Moonlight - Baciata dalla luna

di Julie Darkeh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Parcheggio privato ***
Capitolo 3: *** 2 - Un libro e una mela ***
Capitolo 4: *** 3 - La famosa Eleanor ***
Capitolo 5: *** 4 - Paura ed emozione ***
Capitolo 6: *** 5 - Gwen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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MOONLIGHT
Baciata dalla luna



Nota importante:
Originariamente la storia è nata come fanfiction su Ville Valo, frontman degli HIM, quindi il personaggio di Valentin Virtanen ha il suo aspetto e le canzoni citate nella storia sono degli HIM. I nomi cambiano per via dei contenuti delicati, ideati interamente per puro caso e non per offendere personaggi realmente esistenti.
Tutti i diritti sono riservati, quindi evitate il plagio, grazie.



Prologo



Leggere mi riempiva tutte quelle giornate calde di luglio passate in camera mia, mentre i vicini sguazzavano nelle loro piscine o prendevano il sole sulla terrazza. Per me “estate” non è mai stato sinonimo di “divertimento”, ma di “riposo”. Preferivo scoprire qualche libro piuttosto che gettarmi in una vasca d’acqua o imbrunire la mia pelle. Dopo un anno di scuola passato ad eseguire letture obbligate, esercizi di matematica, analisi di opere artistiche e studi filosofici, l’unica cosa che volevo fare era perdermi in un libro a mia scelta. Non ho mai sopportato leggere testi che non catturassero la mia attenzione, specialmente quelli scolastici, eccetto il volume di storia dell'arte.

 Il mio libro preferito era Darkness di Lily Benson, una bravissima scrittrice di romanzi fantasy abbastanza conosciuta in Canada. L’avrò letto circa tre volte, nonostante le sue duecento pagine.

Era esattamente il 14 luglio quando cominciai a leggerlo per la seconda volta. Mi ricordo ancora bene quella data perché fu proprio in quel giorno che mia madre, Lauren, entrò in camera mia per informarmi di una cosa molto importante.
 Stavo sdraiata sul mio letto con i piedi incrociati mentre leggevo il primo capitolo del libro. Poco prima di voltare una pagina, sentii bussare alla porta.

- Posso entrare, Ellie?

- Sì, vieni - invitai mia madre ad entrare ed aprì la porta. Rimase appoggiata allo stipite e con la mano che stringeva ancora la maniglia.

 Chiusi il libro lasciando un dito tra le due pagine che dovevo ancora leggere per non perdere il segno e posai la mia attenzione su mia mamma.

- Ho parlato con tuo padre - mi disse riferendosi all’ultima chiamata fatta con John Cole, mio papà, con espressione seria e sospirò.

- Che ha detto? - le chiesi curiosa, anche se avevo già intuito la risposta.

 - A fine agosto vai da lui - mi annunciò mamma fissandomi negli occhi. Disse ciò che temevo, ciò che avevo intuito. Pregai tutti i giorni per non trasferirmi in Inghilterra da mio padre, ma le mie preghiere non vennero ascoltate.

 - Ti avevo chiesto di convincerlo a lasciarmi in pace – sibilai, delusa, riaprendo il libro che avevo tra le mani e guardai a caso le parole stampate su quelle pagine aperte.

- E’ tuo papà, non un estraneo - mi ricordò lei. - E’ giusto che tu passi del tempo anche con lui.
Odiavo ammettere che mia mamma avesse ragione. Erano passati due anni dalla separazione dei miei genitori e quando mio papà trovò lavoro a Londra, io non lo vidi più. Sapevo, comunque, che prima o poi avrei dovuto raggiungerlo in Inghilterra per un po’, solo che quel giorno non volevo arrivasse così in fretta. Per me il tempo era davvero volato.

- Per quanto dovrò rimanere lì? - chiesi, impaurita di una risposta scioccante.

- Un anno.

- Cosa? - reagii con gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata.

- Un anno passa in fretta - cercò di consolarmi mia madre, ma non ci riuscì.

- Ma io non mi sono mai mossa da qui! E i miei amici? Dove andrò a scuola? - sparai delle domande a raffica, preoccupata per il mio nuovo frammento di vita che avrei dovuto cominciare a breve.

- Papà ti ha iscritto ad un istituto d’arte ai confini di Londra, è una buona scuola - mi garantì mamma. Per fortuna non dovevo cambiare indirizzo di studi, ma ero comunque spaventata all’idea di quel grosso cambiamento chiamato “Inghilterra”. Non volevo lasciare il Canada, non l’avevo mai fatto prima d’allora.

- E poi stai tranquilla, ti farai degli amici anche a Londra, vedrai - continuò la donna a provare a togliermi tutte le paure che avevo, ma lei la faceva facile. Non sono mai stata molto brava a stringere amicizie.

Era da un bel po’ di tempo che i miei genitori discutevano al telefono su un mio possibile trasferimento temporaneo a Londra, dato che mio padre sentiva la mia mancanza, e dopo tanto discutere mi ritrovai a fare le valigie. Una volta arrivata nella fredda capitale inglese, avrei conosciuto Caroline, la nuova compagna di mio padre, e avevo un po’ paura di lei. Non sapevo che carattere avesse e cosa fosse disposta a fare per instaurare un bel rapporto con me.

Non mi sentivo per niente pronta ad affrontare un lungo viaggio in aereo e un’interminabile permanenza in Europa, ma Londra mi aspettava ed io dovetti raggiungerla. Cercai di portare con me tutto ciò che mi era più caro, oltre i vestiti.

E venne con me anche Darkness della mia adorata Lily Benson. Pensai che una mastodontica lotta fra angeli e demoni avrebbe potuto alleggerire quel viaggio in aereo e perché no, magari anche quel nuovo pezzo della mia nuova vita che sarebbe cominciata a momenti. Fu così che volli leggere quel libro anche per la terza volta.

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Angolo autrice.

Finalmente eccomi qui, cari himsters e non. Io sono Julie Darkeh e questo che avete appena letto è il prologo della storia più impegnativa che io abbia mai scritto fino ad ora. Sono come voi schiava della musica degli HIM e stregata da quel bello e dannato del cantante, il nostro Signor Valo. Ho pensato... come sarà stata la sua carriera scolastica ai tempi del liceo? Ed è nata questa storia.

Nel prologo non succede niente di che, ma già dal prossimo capitolo ci saranno delle scene interessanti. Spero che questa nuova avventura sia ricca di emozioni soprattutto per voi e che quindi vi possa piacere. Non esitate a scrivere un commentino!

Kisses and heartgrams,

Julie Darkeh.






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Capitolo 2
*** 1 - Parcheggio privato ***


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1 - Parcheggio privato



Me lo immaginai meno pesante, il viaggio. Il mio libro preferito non seppe per niente alleggerire il volo, poiché dopo aver letto quasi metà del romanzo mi venne sonno. Dormii per circa un paio d’ore, mi svegliai e poi fu difficile riaddormentarmi. Anche ascoltare la musica non seppe distrarmi dal viaggio e non riuscivo a credere che avrei dovuto ripetere quelle ore così pesanti anche per ritornare a casa. Pensai che sarebbe dovuto passare un anno prima di affrontare il prossimo volo, così mi tranquillizzai. Non durò per molto, però, quell’attimo di tranquillità.

Quando atterrai a Londra tirai un sospiro di sollievo, ma dopo un paio di secondi mi feci riprendere dall'ansia.

Dopo aver sceso le scale in ferro che collegavano l’aereo al suolo, avanzai con il mio borsone verso la navetta che, successivamente, mi portò ad un entrata dell’aeroporto. Prima di raggiungere mio padre e Caroline, dovetti cercare ed afferrare la mia valigia color caramello e passare attraverso le porte scorrevoli. Già mi mancava casa mia. Mi straniva sentire tutta quella gente parlare l’inglese con l’accento diverso dal mio, ma pensai che prima o poi ci avrei fatto l’abitudine.

L’agitazione in me cresceva a dismisura e avevo paura di non riuscire più a controllarla. Temevo di svenire o di vomitare. A momenti avrei rivisto mio padre dopo due anni e la sua compagna Caroline insieme a lui. Quando sbucai dalle porte scorrevoli e vidi tanta gente ammassata ad aspettare amici o parenti, cercai con gli occhi quei due, ma non riuscii a trovarli subito.

 -Ellie! Ellie! Siamo qui!- sentii all’improvviso una voce maschile chiamarmi intuendo che si trattasse di mio papà. Mi voltai in diverse direzioni, ma solo dopo qualche attimo scorsi in mezzo alla folla quel viso che mi pareva tanto familiare: occhi scuri e piccoli, baffi bruni e labbra sottili. Accanto a lui stava una donna castana, ben vestita e dall’aria dolce. Il suo sorriso serrato e le fossette vicino agli angoli della bocca mi esprimevano gentilezza e sicurezza. Quella donna era Caroline, la tanto temuta compagna di papà. Per un attimo pensai di essermi sbagliata sul suo conto, ma non cambiai definitivamente l’idea iniziale che avevo di lei. Un sorriso non ha mai determinato il carattere di una persona, giusto?
Li raggiunsi a passo calmo e deciso, senza fretta. Di certo non avevo voglia di saltar loro in braccio, ma cercai comunque di mostrarmi troppo fredda. Trovavo un po’ seccante rivedere un papà che solo dopo due anni si ricordò di avere una figlia in Canada.

- Ciao papà - salutai l’uomo abbracciandolo, ma fu lui quello a stringere di più le braccia.

- Ciao tesoro, ben arrivata - mi ricambiò lui dandomi il benvenuto e, dalla voce, sembrava anche abbastanza commosso, oltre che contento di vedermi.

- Ciao cara, sono felice di conoscerti, finalmente - mi disse Caroline non appena mi sciolsi dall’abbraccio con papà e le strinsi la mano che mi porse sotto il naso.

- Anche io - risposi sorridendole, ma in realtà non ero poi così entusiasta.

- Io sono Caroline - pronunciò la donna il suo nome, poi staccò la mano dalla mia. - Eleanor - mi presentai.

- Tua figlia è davvero molto bella, dal vivo è ancora meglio che in foto - Caroline fece i complimenti a mio padre prendendolo sottobraccio e fissando il suo volto, poi riprese a guardare me, che rimasi senza parole per quelle lusinghe.

- Assomiglia molto a Lauren - disse mio padre sorridendomi, ma io non lo ricambiai.

Non rimanemmo molto in quel punto a soffermarci in chiacchiere, per fortuna, così ci avviammo insieme verso l’uscita e, successivamente, ai parcheggi. L’auto non era lontana e ciò fu un bene, dato che non avevo per niente voglia di cercare il veicolo a lungo.

Durante il viaggio in macchina non riuscii a smettere di pensare a ciò che lasciai ad Ottawa, la mia città. I miei migliori amici Max, Tyler, Eve e Bonnie organizzarono una cena per salutarmi a casa di Andrew, quello che fu il mio ragazzo per cinque mesi e che io dovetti lasciare per via della mia partenza. Fu doloroso, ma sapevo che era la cosa migliore da fare. Mi ricordo che, dopo la cena, io ed Andrew parlammo in giardino.

 - Quindi sei proprio decisa a partire? - mi chiese lui con lo sguardo diretto verso il suolo e il piede destro che calciava i fili d’erba.

- Devo farlo, te l’ho spiegato - gli risposi cercando di trattenere le lacrime.

- Ce l’ho con tuo padre, sai?

- Pure io, credimi.

Andrew alzò il viso e mi guardò dritta negli occhi. Vidi le sue labbra tremare e le sue iridi scure divenire più lucide.

- Mi mancherai da morire, Ellie - disse il ragazzo scuotendo la testa e avvicinandosi a me con le braccia aperte, con le quali poi mi avvolse e strinse fortissimo. Ricambiai quell’abbraccio immediatamente, guancia sul suo torace, braccia attorno alle costole e mani sulla schiena. Sentivo il suo cuore battermi nell’orecchio.

- Anche tu Andy, ti amo - feci uscire quelle parole tra un singhiozzo e l’altro mentre scoppiai a piangere sulla maglietta di lui. Non scorderò mai quel profumo che sapeva di pulito, il suo profumo.

Mi risvegliai dai ricordi quando mio papà mi chiese cosa volessi per cena. Avevo gli occhi umidi e mi asciugai le palpebre inferiori con i polpastrelli.

- Non lo so, prepara quello che vuoi - risposi dopo aver deglutito rumorosamente.

- Ti va se ordiniamo le pizze? - mi propose Caroline con tono amorevole. Era palese che stesse tentando di sembrare carina ai miei occhi.

- Va bene - concordai sperando che una pizza potesse risollevarmi un po’ l’umore di quel giorno.

Ottawa era ormai lontanissima, i miei amici li avrei visti solo in webcam e Andrew non era più il mio ragazzo. Londra mi avrebbe portato almeno un pizzico di felicità? Lo speravo tanto perché ne avevo un grande bisogno.



* * *



Il primo giorno di scuola arrivò velocissimo dopo il mio arrivo in città.

In quelle giornate passate così rapidamente provai ad ambientarmi un po’ in quell’aria umida tipica dell’Inghilterra e mio papà mi fece fare il giro di Londra insieme a Caroline. Scattai molte fotografie durante i tour, soprattutto quando mi ritrovai sotto l’altissimo Big Ben. Non l’avevo mai visto dal vivo prima d’allora. Mi piacque anche salire sul London Eye, fu davvero pazzesco vedere al tramonto la città da quell'altezza.

 Dopo aver riempito lo zaino con il necessario ed essermi preparata, scesi in garage per prendere l’auto che mio papà decise di darmi per la scuola. Non credevo che ne possedesse due, eppure ne aveva una per sé e una per me. A dire il vero quella che potevo guidare era di Caroline, ma lei voleva sbarazzarsene. All’inizio mi sembrò strano che una persona potesse cedere la propria macchina a qualcun altro senza esitazioni, ma successivamente realizzai che quell’atteggiamento non era poi così anormale, dato che Caroline stava per comprare un’auto nuova di zecca. Cominciai a comprenderla ancora di più quando notai che un faro di quella che regalò a me era rotto e l’airbag del volante non poteva essere più utilizzato, poiché sul clacson c'erano strati di scotch marrone che riparavano il volante, apertosi durante un probabile incidente.

 Nonostante le condizioni della mia auto, partii di casa con l’ottimismo nell’animo. Ero agitata all’idea di frequentare una nuova scuola e di incontrare persone nuove, ma non avevo voglia di pensare negativo. Non avrei cominciato di certo bene la giornata in quel modo.

Il navigatore satellitare mi portò alla William Blake Art School, un istituto che dall’esterno mi parve subito abbastanza piccolo. Pensai che probabilmente non si trattava di una scuola frequentata da molti studenti, il che mi tranquillizzava. C’era meno gente da conoscere rispetto alle mie aspettative.
Parcheggiai l’auto poco lontano dall’ingresso della scuola. Quando scesi dal veicolo mi guardai attorno. Odiavo essere fissata come se fossi un alieno, ma soprattutto odiavo dover essere la nuova arrivata. Mi diressi verso l’entrata della scuola con lo zaino ben in spalla, poi mi sedetti su un gradino di quella breve scalinata che stava davanti all’ingresso. Guardai l’orario sul cellulare e mi resi conto di essere leggermente in anticipo, così buffai all’idea di dover aspettare venti minuti per entrare a scuola alla ricerca della mia classe.

- Scusa, è tua quella macchina? - sentii una voce femminile non appena una ragazza piuttosto bassa, occhialuta e con i capelli lunghi e color caramello si avvicinò a me indicandomi l’auto grigia che avevo appena parcheggiato.

- Sì, è la mia, perché? - chiesi con una punta d’ansia nel petto.

- Non ti conviene tenerla lì - mi consigliò la ragazza guardandomi con aria buffa.

- E’ per caso un posto riservato?

- Sì, è di un tipo che è meglio non sottovalutare.

A quella frase mi irrigidii, ma non volli alzarmi per spostare la macchina. Per quanto potesse avermi un po’ allarmata il consiglio di quella stramba tipa, considerai il fatto del posto privato una sciocchezza.

- Non credo che quello sia l’unico parcheggio di questa scuola, quel tizio potrebbe trovare benissimo un altro posto, no?- dissi fingendomi molto sicura di me e ciò che ottenni fu un sorriso da parte di quella ragazza.

- Sei nuova e anche coraggiosa - osservò lei. - Io sono Stacie Peters, tu? - aggiunse presentandosi e sedendosi accanto a me sul gradino.

- Eleanor Cole, piacere - risposi porgendo una mano a Stacie e lei me la strinse.

- Non sei di queste parti, vero?

- Da cosa l’hai notato? Dal mio accento, scommetto - dissi io.

- Già, hai un accento diverso - notò Stacie.

- Sono canadese, vengo da Ottawa - ammisi.

- Oh, interessante! - esclamò la ragazza, euforica, e cominciò a scrivere qualcosa su un blocnotes che tirò subito fuori dal suo zaino.

- Che stai facendo? - le chiesi, perplessa, mentre diedi un’occhiata a cosa stesse scrivendo.

- Sto prendendo appunti - mi rispose lei senza smettere di agitare la penna.

- Perché?

- Hai accanto a te la direttrice del giornalino della scuola - mi disse ammiccandomi e indicando il suo corpo con un indice. Smise di scrivere e cominciò a farmi altre domande.


- Perché ti sei trasferita qui? Hai dovuto lasciare molti amici? Come mai hai scelto proprio questa scuola?

- Ferma un attimo! - le ordinai sollevando le due mani e mettendogliele davanti. - Io non voglio che tu scriva un articolo su di me - le dissi prima che potesse già progettare qualcosa per il suo giornalino e sul volto di Stacie si formò un’espressione di delusione.

- Oh, non credevo che ti potesse dare fastidio - mi disse perdendo l’allegria che l’accompagnò dal primo momento che mi vide. – Ma sai, io scrivo sempre articoli sui ragazzi nuovi e…

- Magari un altro giorno, okay? Per adesso voglio solo integrarmi nella scuola, ma non attraverso un articolo di giornale - dissi ciò che pensavo alla ragazza occhialuta e lei ripose il blocnotes e la penna nello zaino.

- Beh, se mi dici che posso scrivere qualcosa su di te tra qualche giorno... per me va bene.

- Perdonami, non volevo comunque deluderti o altro del genere - le garantii per toglierle quell’aria rassegnata che si era formata sul suo volto vispo.

- Figurati, tanto prima o poi scriverò comunque qualche parolina su di te, tranquilla - mi ammiccò ancora una volta Stacie. – Alla fine finiscono sempre quasi tutti sulle pagine del giornalino scolastico!

- Conosci proprio tutti di questo istituto? - chiesi incredula e Stacie annuì. - Che anno frequenti? - le domandai, curiosa.

- Quest’anno il terzo - mi rispose la ragazza. - E tu? - rivolse la domanda a me.

- Il quarto, e spero che passi in fretta.

- Perché dici così? Vedrai che ti piacerà qui!

- Sì, ma tra dodici mesi ritorno ad Ottawa.

- Ah, quindi non sei venuta a Londra per restarci... passerai qui anche l’estate, allora?

- Sì, purtroppo.

Avevo la strana impressione di star sbagliando tutto. Non dovevo partire con quella negatività che inizialmente non volevo avere in corpo. Stavo decisamente snobbando Londra davanti ad una sua abitante e forse fui anche offensiva nei suoi confronti. Mi pentii di aver dato quelle risposte troppo sincere.
 In quel momento arrivò davanti alla scuola un’auto blu con una portiera ammaccata e notai che un bel po’ di gente la stava fissando e commentando man mano che avanzava nel cortile in cerca di un parcheggio. Quando la macchina si fermò dietro la mia, ne uscì un ragazzo alto e con i capelli ondulati e castani, lunghi fino alle spalle. Aveva una sigaretta tra le labbra e due orecchini tondi penzolanti dai lobi.

- Oh, eccolo, è arrivato - mi annunciò Stacie guardandomi e indicando con un pollice il ragazzo della macchina blu.

Lo guardai ancora e lo vidi voltarsi di qua e di là fondendo il suo profilo in una nuvoletta di fumo.

- Di chi cazzo è questa macchina? - chiese il tipo ad alta voce riferendosi a tutti i presenti, ma nessuno rispose.

- Ma chi è? - chiesi sottovoce a Stacie riferendomi a quell’individuo.

- Valentin Virtanen, un pessimo elemento - mi rispose la ragazza bisbigliando.

- Allora? Di chi è? - riprovò Valentin a chiedere e il vociare della gente si intensificò leggermente. Perché tutti commentavano ma nessuno osava rispondergli? Mi feci coraggio e mi alzai dalla scalinata. Per quanto io possa essere una ragazza ansiosa, ho sempre avuto il vizio di buttarmi in ogni situazione. Non ho mai capito questo mio strano contrasto.

 - E’ la mia! - esclamai mentre raggiungevo il ragazzo e lui voltò la testa verso di me guardandomi con diffidenza. Aveva un’aria particolare: il suo sguardo era un mix di mistero, fascino e malizia. Mi sentii trafiggere il petto quando quegli occhi color ghiaccio incontrarono i miei color oceano.

 - Chi sei? Non ti ho mai vista - disse Valentin girando tutto il corpo verso di me e squadrandomi dalla testa ai piedi con uno strano ghigno in faccia. Da quella strana aria diffidente passò ad uno sguardo interessato.

- Sono nuova, vengo dal Canada, mi chiamo Eleanor - gli risposi con la maschera di una ragazza sicura di sé, ma in realtà mi tremavano un po’ le ginocchia.

- Sai, piccola canadese, questo posto è mio, di Valentin Virtanen - disse lui con la sua voce tremendamente profonda e suadente poco prima di soffiarmi in faccia una nuvola di fumo e si indicò con un dito quando pronunciò il suo nome. Agitai una mano per spazzare via quell’odore acre dal mio naso, ma fu inutile. Il fumo si impregnò nei miei capelli.

Fu un momento davvero imbarazzante per me, quello. Avevo davanti un ragazzo molto strano e attorno a noi c’erano studenti che ci fissavano scambiando tra loro numerosi commenti sulla scena alla quale stavano assistendo.

Quando Valentin rialzò la mano per portarsi nuovamente la sigaretta alla bocca, notai intorno al polso un tatuaggio rappresentante un intricato gioco di rami che probabilmente continuava su per il braccio, nascosto dalla manica della giacca di jeans.

- C’è scritto il tuo nome da qualche parte? - lo sfidai con quella domanda e lui ridacchiò con la sigaretta tra i denti e portandosi una mano tra i capelli.

- Non c’è bisogno di una targa col mio nome, qui - mi garantì Valentin riprendendo la sigaretta tra le dita e facendo cadere della cenere a terra. - Lo sanno tutti che questo è il mio parcheggio, ma visto che tu sei nuova… - lasciò in sospeso la frase e, anziché parlare, si impegnò a fissare il mio corpo con malizia. Stavo cominciando a pensare che la sua rassegnazione dipendesse dal mio corpo.

- Che guardi? - chiesi infastidita e gli occhi glaciali di Valentin si incastrarono nei miei.

- La ragazza che mi ha rubato il parcheggio - mi rispose lui con ovvietà abbozzando un sorrisetto e facendomi roteare gli occhi al cielo. Rimasi in silenzio e Valentin, dopo aver buttato il mozzicone a terra per poi pestarlo con un piede, tornò in macchina. Indietreggiai e vidi il ragazzo parcheggiare accanto alla mia auto. Gli studenti che erano rimasti tutti a fissarci mentre parlavamo continuavano a commentare: “Non ci credo, Valentin ha ceduto”, “Quella ragazza è appena arrivata e doma Virtanen con facilità? Ma chi si crede di essere?”, “Incredibile, ce l’ha fatta”, “E’ ovvio che Valentin non abbia litigato, con le belle ragazze fa sempre il cascamorto”.
Quando Valentin scese dalla sua macchina, prese un borsone dai posti posteriori e chiuse la portiera lanciandomi un’altra occhiata.

- Domani facciamo cambio, okay bellezza? - mi chiese lui riferendosi ai nostri parcheggi, ma più che una proposta mi sembrò un ordine.

- Come vuoi - risposi con espressione neutra.

Valentin mi diede le spalle e scomparve dal retro della scuola senza proferire alcuna parola. Guardandolo andar via, notai come fosse bello il suo didietro e in un lampo mi venne in mente Andrew. Era impressionante come Andy e Valentin avessero lo stesso fondo schiena. Anche la camminata era simile. L’unica cosa che li differenziava era il modo di porsi con le persone. Mi risvegliai dal mio stato di trance quando mi chiesi come mai Valentin stesse entrando a scuola dal retro. Fu in quel momento che sentii la campanella suonare.

- Eleanor, non ci posso credere! - esclamò Stacie quando la raggiunsi sulle scale e si alzò in piedi per entrare nell’edificio con me.

- Cosa? - le domandai facendo finta di non capire.

- Se tu fossi un ragazzo, Valentin ti avrebbe messo le mani addosso! E se fossi una ragazza poco carina, probabilmente non avrebbe chiuso un occhio lasciandoti andare così- mi svelò Stacie.

- E’ davvero così stronzo? - chiesi incredula.

- “Stronzo” nel suo caso è riduttivo - disse la ragazza occhialuta.

Io e Stacie raggiungemmo il piano di sopra salendo le scale insieme agli altri studenti e mentre parlavo con lei di Valentin, non riuscivo a credere con che tipo ebbi appena avuto a che fare.

- Oggi scriverò un articolo che intitolerò “Finlandia VS Canada: quale stato è più potente da accaparrarsi un parcheggio?” - annunciò la scrittrice, fiera di sé per aver trovato un titolo, a parer suo stellare. Non pensavo che quel Valentin fosse finlandese, ma ripensando al suo nome particolare mi fu tutto più chiaro.

Io scoppiai a ridere.

- Sei simpatica, sai? - le confessai con il sorriso.

- Oh, anche tu lo sei, e lo pensa anche Valentin, sicuramente! - mi disse Stacie, ancora una volta con uno dei suoi occhiolini. - Mi piaci, sei tosta! - aggiunse infine la ragazza facendomi ridere nuovamente.


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Angolo autrice.

Buon pomeriggio himesters e non, bentornati :)
Quale giorno migliore di questo sarebbe potuto essere adatto per un aggiornamento di "Baciata dalla luna"? Oggi il nostro Valo compie la bellezza di quarant'anni e bisogna ammettere che il tempo non permette al suo fascino di sbiadire, anzi migliora come il gusto del vino.
Ma chiusa questa parentesi, qui abbiamo il primo capitolo della storia e Ville/Val fa la sua prima apparizione. Prime impressioni sui personaggi fin ora incontrati?
Vi dico soltanto che qualsiasi esse siano, nel corso della pubblicazione cambieranno.
Non mancate al secondo capitolo!

Kisses and heartgrams,
Julie Darkeh.

PS: scusate se avete trovato delle imperfezioni del font di scrittura, ma NVU fa sempre i suoi sporchi giochetti.

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Capitolo 3
*** 2 - Un libro e una mela ***


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2 - Un libro e una mela







Il cibo della mensa non era ottimo, ma neanche terribile. Non ho mai avuto un debole per le minestre, ma la passata di zucchine era abbastanza saporita. Il pane era leggermente duro, ma buono.

Stavo seduta al tavolo con Stacie nella spaziosa mensa dell’istituto. Era un po’ più piccola della mensa della mia vecchia scuola, ma l’ambiente era piacevole. Mentre mi portai alla bocca un cucchiaio di minestra, notai con la coda dell’occhio Valentin sedersi con un libro in mano ad un tavolo vuoto. Intuii che quel ragazzo, molto probabilmente, avesse anche il posto in mensa riservato solo per lui. Trovai la cosa alquanto patetica.

- Stamattina, sulle scale, mi hai detto che Valentin è un pessimo elemento - ricordai a Stacie. - Cosa intendevi esattamente? - le chiesi infine. Mi sembrava strano che la gente evitasse Valentin solo per il suo essere scontroso. Non lo consideravo un motivo abbastanza valido, insomma, pensavo che qualche pregio dovesse pur averlo, quel finlandese.

- Non hai avuto una prova stamattina? Hai visto quanto è scorbutico? - mi fece rammentare Stacie quella scena accaduta poco prima di entrare a scuola.

- C’è dell’altro? - chiesi curiosa. - Insomma, mi sembra così assurdo che non abbia nemmeno un amico, ha per caso fatto qualcosa di grave in passato? - continuai con le mie domande. Stacie mi disse che sapeva tutto di tutti, perciò avrebbe sicuramente saputo rispondermi.

- Uhm, a parte il fatto che fuma e che una volta è stato ritrovato svenuto in bagno con un sacchettino di coca vicino al suo corpo... no, non ha fatto niente di strano - mi rispose con ironia la ragazza, ma quella volta non seppi ridere davanti al suo umorismo. La fame mi diminuì. - Ah, e dunque ha passato l'intera estate chiuso in una clinica per disintossicarsi.

- Mi stai prendendo in giro?

- No, Eleanor, è tutto vero - mi garantì Stacie, poi addentò il suo panetto.

Mi voltai verso Valentin, angosciata, e lo vidi mordere una mela mentre sfogliava il suo libro. In quel momento mi chiesi da dove spuntò quel frutto, dato che pochi attimi prima il ragazzo non aveva niente in mano, se non quel mattone dalla copertina verde.

- Mangia sempre e solo una mela a pranzo, povero uomo - disse Stacie osservando come me lo strano finlandese. - La tiene sempre dentro un sacchettino che custodisce in una tasca interna della giacca, qualunque lui indossi - aggiunse lei come se mi avesse appena letto nel pensiero rispondendo alla domanda che mi posi mentalmente.

- Ah - boccheggiai. - Legge spesso qui in mensa?

- Lui vive leggendo, non legge solo a pranzo - mi rivelò la ragazza.

In quel momento notai che io e Valentin avevamo una cosa in comune: la passione per la lettura.

E mi meravigliai di come la cosa potesse interessarmi. Mi chiesi che libro stesse leggendo in quel momento e quale fossero i suoi generi preferiti.

- E’ strano come possa essere così ribelle e allo stesso tempo appassionato di libri - feci la mia osservazione.

- Valentin è un tipo tutto particolare, penso che sia unico al mondo - disse Stacie ridacchiando. – E poi è anche molto bravo a dipingere, suonare e cantare. Gli anni scorsi teneva spettacoli durante le feste scolastiche, ma dubito che quest'anno ci faccia sentire ancora qualcosa, dato che l'ultima volta che ha suonato ha sconvolto tutti con una canzone dal tema erotico - continuò lei ad informarmi. Più Stacie mi parlava di Valentin, più rimanevo senza parole. Non avevo mai conosciuto un ragazzo così strano e pieno di talenti in vita mia.

- Suona la chitarra? - chiesi e Stacie annuì. Prima di portarsi nuovamente il cucchiaio di passata alla bocca, lei si bloccò e mi fissò negli occhi riducendo i suoi in due fessure. Mi fermai a guardarla preoccupata.

- Che hai?

- Perché mi hai fatto queste domande su Valentin Virtanen? - mi chiese lei, maliziosa. Chissà cosa stesse pensando...

- Per curiosità, non potevo?

- Ho capito, ti piace - arrivò Stacie a quella soluzione affrettata, convinta di aver beccato una mia presunta cotta per quel ragazzo.

- Assolutamente no! - risposi con convinzione, ma Stacie era difficile da convincere.

- Ma andiamo, bisogna ammettere che, nonostante il suo comportamento e la sua fama, è un bel pezzo di gnocco - mi confidò la mia nuova amica arrossendo ed io scoppiai a ridere nel vederla alzare due volte le sopracciglia maliziosamente.

- Credo proprio che quella ad essere cotta di Valentin, qui, sei tu - le dissi indicandola.

- Devi sapere, Eleanor, che le ragazze di questa scuola si suddividono in due tipi: quelle affascinate da Valentin e quelle spaventate da Valentin- mi informò l’occhialuta.

- E tu? Da che parte stai?

- Valentin è il mio sogno proibito, ma tu non dirlo a nessuno - mi rispose Stacie per farmi intendere che di certo non faceva parte della ragazze che avevano paura di quell’ombroso. Risi di nuovo per quanto fosse spiritosa quella piccola giornalista.

- Di certo tu non sei una di quelle che lo teme, dato che oggi non gli hai ceduto il parcheggio - disse Stacie cercando di nuovo di farmi ammettere una cosa che non provavo realmente. Ci avevo parlato solo una volta, potevo essermi già presa una cotta per lui? Impossibile.

- Io non faccio parte né della prima schiera né della seconda – dissi, decisa, poi mi voltai nuovamente verso Valentin mentre lui era ancora assorto nel libro che stava leggendo. Aveva quasi finito di mangiare la mela, ormai morsa fino al torsolo. Era vero, però, che lui avesse un certo fascino. I suoi occhi così chiari e freddi avevano provocato in me una breve tempesta nel petto quando colpirono per la prima volta i miei, prima di entrare a scuola. Valentin mi trasmetteva inquietudine, ma allo stesso tempo mi attraeva. Non potevo di certo, però, considerare le mie sensazioni come sintomi di una cotta. Nel mio cuore c’era ancora il ricordo triste di Andrew e ogni minuto che passava desideravo averlo accanto a me. Detestavo sapere che tra me e lui ci fosse l’oceano. I suoi capelli ricci li sentivo ancora tra le dita e i suoi occhi scuri li sentivo ancora fissi su di me, ma insieme a loro si aggiunsero quelli gelidi di Valentin che, mentre stavo ancora seduta a fissarlo leggere, mi tagliarono le iridi blu. Mi girai di scatto verso la superficie liscia del tavolo sul quale stavo mangiando e feci finta di nulla.

- Sbaglio o Valentin ti sta guardando? - si accorse anche Stacie del fatto che quel ragazzo ricominciò a lanciarmi occhiatine.

- Già, lasciamo stare - dissi svuotando finalmente il mio piatto di minestra, poi bevvi un sorso d’acqua.

- Sto pensando ad un articolo che intitolerò “Eleanor Cole riesce a distrarre Valentin Virtanen dalla sua lettura durante il pranzo: sarà lei la prossima preda per il misterioso della scuola?” - propose la ragazza la sua idea, ma io l’abolii immediatamente.

- No, ti prego, lascia perdere!

- Sai quanti articoli ho scritto su Valentin? Questo potrebbe essere uno dei più interessanti! E poi devo scrivere anche di te, ricordatelo!

Sbuffai a quelle parole. Pensai che prima o poi ci sarei dovuta finire per forza sulle pagine del giornalino scolastico, ma io non volevo.

- Hai dovuto intervistare Valentin molte volte per i tuoi articoli? - chiesi a Stacie cercando di allontanarla dall’idea di inserirmi nel suo giornale.

- Lui non ha bisogno di essere intervistato, fa parlare di sé anche senza interviste - disse la mora dagli occhi grigi e gli occhiali neri ben posizionati sul naso. -Però ammetto che delle volte ci ho provato - aggiunse infine.

- E come è andata?

- Mi ha sempre mandata a 'fanculo, non mi ha mai ascoltata - mi rispose Stacie ridendo amaramente. Le lessi in viso che le dispiaceva essere trattata in quel modo da Valentin, ma lei non voleva comunque passare per vittima. La salvava sempre la sua ironia in momenti come quelli, perciò quando era imbarazzata o triste parlava di sé ridendo.

In quel momento suonò la campanella e la pausa pranzo sembrò fosse volata. Quando mi alzai dal tavolo insieme a Stacie per svuotare il vassoio in un apposito cestino, mi voltai ancora verso il posto di Valentin, ma lui si era già alzato dal suo tavolo e, quando lo avvistai, buttò il torsolo di mela e il sacchettino di plastica accartocciato in un bidone, poi estrasse un pacchetto di sigarette da una tasca dei jeans. Posai il vassoio ormai vuoto sul bancone apposito, poi i miei occhi ricatturarono Valentin come una macchina fotografica rapisce un’immagine. Con una mano teneva chiuso il suo libro e con l’altra teneva una sigaretta appena accesa. Stava poggiato allo stipite dell’entrata della mensa e guardava tutti gli studenti uscire. Alcuni lo ignoravano, altri facevano brutti commenti non appena lo superavano oltre la grande porta. Io e Stacie stavamo per avvicinarci a lui, poiché dovevamo uscire anche noi dalla mensa, e ciò che mi preoccupò fu un suo probabile intervento. Mi avrebbe guardata? Mi avrebbe parlato? In qualsiasi caso, io lo avrei ignorato.

- Ciao, bella - lo sentii parlare non appena gli passai accanto e il fumo della sua sigaretta invase le mie narici. Gli lanciai un sguardo e lo vidi sorridermi maliziosamente, ma come mi ero imposta di fare, lo lasciai perdere e non ricambiai il suo saluto. Avanzai dritta per il corridoio con Stacie come se nessuno mi avesse appena salutata.

- Virtanen! Cominci bene quest’anno, eh? Spegni subito quella sigaretta! - sentii la voce potente di un uomo rimproverare il ribelle Valentin che, contro il regolamento, stava fumando all’interno dell’istituto. Io e Stacie ci voltammo indietro per assistere alla scena.

- Vuole fare un tiro, prof? - fece lui lo spiritoso porgendo la sigaretta al professore. Avevo già visto quell’uomo prima di pranzo, era il mio docente di matematica. Tutti i presenti ridevano e commentavano la scena che, sicuramente, era la millesima di una lunga serie.

- Quello che tirerei è un ceffone sulla tua faccia! - continuò il prof a sgridarlo davanti a tutti gli studenti e Valentin scoppiò a ridere, divertito.

- Si calmi prof, adesso esco, okay? - disse il ragazzo una volta aver placato le risate, ma sul suo volto rimase stampato il sorriso di uno che gode dei fastidi altrui. Alzò le mani in segno di resa e, dando le spalle al professore, se ne andò prendendo la strada dall’altra parte del corridoio, verso l’uscita d’emergenza. Lo vidi camminare mentre continuava ad aspirare e sputare fumo.

E in quella camminata vidi ancora una volta Andrew.

- Virtanen! Virtanen! Vieni qui! - lo richiamò il docente di matematica, ma Valentin fece come se non l’avesse sentito e non si girò mai indietro per rispondergli. L’uomo gettò la spugna e, infuriato, si allontanò dall’entrata della mensa. I suoi passi decisi e lunghi mi fecero capire che le sue intenzioni non erano di certo buone.

- Starà andando ancora una volta a telefonare la preside Wesley - sentii la voce di una ragazza poco lontana da me mentre parlava con un’amica. Per Valentin si stavano avvicinando dei guai, pensai.

- Oddio, questo lo devo assolutamente scrivere sul prossimo numero del giornalino! - esultò Stacie una volta essersi ripresa dallo stupore. Le pagine del mensile scolastico avrebbero parlato ancora del comportamento ribelle di Valentin, ma ci sarebbe stato anche un inserto dedicato a me? Sperai vivamente di no.

 * * *

Gettai un sospiro di sollievo quando suonò l’ultima campanella della giornata. Finalmente il primo giorno di scuola era terminato e non vedevo l’ora di tornare a casa solo per fare una video chiamata con i miei amici di Ottawa tramite computer. Ci sarebbe stato anche Andrew insieme a loro e io stavo morendo dalla voglia di vederlo.

- Eleanor! - mi chiamò qualcuno poco prima che io uscissi dalla classe e mi voltai indietro. Vidi un mio compagno di scuola raggiungermi mentre teneva fermo il suo zaino su una spalla. Purtroppo non avevo ancora ben memorizzato i nomi dei miei compagni e non seppi riconoscerlo subito.

- Dimmi… Victor, giusto? - provai ad indovinare il suo nome, poiché mi sembrò di aver sentito un Victor durante l’appello.

- Esatto - confermò lui sorridendo. - Mi chiedevo se… - cominciò la frase, ma non seppe continuarla.

- …se? - lo incitai ad andare avanti.

- Mi chiedevo se sei fidanzata, ecco - sputò il rospo Victor ed io cominciai ad agitarmi. Mi venne subito in mente Andy. In quel momento immaginai Andrew raggiungermi chiedendo “C’è qualche problema qui?” per poi portarmi via. Una volta lo fece ad una festa mentre un ragazzo cercò di baciarmi. Le due situazioni erano diverse, certo, ma in quel momento mi sentivo un po’ a disagio davanti a Victor e avrei voluto tanto che qualcuno venisse a rapirmi. Avrei accettato anche Stacie. Nonostante tutto, feci come era mio solito fare nei momenti di ansia: tenere duro e mettermi nei panni della ragazza sicura di sé, il mio alter ego, insomma.

- No, ho appena rotto con il mio ex - risposi sistemandomi bene su due piedi, ma me ne pentii subito. Avrei dovuto dire che ero già occupata con qualcuno, invece fui sincera. Pessima mossa.

- Oh, mi dispiace - disse Victor, ma non mi sembrò tanto dispiaciuto come voleva farmi credere. - Allora esci con me stasera? - mi chiese subito dopo. Lo sapevo, non gliene importava nulla della mia fresca rottura, anzi, mi invitò subito ad uscire. La sua fretta mi irrigidì ancora di più.

- Perdonami, ma stasera ho parecchio da fare - mentii fingendomi dispiaciuta, proprio come lui ebbe appena fatto con me.

- Allora domani pomeriggio? - ci riprovò Victor e a me scappò uno sbuffo.

- Ti faccio sapere io quando sono libera, okay? Ci vediamo domani, ciao! - liquidai il ragazzo scuotendo la mano e gli diedi le spalle senza neanche dargli tempo per replicare. Oltre gli sguardi maliziosi di Valentin, non volevo qualcun altro che mi facesse la corte, pensai.

A proposito di Valentin, mi chiesi che fine avesse fatto quel giorno. Dopo la pausa pranzo non lo vidi più e quando raggiunsi la mia macchina per tornare a casa, la sua auto blu accanto alla mia grigia non c’era più: il parcheggio era vuoto. Pensai che probabilmente se n’era andato mentre Victor mi tenne ferma davanti alla porta dell’aula. In fondo andò meglio così. Dovevo stare lontana da Valentin Virtanen, lontana dai guai.

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Angolo autrice.

Buonasera himsters e non, finalmente il secondo capitolo della storia è qui.
E' entrato in scena un nuovo personaggio: Victor. Pareri su di lui? Fate attenzione a questo qui!
Abbiamo anche un'idea un po' più chiara sul personaggio di Valentin, ma c'è ancora molto da scoprire, quindi non perdetevi il prossimo capitolo!
Vi ringrazio se siete arrivati a leggere fin qui, vi assicuro che nei prossimi aggiornamenti ci saranno molte sorprese, sia belle che brutte, quindi vi invito a rimanere connessi. Spero di non deludervi.

Kisses and heartgrams, 

Julie Darkeh.









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Capitolo 4
*** 3 - La famosa Eleanor ***


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3 - La famosa Eleanor







Scesi le scale per andare al piano di sotto poco dopo aver spento il computer in camera mia. Ero felice di aver appena rivisto Andrew e i miei amici su Skype, ma allo stesso tempo mi sentii improvvisamente nostalgica. Mi mancava casa mia, mi mancava la mamma, mi mancava la mia città. Rendermi conto di trovarmi nell’appartamento di mio padre a Londra mi rattristava.

Arrivata in cucina, aprii il frigorifero per vedere cosa ci fosse da sgranocchiare poco prima che tornasse Caroline dal supermercato, ma lo trovai vuoto. Sperai che la compagna di mio padre arrivasse con tanti sacchetti pieni di cibo, altrimenti avrei potuto innervosirmi se avessi visto Caroline entrare in casa con pochi prodotti. Alla fine optai per un tè caldo, così cominciai a prepararlo.

- Che stai facendo? - sentii la voce di mio padre e lo vidi con la mano appoggiata allo stipite dell’arcata che divideva il soggiorno dalla cucina.

- Non lo vedi? Preparo un tè - gli risposi con malavoglia mentre versai dell’acqua in un pentolino e accesi il fornello.

- Faresti una tazza anche per me, per piacere? - mi chiese lui gentilmente ignorando il mio tono svogliato.

- Okay - accettai di fargli il favore e aggiunsi un po’ d’acqua nel tegame. Nell’attesa che essa si scaldasse, mi sedetti al tavolo che stava al centro della stanza e mio padre fece lo stesso. Stavo cominciando a pensare che volesse parlarmi di qualcosa, poiché si posizionò accanto a me e mi guardò.

- Com’è andato il primo giorno di scuola? - mi chiese papà sorridendomi. Dalla prima volta che misi piede a Londra, lui e Caroline facevano di tutto per mostrarsi gentili ai miei occhi, giusto per farmi credere che anche loro fossero capaci di calzare i panni dei genitori perfetti. Come poteva soprattutto mio padre comportarsi in quel modo dopo avermi ignorata per due anni? Come poteva far finta di nulla? Detestavo quell’atteggiamento.

- Bene, non ho fatto niente di che - risposi con lo sguardo dritto verso il tavolo ligneo e le mani che si torturavano.

- Hai conosciuto qualcuno? Hai fatto amicizia? - continuò l’uomo ad interessarsi insolitamente alla mia vita. Lo trovavo patetico.

- Sì, ho parlato con una ragazza del terzo anno - risposi riferendomi a Stacie Peters, ma non volli cadere dei dettagli. In un lampo mi venne in mente anche la figura di Valentin, ma preferii non nominarlo. Dopo quella risposta ci fu qualche attimo di silenzio. Fu imbarazzante avere papà seduto accanto a me senza proferire alcuna parola. Le mie mani non riuscivano proprio a star ferme.

- Sai, quando sorridi non mi sembri davvero felice - si sbloccò mio padre. - Cioè, da quando sei qui non ho mai visto un vero sorriso sul tuo volto - si spiegò lui e aveva ragione. Non gli sorridevo con sincerità. Più che sorrisi, i miei erano regali non meritati.

- Strano che te ne importi - gli dissi con un tocco di rabbia in petto e lui respirò profondamente.

- Mi è sempre importato di te.

- Non si direbbe, dato che per due anni sei sparito - gli rinfacciai il suo più grande errore commesso nella vita.

- Mi sono serviti per riflettere - si giustificò papà.

- Riflettere? Su cosa? Su come giocare con il cuore di una figlia? - sbottai perdendo il controllo della rabbia che crebbe tutto d’un tratto dentro di me e mi alzai dalla sedia. Portai nello stomaco per troppo tempo il peso del rancore che provavo verso mio papà e in quel momento non seppi più trattenermi. Le lacrime stavano sull’orlo dei miei occhi, ma mi feci forza e non volli cedere ad un pianto. Tanto quell’uomo non mi avrebbe capita, ne ero sicura.

- Non alzare la voce, Eleanor! - mi rimproverò voltandosi a guardarmi, ma io insistevo a non voler incrociare i miei occhi con i suoi. Sostenevo che fissare le piastrelle del pavimento fosse più interessante. Non aprii più bocca, mi era passata addirittura la voglia di parlare. Quei pochi attimi di silenzio che si crearono sembravano eterni. L'unico rumore che sentivo in quella cucina era l'acqua nel pentolino che cominciava a bollire. 

- Senti, scusa - ruppe il silenzio papà passandosi una mano in fronte e fissando la superficie del tavolo. Non dissi niente, sbuffai. - Hai ragione ad essere arrabbiata, però ti prego, lascia che io provi a recuperare questi due anni persi - disse lui con tono di voce calmo, in cerca di pace.

- Va bene, provaci - risposi con parole poco sentite. In realtà non approvavo il fatto che lui volesse recuperare quei due anni passati senza di me, poiché lo trovavo impossibile, ma pensai che se gli avessi dato il contentino, lui si sarebbe calmato e la lite sarebbe finita. Non ho mai amato litigare, anche quando mi trovavo dalla parte della ragione. Chissà che avrebbe fatto mio padre per rimediare al danno, mi chiesi.

- Però tu dovrai aiutarmi - arrivò lui ad un compromesso.

- Che dovrei fare? - gli chiesi, finalmente alzando lo sguardo sul suo volto.

- Soltanto una cosa - mi garantì papà. - Devi smetterla di essere acida con me e Caroline, piuttosto dovresti apprezzare il nostro tentativo di andare d'accordo con te - aggiunse infine.

- E' solo questione di tempo - gli dissi. - Lascia che passino altri giorni ed io mi abituerò alla situazione - gli assicurai, ma non ero poi così sicura di quello che ebbi appena detto. Però, come frase per ingannare mio padre, pensai fosse ottima.

- Va bene - concordò papà mentre spensi il fornello e versai l'acqua bollente in due tazze. Dopo aver preso due bustine di tè e aver addolcito l'acqua con un pò di zucchero, servii una tazza a papà e l'altra la tenni io.

- Vado di sopra - dissi uscendo dalla cucina e soffiai sul mio tè per raffreddarlo un pochino. In quel momento tornò Caroline dal supermercato e, vedendomi salire le scale, mi salutò. Ricambiai senza neanche voltarmi a guardarla, ma lei mi obbligò a posare l'attenzione su di sé lamentandosi del peso dei quattro sacchetti di spesa.

- Ellie, verresti gentilmente ad aiutarmi? - mi chiese la donna poggiando a terra la merce.

- Lasciala andare in camera, ti aiuto io - sentii mio padre e lo vidi uscire dalla cucina per raggiungere Caroline all'ingresso. Fu la prima volta, dopo tanto tempo, che ringraziai mentalmente papà.



* * *



I primi sette giorni di scuola furono completamente diversi dal primo. Oserei dire che furono quasi normali. Per tutta la prima settimana non vidi Valentin in giro per i corridoi e il suo parcheggio lo vidi vuoto ogni mattina. Per evitare di avvicinarmi a lui e di parlargli, decisi di stare alla larga da quel posteggio e di parcheggiare altrove, ma ogni giorno non c'era traccia di quell'auto blu. Pensai che fosse meglio così, ma allo stesso tempo continuavo a farmi domande su quella strana e lunga assenza di Valentin. Ipotizzai che si fosse ammalato o che fosse partito per una vacanza, ma mai sarei arrivata a pensare ad una sospensione.

- Non l'hai saputo? Valentin è stato sospeso da scuola per una settimana - mi informò Stacie durante il pranzo del primo mercoledì.

- Perché? - chiesi aggrottando la fronte.

- Non ti ricordi? L'altro ieri Valentin ha fumato dentro l'istituto - mi rinfrescò la memoria la piccola giornalista.

- Non mi sembra un motivo così grave per una sospensione - dissi la mia opinione.

- Qui le regole sono molto rigide - disse Stacie. - E Valentin non le rispetta mai. I professori non sanno più che fare con lui, così ad ogni minima trasgressione lo sospendono per una settimana - mi raccontò infine lei ed io la guardai con due occhi sgranati.

- Quindi non è la prima volta?

- Certo che no, è stato anche per colpa di continue sospensioni che è stato bocciato una volta al terzo anno e un'altra volta al quarto - continuò Stacie a parlarmi della terribile carriera scolastica di Valentin Virtanen. Più mi parlava di lui, più rimanevo a bocca aperta.

- E' stato ammesso al quinto anno per miracolo dopo aver fatto due volte il quarto, adesso voglio proprio vedere come farà ad essere ammesso agli esami!

Quella ragazza seppe darmi un'idea di Valentin assolutamente chiara. Non avrei mai voluto avere a che fare con un ragazzo ribelle e trasgressivo come lui ed ero sempre più convinta che stargli alla larga fosse la cosa più giusta da fare. Per questo pensai che una settimana senza di lui sarebbe stata di certo tranquilla e senza problemi. Peccato, però, che a nuocermi durante quei giorni ci fu Victor, il quale trovava ogni pretesto per parlarmi e provarci con me. Durante le lezioni lo beccavo numerose volte a fissarmi e ogni volta era sempre più imbarazzante. Fare finta di niente era diventato difficile dopo qualche giorno.

- Ehi Ellie, tutto bene? - mi fermò Victor venerdì, poco prima di andare in mensa. Io chiusi gli occhi e gettai un respiro profondo. Stava cominciando a non piacermi quella situazione. Quel ragazzo era assillante. Mi voltai verso di lui e lo guardai svogliata.

- Sì, tutto okay, ma è la terza volta che me lo chiedi, oggi - gli risposi lamentandomi.

- Davvero? - fece lui il finto tonto ed io alzai un sopracciglio.

- Mi prendi in giro?

- No, ti pare? - continuò Victor con la sua messa in scena, ma io non mi sarei mai lasciata prendere per i fondelli da lui.

- Arriva al punto, cosa vuoi da me? - gli chiesi, ormai spazientita, poiché avevo anche fame e sapevo che Stacie mi stava aspettando in mensa al solito tavolo.

- Hai trovato del tempo libero?

- Per cosa? - feci io la finta tonta quella volta.

- Beh, per uscire con me.

- No, non l'ho ancora trovato, mi spiace - gli risposi, sbrigativa, e gli diedi le spalle per raggiungere finalmente la mensa, ma lui mi afferrò per un braccio. In quell'attimo sentii il mio cuore scoppiare per la paura e mi voltai di scatto a guardare quel ragazzo prepotente.

- Mi lasci? - domandai con un filo tremante di voce, ma non volli far trasparire la mia agitazione anche dal mio volto, dunque assunsi un'espressione irritata e dura come la pietra. Dovevo e volevo rimanere forte.

- Perchè non vuoi uscire con me? Guarda che ho capito tutto, è inutile che trovi scuse - mi disse Victor con tono serio e penetrando il suo sguardo nei miei occhi blu.

- Allora, sei hai capito tutto, risponditi da solo! - gli sibilai in faccia strattonando il mio braccio, liberandomi così dalla sua presa, e uscii dall'aula a passi svelti. Pregai in tutte le lingue del mondo che Victor non mi seguisse e che non mi riprendesse un braccio, ma per fortuna le mie suppliche mentali furono ascoltate e arrivai in mensa tutta intera.

Intera, ma con una grandissima agitazione in petto. Quando Stacie mi vide arrivare di fretta al tavolo con il vassoio in mano, mi guardò stranita. Le raccontai di Victor e del suo morboso desiderio di uscire con me.

- Victor Maslow, vero? - si accertò l'occhialuta ed io annuii. - Ho capito chi è, si comporta come un bambino - disse Stacie mentre masticava una forchettata di pasta. - Tra l'altro è un ragazzo molto prepotente, una volta ho scritto anche di lui - aggiunse la ragazza. Non mi sorpresi più di tanto di quella risposta.

Anche se avevo un minimo di curiosità, decisi di non chiedere a Stacie cosa avesse scritto di Victor sul giornalino, ma immaginai da sola l'argomento dell'articolo: "Victor Maslow importuna una ragazza che non vuole sapere nulla di lui. Vero innamorato o vero persecutore?". Dopo pochi attimi pensai, però, che con un articolo simile nessuno avrebbe più rivolto la parola a Vic, perciò scartai quell'ipotesi. Anzi, che io sapessi, a Victor non mancavano gli amici.

Durante quella prima settimana di scuola non furono solo Valentin e Victor ad intasarmi la testa di pensieri, ma persino una ragazza dai capelli particolari (mogano alla radice, rossi a metà lunghezza e biondi alle punte) e dallo stile ricercato seppe catturare la mia attenzione, poiché mi accorsi di essere osservata da lei numerose volte nei corridoi dell'istituto e nel cortile. Sembrava mi seguisse. Per sapere qualcosa di lei, feci ovviamente qualche domanda a Stacie, dato che conosceva tutti gli studenti della scuola, eccetto quelli del primo anno (che poi, mesi dopo mesi, imparò ad individuare e intervistare). Essere direttrice del giornalino di una scuola piccola aveva i suoi vantaggi.

- Oh, lei è Gwen Berry ed è del quinto anno - mi disse Stacie. Immediatamente mi venne in mente Valentin Virtanen.

- E' in classe con Valentin?

- Già - confermò lei. - Quei due sono persino stati insieme l'anno scorso - aggiunse la mia amica.

- Ah, wow - commentai con poche parole. - Sai dirmi perché continua a fissarmi? In qualsiasi punto della scuola io mi trovi, scorgo il suo sguardo puntato su di me! - chiesi poi.

- Questo non lo so, davvero - disse Stacie scuotendo la testa. - Magari le piace il tuo stile - ipotizzò lei, ma io non concordai. Non ho mai avuto uno stile particolare da ammirare. Piuttosto era Gwen quella che ne sapeva di abbigliamento, dato che i suoi outfit mi piacevano davvero un sacco. Avevano qualcosa di rock, indie e grunge allo stesso tempo. Ogni completo che creava era diverso dall'altro, sia per colori che per stile.

- Non credo che le piacciano i miei vestiti - espressi la mia idea voltandomi verso Gwen per vedere se stesse ancora ferma a fissarmi. Lei stava appoggiata al muro mentre scriveva qualcosa al cellulare, probabilmente un messaggio.

- Mai dire mai, anche tu ti vesti bene - mi fece Stacie i complimenti, ma non ne vidi il motivo. Una camicia a scacchi, una canottiera e un paio di jeans potevano essere considerati dei bei capi? Per me erano solo vestiti comodi ma che allo stesso tempo avessero un po' di decenza.

- Grazie, ma non indosso nulla di speciale.

- Tu sei così bella che staresti bene persino con un sacchetto della spazzatura addosso!- continuò la ragazza a complimentarsi con me ed io cominciai a sentirmi lusingata.

- Non dire stupidaggini.

- Dico davvero, invece! Magari potresti posare per delle foto per il blog di moda di Gwen - mi propose Stacie, ma io scossi la testa.

- Non se ne parla - dissi immediatamente. Non avevo mai fatto un servizio fotografico. Mi vergognavo solo all'idea di posare per qualcuno, figuriamoci apparire su un blog di moda! La scuola era cominciata da poco e volevo rimanere ancora nell'anonimato.

- Ma sei bellissima, ti sei vista? - mi indicò lei ed io mi misi a ridere dall'imbarazzo. - Sei alta, bionda, con gli occhi azzurri e hai un bellissimo sorriso, mi stai prendendo per il culo? - continuò Stacie e mi fece ridere ancora di più. Non sono mai stata una ragazza con l'autostima sotto i piedi, ma non mi sono neanche mai vantata per il mio aspetto molto simile a quello di una barbie. Ho sempre detestato le persone vanitose, perciò non trovavo il motivo per cui esserlo anch'io.

Quando mi accorsi che Gwen sparì dal corridoio, arrivarono due ragazzi con un blocnotes ciascuno in mano. Erano un ragazzo e una ragazza: il primo biondo, occhi neri e naso importante; la seconda alta, molto magra, mora e occhi piccoli e nocciola.

- Stacie, abbiamo appena intervistato alcuni ragazzi per il sondaggio sulla corretta alimentazione, che ne pensi delle domande? - chiese il tipo all'amica mostrandole ciò che c'era scritto sul suo blocnotes e Stacie cominciò a leggere con interesse.

- Sono perfette, però eliminerei l'ultima - gli consigliò l'occhialuta. - Oh, ragazzi, vi presento Eleanor! Ellie, loro sono Ralph e Melanie, scrivono con me per il giornalino - infine fece le presentazioni ed io strinsi la mano ed entrambi i giornalisti con piacere.

Trovai piuttosto strano il fatto di non averli mai visti prima di allora, dato che erano colleghi di Stacie. Nemmeno durante la pausa pranzo si erano mai fatti vivi al tavolo con noi.

- Tu saresti la famosa Eleanor? - mi chiese Melanie ed io aggrottai la fronte.

Io ero famosa? C'era qualcosa che non mi tornava.

- Ma sì, tu sei quella che ha saputo tenere testa a Valentin Virtanen il primo giorno di scuola ai parcheggi! - si ricordò Ralph indicandomi. All'improvviso crebbe in me un enorme imbarazzo e senza dubbio arrossii.

- Ehm.. non potreste dimenticarvi di quella scena? - proposi ai ragazzi grattandomi la nuca e strinsi le labbra.

- Come possiamo dimenticarcene? E' stato epico - disse Melanie, esaltata.

- Esatto, abbiamo persino già scritto l'articolo che pubblicheremo per il primo numero di quest'anno che uscirà all'inizio di ottobre! - si unì Ralph all'euforia della ragazza e Stacie rise. L'unica ad essere seria ero io.

- Scusatemi, ma io avevo già detto a Stacie che non voglio apparire tra le pagine del giornalino - confessai ai due amici deludendoli.

- Prima o poi ci finirai lo stesso, cara mia - mi disse Stacie dandomi una pacca sulla spalla.

- Se lo fai, giuro che ti uccido - la minacciai guardandola dritta negli occhi, ma lei non si intimorì nemmeno un pò.

- Tu dovresti per forza apparire nell'inserto dei gossip insieme a Valentin, così il giornalino verrebbe seguito e letto da più persone! - propose Ralph, ma io continuavo a non essere d'accordo. Non potevo e non volevo apparire su quel giornale solo perchè avevo parcheggiato nel posto riservato di Valentin. Lo trovavo assurdo, non era una notizia così sconvolgente.

Per quanto mi fossi imposta di stare alla larga da quel ragazzo, io mi ritrovavo spesso a pensarlo e a ripropormi la sua immagine davanti agli occhi. Da quando il suo sguardo glaciale mi guardò per la prima volta, esso rimase impresso nella mia mente.

E la sua voce grave e pacata fece lo stesso. Era strano come Valentin potesse sia spaventarmi sia affascinarmi. "Devi sapere, Eleanor, che le ragazze di questa scuola si suddividono in due tipi: quelle affascinate da Valentin e quelle spaventate da Valentin". Quella frase che mi disse Stacie il primo giorno di scuola mi rimbombava nella mente ogni giorno. Io le risposi che non facevo parte di nessuna schiera, ma la verità era che io, invece, mi sentivo parte di entrambe le suddivisioni.

Era la mia testa a suggerirmi di stare lontana da Valentin. Invece, il cuore, stupido com'era, mi diceva che forse quel ragazzo meritava un pò d'attenzione da parte mia. Ed io, in balia dei miei pensieri contrastanti, morivo d'ansia ogni volta che pensavo alla seconda settimana di scuola, quando Valentin sarebbe tornato a girare per l'istituto e a lanciarmi occhiatine maliziose.


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Angolo autrice.

Buonasera himsters e non, quello che avete appena letto (se siete arrivati fin qui) è il terzo capitolo della storia ed è entrato in scena un nuovo personaggio: Gwen Berry. Lei è la mia preferita, le sono affezionata e ho deciso di darle il volto di Luanna Perez, la mia fashion blogger preferita. 

C'è anche un piccolo squarcio della situazione familiare di Eleanor e l'apparizione di altri personaggi, alcuni già conosciuti e altri nuovi, come ad esempio i soci di Stacie. Persone di cui fidarsi?

E Victor cosa combinerà nei prossimi capitoli? Le risposte verranno svelate prossimamente, quindi stay tuned!

Valentin sta per tornare, non mollate.

Kisses and heartgrams, 

Julie Darkeh.


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Capitolo 5
*** 4 - Paura ed emozione ***


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4 - Paura ed emozione







Mi batté forte il cuore quando vidi sul cellulare il nome del mio ex ragazzo sotto la bustina lampeggiante gialla. Dopo la mia partenza non mi scrisse spesso, poiché voleva impegnarsi a non pensare troppo alla nostra relazione appena finita, eppure quella mattina ricevetti un suo messaggio. Ero appena salita in macchina ed ero pronta per un nuovo giorno di scuola, ma poco prima di mettere in moto il mio catorcio, aprii quel messaggio e lo lessi.


Ciao Ellie, come stai? Probabilmente da te sarà mattino, qui invece è ancora notte ed io non riesco ad addormentarmi. Da quando ci vediamo su Skype insieme agli altri penso sempre più a te e mi manchi tantissimo. Ti prego, anche se non cambierebbe nulla, ti chiedo di ritornare ad essere una coppia! Fa male non averti qui con me e sapere che tu non sei più mia, perciò ti scongiuro, dammi almeno il piacere di saperti ancora la mia ragazza!

Cercai di non commuovermi dopo aver letto quelle parole, ma i miei occhi si inumidirono contro la mia volontà. Mi feriva pensare che Andy stesse soffrendo così tanto per la nostra lontananza, ma non me la sentivo di accettare la sua proposta. Anzi, la trovavo insensata. Perché saremmo dovuti rimanere una coppia se non potevamo vederci di persona per un anno? Il dolore sarebbe comunque rimasto.

In quel momento riapparve in me un odio verso mio padre e alla sua stupida idea di farmi trascorrere dodici mesi a Londra da lui. Se non fosse stata per quella sua decisione, quella mattina non mi sarei trovata in quella macchina di seconda mano, ma nel mio letto, a casa mia, ad Ottawa.

E dopo il mio risveglio, avrei rivisto Andrew davanti a scuola, come tutte le mie vecchie e solite mattine. Mi si strinse il cuore, ma dovetti rispondere negativamente a quel messaggio di Andy. Mentre digitavo il testo sul touch screen, una lacrima solcò la mia guancia destra, ma l'asciugai subito interrompendo per un attimo la digitazione, poi ripresi a scrivere.

Ciao Andy, anche tu mi manchi moltissimo e vorrei essere lì accanto a te in questo momento, ma non possiamo tornare insieme. Come vedi fa già molto male stare lontani e penso che se fossimo ancora una coppia sarebbe molto peggio, perdonami.

Una volta aver risposto al messaggio e aver infilato il cellulare nella tasca dei jeans, misi in moto la macchina ed uscii dal garage. Durante il viaggio in auto pensai senza sosta a come si stesse sentendo Andy in quel momento nel letto di camera sua. Lo immaginai piangere tra le coperte come feci io le prime notti passate a Londra e sentii una stretta nella gola. Non volevo arrivare a scuola con gli occhi umidi e le guance rosse, perciò mi impegnai a trattenere le lacrime e a scacciare via tutti quei pensieri tristi. Se Stacie mi avesse vista in quello stato, mi avrebbe fatto sicuramente delle domande, per poi dire ancora che finirò tra le pagine del giornalino. Era meglio evitare.
Arrivata nel cortile della scuola, parcheggiai al solito posto, lontano da quello di Valentin. Quel mattino, quando gettai un'occhiata al quel posteggio che dovevo evitare, vidi la macchina blu: Valentin era tornato.

Dentro di me cominciò ad agitarsi la mia solita e maledetta ansia. Non avevo voglia di incrociarlo per i corridoi e di sentire il peso del suo sguardo su di me. Per quanto volessi far finta che non esistesse, non riuscivo ad ignorarlo. Avevo visto Valentin solo il primo giorno di scuola e l'inquietudine che provai in quella giornata stava per ripresentarsi nel mio corpo e nella mia mente.
Prima di scendere dalla macchina controllai se Andrew avesse risposto al mio messaggio e con mia sorpresa notai che non ricevetti nulla. Pensai che forse fosse riuscito ad addormentarsi, ma poi ne dubitai. Probabilmente lo delusi, ma ciò che gli scrissi era quello che pensavo davvero. Per quanto potesse farmi male, non mi pentii di quel messaggio.
Scesi dalla macchina e mi guardai intorno mentre raggiungevo i gradini davanti all'entrata della scuola. Nonostante ci fosse la sua auto, Valentin non era nei paraggi. Mi feci qualche domanda al riguardo, ma poi non volli più pensarci. Sperai soltanto di non incontrarlo durante la giornata, ma le mie furono soltanto delle speranze perse quando vidi Valentin nell'aula di pittura mentre preparava il cavalletto, la tela e i colori ad olio.

Ero uscita dalla classe per andare al bagno e, quando passai davanti all'aula di pittura, la prima persona che vidi fu proprio quel finlandese, poiché era in fondo all'aula, di fronte alla porta lasciata aperta. Rimasi là ferma ad osservare i suoi movimenti: con una mano teneva la foto di un paesaggio e con l'altra cominciò a tracciare sulla tela con una matita i primi schizzi.

- Mi raccomando ragazzi, adesso siete al quinto anno, perciò mi aspetto da voi dei paesaggi degni di grandi pittori! - disse la professoressa di pittura mentre passeggiava tra i cavalletti degli studenti con le mani incrociate dietro la schiena.
Valentin era così concentrato mentre disegnava che sembrava quasi un'altra persona. Una di quelle calme, professionali e pacate. Non avrei mai detto che ad un ragazzo scapestrato come lui piacesse così tanto svolgere un'attività tranquilla come disegnare e dipingere.
Notai anche che i suoi capelli scuri e spettinati erano poco più corti dell'ultima volta che lo vidi, ma aveva alle orecchie gli stessi orecchini tondi del primo giorno di scuola. Gli occhi erano contornati di nero e mi sbalordii nel vedere che Valentin si truccasse. La volta scorsa non c'era nessun segno di trucco sul suo volto.
La camicia rossa che indossava era in contrasto con la maglietta nera dal colletto ampio che stava sotto. I jeans chiari gli stavano leggermente larghi e su un fianco scendeva una piccola catena argentata. Ai piedi portava degli enormi anfibi neri.

- Signorina, le serve qualcosa? - mi chiese la professoressa notandomi fuori dalla porta. Tolsi immediatamente la mia attenzione da Valentin e guardai la donna sorridermi.

- Ehm, no, mi scusi, stavo solo... guardando come lavorate - le risposi imbarazzata e indietreggiando.

- Oh, sei la ragazza nuova del quarto anno, vero? Puoi entrare, se vuoi - mi propose la professoressa indicando con un dito il fondo dell'aula, quasi come se avesse indicato Valentin che, mentre cercavo di svignarmela, si accorse della mia presenza.

- No no, davvero, grazie - dissi indietreggiando ancora e morendo dalla vergogna. - Io in realtà stavo andando in bagno- ammisi e la signora si mise a ridere teneramente. Già mi stava simpatica, era una donna solare e gentile. Non era la stessa professoressa che insegnava arte nella mia classe, altezzosa e severa.

- Okay, ti lascio andare allora.

- Magari do un'occhiata un'altra volta, grazie ancora, salve! - la salutai e, prima di andarmene, lanciai d'istinto uno sguardo a Valentin, il quale mi fece un occhiolino e mi sorrise. Io me ne andai facendo finta di nulla e ripresi a raggiungere il bagno a passo spedito. Sentii le risa dei ragazzi di quinta e mi imbarazzai tremendamente, ma arrossii di più quando mi apparve nella testa Valentin farmi l'occhiolino. Quegli occhi dello stesso colore di cui splende l'acqua pura e dolce di un fiume mi avevano ancora trafitto. Accostati a quel contorno nero sembravano ancora più freddi e accesi di un faro nella notte.
Detestavo sentire quelle palpitazioni in gola e nello stomaco, poiché mi promisi di non dare importanza a quel ragazzo, ma quando i miei occhi incrociavano i suoi, il mio cervello si spegneva e il mio cuore, invece, si riempiva di vita. Ciò che Valentin riusciva a trasmettermi era qualcosa di anomalo, inspiegabile, un misto di paura ed emozione. Nonostante tutto, ero ancora decisa ad ignorarlo ed ero sicura che, se fossi andata avanti di quel passo ad auto controllarmi, col tempo non mi sarei mai più sentita il petto in subbuglio.


*  *  *


    Stavo cominciando a non poterne proprio più delle occhiatine e dei mille modi per rimorchiarmi di Victor. Non ho mai conosciuto un ragazzo più pesante di lui.
    Alexandra, la mia compagna di banco, mi scrisse qualcosa sul quaderno aperto di storia con una matita.

    Quando a Victor piace una ragazza, per la poveretta non c'è più possibilità di respirare!

    Purtroppo me ne accorsi anch'io. Nessun altro sapeva essere pensate quanto lui. Superava persino mio padre, anzi, piuttosto di sentire la voce irritante di Vic, preferivo subire una sfuriata di papà!
    Non riuscivo a seguire la lezione di storia e a prendere appunti perché sentivo gli occhi di Victor poggiati addosso. Purtroppo stava seduto nella fila di banchi accanto alla mia e lui non ce la faceva proprio a far finta che io non esistessi.

    - Puoi smettere di fissarmi, per favore? - gli bisbigliai.

    - Puoi smettere di essere bella, per favore? - mi rispose lui per farmi intuire di avergli chiesto una cosa impossibile. Non sapevo se vomitare per il disgusto o piangere per il forte disagio che mi stava assalendo in quel momento.
    Alex cercò di trattenere una risata ed io, invece, cercai di trattenermi dal volerle dare un ceffone. Se avesse continuato ancora per lungo a ridere, le avrei strappato quel caschetto nero che aveva in testa.
    Mancavano pochi minuti e presto saremmo potuti tutti tornare a casa. Il peso dell'ultima ora, sommato agli sguardi di Victor e ai miei pensieri ingarbugliati tra loro, diventò qualcosa di insopportabile e non vedevo l'ora di sentire la campanella suonare. La mia mente si divideva tra Vic, Andrew, Valentin e la lezione di storia che seppi seguire solo fino a un certo punto. Il mio cervello rischiò di andare in fumo: il messaggio di Andy, le occhiate di Vic e le emozioni datemi da Valentin mi stavano confondendo le idee. Se la mia testa avesse avuto una spina, in quel momento, l'avrei staccata immediatamente dalla presa.

    - Per domani fate il riassunto di queste tre pagine appena affrontate - ci dettò il compito il professor Cowen ed io, dopo essermi risvegliata dai pensieri, presi il diario. Scritti i compiti, mi alzai dal banco e cominciai a preparare lo zaino. Fu un enorme sollievo quando sentii la campanella suonare e corsi subito fuori dall'aula, poiché avevo bisogno d'aria.

    - Ellie! Aspetta un attimo! - mi richiamò Victor ed io mi fermai nel bel mezzo del corridoio sbuffando e roteando gli occhi al cielo. Ero stufa di sentire quella dannata voce pronunciare il mio nome e al momento in cui vidi Vic avvicinarsi a me, le mie ginocchia cominciarono a tremare per l'agitazione, ma come sempre provai a camuffarla.

    - Che cosa vuoi ancora? - gli chiesi, ormai priva di pazienza, piegando la testa da un lato e sbattendo le braccia sui fianchi.

    - Io non so più che fare - mi disse lui fingendosi disperato.

    - Sapessi io... - gli risposi ironica, ma in fondo avevo ragione. Ero io che non sapevo più che fare con lui.

    - Davvero, non so più cosa fare per piacerti!

    - E' semplice, perché non sparisci? - gli proposi e lui scoppiò a ridere. Eppure ero sicura di non aver sparato una battuta divertente.

    - Oltre che bella sei anche simpatica - mi disse lui. - Sul serio, cosa posso fare per piacerti? - insistette lui ed io in quel momento avrei voluto suicidarmi.

    - Non lo so, okay? Non potrai mai piacermi, mettitelo in testa! - sbottai ad alta voce e alcuni ragazzi del corridoio posarono la loro attenzione su di me.

    - Io non mollo - continuò Victor ad importunarmi. Mi suonò come una minaccia, quella frase.

    - Senti, vuoi davvero fare qualcosa? Scrivimi una poesia, va bene? Ecco! - gli suggerii la prima cosa che mi venne in mente solo per farlo contento; così, soddisfatto della risposta, se ne sarebbe finalmente andato, pensai.

    - Sarà fatto - mi garantì lui ed io alzai un pollice in segno di approvazione. Fatto questo, gli diedi le spalle e lo salutai senza neanche guardarlo in faccia.
    Chissà che schifezza mi avrebbe scritto quell'idiota, mi chiesi. Ero proprio pronta a farmi qualche risata, per poi vomitare sulla poesia e buttarla nella pattumiera.

    - Sei una ragazza tutto pepe tu, eh? - vidi l'alta figura di Valentin Virtanen affiancarsi a me quando sentii quella voce soavemente profonda. Perfetto, pensai. Ci mancava solo lui.

    - Da dove sbuchi? - gli chiesi continuando a camminare verso l'uscita della scuola e lui avanzava a passi svelti accanto a me.
    - Ero a pochi metri da te, ma tu non mi hai visto perché eri impegnata a conversare con quel coglione - mi rispose Valentin estraendo da una tasca della giacca di pelle un pacchetto di sigarette e un accendino.

    - Hai visto e sentito tutto, non è così?
    - Già, è stato un vero e proprio spettacolo - fece il simpatico lui. - Anche ad Ottawa rispondevi così ai ragazzi? - mi chiese ridacchiando. Aprì il pacchetto di sigarette e ne tirò fuori una. Credevo che stesse per ricominciare a fumare dentro la scuola, ma per fortuna, invece, quella sigaretta la tenne spenta tra le dita.

    - Solo quando era necessario.

    - Pensi che quello lì, prima o poi, ti scriverà davvero una poesia? - mi chiese Valentin indicando con un pollice dietro di sé.

    - Non lo so, se non la scrive è meglio - gli risposi sinceramente. In quel momento smisi di camminare e Valentin fece lo stesso. Lo guardai, interrogativa. I suoi occhi erano qualcosa di sensazionale, ma mi impegnai a reprimere ciò che si era appena creato nel mio petto.

    - Tu perché mi stai parlando? - gli domandai, confusa.

    - Sai, ho notato che non parcheggi più al mio posto, così ho pensato “La canadese è una brava ragazza, perchè non fare amicizia con lei?” - mi rispose Valentin senza sciogliere quel sorriso pieno di malizia che aveva stampato in faccia. Intuii che la sua era soltanto la prima scusa che gli venne in mente.

    - Vuoi che ti risponda io?

    - Meglio di no, credo che potrei sentire qualcosa di sgradevole - disse il ragazzo e mi colpì quanto fosse sveglio.

    - Vedo che hai capito.

    Io e Valentin arrivammo in cortile insieme senza più dire nemmeno una parola. La situazione diventò davvero imbarazzante, dato che io non sapevo proprio che dire. Il ragazzo, trovatosi ormai fuori dalla scuola, accese la sigaretta e cominciò a fumare. Le nuvole di fumo mi invasero le narici ed io tossii. Non ho mai sopportato quell'odore.

    - Potresti gentilmente allontanarti? - gli chiesi infastidita e lui ridacchiò. Non capivo perchè quel ragazzo avesse sempre da ridere.

    - Tranquilla, stavo giusto per andare - mi disse lui cominciando ad incamminarsi. - Anzi, ti andrebbe una sigaretta? - mi propose riaprendo il pacchetto e si fermò.

    - Ti sembro una che fuma? - mi indicai e aggrottai le sopracciglia.

    - No, per questo ti ho appena chiesto di provare. Almeno ti rilassi un po' – Valentin mi fece un occhiolino e alzò un angolo della bocca.

    - Lascia perdere, odio il fumo – gli rivelai e lui alzò le spalle rassegnandosi.

    - Okay, come vuoi – annuì. - A domani, Eleanor - mi salutò infine ed io arricciai il naso. Per quale motivo avrei dovuto parlare ancora con lui il giorno dopo?

    - Sì, ciao - lo salutai di fretta e gli diedi le spalle dirigendomi per il verso opposto al suo.

    - Comunque - riprese Valentin a parlarmi costringendomi a voltarmi ancora verso di lui. - La prossima volta che mi becchi in giro o in aula di pittura, salutami! Penso che sia abbastanza noioso rimanere solo a fissarmi - mi suggerì facendomi un occhiolino, poi fu lui a darmi le spalle, e nella sua camminata rividi ancora Andrew. Scossi la testa per eliminare la sua immagine dai miei occhi e feci rimbombare le ultime parole di Valentin nelle mia mente. Morii dall'imbarazzo quando mi resi davvero conto di cosa mi disse il finlandese. Speravo che si fosse dimenticato di quel momento in cui l'osservai mentre faceva il disegno preparatorio per il dipinto, e invece gli rimase impresso nella mente.
    Ad un tratto sentii delle voci a me familiari poco lontane da me. Mi voltai a destra e vidi Stacie, Ralph e Melanie spettegolare lanciandomi qualche occhiata furtiva. Era chiaro: quei tre mi avevano vista con Valentin Virtanen e sicuramente avevano sviluppato delle nuove idee per il loro stupido giornale. Avrebbero davvero riempito tutto il loro inserto di gossip con il mio nome e quello di Valentin? Se l'avessero fatto davvero, i problemi sarebbero fioccati in men che non si dica.

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    Buonasera lettori!

    Comincio questa nuova settimana con un nuovo capitolo, che ve ne pare? Stavolta incontriamo qualche scena interessante perché finalmente il nostro Valentin torna a scuola! Questo vuol dire soltanto una cosa: per Eleanor comincia da ora un periodo piuttosto intenso e presto capirete in che modo, ma non soltanto per colpa (o merito?) del tenebroso Val...

    Non parlo più perché odio gli spoiler, quindi... STOP.

    Il simpaticissimo NVU mi procura qualche imperfezione estetico come sempre e la cosa mi disturba parecchio, ma spero che non sia così anche per voi e che la storia possa piacervi e prendervi ugualmente. 

    Ringrazio quei pochi che seguono la storia, spero di non deludervi in futuro.

    Kisses and heartgrams, 

    Julie Darkeh.

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Capitolo 6
*** 5 - Gwen ***


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5 - Gwen







Non so perché accettai l'invito, ma un pomeriggio andai con Caroline ad un bar poco lontano da casa. Voleva passare del tempo sola con me e siccome aveva la giornata libera (mentre invece mio papà sarebbe tornato tardi da lavoro), voleva chiacchierare un po' con me. Non ci capitava di parlare spesso, così lei mi propose di uscire per un caffè.
Quando entrai in quel piccolo bar mi avvolse un intenso profumo di brioche al cioccolato appena sfornate e mi sentii a mio agio in quel calore. L'ambiente, nonostante fosse un po' ridotto, era molto accogliente e i tavoli e le sedie in legno erano davvero graziosi.

- Ci sediamo qui? - mi chiese Caroline indicandomi un tavolo accanto all'unica vetrina del bar. Io annuii e mi sedetti di fronte a lei togliendomi la giacca, per poi appenderla sullo schienale della mia sedia.

- Di cosa mi vuoi parlare? - le domandai poggiando i gomiti sulla superficie lignea del tavolino e incrociai le braccia.

- Volevo chiederti un po' di cose - mi confessò la donna. - Ad esempio come sta proseguendo la scuola, se hai delle amiche, se ti stai abituando a questa città... - mi fece un elenco delle sue curiosità ed io portai lo sguardo a terra.

Da dove potevo cominciare? Dal fatto che preferivo Ottawa a Londra o dal fatto che a scuola mi sentivo sotto pressione da diverse persone? Non sapevo neanche se avrei risposto a quelle domande. Non mi sentivo ancora pronta per aprirmi a Caroline, nonostante abitassi nella sua stessa casa da circa tre settimane, ma in fondo sentivo che forse avrei dovuto fare un tentativo.

- Vuoi la verità? - chiesi rialzando lo sguardo.
La donna annuì sorridendomi e guardandomi con i suoi grandi occhi nocciola contornati da leggere linee di espressione. Quella sua tipica aria dolce mi faceva sentire al sicuro, libera di dire qualsiasi cosa senza la paura di essere giudicata, eppure dentro di me non ero ancora del tutto convinta di parlare di me e della mia vita. Alla fine, però, decisi di buttarmi come al solito.

- All'inizio mi sembrava che sarebbe stato abbastanza facile integrarmi nella nuova scuola, invece quell'istituto è pieno di gente matta - dissi cominciando a gesticolare guardando Caroline in faccia. A volte distoglievo l'attenzione su di lei guardando altrove, poi ritornavo al suo volto.

- In una scuola d'arte non mi sembra strano che ci siano studenti particolari - espresse la sua opinione la donna e in quel momento ci interruppe un cameriere chiedendoci cosa volessimo ordinare. Io scelsi un cappuccino, Caroline preferì un caffè macchiato e una brioche alla crema.

- Alcuni sono più che particolari - ripresi il discorso quando il cameriere si allontanò dal nostro tavolo e Caroline mi guardò storta, senza capire.

- Spiegami - mi incitò la donna. Gettai un respiro pensando che stavo per parlare di tre persone spesso presenti nella mia testa in quel periodo: Stacie, Victor e Valentin. Sperai di non pentirmene in futuro.

- Ho fatto amicizia con una ragazza del terzo anno che si chiama Stacie e dirige il giornalino scolastico - cominciai a raccontare. - Ma mi sto ricredendo in lei - dissi con un tocco di delusione in voce.

- Perchè?

- Sa parlare solo di pettegolezzi, del suo giornale e vuole pubblicare qualcosa su di me a tutti i costi, anche se io le ho detto più volte di lasciar perdere - continuai con il mio racconto e Caroline sembrava presa dal mio discorso. Mi faceva piacere vedere che le interessava davvero ascoltarmi.

- Che prepotente! - esclamò lei. - Cosa vorrebbe scrivere di te di tanto urgente? - mi chiese infine curiosa.

- Vuole far credere a tutti che io ed un ragazzo potremmo essere una coppia, ma è una cosa così assurda!

- Chi è questo tipo? - mi chiese Caroline, sempre più presa.

- Si chiama Valentin, è un finlandese del quinto anno con un oscuro carattere, dicono - risposi introducendo un nuovo personaggio nel nostro dialogo.

- E perché tu e lui potreste essere una coppia? C'è qualcosa tra voi?

- Assolutamente no! - esclamai, convinta, ma il mio petto cominciò ad animarsi. - Insomma, non è proprio il mio genere di ragazzo - dissi calmando un poco il mio tono di voce. - E poi penso ancora al mio ex - aggiunsi infine, proponendomi successivamente la forma del sorriso di Andrew davanti agli occhi. Sospirai per la mancanza di lui che sentivo, ma non volli pensarci troppo.

- Penso a troppe persone ultimamente - dissi riprendendo a parlare. - Tra cui c'è anche Victor, un ragazzo a cui piaccio e che mi assilla ogni giorno! - feci finalmente il nome della terza persona che mi toccava sopportare a scuola in quel periodo.

- Ti assilla? - ripeté Caroline le mie ultime parole sotto forma di domanda.

- Sì, tutti i giorni mi chiede se voglio uscire con lui e mi saluta più di due volte a mattina!

- Oh mamma...

- E poi qualcosa mi dice che piaccio anche a Valentin, come sostengono Stacie e i suoi colleghi giornalisti - dissi arricchendo di gossip le mie rivelazioni, ma ero soltanto confusa nei miei pensieri un'altra volta.

- Vedo che fai conquiste in poco tempo, tu - osservò Caroline guardandomi con malizia, ma io scoppiai a ridere ironicamente.

- Ma cosa ci trovano in me? Sono solo una ragazza normale che si veste nel modo più semplice del mondo, sono chiusa in me stessa e ultimamente rispondo male a chiunque - feci l'elenco delle caratteristiche del mio modo d'essere non perfetto, a mio parere.

- Però sei bellissima - mi fece notare la donna ed io arrossii, anche se non condividevo la sua opinione. Per me una ragazza bionda e con gli occhi azzurri non è mai stata sinonimo di bellezza. Chiunque può essere bello, ma io non mi ci sentivo spesso. In me prevalevano le insicurezze e a volte mi dimenticavo di ciò che ero io fuori. Non ho mai dato troppa importanza all'aspetto esteriore di qualcuno o di qualcosa.
Dopo qualche breve minuto, un cappuccino, un caffè macchiato e una brioche alla crema giunsero al nostro tavolo e il loro dolce profumo mi inebriò le narici. Ci volevano proprio quelle piccole coccole. Avvolsi la tazza calda con le mani e vi soffiai dentro per raffreddare il cappuccino, poi ne bevvi un piccolo sorso. In quel momento, vidi da dietro la vetrina la ragazza rossa della scuola che beccavo qualche volta a fissarmi nei corridoi. Era con due amiche che non avevo mai visto prima e tutte e tre le ragazze avanzavano ridendo tra loro verso il bar. Sperai che fossero solo di passaggio e che una volta essere giunte di fronte alla caffetteria fossero andate oltre, invece sgranai gli occhi appena vidi Gwen spingere la porta in vetro. Suonò il campanellino sopra di essa, come quando io e Caroline entrammo poco prima.

- Oh, no - dissi a bassa voce mettendomi una mano sulla faccia e strizzando gli occhi.

- Che c'è? - mi chiese Caroline aggrottando la fronte.
Avevo dimenticato che anche Gwen rientrava in quel gruppo di persone che si divertivano ad affollare la mia mente. I suoi sguardi a scuola mi mettevano a disagio e non mi andava di essere fissata da lei anche quel pomeriggio al bar.
Con una mano feci segno a Caroline di avvicinarsi ed io mi chinai leggermente sul tavolo stando ben attenta a non urtare la tazza di cappuccino.

- Quella ragazza rossa che è appena entrata frequenta la mia stessa scuola - bisbigliai alla donna e lei si girò verso Gwen per guardarla. Mi risistemai con la schiena dritta sulla sedia e continuai a bere adagio il liquido caldo.

- Anche lei è una di quelle persone che tu definisci "particolari"?

Annuii a quella domanda di Caroline e lei continuò a squadrarla mentre la rossa si sedette ad un tavolo con le sue amiche.

- Bello stile! - esclamò a bassa voce. - Ma che ha di strano, a parte il look? - mi chiese infine notando il suo capello nero a tesa larga, la giacca di pelle color prugna, la maglietta di una band a me sconosciuta, la gonna corta a vita alta, le calze scure e un paio di scarpe nere dalla suola imponente.
Mi voltai verso Gwen e, come a scuola, la beccai fissarmi. Bene, si era accorta della mia presenza. Sbuffai quando riportai lo sguardo su Caroline.

- Mi fissa, come adesso - risposi alla sua domanda e lei le lanciò un'altra occhiata.

- Credo che stia parlando di te con le sue amiche - mi disse indicando le tre ragazze con un pollice mentre masticava un boccone di brioche. Una goccia di crema le macchiò il mento e lei si ripulì con un tovagliolo.
Mi voltai nuovamente verso Gwen e notai che anche le altre due, una mora e una bionda, mi lanciavano occhiate mentre condividevano qualche commento. Ma cosa avranno avuto di tanto importante da commentare? Cosa stava dicendo Gwen a loro?

- Non capisco cosa voglia da me, quella rossa - dissi scuotendo la testa.

- Secondo me è invidiosa!

- Di cosa? - chiesi ridacchiando.- Semmai sono io che dovrei invidiare lei! - esclamai considerando il suo look unico e da ammirare.

- Ma per favore, Ellie – Caroline mi prese per una scema. - Quella ragazza avrà sicuramente qualcosa contro di te - mi suggerì la donna.
Q

ualcosa contro di me? Non riuscivo a capire, ma ad un tratto mi tornò in testa quella scena in cui chiesi a Stacie chi fosse quella ragazza e lei mi disse che non solo era in classe con Valentin Virtanen, ma che era persino una sua ex.

- Forse ho capito - dissi collegando le notizie con i fatti. - Non credo che sia invidiosa di me, più che altro penso che sia gelosa!

- Perché?

- Poco fa ti ho nominato Valentin, il ragazzo dall'oscuro carattere - dissi rimettendo nel discorso Virtanen. - Sai, lui e Gwen, la rossa, sono stati insieme - rivelai a Caroline e lei sorrise maliziosamente.

- Ah beh, ora si capisce tutto!

Mi misi a ridere portando una mano sulla bocca, ma non ero poi così sicura che Gwen fosse gelosa del fatto che Valentin, apparentemente, mi corresse dietro. Non ero sicura di nulla, mi basavo solo su ipotesi ed incertezze, come sempre, ma se ci avessi visto bene quella volta? Volevo tanto esserne convinta.
Fu davvero un pomeriggio strano, quello. Insolito, ma piacevole. Non avrei mai creduto che parlare apertamente con Caroline mi facesse sentire bene, eppure quel giorno dovetti ricredermi. Lei aveva quella grande capacità di far sentire a proprio agio le persone. Per un paio d'ore la sentii come un'amica.

E pensare che la prima volta che la vidi avevo paura di lei!
Durante il tragitto a piedi, dopo aver abbandonato il bar sotto gli occhi di Gwen e delle sue amiche, Caroline volle parlare di mio padre, ma io non mi soffermai a lungo sull'argomento. Mi irritava ancora pensare a lui e parlare del mio trasferimento a Londra. Dissi che abituarmi al nuovo ambiente era ancora un po' faticoso per me e che mi mancavano molto i miei amici. Ammisi che mi mancava anche litigare con mamma, per poi fare pace con una sera in pizzeria o sul divano con del sushi ordinato al negozio in fondo alla strada.
Vedere mamma e gli amici animarsi sullo schermo del mio computer mi rattristava ogni volta, ma Caroline mi ricordò che la mia permanenza in Inghilterra, anche se dopo molto tempo, avrebbe avuto comunque una fine.

Una fine che io, giorno dopo giorno, attendevo sempre con più impazienza.
Durante la camminata verso casa, il mio buon umore diminuì gradualmente ad ogni passo che feci. Un po' per i ricordi e un po' per il pensiero che, una volta arrivata in camera, avrei dovuto cominciare a studiare.


    * * *

    Quando Valentin incrociò per la prima volta il mio sguardo a pranzo, mi stranii nel vederlo guardarmi con quell'espressione così dura e cupa, come se gli avessi fatto o detto qualcosa di sbagliato che io non ricordavo. Riprese a leggere il suo libro dalla copertina verde e morse la mela rossa del giorno, eppure lui stesso mi aveva invitato a salutarlo il dì precedente. Perché era lui, quella volta, a non scuotere la mano o a mimarmi con le labbra un piccolo "ciao"?

    - Oggi Valentin è incazzato, a quanto pare - disse Stacie masticando una forchettata di pasta. - Piede tamburellato senza sosta a terra, sguardo spento, bocca serrata… - elencò le caratteristiche del ragazzo osservandolo mentre leggeva al suo tavolo. Solo, come ogni giorno.
    Chissà con chi ce l'avesse, mi chiesi. Pensai addirittura che fosse arrabbiato con me, ma non sapevo per quale motivo.

    - Cosa sarà successo secondo te? - chiesi alla piccola giornalista.

    - Non saprei, quel ragazzo è così lunatico che cambia umore quando meno te l'aspetti - mi rispose lei. - E non si sa quasi mai cosa gli passa per la testa - aggiunse infine, ed io tornai a fissare Valentin. Per quanto volessi stargli alla larga, allo stesso tempo tendevo sempre ad appiccicare i miei occhi su di lui. Vederlo così cupo ed agitato mi rendeva ansiosa e preoccupata; due o tre volte interruppe la sua lettura per lanciarmi uno sguardo né salutandomi né sorridendomi. Rimaneva impassibile, bloccato per un paio di secondi a trafiggermi il petto con i suoi occhi verdi per poi continuare a leggere. Non capivo. Mi stava forse mettendo alla prova? Avrei dovuto salutarlo io per prima? Per quanto fossi un pò tentata a farlo, decisi di non salutarlo e di fallire quella presunta prova. Magari mi sbagliavo, non esisteva nessun esperimento. Valentin era arrabbiato per motivi solo a lui conosciuti, io non c'entravo niente. O almeno, era quello che mi conveniva pensare.

    - Mi guarda male e non capisco perché - mi lamentai.

    - Non preoccuparti, quando ha la luna storta guarda male tutti - cercò di tranquillizzarmi Stacie, ma non ci riuscì del tutto. Una parte di me era sempre convinta che dietro a quello strano comportamento di Valentin ci fossi io. Ad un tratto, notai che lui si alzò prima della campanella di fine pranzo, buttò ciò che rimase della mela in un cestino ed uscì dalla mensa con il suo libro sottobraccio e una mano intenta a prendere il pacchetto di sigarette dalla tasca della sua giacca. Trovavo curioso il fatto che indossasse la giacca durante la pausa pranzo, come se nascondesse qualcosa di prezioso dentro le sue tasche. Forse il tesoro erano proprio le sigarette.

    Sperai che andasse a fumare in cortile e non dentro la scuola, altrimenti qualche professore l'avrebbe rimproverato com'era successo il primo giorno di scuola. Non volevo che si creasse un trambusto come quella volta.

    * * *

    - Ehi Ellie, ho cominciato a scriverti la poesia! - mi annunciò Victor con euforia quando suonò l'ultima campanella della giornata. Stavo riponendo le matite colorate nell'astuccio e il mio disegno in una cartelletta di plastica.

    - Bene, ma spero che non abbia una fine - gli risposi acidamente come, ormai, mi stavo abituando a fare.

    - Oh che dolce, ne vuoi una che sia interminabile?

    - No, una che possa essere interrotta e mai più scritta - lo corressi e finii di preparare tutto per uscire dalla classe e andare in macchina, ma Victor mi si piazzò davanti.

    - Detesto quando mi rispondi male - mi disse lui, ma io lo scansai e mi diressi verso la porta.

    - Io invece detesto quando mi parli, ciao! - lo liquidai in quel modo. Per fortuna, Vic mi lasciò andare e ringraziai il cielo per quello. Di tanto in tanto, mi voltavo per vedere se Victor era dietro di me, ma ogni volta non lo vedevo. Menomale.
    Arrivata alla mia macchina, mi guardai intorno. Non ero più in cerca di Victor, ma di Valentin. Avevo la curiosità di sapere dove fosse. La sua macchina era ancora parcheggiata al solito posto, ma lui non c'era, così postai lo sguardo sull'entrata della scuola e fu lì che vidi Valentin fumare una sigaretta, la quinta o addirittura la sesta del giorno, probabilmente.
    Mi appoggiai con un fianco sulla mia macchina e presi il cellulare dalla tasca dei jeans per far finta di scrivere un messaggio. In realtà stavo studiando il comportamento di quello strano ragazzo che, giorno dopo giorno, nonostante la mia volontà di stargli lontano, mi incuriosiva sempre di più. Muovevo il pollice sullo schermo del telefonino per imitare la digitazione di un testo e, di tanto in tanto, lanciavo occhiate a Valentin. Stava poggiato con la schiena sul muro grigio, una mano in tasca e una che portava la sigaretta alla bocca. Il suo sguardo scrutava il cielo, come se stesse cercando qualcosa tra le nuvole, poi si abbassò al suolo, a fissare qualche sasso o qualche esile filo d'erba che cresceva tra gli spazi che dividevano le mattonelle in pietra.
    Mi sentii cadere lo stomaco in un vuoto quando Valentin si accorse di me. I suoi occhi mi facevano sempre lo stesso effetto e lo detestavo. Esigevo più autocontrollo da me stessa, ma a volte mi era difficile tenere ben salde le redini.

E Valentin mi guardò due, tre e quattro volte, tutte senza salutarmi o farmi qualche cenno.

Continuavo a non capire. Fu in quel momento che feci una delle mie stupidaggini più grandi di tutta la mia vita: quando Valentin mi guardò ancora una volta, pensando che ormai avesse capito che il cellulare nelle mie mani fosse tutta una copertura, io alzai una mano per salutarlo e gli sorrisi.
Quando lui, anziché ricambiare il mio saluto, si staccò dal muro e camminò verso la sua macchina, io riabbassai la mano vergognandomi. Cosa avevo fatto? Salutarlo, da quel che capii, fu un grandissimo sbaglio, eppure io non ci vedevo nulla di male in un “ciao”.

- E' inutile che lo saluti, quando è incazzato non caga mai nessuno - sentii una voce femminile e intuii che, chiunque avesse appena parlato, si stesse riferendo a me. Mi voltai alla mia destra e vidi Gwen a due metri dal mio corpo. Deglutii non appena la riconobbi.

- La mia intenzione non era quella di disturbarlo, anzi - dissi riponendo il cellulare nella tasca dei jeans.

- Tranquilla, prima o poi ti rivolgerà comunque la parola - mi garantì Gwen sorridendomi. Le sue labbra rosse a carnose erano ancora più belle quando lei sorrideva.

- Può anche non parlarmi, non mi faccio problemi - risposi mettendomi in posizione eretta staccandomi dalla macchina. - Volevo solo salutarlo, dato che ieri mi ha detto che gli farebbe piacere un mio saluto.
A quella frase, Gwen ridacchiò divertita e si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio.

- E' sempre il solito - disse lei. - Prima fa il carino e il giorno dopo fa come se non esistessi, è tipico di lui - continuò Gwen a parlarmi di Valentin.

- Perché fa così? - le chiesi, curiosa, sicura che lei mi avrebbe risposto.

- Se riuscirai a farci amicizia, te lo dirà direttamente lui - mi suggerì la rossa facendomi rimanere nel mistero. Piegai la testa da un lato e aggrottai le sopracciglia.

- Tu lo sai, vero ?- le chiesi.

- Conosco Valentin molto bene, ma è meglio se non ti racconto altro - disse Gwen incrociando le braccia al petto. - Non mi piace dire in giro fatti personali di altra gente, lo trovo scorretto - mi confessò ed io le diedi ragione nonostante volessi conoscere il motivo per cui Valentin avesse quel comportamento.

- Capisco, allora non insisto - mi arresi.

- Comunque io sono Gwen - si presentò lei porgendomi una mano dalle dita piene di anelli ed io la strinsi.

- Lo so, me l'ha detto Stacie Peters.

- Anch'io so come ti chiami, ma pensavo che presentarsi fosse più formale che conoscersi attraverso altra gente - mi disse lei con un altro dei suoi teneri sorrisi.
Pensai che quella ragazza fosse di un'educazione esemplare e faceva piacere avere davanti una persona così controllata e di buone maniere.

- Lo trovo giusto - concordai il suo parere e le nostri mani si staccarono.
- Comunque ti do un consiglio, stai attenta a Stacie Peters - mi avvertì agitando un dito in aria.

- Perché dovrei? - chiesi, preoccupata.

- Farebbe di tutto per trovare un grande scoop per il giornale, non raccontarle niente di te - mi consigliò infine indietreggiando di qualche passo.

- Farò attenzione - le assicurai. - Grazie.

- Non dirle che ti ho parlato, altrimenti scrive anche questo sul giornale - scherzò Gwen ridendo e mi contagiò con la sua risata.

La ragazza tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle un pacchetto di sigarette, ne sfilò una e l'accese.

- Ne vuoi una anche tu? Ho il pacchetto pieno - mi offrì Gwen, ma io scossi la testa.

- No grazie, non fumo.

- Ah, capisco - annuì lei e ripose l'accendino in tasca. - Indovina chi mi ha fatto cominciare?

Non mi ci volle molto per capire, poiché il suo sorriso amaro seppe parlare da solo. Sorrisi anch'io quando intuii che stesse parlando di Valentin e in un lampo mi tornò in mente quella volta che cercò di far cominciare anche me; infine mi salutò ed io la ricambiai con un cenno di mano.
Non credevo che Gwen fosse simpatica. O almeno, quella era l'impressione che mi dette in quel momento. Avrei dovuto dirle e chiederle altre cose, ad esempio: perché mi fissava ogni volta che capitavamo nello stesso corridoio? Cosa disse alle sue amiche il pomeriggio precedente al bar?

Se non fosse stato per Valentin e per la mia curiosità di sapere qualcosa su di lui, quelle domande mi sarebbero sicuramente uscite di bocca.
E Stacie? Era davvero così incontenibile in fatto di gossip e notizie interessanti? Un po' l'avevo notato anch'io, ma dopo l'avvertimento di Gwen decisi di stare più attenta e di non confidarmi più con la piccola giornalista. Sapevo già che rischiavo di finire sul primo numero del giornale che sarebbe uscito ad ottobre e non volevo peggiorare le cose.

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I'M STILL ALIVE!

Buondì a tutti, scusate la mia lunga assenza ma tra feste e robe varie non ho più avuto l'occasione di postare il nuovo capitolo, ma finalmente eccolo qui.

Questo episodio è incentrato su Gwen  e finalmente la vediamo in azione. E' un po' misteriosa, non trovate? Nasconde tanti segreti  e se siete curiosi di scoprirli, bé... non vi resta che attendere i nuovi capitoli ;)

Per Ellie è un periodo piuttosto incasinato, come vi avevo anticipato la scorsa volta. Intorno a lei ronzano un po' di persone, ognuna di loro con qualcosa che più in là vi stupirà. Pareri su Vic, Val, Gwen e altri personaggi?

Vi ringrazio per essere arrivati fin qua, ci saranno tantiiissime altre cose da scoprire, sia belle che brutte, perciò... STAY TUNED. 

Kisses and heartgrams, 

Julie Darkeh.


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