare la mia ed ebbi un fremito. Cercai di concentrarmi sul dolore che provavo in varie parti del corpo.
“Pessima idea.”, dissi a me stessa con una smorfia.
“Preferisci che me ne vada?”, chiese Matteo corrugando la fronte.
Sgranai gli occhi, terrorizzata dal pensiero della sua assenza, “No!”, esclamai con troppo vigore.
Fece un sorriso e avvampai di rossore, imbarazzata.
“Se vuoi ti porto in braccio.”
Mi voltai a guardare il suo viso, “Sono pesante.”, risposi seria.
Rise di gusto, “Ma scherzi? Sei una cosa leggera.”
“Sono una persona, non una cosa.”
“Quanto sei pignola.”, sospirò roteando gli occhi.
“No, non è vero.”
“Si, è vero.”
“No ti dico.”
“Si ti dico.”
“Okay, mi arrendo. Non voglio stare qui a discutere come i bambini.”, dissi solenne.
“Ma noi siamo bambini.”, rispose ovvio.
Lo fulminai con lo sguardo, “Illudimi per una volta.”, ma il mio tono di voce era diverso… forse perché a quelle parole attribuivo un altro significato, un significato celato ad uno stupido discorso sui si e i no.
Illudimi. Illudimi che qualcosa i te è cambiato, che non esiste altro fuorché noi. Illudimi che desideri me, illudimi che il tuo cuore canto ciò che canta il mio, che battono all’unisono… illudimi che non ci sia nessuna Alice.
 Si girò su un fianco, poggiandosi su un braccio, “Ci siamo solo io e te. Due adulti. Ecco cosa siamo.”, mormorò.
“Grazie.”, risposi.
“Sei così cambiata.”, disse in un sussurrò guardandomi il volto.
“Cosa intendi?”, chiesi corrugando la fronte.
“Sei… cresciuta. Non me n’ero reso conto. In due anni… sei diventata bellissima.” . Le sue parole e il suo sguardo, mi lasciarono scossa. Parole che non mi aspettavo, parole che mi aveva colta di sorpresa, privandomi di quei briciolo di mente pensante che mi era rimasto, quasi fondendomi il cervello.
“E’ buio, hai bevuto… non sai quello che dici.”, mormorai con voce tremante.
“Sono perfettamente lucido, Eleonora. So quello che dico.”, rispose che decisione. La sicurezza, l’intensità della sua voce, mi scatenarono un tempesta di emozioni dentro, senza che io potessi controllarle.
“Potresti esserne convinto e io non esserlo.”, rise appena scuotendo il capo.
“Perché sei così testarda.”
Cerco l’illusione, ma la evito.
“Non lo so… forse perché lo è anche mia madre.”, buttai lì.
O solo perché non voglio soffrire. Notizia… lo sto già facendo.
“Forse.” . Il silenzio calò fra noi, un silenzio che non era opprimente però. Un silenzio fatto di sguardi, occhiate, un silenzio in cui i miei occhi sembravano essere incatenati ai suoi, che mi scrutavano ed osservavano.
“Dove sono gli occhiali?”, chiesi notando solo allora che non li aveva.
“Ho le lenti a contatto oggi.”
Arricciai le labbra, prima di schioccare la lingua in segno di disapprovazione.
“Cosa?”, chiese alzando un sopracciglio.
“Ti preferisco con gli occhiali.”, ammisi.
“Oh… allora… allora non metterò più lenti.”
“Ora si che va meglio.”, mormorai. In quel momento, qualcosa di strano accadde. Sentii la sua mano sfiorarmi delicatamente il viso. Percorrere piano il profilo della mia guancia, un gesto dolce e delicato, che mi infiammò la pelle.
Il mio cure prese a galoppare, quasi volesse squarciarmi il petto e il mio respirò accelerò, in sincrono al cuore.
Il suo viso lentamente si vece sempre più vicino al mio, e il mio respiro velocemente accelerava, mentre il cuore intraprendeva una folle corsa.
Avvertii il suo respiro sul mio viso, le labbra piene dischiuse appena, i suoi ardenti puntati nei miei. Le sua mano che giocava con i miei capelli, che me li strofinava dolcemente sul viso.
Alice.
“Alice.” , mormorai.
“Io… credo dovremmo andare.”
Alice.
“Il dolore è passato.”, dissi con voce monocorde. Mi alzai mente lui si metteva seduto, con un espressione confusa.
Cerco l’illusione, ma la evito.
Mi allontanai cercando di ignorare il dolore fisico e… morale.


 

*

Mi dispiace non poter ringraziare a modo chi ha letto il capitolo precedente, ma sono davvero in ritardo, ed ho poco tempo.
perciò mi limito a ringraziare: FukoChan, Martiis, sa chan, xsemprenoi e Nessie93, con la promessa di rifarmi nel prossimo capitolo!
Grazie, davvero, grazie di cuore.

 

A voi,
con affetto,
           Panda.

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Capitolo 9
*** Broken inside ***


9. Broken inside.
   
Distrutta dentro.

 

 

Il tempo passava, le giornate trascorrevano.
Due cuori si univano.
Altri due si cercavano, si desideravano.
Il tempo scandiva ogni attimo, ogni istante, aumentando il desiderio, il piacere, l’allegria, il dolore, le ferite… l’amore.
Un paio d’occhi attendevano con ardore i
suoi, che ciechi si guardavano intorno, senza vedere.
Ed il dolore aumentava, e lo squarcio si faceva più profondo, facendo pulsare i margini di quella ferita invisibile, posizionata lì, proprio al centro di quel fragile petto.
Era sbagliato, era errato e lei lo sapeva. Avrebbe dovuto dire no, allontanarsi, ma era legata a lui da un filo invisibile, difficile da spezzare. Qualsiasi cosa facesse il suo cuore la riportava da lui, ignorando la parte raziocinante, perché, si sa,
il cuore ha le sue ragioni che la ragione non può comprendere. 
Ed ogni fibra del suo essere era proiettata verso lui.
Le sue labbra agognavano le sue.
Le sue mani desideravano il suo viso.
I suoi occhi ardevano di passione, desiderio, amore.
I suoi respiri erano leggeri, ma allo stesso tempo pesanti, come i battiti del suo giovane cuore.
Lui che silenzioso incespicava nei suoi pensieri, stuzzicando l’immaginazione, le fantasie, ma soprattutto i… ricordi.
Ricordi piacevoli, ma dolorosi.
Tra sogno e realtà, tra finzione e verità, tra illusioni e fatti, il suo cuore cantava, come mai prima d’ora.
Che fosse giusto? Che fosse errato?
Ormai, non lo sapeva più, ma presto il tempo avrebbe spiegato tutto.
In un modo o nell’altro tutto sarebbe cessato.
E la speranza è sempre l’ultima a morire.

 

 

*

Nessie93: ciao! Che piacere leggere una tua recensione, davvero! Allora, caVa… Ma senza Alice che gusto ci sarebbe? Spero questo capitolo ti sia piaciuto, anche se un po’ insolito XD Ehehe, Stefano… Stefano e Stefano e credo lo amerai tanto, si, direi proprio di si. Grazie per la recensione tesoro, davvero. A presto!
Martiiss: ciao! *_* Che piacer leggere la tua recensione! Sono contenta la fic ti sia piaciuta! E spero questo capitolo non ti abbia delusa. A presto e grazie mille!
xsemprenoi: ciao! Eeeeeh, Eleonora…. Come dice Stefano, è sciocca, non c’è nulla da fare… e sono io che scrivo, rendiamoci conto. La fisica mi fa male. Comunque, sono felice di sapere che la fiction ti piaccia, davvero! Spero ti non averti delusa con questo capitolo! A presto, cara! Grazie!

Vi lascio con la promessa di postare molto presto… ma davvero molto presto questa volta.

 

A voi, con affetto,
                    Panda.

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Capitolo 10
*** Jealousy ***


10. Jealousy
     
Gelosia.

 

 

 


“Com’è andata?” , chiese Sofia all’uscita di scuola.
“Beh, direi piuttosto bene. Ho avuto problemi su una domanda riguardante la termodinamica, ma per il resto direi che me la sono cavata.”, dissi scendendo gli scalini della scuola.
“Dai, pochi giorni ed è finita.”, disse poggiandomi una mano sulla spalla.
“Si, pochi giorni.”, mormorai con sollievo.
Il sole caldo picchiava sulle nostre teste, mentre tornavamo a casa con Sofia. La scuola stava finendo e presto, gli “universitari” sarebbero tornati. Erano circa un paio di mesi che non vedevo Matteo. Tranne qualche weekend, in cui tornava a casa per vedere Alice.
Alice. Alice che vedevo sempre, che ogni volta mi ricordava lui, il suo bel viso, la sua bella voce, i suoi occhi… le loro mani intrecciate. Cercai di cacciare via quei pensieri, scuotendo il capo.
“Ele.”. Mi voltai verso Sofia che mi guardava con aria confusa.
“Non sono pazza.”, mi difesi in un risolino.
“Oh, si, certo.” . Le diedi uno scappellotto e fui seguita da un sonoro ‘Ahi!’.
Per un attimo fra noi cadde in silenzio, rotto soltanto dal rumore delle auto che ci sfrecciavano accanto.
“Ieri Paolo mi ha detto che stasera viene Matteo.”
Mi voltai di scatto verso lei, con lo stomaco stretto in una morsa, “Oh.”. Il tempo era passato, trascorso, ma io non avevo dimenticato.
“A che rapporti siete?”, chiese con voce dolce.
Feci una smorfia, “Scusa, Sofi, ma preferisco non parlarne.”
“Oggi comincia la festa patronale. Per i prossimi tre giorni non faremo altro che mangiare crepes e bere birra… vero?”, chiese saltellando appena.
“Ovvio!”, esclamai in un risolino.
“Non cambieremo mai, mi sa.”, disse scuotendo il capo.
“E’ per questo che siamo amiche, no?”
“Perché sappiamo abbuffarci e riempirci come tacchini?”
“Perché ci vogliamo bene.”, disse dandomi una leggera spallata. Le bacia una guancia, prima di tirarle un pizzicotto.
“Si, perché ci vogliamo bene.”

 

Quella sera non badai a ciò che indossavo. Quando uscii in giro c’era movimento, troppo per la solitaria cittadina in cui vivevo. Il vento, leggero, mi solleticava le gambe scoperte grazie alla gonna di jeans che avevo deciso di indossare.
Le strade del piccolo centro erano affollate e i margini delle strade erano ricoperte da file di macchine. Mi portai la borsa a tracolla, sospirando.
“Il rosso ti dona, sai?”, sentii mormorare al mio orecchio. Sobbalzai ed ebbi un fremito quando incontrai il verde dei suoi occhi, che dal rosso della mia maglia si posarono sul mio viso.
“No.”, soffiai quando mi fu vicino.
“Ciao.”, disse raggiante.
“Ciao.”, risposi con fiato corto, mentre il mio cuore cominciava a galoppare.
“Coma stai?”, chiese cominciando a camminare accanto a me.
“Tutto bene. Tu? Sei arrivato oggi? Quanto ti fermi?”
“Una domanda alla volta, Ele.”, ridacchiò.
“Okay, scusa.”, mormorai guardandomi la punta delle scarpe da tennis.
“Io sto bene, specialmente ora che sono tornato.”
Così vedrai Alice.
“Sono arrivato oggi e mi fermerò un paio di settimane credo. Ora devo studiare per il prossimo esame. Tu dove te ne vai?”, continuò.
“Solito posto. Mi vedo con gli altri.”, risposi passandomi distrattamente una mano fra i capelli lunghi, “Tu? Vai da Alice?”
“No. Lei è fuori per i prossimi giorni. Una sua cugina di Roma si sposa e passerà dei giorni lì.”, rispose come se la cose non lo toccasse più di tanto.
Dentro di me non potei fare a meno di gioire.
“Capisco. Quindi dovrò sorbirmi la tua presenza per tutta la serata.”, roteai gli occhi, sospirando.
“Esatto, mostriciattolo.”, disse scompigliandomi i capelli. Come ogni volta, mi allontanai automaticamente, passandomi una mano fra essi.
“Non sono un mostriciattolo!”, mi difesi incrociando le braccia al petto.
“Oh, si invece.”, disse in un risolino circondandomi le spalle con un braccio e stringendomi a sé. Immediatamente sentii le guance avvamparmi di rossore e non potei far nulla per evitarlo.
“Cretino.”, ridacchiai scuotendo il capo.
“Forse.”
“Senza forse.”
“Cretina.”
“Forse.”
“Senza forse.”
Alzai la mani, accigliandomi e sorridendo, “Okay, siamo cretini entrambi.”, dissi in un risolino. Il suo braccio non aveva ancora abbandonato le mie spalle.
“Si, direi di si.”, rispose. Alzai lo sguardo, guardando il suo viso, incontrando i suo dolce sguardo color del prato.
“Mi sei mancata.”, mormorò. Ebbi un fremito, quando piano le sue labbra si posarono sulla mia fronte, morbide e vellutate come petali di rose. Il mio cuore accelerò i suoi battiti e non potei controllarli, mio malgrado, mi lasciai andare al pulsante dolore del mio cuore, che sembrava volesse perforarmi il petto, per librarsi nell’aria, leggero come l’aria. Aria che sembrava bruciasse nei miei polmoni.
“Mi… s-sei mancato anche…tu.”, riuscii ad arrancare a corto di fiato.
“Sei calda.”
Sei tu.
“Ho mal di testa.”
Bugiarda.
“Bugiarda.” . Alzi il capo, fissando ancora  suoi occhi. Smantellata, scoperta. Crudelmente aveva guardato ciò che avevo dentro, ciò che il mio cuore celava, ed avevo paura che da un momento all’altro potesse staccare il suo braccio dalla mia spalla. Mi beai ancora un po’ di quel contatto, conscia che presto sarebbe cessato, ma il suo braccio indugiò sulle mie spalle. Mentre i suoi occhi ardevano, come un albero colpito da un fulmine, con mia grande sorpresa, le sue braccia mi avvolsero, con calore, stringendomi forte a sé. Affondai il mio viso nel suo petto, godendomi la sensazione che al sua vicinanza mi dava, il dolce e fresco profumo di pulito. Rimasi a farmi del male, conscia che quell’abbraccio non aveva  lo stesso significato che gli attribuivo io. Ma poco mi importava in quel momento. Ero fra le sue braccia e ciò bastava a rendere quella stradina il posto più bello e magico della terra.

Arrivammo al solito posto, insieme. Con le gote intinte di rossore risposi a tutti i saluti, fino ad incontrare il viso di Stefano. Mi guardava con espressione indecifrabile e l’inquietudine mi pervase.
Perché? Perché mi guardi così, amico mio?, mi domandai.
Chinai il capo, incapace di reggere il suo. Rimansi in piedi accanto a Sofia che parlava animatamente con Francesca e Simone, il fratello di Stefano.
Tutt’intorno c’era gente, il forte vociare non mi permise di sentire Stefano invocare il mio nome.
“Ele?”, mi chiamò. Mi voltai di scatto verso lui, accigliandomi appena.
“Si?”
“Tutto okay, no?”, chiese unendo le scure sopracciglia.
Annui col capo, sorridendo, scossa da fremiti al ricordo del braccio di Matteo intorno alle mie spalle.
“Perché tremi?”, chiese stranito.
“Ehm… io…”, le parole mi mancarono. Stefano notò che con la coda dell’occhio guardavo Matteo, rivolto verso noi. Sentii il viso avvamparmi di rossore, conscia che era nel suo raggio visivo. Stefano si volto, sollevando il mento a Matteo, a mo’ di saluto.

 

Matteo ebbe un fremito. Contrasse la mascella fissando Eleonora.
La guardava, di profilo. Con lo sguardo seguì la linea retta del naso, le labbra piene e rosee, i capelli scuri ed ondulati. La maglia rossa che le aderiva all’addome, come fosse una seconda pelle, morbida e delicata, che crudelmente copriva la prima. Le gambe snelle scoperte, morbide  e vellutate come pesche.
Matteo provò un irrefrenabile voglia di accarezzarle. Strinse i denti accorgendosi di quanto fossro sbagliati, eppure inevitabili i suoi pensieri.
Stefano si voltò verso il ragazzo, notando, con la coda dell’occhio la sua migliore amica osservarlo.
Rimase interdetto, guardando Matteo. I suoi occhi verdi ardevano come fiamme, poteva vederlo nonostante la distanza. Guardava Stefano come volesse polverizzarlo con un solo sguardo e, se avesse potuto, lo avrebbe fatto.
Stefano lo salutò con un cenno del mento, poi ritorno a guardare Eleonora.
Matteo strinse i pugni, tanto che le nocche divennero bianche e strinse i denti, contraendo la mascella.
Provò ciò che probabilmente mai avrebbe provato. Sentì il bisogni di andare lì e trascinarla via, lontano da quel ragazzo.
Lei era
sua.
Lo stomaco gli si strinse in una morsa, dalla sorpresa, contorcendosi al centro del suo addome, trascina dolo in un turbinio di emozioni. Ma solo una era l’emozione predominante, quella che subito azzerò le altre. Un’emozione che da tempo non provava: la gelosia.

“Eh, Eleonora, mia dolce Eleonora. Potevi dirmelo prima.”
Corrugai la fronte, confusa. “Come, scusa?”, chiesi.
“Bhe, Matteo.”, disse facendo spallucce.
“Stai zitto, idiota!”, sibilai fra i denti.
“Secondo me è corroso dalla gelosia? Guardalo.”, aggiunse voltandosi. Lo afferrai per un braccio e lo costrinsi a voltarsi.
“Smettila, Sté! Dai per favore!”,
Sul suo viso di dipinse un’aria maliziosa, accesa da un sorriso, “Sta a guardare.”, disse poi sollevano una mano verso il mio viso. Poggiò il palmo sulla mia guancia, spostandomi poi un ciocca di capelli, che mi era finita davanti al viso, dietro un orecchio.
“Cosa stai facendo?”, chiesi corrugando la fronte.
“Sssh. Aspetta.”, mormorò. Si avvicinò al mio orecchio, “Guarda.”
Stavo per allontanarmi, quando quella voce fece irruzione nel silenzio che si era creato fra me e Stefano.
“Ely?”, mi chiese incrociando le braccia al petto.
Mi voltai, scattando, verso Matteo e quando i miei occhi incontrarono i suoi il mio cuore sembrò fermarsi.
“Dimmi.”, soffiai, voltandomi verso Stefano che mi guardava con aria compiaciuta. Sul viso di Matteo era dipinta un’espressione indecifrabile, ma gli occhi… ardevano come lingue di fuoco.
“Uhm… vi ho interrotti?”, chiese con innocenza. Stefano roteò gli occhi.
“Oh no. Io… io vado da Francesca.”, rispose prima di allontanarsi. Fra noi due calò del silenzio imbarazzante. Chinai lo sguardo.
“Ti va un birra?”, chiese dopo attimi infinti. Alzai lo sguardo, guardandolo negli occhi.
“Si.”, soffia rapita da quel verde. Sorrise e sfiorandomi il dorso della mano con le sue dita, mi invitò a seguirlo.
Sospirai, conscia che forse non era una buonissima idea.

 

 

*
Un grazie a voi, miei angeli.
Grazie Chià,
grazie Dà.

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Capitolo 11
*** Take my hand tonight, let's not think about tomorrow ***


11. Take my hand tonight, let's not think about tomorrow.
 Prendi la mia mano stanotte, non pensare al domani.

 

 

Ci dirigemmo verso il pub più vicino, in silenzio, procedendo a mo’ di slalom fra le moltitudine di persone. Il cuore batteva, troppo forte per essere controllato, accelerava le sue pulsazioni tanto violentemente che sembrava volesse uscirmi dal petto, e se per qualche scherzo fosse stato possibile, lo avrebbe fatto. Al posto dello stomaco era come se ci fosse un enorme precipizio che, con fili invisibili, mi trascinava verso il fondo… risucchiando ciò che rimaneva di me, del mio essere, della mia anima.
Non prestai attenzione ai visi che mi scorrevano vicino, troppo presa a seguire la figura longilinea davanti a me, con gli occhi fissi sulle sue spalle perfette.
Deglutii rumorosamente prima che lui si voltasse.
“Credevo fossi sparita.”, disse sollevando un angolo della bocca verso l’alto.
“No, no. Sono qui.”, annaspai a corto d’aria.
Possibile che dovessi reagire in quel modo, con un solo suo sguardo?
Ci fermammo davanti all’entrata del pub ed io detti una sbirciata all’interno. Sgranai gli occhi quando notai la situazione.
“Ma è pienissimo.”, dissi.
“Uhm… vedo. Aspettami qui,”, disse poggiandomi le mani sulle spalle, “e non muoverti.”
Feci un risolino, “Si, capo.” . Mi fece l’occhiolino ed entrò nel locale.
Fantastico, pensai. Quando avrei dovuto aspettare?
Spostai tutto il mio peso sulla gamba destra incrociando le braccia al petto, guardando poi altrove, consapevole che l’attesa sarebbe stata lunga.
Mi persi nei miei pensieri, mi persi con lo sguardo nell’immagine perfetta che la mie mente conservava del suo viso. Guardai le persone, ridere e scherzare, litigare, amarsi, cercarsi. Vidi due ragazzi tenersi per mano e pensai cosa sarebbe successo se lo avessi preso per mano, pensai alla consistenza della sua pelle morbida sotto il mio palmo.
“Eccomi.”, sentii la sua voce. Sobbalzai, voltandomi e sgranando gli occhi.
“Ma… saranno appena passati due minuti.”, esclamai accigliata.
“Il ragazzo che lavora al bar è mio cugino.”, disse con un sorriso compiaciuto sul viso.
“Oh, ecco spiegato tutto. Non è giusto per i poveri mortali che devono fare la fila, però. Erano lì da prima di te.”, dissi con tono grave.
“Ma smettila.”, disse tirandomi un buffetto sul braccio e porgendomi la bottiglia di birra ghiacciata. Risi, scuotendo il capo.
“Allora, che ti va di fare?”, chiese bevendone un sorso.
Corrugai la fronte, confusa. “Ehm… non torniamo… dagli altri?”, chiesi.
Fece spallucce, ma non disse nulla. Sbattei le palpebre qualche volta, prima di parlare, “Parco?”, domandai, incredula.
“Ottima decisone, socia.”, disse mostrandomi uno dei suoi sorrisi, quello che prefrivo. Il sorriso di qualcosa che lo entusiasmava davvero.


“Secondo me, assomiglia ad un coniglio. Guarda, sì, è un coniglio.”, dissi indicando  un gruppo di stelle sopra la mia testa.
“Ma no, è un maiale. Guarda c’è la coda riccioluta.”, ribatté lui.
“Coda riccioluta?”
“Si, coda riccioluta, Ely.”
“Coda ricciolosa semmai!”
“Ma no!”
“Si, invece, coda ricciolosa.”
“Puah. Tu sei strana”, disse voltandosi appena per guardarmi in volto ed io feci lo stesso, sorridendo quando il mio guardo sfiorò il suo.
Eravamo stesi sul prato del parco, le braccia dietro la testa a mo’ di cuscino. Fissavamo le stelle, immersi nel silenzio e nel buio, immaginando e scherzando sulle mille forme che esse formavano. Forse del tutto singolari e personali che ci portavano a momenti di forte ilarità e momenti di forte disaccordo, perché ciò che vedeva lui, non era mai ciò che vedevo io e viceversa.
Scossi il capo ridendo, “Tu sei quello strano… e idiota, Matteo.”
“Si, certo, certo.”, rispose come se la cosa non lo toccasse minimamente.
Sospirai, prima che il silenzio più totale ci avvolgesse. Sentivo l’erbetta verde e fresca solleticarmi la pelle nuda della gambe e l’aria fresca accarezzarla quasi con dolcezza. Sentivo il calore del corpo di Matteo accanto a me ed ebbi un fremito. Immaginai di sfiorarli il viso…
“A che pensi?”
A te, avrei voluto dirgli. Ma non lo feci. Farlo avrebbe rovinato tutto. Preferivo soffrire, in silenzio, rinunciare ad un amore, piuttosto che rovinare tutto con la realtà. Lui era di Alice, dovevo accettarlo. Perciò decisi di godermi quel momento, che non si sarebbe potuto ripetere.
Lo stomaco prese a contorcersi. Deglutii.
“Quand’era piccola tentavo sempre di contare le stelle.”, mormorai perdendomi con lo sguardo nel nero punteggiato di bianco. Con la coda dell’occhio lo vidi voltarsi a guardarmi.
“L’ho detto che sei strana, Ely.”
Ridacchiai, “Forse.”
“Ed io con te. Lo facevo sempre anche io.”, sussurrò ritornando a guardare il cielo. Mi sentivo il viso in fiamma, la pelle quasi febbricitante. 
Feci un risolino, chiudendo gli occhi, godendomi la sensazione che una leggera folata di vento provocava sul mio viso. Mi voltai istintivamente quando si mise a sedere ed osservai il suo viso illuminato dalla fioca luce della luna e di un lampione distante. Si portò una sigaretta alla labbra, accendendola. Il fumo si alzò in spirali nell’aria fresca. Mi offrii il pacchetto, ma scossi il capo.
“Ora ti riconosco.”, disse con una leggera punta di compiacimento nella voce. Il suo fisso sul mio viso, piano scese lungo il mio corpo, quasi accarezzandolo con dolcezza, indugiando sulle gambe scoperte. Avvampai di rossore quando con i polpastrelli mi sfiorò la pelle nuda. La ritrasse subito quando tremai.
“Scusa.”, mormorò, “E’ che… sembra così… morbida e vellutata.”. Sorrise appena prima di voltarsi e ritornare a guardare il cielo stellato sopra le nostre teste. Deglutii, cercando di rallentare il battito del mio cuore. Tutto inutile.
“Non importa.”, soffiai col fiato corto. Mi passai una mano sul viso prima mi mettermi a sedere.
Piegai le gambe, stringendomele al petto, circondandole con le braccia e poggiai il mento sulle ginocchia. Per alcuni istanti entrambi rimanemmo in silenzio. Osservavo il fumo alzarsi in spirali, uscire dalle sue labbra piene. Sussultai immaginando quante volte quelle labbra erano state sfiorate da Alice.
 “And all the roads we have to walk are winding, and all the lights that lead us there are blinding. There are many things that I would like to say to you, but I don't know how.”, intonò quasi in un sussurro. Mi voltai a guardarlo ed il respirare mi di bloccò in gola, come un grosso macigno. I suoi occhi, ardevano simili a lingue di fuoco. Fui travolta dall’intensità del suo sguardo ed ebbi un fremito quando la testa prese a girarmi appena.
Un angolo della mia bocca, poi, istintivamente si sollevò verso l’alto.
“Because maybe you're gonna be the one that saves me? And after all… you're my wonderwall.”, continuai passandomi una mano fra i capelli scuri, chinando lo sguardo imbarazzata.
“Piace anche a te? La canzone intendo.”, chiese voltandosi a guardarmi. Mi limitai ad annuire a corto di parole.
Sorrisi, dentro me, conscia che i significati che attribuivamo a quelle parole, da entrambe le parti, erano differenti.
Le mie erano sentite, le mie rispecchiavano ciò che dentro mi tormentava, come se le parole fossero state scritte appositamente per me, per quel momento magico da un lato, tragico dall’altro.
Cosa avrei fatto quando sarebbe tornata Alice?
Vivevo nell’illusione, in una realtà da me idealizzata, da me quasi manipolata.
Eppure… il suo sguardo… scossi il capo, cercando di cancellare certi miei pensieri, per evitare un dolore lancinante. Un dolore nato dalla consapevolezza che non avrei mai potuto godere del tocco della sua mano sul mio corpo, delle sue labbra sulle mie, di dolci parole sussurratemi all’orecchio.
Lui amava lei, lui non amava me.
“Fra un po’ ci saranno i fuochi d’artificio. Forse è meglio andare.”, disse mettendosi in piedi. Annuii col capo. Mi porse una mano, che afferrai senza esitazioni. Era calda e… grande.
“Gli altri si chiederanno che fine abbiamo fatto.”, dissi prendendo a camminare.
Fece spallucce, “Che parlino.”
“Idiota.”, dissi spingendolo.
“Idiota.”, ribatté ritornando accanto a me. Rise e posando una mano sulla mia spalla mi attirò a se, baciandomi la tempia. La mia pelle sembrò prendere fuoco, sotto quel tocco leggero. Cercai di ignorare la pelle d’oca, sperando che lui non se ne accorgesse.
“Andiamo a vedere come sono questi fuochi.”, disse facendo scendere la mano lungo il mio braccio, sfiorandomi con la punta delle dita il braccio, indugiando poi sulla mia mano.

 

*
Chiedo umilmente perdono per l’enorme ritardo, ma la scuola e l’influenza mi hanno davvero tolto un sacco di “utile tempo”.
Vorrei rimanere a ciarlare qui con voi, ma Hegel, Fitche e Kant mi chiamano per l’interrogazione immensa di domani. Che ardua vita…
Perciò ringrazia tre splendide ragazze che hanno recensito lo scorso capito:
grazie a Nessi93, grazie per la magnifica recensione, per le bellissime risate, per la straordinaria compagnia;
grazie a piccola_stella_senza_cielo, grazie per la recensione, mi ha fatto davvero tanto piacere riceverla. Spero il viaggio sia andato bene, grazie davvero;
grazie a  ____Yuki____ , che ha anticipato alcune cose dei prossimi capitoli, perché sì, spiegherò alcune cose avvenute nel passato, grazie infinte per le recensioni, davvero.

A voi, con immenso affetto,
                                    
PANDA.

 

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Capitolo 12
*** Love, sweet insanity ***


12. Love, sweet insanity.
      Amore, amabile follia.

 


“Ehi, credevo dovessi chiamare l’FBI!”, disse Paolo stringendo a sé Sofia.
“Ce l’hai con l’FBI, eh?”, chiesi un risolino.
“Forse.”, rispose vago.
“Ele si era persa.”
Mi voltai verso Matteo, alzando un sopracciglio, “Tu ti sei perso!”, esclamai. Lui roteo gli occhi sospirando. Mi voltai a guardare Paolo e Sofia, lo sguardo che mi riservò quest’ ultima mi fece irrigidire. Mi guardò con intensità, come volesse comunicarmi qualcosa. Poi la sua espressione assunse una nota curiosa.
Voleva forse sapere se ero consapevole del male che mi stavo facendo con le mie stesse mani?
Si, Sofia, ne sono consapevole.
“Dove siete state?”, chiese spostando lo sguardo anche su Matteo.
“Mah, in giro. Abbiamo bevuto una birra.”, disse facendo spallucce. Sofia mi guardò con l’aria di chi la sapeva lunga.
Voleva sapere se era successo qualcosa?
No, Sofia, non è successo nulla, avrei voluto dire, ma mi limitai solo a chinare lo sguardo e scuotere appena la testa. Ancora mi guardò con intensità, tanto che nervosa mi mossi sul posto, distogliendo il mio sguardo dal suo.
“Allora, questi fuochi d’artificio? Andiamo a vederli?”, domandò Stefano ponendo fino a quella schermagli di occhiate fra me e Sofia.
“Buona idea.”, disse annuendo Paolo, seguito a ruota da Matteo.
“Tu mi devi dire un paio di cosette, dolcezza.”, mi sussurrò Stefano senza farsi udire da nessuno.
Alzai gli occhi al cielo, “Non c’è nulla di dire.”, mormorai.
“Si, certo. Ed io ci credo.”, sbuffò. Scossi il capo e prendendolo sottobraccio mi diressi verso la periferia del paese, seguita dagli altri, facendo a Stefano un resoconto della serata. Cercai di ignorare lo sguardo di Matteo sulla schiena, quasi sentendone il peso.
Con un turbinio di emozioni dentro mi lasciai andare ai ricordi più recenti.


Era affollato il luogo dove decine di fuochi d’artificio avrebbero danzato nel cielo scuro.
Ero poggiata al muro, ascoltavo le ciarle di Francesca e Stefano. Sofia accanto a me fumava una sigaretta, mentre Paolo le accarezzava i capelli con dolcezza.
A pochi mentre da me Matteo parlava con altri amici. L’osservavo con la coda dell’occhio, beandomi per l’ennesima volta della sua figura longilinea.
Sapevo che era sbagliato, ero consapevole del dolore che l’arrivo di Alice avrebbe causato. Sapevo che sarei bruciata di gelosia dentro… ma non riuscivo a lasciarlo andare.
Nicolas de Chamfort diceva : “Amore, amabile follia…”
In quel momento più di ogni altra cosa desideravo che non fosse vero.
Ti rende felice… se corrisposto, ti rende felice anche se non corrisposto… ma di logora l’idea di lui con lei. Ti logora sapere che ciò che più ami… desidera un altro viso, un altro cuore, un’altra anima.
Sobbalzai colta alla sprovvista, al primo sparo. Guardai il petardo volteggiare rosso nell’aria  per poi spegnersi, seguito da altri dai colori differenti e sgargianti.
Tutti si staccarono dal muri al quale eravamo appoggiati, avanzando per vedere meglio oltre lo steccato. Io rimasi, lì dov’ero, persa nei miei pensieri e nei colori dei fuochi d’artificio.
Sentii qualcuno sfiorarmi la il braccio. Sobbalzai e mi voltai spaventata. Rilassai le spalle quando incontrai quel verde che tanto amavo.
“Tu non vai?”, gridò per farsi sentire sopra il forte rumore dei petardi.
Scossi il capo, “Sto bene qui.”, urlai guardandolo negli occhi. Lo vidi, quasi esitare, quando aprii la bocca per parlare. Si morse poi il labbro inferiore, mentre i suoi occhi ardevano ancora. Sul suo viso si dipinse un’espressione indecifrabile.
“Devi dirmi qualcosa?”, dissi.
“Non ho capito!”, esclamò avvicinando, tanto che il mio viso era a poche spanne dal suo. Sentii il suo profumo, dolce e fresco, inondarmi i polmoni, dandomi alla testa. Il respiro accelerò ed il mio cuore prese a galoppare. Non ero abituata a quella vicinanza, una vicinanza che demoliva tutti i miei buoni propositi di stargli lontano. Dovetti controllarmi per non gettarli le braccia al collo.
“Devi dirmi qualcosa?”, ripetei urlando. Mi fissò con occhi ardenti per attimi che parvero infiniti.
Il suo respiro era irregolare, lo vedevo dal movimento del suo torace.
La sua mano dalla pelle calda e morbida mi sfiorò il viso. Premette il palmo sulla mia guancia e potevo sentire il suo respiro solleticarmi viso, tanto era vicino. Fu per me impossibile nascondere un fremito, quando l’altra sua mano mi sfiorò i capelli.
Dischiusi le labbra, non curandomi della gente che probabilmente poteva osservarci in quel momento. Fregandomene esattamente come faceva lui.
 Deglutii rumorosamente, ma lui non poté rendersene conto. Sentii la sua mani afferrami delicatamente il polso e trascinarmi via.
“Matteo?”, domandai accigliata e confusa, con il cuore che batteva troppo velocemente per essere controllato.
Non mi badò, continuò a camminare a passo veloce, lungo una strada poco illuminata.
Svoltò un angolo, nascosto dal sguardi indiscreti.
“Stai bene?”, chiesi. Davanti a me, mi dava le spalle. Poggiai una mano fra le sue scapole, lo sentii tremare sotto il mio tocco. Ritrassi istintivamente la mano.
“Mi stai facendo preoccupare… Matteo per fa-“, non mi permise di concludere la frase. Quello che venne dopo accadde tutto velocemente, ma la mi mente lo percepì in ogni suo dettaglio. Come se il tempo avesse preso a scorrere lentamente.
Le sue labbra con decisione ma, allo stesso, con estrema dolcezza furono sulle mie. Le senti morbide plasmarsi su di esse, come fosse fatte per essere incastrate l’une alle altre.
Mi spinse contro il muro, accarezzandomi il fianco con un mano, mentre l’altra mi accarezzava l’incavo del collo, sotto l’orecchio. Mi baciò con passione, quasi con avidità, mentre con le mani gli accarezzavo la nuca.
Sentii il suo corpo aderire al mio mentre mi lasciavo andare ai sensi, ma, soprattutto al cuore. All’amore che nutrivo verso quello strambo ragazzo, quello stesso amore che mi fece allontanare da lui.
“Matteo.”, sussurrai mentre con le lebbra seguiva il profilo della mascella. Ebbi un fremito e feci scivolare la mia mano dalla nuca sul collo. Gli presi il viso fra le mani, costringendolo a guardarmi negli occhi.
“E’ sbagliato.”,soffiai col fiato corto.
“Ti prego sbagliamo.”, rispose con voce tremante. “Ti prego, Ely, sbagliamo insieme.”.
Quelle parole ebbero la potenza di un uragano. Mi travolsero, mi agitarono, per percossero. I suoi occhi fusi ai miei mi devastarono, annullarono ogni mia difesa.
Baciai ancora quelle labbra piene, morbide e vellutate, esattamente come le avevo immaginate. Mi prese i viso fra le mani, carezzandomi le gote con i pollici.
Sentii le gambe frasi molli e il cuore galoppare troppo veloce tanto da farmi male. Lo stomaco mi si strinse in una morsa dopo che mille farfalle spiccarono il volo al suo interno, la testa prese a girarmi e le ginocchia mi cedettero. Caddi al suolo, strisciandomi contro il muro.
“Ely!”, esclamò inginocchiandosi e prendendomi ancora il viso fra le mani. Sul suo viso vi era ansia, apprensione. Sbattei la palpebre qualche volta, poi risi, isterica, e scossi il capo.
“Perché ora ridi?”, chiese senza mollare la presa e costringendomi a guardarlo in viso.
“Niente.”, risposi.
“Sei strana, lo sai vero?”
“E tu lo sai che sei strano?”, domandai sfiorando la punta del suo naso con la mia.
“Si.”, mormorò baciandomi piano e dolcemente la labbra.
Avrei dovuto ribellarmi a quel contatto, avrei dovuto allontanarmi, ma l’amore è amabile follia. Egoisticamente mi presi ciò che desideravo. Pensando per una volta a ciò che cantava il mio cuore. Fregandomene del dolore che avrei provato il mattino dopo, quando mi sarei resa conto che era solo un momento. Del dolore che Alice avrebbe portata con se al suo ritorno, ma in quel momento mi rifiutai di pesarci, godendomi quegli attimi magici e perfetti.
Poggiò la sua fronte sulla mia, accennò un sorriso.
“Today, it's gonna be the day that they're gonna throw it back to you… by now you should've somehow realised what you gotta do I don't believe that anybody feels the way I do about you now…”, mormorò.
Sul suo viso comparve un sorriso, un sorriso nuovo, diverso dagli altri, quei sorrisi a me noti.
Era insolito, diverso, strano…
Dai suoi occhi trapelava… gioia… nessuna traccia di risentimento.
Sorrisi in risposta. Quello era il mio sorriso.
“Baciami ancora.”, sussurrai. E con gli occhi che brillavano come le stelle che si ergevano sulle nostre teste, posò le sue labbra sulle mie.
E, tutto, era perfetto.

 

 

*

Tadan, eccomi qui… ancora.
Bene, non chiedetemi da dove mi sia uscita questo capitolo perché non lo so. E’ uscito, di getto, così.
Non ho molto tempo, perché ho specie di cena con l’ex-classe.
Perciò ringrazio davvero di cuore gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.
Grazie ragazze, grazie cuore… piccola_stelle_senza_cielo, daykiria, Nessie93.

 A voi,
un bacio, Panda.

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Capitolo 13
*** Seize the day ***


13. Seize the day.
     
Cogli l’attimo.

 

 
Le sentivo, calde e arrossate, umide… desiderando ancora che un paio di petali di rose di posassero ancora di su di esse. Mi passai istintivamente i polpastrelli sulle labbra, ricordando il momento in cui Matteo le aveva catturate avidamente.
Avvampai ancora di rossore, come se fosse possibile, su quello perenne che colorava il mio viso da svariati minuti. Lo stomaco mi si era stretto in una dolorosa morsa dandomi un fastidioso senso di nausea.
Sorrisi, chinando il capo. Cercavo di non urtare con le spalle le persone, mentre io e Matteo raggiungevamo gli altri.
Di tanto in tanto notavo, con la coda dell’occhio, che mi rivolgeva occhiate fugaci… facendomi avvampare di rossore ancor di più, facendomi fremere ogni volta che le sue dita sfioravano il dorso della mia mano.
Feci un risolino e lui corrugò le sopracciglia, confuso. Scossi il capo. Rise con me.
Alzai lo sguardo ed incontrai quello curioso di Stefano, Sofia mi guardava con l’aria di chi la sa lunga.
Tremai presa da un violento attacco di nausea. Stefano sorrise, Sofia mi guardò ansiosa.
“Ehi.”, dissi raggiungendoli.
“Ehi.”, rispose loro spostando lo sguardo da me a Matteo, che si prese a grattarsi la nuca, palesemente in imbarazzo.
“Ehm… Sofy… Paolo?”, chiese dopo una lunga schermagli di sguardi.
“Non lo so,”, disse lei guardandosi indietro e cercandolo con lo sguardo, alzandosi in punta di piedi,”stava parlando con Simone. Credo sia… eccolo, è lì.”, disse poi indicando un gruppetto di ragazzi che ridevano sorseggiando birra fresca.
Quando Matteo si fu allontanato, sparendo fra la moltitudine di persone, Stefano e Sofia mi spinsero contro il muro, senza lasciarmi via di fuga, mettendomi alla strette. Con le spalle sbattei contro la parete. Spalancai gli occhi, colta di sorpresa, spaesata dal cambio repentino non solo di posizione, ma anche di conversazione, se mai prima ce ne fosse stata una.
“Tu ora ci dici tutto.”, disse Sofia puntandomi l’indice al centro del petto.
“Tutto.”, fece eco Stefano chinandosi appena per guardarmi negli occhi. Mi accigliai e cercai di scrollarmeli di dosso, facendomi in avanti per andar via.
“Io non vi dico proprio niente, perché non c’è niente da dire!”, esclamai, ma le loro mani mi bloccarono per le spalle e mi costrinsero ad appoggiarmi ancora al muro.
“Ragazzi! State dando nell’occhio! Matteo potrebbe girarsi da un momento all’altro! Per favore!”, sibilai a denti stretti. A quelle parole si scambiarono un’occhiata per poi mettersi diritti e incrociare le braccia al petto.
Alzai un sopracciglio, “Ehi, Blues Brothers, fate un passo indietro.”. I due sbuffarono, poi fecero come suggerito, o meglio, come ordinato.
Mi passai una mano fra i capelli, “Ora non date nell’occhio.”, dissi fiera di me stessa, “Bene, ci vediamo dopo.”, continuai sorridendo e facendo per andarmene, ma Stefano mi ingabbiò il polso nella sua presa ferrea.
“Tu.Non.Vai.Da.Nessuna.Parte.”, scandii ogni parola cime fosse una minaccia. Ridussi gli occhi a due fessure, guardandolo in viso. Mi ricambiò l’occhiata senza mollare la prese e, dopo attimi interminabili, cedetti. Sbuffai e rilassai le spalle, tornando di fronte a loro.
“Ditemi.”, sospirai rassegnata.
“Sai cosa vogliamo sapere.”, disse Sofia.
“Non lo so.”, mentii.
“Vi siete baciati.”
“Questa non è una domanda, Stefano.”, dissi guardandolo negli occhi, fissando la sua espressione indecifrabile.
“Lo so.”
“No.”
“Sul serio?”, chiese sorpresa Sofia.
“Si.”
Bugiarda, spudorata bugiarda.
“Si.”, mentii.
“Oh. Oh.”, disse lei abbassando lo sguardo, mentre una ruga, dovuta alla confusione, le solcò la fronte.
“Bugiarda.”, sibilò Stefano.
Si.
“No.”. Cercai di reggere il suo sguardo e… ci riuscii.
Alzò un sopracciglio, poi si rilassò, “Okay.”, mormorò per poi sorridermi, “Allora, vi va un gelato?”


Mi portai in bocca il fondo del cono e sentii la lingua bruciarmi, a causa del gelato freddo.
Guardavo, sorridendo, Stefano litigare con Simone sull’inutilità delle sigarette, ignorando le persone che mi erano intorno. Dimenticando per un momento anche Matteo. Dimenticandomi del momento in quel vicolo buio… delle sue labbra sulle mie.
Sbadigliai ed ebbi un brivido di freddo dovuto alla folata di vento che mi accarezzo la pelle nuda delle gambe. Mi strinsi le braccia al petto, rabbrividendo.
“Hai freddo?”, sentii sussurrare al mio orecchio.
“Un po’.”, ammisi in un soffio. Le voce mi tremò appena, esattamente come le gambe, un riflesso incondizionato alla sua voce dolce come il miele. E mi penti di aver mangiato gelato alla fragola.
“Non è tardi per te?”, chiese allontanandosi e guardandomi in viso.
“Forse. Che ora è?”, chiesi corrugando la fronte.
“L’una e mezza.”, rispose estraendo il cellulare dalla tasca guardando il display.
M’accigliai, “Di già?”, chiesi in un lamento.
Rise, chinando appena il capo ed alzando un sopracciglio, “Si.”
Sbuffai, incrociando le braccia al petto e voltando lo sguardo, “Chiedo a Paolo se mi da uno strappo…”
“Posso farlo io.”, disse puntando i suoi occhi nei miei. Ed annegai nel verde smeraldo.
“Okay.”, soffiai a corto d’aria, rievocando le immagini di poche ore prima.
Sorrise e i suoi occhi si illuminarono.
“Vieni.”, sussurrò poi scompigliandomi i capelli.
Salutammo tutti, ma fu impossibile, per me, evitare li sguardi Stefano e Sofia. Speranzosi, ma allo stesso tempo… preoccupati, ansiosi.
Si, mi stavo facendo del male. E lo avrei capito quando Alice sarebbe tornata.
Era sbagliato, errato.
Lo sapevo.
Ma l’amore rende l’uomo irrazionale gli fa fare cose stupide ed insensate.
Ma quanto c’è di stupido ed insensato nel lasciarsi andare all’amore?... un amore non corrisposto.
Quella notte non volevo pensare a niente. Volevo lasciarmi andare, godendomi quello che era il mio carpe diem. Nella speranza che al mio risveglio, il mattino seguente, la ferita al centro del mio petto bruciasse meno… ma con la consapevolezza che quella avrebbe preso a bruciar di più. Il giorno seguente ci avrei fatto i conti.

 

Con le ginocchia strette l’una all’altra e le mani che torturavano un lembo della mia corta gonna di jeans chiaro, guardavo fuori dal finestrino.
C’era ancora movimento, anche se non troppo, mentre ci dirigevamo verso casa mia, in periferia.
Nell’abitacolo della macchina, il silenzio. Un odioso silenzio imbarazzante, il tuo viso avvampa di rossore e il tempo ti sembra che scorra con lentezza… troppa lentezza.
Il silenzio mi stava opprimendo, mi sta logorando, uccidendomi, facendomi tremare.
Possibile che non avesse nulla da dire?
Inspirai profondamente, forse anche troppo violentemente, fremendo appena.
Con la coda dell’occhio vidi Matteo rivolgermi occhiate veloci.
“Ti prego di qualcosa!”, dissi con leggera isteria nella voce.
Accostò la macchina, davanti il vialetto di casa, e si voltò a guardarmi, spegnendola. I suoi occhi indugiarono sui miei e tremai. L’angolo destro della sua bocca si sollevò verso l’alto. I suoi polpastrelli presero a sfiorarmi delicatamente il profilo della mandibola. La sua pelle lasciava una scia lavica sulla mia.
“Dì qualcosa.”, soffiai, col respiro corto.
“Non avevo mai notato quanto la tua pelle fosse… liscia.”, disse corrugando appena la fronte, come perso in una fitta rete di pensieri. Posò un bacio sul mio mento e fremetti sotto quel tocco, incapace di opporre qualsiasi resistenza, chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto.
Le sentivo, le sue labbra, calde, morbide, piene, sulla mia pelle accaldata. Sorrisi, senza rendermene conto, e con una mano accarezzai i neri capelli corti.
“Perché ridi?”, chiese allontanandosi da mio viso.
“Non lo so.”, risposi.
Poi, ingabbiando il mio viso fra le sue mani affusolate, mi baciò delicatamente la labbra. E, ancora, fu come se il cervello di staccasse dal resto del corpo. Con le mani mi carezzò la pelle sotto le orecchie.
Fu strano come il romanticismo si tramutasse in passione. Baci troppo a lungo desiderati, troppo a lungo negati.
Il corpo di una diciottenne attratto d quello di un ragazzo di ventitré anni.
Baciandolo famelica non mi resi conto di come lo avessi spinto verso la sua portiera, quella del guidatore, poggiata prima sulla mia, desiderosa di tenerlo stretto a me.
“Ehi.”, sussurrò allontanando il suo viso dal mio, senza però porre fine al contatto fra le nostre labbra, che in quel momento ancora si sfioravano.
“Scusa.”, dissi cercando di allontanarmi, avvampando di rossore. Lui non me lo permise. Mi baciò a fior di labbra per poi stingermi forte a sé. Poggiai la mia testa sul suo petto, cullata dall’incessante battere del suo cuore.
“Resta.”, mormorò al mio orecchio.
“Non vado da nessuna parte, Matteo.”

 

 

*

 

Super in ritardo per la torta alla sorella, ahimè, anche per questa fiction non ho tempo per ringrazi arte a modo.
Perciò un grazie speciale a : xsemprenoi, Nessie93, ___Yuki___, sonietta, Xx_scrittrice_xX.
Grazie, ragazze, grazie di cuore.

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Capitolo 14
*** On the beach ***


14. On the beach.
         Sulla spiaggia.



«Ti va di andare al mare?». Mi voltai verso Stefano corrugando appena la fronte.
«Il mare?», chiesi.
Lui annuii col capo, e fece spallucce. «Perché no? L’estate è arrivata, è tempo di andarci, non credi?»
«Beh, credo tu abbia ragione. Devo alzarmi presto per farlo?», chiesi buttandomi sul mio letto, affondando la testa nel cuscino.
«Si».
Mi voltai di scatto, a guardarlo. «A che ora?», chiesi, ed il panico era evidente nei miei occhi.
«Alle nove partiamo», disse con tono grave.
«Cosa?», chiesi con voce stridula, un odioso suono strozzato. «Ma è l’alba!», esclamai.
Vidi Stefano portarsi un mano sul viso e scuotere la testa. «Ma piantala. Domani alle otto fatti trovare sotto casa. Niente discussioni, signorina. Chiaro?», chiese alzando e sedendosi sul brodo del letto.
Sbuffai, roteando gli occhi, poi annuii col capo. Meglio non oppormi.
Quella sera uscii, ma non trovai Matteo. Il mio cuore batteva frenetico, desideroso di incontrare i suoi occhi del color smeraldo, ma così non fu. Non ebbi il coraggio di chiederlo a nessuno, forse per paura che qualcuno avrebbe potuto far domande indesiderate o mettere insieme i tasselli del puzzle. Non ne parlai nemmeno con Stefano e Sofia, e fui grata ad entrambi. Nella mia testa c’era solo confusione, una confusione che aveva il rumore di un odioso sciame d’api infuriate.
Ed i pensieri erano sempre li stessi: cosa starà facendo? Sarà al telefono con lei? Si sarà ammalato? Problemi in famiglia? Cosa è significato quel bacio? Nulla? Tutto? Mi sono solo illusa?... si, solo illusa.
E lo sentivo, lì, bruciare, lo squarcio al centro del mio petto.
Mi ero illusa, ecco tutto. Avevo creduto in qualcosa che non esisteva. Lui aveva Alice. Alice aveva lui. Ed io? Io non avevo nessuno. Solo il mio stupido amore e la mia stupida solitudine.
Mi stesi ancora sul letto, poggiandomi le mani sul ventre. Chiusi gli occhi respirando a fondo.
«Ely?». La voce di Stefano era una dolce carezza, simile alla mano che piano sfiorava la mia fronte.
«E’ tutto okay», mormorai con voce incrinata.
«Bugiarda».
«Non puoi saperlo», cercai in più possibile di parlare con voce ferma.
«Oh! Sei impossibile», sbuffò d’ irritazione.
Aprii gli occhi e sentii le lacrime premere per uscire.
«Guardati, Ely. Chi sei?», chiese premendo il palmo della mano sulla mia guancia.
«Eleon-»
«Dov’è finita la mia Eleonora? Quella allegra, solare, pronta a divertirsi…», mormorò.
«E’ qui», ma il mio tono di voce non era molto convincente.
Sospirò e, chinando appena lo sguardo, scosse il capo. «Domani ci vediamo alle otto. Non obbiettare o giuro che ti annego».


Il sole splendeva nel vivido azzurro del cielo del mattino. La sabbia era calda e la sensazione che creava sui miei piedi nudi era meravigliosa.
Mi diressi verso la riva, a passo lento, con ancora indosso i pantaloncini e la canotta. Sobbalzai quando Stefano mi sfrecciò accanto e con un urlo si tuffò nell’acqua calma.
Feci un risolino, avvicinandomi.
«Ely, tu non lo fai il bagno?», mi chiese Francesca avvicinandosi a me, con indosso solo il costume.
Scossi il capo, «Ho bisogno dei miei tempi. Arrivo fra un po’. Ma oltre noi tre… ci sarà qualcun altro?», chiesi con molta nonchalance. Ma era ovvio a chi mi riferissi con la parole qualcuno. Sperai non se ne rendesse conto.
«Oh beh, Sofia arriva con Paolo e… credo che con loro vengano altri. Insomma in macchina ci sono tre posti».
«Capisco», annuii pensierosa. Non aveva accennato ad una secondo macchina. Mi auto convinsi, o almeno tentai, che Matteo non sarebbe venuto, ma un parte del mio inconscio si rifiutava di credere alla quel pensiero barbaro ed osceno.
«Allora io vado, eh», disse Francesca dirigendosi a saltelli verso l’acqua. Indietreggiai appena, sedendomi a gambe incrociate sulla sabbia asciutta, ed osservai Stefano e Francesca giocare con l’acqua. Sorrisi, mentre la mia mente si perdeva, viaggiava, posandosi sul quel viso… quelle labbra.
Scossi il capo, cercando di cancellarne il ricordo.
Lui aveva Alice. Non avrebbe lasciato Alice… lui l’amava… io… io…
I pensieri nella mia testa oramai non seguivano più un filo logico,vagano confusamente, stringendomi lo stomaco in una morsa. Ed il mio animo passava dalla felicità all’infelicità, dalla calma alla rabbia.
Frustrata, mi passai una mano sul viso, e sbuffai.
«Ele! E tu il bagno?», mi voltai di scatto e Sofia si sedette accanto a me, in costume.
«Si, fra un po’», dissi sorridendo.
«Come stai?», chiese, e nella sua voce vi colsi ansia.
Corrugai la fronte. «Bene. Perché?», chiesi confusa.
«Lo sai», disse seria.
Si, lo sapevo, eppure mi rifiutavo di ammetterlo.
Ammettere cosa? Che nella mi testa l’unica cosa di sensato che vi era, era la parola Matteo.
«Oh, quello. Nah, tutto okay», dissi facendo spallucce e sorridendo flebilmente.
«Sai che se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo».
Annui col capo e sorrisi, questa volta in maniera convincente.
«E poi non c’è, quindi…»
«Senti, Ely, a proposito di questo…», balbetto abbassando lo sguardo sulla sabbia.
Poi capii, quando la sua voce fece breccia nella nostra conversazione e mi travolse con la potenza di una slavina.
Alzai il capo verso il cielo, guardando la figura, il viso, che dall’alto mi soprastava, e, per qualche inspiegabile motivo, trattenni il fiato.
Era torso nudo, pronto per il bagno.
«E tu? Cosa ci fai vestita?», chiese alzando un sopracciglio.
«Beh, io vado a fare il bagno», disse Sofia dileguandosi, seguita da Paolo che mi salutò con la mano.
«Allora?», insistette.
«Si, si. Fra un po’ vengo anch’io».
Lui scosse il capo. «No, tu vieni con me», sentenziò.
Corrugai la fronte. «E’ una minaccia?».
«No… è solo un modo carino per dirti che se non ti alzi ti butto in acqua vestita».
Sgranai gli occhi. «Stai scherzando».
«Mai stato più serio», disse incrociando le braccia al petto.
Mi alzai, fronteggiandolo, dato che il collo cominciava a dolermi, tenendo il capo totalmente rivolto verso l’alto. Certo era comunque molto più alto di me, ma le ossa sospirarono di sollievo.
«Conto fino a tre… uno…», cominciò a contare molto lentamente, mentre lo guardavo con aria di sfida. Qualcosa nel suo sguardo mi fece capire che era sincero.
«Due… due e un quarto… due e mezzo…»
«Okay, okay!», dissi sbuffando e allargando le braccia, per poi farle ricadere sui fianchi.
Lui sorrise trionfante, mentre mi dirigevo verso l’ombrellone. Lui mi seguì, come fosse la mia ombra. Sentivo il suo sguardo sulla mia schiena, era una strana sensazione, per certi versi mi infastidiva, per altri, invece, mi faceva terribilmente piacere.
Arrivata sotto l’ombrellone color del sole mi sfilai i pantaloncini ed arrossii in volto, poiché lui era lì e mi osservava.
«Senti, perché non cominci ad andare? Davvero io…», balbettai rossa di vergogna.
Sì, il piacere aveva improvvisamente lasciato il posto alla soggezione.
Sentivo le guance bruciare, calde come fossero fatte di lava vulcanica.
Lui, sorrise, in maniera maliziosa. «Cosa c’è? Ti metto in soggezione?», chiese con un sorriso sghembo sul viso.
Sgranai gli occhi, colta di sorpresa.«Ma no! Cosa dici!», farfugliai.
«Allora su, muoviti», disse incrociando le braccia al petto.
«No. Ho detto che ti raggiungo. Oramai ho tolto i pantaloncini, perciò dammi solo un minuto», annuii alle mie stesse parole, prima di sorridere.
Lui sbuffò e si avvicinò a me. Con le lunga dita affusolate, afferrò i bordi inferiori della mia canotta e cominciò a sollevarli verso l’alto, scoprendomi parte dell’addome.
Mi mossi, come fossi una viscida anguilla, e, spostando le sue mani, mi ritrassi, sconcertata.
«Che stai facendo?», chiesi con voce acuta.
«Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto», disse avvicinandosi con le mani tese.
«E cosa c’entra ora?», chiesi allontanando le sua mani che tentarono ancora di afferrare la mia maglia.
«Poco effettivamente, ma è d’effetto», disse riprovandoci. Le allontanai ancora.
«Ely, smettila».
«No, non ci vengo. Lasciamo stare», dissi puntando i piedi sulla sabbia come una bambina.
Matteo sbuffò e voltandosi si rivolse a Davide, steso un lettino.
«Ehi, Dave, mi dai una mano?», chiese indicandomi con un cenno della testa.
Sgranai gli occhi. «Oh, no, no… no! State lontani da me», sibilai indietreggiando, mentre Davide e Matteo, con sguardi omicidi, avanzavano verso me. E questa volta ero sicura che avrebbero fatto di tutto per buttarmi in acqua, così constati che la cosa più utile, nonché più ovvia e unica, mi voltai e presi a correre.
«Si finita!», urlò Matteo dietro di me, mentre facevo slalom fra gli ombrelloni. Per assurda fortuna, riuscii a superarlo, dopo un paio di minuti di corsa sulla sabbia. Trionfante mi voltai allargando le gambe e portandomi le mani sui fianchi, e mi sentii tanto Peter Pan, fuggito da Uncino.
Lui si chinò, poggiandosi le mani sulla ginocchia ansimando.
«Ah ah, io sono più veloce», lo dissi come fosse una canzoncina, dondolando sui fianchi, prima di fargli una linguaccia. Ma sul suo viso non c’era irritazione, non c’era rabbia… era l’espressione di chi la sa lunga. Sorrise malizioso, un sorriso che pian piano di faceva sempre più largo.
Poi capì cosa non andava.
Davide.
Sgranai gli occhi e lui si mise diritto, mi voltai per scappare, ma mi scontrai tanto forte contro il petto scolpito di Davide da rimbalzare appena indietro. Mi voltai cercando di scappare, cercando con lo sguardo una via di fuga, ma Davide mi strinse le braccia in un presa ferrea.
Mi dimenai mentre Matteo si dirigeva verso di noi, e la sua camminata mi ricordava tanto il trottare di un cavallo.
«Dai, ragazzi, no…», gli pregai cercando di divincolarmi.
Le mani di Matteo mi afferrarono la canotta e le senti sfiorarmi la pelle del ventre.
Me la sfilò e la poggiò sulla spalla di Davide.
«Grazie amico», disse mentre cercava di tenermi ferma.
«Di nulla. Ti voglio bene, Eleonora», disse poi lasciandomi andare e scompigliandomi i capelli mentre Matteo, prepotentemente, mi caricava su una spalla.
“Davide!», gridai, «Sei un traditore».
Lui fece un cenno con la mano, ignorandomi, dirigendosi con la mia maglia sulla spalla verso l’ombrellone.
«E tu… giuro che ti faccio bere tanta di quell’acqua che nei polmoni non ci sarà più spazio per un filo d’aria!», ringhiai battendo i pugni sulla sua schiena nuda.
Ridendo, si diresse in acqua, i sui passi schizzavano acqua ovunque tanto che delle goccioline fredde arrivarono sulle mia cosce nuda e sul viso, facendomi rabbrividire.
«No, no!», urlai mentre mi faceva scendere. Affondai nell’acqua fredda. La sentii filtrare fra i capelli e brividi min scossero tutta.
Risalii in fretta, spalancando la bocca scioccata e sgranando gli occhi.
«Tu.sei.scemo!», ringhiai.
«Credo tu me l’abbia già detto», disse pensieroso, prendendosi il mento fra l’indice e il pollice.
Ridussi gli occhi a due fessure e presi a correre verso di lui, che voltandosi cercò di scappare, e come già dimostrato, essendo più veloce ed agile di lui, non ci misi molto a raggiungerlo, con un balzo gli fui addosso, aggrappandomi come un koala alla sua schiena. Per mia grande gioia, cadde in acqua con un tonfo.
Risalì e mi fulmino con lo sguardo. Sgranai gli occhi e cominciai a nuotare verso il mare aperto, fino a che, sia io che lui, non riuscimmo più a toccare il fondale sabbioso.
Avevo il fiatone per lo sforzo e non riuscivo a smettere di non ridacchiare.
Portai le mie mani sulla sua testa e cercai di portarlo sott’acqua, lui mi prese per i fianchi, trascinandomi sotto con lui.
Risalii a corto d’aria, così come lui.
Poi fu lui a farmi andar già in acqua poggiando la mani sulla mia testa e fui io a trascinarlo giù con me.
Ma, lì, accadde qualcosa di inaspettato.
Qualcosa che fece accelerare vertiginosamente i battiti del cuore, e farmi sciogliere come neve al sole.
Ingabbiò il mio viso in una stretta ferrea, e nell’acqua, ormai fresca sulla mia pelle, posò la sue labbra sulla mie.
E nella mia mente non c’era altro… solo… Matteo.

 

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Capitolo 15
*** Keep your hope ***


15. Keep you hope.
    
Conserva la tua speranza.

 


Il sole picchiava sulla spiaggia, caldo. Picchiava sulla nostre teste, sui corpi di Sofia e Francesca che cercavano di prendere il sole, sui torsi nudi dei ragazzi che giocavano con la palla sulla battigia. Ed io, sotto l’ombrellone, seduta a gambe incrociate su un lettino guardavo Matteo ridere, scherzare, giocare e correre. Osservavo i muscoli affusolati delle braccia e dell’addome illuminati dai caldi raggi del sole.
«Ele?».
Mi voltai verso Francesca che ad occhi chiusi prendeva il sole accanto a Sofia. «Si?» chiesi.
«Ma ti piace Matteo.» domandò tenendo gli occhi chiusi. Mi accigliai e Sofia alzò di scatto il capo, guardandomi negli occhi. Scosse il capo.
«No, no.» mentii sotto lo sguardo attento di Sofia, che piano annuii col capo e ritornò a rivolgere il viso al sole.
«Oh, capisco. Mi era sembrato che ci foste un certo… feeling, fra di voi.» rispose con molta noncuranza.
«Magari è una tua impressione. Siamo amici, insomma, dai… lo conosco da un paio d’anni.» dissi in un risolino. Ma quel risolino era perché in due anni ero riuscita a nascondere a molti ciò che era fin troppo ovvio.
«Okay.» disse facendo spallucce ed il discorso cadde lì.
Continuai ad osservare Matteo. Il suo viso… le sue labbra… mentre un brivido mi precosse la schiena. Sorrisi fra me, scuotendo il capo. Poi Matteo, per qualche inspiegabile motivo, voltò il capo nella mia direzione e, quando posai ancora il mio sguardo su di lui, incatenò i suoi occhi ai miei. Corrugò la fronte, prima di fare un risolino e scappare, sorridente, verso la palla. Ed io, lì, senza fiato, mi persi nel ricordo dei suoi occhi color del prato.
Con la coda dell’occhio vidi che Sofia mi guardava. «Stai sbavando.» riuscii a capire leggendole il labiale.
«Piantala.» risposi allo stesso modo, facendole poi la linguaccia. Lei roteò gli occhi, prima di ristendersi sul lettino, scuotendo la testa.
«Francesca?» alzai il capo, verso la una voce sconosciuta. Francesca fece lo stesso, sentendosi chiamare.
«Claudio!» esclamò scattando in piedi ed abbracciando il ragazzo dai capelli color del grano.
«Come stai?» chiese lui con voce calda.
«Bene, bene. L’università? Tutto okay? Quando sei venuto?» chiese lei tutto d’un fiato.
Lui fece un risolino, basso e roco. «Un paio di giorni fa. Con l’università tutto okay. Riparto a fine Agosto.»
«Ma stai dai tuoi questa volta, no?» chiese speranzosa lei. Osservai quei due, ed ascoltai la lo conversazione capendo ben poco.
Lui sorrise ad annuii col capo. «Si.»
Osservai il ragazzo, Claudio. Ad occhio sembrava alto quanto Matteo, forse poco più. Mi fece sentir ancor più bassa. Aveva i capelli chiari, che riflettevano al luce del sole. Il viso era quasi squadrato e gli occhi erano di vivido azzurro, le labbra appena piene.
Era un bel ragazzo, su questo non c’erano dubbi.
«Fico! Così uscirai con noi, vero? O sono scesi anche i tuoi vecchi amici?»
«Uscirò con… voi?» chiese poi corrugando la fronte.
Francesca scosse il capo. «Oh che sbadata. Lei è Sofia.» disse voltandosi verso il lettino accanto al suo. Sofia strinse la mano che Claudio le porse. «E lei è Eleonora.» disse rivolgendosi a me. I miei occhi incontrarono quelli di Claudio e fui sorpresa ancor di più dal loro colore. Non erano azzurri, erano turchese.
Mi strinse la mano, sorridendomi.
«Piacere di conoscervi.» disse in modo cordiale, mettendosi eretto. Guardammo Francesca con aria interrogativa.
«Oh, si. Claudio è il figlio della cugina di mamma. Non mi hanno detto che saresti arrivato.» disse poi rivolgendosi ancora a lui.
«Sorpresa.» fece spallucce lui. Francesca si sedette al sole sul suo lettino.
«Hai intenzione di rimare lì impalato?» chiese in un risolino. «Dai siediti. Preferisci sole o ombra?»
«Ombra.» rispose lui con voce bassa. Si avvicinò e, accennandomi un sorriso, mi si sedette accanto. Ricambiai un flebile sorriso, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Aveva le spalle larghe, scolpite da muscoli non troppo evidenti.
«Come mai qui? Intendo… al mare.» disse Francesca.
«Ho accompagnato la zia Sandra.»
Francesca sgranò gli occhi. «Quella zitella acida e antipatica?» chiese con tono acuto. «Nascondetemi!»
«Vedo che ti ricordi di lei.» ridacchiò Claudio e, per qualche inspiegabile motivo, rimasi ad osservare il profilo del suo viso… il naso dritto, come scolpito nel marmo, le lunghe ciglia chiare, la linea retta delle sopracciglia castane.
E così, passano l’ora successiva a parlottare del più e del mano. E, straordinariamente, non rivolsi altre occhiata a Matteo.

 

«Ventuno?» chiesi sorpresa, e la mia voce era simile ad un suono strozzato.
Claudio annuì col capo. «Ventuno.»
Spalancai gli occhi. «Credevo fossi più grande.» ammisi passandomi una mano fra i capelli.
«Tu invece…?» chiese facendo cadere la frase.
«Lei ne ha diciotto.» rispose prontamente Francesca, con un largo sorriso sulle labbra.
«Diciotto?» chiese dilatando gli occhi.
Annuii col capo. «Diciotto.»
«Sembri più grande.» rispose con l’ombra di un sorriso sghembo sul viso. Chinai appena il capo, sorridendo imbarazzata e divertita allo stesso tempo dalla piega che la conversazione in quei pochi istanti aveva assunto.
«Ciao!» la voce allegra di Matteo irruppe nella conversazione ed entrambi, comprese Francesca e Sofia, ci girammo. Dietro Matteo, c’erano Paolo e Davide. Si presentarono.
Alzai gli occhi su Matteo e fremetti, incontrando le lunghe fiamme verdi dei suoi occhi. Sorrise, prima di sedersi accanto a me.
«Secondo me, dovresti farti un bagno.» ridacchiò al mio orecchio.
Mi voltai di scatto e lo incenerii con lo sguardo. «Te lo scordi. Mi si è appena asciugato il costume.»
Lui scosse il capo in un risolino. «Sai che potrei portarti di forza.» mormorò.
«Sai che potrei non parlarti più.» risposi seria. Matteo roteò gli occhi e sbuffò.
«Dai…», la sua voce era dolce come il miele, delicata e leggera come una carezza.
I suoi occhi intrappolarono i miei. Avrei voluto scostare lo sguardo, ma non ci riuscii. Ipnotizzata mi persi in essi in attimi infiniti. Il mio stomaco si contorse in una dolorosa morsa ed il mio cuore inciampò goffo nei suoi stessi battiti.
«Ele, per favore.» mormorò.
Scossi il capo, poco convinta, esercitando una forza sovraumana sul mio animo, desideroso di bearsi del prato dei suoi occhi.
«Matteo, sul serio io…» balbettai ancora catturata dai suoi occhi.
Con lo sguardo mi incitò a continuare. Sorrise, scattando in piedi.
«Certo che puoi venire a fare il bagno con me, Ele.» disse sorridendomi.
Alzai lo sguardo, fulminandolo.
«Vengo anche io.» disse Claudio alzandosi. Matteo lo guardò,torvo.
«Non… non vieni, Eleonora?» chiese il ragazzo dagli occhi di vivido azzurro.
Sospirai e, a malincuore, mi alzai dal lettino, dirigendomi verso i due ragazzi.
Voltai lo sguardo verso Matteo, cercando il suo che però era rivolto a Claudio alla mia destra. E se il suo sguardo avrebbe potuto uccidere… beh, lo avrebbe sicuramente fatto.

 

Uscii dall’acqua col fiatone. Mi piaceva nuotare e, a quanto recentemente scoperto, anche a Claudio. Matteo fu costretto, di malavoglia, a seguirci in una lunga nuotata, sbuffando d’irritazione di tanto in tanto. Ed io, mi divertii.
Ogni volta che sbuffava, bevendo un po’ d’acqua salata, roteando gli occhi spazientito, rifiutandosi di tornare a riva, sorridevo.
«Scusa, va a riva.» gli dissi sulla soglia di una crisi isterica, infastidita dal suo sguardo accusatore.
«Neanche per sogno! Claudio mi sta così simpatico.» sibilò a denti stretti, guardandolo trattenere il fiato per andare sott’acqua a pochi metri da noi.
Alzai un sopracciglio. Avrei dovuto essere arrabbiata, essere furiosa per il significato delle sue parole, eppure ne fui irrazionalmente lusingata. Mi fece piacere pensare che fossero dettate dalla gelosia.
Avrei dovuto dirgli di sparire, ma non ce la feci. Sapevo ancora una volta che era errato sorridere sotto i baffi del suo comportamento, stupida e forse troppo invaghita, o innamorata, di quegli occhi verdi che celavano un mondo magnifico, per arrabbiarmi ed allontanarmi.
Lei non c’era, non lì, ma non era possibile cancellarla dalla mente, dai ricordi, o dai pensieri di Matteo.
Stava pensando a lei? Stava pensando al suo viso? Stava ricordando il suono della sua voce?
La risposta arrivò chiara e limpida, come l’acqua in cui galleggiavo. I suoi occhi, lo specchio dell’anima che vi abitava dentro, diceva semplicemente… no.
Cacciando via i momenti appena passati, incrociai le braccia al petto e mi diressi verso l’ombrellone. Sentivo lo sguardo di Matteo bruciarmi la schiena, allungai il passo, quasi infastidita da quello sguardo.
«Che ora è?» chiesi a Sofia, afferrando il mio asciugamano color del sole.
«Ehm...» lei guardò il cellulare che aveva sulle gambe. «L’una… e dire che è ora di andare.»
«Si, sono d’accordo.» disse Paolo alzandosi.
«Vado a cambiarmi costume.» dissi prendendo il mio zaino e dirigendomi verso le cabine.
«Ele, aspetta». Mi voltai verso Stefano.
«Ti accompagno.» disse guardingo.
Sospirai e scossi il capo. «Che spudorato bugiardo. Ti conosco troppo bene. Assalimi.» dissi allargando le braccia, prima di farle ricadere con forza sui fianchi.
«Eleonora, così mi offendi!» esclamò portandosi poi una mano sulla bocca.
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
«Okay, okay!» disse lui. «Che ti ha detto? Di che avete parlato? Ti ha sfiorata? Riferimenti all’altra sera?» cominciò.
«Mah, nulla. Solite cose. Parlato del più e del meno, nuotato, scherzato, sai cosa che si fanno al mare, mi ha baciata.» dissi come con indifferenza, come se la cosa non mi toccasse, e sperai non si avvertisse del rossore delle mie gote.
«Cosa? Quando? Vi hanno visto?» chiese d’un fiato.
Ed ecco toccato il tasto dolente. Vi hanno visto?
«In acqua.» sbottai.
«E poi?»
Aprii la porta della cabina e la chiusi con troppa forza. «Non ne voglio parlare.» dissi sconfortata e irritata da me stessa. Si, avrei dovuto odiare Matteo, ma, in quel momento,  odiavo solo me stessa.



*

Ringraziamenti.

Nessie93: ciao, Chià. Eccomi qui con un altro capitolo ch espero sia di tuo gradimento. Sono contenta i temi piacciono, perché comunque mi stanno a cuore. Spero che la piega presa nel capitolo non ti abbia delusa. Perciò… grazie, di tutto. Ora mi immergo nella storia. Grazie, davvero di cuore.
Xx_­scrittrice_xX: ciao, Ely. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo. Per me è molto importante, come ben sai. Qui non succede nulla di eclatante… più o meno, ma spero comunque ti sia piaciuto. Grazie per la recensione. Mi manchi.
­­__Yuki­­__: ciao! *_* Che piacere leggere la tua recensione!  Si, Stefano è il mio ideale di amico e sono contenta ti piaccia! La situazione con Matteo è ardua. E’ combattuta perché sa che non può resistergli ma non vuole essere la scorta e sa che quello che fa non è corretto, o “pulito”. Comunque, ci tenevo a dirti che mi piace tanto come scrivi *_* davvero, e sono contenta tu abbia letto questa mia assurda storia. Grazie, davvero di cuore. A presto!
KeLsey: ciao, Eri! E ora… tadadadan! Spero di non averti delusa con questo capitolo. Non succede gran che –non proprio- ma sono dettagli. Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, davvero! Grazie mille per la recensione… il tuo parere è molto importante per me, come sai. Ti voglio bene (L)

 

A voi, un bacio,
                    Panda.

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Capitolo 16
*** What the hell is going on? ***


16. What the hell is going on?
    
Cosa diavolo sta succedendo?

                                                         

 

«Mamma mia, non ce la faccio più, sono stanchissima!» esclamò Sofia, quando trascinò Eleonora fuori dal grande locale.
«A chi lo dici!» rispose la ragazza poggiandosi al muro.
Era il venti di Dicembre. Eleonora era stata invitata ad una festa, con Sofia, Francesca, Giulia, Chiara, Alessandra, quelle che erano le sue migliori amiche. Cinque ragazze di sedici anni il cui unico obbiettivo era quello di divertirsi, senza preoccuparsi del domani, di quello che sarebbe successo. Il loro unico pensiero era “stiamo insieme.”
Erano ad una festa, organizzata da amici appena conosciuti in giro. Amici di amici, feste in cui tutti conoscono tutti. Si stavano divertendo, come poche volte prima d’allora.
«Cavolo, ma lo hai visto?» sospirò Sofia, portandosi una ciocca di capelli impregnata di sudore  dietro un orecchio.
«Chi?» chiese Eleonora, confusa. Le dolevano le gambe e il sudore stava cominciando ad infreddolire il collo, per via del grande sbalzo di temperatura. Avevano ballato fino allo stremo.
«Paolo!» esclamò a bassa voce Sofia.
«Oh, si è vero. E’ bellissimo. E’ fantastico. E’ dolcissimo. Suona da dio. Certo, certo.» ridacchiò Eleonora.
«Dai, Ely!» arrossì Sofia.
L’amica rise, prima di baciarle una guancia. «Lo so che ti piace. E sono contenta che sia così, sembra davvero un tipo okay.»
Sofia sorrise, prima di sospirare e poggiarsi anche lei al muro, buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi. «Tanto non succederà nulla. Sono solo la ragazzina con cui parlare quando capita.»
Eleonora alzò un sopracciglio scuotendo il capo. «Io non direi. Secondo me c’è altro.»
«Si, si, certo. Me lo hai già detto, ma non ci credo, lo sai bene. E non riuscirai a convincermi.», Sofia incrociò le braccia al petto e sbuffò roteando gli occhi.
Poi la porta del locale si aprii ed il viso raggiante di Giulia comparve sulla porta, “ «Ragazze!» disse, «C’è
Gloria Gaynor!» mentre le prima note di I Will Survive giungevano chiare alle loro orecchie.
Sofia si voltò di scatto verso Eleonora, con lo sguardo acceso da una strana luce.
«Corri!» esclamò Eleonora entrando nel locale afoso.
Si mossero sulle note di quella vecchia canzone , volenti o nolenti, tutti conoscono. Si lasciarono andare senza pensare a nulla, cantando a squarciagola il testo della canzone,divertendosi con le loro migliori amiche, godendosi come non mai la spensieratezza dei loro sedici anni. Poi le note andarono scemando tramutandosi in note più  lente, dolci ed amare. Alcune coppie cominciarono a muoversi al centro della stanza, con passi lenti, stretti in abbracci. Eleonora si allontanò, spostandosi sul bordo della pista.
Vide Paolo avvicinarsi a Sofia, sorriderle ed avvicinarsi al suo orecchio. Il viso di Sofia, poté ben notarlo, si intinse di porpora. Paolo la prese per mano e portandosela su una spalla, l’attirò a se, muovendosi lentamente sulla pista.
Eleonora non poté trattenere un sorriso e un mentale “telo avevo detto”.
«Ehi, non avrei intenzione di rimanere qui sola!» sentì una voce alla sue spalle.
Si voltò incontrando gli occhi color della notte di Stefano, ragazzo conosciuto qualche era prima tramite un’amica.
Eleonora sorrise, scuotendo il capo. «E tu?»
«Certo che no!» esclamò Stefano.
«Allora, mi concedi un ballo?» ridacchiò Eleonora. Il ragazzo annuì e, trascinandosela in pista, l’abbracciò per i fianchi. Cominciarono a muoversi, ridendo e scherzando sull’enorme differenza di altezza che vi era fra loro. Intanto Eleonora con lo sguardo guardava le varie coppie. Sorrise, vedendo Sofia e Paolo, sperando con tutto il cuore che lui aprisse gli occhi e capisse che persona meravigliosa stringeva fra le braccia. Guardò le sue amiche danzare insieme o in coppia con altri ragazzi, poi i suoi occhi indugiarono su una ragazza dai capelli color del cioccolato, una ragazza che conosceva solo di vista. E fu lì, quando la ragazza le diede le spalle, rivelando il viso del suo cavaliere, che il cuore di Eleonora perse un battito.
I suoi occhi marroni indugiarono per attimi infiniti in un verde prato, oltre sottili lenti trasparenti. Un ragazzo dal viso ovale, dalla leggera barba incolta che ne accentuava la poca spigolosità della mascella, dalle labbra piene e pelle chiara. Bello da mozzare il fiato.
Si persero entrambi l’uno negli occhi dell’altro, prima di voltare ancora il capo, muovendosi sulle note di quella strana lenta canzone.
Da allora la vita di Eleonora non fu più la stessa.


Il getto d’acqua batteva violento sul fondo della doccia. Con il costume ancora indosso lasciai che l’acqua mi scorresse sul corpo, sciogliendomi i muscoli del collo e delle spalle, regolarizzando il battito frenetico del mio cuore.
Il suo viso popolava ancora i miei pensieri e non avrei voluto. La sua immagine era sin troppo nitida, nella palpebra chiusa dal mio occhio. Ancora potevo avvertire le sue labbra premere dolcemente sulle mie, nell’acqua fredda.
Scossi il capo, mentre sentivo gli occhi inumidirsi di calde lacrime.
Che illusa. Che stupida.
Quando Alice sarebbe tornata tutto sarebbe finito, perché lui non l’avrebbe mai lasciata. Certo, ci speravo, ma in cuor mio sapevo che non sarebbe successo.
Quando Alice sarebbe tornata io sarei ritornata ad essere la piccola Ely, disponibile per una chiacchierata, per scherzare o giocare.
Ero solo un rimpiazzo.
Quella consapevolezza, crudele e violenta, fece spillare dai miei occhi lacrime,  e mi ripugnavano, perché non ero riuscita a fermare i miei desideri. Avevo scioccamente sbirciato nel portagioie del mio animo, quel piccolo muscolo che pompa sangue e vita nelle vene, come Pandora aveva fatto con il vaso regalatole. Guardare in quel portagioie, senza fare attenzione alle conseguenze si era forse rivelato un errore madornale. Come dal vaso di Pandora tutti i mali del mondo si abbatterono sull’umanità, l’amore ardente, passionale, ma timido e dolce nel contempo, si riversò sul mio fragile animo, travolgendolo, scuotendolo.
Mi poggiai alle mattonelle fredde e mi feci scivolare lungo esse, fino a sedermi sul fondo della doccia. Mi strinsi le mani, le braccia al petto, mentre i singhiozzi percuotevano il mio corpo.
Tutto sarebbe passato… prima o poi.


Avevo ancora i capelli bagnati quando mi buttai sul letto, a pancia in su. Il sole pomeridiano filtrava attraverso la leggera tenda bianca, illuminando il muro sopra la scrivania.
Il cellulare vibrò. Sbuffando allungai la mano sul materasso, tastando, cercandolo. Lo trovai e, portandomelo sopra il viso, lessi il messaggio: ti passo a prendere fra quindici minuti. Lezioni gratuite di guida.
Strabuzzai un attimo gli occhi, guardando perplessa quella combinazione di parole.
Mi offri anche il gelato?, digitai, lasciandomi cadere ancora sul materasso.
Certo! Ora vestiti, sciocca, rispose il minuto successivo.
Sospirai e mi alzai, aprendo il grande armadio di legno scuro. Afferrai una corta gonna di jeans ed una canotta del color della giada. Mi allacciai le scarpe da tennis e legai i capelli umidi in una coda di cavallo, lasciando le spalle scoperte, nel caldo pomeridiano.
Scesi le scale saltellando, incrociando mi madre sul divano, intenta a leggere un libro, rinfrescata da una leggera brezza che carezzava le tende di tulle azzurro.
«Dove vai?» mi chiese mentre afferravo la borsa dall’appendi abiti. Il mio cellulare prese a vibrarmi nella tasca. Lampeggiava il nome Stefano.
«Esco con Stefano. Mi offre un gelato.»
«Salutamelo e digli di passare a trovare una vecchia megera di tanto in tanto.» disse mia madre in un sorriso.
Annuii col capo e mi portai a tracolla la borsa. Baciai mia madre, Chiara, e mi diressi correndo fuori.
Stefano mi attendeva nella sua familiare metallizzata, con i finestrini aperti, un braccio fuori e gli occhiali da sole sul naso. Mi sorrideva.
Entrai, scattante, in auto.
«Buon pomeriggio, ragazza sciocca.» disse ingranando la prima.
«Buon pomeriggio, ragazzo sciocco.» risposi in un risolino. Il sole, riflesso sull’asfalto, mi illuminava fastidiosamente il viso, così tirai fuori dalla bora i miei occhiali da sole.
«Non ci credo.» disse Stefano, voltandosi a guardami, spalancando la bocca. «Hai messo gli occhiali!» esclamò.
«Ah, ah, divertente. Molto, anche.» sbuffai poggiandomi al sedile godendomi la sensazione del vento sulla pelle del viso.
«No, sul serio, ti donano.»
«Certo, certo.»
Stefano sbuffò, scuotendo in un risolino il capo. «Non cambierai mai. Testarda fino alla fine.»
«Non so di cosa tu stia parlando.» incrocia le braccia al petto, come una bambina che fa i capricci.
«Bene, non ti farò mai più complimenti, Eleonora Salvini!»
Mi voltai e gli feci la linguaccia, prima che entrambi scoppiassimo in forti risate. Il bello dell’amicizia con Stefano era proprio quello. Potevo parlare di cose serie, o cose frivole, potevo scherzare senza che prendesse alla lettera ogni mia parola, ogni mia richiesta, tranne quando il mio sguardo era serio, quando nei miei occhi non vi era un filo di ironia. Molte volte non c’era nemmeno bisogno di parole, lui mi capiva, al volo, con uno sguardo, un sorriso. Quando si dice: gli sguardi valgono più di mille parole…
«Ah, prima che dimentichi. Ti saluta la vecchia megera.» dissi.
«Sul serio? Oh, mi mancano le sue ciambelline, sai? Credo verrò a casa e la pregherò in ginocchio di cucinarmele.» ridacchiò.
Vecchia megera era il soprannome che, io e Stefano, le avevamo dato il giorno in cui mia madre si era rifiutata di fare le ciambelle glassate di cioccolato. Il suo ultimatum fu: o con lo zucchero, o con lo zucchero. Nel giro di un’ora finirono tutte.
«Si, ha detto di farti vivo ogni tanto. Mia madre ha un debole per te. Sei, il figlio maschio che non ha mai avuto.» dissi roteando gli occhi.
«Tua mamma è un tipo forte, sul serio. E cucina divinamente. Peccato che tu non abbia le stesse sue doti culinarie…»
«Ah-ah. Divertente.» aggiunsi sarcastica mentre lui si prendeva il mento fra l’indice ed il pollice, come perso in qualche strana congettura.
«No, davvero… ricordo bene la torta alle rape e non-»
«Allora? Il gelato?» chiesi impaziente, cambiando discorso, conscia che in cucina era un disastro. Lo stesso effetto di un elefante in un negozio di fragili cristalli…
«Giusto.». parcheggiò l’auto, sul ciglio della strada.
Mi sporsi verso lo sportello, per aprire, ma oltre il vetro ancora abbassato il mio sguardo fu catturato da un’auto blu sul ciglio opposto.
Mi bloccai, ansimante.

 

*

 

Ringraziamenti.

__Yuki__ : ciao! Oh, cavolo che piacere leggere la tua recensione! In ogni storia cerco sempre di mettere del reale, qualcosa che ricordi la vita di tutti i giorni e, soprattutto, qualcosa strettamente legato all’amicizia. Sono contenta ti piaccia il mio modo di scrivere e che tu abbia letto anche l’altra storia. Grazie davvero di cuore (Si, ho letto il  tuo messaggio e ti ho anche risposto XD). A presto, cara!
KeLsey: ciao, mia Eri! Eh, già, è davvero strano che io non la conosce ^.^ Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, Ei, sul serio. Come bene sai, il tuo parere conta davvero molto per me. Sei troppo buona, con me. Ti voglio bene (L)
Nessie93: ciao, Chià! Eh, Claudio… capirai più in là, tranquilla. Ad ogni modo, sono contenta ti sia piaciuto lo scambio di battute fra Sofia ed Eleonora! *-* Eh, si, Matteo bruciava di gelosia, ed anche tanto. E poi, cara, non poteva di certo mancare Stefano, figurati, lui è una costante, fino alla fine! E’ il migliore amico di Ele, no? Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, cara. Lo spero davvero. A presto. Ti voglio bene.
Xx_scrittrice_xX: oh, mia amata! O.O  Storia che ami per eccellenza? *-*  ma ma ma ma ma… grazie, tesoro! Grazie dal cuore, sul serio! Beh, effettivamente… Claudio… Matteo… forse hai ragione. Spero questo capitolo non sia stato noioso o… orribile. A presto, tesoro. Ti voglio bene.
Lucy_Scamorosina: ciao! *-* che piacere leggere la tua recensione! Spero di non averti fatta attendere troppo e spero che il capitolo ti sia piaciuto. Grazie davvero per la recensione. Grazie!


A voi è tutto.
Un bacio,
Panda.

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Capitolo 17
*** What have I got to do? ***



17.  What have I got to do?
       Che cosa devo fare?


 

«Ele? Tutto okay?» chiese con apprensione Stefano, poggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai a guardarlo con occhi sgranati.
«C’è Matteo.» soffiai, mentre il cuore accelerava piano la sua camminata, cominciando a galoppare, mentre un buco nero, situato al centro del mio ventre, sembrava risucchiarmi.
«Cosa?»
C’è la sua macchina.» risposi pietrificata. «Deve essere nel bar.» sussurrai.
«Ne sei sicura?» mormorò.
Annuii col capo. «Si.», il mio era un semplice movimento di labbra, senza implicazione di voce.
«Ele?» chiese. «Perché bisbigliamo?»
Fu lì che mi accorsi di essermi abbassata sul sedile e di essermi protesa verso Stefano. Mi misi dritta, sul sedile, passandomi una mano sulla testa, sistemandomi la coda.
«Oh. Okay. Andiamocene.» dissi risoluta, chiudendo un attimo gli occhi, prima di guardare il suo viso.
Stefano si accigliò un attimo, sorpreso. «Ne sei sicura?»
Annuii, e sperai di risultare convincente. Sì, in realtà non volevo andare via. Ero come divisa da due forse contrarie, che crudeli erano il lotta fra di loro, indebolendo il mio poco autocontrollo. Da una parte avrei voluto aggirarmi nel bar per cercare il suo viso e perdermi per attimi infiniti nel verde prato dei suoi occhi. Ma il buon senso, e quel poco sale in zucca che avevo, mi suggerì che la decisione più ragionevole, al momento, era evitare i suoi occhi. Prima di essere travolta dall’assuefazione che essi mi procuravano, anche se il mio cuore non desiderava altro che ammirare la bellezza del suo viso, sfiorare la pelle delle sue braccia… basta!, mi ammonii, scuotendo il capo, cercando di liberarmi di quegli stupidi pensieri.
Mi voltai verso Stefano, che mi guardava quasi scioccato.
«Senti,» dissi, «no so come e perché, ma sono davvero intenzionata ad andarmene. Per favore, approfitta di questa mia momentanea pazzia, anche se affettivamente credo di esserne afflitta dalla nascita, e riparti, prima che mi impunti decidendo di scendere, per andare a cercarlo. Sai che a quel punto non sarà possibile fermarmi.»
«Parto, capo!» disse mettendo subito in moto l’auto.
La macchina si allontanò e potei avvertire il filo invisibile, che mi legava a quegli occhi, tendersi. Il mio petto protesto, schiacciato dal peso del ricordo delle sue labbra, al ricordo di ciò che per poco era stato mio. Schiacciato dal pensiero di ciò che in realtà non sarebbe mai stato mio. Un dolore che già conoscevo, provato il giorno in cui seppi che Alice era la ragazza di Matteo, un dolore che ben conoscevo, che era stato mio amico e nemico, durante i mesi delle lontananza, durante i primi periodi di quella relazione. Un dolore che avevo arginato, almeno così credevo, mentendo a me stessa, convincendomi che più nulla mi legava a lui, che nessun filo invisibile congiungeva me a lui, e viceversa.
Che stupida.
Il dolore era tornato. La consapevolezza che lui non sarebbe stato mai mio anche.
Quei baci erano solo… una sbandata e quella consapevolezza mi colpii in pieno viso, come fosse un secchio d’acqua gelata… ancora una volta.
Chiusi gli occhi, poggiando la testa allo schienale e fingendo di godermi la sensazione dell’aria sul viso. Lacrime irrazionali premevano sulle palpebre chiuse del mio occhio.
La frustrazione, la rabbia, il disgusto per me stessa erano arrivate troppo in fretta, prematuramente. Ciò che avrei dovuto provare al ritorno di Alice, due gironi dopo, lo stavo già vivendo.
«Ele…» la voce di Stefano era un lieve sussurro.
Mi voltai, sospirando. «Cosa c’è?»
«Cosa c’è fra te e Matteo. Voglio la verità, niente omissioni. Non puoi… guardati, hai gli occhi lucidi!» esclamò.
Aprii la bocca per replicare, ma da essa non vi uscì alcun suono. La richiusi con un gesto secco. «Non lo so. Vorrei tanto saperlo, ma non lo so.»
«E non credi sia giunta l’ora di saperlo? Cosa c’è non vuoi rovinare il tuo bel sogno con la realtà?» chiese d’un tratto sprezzate.
Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene. «Bel sogno, hai detto? Ti sembra un bel sogno questo?» ringhiai.
Lanciava fugaci occhiate al mio viso, non sapevo che espressione avessi, ma pochi secondo dopo mormorò: «Scusa.»
Sospirai e mi rimisi diritta sul sedile. «Prendiamo questo gelato e andiamo nei meandri delle campagne leccesi per provare a guidare questa stupida macchina.» dissi poi accendendo la radio.

 
«Ricorda: marcia e frizione. Non mettere il piede sull’acceleratore. Per il momento preoccupiamoci solo di farla camminare.» disse Stefano inchiodandomi con uno sguardo, «Okay?» la sua voce era grave.
Annuii energicamente con la testa.
«Marcia e frizione.» dissi mentre eseguivo i comandi. La macchina non partì.
Corrugai la fronte confusa mi voltai verso Stefano.
«Devi accendere il motore, Ely.» disse con espressione indecifrabile.
«Oh!» esclamai ridacchiando. «Chissà dove ho la testa.» sospirai.
«Io ho un’idea.»
«Non voglio parlarne.» dissi con voce glaciale. «Per favore.»
«Okay.»
«Così?» chiesi mentre alzavo piano il piede dalla frizione.
«Esatto. Stai migliorando, piccola! Ora, schiaccia lentamente l’acceleratore.» disse gesticolando, cercando di simulare con la mani il pedale. Risi. Ma presa dal mio momento di ilarità non mi resi conto della forza che applicai su quel piccolo pedale e l’auto sfrecciò in avanti.
Urlai ed istintivamente schiacciai il freno ed i nostri corpi, per forza contraria a quella della macchina, finirono schiacciati sugli schienali dei sedili.
Stefano si aggrappò istintivamente alla portiera dell’auto ed al sedile. Attonito guardava la strada sterrata si fronte a sé.
«Hai intenzione di ucciderci?» strillò e la sua voce risultò un odioso suono strozzato.
«Ma… ma… perdonami, Stè! Giuro che non era mia intenzione! Davvero, non l’ho fatta apposta!»
«Ci mancava solo che l’avessi fatto di proposito.» borbottò. Poi il suo cellulare squillò, se lo portò all’orecchio senza nemmeno guardare il mittente.
«Pronto?... ehi ciao… ah, ora?... okay… dove?... si, perfetto… no, è con me… okay, a fra un po’.» poi chiuse lo sportellino del telefono con uno scatto e mi guardo. «Era Francesca. Stanno tutti andando al solito bar.»
«Proprio tutti?» sapeva bene a cosa mi riferissi.
Sospirò. «Scusami, non ci avevo pensato. Senti… le dico che non ci andiamo.» disse visibilmente rammarico.
Scossi il capo. «No, dai, non c’è problema. Sappiamo entrambi che non posso evitarlo in eterno. Andiamo.» dissi sorridendo, sperando di essere convincente.
Stefano scosse il capo. «Che bugiarda.»
«Sono sincera, Stefano.», ed in fondo, lo ero.
«Se non vuoi… davvero, Ely, non c’è problema.»
Roteai gli occhi. «Ma smettila!» lo ammonii ridacchiando. Lui scosse il capo. Accessi la macchina.
«Ehi! Che fai?» chiese sgranando gli occhi.
«Torno indietro.» farfuglia confusa. «Fino alla strada, come abbiamo fatto… prima.»
«No, no, no.» disse scuotendo energicamente il capo. «Ora guido io. Voglio vivere, cara.» continuò prima di scendere dall’auto.
Lo guardai fare il giro dell’auto, poi aprii la portiera. «Su, su!» mi incitò, ridacchiai e scossi il capo, per poi passare sul sedile del passeggero senza scendere dall’auto.
«Ecco il ballo di essere bassi.» borbottò accendendo l’auto.
«Io sono nella norma, Stefano. Sei tu che sei troppo alto.»
«Questi, mia cara, sono dettagli. Molto insignificanti, anche.»
«Sei impossibile.» sospirai.
«Però mi vuoi bene.»
Anche se, volentieri in quel momento, gli sarei passata sopra con un tir rimorchi, aveva ragione.

Sentivo lo stomaco contorcersi in una dolorosa morsa, annodarsi su stesso, mentre con violenza chiudevo la porta dell’auto. Stefano non fece battute, non fece osservazioni. Mi ignorò, e gliene fui tremendamente grata.
Mi portai la bora a tracolla, prima di portarmi una ciocca di capelli ribelli dietro un orecchio e fare un respiro profondo.
Faceva caldo eppure i miei arti tremarono.
Camminavo a pochi passi da Stefano, verso l’entrata del bar. Avevo la gola secca. L’avevo vista, ancora, la sua macchina, parcheggiata sul ciglio della strada. Era lì, lo sapevo.
«Stè!» lo chiamai. Lui si voltò, corrugando la fronte. La sua espressione si fece subito preoccupata però, forse dovuta all’espressione dipinta sul mio viso. Non sapevo quale fosse, avrei voluto vederla.
«Vuoi andare via?» chiese avvicinandosi.
Scossi il capo ed allargai le braccia, avvicinandomi. Mi rifugiai nel suo immenso abbraccio, affondando la testa nel suo petto. Mi accarezzò i capelli con una mano.
«Ele… sciocca ragazza, vorrei poterti aiutare, ma non so come. Ti stai distruggendo.» mormorò con voce calda.
Sospirai, scuotendo ancora il capo, impercettibilmente. «Fai già tanto, Rossi.» sospirai. Alzai il capo, per guardarlo negli occhi. «Ti voglio bene.» sussurrai alzandomi sulle punte e baciandogli una guancia.
Poi qualcosa di inaspettato attirò la mia attenzione. Non mi ero accorta della sua presenza, della sua figura avvicinarsi con passo lento e felpato.
«Ciao.» disse con voce glaciale, una frusta di ghiaccio sulla mia pelle accaldata.
Il mio cuore perse un battito.

 

*

E grazie a voi, grazie di cuore per aver recensito lo scorso capitolo.
Grazie, Eri.
Grazie, Chià.

Un bacio, la vostra
Panda.

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Capitolo 18
*** You don't care ***


 

 18.  You don’t care.
        Non t’importa.

 

 

Fissavo il suo viso, sul quale era dipinta un’espressione indecifrabile.
Non v’era più nulla intorno a me, solo i cuoi occhi color del prato, limpidi e freddi.
Le mie mani scivolarono dai fianchi di Stefano ed immediatamente mi allontanai, scossa da un fremito.
«Ciao.» risposi. E la voce di Stefano mi fece da eco.
Per alcuni istanti, che a me parvero eterni, i suoi occhi indugiarono fissi sui miei, e potevo sentire lo sguardo del mio migliore amico, fisso sul mio viso, bruciarmi la pelle.
«Io vado dentro.» disse poi scuotendo il capo ed allontanandosi.
Matteo, di fronte a me, mi fissava, incatenando i miei occhi ai suoi, senza darmi e permettermi vie di fuga.
«Ti devo parlare.» disse rompendo il silenzio e la tensione, la sua voce quasi scioccò come le redini di un cavallo. Solo in quel momento mi accorsi di quanto la cittadina fosse desolata a quell’ora del pomeriggio. Intorno a noi, solo silenzio.
«Di cosa?» chiesi, e fui sorpresa dal tono della mia voce, freddo e distante. Reazione istintiva, quasi di difesa.
«Possiamo spostarci?» domandò guardandosi intorno.
Non risposi, mi limitai ad incrociare la braccia al petto ed annuire col capo. Cominciò a camminare, svoltando in una stradina desolata, di quelle poco abitate, nella parte “storica del paese”.
Fissai la sua figura, la linea perfetta della spalle, della vita, coperte da una maglietta color della neve.
Aveva ancora le braccia incrociate al petto, quando si voltò, puntando gli occhi nei miei. Ardevano, come lingue di fuoco. Quel repentino cambio di umore, di espressione, di luce nei suoi occhi, mi lasciò scossa e confusa. Interdetta, corrugai istintivamente la fronte.
«Non ci riesco.» sbottò.
«Scusa?»
«Non ci riesco.»
«Non ti seguo…» farfuglia confusa.
Fece un passo verso di me alzando una mano, come per toccarmi o sfiorarmi, ma la sua mano si fermò a mezz’aria, poi ricadde lungo il suo fianco. Si passò una mano sui corti capelli scuri, frustrato.
Sapevo che non avrei dovuto, che forse era la cosa più errata da fare, eppure mi avvicinai a lui, sfiorandogli la mandibola con i polpastrelli.
Il cuore vince sempre sulla ragione…
«Ehi.» mormorai. Lui alzò il capo, fissandomi con occhi più ardenti di prima.
«Vorrei baciarti.» disse in un soffio, accigliato. Lo guardai, sorpresa. Fallo, avrei voluto dire, ma non lo feci. Con occhi sgranati mi perdevo nel verde prato della sua anima, poi abbassai lo sguardo, consapevole dei mille sotterfugi degli ultimi giorni, dei sotterfugi alla quale avevo sottomesso il mio cuore, come schiacciata dal peso delle menzogne, del mio ridicolo e vano tentativo di reprimere il canto del mio cuore.
Faci un passo indietro, facendo un respiro profondo.
«Ho bisogno di sapere.»
«Cosa?» esclamai con voce di un’ottava di alta, allargando le braccia al cielo.
«Prima… Stefano… Ele… io…» balbettò con sguardo perso.
Lo guardai confusa, cercando da capire cosa egli volesse dire con quelle parole.
Si passo le mani sul capo e sospirò. «Vorrei potessi leggermi nella mente.»
«Fammici entrare.» mormorai.
Scosse il capo. «Prima… tu eri… con Stefano… e…»
Fu lì, che come un fulmine durante una tempesta, la verità mi colpii in pieno petto. Capii cosa egli cercava di dirmi, balbettante.
Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene e le mani prudermi, mentre tale consapevolezza si faceva sempre più chiara. Sapevo che di lì a poco, con una sua altra e minima parola, sarei scoppiata e le parole sarebbero sgorgate dalla mia bocca come un fiume in piena.
«Cosa?» esclamai e la mia voce era alta, tanto da scuotere il suo viso e fargli cambiare espressione. «Andiamo, Matteo, non fare l’idiota con me!» sentivo lacrime di rabbia premere per uscire, mentre il viso sembrava fosse divorato dalle fiamme. «Sei l’ultimo che si deve permettere a mettere in discussione il tipo di rapporto che io ho con Stefano!», cercavo di mantenere la voce ad un tono piuttosto basso, con grande insuccesso. Sbuffai, e risi con leggera traccia di isteria nella voce. «Non è possibile.» dissi più a me stessa che a lui.
Vorresti spiegarmi?» sibilò.
Tornai a guardare il suo viso, inchiodandolo con lo sguardo. «Chi sono io per te, Matteo?» chiesi. Non rispose, rimase a fissare il mio volto, in silenzio.
Scossi il capo. «Sono il rimpiazzo, vero? Quando tornerà Alice tutto questo finirà, si tornerà alla normalità. Credi di avere il diritto di parlare di cosa c’è fra me e Stefano? Di cosa c’è fra me ed il mio migliore amico? Si, Matteo, perché lo è! Per lui è solo il mio migliore amico!», il tono sicuro che ero riuscita a mantenere vacillò, crollando sull’ultima frase. La mia voce diventò pari ad un sussurro, mentre sentivo gli occhi inumidirsi.
Il suoi occhi, mi guardavano, oramai freddi.
Scossi il capo. «Quando lei tornerà tutto finirà. Io sarò di nuovo la sciocca Eleonora pronta a darti consigli su Alice. Scusami, ma questa volta sono io a non sopportarlo, Matteo. Non voglio essere la sostituta.»
Le sentivo, calde ed amare, rigarmi il viso. Silenziosa come la brezza in primavera.
Il suo silenzio fu l’ennesima conferma.
Sospirai, tremante, asciugandomi con il dorso della mano le lacrime che mi rigavano il viso.
«E sai quel’è la cosa che più fa male? Vorrei, dovrei odiarti… ma non ci riesco.» mormorai con voce rotta. Scossi il capo e mi allontanai, lasciandolo lì, pietrificato e… solo.



Matteo la guardava allontanarsi. Muoversi rigida come un pezzo di legno, portandosi la mani sul viso, probabilmente per asciugare le lacrime che aveva preso a scorrere ancora sul suo viso.
La guardava, bella come poche, allontanarsi, facendo oscillare la coda alta e nera come la notte.
La guardava incapace di muoversi. Dentro una tempesta. Fulmini e saette si scagliavano nella sua mente, sull’immagine che conservava del viso di lei bagnato da perle salate.
Avrebbe voluto prenderle il viso fra le mani ed asciugarle le lacrime baciando la sua pelle accaldata e rosea… ma non lo fece. Pietrificato, la guardava impotente, combattuto. Avrebbe voluto baciarle ogni centimetro del viso, dirle “sssh, è tutto okay. Ci sono io”, ma sapeva che in fondo, in parte, Eleonora aveva ragione. Perché c’era
lei, anche se distante, ma c’era. E finché c’era nulla poteva dirsi del tutto okay.
Seguila!, strillava una vocina nella sua testa. Seguila!, ripeteva.
Ma rimase, lì, solo e con la paura di averla persa.

Era segretamente innamorato di Alice, quando, Matteo, vide per la prima volta Eleonora.
Era una ragazzina di sedici anni, con i capelli lunghi che si snodavano in onde sinuose sulla schiena. La labbra piene, la linea dritta del naso, gli occhi grandi e le lunghe ciglia da cerbiatto. Snella e slanciata, nonostante passasse gran parte delle sue serate su un divano o su una gelida panchina di marmo.
La vide la prima volta a quella festa, abbracciata a Stefano, un ragazzo che conosceva da poco più di tre mesi.
Incrociò i suoi occhi, mentre tra le braccia stringeva la stessa Alice, allora solo un’amica.
Carina, pensò istintivamente Matteo fissando i suoi occhi color della notte. Nonostante in quel momento avesse fra le braccia l’oggetto dei suoi desideri, cercava costantemente i suoi occhi, per tutta la durata di quel ballo. Per qualche irrazionale motivo, magnetici lo chiamavano.
Durante la mezz’ora successiva vide Alice parlare con altri ragazzi e lo stomaco gli si contorceva dalla gelosia ogni maledetta volta che lei sorrideva. Aveva bisogno di una sigaretta, per schiarirsi le idee, per cancellare dalla mente il volto di Alice, anche per alcuni attimi, per cancellare dalla mente quei grandi occhi neri.
Uscii fuori e la vide. Era sola, seduta sul gradino del portone di una casa disabitata. La testa poggiata al legno vecchio, il collo scoperto. Aveva gli occhi chiusi e si godeva la sensazione dell’aria fredda sulla pelle. Il suo respiro si condensava nell’aria.
Matteo la trovò bellissima.
Sorrise, portandosi la sigaretta alle labbra. «Ciao.» disse ed Eleonora sobbalzò, colta di sorpresa da quella voce sconosciuta, calda e bassa.
Aprì gli occhi e lo vide. Lui che le aveva rapito crudelmente la sua attenzione in quel pochi minuti.
«Ciao.» soffiò Eleonora colta di sorpresa, perdendosi per un attimo nel meraviglioso verde dei suoi occhi.
«Piacere Matteo.» le disse avvicinandosi e porgendole la mano.
«Eleonora.» soffiò lei stringendola.
«Non ti ho mai vista in giro.» disse aspirando del fumo dalla sigaretta.
«Può capitare di non conoscere tutti.» sorrise lei portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Non hai freddo?» chiese Matteo notando che indossava solo una felpa.
Eleonora scosse il capo, sorridendo flebilmente. «Mi piace il freddo e me lo godo prima che diventi un ghiacciolo.»
Matteo sorrise. Era impossibile non farlo, vedendo il viso della ragazza.
«Bella osservazione.» disse lui in un risolino.
«Già.» ed Eleonora rise.
«Ehi, carina la risata.» disse corrugando la fronte, mentre un angolo della sua bocca si sollevava verso l’alto, istintivamente.
La ragazza arrossì, chinando appena il capo. «Grazie.» disse, non ancora consapevole che di lì in poi tutto sarebbe cambiato.


Presi a correre, non curante del caldo e della pelle umida del mio viso.
Stavo fuggendo, ecco tutto. Fuggivo non solo da Matteo, fuggivo da ciò che ero in fondo, dalla mia ridicola ossessione per lui, dall’irrefrenabile desiderio di carezzare le sue labbra e di amarlo incondizionatamente, come io fossi sua, e lui fosse mio. Ma non era la realtà. Non era così che andavano le cose, ed io lo sapevo bene.
Rallentai il passo, fino a camminare. Il petto si muoveva troppo velocemente e quasi sentivo il cuore in gola. La borsa sbatacchiava contro la mia gamba, il mio fianco, lunga scendeva abbracciandolo.
Le mie gambe si muovevano da sole, mentre mi dirigevo lontano da quel bar.
Chiusi per un momento gli occhi e vidi la sua immagine ingabbiata fra la palpebra e l’occhio. Gli riaprii di scatto riprendendo a correre, scappando… dall’amore, diretta a quel parco non ancora conscia che amari ricordi mi sarebbero sovvenuti alla mente.

 
«Secondo me… secondo me…»
Quanto le costava dirgli la verità? Quanto le costava dirle ciò che avrebbe detto ad un’amica?
Eleonora era combattuta. Una parte di lei avrebbe voluto dirgli cosa avrebbe dovuto fare, e lei sapeva che il consiglio avrebbe probabilmente funzionato, ma una parte di lei soffriva al pensiero di dirgli cosa avrebbe potuto fare, cosa lo avrebbe trascinato definitivamente lontano da lei.
Così, chiese per un momento gli occhi e si lasciò guidare dalla voce del suo cuore, quella era la risposta giusta, solo lui avrebbe potuto darla. Perciò suo malgrado, il bene che gli voleva, il desiderio di vederlo felice, vinse.
«Invitala ad uscire. Ho visto come ti guarda, e non le sei indifferente.» disse in fine, suo malgrado.
E’ come poterlo essere, pensò fra se. Conscia che quel ragazzo avrebbe sempre avuto un cantuccio del suo cuore.
«Ne sei sicura, Ely?» chiese lui corrugando appena la fronte.
Erano seduti su una panchina, al parco, e mentre bevevano un thè freddo parlavano di Alice.
Odiosa arpia, come la definiva Eleonora.
La ragazza annuii col capo e sorrise malinconicamente.
«Si, ne sono sicura.»
E una fitta di dolore sembrò squarciarle il petto.
«Ti voglio bene, Ele.»
La ragazza sorrise, ma non riuscii a rispondere, poiché ella sembrava essersi persa nell’infinito mare di dispiacere.

 


*

Ringraziamenti.

Valentina78: ciao! Che immenso piacere leggere una tua recensione! Sono contenta che ti piaccia il mio racconto! Ci tengo davvero molto. Spero sia stato di tuo gradimento anche questo aggiornamento. Grazie, mille, davvero. A presto!
Piccola Ketty: Oh, Ketty! *-* Non sai quanto mi faccia piacere leggere una tua recensione! Che tu ci creda o no, ci tengo a sapere cosa ne pensi, anche perché mi piace davvero come scrivi. Però, secondo me, esageri (non te la darò mai vinta XD). Questo capitolo mi è costato un po’, effettivamente, come i prossimi, ma spero di non averti delusa e, in tal caso, sarai felicissima se me lo dicessi. Grazie mille per la recensione, davvero, di cuore. A presto, cara.
__Yuki__: ciao! Non sai quanto mi abbia fatto piacere leggere la tua recensione, sul serio! Ti sono grata dei suggerimenti, sul serio. Delle volte, durante la rilettura, molte cose possono scappare. Sistemare alla fine è stata una buon cosa. Davvero grazie! Poi, sono contenta ti piaccia la vicenda, e spero di non averti delusa con questo capitolo. Grazie ancora, cara. Grazie. A presto!
Nessi93: ciao, Chiarì. Beh, che dire, la tue recensioni sono sempre così attente e… carine. E’ un immenso piacere per me reggerle, davvero. Stefano è il suo migliore amico, l’unica che la conosco davvero bene e che vuole solo il suo bene. Riguardo Matteo… beh, mi sembra chiaro che non è l’unico confuso. Sono contenta chela scena dell’auto ti sia piaciuta, davvero! E spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! Grazie, davvero di cuore,
donna di malafede. A presto!

A voi, un bacio,
                  
Panda

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Capitolo 19
*** . I don't believe that anybody feels the way I do about you now ***


19.  I don't believe that anybody feels the way I do about you now.
      
Credo che nessuno senta ciò che provo io per te adesso.

 


«E’ tornata, vero?» chiesi con voce tremante.
Stefano sospirò ed annuì. Mi mordicchiai l’interno della guancia con sguardo vacuo, fissando un punto indefinito del prato che mi si stagliava davanti.
Eravamo al parco. Il giorno successivo alla lite fra me e Matteo. Non lo vidi, non lo sentii nelle ore precedenti. Il mio cuore ferito sanguinava, consapevole che l’illusione oramai era sparita e che quei fugaci momenti, quei languidi baci colmi di tenerezza non ci sarebbero più stati. Lui non ci sarebbe più stato.
Alice era tornata.
Mi asciugai velocemente la lacrima che mi rigò il viso e voltai il capo, sperando che Stefano non lo notasse. Purtroppo non fu così.
«Ele… non è detto che finisca tutto così, ora...» mormorò sfiorandomi il braccio. Mi ritrassi a quel contatto.
«Guarda in faccia la realtà.» dissi in uno spunto, senza voltarmi. «Lui non la lascerà mai. «Lui non la lascerà mai. Lui la ama e…»
«Ma ti ha baciata e ho visto come ti guarda.»
Sentii la rabbia montare a mi voltai verso lui, scattando in piedi.
«Andiamo, Stefano! Sappiamo che non significa nulla! Quanti ragazzi baciano delle ragazze per il gusto di farlo, eh?»
Lui mi guardò con espressione imperscrutabile. «E’ diverso.»
«Oh, va al diavolo. Pensa ciò che vuoi.» dissi voltandomi e incrociando le braccia petto, osservando la panchine vuote del parco deserto.
«Perché hai paura?». La sua voce era un sussurro e ruppe il tumultuoso fluttuare dei miei pensieri.
«Come, scusa?»
Stefano si alzò, avvicinandosi a me. «Si, perché hai paura?»
«Non ho paura.» risposi stizzita.
«Che grande bugiarda.» disse scuotendo il capo.
Ridussi gli occhi a due fessure e sentii le mani prudermi.
«Tu hai paura di rischiare, con lui. Tu hai paura di esporti. Tu hai paura che io abbia ragione, Ele. Te lo leggo in faccia.»
Qualcosa dentro di me scattò. Aprii la bocca per replicare, ma da essa non vi uscii suono.
Perché? Perché lui aveva ragione ed io, stupida, non lo avevo ancora ammesso a me stessa.
«Non darmi della bugiarda.» sibilai.
Stefano scosse il capo, e si lasciò cadere sulla panchina di legno. «Sei impossibile.»
«Grazie.» mormorai sedendomi accanto a lui.
«Lui non la lascerà per me. Vedrai.»
Lui arricciò le labbra e fece una smorfia di disapprovazione. «Non ci scommetterei.»
Ripensai al suo viso, al nostro primo incontro, al mio cuore palpitante d’amore, alle nostre conversazioni. Ripensai al cielo stellato, di quella sera di pochi mesi prima. Ripensai alle sue labbra calde e morbide sulla mie, in quei vicolo buio, alla giornata in spiaggia. Immaginai quelle stesse labbra, in quel momento, baciare avidamente quelle di Alice.
Trasalii e sentii lo stomaco stringersi in una morsa e la nausea pervaderlo. Mi strinsi le braccia all’addome.
Mi voltai verso Stefano sapendo di essere sull’orlo di una crisi emotiva.
«Ele?» chiese lui corrugando la fronte, allarmato dall’espressione del mio viso che, probabilmente, non era una delle migliori.
«Ti prego, dimmi che andrà tutto bene. Che tutto si sistemerà, che prima o poi lo dimenticherò.» sussurrai con voce incrinata. Lottai contro le lacrime che calde e amare premevano per liberarsi.
Stefano sospirò, poi mi circondò le spalle con un braccio e mi strinse a se. «In un modo o nell’altro, Ele, tutto si risolverà. Magari non sarà come te lo aspetti. Ma tutto si risolverà. C’è sempre una via d’uscita.» mormorò baciando la fronte.
«Io… io… mi sono innamorata.» singhiozzai poggiando il viso sul suo petto.
Sospirò. «Lo so, piccola. Lo so.»
E mi lasciai andare ad un pianto silenzioso.


Matteo attendeva alla stazione. Il treno sarebbe arrivato entro cinque minuti.
Era lì, con il corpo, ma la mente era altrove. Non faceva che ripensare ad Eleonora, il suo bel viso, i capelli scuri ed ondulati che le incorniciavano il viso sottile, gli occhi scuri, in cui vi era racchiuso un mondo,  che dal primo momento in cui si erano fusi ai suoi, aveva imparato ad amare. Degli occhi che ogni volta non facevano che incrementare l’affetto che provava verso lei, il desiderio di abbracciarla, proteggerla e sorriderle. Come ad un’amica? Come ad una cugina? Una sorella?
Matteo faticava a dare una risposta alle mille domande che si abbattevano violente sul suo animo, come la tempesta fa con gli alberi.
L’aveva vista allontanarsi con gli occhi arrossati dalle lacrime e il viso umido. L’aveva vista correre via, fragile e disarmata, e non aveva fatto nulla per alleviare il suo dolore. Non l’aveva seguita. Per vigliaccheria? Forse.
Si passò una mano sul viso, sospirando.
Che cosa ci faceva lì? Aveva l’impressione che non avrebbe dovuto dire sì di ad Alice, di accettare di andarla a prendere alla stazione.
Si sentiva in colpa, forse? Sapeva di far del male ad Eleonora, che aveva considerato sempre una carissima amica. O forse… era qualcosa di più?
Non ci capiva più nulla. La testa gli doleva e desiderava con tutto se stesso staccare la spina che alimentava il suo cervello. Ma non era possibile farlo, suo malgrado.
Il treno si fermò. Poco dopo vide comparire Alice e la sua massa di capelli rossi.
Lei sorrise ed agitò in aria le braccia, correndo poi verso il ragazzo, trascinandosi dietro la valigia.
Matteo di rimando sorrise, ma non lo fece con il cuore. Alice sembrò non accorgersene. Si lanciò sul ragazzo, abbracciandolo, stringendolo forte a sé, cingendolo per i fianchi.
«Mi sei mancato tantissimo!» disse in un gridolino.
«Anche tu.» rispose il ragazzo di rimando. Lei si allontanò appena per guardarlo in volto. Gli accarezzò il viso con una mano.
«Quanto ti sono mancata?» chiese con fare dolce, baciandoli il mento.
«Parecchio.» mentì. Sì, mentì e ne rese conto non appena quella parola fuoriuscì dalle sue labbra.
«Tu di più». E lei gli getto le braccia al collo.
Matteo non disse niente, non fece nulla, rimase a fissarla con sguardo vacuo.
«Hai intenzione di baciarmi?» domandò lei sulle sue labbra.
Matteo a quelle parole girò immediatamente la tesa di lato, serrando la mascella.
Alice lo guardò incredula. «Tesoro… è tutto okay?» chiese ingabbiando il suo viso fra le sua mani, costringendolo a guardarla negli occhi.
Il ragazzo fissò per attimi infiniti quel viso che tanto aveva amato. «Nulla.» rispose infine.
Lei lo baciò sulle labbra. Fu allora che Matto capì che stava sbagliando… tutto.


Mi passai una mano fra i capelli, nell’aria calda e umida della sera. Sospirai, abbassando lo sguardo e fissandomi la punta delle scarpe logore.
«Ciao, Eleonora.» alzai di scatto la testa e mi voltai verso una voce bassa e roca, familiare.
Sorrisi debolmente. «Ciao, Claudio.»
Lui si avvicinò, allontanandosi da Francesca che si fermò a parlare con Sofia. «Tutto okay?» chiese.
Annuii col capo. «Tu come stai?»
«Tutto bene.»
Per alcuni istanti rimanemmo in silenzio, mentre dondolavo sui talloni. Era sera, eravamo usciti da circa mezz’ora e con lo sguardo cercavo in vano i suoi. Sapevo che, quella sera, la presenza di Matto implicava quella di Alice. Al solo pensiero ebbi un tuffo al cuore e un attacco di violenza nausea.
«Ti va una birra?» chiesi d’un fiato, quasi senza pensarci. Non so cosa mi spinse a fargli quella domanda, forse il desiderio di scappare da quel luogo, e di riempire il silenzio creatosi. Le parole uscirono dalla mia bocca come un fiume in piena, come l’acqua trasportata dalla violenta corrente.
Claudio sorrise. «Ne sarei felice.»

*

Salve gente, mi dispiace moltissimo ma non posso ringraziarvi a modo. Domani ho un compito e devo ancora organizzarmi per la partenza di Sabato… la valigia mi chiama a gran voce. Mannaccia.
Ringrazio di cuore: lisasepe9, Piccola Ketty, __Yuki__,Valentina 78, Nessie93, KeLsey.
Perdonatemi ragazze. Grazie infinite per le meravigliose recensioni!

A presto,
Panda.

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Capitolo 20
*** It's a sad, sad situation and it's getting more and more absurd ***



20.  It's a sad, sad situation and it's getting more and more absurd.
      
E una triste, triste situazione e sta diventando sempre più assurda.

 

 

Eravamo seduti su una panchina di marmo a bere della fresca birra.
Faceva caldo, quella sera. I corti pantaloni di jeans non facevano che appiccarsi fastidiosamente alle mie gambe e la canotta azzurra sembrava essere diventata una seconda pelle.
Dondolavo con le gambe penzoloni, avanti ed indietro, reggendo in mano la bottiglia ghiacciata, grattando l’etichetta con l’unghia.
I nostri amici erano a pochi metri di distanza e parlavano allegramente tra loro. Alcuni bevevano un birra fresca, altri mangiavano un gelato.
Di Matteo nemmeno l’ombra.
«Perciò… ti fermerai qui tutta l’estate?»
Claudio annuì. «Esatto.»
Sorrisi. Istintivamente, senza pensarci, presi a guardarmi intorno. Claudio se ne accorse.
«Aspetti il tuo ragazzo?» chiese accennando un sorriso.
Mi voltai verso lui, corrugando la fronte confusa. «Prego?»
«Aspetti il tuo ragazzo?» chiese prima di bere un sorso di birra.
Sbattei più volte le palpebre. «Non ho il ragazzo.»
«Oh. Mi era sembrato… si insomma al mare… quel Matteo…» rispose vago, senza dare grande importanza a ciò che aveva detto, «mi sarò sbagliato.» concluse facendo spallucce e bevendo ancora.
Sbarrai gli occhi, irrigidendomi. Non potevo crederci. Come aveva fatto a notarlo? Era tanto evidente?
«Sì. Ti sei sbagliato.» mi affrettai a rispondere freddamente, con voce distante.
«Okay, okay». Si voltò e mi sorrise. Imbarazzata chinai appena il capo, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Fu allora, in quel momento apparentemente tranquillo, che ebbi un tuffo al cuore. Fu come se lo squarcio che avevo nel petto risucchiasse tutta la mia anima, trascinandola sul fondo di quel baratro nero come il cielo notturno privo di stelle.
Li vidi. Si tenevano per mano e si avvicinavano agli altri. Lei sorrideva, il viso di lui era imperscrutabile. Dietro di loro, Martina, la sorella di Matteo.
Mi irrigidii. Avrei voluto scappare, fuggire di lì, da quella scena piena di struggente dolore, ma non ci riuscii. Ero come incollata alla panchina. Sbiancai e mi sentii la terra mancare sotto i piedi.
Erano insieme. Mano nella mano. Nulla era cambiato. La testa prese a girarmi, spiattellatami in faccia quella tragica realtà. Rimpiansi di non aver mangiato nulla nelle precedenti ventiquattro ore. E la birra non aveva di certo aiutato a darmi energia. Mi si rivoltò nello stomaco.
«Eleonora? Tutto okay?»
Mi voltai verso Claudio con occhi sgranati. «No.» mormorai. Poi tutto divenne buio.

 

«Ely, Ely svegliati. Ti prego Ely, svegliati.» pregava e gemeva una voce.
La conoscevo bene, d’altronde come dimenticarla. Bella, bassa, melodiosa, l’avrei riconosciuta tra mille.
Delle dita delicate mi carezzavano il viso ed i capelli, con estrema dolcezza e tenerezza. Tremanti.
Avrei voluto parlare, dire che ero lì, che ero sveglia, ma non avevo la forza di dischiudere le labbra o aprire la labbra. C’era solo la sua voce, dolce musica per le mie orecchie… e il suo tocco leggero, perché, sì, erano sue quelle mani. Come non riconoscere il modo in cui mi sfiorava, la sensazione delle sue mani sul mio viso. Per un momento mi sentii appagata, priva di pensieri e sorrisi.
«Ele!» esclamò.
Grugnii e lo sentii fare un risolino.
Piano aprii gli occhi, sbattendo più volte gli occhi ed incontrai il verde dei suoi. Luminosi, eccitati, contenti, rasserenati. Incatenarono i miei e non potei distogliere lo sguardo. Ed, in quel momento, non ne avevo la minima voglia.
«Ciao.» dissi con voce roca.
«Ciao.» rispose lui.
«Cos’è successo?» chiesi confusa guardandomi intorno. In piedi vidi Stefano, Sofia, Alice e Claudio sorridermi. Dietro loro altri amici sospirarono di sollievo.
Alice.
Ebbi una fitta al cuore.
«Ahi.» dissi in una smorfia.
Matteo sgranò gli occhi, allarmato. «Ely?»
In quello stesso momento Stefano e Sofia fecero un passo in avanti.
Li guardai confusa. «Oh, no, no, no. E’ tutto okay.» balbettai sforzandomi di sorridere.
Matteo alzò un sopracciglio.
«Sul serio.» aggiunsi mettendomi a sedere. Ero stesa sulla panchina. Quella stessa panchina su cui sedevo con Claudio.
Mi passai una mano fra i capelli e allora la vidi. «Oh, no!» esclamai sospirando.
«Cosa c’è?» chiese Matteo, seduto sul bordo del marmo.
«Mi sono versata la birra sui pantaloni.»
Matteo scosse il capo. «Ti preoccupi di questo?»
Lo fulminai con uno sguardo. Lui alzò la mani roteando gli occhi.
Mi voltai verso gli altri, poggiando i piedi sul pavimento. «Cos’è successo?»
Fu Claudio a parlare. «Stavamo parlando e, ad un tratto, hai perso conoscenza.»
«Forse è stata la birra fredda.» osservò Sofia.
Scossi il capo. «No, ho mangiato poco.»
Vidi Stefano muoversi nervoso sul posto e guardarmi con un’intensità tale da farmi tremare. A lui non sfuggiva mai niente.
«Tieni.» disse Alice porgendomi qualcosa che sembrava una caramella. La guardai corrugando la fronte.
Mi sorrise. «E’ un cioccolatino.»
«Grazie.» farfugliai prendendolo e chinando il capo, incapace di reggere il suo sguardo.
«Credo andrò a cambiarmi. Ci vediamo fra una mezz’ora.» dissi alzandomi lentamente.
«Vai a piedi?» chiese Matteo alzando il capo e corrugando la fronte.
Annuii col capo e lui lo scosse. «Ti accompagno.»
Lo stomaco mi si strinse in una morsa. «Non ce n’è bisogno.»
«Come no.» rispose lui alzandosi.
«Non fare l’idiota.» mi disse Stefano, lo sguardo di chi la sapeva lunga.
«Non puoi andare a piedi.» aggiunse annuendo Claudio. Guardai speranzosa Sofia. Lei annuii.
«Okay.» sbuffai, quasi nel panico, tradita dai miei stessi amici. In auto ci sarebbero stati sia Matteo che Alice. Mano nella mano. Vicini. Il mio cuore ebbe un sussulto. Stefano si accorse della mia lotta interiore e comprese il mio sguardo di supplica, ma lo conoscevo fin troppo bene. Sapevo che non mi avrebbe mai fatta andare a casa a piedi.
«Alice?» chiese. «Ti va di accompagnarmi a prendere qualcosa da mangiare?»
Lei guardò Matteo, in difficoltà. Il suo sguardo ero però imperscrutabile.
«D’accordo.» disse infine. Stefano ammiccò.
Sconcertata e costernata lo guardai allontanarsi con Alice.
«Andiamo.» disse poi Matteo. Mio malgrado, fui costretta a seguirlo.


Durante il viaggio d’andata nessuno dei due parlò, immersi in un silenzio imbarazzante.
Giunta in camera m’infilai un paio di calzoncini corti, appena sopra il ginocchio e approfittai per darmi una rinfrescata, cambiandomi maglia.
Quando scesi, Matteo mi aspettava silenzioso in auto, fissando il parabrezza. Rimasi qualche secondo nel vialetto ad osservare il suo profilo perfetto, le labbra morbide che, per dolci momenti, erano stata mie… ma mai, in realtà. La mia era stata una stupida illusione.
Sospirando, con il cuore infranto dal ricordo delle loro dita intrecciate, aprii la portiera della macchina e salii al posto del passeggero.
«Fatto?» chiese Matteo senza guardarmi.
«Sì.»
Entrambi tacemmo ancora per un minuto buono, poi la sua voce, come un uragano mi scosse.
«Mi dispiace.» disse. Di scatto mi voltai a guardarlo, sorpresa, sgranando gli occhi.
«Di cosa?»
«Di tutto…. quello che è successo. Non sono stato molto corretto… e tu non hai parlato ed io…», le parole sembrano morirgli in gola.
Sentii la rabbia montare e ribollirmi nelle vece.«Ti dispiace?» chiesi alzando la voce di un’ottava.
«Ele…»
«Ti dispiace?» ripetei sconcertata. Lui non rispose.
«Ma certo, era ovvio. Ed io stupida non l’ho capito sin dall’inizio.»
Lui so voltò un attimo a guardarmi,confuso.
E mi uscii un fiume di parole. «Era ovvio che per te fosse tutto un gioco. Era ovvio che era un passatempo, ed io come la stupida ci sono anche cascata! Ma che diavolo mi è preso? Dio, no! Ti sei divertito poi lei è tornata e non vuoi che sappia. E sai che io non lo farei mai, diamine lo sai! Sai che non ti farei mai questo! Che resterò a guardare che tu sia felice, anche se mi hai ferita! Perché io ero solo un passatempo!» urlai in preda alla collera.
«No! Non dirlo mai!» gridò con volto contratto per la rabbia.
«Ah no? “Mi dispiace, Ely”.» lo imitai. «Va a prendere in giro qualcun altro. Con me non funziona!» ringhiai.
«Non è stato un passatempo, e lo sai!»
«No che non lo so! Tu stai con lei!»
Matteo scosse il capo. «Non è semplice come sembra.»
«Lo è invece.» risposi con voce dura, aspra.
«Possibile che tu non capisca cosa cerco di dirti? Ti prego fammi parlare, fammi spiegare.» implorò, voltandosi a guardarmi. Fermò la macchina, giunti a destinazione.
«Non c’è niente da spiegare. La realtà è questa, Matteo. Tu stai con lei. Ed io esco di scena. Non andremo oltre una conversazione civile. Io e te, non abbiamo più niente da dirci, ora.» sibilai con cuore spezzato, afferrando la maniglia della portiera.
Quanto mi costava dirli tutto ciò? Troppo.
Feci per scendere, ma Matteo mi afferrò per un braccio impedendomelo. Aprì la bocca per parlare, ma non disse una parola. Scossi il capo e mi liberai dalla sua presa. Scesi dall’auto.
Sentii le lacrime premere per uscire. «Sai che io ci sarò sempre, Matteo. Sai che io rimarrò sempre la piccola Ely. E anche se dovrei odiarti, e giuro con tutto il cuore che vorrei tanto poterlo fare, non ci riesco. Perché ti voglio bene, se non di più. Ma rimarrò dietro le quinte, senza intralciare il tuo spettacolo. Nonostante tutto… io non ti negherò mai il mio aiuto. Ma non chiedermelo adesso. Per le prossime settimane io e te non abbiamo nulla da dirci. Un giorno potremo essere ancora amici come una volta.» mi contraddetti, rassegnata ai battiti innamorarti del mio cuore, togliendomi per un attimo la maschera di rabbia che indossavo.
Chiusi con violenza la portiera e mi allontanai sotto il suo sguardo smeraldo.

 

*

Bene, ho davvero pochissimo tempo. Ho una montagna di argomenti da ripetere per la simulazione della terza prova –con voto. Mi rincresce tanto, davvero, non potervi ringraziare a modo.
Perdonatemi.
Grazie di cuore a voi, che avete recensito lo scorso capitolo: Piccola Ketty, sonietta, Ebbi, Nessie93, KeLsey. Vi prometto che mi rifarò nel prossimo capitolo.


A voi, un bacio,
                       
 Panda.

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Capitolo 21
*** You're just a sad song with nothing to say ***


21. You're just a sad song with nothing to say.
    
Sei solo una canzone triste senza niente da dire.

 


In piedi, parlavo con Davide e Stefano. Ero lì col corpo, ma con la mente ero alla conversazione avuta poco prima con Matteo.
Sì, faceva male. Faceva maledettamente male ed, io, non potevo fare nulla per impedire che il dolore annegasse il mio cuore. Sentivo il bisogno di piangere, ma avevo promesso a me stessa di non farlo, non per lui, non in quel modo.
Apaticamente e distrattamente cercavo di seguire la conversazione.
«Allora domani ci vediamo domani alle nove?» chiese Davide.
«Certo.» rispose Stefano.
Alzi il capo per guardarli.«Per cosa?»
Entrambi corrugarono la fronte.
«Sicura di non aver battuto la testa, prima?» chiese Davide. Roteai gli occhi.
«Si va al mare. Tutti insieme.» aggiunse Stefano guardandomi in volto, con leggera apprensione. Mi irrigidii e sentii sbiancarmi.
«Ah.» soffiai. «Io non vengo.», annuii col capo.
«Perché?» domandò Davide.
«Non posso… ehm… devo fare delle cose… con mia madre.» farfugliai improvvisando.
«Oh. E non puoi raggiungerci con Matteo e Alice? Loro vengono più tardi.»
A quei nomi mi sentii stringere il cuore. Sgranai gli occhi e scossi velocemente il capo. «Non posso proprio.» mormorai chiudendo gli occhi. Quando gli riaprii Stefano fece un cenno comprensivo con la testa, Davide mi scrutò.
«Sei strana, Ele.» disse.
«Ti ricordo che sono svenuta.» mormorai abbassando lo sguardo e portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Forse.»
Fu allora che nella conversazione irruppe Martina, la sorella di Matteo.
«Ciao, ragazzi. Ciao Eleonora! Stai bene?» chiese accarezzandomi piano un braccio. «Ti sei ripresa?»
Davide e Stefano la salutarono.
«Si, si. Tutto okay.» balbettai.
«Fortuna che c’era Matteo.» sospirò.
A quel nome fremetti. «Come?»
«Beh, sì, appena sei caduta lui è corso a raccoglierti. Cioè si è precipitato, effettivamente, Non ha dato nemmeno il tempo a quel tizio di fare qualcosa. Tipico di mio fratello.» disse roteando gli occhi.
«Oh.»
«Non so voi, ragazzi, ma io ho bisogno di fare due passi. Mi accompagnate?» chiese guardandoci.
«Io passo. Non ne ho proprio voglia.» rispose Davide.
«Anche io.» aggiunse Stefano. Martina si voltò a guardarmi.
Sospirai. «Okay.»


«Come mai qui stasera?» chiesi voltandomi a guardarla, mentre camminavamo per le stradine semi affollate.
«Niccolò ha la febbre e mio fratello non voleva lasciarmi da sola a casa.» rispose facendo spallucce.
«Capisco.»
Niccolò era il ragazzo di Martina. Entrambi avevano frequentato la mia stessa scuola, quell’anno. Avevano preso il diploma, però.
Osservai un attimo la ragazza che mi stava accanto. Non sembrava affatto la sorella di Matteo. Aveva i capelli castani, tendenti al rosso, e gli occhi castani.
Fu lei a rompere il silenzio che venne a crearsi. «Tu sai cosa sta succedendo a mio fratello?» chiese d’un tratto.
Fantastico, pensai. Qualsiasi cosa cercassi di fare per tenerlo lontano dai miei pensieri… lui era sempre lì.
Sbattei le palpebre colta di sorpresa. «In che senso?»
«Beh, si comporta in modo strano. Pensa che per nell’ultima settimana non abbiamo litigato per nulla. Anzi, è arrivato anche ad abbracciarmi e dirmi che mi vuole bene. Oggi invece era scontroso. Non ci sto capendo più nulla. Poi lui non parla. Non parla con facilità dei suoi problemi e di ciò che sente. Sta troppo per le sue.» disse in un sospiro.
«Oh
Ripensai alla settimana appena passata. Agli ultimi quattro giorni. Quando noi… scossi il capo. Non era possibile.
«Non lo so.» mormorai.
«Sei triste?» chiese con fare dolce.
«Uhm… stanca.» dissi in una smorfia, colta in fragrante.
Lei sorrise, prima di ricominciare a parlare. «E poi quell’Alice. Dio, quanto la odio.»
Sconcertata e sorpresa mi voltai a guardarla. «Cosa?»
«Sì, non la sopporto. Sarà anche la ragazza di mio fratello, ma non la reggo. E’ troppo svampita per lui.»
«E’… simpatica.» mi sforzai di dire.
«Come se bastasse questo.» sbuffò. «Mio fratello merita di più, Ele. Io lo so, lo conosco. So che persona fantastica è.»
Lo so, lo so, dissi a me stessa. Sospirai e mi passai una mano fra i capelli.
«Lei davvero non lo merita.»
«Forse.»
«Lui merita una come te, Ele.»
A quelle parole inaspettate il mio cuore si riscaldò trepidante, per ricongelarsi nuovamente di fronte alla cruda realtà: lui non mi avrebbe mai amata.
«Non dire questo.» mormorai, lottando con me stessa per mantenere un tono controllato e fermo.
«Se avessi avuto Alice a pranzo non lo diresti.» disse in una smorfia. «Non hai idea di quante volte gli abbia detto: “Ehi perché invece di Alice non ti metti con Eleonora?”» rise della sua frase, scuotendo piano il capo. «Spero di non metterti in imbarazzo.»
Accigliata scossi il capo, senza proferire parola.
«E lui cosa rispondeva? “Siamo solo amici, Marti”. Mah. Magari a te nemmeno piace. E poi era anche per scherzare.» disse in un risolino.
Scossa sorpresa la fissai per attimo prima di tornare a guardare il marciapiede.
«Scusa per questo sciocco sfogo.»
«Figurati.» soffia.
Con la coda dell’occhio la vidi scrutarmi. «Perché a te non piace, vero?»
Non riposi subito. Guardai avanti a me un bambino mangiare un gelato, la sua mano in quella della mamma.
«No». E sperai non si accorgesse del mio patetico tentativo di nascondere la realtà, cruda e violenta. Celai i miei sentimenti nel cuore, sperando non trapelassero ai suoi occhi.

 

Cosa aveva provato Matteo in quel momento?
Nemmeno lui lo sapeva con precisione. L’aveva vista cadere, sbattere la testa al duro marmo, bagnarsi di birra i jeans… perdere i sensi.
Lo stomaco gli si era stretto in una morsa ed era impallidito sotto lo sguardo attonito della sua ragazza. Si era precipitato sul corpo della giovane, pervaso dalla paura.
Ed ora, mentre Alice gli baciava il collo non faceva che pensare alla loro conversazione, a quegl’occhi scuri e bellissimi implorargli di lasciarla andare. Non faceva che pensare alla labbra che aveva baciato nei giorni precedenti e alla felicità di quei fugaci momenti.
Le parole pronunciate con voce tremante da Eleonora erano come marchiate a fuoco nella sua mente… e nel suo cuore. Faceva male la consapevolezza di averla ferita, di non averla trattata come avrebbe dovuto. Lei, cristallo nelle mani di un gigante.
Chi era in realtà Eleonora? Perché non faceva altro che pensare a lei?
Desiderava rivedere quegli occhi, inebriarsi del dolce profumo di pesca dei suoi capelli scuri, bearsi del suono della sua risata cristallina,così sincera e contagiosa. Desiderava vederla sorridere come aveva fatto in spiaggia. Voleva cancellare l’aria malinconica che scuriva il suo viso sottile. Ed era consapevole che era colpa sua.
Alice prese a sbottonargli la camicia, sporgendosi sul sedile del guidatore. E lui pensò ad Eleonora, che in quella magica sera che lo baciò con passione e desiderio, affetto e dolcezza.
Chi era lui per ferirla così? Chi era lui per far del male a quell’animo buono e gentile?
Alice prese a baciargli il petto.
Pensieri, ricordi, desideri, gli vorticavano nella testa, in maniera confusionaria, quasi stordendolo.
«No.» disse con voce ferma Matteo. Alice si allontanò da lui, corrugando la fronte.
«No?» ripeté confusa.
«No.»

 

*

E la storia volge alla fine, purtroppo. Certo, non è l’ultimo capitolo, ma ci siamo quasi. Mi piacerebbe continuarla, ma con la scuola non mi sembra il caso… ma appena finisce… beh, potete ben capire cosa succederà XD
Ad ogni modo, ci tengo a ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo:
__Yuki__ : ciao, cara! Non sai che piacere leggere la tua recensione! *-* Stefano è l’amico che ho sempre desiderato avere e che –penso- sia quello perfetto per un po’ tutti. Il tira e molla… uhm, non posso esprimermi XD Grazie mille per la bellissima recensione, davvero, mi ha fatto un sacco piacere. Alla prossima, cara! Grazie, grazie mille!
KeLsey: ciao, Eri! Speravo in una tua recensione, sai? *-* La povera Alice è ignara di tutto, già, poverina. Pff. Comunque, sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Non sai quanto! I capitoli adesso saranno forse un po’ più complicati, ma spero non ti deluderanno. Grazie, Eri, grazie di cuore… per tutto. Ti voglio bene. (L)
Nessie93: ciao, Chià! Non puoi scrivermi certe cose! Le tue recensioni sono sempre così belle *-* E comunque… tu viaggi molto con la mente, ma le tue ipotesi mi divertono un sacco perché di tanto in tanto ci prendi anche, o se ci prendi ti depisti da sola XD Ma dai, non era avvelenato, povera Alice! Lei, ignara di tutto. Spero di non averti delusa con questo capitolo. A presto, cara. Ti voglio bene. Grazie, grazie di tutto.
Piccola Ketty: ciao, Kè! *-*  Okay, se mi lasci queste recensioni come posso non gongolarmi come una sciocca? *-* Grazie! Anche io, come ti ho detto, faccio molta attenzione al tipo di scrittura al tipo di punteggiatura, perché delle volte ti danno informazioni sull’autore –forse è folle da parte mia. La fiction al’'inizio non doveva avere più di 12 capitoli… ma, ovviamente, come ogni mia fiction, questo non è stato possibile. Mi dilungo troppo. Anche io sono contenta di averti conosciuta. Sei una belle persone che vale la pena di conoscere, davvero, non lo dico tanto per dire. Grazie, Ketty, grazie di cuore. <3
Valentina78: ciao! XD Beh, forse molti avrebbero reagito così. Sono contenta tu l’abbia trovato
intenso, per me p molto importante fare arrivare al lettore i sentimenti del personaggio… ci tengo tantissimi, possiamo dire che è il mio intento principale. Spero di non averti delusa con questo capitolo. A presto, cara. E grazie mille per la recensione!


A voi, un bacio,
                    
Panda.

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Capitolo 22
*** Lets go back to the start ***


 

I can't find the words to say
They're overdue
I've travelled half the world to say
I belong to you.(*)

 

22. Lets go back to the start.
      Ricominciamo dall’inzio.
     
 


L’amore è donare se stessi all’altro. Riporre i propri sogni, le proprie speranze, i propri desideri nell’altro. In fondo, io, un po’ l’avevo fatto, mio malgrado, in qui pochi giorni di estrema felicità. Ed era stato stupido da parte mia, conscia che tutto sarebbe finito tragicamente.
Ero una sostituta. Lo sarei sempre stata.
Ero il gelato dopo i pasti. Si può sopravvivere senza esso. Si può farne a meno.
Scossi il capo.
Sapevo che avrei dovuto ingerire qualcosa, fare colazione, ma non ne avevo voglia. La sera precedente ero stata costretta a magiare un pezzo di pizza, sotto lo sguardo attendo di Stefano e Sofia. Riluttante, obbedii ai loro ordini.
Mi rigirai sul letto, mentre il sole faceva capolino oltre le persiane semi chiuse, fino a mettermi a pancia in su, fissando il soffitto color della neve.
Faceva caldo, nonostante indossassi shorts e canotta. Avevo la nausea e non avevo voglia di alzarmi dal letto quel giorno, sorridere e far finta che non fosse successo nulla. Mi sentivo svuotata, prima di energie, causato non solo dalla mancanza di cibo, ma anche dal senso di abbandono e malinconia per qualcosa che non avrei mai avuto.
Passai tutto il girono a letto, fissando il muro, leggendo distrattamente un libro, guardando un talk show in tv. Ignorai mia madre che mi chiedeva cosa avessi, perché non avessi voglia di mangiare, rispondendole che non mi sentivo bene, forse per il caldo che mi aveva causato un terribile mal di testa.
Che bugiarda, continuavo a dirmi ogni volta che faceva capolino oltre la porta.
Ignorai anche le telefonate di Stefano ed i messaggi che mi inviò Sofia. Non volevo sentire nessuno, non volevo vedere nessuno. Volevo solo crogiolarmi nella mia stupida delusione amorosa, come ogni ragazza della mia età.
Quando Stefano bussò alla porta di casa e mia madre venne in camera per infornarmi che mi attendeva in cucina, biascicai: «Digli che non sto bene e sto dormendo.»
«Ne sei sicura, tesoro?»
«Si, mamma.»
E per concludere, la notte non riuscii a dormire, perché sulle palpebre chiuse dei miei occhi vedevo la sua immagine, le sua mano stringere quella di Alice e le sue labbra cercare le sue.


Dopo aver mangiato un po’ di insalata di riso per pranzo, il giorno successivo, decisi di fare un giro per prendere un po’ d’aria e schiarirmi le idee.
L’acqua fredda del getto della doccia mi rinfrescò, togliendomi il velo di sudore sul collo.
Indossando un paio di pantaloncini di jeans, che mi lasciavo scoperte le gambe facendo respirare la pelle, un canotta bianca, ed indossando la mia immancabile borsa di stoffa colorata, uscii… da sola.
Mi incamminai per le stradine desolate e silenziose, raccogliendomi i capelli in una coda alta, lasciando che ciocche ribelli e scomposte mi sfiorassero il viso. Mi portai la borsa a tracolla, afferrandola sul petto ed tenendola con i pollici. Di tanto in tanto strisciavo con i piedi, sospirando e sbuffando.
Camminavo senza meta, fino a che, senza rendermene conto, mi ritrovai al parco. Quello stesso parco che era stato un punto di ritrovo per me e Matteo. Sorrisi a me stessa, coscia della pazzia che piano di impossessava di me, e mi sedetti ad un
panchina, quella stessa panchina dove mi informò della sua relazione con Alice.


«Ele, Ele!» urlò Matteo mentre aspettava la ragazza.
Eleonora avanzò lentamente, confusa. «Cosa c’è? Di cosa mi devi parlare con tanta urgenza?» chiese mentre si avvicinava al ragazzo.
Lui le corse incontro sorridendole e lei sentì il cuore riscaldarsi, sotto lo sguardo smeraldo di Matteo.
Lui la raggiunse, il cuore che batteva all’impazzata.
«Ele… ci siamo messi insieme.»
Il mondo di Eleonora si sgretolo poco a poco.


«Non puoi evitarmi per sempre.»
Malinconicamente alzai il capo verso il Stefano. «Un po’ ci speravo.»
«Sciocca.» disse lui sedendosi accanto a me. «Come stai?»
«Sinceramente?» chiesi facendo una smorfia.
«Sì.»
«Uno vero schifo.» ammisi incrociando le gambe sulla panchina di legno.
«Lo immaginavo.» disse accarezzandosi la spalla, prima di stringermi a lui.
«Mi dispiace tanto, Ely. Tu non lo meriti questo. Tu meriti tutta la felicità del mondo.»
«Così non mi aiuti.» risposi schioccando la lingua.
«Ma è la verità.»
«Non c’è nessuna verità.» ribattei. Stefano scosse il capo e sospirò.
«Come facevi a sapere che ero qui?» continuai.
«Stavo andando da Sofia. Ho deciso di tagliare per il parco. Così ti ho trovata. Perché non vieni?»
Feci una smorfia. «Non ne ho voglia.»
«Dai, Ele… ti farà solo del bene.»
«Preferisco restare qui.»
«A farti del male perdendoti nei ricordi.»
Sì.
«No.» mentii.
«Dio, Ele… non so più che fare con te. Non puoi continuare così.»
Poggiai i piedi sulla ghiaia e i gomiti sulle ginocchia, prendendomi il viso fra le mani e chiudendo gli occhi.
«Cerca di sorridere, di reagire almeno… oh, ciao.»
Alzai il capo e lo vidi. Lo vidi bello come non mai. La linea perfetta delle spalle scolpite, la linea sottile dell’addome, messi in risalto da una normale e semplice maglietta grigia. Le braccia inermi lungo i fianchi, le labbra dischiuse, una strana luce negli occhi verde smeraldo.
Il mio cuore si strinse in una morsa incapace di reggere la sua presenza lì, e lo stomaco mi si contorse, annodandosi quasi. La voragine cominciò a risucchiarmi.
«Ciao.» sussurrò in un filo di voce.
«Ciao.» soffiai. Per istanti infiniti rimanemmo l’uno negli occhi dell’altro, persi nel proprio mondo personale.
Cosa ci faceva lì? In messaggio non era stato forse chiaro?
«Credo… sia meglio, per me, andare da Sofia. Ci vediamo Ele.» disse Stefano carezzandomi la schiena. «Ci vediamo più tardi Matteo.» continuò poi con tono e sguardo duro ed aspro.
Calò il silenzio. Lui di fronte a me, a qualche metro di stanza mi fissava con sguardo imperscrutabile.
«Cosa vuoi?» chiesi infine con tono atono.
«Hai due minuti? Avrei… bisogno di parlarti.»
Seduta, con ancora le braccia poggiate sulle ginocchia, annuii. «Ti ascolto.»
Matteo fece qualche passo in avanti, rimanendo a tre metri di distanza da me.
«Mi dispiace.» esordì.
Corrugai la fronte. «Me lo hai già detto. Sei venuto qui per questo? Fantastico.»
Sentii la rabbia ed il dolore ribollirmi nelle vene, così mi alzai e feci per andarmene.
«Oh, al diavolo!» esclamai allargando le braccia al cielo.
«Vuoi solo ascoltarmi per un secondo?» urlò. Il suo tono di voce, un tono perentorio e autoritario che non gli apparteneva, mi costrinse a voltarmi.
Con espressione seria lo fissai attendendo che continuasse.
«Non avrei dovuto, non avrei dovuto comportarmi come ho fatto negli ultimi giorni. Tu non lo meriti.»
Aprii la bocca per replicare, ma lui mi zittì con un gesto della mano.
«E’ stata una storia sbagliata sin dall’inizio. Non sarebbe mai dovuta cominciare. Credevo fosse amore, ma non lo era. Sono stato cieco, non ho visto davvero. Non ho saputo leggere il linguaggio del mio cuore.»
Lottai inutilmente contro le lacrime che presero a scorrermi sul viso. «Sei venuto per dirmi che ti eri illuso su me?» chiesi con voce tremante.
«Ti prego, Ely, non piangere. Non sono venuto per dirti questo.»
«Che è stato tutto un errore?»
«Che ti amo.» disse d’un fiato.
Sgranai gli occhi e sentii il mio cuore perdere un battito per poi accelerare la sua corsa.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata.
«Che ti amo. Sono stato uno stupido. Sono stato un idiota, lo so. Stavo con la ragazza sbagliata e per tutto questo tempo non l’ho capito. Ma… quando ti ho vista andare via, con la consapevolezza ti averti persa… io… volevo solo rincorrerti e dirti che… che… avevo sbagliato. Ely» pronunciò il mio nome con estrema dolcezza, come fosse una carezza, «per tutto questo tempo sono stato cieco, non ho visto cosa era ovvio. Per tutto questo tempo sono stato con la ragazza sbagliata.» mormorò facendo un passo in avanti.
«Non trovi sia un po’ tardi?» chiesi senza voce.
«E’ il mio timore più grande.»
Sentii il cuore martellare violentemente contro il mio petto, tanto forte che sembrò volesse librarsi nell’aria.
Feci un passo in avanti, reprimendo un sorriso. «Dipende da cosa hai intenzione di fare ora. Hai intenzione di evitarmi, dopo questa confessione?»
«Solo se tu lo vuoi. Anche se mi costerà tremendamente.», nei suoi occhi, solo sincerità.
Feci un passo avanti, facendo una smorfia. «Sarebbe scortese, non trovi?»
Matteo sorrise. «Perciò sarebbe meglio se non lo facessi, giusto?». Fece un passo in avanti.
«Giusto.», annuii col capo, abbozzando un sorriso.
«Sarò un’odiosa pulce.» mormorò.
Schioccai la lingua ed avanzai ancora. «Potrei sopportarlo.»
Lui sorrise ed i suoi occhi verde smeraldo si illuminarono.
Arricciai le labbra e corrugai la fronte. «Credo di non ave sentito bene un paio di paroline.»
«Ah si?» chiese, e con un passo eliminò la distanza fra noi, fino a che il suo piede non toccò il mio.
Annuii col capo.
«Che mi dispiace?». Scossi il capo.
Un angolo delle sue labbra si sollevò verso un occhio. «Ti amo, Ely.»
Fu allora che non riuscii più a controllare i muscoli facciali e le mie labbra si distesero in un sorriso, mentre il mio cuore palpitava ricolmo d’amore.
Matteo si chinò, baciandomi il collo, lasciandomi una scia infuocata mentre spostava le labbra verso le mie. Le baciò con estrema dolcezza.
«Sai la cosa buffa?» chiesi sulle sue labbra, mentre circondavo il suo collo con le mie braccia, carezzandogli piano la nuca.
«Che anch’io ti amo. Da sempre.»
Sorrise e circondami l’addome con le braccia mi strinse forte a se, muovendo le sue labbra sulle mie, con decisone e passione, ma anche con dolcezza e tenerezza.
Feci per saltare e lui, stringendomi per i fianchi, mi sollevò. Incrociai le gambe attorno al suo corpo.
«Scusami se ho aspettato tanto.» mormorò guardandomi negli occhi.
Gli presi il viso fra le mani. «Non importa.»
«Ti amo.»
«Ti amo.»
E ancora le nostre labbra si fusero, sigillando un patto che affondava le proprie radici nei nostri animi, ma, soprattutto… nell’amore.

 


*

(*)Non riesco a trovare le parole da dire
esse sono in ritardo
ho viaggiato per mezzo mondo per dire
che io ti appartengo

Ed eccomi qui, finalmente. Non è l’ultimo capitolo. Dovrebbe mancarne un altro… più l’epilogo, ovviamente.
Ci ho messo l’anima nel scriverla e spero davvero di cuore che vi sia piaciuto almeno un po’ questo capitolo. Ci tengo molto a questa storia, forse perché sono i
miei personaggi, e di nessun altro.
Ad ogni modo, ci tengo tantissimo a ringraziare gli angeli che anno recensito lo scorso capitolo.

Valentina78: ciao! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo scorso e l’intera storia, per me è davvero molto importante. Per tua fortuna, o sfortuna, questo non è esattamente l’ultimo. Spero di non averti delusa con questo capitolo. Grazie, cara, grazie davvero per la recensione.
Piccola Ketty: oh, Ketty. *-*  tu non puoi scrivermi cose del genere, non puoi… mi vizi troppo così! Ovviamente in questo capitolo ci sono meno errori ed alcune frasi sono state sistemate, ma la trama è quella. Sono contentissima ti sia piaciuta, sai quanto è importante per me il tuo parere, davvero. Ti voglio bene, scema.
Nessie93: ciao, Chià! Ed eccoti qui il capitolo tanto atteso. Spero di non averti delusa… conoscendo i tuoi gusti… non credo proprio XD  Beh, un po’ sul finale ci hai preso, non credi? Sono contenta ti piaccia, per me Eleonora e Matteo sono davvero molto importanti… sono i più reali. Grazie di tutto, Chiara, davvero. Grazie, grazie, grazie. Ti voglio bene.
__Yuki__: ciao! *-* Non sai che piacere mi ha fatto la tua recensione! Ho gongolato per un bel po’! Hai colto molto circa la storia ed Ele, davvero, e sono felicissima di sapere che sei riuscita ad immedesimarti nel personaggio. Quando scrivo metto me stessa e spero che gli altri possano provare ciò che provano i personaggi, esattamente come me. Il mio scopo non è solo narrare vicende, ma trasmettere qualcosa al lettore… ed è una cosa difficile, a parer mio. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Grazie, davvero, per le bellissime parole. Grazie.
KeLsey: ciao, Eri! *-* okay, ora mi fai sciogliere. Non puoi dirmi certe cose! Beh, alla fine Matteo ha deciso XD  sono contenta ti sia piaciuto l’incontro da Eleonora e Martina, davvero *-*  lo sai, il tuo parere è importante per me. Grazie di cuore, Eri, per tutto ciò che fai. Ti sembrerà poco, ma non è così. Ti voglio bene, mostriciattolo.
brokenpromiseland: ciao! *-*  grazie per la recensione, davvero! Mi ha fatto molto piacere sapere ciò che pensi, ma non devi assolutamente sentirti in colpa per delle recensioni, mancate
:)  Sono contenta ti piaccia il mio modo di scrivere, anche se non è un gran che. Spero di non averti fatta attendere molto. Grazie, grazie davvero per la recensione.


A voi, con immenso affetto,

                                          Panda. 
 

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Capitolo 23
*** You, are, the only exception and I'm on my way to believing ***


23. You, are, the only exception  and I'm on my way to believing.
    
 Tu sei l’unica eccezione e sono sulla buona strada per crederci.

                                             

 

Matteo scese dall’auto, dirigendosi alle grandi panchine di marmo. S’infilò le chiavi in testa e, dopo aver estratto una sigaretta dal pacchetto semivuoto portandosela fra le labbra, l’accese. Fece un cenno col capo, quando raggiunse i suoi amici.
«Ciao, ragazzi.» disse espirando del fumo.
Stefano che parlava con Davide si voltò a guardare l’amico. Lo sguardo del ragazzo era imperscrutabile e fissavano quelli di Matteo.
Cos’era successo? Stefano non sapeva.
Dov’era Eleonora? Perché non rispondeva alle sue chiamate? Era passato a casa sua, ma lei non c’era. Ed, in quel momento, avrebbe voluto dare uno spintone a Matteo e chiedergli cosa fosse successo, dove fosse finita Eleonora.
Avrebbe voluto leggere ciò di cui aveva bisogno sul viso di Matteo, ma il suo sguardo era indecifrabile.
Matteo abbozzò un sorriso, quando incontrò lo sguardo truce di Stefano.
«Ciao, Matteo!» rispose Davide dandogli una pacca su una spalla. Stefano lo saluto con un cenno del capo.
Aveva bisogno di sapere cosa fosse successo, avevo bisogno di sapere cosa le avesse fatto.
L’aveva ferita?
Stefano decise così di attendere l’occasione adatta per tempestarlo di domande, lontani da orecchie indiscrete.
«Come va?» chiese Matteo prima di aspirare del fumo.
«Non c’è da lamentarsi. A te?»
Matteo, portandosi al sigaretta alle labbra, fece spallucce. Stefano sentì l’irrefrenabile voglia di ucciderlo con le sue stesse mani. Una lenta morte dolorosa.
«La tua ragazza?» chiese Davide.
Matteo che fissava la strada più trafficata di quella piccola cittadina, sorrise, col cuore ricolmo di gioia.
«Sta arrivando.» disse fiero di ciò che gli si era rivelato all’improvviso.
Stefano e Davide volsero lo sguardo in direzione di quello di Matteo, cercando la figura di Alice. Ma non la videro.
Davide corrugò la fronte. «Io non la vedo. C’è solo Eleonora.» disse confuso.
Stefano si voltò di scatto a guardare Matteo, con occhi sgranati e bocca spalancata.
Matteo si perse per istanti infiniti nel viso d’angelo della piccola Eleonora, che a passo svelto si avvicinava a loro. Un largo sorriso sul viso.
«Esatto.» mormorò Matteo fiero di ciò che avrebbe stretto entro poco fra le mani.
Fu allora che Stefano capì. Fu allora che Stefano capì che l’amore non può essere nascosto o celato, che traspare comunque vada. E ciò che legava i due, era
amore.

 

*

Okay, a dire il vero questo nella storia all’inizio non c’era ma… l’ho scritto, e non sapendo dove l’ho inserito, l’ho usato come “ultimo” capitolo prima dell’epilogo. Spero non vi dispiaccia.

Nessie93: ciao, Chià! Ed eccomi ancora qui. Bene, da dove iniziare? Innanzi tutto grazie, grazie di cuore per la bellissima recensione. Sono contentissima di sapere che il capitolo è stato di tuo gradimento, davvero. E sono contenta anche di averti un po’…. Sorpresa, per me è davvero importante. A presto, cara. Ti voglio bene.
Valentina78: ciao! *-* Sono contenta di sapere che il capitolo ti è piaciuta… e che tu abbia riscontrato l’aver messo me stessa nella stesura. Grazie, grazie di cuore. Spero che questo mini-capitolo sia stato di tuo gradimento. A presto!
Piccola Ketty: ciao, mia bella! *-* oh immenso picare leggere le tue recensioni! Mi basta anche solo sapere che ne pensi, sono sincera. Fai così tanto per me *-*  Sapere che i personaggi ti piacciono, che il mio… “stile” ti piace… oh, cavolo, non sai quanto mi renda tremendamente felice! Grazie, Kè, grazie di cuore. Ti voglio bene.
KeLsey: ciao, Eri! *-* Alla fine ce l’ho fatta, volge al termine. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente, davvero tanto! Ti si sono illuminati gli occhi e hai cominciato a boccheggiare? O.O  okay, ammetto che qui mi sono commossa. Non sai quanto sia importante ciò che hai detto! *-* Sapere che ti è arrivato… oooooh. Grazie, Eri, grazie di cuore. Ti voglio bene.
sbrodolina: ciao! *-*  guarda… quando ho letto al tua recensione, ho cominciato a gongolare come una scema! Grazie! Davvero ti piace? A questo fiction ci tengo tanto perché… in fondo, dal mio punto di vista, ognuno può immedesimarsi nei personaggi. Ho cercato di renderli il più veri possibile, non so se sono riuscita nel mio intento… ma le tue parole mi hanno riempita di gioia, davvero!  Grazie, grazie, grazie. A presto!

A voi, con immenso affetto,
                                         Panda.

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Capitolo 24
*** Can you feel the love tonight? ***


Epilogo.


Can You Feel The Love Tonight?
Riesci a sentire l’amore questa sera?


Dire che quell’estate fu bellissima, sarebbe davvero troppo poco. Fu di più.
Non v’era giorno in cui non riuscivamo a ritagliarci un piccolo spazio per noi, fatto di semplici conversazioni o prese in giro… cosa in cui lui riusciva alla perfezione.
Stefano e Sofia ne erano entusiasti, più di quanto mi aspettassi, e la frase che molti dissero sorridendo fu: «Finalmente!»
Ad ogni modo, quello stesso pomeriggio, in cui le sue labbra divennero finalmente mie, vari erano gli interrogativi che mi affliggevano.
Matteo, circondandomi le spalle con un braccio mi condusse sulla panchina, facendomi sedere sulle sue gambe.
«Alice?» chiesi mentre mi carezzava la pelle delle gamba con i polpastrelli.
«E’ finita.»
«Beh, questo l’avevo capito, genio.»
Rise. «Le ho detto che… che mi ero innamorato.»
«Ti rendi conto che è un po’ ambigua come cosa?»
«In effetti ha risposto che già lo sapeva.»
Feci una smorfia. «Questa cosa non mi piace.»
Mi baciò il braccio. «Così, le ho detto di amare un’altra. Da ben due anni, solo che non me n’ero ancora accorto.»
Roteai gli occhi. «Certo, certo.»
Rise ancora.
«Scommetto che ti stava palpeggiando.» mugugnai.
«Più o meno.»
Sgranai gli occhi. «Ma io dicevo tanto per dire!» esclamai scioccata.
«Ma l’ho allontanata.» disse baciandomi la spalla.
Grugnii e gli tirai un pizzicotto.
«Ahi!» protesto toccandosi il fianco.
«Da oggi toccherai solo me. No?» chiesi, con serietà. E capì che non scherzavo.
«Assolutamente sì.», e mi bacio il collo.
«Hai intenzione di continuare ancora per molto?» dissi chiudendo gli occhi e godendomi la sensazione delle sue labbra sulla pelle.
«Di fare cosa?» soffiò sul collo. Sentii un brivido percorrermi la schiena.
«Di evitare le mie labbra. Eppure non credo sia difficile trovarle. Guarda, sono proprio qui, sul viso.» mormorai sorridendo ed indicandole con l’indice.
Matteo si allontanò, ridendo sommessamente. Incrocia le braccia al petto.
«Vieni qui.», e premendo il palmo della mano sulla mandibola, appena sotto l’orecchio mi attirò a se, baciandomi.
Dopo pochi secondi mi allontanai.
«Mi spieghi una cosa?»
Matteo roteò gli occhi. «Che altro c’è, ora?» sospirò baciandomi il mento.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
Lui arricciò le labbra e prese a grattarsi la nuca. «Ecco… sono passato da casa tua.»
Sgranai gli occhi. «Davvero?». Lui annuì col capo.
«Waw.» mormorai.
«E tua madre mi ha detto che eri uscita e che Stefano non era passato a prenderti. Perciò ho pensato che forse eri sola. Certo, potevate esservi incontrati da qualche parte…»
«Chiamarmi?»
Alzò un sopracciglio. «Perché, mi avresti risposto?»
«No, probabilmente no.»
«Ora posso baciarti?» chiese con occhi ricolmi di dolcezza.
Feci finta di pensarci un po’ su. Feci spallucce. «Okay.»
E così volge al termine la mia favola personale. Anche se io non la considero propriamente una fine. Quello era un inizio. Un meraviglio inizio. E non mi importava se il tempo presto o tardi ci avrebbe giocato brutti scherzi. Per il momento ero felice di godermi i miei diciott’anni… senza pensieri.



*

Ed eccomi qui, finalmente.
Bene, adesso è davvero conclusa… o quasi. Come è stato detto, è solo un inizio.
Ad ogni modo, ci tengo tanto a ringraziare gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo. Mi avete riempito di gioia.

Sbrodolina, grazie infinte. Sono contenta ti sia piaciuta. A presto. Con immenso affetto Panda.


Piccola Ketty, una sola cosa: ti voglio bene. Grazie per il supporto. Ti adoro, sempre e comunque. Un immenso abraccio, tua Mel.

Nessie93, grazie per avermi seguita e seguirmi. Grazie di cuore, Chià. Ti voglio bene.

Valentina78, grazie per la recensione. Mi ha fatto tanto piacere. A presto. Panda.

anna96, grazie per la primissima recensione. Mi ha fatto piacere sapere che l’hai seguita. Questo per me, conta già molto.

KeLsey, e grazie a te, piccola Eri. Grazie di tutto. Ti voglio bene.

 



A presto!

 

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