Aislinn di Gran Burrone

di Helmwige
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


CAPITOLO I

Gran Burrone, 9 ottobre 3018
“Combatti proprio come una donna” la schernì Glorfindel, roteando la spada con un’espressione beffarda sul viso.
Aislinn si passò una mano sulla fronte e lo guardò, distesa sul pavimento. Glorfindel le aveva appena fatto uno sgambetto coi fiocchi e lei c’era cascata come un mortale alle prime armi.
Patetico, veramente patetico.
Si rialzò lentamente, cercando di riprendere fiato.
“Non so se ne sei a conoscenza”, gli rispose. “Ma io sono una donna.”
“Sì, infatti si vede” rispose lui, lanciandole un’occhiata eloquente.
Aislinn arrossì per la rabbia e attaccò. In realtà, non era vero che combatteva come una donna; per prima cosa, le donne di stirpe Elfica che combattevano erano rare quanto gli Hobbit nelle Terre Selvagge; per seconda, Aislinn menava fendenti alla pari del miglior soldato degli Uomini.
Certo, non era un comportamento adatto alla figlia di un re e, a dirla tutta, era la “disperazione” di tutta la sua famiglia. Non una vera disperazione, capiamoci. Era semplicemente… una cosa inadeguata per una Elfa di stirpe reale. Ma a lei era sempre importato poco o niente.
Era nata per combattere, lo sentiva sotto la pelle. Nessuno, vedendola in quel momento, l’avrebbe ritenuta indegna di prendere in mano una spada.
Continuava a menar fendenti a destra e a sinistra. I suoi occhi blu fiammeggiavano. Voleva far sparire quel sorrisetto insopportabile dalle labbra di Glorfindel.
L’Elfo, a sua volta, parava ogni colpo con agilità. Gli anni e l’esperienza giocavano sicuramente a suo favore e ben presto si ritrovò di nuovo in vantaggio. Con un colpo più intenso fece perdere l’equilibrio alla ragazza, la quale abbassò inevitabilmente la guardia. Glorfindel le assestò un calcio tra le costole, buttandola per terra. Di nuovo.
Aislinn gemette e si portò una mano all’addome. Lui si mise a ridere sonoramente. Altro che Signore degli Elfi; quello che aveva davanti era un bambino cresciuto solo nel fisico.
Le sfuggì un’imprecazione e tentò di tirarsi su.
“Che linguaggio, Dama Aislinn” la schernì lui, continuando a sghignazzare.
“Zitto, Glorfindel. Abbi almeno la decenza di chiudere la bocca.”
“Perché, il tuo orgoglio ferito sanguina?”
Aislinn alzò la spada con lo sguardo minaccioso. “Sono sicura che se non la smetti sanguinerà qualcos’altro.”
“Sono terrorizzato” ribatté, ridendo ancora più forte.
Lei tirò indietro il braccio, pronta a tornare all’attacco. “Sei proprio…”
“Aislinn!”
La ragazza si girò verso la voce che l’aveva chiamata. Il respiro le si bloccò per un momento quando si trovò davanti Arwen. Anche Glorfindel trasformò la sua risata in un colpo di tosse imbarazzato.
Un Signore degli Elfi imbarazzato.
Aislinn avrebbe di certo usato l’occasione per schernirlo a dovere se non si fosse sentita così… intimorita da Arwen Undòmiel.
Aislinn rinfoderò la spada mentre le guance le si imporporavano sotto lo sguardo impassibile della sorella. Si spolverò i pantaloni, prendendo tempo per far tornare il viso al suo solito colore.
Fu una pessima idea. Gli occhi di Arwen si soffermarono sugli indumenti della ragazza e divennero dello stesso colore del mare in tempesta. I suoi occhi esprimevano sempre tutto. Il volto riusciva a rimanere impossibile anche quando si infuriava (cosa che, a dir la verità, accadeva assai raramente), ma i suoi occhi parlavano.
Fu Glorfindel, fortunatamente, a interrompere il silenzio assordante che si era creato. “Dama Arwen” la salutò, chinando leggermente il capo.
Arwen ricambiò il saluto, ma tenne lo sguardo inquisitore puntato su sua sorella per diverso tempo prima di rivolgerlo all’Elfo.
“Mio padre desidera vederti, Glorfindel” disse, con la voce leggere e calma.
Senza aggiungere altro, lui mise a posto l’arma e si avviò, lasciandole sole.
Il silenzio ricadde e nessuna delle due, per parecchi minuti, tentò di romperlo.
Arwen continuava a fissarla con insistenza, mentre Aislinn giocherellava con i lacci della sua camicia, incapace di incontrare gli occhi di sua sorella.
Alla fine, fu la maggiore a prendere la parola per prima: “Vieni, ti devo parlare.”
Aislinn la seguì di malavoglia, con la spada che le dondolava al fianco.

“So cosa vuoi dirmi.”
“Ne sono sicura, Aislinn.” La voce di Arwen era serena e dolce, come se stesse parlando con una bambina. Forse la riteneva una bambina. Aislinn si trattenne dallo sbuffare.
Arwen era la Dama perfetta. Così saggia, così regale.
Era estremamente  somigliante a Elrond. E a Elledan ed Elrohir. E alla maggior parte di tutti gli Elfi.
Tranne lei. Lei non somigliava a nessuno.
Lei, Aislinn, la più piccola e la meno saggia, quella che dagli Elfi aveva ereditato solo le orecchie a punta e il fisico slanciato.
“Allora non dovrei essere qui,” rispose. La sua voce era così bassa che Arwen quasi fece fatica ad udirla.
“Voglio solo sapere cosa ti turba.”
Aislinn la guardò sorpresa. “Cosa… mi turba?”
“Sì.”
“Non mi turba niente, lo sai.”
“Nostro padre è preoccupato…”
“Faresti meglio a dire che è amareggiato” ribattè Aislinn.
“Egli vuole bene a tutti noi, Aislinn. Ѐ solo preoccupato per te.”
“Te lo ripeto: non sono turbata. Volevo solo fare un po’ di… esercizio con Glorfindel. Tutto qui!”
Arwen lasciò andare un lento sospiro. “Abbiamo tutti degli obblighi qui. Tutti noi abbiamo il nostro posto.”
“E qual è il mio?” sussurrò la più giovane, più a se stessa che ad Arwen. Già conosceva la risposta. Arwen non faceva che ripeterglielo; erano tutti parte di un’unica grande famiglia, e in ogni famiglia le persone si stanno vicine, sempre. Era la solita litania.
“Tu starai accanto a me, a nostro padre e ai nostri fratelli. Non è così?” le chiese Arwen. La sua voce era di una dolcezza indescrivibile, tanto che ad Aislinn sembrò di aver davanti di nuovo sua madre.
Le mancava sua madre, terribilmente. Lei era diversa, o almeno se la ricordava così. Dopo l’incidente era cambiata un po’, ma prima era sempre stata affettuosa come tutte le madri. Era stata premurosa, amorevole e tenera. Celebrìan le aveva fatto amare le storie e le leggende. Ogni sera, da piccola, le aveva raccontato qualcosa e Aislinn s’era impressa nella memoria personaggi eroici, guerre e animali feroci e spaventosi.
Arwen, Elladan ed Elrohir assomigliavano a Elrond; Aislinn era la copia identica di Celebrìan, nel fisico e nell’animo. Ma non nella voce, quella l’aveva ereditata Arwen. E ogni volta che la sentiva con quel tono, Aislinn diventava quasi malinconica. Quel giorno non andò diversamente.
“Sì, è così.”

Quando uscì dalla camera di sua sorella, Aislinn si diresse verso il Salone del Fuoco. Aveva bisogno di stare un po’ da sola e la penombra era quel che le serviva. Una bellissima, oscura e silenziosa sala.
Non era neanche a metà strada quando s’imbatté in Glorfindel che camminava spedito, come se avesse avuto una gran fretta.
“Come mai così pieno di urgenza?” gli chiese lei.
“Elrond ha chiamato me e altri per pattugliare la zone e tener d’occhio la Via.”
Aislinn lo guardò perplessa. “Che intendi dire?”
“Hanno avvistato i Nove, provengono da Ovest.”
“I Nove?”
“Tuo padre vuole che facciamo perdere loro la pista giusta. Dobbiamo fare in modo che devino verso le Terre Selvagge.”
“Perché? Cosa stanno seguendo?”
“Due Hobbit, forse accompagnati da Aragorn.”
“Aragorn è tornato?”
“A quanto pare… ora devo andare.” Si zittì per qualche secondo, come se fosse indeciso tra aggiungere qualcosa o tacere. Alla fine parlò: “Non cacciarti nei guai, Aislinn.”
Detto questo, si voltò e si diresse velocemente verso le scuderie.
Aislinn rimase a guardarlo finché non fu sparito dietro l’angolo. Una strana eccitazione le aveva invaso pian piano le membra e ora quasi fremeva d’impazienza.
Aspettò diversi minuti, girovagando per i corridoi finché non fu sicura di aver atteso abbastanza. Poi corse anche lei dal suo cavallo.



Nota dell'autrice:
Questa fanfiction prende spunto dagli avvenimenti dscritti nel libro, dove ci sono molti dettagli diversi dal film. Mi rendo conto che per un amante delle opere di Tolkien questo racconto potrebbe sembrare quasi un affronto, ma non riesco a pensare ad altro, quindi spero mi perdonerete. Ad ogni modo, mi sono documentata a lungo su luoghi e date, in modo tale che non ci siano buchi temporali, paradossi o altri errori relativi alla trama principale. Mi piacerebbe molto a questo riguardo poter ricevere delle critiche nel caso abbia dimenticato o sbagliato qualcosa.
Vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine di questo capitolo e spero di avervi incuriosito almeno un po'!
Helmwige

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

19  ottobre
Adarash correva veloce quanto il vento.
Erano due giorni che galoppavano ininterrottamente, perlustrando in lungo e in largo la Grande Via Est. Non aveva trovato altro che terra, arbusti e alberelli bassi. I Nove non si erano fatti vedere mai.
Aislinn tirò le redini e, quando Adarash si fermò, si stiracchiò sulla sella. Dopo due giorni a cavallo e una notte passata sul terreno duro e freddo, i muscoli delle spalle e della schiena dolevano terribilmente.
Aveva bisogno di riposo, di un bel letto morbido, delle sue coperte calde e di un pasto sostanzioso. Ma non aveva nessuna intenzione di tornare a Gran Burrone, almeno non così presto.
Anzi, era abbastanza strano che suo padre non avesse già mandato qualcuno a riprenderla e a riportarla a casa. Probabilmente doveva essere furioso, eppure nessuna guardia di Gran Burrone era giunta.
Forse Elrond voleva vedere cosa avrebbe fatto. Magari si aspettava qualcosa di dannatamente stupido, che gli avrebbe dato modo di tirarle per bene le orecchie una volta tornata a casa.
Scrollò un’ultima volta le spalle per sciogliere le articolazioni e ricominciò a galoppare.
Per due giorni non aveva incontrata neanche Glorfindel, né gli altri che erano stati chiamati per allontanare i Nove. Lei, a sua volta, era stata piuttosto attenta a non farsi vedere.
Passò di nuovo il fiume e s’inoltrò tra gli alberi.
Il suo cuore perse un battito quando vide due macchie scure tra gli arbusti. Le correvano ai lati, una a destra e una a sinistra. Spronò Adarash e si preparò all’attacco.
Dopo pochi secondi, i due Cavalieri Neri virarono e la raggiunsero. Aislinn sguainò la spada, frenò un po’ per farli andare avanti e poi cominciò a corrergli dietro.
Erano pochi i cavalli tanto veloci da tener dietro ai Cavalieri Neri e Adarash era uno di quelli.
Gli corse dietro a lungo. Era instancabile, infaticabile.
I suoi zoccoli battevano ritmicamente sul terreno, veloci e costanti. Aislinn continuava a spronarlo, tenendo la spada sguainata alta sopra la testa. I capelli scuri le frustavano le guance, ma era talmente eccitata dalla corsa che neanche li sentiva. L’adrenalina le correva a fiotti nelle vene e il cuore le rimbombava nelle orecchie. Aveva lo sguardo puntato sulle schiene dei Cavalieri e vedeva solo loro; tutto il resto, alberi, cielo e terra, era sparito.
Ad un tratto, i Cavalieri virarono a destra, inoltrandosi tra gli arbusti.
Un grido stridulo risuonò nell’aria, seguito subito da un altro.
Aislinn rallentò leggermente, sorpresa. Non aveva sentito mai niente di simile prima d’ora. Era un suono strano, sinistro… Somigliava quasi ai richiami degli animali.
Tra i rami comparvero altre macchie scure.
Le orecchie della ragazza captarono il rumore di molti altri zoccoli. I due Cavalieri che aveva inseguito tanto a lungo si stavano riunendo al gruppo.
Era ancora fremente e agitata. Voleva battersi contro di loro e dimostrare a tutti che era una combattente nata, senza paura. Eppure anche lei possedeva un minimo di buonsenso. Due contro uno ci poteva anche stare, ma nove erano troppi.
Decise che non valeva la pena rischiare così tanto per così poco. D’altronde, il suo compito era allontanare i Nove dalla Via ed era quello che aveva fatto.
Diresse Adarash verso sinistra e si allontanò dai Cavalieri.

Continuò a galoppare per altre tre ore, poi decise di fermarsi.
Aveva urgente bisogno di sgranchirsi le gambe e di sciogliere i muscoli. Scese da cavallo e guidò Adarash verso uno spiazzo erboso riparato. Il cavallo le diede un colpetto col muso sulle costole e poi si mise a brucare tranquillo.
Aislinn si sedette su un masso spoglio e masticò lentamente un pezzo di lembas. Non ne poteva più del pane elfico, ma doveva recuperare le energie e si sforzò di masticare e mandare giù in fretta.
Dopo pochi minuti sentì di nuovo il rumore ritmico di un cavallo al galoppo.
Smise di respirare e tese le orecchie. Le sembrò di udire un unico cavallo, ma non ne era sicura.
Senza fare il minimo rumore, si alzò e si diresse verso Adarash, che aveva smesso di brucare e se ne stava immobile con le orecchie tese. Aislinn gli accarezzò piano il collo.
Il cavaliere si avvicinò, rallentando progressivamente fino a fermarsi quasi davanti a loro. La ragazza si accucciò contro Adarash e fissò lo sconosciuto.
Tra le fronde degli alberi riconobbe il volto attento e serio di Glorfindel. Scrutava tra i rami in cerca dei Nove. Aislinn pregò di non essere vista e rimase immobile, senza respirare.
Dopo un tempo che sembrò un’eternità, Glorfindel spronò Asfaloth e si allontanò.
Aislinn rilasciò l’aria e ricominciò a respirare.

Quella sera Aislinn si rifiutò di mangiare e si accucciò vicino alle zampe di Adarash. Si avvolse nella coperta da viaggio, che era troppo leggera, e socchiuse gli occhi.
Era stanchissima e le faceva male la testa, ma il terreno irregolare e il freddo non le davano tregua. L’umidità passava attraverso i vestiti, torturando i muscoli e le giunture già duramente provati.
Dopo diverse ore di dormiveglia, si ritrovò con lo sguardo fisso sul cielo.
Amava le stelle. Da piccola aveva passato nottate intere ad ammirare quelle lucciole dorate fissate in quel mare blu. Chissà, magari quelle stelle erano proprio le anime degli Elfi che erano morti in battaglia e che ora la fissavano con intensità e rischiaravano la notte. Erano bellissime.
Un rumore di fogliame smosso la riportò alla realtà. Qualcuno si stava avvicinando.
Aislinn tese le orecchie, incapace di muoversi. Decise di rimanere immobile per evitare anche il minimo rumore. Lo sconosciuto si avvicinò e la ragazza lo vide attraverso le foglie.
Un Cavaliere Nero.
Aislinn trattenne di nuovo il respiro. Il Nazgûl continuò ad avvicinarsi e si fermò a pochi passi dal suo nascondiglio. Si voltò lentamente da una parte all’altra, poi fiutò l’aria.
Passò un lungo minuto di profondo silenzio, poi il Cavaliere diede un colpo di talloni e spinse il cavallo nella radura. Il cuore di Aislinn perse un battito quando lo vide davanti a sé.
La vedeva, ne era certa. Eppure non riusciva a muoversi. La stanchezza e la paura l’avevano sopraffatta.
Si ritrovò a fissare il cappuccio del Cavaliere, immobile. Era sicura che anche lui la stesse guardando così intensamente, eppure rimaneva fermo come lei.
Aislinn non seppe mai quanto tempo passarono a osservarsi, distanti solo una manciata di metri. All’improvviso il Nazgûl si mosse ma, invece di andarle incontro, uscì dalla radura e galoppò via, immergendosi nell’ombra.


20 ottobre
Aislinn non dormì quella notte e, appena il cielo cominciò a rischiararsi, si levò di dosso la coperta con un calcio, mangiò un pezzo di lemban e si rimise in sella.
L’aria era umida e fredda. La rugiada gocciolava sulle foglie verdognole. L’autunno stava arrivando e si sentiva. Sarebbe passato parecchio tempo prima di vedere nuovamente il grano dorato ondeggiare vicino a Gran Burrone. Per mesi non avrebbe più ascoltato, distesa sul letto, il cinguettio degli uccelli. Le stelle, a lei così care, sarebbero state nascoste dalle nuvole cariche di pioggia.
L’inverno era così grigio, rude, scontroso e freddo…
Aislinn uscì dalla radura e si avviò verso la Via, lasciando ad Adarash l’onore di scegliere l’andatura. Non aveva alcuna fretta, anzi, cominciava a essere stanca di girare avanti e indietro in cerca di Nazgûl da rincorrere fino allo sfinimento. Eppure non aveva neanche intenzione di aspettare il sorgere del sole accucciata sotto la coperta, a portata di mano di chiunque. Inoltre, l’incontro della notte prima con quel Cavaliere, che per qualche oscuro motivo l’aveva guardata senza torcerle un capello e senza neanche chiamare i suoi compagni, l’aveva turbata abbastanza.
Di tornare a Gran Burrone con la coda tra le gambe non se ne parlava.
L’unica cosa che poteva fare era quindi pattugliare la Via. Di nuovo.

Dopo diverse ore sulla groppa di Adarash, con la schiena a pezzi e le palpebre pesanti a causa del sonno e della noia, le si presentò una nuova occasione.
Tra gli arbusti vi erano tre Cavalieri fermi. I loro destrieri stavano brucando tranquillamente l’erba mentre i Nazgûl sembravano confabulare tra loro.
Aislinn rimase ferma, pensando a quale sarebbe stata la mossa migliore. Era indecisa se attaccarli per prima e improvvisamente o se sguainare la spada, facendogli notare la sua presenza.
Non ebbe abbastanza tempo per decidere.
Un Cavaliere sembrò captare la sua presenza. Voltò la testa incappucciata verso di lei e la fissò per un veloce momento. Poi emise una sorta di ululato stridulo e penetrante che richiamò l’attenzione degli altri due.
Aislinn affondò i talloni nei fianchi di Adarash e si lanciò contro di loro, sguainando la spada. I Cavalieri spronarono i destrieri e tentarono di guadagnare terreno zigzagando tra i cespugli e gli arbusti.
Il vento avvolgeva il corpo di Aislinn come un abbraccio gelido. Il cuore le batteva all’impazzata.
Si chinò verso il collo di Adarash per vincere la resistenza dell’aria e lo spronò ad andare ancor più veloce.
I Nazgûl correvano a rotta di collo. I loro mantelli svolazzavano, sferzati dall’aria fredda. Lanciarono un altro dei loro acuti richiami e virarono verso nord.
Aislinn continuò a seguire la loro scia, ma ad un tratto cominciò a rallentare leggermente, come se fosse diventata titubante. Le era parso di sentire degli zoccoli in più.
Continuando a seguire la scia dei Cavalieri, inclinò leggermente la testa. Il suo orecchio destro distinse chiaramente un altro cavallo e, a quel punto, voltò la testa. Un altro Nazgûl, sbucato da chissà dove, le stava dietro ad appena una decina di metri. Rimase interdetta per diversi secondi, tanto fu la sorpresa di essere attaccata da un Nazgûl solitario. Che diamine, i Cavalieri non attaccavano mai!
Nei giorni precedenti non aveva avuto il minimo problema. Scappavano via appena la vedevano, dividendosi e ricongiungendosi dopo qualche tempo. Non le avevano mai dato problemi, li aveva sempre cacciati con poca fatica. E ora addirittura uno di loro osava correrle dietro!
I tre Cavalieri davanti a lei si divisero, prendendo strade diverse. L’Elfa proseguì dritto, seguendo il terreno che cominciava a salire. Il Cavaliere dietro di lei fece lo stesso.
No, non voleva correrle dietro…
Goccioline di sudore le imperlarono la fronte quando si accorse che si stava avventurando verso un’altura delimitata da roccia.
…voleva chiuderla in trappola!
L’incredulità e lo stupore la invasero, mischiate alla rabbia e alla frustrazione.
Si trovò la strada sbarrata e, imprecando tra i denti serrati, voltò il cavallo verso l’inseguitore.

“Che ci fai qui, Elfo femmina?”
La voce del Nazgûl era cupa e profonda, come se provenisse da una caverna.
“Potrei chiederti la stessa cosa, Ulairi” gli rispose lei, alzando in alto il mento. Quello era sicuramente il momento meno adatto per farsi prendere dal panico e mostrarsi debole.
In realtà, Aislinn non aveva paura. Il Cavaliere non la terrorizzava affatto, la intimoriva solo un po’. Ma soprattutto le metteva, chissà perché, in soggezione.
“Re Elrond il Mezzelfo non ti ha ancora riportato a casa, a quanto vedo.”
Il sangue di Aislinn si congelò. Strabuzzò gli occhi e aprì la bocca per parlare un paio di volte prima di riuscire a rispondere.
“Cosa c’entra Elrond il Mezzelfo?” chiese, pregando che la voce non desse segni di timore.
“Non mentire a me, Aislinn, figlia di Elrond.”
Il cavallo del Nazgûl sbuffò e pesto il terreno con le zampe robuste.
Aislinn rimase in silenzio di nuovo in preda alla confusione. “Come conosci il mio nome?”
Il Nazgûl non rispose e continuò a guardarla (o così almeno credeva) in silenzio.
Aislinn però non demorse. Ormai, braccata con le spalle al muro, circondata da roccia, se aveva un un’unica via d’uscita essa si trovava di fronte a lei. E quel Cavaliere non la intimidiva più.
“Qual è il tuo nome, Ulairi?”
Ma proprio in quel momento un altro acuto richiamo li raggiunse. Il Nazgûl volto la testa incappucciata immediatamente e fece per girare il cavallo ma, prima di partire, si rivolse di nuovo a lei: “Sii prudente, Aislinn, figlia di Elrond il Mezzelfo. La Terra di Mezzo sta cambiando.”
Detto questo, si lanciò al galoppo.

Aislinn ebbe bisogno di qualche minuto per riprendersi.
Troppe informazioni in così poco tempo l’avevano lasciata con infinite domande a cui urgevano risposte. Eppure, ciò che l’aveva scombussolata davvero era stata l’ultima frase del Cavaliere. Che la Terre di Mezzo fosse in piena fase di cambiamento l’aveva capito, purtroppo. Ma se avesse rivelato a qualcuno che un Nazgûl l’aveva avvisata di essere prudente, probabilmente le avrebbero risposto di fumare meno l’erbapipa dei Mezzuomini. Era incredibile, assolutamente inverosimile.
Eppure era successo, ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Si accorse di avere ancora le dita strette attorno all’elsa della spada e ripose l’arma. Dopodiché di decise a tornare sui suoi passi.
Sul terreno scorse diverse impronte di zoccoli fresche in direzione del fiume e si risolse a seguirle.
Quando però raggiunse il Bruinen, non trovò alcun Cavaliere Nero.
Il terreno era stato in parte bruciato e il fuoco infiammava ancora qualche cespuglio. A pochi passi dall’acqua campeggiavano Aragorn e tre Hobbit. Il respiro le si mozzò quando scorse la chioma bionda di Glorfindel accanto all’Uomo.
“Ѐ proprio una giornata fortunata questa!” borbottò lei, avvicinandosi al gruppo.
Gli Hobbit si voltarono all’unisono; i loro occhi scintillavano per lo stupore e la meraviglia. Uno di loro in particolare, leggermente più massiccio degli altri, la fissava a bocca aperta.
Lo sguardo di Glorfindel, al contrario, ardeva per la rabbia.
“Che ci fai tu qui?” domandò. La voce, in perfetta antitesi con il suo sguardo, era gelida come le acque del Bruinen.
“Stavo inseguendo un gruppo di Nazgûl,” rispose lei, con la voce più calma e indifferente che riuscì a trovare. Poi, come se nulla fosse, salutò Aragorn, anche lui piuttosto sorpreso, con un leggero cenno del capo.
Glorfindel fece per parlare, ma l’erede di Isildur lo precedette: “I Nove sono stati spazzati via dal fiume.”
Aislinn aggrottò la fronte. “Hanno tentato di attraversare il fiume? Perché?”
Ma non fece quasi in tempo a finire la frase che l’Hobbit più grosso la interruppe: “Grampasso, il padron Frodo ha sicuramente bisogno di aiuto!”
Aragorn e Glorfindel si voltarono di scatto, dandole le spalle. Fu allora che Aislinn lo vide.
Disteso ai piedi del cavallo di Glorfindel, con lo sguardo perso nel vuoto e il respiro quasi assente, giaceva un altro Mezzuomo.
 

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