After the War - Il Nuovo Mondo di black_eagle (/viewuser.php?uid=712027)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Preda e Il Cacciatore ***
Capitolo 2: *** La Strada Per Casa ***
Capitolo 3: *** Una Persona Dai Molti Talenti ***
Capitolo 4: *** Un Giro Nei Bassifondi ***
Capitolo 5: *** Fumo e Fiamme ***
Capitolo 6: *** Primi Passi ***
Capitolo 1 *** La Preda e Il Cacciatore ***
1_Preda e cacciatore
1
LA PREDA E IL CACCIATORE
Mancava poco all'alba e la foresta era piena dei rumori della natura.
Era una foresta vecchia, cresciuta molto negli ultimi secoli. C'erano
alberi enormi cresciuti durante centinaia d’anni, alberi-roccia con la corteccia
simile a una dura pietra e alberi-luce con le foglie che emanavano una
debole fosforescenza dando al posto un aspetto affascinante e sinistro
proiettando lunghe ombre contro le rocce. Il terreno era coperto di
foglie e ramoscelli e vari cespugli ne tappezzavano alcune parti. Si
potavano anche scorgere macchie di rovi in giro. La terra era umida,
piena di tracce, per la notte piena di pioggia e il cielo era ancora
coperto da una coltre di nubi.
Marek si chinò per esaminare le tracce del cervo nella
semioscurità della foresta. I rami bloccavano anche la poca luce
lasciata filtrare dalle nubi. Le tracce erano fresche, la sua preda non
poteva essere lontana. Era da quasi una settimana che lo inseguiva in
lungo e in largo per la foresta, e la notte precedente aveva temuto di
averlo perso per via della tempesta, quando aveva dovuto cercare un
riparo per non morire dal freddo. Ma la fortuna era dalla sua, anche il
cervo aveva cercato riparo dalla furia degli elementi, non lontano
dalla grotta usata da Marek, e quando al mattino era uscito per cercare
del cibo aveva lasciato delle impronte nel terreno fangoso.
Le tracce lo portarono fino a una radura. Qui gli alberi si diradavano
per lasciar passare un po' più di luce. Nel centro dello spiazzo
c'era una piccola pozza. Probabilmente il cervo voleva abbeverarsi ma
avrebbe dovuto scegliere un altro posto per farlo; se lo avesse fatto
forse adesso sarebbe ancora vivo. Marek non era l'unico cacciatore
della foresta, ce n'erano di più grossi e più selvaggi,
anche se in questa parte del bosco erano molto rari. Vicino alla pozza
un grosso raptor stava banchettando con la carcassa del cervo.
Appena lo vide Marek si precipito dietro un albero e sbircio un po'
meglio. A quanto pare il raptor era troppo preso dal suo pasto per
accorgersi di lui, ed era un bene. I raptor selvatici erano tra i
dinosauri più letali. Vederlo gli fece tornare in mente un
vecchio detto da cacciatore: "Preda e cacciatore possono cambiare in un
istante".
Generalmente erano alti all'incirca due metri e le loro lunghe gambe
gli permettevano di compiere scatti incredibili o di correre a
velocità molto elevate, potevano tranquillamente raggiungere una
velocità doppia rispetto ad un cavallo. Senza contare la loro
pelle squamosa che era molto resistente e difficile da ferire, su
alcuni raptor era talmente spessa e dura che persino i colpi di alcune
armi da fuoco facevano fatica a penetrarla, e i loro artigli lunghi 20
cm con cui potevano squartare facilmente qualsiasi carne o tessuto.
Marek pensò al modo migliore per uscire da questa brutta
situazione. Era strano trovare un raptor così a sud,
generalmente i loro branchi se ne stavano più a nord, sopra il
vecchio confine, quindi con tutte le probabilità era da solo,
magari un esemplare che aveva lasciato il suo branco o che l'aveva
perso; almeno non doveva preoccuparsi del branco. Se scappava rischiava
di fare troppo rumore e far accorgere il raptor della sua presenza, e
questo sarebbe stato una morte quasi certa. D'altro canto anche
affrontarlo poteva condurre a esiti simili. Poteva arrampicarsi su un
albero e sperare che il raptor se ne andasse via senza notarlo ma non
credeva che avrebbe funzionato come piano. Marek si accorse che la
carcassa stava velocemente sparendo tra i bocconi della bestia e quando
quest'ultima avrebbe finito lo avrebbe certamente fiutato. No doveva
sbrigarsi a fare qualcosa.
Estrasse una freccia dalla faretra, poi prese un sasso da terra e lo
lancio dall'altra parte della radura. Il sasso colpì
un'albero-roccia con un rumore sordo. Il raptor blocco di colpo il suo
pasto e si girò d'istinto verso il rumore. Rimase alcuni istanti
a fissare il punto, come per valutare se valeva la sua attenzione ma
poi si rigirò preferendo tornare al suo banchetto. Marek
osservò tutta la scena trattenendo il fiato e pregando che la
sua folle idea funzionasse perché se non funzionava era bello
che morto. Nell'istante in cui il raptor si girava con le fauci
spalancate per addentare un altro boccone Marek usci dal suo
nascondiglio incoccando la freccia. Non penso più a niente,
lascio andare ogni pensiero, ogni paura ed emozione e lasciò la
corda dell'arco. La freccia taglio l'aria con un sibilo acuto,
tracciando una linea retta verso la bocca spalancata del dinosauro per
poi conficcarsi giusta nel centro e andando a trapassare il cervello.
Il raptor guardò Marek con occhi stupefatti, come per capire se
era un pericolo o no e poi crollo a terra di colpo, con un tonfo sordo.
Il cacciatore lascio andare il fiato con un grande sospiro. Aveva
rischiato e aveva ottenuto. Si avvicinò felice alla sua nuova
preda. Il cervo era ormai sprecato, con il ventre aperto e la maggior
parte della carne mangiata dal raptor, magari avrebbe potuto recuperare
le corna. Si avvicinò all'altra sua preda: era un cucciolo,
raggiungeva a malapena il metro e settanta, doveva ancora crescere del
tutto. Aveva comunque denti e artigli affilati come rasoi.
Recupero la freccia dalla mandibola e poi estrasse il coltello e inizio
a tagliare pezzi di pelle al dinosauro. Le squame di raptor erano molto
richieste e si vendevano a un ottimo prezzo. Dopo che ebbe riempito la
borsa tirò fuori il seghetto e iniziò a tagliare con cura
denti e artigli, valevano molto anche quelli, riempiendo i due
sacchetti che aveva con se. Dopodiché taglio anche le corna al
cervo e se le legò alla cintura e tagliò via la carne
rimasta. Gli sarebbe servita durante il viaggio di ritorno; aveva quasi
finito le provviste e non ci teneva a morire di fame prima di essere
tornato a casa. Avrebbe dovuto portarsi via più cibo ma aveva
anche sperato in un più selvaggina, purtroppo quel cervo era
stata l'unica preda che aveva trovato in vari giorni.
Si incamminò. La strada più comoda per tornare verso
casa, se non aveva perso completamente il senso dell'orientamento,
doveva essere quella di tagliare dritto la foresta verso sud fino ai
resti della ruote 165 e una volta raggiunta l'antica strada seguirla
fino verso nordovest fino a casa.
Mentre camminava Marek osservava la foresta intorno a lui. Lo riempiva
di pace quel posto. Le nubi in cielo si stavano diradando lasciando
filtrare dei raggi di luce, il sole era ormai sorto da un'oretta, tra
il fogliame degli alberi. Trovo una vecchia pista di caccia che andava
verso sud e iniziò a seguirla. Lungo i fianchi sorgevano grandi
alberi-roccia, vecchi almeno di tre secoli a giudicare dalle
dimensioni; erano piante maestose e Marek ne era sempre affascinato,
per lui era come una dimostrazione della natura che diceva "Nonostante
tutto quello che fate io resisterò sempre". Vicino agli
alberi-roccia si potevano scorgere anche querce, frassini, pioppi e
anche dei pini ma non reggevano il confronto coi loro pietrosi
fratelli. Scorse degli alberi-luce anche qui, con le foglie che
emanavano una debole fosforescenza luminosa; non raggiungevano mai
grandi dimensioni, due metri e mezzo al massimo, e il loro tronco non
era spesso o robusto come quello di altri alberi. Si diceva che nelle
grandi città ne avessero fatti crescere di enormi e che li
usassero per illuminarle durante la notte. Marek naturalmente non gli
aveva mai visti, come non aveva mai visto una grande città,
anche se gli sarebbe piaciuto molto. Chissà, forse un giorno
avrebbe visitato il mondo ma per ora tutto quello che conosceva era il
suo villaggio, le foreste che lo circondavano e la caccia.
Nonostante la giovane età era uno dei migliori cacciatori del
suo villaggio, forse non quello con più esperienza ma di certo
uno tra i migliori con l'arco, si poteva dire che aveva un talento
naturale per usarlo. E per fortuna che era così. Dopo la
scomparsa dei suoi genitori tirare avanti era stato parecchio difficile
nei primi tempi. Suo nonno materno, l'unico parente ancora in vita che
aveva, era ancora forte per la sua età ma di certo non poteva
lavorare più come un giovane e Marek all'inizio era troppo
piccolo per poter fornire più di un misero aiuto nei campi. Col
tempo però la crescente abilità di Marek con l'arco aveva
permesso loro di vivere senza dover tirare la cinghia. La caccia oltre
a riempire il piatto, portava anche soldi in casa e questo aiutava
molto.
Mentre camminava di tanto in tanto scorgeva i resti di qualche piccola
strada minore: pezzi di asfalto erosi dal tempo e dal clima ma che
ancora resistevano dopo secoli. Raggiunse i resti della route 165
quando ormai il sole stava tramontando. Avrebbe dovuto cercarsi un
riparo per la notte. Vide una stradina laterale che si staccava dalla
strada principale e si inoltrava a sud, dentro la foresta, con un
cartello di metallo ormai completamente sbiadito che la indicava. Forse
segnalava la direzione verso qualche vecchia cittadina. Non si era mia
spinto tanto a est per cacciare quindi non conosceva la zona. Di solito
andava a nord o ad ovest.
Ci si incamminò sperando di trovare i resti di qualche
abitazione dove potersi rifugiare per la notte; il territorio ne era
pieno anche se spesso le rovine erano consumate dal tempo o dal clima o
inglobate dalla foresta. Il sole era ormai tramontato del tutto quando
raggiunse i resti che aveva sperato di trovare.
La foresta si era mangiata vari dei vecchi edifici, un pino spuntava
dal tetto di quello che Marek pensò fosse una tavola calda per
esempio, ma alcuni resistevano ancora. Molti edifici erano crollati nel
corso dei secoli e le macerie tappezzavano la strada già
distrutta dalle radici degli alberi cresciuti negli anni. Si
avvicinò a una grande casa in pietra; i muri erano consumati da
secoli di piogge ma pareva solida e in buono stato ed era stata
risparmiata dagli alberi. Varcando la soglia si accorse che era una di
"quelle case". Durante le sue battute di caccia in passato aveva
già cercato rifugio in vecchie case o rovine e si era accorto
che molte di esse avevano una soglia di forma ovale e lungo i bordi ci
correva un tubo di metallo liscio perfetto senza nessun cardine per una
porta. Spesso quando lo vedeva pensava se la gente che ci viveva non
aveva alcun interesse per la propria privacy.
L'interno era spoglio, con molti mobili distrutti nel corso del tempo e
il pavimento pieno di crepe e polvere depositatasi nel corso degli
anni. Dal corridoio centrale si inoltrò fino ad un ampio
soggiorno; al centro della stanza si trovano i resti arrugginiti di un
lampadario e oltre esso uno splendido camino in marmo dominava la
stanza. Li vicino si trovavano i resto di vecchie poltrone e di un
mobile bar. Il legno ero vecchio ma non tanto umido, sarebbe andato
bene per accendere il fuoco. Accatasto la legna nel camino e dopo
qualche tentativo una fiammella inizio a bruciare. La alimento con
legnetti piccoli e secchi finché non divenne un bel fuocherello
poi ci butto un pezzo di legno massiccio, una vecchia gamba di un
tavolo, per tenerlo accesso. Fuori nel frattempo il sole era tramontato
del tutto lasciando spazio all'oscurità della notte. Dalle
finestre rotte entravamo i raggi di una pallida luna e del magnifico
cielo stellato.
Marek lo ignorò, lo aveva visto tantissime volte durante le sue
battute di caccia e per quanto stupendo fosse poteva rivelarsi una
distrazione mortale. Tiro fuori la carne cruda e la tagliò in
tre pezzi, due li rimise nella borsa e infilò l'ultimo su uno
spiedo di legno che aveva intagliato prima e l'appoggiò un po'
sopra le fiamme in modo che si cucinasse bene. Mentre aspettava che la
sua cena si cucinasse aprì uno dei sacchetti con i denti e gli
artigli del raptor e li esaminò; alcuni poteva anche tenerseli,
ne avrebbe ricavato delle ottime punte di freccia. Le zanne dei
raptor si erano evolute nel corso del tempo, quando erano comparsi le
prime volte, vari secoli fa gli sembrava, non era mai stato bravo in
storia, erano fatte di osso ma nel corso del tempo il materiale era
diventato una specie di lega metallica naturale, dura quasi quanto il
ferro.
L'odore penetrante di carne cotto pizzicò il suo naso; la tolse
dal sostegno dove l'aveva lasciata a cucinare e ne assaggiò un
boccone. Era ottima, cotta al punto giusto. La divorò con gusto
e in fretta; durante la giornata aveva mangiato solo qualche pezzo di
pane che gli era rimasto e nei giorni precedenti mentre cacciava aveva
solo le sue provviste, non molto saporite. Quando ebbe finito si lecco
persino le dita. Un vero peccato che il raptor non avesse lasciato
più carne a disposizione.
Si coricò vicino al fuoco, con l'arco, la faretra e il pugnale
vicini a lui in caso di necessità ma il sonno non arrivava. Si
sentiva stanco ma era quella stanchezza che non faceva dormire quindi
decise di dare un'occhiata alla casa, magari poteva recuperare qualcosa
di utile anche se non ci credeva più di tanto. Nel corso degli
anni molti posti erano stati saccheggiati e quello che non avevano
reclamato gli sciacalli lo aveva preso la natura, quasi tutto almeno.
Nel tempo Marek aveva trovato qualche oggetto curioso o interessante,
tipo un tubetto di plastica con in cima un buco, una rotella e un
pulsante. Se si girava la rotella produceva scintille ma erano troppo
piccole per essere di qualche utilità e Marek si era spesso
domandato chi poteva aver inventato una cosa tanto inutile.
Si alzò e si infilò il pugnale nella cintura, meglio
essere sempre pronti ed uscì dal soggiorno lasciandosi la bolla
di luce proiettata dal fuoco alle sue spalle. Il cambio di luce lo
accecò per un'istante ma i suoi occhi da felino avevano il
vantaggio di adattarsi quasi all'istante a qualsiasi cambiamento nella
luminosità dell'ambiente; infatti dopo pochi secondi vedeva
quasi come se fosse pieno giorno. Si diresse verso il retro della casa.
Finì in quella che un tempo doveva essere la cucina. Lungo i
bordi della stanza si trovavano vari armadietti, o per meglio dire i
loro resti e al centro c'era un grande bancone di marmo, uno di quelli
dove potevi metterti a cucinare o lavorare sopra. Una porta, una di
quelle porte, dava sul giardino ormai completamente invaso dalla
foresta; nelle semioscurità della notte Marek riusciva a vedere
i resti di un vecchio scivolo e lo scheletro di quello che doveva
essere stata un'altalena. Dalla cucina prese un altro corridoio.
Lì delle scale lo portarono al piano superiore. Qui scelse a
caso una delle varie stanze che vedeva e ci entrò.
La scena che si presentò davanti a lui lo lascio senza fiato.
Era una stanza grande con armadi lungo le pareti, un sontuoso
lampadario sul soffitto e una terrazza per uscire ma ciò che
catturava l'attenzione all'istante era il centro della stanza, dove si
trovava il grande letto matrimoniale. Sopra di esso c'erano due
scheletri stretti tra di loro. Lasciava davvero senza respiro. Due
amanti stretti l'uno nell'altra, anche dopo secoli dalla loro morte a
giudicare dalle condizioni delle ossa; sembrava un simbolo di un amore
eterno, resistente anche alla fine delle loro vite.
Rimase imbambolato a fissarli, a contemplarli, per un pezzo. Quando si
riscosse dovevano essere passati almeno dieci minuti. Osservò il
resto della stanza ma il suo sguardo tornava sempre verso il centro,
verso i due amanti. Si costrinse a guardare altrove e i suoi occhi
caddero su un suo riflesso. Lo specchio era appeso alla parete dove si
trovava la porta da cui era entrato nella stanza, ecco perché
inizialmente non lo aveva notato. Si avvicinò per pulire la
polvere che lo ricopriva; lo specchio era crepato in molti punti ma nel
complesso offriva ancora un riflesso decente di se stessi.
Marek era alto 1.80 m, ne più ne meno della media della sua
età, diciassette inverni, e una corporatura snella ma con i
muscoli ben definiti su tutto il corpo. Dei corti ricci castani gli
incorniciavano un viso ovale e una barba non fatta da giorni gli
ricopriva mento e guance. Ma la cosa che sempre saltava all'occhio in
lui erano proprio i suoi stessi occhi, non umani. Erano gialli e con
l'iride verticale, come quella di un felino. Suo nonno diceva sempre
che gli aveva presi da sua padre. Gli unici ricordi che Marek aveva di
genitori erano immagini sfocate nella sua mente in quanto erano
scomparsi quando lui aveva appena tre inverni lasciandolo alla cure del
nonno materno. Il vecchio lo aveva allevato come un figlio e Marek gli
voleva bene come se fosse il suo vero padre alla fine. A volte
però si domandava come sarebbero stati i suoi e come sarebbe
stato crescere con loro, con dei genitori. Aveva anche provato
più volte a chiedere a suo nonno qualche informazione in
più sui suoi ma il vecchio era stato molto parsimonioso nel
darle. Tutto quello che aveva scoperto era che suo padre era stato un
militare prima di incontrare sua madre e ritirarsi. Forse il nonno
nascondeva anche altro ma preferiva non indagare, vedendo anche quanto
ci stesse male a parlarne nonostante fossero passati molti anni dalla
scomparsa dei suoi.
Distolse la sua attenzione dallo specchio e si diresse verso la
terrazza. La pallida luce lunare e quella delle stelle illuminava i
resti della cittadina. Marek ora la poteva osservare meglio.
Nella parte in cui si trovava la foresta era abbastanza rada e si
vedevano ampie porzioni di cielo. Più in la dove la foresta
cominciava a infittirsi scorgeva altre rovine, parti della città
ormai consumate dalla natura, resti di strade bucate da radici, muri in
rovina pieni di rampicanti e persino gli scheletri di alcuni ovali di
metallo arrugginiti. Suo nonno gli aveva detto che si chiamavano
automobili e che nel passato, prima della Guerra e del Secolo Buio,
oltre quattrocento anni fa, erano usate per muoversi velocemente tra
posti molto distanti tra di loro. Ce n'erano ancora anche ai giorni
suoi però, solo che erano poche e perlopiù in mano agli
eserciti o a nobili e mercanti molto ricchi nel sud, almeno secondo le
dicerie e i racconti che aveva sentito. Di tanto in tanto dei mercanti
con le loro carovane attraversavano il villaggio e oltre alle loro
mercanzie portavano informazioni e notizie dal mondo per i più
vecchi e storie e racconti per i più piccoli. Marek da bambino
si fermava spesso insieme ad altri della sua età ad ascoltare
ciò che l'occasionale mercante narrava loro, e alcuni di loro lo
facevano davvero correre con la fantasia. Ormai non era più un
ragazzo e non credeva più a molti di quei racconti ma lo
facevano lo stesso sorridere ancora e alimentavano persino ora la sua
sete d'avventure: visitare il sud diviso tra l'Impero Texano e
l'Esercito di Ferro, viaggiare a est fino al Regno della Florida e
vedere l'oceano, attraversare il deserto e raggiungere la Repubblica
dell'Ovest o andare verso nord, visitare le Terre Mutanti e il
Wisconsin. Una volta aveva persino sentito qualche storia sulle terre
oltre l'oceano, del grande impero che vi si trovava, di Asgard e di
altre terre ancora più strane ma stentava sul serio a crederci.
In fin dei conti parlando di terre così distanti e lontane
potevano anche essersi inventati tutto solo per stupirli.
Un urlo improvviso lo riporto di colpo alla realtà. Veniva dalla
strada da dove era arrivato. Istintivamente le mani cercarono una
freccia nella faretra per poterla incoccare ma si ricordò di
averle lasciate giù, al fuoco.
-Aiuto- questa volta l'urlo era più forte, più vicino. Altri versi, ululati forse, gli fecero eco.
Marek aguzzo la vista per vedere cosa poteva essere. All'improvviso un
uomo sbuco correndo a perdifiato e urlando dalla foresta. Dietro di lui
quattro lupi lo inseguivano ululando come disperati, erano in caccia e
avevano fame. Un odio primordiale si risveglio dentro di lui. Lupi.
-Di qua, vieni di qua, presto-
Marek non si fermò a vedere se lo sconosciuto avesse sentito le
sue parole. Rifece il percorso inverso correndo come un dannato. Strano
trovare dei lupi in questa parte della foresta, da quanto ne sapeva se
ne stavano molto più a est o a nord. Arrivo nel salone e
afferrò arco e frecce un istante prima dell'arrivo dello
sconosciuto. Il primo lupo arrivo subito dopo.
Lasciò andare ogni emozione, si svuotò di tutto, era una
cosa sola con l'arco e la freccia. Lui era l'arco, lui era la freccia.
Lascio partire il colpo. La freccia volò, un angelo della morte
dritto verso il suo bersaglio. Si conficcò nel cranio del lupo,
diritto in mezzo agli occhi; quest'ultimo cadde con un gemito. Marek
non si fermò a osservare il lupo morente ed estrasse fulmineo
un'altra freccia. Un altro lupo era entrato nella stanza e aveva
spiccato un balzo verso lo sconosciuto. La freccia lo raggiunse a
mezz'aria e la bestia atterrò morta contro l'uomo che osservava
la scena stupefatto. Caddero rovinosamente entrambi a terra. Arrivarono
gli ultimi due lupi ma si fermarono all'entrata del salone, percependo
nell'aria l'odore del sangue dei loro fratelli. Osservarono la scena
come per vedere se valesse la pena attaccare o no. Marek li osservava
impassibile, con un'altra freccia già incoccata e pronta. La
tensione era palpabile nell'aria, quasi densa. I lupi emisero un basso
ringhio come di sfida ma poi, lentamente si girarono, e scomparvero
nelle ombre della notte.
La tensione svani di colpo e Marek si lascio cadere a terra esausto. Ma
cosa gli era passato per la testa? Affrontare dei lupi in piena notte,
solo per salvare uno sconosciuto. Doveva essere proprio impazzito. Per
poco non era diventato lui la preda e la cena di quei lupi.
-Grazie- la voce dello sconosciuto gli fece prendere un colpo, si era
dimenticato che lui era li. La voce era da maschio, ma non si poteva
capire tant'altro su di lui. Il volto era un’ombra, nascosto da
un grande cappuccio e il corpo avvolto nel mantello non lasciava capire
molto della sua corporatura. Era alto ma da come i vestiti si
adagiavano sul suo mantello non troppo robusto.
-Grazie- ripeté ancora -Mi hai salvato la vita stanotte. Se non fosse per te sarei diventato la cena di quei lupi-
-Istinto amico mio, ho agito senza pensare. Abbiamo rischiato di
diventare entrambi la loro cena- rispose Marek rialzandosi e andandosi
a sedere vicino al fuoco -E se posso chiedere a chi ho salvato la vita?-
Lo sconosciuto si sedette anche lui vicino al fuoco abbassandosi il
cappuccio. Le fiamme proiettavano lunghe ombre sul suo viso. Aveva
lineamenti comuni, morbidi, cappelli castano chiaro tagliati corti ma
che stavano iniziando a ricrescere e una barba non fatta da un po' di
tempo. Era una faccia giovane però, Marek lo giudicò poco
più vecchio di lui. Sembrava umano a prima vista.
-Kolin, Kolin Caps- rispose lo sconosciuto -Sono un mercante
itinerante, vengo da New Rock, sul confine con le terre sotto
l'Esercito di Ferro. E ora, se posso chiedere io, chi è il mio
salvatore?-
-Marek, Marek Bigose- rispose a sua volta Marek -Sono un cacciatore, il
mio villaggio è a circa due giorni di cammino a nordovest di
qui, lungo la Ruote 165-
Dopo alcuni istanti di silenzio, il mercante non sembrava intenzionato
a dire molto su di se a meno che non fosse spronato, domandò
-Cosa ci fa un mercante, così giovane per di più, da
queste parti? E come hai fatto a finire inseguito dai lupi?-
Kolin non rispose immediatamente alla domanda ma si fermò ci
pensò un attimo, come per scegliere le parole migliori. -Sono in
viaggio per affari di famiglia si può dire. Anche i miei sono
dei mercanti e ho deciso di dimostrare loro il mio valore. Ho fatto
buoni affari a Fort Smith, a est di qui. Volevo raggiungere Tulsa e
vendere quel che mi è rimasto per poi fare scorte ed andare a
commerciare ad Oklahm City, al confine con l'Impero Texano. Da li poi
fino a Dallas e poi infine a casa- sospirò -O almeno questo era
il piano originale. La guida che ho affittato a Fort Smith ha sbagliato
itinerario quindi abbiamo dovuto accamparci in una radura poco distante
da qui. Quell'idiota è morto quando quei lupi ci hanno assalito.
Forse sono stati attirati dall'odore del nostro cibo. Io sono riuscito
a scappare, spero che il mio cavallo abbia avuto la stessa fortuna. Il
resto della storia lo sai. E ora mi ritrovo bloccato qui, nelle terre
selvagge senza guida e probabilmente rovinato, con le mie merci
disperse chissà dove-. Kolin sembrava davvero sconfortato.
-Dai non buttarti giù- gli disse Marek -Posso portarti fino al
mio villaggio e li ci sono un sacco di cacciatori. Vedrai che qualcuno
accetterà di farti da guida. E per quanto riguarda le tue merci
posso aiutarti a cercarle domani mattina. Non possono essere molto
distanti da qui.
Una luce si accese in fondo agli occhi del mercante. -Lo faresti davvero?-
-Magari un piccolo sconto sulle tue merci aiuterebbe-
-Anche più che piccolo. Mi hai salvato la vita in fondo e se
domani riuscirai davvero a ritrovare le mie merci me l'avrai salvata di
nuovo-
-Abbiamo un patto allora?- disse Marek porgendo la mano.
-Andata- rispose Kolin afferrandola.
Poco dopo si coricarono entrambi e il sonno raggiunse finalmente Marek.
Le fatiche della giornata lo vinsero e il mondo sprofondò
nell'oscurità.
*Note dell'autore*
Questa è la mia prima
"creazione" quindi probabilmente sarà piena di errori o scritta
in malo modo. Se siete arrivati a leggere fin qua vi ringrazio di tutto
cuore. Sarò felice di qualsiasi critica, sia positiva che
negativa. Se trovate un qualsiasi errore o motivo per criticarmi o
bastonarmi non esitate a farlo, mi permetterà di capire molto di
più i miei errori. Mille grazie ancora e spero che abbiate
gradito questa lettura
|
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Capitolo 2 *** La Strada Per Casa ***
2_La Starda Per Casa
2
LA STRADA PER CASA
Marek si svegliò d'istinto quando i primi raggi di sole
attraversarono la finestra. Si tirò su e usò un po'
dell'acqua della borraccia per darsi una sciacquata al viso e
svegliarsi del tutto. Il fuoco si era spento durante la notte e ora
rimanevano solo ceneri e qualche brace.
Diede un colpetto col piede a Kolin; il mercante si sveglio con
grugnito indistinto. Aveva i vestiti stropicciati e si massaggiava la
schiena. Una notte di sonno su un pavimento duro non era piacevole ma
era di certo preferibile a essere la cena di quattro lupi affamati.
Guardò nello zaino e trovò ancora mezza pagnotta,
risparmiata dal giorno prima. La spezzo e ne diede metà a Kolin
che la mangiò con avidità. Marek non mangiò con
così tanta voracità ma lo fece comunque in fretta;
avevano tanta strada da fare oggi e poco tempo da perdere.
Finita la colazione si diressero verso dove la notte prima Kolin era
sbucato correndo come un dannato. Li la strada era stata distrutta dai
secoli e la foresta iniziava a infittirsi; dentro la vegetazione si
scorgevano altre rovine, quasi del tutto consumate.
-Riuscirai davvero a ritrovare la radura dov'ero accampato?-
domandò il mercante -Ieri notte non sapevo neppure dove stavo
correndo-
-Se sei riuscito a fuggire da quei lupi non dovrebbe essere distante da
qui. Anche correndo in mezzo alle rovine quei lupi ti avrebbero preso
presto se non avessi trovato me- mentre parlava Marek ispezionava il
terreno con fare attento; quelle bestie avevano certamente lasciato
qualche traccia e lui l'avrebbe trovata.
Dopo qualche minuto trovò finalmente le tracce che stava
cercando. Erano leggere e molto consumate ma non sarebbe stato troppo
difficile seguirle a ritroso, portavano dritte dentro la foresta.
Iniziò a seguirle.
-Le hai trovare?- domandò ansioso il mercante -Le hai trovate sul serio?-
-Si. Ora seguimi e stai zitto. Se fai troppo rumore mi distraggo e rischio di perdere la traccia.-
A quelle parole Kolin si zittì e trotterellò dietro Marek
mentre questo si inoltrava nel fitto della foresta. Poco meno di dieci
minuti dopo gli alberi iniziarono a diradarsi e sbucarono su una
piccola radura. Un carro era ribaltato su un lato dello spiazzo e varie
casse e pacchetti erano sparsi qua e la, alcuni erano rotti, ma la
maggior parte pareva in buono stato. Da un albero al limitare della
radura pendeva un pezzo di corda; lì doveva esserci stato il
cavallo di Kolin.
-Incredibile. Hai ritrovato davvero il posto- la voce del mercante era carica di emozione, stupore.
-Ne dubitavi?- domandò scherzoso Marek.
-Si. Cioè volevo dire no no no. Mai dubitato. Nemmeno un istante-
Kolin si zittì e guardò negli occhi il cacciatore. Scoppiarono entrambi a ridere.
-Alla fine è tutta intera direi- disse Marek quando lo scoppio di risa fu cessato.
Il mercante si diresse a verso i pacchi a terrà e li
ispezionò con cura. -Direi che c'è quasi tutto. I lupi
non hanno fatto gravi danni alla fine- mentre diceva queste parole
continuava a ispezionare gli oggetti a terra -Si si, nessuna grave
perdita...Ma che cazzo?!?!?-
L'urlo di Kolin fu improvviso. Marek si alzò di scatto con una
freccia già incoccata sull'arco e semitesa. Poi si accorse che
il mercante stavo fissando con orrore, immobile, qualcosa dietro il
carro ribaltato. Quando lo raggiunse un tanfo terribile gli penetro le
narici. Davanti a lui c'era un cadavere di un uomo o perlomeno i suoi
resti; i vestiti erano quasi tutti a brandelli intorno a lui e molte
parti del corpo, testa, braccia e gambe, mancavano all'appello. Su quel
che rimaneva si potevano scorgere un sacco di ferite da morso e pezzi
di carne lacerata. I lupi avevano fatto della guida un lauto banchetto.
-Pover uomo. Deve essere stata una fine atroce- Kolin aveva una faccia
ancora pallida mentre parlava -Dovremo dargli una sepoltura adeguata-
-Dubito che servirebbe a molto. Qualche bestia lo dissotterrerebbe per
finire di mangiarselo- Marek non era impallidito a quella vista, per
quanto non gli facesse piacere. Aveva già visto cadaveri simili,
di cacciatori sopraffatti dalle loro prede, una cosa più comune
di quanto non ci si aspettasse.
Osservando il campo e i resti della guida però gli faceva una
strana impressione, come se qualcosa fosse al posto sbagliato, come se
qualcosa nell'aria fosse sbagliato. Il cadavere, aveva qualcosa di
strano. Si chinò per esaminarlo meglio e una grossa nuvola di
moscerini volo via. Il tanfo pestilenziale della decomposizione lo
colpì come un pugno allo stomaco. Puzzava davvero tanto per
essere morto solo la sera prima. Le ferite erano strane, un po' troppo
vecchie per i suoi gusti.
-Cosa stai facendo Marek?-
-Questo cadavere non mi convince. Ha qualcosa di strano, è
strano- un pensiero gli folgorò la testa -Perché vi siete
accampati qua ieri sera???-
-Non lo so bene. Aveva detto che questa era una scorciatoia per Tulsa o qualcosa di simile-
-Dobbiamo andarcene via di qui Kolin. Subito!- Cazzo. Se le cose erano
come le aveva immaginate potevano trovarsi in un mare di guai.
-Ma cosa stai...-
La frase gli morì in gola quando Marek lo travolse buttandolo a
terra dietro al carro ribaltato. Un'istante dopo due frecce passarono
sibilando dove fino a poco fa c'erano le loro teste e andarono a
conficcarsi a poca distanza sul terreno.
-Cos'è stato?- se prima Kolin era impallidito per il cadavere ora il volto era completamente bianco dalla paura.
-Predoni. Solo due o tre se siamo fortunati. In combutta con la tua
"guida" credo- rispose con calma controllata Marek -Ora devi darmi una
mano se vuoi uscirne vivo. Corri veloce, giusto?-
-Ma la mia guida è morta. Abbiamo il cadavere qua affianco- disse isterico il mercante
-Stai zitto e calmati. Ti spiegherò tutto dopo se ne usciamo vivi cazzo. Ora vuoi darmi una mano o preferisci crepare?-
-Hai un piano?-
-Una specie- Marek iniziò a spiegarglielo a grandi linee.
-Ma è completamente folle!-
-E' l'unica soluzione che mi viene in mente, quindi a meno che tu
non abbia un'idea migliore muovi quel culo e fidati di me-
Marek incoccò una freccia e si tenne pronto. Fece un breve
respiro, domandandosi se sarebbe stato in grado di uccidere due uomini.
La freccia che si impianto sul lato opposto del carro a meno di 10 cm
da lui gli tolse qualsiasi dubbio. O lui e Kolin o i due predoni. Non
c'erano altre scelte e i suoi avversari non avrebbero avuto
pietà.
A un suo rapido gesto Kolin uscì dal riparo offertogli dal carro
scattando verso gli alberi più vicini. L'istante dopo che il
mercante ebbe iniziato a correre Marek si alzò con la freccia
già tesa mirando ai rami degli alberi davanti a lui; se le
frecce di prima avevano colpito il terreno poco distante da loro
significava che chi le aveva lanciate doveva trovarsi in una posizione
sopraelevata. Ci furono dei movimenti tra le foglie, su uno degli
alberi al limitare della radura, proprio davanti a lui. Lascio andare
tutte le emozioni, ogni singola emozione e pensiero scivolo via da lui,
formava un tutt’uno con l'arco e la freccia, lui era l'arco e la
freccia. Il tempo pareva quasi scorrere più lentamente. Sapeva
dove doveva mirare, poteva vederli; no anzi, poteva percepirli. Lascio
andare la corda tesa dell'arco e la freccia partì fendendo
l'aria. Lui non poteva sbagliare mira e infatti subito dopo un urlo
attraverso l'aria e qualcosa cadde dall'albero finendo a terra con un
tonfo sordo. Si senti una mezza imprecazione ma un'altra freccia
partì dall'albero, questa dritta verso Kolin, verso la preda, la
distrazione. La freccia lo sfiorò di poco, lasciandoli appena un
lieve graffio rosso sulla pancia strappando un debole gemito a Kolin ma
quest'ultimo continuò a correre fiondandosi dritto dietro
gli alberi al limitare della radura. Marek lo ignorò,
completamente concentrato sul prossimo bersaglio. Con un unico
movimento fluido incoccò e tese un'altra freccia, sapeva
già doveva mirare, percepiva già dove mirare. La sua
seconda freccia partì, rapida e letale come la prima. E come
alla prima ne segui un tonfo sordo per terra. Marek si lasciò
finalmente andare, le emozioni lo travolsero come un fiume in piena e
lui si lascio cadere contro il bordo del carro chiudendo un attimo gli
occhi. Aveva ammazzato due uomini. Gli aveva uccisi.
-Ma che bravo i miei più vivi complimenti-
La voce fece aprire di scatto gli occhi a Marek. Stava per estrarre
un'altra freccia ma lo sconosciuto gli puntò contro un oggetto
di metallo, una pistola. Si blocco di colpo, con il braccio ancora
sospeso a mezz'aria.
-Vedo che sai riconoscere una di queste, bravo- l'uomo sogghignava
mentre parlava, un sorriso malvagio -Ora metti giù arco e
frecce, non vorrei farti più male del necessario-
Mentre lo faceva Marek osservò con attenzione chi lo stava
minacciando. Era alto, un metro e novanta minimo, e di corporatura
robusta, le spalle larghe e i muscoli che risaltavano attraverso la
stoffa dei vestiti. Barba e capelli erano lunghi, sporchi e incolti,
tipici di uno che non si lavava da molti giorni. I vestiti non si
trovavano in condizioni migliori, con varie macchie d'unto e sporcizia
sulla maglia e le braghe. Aveva gli occhi piccoli, porcini e un perenne
sorriso sul volto, uno di quei sorrisi che accompagnano spesso le
persone sadiche o violente. A quell'uomo piaceva far del male. A
quell'uomo piaceva uccidere.
-Ora dimmi, cosa dovrei fare con te?- chiese -Non sei certo la persona
che aspettavamo io e miei amici. Miei ex amici ormai; dopo che tu gli
hai impiantato una freccia in corpo a ciascuno-
Marek non rispose. Provò a pensare a un modo per uscire fuori da
quella situazione ma ogni piano finiva col pensiero di una pallottola
in mezzo alla fronte e la paura di quell'idea gli rendeva ancora
più difficile pensare. Vedendo un uomo simile che ti puntava
contro una pistola era difficile pensare ad altro. Gli sarebbe
bastato il più piccolo capriccio per premere il grilletto.
-Non sono la persona che aspettavate?- ripete Marek col cuore in gola.
-Ti piace ripetere quello che dico per caso?- ripete l'uomo con un ghigno ancora più malvagio stampato sul viso.
-Te le devo forse scrivere perché tu lo capisca? Non sei la
cazzo di persona che stavamo aspettando. Ma cosa te ne può mai
fregare? Sei solo uno stupido cacciatore che è passato di qui al
momento sbagliato- mentre parlava l'uomo aveva una luce folle in fondo
agli occhi -Si, ho deciso cosa fare con te. Tu hai ammazzato i miei
amici, è giusto che ripaghi il debito. Addio-
Un boato invase la radura e Marek chiuse gli occhi di colpo. Quando gli
riaprì pochi secondi dopo si trovava ancora li, contro il fianco
del carro. Era morto? Questa era la morte? Poi vide l'uomo davanti a
se; la pistola gli era caduta a terra e una macchia rossa si stava
formando sui vestiti, allargandosi e inzuppandoli sempre di più.
Sangue. Nei suoi occhi non c'era più la pazzia e la
malvagità di prima ma solo stupore. Poi con un tonfo sordo cadde
a terra di colpo.
Si rialzo per vedere chi potesse aver sparato. Dietro il cadavere
dell'uomo, a una decina di metri, lungo il limitare della radura c'era
una sagoma con la pistola fumante ancora alzata. Kolin. Era stato il
mercante a sparare al tipo. Si avvicinò barcollando lasciandosi
cadere affianco a lui.
-Grazie- disse Marek dopo alcuni minuti passati in silenzio.
-O lui o te, non avevo tante scelte. E con te sono in debito- rispose Kolin.
-Avresti dovuto sparare a me allora- quella risposta suscito una risata in entrambi ma si spense in fretta.
-Non avevo mai ammazzato qualcuno prima d'ora- la mani del mercante tremavano ancora visibilmente.
-Neanch'io se ti consola. Niente di umano almeno. Come stai?-
-Non bene ma senza il tuo aiuto Marek adesso credo che starei
decisamente peggio. Almeno non ho frecce impiantate in testa. Come hai
fatto a capirlo?-
-Il cadavere e la tua risposta Kolin. Quando ho visto quei resti c'era
qualcosa che non quadrava. In primo luogo puzzavano troppo per essere
stati sbranati ieri sera e poi quelle non sono ferite da morso recenti,
sono troppo vecchie. Quindi quel cadavere non poteva essere li solo da
qualche ora. Probabilmente non è neanche umano ma è
rovinato a tal punto che è difficile dirlo-
Kolin sembrava stupito. -E la mia risposta?-
-Nessuna buona guida prenderebbe una scorciatoia in mezzo alla foresta
per andare a Tulsa, la strada è molto più agevole e
veloce, soprattutto se hai anche un carro con te. Conoscendo bene la
foresta credo non sia difficile portare un carro fin qua, un luogo
perfetto per una trappola. Da qui fino alle rovine la strada non
è difficile, e poi da li è semplice tornare sulla strada
principale. Una trappola perfetta. E il carro anche, perché dei
lupi farebbero cadere un carro? Non aveva molto senso-
-Ma allora perché mi hanno aspettato qua? E i lupi?-
Marek ci pensò su un attimo prima di rispondere. -Non lo so con
certezza ma credo che i lupi fossero addestrati e quando ne hanno visti
tornare solo due su quattro avranno capito che c'era qualcosa che non
andava. Quindi ti hanno aspettato qui, di sicuro saresti tornato a
cercare le merci, sperando di ammazzarti. Da morto certamente non
avresti creato problemi. Pensa cosa sarebbe successo se loro fossero
tornati indietro con le tue merci dicendo che eri finito vittima dei
lupi e poi magari tu saresti spuntato fuori; non volevano correre
rischi. Comunque, tu hai una pistola! Non potevi dirmelo prima?-
-Intendi questo ferro vecchio- disse indicando la pistola accanto a lui -Sai usarla?-
-Ehm no- rispose imbarazzato Marek -Tu si però!-
-Ma di certo non ho la mira che hai tu con arco e frecce, non avrei
nemmeno saputo dove sparare. E poi nell'agitazione del momento...-
anche Kolin era un po' imbarazzato.
-Amen, è andata com'è andata e siamo ancora vivi-
-Predoni del cazzo, avete avuto quel che meritavate- Kolin sputò in direzione del cadavere.
-Già, ora faremo meglio a sistemare le cose e rimetterci in marcia, abbiamo un bel po' di strada da fare-
Rimisero dritto il carro con poco sforzo e controllarono se aveva danni
alle ruote o alla struttura ma sembrava integro. Raccolsero le casse e
i pacchetti sparsi per terra e gli impilarono ordinatamente; i pochi
rotti cercarono di riparli come meglio potevano. In meno di venti
minuti avevano sistemato tutto quanto. Marek recuperò anche la
pistola usata dal predone e la sua fondina. Non se ne intendeva molto
di armi da fuoco e preferiva arco e frecce ma non si poteva mai sapere.
-Il cavallo! Come facciamo a trainare il carro senza di lui?-esclamò Kolin di colpo.
-Tranquillo, puoi sempre trainarlo tu Kolin-
-Non sei divertente Marek. E' un problema serio, non ho intenzione di
lasciare qua la mia merce, specie dopo averla appena ritrovata-
-Non dovrai farlo allora. Dubito che quei predoni abbiano ammazzato il
cavallo. Si possono rivendere per un sacco di soldi nei posti giusti.
L'avranno solo nascosto in attesa del tuo ritorno; in fin dei conti
sarebbe stato difficile per un cavallo legato sopravvivere ad un
attacco da parte di lupi-
Le ricerche non durarono molto. Dopo mezzora infatti lo trovarono
legato a un albero poco distante dalla radura. Vicino ma a distanza di
sicurezza erano legati i due lupi sopravvissuti. Si trattava di un
ottimo cavallo da tiro, robusto e con gambe resistenti, il pelo era
marrone chiaro, ben strigliato. Emise uno sbuffo di gioia quando Kolin
gli si avvicinò e gli accarezzò il muso anche se nei suoi
occhi si vedeva l'agitazione per i due predatori che riposavano la
vicino.
-Bravo Igor, bravo- mentre Kolin slegava il cavallo, Marek si
avvicinò ai due lupi che stavano riposando. Appena videro che si
stava avvicinando cominciarono a ringhiare e mordere l'aria verso la
sua direzione ma la corda li costringeva a rimanere vicini all'albero
dov'erano legati. Erano affamati, e cattivi. Pericolosi. Il cacciatore
prese la pistola che aveva rubato al cadavere del loro padrone e la
puntò contro uno di loro. La bestia continuò a ringhiare
incurante del pericolo che incombeva su di lei. Il cacciatore prese la
mira, non aveva mai sparato ma non gli sembrava difficile, bastava solo
premere un grilletto in fondo. Lo premette. Un boato invase la
foresta e il lupo morì. Un silenzio inquietante calò
intorno a loro. L'altro lupo aveva smesso di ringhiare e Kolin e il
cavallo lo fissavano immobili.
-Perché l'hai fatto?- sbottò all'improvviso il mercante
-Mi hai fatto prendere un colpo e quel povero animale non poteva di
certo farti del male-
-Quel povero animale, come dici tu, ha cercato di mangiarti ieri sera-
rispose Marek con voce piatta -E poi cosa dovrei fare? Ammazzarlo qui e
ora è di certo più clemente che lasciarlo morire di fame-
-Si certo. Ma potresti sempre liberarlo...-
Marek ignorò le parole del mercante e mirò all'altro
lupo. Quest'ultimo non ringhiava più dopo aver visto la fine che
aveva fatto il suo compagno. Si limitava a fissarlo, con occhi pieni di
rabbia e paura. Il cacciatore premette il grilletto un'altra volta.
* * *
Una volta tornati indietro legarono Igor al carro. Portarlo il carro
via dalla radura risultò problematico, soprattutto per l'assenza
di un sentiero preciso e perché Marek non conosceva molto la
zona. Alla fine riuscirono a ritornare fino alle rovine da dov'erano
partiti e da li raggiunsero la strada principale. Procedettero a passo
costante, seduti sopra il carro. Igor non era velocissimo ma in quel
che gli mancava in velocità lo compensava con un'elevata
resistenza.
La giornata si trascinava lentamente e spesso i due chiacchieravano per
passare il tempo. Marek scoprì che Kolin gli stava molto
simpatico, era un tipo alla mano dopo un po' che ci facevi conoscenza.
Kolin gli raccontò a grandi linee la sua storia: figlio di due
mercanti, frequento il periodo obbligatorio all'accademia dell'Esercito
di Ferro ma finito quello preferì seguire la professione di
famiglia; non era tagliato per la vita da militare. Gli parlò
anche della città dov'era cresciuto, New Rock. Fu costruita
dall'Esercito di Ferro sopra i resti di una cittadina andata distrutta
durante la Guerra e insieme ad Ashville, più a est, era una
delle due grandi città di confine ovvero le due più
grandi città poste sul confine con le Terre Mutanti. Nel corso
degli ultimi due secoli era stata fortificata, per via dell'alto numero
di guerre combattute coi mutanti ma negli ultimi cinquant'anni la
situazione si era calmata e New Rock era diventata un polo commerciale
tra i territori mutanti e quelli sotto l'Esercito di Ferro.
Il sole tramontò piano piano oltre l'orizzonte, la luce diurna
diminuì lentamente e venne rimpiazzata da quelle più
fievole della luna, delle stelle e degli sporadici alberi-luce
cresciuti qua e la.
-Meglio fermarsi e trovare un posto dove accamparsi- mentre parlava
Marek scorse un piccolo prato poco più avanti illuminato da un
albero-luce -Possiamo andare là-
-É sicuro come posto?- chiese Kolin.
-Tranquillo, questa parte della foresta in genere è abbastanza
calma- rispose Marek. Era questo il motivo principale per cui aveva
deciso di venire in questa parte della foresta, per quanto la
conoscesse poco. Non aveva voglia di cacce difficili o turbolente
quando era partito ma a quanto pareva al destino piaceva scherzare. Gli
ultimi due giorni non rientravano molto nella sua idea di caccia
tranquilla, per quanto non si lamentasse di ciò che gli era
capitato.
Con un colpo di redini da parte del mercante Igor li condusse
rapidamente verso il prato. Una volta li tolsero il cavallo dal carro e
lo legarono a un albero vicino lasciandolo pascolare liberamente. Marek
accese in fretta un fuoco e si mise a curare un coniglio che aveva
catturato durante la giornata, quando si erano fermati a riposare un
attimo verso mezzogiorno. In poco tempo il coniglio fini a cuocere
sopra uno spiedo rilasciando nell'aria un invitante profumo di carne.
-Sei bravo Marek- la voce del mercante era carica di stupore.
-Niente di che, sono cose che ti insegnano fin da bambino- a Marek
tornò in mente il ricordo del suo primo arco, un regalo di suo
nonno per il suo sesto inverno.
-Siete tutti cacciatori al tuo villaggio?-
-La maggior parte si. I pochi che non lo fanno hanno una bottega o un negozio-
Quando il coniglio fu pronto lo mangiarono con avidità, in
quanto era dalla mattina che non mettevano qualcosa di sostanzioso
sotto i denti. Alcune mosche ronzarono attorno a Kolin e lui le scaccio
via con una manata. Queste tornarono alla carica subito dopo ancora
più insistenti.
-Stupide e fastidiose mosche-
-Così non otterrai niente- Marek rideva vedendo gli sforzi del
mercante -Lanciagli un pezzettino di carne e ti lasceranno in pace-
La cena passo tranquillamente tra battute e scherzi. Una volta finita
continuarono a scambiarsi battute e storie divertente. L'atmosfera era
allegra e carica di vita ma alla fine il sonno prevalse anche sul loro
buonumore. Mentre il mondo reale svaniva piano piano Marek pensò
che alla fine era stato fortunato a incontrare questo Kolin. Non si era
mai divertito tanto in una caccia e non gli erano mai capitate
così tante cose tutte insieme
* * *
Marek si svegliò presto, il cielo aveva appena iniziato a
rischiararsi e si vedevano ancora delle stelle. Aveva un bisogno
urgente di andare in bagno quindi si inoltrò un po' nella
foresta. Trovò il posto giusto e svuoto la sua vescica con
grande piacere. Quando tornò all'accampamento vide che anche
Kolin si era svegliato e stava facendo qualcosa con la sua pistola. Era
smontata davanti a lui e ne stava pulendo ogni singolo pezzo.
-Cosa fai?- domandò Marek incuriosito avvicinandosi.
Il mercante prese un colpo sentendo di colpo la voce ma si
tranquillizzò subito quando vide che era Marek -Sto pulendo
l'arma-
Vedendo che Marek non capiva bene a cosa potesse servire una cosa
simile glielo spigò meglio -Le armi da fuoco hanno bisogno di
una manutenzione regolare o rischiano di rompersi o incepparsi quindi
vanno pulite con cura ogni qual volta si possa-
-Quindi tu saresti un esperto di armi da fuoco?-
-No, sono solo nozioni di base che si imparano all'accademia. Mi
piaceva un sacco quel corso- vedendo l'arco di Marek poi gli sorse
spontanea una domanda -Ma voi non avete armi da fuoco?-
-Al villaggio solo qualche fucile ma non mi è mai interessato,
sono troppo rumorosi per la caccia. Noi cacciatori preferiamo i vecchi
arco e frecce, silenziose e letali. E con tutto il rumore provocato da
quei cosi- indico la pistola di Kolin -Rischiamo di far scappare le
prede. O di diventarlo noi stessi-
Poi gli tornò in mente la pistola recuperata dal predone morto e
la tirò fuori -Non è che puoi insegnarmi a usare un po'
questa?-
-Mi è sembrato che ieri sapessi come si usava una di queste-
rispose guardingo il Kolin. Poi con un tono più leggero aggiunse
-Non erano troppo rumorose?-
-Si. Ma essere previdenti non fa mai male. E poi non potrò
certamente sparare a qualcuno in maniera decente usandola come ieri-
-Su questo non potrei essere più d'accordo. Mai visto qualcuno
impugnare la pistola in modo tanto brutto. Dai da qua- Kolin prese la
pistola del bandito e iniziò a esaminarla -É un vecchio
modello ma è tenuta abbastanza bene. Proiettili standard, 9mm,
caricatore da 24 colpi-
Mentre facevano colazione con i resti del coniglio della sera
precedente Kolin gli spiegò a grandi linee i pezzi principali.
Quando ripartirono aveva iniziato a capirci qualcosa nel casino di
informazioni che Kolin gli aveva dato sulle pistole. Ma perché
non erano semplici come arco e frecce?
La giornata trascorse lenta e tranquilla. La strada per tornare al
villaggio non era molto difficile ma capitava che nel corso dei secoli
fosse andata distrutta o ostruita da qualcosa quindi a volte dovevano
fare delle deviazioni per aggirare gli ostacoli più grandi. La
maggior parte delle chiacchierate ruotavano intorno alle armi da fuoco
dato che Kolin dovette rispiegare più e più volte le
varie cose. A metà pomeriggio Marek era riuscito finalmente a
capire bene come sparare e ricaricare, insieme a quali erano i pezzi
principali e come pulirli.
-Ehi Kolin, non è che hai anche delle munizioni la dietro?-
-Si ne ho, ma costano parecchio- guardo Marek -Ma però sono in
debito con te di una vita e ti avevo promesso uno sconto. Facciamo
così, io ti regalo le munizioni e il debito è saldato?-
gli porse la mano.
-Mi sembra di averti salvato due volte- rispose esitante il cacciatore.
-E una l'ho ripagata uccidendo quel predone del cazzo- gli porse ancora la mano -Affare fatto allora?-
-Andata- rispose Marek afferrando la mano del mercante.
-Quando arriviamo al villaggio sistemiamo tutto allora. Quanto manca a
proposito?- il sole ormai stava tramontando e il cielo che si
scorgeva tra le chiome degli alberi si tingeva di un colore rossastro.
-Ci dovremo quasi essere. Venti minuti ancora, forse meno-
Da oltre gli alberi si levò una colonna di fumo, qualcosa stava bruciando.
-Marek, per caso il tuo villaggio si trova vicino a quella colonna di fumo?-
-Si trova proprio lì- la voce del cacciatore era parecchio preoccupata -Accelera cazzo-
Il mercante diede un sonoro colpo di redini e Igor accelerò di
colpo. A vederlo non si pensava potesse andare così veloce. Man
mano che si avvicinavano l'odore di fumo in sottofondo cresceva.
Cos'era successo al villaggio? Marek era sempre più preoccupato.
Cosa aveva preso fuoco?
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Capitolo 3 *** Una Persona Dai Molti Talenti ***
3_Una Persona Dai Molti Talenti
3
UNA PERSONA DAI MOLTI TALENTI
Il freddo gli penetrò nelle ossa. Si soffio sulle mani per
scaldarsele un po' e il fiato si condensò in una nuvoletta.
Faceva davvero un freddo cane nel nord dell'impero, sempre. Un vento
gelato gli entro sotto il mantello congelandolo ancora di più.
Era quasi mezz'ora che stava aspettando in quel vicolo; se il cliente
non arrivava entro cinque minuti al diavolo i soldi e l'ingaggio.
Avrebbe cercato qualche altro lavoro da fare.
Un uomo con un mantello ben chiuso contro il freddo entrò nel
vicolo a passo moderato. Se qualcuno lo avesse guardato avrebbe pensato
che stava tranquillamente passeggiando e avesse scelto quel vicolo a
caso. Un largo cappuccio gli nascondeva il viso ma si scorgeva un
accenno di barba non fatta sotto il viso. Le spalle erano larghe e
dalla camminata trasmetteva un'aria molto sicura di se. Sotto il
mantello si poteva scorgere la forma di una spada. Qualcosa in quella
figura incappucciata trasmetteva che era meglio non infastidirlo
troppo. L'uomo si fermò davanti a lui.
-Un mio amico mi ha detto che lei è una persona con molti talenti- la voce dell'uomo era bassa, profonda.
-Se le ha detto così sarà vero. Un mio amico mi ha detto
che il suo padrone possiede molti soldi- detestava tutti questi giri di
parole -Senta è mezzora che mi sto congelando il culo in questo
vicolo quindi tagliamo corto e mi dica cosa vuole-
-Diretto, mi piace- l'uomo incappucciato tirò fuori una
cartellina di pelle da sotto il mantello -Qua dentro ci sono tutte le
informazioni che ti servono. Quello che devi recuperare per il mio
padrone è un manufatto pre Guerra, una sfera di metallo-
Alberto prese la cartellina -E l'acconto?-
L'uomo incappucciato gli lancio un borsellino. L'afferrò al volo
e lo aprì, il luccichio delle monete d'oro catturò subito
il suo sguardo. A giudicare dal peso in quel borsello c'era oro
più che a sufficienza per andare avanti per molto tempo.
-Porta a termine il lavoro e ne avrai talmente tanto che non saprai
più cosa farne- l'uomo col cappuccio lo ispezionò -Sei
diverso da come mi aspettavo-
-Pensavi che fossi più brutto?- rispose Alberto con scherno.
-No, pensavo fossi più vecchio-
-E io immaginavo che voi collaboratori fidati foste più piccoli ed eleganti-
Con una risata per la sua seconda risposta l'uomo col cappuccio
uscì dal vicolo e sparì nella folla. Alberto
aspettò ancora qualche minuto e poi uscì anche lui. I
suoni e i rumori della città prima erano attutiti dal vicolo ma
ora lo travolsero in tutta la loro cacofonia. Gente che parlava,
venditori che decantavano le loro merci, persone che urlavano, bambini
che giocavano, uomini che lavoravano, musica che proveniva da qualche
taverna, macchinari che andavano nelle fabbriche. I bassifondi di
Varsavia erano sempre un posto allegro e pieno di vita nonostante la
povertà, il freddo e tutti gli altri problemi. Un gruppo di
guardie gli passo accanto. Dall'abbigliamento si capiva che erano
guardie appena reclutate: corazza di cuoio bollito, con sopra una cotta
di maglia e al fianco solo una spada; le guardie in servizio da
più tempo avevano tutte armature in kevlar e armi da fuoco ad
accompagnare le spade. Ultimamente girava voce che il nuovo magistrato
volesse stroncare completamente la malavita nei bassifondi quindi aveva
reclutato un sacco di nuova gente nella guardia; questo spiegava anche
l'aumento del numero di pattuglie, soprattutto in questa parte della
città.
Passò di fianco a una bancarella con delle frutta e con un
rapido movimento della mano afferrò una mela e la nascose sotto
il mantello. La proprietaria non si accorse di niente e lui
continuò a camminare a passo spedito. Quando ebbe svoltato
l’angolo della strada la tirò fuori e la addentò;
succosa e croccante, proprio come gli piacevano. La divorò in un
baleno, torsolo compreso. Lasciò la strada principale ed
entrò in un vicolo per tornare più in fretta alla locanda
dove attuale alloggiava. Non vedeva l’ora di rilassarsi davanti a
un bel fuoco caldo. Da quel vicolo ne partivano altri che si
insinuavano tra i retri di case e botteghe e in mezzo ad altri edifici
lontani dalla strada principale; se qualcuno non gli conosceva bene
potava perdersi in quel labirinto di stradine e viuzze ma non era il
suo caso per fortuna. Lui li conosceva, fin troppo bene.
Un urlo improvviso catturò la sua attenzione. Si fermò e
si guardò intorno per capire da dove fosse arrivato. Lungo uno
dei vicoli laterali più piccoli tre figure, uomini dalla
corporatura, stavano tenendo fermo qualcuno. Si avvicinò di
soppiatto per vedere meglio. Entrambi gli uomini erano armati di
pugnale e uno dei tre l’aveva puntato alla gola della quarta
persona, una ragazza. Da com’era vestita doveva essere abbastanza
ricca, e anche abbastanza stupida per girare da queste parti con
vestiti simili. Piccoli singhiozzi la scuotevano di tanto in tanto, gli
occhi erano colmi di terrore e le guance rigate di lacrime.
-Lo sai che le ragazze non dovrebbero girare da sole da queste parti?-
biascicò uno dei due uomini. Trascinava le parole, era ubriaco.
-Già già- gli fece eco gli altri due –Potrebbero
accadere tante cose brutte- anche le loro dovevano essere ubriachi.
La spinsero a terra con violenza. La ragazza emise un gemito di dolore
quando cadde al suolo. Uno dei tre uomini iniziò ad armeggiare
con la chiusura dei pantaloni mentre gli altri la teneva bloccata.
Alberto si voltò per andarsene, c’erano stupri ogni giorno
a Varsavia, non poteva farci niente, sarebbero stati in tre contro uno.
-Sta zitta bastarda, non ho voglia di sentirti frignare- a quelle
parole i singhiozzi della ragazza si fecero solo più forti. In
tutta risposta l’uomo gli sferrò un manrovescio in faccia.
No, non poteva andarsene e lasciarla lì.
Si avvicinò ai tre stupratori –Ehi come va?- al suono
della sua voce i tre tolsero gli occhi dalla ragazza per rivolgersi
verso di lui.
-Chi cazzo dovresti essere tu?- disse uno dei tre.
-Soltanto uno che passava di qui per caso- rispose con noncuranza Alberto mentre si avvicinava pian piano.
L’uomo che prima stava armeggiando con la chiusura dei pantaloni
si avvicinò a sua volta puntandogli contro il pugnale -Fila via
ragazzo se non vuoi che ti sventri come un maiale- la sua voce era
carica di rabbia e il suo fiato puzzava tremendamente da alcool.
Alberto mantenne il sangue freddo e non si fece intimorire –Lor
signori sanno che lo stupro è vietato dalla legge imperiale? Da
quanto ne so la pena dovrebbe essere il taglio dell’uccello. Io
non c’ho mai provato ma non credo che sia una cosa molto bella.
Una volta ho anche visto farlo a uno; il povero diavolo ha continuato a
urlare per giorni, finché non è morto per
l’infezione sulla ferita, una cosa davvero terribile, non trovate
anche voi? E poi non oserei mai andare contro la vostra opinione di
stupratori professionisti ma sicuramente sarete d’accordo con me
che questo sia un luogo assai poco igienico dove eseguire tale pratica.
Se posso suggerire il mio modesto consiglio è quello di avere un
luogo chiuso, possibilmente un letto con delle coperte pulite e in
assenza di un luogo chiuso vi suggerirei di trovare un vicolo almeno
più pulito di questo, lo dico per la vostra salute e la vostra
igiene. Consiglio anche di munirvi di preservativi, so che sono una
merce un po’ costosa ma aiutano sicuramente a non prendere
malattie senza contare che non lasciano traccia alcuna. Dovrebbero
essere nel kit base di ogni buon stupratore, non ne convenite?-
Mentre Alberto parlava i tre stupratori lo guardavano allibiti,
cercando di comprendere ed elaborare la montagna di parole che li
sommergeva. Fortuna che erano ubriachi, e anche tanto, altrimenti una
simile idiozia non avrebbe funzionato. La ragazza nel frattempo
approfittando della confusione dei tre si alzò e provò a
scappare via. Uno dei tre, il meno ubriaco probabilmente, la
riacciuffò subito e la spinse di nuovo a terra
–Svegliatevi cretini, quel tipo ci sta solo distraendo.
Vuole far scappare la ragazza-
Prima che l’uomo davanti a lui potesse reagire Alberto gli
mollò un destro in faccia con tutta la forza che aveva. Il naso
si ruppe per la forza dell’impatto e l’uomo fini disteso a
terra con in sangue che colava senza sosta lungo la faccia. Tra lo
stordimento causato dall’alcool e soprattutto quello dal pugno
non si sarebbe rialzato in fretta. Non fece in tempo a riprendere fiato
che il secondo stupratore si avventò su di lui con un grido di
rabbia. Menò qualche fendente col pugnale ma i suoi movimenti
erano resi lenti e impacciati dall’alcool ed erano semplici da
schivare. Tentò un affondo ma Alberto schivo facilmente anche
questo e la mossa lasciò lo stupratore esposto. Alberto estrasse
il suo pugnale da sotto il mantello e con un movimento fluido glielo
impianto nel braccio, poco sotto la spalla, trapassandolo da parte a
parte. L’uomo urlo di dolore e lascio cadere il suo pugnale.
Alberto non si fermo. Mentre con una mano rigirava il pugnale nella
ferita con l’altra tempestò il viso dello stupratore di
pugni finché il tipo non rimase a malapena in piedi. Quando
stava per cadere estrasse il pugnale provocando nell’altro una
scarica di dolore e con un ultimo pugno ben piazzato lo
scaraventò a terra con violenza. Si girò per fronteggiare
l’ultimo stupratore ma quest’ultimo era disteso a terra con
l’elsa del pugnale che gli spuntava dalla schiena. Vide una
macchia bionda che spariva dietro l’angolo di uno dei vari
vicoli. Fantastico. L’aveva salvata da uno stupro e neanche lo
ringraziava. Amen, doveva essere spaventata a morte.
Forse era meglio se andava via anche lui in fretta. La rissa aveva
fatto un po’ di rumore e qualche curioso poteva venire a
controllare e Alberto voleva evitare di finire in mezzo a troppi
casini, soprattutto per il tizio con il pugnale infilato in mezzo alla
schiena. Lui non c’entrava niente certo, ma vallo tu a raccontare
a chi non ha visto l’intera scena. Fece per avviarsi quando un
debole luccichio attirò la sua attenzione verso il basso; nel
punto dove era caduta la ragazza, mezzo sepolto nel fango della
stradina c’era una catenina d’oro. La tirò fuori e
la esaminò: si trattava di una collana, di ottima fattura a
giudicare dalla lavorazione della catena, con un pendente finemente
modellato a forma di cuore. Quando l’avevano buttata a terra
doveva essersi tolta e nella foga di scappare la ragazza non si era
nemmeno accorto che era li. Meglio per lui, un pezzo così valeva
un bel po’ di soldi se lo sapevi piazzare bene e Alberto
conosceva qualche esperto nel campo.
Uscì in fretta dal vicolo e si ritrovo a cinquecento metri dalla
locanda. Mentre camminava in direzione dell’edificio passo
accanto a una delle bacheche imperiali. Praticamente non erano altro
che maxischermi dove venivano proiettate notizie provenienti da varie
parti dell’impero o annunci relativi alla città.
Alberto si fermò a vedere se c’era qualche notizia
interessante. Quella che attirò di più la sua attenzione
era la distruzione di una cellula ribelle vicino a Mosca: un gruppo di
soldati aveva provato a prendere il controllo della città
insieme alle tribù barbare del nord ma la legione imperiale del
generale Dimitri gli aveva neutralizzati senza troppi problemi. Cose
del genere accadevano spesso a nord. La provincia russa era stata
l’ultima ad essere annessa all’impero, all’incirca
vent’anni fa, ma molti soldati della vecchia Repubblica Rossa non
lo accettavano quindi tentavano sempre di ribellarsi al comando
imperiale. Per loro sfortuna l’attuale imperatore aveva un
pessimo carattere: le ribellioni venivano soffocate nel sangue e i
sopravvissuti passati a fil di spada e le loro teste impilate fuori
dalle porte delle città. Problemi dei russi comunque. Varsavia
faceva parte dell’impero da oltre due secoli, ogni moto
rivoluzionario nella città era scomparso da tempo. Rimanevano
sempre le solite teste calde ma quelle c’erano ovunque e alla
fine non combinavano niente, a parte urlare e fare un po’ di
baccano.
Tra le notizie relative alla città ce n’era un’altra
di parecchio interessante: un annuncio per unirsi alla guardia
cittadina, per gente di qualsiasi razza; le nuove reclute avrebbero
ricevuto una paga doppia per sei settimane. Un gruppo di persone vicino
a lui rise vedendo la notizia. Alberto si mise ad ascoltare quello che
dicevano.
-A quanto pare il nuovo magistrato fa sul serio- disse un uomo ridendo.
-Povero illuso. L’unica cosa che farà sarà
scatenare una guerriglia nei bassifondi- rispose un altro affianco a
lui.
-Vai tu a dirglielo, sono sicuro che ti ascolta. Magari ti fa anche suo consigliere- lo schernì un terzo.
Un vecchietto si intromise nella conversazione -Vedrai che
finirà per farsi corrompere anche lui. È da oltre
trent’anni che questa città non vede un magistrato onesto,
credimi-
-Forse stavolta andrà meglio- di nuovo il primo uomo –Si
dice che il nuovo magistrato sia italiano. E si sa come sono quelli del
sud, impulsivi e cocciuti come non mai. Magari qualcosa combina sul
serio-
-Ne dubito giovanotto, ne dubito molto-
Alberto si allontanò mentre la discussione si spostava su
com’era la gente nel sud dell’impero, argomento stupido
secondo lui. Perché se uno nasceva nel sud doveva essere
più impulsivo mentre se era del nord doveva essere più
controllato? Spesso si domandava come la gente facesse a credere a
certe cretinate. Soprattutto adulti e anziani. Loro avrebbero dovuto
avere un po’ di sale in zucca.
Raggiunse la locanda in pochi minuti. L’edificio era una
costruzione di tre piani intonacata di bianco anche se in più
punti la vernice si stava scrostando, lasciando intravedere i mattoni
al di sotto. Non era un edificio pre Guerra. La maggior parte delle
costruzioni di quell’epoca erano andate distrutte nel corso del
tempo o la gente ci aveva costruito sopra, almeno nelle grandi
città. Sopra la porta si trovava un’insegna con disegnato
un orso con un boccale di birra e con sotto la scritta
“L’orso ubriaco”, nome simpatico per una locanda.
Entrò e un’ondata di piacevole calore lo investi; la
locanda non era di certo la migliore della città ma era tenuta
bene, almeno per la zona in cui si trovava. All’interno un
po’ di gente era seduta lungo i tavoli a bere e chiacchierare ma
la maggior parte della sala comune era vuota. Entro sera sarebbe stata
piena. Alberto si diresse in fretta verso le scale ma prima che potesse
imboccarle la locandiera gli si parò davanti. Comare Batel era
una donna grossa, robusta, con un volto amichevole ma sotto al quale si
nascondeva un carattere deciso e più duro di un blocco di ferro.
I vestiti erano sempre gli stessi: una gonna lunga marrone, un camicia
bianca con varie macchie con sopra un grembiule ancora più
macchiato e in testa una retina in cui erano raccolti i capelli.
Qualche volta Alberto aveva voluto chiedergli se erano sempre li stessi
o se aveva un armadio pieno di copie ma la ferocia della locandiera lo
aveva sempre fatto desistere; una volta l’aveva vista bastonare
un cliente perché era troppo ubriaco e poi buttarlo fuori a
calci.
-Dove credi di andare?- teneva in mano il suo famoso bastone,
cattivo segno –Sei in ritardo di una settimana con
l’affitto della camera-
Alberto prese tre monete d’oro dal sacchetto e gliele mise in
mano –Le due monete dovrebbero essere sufficienti per un bel
po’ di affitti e la terza è per le ansie che ti ho creato-
La locandiera lo esaminò le monete e quando fu certa che non
fossero false si tolse per lasciarlo passare. Alberto vide con la coda
dell’occhio che scuoteva la testa mentre lui saliva ma non disse
niente. Povera donna, nonostante il suo caratteraccio sotto sotto aveva
un cuore gentile e un debole per lui, da quando da bambino mendicava e
rubacchiava in giro per sopravvivere. Una sera di svariati anni fa si
era introdotto in questa locanda spinto dalla fame ma comare Batel lo
aveva beccato subito; invece di chiamare le guardie gli aveva dato da
mangiare e gli aveva offerto un lavoretto per il resto
dell’inverno. Da quella volta lo aveva aiutato come meglio poteva
anche se ultimamente era rattristata quando lo vedeva, non approvava le
scelte di vita che lui aveva fatto. Gli dispiaceva vedere i suoi occhi
tristi quando lo guardava ma lui non poteva farci molto. La vita spesso
non è clemente e non lascia molte strade aperte, soprattutto per
gli orfani.
La stanza che aveva affittato si trovava al primo piano della locanda e
dava sulla strada. Non era una camera grande ma era calda, pulita e con
un ottimo letto e cosa ancora più importante aveva una porta con
la serratura. Tirò fuori la chiave e apri la porta; tutto era
come lo aveva lasciato almeno in apparenza. Alzò il materasso
per controllare: la sua spada era ancora li. Aveva preferito non
portarla oggi, attirava troppo l’attenzione.
Si tolse gli stivali e li mise a scaldare vicino al termo, insieme al
mantello. Appoggiò la cartellina di pelle sul letto e poi
distese le mani sopra il termo lasciandole lì per un po’.
Quando il calore dissipò il gelo che si era accumulato dentro di
lui si scostò dal termo e aprì la cartellina. Prese un
colpò quando vide da dove doveva rubare quella dannata sfera di
metallo vecchia di secoli. Si trovava all’interno del castello,
il posto più sorvegliato di tutto Varsavia. Se beccavano un
ladro in giro gli tagliavano le mani, a volte una sola se il boia aveva
la giornata buona. Se lo beccavano al castello gli tagliavano
direttamente la testa. Quando lo avevano contattato la prima volta per
questo lavoro gli avevano detto che era pericoloso ma non pensava
così tanto. Si era immaginato di dover entrare nella casa di un
nobile e rubare qualcosa per conto di un altro nobile, questo genere di
“scherzi” era abbastanza comune tra la nobiltà, non
di dover recuperare qualcosa da uno dei più importanti centri di
potere imperiale della provincia. Da quanto ne sapeva in tutta la
provincia centrale dell’impero solo i palazzi di Praga e Berlino
erano più sorvegliati. Chiunque l’avesse ingaggiato doveva
essere tremendamente pazzo, o tremendamente potente per poter
commissionare un furto lì senza aver paura che lo scoprissero. O
entrambe le cose probabilmente.
Guardò gli altri fogli all’interno della cartellina:
contenevano planimetrie dell’edificio, elenchi dei servitori e
dei loro doveri, mappe e ogni cosa potesse servire per progettare un
colpo. In fondo, sotto tutti i fogli c’era una nota scritta a
mano:
Qua ci
sono tutte le informazioni che possono servirti. Sei libero di agire
come meglio credi. Se ritieni necessario il coinvolgimento di altri
tuoi "colleghi" sei libero di assumerli. Ricordati soltanto che il mio
padrone apprezza il silenzio e sarebbe molto dispiaciuto se girassero
troppe voci. Sai com’è…il silenzio è vitale
in certi occasioni. Sono sicuro che capirai. Ah già, il mio
padrone apprezza anche la rapidità, non ama attendere troppo.
Sono sicuro che comprenderai anche questo. Un ultima cosa
anche…non sono accettati reclami o rinunce sul lavoro. Esse
renderebbero il mio padrone molto triste e arrabbiato.
Fantastico pensò Alberto. Ci mancavano solo le minacce velate.
Quindi ricapitolando doveva entrare nell’edificio più
sorvegliato di tutta Varsavia e recuperare un manufatto vecchio di
secoli tutto senza farsi scoprire, tutto in poco tempo naturalmente. E
non poteva neanche rinunciare a farlo. Scherzando diceva sempre che gli
piacevano le sfide, a quanto pare il destino, o chi per lui, lo aveva
preso in parola. Si lasciò cadere di peso sul letto. In che
cazzo di guaio si era cacciato?
*Note dell'autore*
Volevo solo ringraziare chi ha avuto la voglia e la forza di leggere fino a
questo punto e se siete arrivati fin qua spero che vi piaccia la storia. Mi
dispiace di non avere una data fissa per il rilascio dei capitoli, come avrete
notato. Cercherò di migliorare in futuro.
E se trovate errori di vario genere ditemelo pure e li correggerò il prima possibile.
Grazie ancora per essere arrivati fin qua.
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Capitolo 4 *** Un Giro Nei Bassifondi ***
4_Un giro nei bassifondi
4
UN
GIRO NEI BASSIFONDI
La luce dell’alba entrò debolmente dai balconi
semichiusi della camera. Alberto si tirò su stancamente
mentre un lungo sbadiglio usciva dalla sua bocca. La sera prima aveva
provato a leggere e studiare le varie carte dentro la cartellina ma
c’aveva rinunciato in fretta. Si sentiva ancora troppo
agitato per tutta quella faccenda quindi si era buttato a letto
vestito. Aveva dormito così e ora i suoi vestiti erano tutti
stropicciati. Fortuna che aveva qualche ricambio.
Si spogliò fino a rimanere in mutande. Dopodiché
si mise disteso a terra, a faccia in giù e inizio a fare
flessioni. L’attività fisica lo aiutava a
calmarsi, si concentrava sui movimenti e sul suo corpo lasciando fuori
il resto. Arrivato a trenta flessioni si fermò, si
girò e inizio a fare addominali. Fatti trenta addominali
torno a fare flessioni; andò avanti alternandosi
finché non ce la fece più e cadde disteso per la
fatica sul pavimento.
Si tirò su grondante di sudore e con i muscoli del corpo che
gli dolevano. Prese un accappatoio dall’armadio, comare Batel
gliene forniva sempre qualcuno quando alloggiava lì.
Uscì dalla sua camera chiudendosi la porta a chiave dietro
di se e andò verso i bagni comuni del piano. Alberto
rimaneva sempre stupito da quel luogo. In quella zona di Varsavia in
molte locande, anzi in molti edifici più che altro, era
già tanto se c’era
l’elettricità, figurarsi l’acqua
corrente.
Il bagno dei maschi consisteva in due stanze. Nella prima, quella che
dava sul corridoio, si trovavano i lavandini e i gabinetti,
opportunamente separati da dei divisori; un leggero profumo di lavanda
impregnava l’aria e il pavimento di piastrelle azzurre
risplendeva pulito nella debole luce dei neon; i bagni venivano puliti
ogni sera, altra cosa rara nelle locande della zona. Nella seconda
stanza invece una ventina di docce spuntavano dal muro; non
c’erano divisori come nei gabinetti e il pavimento era
leggermente inclinato verso il centro dove si trovava una grata per far
scolare l’acqua.
Si mise sotto una delle varie docce e apri l’acqua. Il getto
freddo lo investi con violenza facendolo tremare dalla testa ai piedi.
Detestava una doccia fredda ma non potendola fare calda si impose di
resistere. L’acqua calda era un costo non indifferente e
comare Batel non era comunque abbastanza ricca per usarla anche per le
docce. Finita la doccia si avvolse nell’accappatoio e torno
in camera.
L’attività fisica e la doccia gelata avevano
placato un po’ la sua agitazione ma comunque non vedeva molte
vie di fuga da quella situazione. Se non rubava quel manufatto chi
aveva commissionato il lavoro avrebbe mandato qualcuno ad ucciderlo per
assicurarsi il suo silenzio; d’altro canto se tentava di
rubarlo era probabile, se non certo, che facesse la stessa fine.
Avrebbe potuto scappare da Varsavia ma l’idea non lo
allettava molto; si era fatto un nome ormai in quella città,
ricominciare da capo da qualche altra parte sarebbe stata dura e tra
l’altro dei sicari avrebbero potuto comunque rintracciarlo.
No, non aveva scelte. Doveva rubare quella dannata sfera.
Ma come? Da quel poco che aveva letto delle carte quel posto era
impenetrabile. C’erano telecamere ovunque, ogni tipo di
sensore di rilevazione e l’intero edificio pullulava di
guardie. Alberto lo trovava quasi comico; buona parte di Varsavia era
in mano al crimine ma l’unico posto su cui la mala non aveva
mai messo le mani era proprio il centro del potere cittadino.
Fini di vestirsi in fretta. Si mise su una vecchia felpa e un paio di
pantaloni logori. Mantello e stivali erano caldi dopo una notte vicino
al termo e indossarli fu un piacere. Rimise le carte dentro la
cartellina e la buttò dentro il suo zaino poi chiuse la zip
e la bloccò con un lucchetto; quello zaino era la sua
piccola cassaforte, ci teneva dentro i suoi oggetti più
preziosi. Di colpo gli venne in mente il pendente che aveva trovato il
giorno prima; non lo aveva neanche messo dentro. Lo tirò
fuori dalla tasca dei pantaloni: forse era meglio se lo teneva con se,
magari dopo avrebbe fatto in tempo a passare da un ricettatore.
Recuperò la spada da sotto il letto e se la fissò
alla cintura; oggi gli avrebbe potuto fargli comodo, molto
più dei pugnali che portava in giro di solito.
Scese nella sala comune e ordinò una colazione veloce. Dopo
pochi minuti comare Batel tornò con un vassoio con sopra
uova e pane fresco. Lo studiò per un istante, poi
posò il vassoio e se ne andò senza dire una
parola. Probabilmente si stava ancora domandando dove avesse preso
l’oro il giorno precedente. Stupida donna. Non era neanche
suo figlio e continuava a preoccuparsi per lui. Per
un’istante pensò di dirle la verità ma
scartò subito questa opzione; avrebbe combinato solo casini
parlandole del guaio in cui si era cacciato. Finì di
mangiare in fretta e uscì dalla locanda.
All’esterno il vento freddo lo aggredì con furia
infilandosi sotto i vestiti e facendolo rabbrividire. Si chiuse per
bene il mantello e si avvio lungo la strada. Nonostante fosse ancora
abbastanza presto in strada c’era già un bel
po’ di gente. Molti erano lavoratori che si stavano sbrigando
a dirigersi verso la loro fabbrica per dare il cambio a chi aveva fatto
il turno di notte ma mentre camminava tra la folla Alberto vide anche
mercanti, viaggiatori e guardie. Varsavia, insieme a Berlino e Praga,
era una delle tre città più popolate della
provincia centrale dell’impero. Tra le tre era anche quella
situata più a est perciò veniva spesso
attraversata da chi aveva intenzione di andare verso la provincia
russa, o dalle persone che arrivavano da lì e si dirigevano
verso il resto dell’impero.
L’Orso Ubriaco si trovava
vicino al Wista, il fiume che attraversava Varsavia, ai margini della
Nowiasto. Con questo termine si indicava tutta la parte di
città nata intorno alle mura della Starowka, la parte
più antica di Varsavia. Sia la Starowka che la Nowiasto si
trovavano nella parte ovest del fiume ed erano le parti tenute meglio
della città, per quanto ai margini di quest’ultima
le condizioni di vita non fossero proprio le migliori. Oltre il fiume
c’era la parte più recente, e pericolosa, di
Varsavia: gli Slums. Quest’ultimi si erano sviluppati
esponenzialmente negli ultimi secoli, da quando la città era
stata annessa all’impero e i commerci erano aumentati. Era
lì che stava andando Alberto.
Se voleva anche solo avere qualche chance di completare quel furto
suicida gli servivano dei collaboratori validi e l’unico
posto in cui poteva recuperarli erano gli Slums. Aveva già
in mente una bozza della lista ma avrebbe dovuto agire con cautela; una
parola sbagliata e la notizia della sua ”futura
impresa” avrebbe fatto il giro dei bassifondi più
veloce di un ladro inseguito da un contingente di guardie. E i ladri di
Varsavia erano molto veloci a scappare.
Raggiunse il ponte centrale, uno dei tre passaggi sopra il fiume e lo
imbocco. In lontananza, sull’altra riva del fiume si vedeva
l’arena di Narod, il luogo dove si svolgevano tutti i
combattimenti cittadini. Era un edificio pre Guerra, un vecchio stadio
se ricordava bene, ma aveva perso da tempo la sua funzione originale.
Alberto si mise a ridacchiare pensando che secoli fa in quel luogo
immenso si giocava a pallone. La gente doveva essere davvero stupida se
provava gusto a vedere dei tizi correre dietro una sfera di cuoio.
Arrivato sull’altra sponda percepì
istantaneamente la differenza tra gli Slums e il resto della
città. Esclusa l’arena gli edifici erano quasi
tutti fatiscenti o con danni strutturali e non superavano i due piani.
Numerose impalcature spuntavano come funghi lungo la strada, indicando
quanto volte la gente del luogo riparasse le strutture, spesso con i
materiali più disparati, recuperati da rovine o rubati ad
altre case. Persino nelle persone si scorgeva la differenza rispetto a
prima. Al di la del fiume, nella Nowiasto, la gente non era ricca ma
nemmeno povera, quasi tutti avevano almeno un cappotto per ripararsi
dal freddo o un paio di scarpe robuste; negli Slums invece molta
persone erano vestite di stracci o con abiti rovinati ed erano scalze
nonostante il freddo intenso. Avevano i volti magri e scavati dalla
fame e guardavano con aggressività e desiderio chiunque
sembrasse avere qualcosa di valore addosso. Negli Slums era
praticamente raccolta tutta la povertà e la feccia di
Varsavia, chiunque non ce l’avesse fatta a trovare un impiego
decente o fosse caduto in disgrazia. Alberto aveva sentito alcuni
definire questo posto come ”una discarica umana”;
ironicamente nella discarica si trovava oltre il 60% della popolazione
della città anche se nessuno sapeva con esattezza quanta
gente ci fosse lì. Il governo della città non se
ne era mai curato, come non si era mai curato del quartiere.
Alberto lasciò presto la strada principale, troppo affollata
per potersi muovere in fretta, e si infilò nei dedali di
viuzze che la costeggiavano, ancor più intricati rispetto a
quelli della Nowiasto, dirigendosi verso nord. La gente del luogo dopo
una rapida occhiata lo lasciava perdere; non sapeva dire se a
quell’effetto contribuisse di più i suoi vestiti
poco appariscenti, la velocità e la sicurezza con cui si
muoveva o l’elsa della spada che si intravedeva da sotto il
mantello. Probabilmente tutte e tre insieme. Continuò a
passo spedito finché non superò i territori della
famiglia Poludne ed entro in quelli della famiglia Polnoc. Tutti i
bassifondi erano gestiti da famiglie criminali e i Poludne e i Polnoc
erano le più ricche e quelle che avevano le fette
più grosse di territorio. In pratica la loro parola era
legge. Ed era così da oltre 80 anni a questa parte. Se il
nuovo magistrato voleva davvero ristabilire l'ordine negli Slums
avrebbe incontrato non poche difficoltà ad eliminarle: gli
abitanti dei bassifondi preferivano loro al governo cittadino in quanto
almeno alle famiglie criminali potavano affidarsi e quest'ultime
disponevano di una quantità davvero elevata di uomini,
ognuna aveva un piccolo esercito praticamente.
Uscì dal labirinto di viuzze e si ritrovò davanti
a un muro di mattoni alto due metri che circondava un ampio giardino
con al centro una villetta di tre piani. L'eleganza e la ottime
condizioni dell'edificio saltavano subito all'occhio in mezzo alla
desolazione circostante e facevano sembrare quell'edificio un'oasi in
mezzo al deserto. Due enormi mutanti sorvegliavano il cancello. Non li
conosceva, dovevano essere nuovi.
Alberto si avvicino con passo lento e con un'aria calma anche
se dentro di lui sentiva il cuore che accelerava; quei bestioni erano
grossi il doppio di lui e un singolo loro pugno avrebbe potuto
frantumargli la cassa toracica, sempre se avesse avuto la fortuna che
lo colpissero sul petto e non in altri punti. Tra l'atro non erano
neppure le guardie che lui conosceva quindi avrebbero potuto essere
molto più sospettose.
-Mi chiamo Alberto. Sono qui per vedere Luenam- disse fermandosi
davanti alle guardie.
Uno dei mutanti si chinò su di lui. Aveva un muso lupesco,
pieno di peli e con due occhi gialli da far paura. Quando
aprì la bocca per parlare il giovane ladro scorse una fila
di denti acuminati come pugnali e un alito fetido lo investi -Strano
nome. Perché vuoi vederlo?- la voce era quasi un ringhio.
-Sono un suo vecchio amico e devo parlargli di una cosa importante- si
sforzò di non indietreggiare mentre diceva queste parole.
Il mutante lupesco lo annusò. Dopo un po' fece un cenno con
la testa al suo compagno -Non mente. Prova a sentire cosa dicono dentro-
L'altra guardia si chinò si un piccolo citofono e
iniziò a parlare con voce bassa.
Dal citofono uscì una voce distorta. Domandò
qualcosa.
La guardia rispose.
Silenzio dal citofono.
Silenzio.
Silenzio.
Alberto sentiva la tensione aumentargli nelle vene.
Dal citofono uscì nuovamente una voce.
La guardia si girò verso di lui.
Lo scrutò con attenzione, lo studiò.
Alberto portò lentamente una mano sull'elsa della spada.
Un cigolio di cardini invase l'aria mentre il cancello si apriva.
Alberto sentì la tensione scivolargli via dalle ossa e
riprese a respirare. Non si era nemmeno accorto che aveva trattenuto il
respiro.
Mentre attraversava il cancello ed entrava nel giardino
sentì la guardia lupesca che lo guardava e sghignazzava
-Hahahahahah tranquillo non mangiamo nessuno- gli urlò
dietro -Scusa ma siamo stati assunti apposta per fare paura alla gente-
Il cancello si chiuse dietro di lui con un tonfo sordo.
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Questo è un
link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto
di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei
tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa
risultare comodo.
Grazie ancora a chiunque
sia arrivato fin qui a leggere
|
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Capitolo 5 *** Fumo e Fiamme ***
5_Fumo
5
FUMO
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Come nel capitolo precedente vi allego
link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto
di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei
tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa
risultare comodo. Stavolta l'ho messo qua in cima perchè penso che sia più comodo e molto più visibile.
Grazie ancora a chiunque
sia arrivato fin qui a leggere.
E non fatevi scrupoli a criticarmi se trovate qualcosa si sbagliato o
troppo incoerente. In fin dei conti è dalla critiche che si
impara di più.
Marek era preoccupato. Kolin non lo sentiva ma il cacciatore,
che aveva un olfatto molto più sviluppato del normale, poteva
distinguere senza problemi l'odore di bruciato nell'aria. Quando dalla
foresta sbucarono nell'ampia radura dov'era costruito il villaggio di
Arrows anche il mercante lo percepì chiaramente e diede un colpo
di redini a Igor in modo che accelerasse. La bestia li porto
velocemente oltre i pochi piccoli campi che circondavano le case e si
inoltrò a tutta velocità al loro interno. La colonna di
fumo veniva dalla piazza.
Man mano che si avvicinavano Marek sentiva sempre di più i suoi
compaesani che urlavano, chi di paura, chi sbraitando ordini. Sbucarono
nella piazza e furono investiti da un'ondata di calore. La grande
locanda, il cuore del villaggio stava bruciando. Le fiamme uscivano
dalla finestre del pianterreno e stavano divorando l’edificio. Il
secondo piano era preso meglio invece con solo del fumo che usciva
dalla finestre.
Dall'altro capo della piazza rispetto all’incendio, poco distante
da dove si erano fermati Marek e Kolin, una piccola folla di vecchi e
bambini assisteva impotente alla distruzione del grande edificio mentre
il resto degli abitanti cercava di domare l'incendio. Il carro non si
era ancora fermato che Marek saltò giù e corse verso Ben
Holler, il proprietario della locanda e “sindaco” di
Arrows. Kolin frenò il carro e lo seguì a ruota.
L'attempato locandiere li vide e rivolse un cenno brusco a Marek.
-Ah bene, avevano giusto bisogno di altre braccia- la voce di Holler era profonda, baritonale.
-Chi è il tuo amico?-
Marek non fece in tempo a rispondergli che il locandiere si era
già girato verso gli uomini che portavano i secchi d'acqua
urlando ordini -Più in fretta idioti. Non perdete tempo a fare
avanti e indietro tutta la strada coi secchi. Fate delle staffette-
Torno a rivolgersi a loro -Oh vabbe non importa chi diavolo è,
parleremo dopo. Unitevi agli altri e portate i secchi. Sbrigatevi-
Si misero subito al lavoro. I secchi venivano riempiti nel pozzo fuori
dal villaggio quindi ci mettevano un po' ad arrivare alla piazza. Anche
con le staffette però l'acqua non raggiungeva la locanda
abbastanza in fretta e l'incendio era a malapena sotto controllo.
-Dobbiamo portar più secchi alla volta Marek- disse il mercante
dopo l'ennesimo viaggio. Avevano entrambi il fiatone a forza di correre.
-Hai qualche idea?-
-Il mio carro. Possiamo svuotarlo e riempirlo coi secchi e portarli tutti in una volta-
-No. Nel tempo in cui riempiano il carro non arriverebbero più secchi in piazza-
-Facciamolo fare ai vecchi e ai bambini allora-
-Ai vecchi e bambini?- chiese perplesso Marek.
-Si- rispose Kolin stizzito dal fatto che il cacciatore non ci
arrivasse –Mentre noi continuiamo a portare i secchi per
controllare l’incendio i vecchi e i bambini che ci sarebbero solo
d’intralcio qua in mezzo potrebbero mettersi dall’altro
lato del pozzo e riempire il carro-
Marek ci meditò sopra un attimo –Mmmh…potrebbe funzionare-
Stavano per andare a proporre l’idea al vecchio Holler quando un
urlo di dolore improvviso squarcio l'aria. Proveniva dall'interno della
locanda, dai piani superiori. Per un secondo tutti si fermarono per
capire chi fosse la persona all'interno dell'edifico in fiamma.
-Rimettetevi al lavoro stupidi!!! Stare fermi ad ascoltare non
aiuterà di certo chiunque sia rimasto la dentro!!!- l'urlo del
locandiere ridesto all'istante gli uomini che si erano fermati e questi
iniziarono a correre ancora più veloci di prima nonostante la
stanchezza accumulata. Kolin intanto illustrò la sua idea a
quest’ultimo per portare più secchi d’acqua.
-Potrebbe funzionare straniero-
Stava per iniziare a impartire ordini per mettere in pratica la
proposta quando vide Marek correre verso l’edificio in fiamme. Il
cacciatore sapeva di chi era la voce. Poteva essere distorta dal dolore
e resa irriconoscibile dal fragore dell’incendio ma lui sapeva a
chi apparteneva.
-Cosa cazzo stai facendo idiota di un ragazzo?- urlò il sindaco
mentre provava a mettersi sulla sua traiettoria per bloccarlo.
-Era la voce di mio nonno- urlò di risposta Marek.
Nello stesso istante prese il secchio d'acqua che stava trasportando e
se lo rovesciò in testa. Poi si lanciò verso la locanda a
una velocità ancora maggiore. Ben Holler provò ad
afferrarlo ma il giovane cacciatore si muoveva molto più
velocemente del robusto locandiere. Evitò agilmente le mani del
sindaco e saltò all'intero di quel piccolo inferno in terra.
Appena entrato il calore delle fiamme lo investì violentemente.
Se non fosse stato per il secchio d'acqua che si era appena tirato in
testa non sarebbe durato mezzo minuto. Il fumo dell'incendio gli
entrò negli occhi facendolo lacrimare e annebbiandogli la vista.
Si strappo un pezzo dei vestiti e se lo avvolse intorno alla faccia per
cercare di ripararsi un po' dal fumo ma non ottenne molto. Il fumo
entrava lo stesso nei polmoni facendolo tossire e causandogli
difficoltà a respirare.
-Nonno- la sua voce si perse nel fragore dell'incendio. Nessuno gli
rispose. Si addentrò pian piano nella locanda in fiamme. La sala
grande era quasi completamente invasa dal fuoco rendendo molto
difficile procedere. Molti tavoli erano in fiamme; il bancone, sulla
parete a destra dell'entrata era stato quasi completamente consumato.
La porta dietro il bancone che portava alla piccola cantina era
completamente ostruita da un muro di fiamme. Probabilmente il
generatore la sotto era esploso e aveva scatenato l'incendio.
Avanzando con fatica riuscì a raggiungere le scale che portavano
ai piani superiori, sulla parete opposta da dove era entrato. I vestiti
fradici che finora lo avevano protetto dal calore e dalle fiamme si
stavano asciugando in fretta, non sarebbe durato ancora molto.
Salì pian piano le scale.
Al piano superiore la situazione non era migliore; qui il calore era
meno intenso e c'erano molte meno fiamme ma in compenso tutto il fumo
del piano di sotto saliva e rendeva ancora più difficoltoso
respirare.
-Nonno- urlò di nuovo con la voce ormai roca. Dall'esterno
sentiva ancora i suoi compaesani che urlavano e il vecchio Holler che
urlava loro di andare ancora più veloci. Dall'interno
dell'edificio solo l'incendio gli rispondeva.
Andò avanti pian piano, tenendosi più basso possibile.
Controllava ogni stanza, sperando di trovare il prima possibile suo
nonno e condurlo fuori da quella bara fiammeggiante. All'improvviso
sentì un rumore dalla stanza in fondo al corridoio. Come di un
corpo che sbatteva violentemente contro qualcosa. Corse rapidamente fin
dove aveva avuto origine il suono e provò ad aprire la porta ma
quest'ultima era chiusa a chiave. Iniziò a tempestarla di pugni
e spallate mettendoci sempre più foga man mano che le fiamme
intorno a lui aumentavano. Ormai i suoi abiti erano completamente
asciutti e il calore e il fumo cominciavano a farlo star male. Gli
girava la testa...Diede un ultima spallata con le forze che gli erano
rimaste e i cardini della porta cedettero finalmente sotto il suo peso.
La forza della spinta lo fece cadere nell’altra stanza. Mentre
attraversava la soglia percepì immediatamente qualcosa di
diverso qualcosa di anormale.
Sentiva alcune voci ma non riusciva a capire cosa dicessero e a chi
appartenessero. Sembravano sorprese. Aveva gli occhi annebbiati dal
fumo e non riusciva a mettere bene a fuoco la stanza e violenti
colpì di tosse lo scuotevano. Tentò subito di rialzarsi
ma all’improvviso percepì un rumore tremendo, come di
un’esplosione. Il pavimento di legno scricchiolò in
maniera preoccupante. Sentì un dolore lacerante alla nuca.
E poi nero.
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Capitolo 6 *** Primi Passi ***
6_Primi Passi
6
PRIMI PASSI
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Come nel capitolo
precedente vi allego
link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto
di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei
tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa
risultare comodo. Stavolta l'ho messo qua in cima perchè
penso che sia più comodo e molto più visibile.
Grazie ancora a chiunque
sia arrivato fin qui a leggere.
E non fatevi scrupoli a criticarmi se trovate qualcosa si sbagliato o
troppo incoerente. In fin dei conti è dalla critiche che si
impara di più.
Alberto entrò a passo lento nel giardino. Il cancello si
chiuse dietro di lui con un rumore metallico. Nonostante fosse stato
lì un bel po’ di volte non riusciva a scrollarsi
di dosso la sensazione che quel suono avesse qualcosa di oscuro e
definitivo, come una bara che si chiudeva.
Attraverso il giardino stando sul vialetto di ghiaia che conduceva fino
alla casa. I vari alberi spuntavano tetri qua e là nel
prato, ancora scheletrici e privi di foglie per il freddo. Qualche
chiazza di neve completava il quadro. Quello appena passato era stato
un inverno strano, le temperature erano state abbastanza alte, faceva
comunque un freddo cane a parer suo, e poca neve era caduta. Erano
brutti segni. O almeno questo è quello che aveva sentito
dire Alberto. “Inverno freddo, estate calda. Inverno caldo e
guai in arrivo” dicevano i vecchi. Per quanto lo riguardava
era ben felice di quel clima. Meno neve e meno ghiaccio significavano
furti più facili, strade e tetti più puliti dove
scappare e muri meno scivolosi dove arrampicarsi. Di certo non avrebbe
perso tempo a credere che un inverno più mite sarebbe stato
portatrice di sventura per qualche vecchia stupida superstizione o
proverbio. Per conto suo c’era solo da guadagnarci.
La casa della famiglia Polnoc era un edificio stupendo, specie se
confrontato allo squallore del resto delle costruzioni degli Slums. Si
trattava di una vecchia villa pre Guerra, completamente ricostruita e
ristrutturata. Aveva i muri bianchi perfettamente intonacati e ampie
finestre si intervallavano per tutta la loro lunghezza. Al primo piano
un grande terrazzo faceva il giro di buona parte della casa e da
lì sopra alcuni uomini con dei fucili da cecchino
pattugliavano costantemente la zona. Alberto si accorse che uno di loro
lo stava tenendo d’occhio, con il fucile già
pronto in caso di necessità. Finse di non vederlo e
continuò a camminare con una calma quasi forzata.
L’ultima volta che era stato lì non
c’erano così tante guardie. Se c’erano
persino dei cecchini sulla terrazza significava che il vecchio Polnoc
era davvero preoccupato, e questo certamente non era un buon segno.
Una piccola scalinata portava al portico davanti
all’ingresso. Qui due uomini armati di fucile facevano la
guardia davanti alla porta a due ante di legno massiccio,
l’ingresso principale alla casa. Almeno questi li conosceva
ed erano sempre stati li.
-Vasilij, Grimcka- lì saluto con un cenno.
I due erano fratelli gemelli, praticamente identici. Le uniche
differenze tra i due si riscontravano nelle cicatrici che coprivano i
loro visi. Grossi, con i capelli biondi tagliati corti in stile
militare e occhi azzurro chiaro che ti fulminavano con uno sguardo
davano chiaramente l’impressione di uomini molto pericolosi
che era meglio non disturbare. Luenam li chiamava scherzosamente
“i suoi angeli custodi”, in quanto ogni volta che
usciva di casa loro due lo accompagnavano, volente o nolente che fosse.
-Alberto- rispose Vasilij, il più socievole dei due.
L’altro si limitò a un grugnito.
-Sai già la procedura, lascia qui le armi e fatti
ispezionare-
Consegnò loro la spada e i pugnali. Dopodiché
lasciò che le due guardie facessero il loro lavoro. Come al
solito furono rapide ed efficienti. Una volta finito Vasilij si
avvicinò al citofono e schiacciò un pulsante.
Scambio qualche parola con una guardia all’interno e la porta
facendo fuoriuscire una folata d’aria calda.
Saluto le due guardie ed entrò nell’ampio salone
d’ingresso. Il maggiordomo della casa, un cretino borioso che
Alberto proprio non sopportava, si fece avanti per prendergli il
mantello e invitarlo a togliersi gli stivali, con la sua solita aria
tronfia e di superiorità. Qualche volta Alberto aveva
pensato di ricordargli che lavorava solo per un criminale, e che tale
rimaneva per quanto influente e potente fosse. Poi però
aveva anche pensato che era meglio subire le critiche di quello stupido
maggiordomo piuttosto che insultare i Polnoc in casa loro. Decise
quindi di rimangiarsi ancora una volta le sue parole e di seguire in
silenzio l'odiosa figura.
L'interno della residenza era stupendo. L'entrata era un enorme salone
in stile classico con una scalinata di marmo al centro che portava ai
piani superiori. Le pareti della stanza erano intonacate di bianco e
lungo di esse si trovavano quadri famosi, frutto di generazioni di
attività criminali. Un grande lampadario di cristallo
completava il tutto. A ben pensarci quel posto sembrava più
la villa di un conte che quella di un criminale.
Salirono le scale e presero il primo corridoio a destra. Passarono
davanti a una porta socchiusa da cui provenivano delle voci, anzi una
voce, e parecchio incazzata. Era il vecchio Polnoc che stava urlando
qualcosa –Non è possibile. Quel dannato magistrato
stia causando…
Problemi…Urge…risposta…- la voce
divenne più debole e confusa man mano che si allontanavano
dalla porta.
Arrivarono davanti una scala a chiocciola. La stanza di Luenam era
all’ultimo piano della casa, ricavata dalla vecchia mansarda.
-Il signorino è stato avvisato del suo arrivo- disse il
maggiordomo -Appena sarà pronto ad andarsene basta che lei
mi avvisi e la riaccompagnerò alla porta-
-Non mancherò di farlo- rispose Alberto, quasi digrignando i
denti. Quanto odiava quel tipo.
Salì le scale. La camera era ampia, illuminata da un grande
lucernario sul soffitto. Di fronte alla scale una porta finestra
conduceva a un piccolo terrazzino sul tetto, da dove si poteva godere
di una vista sopraelevata degli Slums e del loro squallore. Il letto a
due piazze occupava il centro della stanza, insieme a un piccolo
divano, un tavolino e due poltrone. La parete destra era occupata da un
sacco di scaffali e librerie mentre sulla sinistra, sotto un finestra,
c’erano una scrivania e un tavolo da lavoro. Ed è
proprio lì che Alberto trovò Luenam. Era chino su
un qualcosa che da lì non riusciva a vedere, un qualche
aggeggio elettronico conoscendolo. Non si era accorto della sua
presenza.
Fece un colpo di tosse.
Luenam si girò e lo fissò. Dopodiché
si alzò di scatto e corse in contro ad abbracciarlo.
-Alberto, vecchio mio. Sono mesi che non ti vedo. Dov’eri
finito? – la sua voce aveva il solito timbro leggermente
acuto ma solare.
Luenam era alto circa un metro e ottantacinque, qualche centimetro in
più di Alberto ma era anche decisamente più
grassottello. Il viso tondo era incorniciato da due guance paffute e
lineamenti morbidi. I cappelli erano marrone nocciola e probabilmente
anche barba e baffi avrebbero avuto lo stesso colore se mai gli fossero
cresciute. Gli occhi, della stessa tonalità dei capelli,
erano pieni di energia e voglia di vivere.
-Ad occhio e croce direi a cercare un tetto sopra la testa e un piatto
caldo per rifocillarmi- replicò il ladro, con un leggero
sarcasmo ma rispondendo però all’abbraccio.
-Dai scemo, ti ho già detto un sacco di volte che se ti
serve qualcosa basta chiedere. Scommetto che il nonno ti troverebbe
anche un lavoro-
-Ehm…Se possibile preferirei evitare- l’idea di
lavorare per una famiglia criminale non aveva mai entusiasmato troppo
Alberto. Conosceva bene quel mondo e preferiva non nuotare in acque
torbide. Non che le sue non lo fossero naturalmente ma i Polnoc
trattavamo affari assai più discutibili dei suoi, per dirla
in maniera gentile.
-Come vuoi- il tono di Luenam non era cambiato di una virgola. Era
abituato a questi scambi di battute e alla fine comprendeva le
motivazioni dell’amico -Accomodati comunque, fai come al
solito. Vuoi caffè? O tè? Qualcosa di
più forte?-
Alberto si buttò sulla poltrona più vicina. Le
adorava, erano comodissime e ci sprofondava ogni volta che andava
lì.
-No, no. Grazie lo stesso. Per quanto vorrei che fosse una visita di
piacere sono venuto per parlarti d’altro. Diciamo che sono in
una situazione “leggermente” complicata e mi
serverebbe un aiuto. Un grosso aiuto-
-Dimmi tutto- Luenam si fece subito serio. Sapeva che il suo amico era
avventato qualche volta, ma mai troppo nel suo lavoro e soprattutto si
era sempre rifiutato di chiedergli aiuto, qualsiasi cosa dovesse fare.
Alberto si mise a raccontargli gli avvenimenti del giorno prima.
L’incontro col servitore, il lavoro che doveva compiere e le
minacce velate che aveva ricevuto. Tralascio naturalmente lo spiacevole
incontro con i due stupratori, quello era stato solo un evento
imprevisto.
-E quindi questo è tutto- concluse –Tu cosa ne
pensi?-
Luenam si prese il suo tempo per pensare.
-Che sei in un bel guaio. Un gran bel guaio. Pero penso che la mia
famiglia…-
Alberto lo interruppe subito-Preferirei evitare, lo sai. Ho chiesto
aiuto a te, non a loro. So già che non ce la posso fare da
solo ma onestamente non mi va di finire immischiato anche in altri
guai. Questa cosa può non arrivare a loro?-
-Mmm… quindi tu vuoi organizzare un furto impossibile senza
che mio nonno e mio padre, i più potenti e influenti
criminali della città, lo vengano a sapere sfruttando
però parte delle loro risorse tramite me?-
-Detta così suona male. Cioè se non te la senti
lo capisco benissimo. Anzi non è neanche giusto che chieda
il tuo aiuto così-
Luenam lo guardò e poi scoppiò a ridere
–Mio dio sei sempre così orgoglioso e scemo.
Guarda che è normale chiedere aiuto a un amico se serve,
prima o poi dovresti ficcartelo in testa-
Alberto guardo l’amico confuso –Questo sarebbe un
si?-
-Certo che è un sì. La mia famiglia mi tratta
sempre come un poppante. Pensano sempre che sia troppo piccolo per
tutto. Questa è la mia cazzo di occasione per dimostrare a
tutti quanto valgo-
Il giovane ladro quasi non ci credeva. Se l’era immaginata
molto più difficile anche solo ottenere un minimo di aiuto.
Guardò l’amico riconoscente -Grazie Len, grazie
davvero-
-Beh direi che è ora di iniziare questa impresa folle amico
mio-
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