After the War - Il Nuovo Mondo

di black_eagle
(/viewuser.php?uid=712027)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Preda e Il Cacciatore ***
Capitolo 2: *** La Strada Per Casa ***
Capitolo 3: *** Una Persona Dai Molti Talenti ***
Capitolo 4: *** Un Giro Nei Bassifondi ***
Capitolo 5: *** Fumo e Fiamme ***
Capitolo 6: *** Primi Passi ***



Capitolo 1
*** La Preda e Il Cacciatore ***


1_Preda e cacciatore
1
LA PREDA E IL CACCIATORE

Mancava poco all'alba e la foresta era piena dei rumori della natura. Era una foresta vecchia, cresciuta molto negli ultimi secoli. C'erano alberi enormi cresciuti durante centinaia d’anni, alberi-roccia con la corteccia simile a una dura pietra e alberi-luce con le foglie che emanavano una debole fosforescenza dando al posto un aspetto affascinante e sinistro proiettando lunghe ombre contro le rocce. Il terreno era coperto di foglie e ramoscelli e vari cespugli ne tappezzavano alcune parti. Si potavano anche scorgere macchie di rovi in giro. La terra era umida, piena di tracce, per la notte piena di pioggia e il cielo era ancora coperto da una coltre di nubi.
Marek si chinò per esaminare le tracce del cervo nella semioscurità della foresta. I rami bloccavano anche la poca luce lasciata filtrare dalle nubi. Le tracce erano fresche, la sua preda non poteva essere lontana. Era da quasi una settimana che lo inseguiva in lungo e in largo per la foresta, e la notte precedente aveva temuto di averlo perso per via della tempesta, quando aveva dovuto cercare un riparo per non morire dal freddo. Ma la fortuna era dalla sua, anche il cervo aveva cercato riparo dalla furia degli elementi, non lontano dalla grotta usata da Marek, e quando al mattino era uscito per cercare del cibo aveva lasciato delle impronte nel terreno fangoso.
Le tracce lo portarono fino a una radura. Qui gli alberi si diradavano per lasciar passare un po' più di luce. Nel centro dello spiazzo c'era una piccola pozza. Probabilmente il cervo voleva abbeverarsi ma avrebbe dovuto scegliere un altro posto per farlo; se lo avesse fatto forse adesso sarebbe ancora vivo. Marek non era l'unico cacciatore della foresta, ce n'erano di più grossi e più selvaggi, anche se in questa parte del bosco erano molto rari. Vicino alla pozza un grosso raptor stava banchettando con la carcassa del cervo.
Appena lo vide Marek si precipito dietro un albero e sbircio un po' meglio. A quanto pare il raptor era troppo preso dal suo pasto per accorgersi di lui, ed era un bene. I raptor selvatici erano tra i dinosauri più letali. Vederlo gli fece tornare in mente un vecchio detto da cacciatore: "Preda e cacciatore possono cambiare in un istante".
Generalmente erano alti all'incirca due metri e le loro lunghe gambe gli permettevano di compiere scatti incredibili o di correre a velocità molto elevate, potevano tranquillamente raggiungere una velocità doppia rispetto ad un cavallo. Senza contare la loro pelle squamosa che era molto resistente e difficile da ferire, su alcuni raptor era talmente spessa e dura che persino i colpi di alcune armi da fuoco facevano fatica a penetrarla, e i loro artigli lunghi 20 cm con cui potevano squartare facilmente qualsiasi carne o tessuto.
Marek pensò al modo migliore per uscire da questa brutta situazione. Era strano trovare un raptor così a sud, generalmente i loro branchi se ne stavano più a nord, sopra il vecchio confine, quindi con tutte le probabilità era da solo, magari un esemplare che aveva lasciato il suo branco o che l'aveva perso; almeno non doveva preoccuparsi del branco. Se scappava rischiava di fare troppo rumore e far accorgere il raptor della sua presenza, e questo sarebbe stato una morte quasi certa. D'altro canto anche affrontarlo poteva condurre a esiti simili. Poteva arrampicarsi su un albero e sperare che il raptor se ne andasse via senza notarlo ma non credeva che avrebbe funzionato come piano. Marek si accorse che la carcassa stava velocemente sparendo tra i bocconi della bestia e quando quest'ultima avrebbe finito lo avrebbe certamente fiutato. No doveva sbrigarsi a fare qualcosa.
Estrasse una freccia dalla faretra, poi prese un sasso da terra e lo lancio dall'altra parte della radura. Il sasso colpì un'albero-roccia con un rumore sordo. Il raptor blocco di colpo il suo pasto e si girò d'istinto verso il rumore. Rimase alcuni istanti a fissare il punto, come per valutare se valeva la sua attenzione ma poi si rigirò preferendo tornare al suo banchetto. Marek osservò tutta la scena trattenendo il fiato e pregando che la sua folle idea funzionasse perché se non funzionava era bello che morto. Nell'istante in cui il raptor si girava con le fauci spalancate per addentare un altro boccone Marek usci dal suo nascondiglio incoccando la freccia. Non penso più a niente, lascio andare ogni pensiero, ogni paura ed emozione e lasciò la corda dell'arco. La freccia taglio l'aria con un sibilo acuto, tracciando una linea retta verso la bocca spalancata del dinosauro per poi conficcarsi giusta nel centro e andando a trapassare il cervello. Il raptor guardò Marek con occhi stupefatti, come per capire se era un pericolo o no e poi crollo a terra di colpo, con un tonfo sordo.
 Il cacciatore lascio andare il fiato con un grande sospiro. Aveva rischiato e aveva ottenuto. Si avvicinò felice alla sua nuova preda. Il cervo era ormai sprecato, con il ventre aperto e la maggior parte della carne mangiata dal raptor, magari avrebbe potuto recuperare le corna. Si avvicinò all'altra sua preda: era un cucciolo, raggiungeva a malapena il metro e settanta, doveva ancora crescere del tutto. Aveva comunque denti e artigli affilati come rasoi.
Recupero la freccia dalla mandibola e poi estrasse il coltello e inizio a tagliare pezzi di pelle al dinosauro. Le squame di raptor erano molto richieste e si vendevano a un ottimo prezzo. Dopo che ebbe riempito la borsa tirò fuori il seghetto e iniziò a tagliare con cura denti e artigli, valevano molto anche quelli, riempiendo i due sacchetti che aveva con se. Dopodiché taglio anche le corna al cervo e se le legò alla cintura e tagliò via la carne rimasta. Gli sarebbe servita durante il viaggio di ritorno; aveva quasi finito le provviste e non ci teneva a morire di fame prima di essere tornato a casa. Avrebbe dovuto portarsi via più cibo ma aveva anche sperato in un più selvaggina, purtroppo quel cervo era stata l'unica preda che aveva trovato in vari giorni.
Si incamminò. La strada più comoda per tornare verso casa, se non aveva perso completamente il senso dell'orientamento, doveva essere quella di tagliare dritto la foresta verso sud fino ai resti della ruote 165 e una volta raggiunta l'antica strada seguirla fino verso nordovest fino a casa.
Mentre camminava Marek osservava la foresta intorno a lui. Lo riempiva di pace quel posto. Le nubi in cielo si stavano diradando lasciando filtrare dei raggi di luce, il sole era ormai sorto da un'oretta, tra il fogliame degli alberi. Trovo una vecchia pista di caccia che andava verso sud e iniziò a seguirla. Lungo i fianchi sorgevano grandi alberi-roccia, vecchi almeno di tre secoli a giudicare dalle dimensioni; erano piante maestose e Marek ne era sempre affascinato, per lui era come una dimostrazione della natura che diceva "Nonostante tutto quello che fate io resisterò sempre". Vicino agli alberi-roccia si potevano scorgere anche querce, frassini, pioppi e anche dei pini ma non reggevano il confronto coi loro pietrosi fratelli. Scorse degli alberi-luce anche qui, con le foglie che emanavano una debole fosforescenza luminosa; non raggiungevano mai grandi dimensioni, due metri e mezzo al massimo, e il loro tronco non era spesso o robusto come quello di altri alberi. Si diceva che nelle grandi città ne avessero fatti crescere di enormi e che li usassero per illuminarle durante la notte. Marek naturalmente non gli aveva mai visti, come non aveva mai visto una grande città, anche se gli sarebbe piaciuto molto. Chissà, forse un giorno avrebbe visitato il mondo ma per ora tutto quello che conosceva era il suo villaggio, le foreste che lo circondavano e la caccia.
Nonostante la giovane età era uno dei migliori cacciatori del suo villaggio, forse non quello con più esperienza ma di certo uno tra i migliori con l'arco, si poteva dire che aveva un talento naturale per usarlo. E per fortuna che era così. Dopo la scomparsa dei suoi genitori tirare avanti era stato parecchio difficile nei primi tempi. Suo nonno materno, l'unico parente ancora in vita che aveva, era ancora forte per la sua età ma di certo non poteva lavorare più come un giovane e Marek all'inizio era troppo piccolo per poter fornire più di un misero aiuto nei campi. Col tempo però la crescente abilità di Marek con l'arco aveva permesso loro di vivere senza dover tirare la cinghia. La caccia oltre a riempire il piatto, portava anche soldi in casa e questo aiutava molto.
Mentre camminava di tanto in tanto scorgeva i resti di qualche piccola strada minore: pezzi di asfalto erosi dal tempo e dal clima ma che ancora resistevano dopo secoli. Raggiunse i resti della route 165 quando ormai il sole stava tramontando. Avrebbe dovuto cercarsi un riparo per la notte. Vide una stradina laterale che si staccava dalla strada principale e si inoltrava a sud, dentro la foresta, con un cartello di metallo ormai completamente sbiadito che la indicava. Forse segnalava la direzione verso qualche vecchia cittadina. Non si era mia spinto tanto a est per cacciare quindi non conosceva la zona. Di solito andava a nord o ad ovest.
Ci si incamminò sperando di trovare i resti di qualche abitazione dove potersi rifugiare per la notte; il territorio ne era pieno anche se spesso le rovine erano consumate dal tempo o dal clima o inglobate dalla foresta. Il sole era ormai tramontato del tutto quando raggiunse i resti che aveva sperato di trovare.
La foresta si era mangiata vari dei vecchi edifici, un pino spuntava dal tetto di quello che Marek pensò fosse una tavola calda per esempio, ma alcuni resistevano ancora. Molti edifici erano crollati nel corso dei secoli e le macerie tappezzavano la strada già distrutta dalle radici degli alberi cresciuti negli anni. Si avvicinò a una grande casa in pietra; i muri erano consumati da secoli di piogge ma pareva solida e in buono stato ed era stata risparmiata dagli alberi. Varcando la soglia si accorse che era una di "quelle case". Durante le sue battute di caccia in passato aveva già cercato rifugio in vecchie case o rovine e si era accorto che molte di esse avevano una soglia di forma ovale e lungo i bordi ci correva un tubo di metallo liscio perfetto senza nessun cardine per una porta. Spesso quando lo vedeva pensava se la gente che ci viveva non aveva alcun interesse per la propria privacy.
L'interno era spoglio, con molti mobili distrutti nel corso del tempo e il pavimento pieno di crepe e polvere depositatasi nel corso degli anni. Dal corridoio centrale si inoltrò fino ad un ampio soggiorno; al centro della stanza si trovano i resti arrugginiti di un lampadario e oltre esso uno splendido camino in marmo dominava la stanza. Li vicino si trovavano i resto di vecchie poltrone e di un mobile bar. Il legno ero vecchio ma non tanto umido, sarebbe andato bene per accendere il fuoco. Accatasto la legna nel camino e dopo qualche tentativo una fiammella inizio a bruciare. La alimento con legnetti piccoli e secchi finché non divenne un bel fuocherello poi ci butto un pezzo di legno massiccio, una vecchia gamba di un tavolo, per tenerlo accesso. Fuori nel frattempo il sole era tramontato del tutto lasciando spazio all'oscurità della notte. Dalle finestre rotte entravamo i raggi di una pallida luna e del magnifico cielo stellato.
Marek lo ignorò, lo aveva visto tantissime volte durante le sue battute di caccia e per quanto stupendo fosse poteva rivelarsi una distrazione mortale. Tiro fuori la carne cruda e la tagliò in tre pezzi, due li rimise nella borsa e infilò l'ultimo su uno spiedo di legno che aveva intagliato prima e l'appoggiò un po' sopra le fiamme in modo che si cucinasse bene. Mentre aspettava che la sua cena si cucinasse aprì uno dei sacchetti con i denti e gli artigli del raptor e li esaminò; alcuni poteva anche tenerseli, ne avrebbe ricavato delle ottime  punte di freccia. Le zanne dei raptor si erano evolute nel corso del tempo, quando erano comparsi le prime volte, vari secoli fa gli sembrava, non era mai stato bravo in storia, erano fatte di osso ma nel corso del tempo il materiale era diventato una specie di lega metallica naturale, dura quasi quanto il ferro.
L'odore penetrante di carne cotto pizzicò il suo naso; la tolse dal sostegno dove l'aveva lasciata a cucinare e ne assaggiò un boccone. Era ottima, cotta al punto giusto. La divorò con gusto e in fretta; durante la giornata aveva mangiato solo qualche pezzo di pane che gli era rimasto e nei giorni precedenti mentre cacciava aveva solo le sue provviste, non molto saporite. Quando ebbe finito si lecco persino le dita. Un vero peccato che il raptor non avesse lasciato più carne a disposizione.
Si coricò vicino al fuoco, con l'arco, la faretra e il pugnale vicini a lui in caso di necessità ma il sonno non arrivava. Si sentiva stanco ma era quella stanchezza che non faceva dormire quindi decise di dare un'occhiata alla casa, magari poteva recuperare qualcosa di utile anche se non ci credeva più di tanto. Nel corso degli anni molti posti erano stati saccheggiati e quello che non avevano reclamato gli sciacalli lo aveva preso la natura, quasi tutto almeno. Nel tempo Marek aveva trovato qualche oggetto curioso o interessante, tipo un tubetto di plastica con in cima un buco, una rotella e un pulsante. Se si girava la rotella produceva scintille ma erano troppo piccole per essere di qualche utilità e Marek si era spesso domandato chi poteva aver inventato una cosa tanto inutile.
Si alzò e si infilò il pugnale nella cintura, meglio essere sempre pronti ed uscì dal soggiorno lasciandosi la bolla di luce proiettata dal fuoco alle sue spalle. Il cambio di luce lo accecò per un'istante ma i suoi occhi da felino avevano il vantaggio di adattarsi quasi all'istante a qualsiasi cambiamento nella luminosità dell'ambiente; infatti dopo pochi secondi vedeva quasi come se fosse pieno giorno. Si diresse verso il retro della casa. Finì in quella che un tempo doveva essere la cucina. Lungo i bordi della stanza si trovavano vari armadietti, o per meglio dire i loro resti e al centro c'era un grande bancone di marmo, uno di quelli dove potevi metterti a cucinare o lavorare sopra. Una porta, una di quelle porte, dava sul giardino ormai completamente invaso dalla foresta; nelle semioscurità della notte Marek riusciva a vedere i resti di un vecchio scivolo e lo scheletro di quello che doveva essere stata un'altalena. Dalla cucina prese un altro corridoio. Lì delle scale lo portarono al piano superiore. Qui scelse a caso una delle varie stanze che vedeva e ci entrò.
La scena che si presentò davanti a lui lo lascio senza fiato. Era una stanza grande con armadi lungo le pareti, un sontuoso lampadario sul soffitto e una terrazza per uscire ma ciò che catturava l'attenzione all'istante era il centro della stanza, dove si trovava il grande letto matrimoniale. Sopra di esso c'erano due scheletri stretti tra di loro. Lasciava davvero senza respiro. Due amanti stretti l'uno nell'altra, anche dopo secoli dalla loro morte a giudicare dalle condizioni delle ossa; sembrava un simbolo di un amore eterno, resistente anche alla fine delle loro vite.
Rimase imbambolato a fissarli, a contemplarli, per un pezzo. Quando si riscosse dovevano essere passati almeno dieci minuti. Osservò il resto della stanza ma il suo sguardo tornava sempre verso il centro, verso i due amanti. Si costrinse a guardare altrove e i suoi occhi caddero su un suo riflesso. Lo specchio era appeso alla parete dove si trovava la porta da cui era entrato nella stanza, ecco perché inizialmente non lo aveva notato. Si avvicinò per pulire la polvere che lo ricopriva; lo specchio era crepato in molti punti ma nel complesso offriva ancora un riflesso decente di se stessi.
Marek era alto 1.80 m, ne più ne meno della media della sua età, diciassette inverni, e una corporatura snella ma con i muscoli ben definiti su tutto il corpo. Dei corti ricci castani gli incorniciavano un viso ovale e una barba non fatta da giorni gli ricopriva mento e guance. Ma la cosa che sempre saltava all'occhio in lui erano proprio i suoi stessi occhi, non umani. Erano gialli e con l'iride verticale, come quella di un felino. Suo nonno diceva sempre che gli aveva presi da sua padre. Gli unici ricordi che Marek aveva di genitori erano immagini sfocate nella sua mente in quanto erano scomparsi quando lui aveva appena tre inverni lasciandolo alla cure del nonno materno. Il vecchio lo aveva allevato come un figlio e Marek gli voleva bene come se fosse il suo vero padre alla fine. A volte però si domandava come sarebbero stati i suoi e come sarebbe stato crescere con loro, con dei genitori. Aveva anche provato più volte a chiedere a suo nonno qualche informazione in più sui suoi ma il vecchio era stato molto parsimonioso nel darle. Tutto quello che aveva scoperto era che suo padre era stato un militare prima di incontrare sua madre e ritirarsi. Forse il nonno nascondeva anche altro ma preferiva non indagare, vedendo anche quanto ci stesse male a parlarne nonostante fossero passati molti anni dalla scomparsa dei suoi.
Distolse la sua attenzione dallo specchio e si diresse verso la terrazza. La pallida luce lunare e quella delle stelle illuminava i resti della cittadina. Marek ora la poteva osservare meglio.
Nella parte in cui si trovava la foresta era abbastanza rada e si vedevano ampie porzioni di cielo. Più in la dove la foresta cominciava a infittirsi scorgeva altre rovine, parti della città ormai consumate dalla natura, resti di strade bucate da radici, muri in rovina pieni di rampicanti e persino gli scheletri di alcuni ovali di metallo arrugginiti. Suo nonno gli aveva detto che si chiamavano automobili e che nel passato, prima della Guerra e del Secolo Buio, oltre quattrocento anni fa, erano usate per muoversi velocemente tra posti molto distanti tra di loro. Ce n'erano ancora anche ai giorni suoi però, solo che erano poche e perlopiù in mano agli eserciti o a nobili e mercanti molto ricchi nel sud, almeno secondo le dicerie e i racconti che aveva sentito. Di tanto in tanto dei mercanti con le loro carovane attraversavano il villaggio e oltre alle loro mercanzie portavano informazioni e notizie dal mondo per i più vecchi e storie e racconti per i più piccoli. Marek da bambino si fermava spesso insieme ad altri della sua età ad ascoltare ciò che l'occasionale mercante narrava loro, e alcuni di loro lo facevano davvero correre con la fantasia. Ormai non era più un ragazzo e non credeva più a molti di quei racconti ma lo facevano lo stesso sorridere ancora e alimentavano persino ora la sua sete d'avventure: visitare il sud diviso tra l'Impero Texano e l'Esercito di Ferro, viaggiare a est fino al Regno della Florida e vedere l'oceano, attraversare il deserto e raggiungere la Repubblica dell'Ovest o andare verso nord, visitare le Terre Mutanti e il Wisconsin. Una volta aveva persino sentito qualche storia sulle terre oltre l'oceano, del grande impero che vi si trovava, di Asgard e di altre terre ancora più strane ma stentava sul serio a crederci. In fin dei conti parlando di terre così distanti e lontane potevano anche essersi inventati tutto solo per stupirli.
Un urlo improvviso lo riporto di colpo alla realtà. Veniva dalla strada da dove era arrivato. Istintivamente le mani cercarono una freccia nella faretra per poterla incoccare ma si ricordò di averle lasciate giù, al fuoco.
-Aiuto- questa volta l'urlo era più forte, più vicino. Altri versi, ululati forse, gli fecero eco.
Marek aguzzo la vista per vedere cosa poteva essere. All'improvviso un uomo sbuco correndo a perdifiato e urlando dalla foresta. Dietro di lui quattro lupi lo inseguivano ululando come disperati, erano in caccia e avevano fame. Un odio primordiale si risveglio dentro di lui. Lupi.
-Di qua, vieni di qua, presto-
Marek non si fermò a vedere se lo sconosciuto avesse sentito le sue parole. Rifece il percorso inverso correndo come un dannato. Strano trovare dei lupi in questa parte della foresta, da quanto ne sapeva se ne stavano molto più a est o a nord. Arrivo nel salone e afferrò arco e frecce un istante prima dell'arrivo dello sconosciuto. Il primo lupo arrivo subito dopo.
Lasciò andare ogni emozione, si svuotò di tutto, era una cosa sola con l'arco e la freccia. Lui era l'arco, lui era la freccia. Lascio partire il colpo. La freccia volò, un angelo della morte dritto verso il suo bersaglio. Si conficcò nel cranio del lupo, diritto in mezzo agli occhi; quest'ultimo cadde con un gemito. Marek non si fermò a osservare il lupo morente ed estrasse fulmineo un'altra freccia. Un altro lupo era entrato nella stanza e aveva spiccato un balzo verso lo sconosciuto. La freccia lo raggiunse a mezz'aria e la bestia atterrò morta contro l'uomo che osservava la scena stupefatto. Caddero rovinosamente entrambi a terra. Arrivarono gli ultimi due lupi ma si fermarono all'entrata del salone, percependo nell'aria l'odore del sangue dei loro fratelli. Osservarono la scena come per vedere se valesse la pena attaccare o no. Marek li osservava impassibile, con un'altra freccia già incoccata e pronta. La tensione era palpabile nell'aria, quasi densa. I lupi emisero un basso ringhio come di sfida ma poi, lentamente si girarono, e scomparvero nelle ombre della notte.
La tensione svani di colpo e Marek si lascio cadere a terra esausto. Ma cosa gli era passato per la testa? Affrontare dei lupi in piena notte, solo per salvare uno sconosciuto. Doveva essere proprio impazzito. Per poco non era diventato lui la preda e la cena di quei lupi.
-Grazie- la voce dello sconosciuto gli fece prendere un colpo, si era dimenticato che lui era li. La voce era da maschio, ma non si poteva capire tant'altro su di lui. Il volto era un’ombra, nascosto da un grande cappuccio e il corpo avvolto nel mantello non lasciava capire molto della sua corporatura. Era alto ma da come i vestiti si adagiavano sul suo mantello non troppo robusto.
-Grazie- ripeté ancora -Mi hai salvato la vita stanotte. Se non fosse per te sarei diventato la cena di quei lupi-
-Istinto amico mio, ho agito senza pensare. Abbiamo rischiato di diventare entrambi la loro cena- rispose Marek rialzandosi e andandosi a sedere vicino al fuoco -E se posso chiedere a chi ho salvato la vita?-
Lo sconosciuto si sedette anche lui vicino al fuoco abbassandosi il cappuccio. Le fiamme proiettavano lunghe ombre sul suo viso. Aveva lineamenti comuni, morbidi, cappelli castano chiaro tagliati corti ma che stavano iniziando a ricrescere e una barba non fatta da un po' di tempo. Era una faccia giovane però, Marek lo giudicò poco più vecchio di lui. Sembrava umano a prima vista.
-Kolin, Kolin Caps- rispose lo sconosciuto -Sono un mercante itinerante, vengo da New Rock, sul confine con le terre sotto l'Esercito di Ferro. E ora, se posso chiedere io, chi è il mio salvatore?-
-Marek, Marek Bigose- rispose a sua volta Marek -Sono un cacciatore, il mio villaggio è a circa due giorni di cammino a nordovest di qui, lungo la Ruote 165-
Dopo alcuni istanti di silenzio, il mercante non sembrava intenzionato a dire molto su di se a meno che non fosse spronato, domandò -Cosa ci fa un mercante, così giovane per di più, da queste parti? E come hai fatto a finire inseguito dai lupi?-
Kolin non rispose immediatamente alla domanda ma si fermò ci pensò un attimo, come per scegliere le parole migliori. -Sono in viaggio per affari di famiglia si può dire. Anche i miei sono dei mercanti e ho deciso di dimostrare loro il mio valore. Ho fatto buoni affari a Fort Smith, a est di qui. Volevo raggiungere Tulsa e vendere quel che mi è rimasto per poi fare scorte ed andare a commerciare ad Oklahm City, al confine con l'Impero Texano. Da li poi fino a Dallas e poi infine a casa- sospirò -O almeno questo era il piano originale. La guida che ho affittato a Fort Smith ha sbagliato itinerario quindi abbiamo dovuto accamparci in una radura poco distante da qui. Quell'idiota è morto quando quei lupi ci hanno assalito. Forse sono stati attirati dall'odore del nostro cibo. Io sono riuscito a scappare, spero che il mio cavallo abbia avuto la stessa fortuna. Il resto della storia lo sai. E ora mi ritrovo bloccato qui, nelle terre selvagge senza guida e probabilmente rovinato, con le mie merci disperse chissà dove-. Kolin sembrava davvero sconfortato.
-Dai non buttarti giù- gli disse Marek -Posso portarti fino al mio villaggio e li ci sono un sacco di cacciatori. Vedrai che qualcuno accetterà di farti da guida. E per quanto riguarda le tue merci posso aiutarti a cercarle domani mattina. Non possono essere molto distanti da qui.
Una luce si accese in fondo agli occhi del mercante. -Lo faresti davvero?-
-Magari un piccolo sconto sulle tue merci aiuterebbe-
-Anche più che piccolo. Mi hai salvato la vita in fondo e se domani riuscirai davvero a ritrovare le mie merci me l'avrai salvata di nuovo-
-Abbiamo un patto allora?- disse Marek porgendo la mano.
-Andata- rispose Kolin afferrandola.
Poco dopo si coricarono entrambi e il sonno raggiunse finalmente Marek. Le fatiche della giornata lo vinsero e il mondo sprofondò nell'oscurità.

*Note dell'autore*
Questa è la mia prima "creazione" quindi probabilmente sarà piena di errori o scritta in malo modo. Se siete arrivati a leggere fin qua vi ringrazio di tutto cuore. Sarò felice di qualsiasi critica, sia positiva che negativa. Se trovate un qualsiasi errore o motivo per criticarmi o bastonarmi non esitate a farlo, mi permetterà di capire molto di più i miei errori. Mille grazie ancora e spero che abbiate gradito questa lettura

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La Strada Per Casa ***


2_La Starda Per Casa
2
LA STRADA PER CASA

Marek si svegliò d'istinto quando i primi raggi di sole attraversarono la finestra. Si tirò su e usò un po' dell'acqua della borraccia per darsi una sciacquata al viso e svegliarsi del tutto. Il fuoco si era spento durante la notte e ora rimanevano solo ceneri e qualche brace.
Diede un colpetto col piede a Kolin; il mercante si sveglio con grugnito indistinto. Aveva i vestiti stropicciati e si massaggiava la schiena. Una notte di sonno su un pavimento duro non era piacevole ma era di certo preferibile a essere la cena di quattro lupi affamati. Guardò nello zaino e trovò ancora mezza pagnotta, risparmiata dal giorno prima. La spezzo e ne diede metà a Kolin che la mangiò con avidità. Marek non mangiò con così tanta voracità ma lo fece comunque in fretta; avevano tanta strada da fare oggi e poco tempo da perdere.
Finita la colazione si diressero verso dove la notte prima Kolin era sbucato correndo come un dannato. Li la strada era stata distrutta dai secoli e la foresta iniziava a infittirsi; dentro la vegetazione si scorgevano altre rovine, quasi del tutto consumate.
-Riuscirai davvero a ritrovare la radura dov'ero accampato?- domandò il mercante -Ieri notte non sapevo neppure dove stavo correndo-
-Se sei riuscito a fuggire da quei lupi non dovrebbe essere distante da qui. Anche correndo in mezzo alle rovine quei lupi ti avrebbero preso presto se non avessi trovato me- mentre parlava Marek ispezionava il terreno con fare attento; quelle bestie avevano certamente lasciato qualche traccia e lui l'avrebbe trovata.
Dopo qualche minuto trovò finalmente le tracce che stava cercando. Erano leggere e molto consumate ma non sarebbe stato troppo difficile seguirle a ritroso, portavano dritte dentro la foresta. Iniziò a seguirle.
-Le hai trovare?- domandò ansioso il mercante -Le hai trovate sul serio?-
-Si. Ora seguimi e stai zitto. Se fai troppo rumore mi distraggo e rischio di perdere la traccia.-
A quelle parole Kolin si zittì e trotterellò dietro Marek mentre questo si inoltrava nel fitto della foresta. Poco meno di dieci minuti dopo gli alberi iniziarono a diradarsi e sbucarono su una piccola radura. Un carro era ribaltato su un lato dello spiazzo e varie casse e pacchetti erano sparsi qua e la, alcuni erano rotti, ma la maggior parte pareva in buono stato. Da un albero al limitare della radura pendeva un pezzo di corda; lì doveva esserci stato il cavallo di Kolin.
-Incredibile. Hai ritrovato davvero il posto- la voce del mercante era carica di emozione, stupore.
-Ne dubitavi?- domandò scherzoso Marek.
-Si. Cioè volevo dire no no no. Mai dubitato. Nemmeno un istante-
Kolin si zittì e guardò negli occhi il cacciatore. Scoppiarono entrambi a ridere.
-Alla fine è tutta intera direi- disse Marek quando lo scoppio di risa fu cessato.
Il mercante si diresse a verso i pacchi a terrà e li ispezionò con cura. -Direi che c'è quasi tutto. I lupi non hanno fatto gravi danni alla fine- mentre diceva queste parole continuava a ispezionare gli oggetti a terra -Si si, nessuna grave perdita...Ma che cazzo?!?!?-
L'urlo di Kolin fu improvviso. Marek si alzò di scatto con una freccia già incoccata sull'arco e semitesa. Poi si accorse che il mercante stavo fissando con orrore, immobile, qualcosa dietro il carro ribaltato. Quando lo raggiunse un tanfo terribile gli penetro le narici. Davanti a lui c'era un cadavere di un uomo o perlomeno i suoi resti; i vestiti erano quasi tutti a brandelli intorno a lui e molte parti del corpo, testa, braccia e gambe, mancavano all'appello. Su quel che rimaneva si potevano scorgere un sacco di ferite da morso e pezzi di carne lacerata. I lupi avevano fatto della guida un lauto banchetto.
-Pover uomo. Deve essere stata una fine atroce- Kolin aveva una faccia ancora pallida mentre parlava -Dovremo dargli una sepoltura adeguata-
-Dubito che servirebbe a molto. Qualche bestia lo dissotterrerebbe per finire di mangiarselo- Marek non era impallidito a quella vista, per quanto non gli facesse piacere. Aveva già visto cadaveri simili, di cacciatori sopraffatti dalle loro prede, una cosa più comune di quanto non ci si aspettasse.
Osservando il campo e i resti della guida però gli faceva una strana impressione, come se qualcosa fosse al posto sbagliato, come se qualcosa nell'aria fosse sbagliato. Il cadavere, aveva qualcosa di strano. Si chinò per esaminarlo meglio e una grossa nuvola di moscerini volo via. Il tanfo pestilenziale della decomposizione lo colpì come un pugno allo stomaco. Puzzava davvero tanto per essere morto solo la sera prima. Le ferite erano strane, un po' troppo vecchie per i suoi gusti.
-Cosa stai facendo Marek?-
-Questo cadavere non mi convince. Ha qualcosa di strano, è strano- un pensiero gli folgorò la testa -Perché vi siete accampati qua ieri sera???-
-Non lo so bene. Aveva detto che questa era una scorciatoia per Tulsa o qualcosa di simile-
-Dobbiamo andarcene via di qui Kolin. Subito!- Cazzo. Se le cose erano come le aveva immaginate potevano trovarsi in un mare di guai.
-Ma cosa stai...-
La frase gli morì in gola quando Marek lo travolse buttandolo a terra dietro al carro ribaltato. Un'istante dopo due frecce passarono sibilando dove fino a poco fa c'erano le loro teste e andarono a conficcarsi a poca distanza sul terreno.
-Cos'è stato?- se prima Kolin era impallidito per il cadavere ora il volto era completamente bianco dalla paura.
-Predoni. Solo due o tre se siamo fortunati. In combutta con la tua "guida" credo- rispose con calma controllata Marek -Ora devi darmi una mano se vuoi uscirne vivo. Corri veloce, giusto?-
-Ma la mia guida è morta. Abbiamo il cadavere qua affianco- disse isterico il mercante
-Stai zitto e calmati. Ti spiegherò tutto dopo se ne usciamo vivi cazzo. Ora vuoi darmi una mano o preferisci crepare?-
-Hai un piano?-
-Una specie- Marek iniziò a spiegarglielo a grandi linee.
-Ma è completamente folle!-
-E' l'unica soluzione che mi viene in  mente, quindi a meno che tu non abbia un'idea migliore muovi quel culo e fidati di me-
Marek incoccò una freccia e si tenne pronto. Fece un breve respiro, domandandosi se sarebbe stato in grado di uccidere due uomini. La freccia che si impianto sul lato opposto del carro a meno di 10 cm da lui gli tolse qualsiasi dubbio. O lui e Kolin o i due predoni. Non c'erano altre scelte e i suoi avversari non avrebbero avuto pietà.
A un suo rapido gesto Kolin uscì dal riparo offertogli dal carro scattando verso gli alberi più vicini. L'istante dopo che il mercante ebbe iniziato a correre Marek si alzò con la freccia già tesa mirando ai rami degli alberi davanti a lui; se le frecce di prima avevano colpito il terreno poco distante da loro significava che chi le aveva lanciate doveva trovarsi in una posizione sopraelevata. Ci furono dei movimenti tra le foglie, su uno degli alberi al limitare della radura, proprio davanti a lui. Lascio andare tutte le emozioni, ogni singola emozione e pensiero scivolo via da lui, formava un tutt’uno con l'arco e la freccia, lui era l'arco e la freccia. Il tempo pareva quasi scorrere più lentamente. Sapeva dove doveva mirare, poteva vederli; no anzi, poteva percepirli. Lascio andare la corda tesa dell'arco e la freccia partì fendendo l'aria. Lui non poteva sbagliare mira e infatti subito dopo un urlo attraverso l'aria e qualcosa cadde dall'albero finendo a terra con un tonfo sordo. Si senti una mezza imprecazione ma un'altra freccia partì dall'albero, questa dritta verso Kolin, verso la preda, la distrazione. La freccia lo sfiorò di poco, lasciandoli appena un lieve graffio rosso sulla pancia strappando un debole gemito a Kolin ma quest'ultimo continuò a correre fiondandosi dritto  dietro gli alberi al limitare della radura. Marek lo ignorò, completamente concentrato sul prossimo bersaglio. Con un unico movimento fluido incoccò e tese un'altra freccia, sapeva già doveva mirare, percepiva già dove mirare. La sua seconda freccia partì, rapida e letale come la prima. E come alla prima ne segui un tonfo sordo per terra. Marek si lasciò finalmente andare, le emozioni lo travolsero come un fiume in piena e lui si lascio cadere contro il bordo del carro chiudendo un attimo gli occhi. Aveva ammazzato due uomini. Gli aveva uccisi.
-Ma che bravo i miei più vivi complimenti-
La voce fece aprire di scatto gli occhi a Marek. Stava per estrarre un'altra freccia ma lo sconosciuto gli puntò contro un oggetto di metallo, una pistola. Si blocco di colpo, con il braccio ancora sospeso a mezz'aria.
-Vedo che sai riconoscere una di queste, bravo- l'uomo sogghignava mentre parlava, un sorriso malvagio -Ora metti giù arco e frecce, non vorrei farti più male del necessario-
Mentre lo faceva Marek osservò con attenzione chi lo stava minacciando. Era alto, un metro e novanta minimo, e di corporatura robusta, le spalle larghe e i muscoli che risaltavano attraverso la stoffa dei vestiti. Barba e capelli erano lunghi, sporchi e incolti, tipici di uno che non si lavava da molti giorni. I vestiti non si trovavano in condizioni migliori, con varie macchie d'unto e sporcizia sulla maglia e le braghe. Aveva gli occhi piccoli, porcini e un perenne sorriso sul volto, uno di quei sorrisi che accompagnano spesso le persone sadiche o violente. A quell'uomo piaceva far del male. A quell'uomo piaceva uccidere.
-Ora dimmi, cosa dovrei fare con te?- chiese -Non sei certo la persona che aspettavamo io e miei amici. Miei ex amici ormai; dopo che tu gli hai impiantato una freccia in corpo a ciascuno-
Marek non rispose. Provò a pensare a un modo per uscire fuori da quella situazione ma ogni piano finiva col pensiero di una pallottola in mezzo alla fronte e la paura di quell'idea gli rendeva ancora più difficile pensare. Vedendo un uomo simile che ti puntava contro una pistola  era difficile pensare ad altro. Gli sarebbe bastato il più piccolo capriccio per premere il grilletto.
-Non sono la persona che aspettavate?- ripete Marek col cuore in gola.
-Ti piace ripetere quello che dico per caso?- ripete l'uomo con un ghigno ancora più malvagio stampato sul viso.
-Te le devo forse scrivere perché tu lo capisca? Non sei la cazzo di persona che stavamo aspettando. Ma cosa te ne può mai fregare? Sei solo uno stupido cacciatore che è passato di qui al momento sbagliato- mentre parlava l'uomo aveva una luce folle in fondo agli occhi -Si, ho deciso cosa fare con te. Tu hai ammazzato i miei amici, è giusto che ripaghi il debito. Addio-
Un boato invase la radura e Marek chiuse gli occhi di colpo. Quando gli riaprì pochi secondi dopo si trovava ancora li, contro il fianco del carro. Era morto? Questa era la morte? Poi vide l'uomo davanti a se; la pistola gli era caduta a terra e una macchia rossa si stava formando sui vestiti, allargandosi e inzuppandoli sempre di più. Sangue. Nei suoi occhi non c'era più la pazzia e la malvagità di prima ma solo stupore. Poi con un tonfo sordo cadde a terra di colpo.
Si rialzo per vedere chi potesse aver sparato. Dietro il cadavere dell'uomo, a una decina di metri, lungo il limitare della radura c'era una sagoma con la pistola fumante ancora alzata. Kolin. Era stato il mercante a sparare al tipo. Si avvicinò barcollando lasciandosi cadere affianco a lui.
-Grazie- disse Marek dopo alcuni minuti passati in silenzio.
-O lui o te, non avevo tante scelte. E con te sono in debito- rispose Kolin.
-Avresti dovuto sparare a me allora- quella risposta suscito una risata in entrambi ma si spense in fretta.
-Non avevo mai ammazzato qualcuno prima d'ora- la mani del mercante tremavano ancora visibilmente.
-Neanch'io se ti consola. Niente di umano almeno. Come stai?-
-Non bene ma senza il tuo aiuto Marek adesso credo che starei decisamente peggio. Almeno non ho frecce impiantate in testa. Come hai fatto a capirlo?-
-Il cadavere e la tua risposta Kolin. Quando ho visto quei resti c'era qualcosa che non quadrava. In primo luogo puzzavano troppo per essere stati sbranati ieri sera e poi quelle non sono ferite da morso recenti, sono troppo vecchie. Quindi quel cadavere non poteva essere li solo da qualche ora. Probabilmente non è neanche umano ma è rovinato a tal punto che è difficile dirlo-
Kolin sembrava stupito. -E la mia risposta?-
-Nessuna buona guida prenderebbe una scorciatoia in mezzo alla foresta per andare a Tulsa, la strada è molto più agevole e veloce, soprattutto se hai anche un carro con te. Conoscendo bene la foresta credo non sia difficile portare un carro fin qua, un luogo perfetto per una trappola. Da qui fino alle rovine la strada non è difficile, e poi da li è semplice tornare sulla strada principale. Una trappola perfetta. E il carro anche, perché dei lupi farebbero cadere un carro? Non aveva molto senso-
-Ma allora perché mi hanno aspettato qua? E i lupi?-
Marek ci pensò su un attimo prima di rispondere. -Non lo so con certezza ma credo che i lupi fossero addestrati e quando ne hanno visti tornare solo due su quattro avranno capito che c'era qualcosa che non andava. Quindi ti hanno aspettato qui, di sicuro saresti tornato a cercare le merci, sperando di ammazzarti. Da morto certamente non avresti creato problemi. Pensa cosa sarebbe successo se loro fossero tornati indietro con le tue merci dicendo che eri finito vittima dei lupi e poi magari tu saresti spuntato fuori; non volevano correre rischi. Comunque, tu hai una pistola! Non potevi dirmelo prima?-
-Intendi questo ferro vecchio- disse indicando la pistola accanto a lui -Sai usarla?-
-Ehm no- rispose imbarazzato Marek -Tu si però!-
-Ma di certo non ho la mira che hai tu con arco e frecce, non avrei nemmeno saputo dove sparare. E poi nell'agitazione del momento...- anche Kolin era un po' imbarazzato.
-Amen, è andata com'è andata e siamo ancora vivi-
-Predoni del cazzo, avete avuto quel che meritavate- Kolin sputò in direzione del cadavere.
-Già, ora faremo meglio a sistemare le cose e rimetterci in marcia, abbiamo un bel po' di strada da fare-
Rimisero dritto il carro con poco sforzo e controllarono se aveva danni alle ruote o alla struttura ma sembrava integro. Raccolsero le casse e i pacchetti sparsi per terra e gli impilarono ordinatamente; i pochi rotti cercarono di riparli come meglio potevano. In meno di venti minuti avevano sistemato tutto quanto. Marek recuperò anche la pistola usata dal predone e la sua fondina. Non se ne intendeva molto di armi da fuoco e preferiva arco e frecce ma non si poteva mai sapere.
-Il cavallo! Come facciamo a trainare il carro senza di lui?-esclamò Kolin di colpo.
-Tranquillo, puoi sempre trainarlo tu Kolin-  
-Non sei divertente Marek. E' un problema serio, non ho intenzione di lasciare qua la mia merce, specie dopo averla appena ritrovata-
-Non dovrai farlo allora. Dubito che quei predoni abbiano ammazzato il cavallo. Si possono rivendere per un sacco di soldi nei posti giusti. L'avranno solo nascosto in attesa del tuo ritorno; in fin dei conti sarebbe stato difficile per un cavallo legato sopravvivere ad un attacco da parte di lupi-
Le ricerche non durarono molto. Dopo mezzora infatti lo trovarono legato a un albero poco distante dalla radura. Vicino ma a distanza di sicurezza erano legati i due lupi sopravvissuti. Si trattava di un ottimo cavallo da tiro, robusto e con gambe resistenti, il pelo era marrone chiaro, ben strigliato. Emise uno sbuffo di gioia quando Kolin gli si avvicinò e gli accarezzò il muso anche se nei suoi occhi si vedeva l'agitazione per i due predatori che riposavano la vicino.
-Bravo Igor, bravo- mentre Kolin slegava il cavallo, Marek si avvicinò ai due lupi che stavano riposando. Appena videro che si stava avvicinando cominciarono a ringhiare e mordere l'aria verso la sua direzione ma la corda li costringeva a rimanere vicini all'albero dov'erano legati. Erano affamati, e cattivi. Pericolosi. Il cacciatore prese la pistola che aveva rubato al cadavere del loro padrone e la puntò contro uno di loro. La bestia continuò a ringhiare incurante del pericolo che incombeva su di lei. Il cacciatore prese la mira, non aveva mai sparato ma non gli sembrava difficile, bastava solo premere un grilletto in fondo. Lo  premette. Un boato invase la foresta e il lupo morì. Un silenzio inquietante calò intorno a loro. L'altro lupo aveva smesso di ringhiare e Kolin e il cavallo lo fissavano immobili.
-Perché l'hai fatto?- sbottò all'improvviso il mercante -Mi hai fatto prendere un colpo e quel povero animale non poteva di certo farti del male-
-Quel povero animale, come dici tu, ha cercato di mangiarti ieri sera- rispose Marek con voce piatta -E poi cosa dovrei fare? Ammazzarlo qui e ora è di certo più clemente che lasciarlo morire di fame-
-Si certo. Ma potresti sempre liberarlo...-
Marek ignorò le parole del mercante e mirò all'altro lupo. Quest'ultimo non ringhiava più dopo aver visto la fine che aveva fatto il suo compagno. Si limitava a fissarlo, con occhi pieni di rabbia e paura. Il cacciatore premette il grilletto un'altra volta.

* * *

Una volta tornati indietro legarono Igor al carro. Portarlo il carro via dalla radura risultò problematico, soprattutto per l'assenza di un sentiero preciso e perché Marek non conosceva molto la zona. Alla fine riuscirono a ritornare fino alle rovine da dov'erano partiti e da li raggiunsero la strada principale. Procedettero a passo costante, seduti sopra il carro. Igor non era velocissimo ma in quel che gli mancava in velocità lo compensava con un'elevata resistenza.
La giornata si trascinava lentamente e spesso i due chiacchieravano per passare il tempo. Marek scoprì che Kolin gli stava molto simpatico, era un tipo alla mano dopo un po' che ci facevi conoscenza. Kolin gli raccontò a grandi linee la sua storia: figlio di due mercanti, frequento il periodo obbligatorio all'accademia dell'Esercito di Ferro ma finito quello preferì seguire la professione di famiglia; non era tagliato per la vita da militare. Gli parlò anche della città dov'era cresciuto, New Rock. Fu costruita dall'Esercito di Ferro sopra i resti di una cittadina andata distrutta durante la Guerra e insieme ad Ashville, più a est, era una delle due grandi città di confine ovvero le due più grandi città poste sul confine con le Terre Mutanti. Nel corso degli ultimi due secoli era stata fortificata, per via dell'alto numero di guerre combattute coi mutanti ma negli ultimi cinquant'anni la situazione si era calmata e New Rock era diventata un polo commerciale tra i territori mutanti e quelli sotto l'Esercito di Ferro.
Il sole tramontò piano piano oltre l'orizzonte, la luce diurna diminuì lentamente e venne rimpiazzata da quelle più fievole della luna, delle stelle e degli sporadici alberi-luce cresciuti qua e la.
-Meglio fermarsi e trovare un posto dove accamparsi- mentre parlava Marek scorse un piccolo prato poco più avanti illuminato da un albero-luce -Possiamo andare là-
-É sicuro come posto?- chiese Kolin.
-Tranquillo, questa parte della foresta in genere è abbastanza calma- rispose Marek. Era questo il motivo principale per cui aveva deciso di venire in questa parte della foresta, per quanto la conoscesse poco. Non aveva voglia di cacce difficili o turbolente quando era partito ma a quanto pareva al destino piaceva scherzare. Gli ultimi due giorni non rientravano molto nella sua idea di caccia tranquilla, per quanto non si lamentasse di ciò che gli era capitato.
Con un colpo di redini da parte del mercante Igor li condusse rapidamente verso il prato. Una volta li tolsero il cavallo dal carro e lo legarono a un albero vicino lasciandolo pascolare liberamente. Marek accese in fretta un fuoco e si mise a curare un coniglio che aveva catturato durante la giornata, quando si erano fermati a riposare un attimo verso mezzogiorno. In poco tempo il coniglio fini a cuocere sopra uno spiedo rilasciando nell'aria un invitante profumo di carne.
-Sei bravo Marek- la voce del mercante era carica di stupore.
-Niente di che, sono cose che ti insegnano fin da bambino- a Marek tornò in mente il ricordo del suo primo arco, un regalo di suo nonno per il suo sesto inverno.
-Siete tutti cacciatori al tuo villaggio?-
-La maggior parte si. I pochi che non lo fanno hanno una bottega o un negozio-
Quando il coniglio fu pronto lo mangiarono con avidità, in quanto era dalla mattina che non mettevano qualcosa di sostanzioso sotto i denti. Alcune mosche ronzarono attorno a Kolin e lui le scaccio via con una manata. Queste tornarono alla carica subito dopo ancora più insistenti.
-Stupide e fastidiose mosche-
-Così non otterrai niente- Marek rideva vedendo gli sforzi del mercante -Lanciagli un pezzettino di carne e ti lasceranno in pace-
La cena passo tranquillamente tra battute e scherzi. Una volta finita continuarono a scambiarsi battute e storie divertente. L'atmosfera era allegra e carica di vita ma alla fine il sonno prevalse anche sul loro buonumore. Mentre il mondo reale svaniva piano piano Marek pensò che alla fine era stato fortunato a incontrare questo Kolin. Non si era mai divertito tanto in una caccia e non gli erano mai capitate così tante cose tutte insieme

* * *

Marek si svegliò presto, il cielo aveva appena iniziato a rischiararsi e si vedevano ancora delle stelle. Aveva un bisogno urgente di andare in bagno quindi si inoltrò un po' nella foresta. Trovò il posto giusto e svuoto la sua vescica con grande piacere. Quando tornò all'accampamento vide che anche Kolin si era svegliato e stava facendo qualcosa con la sua pistola. Era smontata davanti a lui e ne stava pulendo ogni singolo pezzo.
-Cosa fai?- domandò Marek incuriosito avvicinandosi.
Il mercante prese un colpo sentendo di colpo la voce ma si tranquillizzò subito quando vide che era Marek -Sto pulendo l'arma-
Vedendo che Marek non capiva bene a cosa potesse servire una cosa simile glielo spigò meglio -Le armi da fuoco hanno bisogno di una manutenzione regolare o rischiano di rompersi o incepparsi quindi vanno pulite con cura ogni qual volta si possa-
-Quindi tu saresti un esperto di armi da fuoco?-
-No, sono solo nozioni di base che si imparano all'accademia. Mi piaceva un sacco quel corso- vedendo l'arco di Marek poi gli sorse spontanea una domanda -Ma voi non avete armi da fuoco?-
-Al villaggio solo qualche fucile ma non mi è mai interessato, sono troppo rumorosi per la caccia. Noi cacciatori preferiamo i vecchi arco e frecce, silenziose e letali. E con tutto il rumore provocato da quei cosi- indico la pistola di Kolin -Rischiamo di far scappare le prede. O di diventarlo noi stessi-
Poi gli tornò in mente la pistola recuperata dal predone morto e la tirò fuori -Non è che puoi insegnarmi a usare un po' questa?-
-Mi è sembrato che ieri sapessi come si usava una di queste- rispose guardingo il Kolin. Poi con un tono più leggero aggiunse -Non erano troppo rumorose?-
-Si. Ma essere previdenti non fa mai male. E poi non potrò certamente sparare a qualcuno in maniera decente usandola come ieri-
-Su questo non potrei essere più d'accordo. Mai visto qualcuno impugnare la pistola in modo tanto brutto. Dai da qua- Kolin prese la pistola del bandito e iniziò a esaminarla -É un vecchio modello ma è tenuta abbastanza bene. Proiettili standard, 9mm, caricatore da 24 colpi-
Mentre facevano colazione con i resti del coniglio della sera precedente Kolin gli spiegò a grandi linee i pezzi principali. Quando ripartirono aveva iniziato a capirci qualcosa nel casino di informazioni che Kolin gli aveva dato sulle pistole. Ma perché non erano semplici come arco e frecce?
La giornata trascorse lenta e tranquilla. La strada per tornare al villaggio non era molto difficile ma capitava che nel corso dei secoli fosse andata distrutta o ostruita da qualcosa quindi a volte dovevano fare delle deviazioni per aggirare gli ostacoli più grandi. La maggior parte delle chiacchierate ruotavano intorno alle armi da fuoco dato che Kolin dovette rispiegare più e più volte le varie cose. A metà pomeriggio Marek era riuscito finalmente a capire bene come sparare e ricaricare, insieme a quali erano i pezzi principali e come pulirli.
-Ehi Kolin, non è che hai anche delle munizioni la dietro?-
-Si ne ho, ma costano parecchio- guardo Marek -Ma però sono in debito con te di una vita e ti avevo promesso uno sconto. Facciamo così, io ti regalo le munizioni e il debito è saldato?- gli porse la mano.
-Mi sembra di averti salvato due volte- rispose esitante il cacciatore.
-E una l'ho ripagata uccidendo quel predone del cazzo- gli porse ancora la mano -Affare fatto allora?-
-Andata- rispose Marek afferrando la mano del mercante.
-Quando arriviamo al villaggio sistemiamo tutto allora. Quanto manca a proposito?- il sole ormai stava tramontando e il cielo che si  scorgeva tra le chiome degli alberi si tingeva di un colore rossastro.
-Ci dovremo quasi essere. Venti minuti ancora, forse meno-
Da oltre gli alberi si levò una colonna di fumo, qualcosa stava bruciando.
-Marek, per caso il tuo villaggio si trova vicino a quella colonna di fumo?-
-Si trova proprio lì- la voce del cacciatore era parecchio preoccupata -Accelera cazzo-
Il mercante diede un sonoro colpo di redini e Igor accelerò di colpo. A vederlo non si pensava potesse andare così veloce. Man mano che si avvicinavano l'odore di fumo in sottofondo cresceva. Cos'era successo al villaggio? Marek era sempre più preoccupato. Cosa aveva preso fuoco?


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una Persona Dai Molti Talenti ***


3_Una Persona Dai Molti Talenti
3
UNA PERSONA DAI MOLTI TALENTI

Il freddo gli penetrò nelle ossa. Si soffio sulle mani per scaldarsele un po' e il fiato si condensò in una nuvoletta. Faceva davvero un freddo cane nel nord dell'impero, sempre. Un vento gelato gli entro sotto il mantello congelandolo ancora di più. Era quasi mezz'ora che stava aspettando in quel vicolo; se il cliente non arrivava entro cinque minuti al diavolo i soldi e l'ingaggio. Avrebbe cercato qualche altro lavoro da fare.
Un uomo con un mantello ben chiuso contro il freddo entrò nel vicolo a passo moderato. Se qualcuno lo avesse guardato avrebbe pensato che stava tranquillamente passeggiando e avesse scelto quel vicolo a caso. Un largo cappuccio gli nascondeva il viso ma si scorgeva un accenno di barba non fatta sotto il viso. Le spalle erano larghe e dalla camminata trasmetteva un'aria molto sicura di se. Sotto il mantello si poteva scorgere la forma di una spada. Qualcosa in quella figura incappucciata trasmetteva che era meglio non infastidirlo troppo. L'uomo si fermò davanti a lui.
-Un mio amico mi ha detto che lei è una persona con molti talenti- la voce dell'uomo era bassa, profonda.
-Se le ha detto così sarà vero. Un mio amico mi ha detto che il suo padrone possiede molti soldi- detestava tutti questi giri di parole -Senta è mezzora che mi sto congelando il culo in questo vicolo quindi tagliamo corto e mi dica cosa vuole-
-Diretto, mi piace- l'uomo incappucciato tirò fuori una cartellina di pelle da sotto il mantello -Qua dentro ci sono tutte le informazioni che ti servono. Quello che devi recuperare per il mio padrone è un manufatto pre Guerra, una sfera di metallo-
Alberto prese la cartellina -E l'acconto?-
L'uomo incappucciato gli lancio un borsellino. L'afferrò al volo e lo aprì, il luccichio delle monete d'oro catturò subito il suo sguardo. A giudicare dal peso in quel borsello c'era oro più che a sufficienza per andare avanti per molto tempo.
-Porta a termine il lavoro e ne avrai talmente tanto che non saprai più cosa farne- l'uomo col cappuccio lo ispezionò -Sei diverso da come mi aspettavo-
-Pensavi che fossi più brutto?- rispose Alberto con scherno.
-No, pensavo fossi più vecchio-
-E io immaginavo che voi collaboratori fidati foste più piccoli ed eleganti-
Con una risata per la sua seconda risposta l'uomo col cappuccio uscì dal vicolo e sparì nella folla. Alberto aspettò ancora qualche minuto e poi uscì anche lui. I suoni e i rumori della città prima erano attutiti dal vicolo ma ora lo travolsero in tutta la loro cacofonia. Gente che parlava, venditori che decantavano le loro merci, persone che urlavano, bambini che giocavano, uomini che lavoravano, musica che proveniva da qualche taverna, macchinari che andavano nelle fabbriche. I bassifondi di Varsavia erano sempre un posto allegro e pieno di vita nonostante la povertà, il freddo e tutti gli altri problemi. Un gruppo di guardie gli passo accanto. Dall'abbigliamento si capiva che erano guardie appena reclutate: corazza di cuoio bollito, con sopra una cotta di maglia e al fianco solo una spada; le guardie in servizio da più tempo avevano tutte armature in kevlar e armi da fuoco ad accompagnare le spade. Ultimamente girava voce che il nuovo magistrato volesse stroncare completamente la malavita nei bassifondi quindi aveva reclutato un sacco di nuova gente nella guardia; questo spiegava anche l'aumento del numero di pattuglie, soprattutto in questa parte della città.
Passò di fianco a una bancarella con delle frutta e con un rapido movimento della mano afferrò una mela e la nascose sotto il mantello. La proprietaria non si accorse di niente e lui continuò a camminare a passo spedito. Quando ebbe svoltato l’angolo della strada la tirò fuori e la addentò; succosa e croccante, proprio come gli piacevano. La divorò in un baleno, torsolo compreso. Lasciò la strada principale ed entrò in un vicolo per tornare più in fretta alla locanda dove attuale alloggiava. Non vedeva l’ora di rilassarsi davanti a un bel fuoco caldo. Da quel vicolo ne partivano altri che si insinuavano tra i retri di case e botteghe e in mezzo ad altri edifici lontani dalla strada principale; se qualcuno non gli conosceva bene potava perdersi in quel labirinto di stradine e viuzze ma non era il suo caso per fortuna. Lui li conosceva, fin troppo bene.
Un urlo improvviso catturò la sua attenzione. Si fermò e si guardò intorno per capire da dove fosse arrivato. Lungo uno dei vicoli laterali più piccoli tre figure, uomini dalla corporatura, stavano tenendo fermo qualcuno. Si avvicinò di soppiatto per vedere meglio. Entrambi gli uomini erano armati di pugnale e uno dei tre l’aveva puntato alla gola della quarta persona, una ragazza. Da com’era vestita doveva essere abbastanza ricca, e anche abbastanza stupida per girare da queste parti con vestiti simili. Piccoli singhiozzi la scuotevano di tanto in tanto, gli occhi erano colmi di terrore e le guance rigate di lacrime.
-Lo sai che le ragazze non dovrebbero girare da sole da queste parti?- biascicò uno dei due uomini. Trascinava le parole, era ubriaco.
-Già già- gli fece eco gli altri due –Potrebbero accadere tante cose brutte- anche le loro dovevano essere ubriachi.
La spinsero a terra con violenza. La ragazza emise un gemito di dolore quando cadde al suolo. Uno dei tre uomini iniziò ad armeggiare con la chiusura dei pantaloni mentre gli altri la teneva bloccata. Alberto si voltò per andarsene, c’erano stupri ogni giorno a Varsavia, non poteva farci niente, sarebbero stati in tre contro uno.
-Sta zitta bastarda, non ho voglia di sentirti frignare- a quelle parole i singhiozzi della ragazza si fecero solo più forti. In tutta risposta l’uomo gli sferrò un manrovescio in faccia. No, non poteva andarsene e lasciarla lì.
Si avvicinò ai tre stupratori –Ehi come va?- al suono della sua voce i tre tolsero gli occhi dalla ragazza per rivolgersi verso di lui.
-Chi cazzo dovresti essere tu?- disse uno dei tre.
-Soltanto uno che passava di qui per caso- rispose con noncuranza Alberto mentre si avvicinava pian piano.
L’uomo che prima stava armeggiando con la chiusura dei pantaloni si avvicinò a sua volta puntandogli contro il pugnale -Fila via ragazzo se non vuoi che ti sventri come un maiale- la sua voce era carica di rabbia e il suo fiato puzzava tremendamente da alcool.
Alberto mantenne il sangue freddo e non si fece intimorire –Lor signori sanno che lo stupro è vietato dalla legge imperiale? Da quanto ne so la pena dovrebbe essere il taglio dell’uccello. Io non c’ho mai provato ma non credo che sia una cosa molto bella. Una volta ho anche visto farlo a uno; il povero diavolo ha continuato a urlare per giorni, finché non è morto per l’infezione sulla ferita, una cosa davvero terribile, non trovate anche voi? E poi non oserei mai andare contro la vostra opinione di stupratori professionisti ma sicuramente sarete d’accordo con me che questo sia un luogo assai poco igienico dove eseguire tale pratica. Se posso suggerire il mio modesto consiglio è quello di avere un luogo chiuso, possibilmente un letto con delle coperte pulite e in assenza di un luogo chiuso vi suggerirei di trovare un vicolo almeno più pulito di questo, lo dico per la vostra salute e la vostra igiene. Consiglio anche di munirvi di preservativi, so che sono una merce un po’ costosa ma aiutano sicuramente a non prendere malattie senza contare che non lasciano traccia alcuna. Dovrebbero essere nel kit base di ogni buon stupratore, non ne convenite?-
Mentre Alberto parlava i tre stupratori lo guardavano allibiti, cercando di comprendere ed elaborare la montagna di parole che li sommergeva. Fortuna che erano ubriachi, e anche tanto, altrimenti una simile idiozia non avrebbe funzionato. La ragazza nel frattempo approfittando della confusione dei tre si alzò e provò a scappare via. Uno dei tre, il meno ubriaco probabilmente, la riacciuffò subito e la spinse di nuovo a terra –Svegliatevi cretini, quel tipo ci sta solo distraendo.  Vuole far scappare la ragazza-
Prima che l’uomo davanti a lui potesse reagire Alberto gli mollò un destro in faccia con tutta la forza che aveva. Il naso si ruppe per la forza dell’impatto e l’uomo fini disteso a terra con in sangue che colava senza sosta lungo la faccia. Tra lo stordimento causato dall’alcool e soprattutto quello dal pugno non si sarebbe rialzato in fretta. Non fece in tempo a riprendere fiato che il secondo stupratore si avventò su di lui con un grido di rabbia. Menò qualche fendente col pugnale ma i suoi movimenti erano resi lenti e impacciati dall’alcool ed erano semplici da schivare. Tentò un affondo ma Alberto schivo facilmente anche questo e la mossa lasciò lo stupratore esposto. Alberto estrasse il suo pugnale da sotto il mantello e con un movimento fluido glielo impianto nel braccio, poco sotto la spalla, trapassandolo da parte a parte. L’uomo urlo di dolore e lascio cadere il suo pugnale. Alberto non si fermo. Mentre con una mano rigirava il pugnale nella ferita con l’altra tempestò il viso dello stupratore di pugni finché il tipo non rimase a malapena in piedi. Quando stava per cadere estrasse il pugnale provocando nell’altro una scarica di dolore e con un ultimo pugno ben piazzato lo scaraventò a terra con violenza. Si girò per fronteggiare l’ultimo stupratore ma quest’ultimo era disteso a terra con l’elsa del pugnale che gli spuntava dalla schiena. Vide una macchia bionda che spariva dietro l’angolo di uno dei vari vicoli. Fantastico. L’aveva salvata da uno stupro e neanche lo ringraziava. Amen, doveva essere spaventata a morte.
Forse era meglio se andava via anche lui in fretta. La rissa aveva fatto un po’ di rumore e qualche curioso poteva venire a controllare e Alberto voleva evitare di finire in mezzo a troppi casini, soprattutto per il tizio con il pugnale infilato in mezzo alla schiena. Lui non c’entrava niente certo, ma vallo tu a raccontare a chi non ha visto l’intera scena. Fece per avviarsi quando un debole luccichio attirò la sua attenzione verso il basso; nel punto dove era caduta la ragazza, mezzo sepolto nel fango della stradina c’era una catenina d’oro. La tirò fuori e la esaminò: si trattava di una collana, di ottima fattura a giudicare dalla lavorazione della catena, con un pendente finemente modellato a forma di cuore. Quando l’avevano buttata a terra doveva essersi tolta e nella foga di scappare la ragazza non si era nemmeno accorto che era li. Meglio per lui, un pezzo così valeva un bel po’ di soldi se lo sapevi piazzare bene e Alberto conosceva qualche esperto nel campo.
Uscì in fretta dal vicolo e si ritrovo a cinquecento metri dalla locanda. Mentre camminava in direzione dell’edificio passo accanto a una delle bacheche imperiali. Praticamente non erano altro che maxischermi dove venivano proiettate notizie provenienti da varie parti dell’impero o annunci relativi alla città.
Alberto si fermò a vedere se c’era qualche notizia interessante. Quella che attirò di più la sua attenzione era la distruzione di una cellula ribelle vicino a Mosca: un gruppo di soldati aveva provato a prendere il controllo della città insieme alle tribù barbare del nord ma la legione imperiale del generale Dimitri gli aveva neutralizzati senza troppi problemi. Cose del genere accadevano spesso a nord. La provincia russa era stata l’ultima ad essere annessa all’impero, all’incirca vent’anni fa, ma molti soldati della vecchia Repubblica Rossa non lo accettavano quindi tentavano sempre di ribellarsi al comando imperiale. Per loro sfortuna l’attuale imperatore aveva un pessimo carattere: le ribellioni venivano soffocate nel sangue e i sopravvissuti passati a fil di spada e le loro teste impilate fuori dalle porte delle città. Problemi dei russi comunque. Varsavia faceva parte dell’impero da oltre due secoli, ogni moto rivoluzionario nella città era scomparso da tempo. Rimanevano sempre le solite teste calde ma quelle c’erano ovunque e alla fine non combinavano niente, a parte urlare e fare un po’ di baccano.
Tra le notizie relative alla città ce n’era un’altra di parecchio interessante: un annuncio per unirsi alla guardia cittadina, per gente di qualsiasi razza; le nuove reclute avrebbero ricevuto una paga doppia per sei settimane. Un gruppo di persone vicino a lui rise vedendo la notizia. Alberto si mise ad ascoltare quello che dicevano.
-A quanto pare il nuovo magistrato fa sul serio- disse un uomo ridendo.
-Povero illuso. L’unica cosa che farà sarà scatenare una guerriglia nei bassifondi- rispose un altro affianco a lui.
-Vai tu a dirglielo, sono sicuro che ti ascolta. Magari ti fa anche suo consigliere- lo schernì un terzo.
Un vecchietto si intromise nella conversazione -Vedrai che finirà per farsi corrompere anche lui. È da oltre trent’anni che questa città non vede un magistrato onesto, credimi-
-Forse stavolta andrà meglio- di nuovo il primo uomo –Si dice che il nuovo magistrato sia italiano. E si sa come sono quelli del sud, impulsivi e cocciuti come non mai. Magari qualcosa combina sul serio-
-Ne dubito giovanotto, ne dubito molto-
Alberto si allontanò mentre la discussione si spostava su com’era la gente nel sud dell’impero, argomento stupido secondo lui. Perché se uno nasceva nel sud doveva essere più impulsivo mentre se era del nord doveva essere più controllato? Spesso si domandava come la gente facesse a credere a certe cretinate. Soprattutto adulti e anziani. Loro avrebbero dovuto avere un po’ di sale in zucca.
Raggiunse la locanda in pochi minuti. L’edificio era una costruzione di tre piani intonacata di bianco anche se in più punti la vernice si stava scrostando, lasciando intravedere i mattoni al di sotto. Non era un edificio pre Guerra. La maggior parte delle costruzioni di quell’epoca erano andate distrutte nel corso del tempo o la gente ci aveva costruito sopra, almeno nelle grandi città. Sopra la porta si trovava un’insegna con disegnato un orso con un boccale di birra e con sotto la scritta “L’orso ubriaco”, nome simpatico per una locanda.
Entrò e un’ondata di piacevole calore lo investi; la locanda non era di certo la migliore della città ma era tenuta bene, almeno per la zona in cui si trovava. All’interno un po’ di gente era seduta lungo i tavoli a bere e chiacchierare ma la maggior parte della sala comune era vuota. Entro sera sarebbe stata piena. Alberto si diresse in fretta verso le scale ma prima che potesse imboccarle la locandiera gli si parò davanti. Comare Batel era una donna grossa, robusta, con un volto amichevole ma sotto al quale si nascondeva un carattere deciso e più duro di un blocco di ferro. I vestiti erano sempre gli stessi: una gonna lunga marrone, un camicia bianca con varie macchie con sopra un grembiule ancora più macchiato e in testa una retina in cui erano raccolti i capelli. Qualche volta Alberto aveva voluto chiedergli se erano sempre li stessi o se aveva un armadio pieno di copie ma la ferocia della locandiera lo aveva sempre fatto desistere; una volta l’aveva vista bastonare un cliente perché era troppo ubriaco e poi buttarlo fuori a calci.
-Dove credi di andare?- teneva in  mano il suo famoso bastone, cattivo segno –Sei in ritardo di una settimana con l’affitto della camera-
Alberto prese tre monete d’oro dal sacchetto e gliele mise in mano –Le due monete dovrebbero essere sufficienti per un bel po’ di affitti e la terza è per le ansie che ti ho creato-
La locandiera lo esaminò le monete e quando fu certa che non fossero false si tolse per lasciarlo passare. Alberto vide con la coda dell’occhio che scuoteva la testa mentre lui saliva ma non disse niente. Povera donna, nonostante il suo caratteraccio sotto sotto aveva un cuore gentile e un debole per lui, da quando da bambino mendicava e rubacchiava in giro per sopravvivere. Una sera di svariati anni fa si era introdotto in questa locanda spinto dalla fame ma comare Batel lo aveva beccato subito; invece di chiamare le guardie gli aveva dato da mangiare e gli aveva offerto un lavoretto per il resto dell’inverno. Da quella volta lo aveva aiutato come meglio poteva anche se ultimamente era rattristata quando lo vedeva, non approvava le scelte di vita che lui aveva fatto. Gli dispiaceva vedere i suoi occhi tristi quando lo guardava ma lui non poteva farci molto. La vita spesso non è clemente e non lascia molte strade aperte, soprattutto per gli orfani.
La stanza che aveva affittato si trovava al primo piano della locanda e dava sulla strada. Non era una camera grande ma era calda, pulita e con un ottimo letto e cosa ancora più importante aveva una porta con la serratura. Tirò fuori la chiave e apri la porta; tutto era come lo aveva lasciato almeno in apparenza. Alzò il materasso per controllare: la sua spada era ancora li. Aveva preferito non portarla oggi, attirava troppo l’attenzione.
Si tolse gli stivali e li mise a scaldare vicino al termo, insieme al mantello. Appoggiò la cartellina di pelle sul letto e poi distese le mani sopra il termo lasciandole lì per un po’. Quando il calore dissipò il gelo che si era accumulato dentro di lui si scostò dal termo e aprì la cartellina. Prese un colpò quando vide da dove doveva rubare quella dannata sfera di metallo vecchia di secoli. Si trovava all’interno del castello, il posto più sorvegliato di tutto Varsavia. Se beccavano un ladro in giro gli tagliavano le mani, a volte una sola se il boia aveva la giornata buona. Se lo beccavano al castello gli tagliavano direttamente la testa. Quando lo avevano contattato la prima volta per questo lavoro gli avevano detto che era pericoloso ma non pensava così tanto. Si era immaginato di dover entrare nella casa di un nobile e rubare qualcosa per conto di un altro nobile, questo genere di “scherzi” era abbastanza comune tra la nobiltà, non di dover recuperare qualcosa da uno dei più importanti centri di potere imperiale della provincia. Da quanto ne sapeva in tutta la provincia centrale dell’impero solo i palazzi di Praga e Berlino erano più sorvegliati. Chiunque l’avesse ingaggiato doveva essere tremendamente pazzo, o tremendamente potente per poter commissionare un furto lì senza aver paura che lo scoprissero. O entrambe le cose probabilmente.
Guardò gli altri fogli all’interno della cartellina: contenevano planimetrie dell’edificio, elenchi dei servitori e dei loro doveri, mappe e ogni cosa potesse servire per progettare un colpo. In fondo, sotto tutti i fogli c’era una nota scritta a mano:

Qua ci sono tutte le informazioni che possono servirti. Sei libero di agire come meglio credi. Se ritieni necessario il coinvolgimento di altri tuoi "colleghi" sei libero di assumerli. Ricordati soltanto che il mio padrone apprezza il silenzio e sarebbe molto dispiaciuto se girassero troppe voci. Sai com’è…il silenzio è vitale in certi occasioni. Sono sicuro che capirai. Ah già, il mio padrone apprezza anche la rapidità, non ama attendere troppo. Sono sicuro che comprenderai anche questo. Un ultima cosa anche…non sono accettati reclami o rinunce sul lavoro. Esse renderebbero il mio padrone molto triste e arrabbiato.

Fantastico pensò Alberto. Ci mancavano solo le minacce velate. Quindi ricapitolando doveva entrare nell’edificio più sorvegliato di tutta Varsavia e recuperare un manufatto vecchio di secoli tutto senza farsi scoprire, tutto in poco tempo naturalmente. E non poteva neanche rinunciare a farlo. Scherzando diceva sempre che gli piacevano le sfide, a quanto pare il destino, o chi per lui, lo aveva preso in parola. Si lasciò cadere di peso sul letto. In che cazzo di guaio si era cacciato?


 

*Note dell'autore*
Volevo solo ringraziare chi ha avuto la voglia e la forza di leggere fino a questo punto e se siete arrivati fin qua spero che vi piaccia la storia. Mi dispiace di non avere una data fissa per il rilascio dei capitoli, come avrete notato. Cercherò di migliorare in futuro.
E se trovate errori di vario genere ditemelo pure e li correggerò il prima possibile.
Grazie ancora per essere arrivati fin qua.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un Giro Nei Bassifondi ***


4_Un giro nei bassifondi
    4
UN GIRO NEI BASSIFONDI

La luce dell’alba entrò debolmente dai balconi semichiusi della camera. Alberto si tirò su stancamente mentre un lungo sbadiglio usciva dalla sua bocca. La sera prima aveva provato a leggere e studiare le varie carte dentro la cartellina ma c’aveva rinunciato in fretta. Si sentiva ancora troppo agitato per tutta quella faccenda quindi si era buttato a letto vestito. Aveva dormito così e ora i suoi vestiti erano tutti stropicciati. Fortuna che aveva qualche ricambio.
Si spogliò fino a rimanere in mutande. Dopodiché si mise disteso a terra, a faccia in giù e inizio a fare flessioni. L’attività fisica lo aiutava a calmarsi, si concentrava sui movimenti e sul suo corpo lasciando fuori il resto. Arrivato a trenta flessioni si fermò, si girò e inizio a fare addominali. Fatti trenta addominali torno a fare flessioni; andò avanti alternandosi finché non ce la fece più e cadde disteso per la fatica sul pavimento.
Si tirò su grondante di sudore e con i muscoli del corpo che gli dolevano. Prese un accappatoio dall’armadio, comare Batel gliene forniva sempre qualcuno quando alloggiava lì. Uscì dalla sua camera chiudendosi la porta a chiave dietro di se e andò verso i bagni comuni del piano. Alberto rimaneva sempre stupito da quel luogo. In quella zona di Varsavia in molte locande, anzi in molti edifici più che altro, era già tanto se c’era l’elettricità, figurarsi l’acqua corrente.
Il bagno dei maschi consisteva in due stanze. Nella prima, quella che dava sul corridoio, si trovavano i lavandini e i gabinetti, opportunamente separati da dei divisori; un leggero profumo di lavanda impregnava l’aria e il pavimento di piastrelle azzurre risplendeva pulito nella debole luce dei neon; i bagni venivano puliti ogni sera, altra cosa rara nelle locande della zona. Nella seconda stanza invece una ventina di docce spuntavano dal muro; non c’erano divisori come nei gabinetti e il pavimento era leggermente inclinato verso il centro dove si trovava una grata per far scolare l’acqua.
Si mise sotto una delle varie docce e apri l’acqua. Il getto freddo lo investi con violenza facendolo tremare dalla testa ai piedi. Detestava una doccia fredda ma non potendola fare calda si impose di resistere. L’acqua calda era un costo non indifferente e comare Batel non era comunque abbastanza ricca per usarla anche per le docce. Finita la doccia si avvolse nell’accappatoio e torno in camera.
L’attività fisica e la doccia gelata avevano placato un po’ la sua agitazione ma comunque non vedeva molte vie di fuga da quella situazione. Se non rubava quel manufatto chi aveva commissionato il lavoro avrebbe mandato qualcuno ad ucciderlo per assicurarsi il suo silenzio; d’altro canto se tentava di rubarlo era probabile, se non certo, che facesse la stessa fine. Avrebbe potuto scappare da Varsavia ma l’idea non lo allettava molto; si era fatto un nome ormai in quella città, ricominciare da capo da qualche altra parte sarebbe stata dura e tra l’altro dei sicari avrebbero potuto comunque rintracciarlo. No, non aveva scelte. Doveva rubare quella dannata sfera.
Ma come? Da quel poco che aveva letto delle carte quel posto era impenetrabile. C’erano telecamere ovunque, ogni tipo di sensore di rilevazione e l’intero edificio pullulava di guardie. Alberto lo trovava quasi comico; buona parte di Varsavia era in mano al crimine ma l’unico posto su cui la mala non aveva mai messo le mani era proprio il centro del potere cittadino.
Fini di vestirsi in fretta. Si mise su una vecchia felpa e un paio di pantaloni logori. Mantello e stivali erano caldi dopo una notte vicino al termo e indossarli fu un piacere. Rimise le carte dentro la cartellina e la buttò dentro il suo zaino poi chiuse la zip e la bloccò con un lucchetto; quello zaino era la sua piccola cassaforte, ci teneva dentro i suoi oggetti più preziosi. Di colpo gli venne in mente il pendente che aveva trovato il giorno prima; non lo aveva neanche messo dentro. Lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni: forse era meglio se lo teneva con se, magari dopo avrebbe fatto in tempo a passare da un ricettatore. Recuperò la spada da sotto il letto e se la fissò alla cintura; oggi gli avrebbe potuto fargli comodo, molto più dei pugnali che portava in giro di solito.
Scese nella sala comune e ordinò una colazione veloce. Dopo pochi minuti comare Batel tornò con un vassoio con sopra uova e pane fresco. Lo studiò per un istante, poi posò il vassoio e se ne andò senza dire una parola. Probabilmente si stava ancora domandando dove avesse preso l’oro il giorno precedente. Stupida donna. Non era neanche suo figlio e continuava a preoccuparsi per lui. Per un’istante pensò di dirle la verità ma scartò subito questa opzione; avrebbe combinato solo casini parlandole del guaio in cui si era cacciato. Finì di mangiare in fretta e uscì dalla locanda.
All’esterno il vento freddo lo aggredì con furia infilandosi sotto i vestiti e facendolo rabbrividire. Si chiuse per bene il mantello e si avvio lungo la strada. Nonostante fosse ancora abbastanza presto in strada c’era già un bel po’ di gente. Molti erano lavoratori che si stavano sbrigando a dirigersi verso la loro fabbrica per dare il cambio a chi aveva fatto il turno di notte ma mentre camminava tra la folla Alberto vide anche mercanti, viaggiatori e guardie. Varsavia, insieme a Berlino e Praga, era una delle tre città più popolate della provincia centrale dell’impero. Tra le tre era anche quella situata più a est perciò veniva spesso attraversata da chi aveva intenzione di andare verso la provincia russa, o dalle persone che arrivavano da lì e si dirigevano verso il resto dell’impero.
    L’Orso Ubriaco si trovava vicino al Wista, il fiume che attraversava Varsavia, ai margini della Nowiasto. Con questo termine si indicava tutta la parte di città nata intorno alle mura della Starowka, la parte più antica di Varsavia. Sia la Starowka che la Nowiasto si trovavano nella parte ovest del fiume ed erano le parti tenute meglio della città, per quanto ai margini di quest’ultima le condizioni di vita non fossero proprio le migliori. Oltre il fiume c’era la parte più recente, e pericolosa, di Varsavia: gli Slums. Quest’ultimi si erano sviluppati esponenzialmente negli ultimi secoli, da quando la città era stata annessa all’impero e i commerci erano aumentati. Era lì che stava andando Alberto.
Se voleva anche solo avere qualche chance di completare quel furto suicida gli servivano dei collaboratori validi e l’unico posto in cui poteva recuperarli erano gli Slums. Aveva già in mente una bozza della lista ma avrebbe dovuto agire con cautela; una parola sbagliata e la notizia della sua ”futura impresa” avrebbe fatto il giro dei bassifondi più veloce di un ladro inseguito da un contingente di guardie. E i ladri di Varsavia erano molto veloci a scappare.
Raggiunse il ponte centrale, uno dei tre passaggi sopra il fiume e lo imbocco. In lontananza, sull’altra riva del fiume si vedeva l’arena di Narod, il luogo dove si svolgevano tutti i combattimenti cittadini. Era un edificio pre Guerra, un vecchio stadio se ricordava bene, ma aveva perso da tempo la sua funzione originale. Alberto si mise a ridacchiare pensando che secoli fa in quel luogo immenso si giocava a pallone. La gente doveva essere davvero stupida se provava gusto a vedere dei tizi correre dietro una sfera di cuoio.
 Arrivato sull’altra sponda percepì istantaneamente la differenza tra gli Slums e il resto della città. Esclusa l’arena gli edifici erano quasi tutti fatiscenti o con danni strutturali e non superavano i due piani. Numerose impalcature spuntavano come funghi lungo la strada, indicando quanto volte la gente del luogo riparasse le strutture, spesso con i materiali più disparati, recuperati da rovine o rubati ad altre case. Persino nelle persone si scorgeva la differenza rispetto a prima. Al di la del fiume, nella Nowiasto, la gente non era ricca ma nemmeno povera, quasi tutti avevano almeno un cappotto per ripararsi dal freddo o un paio di scarpe robuste; negli Slums invece molta persone erano vestite di stracci o con abiti rovinati ed erano scalze nonostante il freddo intenso. Avevano i volti magri e scavati dalla fame e guardavano con aggressività e desiderio chiunque sembrasse avere qualcosa di valore addosso. Negli Slums era praticamente raccolta tutta la povertà e la feccia di Varsavia, chiunque non ce l’avesse fatta a trovare un impiego decente o fosse caduto in disgrazia. Alberto aveva sentito alcuni definire questo posto come ”una discarica umana”; ironicamente nella discarica si trovava oltre il 60% della popolazione della città anche se nessuno sapeva con esattezza quanta gente ci fosse lì. Il governo della città non se ne era mai curato, come non si era mai curato del quartiere.
Alberto lasciò presto la strada principale, troppo affollata per potersi muovere in fretta, e si infilò nei dedali di viuzze che la costeggiavano, ancor più intricati rispetto a quelli della Nowiasto, dirigendosi verso nord. La gente del luogo dopo una rapida occhiata lo lasciava perdere; non sapeva dire se a quell’effetto contribuisse di più i suoi vestiti poco appariscenti, la velocità e la sicurezza con cui si muoveva o l’elsa della spada che si intravedeva da sotto il mantello. Probabilmente tutte e tre insieme. Continuò a passo spedito finché non superò i territori della famiglia Poludne ed entro in quelli della famiglia Polnoc. Tutti i bassifondi erano gestiti da famiglie criminali e i Poludne e i Polnoc erano le più ricche e quelle che avevano le fette più grosse di territorio. In pratica la loro parola era legge. Ed era così da oltre 80 anni a questa parte. Se il nuovo magistrato voleva davvero ristabilire l'ordine negli Slums avrebbe incontrato non poche difficoltà ad eliminarle: gli abitanti dei bassifondi preferivano loro al governo cittadino in quanto almeno alle famiglie criminali potavano affidarsi e quest'ultime disponevano di una quantità davvero elevata di uomini, ognuna aveva un piccolo esercito praticamente.
Uscì dal labirinto di viuzze e si ritrovò davanti a un muro di mattoni alto due metri che circondava un ampio giardino con al centro una villetta di tre piani. L'eleganza e la ottime condizioni dell'edificio saltavano subito all'occhio in mezzo alla desolazione circostante e facevano sembrare quell'edificio un'oasi in mezzo al deserto. Due enormi mutanti sorvegliavano il cancello. Non li conosceva, dovevano essere nuovi.
 Alberto si avvicino con passo lento e con un'aria calma anche se dentro di lui sentiva il cuore che accelerava; quei bestioni erano grossi il doppio di lui e un singolo loro pugno avrebbe potuto frantumargli la cassa toracica, sempre se avesse avuto la fortuna che lo colpissero sul petto e non in altri punti. Tra l'atro non erano neppure le guardie che lui conosceva quindi avrebbero potuto essere molto più sospettose.
-Mi chiamo Alberto. Sono qui per vedere Luenam- disse fermandosi davanti alle guardie.
Uno dei mutanti si chinò su di lui. Aveva un muso lupesco, pieno di peli e con due occhi gialli da far paura. Quando aprì la bocca per parlare il giovane ladro scorse una fila di denti acuminati come pugnali e un alito fetido lo investi -Strano nome. Perché vuoi vederlo?- la voce era quasi un ringhio.
-Sono un suo vecchio amico e devo parlargli di una cosa importante- si sforzò di non indietreggiare mentre diceva queste parole.
Il mutante lupesco lo annusò. Dopo un po' fece un cenno con la testa al suo compagno -Non mente. Prova a sentire cosa dicono dentro-
L'altra guardia si chinò si un piccolo citofono e iniziò a parlare con voce bassa.
Dal citofono uscì una voce distorta. Domandò qualcosa.
La guardia rispose.
Silenzio dal citofono.
Silenzio.
Silenzio.
Alberto sentiva la tensione aumentargli nelle vene.
Dal citofono uscì nuovamente una voce.
La guardia si girò verso di lui.
Lo scrutò con attenzione, lo studiò.
Alberto portò lentamente una mano sull'elsa della spada.
Un cigolio di cardini invase l'aria mentre il cancello si apriva. Alberto sentì la tensione scivolargli via dalle ossa e riprese a respirare. Non si era nemmeno accorto che aveva trattenuto il respiro.
Mentre attraversava il cancello ed entrava nel giardino sentì la guardia lupesca che lo guardava e sghignazzava -Hahahahahah tranquillo non mangiamo nessuno- gli urlò dietro -Scusa ma siamo stati assunti apposta per fare paura alla gente-
Il cancello si chiuse dietro di lui con un tonfo sordo.

*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Questo è un link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa risultare comodo.
Grazie ancora a chiunque sia arrivato fin qui a leggere



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Fumo e Fiamme ***


5_Fumo
    5
FUMO
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Come nel capitolo precedente vi allego link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa risultare comodo. Stavolta l'ho messo qua in cima perchè penso che sia più comodo e molto più visibile.
Grazie ancora a chiunque sia arrivato fin qui a leggere.
E non fatevi scrupoli a criticarmi se trovate qualcosa si sbagliato o troppo incoerente. In fin dei conti è dalla critiche che si impara di più.

Marek era preoccupato. Kolin non lo sentiva ma il cacciatore, che aveva un olfatto molto più sviluppato del normale, poteva distinguere senza problemi l'odore di bruciato nell'aria. Quando dalla foresta sbucarono nell'ampia radura dov'era costruito il villaggio di Arrows anche il mercante lo percepì chiaramente e diede un colpo di redini a Igor in modo che accelerasse. La bestia li porto velocemente oltre i pochi piccoli campi che circondavano le case e si inoltrò a tutta velocità al loro interno. La colonna di fumo veniva dalla piazza.
Man mano che si avvicinavano Marek sentiva sempre di più i suoi compaesani che urlavano, chi di paura, chi sbraitando ordini. Sbucarono nella piazza e furono investiti da un'ondata di calore. La grande locanda, il cuore del villaggio stava bruciando. Le fiamme uscivano dalla finestre del pianterreno e stavano divorando l’edificio. Il secondo piano era preso meglio invece con solo del fumo che usciva dalla finestre.
Dall'altro capo della piazza rispetto all’incendio, poco distante da dove si erano fermati Marek e Kolin, una piccola folla di vecchi e bambini assisteva impotente alla distruzione del grande edificio mentre il resto degli abitanti cercava di domare l'incendio. Il carro non si era ancora fermato che Marek saltò giù e corse verso Ben Holler, il proprietario della locanda e “sindaco” di Arrows. Kolin frenò il carro e lo seguì a ruota.
L'attempato locandiere li vide e rivolse un cenno brusco a Marek.
-Ah bene, avevano giusto bisogno di altre braccia- la voce di Holler era profonda, baritonale.
-Chi è il tuo amico?-
Marek non fece in tempo a rispondergli che il locandiere si era già girato verso gli uomini che portavano i secchi d'acqua urlando ordini -Più in fretta idioti. Non perdete tempo a fare avanti e indietro tutta la strada coi secchi. Fate delle staffette-
Torno a rivolgersi a loro -Oh vabbe non importa chi diavolo è, parleremo dopo. Unitevi agli altri e portate i secchi. Sbrigatevi-
Si misero subito al lavoro. I secchi venivano riempiti nel pozzo fuori dal villaggio quindi ci mettevano un po' ad arrivare alla piazza. Anche con le staffette però l'acqua non raggiungeva la locanda abbastanza in fretta e l'incendio era a malapena sotto controllo.
-Dobbiamo portar più secchi alla volta Marek- disse il mercante dopo l'ennesimo viaggio. Avevano entrambi il fiatone a forza di correre.
-Hai qualche idea?-
-Il mio carro. Possiamo svuotarlo e riempirlo coi secchi e portarli tutti in una volta-
-No. Nel tempo in cui riempiano il carro non arriverebbero più secchi in piazza-
-Facciamolo fare ai vecchi e ai bambini allora-
-Ai vecchi e bambini?- chiese perplesso Marek.
-Si- rispose Kolin stizzito dal fatto che il cacciatore non ci arrivasse –Mentre noi continuiamo a portare i secchi per controllare l’incendio i vecchi e i bambini che ci sarebbero solo d’intralcio qua in mezzo potrebbero mettersi dall’altro lato del pozzo e riempire il carro-
Marek ci meditò sopra un attimo –Mmmh…potrebbe funzionare-
Stavano per andare a proporre l’idea al vecchio Holler quando un urlo di dolore improvviso squarcio l'aria. Proveniva dall'interno della locanda, dai piani superiori. Per un secondo tutti si fermarono per capire chi fosse la persona all'interno dell'edifico in fiamma.
-Rimettetevi al lavoro stupidi!!! Stare fermi ad ascoltare non aiuterà di certo chiunque sia rimasto la dentro!!!- l'urlo del locandiere ridesto all'istante gli uomini che si erano fermati e questi iniziarono a correre ancora più veloci di prima nonostante la stanchezza accumulata. Kolin intanto illustrò la sua idea a quest’ultimo per portare più secchi d’acqua.
-Potrebbe funzionare straniero-
Stava per iniziare a impartire ordini per mettere in pratica la proposta quando vide Marek correre verso l’edificio in fiamme. Il cacciatore sapeva di chi era la voce. Poteva essere distorta dal dolore e resa irriconoscibile dal fragore dell’incendio ma lui sapeva a chi apparteneva.
-Cosa cazzo stai facendo idiota di un ragazzo?- urlò il sindaco mentre provava a mettersi sulla sua traiettoria per bloccarlo.
-Era la voce di mio nonno- urlò di risposta Marek.
Nello stesso istante prese il secchio d'acqua che stava trasportando e se lo rovesciò in testa. Poi si lanciò verso la locanda a una velocità ancora maggiore. Ben Holler provò ad afferrarlo ma il giovane cacciatore si muoveva molto più velocemente del robusto locandiere. Evitò agilmente le mani del sindaco e saltò all'intero di quel piccolo inferno in terra.
Appena entrato il calore delle fiamme lo investì violentemente. Se non fosse stato per il secchio d'acqua che si era appena tirato in testa non sarebbe durato mezzo minuto. Il fumo dell'incendio gli entrò negli occhi facendolo lacrimare e annebbiandogli la vista. Si strappo un pezzo dei vestiti e se lo avvolse intorno alla faccia per cercare di ripararsi un po' dal fumo ma non ottenne molto. Il fumo entrava lo stesso nei polmoni facendolo tossire e causandogli difficoltà a respirare.
-Nonno- la sua voce si perse nel fragore dell'incendio. Nessuno gli rispose. Si addentrò pian piano nella locanda in fiamme. La sala grande era quasi completamente invasa dal fuoco rendendo molto difficile procedere. Molti tavoli erano in fiamme; il bancone, sulla parete a destra dell'entrata era stato quasi completamente consumato. La porta dietro il bancone che portava alla piccola cantina era completamente ostruita da un muro di fiamme. Probabilmente il generatore la sotto era esploso e aveva scatenato l'incendio.
Avanzando con fatica riuscì a raggiungere le scale che portavano ai piani superiori, sulla parete opposta da dove era entrato. I vestiti fradici che finora lo avevano protetto dal calore e dalle fiamme si stavano asciugando in fretta, non sarebbe durato ancora molto. Salì pian piano le scale.
Al piano superiore la situazione non era migliore; qui il calore era meno intenso e c'erano molte meno fiamme ma in compenso tutto il fumo del piano di sotto saliva e rendeva ancora più difficoltoso respirare.
-Nonno- urlò di nuovo con la voce ormai roca. Dall'esterno sentiva ancora i suoi compaesani che urlavano e il vecchio Holler che urlava loro di andare ancora più veloci. Dall'interno dell'edificio solo l'incendio gli rispondeva.
Andò avanti pian piano, tenendosi più basso possibile. Controllava ogni stanza, sperando di trovare il prima possibile suo nonno e condurlo fuori da quella bara fiammeggiante. All'improvviso sentì un rumore dalla stanza in fondo al corridoio. Come di un corpo che sbatteva violentemente contro qualcosa. Corse rapidamente fin dove aveva avuto origine il suono e provò ad aprire la porta ma quest'ultima era chiusa a chiave. Iniziò a tempestarla di pugni e spallate mettendoci sempre più foga man mano che le fiamme intorno a lui aumentavano. Ormai i suoi abiti erano completamente asciutti e il calore e il fumo cominciavano a farlo star male. Gli girava la testa...Diede un ultima spallata con le forze che gli erano rimaste e i cardini della porta cedettero finalmente sotto il suo peso. La forza della spinta lo fece cadere nell’altra stanza. Mentre attraversava la soglia percepì immediatamente qualcosa di diverso qualcosa di anormale.
Sentiva alcune voci ma non riusciva a capire cosa dicessero e a chi appartenessero. Sembravano sorprese. Aveva gli occhi annebbiati dal fumo e non riusciva a mettere bene a fuoco la stanza e violenti colpì di tosse lo scuotevano. Tentò subito di rialzarsi ma all’improvviso percepì un rumore tremendo, come di un’esplosione. Il pavimento di legno scricchiolò in maniera preoccupante. Sentì un dolore lacerante alla nuca.
E poi nero.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Primi Passi ***


6_Primi Passi
6
PRIMI PASSI
*Nota dell'autore*
https://www.dropbox.com/s/b6m20chjv9dfme6/Varie_EFP.txt?dl=0
Come nel capitolo precedente vi allego link con un file di testo in cui mi sono scritto un piccolo riassunto di ogni capitolo e l'elenco dei personaggi apparsi finora. Dati i miei tempi instabili nella scrittura e nella pubblicazione penso possa risultare comodo. Stavolta l'ho messo qua in cima perchè penso che sia più comodo e molto più visibile.
Grazie ancora a chiunque sia arrivato fin qui a leggere.
E non fatevi scrupoli a criticarmi se trovate qualcosa si sbagliato o troppo incoerente. In fin dei conti è dalla critiche che si impara di più.


Alberto entrò a passo lento nel giardino. Il cancello si chiuse dietro di lui con un rumore metallico. Nonostante fosse stato lì un bel po’ di volte non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che quel suono avesse qualcosa di oscuro e definitivo, come una bara che si chiudeva.
Attraverso il giardino stando sul vialetto di ghiaia che conduceva fino alla casa. I vari alberi spuntavano tetri qua e là nel prato, ancora scheletrici e privi di foglie per il freddo. Qualche chiazza di neve completava il quadro. Quello appena passato era stato un inverno strano, le temperature erano state abbastanza alte, faceva comunque un freddo cane a parer suo, e poca neve era caduta. Erano brutti segni. O almeno questo è quello che aveva sentito dire Alberto. “Inverno freddo, estate calda. Inverno caldo e guai in arrivo” dicevano i vecchi. Per quanto lo riguardava era ben felice di quel clima. Meno neve e meno ghiaccio significavano furti più facili, strade e tetti più puliti dove scappare e muri meno scivolosi dove arrampicarsi. Di certo non avrebbe perso tempo a credere che un inverno più mite sarebbe stato portatrice di sventura per qualche vecchia stupida superstizione o proverbio. Per conto suo c’era solo da guadagnarci.
La casa della famiglia Polnoc era un edificio stupendo, specie se confrontato allo squallore del resto delle costruzioni degli Slums. Si trattava di una vecchia villa pre Guerra, completamente ricostruita e ristrutturata. Aveva i muri bianchi perfettamente intonacati e ampie finestre si intervallavano per tutta la loro lunghezza. Al primo piano un grande terrazzo faceva il giro di buona parte della casa e da lì sopra alcuni uomini con dei fucili da cecchino pattugliavano costantemente la zona. Alberto si accorse che uno di loro lo stava tenendo d’occhio, con il fucile già pronto in caso di necessità. Finse di non vederlo e continuò a camminare con una calma quasi forzata. L’ultima volta che era stato lì non c’erano così tante guardie. Se c’erano persino dei cecchini sulla terrazza significava che il vecchio Polnoc era davvero preoccupato, e questo certamente non era un buon segno.
Una piccola scalinata portava al portico davanti all’ingresso. Qui due uomini armati di fucile facevano la guardia davanti alla porta a due ante di legno massiccio, l’ingresso principale alla casa. Almeno questi li conosceva ed erano sempre stati li.
-Vasilij, Grimcka- lì saluto con un cenno.
I due erano fratelli gemelli, praticamente identici. Le uniche differenze tra i due si riscontravano nelle cicatrici che coprivano i loro visi. Grossi, con i capelli biondi tagliati corti in stile militare e occhi azzurro chiaro che ti fulminavano con uno sguardo davano chiaramente l’impressione di uomini molto pericolosi che era meglio non disturbare. Luenam li chiamava scherzosamente “i suoi angeli custodi”, in quanto ogni volta che usciva di casa loro due lo accompagnavano, volente o nolente che fosse.
-Alberto- rispose Vasilij, il più socievole dei due. L’altro si limitò a un grugnito.
-Sai già la procedura, lascia qui le armi e fatti ispezionare-
Consegnò loro la spada e i pugnali. Dopodiché lasciò che le due guardie facessero il loro lavoro. Come al solito furono rapide ed efficienti. Una volta finito Vasilij si avvicinò al citofono e schiacciò un pulsante. Scambio qualche parola con una guardia all’interno e la porta facendo fuoriuscire una folata d’aria calda.
Saluto le due guardie ed entrò nell’ampio salone d’ingresso. Il maggiordomo della casa, un cretino borioso che Alberto proprio non sopportava, si fece avanti per prendergli il mantello e invitarlo a togliersi gli stivali, con la sua solita aria tronfia e di superiorità. Qualche volta Alberto aveva pensato di ricordargli che lavorava solo per un criminale, e che tale rimaneva per quanto influente e potente fosse. Poi però aveva anche pensato che era meglio subire le critiche di quello stupido maggiordomo piuttosto che insultare i Polnoc in casa loro. Decise quindi di rimangiarsi ancora una volta le sue parole e di seguire in silenzio l'odiosa figura.
L'interno della residenza era stupendo. L'entrata era un enorme salone in stile classico con una scalinata di marmo al centro che portava ai piani superiori. Le pareti della stanza erano intonacate di bianco e lungo di esse si trovavano quadri famosi, frutto di generazioni di attività criminali. Un grande lampadario di cristallo completava il tutto. A ben pensarci quel posto sembrava più la villa di un conte che quella di un criminale.
Salirono le scale e presero il primo corridoio a destra. Passarono davanti a una porta socchiusa da cui provenivano delle voci, anzi una voce, e parecchio incazzata. Era il vecchio Polnoc che stava urlando qualcosa –Non è possibile. Quel dannato magistrato stia causando… Problemi…Urge…risposta…- la voce divenne più debole e confusa man mano che si allontanavano dalla porta.
Arrivarono davanti una scala a chiocciola. La stanza di Luenam era all’ultimo piano della casa, ricavata dalla vecchia mansarda.
-Il signorino è stato avvisato del suo arrivo- disse il maggiordomo -Appena sarà pronto ad andarsene basta che lei mi avvisi e la riaccompagnerò alla porta-
-Non mancherò di farlo- rispose Alberto, quasi digrignando i denti. Quanto odiava quel tipo.
Salì le scale. La camera era ampia, illuminata da un grande lucernario sul soffitto. Di fronte alla scale una porta finestra conduceva a un piccolo terrazzino sul tetto, da dove si poteva godere di una vista sopraelevata degli Slums e del loro squallore. Il letto a due piazze occupava il centro della stanza, insieme a un piccolo divano, un tavolino e due poltrone. La parete destra era occupata da un sacco di scaffali e librerie mentre sulla sinistra, sotto un finestra, c’erano una scrivania e un tavolo da lavoro. Ed è proprio lì che Alberto trovò Luenam. Era chino su un qualcosa che da lì non riusciva a vedere, un qualche aggeggio elettronico conoscendolo. Non si era accorto della sua presenza.
Fece un colpo di tosse.
Luenam si girò e lo fissò. Dopodiché si alzò di scatto e corse in contro ad abbracciarlo.
-Alberto, vecchio mio. Sono mesi che non ti vedo. Dov’eri finito? – la sua voce aveva il solito timbro leggermente acuto ma solare.
Luenam era alto circa un metro e ottantacinque, qualche centimetro in più di Alberto ma era anche decisamente più grassottello. Il viso tondo era incorniciato da due guance paffute e lineamenti morbidi. I cappelli erano marrone nocciola e probabilmente anche barba e baffi avrebbero avuto lo stesso colore se mai gli fossero cresciute. Gli occhi, della stessa tonalità dei capelli, erano pieni di energia e voglia di vivere.
-Ad occhio e croce direi a cercare un tetto sopra la testa e un piatto caldo per rifocillarmi- replicò il ladro, con un leggero sarcasmo ma rispondendo però all’abbraccio.
-Dai scemo, ti ho già detto un sacco di volte che se ti serve qualcosa basta chiedere. Scommetto che il nonno ti troverebbe anche un lavoro-
-Ehm…Se possibile preferirei evitare- l’idea di lavorare per una famiglia criminale non aveva mai entusiasmato troppo Alberto. Conosceva bene quel mondo e preferiva non nuotare in acque torbide. Non che le sue non lo fossero naturalmente ma i Polnoc trattavamo affari assai più discutibili dei suoi, per dirla in maniera gentile.
-Come vuoi- il tono di Luenam non era cambiato di una virgola. Era abituato a questi scambi di battute e alla fine comprendeva le motivazioni dell’amico -Accomodati comunque, fai come al solito. Vuoi caffè? O tè? Qualcosa di più forte?-
Alberto si buttò sulla poltrona più vicina. Le adorava, erano comodissime e ci sprofondava ogni volta che andava lì.
-No, no. Grazie lo stesso. Per quanto vorrei che fosse una visita di piacere sono venuto per parlarti d’altro. Diciamo che sono in una situazione “leggermente” complicata e mi serverebbe un aiuto. Un grosso aiuto-
-Dimmi tutto- Luenam si fece subito serio. Sapeva che il suo amico era avventato qualche volta, ma mai troppo nel suo lavoro e soprattutto si era sempre rifiutato di chiedergli aiuto, qualsiasi cosa dovesse fare.
Alberto si mise a raccontargli gli avvenimenti del giorno prima. L’incontro col servitore, il lavoro che doveva compiere e le minacce velate che aveva ricevuto. Tralascio naturalmente lo spiacevole incontro con i due stupratori, quello era stato solo un evento imprevisto.
-E quindi questo è tutto- concluse –Tu cosa ne pensi?-
Luenam si prese il suo tempo per pensare.
-Che sei in un bel guaio. Un gran bel guaio. Pero penso che la mia famiglia…-
Alberto lo interruppe subito-Preferirei evitare, lo sai. Ho chiesto aiuto a te, non a loro. So già che non ce la posso fare da solo ma onestamente non mi va di finire immischiato anche in altri guai. Questa cosa può non arrivare a loro?-
-Mmm… quindi tu vuoi organizzare un furto impossibile senza che mio nonno e mio padre, i più potenti e influenti criminali della città, lo vengano a sapere sfruttando però parte delle loro risorse tramite me?-
-Detta così suona male. Cioè se non te la senti lo capisco benissimo. Anzi non è neanche giusto che chieda il tuo aiuto così-
Luenam lo guardò e poi scoppiò a ridere –Mio dio sei sempre così orgoglioso e scemo. Guarda che è normale chiedere aiuto a un amico se serve, prima o poi dovresti ficcartelo in testa-
Alberto guardo l’amico confuso –Questo sarebbe un si?-
-Certo che è un sì. La mia famiglia mi tratta sempre come un poppante. Pensano sempre che sia troppo piccolo per tutto. Questa è la mia cazzo di occasione per dimostrare a tutti quanto valgo-
Il giovane ladro quasi non ci credeva. Se l’era immaginata molto più difficile anche solo ottenere un minimo di aiuto. Guardò l’amico riconoscente -Grazie Len, grazie davvero-
-Beh direi che è ora di iniziare questa impresa folle amico mio-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2697287