Moonlight - Baciata dalla luna di Julie Darkeh (/viewuser.php?uid=565983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Parcheggio privato ***
Capitolo 3: *** 2 - Un libro e una mela ***
Capitolo 4: *** 3 - La famosa Eleanor ***
Capitolo 5: *** 4 - Paura ed emozione ***
Capitolo 6: *** 5 - Gwen ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
MOONLIGHT
Baciata dalla luna
Nota importante:
Originariamente la storia è nata come fanfiction su Ville
Valo, frontman degli HIM, quindi il personaggio di Valentin Virtanen ha
il suo aspetto e le canzoni citate nella storia sono degli HIM. I nomi
cambiano per via dei contenuti delicati, ideati interamente per puro
caso e non per offendere personaggi realmente esistenti.
Tutti i diritti
sono riservati, quindi evitate il plagio, grazie.
Prologo
Leggere
mi riempiva tutte quelle giornate calde di luglio passate in camera
mia, mentre i vicini sguazzavano nelle loro piscine o prendevano il
sole sulla terrazza. Per me “estate” non
è mai stato sinonimo di
“divertimento”, ma di “riposo”.
Preferivo scoprire qualche
libro piuttosto che gettarmi in una vasca d’acqua o imbrunire
la
mia pelle. Dopo un anno di scuola passato ad eseguire letture
obbligate, esercizi di matematica, analisi di opere artistiche e
studi filosofici, l’unica cosa che volevo fare era perdermi
in un
libro a mia scelta. Non ho mai sopportato leggere testi che non
catturassero la mia attenzione, specialmente quelli scolastici,
eccetto il volume di storia dell'arte.
Il
mio libro preferito era Darkness di Lily Benson,
una
bravissima scrittrice di romanzi fantasy abbastanza conosciuta in
Canada. L’avrò letto circa tre volte, nonostante
le sue duecento
pagine.
Era
esattamente il 14 luglio quando cominciai a leggerlo per la seconda
volta. Mi ricordo ancora bene quella data perché fu proprio
in quel
giorno che mia madre, Lauren, entrò in camera mia per
informarmi di
una cosa molto importante.
Stavo
sdraiata sul mio letto con i piedi incrociati mentre leggevo il
primo capitolo del libro. Poco prima di voltare una pagina, sentii
bussare alla porta.
-
Posso entrare, Ellie?
-
Sì, vieni - invitai mia madre ad entrare ed aprì
la porta. Rimase
appoggiata allo stipite e con la mano che stringeva ancora la
maniglia.
Chiusi
il libro lasciando un dito tra le due pagine che dovevo ancora
leggere per non perdere il segno e posai la mia attenzione su mia
mamma.
-
Ho parlato con tuo padre - mi disse riferendosi all’ultima
chiamata fatta con John Cole, mio papà, con espressione
seria e sospirò.
-
Che ha detto? - le chiesi curiosa, anche se avevo già
intuito la
risposta.
-
A fine agosto vai da lui - mi annunciò mamma fissandomi
negli occhi.
Disse ciò che temevo, ciò che avevo intuito.
Pregai tutti i giorni
per non trasferirmi in Inghilterra da mio padre, ma le mie preghiere
non vennero ascoltate.
-
Ti avevo chiesto di convincerlo a lasciarmi in pace –
sibilai,
delusa, riaprendo il libro che avevo tra le mani e guardai a caso le
parole stampate su quelle pagine aperte.
-
E’ tuo papà, non un estraneo - mi
ricordò lei. - E’ giusto che
tu passi del tempo anche con lui.
Odiavo
ammettere che mia mamma avesse ragione. Erano passati due anni dalla
separazione dei miei genitori e quando mio papà
trovò lavoro a
Londra, io non lo vidi più. Sapevo, comunque, che prima o
poi avrei
dovuto raggiungerlo in Inghilterra per un po’, solo che quel
giorno
non volevo arrivasse così in fretta. Per me il tempo era
davvero
volato.
-
Per quanto dovrò rimanere lì? - chiesi, impaurita
di una risposta
scioccante.
-
Un anno.
-
Cosa? - reagii con gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata.
-
Un anno passa in fretta - cercò di consolarmi mia madre, ma
non ci
riuscì.
-
Ma io non mi sono mai mossa da qui! E i miei amici? Dove
andrò a
scuola? - sparai delle domande a raffica, preoccupata per il mio
nuovo frammento di vita che avrei dovuto cominciare a breve.
-
Papà ti ha iscritto ad un istituto d’arte ai
confini di Londra, è
una buona scuola - mi garantì mamma. Per fortuna non dovevo
cambiare
indirizzo di studi, ma ero comunque spaventata all’idea di
quel
grosso cambiamento chiamato “Inghilterra”. Non
volevo lasciare il
Canada, non l’avevo mai fatto prima d’allora.
-
E poi stai tranquilla, ti farai degli amici anche a Londra, vedrai -
continuò la donna a provare a togliermi tutte le paure che
avevo, ma
lei la faceva facile. Non sono mai stata molto brava a stringere
amicizie.
Era
da un bel po’ di tempo che i miei genitori discutevano al
telefono
su un mio possibile trasferimento temporaneo a Londra, dato che mio
padre sentiva la mia mancanza, e dopo tanto discutere mi ritrovai a
fare le valigie. Una volta arrivata nella fredda capitale inglese,
avrei conosciuto Caroline, la nuova compagna di mio padre, e avevo un
po’ paura di lei. Non sapevo che carattere avesse e cosa
fosse
disposta a fare per instaurare un bel rapporto con me.
Non
mi sentivo per niente pronta ad affrontare un lungo viaggio in aereo
e un’interminabile permanenza in Europa, ma Londra mi
aspettava ed
io dovetti raggiungerla. Cercai di portare con me tutto ciò
che mi
era più caro, oltre i vestiti.
E
venne con me anche Darkness della mia adorata Lily
Benson.
Pensai che una mastodontica lotta fra angeli e demoni avrebbe potuto
alleggerire quel viaggio in aereo e perché no, magari anche
quel
nuovo pezzo della mia nuova vita che sarebbe cominciata a momenti. Fu
così che volli leggere quel libro anche per la terza volta.
----------
Angolo
autrice.
Finalmente eccomi qui, cari himsters e non. Io sono
Julie Darkeh e questo che avete appena letto è il prologo
della storia più impegnativa che io abbia mai scritto fino
ad ora. Sono come voi schiava della musica degli HIM e stregata da quel
bello e dannato del cantante, il nostro Signor Valo. Ho pensato... come
sarà stata la sua carriera scolastica ai tempi del liceo? Ed
è nata questa storia.
Nel prologo non succede niente di che, ma
già dal prossimo capitolo ci saranno delle scene
interessanti. Spero che questa nuova avventura sia ricca di emozioni
soprattutto per voi e che quindi vi possa piacere. Non esitate a
scrivere un commentino!
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
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Capitolo 2 *** 1 - Parcheggio privato ***
1
-
Parcheggio privato
Me
lo immaginai meno pesante, il viaggio. Il mio libro preferito non
seppe per niente alleggerire il volo, poiché dopo aver letto
quasi
metà del romanzo mi venne sonno. Dormii per circa un paio
d’ore,
mi svegliai e poi fu difficile riaddormentarmi. Anche ascoltare la
musica non seppe distrarmi dal viaggio e non riuscivo a credere che
avrei dovuto ripetere quelle ore così pesanti anche per
ritornare a
casa. Pensai che sarebbe dovuto passare un anno prima di affrontare
il prossimo volo, così mi tranquillizzai. Non
durò per molto, però,
quell’attimo di tranquillità.
Quando
atterrai a Londra tirai un sospiro di sollievo, ma dopo un paio di
secondi mi feci riprendere dall'ansia.
Dopo
aver sceso le scale in ferro che collegavano l’aereo al
suolo,
avanzai con il mio borsone verso la navetta che, successivamente, mi
portò ad un entrata dell’aeroporto. Prima di
raggiungere mio padre
e Caroline, dovetti cercare ed afferrare la mia valigia color
caramello e passare attraverso le porte scorrevoli. Già mi
mancava
casa mia. Mi straniva sentire tutta quella gente parlare
l’inglese
con l’accento diverso dal mio, ma pensai che prima o poi ci
avrei
fatto l’abitudine.
L’agitazione
in me cresceva a dismisura e avevo paura di non riuscire più
a
controllarla. Temevo di svenire o di vomitare. A momenti avrei
rivisto mio padre dopo due anni e la sua compagna Caroline insieme a
lui. Quando sbucai dalle porte scorrevoli e vidi tanta gente
ammassata ad aspettare amici o parenti, cercai con gli occhi quei
due, ma non riuscii a trovarli subito.
-Ellie!
Ellie! Siamo qui!- sentii all’improvviso una voce maschile
chiamarmi intuendo che si trattasse di mio papà. Mi voltai
in
diverse direzioni, ma solo dopo qualche attimo scorsi in mezzo alla
folla quel viso che mi pareva tanto familiare: occhi scuri e piccoli,
baffi bruni e labbra sottili. Accanto a lui stava una donna castana,
ben vestita e dall’aria dolce. Il suo sorriso serrato e le
fossette
vicino agli angoli della bocca mi esprimevano gentilezza e sicurezza.
Quella donna era Caroline, la tanto temuta compagna di papà.
Per un
attimo pensai di essermi sbagliata sul suo conto, ma non cambiai
definitivamente l’idea iniziale che avevo di lei. Un sorriso
non ha
mai determinato il carattere di una persona, giusto?
Li
raggiunsi a passo calmo e deciso, senza fretta. Di certo non avevo
voglia di saltar loro in braccio, ma cercai comunque di mostrarmi
troppo fredda. Trovavo un po’ seccante rivedere un
papà che solo
dopo due anni si ricordò di avere una figlia in Canada.
-
Ciao papà - salutai l’uomo abbracciandolo, ma fu
lui quello a
stringere di più le braccia.
-
Ciao tesoro, ben arrivata - mi ricambiò lui dandomi il
benvenuto e,
dalla voce, sembrava anche abbastanza commosso, oltre che contento di
vedermi.
-
Ciao cara, sono felice di conoscerti, finalmente - mi disse Caroline
non appena mi sciolsi dall’abbraccio con papà e le
strinsi la mano
che mi porse sotto il naso.
-
Anche io - risposi sorridendole, ma in realtà non ero poi
così
entusiasta.
-
Io sono Caroline - pronunciò la donna il suo nome, poi
staccò la
mano dalla mia. -
Eleanor - mi presentai.
-
Tua figlia è davvero molto bella, dal vivo è
ancora meglio che in
foto - Caroline fece i complimenti a mio padre prendendolo
sottobraccio e fissando il suo volto, poi riprese a guardare me, che
rimasi senza parole per quelle lusinghe.
-
Assomiglia molto a Lauren - disse mio padre sorridendomi, ma io non
lo ricambiai.
Non
rimanemmo molto in quel punto a soffermarci in chiacchiere, per
fortuna, così ci avviammo insieme verso l’uscita
e,
successivamente, ai parcheggi. L’auto non era lontana e
ciò fu un
bene, dato che non avevo per niente voglia di cercare il veicolo a
lungo.
Durante
il viaggio in macchina non riuscii a smettere di pensare a
ciò che
lasciai ad Ottawa, la mia città. I miei migliori amici Max,
Tyler,
Eve e Bonnie organizzarono una cena per salutarmi a casa di Andrew,
quello che fu il mio ragazzo per cinque mesi e che io dovetti
lasciare per via della mia partenza. Fu doloroso, ma sapevo che era
la cosa migliore da fare. Mi ricordo che, dopo la cena, io ed Andrew
parlammo in giardino.
-
Quindi sei proprio decisa a partire? - mi chiese lui con lo sguardo
diretto verso il suolo e il piede destro che calciava i fili
d’erba.
-
Devo farlo, te l’ho spiegato - gli risposi cercando di
trattenere
le lacrime.
-
Ce l’ho con tuo padre, sai?
-
Pure io, credimi.
Andrew
alzò il viso e mi guardò dritta negli occhi. Vidi
le sue labbra
tremare e le sue iridi scure divenire più lucide.
-
Mi mancherai da morire, Ellie - disse il ragazzo scuotendo la testa e
avvicinandosi a me con le braccia aperte, con le quali poi mi avvolse
e strinse fortissimo. Ricambiai quell’abbraccio
immediatamente,
guancia sul suo torace, braccia attorno alle costole e mani sulla
schiena. Sentivo il suo cuore battermi nell’orecchio.
-
Anche tu Andy, ti amo - feci uscire quelle parole tra un singhiozzo e
l’altro mentre scoppiai a piangere sulla maglietta di lui.
Non
scorderò mai quel profumo che sapeva di pulito, il suo profumo.
Mi
risvegliai dai ricordi quando mio papà mi chiese cosa
volessi per
cena. Avevo gli occhi umidi e mi asciugai le palpebre inferiori con i
polpastrelli.
-
Non lo so, prepara quello che vuoi - risposi dopo aver deglutito
rumorosamente.
-
Ti va se ordiniamo le pizze? - mi propose Caroline con tono
amorevole. Era palese che stesse tentando di sembrare carina ai miei
occhi.
-
Va bene - concordai sperando che una pizza potesse risollevarmi un
po’ l’umore di quel giorno.
Ottawa
era ormai lontanissima, i miei amici li avrei visti solo in webcam e
Andrew non era più il mio ragazzo. Londra mi avrebbe portato
almeno
un pizzico di felicità? Lo speravo tanto perché
ne avevo un grande
bisogno.
*
* *
Il
primo giorno di scuola arrivò velocissimo dopo il mio arrivo
in
città.
In
quelle giornate passate così rapidamente provai ad
ambientarmi un
po’ in quell’aria umida tipica
dell’Inghilterra e mio papà mi
fece fare il giro di Londra insieme a Caroline. Scattai molte
fotografie durante i tour, soprattutto quando mi ritrovai sotto
l’altissimo Big Ben. Non l’avevo mai visto dal vivo
prima
d’allora. Mi piacque anche salire sul London Eye, fu davvero
pazzesco vedere al tramonto la città da quell'altezza.
Dopo
aver riempito lo zaino con il necessario ed essermi preparata, scesi
in garage per prendere l’auto che mio papà decise
di darmi per la
scuola. Non credevo che ne possedesse due, eppure ne aveva una per
sé
e una per me. A dire il vero quella che potevo guidare era di
Caroline, ma lei voleva sbarazzarsene. All’inizio mi
sembrò strano
che una persona potesse cedere la propria macchina a qualcun altro
senza esitazioni, ma successivamente realizzai che
quell’atteggiamento non era poi così anormale,
dato che Caroline
stava per comprare un’auto nuova di zecca. Cominciai a
comprenderla
ancora di più quando notai che un faro di quella che
regalò a me
era rotto e l’airbag del volante non poteva essere
più utilizzato,
poiché sul clacson c'erano strati di scotch marrone che
riparavano
il volante, apertosi durante un probabile incidente.
Nonostante
le condizioni della mia auto, partii di casa con l’ottimismo
nell’animo. Ero agitata all’idea di frequentare una
nuova scuola
e di incontrare persone nuove, ma non avevo voglia di pensare
negativo. Non avrei cominciato di certo bene la giornata in quel
modo.
Il
navigatore satellitare mi portò alla William Blake Art
School, un
istituto che dall’esterno mi parve subito abbastanza piccolo.
Pensai che probabilmente non si trattava di una scuola frequentata da
molti studenti, il che mi tranquillizzava. C’era meno gente
da
conoscere rispetto alle mie aspettative.
Parcheggiai
l’auto poco lontano dall’ingresso della scuola.
Quando scesi dal
veicolo mi guardai attorno. Odiavo essere fissata come se fossi un
alieno, ma soprattutto odiavo dover essere la nuova arrivata. Mi
diressi verso l’entrata della scuola con lo zaino ben in
spalla,
poi mi sedetti su un gradino di quella breve scalinata che stava
davanti all’ingresso. Guardai l’orario sul
cellulare e mi resi
conto di essere leggermente in anticipo, così buffai
all’idea di
dover aspettare venti minuti per entrare a scuola alla ricerca della
mia classe.
-
Scusa, è tua quella macchina? - sentii una voce femminile
non appena
una ragazza piuttosto bassa, occhialuta e con i capelli lunghi e
color caramello si avvicinò a me indicandomi
l’auto grigia che
avevo appena parcheggiato.
-
Sì, è la mia, perché? - chiesi con una
punta d’ansia nel petto.
-
Non ti conviene tenerla lì - mi consigliò la
ragazza guardandomi
con aria buffa.
-
E’ per caso un posto riservato?
-
Sì, è di un tipo che è meglio non
sottovalutare.
A
quella frase mi irrigidii, ma non volli alzarmi per spostare la
macchina. Per quanto potesse avermi un po’ allarmata il
consiglio
di quella stramba tipa, considerai il fatto del posto privato una
sciocchezza.
-
Non credo che quello sia l’unico parcheggio di questa scuola,
quel
tizio potrebbe trovare benissimo un altro posto, no?- dissi
fingendomi molto sicura di me e ciò che ottenni fu un
sorriso da
parte di quella ragazza.
-
Sei nuova e anche coraggiosa - osservò lei. - Io sono Stacie
Peters,
tu? - aggiunse presentandosi e sedendosi accanto a me sul gradino.
-
Eleanor Cole, piacere - risposi porgendo una mano a Stacie e lei me
la strinse.
-
Non sei di queste parti, vero?
-
Da cosa l’hai notato? Dal mio accento, scommetto - dissi io.
-
Già, hai un accento diverso - notò Stacie.
-
Sono canadese, vengo da Ottawa - ammisi.
-
Oh, interessante! - esclamò la ragazza, euforica, e
cominciò a
scrivere qualcosa su un blocnotes che tirò subito fuori dal
suo
zaino.
-
Che stai facendo? - le chiesi, perplessa, mentre diedi
un’occhiata
a cosa stesse scrivendo.
-
Sto prendendo appunti - mi rispose lei senza smettere di agitare la
penna.
-
Perché?
-
Hai accanto a te la direttrice del giornalino della scuola - mi disse
ammiccandomi e indicando il suo corpo con un indice. Smise di
scrivere e cominciò a farmi altre domande.
-
Perché ti sei trasferita qui? Hai dovuto lasciare molti
amici? Come
mai hai scelto proprio questa scuola?
-
Ferma un attimo! - le ordinai sollevando le due mani e mettendogliele
davanti. - Io non voglio che tu scriva un articolo su di me - le
dissi prima che potesse già progettare qualcosa per il suo
giornalino e sul volto di Stacie si formò
un’espressione di
delusione.
-
Oh, non credevo che ti potesse dare fastidio - mi disse perdendo
l’allegria che l’accompagnò dal primo
momento che mi vide. –
Ma sai, io scrivo sempre articoli sui ragazzi nuovi e…
-
Magari un altro giorno, okay? Per adesso voglio solo integrarmi nella
scuola, ma non attraverso un articolo di giornale - dissi
ciò che
pensavo alla ragazza occhialuta e lei ripose il blocnotes e la penna
nello zaino.
-
Beh, se mi dici che posso scrivere qualcosa su di te tra qualche
giorno... per me va bene.
-
Perdonami, non volevo comunque deluderti o altro del genere - le
garantii per toglierle quell’aria rassegnata che si era
formata sul
suo volto vispo.
-
Figurati, tanto prima o poi scriverò comunque qualche
parolina su di
te, tranquilla - mi ammiccò ancora una volta Stacie.
– Alla fine
finiscono sempre quasi tutti sulle pagine del giornalino scolastico!
-
Conosci proprio tutti di questo istituto? - chiesi incredula e Stacie
annuì. - Che anno frequenti? - le domandai, curiosa.
-
Quest’anno il terzo - mi rispose la ragazza. - E tu? -
rivolse la
domanda a me.
-
Il quarto, e spero che passi in fretta.
-
Perché dici così? Vedrai che ti
piacerà qui!
-
Sì, ma tra dodici mesi ritorno ad Ottawa.
-
Ah, quindi non sei venuta a Londra per restarci... passerai qui anche
l’estate, allora?
-
Sì, purtroppo.
Avevo
la strana impressione di star sbagliando tutto. Non dovevo partire
con quella negatività che inizialmente non volevo avere in
corpo.
Stavo decisamente snobbando Londra davanti ad una sua abitante e
forse fui anche offensiva nei suoi confronti. Mi pentii di aver dato
quelle risposte troppo sincere.
In
quel momento arrivò davanti alla scuola un’auto
blu con una
portiera ammaccata e notai che un bel po’ di gente la stava
fissando e commentando man mano che avanzava nel cortile in cerca di
un parcheggio. Quando la macchina si fermò dietro la mia, ne
uscì
un ragazzo alto e con i capelli ondulati e castani, lunghi fino alle
spalle. Aveva una sigaretta tra le labbra e due orecchini tondi
penzolanti dai lobi.
-
Oh, eccolo, è arrivato - mi annunciò Stacie
guardandomi e indicando
con un pollice il ragazzo della macchina blu.
Lo
guardai ancora e lo vidi voltarsi di qua e di là fondendo il
suo
profilo in una nuvoletta di fumo.
-
Di chi cazzo è questa macchina? - chiese il tipo ad alta
voce
riferendosi a tutti i presenti, ma nessuno rispose.
-
Ma chi è? - chiesi sottovoce a Stacie riferendomi a
quell’individuo.
-
Valentin Virtanen, un pessimo elemento - mi rispose la ragazza
bisbigliando.
-
Allora? Di chi è? - riprovò Valentin a chiedere e
il vociare della
gente si intensificò leggermente. Perché tutti
commentavano ma
nessuno osava rispondergli? Mi feci coraggio e mi alzai dalla
scalinata. Per quanto io possa essere una ragazza ansiosa, ho sempre
avuto il vizio di buttarmi in ogni situazione. Non ho mai capito
questo mio strano contrasto.
-
E’ la mia! - esclamai mentre raggiungevo il ragazzo e lui
voltò la
testa verso di me guardandomi con diffidenza. Aveva un’aria
particolare: il suo sguardo era un mix di mistero, fascino e malizia.
Mi sentii trafiggere il petto quando quegli occhi color ghiaccio
incontrarono i miei color oceano.
-
Chi sei? Non ti ho mai vista - disse Valentin girando tutto il corpo
verso di me e squadrandomi dalla testa ai piedi con uno strano ghigno
in faccia. Da quella strana aria diffidente passò ad uno
sguardo
interessato.
-
Sono nuova, vengo dal Canada, mi chiamo Eleanor - gli risposi con la
maschera di una ragazza sicura di sé, ma in
realtà mi tremavano un
po’ le ginocchia.
-
Sai, piccola canadese, questo posto è mio, di Valentin
Virtanen -
disse lui con la sua voce tremendamente profonda e suadente poco
prima di soffiarmi in faccia una nuvola di fumo e si indicò
con un
dito quando pronunciò il suo nome. Agitai una mano per
spazzare via
quell’odore acre dal mio naso, ma fu inutile. Il fumo si
impregnò
nei miei capelli.
Fu
un momento davvero imbarazzante per me, quello. Avevo davanti un
ragazzo molto strano e attorno a noi c’erano studenti che ci
fissavano scambiando tra loro numerosi commenti sulla scena alla
quale stavano assistendo.
Quando
Valentin rialzò la mano per portarsi nuovamente la sigaretta
alla
bocca, notai intorno al polso un tatuaggio rappresentante un
intricato gioco di rami che probabilmente continuava su per il
braccio, nascosto dalla manica della giacca di jeans.
-
C’è scritto il tuo nome da qualche parte? - lo
sfidai con quella
domanda e lui ridacchiò con la sigaretta tra i denti e
portandosi
una mano tra i capelli.
-
Non c’è bisogno di una targa col mio nome, qui -
mi garantì
Valentin riprendendo la sigaretta tra le dita e facendo cadere della
cenere a terra. - Lo sanno tutti che questo è il mio
parcheggio, ma
visto che tu sei nuova… - lasciò in sospeso la
frase e, anziché
parlare, si impegnò a fissare il mio corpo con malizia.
Stavo
cominciando a pensare che la sua rassegnazione dipendesse dal mio
corpo.
-
Che guardi? - chiesi infastidita e gli occhi glaciali di Valentin si
incastrarono nei miei.
-
La ragazza che mi ha rubato il parcheggio - mi rispose lui con
ovvietà abbozzando un sorrisetto e facendomi roteare gli
occhi al
cielo. Rimasi in silenzio e Valentin, dopo aver buttato il mozzicone
a terra per poi pestarlo con un piede, tornò in macchina.
Indietreggiai e vidi il ragazzo parcheggiare accanto alla mia auto.
Gli studenti che erano rimasti tutti a fissarci mentre parlavamo
continuavano a commentare: “Non ci credo, Valentin ha
ceduto”,
“Quella ragazza è appena arrivata e doma Virtanen
con facilità?
Ma chi si crede di essere?”, “Incredibile, ce
l’ha fatta”,
“E’ ovvio che Valentin non abbia litigato, con le
belle ragazze
fa sempre il cascamorto”.
Quando
Valentin scese dalla sua macchina, prese un borsone dai posti
posteriori e chiuse la portiera lanciandomi un’altra occhiata.
-
Domani facciamo cambio, okay bellezza? - mi chiese lui riferendosi ai
nostri parcheggi, ma più che una proposta mi
sembrò un ordine.
-
Come vuoi - risposi con espressione neutra.
Valentin
mi diede le spalle e scomparve dal retro della scuola senza proferire
alcuna parola. Guardandolo andar via, notai come fosse bello il suo
didietro e in un lampo mi venne in mente Andrew. Era impressionante
come Andy e Valentin avessero lo stesso fondo schiena. Anche la
camminata era simile. L’unica cosa che li differenziava era
il modo
di porsi con le persone. Mi risvegliai dal mio stato di trance quando
mi chiesi come mai Valentin stesse entrando a scuola dal retro. Fu in
quel momento che sentii la campanella suonare.
-
Eleanor, non ci posso credere! - esclamò Stacie quando la
raggiunsi
sulle scale e si alzò in piedi per entrare
nell’edificio con me.
-
Cosa? - le domandai facendo finta di non capire.
-
Se tu fossi un ragazzo, Valentin ti avrebbe messo le mani addosso! E
se fossi una ragazza poco carina, probabilmente non avrebbe chiuso un
occhio lasciandoti andare così- mi svelò Stacie.
-
E’ davvero così stronzo? - chiesi incredula.
-
“Stronzo” nel suo caso è riduttivo -
disse la ragazza
occhialuta.
Io
e Stacie raggiungemmo il piano di sopra salendo le scale insieme agli
altri studenti e mentre parlavo con lei di Valentin, non riuscivo a
credere con che tipo ebbi appena avuto a che fare.
-
Oggi scriverò un articolo che intitolerò
“Finlandia VS Canada:
quale stato è più potente da accaparrarsi un
parcheggio?” -
annunciò la scrittrice, fiera di sé per aver
trovato un titolo, a
parer suo stellare. Non pensavo che quel Valentin fosse finlandese,
ma ripensando al suo nome particolare mi fu tutto più chiaro.
Io
scoppiai a ridere.
-
Sei simpatica, sai? - le confessai con il sorriso.
-
Oh, anche tu lo sei, e lo pensa anche Valentin, sicuramente! - mi
disse Stacie, ancora una volta con uno dei suoi occhiolini. - Mi
piaci, sei tosta! - aggiunse infine la ragazza facendomi ridere
nuovamente.
----------
Angolo
autrice.
Buon pomeriggio
himesters e non, bentornati :)
Quale giorno migliore di
questo sarebbe potuto essere adatto per un aggiornamento di "Baciata
dalla luna"? Oggi il nostro Valo compie la bellezza di quarant'anni e
bisogna ammettere che il tempo non permette al suo fascino di sbiadire,
anzi migliora come il gusto del vino.
Ma chiusa questa
parentesi, qui abbiamo il primo capitolo della storia e Ville/Val fa la
sua prima apparizione. Prime impressioni sui personaggi fin ora
incontrati?
Vi dico soltanto che
qualsiasi esse siano, nel corso della pubblicazione cambieranno.
Non mancate al secondo
capitolo!
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
PS: scusate se
avete trovato delle imperfezioni del font di scrittura, ma NVU fa
sempre i suoi sporchi giochetti.
|
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Capitolo 3 *** 2 - Un libro e una mela ***
2
- Un libro e una mela
Il
cibo della mensa non era ottimo, ma neanche terribile. Non ho mai
avuto un debole per le minestre, ma la passata di zucchine era
abbastanza saporita. Il pane era leggermente duro, ma buono.
Stavo
seduta al tavolo con Stacie nella spaziosa mensa
dell’istituto. Era
un po’ più piccola della mensa della mia vecchia
scuola, ma
l’ambiente era piacevole. Mentre mi portai alla bocca un
cucchiaio
di minestra, notai con la coda dell’occhio Valentin sedersi
con un
libro in mano ad un tavolo vuoto. Intuii che quel ragazzo, molto
probabilmente, avesse anche il posto in mensa riservato solo per lui.
Trovai la cosa alquanto patetica.
-
Stamattina, sulle scale, mi hai detto che Valentin è un
pessimo
elemento - ricordai a Stacie. - Cosa intendevi esattamente? - le
chiesi infine. Mi sembrava strano che la gente evitasse Valentin solo
per il suo essere scontroso. Non lo consideravo un motivo abbastanza
valido, insomma, pensavo che qualche pregio dovesse pur averlo, quel
finlandese.
-
Non hai avuto una prova stamattina? Hai visto quanto è
scorbutico? -
mi fece rammentare Stacie quella scena accaduta poco prima di entrare
a scuola.
-
C’è dell’altro? - chiesi curiosa. -
Insomma, mi sembra così
assurdo che non abbia nemmeno un amico, ha per caso fatto qualcosa di
grave in passato? - continuai con le mie domande. Stacie mi disse che
sapeva tutto di tutti, perciò avrebbe sicuramente saputo
rispondermi.
-
Uhm, a parte il fatto che fuma e che una volta è stato
ritrovato
svenuto in bagno con un sacchettino di coca vicino al suo corpo...
no, non ha fatto niente di strano - mi rispose con ironia la ragazza,
ma quella volta non seppi ridere davanti al suo umorismo. La fame mi
diminuì. - Ah, e dunque ha passato l'intera estate chiuso in
una
clinica per disintossicarsi.
-
Mi stai prendendo in giro?
-
No, Eleanor, è tutto vero - mi garantì Stacie,
poi addentò il suo
panetto.
Mi
voltai verso Valentin, angosciata, e lo vidi mordere una mela mentre
sfogliava il suo libro. In quel momento mi chiesi da dove
spuntò
quel frutto, dato che pochi attimi prima il ragazzo non aveva niente
in mano, se non quel mattone dalla copertina verde.
-
Mangia sempre e solo una mela a pranzo, povero uomo - disse Stacie
osservando come me lo strano finlandese. - La tiene sempre dentro un
sacchettino che custodisce in una tasca interna della giacca,
qualunque lui indossi - aggiunse lei come se mi avesse appena letto
nel pensiero rispondendo alla domanda che mi posi mentalmente.
-
Ah - boccheggiai. - Legge spesso qui in mensa?
-
Lui vive leggendo, non legge solo a pranzo - mi
rivelò la
ragazza.
In
quel momento notai che io e Valentin avevamo una cosa in comune: la
passione per la lettura.
E
mi meravigliai di come la cosa potesse interessarmi. Mi chiesi che
libro stesse leggendo in quel momento e quale fossero i suoi generi
preferiti.
-
E’ strano come possa essere così ribelle e allo
stesso tempo
appassionato di libri - feci la mia osservazione.
-
Valentin è un tipo tutto particolare, penso che sia unico al
mondo -
disse Stacie ridacchiando. – E poi è anche molto
bravo a
dipingere, suonare e cantare. Gli anni scorsi teneva spettacoli
durante le feste scolastiche, ma dubito che quest'anno ci faccia
sentire ancora qualcosa, dato che l'ultima volta che ha suonato ha
sconvolto tutti con una canzone dal tema erotico - continuò
lei ad
informarmi. Più Stacie mi parlava di Valentin,
più rimanevo senza
parole. Non avevo mai conosciuto un ragazzo così strano e
pieno di
talenti in vita mia.
-
Suona la chitarra? - chiesi e Stacie annuì. Prima di
portarsi
nuovamente il cucchiaio di passata alla bocca, lei si bloccò
e mi
fissò negli occhi riducendo i suoi in due fessure. Mi fermai
a
guardarla preoccupata.
-
Che hai?
-
Perché mi hai fatto queste domande su Valentin Virtanen? -
mi chiese
lei, maliziosa. Chissà cosa stesse pensando...
-
Per curiosità, non potevo?
-
Ho capito, ti piace - arrivò Stacie a quella soluzione
affrettata,
convinta di aver beccato una mia presunta cotta per quel ragazzo.
-
Assolutamente no! - risposi con convinzione, ma Stacie era difficile
da convincere.
-
Ma andiamo, bisogna ammettere che, nonostante il suo comportamento e
la sua fama, è un bel pezzo di gnocco - mi
confidò la mia nuova
amica arrossendo ed io scoppiai a ridere nel vederla alzare due volte
le sopracciglia maliziosamente.
-
Credo proprio che quella ad essere cotta di Valentin, qui, sei tu -
le dissi indicandola.
-
Devi sapere, Eleanor, che le ragazze di questa scuola si suddividono
in due tipi: quelle affascinate da Valentin e quelle spaventate da
Valentin- mi informò l’occhialuta.
-
E tu? Da che parte stai?
-
Valentin è il mio sogno proibito, ma tu non dirlo a nessuno
- mi
rispose Stacie per farmi intendere che di certo non faceva parte
della ragazze che avevano paura di quell’ombroso. Risi di
nuovo per
quanto fosse spiritosa quella piccola giornalista.
-
Di certo tu non sei una di quelle che lo teme, dato che oggi non gli
hai ceduto il parcheggio - disse Stacie cercando di nuovo di farmi
ammettere una cosa che non provavo realmente. Ci avevo parlato solo
una volta, potevo essermi già presa una cotta per lui?
Impossibile.
-
Io non faccio parte né della prima schiera né
della seconda –
dissi, decisa, poi mi voltai nuovamente verso Valentin mentre lui era
ancora assorto nel libro che stava leggendo. Aveva quasi finito di
mangiare la mela, ormai morsa fino al torsolo. Era vero,
però, che
lui avesse un certo fascino. I suoi occhi così chiari e
freddi
avevano provocato in me una breve tempesta nel petto quando colpirono
per la prima volta i miei, prima di entrare a scuola. Valentin mi
trasmetteva inquietudine, ma allo stesso tempo mi attraeva. Non
potevo di certo, però, considerare le mie sensazioni come
sintomi di
una cotta. Nel mio cuore c’era ancora il ricordo triste di
Andrew e
ogni minuto che passava desideravo averlo accanto a me. Detestavo
sapere che tra me e lui ci fosse l’oceano. I suoi capelli
ricci li
sentivo ancora tra le dita e i suoi occhi scuri li sentivo ancora
fissi su di me, ma insieme a loro si aggiunsero quelli gelidi di
Valentin che, mentre stavo ancora seduta a fissarlo leggere, mi
tagliarono le iridi blu. Mi girai di scatto verso la superficie
liscia del tavolo sul quale stavo mangiando e feci finta di nulla.
-
Sbaglio o Valentin ti sta guardando? - si accorse anche Stacie del
fatto che quel ragazzo ricominciò a lanciarmi occhiatine.
-
Già, lasciamo stare - dissi svuotando finalmente il mio
piatto di
minestra, poi bevvi un sorso d’acqua.
-
Sto pensando ad un articolo che intitolerò
“Eleanor Cole riesce a
distrarre Valentin Virtanen dalla sua lettura durante il pranzo:
sarà
lei la prossima preda per il misterioso della scuola?” -
propose la
ragazza la sua idea, ma io l’abolii immediatamente.
-
No, ti prego, lascia perdere!
-
Sai quanti articoli ho scritto su Valentin? Questo potrebbe essere
uno dei più interessanti! E poi devo scrivere anche di te,
ricordatelo!
Sbuffai
a quelle parole. Pensai che prima o poi ci sarei dovuta finire per
forza sulle pagine del giornalino scolastico, ma io non volevo.
-
Hai dovuto intervistare Valentin molte volte per i tuoi articoli? -
chiesi a Stacie cercando di allontanarla dall’idea di
inserirmi nel
suo giornale.
-
Lui non ha bisogno di essere intervistato, fa parlare di sé
anche
senza interviste - disse la mora dagli occhi grigi e gli occhiali
neri ben posizionati sul naso. -Però ammetto che delle volte
ci ho
provato - aggiunse infine.
-
E come è andata?
-
Mi ha sempre mandata a 'fanculo, non mi ha mai ascoltata - mi rispose
Stacie ridendo amaramente. Le lessi in viso che le dispiaceva essere
trattata in quel modo da Valentin, ma lei non voleva comunque passare
per vittima. La salvava sempre la sua ironia in momenti come quelli,
perciò quando era imbarazzata o triste parlava di
sé ridendo.
In
quel momento suonò la campanella e la pausa pranzo
sembrò fosse
volata. Quando mi alzai dal tavolo insieme a Stacie per svuotare il
vassoio in un apposito cestino, mi voltai ancora verso il posto di
Valentin, ma lui si era già alzato dal suo tavolo e, quando
lo
avvistai, buttò il torsolo di mela e il sacchettino di
plastica
accartocciato in un bidone, poi estrasse un pacchetto di sigarette da
una tasca dei jeans. Posai il vassoio ormai vuoto sul bancone
apposito, poi i miei occhi ricatturarono Valentin come una macchina
fotografica rapisce un’immagine. Con una mano teneva chiuso
il suo
libro e con l’altra teneva una sigaretta appena accesa. Stava
poggiato allo stipite dell’entrata della mensa e guardava
tutti gli
studenti uscire. Alcuni lo ignoravano, altri facevano brutti commenti
non appena lo superavano oltre la grande porta. Io e Stacie stavamo
per avvicinarci a lui, poiché dovevamo uscire anche noi
dalla mensa,
e ciò che mi preoccupò fu un suo probabile
intervento. Mi avrebbe
guardata? Mi avrebbe parlato? In qualsiasi caso, io lo avrei
ignorato.
-
Ciao, bella - lo sentii parlare non appena gli passai accanto e il
fumo della sua sigaretta invase le mie narici. Gli lanciai un sguardo
e lo vidi sorridermi maliziosamente, ma come mi ero imposta di fare,
lo lasciai perdere e non ricambiai il suo saluto. Avanzai dritta per
il corridoio con Stacie come se nessuno mi avesse appena salutata.
-
Virtanen! Cominci bene quest’anno, eh? Spegni subito quella
sigaretta! - sentii la voce potente di un uomo rimproverare il
ribelle Valentin che, contro il regolamento, stava fumando
all’interno dell’istituto. Io e Stacie ci voltammo
indietro per
assistere alla scena.
-
Vuole fare un tiro, prof? - fece lui lo spiritoso porgendo la
sigaretta al professore. Avevo già visto
quell’uomo prima di
pranzo, era il mio docente di matematica. Tutti i presenti ridevano e
commentavano la scena che, sicuramente, era la millesima di una lunga
serie.
-
Quello che tirerei è un ceffone sulla tua faccia! -
continuò il
prof a sgridarlo davanti a tutti gli studenti e Valentin
scoppiò a
ridere, divertito.
- Si calmi prof,
adesso esco, okay? - disse il ragazzo una volta aver placato le risate,
ma sul suo volto rimase stampato il sorriso di uno che gode dei fastidi
altrui. Alzò le mani in segno di resa e, dando le spalle al
professore, se ne andò prendendo la strada
dall’altra parte del corridoio, verso l’uscita
d’emergenza. Lo vidi camminare mentre continuava ad aspirare
e sputare fumo.
E in quella
camminata vidi ancora una volta Andrew.
-
Virtanen! Virtanen! Vieni qui! - lo richiamò il docente di
matematica, ma Valentin fece come se non l’avesse sentito e
non si
girò mai indietro per rispondergli. L’uomo
gettò la spugna e,
infuriato, si allontanò dall’entrata della mensa.
I suoi passi
decisi e lunghi mi fecero capire che le sue intenzioni non erano di
certo buone.
-
Starà andando ancora una volta a telefonare la preside
Wesley -
sentii la voce di una ragazza poco lontana da me mentre parlava con
un’amica. Per Valentin si stavano avvicinando dei guai,
pensai.
- Oddio, questo
lo devo assolutamente scrivere sul prossimo numero del giornalino! -
esultò Stacie una volta essersi ripresa dallo stupore. Le
pagine del mensile scolastico avrebbero parlato ancora del
comportamento ribelle di Valentin, ma ci sarebbe stato anche un inserto
dedicato a me? Sperai vivamente di no.
* * *
Gettai un
sospiro di sollievo quando suonò l’ultima
campanella della giornata. Finalmente il primo giorno di scuola era
terminato e non vedevo l’ora di tornare a casa solo per fare
una video chiamata con i miei amici di Ottawa tramite computer. Ci
sarebbe stato anche Andrew insieme a loro e io stavo morendo dalla
voglia di vederlo.
-
Eleanor! - mi chiamò qualcuno poco prima che io uscissi
dalla classe
e mi voltai indietro. Vidi un mio compagno di scuola raggiungermi
mentre teneva fermo il suo zaino su una spalla. Purtroppo non avevo
ancora ben memorizzato i nomi dei miei compagni e non seppi
riconoscerlo subito.
-
Dimmi… Victor, giusto? - provai ad indovinare il suo nome,
poiché
mi sembrò di aver sentito un Victor durante
l’appello.
-
Esatto - confermò lui sorridendo. - Mi chiedevo
se… - cominciò la
frase, ma non seppe continuarla.
-
…se? - lo incitai ad andare avanti.
-
Mi chiedevo se sei fidanzata, ecco - sputò il rospo Victor
ed io
cominciai ad agitarmi. Mi venne subito in mente Andy. In quel momento
immaginai Andrew raggiungermi chiedendo
“C’è qualche problema
qui?” per poi portarmi via. Una volta lo fece ad una festa
mentre
un ragazzo cercò di baciarmi. Le due situazioni erano
diverse,
certo, ma in quel momento mi sentivo un po’ a disagio davanti
a
Victor e avrei voluto tanto che qualcuno venisse a rapirmi. Avrei
accettato anche Stacie. Nonostante tutto, feci come era mio solito
fare nei momenti di ansia: tenere duro e mettermi nei panni della
ragazza sicura di sé, il mio alter ego, insomma.
-
No, ho appena rotto con il mio ex - risposi sistemandomi bene su due
piedi, ma me ne pentii subito. Avrei dovuto dire che ero già
occupata con qualcuno, invece fui sincera. Pessima mossa.
-
Oh, mi dispiace - disse Victor, ma non mi sembrò tanto
dispiaciuto
come voleva farmi credere. - Allora esci con me stasera? - mi chiese
subito dopo. Lo sapevo, non gliene importava nulla della mia fresca
rottura, anzi, mi invitò subito ad uscire. La sua fretta mi
irrigidì
ancora di più.
-
Perdonami, ma stasera ho parecchio da fare - mentii fingendomi
dispiaciuta, proprio come lui ebbe appena fatto con me.
-
Allora domani pomeriggio? - ci riprovò Victor e a me
scappò uno
sbuffo.
- Ti faccio
sapere io quando sono libera, okay? Ci vediamo domani, ciao! - liquidai
il ragazzo scuotendo la mano e gli diedi le spalle senza neanche dargli
tempo per replicare. Oltre gli sguardi maliziosi di Valentin, non
volevo qualcun altro che mi facesse la corte, pensai.
A proposito di
Valentin, mi chiesi che fine avesse fatto quel giorno. Dopo la pausa
pranzo non lo vidi più e quando raggiunsi la mia macchina
per tornare a casa, la sua auto blu accanto alla mia grigia non
c’era più: il parcheggio era vuoto. Pensai che
probabilmente se n’era andato mentre Victor mi tenne ferma
davanti alla porta dell’aula. In fondo andò meglio
così. Dovevo stare lontana da Valentin Virtanen, lontana dai
guai.
----------
Angolo
autrice.
Buonasera
himsters e non, finalmente il secondo capitolo della storia
è qui.
E' entrato in scena un nuovo personaggio: Victor. Pareri su di lui?
Fate attenzione a questo qui!
Abbiamo anche un'idea un po' più chiara sul personaggio di
Valentin, ma c'è ancora molto da scoprire, quindi non
perdetevi il prossimo capitolo!
Vi ringrazio se siete arrivati a leggere fin qui, vi assicuro che nei
prossimi aggiornamenti ci saranno molte sorprese, sia belle che brutte,
quindi vi invito a rimanere connessi. Spero di non deludervi.
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
|
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Capitolo 4 *** 3 - La famosa Eleanor ***
3
- La famosa Eleanor
Scesi
le scale per andare al piano di sotto poco dopo aver spento il
computer in camera mia. Ero felice di aver appena rivisto Andrew e i
miei amici su Skype, ma allo stesso tempo mi sentii improvvisamente
nostalgica. Mi mancava casa mia, mi mancava la mamma, mi mancava la
mia città. Rendermi conto di trovarmi
nell’appartamento di mio
padre a Londra mi rattristava.
Arrivata
in cucina, aprii il frigorifero per vedere cosa ci fosse da
sgranocchiare poco prima che tornasse Caroline dal supermercato, ma
lo trovai vuoto. Sperai che la compagna di mio padre arrivasse con
tanti sacchetti pieni di cibo, altrimenti avrei potuto innervosirmi
se avessi visto Caroline entrare in casa con pochi prodotti. Alla
fine optai per un tè caldo, così cominciai a
prepararlo.
-
Che stai facendo? - sentii la voce di mio padre e lo vidi con la mano
appoggiata allo stipite dell’arcata che divideva il soggiorno
dalla
cucina.
-
Non lo vedi? Preparo un tè - gli risposi con malavoglia
mentre
versai dell’acqua in un pentolino e accesi il fornello.
-
Faresti una tazza anche per me, per piacere? - mi chiese lui
gentilmente ignorando il mio tono svogliato.
-
Okay - accettai di fargli il favore e aggiunsi un po’
d’acqua nel
tegame. Nell’attesa che essa si scaldasse, mi sedetti al
tavolo che
stava al centro della stanza e mio padre fece lo stesso. Stavo
cominciando a pensare che volesse parlarmi di qualcosa,
poiché si
posizionò accanto a me e mi guardò.
-
Com’è andato il primo giorno di scuola? - mi
chiese papà
sorridendomi. Dalla prima volta che misi piede a Londra, lui e
Caroline facevano di tutto per mostrarsi gentili ai miei occhi,
giusto per farmi credere che anche loro fossero capaci di calzare i
panni dei genitori perfetti. Come poteva soprattutto mio padre
comportarsi in quel modo dopo avermi ignorata per due anni? Come
poteva far finta di nulla? Detestavo quell’atteggiamento.
-
Bene, non ho fatto niente di che - risposi con lo sguardo dritto
verso il tavolo ligneo e le mani che si torturavano.
-
Hai conosciuto qualcuno? Hai fatto amicizia? - continuò
l’uomo ad
interessarsi insolitamente alla mia vita. Lo trovavo patetico.
-
Sì, ho parlato con una ragazza del terzo anno - risposi
riferendomi
a Stacie Peters, ma non volli cadere dei dettagli. In un lampo mi
venne in mente anche la figura di Valentin, ma preferii non
nominarlo. Dopo quella risposta ci fu qualche attimo di silenzio. Fu
imbarazzante avere papà seduto accanto a me senza proferire
alcuna
parola. Le mie mani non riuscivano proprio a star ferme.
-
Sai, quando sorridi non mi sembri davvero felice - si
sbloccò mio
padre. - Cioè, da quando sei qui non ho mai visto un vero
sorriso
sul tuo volto - si spiegò lui e aveva ragione. Non gli
sorridevo con
sincerità. Più che sorrisi, i miei erano regali
non meritati.
-
Strano che te ne importi - gli dissi con un tocco di rabbia in petto
e lui respirò profondamente.
-
Mi è sempre importato di te.
-
Non si direbbe, dato che per due anni sei sparito - gli rinfacciai il
suo più grande errore commesso nella vita.
-
Mi sono serviti per riflettere - si giustificò
papà.
-
Riflettere? Su cosa? Su come giocare con il cuore di una figlia? -
sbottai perdendo il controllo della rabbia che crebbe tutto
d’un
tratto dentro di me e mi alzai dalla sedia. Portai nello stomaco per
troppo tempo il peso del rancore che provavo verso mio papà
e in
quel momento non seppi più trattenermi. Le lacrime stavano
sull’orlo
dei miei occhi, ma mi feci forza e non volli cedere ad un pianto.
Tanto quell’uomo non mi avrebbe capita, ne ero sicura.
-
Non alzare la voce, Eleanor! - mi rimproverò voltandosi a
guardarmi,
ma io insistevo a non voler incrociare i miei occhi con i suoi.
Sostenevo che fissare le piastrelle del pavimento fosse più
interessante. Non aprii più bocca, mi era passata
addirittura la
voglia di parlare. Quei pochi attimi di silenzio che si crearono
sembravano eterni. L'unico rumore che sentivo in quella cucina era
l'acqua nel pentolino che cominciava a bollire.
-
Senti, scusa - ruppe il silenzio papà passandosi una mano in
fronte
e fissando la superficie del tavolo. Non dissi niente, sbuffai. - Hai
ragione ad essere arrabbiata, però ti prego, lascia che io
provi a
recuperare questi due anni persi - disse lui con tono di voce calmo,
in cerca di pace.
-
Va bene, provaci - risposi con parole poco sentite. In
realtà non
approvavo il fatto che lui volesse recuperare quei due anni passati
senza di me, poiché lo trovavo impossibile, ma pensai che se
gli
avessi dato il contentino, lui si sarebbe calmato e la lite sarebbe
finita. Non ho mai amato litigare, anche quando mi trovavo dalla
parte della ragione. Chissà che avrebbe fatto mio padre per
rimediare al danno, mi chiesi.
-
Però tu dovrai aiutarmi - arrivò lui ad un
compromesso.
-
Che dovrei fare? - gli chiesi, finalmente alzando lo sguardo sul suo
volto.
-
Soltanto una cosa - mi garantì papà. - Devi
smetterla di essere
acida con me e Caroline, piuttosto dovresti apprezzare il nostro
tentativo di andare d'accordo con te - aggiunse infine.
-
E' solo questione di tempo - gli dissi. - Lascia che passino altri
giorni ed io mi abituerò alla situazione - gli assicurai, ma
non ero
poi così sicura di quello che ebbi appena detto.
Però, come frase
per ingannare mio padre, pensai fosse ottima.
-
Va bene - concordò papà mentre spensi il fornello
e versai l'acqua
bollente in due tazze. Dopo aver preso due bustine di tè e
aver
addolcito l'acqua con un pò di zucchero, servii una tazza a
papà e
l'altra la tenni io.
-
Vado di sopra - dissi uscendo dalla cucina e soffiai sul mio
tè per
raffreddarlo un pochino. In quel momento tornò Caroline dal
supermercato e, vedendomi salire le scale, mi salutò.
Ricambiai
senza neanche voltarmi a guardarla, ma lei mi obbligò a
posare
l'attenzione su di sé lamentandosi del peso dei quattro
sacchetti di
spesa.
-
Ellie, verresti gentilmente ad aiutarmi? - mi chiese la donna
poggiando a terra la merce.
- Lasciala
andare in camera, ti aiuto io - sentii
mio padre e lo vidi uscire dalla cucina per raggiungere Caroline
all'ingresso. Fu la prima volta, dopo tanto tempo, che ringraziai
mentalmente papà.
*
* *
I
primi sette giorni di scuola furono completamente diversi dal primo.
Oserei dire che furono quasi normali. Per tutta la prima settimana
non vidi Valentin in giro per i corridoi e il suo parcheggio lo vidi
vuoto ogni mattina. Per evitare di avvicinarmi a lui e di parlargli,
decisi di stare alla larga da quel posteggio e di parcheggiare
altrove, ma ogni giorno non c'era traccia di quell'auto blu. Pensai
che fosse meglio così, ma allo stesso tempo continuavo a
farmi
domande su quella strana e lunga assenza di Valentin. Ipotizzai che
si fosse ammalato o che fosse partito per una vacanza, ma mai sarei
arrivata a pensare ad una sospensione.
-
Non l'hai saputo? Valentin è stato sospeso da scuola per una
settimana - mi informò Stacie durante il pranzo del primo
mercoledì.
-
Perché? - chiesi aggrottando la fronte.
-
Non ti ricordi? L'altro ieri Valentin ha fumato dentro l'istituto -
mi rinfrescò la memoria la piccola giornalista.
-
Non mi sembra un motivo così grave per una sospensione -
dissi la
mia opinione.
-
Qui le regole sono molto rigide - disse Stacie. - E Valentin non le
rispetta mai. I professori non sanno più che fare con lui,
così ad
ogni minima trasgressione lo sospendono per una settimana - mi
raccontò infine lei ed io la guardai con due occhi sgranati.
-
Quindi non è la prima volta?
-
Certo che no, è stato anche per colpa di continue
sospensioni che è
stato bocciato una volta al terzo anno e un'altra volta al quarto -
continuò Stacie a parlarmi della terribile carriera
scolastica di
Valentin Virtanen. Più mi parlava di lui, più
rimanevo a bocca
aperta.
-
E' stato ammesso al quinto anno per miracolo dopo aver fatto due
volte il quarto, adesso voglio proprio vedere come farà ad
essere
ammesso agli esami!
Quella
ragazza seppe darmi un'idea di Valentin assolutamente chiara. Non
avrei mai voluto avere a che fare con un ragazzo ribelle e
trasgressivo come lui ed ero sempre più convinta che stargli
alla
larga fosse la cosa più giusta da fare. Per questo pensai
che una
settimana senza di lui sarebbe stata di certo tranquilla e senza
problemi. Peccato, però, che a nuocermi durante quei giorni
ci fu
Victor, il quale trovava ogni pretesto per parlarmi e provarci con
me. Durante le lezioni lo beccavo numerose volte a fissarmi e ogni
volta era sempre più imbarazzante. Fare finta di niente era
diventato difficile dopo qualche giorno.
-
Ehi Ellie, tutto bene? - mi fermò Victor venerdì,
poco prima di
andare in mensa. Io chiusi gli occhi e gettai un respiro profondo.
Stava cominciando a non piacermi quella situazione. Quel ragazzo era
assillante. Mi voltai verso di lui e lo guardai svogliata.
-
Sì, tutto okay, ma è la terza volta che me lo
chiedi, oggi - gli
risposi lamentandomi.
-
Davvero? - fece lui il finto tonto ed io alzai un sopracciglio.
-
Mi prendi in giro?
-
No, ti pare? - continuò Victor con la sua messa in scena, ma
io non
mi sarei mai lasciata prendere per i fondelli da lui.
-
Arriva al punto, cosa vuoi da me? - gli chiesi, ormai spazientita,
poiché avevo anche fame e sapevo che Stacie mi stava
aspettando in
mensa al solito tavolo.
-
Hai trovato del tempo libero?
-
Per cosa? - feci io la finta tonta quella volta.
-
Beh, per uscire con me.
-
No, non l'ho ancora trovato, mi spiace - gli risposi, sbrigativa, e
gli diedi le spalle per raggiungere finalmente la mensa, ma lui mi
afferrò per un braccio. In quell'attimo sentii il mio cuore
scoppiare per la paura e mi voltai di scatto a guardare quel ragazzo
prepotente.
-
Mi lasci? - domandai con un filo tremante di voce, ma non volli far
trasparire la mia agitazione anche dal mio volto, dunque assunsi
un'espressione irritata e dura come la pietra. Dovevo e volevo
rimanere forte.
-
Perchè non vuoi uscire con me? Guarda che ho capito tutto,
è
inutile che trovi scuse - mi disse Victor con tono serio e penetrando
il suo sguardo nei miei occhi blu.
-
Allora, sei hai capito tutto, risponditi da solo! - gli sibilai in
faccia strattonando il mio braccio, liberandomi così dalla
sua
presa, e uscii dall'aula a passi svelti. Pregai in tutte le lingue
del mondo che Victor non mi seguisse e che non mi riprendesse un
braccio, ma per fortuna le mie suppliche mentali furono ascoltate e
arrivai in mensa tutta intera.
Intera,
ma con una grandissima agitazione in petto. Quando Stacie mi vide
arrivare di fretta al tavolo con il vassoio in mano, mi
guardò
stranita. Le raccontai di Victor e del suo morboso desiderio di
uscire con me.
-
Victor Maslow, vero? - si accertò l'occhialuta ed io annuii.
- Ho capito chi è, si comporta come un bambino - disse
Stacie mentre masticava una forchettata di pasta. - Tra l'altro
è un ragazzo molto prepotente, una volta ho scritto anche di
lui - aggiunse la ragazza. Non mi sorpresi più di tanto di
quella risposta.
Anche se avevo
un minimo di curiosità,
decisi di non chiedere a Stacie cosa avesse scritto di Victor sul
giornalino, ma immaginai da sola l'argomento dell'articolo: "Victor
Maslow importuna una ragazza che non vuole sapere nulla di lui. Vero
innamorato o vero persecutore?". Dopo pochi attimi pensai,
però, che con un articolo simile nessuno avrebbe
più rivolto la parola a Vic, perciò scartai
quell'ipotesi. Anzi, che io sapessi, a Victor non mancavano gli amici.
Durante
quella prima settimana di scuola non furono solo Valentin e Victor ad
intasarmi la testa di pensieri, ma persino una ragazza dai capelli
particolari (mogano alla radice, rossi a metà lunghezza e
biondi
alle punte) e dallo stile ricercato seppe catturare la mia
attenzione, poiché mi accorsi di essere osservata da lei
numerose
volte nei corridoi dell'istituto e nel cortile. Sembrava mi seguisse.
Per sapere qualcosa di lei, feci ovviamente qualche domanda a Stacie,
dato che conosceva tutti gli studenti della scuola, eccetto quelli
del primo anno (che poi, mesi dopo mesi, imparò ad
individuare e
intervistare). Essere direttrice del giornalino di una scuola piccola
aveva i suoi vantaggi.
-
Oh, lei è Gwen Berry ed è del quinto anno - mi
disse Stacie.
Immediatamente mi venne in mente Valentin Virtanen.
-
E' in classe con Valentin?
-
Già - confermò lei. - Quei due sono persino stati
insieme l'anno
scorso - aggiunse la mia amica.
-
Ah, wow - commentai con poche parole. - Sai dirmi perché
continua a
fissarmi? In qualsiasi punto della scuola io mi trovi, scorgo il suo
sguardo puntato su di me! - chiesi poi.
-
Questo non lo so, davvero - disse Stacie scuotendo la testa. - Magari
le piace il tuo stile - ipotizzò lei, ma io non concordai.
Non ho
mai avuto uno stile particolare da ammirare. Piuttosto era Gwen
quella che ne sapeva di abbigliamento, dato che i suoi outfit mi
piacevano davvero un sacco. Avevano qualcosa di rock, indie e grunge
allo stesso tempo. Ogni completo che creava era diverso dall'altro,
sia per colori che per stile.
-
Non credo che le piacciano i miei vestiti - espressi la mia idea
voltandomi verso Gwen per vedere se stesse ancora ferma a fissarmi.
Lei stava appoggiata al muro mentre scriveva qualcosa al cellulare,
probabilmente un messaggio.
-
Mai dire mai, anche tu ti vesti bene - mi fece Stacie i complimenti,
ma non ne vidi il motivo. Una camicia a scacchi, una canottiera e un
paio di jeans potevano essere considerati dei bei capi? Per me erano
solo vestiti comodi ma che allo stesso tempo avessero un po' di
decenza.
-
Grazie, ma non indosso nulla di speciale.
-
Tu sei così bella che staresti bene persino con un sacchetto
della
spazzatura addosso!- continuò la ragazza a complimentarsi
con me ed
io cominciai a sentirmi lusingata.
-
Non dire stupidaggini.
-
Dico davvero, invece! Magari potresti posare per delle foto per il
blog di moda di Gwen - mi propose Stacie, ma io scossi la testa.
-
Non se ne parla - dissi immediatamente. Non avevo mai fatto un
servizio fotografico. Mi vergognavo solo all'idea di posare per
qualcuno, figuriamoci apparire su un blog di moda! La scuola era
cominciata da poco e volevo rimanere ancora nell'anonimato.
-
Ma sei bellissima, ti sei vista? - mi indicò lei ed io mi
misi a
ridere dall'imbarazzo. - Sei alta, bionda, con gli occhi azzurri e
hai un bellissimo sorriso, mi stai prendendo per il culo? -
continuò
Stacie e mi fece ridere ancora di più. Non sono mai stata
una
ragazza con l'autostima sotto i piedi, ma non mi sono neanche mai
vantata per il mio aspetto molto simile a quello di una barbie. Ho
sempre detestato le persone vanitose, perciò non trovavo il
motivo
per cui esserlo anch'io.
Quando
mi accorsi che Gwen sparì dal corridoio, arrivarono due
ragazzi con
un blocnotes ciascuno in mano. Erano un ragazzo e una ragazza: il
primo biondo, occhi neri e naso importante; la seconda alta, molto
magra, mora e occhi piccoli e nocciola.
-
Stacie, abbiamo appena intervistato alcuni ragazzi per il sondaggio
sulla corretta alimentazione, che ne pensi delle domande? - chiese il
tipo all'amica mostrandole ciò che c'era scritto sul suo
blocnotes e
Stacie cominciò a leggere con interesse.
- Sono perfette, però eliminerei l'ultima - gli
consigliò l'occhialuta. - Oh, ragazzi, vi presento Eleanor!
Ellie, loro sono Ralph e Melanie, scrivono con me per il giornalino -
infine fece le presentazioni ed io strinsi la mano ed entrambi i
giornalisti con piacere.
Trovai piuttosto
strano il fatto di non averli mai
visti prima di allora, dato che erano colleghi di Stacie. Nemmeno
durante la pausa pranzo si erano mai fatti vivi al tavolo con noi.
-
Tu saresti la famosa Eleanor? - mi chiese Melanie ed io aggrottai la
fronte.
Io
ero famosa? C'era qualcosa che non mi tornava.
-
Ma sì, tu sei quella che ha saputo tenere testa a Valentin
Virtanen
il primo giorno di scuola ai parcheggi! - si ricordò Ralph
indicandomi. All'improvviso crebbe in me un enorme imbarazzo e senza
dubbio arrossii.
-
Ehm.. non potreste dimenticarvi di quella scena? - proposi ai ragazzi
grattandomi la nuca e strinsi le labbra.
-
Come possiamo dimenticarcene? E' stato epico - disse Melanie,
esaltata.
-
Esatto, abbiamo persino già scritto l'articolo che
pubblicheremo per
il primo numero di quest'anno che uscirà all'inizio di
ottobre! - si
unì Ralph all'euforia della ragazza e Stacie rise. L'unica
ad essere
seria ero io.
-
Scusatemi, ma io avevo già detto a Stacie che non voglio
apparire
tra le pagine del giornalino - confessai ai due amici deludendoli.
-
Prima o poi ci finirai lo stesso, cara mia - mi disse Stacie dandomi
una pacca sulla spalla.
-
Se lo fai, giuro che ti uccido - la minacciai guardandola dritta
negli occhi, ma lei non si intimorì nemmeno un pò.
-
Tu dovresti per forza apparire nell'inserto dei gossip insieme a
Valentin, così il giornalino verrebbe seguito e letto da
più
persone! - propose Ralph, ma io continuavo a non essere d'accordo.
Non potevo e non volevo apparire su quel giornale solo
perchè avevo
parcheggiato nel posto riservato di Valentin. Lo trovavo assurdo, non
era una notizia così sconvolgente.
Per
quanto mi fossi imposta di stare alla larga da quel ragazzo, io mi
ritrovavo spesso a pensarlo e a ripropormi la sua immagine davanti
agli occhi. Da quando il suo sguardo glaciale mi guardò per
la prima
volta, esso rimase impresso nella mia mente.
E
la sua voce grave e pacata fece lo stesso. Era strano come Valentin
potesse sia spaventarmi sia affascinarmi. "Devi sapere,
Eleanor, che le ragazze di questa scuola si suddividono in due tipi:
quelle affascinate da Valentin e quelle spaventate da Valentin".
Quella frase che mi disse Stacie il primo giorno di scuola mi
rimbombava nella mente ogni giorno. Io le risposi che non facevo
parte di nessuna schiera, ma la verità era che io, invece,
mi
sentivo parte di entrambe le suddivisioni.
Era
la mia testa a suggerirmi di stare lontana da Valentin. Invece, il
cuore, stupido com'era, mi diceva che forse quel ragazzo meritava un
pò d'attenzione da parte mia. Ed io, in balia dei miei
pensieri
contrastanti, morivo d'ansia ogni volta che pensavo alla seconda
settimana di scuola, quando Valentin sarebbe tornato a girare per
l'istituto e a lanciarmi occhiatine maliziose.
----------
Angolo
autrice.
Buonasera
himsters e non, quello che avete appena letto (se siete arrivati fin
qui) è il terzo capitolo della storia ed è
entrato in scena un nuovo personaggio: Gwen Berry. Lei è la
mia preferita, le sono affezionata e ho deciso di darle il volto di
Luanna Perez, la mia fashion blogger preferita.
C'è
anche un piccolo squarcio della situazione familiare di Eleanor e
l'apparizione di altri personaggi, alcuni già conosciuti e
altri nuovi, come ad esempio i soci di Stacie. Persone di cui fidarsi?
E
Victor cosa combinerà nei prossimi capitoli? Le risposte
verranno svelate prossimamente, quindi stay tuned!
Valentin
sta per tornare, non mollate.
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
|
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Capitolo 5 *** 4 - Paura ed emozione ***
4
- Paura ed emozione
Mi
batté forte il cuore quando vidi sul cellulare il nome del
mio ex
ragazzo sotto la bustina lampeggiante gialla. Dopo la mia partenza
non mi scrisse spesso, poiché voleva impegnarsi a non
pensare troppo
alla nostra relazione appena finita, eppure quella mattina ricevetti
un suo messaggio. Ero appena salita in macchina ed ero pronta per un
nuovo giorno di scuola, ma poco prima di mettere in moto il mio
catorcio, aprii quel messaggio e lo lessi.
Ciao Ellie,
come stai? Probabilmente da te sarà mattino, qui invece
è ancora
notte ed io non riesco ad addormentarmi. Da quando ci vediamo su
Skype insieme agli altri penso sempre più a te e mi manchi
tantissimo. Ti prego, anche se non cambierebbe nulla, ti chiedo di
ritornare ad essere una coppia! Fa male non averti qui con me e
sapere che tu non sei più mia, perciò ti
scongiuro, dammi almeno il
piacere di saperti ancora la mia ragazza!
Cercai
di non commuovermi dopo aver letto quelle parole, ma i miei occhi si
inumidirono contro la mia volontà. Mi feriva pensare che
Andy stesse
soffrendo così tanto per la nostra lontananza, ma non me la
sentivo
di accettare la sua proposta. Anzi, la trovavo insensata.
Perché
saremmo dovuti rimanere una coppia se non potevamo vederci di persona
per un anno? Il dolore sarebbe comunque rimasto.
In
quel momento riapparve in me un odio verso mio padre e alla sua
stupida idea di farmi trascorrere dodici mesi a Londra da lui. Se non
fosse stata per quella sua decisione, quella mattina non mi sarei
trovata in quella macchina di seconda mano, ma nel mio letto, a casa
mia, ad Ottawa.
E
dopo il mio risveglio, avrei rivisto Andrew davanti a scuola, come
tutte le mie vecchie e solite mattine. Mi si strinse il cuore, ma
dovetti rispondere negativamente a quel messaggio di Andy. Mentre
digitavo il testo sul touch screen, una lacrima solcò la mia
guancia
destra, ma l'asciugai subito interrompendo per un attimo la
digitazione, poi ripresi a scrivere.
Ciao Andy, anche tu mi
manchi moltissimo e vorrei essere lì accanto a te in questo
momento,
ma non possiamo tornare insieme. Come vedi fa già molto male
stare
lontani e penso che se fossimo ancora una coppia sarebbe molto
peggio, perdonami.
Una volta aver risposto al messaggio e
aver infilato il cellulare nella tasca dei jeans, misi in moto la
macchina ed uscii dal garage. Durante il viaggio in auto pensai senza
sosta a come si stesse sentendo Andy in quel momento nel letto di
camera sua. Lo immaginai piangere tra le coperte come feci io le
prime notti passate a Londra e sentii una stretta nella gola. Non
volevo arrivare a scuola con gli occhi umidi e le guance rosse,
perciò mi impegnai a trattenere le lacrime e a scacciare via
tutti
quei pensieri tristi. Se Stacie mi avesse vista in quello stato, mi
avrebbe fatto sicuramente delle domande, per poi dire ancora che
finirò tra le pagine del giornalino. Era meglio evitare.
Arrivata
nel cortile della scuola, parcheggiai al solito posto, lontano da
quello di Valentin. Quel mattino, quando gettai un'occhiata al quel
posteggio che dovevo evitare, vidi la macchina blu: Valentin era
tornato.
Dentro
di me cominciò ad agitarsi la mia solita e maledetta ansia.
Non
avevo voglia di incrociarlo per i corridoi e di sentire il peso del
suo sguardo su di me. Per quanto volessi far finta che non esistesse,
non riuscivo ad ignorarlo. Avevo visto Valentin solo il primo giorno
di scuola e l'inquietudine che provai in quella giornata stava per
ripresentarsi nel mio corpo e nella mia mente.
Prima di scendere
dalla macchina controllai se Andrew avesse risposto al mio messaggio
e con mia sorpresa notai che non ricevetti nulla. Pensai che forse
fosse riuscito ad addormentarsi, ma poi ne dubitai. Probabilmente lo
delusi, ma ciò che gli scrissi era quello che pensavo
davvero. Per
quanto potesse farmi male, non mi pentii di quel messaggio.
Scesi
dalla macchina e mi guardai intorno mentre raggiungevo i gradini
davanti all'entrata della scuola. Nonostante ci fosse la sua auto,
Valentin non era nei paraggi. Mi feci qualche domanda al riguardo, ma
poi non volli più pensarci. Sperai soltanto di non
incontrarlo
durante la giornata, ma le mie furono soltanto delle speranze perse
quando vidi Valentin nell'aula di pittura mentre preparava il
cavalletto, la tela e i colori ad olio.
Ero
uscita dalla classe per andare al bagno e, quando passai davanti
all'aula di pittura, la prima persona che vidi fu proprio quel
finlandese, poiché era in fondo all'aula, di fronte alla
porta
lasciata aperta. Rimasi là ferma ad osservare i suoi
movimenti: con
una mano teneva la foto di un paesaggio e con l'altra
cominciò a
tracciare sulla tela con una matita i primi schizzi.
- Mi
raccomando ragazzi, adesso siete al quinto anno, perciò mi
aspetto
da voi dei paesaggi degni di grandi pittori! - disse la professoressa
di pittura mentre passeggiava tra i cavalletti degli studenti con le
mani incrociate dietro la schiena.
Valentin era così concentrato
mentre disegnava che sembrava quasi un'altra persona. Una di quelle
calme, professionali e pacate. Non avrei mai detto che ad un ragazzo
scapestrato come lui piacesse così tanto svolgere
un'attività
tranquilla come disegnare e dipingere.
Notai anche che i suoi
capelli scuri e spettinati erano poco più corti dell'ultima
volta
che lo vidi, ma aveva alle orecchie gli stessi orecchini tondi del
primo giorno di scuola. Gli occhi erano contornati di nero e mi
sbalordii nel vedere che Valentin si truccasse. La volta scorsa non
c'era nessun segno di trucco sul suo volto.
La camicia rossa che
indossava era in contrasto con la maglietta nera dal colletto ampio
che stava sotto. I jeans chiari gli stavano leggermente larghi e su
un fianco scendeva una piccola catena argentata. Ai piedi portava
degli enormi anfibi neri.
- Signorina, le
serve qualcosa? - mi
chiese la professoressa notandomi fuori dalla porta. Tolsi
immediatamente la mia attenzione da Valentin e guardai la donna
sorridermi.
- Ehm, no, mi
scusi, stavo solo... guardando come
lavorate - le risposi imbarazzata e indietreggiando.
- Oh, sei la
ragazza nuova del quarto anno, vero? Puoi entrare, se vuoi - mi
propose la professoressa indicando con un dito il fondo dell'aula,
quasi come se avesse indicato Valentin che, mentre cercavo di
svignarmela, si accorse della mia presenza.
- No no,
davvero,
grazie - dissi indietreggiando ancora e morendo dalla vergogna. - Io
in realtà stavo andando in bagno- ammisi e la signora si
mise a
ridere teneramente. Già mi stava simpatica, era una donna
solare e
gentile. Non era la stessa professoressa che insegnava arte nella mia
classe, altezzosa e severa.
- Okay, ti
lascio andare allora.
-
Magari do un'occhiata un'altra volta, grazie ancora, salve! - la
salutai e, prima di andarmene, lanciai d'istinto uno sguardo a
Valentin, il quale mi fece un occhiolino e mi sorrise. Io me ne andai
facendo finta di nulla e ripresi a raggiungere il bagno a passo
spedito. Sentii le risa dei ragazzi di quinta e mi imbarazzai
tremendamente, ma arrossii di più quando mi apparve nella
testa
Valentin farmi l'occhiolino. Quegli occhi dello stesso colore di cui
splende l'acqua pura e dolce di un fiume mi avevano ancora trafitto.
Accostati a quel contorno nero sembravano ancora più freddi
e accesi
di un faro nella notte.
Detestavo sentire quelle palpitazioni in
gola e nello stomaco, poiché mi promisi di non dare
importanza a
quel ragazzo, ma quando i miei occhi incrociavano i suoi, il mio
cervello si spegneva e il mio cuore, invece, si riempiva di vita.
Ciò
che Valentin riusciva a trasmettermi era qualcosa di anomalo,
inspiegabile, un misto di paura ed emozione. Nonostante tutto, ero
ancora decisa ad ignorarlo ed ero sicura che, se fossi andata avanti
di quel passo ad auto controllarmi, col tempo non mi sarei mai
più
sentita il petto in subbuglio.
*
* *
Stavo cominciando a non poterne proprio più delle occhiatine
e dei mille modi per rimorchiarmi di Victor. Non ho mai conosciuto un
ragazzo più pesante di lui.
Alexandra, la mia compagna di banco, mi scrisse qualcosa sul quaderno
aperto di storia con una matita.
Quando a Victor piace una ragazza, per la poveretta non
c'è più possibilità di respirare!
Purtroppo me ne accorsi anch'io. Nessun altro sapeva essere pensate
quanto lui. Superava persino mio padre, anzi, piuttosto di sentire la
voce irritante di Vic, preferivo subire una sfuriata di papà!
Non riuscivo a seguire la lezione di storia e a prendere appunti
perché sentivo gli occhi di Victor poggiati addosso.
Purtroppo stava seduto nella fila di banchi accanto alla mia e lui non
ce la faceva proprio a far finta che io non esistessi.
- Puoi smettere
di fissarmi, per favore? - gli bisbigliai.
- Puoi smettere
di essere bella, per favore? - mi rispose lui per farmi
intuire di avergli chiesto una cosa impossibile. Non sapevo se vomitare
per il disgusto o piangere per il forte disagio che mi stava assalendo
in quel momento.
Alex cercò di trattenere una risata ed io, invece, cercai di
trattenermi dal volerle dare un ceffone. Se avesse continuato ancora
per lungo a ridere, le avrei strappato quel caschetto nero che aveva in
testa.
Mancavano pochi minuti e presto saremmo potuti tutti tornare a casa. Il
peso dell'ultima ora, sommato agli sguardi di Victor e ai miei pensieri
ingarbugliati tra loro, diventò qualcosa di insopportabile e
non vedevo l'ora di sentire la campanella suonare. La mia mente si
divideva tra Vic, Andrew, Valentin e la lezione di storia che seppi
seguire solo fino a un certo punto. Il mio cervello rischiò
di andare in fumo: il messaggio di Andy, le occhiate di Vic e le
emozioni datemi da Valentin mi stavano confondendo le idee. Se la mia
testa avesse avuto una spina, in quel momento, l'avrei staccata
immediatamente dalla presa.
- Per domani
fate il riassunto di queste tre pagine appena affrontate -
ci dettò il compito il professor Cowen ed io, dopo essermi
risvegliata dai pensieri, presi il diario. Scritti i compiti, mi alzai
dal banco e cominciai a preparare lo zaino. Fu un enorme sollievo
quando sentii la campanella suonare e corsi subito fuori dall'aula,
poiché avevo bisogno d'aria.
- Ellie! Aspetta
un attimo! - mi richiamò Victor ed io mi
fermai nel bel mezzo del corridoio sbuffando e roteando gli occhi al
cielo. Ero stufa di sentire quella dannata voce pronunciare il mio nome
e al momento in cui vidi Vic avvicinarsi a me, le mie ginocchia
cominciarono a tremare per l'agitazione, ma come sempre provai a
camuffarla.
- Che cosa vuoi
ancora? - gli chiesi, ormai priva di pazienza, piegando
la testa da un lato e sbattendo le braccia sui fianchi.
- Io non so
più che fare - mi disse lui fingendosi disperato.
- Sapessi io...
- gli risposi ironica, ma in fondo avevo ragione. Ero io
che non sapevo più che fare con lui.
- Davvero, non
so più cosa fare per piacerti!
- E'
semplice, perché non sparisci? - gli proposi e lui
scoppiò a ridere. Eppure ero sicura di non aver sparato una
battuta divertente.
- Oltre che
bella sei anche simpatica - mi disse lui. - Sul serio, cosa
posso fare per piacerti? - insistette lui ed io in quel momento avrei
voluto suicidarmi.
- Non lo so,
okay? Non potrai mai piacermi, mettitelo in testa! -
sbottai ad alta voce e alcuni ragazzi del corridoio posarono la loro
attenzione su di me.
- Io non mollo -
continuò Victor ad importunarmi. Mi
suonò come una minaccia, quella frase.
- Senti, vuoi
davvero fare qualcosa? Scrivimi una poesia, va bene?
Ecco! - gli suggerii la prima cosa che mi venne in mente solo per farlo
contento; così, soddisfatto della risposta, se ne sarebbe
finalmente andato, pensai.
-
Sarà fatto - mi garantì lui ed io alzai un
pollice in segno di approvazione. Fatto questo, gli diedi le spalle e
lo salutai senza neanche guardarlo in faccia.
Chissà che schifezza mi avrebbe scritto quell'idiota, mi
chiesi. Ero proprio pronta a farmi qualche risata, per poi vomitare
sulla poesia e buttarla nella pattumiera.
- Sei una
ragazza tutto pepe tu, eh? - vidi l'alta figura di Valentin
Virtanen affiancarsi a me quando sentii quella voce soavemente
profonda. Perfetto, pensai. Ci mancava solo lui.
- Da dove
sbuchi? - gli chiesi continuando a camminare verso l'uscita
della scuola e lui avanzava a passi svelti accanto a me.
- Ero a pochi metri da te, ma tu non mi hai visto perché eri
impegnata a conversare con quel coglione - mi rispose Valentin
estraendo da una tasca della giacca di pelle un pacchetto di sigarette
e un accendino.
- Hai visto e
sentito tutto, non è così?
- Già, è stato un vero e proprio spettacolo -
fece il simpatico lui. - Anche ad Ottawa rispondevi così ai
ragazzi? - mi chiese ridacchiando. Aprì il pacchetto di
sigarette e ne tirò fuori una. Credevo che stesse per
ricominciare a fumare dentro la scuola, ma per fortuna, invece, quella
sigaretta la tenne spenta tra le dita.
- Solo quando
era necessario.
- Pensi che
quello lì, prima o poi, ti scriverà
davvero una poesia? - mi chiese Valentin indicando con un pollice
dietro di sé.
- Non lo so, se
non la scrive è meglio - gli risposi
sinceramente. In quel momento smisi di camminare e Valentin fece lo
stesso. Lo guardai, interrogativa. I suoi occhi erano qualcosa di
sensazionale, ma mi impegnai a reprimere ciò che si era
appena creato nel mio petto.
- Tu
perché mi stai parlando? - gli domandai, confusa.
- Sai, ho notato
che non parcheggi più al mio posto,
così ho pensato “La canadese è una
brava ragazza, perchè non fare amicizia con lei?”
- mi rispose Valentin senza sciogliere quel sorriso pieno di malizia
che aveva stampato in faccia. Intuii che la sua era soltanto la prima
scusa che gli venne in mente.
- Vuoi che ti
risponda io?
- Meglio di no,
credo che potrei sentire qualcosa di sgradevole - disse
il ragazzo e mi colpì quanto fosse sveglio.
- Vedo che hai
capito.
Io e Valentin
arrivammo in cortile insieme senza più dire
nemmeno una parola. La situazione diventò davvero
imbarazzante, dato che io non sapevo proprio che dire. Il ragazzo,
trovatosi ormai fuori dalla scuola, accese la sigaretta e
cominciò a fumare. Le nuvole di fumo mi invasero le narici
ed io tossii. Non ho mai sopportato quell'odore.
- Potresti
gentilmente allontanarti? - gli chiesi infastidita e lui
ridacchiò. Non capivo perchè quel ragazzo avesse
sempre da ridere.
- Tranquilla,
stavo giusto per andare - mi disse lui cominciando ad
incamminarsi. - Anzi, ti andrebbe una sigaretta? - mi propose riaprendo
il pacchetto e si fermò.
- Ti
sembro una che fuma? - mi indicai e aggrottai le sopracciglia.
- No,
per questo ti ho appena chiesto di provare. Almeno ti rilassi un po'
– Valentin mi fece un occhiolino e alzò un angolo
della bocca.
-
Lascia perdere, odio il fumo – gli rivelai e lui
alzò le spalle rassegnandosi.
-
Okay, come vuoi – annuì. - A domani, Eleanor - mi
salutò infine ed io arricciai il naso. Per quale motivo
avrei dovuto parlare ancora con lui il giorno dopo?
- Sì,
ciao - lo salutai di fretta e gli diedi le spalle
dirigendomi per il verso opposto al suo.
- Comunque -
riprese Valentin a parlarmi costringendomi a voltarmi
ancora verso di lui. - La prossima volta che mi becchi in giro o in
aula di pittura, salutami! Penso che sia abbastanza noioso rimanere
solo a fissarmi - mi suggerì facendomi un occhiolino, poi fu
lui a darmi le spalle, e nella sua camminata rividi ancora Andrew.
Scossi la testa per eliminare la sua immagine dai miei occhi e feci
rimbombare le ultime parole di Valentin nelle mia mente. Morii
dall'imbarazzo quando mi resi davvero conto di cosa mi disse il
finlandese. Speravo che si fosse dimenticato di quel momento in cui
l'osservai mentre faceva il disegno preparatorio per il dipinto, e
invece gli rimase impresso nella mente.
Ad un tratto sentii delle voci a me familiari poco lontane da me. Mi
voltai a destra e vidi Stacie, Ralph e Melanie spettegolare lanciandomi
qualche occhiata furtiva. Era chiaro: quei tre mi avevano vista con
Valentin Virtanen e sicuramente avevano sviluppato delle nuove idee per
il loro stupido giornale. Avrebbero davvero riempito tutto il loro
inserto di gossip con il mio nome e quello di Valentin? Se l'avessero
fatto davvero, i problemi sarebbero fioccati in men che non si dica.
----------
Buonasera
lettori!
Comincio
questa nuova settimana con un nuovo capitolo, che ve ne pare? Stavolta
incontriamo qualche scena interessante perché finalmente il
nostro Valentin torna a scuola! Questo vuol dire soltanto una cosa: per
Eleanor comincia da ora un periodo piuttosto intenso e presto capirete
in che modo, ma non soltanto per colpa (o merito?) del tenebroso Val...
Non
parlo più perché odio gli spoiler, quindi... STOP.
Il
simpaticissimo NVU mi procura qualche imperfezione estetico come sempre
e la cosa mi disturba parecchio, ma spero che non sia così
anche per voi e che la storia possa piacervi e prendervi
ugualmente.
Ringrazio
quei pochi che seguono la storia, spero di non deludervi in futuro.
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
|
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Capitolo 6 *** 5 - Gwen ***
5
- Gwen
Non
so perché accettai l'invito, ma un pomeriggio andai con
Caroline ad
un bar poco lontano da casa. Voleva passare del tempo sola con me e
siccome aveva la giornata libera (mentre invece mio papà
sarebbe
tornato tardi da lavoro), voleva chiacchierare un po' con me. Non ci
capitava di parlare spesso, così lei mi propose di uscire
per un
caffè.
Quando entrai in quel piccolo bar mi avvolse un intenso
profumo di brioche al cioccolato appena sfornate e mi sentii a mio
agio in quel calore. L'ambiente, nonostante fosse un po' ridotto, era
molto accogliente e i tavoli e le sedie in legno erano davvero
graziosi.
- Ci sediamo
qui? - mi chiese Caroline indicandomi
un
tavolo accanto all'unica vetrina del bar. Io annuii e mi sedetti di
fronte a lei togliendomi la giacca, per poi appenderla sullo
schienale della mia sedia.
- Di cosa mi
vuoi parlare? - le
domandai poggiando i gomiti sulla superficie lignea del tavolino e
incrociai le braccia.
- Volevo
chiederti un po' di cose - mi
confessò la donna. - Ad esempio come sta proseguendo la
scuola, se
hai delle amiche, se ti stai abituando a questa città... -
mi fece
un elenco delle sue curiosità ed io portai lo sguardo a
terra.
Da
dove potevo cominciare? Dal fatto che preferivo Ottawa a Londra o dal
fatto che a scuola mi sentivo sotto pressione da diverse persone? Non
sapevo neanche se avrei risposto a quelle domande. Non mi sentivo
ancora pronta per aprirmi a Caroline, nonostante abitassi nella sua
stessa casa da circa tre settimane, ma in fondo sentivo che forse
avrei dovuto fare un tentativo.
- Vuoi la
verità? - chiesi
rialzando lo sguardo.
La donna annuì sorridendomi e guardandomi
con i suoi grandi occhi nocciola contornati da leggere linee di
espressione. Quella sua tipica aria dolce mi faceva sentire al
sicuro, libera di dire qualsiasi cosa senza la paura di essere
giudicata, eppure dentro di me non ero ancora del tutto convinta di
parlare di me e della mia vita. Alla fine, però, decisi di
buttarmi
come al solito.
- All'inizio mi
sembrava che sarebbe stato
abbastanza facile integrarmi nella nuova scuola, invece
quell'istituto è pieno di gente matta - dissi cominciando a
gesticolare guardando Caroline in faccia. A volte distoglievo
l'attenzione su di lei guardando altrove, poi ritornavo al suo
volto.
- In una scuola
d'arte non mi sembra strano che ci
siano
studenti particolari - espresse la sua opinione la donna e in quel
momento ci interruppe un cameriere chiedendoci cosa volessimo
ordinare. Io scelsi un cappuccino, Caroline preferì un
caffè
macchiato e una brioche alla crema.
- Alcuni sono
più che
particolari - ripresi il discorso quando il cameriere si
allontanò
dal nostro tavolo e Caroline mi guardò storta, senza capire.
-
Spiegami - mi incitò la donna. Gettai un respiro pensando
che stavo
per parlare di tre persone spesso presenti nella mia testa in quel
periodo: Stacie, Victor e Valentin. Sperai di non pentirmene in
futuro.
- Ho fatto
amicizia con una ragazza del terzo anno
che si
chiama Stacie e dirige il giornalino scolastico - cominciai a
raccontare. - Ma mi sto ricredendo in lei - dissi con un tocco di
delusione in voce.
-
Perchè?
- Sa parlare
solo di
pettegolezzi, del suo giornale e vuole pubblicare qualcosa su di me a
tutti i costi, anche se io le ho detto più volte di lasciar
perdere
- continuai con il mio racconto e Caroline sembrava presa dal mio
discorso. Mi faceva piacere vedere che le interessava davvero
ascoltarmi.
- Che
prepotente! - esclamò lei. - Cosa
vorrebbe
scrivere di te di tanto urgente? - mi chiese infine curiosa.
-
Vuole far credere a tutti che io ed un ragazzo potremmo essere una
coppia, ma è una cosa così assurda!
- Chi
è questo tipo? - mi
chiese Caroline, sempre più presa.
- Si chiama
Valentin, è un
finlandese del quinto anno con un oscuro carattere, dicono - risposi
introducendo un nuovo personaggio nel nostro dialogo.
- E
perché
tu e lui potreste essere una coppia? C'è qualcosa tra voi?
-
Assolutamente no! - esclamai, convinta, ma il mio petto
cominciò ad
animarsi. - Insomma, non è proprio il mio genere di ragazzo
- dissi
calmando un poco il mio tono di voce. - E poi penso ancora al mio ex
- aggiunsi infine, proponendomi successivamente la forma del sorriso
di Andrew davanti agli occhi. Sospirai per la mancanza di lui che
sentivo, ma non volli pensarci troppo.
- Penso a troppe
persone
ultimamente - dissi riprendendo a parlare. - Tra cui c'è
anche
Victor, un ragazzo a cui piaccio e che mi assilla ogni giorno! - feci
finalmente il nome della terza persona che mi toccava sopportare a
scuola in quel periodo.
- Ti assilla? -
ripeté Caroline le mie
ultime parole sotto forma di domanda.
- Sì,
tutti i giorni mi
chiede se voglio uscire con lui e mi saluta più di due volte
a
mattina!
- Oh mamma...
- E poi qualcosa
mi dice che piaccio
anche a Valentin, come sostengono Stacie e i suoi colleghi
giornalisti - dissi arricchendo di gossip le mie rivelazioni, ma ero
soltanto confusa nei miei pensieri un'altra volta.
- Vedo che fai
conquiste in poco tempo, tu - osservò Caroline guardandomi
con
malizia, ma io scoppiai a ridere ironicamente.
- Ma cosa ci
trovano in me? Sono solo una ragazza normale che si veste nel modo
più semplice del mondo, sono chiusa in me stessa e
ultimamente
rispondo male a chiunque - feci l'elenco delle caratteristiche del
mio modo d'essere non perfetto, a mio parere.
-
Però sei
bellissima - mi fece notare la donna ed io arrossii, anche se non
condividevo la sua opinione. Per me una ragazza bionda e con gli
occhi azzurri non è mai stata sinonimo di bellezza. Chiunque
può
essere bello, ma io non mi ci sentivo spesso. In me prevalevano le
insicurezze e a volte mi dimenticavo di ciò che ero io
fuori. Non ho
mai dato troppa importanza all'aspetto esteriore di qualcuno o di
qualcosa.
Dopo qualche breve minuto, un cappuccino, un caffè
macchiato e una brioche alla crema giunsero al nostro tavolo e il
loro dolce profumo mi inebriò le narici. Ci volevano proprio
quelle
piccole coccole. Avvolsi la tazza calda con le mani e vi soffiai
dentro per raffreddare il cappuccino, poi ne bevvi un piccolo sorso.
In quel momento, vidi da dietro la vetrina la ragazza rossa della
scuola che beccavo qualche volta a fissarmi nei corridoi. Era con due
amiche che non avevo mai visto prima e tutte e tre le ragazze
avanzavano ridendo tra loro verso il bar. Sperai che fossero solo di
passaggio e che una volta essere giunte di fronte alla caffetteria
fossero andate oltre, invece sgranai gli occhi appena vidi Gwen
spingere la porta in vetro. Suonò il campanellino sopra di
essa,
come quando io e Caroline entrammo poco prima.
- Oh, no - dissi
a
bassa voce mettendomi una mano sulla faccia e strizzando gli occhi.
-
Che c'è? - mi chiese Caroline aggrottando la fronte.
Avevo
dimenticato che anche Gwen rientrava in quel gruppo di persone che si
divertivano ad affollare la mia mente. I suoi sguardi a scuola mi
mettevano a disagio e non mi andava di essere fissata da lei anche
quel pomeriggio al bar.
Con una mano feci segno a Caroline di
avvicinarsi ed io mi chinai leggermente sul tavolo stando ben attenta
a non urtare la tazza di cappuccino.
- Quella ragazza
rossa che è
appena entrata frequenta la mia stessa scuola - bisbigliai alla donna
e lei si girò verso Gwen per guardarla. Mi risistemai con la
schiena
dritta sulla sedia e continuai a bere adagio il liquido caldo.
-
Anche lei è una di quelle persone che tu definisci
"particolari"?
Annuii a quella
domanda di Caroline e lei
continuò a squadrarla mentre la rossa si sedette ad un
tavolo con le
sue amiche.
- Bello stile! -
esclamò a bassa voce. -
Ma che ha di
strano, a parte il look? - mi chiese infine notando il suo capello
nero a tesa larga, la giacca di pelle color prugna, la maglietta di
una band a me sconosciuta, la gonna corta a vita alta, le calze scure
e un paio di scarpe nere dalla suola imponente.
Mi voltai verso
Gwen e, come a scuola, la beccai fissarmi. Bene, si era accorta della
mia presenza. Sbuffai quando riportai lo sguardo su Caroline.
- Mi
fissa, come adesso - risposi alla sua domanda e lei le
lanciò
un'altra occhiata.
- Credo che stia
parlando di te con le sue
amiche - mi disse indicando le tre ragazze con un pollice mentre
masticava un boccone di brioche. Una goccia di crema le
macchiò il
mento e lei si ripulì con un tovagliolo.
Mi voltai nuovamente
verso Gwen e notai che anche le altre due, una mora e una bionda, mi
lanciavano occhiate mentre condividevano qualche commento. Ma cosa
avranno avuto di tanto importante da commentare? Cosa stava dicendo
Gwen a loro?
- Non capisco
cosa voglia da me, quella rossa -
dissi
scuotendo la testa.
- Secondo me
è invidiosa!
- Di cosa? -
chiesi ridacchiando.- Semmai sono io che dovrei invidiare lei! -
esclamai considerando il suo look unico e da ammirare.
- Ma per
favore, Ellie – Caroline mi prese per una scema. - Quella
ragazza
avrà sicuramente qualcosa contro di te - mi
suggerì la
donna.
Q
ualcosa contro
di me? Non riuscivo a capire, ma ad
un
tratto mi tornò in testa quella scena in cui chiesi a Stacie
chi
fosse quella ragazza e lei mi disse che non solo era in classe con
Valentin Virtanen, ma che era persino una sua ex.
- Forse ho
capito - dissi collegando le notizie con i fatti. - Non credo che sia
invidiosa di me, più che altro penso che sia gelosa!
-
Perché?
-
Poco fa ti ho nominato Valentin, il ragazzo dall'oscuro carattere -
dissi rimettendo nel discorso Virtanen. - Sai, lui e Gwen, la rossa,
sono stati insieme - rivelai a Caroline e lei sorrise
maliziosamente.
- Ah beh, ora si
capisce tutto!
Mi misi a
ridere portando una mano sulla bocca, ma non ero poi così
sicura che
Gwen fosse gelosa del fatto che Valentin, apparentemente, mi corresse
dietro. Non ero sicura di nulla, mi basavo solo su ipotesi ed
incertezze, come sempre, ma se ci avessi visto bene quella volta?
Volevo tanto esserne convinta.
Fu davvero un pomeriggio strano,
quello. Insolito, ma piacevole. Non avrei mai creduto che parlare
apertamente con Caroline mi facesse sentire bene, eppure quel giorno
dovetti ricredermi. Lei aveva quella grande capacità di far
sentire
a proprio agio le persone. Per un paio d'ore la sentii come un'amica.
E
pensare che la prima volta che la vidi avevo paura di lei!
Durante
il tragitto a piedi, dopo aver abbandonato il bar sotto gli occhi di
Gwen e delle sue amiche, Caroline volle parlare di mio padre, ma io
non mi soffermai a lungo sull'argomento. Mi irritava ancora pensare a
lui e parlare del mio trasferimento a Londra. Dissi che abituarmi al
nuovo ambiente era ancora un po' faticoso per me e che mi mancavano
molto i miei amici. Ammisi che mi mancava anche litigare con mamma,
per poi fare pace con una sera in pizzeria o sul divano con del sushi
ordinato al negozio in fondo alla strada.
Vedere mamma e gli amici
animarsi sullo schermo del mio computer mi rattristava ogni volta, ma
Caroline mi ricordò che la mia permanenza in Inghilterra,
anche se
dopo molto tempo, avrebbe avuto comunque una fine.
Una
fine che io, giorno dopo giorno, attendevo sempre con più
impazienza.
Durante la camminata verso casa, il mio buon umore
diminuì gradualmente ad ogni passo che feci. Un po' per i
ricordi e
un po' per il pensiero che, una volta arrivata in camera, avrei
dovuto cominciare a studiare.
*
* *
Quando Valentin incrociò per la prima volta il mio sguardo a
pranzo, mi stranii nel vederlo guardarmi con quell'espressione
così dura e cupa, come se gli avessi fatto o detto qualcosa
di sbagliato che io non ricordavo. Riprese a leggere il suo libro dalla
copertina verde e morse la mela rossa del giorno, eppure lui stesso mi
aveva invitato a salutarlo il dì precedente.
Perché era lui, quella volta, a non scuotere la mano o a
mimarmi con le labbra un piccolo "ciao"?
- Oggi Valentin
è incazzato, a quanto
pare - disse Stacie masticando una forchettata di pasta. - Piede
tamburellato senza sosta a terra, sguardo spento, bocca
serrata… - elencò le caratteristiche del ragazzo
osservandolo mentre leggeva al suo tavolo. Solo, come ogni giorno.
Chissà con chi ce l'avesse, mi chiesi. Pensai addirittura
che fosse arrabbiato con me, ma non sapevo per quale motivo.
- Cosa
sarà successo secondo te? -
chiesi alla piccola giornalista.
- Non saprei,
quel ragazzo è
così lunatico che cambia umore quando meno te l'aspetti - mi
rispose lei. - E non si sa quasi mai cosa gli passa per la testa -
aggiunse infine, ed io tornai a fissare Valentin. Per quanto volessi
stargli alla larga, allo stesso tempo tendevo sempre ad appiccicare i
miei occhi su di lui. Vederlo così cupo ed agitato mi
rendeva ansiosa e preoccupata; due o tre volte interruppe la sua
lettura per lanciarmi uno sguardo né salutandomi
né sorridendomi. Rimaneva impassibile, bloccato per un paio
di secondi a trafiggermi il petto con i suoi occhi verdi per poi
continuare a leggere. Non capivo. Mi stava forse mettendo alla prova?
Avrei dovuto salutarlo io per prima? Per quanto fossi un pò
tentata a farlo, decisi di non salutarlo e di fallire quella presunta
prova. Magari mi sbagliavo, non esisteva nessun esperimento. Valentin
era arrabbiato per motivi solo a lui conosciuti, io non c'entravo
niente. O almeno, era quello che mi conveniva pensare.
- Mi guarda male
e non capisco perché -
mi lamentai.
- Non
preoccuparti, quando ha la luna storta guarda
male tutti - cercò di tranquillizzarmi Stacie, ma non ci
riuscì del tutto. Una parte di me era sempre convinta che
dietro a quello strano comportamento di Valentin ci fossi io. Ad un
tratto, notai che lui si alzò prima della campanella di fine
pranzo, buttò ciò che rimase della mela in un
cestino ed uscì dalla mensa con il suo libro sottobraccio e
una mano intenta a prendere il pacchetto di sigarette dalla tasca della
sua giacca. Trovavo curioso il fatto che indossasse la giacca durante
la pausa pranzo, come se nascondesse qualcosa di prezioso dentro le sue
tasche. Forse il tesoro erano proprio le sigarette.
Sperai
che andasse a fumare in cortile e non dentro la scuola, altrimenti
qualche professore l'avrebbe rimproverato com'era successo il primo
giorno di scuola. Non volevo che si creasse un trambusto come quella
volta.
*
* *
- Ehi Ellie, ho cominciato a scriverti la poesia! - mi
annunciò Victor con euforia quando suonò l'ultima
campanella della giornata. Stavo riponendo le matite colorate
nell'astuccio e il mio disegno in una cartelletta di plastica.
- Bene, ma spero
che non abbia una fine - gli
risposi acidamente come, ormai, mi stavo abituando a fare.
- Oh che dolce,
ne vuoi una che sia interminabile?
- No, una che
possa essere interrotta e mai
più scritta - lo corressi e finii di preparare tutto per
uscire dalla classe e andare in macchina, ma Victor mi si
piazzò davanti.
- Detesto quando
mi rispondi male - mi disse lui,
ma io lo scansai e mi diressi verso la porta.
- Io invece
detesto quando mi parli, ciao! - lo
liquidai in quel modo. Per fortuna, Vic mi lasciò andare e
ringraziai il cielo per quello. Di tanto in tanto, mi voltavo per
vedere se Victor era dietro di me, ma ogni volta non lo vedevo.
Menomale.
Arrivata alla mia macchina, mi guardai intorno. Non ero più
in cerca di Victor, ma di Valentin. Avevo la curiosità di
sapere dove fosse. La sua macchina era ancora parcheggiata al solito
posto, ma lui non c'era, così postai lo sguardo sull'entrata
della scuola e fu lì che vidi Valentin fumare una sigaretta,
la quinta o addirittura la sesta del giorno, probabilmente.
Mi appoggiai con un fianco sulla mia macchina e presi il cellulare
dalla tasca dei jeans per far finta di scrivere un messaggio. In
realtà stavo studiando il comportamento di quello strano
ragazzo che, giorno dopo giorno, nonostante la mia volontà
di stargli lontano, mi incuriosiva sempre di più. Muovevo il
pollice sullo schermo del telefonino per imitare la digitazione di un
testo e, di tanto in tanto, lanciavo occhiate a Valentin. Stava
poggiato con la schiena sul muro grigio, una mano in tasca e una che
portava la sigaretta alla bocca. Il suo sguardo scrutava il cielo, come
se stesse cercando qualcosa tra le nuvole, poi si abbassò al
suolo, a fissare qualche sasso o qualche esile filo d'erba che cresceva
tra gli spazi che dividevano le mattonelle in pietra.
Mi sentii cadere lo stomaco in un vuoto quando Valentin si accorse di
me. I suoi occhi mi facevano sempre lo stesso effetto e lo detestavo.
Esigevo più autocontrollo da me stessa, ma a volte mi era
difficile tenere ben salde le redini.
E
Valentin mi guardò due, tre e quattro volte, tutte senza
salutarmi
o farmi qualche cenno.
Continuavo
a non capire. Fu in quel momento che feci una delle mie stupidaggini
più grandi di tutta la mia vita: quando Valentin mi
guardò ancora
una volta, pensando che ormai avesse capito che il cellulare nelle
mie mani fosse tutta una copertura, io alzai una mano per salutarlo e
gli sorrisi.
Quando lui, anziché ricambiare il mio saluto, si
staccò dal muro e camminò verso la sua macchina,
io riabbassai la
mano vergognandomi. Cosa avevo fatto? Salutarlo, da quel che capii,
fu un grandissimo sbaglio, eppure io non ci vedevo nulla di male in
un “ciao”.
- E' inutile che
lo saluti, quando è
incazzato non
caga mai nessuno - sentii una voce femminile e intuii che, chiunque
avesse appena parlato, si stesse riferendo a me. Mi voltai alla mia
destra e vidi Gwen a due metri dal mio corpo. Deglutii non appena la
riconobbi.
- La mia
intenzione non era quella di disturbarlo,
anzi
- dissi riponendo il cellulare nella tasca dei jeans.
-
Tranquilla, prima o poi ti rivolgerà comunque la parola - mi
garantì
Gwen sorridendomi. Le sue labbra rosse a carnose erano ancora
più
belle quando lei sorrideva.
- Può
anche non parlarmi, non mi
faccio problemi - risposi mettendomi in posizione eretta staccandomi
dalla macchina. - Volevo solo salutarlo, dato che ieri mi ha detto
che gli farebbe piacere un mio saluto.
A quella frase, Gwen
ridacchiò divertita e si portò una ciocca di
capelli dietro un
orecchio.
- E' sempre il
solito - disse lei. - Prima fa il
carino
e il giorno dopo fa come se non esistessi, è tipico di lui -
continuò Gwen a parlarmi di Valentin.
-
Perché fa così? - le
chiesi, curiosa, sicura che lei mi avrebbe risposto.
- Se
riuscirai a farci amicizia, te lo dirà direttamente lui - mi
suggerì
la rossa facendomi rimanere nel mistero. Piegai la testa da un lato e
aggrottai le sopracciglia.
- Tu lo sai,
vero ?- le chiesi.
-
Conosco Valentin molto bene, ma è meglio se non ti racconto
altro -
disse Gwen incrociando le braccia al petto. - Non mi piace dire in
giro fatti personali di altra gente, lo trovo scorretto - mi
confessò
ed io le diedi ragione nonostante volessi conoscere il motivo per cui
Valentin avesse quel comportamento.
- Capisco,
allora non insisto
- mi arresi.
- Comunque io
sono Gwen - si presentò
lei porgendomi
una mano dalle dita piene di anelli ed io la strinsi.
- Lo so, me
l'ha detto Stacie Peters.
- Anch'io so
come ti chiami, ma pensavo
che presentarsi fosse più formale che conoscersi attraverso
altra
gente - mi disse lei con un altro dei suoi teneri sorrisi.
Pensai
che quella ragazza fosse di un'educazione esemplare e faceva piacere
avere davanti una persona così controllata e di buone
maniere.
-
Lo trovo giusto - concordai il suo parere e le nostri mani si
staccarono.
- Comunque ti do un consiglio, stai attenta a Stacie
Peters - mi avvertì agitando un dito in aria.
-
Perché dovrei? -
chiesi, preoccupata.
- Farebbe di
tutto per trovare un grande
scoop per il giornale, non raccontarle niente di te - mi
consigliò
infine indietreggiando di qualche passo.
-
Farò attenzione - le
assicurai. - Grazie.
- Non dirle che
ti ho parlato, altrimenti
scrive anche questo sul giornale - scherzò Gwen ridendo e mi
contagiò con la sua risata.
La
ragazza tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle un
pacchetto di
sigarette, ne sfilò una e l'accese.
-
Ne vuoi una anche tu? Ho il pacchetto pieno - mi offrì Gwen,
ma io
scossi la testa.
-
No grazie, non fumo.
-
Ah, capisco - annuì lei e ripose l'accendino in tasca. -
Indovina
chi mi ha fatto cominciare?
Non
mi ci volle molto per capire, poiché il suo sorriso amaro
seppe
parlare da solo. Sorrisi anch'io quando intuii che stesse parlando di
Valentin e in un lampo mi tornò in mente quella volta che
cercò di
far cominciare anche me; infine mi salutò ed io la ricambiai
con un
cenno di mano.
Non credevo che Gwen fosse simpatica. O almeno,
quella era l'impressione che mi dette in quel momento. Avrei dovuto
dirle e chiederle altre cose, ad esempio: perché mi fissava
ogni
volta che capitavamo nello stesso corridoio? Cosa disse alle sue
amiche il pomeriggio precedente al bar?
Se
non fosse stato per Valentin e per la mia curiosità di
sapere
qualcosa su di lui, quelle domande mi sarebbero sicuramente uscite di
bocca.
E Stacie? Era davvero così incontenibile in fatto di
gossip e notizie interessanti? Un po' l'avevo notato anch'io, ma dopo
l'avvertimento di Gwen decisi di stare più attenta e di non
confidarmi più con la piccola giornalista. Sapevo
già che rischiavo
di finire sul primo numero del giornale che sarebbe uscito ad ottobre
e non volevo peggiorare le cose.
----------
I'M
STILL ALIVE!
Buondì
a tutti, scusate la mia lunga assenza ma tra feste e robe varie non ho
più avuto l'occasione di postare il nuovo capitolo, ma
finalmente eccolo qui.
Questo
episodio è incentrato su Gwen e finalmente la
vediamo in azione. E' un po' misteriosa, non trovate? Nasconde tanti
segreti e se siete curiosi di scoprirli, bé... non
vi resta che attendere i nuovi capitoli ;)
Per
Ellie è un periodo piuttosto incasinato, come vi avevo
anticipato la scorsa volta. Intorno a lei ronzano un po' di persone,
ognuna di loro con qualcosa che più in là vi
stupirà. Pareri su Vic, Val, Gwen e altri personaggi?
Vi
ringrazio per essere arrivati fin qua, ci saranno tantiiissime altre
cose da scoprire, sia belle che brutte, perciò... STAY
TUNED.
Kisses
and heartgrams,
Julie
Darkeh.
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